• AYER NO, HOY SI, ¿Y MAÑANA? Exploring further the issues of legal uncertainty, opacity, and alterations in the entry criteria for the #CETI in Melilla

    Exploring recent changes in access to the CETI in Melilla, this article addresses legal insecurity, lack of transparency and changes in admission criteria. From the context of Melilla to the experiences of Latin American migrants, it reveals the shortcomings of the system and the ongoing struggle for rights.

    https://en.solidarywheels.org/informes
    https://en.solidarywheels.org/_files/ugd/0a7d28_f46a4434524342228757205389c8ed22.pdf

    #rapport #Melilla #Espagne #Maroc #frontières #migrations #réfugiés #Solidarity_Wheels #centre_d'accueil #hébergement #accueil #centre_temporaire #violence #violence_systématique #violences_policières

  • I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

    #Maroc #migrations #criminalisation_de_la_migration #justice (well...) #procès #dissuasion #Melilla #24_juin_2022 #trafiquants_d'êtres_humains #répression #répression_judiciaire #externalisation

  • Au Maroc, plus d’un millier de migrants ont été interpellés dans le nord du pays, près des enclaves de Ceuta et Melilla
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/01/01/au-maroc-plus-d-un-millier-de-migrants-ont-ete-interpelles-dans-le-nord-du-p

    Au Maroc, plus d’un millier de migrants ont été interpellés dans le nord du pays, près des enclaves de Ceuta et Melilla
    Le Monde avec AFP
    Dans le cadre de différentes opérations, des unités de l’armée marocaine ont interpellé, dans la nuit du 31 décembre au lundi 1er janvier, plus d’un millier de migrants qui, dans le nord du royaume, s’apprêtaient à rejoindre les enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla.
    Au total, 1 110 personnes ont été interpellées dans les villes de Nador, M’diq et Fnideq durant plusieurs opérations de l’armée et des forces de l’ordre marocaines, selon un communiqué de l’Etat-major général des Forces armées royales (FAR) relayé par l’agence MAP. L’armée a précisé que les 175 migrants appréhendés à Nador, ville frontalière de Melilla, sont originaires du Maroc, d’Algérie, de Tunisie et du Yémen, sans donner les nationalités des 935 autres.
    Situées sur la côte nord du Maroc, les enclaves espagnoles de Melilla et Ceuta sont les seules frontières terrestres de l’Union européenne sur le continent africain, et sont régulièrement le lieu de tentatives d’entrée clandestines. La route migratoire vers les îles Canaries est l’autre porte d’entrée vers l’Europe, dans l’océan Atlantique, notamment depuis les côtes marocaines et du territoire disputé du Sahara occidental. L’archipel espagnol fait face cette année à son flux migratoire le plus important depuis 2006. Au 15 novembre, 32 436 migrants sont arrivés aux Canaries, soit un bond de 118 % par rapport à la même période une année auparavant, selon le ministère de l’intérieur.

    #Covid-19#migrant#migration#maroc#UE#espagne#canaries#routemigratoire#migrationirreguliere#ceuta#melilla#fluxmigratoire#

  • Au Maroc, plus d’un millier de migrants ont été interpellés dans le nord du pays, près des enclaves de Ceuta et Melilla
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/01/01/au-maroc-plus-d-un-millier-de-migrants-ont-ete-interpelles-dans-le-nord-du-p

    Au Maroc, plus d’un millier de migrants ont été interpellés dans le nord du pays, près des enclaves de Ceuta et Melilla
    Le Monde avec AFP
    Dans le cadre de différentes opérations, des unités de l’armée marocaine ont interpellé, dans la nuit du 31 décembre au lundi 1er janvier, plus d’un millier de migrants qui, dans le nord du royaume, s’apprêtaient à rejoindre les enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla.
    Au total, 1 110 personnes ont été interpellées dans les villes de Nador, M’diq et Fnideq durant plusieurs opérations de l’armée et des forces de l’ordre marocaines, selon un communiqué de l’Etat-major général des Forces armées royales (FAR) relayé par l’agence MAP. L’armée a précisé que les 175 migrants appréhendés à Nador, ville frontalière de Melilla, sont originaires du Maroc, d’Algérie, de Tunisie et du Yémen, sans donner les nationalités des 935 autres.
    Situées sur la côte nord du Maroc, les enclaves espagnoles de Melilla et Ceuta sont les seules frontières terrestres de l’Union européenne sur le continent africain, et sont régulièrement le lieu de tentatives d’entrée clandestines. La route migratoire vers les îles Canaries est l’autre porte d’entrée vers l’Europe, dans l’océan Atlantique, notamment depuis les côtes marocaines et du territoire disputé du Sahara occidental. L’archipel espagnol fait face cette année à son flux migratoire le plus important depuis 2006. Au 15 novembre, 32 436 migrants sont arrivés aux Canaries, soit un bond de 118 % par rapport à la même période une année auparavant, selon le ministère de l’intérieur.

    #Covid-19#migrant#migration#maroc#UE#espagne#canaries#routemigratoire#migrationirreguliere#ceuta#melilla#fluxmigratoire#

  • Migrations : l’Union européenne, droit dans le mur

    La Commission européenne affirme que l’UE ne finance pas de « murs » anti-migrants à ses #frontières_extérieures, malgré les demandes insistantes d’États de l’est de l’Europe. En réalité, cette « ligne rouge » de l’exécutif, qui a toujours été floue, s’efface de plus en plus.

    Le 14 juin dernier, le naufrage d’un bateau entraînait la noyade de centaines de personnes exilées. Quelques jours auparavant, le 8 juin, les États membres de l’Union européenne s’enorgueillissaient d’avoir trouvé un accord sur deux règlements essentiels du « Pacte européen pour l’asile et la migration », qui multipliera les procédures d’asile express dans des centres de détention aux frontières de l’Europe, faisant craindre aux ONG une nouvelle érosion du droit d’asile.

    Dans ce contexte délétère, un groupe d’une douzaine d’États membres, surtout d’Europe de l’Est, réclame que l’Union européenne reconnaisse leur rôle de « protecteurs » des frontières de l’Union en autorisant le financement européen de murs, #clôtures et #barbelés pour contenir le « flux migratoire ». Le premier ministre grec, Kyriákos Mitsotákis, avait même estimé que son pays était en première ligne face à « l’invasion de migrants ».

    Officiellement, la Commission européenne se refuse toujours à financer les multiples projets de clôtures anti-migrants qui s’érigent le long des frontières extérieures de l’UE. « Nous avons un principe bien établi : nous ne finançons pas de murs ni de barbelés. Et je pense que cela ne devrait pas changer », avait encore déclaré Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, le 31 janvier. Pourtant, la ligne rouge semble inexorablement s’effacer.

    Le 7 octobre 2021, les ministres de douze États, dont la #Grèce, la #Pologne, la #Hongrie, la #Bulgarie ou les #Pays_baltes, demandaient par écrit à la Commission que le financement de « #barrières_physiques » aux frontières de l’UE soit une « priorité », car cette « mesure de protection » serait un outil « efficace et légitime » dans l’intérêt de toute l’Union. Une demande qu’ils réitèrent depuis à toute occasion.

    Les États membres n’ont pas attendu un quelconque « feu vert » de la Commission pour ériger des clôtures. Les premières ont été construites par l’Espagne dans les années 1990, dans les enclaves de Ceuta et Melilla. Mais c’est en 2015, après l’exil de centaines de milliers de Syrien·nes fuyant la guerre civile, que les barrières se sont multipliées. Alors que l’Union européenne comptait 315 kilomètres de fil de fer et barbelés à ses frontières en 2014, elle en totalisait 2 048 l’an passé.

    Depuis 2021, ce groupe d’États revient sans cesse à la charge. Lors de son arrivée au sommet des dirigeants européens, le 9 février dernier, Victor Orbán (Hongrie) annonçait la couleur : « Les barrières protègent l’Europe. » Les conclusions de ce sommet, ambiguës, semblaient ouvrir une brèche dans la politique européenne de financement du contrôle aux frontières. Les États demandaient « à la Commission de mobiliser immédiatement des fonds pour aider les États membres à renforcer […] les infrastructures de protection des frontières ».

    Dans ses réponses écrites aux questions de Mediapart, la Commission ne mentionne plus aucune ligne rouge : « Les États membres ont une obligation de protéger les frontières extérieures. Ils sont les mieux placés pour définir comment le faire en pratique d’une manière qui […] respecte les droits fondamentaux. »

    Si l’on en croit le ministre de l’intérieur grec, Panagiótis Mitarákis, les dernières résistances de la Commission seraient en train de tomber. Le 24 février, il affirmait, au sujet du projet grec d’#extension et de renforcement de sa clôture avec la Turquie, le long de la rivière #Evros, que la Commission avait « accepté que certaines dépenses pour la construction de la barrière soient financées par l’Union européenne ».

    Pour Catherine Woollard, de l’ONG Ecre (Conseil européen pour les réfugiés et exilés), « c’est important que la Commission résiste à ces appels de financement des murs et clôtures, car il faut respecter le droit de demander l’asile qui implique un accès au territoire. Mais cette position risque de devenir symbolique si les barrières sont tout de même construites et qu’en plus se développent des barrières d’autres types, numériques et technologiques, surtout dans des États qui utilisent la force et des mesures illégales pour refouler les demandeurs d’asile ».

    D’une ligne rouge à une ligne floue

    Au sein de l’ONG Statewatch, Chris Jones estime que « cette “ligne rouge” de la Commission européenne, c’est du grand n’importe quoi ! Cela fait des années que l’Union européenne finance des dispositifs autour ou sur ces clôtures, des #drones, des #caméras, des #véhicules, des #officiers. Dire que l’UE ne finance pas de clôtures, c’est uniquement sémantique, quand des milliards d’euros sont dépensés pour fortifier les frontières ». Même diagnostic chez Mark Akkerman, chercheur néerlandais au Transnational Institute, pour qui la « #ligne_rouge de la Commission est plutôt une ligne floue ». Dans ses travaux, il avait déjà démontré qu’en 2010, l’UE avait financé l’achat de #caméras_de_vidéosurveillance à #Ceuta et la construction d’un #mirador à #Melilla.

    Lorsqu’il est disponible, le détail des dépenses relatives au contrôle des frontières montre que la politique de non-financement des « murs » est une ligne de crête, car si la Commission ne finance pas le béton ni les barbelés, elle finance bien des #dispositifs qui les accompagnent.

    En 2021, par exemple, la #Lituanie a reçu 14,9 millions d’euros de fonds d’aide d’urgence pour « renforcer » sa frontière extérieure avec la Biélorussie, peut-on lire dans un rapport de la Commission. Une frontière qui, selon le ministère de l’intérieur lituanien, contacté par Mediapart, est « désormais longée d’une clôture de 530 km et d’une barrière surmontée de fils barbelés sur 360 kilomètres ». Si la barrière a pesé 148 millions d’euros sur le #budget de l’État, le ministère de l’intérieur affirme que la rénovation de la route qui la longe et permet aux gardes-frontières de patrouiller a été financée à hauteur de « 10 millions d’euros par des fonds européens ».

    En Grèce, le détail des dépenses du gouvernement, dans le cadre du fonds européen de sécurité intérieur, de 2014 à 2020, est éclairant. Toujours le long de la rivière Evros, là où est érigée la barrière physique, la police grecque a pu bénéficier en 2016 d’un apport de 15 millions d’euros, dont 11,2 millions financés par le fonds européen pour la sécurité intérieure, afin de construire 10 #pylônes et d’y intégrer des #caméras_thermiques, des caméras de surveillance, des #radars et autres systèmes de communication.

    Cet apport financier fut complété la même année par 1,5 million d’euros pour l’achat d’#équipements permettant de détecter les battements de cœur dans les véhicules, coffres ou conteneurs.

    Mais l’enjeu, en Grèce, c’est avant tout la mer, là où des bateaux des gardes-côtes sont impliqués dans des cas de refoulements documentés. Dans son programme d’action national du fonds européen relatif à la gestion des frontières et des visas, écrit en 2021, le gouvernement grec envisage le renouvellement de sa flotte, dont une dizaine de bateaux de #patrouille côtière, équipés de #technologies de #surveillance dernier cri, pour environ 60 millions d’euros. Et malgré les refoulements, la Commission européenne octroie les fonds.

    Technologies et barrières font bon ménage

    Les États membres de l’UE qui font partie de l’espace Schengen ont pour mission de « protéger les frontières extérieures ». Le droit européen leur impose aussi de respecter le droit d’asile. « Les exigences du code Schengen contredisent bien souvent l’acquis européen en matière d’asile. Lorsqu’un grand nombre de personnes arrivent aux frontières de l’Union européenne et qu’il existe des pressions pour faire baisser ce nombre, il est presque impossible de le faire sans violer certaines règles relatives au droit d’asile », reconnaît Atanas Rusev, directeur du programme « sécurité » du Centre pour l’étude de la démocratie, basé en Bulgarie.

    La Bulgarie est au cœur de ces tiraillements européens. En 2022, la police a comptabilisé 164 000 passages dits « irréguliers » de sa frontière, contre 55 000 l’année précédente. Des demandeurs d’asile qui, pour la plupart, souhaitent se rendre dans d’autres pays européens.

    Les Pays-Bas ou l’Autriche ont fait pression pour que la #Bulgarie réduise ce nombre, agitant la menace d’un report de son intégration à l’espace Schengen. Dans le même temps, des ONG locales, comme le Helsinki Committee Center ou le Refugee Help Group, dénoncent la brutalité qui s’exerce sur les exilé·es et les refoulements massifs dont ils sont victimes. Le pays a construit une clôture de 234 kilomètres le long de sa frontière avec la Turquie.

    Dans son plan d’action, le gouvernement bulgare détaille son intention de dépenser l’argent européen du fonds relatif à la gestion des frontières, sur la période 2021-2027, pour renforcer son « système de surveillance intégré » ; une collecte de données en temps réel par des caméras thermiques, des #capteurs_de_mouvements, des systèmes de surveillance mobiles, des #hélicoptères.

    Philip Gounev est consultant dans le domaine de la gestion des frontières. Il fut surtout ministre adjoint des affaires intérieures en Bulgarie, chargé des fonds européens, mais aussi de l’érection de la barrière à la frontière turque. Il explique très clairement la complémentarité, à ses yeux, des différents dispositifs : « Notre barrière ne fait que ralentir les migrants de cinq minutes. Mais ces cinq minutes sont importantes. Grâce aux caméras et capteurs qui détectent des mouvements ou une brèche dans la barrière, l’intervention des gardes-frontières est rapide. »

    L’appétit pour les technologies et le numérique ne fait que croître, au point que des ONG, comme l’EDRi (European Digital Rights) dénoncent la construction par l’UE d’un « #mur_numérique ». Dans ce domaine, le programme de recherche européen #Horizon_Europe et, avant lui, #Horizon_2020, tracent les contours du futur numérisé des contrôles, par le financement de projets portés par l’industrie et des centres de #recherche, au caractère parfois dystopique.

    De 2017 à 2021, « #Roborder » a reçu une aide publique de 8 millions d’euros. L’idée est de déployer une armada de véhicules sans pilotes, sur la mer ou sur terre, ainsi que différents drones, tous munis de caméras et capteurs, et dont les informations seraient croisées et analysées pour donner une image précise des mouvements humains aux abords des frontières. Dans son programme d’action national d’utilisation du fonds européen pour la gestion des frontières, la Hongrie manifeste un intérêt appuyé pour « l’adaptation partielle des résultats » de Roborder via une série de projets pilotes à ses frontières.

    Les #projets_de_recherche dans le domaine des frontières sont nombreux. Citons « #Foldout », dont les 8 millions d’euros servent à développer des technologies de #détection de personnes, à travers des #feuillages épais « dans les zones les plus reculées de l’Union européenne ». « Le développement de technologies et de l’#intelligence_artificielle aux frontières de l’Europe est potentiellement plus puissant que des murs, décrypte Sarah Chandler, de l’EDRi. Notre inquiétude, c’est que ces technologies soient utilisées pour des #refoulements aux frontières. »

    D’autres projets, développés sous l’impulsion de #Frontex, utilisent les croisements de #données et l’intelligence artificielle pour analyser, voire prédire, les mouvements migratoires. « Le déploiement de nouvelles technologies de surveillance, avec la construction de barrières pour bloquer les routes migratoires, est intimement lié à des dangers accrus et provoque davantage de morts des personnes en mouvement », peut-on lire dans un rapport de Statewatch. Dans un contexte de droitisation de nombreux États membres de l’Union européenne, Philip Gounev pense de son côté que « le financement de barrières physiques par l’UE deviendra inévitable ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/170723/migrations-l-union-europeenne-droit-dans-le-mur
    #murs #barrières_frontalières #migrations #financement #UE #EU #Union_européenne #technologie #complexe_militaro-industriel

  • Dans les montagnes entre #Irak et #Iran, braver la mort pour passer des #marchandises

    Asphyxié par Téhéran, le #Kurdistan_iranien ploie sous la misère. Pour survivre, de nombreux Kurdes risquent leur vie en devenant « #kolbars », ces transporteurs illégaux de marchandises à travers les #montagnes. Chaque année, des dizaines d’entre eux meurent dans des accidents ou sous les balles des militaires iraniens.

    https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/dans-les-montagnes-entre-irak-et-iran-braver-la-mort-pour-passer-des-march
    #montagne #frontières #frontière #contrebande #photographie

    Ce qui n’est pas sans rappeler les #femmes_cargo à #Ceuta #Melilla (#Maroc) :


    #femmes_mules #femmes-mules #femmes_mulets #femmes-mulets
    ping @reka

  • Da #Melilla a #Beni_Mellal: dove sono finiti i respinti tra Spagna e Marocco

    Dopo le brutali violenze al confine con l’enclave spagnola di fine giugno, più di 200 persone sono state allontanate con la forza nel Sud del Marocco, in una zona impreparata alla loro assistenza. Ecco come ha risposto il territorio

    Le immagini dei violenti respingimenti dei migranti avvenuti il 24 giugno scorso da parte delle forze dell’ordine marocchine e spagnole alla frontiera con l’enclave spagnola di Melilla sono rimbalzate su tutte le testate europee. Quei 37 morti e le centinaia di feriti hanno suscitato sgomento e sdegno in tutta la comunità internazionale e diverse riflessioni su come ripensare alla gestione delle migrazioni ai confini dell’Unione europea. Mentre i riflettori erano puntati sul filo spinato dell’ingresso di Barrio Chino, file e file di autobus carichi di migranti partivano da Nador, dieci chilometri a Est di Melilla, e si snodavano lungo le diverse routes nationales del Marocco verso destinazioni il più possibile lontane.

    A 678 chilometri più a Sud, nel cuore della catena montuosa del Medio Atlante la città di Beni Mellal da un giorno all’altro si è trovata ad ospitare un flusso senza precedenti di migranti. Circa 210 persone si sono riparate nei pressi della stazione degli autobus, luogo di elezione dei senzatetto della zona. L’erba dei giardini di Boulevard Mohamed VI a fare da letto e i rami degli alberi a fare ombra dal sole cocente per proteggersi dai 45 gradi tipici della stagione estiva. Beni Mellal è il capoluogo di Beni Mellal-Khenifra, una regione grande come la Sicilia e la Valle d’Aosta messe insieme. A vocazione agricola e con un’intensa attività di estrazione di fosfati, è storicamente sempre stata considerata un’area di emigrazione di cittadini marocchini verso il Nord Italia, specie in Piemonte e Lombardia. Negli ultimi 15 anni però l’area è soggetta alla migrazione di ritorno e circolare. Altro fenomeno che la caratterizza è quello del transito dei migranti provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana che tentano di raggiungere l’Europa. Tuttavia, a causa della pandemia da Covid-19 e del rafforzamento dei controlli alle frontiere di Ceuta e Melilla, per alcuni, soprattutto ivoriani e ciadiani, il transito si è tramutato in uno stanziamento. Si tratta perlopiù di migranti in situazione “irregolare” che vivono in strada o in edifici in costruzione, mendicando agli incroci. L’intersezione tra boulevard Hassan II e boulevard Mohamed VI è stata ribattezzata dagli operatori delle Ong “la rotonda dei migranti”.

