Mobilisation propalestinienne à Sciences Po Paris : Emmanuel Macron dénonce des propos « intolérables »
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/13/mobilisation-propalestinienne-a-sciences-po-paris-emmanuel-macron-denonce-de
Le gouvernement reprend les mots d’ordre de la bollorésphère. Les étudiants incriminés contestent fermement tout propos antisémité
Plusieurs personnalités politiques se sont indignées de l’occupation de l’établissement par des étudiants propalestiniens et des propos tenus à cette occasion. Dans un courriel adressé à la communauté éducative, la direction a estimé que « plusieurs lignes rouges » ont été franchies.
Le Monde avec AFP
Publié aujourd’hui à 14h13, modifié à 15h38
Lors du conseil des ministres réuni mercredi 13 mars, le président français, Emmanuel Macron, a dénoncé les « propos inqualifiables et intolérables » rapportés la veille lors d’une mobilisation propalestinienne dans les locaux de Sciences Po Paris. Selon le chef de l’Etat, « l’autonomie » des universités ne justifie pas le « moindre début de séparatisme », a déclaré la porte-parole du gouvernement, Prisca Thevenot.
Mardi, une centaine d’étudiants ont occupé la principale salle, l’amphithéâtre Boutmy, dans le cadre d’une journée de mobilisation universitaire européenne pour la Palestine. Ce mouvement répondait à l’appel de la Coordination universitaire contre la colonisation en Palestine (CUCCP). Les étudiants appelaient notamment à une protection des étudiants propalestiniens sur le campus.
Dans un courriel adressé à la communauté éducative de Sciences Po mardi soir, la direction s’est émue de cette occupation non autorisée. Elle explique qu’un cours magistral a dû être annulé et qu’un étudiant a été empêché d’accéder à la salle. L’Union des étudiants juifs de France a affirmé que des jeunes appartenant à l’association ont été « pris à partie comme juifs et sionistes ».
La ministre de l’enseignement supérieur et de la recherche, Sylvie Retailleau, s’était rendue dans les locaux parisiens dans la journée, condamnant cette occupation. « Nos établissements sont des lieux d’études et de débats. Le droit doit y être strictement respecté. Il est intolérable et choquant d’y subir la moindre discrimination, la moindre incitation à la haine », avait-elle écrit dans un tweet.
La présidente de la région Ile-de-France, Valérie Pécresse, a elle aussi condamné ce qu’il s’est passé sur X, écrivant que « la direction de Sciences Po doit réagir fermement face à ces incidents qui se multiplient. La cause palestinienne mérite mieux que ces saillies antisémites dignes des pires heures de l’histoire de France ». Toujours sur X, le député La France insoumise (LFI) Aymeric Caron a de son côté félicité les étudiants mobilisés contre le génocide à Gaza, tout comme la candidate LFI aux élections européennes Rima Hassan.
Une réponse ferme
La direction de Sciences Po a annoncé saisir la section disciplinaire compétente contre les personnes à l’origine de « ces agissements intolérables ». « Le conflit en cours depuis le 7 octobre [2023] entre Israël et le Hamas nous affecte, poursuit le courriel, il a des répercussions au sein de Sciences Po, parmi les étudiants, les enseignants et les salariés… Sciences Po est un lieu qui doit préserver et soutenir l’ensemble des membres de ses communautés, et continuera de proposer des initiatives qui prennent en compte l’expression de ces souffrances, ainsi que la compréhension de cette crise. »
Les étudiants mobilisés ont dénoncé dans un communiqué, par le biais du Comité Palestine Sciences Po Paris, « des accusations infondées d’antisémitsme de la part de l’extrême droite » et affirment ne tolérer aucuns propos racistes, islamophobes, antisémites, sexistes dans leur lutte.
La réaction de l’administration intervient dans un contexte agité alors que président de Sciences Po Paris, Mathias Vicherat, a annoncé sa démission mercredi 13 mars au matin, après avoir appris son renvoi et celui de son ex-compagne devant le tribunal correctionnel pour des faits de violences conjugales. Un administrateur provisoire doit être nommé dans les prochains jours.