    La richiesta d’asilo è valutata prima dall’Unhcr e poi, in caso di esito positivo, da un ufficio del governo marocchino. Nel 2020 sono state riconosciute 847 “carte del rifugiato”

    In Marocco non esiste una legge che regoli il diritto alla protezione internazionale, nonostante dal dicembre 2014 sia in vigore la Strategia nazionale di immigrazione e asilo che ha come obiettivo quello di facilitare l’accesso ai servizi, all’educazione, alla salute e all’alloggio per gli stranieri presenti sul territorio nazionale. Non essendoci un sistema di asilo consolidato nel Regno, è l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che affianca il governo marocchino prendendo in carico ed esaminando le richieste di protezione internazionale. In caso di esito positivo rilascia un documento che attesta lo status di rifugiato, ma che non regolarizza la posizione sul territorio. Con tale documento è possibile rivolgersi al Bureau des réfugiés et des apatrides (Bra), istituzione dipendente dal governo marocchino, che riesamina la documentazione e in seconda battuta può confermare o rigettare lo status. Nel primo caso, il beneficiario ottiene una “carta del rifugiato” con la quale successivamente è possibile richiedere un titolo di soggiorno e quindi regolarizzare la propria presenza. Nel rapporto di bilancio del 2020 sulla politica di immigrazione e asilo si parla di 847 persone con lo stato di rifugiato riconosciute dal Bra. Le statistiche aggiornate al 31 luglio scorso raccontano di una popolazione di 18.985 persone prese in carico da Unhcr di cui 9.277 richiedenti asilo e 9.708 con un primo esito positivo.

    Dal 25 al 30 giugno 2022, sono stati oltre 40 gli accompagnamenti delle Ong locali al pronto soccorso di Beni Mellal per fratture e ferite al cranio, agli arti e alla schiena

    A fine giugno le Organizzazioni non governative internazionali e le associazioni di Beni Mellal che si occupano di sviluppo, improvvisamente si sono trovate a gestire centinaia di persone, molte delle quali gravemente ferite, senza aver una particolare esperienza nella gestione dell’emergenza. La nazionalità più presente quella dei sudanesi, seguiti da ciadiani, etiopi, nigeriani e nigerini. Età media 23 anni. Nessuna donna. Per comunicare gli operatori internazionali si sono affidati all’intermediazione dei ciadiani che parlando sia francese sia arabo hanno fatto da traduttori per le altre nazionalità arabofone.

    A fare da capofila nella gestione dei primi soccorsi è Progettomondo, un tempo Mlal, Ong veronese attiva in Marocco e in particolare nella regione da circa 20 anni, specializzata in migrazione e sviluppo. La sede, situata nel quartiere di Hay Ghita, si è trasformata nella base operativa di coordinamento della società civile. Hanno unito le forze l’Ong italiana Cefa, partner storico di Progettomondo in Marocco specializzato in accompagnamento dei migranti, la Chiesa cattolica di Beni Mellal che si è offerta di pagare i medicinali e l’operazione per un giovane con il ginocchio in frantumi, l’associazione Cardev sempre disponibile per le attività con i migranti, la Mezzaluna Rossa che ha offerto i propri locali per fare le medicazioni e l’associazione Maroc solidarité médico sociale (MS2), attiva tra Rabat e Oujda, le cui operatrici si sono spostate eccezionalmente a Beni Mellal per mettere a disposizione risorse e competenze nell’accompagnamento medico. Costante la partecipazione degli operatori di Unhcr, attore non presente nella regione ma che proprio il giorno degli episodi di Melilla stava tenendo una formazione alle associazioni locali sul diritto all’asilo. “Nonostante l’area non sia specializzata nell’ emergenza, i vari attori avevano già in atto delle attività di assistenza” spiega Rachid Hsine, senior protection associate a Unhcr.

    “Soprattutto per i sudanesi, che non hanno una rete in Marocco, non c’è interesse a restare. Dati i maggiori controlli a Nord, molti si muovono verso le Isole Canarie” – Hsine

    La comunicazione, secondo Fabrizia Gandolfi, rappresentante Paese di Progettomondo in Marocco è stata la chiave di volta: “Le relazioni e la fiducia delle autorità locali e di sicurezza ci hanno permesso di portare gli aiuti. Per settimane, sono state condotte una decina di distribuzioni di viveri a beneficio di centinaia di persone con il benestare della Prefettura che collabora con Progettomondo da anni. I contatti continui con la Delegazione regionale della salute hanno facilitato l’accesso ai poliambulatori, laddove insorgesse reticenza nell’accogliere migranti irregolari. Anche le precedenti formazioni erogate al personale sanitario sull’accoglienza dei migranti nel corso dei nostri progetti hanno facilitato la ricezione”.

    Solo dal 25 al 30 giugno di quest’anno, sono stati oltre 40 gli accompagnamenti delle Ong locali al pronto soccorso di Beni Mellal per fratture e ferite al cranio, agli arti e alla schiena. Aimée Lokake, agente di terreno dell’Ong Cefa applaude lo staff medico locale: “I primi soccorsi sono stati garantiti a decine di migranti alla volta, nonostante l’arrivo inaspettato e la diffidenza nell’accogliere persone protagoniste di atti di violenza, come riportato dei media locali”. Emblematico della collaborazione tra i diversi attori il caso di Ahmed, sudanese di 22 anni arrivato a Beni Mellal con un piede in cancrena a causa delle medicazioni frettolose e sommarie ricevute all’ospedale di Nador subito dopo gli scontri. La prima diagnosi all’ospedale di Beni Mellal aveva dato un esito nefasto: amputazione. Tuttavia, società civile e istituzioni si sono mobilitate per dare una speranza al giovane. La Delegazione regionale della salute ha fatto da intermediario con medici e assistenti sociali, Progettomondo e Cefa hanno vegliato il ragazzo in ospedale, Unhcr, MS2 e l’Association de planification familiale di Rabat hanno tenuto i contatti con l’ospedale della capitale per verificare la possibilità di trasferimento, infine Progettomondo ha assicurato la presenza di un’ambulanza privata per il trasporto e Cefa si è fatta carico delle cure. A Rabat la diagnosi è stata più clemente, il piede è stato salvato e il giovane è stato inserito nei registri di Unhcr per richiedere la protezione internazionale.

    Sono 360 i milioni di euro versati dall’Ue al Marocco negli ultimi otto anni per la gestione del fenomeno migratorio. Di questi, il 75% (270 milioni) sono stati stanziati per “proteggere” le frontiere europee. Nell’agosto 2022 è trapelata la notizia di un ulteriore finanziamento di 500 milioni di euro che lascia presagire che episodi simili a quelli di Melilla potrebbero ripetersi

    Uno dei problemi emersi è stato quello della presa in carico: “Purtroppo sono le Ong e le associazioni che devono pagare i costi delle cure accessorie. Una volta ricevute quelle di base, i migranti finiscono in strada con conseguenti problemi di igiene. Le organizzazioni si sono trovate a mobilitare fondi straordinari per trovare alloggi consoni” racconta Hsine. Secondo i dati rilasciati da Progettomondo, alla fine di agosto il numero di migranti è sceso a 100. Alcuni hanno preso la volta di Melilla, altri si sono spostati a Casablanca e a Rabat, alcuni sono riusciti ad arrivare in Spagna prendendo il mare da Sud-Ovest. “Soprattutto per i sudanesi, che non hanno una presenza comunitaria in Marocco, non vi è alcun interesse a restare. Dato il rafforzamento dei controlli alle frontiere a Nord del Paese, molti tentano di arrivare alle Isole Canarie attraverso Laayoune (città a circa 30 chilometri dalla costa, ndr)” evidenzia Hsine. Ad agosto la notizia trapelata da fonti comunitarie di un prossimo finanziamento di 500 milioni di euro da parte dell’Unione europea al Marocco per la gestione delle migrazioni lascia presagire che episodi simili a quelli di Melilla potrebbero ripetersi, dato che negli ultimi otto anni 270 su 360 milioni di euro ricevuti sono stati allocati alla protezione delle frontiere.

    “La situazione dei migranti bloccati in Marocco non può essere considerata un’emergenza ma una crisi strutturale alimentata dalle politiche europee” – Gandolfi

    Uno dei nodi è l’utilizzo di questi fondi, considerando che le organizzazioni internazionali stimano che tra le 60 e le 80mila persone all’anno transitino irregolarmente sul territorio marocchino e solo nel 2020 sono stati 40mila i tentativi di ingressi e di uscita bloccati dalle autorità: “Le alternative sono diverse: approccio securitario, adattamento dei programmi alle popolazioni in movimento, intervento umanitario, integrazione oppure intervento nei Paesi di origine”, spiega Hsine. Secondo Gandolfi, la ricetta per far fronte a nuovi flussi massicci è andare oltre la risposta emergenziale: “Dal momento che la situazione delle persone migranti presenti irregolarmente e bloccate in Marocco non può essere considerata un’emergenza ma una crisi strutturale alimentata dalle politiche europee, è necessario creare dei tavoli di coordinamento permanenti tra società civile e collettività territoriali dove elaborare risposte condivise e responsabilizzare le istituzioni sul loro ruolo di governance”. Nel frattempo gli autobus continuano a partire dal Nord verso il Sud del Paese carichi di giovani che prima o poi ritenteranno di passare il confine, sperando di essere tra i fortunati a valicare il muro di quella che ormai sembra sempre di più somigliare a una fortezza.

    https://altreconomia.it/da-melilla-a-beni-mellal-dove-sono-finiti-i-respinti-tra-spagna-e-maroc

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    #toponymie_politique:

    L’intersezione tra boulevard Hassan II e boulevard Mohamed VI è stata ribattezzata dagli operatori delle Ong “la rotonda dei migranti”.

    #toponymie_migrante

    #Maroc #expulsions #renvois #déportation #migrerrance #Atlas_marocain #montagne #migrations #asile #réfugiés #Bureau des_réfugiés_et_des_apatrides (#Bra) #Progettomondo #Cefa #Mlal #Cardev #société_civile #HCR

  • Spanish government approves another €30 million for migration control in Morocco

    Morocco has now received €123 million from Spain for migration control since 2019. The EU has distributed €346 million to the North African state in the same period, and is due to send €500 million more up to 2027.

    This will make a total of €969 million between 2019 and 2027, according to the Público article by Jairo Vargas Martín - although the “migratory blackmail” that the Moroccan authorities have become adept at using means the amount may well increase further.

    In a November 2019 article, Statewatch dissected the €215 million in EU funding that went to Morocco for border control between 2001 and 2019. Added to the post-2019 funds, it appears that by 2027, the North African state will have received over €1 billion in EU and Spanish funding for border and migration control.

    Martín notes that the latest distribution of funds came after the Moroccan state sent a letter to the UN Human Rights Council condemning Spanish sovereignty over Melilla and asserting that the country has no land borders with Spain. The letter was a response to an investigation into the brutal action against people trying to cross the Melilla border fence in June.

    The Spanish authorities therefore appear to be seeking to encourage their Moroccan counterparts to maintain the apparent pretence of having land borders with Spain, in order to prevent the arrival of unwanted people over the fences in Ceuta or Melilla - just as Moroccan officials so aptly did in June, when they took part in violent attacks against people attempting to cross the border fences, and then failed to provide assistance to those who were injured.

    Since then, the Moroccan authorities have been busy prosecuting many of those who took part in the attempted crossing, at the last count having handed down xx years of prison time.

    The announcement of a fresh round of funding was accompanied by reassurances from the Spanish interior minister, Fernando Grande-Marlaska, of Morocco’s “loyal and fraternal” friendship.

    Prior to last Friday’s meeting of the EU Justice and Home Affairs Council, Grande-Marlaska also took the time to say that his EU counterparts had no need to worry, “because the relations between Morocco and Spain are exceptional and extraordinary.”

    Few would disagree with those two adjectives.

    https://www.statewatch.org/news/2022/october/spanish-government-approves-another-30-million-for-migration-control-in-
    #Maroc #asile #migrations #réfugiés #frontières #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #aide_financière #Espagne #Ceuta #Melilla

  • ¿Qué ha pasado con la investigación de la masacre de Melilla?
    https://blogs.publico.es/conmde/2022/07/25/que-ha-pasado-con-la-investigacion-de-la-masacre-de-melilla

    Seguimos sin tener información concordante sobre el número de muertos. Las cifras oficiales se quedaron en una veintena de muertos, las cifras de las organizaciones de derechos humanos de Nador hablan de una cuarentena.

    El pasado jueves la organización de derechos humanos de Nador, @Nadoramdh, publicaba una investigación en la que denunciaban la desaparición de 64 personas que se vieron involucradas los sucesos de la valla. Hacían públicos los nombres de los 64 chavales, todos sudaneses, todos jóvenes, algunos de ellos declarados muertos por testigos oculares que estuvieron allí. Un horror sin límites en el que las fuerzas del orden de ambos países estuvieron involucradas arrastradas por sus gobiernos, España con Pedro Sanchéz a la cabeza.

    Las condenas

    Teniendo en cuenta todo lo anterior sorprende enterarse de que el 19 de julio se hacían públicas las primeras condenas relacionadas con la masacre de Melilla. El gobierno de Marruecos anunciaba que había juzgado y sentenciado a 11 meses de prisión a 33 jóvenes sudaneses presuntamente detenidos durante los eventos del 24 de junio. Se les acusa de, entre otros delitos, «facilitar y organizar la entrada y salida de personas extranjeras de forma clandestina desde y hacia Marruecos», «aglomeración armada en la vía pública» y «ultraje a funcionarios públicos». Todos estos cargos coinciden con la versión oficial de ambos gobiernos que siguen intentando convencernos de que los migrantes que murieron en la valla son unos delincuentes que se merecían dicho fin. Todavía circulan por las redes, y por programas poco documentados de televisión, fotos de las armas que utilizaron los supuestos agresores, entre las que no faltan las ya habituales radiales, esas sierras con un motor eléctrico que se activa cuando lo enchufas. Este último dato sigue convirtiendo a las radiales en uno de los grandes misterios de las vallas de Melilla y Ceuta...¿para qué se las llevan hasta allí si no las pueden enchufar en ningún sitio?

    El verano

    Ha pasado un mes y la investigación va demasiado lenta y las inexistentes expresiones de condolencia de los gobiernos implicados ya se han convertido en juicios sumarísimos ejercicios contra personas indefensas en Marruecos, que no es precisamente un modelo de democracia. Su gobierno ha anunciado algunos juicios más próximamente, pero está vez con cargos por tráfico de personas, aquí las penas serán todavía mayores. Todos los inculpados niegan los cargos. Su inocencia parece estar refrendada por el sentido común a la vista de las informaciones que se han hecho públicas hasta ahora.

    El domingo se acaba el mes de julio y entramos oficialmente en una de las quincenas con menor consumo informativo del año. Y pasado el mes de agosto, en el que es de esperar que la mayoría de la población vuelva reseteada de las vacaciones, va a resultar muy difícil levantar este tema informativamente de nuevo. Eso lo sabe el gabinete de Pedro Sanchez, y por eso calla y otorga esperando que el verano borre todo lo inadecuado. Con la salvedad de que estamos hablando de la vida de muchísimas personas, fallecidas, heridas desaparecidas, en las mismísimas puertas de nuestro país con la complicidad de nuestras fuerzas del orden. Ya aviso que yo no pienso dejarlo pasar. ¿Y ustedes?

    #melilla #migrants

  • #Melilla, le lieu d’un #massacre#Lettre_ouverte aux députés européens

    « Nous avons passé un cap. Le massacre est sous nos yeux. Les #morts s’amoncèlent. Et il semble que ça ne compte pas. » Après les exactions de Melilla, le collectif « J’accueille l’étranger » interpelle les député·es européen·nes avec force : « Prononcez-vous fermement pour une toute autre politique d’immigration » !

    Le vendredi 24 juin 2022, à peu près deux mille personnes, depuis des jours et des jours harcelées dans les forêts autour de Gourougou par la police et la gendarmerie marocaines, ont décidé de s’organiser pour « frapper » la barrière.

    Ce n’est pas une chose nouvelle.

    Depuis qu’il y a des #barrières, il y a des gens pour les « frapper », c’est à dire pour les franchir.
    Avec ce qu’il faut pour s’accrocher et passer de l’autre côté.
    Sans l’aide de « mafias », comme on l’a suggéré ici et là, comme si cela dédouanait de toute culpabilité les Etats.
    Cherchant sa vie et ses droits, celui notamment de fuir un territoire non protecteur ou en guerre et de demander l’asile.
    Et surtout, sans menacer l’intégrité territoriale de l’Espagne, ou de l’Europe.
    L’#intégrité_territoriale de l’Espagne : le premier ministre espagnol l’évoquait déjà au moment où le Maroc laissait entrer dans les enclaves espagnoles les jeunes Marocains dont il se servait pour effrayer l’Espagne et avec elle, l’Europe. L’intégrité territoriale, c’est aussi une des questions posée lors du congrès de l’OTAN à Madrid, ce mercredi 29 juin.

    C’est une nouvelle manière de communiquer.

    La convention de Genève, qu’en France la campagne électorale a attaquée aussi, semble bien loin.
    Personne n’est en guerre contre l’Europe à la frontière sud. Le Sahel souffre de crises diverses, provoquées par la sécheresse et les changements climatiques dévastateurs. Mais le Sahel n’est pas en guerre contre l’Espagne, ni contre l’Europe.
    L’Union Européenne, avec l’aide des pays tiers, protège ses frontières.
    Que ce désir de protection-là soit une fuite en avant sans imagination et sans avenir, cela a été parfaitement argumenté.

    Que l’Union Européenne soumette les pays européens à la volonté ou au caprice des pays tiers dont elle fait ses gendarmes, cela connaît des précédents.

    Que le prix de ce désir de protection, sans imagination, sans avenir, dangereux et contreproductif, soit l’acceptation de milliers de morts, oubliés chaque année dans les déserts, au fond des mers et de l’océan, cela a été largement documenté.

    Hélas, pas assez, et pour cause : il s’agit justement de #disparitions.
    Nous, citoyens européens, qui accueillons quand l’Etat et/ou les départements ne le font pas, nous qui connaissons les jeunes qui viennent ici chercher leur vie, poussés par un élan qui ne s’analyse pas mais qui est celui de la survie, nous qui avons vu l’Europe changer, criminaliser de plus en plus l’immigration et empêcher l’asile, contrôler ses frontières extérieures puis ses frontières intérieures, créer des hot-spot, externaliser le contrôle, agir en #complicité avec les garde côtes libyens, refuser des ports aux bateaux chargés de rescapés, durcir les conditions de régularisation sur les territoires européens, nous gardions un espoir.

    Nous pensions : si les gens voyaient ce qu’on ne voit jamais, ces milliers de personnes, chaque année, disparues dans la mer et l’océan, ils se soulèveraient.
    Comment accepter, les yeux ouverts, la mort brutale et organisée de jeunes gens qui sont des frères, des pères, des fils, de jeunes gens qui sont aimés et attendus par des pères et des mères, des frères et des soeurs, des fils et des filles ?
    Nous avons passé un cap.
    Le massacre est sous nos yeux.
    Les morts s’amoncèlent.
    Et il semble que ça ne compte pas.
    Le gouvernement espagnol se déshonore en félicitant le Maroc.
    Puis en accusant les #mafias.
    Les autres gouvernements restent muets.
    En France, l’événement majeur est un entrefilet dans la revue de presse internationale, cinq jours après.
    En France, qui est partie prenante du massacre, puisque plus haut, à sa frontière, les policiers et gendarmes empêchent tout accès à son territoire, ce qui a provoqué, en un an, la mort de neuf jeunes gens, tous pour toujours pleurés par leurs pères, mères, frères et soeurs.
    Les collectifs que nous sommes s’étranglent de colère et de chagrin impuissant.
    Selon les témoins communautaires sur place, les corps sont dans trois hôpitaux. L’hôpital Hassan II de Nador, l’hôpital de Berkane, et un autre encore.
    Des chiffres circulent.
    136 morts ici, 64 là.

    Ces chiffres sont à confirmer : les responsables communautaires n’ont pas pu entrer dans les hôpitaux.
    Les journalistes ne le peuvent pas non plus.

    Mais les images et les récits en rendent le nombre avancé probable. Même si l’Europe y répond par des chiffres inférieurs, tout aussi variables. 5, 27, 45, 70 selon les médias et des témoins. Ce peu de certitude, ce peu de diligence pour enquêter immédiatement sur le nombre de morts, sur leur identité, comme le demande fermement le GISTI, ce flou entretenu, prouve à quel point le mal est fait. À quel point 5 ou 27 ou 136 ou 200, c’est du pareil au même, et à quel point, comme le dit l’archevêque émérite de Tanger, Santiago Agrelo Martínez, ce ne sont que des pauvres qui meurent : ne cherche pas à savoir combien, ne cherche pas à savoir comment.
    On voit les corps, on voit même qu’on creuse des trous dans la terre pour vite y enfouir les corps, ce qui ne veut pas dire enterrer. Frères, pères, fils de personne. Personne ne saura où leur vie s’est arrêtée. C’est l’idée d’une civilisation qui s’échoue. Elle le fait dans les eaux de la Méditerranée et de l’Atlantique, qui sont aveugles, presque jour après jour. Elle s’échoue ici, bien en vue.
    On voit, donc.
    On voit.
    Et il semble que ça ne compte pas.

    D’ailleurs, qui montre ?
    L’association pour les droits humains au Maroc, section Nador a filmé les violences, malgré les risques : on apprend, le 27 juin qu’un journaliste de El Pais est en garde à vue pour avoir voulu se rendre au cimetière.

    Quoi qu’il en soit, les policiers ont filmé, eux aussi.
    Dans leur montage, il y a un sens du suspens, on la voit de haut, de loin, cette petite foule, courant, bâtons en main, vers la barrière.

    Pour quelle raison les militaires et les policiers marocains ont-ils filmé les violences déshumanisantes, jusqu’au meurtre, dont ils se sont rendus coupables ?
    Cette question sans réponse jusque là, à peine posée, mériterait une enquête, elle aussi.
    Une image est destinée.

    À qui ? Et à quoi ?

    Une sorte d’avertissement ? Voici de quoi nous sommes capables ? Le sentiment du travail accompli ? Après tout, Pedro Sanchez l’a eu, ce sentiment, quand il a pris la parole tout de suite après le massacre. Et les policiers espagnols ont collaboré, se racontant, sans doute, dura lex sed lex, qu’il faut bien se salir les mains, que ce sont les ordres, qu’après tout les Européens votent, et qu’ici, on ne fait pas de politique. Dans une ignorance totale des traités internationaux, des droits fondamentaux, devenant violents sans le voir venir. La #banalité_du_mal hélas n’est pas réservée à un temps et un lieu.
    Mais de fait, sur la route migratoire, qu’on meure invisibles ou très visibles, on meurt toujours en silence - on disparaît.
    Et on meurt instrumentalisés.

    Nous savons très bien que les gens qui ont tenté de franchir la barrière de Melilla, cherchant à sauver leur vie comme nos enfants le feront dans quelques années, quand ils ne pourront pas supporter les 45 degrés de leur été qui durera six mois et fuiront la destruction de leur environnement, ne menacent l’intégrité de personne et au contraire, trouveront du travail dans les chantier et les champs d’une Europe en manque de main d’oeuvre. Nous savons très bien que les responsables de ces assassinats ne sont pas les réseaux de passeurs. #Nous_savons très bien que l’Europe a fait jusqu’à présent aux ressortissants des pays dont elle exploite les ressources, une #guerre_invisible. Le 24 juin, la guerre s’est exposée. Nous devons réagir à la hauteur de l’événement.

    Que l’#image serve au moins à prendre acte que la #violence_radicale est inévitable quand il s’agit de fermer radicalement une frontière, et que cela risque, à force, de ne plus secouer personne d’#indignation.

    C’est une course contre la montre que vous devez gagner. Pensant à l’Histoire telle qu’elle s’écrira au futur. Vous savez que devant elle, l’Histoire, et devant ce futur, nous avons raison. Vous aussi vous auriez préféré qu’en octobre 1961, la police française n’obéisse pas aux ordres et qu’elle ne jette pas en Seine des manifestants algériens pacifiques, ou qu’elle ne reçoive pas ses ordres-là. Qu’au mois de juillet 1942, elle n’obéisse pas aux #ordres, ou ne reçoive pas ses ordres-là qui ont permis l’envoi à la mort des juifs vivant en France.

    Il en est peut-être encore temps : lisez les nombreuses analyses que les spécialistes des circulations ont proposées, prononcez-vous fermement pour une toute autre politique d’immigration, grâce à laquelle des continents pourront à l’avenir se respecter, engagez-vous à faire preuve d’inventivité et d’imagination, loin de toutes les idéologies de la peur qui ont, hélas, en Europe, le vent en poupe.

    https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/050722/melilla-le-lieu-d-un-massacre-lettre-ouverte-aux-deputes-europeens

    #tribune #responsabilité #migrations #asile #réfugiés #frontières #barrières_frontalières #murs #décès #Espagne #Maroc #responsabilité

    via @isskein

  • #Maroc. À #Nador, les morts sont africains, l’argent européen

    Le 24 juin 2022, au moins 23 migrants sont morts à la frontière entre le Maroc et l’Espagne, et il y a eu plus d’une centaine de blessés des deux côtés. L’ONU et l’Union africaine exigent une enquête indépendante. La coopération migratoire entre le Maroc et l’#Espagne est de nouveau pointée du doigt. Reportage à Nador.

    Il est 14 h à Nador, nous sommes le samedi 25 juin 2022, le lendemain des tragiques incidents sur la frontière entre le Maroc et #Melilla, enclave sous occupation espagnole. Un silence de mort règne dans cette ville rifaine. Chez les officiels locaux, l’omerta règne. Les portes sont closes. « Revenez lundi », nous dit-on sur place. Aucune information ne filtre sur le nombre exact des morts, des blessés et des personnes refoulées vers d’autres villes marocaines. Un homme s’active pour informer le monde sur ce qui se passe ; il s’appelle Omar Naji.

    L’odeur de la mort

    Ce militant de l’Association marocaine des droits de l’homme (AMDH) à Nador alerte l’opinion publique et les autorités sur ce drame écrit d’avance depuis une décennie. « Les acteurs de ce drame sont les politiques européennes d’#externalisation des frontières, le Maroc qui agit en tant qu’exécutant et des organisations internationales faiblement impliquées pour protéger les migrants et les réfugiés », accuse-t-il, sans détour. Faute d’une enquête judiciaire, Omar Naji tente dès les premières heures de la tragédie de récolter quelques pièces à conviction.

    Nous rencontrons Omar à la sortie de la morgue de Nador où se trouvent les corps des migrants morts sur la frontière. Ce militant sent l’odeur de la mort. « Les scènes que je viens de voir sont insoutenables. Des corps jonchent le sol depuis 24 heures. Les dépouilles baignent dans leur sang. Les installations de la morgue sont débordées », lâche-t-il, encore sous le coup de l’émotion.

    Deuxième étape dans cette quête d’indices pour reconstituer le puzzle de drame du 24 juin. À la permanence, les policiers ont passé une nuit blanche à réaliser les procès-verbaux des 68 migrants qui allaient être présentés le lundi 27 juin au parquet. La police a rassemblé les bâtons et les quelques objets tranchants utilisés par les migrants lors de la tentative de franchissement de la barrière. Pour la police judiciaire, ce sont les « pièces à conviction » qui ont permis au procureur de demander des poursuites judiciaires contre les migrants aujourd’hui en détention provisoire.

    Troisième étape dans cette contre-enquête de Omar Naji, la récolte de témoignages de personnes en migration. Nous nous rendons sur le mont Gourougou, où les migrants sont dans des campements de fortune. La voiture du militant démarre, nous sommes pris en filature par des membres de services de sécurité. Sur la route de la rocade méditerranéenne, nous passons devant les murs de Nador-Melilla. Ce dispositif est composé de 3 clôtures de 6 mètres de haut et 12 kilomètres de long. Les lames tranchantes, responsables de graves blessures parmi les migrants durant des années, ont été remplacées par des obstacles anti-grimpe et une haute technologie de surveillance, le tout financé par l’Union européenne (UE). « Le Maroc creuse une deuxième tranchée pour compliquer le passage des migrants. Le pays joue son rôle de gendarme, surtout depuis la reprise de la coopération sécuritaire et migratoire avec l’Espagne en mars 2022 », estime Naji. Une semaine avant les incidents, les ministères de l’intérieur des deux pays se sont engagés à « poursuivre leur #coopération_sécuritaire ». Le 6 mai dernier, le groupe migratoire mixte permanent maroco-espagnol avait fixé l’agenda sécuritaire de coopération entre les deux pays.

    Chasse aux migrants ou lutte contre « les réseaux » ?

    À #Barrio_Chino, point frontalier où s’est déroulée une partie des événements, des vêtements de migrants sont encore accrochés aux grillages. Canon à eau et forces d’intervention sont stationnés sur place pour faire face à de nouveaux assauts. Nous continuons notre chemin à la recherche de campements de migrants. Tout au long de l’année, les forces de l’ordre marocaines mènent des opérations pour chasser les migrants sous l’argument du « démantèlement de réseaux de trafic des êtres humains ». Pour Ali Zoubeidi, chercheur spécialiste en migrations, « il y a des réseaux de trafic présents dans d’autres endroits du Maroc, mais pas vers Melilla », observe-t-il, dans une déclaration à Infomigrants. La #Boza par Melilla est gratuite, c’est la route empruntée par les migrants sans moyens. Dans les faits, les #ratissages visent à disperser les migrants le plus loin possible de la frontière avec Melilla.

    Dans un communiqué, 102 organisations africaines et européennes dénoncent les violations systématiques des #droits_humains à Nador : « Depuis plus d’un an et demi, les personnes en migration sont privées d’accès aux médicaments, aux soins, voient leurs campements brûlés et leurs biens spoliés ».

    En 2021, l’AMDH Nador avait recensé 37 opérations de ratissage. Un chiffre en nette baisse en raison du Covid-19 et du confinement. En 2019, les opérations avaient atteint le chiffre record de 134 interventions. « Cette route a été réalisée spécialement pour permettre aux engins des forces de l’ordre d’accéder à la forêt », rappelle Naji, dont le téléphone ne cesse de recevoir des appels de journalistes d’un peu partout dans le monde. En pleine forêt, nous passons devant un campement des #Forces_auxiliaires, corps de sécurité géré directement par le ministère de l’intérieur. Ce camp, avec ses bâtisses en dur et plusieurs tentes, a été construit spécialement pour permettre des interventions rapides dans les #campements.

    Après une heure de route, Naji arrive à la conclusion suivante : « Les opérations menées par les forces de l’ordre ont poussé les migrants à fuir la forêt et toute la ville de Nador ». Nous quittons la forêt et nous croisons sur notre chemin les hauts responsables sécuritaires de la région, venus à bord de deux véhicules militaires, des #Humvee, pour inspecter les lieux. Les seuls migrants présents dans cette ville sont soit morts, soit à l’hôpital, soit emprisonnés. Les migrants ont été dispersés vers plusieurs villes du centre du Maroc (Béni Mellal et Kelaat Sraghna). Cette situation dramatique, au retentissement international, est la conséquence d’une #coopération_sécuritaire entre le Maroc et l’Espagne, avec un financement européen.

    L’UE, cynique bailleur de fonds

    Depuis 2007, l’UE a versé au Maroc 270 millions d’euros pour financer les différents volets sécuritaires de la politique migratoire marocaine. Ce financement se fait directement ou via des instances européennes et espagnoles (Fondation internationale et ibéro-américaine pour l’administration et les politiques publiques, International, Center for Migration Policy Development, etc.). Des montants que le Maroc considère « insuffisants au regard des efforts déployés par le pays pour la gestion des frontières ».

    Depuis 2013, cette coopération s’inscrit dans le cadre du #Partenariat_pour_la_mobilité. Le financement européen en matière d’immigration aussi passe par le #Fonds_fiduciaire_d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique ou des agences souvent espagnoles chargées d’acquérir des équipements sécuritaires pour le royaume chérifien (drones, radars, quads, bus, véhicules tout-terrain…). La Commission européenne (CE) présente ce financement avec des éléments de langage connus : « développer le système marocain de gestion des frontières, et de lutter de manière plus efficace contre le trafic d’êtres humains ». L’UE soutient aussi la #Stratégie_nationale_pour_l’immigration_et_l’asile adoptée par le Maroc en 2014. Cette politique est désormais en stand-by, avec un retour en force d’une vision sécuritaire.

    Dans ses négociations avec la CE, le Maroc compte un allié de taille, l’Espagne. Le royaume fait valoir de son côté « une reprise de la pression migratoire sur le Maroc », comme aime le rappeler #Khalid_Zerouali, directeur de l’immigration et de la surveillance des frontières au ministère de l’intérieur marocain, dans ses sorties médiatiques adressées à ses partenaires européens. Le Maroc se positionne comme partenaire fiable de l’UE et invite son partenaire européen à « la #responsabilité_partagée ». Les routes migratoires marocaines sont les premières portes d’entrée vers l’Europe depuis 2019. L’Intérieur brandit ses chiffres de 2021 : 63 121 migrants arrêtés, 256 réseaux criminels démantelés et 14 000 migrants secourus en mer, en majorité des Marocains.

    Chantages et pressions

    Dans ce contexte, un #chantage est exercé de part et d’autre. L’UE veut amener le Maroc à héberger des centres de débarquement de migrants (#hotspots) et signer avec le royaume un #accord_de_réadmission globale Maroc-UE. Sur ces deux sujets, Rabat continue d’afficher une fin de non-recevoir à ces demandes. Sur le plan bilatéral, la France fait un chantage aux #visas pour pousser le Maroc à rapatrier ses immigrants irréguliers. De son côté, le Maroc a fait de la gestion de l’immigration irrégulière une carte diplomatique, comme l’ont montré les évènements de Ceuta en mai 2021.

    La migration devient ainsi un moyen de pression pour obtenir des gains sur le dossier du Sahara. Un sujet sensible qui a été le cœur d’un gel diplomatique entre le Maroc et l’Espagne durant plus d’un an. La reprise des relations entre les deux pays en mars 2022 a réactivé la coopération sécuritaire entre les deux pays voisins. Pour les 102 organisations des deux continents, ce retour de la coopération est à la source du drame de Nador. « La mort de ces jeunes Africains sur les frontières alerte sur la nature mortifère de la coopération sécuritaire en matière d’immigration entre le Maroc et l’Espagne », peut-on lire dans ce document.

    Mehdi Alioua, sociologue et professeur à l’Université internationale de Rabat, accuse en premier l’UE et sa politique migratoire : « Ces frontières sont celles de la honte parce qu’elles sont totalement absurdes et hypocrites. Ces frontières sont incohérentes, elles sont là pour mettre en scène la “#frontiérisation”. […] La #responsabilité des Européens est directe. La responsabilité du Maroc de ce point de vue est indirecte », déclare-t-il dans une interview pour Medias24
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    Des migrants criminalisés et des corps à la morgue

    Nador, avec ses deux frontières maritime et terrestre avec l’Europe, est pris au piège de ces frontières. Les migrants payent le prix fort. L’an dernier 81 personnes sont mortes à Nador, noyées ou sur les grillages. Face au tollé mondial suscité par ces événements, le gouvernement marocain est sur la défensive. L’exécutif tente de présenter sa version des faits. Signe des temps, cette stratégie de damage control a été sous-traitée par des universitaires, des ONG ou des médias proches de l’État. Ils accusent tous… l’Algérie. Le chef du gouvernement espagnol accuse les “mafias” qui seraient responsables de ce drame tout en “saluant le Maroc pour son professionnalisme”.

    Loin de cette bataille des récits, les militants sur le terrain continuent à panser les blessures des migrants, rechercher les noms des disparus et leurs nationalités, tenter de mobiliser les avocats pour la défense des migrants poursuivis à Nador. Ce procès, qui a démarré le 27 juin, s’annonce comme le plus grand procès des personnes en migration au Maroc. Vingt-huit migrants sont poursuivis avec de lourdes charges pénales. Un deuxième groupe de 37 migrants, dont un mineur, est poursuivi pour des délits. Pendant ce temps, les corps des migrants morts sont toujours à la morgue, sans autopsie ni enquête judiciaire pour établir les circonstances de leurs décès.

    https://orientxxi.info/magazine/maroc-a-nador-les-morts-sont-africains-l-argent-europeen,5734
    #décès #morts #migrations #asile #réfugiés #mourir_en_Europe #frontières #mourir_aux_frontières

  • Maroc-Espagne : les frontières terrestres rouvrent après deux ans de crise
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2022/05/17/maroc-espagne-les-frontieres-terrestres-rouvrent-apres-deux-ans-de-crise_612

    Maroc-Espagne : les frontières terrestres rouvrent après deux ans de crise
    L’accès aux enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla reste limité, jusqu’au 31 mai, aux détenteurs de passeports et de visas des pays de la zone Schengen.
    Les frontières terrestres entre le Maroc et les enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla ont rouvert dans la nuit du lundi 16 au mardi 17 mai après plus de deux ans de fermeture due à la crise du Covid-19 et une brouille diplomatique récemment dissipée.Les grilles des seules frontières terrestres de l’Union européenne sur le continent africain se sont ouvertes peu après 23 heures locales – minuit heure espagnole (22 heures GMT) –, laissant passer des dizaines de voitures et des files de piétons dans les deux sens, a constaté un journaliste de l’AFP.
    Au poste-frontière de Fnideq, les transfrontaliers ne cachent pas leur joie : des sourires extatiques éclairent les visages des privilégiés qui retrouvent leurs familles du côté marocain, au son des youyous, dans une ambiance festive. « J’étais bloqué pendant deux ans à Ceuta, je suis très content de rentrer au bercail », explique, Nourredine, pressé de retrouver enfin le sol marocain. Emu, un sexagénaire abonde : « Je suis heureux que le Maroc et l’Espagne aient rétabli leurs relations, ça nous permet de retrouver nos familles. »Toutefois, la réouverture des frontières des deux enclaves, situées dans le nord du Maroc, en face de l’Espagne, reste limitée puisqu’elle ne concerne que les détenteurs de passeports et de visas des pays de la zone Schengen.Les transfrontaliers marocains, exempts de visas pour accéder à Ceuta et Melilla, devront encore patienter jusqu’au 31 mai pour y pénétrer. En outre, les autorités marocaines ont décidé d’interdire la reprise de la contrebande, tolérée jusqu’à l’automne 2019 entre Ceuta et la ville transfrontalière marocaine de Fnideq.Ce trafic irriguait l’économie locale, mais il privait les douanes marocaines d’importantes recettes : entre 6 et 8 milliards de dirhams (entre 550 et 760 millions d’euros) chaque année. Afin d’y mettre un terme, les autorités de Rabat avaient fermé en octobre 2019 les points de passage dédiés aux porteurs de marchandises détaxées entre la ville autonome espagnole de Ceuta et le territoire marocain.Pour pallier la fin de la contrebande, les autorités marocaines ont inauguré en février 2022 une zone d’activités économiques (ZAE) à Fnideq. Ce projet, prévoyant la création de plus de 1 000 emplois directs, a nécessité un investissement de 200 millions de dirhams (19 millions d’euros).Les postes-frontières de Ceuta et Melilla ont été fermés lors de la première vague de la pandémie de Covid-19 en mars 2020. Le blocage s’est prolongé en raison de la crise diplomatique déclenchée il y a un an entre les deux pays voisins par leur différend sur le territoire disputé du Sahara occidental.Madrid a mis fin à ce coup de froid le 18 mars après avoir opéré un revirement spectaculaire et reconnu le plan d’autonomie proposé par Rabat pour cette ancienne colonie espagnole. Le conflit du Sahara occidental – vaste territoire désertique riche en phosphates et aux eaux très poissonneuses – oppose depuis des décennies le Maroc aux indépendantistes sahraouis du Front Polisario soutenus par l’Algérie.
    Lire aussi : Réconciliation « historique » à Rabat entre le Maroc et l’Espagne
    La brouille entre Rabat et Madrid, causée par l’accueil en Espagne du chef du Front Polisario, Brahim Ghali, pris en charge dans un hôpital espagnol en avril 2021 pour y être soigné du Covid-19, avait entraîné l’arrivée à Ceuta en mai 2021 de plus de 10 000 migrants en 24 heures, à la faveur d’un relâchement des contrôles frontaliers côté marocain.La réconciliation scellée récemment entre Madrid et Rabat a permis de relancer la coopération bilatérale, en particulier sur les questions migratoires. Les liaisons maritimes pour les passagers entre les deux pays voisins ont repris le 12 avril.