Le communiqué du comité Palestine : ▻https://www.instagram.com/p/C4c0RkioqSS
#sciencespo #université #Gaza #menaces
Un rapporto sulla frontiera tra Lettonia, Russia e Bielorussia
Il monitoraggio della ONG “I want to help refugees”
A ottobre 2023 la ONG lettone Gribu palīdzēt bēgļiem (Voglio aiutare i rifugiati) 2, ha pubblicato un report sulla monitoraggio delle frontiere curato da Anna E. Griķe e Ieva Raubiško 3.
Questa pubblicazione segue il report sulla visita effettuata in Lettonia dal 10 al 20 maggio del 2022 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), un dossier a cui il governo lettone ha replicato in modo ambiguo e fuorviante. L’ONG lettone ha così deciso di redigere un proprio report che contesta le affermazione governative.
Il Rapporto del Comitato europeo, infatti, forniva 21 raccomandazioni in merito alla situazione di detenzione nei confronti delle persone migranti, mentre la risposta del governo lettone considerava 18 di queste come risolte e/o ingiustificate, per cui non dovrebbero essere prese ulteriori misure, e 3 raccomandazioni presentate insieme a una potenziale azione.
Tra le raccomandazioni, il CPT ha indicato alle autorità lettoni di garantire che le persone migranti che arrivano nella zona di frontiera o che sono presenti nel Paese non siano rimpatriate con la forza in Bielorussia. E’, invece, doveroso effettuare uno screening individuale al fine di identificare le persone bisognose di protezione, valutare tali necessità e prendere le misure appropriate. Inoltre, è essenziale che i cittadini stranieri abbiano accesso a una procedura di asilo, o altra procedura di soggiorno, che preveda una valutazione del rischio di maltrattamento in caso di espulsione della persona interessata verso il Paese di origine o un Paese terzo, sulla base di un’analisi obiettiva e indipendente della situazione dei diritti umani in quegli Stati.
Per le autorità lettoni, attualmente, la situazione nei territori amministrativi al confine tra Lettonia e Bielorussia è considerata come un’emergenza e «non consente il flusso incontrollato di persone che attraversano il confine di Stato in luoghi non previsti», e allo stesso tempo non limita il diritto delle persone ad accedere alla procedura di asilo, poiché «il diritto di presentare una domanda al valico di frontiera previsto dalla legge sull’asilo non è limitato».
Tuttavia, le testimonianze delle persone respinte con la forza dal confine lettone verso la Bielorussia indicano che al confine non viene effettuato un esame adeguato (ad esempio, non vengono verificati i documenti d’identità: nazionalità, età e altri dati identificativi sono sconosciuti), in violazione del divieto di espulsione collettiva dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla CEDU (principio di non-refoulement). Ci sono stati casi in cui non solo le famiglie con bambini, ma anche i minori non accompagnati sono stati respinti. Inoltre, perfino il principio dell’unità familiare non sempre è rispettato.
Altre testimonianze di persone che sono riuscite ad entrare in Lettonia e hanno presentato domanda di asilo per motivi umanitari, mostrano che né le autorità bielorusse né quelle lettoni permettono ai migranti di spostarsi verso i valichi di frontiera ufficiali, respingendo invece in Lettonia o in Bielorussia, nonostante la legislazione vigente preveda che le persone possano presentare domanda di asilo ai valichi di frontiera ufficiali (ce ne sono due a Pāternieki e Silene) e al Centro di detenzione per stranieri di Daugavpils.
Per dissuadere le persone dall’attraversare la frontiera, le guardie ricorrono all’uso della forza fisica e mezzi speciali, nonché all’uso di cani da guardia. Il 29 agosto 2023, il governo ha ratificato gli emendamenti al “Regolamento sui tipi di mezzi speciali e sulla procedura per il loro utilizzo“, prevedendo oltre ai mezzi speciali già in uso – tra cui manganelli, taser, spray di gas cs, candelotti e granate fumogene, granate a gas, luminose e sonore – anche dispositivi sonori con effetti stordenti.
L’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine è illegale e per questo il CPT ha raccomandato che le forze dell’ordine vengano informate a riguardo e ricevano una formazione pratica sull’uso proporzionato della forza per l’arresto di cittadini stranieri alla frontiera.