    #Covid-19#migrant#migration#espagne#maroc#sante#pandemie#frontiere#circulation#politiquemigratoire#ceuta#melilla

  • Géographie de la #dispersion des migrations subsahariennes au #Maroc. Le cas de deux villes-refuge, #Tiznit et #Taza

    Contexte et problématique de la thèse

    Cette thèse de Doctorat traite des conséquences de la politique d’externalisation des dispositifs de #sécurisation des #frontières de l’Union européenne (UE) au Maroc dans le contexte post-crise migratoire de 2015. Le Royaume du Maroc, pays d’émigration est aussi un espace de #transit, d’#installation et d’#attente pour des individus en migration en provenance d’Afrique subsaharienne. Cette recherche est centrée sur l’outil conceptuel de « dispersion » que j’ai introduit en raison de sa fécondité explicative pour appréhender la politique d’immigration et d’asile marocaine en matière de gestion de l’accueil et d’#inclusion_urbaine des migrants subsahariens dans deux villes moyennes, Tiznit (au Sud) et Taza (au Nord-Est).

    Sous l’impulsion et l’accompagnement financier de l’UE, le Maroc a ainsi organisé la politique de dispersion afin d’endiguer les mouvements migratoires subsahariens désireux d’atteindre l’Europe par les côtes marocaines ou les enclaves espagnoles de #Ceuta et #Melilla. À ce titre, la dispersion s’opère via la #distribution_spatiale et la #relocalisation interne des migrants par les autorités publiques. Elle se fait principalement depuis les camps de la frontière nord jusqu’aux villes moyennes de l’intérieur et du Sud marocain. Le processus de « #frontiérisation » que j’associe à celui de « dispersion », comme étant l’une de ses dimensions, est devenu l’un des instruments de la gestion de la frontière au Maroc. La problématique de cette thèse interroge ainsi la dispersion comme nouveau mode de contrôle et de pratique des #frontières, engendrant une dialectique entre les intérêts étatiques et ceux des migrants dispersés. Elle permet une lecture nouvelle et plus précise du phénomène migratoire subsaharien et de sa gestion, marquée à la fois par la contingence des #spatialités et #temporalités migratoires et les réactions imprévisibles des autorités marocaines. Elle nous éclaire également sur les effets complexes des #déplacements_forcés en créant de nouvelles #villes-étapes, inscrites dans le parcours migratoire, qui posent la question de leur transformation potentielle en « #villes-refuges ».

    https://journals.openedition.org/cdg/7545
    #géographie #spatialité #temporalité #migrerrance

    ping @karine4 @_kg_

  • Les « riski », quand les migrants marocains prennent tous les risques pour sortir de Melilla (3/4) - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/32415/les-riski-quand-les-migrants-marocains-prennent-tous-les-risques-pour-

    Hassan est un « #harraga » (littéralement, un « brûleur » de frontières), prêt à tous les risques pour rallier l’Europe. Pour lui, les ferries sont la seule option. Il n’existe que deux routes pour sortir de #Melilla, enclave espagnole sur le sol marocain : l’avion ou le port. La voie aérienne est inenvisageable

    https://twitter.com/chaboite
    Charlotte Boitiaux. Journaliste à FRANCE24 et à InfoMigrants

  • Un nombre choquant de morts, mais aussi des luttes grandissantes sur place
    https://alarmphone.org/wp-content/uploads/sites/25/2021/01/Pic-Title.jpeg

    2020 a été une année difficile pour des populations du monde entier. Les voyageur.euses des routes de #Méditerranée_occidentale et de l’Atlantique n’y ont pas fait exception. Iels ont fait face à de nombreux nouveaux défis cette année, et nous avons été témoins de faits sans précédents. Au Maroc et en #Espagne, non seulement la crise du coronavirus a servi d’énième prétexte au harcèlement, à l’intimidation et à la maltraitance de migrant.es, mais les itinéraires de voyage ont aussi beaucoup changé. Un grand nombre de personnes partent à présent d’Algérie pour atteindre l’Espagne continentale (ou même la #Sardaigne). C’est pourquoi nous avons commencé à inclure une section Algérie (voir 2.6) dans ces rapports. Deuxièmement, le nombre de traversées vers les #Canaries a explosé, particulièrement ces trois derniers mois. Tout comme en 2006 – lors de la dénommée « #crise_des_cayucos », lorsque plus de 30 000 personnes sont arrivées aux Canaries – des bateaux partent du Sahara occidental, mais aussi du Sénégal et de Mauritanie. Pour cette raison, nous avons renommé notre section sur les îles Canaries « route de l’Atlantique » (voir 2.1).

    Le nombre d’arrivées sur les #îles_Canaries est presqu’aussi élevé qu’en 2006. Avec plus de 40 000 arrivées en 2020, le trajet en bateau vers l’Espagne est devenu l’itinéraire le plus fréquenté des voyages vers l’Europe. Il inclut, en même temps, l’itinéraire le plus mortel : la route de l’Atlantique, en direction des îles Canaries.

    Ces faits sont terrifiants. A lui seul, le nombre de personnes mortes et de personnes disparues nous laisse sans voix. Nous dressons, tous les trois mois, une liste des mort.es et des disparu.es (voir section 4). Pour ce rapport, cette liste est devenue terriblement longue. Nous sommes solidaires des proches des défunt.es ainsi que des survivant.es de ce calvaire. A travers ce rapport, nous souhaitons mettre en avant leurs luttes. Nous éprouvons un profond respect et une profonde gratitude à l’égard de celles et ceux qui continuent de se battre, sur place, pour la dignité humaine et la liberté de circulation pour tous.tes.

    Beaucoup d’exemples de ces luttes sont inspirants : à terre, aux frontières, en mer et dans les centres de rétention.

    En Espagne, le gouvernement fait tout son possible pour freiner la migration (voir section 3). Ne pouvant empêcher la mobilité des personnes, la seule chose que ce gouvernement ait accompli c’est son échec spectaculaire à fournir des logements décents aux personnes nouvellement arrivées. Néanmoins, beaucoup d’Espagnol.es luttent pour les droits et la dignité des migrant.es. Nous avons été très inspiré.es par la #CommemorAction organisée par des habitant.es d’Órzola, après la mort de 8 voyageur.euses sur les plages rocheuses du nord de #Lanzarote. Ce ne sont pas les seul.es. : les citoyen.nes de Lanzarote ont publié un manifeste réclamant un traitement décent pour quiconque arriverait sur l’île, qu’il s’agisse de touristes ou de voyageur.euses en bateaux. Nous relayons leur affirmation : il est important de ne pas se laisser contaminer par le « virus de la haine ».

    Nous saluons également les réseaux de #solidarité qui soutiennent les personnes arrivées sur les autres îles : par exemple le réseau à l’initiative de la marche du 18 décembre en #Grande_Canarie, « #Papeles_para_todas » (papiers pour tous.tes).

    Des #résistances apparaissent également dans les centres de rétention (#CIE : centros de internamiento de extranjeros, centres de détention pour étrangers, équivalents des CRA, centres de rétention administrative en France). En octobre, une #manifestation a eu lieu sur le toit du bâtiment du CIE d’#Aluche (Madrid), ainsi qu’une #grève_de_la_faim organisée par les personnes qui y étaient détenues, après que le centre de #rétention a rouvert ses portes en septembre.

    Enfin, nous souhaitons mettre en lumière la lutte courageuse de la CGT, le syndicat des travailleur.euses de la #Salvamento_Maritimo, dont les membres se battent depuis longtemps pour plus d’effectif et de meilleures conditions de travail pour les gardes-côtes, à travers leur campagne « #MásManosMásVidas » (« Plus de mains, plus de vies »). La CGT a fait la critique répétée de ce gouvernement qui injecte des fonds dans le contrôle migratoire sans pour autant subvenir aux besoins financiers des gardes-côtes, ce qui éviterait l’épuisement de leurs équipes et leur permettrait de faire leur travail comme il se doit.

    Au Maroc, plusieurs militant.es ont dénoncé les violations de droits humains du gouvernement marocain, critiquant des pratiques discriminatoires d’#expulsions et de #déportations, mais dénonçant aussi la #stigmatisation que de nombreuses personnes noires doivent endurer au sein du Royaume. Lors du sit-in organisé par l’AMDH Nador le 10 décembre dernier, des militant.es rassemblé.es sur la place « Tahrir » de Nador ont exigé plus de liberté d’expression, la libération des prisonnier.es politiques et le respect des droits humains. Ils y ont également exprimé le harcèlement infligé actuellement à des personnes migrant.es.

    De la même manière, dans un communiqué conjoint, doublé d’une lettre au Ministère de l’Intérieur, plusieurs associations (Euromed Droits, l’AMDH, Caminando Fronteras, Alarm Phone, le Conseil des Migrants) se sont prononcées contre la négligence des autorités marocaines en matière de #sauvetage_maritime.

    Les voyageur.euses marocain.es ont également élevé la voix contre l’état déplorable des droits humains dans leur pays (voir le témoignage section 2.1) mais aussi contre les conditions désastreuses auxquelles iels font face à leur arrivée en Espagne, dont le manque de services de première nécessité dans le #camp portuaire d’#Arguineguín est un bon exemple.

    Au #Sénégal, les gens se sont organisées après les #naufrages horrifiants qui ont eu lieu en très grand nombre dans la seconde moitié du mois d’octobre. Le gouvernement sénégalais a refusé de reconnaître le nombre élevé de morts (#Alarm_Phone estime jusqu’à 400 le nombre de personnes mortes ou disparues entre le 24 et le 31 octobre, voir section 4). Lorsque des militant.es et des jeunes ont cherché à organiser une manifestation, les autorités ont interdit une telle action. Pourtant, trois semaines plus tard, un #rassemblement placé sous le slogan « #Dafa_doy » (Y en a assez !) a été organisé à Dakar. Des militant.es et des proches se sont réuni.es en #mémoire des mort.es. Durant cette période, au Sénégal, de nombreuses personnes ont été actives sur Twitter, ont tenté d’organiser des #hommages et se sont exprimées sur la mauvaise gestion du gouvernement sénégalais ainsi que sur les morts inqualifiables et inutiles.

    https://alarmphone.org/wp-content/uploads/sites/25/2021/01/Pic-Intro2-call-out-rally.jpeg

    https://alarmphone.org/fr/2021/01/29/un-nombre-choquant-de-morts-mais-aussi-des-luttes-grandissantes-sur-plac
    #décès #morts #mourir_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #mourir_en_mer #route_Atlantique #Atlantique #Ceuta #Melilla #Gibraltar #détroit_de_Gibraltar #Nador #Oujda #Algérie #Maroc #marche_silencieuse

    ping @karine4 @_kg_
    #résistance #luttes #Sénégal

    • Liste naufrages et disparus (septembre 2020-décembre 2020) (partie 4 du même rapport)

      Le 30 septembre, un mineur marocain a été retrouvé mort dans un bateau dérivant devant la côte de la péninsule espagnole, près d’Alcaidesa. Apparemment, il est mort d’hypothermie.

      Le 1er octobre, un cadavre a été récupéré en mer dans le détroit de Gibraltar.

      Le 2 octobre, 53 voyageur.euse.s, dont 23 femmes et 6 enfants, ont été porté.e.s disparu.e.s en mer. Le bateau était parti de Dakhla en direction des îles Canaries. L’AP n’a pas pu trouver d’informations sur leur localisation. (Source : AP).

      Le 2 octobre, un corps a été retrouvé sur un bateau transportant 33 voyageur.euse.s au sud de Gran Canaria. Cinq autres passager.e.s étaient dans un état critique.

      Le 2 octobre, comme l’a rapporté la militante des droits de l’homme Helena Maleno, d’un autre bateau avec 49 voyageur.euse.s sur la route de l’Atlantique, 7 ont dû être transférés à l’hôpital dans un état critique. Deux personnes sont mortes plus tard à l’hôpital.

      Le 6 octobre, un corps a été récupéré au large d’Es Caragol, à Majorque, en Espagne.

      Le 6 octobre, un corps a été rejeté sur la plage de Guédiawaye, au Sénégal.

      Le 9 octobre, Alarm Phone a continué à rechercher en vain un bateau transportant 20 voyageur.euse.s en provenance de Laayoune. Iels sont toujours porté.e.s disparu.e.s. (Source : AP).

      Le 10 octobre, un corps a été retrouvé par les forces algériennes sur un bateau qui avait initialement transporté 8 voyageur.euse.s en provenance d’Oran, en Algérie. Deux autres sont toujours portés disparus, 5 des voyageur.euse.s ont été sauvé.e.s.

      Le 12 octobre, 2 corps de ressortissant.e.s marocain.e.s ont été récupérés en mer au large de Carthagène.

      Le 16 octobre, 5 survivant.e.s d’une odyssée de 10 jours en mer ont signalé que 12 de leurs compagnons de voyage étaient porté.e.s disparu.e.s en mer. Le bateau a finalement été secouru au large de la province de Chlef, en Algérie.

      Le 20 octobre, un voyageur est mort sur un bateau avec 11 passager.e.s qui avait débarqué de Mauritanie en direction des îles Canaries. (Source : Helena Maleno).

      Le 21 octobre, la Guardia Civil a ramassé le corps d’un jeune ressortissant marocain en combinaison de plongée sur une plage centrale de Ceuta.

      Le 21 octobre, Salvamento Maritimo a secouru 10 voyageur ;.euse.s dans une embarcation en route vers les îles Canaries, l’un d’entre eux est mort avant le sauvetage.

      Le 23 octobre, le moteur d’un bateau de Mbour/Sénégal a explosé. Il y avait environ 200 passager.e.s à bord. Seul.e.s 51 d’entre elleux ont pu être sauvé.e.s.

      Le 23 octobre, un corps a été rejeté par la mer dans la municipalité de Sidi Lakhdar, à 72 km à l’est de l’État de Mostaganem, en Algérie.

      Le 24 octobre, un jeune homme en combinaison de plongée a été retrouvé mort sur la plage de La Peña.

      Le 25 octobre, un bateau parti de Soumbédioun/Sénégal avec environ 80 personnes à bord est entré en collision avec un patrouilleur sénégalais. Seul.e.s 39 voyageur.euse.s ont été sauvé.e.s.

      Le 25 octobre, un bateau avec 57 passager.e.s a chaviré au large de Dakhla/ Sahara occidental. Une personne s’est noyée. Les secours sont arrivés assez rapidement pour sauver les autres voyageur.euse.s.

      Le 25 octobre, Salvamento Marítimo a sauvé trois personnes et a récupéré un corps dans un kayak dans le détroit de Gibraltar.

      Le 26 octobre, 12 ressortissant.e.s marocain.e.s se sont noyé.e.s au cours de leur périlleux voyage vers les îles Canaries.

      Le 29 octobre, nous avons appris une tragédie dans laquelle probablement plus de 50 personnes ont été portées disparues en mer. Le bateau avait quitté le Sénégal deux semaines auparavant. 27 survivant.e.s ont été sauvé.e.s au large du nord de la Mauritanie.

      Le 30 octobre, un autre grand naufrage s’est produit au large du Sénégal. Un bateau transportant 300 passager.e.s qui se dirigeait vers les Canaries a fait naufrage au large de Saint-Louis. Seules 150 personnes ont survécu. Environ 150 personnes se sont noyées, mais l’information n’est pas confirmée.

      Le 31 octobre, une personne est morte sur un bateau en provenance du Sénégal et à destination de Tenerifa. Le bateau avait pris le départ avec 81 passager.e.s.

      Le 2 novembre, 68 personnes ont atteint les îles Canaries en toute sécurité, tandis qu’un de leurs camarades a perdu la vie en mer.

      Le 3 novembre, Helena Maleno a signalé qu’un bateau qui avait quitté le Sénégal avait chaviré. Seul.e.s 27 voyageur.euse.s ont été sauvé.e.s sur la plage de Mame Khaar. 92 se seraient noyé.e.s.

      Début novembre, quatre Marocain.e.s qui tentaient d’accéder au port de Nador afin de traverser vers Melilla par un canal d’égout se sont noyé.e.s.

      Le 4 novembre, un groupe de 71 voyageur.euse.s en provenance du Sénégal a atteint Tenerifa. Un de leurs camarades est mort pendant le voyage.

      Le 7 novembre, 159 personnes atteignent El Hierro. Une personne est morte parmi eux.

      Le 11 novembre, un corps est retrouvé au large de Soumbédioune, au Sénégal.

      Le 13 novembre, 13 voyageur.euse.s de Boumerdes/Algérie se sont noyé.e.s alors qu’iels tentaient de rejoindre l’Espagne à bord d’une embarcation pneumatique.

      Le 14 novembre, après 10 jours de mer, un bateau de Nouakchott est arrivé à Boujdour. Douze personnes sont décédées au cours du voyage. Les 51 autres passager.e.s ont été emmené.e.s dans un centre de détention. (Source : AP Maroc)

      Le 16 novembre, le moteur d’un bateau a explosé au large du Cap-Vert. Le bateau était parti avec 150 passager.e.s du Sénégal et se dirigeait vers les îles Canaries. 60 à 80 personnes ont été portées disparues lors de la tragédie.

      Le 19 novembre, 10 personnes ont été secourues alors qu’elles se rendaient aux îles Canaries, l’une d’entre elles étant décédée avant son arrivée.

      Le 22 novembre, trois corps de jeunes ressortissant.e.s marocain.e.s ont été récupérés au large de Dakhla.

      Le 24 novembre, huit voyageur.euse.s sont mort.e.s et 28 ont survécu, alors qu’iels tentaient de rejoindre la côte de Lanzarote.

      Le 24 novembre, un homme mort a été retrouvé sur un bateau qui a été secouru par Salvamento Maritimo au sud de Gran Canaria. Le bateau avait initialement transporté 52 personnes.

      Le 25 novembre, 27 personnes sont portées disparues en mer. Elles étaient parties de Dakhla, parmi lesquelles 8 femmes et un enfant. Alarm Phone n’a pas pu trouver d’informations sur leur sort (Source : AP).

      Le 26 novembre, deux femmes et deux bébés ont été retrouvés mort.e.s dans un bateau avec 50 personnes originaires de pays subsahariens. Iels ont été emmenés par la Marine Royale au port de Nador.

      Le 27 novembre, un jeune ressortissant marocain est mort dans un canal d’eau de pluie en tentant de traverser le port de Nador pour se rendre à Mellila .

      Le 28 novembre, un.e ressortissant.e marocain.e a été retrouvé.e mort.e dans un bateau transportant 31 passager.e.s en provenance de Sidi Ifni (Maroc), qui a été intercepté par la Marine royale marocaine.

      Le 2 décembre, deux corps ont été retrouvés sur une plage au nord de Melilla.

      Le 6 décembre, 13 personnes se sont retrouvées au large de Tan-Tan/Maroc. Deux corps ont été retrouvés et deux personnes ont survécu. Les 9 autres personnes sont toujours portées disparues.

      Le 11 décembre, quatre corps de “Harraga” algérien.ne.s d’Oran ont été repêchés dans la mer, tandis que sept autres sont toujours porté.e.s disparu.e.s.

      Le 15 décembre, deux corps ont été retrouvés par la marine marocaine au large de Boujdour.

      Le 18 décembre, sept personnes se sont probablement noyées, bien que leurs camarades aient réussi à atteindre la côte d’Almería par leurs propres moyens.

      Le 23 décembre, 62 personnes ont fait naufrage au large de Laayoune. Seules 43 à 45 personnes ont survécu, 17 ou 18 sont portées disparues. Une personne est morte à l’hôpital. (Source : AP)

      Le 24 décembre, 39 voyageur.euse.s ont été secouru.e.s au large de Grenade. Un des trois passagers qui ont dû être hospitalisés est décédé le lendemain à l’hôpital.

      https://alarmphone.org/fr/2021/01/29/un-nombre-choquant-de-morts-mais-aussi-des-luttes-grandissantes-sur-place/#naufrages

  • #Rapport sur la #violation des #droits à la frontière sud de l’Espagne (#Canaries et #Melilla) publié par l’association #Iridia- Centro por la Defensa de los Derechos Humanos et soutenu par une cinquantaine d’associations de la société civile espagnole

    “Vulneraciones de derechos en la Frontera Sur : Canarias y Melilla”

    Presentamos el informe “Vulneraciones de derechos en la Frontera Sur: Canarias y Melilla” elaborado por Irídia – Centro por la Defensa de los Derechos Humanos y apoyado por 50 organizaciones sociales, que será presentado ante el Relator Especial de Nacionas Unidas para los Derechos Humanos de las Personas Migrantes así como al Comité Europero para la Prevención de la Tortura del Consejo de Europa.

    Desde Madrid y en rueda de prensa telemática hoy la Asociación Irídia ha presentado, junto con los investigadores Daniela Lococo y Sani Ladan, un informe sobre las vulneraciones de derechos humanos cometidas en Gran Canaria y en Melilla a personas migrantes el 2020. En la rueda de prensa han participado también la abogada Patricia Fernández, de la Coordinadora de Barrios, la abogada María Vieyra del Servicio Jesuita Migrante así como Seydou Diop del Movimiento Regularización Ya.

    El informe es fruto de una investigación hecha a distancia y en terreno por un equipo multidisciplinar de cinco personas (un experto en relaciones internacionales, dos politólogas, una comunicadora y un abogado) que han analizado el contexto migratorio en el marco de la pandemia de Covid-19 y la situación concreta que se vive en la Frontera Sur. El objetivo es trasladar las denuncias y exigir la intervención de los organismos internacionales competentes en la materia así como entregárselo al Gobierno Español, al Ministerio Fiscal, al Defensor del Pueblo así como a los diferentes grupos parlamentarios del Congreso de los Diputados.

    Un contexto de emergencia sanitaria como el actual producido por la Covid-19 no exime que se respeten los derechos fundamentales de las personas en el marco de una detención. No obstante, el Ministerio del Interior y el CNP han generado situaciones en las que se han flexibilizado, sin amparo legal, tanto las condiciones como los tiempos de la detención.Este hecho ha generado espacios y situaciones excepcionales en los que entendemos que no sólo existen vulneraciones de los derechos de las personas migrantes sino también podría entenderse que existen indicios de delito que deben ser investigados en profundidad.

    Entre las recomendaciones recogidas en el informe, se urge a miembros de organizaciones internacionales que realicen una visita a Melilla y Gran Canaria y evalúen el grado de cumplimiento por parte de España de sus obligaciones en materia de derecho internacional de los derechos humanos. Además, se exige que desde el Gobierno español se generen vías migratorias legales y seguras, y que se priorice la atención sanitaria y psicológica por delante de la actuación policial ante la llegada de personas migrantes.

    https://www.youtube.com/watch?v=CSth8x4-pdQ&feature=emb_logo


    https://iridia.cat/es/presentamos-ante-organismos-internacionales-un-informe-sobre-la-situacion-de

    Pour télécharger le rapport :
    https://iridia.cat/wp-content/uploads/2021/01/INFORME-DDHH-FRONTERA-SUR-2021.pdf

    #Espagne #asile #migrations #réfugiés #frontières

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  • Interior aplicará las devoluciones en caliente por el aval del Constitucional

    El Tribunal Constitucional respaldará en el pleno que se inicia mañana las devoluciones en caliente o rechazos en frontera regulados en la Ley de Seguridad Ciudadana que aprobó el Gobierno del PP en 2015. El Ministerio del Interior aplicará esta medida pese a que los dos partidos que forman el Gobierno la rechazaban. El PSOE recurrió la ley ante el Constitucional por entender que “vulneraba el derecho de los inmigrantes a la tutela judicial efectiva”. Unidas Podemos prometió impulsar la derogación de la Ley de Seguridad Ciudadana, conocida como ley mordaza, para prohibir las devoluciones en caliente.

    El Gobierno quiere esperar a conocer la redacción final de la sentencia al tratarse de un asunto muy delicado que ya enfrentó a los dos socios, PSOE y Unidas Podemos. Fuentes del Ministerio del Interior sostienen que las sentencias del Constitucional están para cumplirse y, por tanto, se seguirá aplicando esta medida con normalidad. Estas fuentes recuerdan, además, que el fallo llega avalado por un pronunciamiento similar del Tribunal Europeo de Derechos Humanos. “La política migratoria”, señalan en Interior, “es comunitaria y, por tanto, es difícil adoptar una medida sin contar con el consenso europeo”. La medida a la que se refieren sería una reforma legal para prohibir las devoluciones en caliente, algo que no parece entrar en la agenda del Ejecutivo.

    Fuentes de la dirección de Unidas Podemos admiten que para ellos es un tema “muy importante” pero no han tomado una decisión sobre cómo responderán a un fallo del Constitucional que todavía no conocen. En el pasado hubo enfrentamientos entre el ministro del Interior, Fernando Grande-Marlaska, y Pablo Iglesias por este asunto. El acuerdo al que llegaron fue esperar a la sentencia. Una vez publicada, solo quedaría el margen de cambiar la ley. Pero Interior prefiere aplicar el fallo sin más.

    El Constitucional avalará en su pleno de esta semana las expulsiones en caliente con algunas excepciones que afectan a los menores y personas o colectivos vulnerables. El texto ha sido acordado en una comisión compuesta por tres magistrados: Ricardo Enríquez, Antonio Narváez y Juan Antonio Xiol. Los dos primeros pertenecen al sector conservador, mayoritario, y el tercero, al progresista. El pacto alcanzado supone un giro radical respecto al texto que había elaborado el anterior encargado de la ponencia, Fernando Valdés, quien renunció a su puesto en el tribunal el mes pasado tras ser procesado por el Supremo por un supuesto delito de maltrato en el ámbito familiar.

    Lo que proponía Valdés en su proyecto de sentencia era que solo se consideraran legales las expulsiones en caliente cuando las personas afectadas hubieran entrado en España mediante un asalto masivo y de forma violenta. Valdés entendía que esta era la lectura más correcta de la sentencia dictada en febrero pasado por el Tribunal Europeo de Derechos Humanos. Ese fallo dio un aval al Estado español respecto a las devoluciones en caliente al considerar que las autoridades de Melilla no violaron la legalidad cuando acordaron la expulsión inmediata de dos inmigrantes de Mali y Costa de Marfil que saltaron la valla fronteriza en agosto de 2014.

    La sentencia pactada en la comisión tendrá un amplio respaldo en el pleno del Constitucional, según fuentes del tribunal. Hasta ahora, lo había impedido la persistencia de Valdés en defender que se pusieran condiciones a estas devoluciones. De hecho, en junio pasado se discutió un proyecto de sentencia que fue rechazado al entender la mayoría conservadora que el fallo de Estrasburgo no requería que solo pudieran acordarse legalmente las devoluciones en caliente para los asaltos masivos y violentos a las vallas de Ceuta o Melilla. De ahí que se formara una comisión paritaria entre conservadores y progresistas de la que, aparte de los tres mencionados, formó parte el propio Valdés hasta su renuncia.

    Al producirse la dimisión de este magistrado, el asunto quedó formalmente asignado al presidente del tribunal, Juan José González Rivas, quien como ponente de la resolución asumiría el criterio de la comisión. Ahora bien, este punto fue incluido a mediados de la semana pasada, mediante una adición al orden de día del próximo pleno, ya sobrecargado de materias. Ello provocó gran malestar en un sector minoritario del Constitucional, opuesto a debatir con prisas los aspectos más sensibles de la Ley de Seguridad Ciudadana, entre ellos el de los derechos de los inmigrantes.

    Dos factores han influido en las prisas con las que ahora se quiere ventilar un recurso que lleva cinco años pendiente. En primer lugar, el consenso existente sobre la cuestión. El tribunal no quiso hincarle el diente al asunto hasta que se pronunciara Estrasburgo, pero desde febrero, en que falló el Tribunal Europeo de Derechos Humanos, hubiera podido abordarlo. La urgencia que se quiere dar a este fallo deriva del interés del presidente del tribunal por dejar despejado el asunto antes de la posible renovación de los mandatos caducados en la institución, entre ellos el de la propia presidencia.
    Dos décadas de rechazos en frontera

    Las devoluciones en caliente llevan realizándose desde que se concluyó la construcción de las vallas de Ceuta y Melilla a finales de los años noventa. Al principio, las fuerzas de seguridad lo ocultaban, pero esta práctica comenzó a ser ampliamente documentada por diversas ONG a partir de 2002. Desde que el Gobierno de Mariano Rajoy las amparó con la Ley de Seguridad Ciudadana de 2015, tanto el PSOE como Unidas Podemos han prometido desde la oposición que acabarían con ellas, pero la realidad es que se han mantenido independientemente del color de quien gobierne.

    La sentencia del 20 de febrero del Tribunal de Estrasburgo, en la que se absolvía a España de haber vulnerado los derechos de dos migrantes cuando fueron entregados a las autoridades marroquíes inmediatamente después de saltar la valla de Melilla en agosto de 2014, generó las primeras tensiones en el Gobierno de coalición apenas seis semanas después de conformarse.

    El ministro del Interior, Fernando Grande-Marlaska, recibió con agrado la decisión que justificaba la devolución en el uso de la violencia de los inmigrantes y ya sugirió que la aplicaría, una postura que generó malestar entre los miembros de Unidas Podemos. “Elogiar sentencias que avalan la violación de derechos humanos no solo es lo contrario a lo que figura en el acuerdo de coalición, es además lo contrario de lo que desean la inmensa mayoría de los votantes del PSOE y de Unidas Podemos”, afirmaron entonces a EL PAÍS fuentes del grupo parlamentario de la formación. La polémica, sin embargo, acabó enterrada rápidamente por otras batallas y la emergencia sanitaria.

    Las entradas irregulares por tierra a Ceuta y Melilla (que incluyen los saltos, pero también otras vías como el ingreso con documentación falsa o escondidos en vehículos) apenas superan este año las 1.500 personas (la inmensa mayoría en Melilla) frente a las casi 5.000 del año anterior, según datos del Ministerio del Interior. La caída en picado de los intentos de colarse en ambas ciudades autónomas responde a las restricciones de movimientos y el cierre de fronteras impuesto por la pandemia. El foco se ha desviado de las vallas, pero las devoluciones se han seguido realizando, según el veterano activista de Melilla, José Palazón, fundador de la ONG Prodein.

    “No ha habido un cambio en la forma de actuación. Ni antes, ni después de la sentencia. En un intento de salto, los que pillan entre vallas han continuado siendo devueltos en caliente a Marruecos”, mantiene Palazón. “Lo conocemos por declaraciones de los que entran o por testimonios de los propios afectados, pero no son expulsiones documentadas”. Desde Ceuta, fuentes de la Guardia Civil, afirman que con la pandemia han dejado de detectarse movimientos de subsaharianos en torno a la valla, por lo que no se han ejecutado devoluciones.

    https://elpais.com/espana/2020-11-15/interior-aplicara-las-devoluciones-en-caliente-por-el-aval-del-constituciona
    #Ceuta #Melilla #Espagne #frontières #devoluciones_en_caliente #push-backs #renvois #expulsions #refoulements #Maroc #justice

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    FR : « Lors de la session plénière qui commence demain, la #Cour_constitutionnelle appuiera les #refoulements_express à la frontière régis par la loi de sécurité citoyenne que le gouvernement du PP a adoptée en 2015. Le ministère de l’intérieur appliquera cette mesure bien que les deux partis qui forment le gouvernement l’aient rejetée ».

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    Sur les « devoluciones en caliente » (https://seenthis.net/tag/devoluciones_en_caliente)
    https://seenthis.net/tag/devoluciones_en_caliente

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  • L’Espagne demande au Maroc de rapatrier 403 mineurs non accompagnés de Sebta et #Melilla

    Le gouvernement espagnol a lancé un appel aux autorités marocaines pour rapatrier des mineurs marocains non accompagnés à Sebta et Melilla. Mutisme côté marocain, alors que les appels se multiplient pour un déblocage du dossier du côté des enclaves occupées.

    Durant l’année 2019 et jusqu’au mois de mars 2020, un total de 403 demandes de rapatriements ont été envoyées au Maroc par les autorités de Sebta et Melilla. Ces chiffres ont été présentés par la députée du parti d’extrême droit Vox pour Ceuta, Teresa López, qui a demandé à l’exécutif central de débloquer la situation.

    La réponse du gouvernement de Pedro Sanchez ce lundi 28 septembre vient conforter ces chiffres, précisant qu’en 2019, 296 demandes de rapatriements ont été adressées aux autorités consulaires et 107 autres ont été enregistrées durant le premier trimestre de 2020.

    « Selon les rapports des bureaux de l’immigration de Ceuta et Melilla, les autorités consulaires marocaines n’ont pas répondu à ces demandes », souligne le gouvernement de Madrid. Plusieurs partis, avec à leur tête Vox, ont ainsi demandé l’application de la convention signée entre les deux pays qui permet le « retour concerté » des mineurs étrangers non accompagnés au Maroc.

    Pour rappel, les gouvernements espagnol et marocain ont lancé un processus de rapatriement des mineurs marocains non accompagnés en avril 2019. Une mesure qui implique la réactivation d’un accord entre Rabat et Madrid datant de 2012 et que l’Exécutif de Pedro Sánchez tente de relancer depuis la recrudescence des entrées irrégulières sur le territoire espagnol.

    Le gouvernement Pedro Sánchez avait alors affirmé que les mineurs ne seraient pas rapatriés au Maroc contre leur gré et que chaque cas serait analysé individuellement. En effet, la loi stipule qu’en cas de #rapatriement, les membres de la famille ou les services de protection de l’enfance doivent être localisés pour en être tenus responsables. Le mineur a également le droit d’être entendu dans toute procédure judiciaire dans laquelle il est directement impliqué et qui aboutit à une décision affectant sa sphère personnelle, familiale ou sociale.

    https://www.h24info.ma/maroc/sebta-et-melilla-demandent-au-maroc-de-rapatrier-403-mineurs-non-accompagnes
    #Espagne #Maroc #Ceuta #mineurs #enfants #enfance #renvois #expulsions

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  • Spain will build highest border wall in the world to stop migrants from Africa

    The project has been unveiled after a crowd of about 300 migrants attacked the #Melilla enclave on Thursday.

    The Spanish government plans to build 10-meter-high (32-feet) cylindrical walls around its North African enclaves of #Ceuta and Melilla to stop raids by migrants and individual attempts to enter the country, the Italian daily Il Giornale reported.

    These are set to be the highest fences against migrants in the world, with the U.S. border wall standing at 30 feet in some sections.

    The new border structures should significantly increase the efficiency of the existing fencing around these two Spanish cities on the North African coast, which is only three, somewhere over four meters high and topped by barbed wire. Their construction was financed by the government of former Prime Minister Luis Zapatero.

    To prevent injuries to migrants who may be able to reach the top of the wall, it will be equipped with a steel cylinder, which should also make it impossible to cross the wall.

    The project has now been unveiled after a crowd of about 300 migrants attacked the Melilla enclave on Thursday morning. According to local security forces, about 50 migrants managed to enter Spanish territory, which also means they made on to European Union soil.

    According to the authorities, the migrants were mostly from sub-Saharan Africa. In April, a group of about 250 people tried to cross the fence as well.

    Since January, about 11,500 migrants have arrived on Spanish territory through various routes, many of whom arrived by boat in the Canary Islands.

    Spain’s Canary Islands, which lay approximately 100 kilometers off the West African coast, are fast becoming a top destination for migrants despite the dangers involved with reaching them.

    https://rmx.news/article/article/spain-plans-to-build-the-highest-border-wall-in-the-world-to-stop-migrants-fro
    #migrations #asile #réfugiés #murs #barrières_frontalières #Espagne

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  • Pushbacks in Melilla : ND and NT v. Spain

    On 13 February 2020, the Grand Chamber of the European Court of Human Rights (ECtHR) rendered a judgment in the case of ND and NT v. Spain, the first trial to address ‘pushbacks’—the cross-border expulsion of refugees and migrants—at Europe’s land borders.

    The case concerns the pushback of two men from Mali and Ivory Coast at the Spanish-Moroccan border in Melilla in August 2014. ND and NT had crossed into the Spanish enclave of Melilla by climbing a series of fences at its border, along with a group of other migrants.

    The group, including ND and NT, were handcuffed and returned to Morocco by Spain’s paramilitary Guardia Civil, without the opportunity to explain their circumstances or speak to a lawyer

    In its judgment, the Court found that those pushbacks did not violate the European Convention on Human Rights (ECHR). In doing so, the Court introduced a new legal exception to human rights at Europe’s borders, creating a dangerous precedent: the Court stated that climbing the border fences was ‘culpable conduct’ on the part of ND and NT, who should have used legal entry procedures instead. The Court accepted that Spain had provided ‘several possible means of seeking admission’, in particular:

    – by applying for international protection at the Beni Enzar border crossing point,

    – or in Spain’s diplomatic and consular representations.

    FA and ECCHR investigated whether the legal entry procedures presented to the Court by Spain were in fact available to Sub-Saharan nationals, using spatial analysis, official data from the Spanish government, human rights reports, and testimony.

    Our investigation demonstrates that both Spain’s claims and the Court’s conclusions are false, and that Black people from Sub-Saharan Africa are systematically discriminated against at the Melilla border.

    In fact, Black people trying to reach the Spanish border in Melilla have to evade a special Moroccan border police force and bypass three Moroccan border checkpoints, at which they are consistently denied passage.

    Spain made the claim that legal routes to apply for asylum are available to Sub-Saharan nationals however, gave no evidence to support this claim. In fact, there were only two applications made by Sub-Saharan nationals at the Melilla and Ceuta border posts between September 2014 and May 2017, both of them were women ‘camouflaged with typical Moroccan clothes’ to obscure their skin. According to witness testimony, the consulate in Nador is not accessible to Black Sub-Saharan nationals and there were no applications by Sub-Saharan nationals at any Spanish embassies in Morocco between 2015 and 2018. Nevertheless, the Court accepted Spain’s claims.

    The case of ND and NT reveals the mechanisms of structural racism embedded in Europe’s border policies. During the trial, Spain made misleading claims which were contradicted not only by multiple reports and testimonies, but also by their own data. Nevertheless, the Court accepted these arguments, and dismissed those of the claimants. The resulting judgment is a gross distortion of the facts, and fails to acknowledge the realities at Europe’s borders.

    This video investigation was submitted to the ECtHR as part of a further case relating to pushbacks at the EU’s borders, ‘Danny’ v Spain.

    https://forensic-architecture.org/investigation/pushbacks-in-melilla-nd-and-nt-vs-spain
    #push-backs #refoulements #Melilla #Espagne #Maroc #frontières #migrations #asile #réfugiés #CourEDH #CEDH #justice #architecture_forensique #forensic_architecture

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  • Nouvelle forme de #confinement aux portes de l’Union européenne. Actes de la conférence de Madrid (2019)

    Depuis la mise en place de « l’#approche_hotspot », en 2015, par l’Union européenne (UE), Migreurop décrypte ses conséquences et dérives dans ses publications et à l’occasion de diverses rencontres internationales (Calais 2015, Rabat 2016). Le but de ce dispositif, qui n’a rien de nouveau, est en d’empêcher les arrivées et de criminaliser la migration, ce qui s’accompagne d’une montée de la #violence et d’atteintes aux droits des migrant·e·s dans le cadre d’une politique du tout sécuritaire. Cinq ans après, qu’en est-il en Europe et au-delà ?

    Pour faire le point, Migreurop a organisé le 8 juin 2019 à Madrid une #conférence sur les nouvelles formes de confinement aux portes de l’UE, qui a permis de mettre à jour les connaissances sur les situations de #détention dans divers pays de la zone géographique couverte par le réseau.

    Grâce à nos membres et invité.e.s, ont ainsi été abordées la situation dans les hotspots grecs et italiens – véritables « #oubliettes_modernes » et indignes –, ainsi que dans les « centres de séjour temporaires pour immigrés » (#CETI) dans les enclaves de #Ceuta et #Melilla, véritables lieux de #tri et d’#attente à l’entrée de l’Europe ; les pratiques de #non-accueil à #Malte et en #Espagne et également les politiques d’#externalisation, intrinsèquement liées à « l’approche hotspot », avec les cas marocain, égyptien et libyen. Finalement, dans les hotspots, ou lieux affiliés, les exilé.e.s sont cantonné.e.s dans des espaces qui ne sont pas destinés à accueillir, mais en réalité au service de la gestion des frontières fermées.

    http://www.migreurop.org/article2976.html

    –—

    En anglais : http://www.migreurop.org/article2977.html

    #hotspot #hotspots #Europe #EU #UE #migrations #asile #réfugiés #frontières #frontières_extérieures #Maroc #Italie #Grèce #Egypte #Libye #contrôles_frontaliers #fermeture_des_frontières

    ping @karine4 @_kg_

  • African migrants in Morocco wait for aid as coronavirus bites

    Thousands of African migrants without revenue during Morocco’s coronavirus lockdown could run out of money for food and essentials, and rights groups have urged the government to offer them the same cash help it has promised to citizens.

    The North African country has imposed a month-long lockdown restricting movement to purchases of food or medicine and to staffing some key jobs, with 761 cases of the coronavirus confirmed, including 47 deaths.

    Saddou Habi, 30, who came to Morocco two years ago from Guinea, and decided to stay rather than trying to reach Europe after getting a job in a restaurant, said his money will run out in 10 days.