Le autorità lettoni ribattono di non aver fatto ricorso alla forza fisica e a mezzi speciali contro le persone migranti in quanto non si sono verificati casi in cui queste non hanno obbedito agli ordini considerati legittimi delle guardie di frontiera: le persone, infatti, vengono informate che l’attraversamento del confine di Stato è illegale e che è prevista una responsabilità penale per il suo attraversamento e vengono invitate a non attraversare il confine di Stato o, di conseguenza, a tornare in Bielorussia. Nonostante sia consentito l’uso dei taser ai funzionari, attualmente non sono utilizzati per la sorveglianza delle frontiere a causa della loro carenza numerica, del loro breve periodo di autonomia e della necessità di utilizzarli per le esigenze di altri servizi dell’SBG 4.
Tuttavia, la risposta del governo è in contraddizione con diverse testimonianze di persone migranti raccolte da “Voglio aiutare i rifugiati” nel 2022-2023, che hanno subito violenze emotive e fisiche, tra cui insulti e minacce, percosse e folgorazioni, sia durante i respingimenti che durante la permanenza nelle tende/basi dell’SBG in territorio lettone.
Secondo queste testimonianze, gli abusi sono stati commessi il più delle volte da membri di unità speciali non identificate che indossavano maschere. Nel report si legge che «almeno quattro denunce sull’uso eccessivo della violenza sono state presentate all’Ufficio per la sicurezza interna e uno dei denuncianti si è rivolto alla Corte europea dei diritti umani».
Per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati, il Comitato vorrebbe fosse adibita una struttura specifica, mentre il governo lettone afferma che sarebbe impossibile in quanto il numero dei minori è esiguo. Per l’associazione questa risposta è fuorviante: nonostante il basso numero solo alcuni minori non accompagnati vengono accolti in modo adeguato. Nel maggio 2023 Anna E. Griķe ha incontrato una ragazza di 13 anni dell’isola di Comore ospitata nel “centro di accoglienza” per richiedenti asilo “Mucenieki“, che offriva le stesse condizioni di alloggio degli adulti e che quindi non può essere considerato un istituto di assistenza all’infanzia. Tra il 4 e il 7 luglio la minore è scomparsa.
Oltre a strutture specifiche adeguate per l’età dei richiedenti asilo, il CPT vorrebbe assicurare ai richiedenti asilo trattenuti nei centri di Daugavpils e Mucenieki attività come lezioni di lingua, di computer, percorsi formativi ecc. Il massimo sforzo dovrebbe essere dedicato soprattutto per garantire ai bambini in età scolastica attività educative adeguate.
Il governo lettone ha risposto che all’SBG non compete la pianificazione delle attività del tempo libero, tuttavia collabora con le ONG lettoni, come l’associazione “Voglio aiutare i rifugiati” e la Croce Rossa che, per quanto possibile, assicurano l’organizzazione di varie attività ricreative, di socializzazione e integrazione, misure di sostegno psicologico e di istruzione.
Nonostante ciò, il report afferma che da quanto osservato nel 2023 l’unica attività garantita dalla CR è stata fornire indumenti scadenti a entrambi i centri di detenzione e che solo nell’estate del 2023 l’associazione ha organizzato attività settimanali in entrambi i centri di detenzione per bambini e famiglie e a volte per adulti: un’iniziativa basata sulla buona volontà, non una soluzione sistemica.
In ultima istanza, il report si occupa delle problematiche relative alle cure psichiatriche e all’assistenza psicologica nei centri di detenzione. Il CPT insiste che siano presi provvedimenti a riguardo insieme a un necessario servizio di interpretariato professionale. Le autorità lettoni dichiarano che in base alla proposta avanzata dall’Ong “Medici senza frontiere“, nel periodo compreso tra luglio e il 31 dicembre 2022, i loro rappresentanti hanno visitato regolarmente l’IDC (centro di detenzione per immigrati) di Daugavpils e di Mucenieki, fornendo assistenza psicologica agli stranieri detenuti e ai richiedenti asilo ospitati nell’IDC dell’SBG.
Da quando Medici Senza Frontiere ha cessato la sua attività in Lettonia, nel dicembre 2022 5, non è più disponibile alcun supporto psicologico per le persone detenute. Inoltre nel 2013, l’SBG e la Croce Rossa Lettone hanno firmato un accordo di cooperazione, in base al quale quest’ultima si è impegnata a fornire per le persone accolte misure di sostegno psicologico ed educativo. Secondo “Voglio aiutare i rifugiati” la Croce Rossa non ha offerto assistenza psicologica presso gli IDC anche a causa della difficoltà di organizzare gli interpreti. Sebbene le ONG possano offrire un valido supporto psicologico ai richiedenti asilo e agli stranieri detenuti nei centri di detenzione, i loro servizi non possono essere considerati una sostituzione del supporto psicologico che lo Stato dovrebbe fornire.