    “I have been helping my four other flat mates whose financial situation is worse than mine,” he said.

    “We are respecting all measures to stop the spread of the coronavirus but we need urgent help to go through these difficult times,” he said.

    The government has promised monthly support of about $120 a month to households where the main provider has lost work in the informal economy because of the lockdown.

    At present, that aid will go to people with a “free health service” card available only to Moroccans. The government plans to roll it out to people who do not have the card, but has not said if this would be extended to migrants.

    The state will also pay about $200 a month to workers in private companies who are registered with the state social insurance scheme.

    It leaves most of the 50,000 migrants who have obtained official residency permits since 2013 without help. The far larger number of undocumented migrants, many of them homeless or seeking to pass through Morocco to reach Europe, face even less chance of assistance.

    The National Human Rights Council and the Moroccan Association for Human Rights have urged the government to help. The finance ministry did not respond when asked if migrants would become eligible for state aid.

    ‘WE HAVE TO SHOW SOLIDARITY’

    Habi has applied for a residency permit, but is still waiting for it to be issued. He lives in the poor Hay Nahda district of Rabat, where houses made of bare concrete blocks press up against each other.

    Local rights groups and charities have distributed food in poor districts to both Moroccans and migrants, but the lockdown has made it harder to distribute such supplies.

    Living conditions are worst for homeless sub-Saharans in northern Morocco, near the Spanish enclaves of #Ceuta and #Melilla, which migrants often try to reach across a thicket of high wire fences.

    The majority of migrants work in the informal sector earning barely enough money to meet their basic needs for a day, said Ousmane Ba, a Senegalese migrant who heads a community group.

    The government needs to do more to shelter homeless migrants living in the forests in northern Morocco and help them avoid contagion, he added, speaking by phone from the city of #Nador, near Melilla.

    So far, the government has put more than 3,000 homeless people, including migrants, into shelters located in schools, stadiums and other buildings for the duration of the lockdown.

    “We are all in the same boat in the face of the coronavirus storm. We have to show solidarity with one another for all to be rescued,” Ba said.

    https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-morocco-migrants/african-migrants-in-morocco-wait-for-aid-as-coronavirus-bites-idUSKBN21L38Q

    #Maroc #asile #réfugiés #migrations #coronavirus #covid-19 #aide #SDF #sans-abri #confinement

    ping @ceped_migrinter_afrique

  • El covid19 aísla aún más a las personas migrantes en #Ceuta y #Melilla

    Debido al aislamiento derivado del estado de alarma, las problemáticas habituales, como son la situación de los centros de estancia temporal de inmigrantes o la de los niños y adolescentes que viven solos en las ciudades, se han visto agravadas en las ciudades autónomas.

    La situación de las ciudades autónomas de Ceuta y Melilla siempre ha sido especial, y no necesariamente para bien. Las situaciones extremas lo son más en los enclaves más aislados, motivo por el que se justifica el sempiterno sentimiento de abandono que tienen los habitantes de ambas ciudades autónomas. Lo que pasa en Ceuta y Melilla se queda en Ceuta y Melilla.

    Las problemáticas habituales, como son la situación de los centros de estancia temporal de inmigrantes o la de los niños y adolescentes que viven solos en las ciudades, se han visto agravadas desde que se decretó el estado de alarma el pasado día 14 de marzo. El aislamiento en el que viven las personas residentes en Ceuta y Melilla con el cierre de las rutas marítimas o aéreas a la península y de la frontera terrestre con Marruecos se hace más patente en el caso de las personas migrantes que no tienen la posibilidad de traslados por motivos laborales u otras excepciones que se pudieran prever.

    A esto, además, hay que añadir la situación en la viven las personas trabajadoras transfronterizas que se han quedado atrapadas en Ceuta o Melilla tras el cierre de la frontera con Marruecos. Para estas personas, los y las vecinas han habilitado lugares en sus propias casas, garajes o locales —incluso las mezquitas de la ciudad— donde darles cobijo hasta que puedan volver a sus casas, así como en los recursos que ambas ciudades han habilitado para la población en situación de calle.

    Pero la preocupación se centra sobre todo en las personas que se encuentran en los centros de estancia temporal (CETI), así como en aquellas personas migrantes que viven en las ciudades autónomas, sin domicilio, en situación de calle. Con respecto a los primeros en Ceuta, según aseguró la Delegación del Gobierno, la situación sigue siendo insostenible en algunos casos, a pesar de que han sido trasladas un total de 142 personas desde el comienzo de las restricciones de movimiento desde el centro de estancia temporal a la península con el fin de “descongestionar el centro”.

    La propia Delegación de Gobierno reconoce que no están previstos más traslados a la península. Las personas que han sido trasladadas, lo han sido a centros de acogida de Andalucía y, en menor medida, Castilla-La Mancha. Sin embargo, aún quedan muchas personas en los CETI; muchas de ellas llevan entre ocho y diez meses en la ciudad, pero, sin embargo, no han sido tenidas en cuenta para los traslados.

    Por este motivo se denuncia que existe discriminación con respecto a las personas de origen marroquí que, precisamente por ello, han iniciado una huelga de hambre este pasado fin de semana a fin de visibilizar su situación, denunciar esta discriminación e interpelar a la Delegación de Gobierno para que continúe con los traslados.

    Pero la preocupación no ha hecho sino crecer con la noticia de hace unas horas de un bebé de 18 meses que se encontraba en el #CETI y ha dado positivo en covid19. Ya se encuentra en el hospital, pero la Delegación de Gobierno insiste en que las condiciones en que se encuentran en el centro son las correctas.

    Según la denuncia de CGT Ceuta, el hacinamiento sigue impidiendo el cumplimiento de las medidas recomendadas por el Ministerio de Sanidad, como la de mantener una distancia de seguridad. Esta distancia de seguridad no se da ni en los espacios comunes ni en las propias habitaciones, donde se concentran hasta diez personas durmiendo en literas. Según imágenes difundidas por El Faro, los residentes del CETI se encuentran comiendo a escasos centímetros unos de otros.

    La situación en Melilla es similar. Las organizaciones denuncian una importante masificación de personas sin que se esté llevando a cabo ningún protocolo de seguridad y sin que existan equipos de protección suficientes. Con más de 1.600 personas en el centro, cerrado, la situación es insostenible. Especialmente para las mujeres, que se encuentran en un espacio fuertemente masculinizado. Sin poder mantener la distancia de seguridad en ninguno de los espacios, sin jabón, que hace tiempo que no llega, con colas para comer de hasta dos horas, y sin poder asegurar tratamiento adecuado a algunas de las personas con enfermedades crónicas. Con esta situación, preocupa y mucho la posibilidad de que se dé algún caso positivo de coronavirus, ya que, dada la situación, la exposición sería total para el resto de personas que se encuentran en el centro.

    Las demandas en este sentido son claras; equipos de protección adecuados, descongestión del CETI habilitando otros espacios para poder realizar traslados e instalación de puntos wifi para que quienes se encuentran ahí confinados puedan comunicarse con el exterior y rebajar así la tensión que la incomunicación está provocando. Así lo han manifestado desde las asociaciones Prodein y Geum Dodou.

    Tal y como está ocurriendo en otros centros de similar naturaleza, las denuncias van más allá de las condiciones del internamiento y afectan también al personal que trabaja en ellos. La falta de equipos de protección individual o medidas y material de higiene aumenta las posibilidades de contagio tanto de los propios trabajadores y personal policial como de las personas migrantes que se encuentran confinadas en los mismos.

    Con el último envío del Gobierno para las comunidades autónomas se han repartido 10.106.908 mascarillas entre las autonomías y 35.103 gafas de protección, 9.673.100 guantes de nitrilo, 64.713 batas desechables e impermeables, 141.800 soluciones hidroalcohólicas, 56 dispositivos de ventilación mecánica invasiva, 80.942 buzos, 328.00 unidades de calzas, delantales, cubremangas y gorros y 640 ventiladores no invasivos. Estos están siendo gestionados por el INGESA (Instituto Nacional de Gestión Sanitaria) pero se desconoce aún si el número de estas equipaciones que finalmente ha llegado a Ceuta y Melilla y, en concreto, a los espacios a que hacemos referencia serán o no suficientes.

    Con respecto a las personas que se encuentran fuera de los CETI y que se encontraban en las calles de ambas ciudades, han sido repartidas, en el caso de Ceuta, entre el Pabellón Polideportivo La Libertad, los adultos, y el Polideportivo Santa Amelia, los niños y jóvenes no acompañados. En el caso de Melilla, la medida tomada ha sido similar: tanto niños como adultos que se encuentran en la calle han sido trasladados en su mayoría, en primer lugar, al polideportivo, y ahora a una carpa habilitada al efecto. Sin embargo, estas medidas no están exentas de problemas debido a la naturaleza del confinamiento y las condiciones del mismo. Las personas allí confinadas coinciden en el frío y la humedad de los espacios, así como las constantes tensiones que se viven en ellos.

    Especial preocupación genera también la situación de los niños y jóvenes que migran solos y que se encuentran en Ceuta o Melilla, tanto los que se encontraban en los centros de acogida como los que se encontraban en las calles, algunos de estos últimos, ahora en los centros de acogida. Veíamos hace ya algunas semanas unas imágenes que mostraban el hacinamiento en el que se encontraban los niños en el centro de La Purísima. Un hacinamiento, por otro lado, habitual en otros momentos, pero que en esa situación se mostraba incompatible con el cumplimiento de las medidas de seguridad para evitar contagios.

    Según denuncian las organizaciones, podría haber en el centro ahora mismo unos 900 niños y jóvenes, hacinados, durmiendo en literas e incluso compartiendo cama. Por ese motivo, desde el centro de acogida de menores La Purísima se comunicó el traslado de unos 150 niños y adolescentes a las cabañas del camping de Rostrogordo habilitadas para dar una solución habitacional a las personas sin hogar de la ciudad autónoma de Melilla en tanto dure esta situación. Sin embargo, al cierre de este artículo aún no se había producido el traslado. Preocupan a las organizaciones como Prodein las condiciones en las que se encuentran y se deja a los niños que se quedan en La Purísima, sin visos de mejorar, preocupación que comparten también los propios niños y trabajadores del centro.

    En el caso de Ceuta, se está preparando, según el Gobierno de la ciudad, el traslado de 230 niños y adolescentes del Centro de La Esperanza a una parcela habilitada en la carretera del Serrallo, y así descongestionar el centro, en el que este momento había unas 400 personas.

    Ya hace algunos días, desde el Servicio Jesuita a Migrantes manifestaban su preocupación por la situación que se estaba dando en la Frontera Sur, especialmente en los sobresaturados CETI y con respecto a los niños de los centros de menores.

    “Deben tomarse de manera urgente las medidas de prevención necesarias que aseguren la higiene continua y el aislamiento social de sus internos para evitar un eventual contagio masivo. Igualmente deben tomarse actuaciones extraordinarias que faciliten la convivencia mientras dure la situación de confinamiento; más si cabe ante la situación de pseudoprivación de libertad en que se encuentran”, señalaban. Medidas similares a las pedidas en otros ámbitos, pero que cobran especial relevancia dentro de la excepcionalidad de las ciudades autónomas.

    https://www.elsaltodiario.com/coronavirus/covid19-aisla-aun-mas-migrantes-Ceuta-Melilla
    #asile #migrations #réfugiés #Espagne #Maroc #isolement #coronavirus #covid-19 #rétention #détention_administrative

    ping @thomas_lacroix

    • Traduction en français :

      Covid19 isole davantage les migrants à Ceuta et Melilla

      En raison de l’isolement résultant de l’état d’alerte, les problèmes habituels, tels que la situation des centres de séjour temporaire des immigrants ou celle des enfants et des adolescents vivant seuls dans les villes, se sont aggravés dans les villes autonomes.

      1 Avr 2020 15:28

      La situation des villes autonomes de Ceuta et Melilla a toujours été particulière, et pas nécessairement pour le mieux. Les situations extrêmes le sont davantage dans les enclaves les plus isolées, ce qui justifie l’éternel sentiment d’abandon qu’éprouvent les habitants des deux villes autonomes. Ce qui se passe à Ceuta et Melilla reste à Ceuta et Melilla.

      Les problèmes habituels, tels que la situation dans les centres de séjour temporaire des immigrés ou celle des enfants et des adolescents vivant seuls dans les villes, se sont aggravés depuis que l’état d’alerte a été décrété le 14 mars dernier. L’isolement dans lequel vivent les habitants de Ceuta et Melilla avec la fermeture des routes maritimes ou aériennes vers la péninsule et la frontière terrestre avec le Maroc est plus évident dans le cas des migrants qui n’ont pas la possibilité de transferts à des fins de travail ou d’autres exceptions qui pourraient être envisagées.

      Il faut ajouter à cela la situation des travailleurs frontaliers qui ont été bloqués à Ceuta ou Melilla suite à la fermeture de la frontière avec le Maroc. Pour ces personnes, les voisin.e.s ont aménagé des lieux dans leurs propres maisons, garages ou locaux - y compris les mosquées de la ville - où ils peuvent être hébergés jusqu’à ce qu’ils puissent retourner chez eux, ainsi que dans les ressources que les deux villes ont mises en place pour la population des rues.

      L’isolement de Ceuta et Melilla avec la fermeture des routes maritimes ou aériennes vers la péninsule et la frontière terrestre avec le Maroc est plus évident dans le cas des migrants

      Mais la préoccupation concerne surtout les personnes dans les centres de séjour temporaire (CETI), ainsi que les migrants vivant dans les villes autonomes, les sans-abri et dans la rue. En ce qui concerne le premier à Ceuta, la délégation gouvernementale a déclaré que la situation est toujours insoutenable dans certains cas, malgré le fait qu’un total de 142 personnes ont été déplacées du centre de séjour temporaire vers le continent depuis le début des restrictions de mouvement afin de « décongestionner le centre ».

      La délégation gouvernementale elle-même reconnaît qu’aucun autre transfert vers la péninsule n’est prévu. Les personnes qui ont été transférées l’ont été dans des centres d’accueil en Andalousie et, dans une moindre mesure, en Castille-La Manche. Cependant, le CETI compte encore de nombreuses personnes ; beaucoup d’entre elles sont en ville depuis huit à dix mois, mais n’ont pas été prises en compte pour les transferts.

      Pour cette raison, il est dénoncé qu’il existe une discrimination à l’encontre des personnes d’origine marocaine qui, précisément pour cette raison, ont entamé une grève de la faim le week-end dernier afin de rendre leur situation visible, de dénoncer cette discrimination et d’appeler la délégation gouvernementale à poursuivre les transferts.

      Mais l’inquiétude n’a fait que croître avec la nouvelle, il y a quelques heures, d’un bébé de 18 mois qui était au CETI et qui a été testé positif au covid19. Il est déjà à l’hôpital, mais la délégation gouvernementale insiste sur le fait que les conditions dans lesquelles il se trouve dans le centre sont correctes.

      Selon la plainte de la CGT Ceuta, la surpopulation continue d’empêcher le respect des mesures recommandées par le ministère de la Santé, telles que le maintien d’une distance de sécurité. Cette distance de sécurité n’existe ni dans les espaces communs ni dans les chambres elles-mêmes, où sont concentrées jusqu’à dix personnes qui dorment dans des lits superposés. Selon les images diffusées par El Faro, les habitants du CETI se nourrissent à quelques centimètres les uns des autres.

      Dans le CETI de Ceuta, la surpopulation continue d’empêcher le respect des mesures recommandées par le ministère de la santé

      La situation à Melilla est similaire. Les organisations dénoncent une importante massification des populations sans qu’aucun protocole de sécurité ne soit appliqué et sans que les équipements de protection soient suffisants. Avec plus de 1 600 personnes dans le centre, qui est fermé, la situation est intenable. Surtout pour les femmes, qui se trouvent dans un espace fortement masculinisé. Sans pouvoir maintenir une distance de sécurité dans aucun des espaces, sans savon, qui n’est plus disponible depuis longtemps, avec des files d’attente pour manger pendant deux heures, et sans pouvoir assurer un traitement adéquat pour certaines personnes souffrant de maladies chroniques. Dans cette situation, la possibilité d’un cas positif de coronavirus est très préoccupante, car, vu la situation, l’exposition serait totale pour le reste des personnes du centre.

      Les exigences à cet égard sont claires : équipements de protection adéquats, décongestion du CETI en permettant de déplacer d’autres espaces et installation de points wifi afin que ceux qui y sont confinés puissent communiquer avec l’extérieur et ainsi réduire la tension que provoque l’incommunication. C’est ce qu’ont déclaré les associations Prodein et Geum Dodou.

      Comme dans d’autres centres de même nature, les plaintes vont au-delà des conditions d’enfermement et touchent également le personnel qui y travaille. Le manque d’équipements de protection individuelle ou de mesures et de matériels d’hygiène augmente les risques de contagion tant pour les travailleurs et le personnel de police eux-mêmes que pour les migrants qui y sont confinés.

      Avec le dernier envoi du gouvernement aux Communautés autonomes, 10 106 908 masques ont été distribués dans les Communautés autonomes, ainsi que 35 103 lunettes de protection, 9 673 100 gants en nitrile, 64 713 blouses jetables et imperméables, 141 800 solutions hydro-alcooliques, 56 dispositifs de ventilation mécanique invasive, 80 942 scaphandres, 328 00 collants, tabliers, housses et casquettes, et 640 ventilateurs non invasifs. Ceux-ci sont gérés par l’INGESA (Institut national de gestion de la santé) mais on ne sait pas encore si le nombre de ces appareils qui ont finalement atteint Ceuta et Melilla et, plus précisément, les espaces mentionnés sera suffisant ou non.

      En ce qui concerne les personnes extérieures au CETI qui se trouvaient dans les rues des deux villes, elles ont été réparties, dans le cas de Ceuta, entre le Pavillon du Polideportivo La Libertad, les adultes, et le Polideportivo Santa Amelia, les enfants et les jeunes non accompagnés. Dans le cas de Melilla, la mesure prise a été similaire : les enfants et les adultes qui se trouvent dans les rues ont été déplacés pour la plupart, d’abord vers le centre sportif, et maintenant vers une tente installée à cet effet. Toutefois, ces mesures ne sont pas sans poser de problèmes en raison de la nature de l’enfermement et des conditions qui y sont liées. Les personnes qui y sont confinées coïncident dans le froid et l’humidité des espaces, ainsi que dans les tensions constantes qui y sont vécues.

      La situation des enfants et des jeunes qui émigrent seuls et qui se retrouvent à la fois dans les centres d’accueil et dans la rue est particulièrement préoccupante

      La situation des enfants et des jeunes qui émigrent seuls et qui se trouvent à Ceuta ou à Melilla est particulièrement préoccupante, qu’ils aient été placés dans des centres d’accueil ou qu’ils soient dans la rue, certains de ces derniers se trouvant maintenant dans des centres d’accueil. Il y a quelques semaines, nous avons vu des images qui montraient la surpopulation dans laquelle se trouvaient les enfants au centre de La Purisima. Le surpeuplement, était courant à d’autres moments, mais dans cette situation, il était incompatible avec le respect des mesures de sécurité visant à prévenir la contagion.

      Selon les organisations, il pourrait y avoir quelque 900 enfants et jeunes dans le centre en ce moment, entassés, dormant dans des lits superposés et partageant même un lit. C’est pourquoi le refuge pour mineurs La Purísima a signalé le transfert de quelque 150 enfants et adolescents vers les cabanes du camping de Rostrogordo, qui ont été mises en place pour offrir une solution de logement aux sans-abri de la ville autonome de Melilla tant que durera cette situation. Toutefois, au moment de la rédaction du présent document, le transfert n’avait pas encore eu lieu. Des organisations telles que Prodein s’inquiètent des conditions dans lesquelles les enfants qui restent à La Purísima sont laissés sans aucun signe d’amélioration, une inquiétude qui est également partagée par les enfants et les travailleurs du centre.

      Dans le cas de Ceuta, selon le gouvernement municipal, des préparatifs sont en cours pour transférer 230 enfants et adolescents du centre La Esperanza vers un terrain réservé sur la route Serrallo, afin de désengorger le centre, qui comptait à l’époque quelque 400 personnes.

      Il y a quelques jours déjà, le Service Jésuite des Migrants a exprimé sa préoccupation quant à la situation qui règne à la frontière sud, en particulier dans le CETI surpeuplé et en ce qui concerne les enfants dans les centres pour mineurs.