“Voglio aiutare i rifugiati” ha ripreso lo slogan “Nessuno è illegale” (Neviena persona nav nelegāla!) per cercare di sensibilizzare sulla situazione al confine: «Il termine “migrante irregolare” non solo è indesiderabile (ad esempio, si veda il Glossario sulle migrazioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni), ma denigra anche i diritti umani di qualsiasi migrante e non è in linea con i principi delle buone pratiche».
La maggior parte delle persone giunte in Lettonia dalla Bielorussia sono richiedenti asilo: fino a quando non verrà presa una decisione sul loro status, da un punto di vista giuridico dovrebbero essere chiamati richiedenti asilo, nonostante abbiano attraversato il confine “illegalmente“. Da un punto di vista legale ed etico, un processo o un atto può essere etichettato come irregolare, ma non lo può essere una persona.
Nessuna persona, infatti, è illegale!
▻https://www.meltingpot.org/2024/03/un-rapporto-sulla-frontiera-tra-lettonia-russia-e-bielorussia
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]]>L’Europe doit mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants
« Dans toute l’Europe, il est de plus en plus fréquent que des organisations et des individus soient harcelés, intimidés, victimes de violences ou considérés comme des délinquants simplement parce qu’ils contribuent à protéger les droits humains des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants. Les États européens doivent mettre fin à cette répression », a déclaré aujourd’hui la Commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatović, à l’occasion de la publication d’une Recommandation sur la situation des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.
Cette Recommandation, intitulée Protéger les défenseurs : mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe, donne un aperçu des défis auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains et présente les mesures que les États membres du Conseil de l’Europe devraient prendre pour les protéger.
Dans le contexte de politiques d’asile et de migration répressives, sécuritaires et militarisées, les États négligent de plus en plus leur obligation de veiller à ce que les défenseurs des droits humains puissent travailler dans un environnement sûr et favorable. En conséquence, de multiples formes de répression s’exercent sur les défenseurs qui participent à des opérations de sauvetage en mer, fournissent une aide humanitaire ou une assistance juridique, mènent des opérations de surveillance des frontières, assurent une couverture médiatique, mènent des activités de plaidoyer, engagent des procédures contentieuses, ou soutiennent par d’autres moyens encore les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.
La Recommandation examine les problèmes auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains, notamment :
- des propos hostiles et stigmatisants tenus par des représentants gouvernementaux, des parlementaires et certains médias ;
– des violences et des menaces, et le manque de réaction des autorités pour y répondre ;
– la criminalisation du travail humanitaire ou de défense des droits humains mené auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants, due à une application trop large des lois sur le trafic illicite de migrants ;
– le refus d’accès à des lieux où il est essentiel d’assurer un suivi de la situation des droits humains ou de fournir une aide, tels que des centres de détention ou d’accueil ou des zones frontalières.
« Les gouvernements européens devraient voir les défenseurs des droits humains comme des partenaires qui peuvent contribuer de manière déterminante à rendre les politiques d’asile et de migration plus efficaces et respectueuses des droits humains. Au lieu de cela, ils les traitent avec hostilité. Cette politique délibérée porte atteinte aux droits humains des acteurs de la société civile et des personnes auxquelles ils viennent en aide. Par extension, elle ronge le tissu démocratique des sociétés », a déclaré la Commissaire.
Afin d’inverser cette tendance répressive, la Commissaire appelle à prendre d’urgence une série de mesures, dont les suivantes :
- réformer les lois, politiques et pratiques qui entravent indûment les activités des défenseurs des droits humains ;
– veiller à ce que les lois sur le trafic illicite de migrants ne confèrent le caractère d’infraction pénale à aucune activité de défense des droits humains ou d’aide humanitaire menée auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants ;
- lever les restrictions d’accès aux lieux et aux informations ;
- mettre fin au discours stigmatisant et dénigrant ;
- établir des procédures de sécurité efficaces pour les défenseurs confrontés à des violences ou à des menaces et veiller à ce que ces cas fassent l’objet d’enquêtes effectives.