      « Les mesures préventives nécessaires doivent être prises d’urgence pour assurer l’hygiène continue et l’isolement social des détenus afin d’éviter une éventuelle contagion massive. De même, des mesures extraordinaires doivent être prises pour faciliter la coexistence pendant la durée de la situation d’enfermement, d’autant plus qu’ils se trouvent dans une pseudo privation de liberté », ont-ils souligné..

      Des mesures similaires à celles demandées dans d’autres domaines, mais qui prennent une importance particulière dans le cadre de l’exceptionnalité des villes autonomes.

    • Hoy es un día histórico en España: los CIE se quedan vacíos

      La ley permite internar a estas personas un máximo de 60 días. Si en este plazo no han sido devueltas, deben quedar en libertad.

      Ninguno de ocho Centros de Internamiento de Extranjeros (CIE) que operan en España cuenta con personas migrantes en su interior desde este miércoles, 6 de mayo, cuando ha cesado el internamiento de la última persona que permanecía en el centro ubicado en Algeciras (Cádiz).

      Así lo han confirmado fuentes del Ministerio del Interior, del que dependen estas instalaciones policiales de carácter no penitenciario diseñadas para poder ejecutar la expulsión del territorio nacional.

      Desde la declaración del Estado de Alarma el pasado 14 de marzo por la pandemia del coronavirus, se ha ido liberando poco a poco a los internos. La ley permite mantenerlos dentro un máximo de 60 días y, si en este plazo no han sido devueltos, deben quedar en libertad. En el contexto actual, que ha derivado en cierres de fronteras, es imposible su retorno a sus países de origen.

      Así pues, se han ido desalojando «de manera ordenada», tal y como aseguró el ministro Fernando Grande- Marlaska en una comparecencia en el Congreso el pasado 23 de abril. Ese día, todavía permanecían tres personas en el CIE de Algeciras, mientras que ya estaban vacíos los otros siete centros.

      Antes del Estado de Alarma, la ocupación de estas instalaciones se situaba en el 59%. De las cerca de 1.200 plazas que hay en estos centros, el número total de plazas disponibles reales rondaba las 700 y 800 plazas, ya que algunas se encontraban en obras (como es el caso del CIE de Barcelona) y otras tantas se tenían que habilitar.

      Ahora, 53 días después de que se decretase la alarma, los CIE están a cero en ocupación. Estos centros existen desde el año 1986, tras contemplarse en la primera Ley de Extranjería (Ley Orgánica 7/1985 sobre Derechos y Libertades de los Extranjeros en España). En ella se establece la posibilidad de que el juez de instrucción acuerde como medida cautelar vinculada a la sustanciación o ejecución de un expediente de expulsión su internamiento en centros que no tengan carácter penitenciario.

      La existencia de estos centros y su internamiento se ha mantenido y ampliado en modificaciones posteriores de la ley de Extranjería y, de hecho, en el año 2014 se aprobó el reglamento de funcionamiento y régimen de los CIE. Si bien, su existencia es muy cuestionada por varias organizaciones que reclaman su cierre inmediato y definitivo y que denuncian la falta de transparencia y violaciones de derechos fundamentales en su interior.
      Lucha por el cierre de los CIE

      De hecho, desde la ’Plataforma CIES NO Madrid’ han emitido un comunicado expresando su «alegría» tras conocer que ninguna persona está interna. «Hoy es un día que no olvidaremos, como tampoco olvidamos las vulneraciones de los derechos humanos, ni las muertes, ni el trato indigno y vejatorio, ni las agresiones ni las torturas, ni el sinfín de aberraciones que han sucedido entre sus muros cada día desde que fueron creados», sostiene.

      Así, ha avisado de que una vez pase la crisis sanitaria de la covid-19 seguirán luchando para que ese cierre sea «irreversible» y hasta convertirlo en definitivo. «No son cifras o números, son historias humanas de supervivencia y sujetos de derechos y responsabilidades. ¿Quién repara el daño causado por su privación de libertad de 60 días en condiciones que muchos de ellos relatan peores que las de los centros penitenciario?», han destacado.

      Durante el desalojo de los CIE, se ha priorizado a aquellos internos con domicilios o arraigo en España, mientras que el resto han pasado a los servicios del Sistema de Acogida, que dependen de la Secretaria de Estado de Migraciones.

      Fuentes de este departamento han confirmado que han recibido a internos procedentes de los CIE de Barcelona, Madrid y Valencia, si bien no han ofrecido el número concreto de personas acogidas tras su liberación de los CIE.

      De acuerdo a un informe del SJM, en 2018 fueron internadas en los CIE un total de 7.855 personas: 7.676 varones y 179 mujeres. Dos tercios de los internos procedían de Marruecos (36%) y de Argelia (32%. Precisamente Marruecos, Guinea y Argelia son los tres países de los que proceden la mayor parte de quienes llegan de manera irregular a España, de acuerdo a datos de ACNUR a fecha 31 de diciembre de 2019.

      En 2017, un total de 8.837 migrantes pasaron por alguno de los siete Centros de Internamiento de Extranjeros (CIE). Sin embargo, fueron 3.041 las personas finalmente enviadas a sus países de origen, mientras que 5.796 personas (el 65,5%) recluidas en los CIE tuvieron que ser puestas en libertad ante la imposibilidad de ejecutar la orden de expulsión.

      Así se reflejó en datos oficiales recopilados en una respuesta parlamentaria a la exsenadora de Unidos Podemos, Maribel Mora, unas cifras que constataban que el Ministerio del Interior, responsable de la gestión de los centros, logró deportar a su país de origen únicamente al 34,5% de los internos.

      https://www.publico.es/sociedad/hoy-dia-historico-espana-cie-quedan-vacios.html

  • Tunisie : Déclaration conjointe de l’UGTT et le FTDES, appelant à protéger les immigrants tunisiens de #Melilla contre le #Covid-19

    L’Union générale tunisienne du travail (UGTT) et le Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES), expriment dans une déclaration conjointe leur grande inquiétude face à la situation des migrants tunisiens au centre de ceti Melilla.

    Face à ces circonstances exceptionnellement que le monde affronte aujourd’hui, suite à la propagation Coronavirus qui représente une grave menace pour la vie humaine, l’UGTT et le FTDES, appellent à adopter le maximum de démarches pour protéger les migrants tunisiens à Melilla, d’autant plus qu’il y a parmi eux des femmes et des enfants, précise la même source.

    L’Union et le Forum demandent également de prendre toutes les mesures préventives nécessaires pour éviter les risques d’infection parmi les migrants, en respectant strictement toutes les normes d’hygiène imposées par l’Organisation mondiale de la santé (OMS), comme les procédures de stérilisation et de maintien de la distance de sécurité entre les personnes, en plus des plans d’urgence pour déplacer les migrants vers des lieux répondant aux exigences sanitaires.

    Dans ces circonstances difficiles, l’UGTT et le FTDES, expriment leur soutien au peuple espagnol et à ses syndicats et institutions de la société civile face à cette épreuve, rappelle la même source.

    https://directinfo.webmanagercenter.com/2020/03/27/tunisie-declaration-conjointe-de-lugtt-et-le-ftdes-appe
    #asile #migrations #réfugiés #migrants_tunisiens #Maroc #coronavirus

    ping @thomas_lacroix

  • #métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements

    Je viens de lire dans un compte-rendu de réunion qui a eu lieu à Milan en juin 2019, ce commentaire, sur la situation à la #frontière italo-slovène :

    Gianfranco Schiavone :

    «Quello che sicuramente dovrebbe diventare una questione delicata é l’annunciato avvio delle pattuglie italo slovene in frontiera con l’obiettivo dichiarato alla stampa di bloccare gli arrivi. Con riammissione senza formalita’ delle persone irregolari intercettate nella fascia dei 5 km dalla frontiera . Queste sono le dichiarazioni pubbliche di questi giorni»

    Une #zone_frontalière de #5_km dans laquelle ont lieu des #refoulements directs.

    #Italie #Slovénie #frontière_sud-alpine #migrations #réfugiés #asile #frontière_mobile #bande_frontalière #frontières_mobiles #zone_frontalière #zones_frontalières #zone-frontière

    Ceci me rappelle d’autres cas, en Europe et ailleurs, dans lesquels des procédures semblables (la frontière n’est plus une #ligne, mais une #zone) ont été mises en place, j’essaie de les mettre sur ce fil de discussion.
    Si quelqu’un a d’autres cas à signaler, les contributions sont bienvenues...

    ping @reka @simplicissimus @karine4 @isskein

    • A la frontière entre franco-italienne :

      Dans un amendement, l’élu a proposé « une zone limitée aux communes limitrophes ou une bande de 10 kms par rapport à la frontière. » Le gouvernement en a accepté le principe, mais « le délimitera de manière précise par décret pour coller à la réalité du terrain. »

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/locales/67705/alpes-du-sud-refus-d-entree-pour-les-migrants-vers-une-evolution-
      #France #Italie #frontière_sud-alpine

    • L’article 10 de la loi renforçant la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme modifie l’article 78-2 du Code de procédure pénale relatif aux contrôles d’identités. Il permet ainsi des contrôles aux frontières pour une durée de douze heures consécutives (contre six auparavant). Il les élargit « aux abords » de 373 gares et dans un rayon de dix kilomètres des ports et aéroports au nombre des points de passage frontaliers. Bien au-delà des simples frontières de l’Hexagone, c’est une partie importante du territoire français qui est ainsi couvert, dont des villes entières comme Paris, Lyon, Toulouse, Marseille, etc.

      source, p.25 : https://www.lacimade.org/wp-content/uploads/2018/06/La_Cimade_Schengen_Frontieres.pdf
      #France

    • Frontière entre #Italie et #Slovénie :

      This month saw the introduction of joint Slovenian and Italian police patrols on their mutual border, raising concerns about the retrenchment of national boundaries contra the Schengen Agreement. The collaboration between authorities, due to be implemented until the end of September, mobilises four joint operations per week, with respective police forces able to enter 10km into the territory of their neighboring state in order to apprehend migrants. Mixed operations by member states signifies a growing trend towards the securitization of the EU’s internal borders, and in this case a tightening of controls on the departure point from the West Balkan route.

      The patrols aim at stemming the transit of migrants from the western Slovenian regions of #Goriška and #Obalno-kraška, into the eastern region of Friuli Venezia Giulia, Italy. Given the extensive pushback apparatus being employed by Slovenian and Croatian officials, arrival in Italy has often been the first place where persons-in-transit can apply for international protection without the threat of summary removal. However, these developments in cross border patrols highlight a growing effort on the part of the Italian government to prevent people seeking sanctuary on its territory.

      (p.15-16)

      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/July-2019-Final-Report.pdf

      –—

      While the exact number of persons arriving via the Slovenian-Italian border is unknown, there has been a sharp rise since April (http://www.regioni.it/dalleregioni/2020/11/09/friuli-venezia-giulia-immigrazione-fedriga-ripensare-politiche-di-controllo-) of people entering Italy from the Balkan route. Not only in Trieste, but also around the province of #Udine, arrivals have increased compared to last year. In Udine, around 100 people (https://www.ansa.it/friuliveneziagiulia/notizie/2020/11/30/migranti-oltre-cento-persone-rintracciate-nelludinese_9fdae48d-8174-4ea1-b221-8) were identified in one day. This has been met with a huge rise in chain pushbacks, initiated by Italian authorities via readmissions to Slovenia. From January to October 2020, 1321 people (https://www.rainews.it/tgr/fvg/articoli/2020/11/fvg-massimiliano-fedriga-migranti-arrivi-emergenza-98da1880-455e-4c59-9dc9-6) have been returned via the informal readmissions agreement , representing a fivefold increase when compared with the statistics from 2019.

      But instead of dealing with this deficit in adherence to international asylum law, in recent months Italian authorities have only sought to adapt border controls to apprehend more people. Border checks are now focusing on trucks, cars and smaller border crossings (https://www.youtube.com/watch?v=fu4es3xXVc8&feature=youtu.be

      ), rather than focusing solely on the military patrols of the forested area. This fits into a strategy of heightened control, pioneered by the Governor of the Friuli Venezia Giulia Region Massimiliano Fedriga who hopes to deploy more detection equipment at the border. The aim is to choke off any onward transit beyond the first 10km of Italian territory, and therefore apply the fast tracked process of readmission to the maximum number of new arrivals.

      https://seenthis.net/messages/892914

      #10_km

    • Kuster Backs Bill To Reduce 100-Mile Zone for Border Patrol Checkpoints

      Congresswoman Ann McLane Kuster is cosponsoring legislation to reduce border zones from 100 to 25 miles from the border (https://www.congress.gov/bill/116th-congress/house-bill/3852?q=%7B%22search%22%3A%5B%22border+zone%22%5D%7D&s=1&r=1), within which U.S. Customs and Border Patrol can set up immigration checkpoints.

      Congressman Peter Welch of Vermont is the prime sponsor of the legislation.

      Kuster was stopped at one such immigration checkpoint in June of this year. The checkpoint, on I-93 in Woodstock, around 90 miles from the border, resulted in 29 tickets for alleged immigration violations.

      The violations were for legal visitors who did not have appropriate paperwork on them, according to the U.S. Customs and Border Protection.

      According to a map from CityLabs, the entire state of New Hampshire falls within a border zone (which includes coastal borders).

      “I think it has a chilling effect,” says Kuster. “It’s not the free and open America that we know.”

      Vermont Senator Patrick Leahy introduced a similar bill to the Senate.

      https://www.nhpr.org/post/kuster-backs-bill-reduce-100-mile-zone-border-patrol-checkpoints#stream/0
      #USA #Etats-Unis

    • Inside the Massive U.S. ’Border Zone’

      All of Michigan, D.C., and a large chunk of Pennsylvania are part of the area where Border Patrol has expanded search and seizure rights. Here’s what it means to live or travel there.

      https://cdn.citylab.com/media/img/citylab/2018/05/03_Esri_Map/940.png?mod=1548686763

      https://www.citylab.com/equity/2018/05/who-lives-in-border-patrols-100-mile-zone-probably-you-mapped/558275
      #cartographie #visualisation
      #100-Mile_Zone

      déjà signalé sur seenthis par @reka en 2018 :
      https://seenthis.net/messages/727225

    • En #Hongrie, les pushbacks, largement pratiqués depuis des années, ont été légalisés en mars 2017 par de nouvelles dispositions permettant aux forces de l’ordre de refouler automatiquement toute personne interpellée sur le territoire hongrois et considérée en situation irrégulière. Ces personnes sont ramenées jusqu’à la clôture et renvoyées de l’autre côté. Si elles manifestent leur volonté de demander l’asile, on leur signifie qu’elles doivent repartir en Serbie et passer par les zones de transit. Pourtant, se trouvant géographiquement et juridiquement en Hongrie (le mur étant situé à 1,5 mètre à l’intérieur du tracé officiel de la frontière), les autorités ont l’obligation de prendre en compte ces demandes d’asile en vertu des conventions européennes et des textes internationaux dont la Hongrie est signataire.

      Tiré du rapport de La Cimade (2018), pp.37-38 :
      https://www.lacimade.org/wp-content/uploads/2018/06/La_Cimade_Schengen_Frontieres.pdf

    • Le zone di transito e di frontiera – commento dell’ASGI al decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2019

      Il 7 settembre 2009 sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2019 che individua le zone di transito e di frontiera dove potrà trovare applicazione la procedura accelerata per l’esame nel merito delle domande di protezione internazionale e istituisce due nuove sezioni delle Commissioni territoriali , come previsto dall’art. 28 bis co. 1 quater del D.lgs. n. 25/2008, introdotto dal d.l. n. 113/2018.

      Le zone di frontiera o di transito sono individuate in quelle esistenti nelle seguenti province:

      –Trieste e Gorizia;

      –Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce e Brindisi;

      –Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina;

      –Trapani, Agrigento;

      –Città metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna.

      Il decreto ministeriale istituisce altresì due nuove sezioni , Matera e Ragusa, le quali operano rispettivamente nella commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato di Bari, per la zona di frontiera di Matera, e nella commissione territoriale di Siracusa, per la zona di frontiera di Ragusa.

      Nel commento qui pubblicato ASGI sottolinea come le nuove disposizioni paiono contrastare con le norme dell’Unione Europea perché si riferiscono in modo assolutamente generico alle “zone di transito o di frontiera individuate in quelle esistenti nelle province” e non ad aree delimitate, quali ad esempio i porti o le aree aeroportuali o altri luoghi coincidenti con frontiere fisiche con Paesi terzi non appartenenti all’Unione europea.

      ASGI evidenzia come “l’applicazione delle procedure accelerate alle domande presentate nelle zone individuate nel decreto ministeriale comporta una restrizione dell’effettivo esercizio dei diritti di cui ogni straniero è titolare allorché manifesta la volontà di presentare la domanda di asilo e una conseguente contrazione del diritto di difesa, in ragione del dimezzamento dei termini di impugnazione e dell’assenza di un effetto sospensivo automatico derivante dalla proposizione del ricorso previsti, in modo differente per le varie ipotesi specifiche, dall’art. 35 bis D. Lgs. 25/08”.

      A tal fine ASGI ricorda che:

      – ai cittadini di Paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alla frontiere esterne, che desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri devono garantire l’informazione, anche sull’accesso procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, adeguati servizi di interpretariato,
      nonché l’effettivo accesso a tali aree alle organizzazioni e alle persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti asilo (art. 8 Direttiva 2013/32/UE);

      – gli Stati membri devono provvedere affinché l’avvocato o altro consulente legale che assiste o rappresenta un richiedente possa accedere alle aree chiuse, quali i centri di trattenimento e le zone di transito (art. 23 par. 2) e analoga possibilità deve essere garantita all’UNHCR (art. 29, par. 1);

      – ai sensi dell’art. 46 par. 1 il richiedente ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice anche nel caso in cui la decisione sulla domanda di protezione internazionale venga presa in frontiera o nelle zone di transito.

      E’ evidente, conclude ASGI nel commento al Decreto, che vi sia il rischio che lo straniero espulso o respinto e che abbia presentato domanda di protezione internazionale dopo l’espulsione o il respingimento in una zona di frontiera tra quelle indicate nel nuovo decreto ministeriale si veda esaminata la sua domanda in modo sommario mentre è trattenuto in condizioni e luoghi imprecisati e inaccessibili di fatto a difensori e organizzazioni di tutela dei diritti.

      Occorre invece ribadire che la presentazione della domanda di protezione internazionale in frontiera riguarderà spesso persone rese ulteriormente vulnerabili dalle condizioni traumatiche del viaggio ed alle quali andrà perciò in ogni caso garantito un esame adeguato della domanda di protezione internazionale e l’applicazione delle garanzie e dei diritti previsti a tutela dei richiedenti protezione internazionale dalle disposizioni nazionali e dell’Unione Europea.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/asilo-zone-transito-frontiera

    • La loi renforçant la lutte contre le terrorisme étend à nouveau les contrôles d’identités frontaliers

      Avant l’entrée en vigueur de la loi du 30 octobre 2017, les #contrôles_frontaliers étaient autorisés dans les espaces publics des #gares, #ports et #aéroports ouverts au trafic international (désignés par un arrêté ministériel) et dans une zone située entre la frontière terrestre et une ligne tracée de 20 kilomètres en deçà. Le législateur avait étendu les zones frontalières, notamment dans les territoires ultra-marins (où la convention de Schengen n’est pourtant pas applicable).

      https://www.editions-legislatives.fr/actualite/la-loi-renforcant-la-lutte-contre-le-terrorisme-etend-a-nouvea
      #France #20_km #20_kilomètres #espace_public #gares_internationales

    • The Grand Chamber Judgment in Ilias and Ahmed v Hungary: Immigration Detention and how the Ground beneath our Feet Continues to Erode

      The ECtHR has been for a long time criticized for its approach to immigration detention that diverts from the generally applicable principles to deprivation of liberty in other contexts. As Cathryn Costello has observed in her article Immigration Detention: The Ground beneath our Feet, a major weakness in the Court’s approach has been the failure to scrutinize the necessity of immigration detention under Article 5(1)(f) of the ECHR. The Grand Chamber judgment in Ilias and Ahmed v Hungary delivered on 21 November 2019 has further eroded the protection extended to asylum-seekers under the Convention to the point that restrictions imposed upon asylum-seekers might not even be qualified as deprivation of liberty worthy of the protection of Article 5. The Grand Chamber overruled on this point the unanimously adopted Chamber judgment that found that the holding of asylum-seekers in the ‘transit zone’ between Hungary and Serbia actually amounts to deprivation of liberty.