▻https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/264775174?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTAN
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Ce que ça coûte de s’exprimer sur Israël-Palestine
Personne ne devrait avoir à craindre de prendre la parole dans le champ médiatique, y compris pour exprimer des critiques à l’encontre de la politique israélienne. Pourtant chercheurs, journalistes ou responsables politiques préfèrent souvent ignorer le sujet, ou nuancer leur propos, plutôt que d’être la cible de la fachosphère et de ses relais institutionnels.
Après mon récent passage sur France 5, dans l’émission « C ce soir », j’ai reçu beaucoup de messages de soutien, mais aussi quelques critiques et insultes. Rien de nouveau et tout cela aurait dû, comme à l’habitude, en rester là. Mais Florence Bergeaud-Blackler, dont les écrits lui ont valu le titre de « prophète » par Valeurs actuelles, a décidé de me prendre pour cible sur plusieurs tweets. En utilisant son statut de fonctionnaire au CNRS, elle multiplie les invectives et procès d’intention sur les réseaux sociaux, qui relèvent toujours davantage d’attaques personnelles que de critiques de fond. Dans mon cas, elle accuse France Télévisions de donner le micro à un « militant », un terme qui vise à disqualifier n’importe quel chercheur qui expose des analyses opposées aux siennes.
Il n’en fallait pas plus, le soir-même, à Pascal Praud pour décider de diffuser un extrait de mon passage à France 5 dans son émission sur CNews, « L’heure des pros 2 », au plus fort de l’audience. Au programme : lecture des tweets de leur égérie et donner la parole à ses « chroniqueurs » pendant cinq minutes pour enfoncer le clou. Évidemment, les inconditionnels du soutien à Israël s’en sont donnés à cœur joie : dans l’objectif évident de me décrédibiliser, ils s’en prennent essentiellement à mon parcours, préférant partir sur le terrain personnel au détriment du fond. La rédaction de CNews avait pourtant jugé bon, à deux reprises en 2023, de me proposer d’intervenir sur leur plateau, ce que j’ai toujours refusé.
Peu importe les fantasmes de ces gens, le statut de « chercheur indépendant », c’est-à-dire d’activités de recherche effectuées en dehors d’un cadre universitaire, est le seul au nom duquel je peux m’exprimer dans les médias. Il n’y a aucune usurpation, et si c’était le cas, mes propres contradicteurs sur les plateaux n’hésiteraient pas à me le rappeler. Du reste, je refuse de me soumettre aux injonctions à justifier mon parcours ou ma légitimité. Analyses d’archives, études de terrain et de données statistiques, entretiens et suivi d’acteurs de premier plan : mes écrits et travaux parlent pour moi, et j’attends de celles et ceux qui ne les partagent pas qu’on en débatte. Il ne devrait être question que de cela.
Désigner une cible, l’harceler d’insultes et de menaces, faire taire en terrorisant : voici les méthodes de l’extrême droite islamophobe et des inconditionnels d’Israël, les deux ayant largement convergé sous Netanyahou. Naturellement, tout cela ne peut pas être déconnecté d’un climat plus global de censure et de restriction de toute parole critique de la politique de l’État d’Israël. Si j’en ai été cette semaine la cible, d’autres en ont fait l’expérience par le passé.
C’est la principale raison qui m’a poussé à écrire cet article : mettre en lumière ces procédés, qui ne peuvent laisser indemne, et poussent nombre de chercheurs à s’autocensurer par peur d’être à leur tour victimes d’attaques personnelles. L’enjeu est donc profondément démocratique : en laissant de telles pratiques prospérer, la société risque à terme de plus en plus se priver des analyses et regards d’experts ou d’intellectuels reconnus, capables de proposer des clés de compréhension à des problématiques sensibles et de premier ordre.