      In this blog, I will briefly describe the facts of the case, the findings of the Grand Chamber under Article 3 ECHR that was also invoked by the applicants and then I will focus on the reasoning as to the applicability of Article 5.

      The case concerned two Bangladeshi nationals who transited through Greece, the Republic of Northern Macedonia (as it is now known) and Serbia before reaching Hungary, where they immediately applied for asylum. They found themselves in the transit zone on the land border between Hungary and Serbia, where they were held for 23 days pending the examination of their asylum applications. The applications were rejected on the same day on the ground that the applicants had transited through Serbia that, according to Hungary, was a safe third country. The rejections were confirmed on appeal, an order for their expulsion was issued, the applicants were escorted out of the transit zone and they crossed back into Serbia.

      Procedural Breach of Article 3 ECHR

      The Grand Chamber established that Hungary ‘failed to discharge its procedural obligation under Article 3 of the Convention to assess the risks of treatment contrary to that provision before removing the applicants from Hungary’ to Serbia (para 163). No finding was made on the issue as to whether Hungary was substantively in breach of the right not to be subjected to refoulement given the conditions in Serbia and the deficiencies in the Serbian asylum procedures that might lead to chain refoulement. This omission follows a trend in the Court’s reasoning that can be described as a procedural turn: focus on the quality of the national decision making processes rather than on the substantive accuracy of the decisions taken at national level.[1] This omission, however, had important consequences for the application of Article 5 to the applicants’ case, the most controversial aspect in the Grand Chamber’s reasoning.

      The Chamber’s reasoning under Article 5 ECHR

      On this aspect, the Grand Chamber departed from the Chamber’s conclusion that the applicants were deprived of their liberty. The fundamental question here is whether ‘the stay’ (Hungary used the term ‘accommodation’) of asylum-seekers in the ‘transit zone’ with an exit door open to Serbia, but closed to Hungary, amounts to deprivation of liberty (i.e. detention) in the sense of Article 5 ECHR. Asylum seekers in the transit zone were denied access to the Hungarian territory,[2] but they could leave to Serbia. This creates a complex intertwinement between deprivation of liberty (Article 5(1)(f)) normally understood as not allowing somebody to leave a place, on the one hand, and not allowing somebody to enter a place. Entering a State can be very relevant from the perspective of the obligation upon this State not to refoule, which necessitates a procedure for determining whether there is a risk of refoulement.

      In its judgment from 14 March 2017 the Chamber unanimously answered in positive: by holding them in the transit zone, Hungary deprived the applicants from their liberty, which was in violation of Article 5(1)(f) since this measures had no legal basis in the national law. The Chamber clarified that‘[t]he mere fact that it was possible for them to leave voluntarily returning to Serbia which never consented to their readmission cannot rule out an infringement of the right to liberty.’ (para 55). In this way the Chamber reaffirmed the reasoning in Amuur v France where the Court observed ‘[…] this possibility [to leave voluntary the country] becomes theoretical if no other country offering protection comparable to the protection they expect to find in the country where they are seeking asylum is inclined or prepared to take them in.’ (para 48) It follows that although the transit zone at the French airport was, as France argued, “open to the outside”, the applicants were still considered as having been detained since this ‘outside’ did not offer a level of protection comparable to the one in France.

      The Chamber followed this reasoning from Amuur v France in Ilias and Ahmed v Hungary, which led to the recognition that ‘[…] the applicants could not have left the transit zone in the direction of Serbia without unwanted and grave consequences, that is, without forfeiting their asylum claims and running the risk of refoulement’ (para 55). The Chamber also added that ‘To hold otherwise would void the protection afforded by Article 5 of the Convention by compelling the applicants to choose between liberty and the pursuit of a procedure ultimately aimed to shelter them from the risk of exposure to treatment in breach of Article 3 of the Convention.’ (para 56)

      The ‘practical and realistic’ approach of the Grand Chamber under Article 5 ECHR

      The Grand Chamber in its reasoning broke precisely this linkage between the applicability of Article 5 (the qualification of a treatment as deprivation of liberty) and Article 3 (protection from refoulement). The Grand Chamber performed the following important moves to achieve this. First, it stated that ‘its approach should be practical and realistic, having regard to the present-day conditions and challenges’, which implied that States were not only entitled to control their borders, but also ‘to take measures against foreigners circumventing restrictions on immigration.’ (para 213). With Ilias and Ahmed v Hungary the Court has thus added another nuance to its well-established point of departure in cases dealing with migrants. This point of departure has been that States are entitled, subject to their treaty obligations, to control their borders. The new addition introduced with Ilias and Ahmed v Hungary and also repeated in Z.A. and Others v Russia, a Grand Chamber judgment issued on the same day, concerns States’ right to prevent ‘foreigners circumventing restrictions on immigration’. This addition, however, does not seem appropriate given that the applicants themselves in Ilias and Ahmed v Hungary never circumvented any immigration control restrictions. They applied immediately for asylum.

      This ‘practical and realistic approach’ also implied an endorsement of the representation of the situation as one of ‘crisis’:[3] ‘the Court observes that the Hungarian authorities were in conditions of a mass influx of asylum-seekers and migrants at the border, which necessitated rapidly putting in place measures to deal with what was clearly a crisis situation.’ (para 228) In the same paragraph, the Grand Chamber went on to almost praise Hungary for having processed the applicants’ claims so fast event though it was ‘a crisis’: ‘Despite the ensuring very significant difficulties, the applicants’ asylum claims and their judicial appeals were examined within three weeks and two days.’ It appears as if the Grand Chamber at this stage had already forgotten its findings made earlier in the judgment under Article 3 that the national procedure for examining the applicants’ claims was deficient. This ultimately gave the basis for the Grand Chamber to find a violation of Article 3.

      The distinction based on how asylum-seekers arrive and the type of border they find themselves at

      The second move performed by the Grand Chamber implied the introduction of a distinction between ‘staying at airport transit zones’ (para 214) and at reception centers located on islands (para 216), on the one hand, and a transit zone located on the land border between two Council of Europe Member States (para 219). This meant, as the Court reasoned, that the applicants did not have to take a plane to leave the zone, they could simply walk out of the zone. In other words, it was practically possible for them to do it on their own and they did not need anybody’s help. As the Court continued to reason in para 236, ‘Indeed, unlike the case of Amuur, where the French courts described the applicants’ confinement as an “arbitrary deprivation of liberty”, in the present case the Hungarian authorities were apparently convinced that the applicants could realistically leave in the direction of Serbia [emphasis added].’ This quotation also begs the comment as to why what the national authorities were or were not convinced about actually mattered. In addition, the reference in Ilias and Ahmed v Hungary as to how the national authorities had qualified the situation is also bizarre given that ‘deprivation of liberty’ is an autonomous concept under the Convention. On this point, the two dissenting judges, Judge Bianku and Judge Vućinić criticized the majority by highlighting that ‘the Court has reiterated on many occasions that it does not consider itself bound by the domestic courts’ legal conclusions as to the existence of a deprivation of liberty.’

      Narrowing down the importance of Amuur v France

      The third move performed by the Court is playing down the importance of and narrowing the relevance of Amuur v France. In Ilias and Ahmed v Hungary the Grand Chamber reiterated (para 239) the most significant pronouncement from Amuur: the possibility to leave the zone ‘becomes theoretical if no other country offering protection comparable to the protection they expect to find in the country where they are seeking asylum is included to take them in.’ It then noted that this reasoning ‘must be read in close relation to the factual and legal context in that case.’ This meant that in contrast to the situation in Ilias and Ahmed v Hungary, in Amuur the applicants could not leave ‘without authorization to board an airplane and without diplomatic assurance concerning their only possible destination, Syria, a country “not bound by the Geneva Convention Relating to the Status of Refugees.’ (para 240) On this point Ilias and Ahmed v Hungary can be also distinguished from Z.A. and Others v Russia, where the Grand Chamber observed that ‘[…] unlike in land border transit zones, in this particular case leaving the Sheremetyevo airport transit zone would have required planning, contacting aviation companies, purchasing tickets and possibly applying for a visa depending on the destination.’ (para 154) For the applicants in Ilias and Ahmed ‘it was practically possible […] to walk to the border and cross into Serbia, a country bound by the Geneva Convention.’ (para 241). The Grand Chamber acknowledged that the applicants feared of the deficiencies in the Serbian asylum procedure and the related risk of removal to the Republic of North Macedonia or Greece. (para 242) However, what seems to be crucial is that their fears were not related to ‘direct threat to their life or health’ (para 242). It follows that the possibility to leave for a place will not preclude the qualification of the situation as one of detention, only if this place poses a direct threat to life or health.

      As noted by the two dissenting judges, it did not seem to matter for the majority that the applicants could not enter Serbia lawfully. In this way, the majority’s reasoning under Article 5 appears to endorse a situation where people are just pushed out of the border without some formal procedures with elementary guarantees.

      Read as a whole the Grand Chamber judgment in Ilias and Ahmed v Hungary is inconsistent: it contains two findings that are difficult to square together. The Court concluded that since the applicants would not be exposed to a direct risk in Serbia, they were not detained in Hungary. At the same time, Hungary violated Article 3 of the Convention since it did not conduct a proper assessment of the risks that the applicants could face if they were to return to Serbia.

      Overall weakening of the protection of Article 5 ECHR

      One final comment is due. In Ilias and Ahmed v Hungary, the Grand Chamber summarized the following factors for determining whether ‘confinement of foreigners in airport transit zones and reception centers’ can be defined as deprivation of liberty: ‘i) the applicants’ individual situation and their choices, ii) the applicable legal regime of the respective country and its purpose, iii) the relevant duration, especially in the light of the purpose and the procedural protection enjoyed by applicants pending the events, and iv) the nature and degree of the actual restrictions imposed on or experienced by the applicants.’ (para 217) (see also Z.A. and Others v Russia, para 145) Among these criteria particular attention needs to be directed to the applicable legal regime and the availability of procedural protection. In principle, Article 5, if found applicable, offers certain guarantees (e.g. statutory basis for the deprivation of liberty, access to proceedings for challenging the lawfulness of the detention). The Court seems to have inserted such considerations at the definitional stage of its analysis. For example, in Z.A. and Others v Russia, the Grand Chamber when it examined whether the confinement of the applicants in the airport transit zone amounted to deprivation of liberty, noted that they were left ‘in a legal limbo without any possibility of challenging the measure restricting their liberty’ (para 146). This played a role for the Grand Chamber to conclude that the applicants in Z.A. and Others v Russia were indeed deprived of liberty and Article 5 was thus found applicable. In contrast, the Grand Chamber in Ilias and Ahmed v Hungary observed that certain procedural guarantees applied to the applicants’ case (para 226), which also played a role for the final conclusion that Article 5 was not applicable. In sum, instead of scrutinizing the national legal regime and the access to procedural guarantees as part of the substantive analysis under Article 5, where a single deficiency leads to a finding of a violation (i.e. it is sufficient to find a violation of Article 5 if there is no strictly defined statutory basis for the applicants’ detention), the Court has muddled these criteria together with other factors and made them pertinent for the definitional analysis. This ultimately weakens the roles of these criteria and creates uncertainty.

      [1] See V Stoyanova, ‘How Exception must “Very Exceptional” Be? Non-refoulement, Socio-Economic Deprivation and Paposhvili v Belgium’ (2017) International Journal of Refugee Law 29(4) 580.

      [2] See B Nagy, ‘From Reluctance to Total Denial: Asylum Policy in Hungary 2015-2018’ in V Stoyanova and E Karageorgiou (eds) The New Asylum and Transit Countries in Europe during and in the Aftermath of the 2015/2016 Crisis (Brill 2019) 17.

      [3] Boldizsar Nagy has argued that this representation made by the Hungarian government is a lie. See B Nagy, Restricting access to asylum and contempt of courts: illiberals at work in Hungary, https://eumigrationlawblog.eu/restricting-access-to-asylum-and-contempt-of-courts-illiberals-at

      https://strasbourgobservers.com/2019/12/23/the-grand-chamber-judgment-in-ilias-and-ahmed-v-hungary-immigra
      #justice #CEDH #Hongrie #CourEDH

    • Entre la #Pologne et la #Biélorussie :

      Si cette famille a pu être aidée, c’est aussi parce qu’elle a réussi à dépasser la zone de l’état d’urgence : une bande de 3 km tracée par la Pologne tout du long de sa frontière avec la Biélorussie, formellement interdite d’accès aux organisations comme aux journalistes.
      Le long de la frontière, les migrants se retrouvent donc seuls entre les gardes-frontières polonais et biélorusses. Côté polonais, ils sont ramenés manu militari en Biélorussie… En Biélorussie, ils sont également refoulés : depuis octobre, le pays refuse de laisser entrer les migrants déjà passés côté européen. « La seule chance de sortir de la Pologne, c’est d’entrer en Biélorussie. La seule chance de sortir de la Biélorussie, c’est d’entrer en Pologne. C’est comme un ping-pong », confie Nelson (pseudonyme), un migrant originaire de la République démocratique du Congo qui a contacté notre rédaction.

      https://seenthis.net/messages/948199
      et plus précisément ici :
      https://seenthis.net/messages/948199#message948201

      –-

      Et l’article de Médiapart :
      Entre la Pologne et le Belarus, les migrants abandonnés dans une #zone_de_non-droit
      https://seenthis.net/messages/948199#message948202

    • « À titre de mesures compensatoires à l’entrée en vigueur de la convention de Schengen – qui, du reste, n’était pas encore applicable –, la loi du 10 août 1993 instaure les contrôles dits frontaliers : la police, la gendarmerie et la douane peuvent vérifier l’identité de toute personne, pour s’assurer qu’elle respecte les obligations liées à la détention d’un titre de circulation ou de séjour, dans la zone frontalière et dans les zones publiques des ports, aéroports et gares ouvertes au trafic international. La zone frontalière est une bande de terre, large de 20 km, longeant la frontière terrestre ; les ports, gares ou autres aérogares visés figurent sur une longue liste fixée par un arrêté ministériel. »

      (Ferré 2018 : 16)

      –-

      « Il suffit de passer quelques heures à la gare de Menton pour le constater. Pour les personnes présumées étrangères, la liberté d’aller et de venir dans les espaces placés sous surveillance est restreinte. Elle a encore été réduite avec la loi du 30 octobre 2017 renforçant la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme qui modifie, une fois de plus, le texte de loi sur les contrôles d’identité en étendant les zones frontalières autour de certains ports et aéroports qui constituent des points de passage frontaliers au sens du code frontières Schengen, soit « tout point de passage autorisé par les autorités compétentes pour le franchissement des frontières extérieures ». Dans ces nouvelles zones, la police pourra procéder à des opérations de contrôle sans avoir besoin de motiver son intervention. La loi de 2017 a également prévu que les contrôles frontaliers puissent s’effectuer « aux abords des gares » et non plus seulement dans les zones publiques de ces lieux. La formulation souffre, c’est peu de le dire, d’un manque de précision qui donne plus de latitude encore aux forces de l’ordre. »

      (Ferré 2018 : 19)

      source : Nathalie Ferré, « La France s’enferme à double tour », Plein Droit, 2018, n°116.

      #20_km #20_kilomètres

    • #Pyrénées, frontière #Espagne-#France, témoignage d’une personne ayant acheté un terrain en zone frontalière :

      « En ce moment, on croise plein de voitures de forces de l’ordre, ce qui est étonnant en plein hiver car il n’y a personne. Il y a aussi des barrages de police réguliers car ils savent que des gens se font prendre sur la route », raconte Camille Rosa, cofondatrice d’une cantine solidaire à Perpignan. « On a acheté avec des copains un petit terrain vers Cerbère. Un jour, des gendarmes sont venus fouiller notre camion alors que mes enfants faisaient la sieste à l’intérieur. J’ai tenté de m’interposer, mais ils m’ont dit que sur la #zone_frontalière, ils avaient une #commission_rogatoire_permanente », poursuit-elle.

      https://seenthis.net/messages/950934

    • #France :

      Le contrôle d’identité « Schengen » permet de vérifier le respect des obligations liées aux titres et documents d’identité et de voyage. Il peut avoir lieu dans une zone située à moins de #20_kilomètres de la frontière terrestre séparant la France d’un pays limitrophe (Allemagne, Belgique, Espagne, Italie, Luxembourg et Suisse). Si le contrôle a lieu sur l’autoroute ou dans un train, la zone s’étend jusqu’au 1er péage ou l’arrêt après les 20 kilomètres. Le contrôle peut être effectué dans un port, un aéroport ou une gare et ses abords accessible au public et ouverte au trafic international. Le contrôle ne peut pas être pratiqué plus de 12 heures consécutives dans un même lieu et ne peut pas être systématique.

      Depuis la loi n° 2017-1510 du 30 octobre 2017 renforçant la sécurité intérieure, des contrôles d’identité peuvent également être effectués dans un rayon de #10_kilomètres autour de certains #ports et #aéroports sur le territoire.

      C’est ce dernier contrôle qui concerne majoritairement les personnes se présentant à la frontière francoitalienne, mais certaines situations suivies par les militants locaux laissent penser que d’autres types de contrôles ont pu servir pour justifier les arrestations de personnes au-delà de la bande des 20 kilomètres ou des zones transfrontalières.

      Rapport de l’Anafé, Persona non grata, 2019 : http://www.anafe.org/spip.php?article520

      –—

      Rapport CNCDH 2018, p.7 :

      « la préfète des Hautes-Alpes a expliqué que la zone permettant de procéder à des refus d’entrée avait été définie par son prédécesseur mais qu’elle ne correspondait pas nécessairement à la bande des 20 kms14. Selon la PAF, les refus d’entrée peuvent être prononcés dès lors que l’étranger est contrôlé sur le territoire des communes de Montgenèvre et Nevache, et donc jusqu’à l’entrée de Briançon. »
      Il convient de rappeler que des contrôles aléatoires, hors du cadre dérogatoire prévu en cas de rétablissement des frontières, peuvent être opérés, conformément à l’article 78-2 du code de procédure pénale, dans une zone comprise entre la frontière terrestre de la France avec les Etats de l’espace et une ligne tracée à 20 kilomètres en deçà, ainsi que dans les zones accessibles au public des ports, aéroports et gares ferroviaires ou routières ouverts au trafic international et désignés par arrêté et aux abords de ces gares. Ces contrôles sont toutefois strictement encadrés, notamment par la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne. Les personnes interpellées sur ce fondement peuvent faire l’objet d’une procédure de réadmission. En revanche, lorsque les contrôles aux frontières intérieures sont rétablis, les autorités françaises peuvent refuser l’entrée aux étrangers ne remplissant pas les conditions d’entrée sur le territoire aux frontières terrestres et leur notifier une décision de non-admission. Ces étrangers sont considérés comme n’étant pas entrés sur le territoire

      https://www.cncdh.fr/fr/publications/avis-sur-la-situation-des-migrants-la-frontiere-franco-italienne

      #10_km #20_km

    • Sur le #Bibby_Stockholm barge at #Portland Port :

      “Since the vessel is positioned below the mean low water mark, it did not require planning permission”

      https://seenthis.net/messages/1000870#message1011761

      voir aussi :

      “The circumstances at Portland Port are very different because where the barge is to be positioned is below the mean low water mark. This means that the barge is outside of our planning control and there is no requirement for planning permission from the council.”

      https://news.dorsetcouncil.gov.uk/2023/07/18/leaders-comments-on-the-home-office-barge

      #UK #Angleterre

    • The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      https://seenthis.net/messages/1018938#message1023987
      #fiction_de_non-entrée

      –—

      Ce terme est empruntée d’une vieille loi des Etats-Unis, The Immigration Act 1891 :

      “The Immigration Act 1891 was the first to expressly mention detention, as it made provision for officers to ’inspect all such aliens’ or ’to orcier a temporary removal of such aliens for examination at a de ignated time and place, and then and there detain them until a thorough inspection is made’. The Act alsa created the very important provision that came to be known as the ’entry fiction’. According to this, a removal to shore for examination ’shall not be considered a landing during the pendency of such examination’. This was a criticallegal (and constitutional) innovation because it meant that th ose incarcerated must be treated as if they were not there. This was both an attempt to treat the place of detention as if it were sim ply an extension ofbeing held on board ship, but also something more serious. The concept of being physically detained within the territorial land-mass of the United States but not being considered legally present was radical. It suggested a kind of limbo - with the detention centre constituting perhaps an extra-legal space- putting immigrants beyond the reach of constitutional norms, pending a final executive decision to land or deport them.”

      source : Daniel Wilsher, Immigration detention : law, history, politics, 2012, p. 13