►https://blogs.mediapart.fr/thomasvescovi/blog/280124/ce-que-ca-coute-de-s-exprimer-sur-israel-palestine
#médias #libertés_académiques #fachosphère #réseaux_sociaux #attaques #militantisme #disqualification #recherche #Pascal_Praud #CNews #décrédibilisation #insultes #menaces #extrême_droite #censure #cible #autocensure #auto-censure
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voir aussi ce fil de discussion initié par @rumor :
▻https://seenthis.net/messages/1038855
« #B'Tselem – le centre israélien d’information pour les droits de l’homme dans les #territoires_occupés – a promu en 2007 un projet qui consistait à donner des caméras vidéo aux Palestinien.ne.s en Cisjordanie afin qu’ils/elles puissent documenter les violations des droits de l’homme qu’ils étaient contraint.e.s de subir sous l’occupation israélienne. Ces #enregistrements_vidéo bruts capturent de la manière la plus simple et la plus efficace les abus quotidiens et implacables commis à répétition par les colons illégaux et l’armée contre les Palestinien.ne.s. Au fil des ans, tous ces films sont devenus des #archives vivantes et malheureusement en constante expansion des #abus incessants et de la violence dont souffre la population palestinienne et avec lesquels elle doit vivre. Of Land and Bread rassemble certains de ces courts métrages dans un long métrage documentaire qui n’est indéniablement pas facile à regarder. La brutalité des colons et de l’armée n’épargne personne. Et pourtant, il est nécessaire de voir pour bien saisir et comprendre l’ampleur du cycle sans fin des violations des droits de l’homme auxquelles les Palestinien.ne.s sont confronté.e.s, alors que le monde regarde obstinément de l’autre côté. »
Ariane Lavrilleux au Parlement européen : « La France pousse pour l’espionnage des journalistes »
▻https://disclose.ngo/fr/article/ariane-lavrilleux-au-parlement-europeen-la-france-pousse-pour-lespionnage-
Un mois après sa garde à vue et la perquisition de son domicile par les agents de la DGSI, la journaliste de Disclose, Ariane Lavrilleux, est intervenue au Parlement européen, mardi 17 octobre, pour dénoncer les menaces croissantes pour la liberté de la presse en France. Lire l’article
]]>Vous connaissez Charline Avenel ? Mathieu Billière
(@mathieubil sur l’oiseau mort)
▻https://threadreaderapp.com/thread/1703124612811210937.html
Vous connaissez Charline Avenel ? Non ? Laissez-moi vous la présenter. Elle a été rectrice de l’Académie de Versailles de 2018 à juillet 2023. C’est donc elle qui a géré les alertes lancées par Samuel Paty 1/7
C’est elle qui avait déclenché le recrutement par #job_dating et donc balancé dans le grand bain des gens qui n’avaient aucune expérience, et dont près de 70% ont très vite quitté le poste. 2/7
Et c’est donc elle qui dirigeait les bureaux qui ont envoyé la lettre menaçant les parents d’un élève harcelé de poursuites judiciaires. C’est déjà pas mal non ? Attendez. 3/7
▻https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Charline_Avenel
#éducation_nationale #école #enseignants #recrutement #élèves #harcèlement_scolaire #menaces_de_poursuites_judiciaires #abus_de_pouvoir #enseignement_supérieur_privé #Ionis #népotisme
]]>🛑 « LA RAISON » 683 (juillet-août 2023) - FNLP
Le retour des nervis ?
Nervi : dictionnaire Larousse : Homme de main, tueur.
Le fascisme, ce n’est pas une idéologie, c’est avant tout des bandes de nervis armés.
Depuis plusieurs années, la Libre Pensée est l’objet de menaces, d’agressions et d’intimidations en raison de ses succès juridiques pour faire respecter l’article 28 de la loi de 1905. Cela émane de groupes ultra-catholiques comme Civitas à l’association sablaise « touche pas à ma statue ». Tags, bris de vitre, manifestations devant le siège.
Parmi les tags hostiles apposés sur les murs de notre librairie, figurent la croix celtique (emblème traditionnel de l’extrême-droite en France), la croix de Jérusalem ou des croisés (pas moins), les inscriptions « Je déteste l’antéchrist » et « vive le christ roi ». On se croirait dans « les rivières pourpres » ou dans « le Da Vinci code » tant cela fleure bon le moyen âge et l’Inquisition. La Libre Pensée est assimilée à l’antéchrist, c’est-à-dire au démon. Ce serait comique si ce n’était pas menaçant (...)
🛑 #obscurantisme #religion #cléricalisme #fascisme #fascismereligieux #extrêmedroite #intégrisme #catholicisme #violence #menaces
#LibrePensée #rationalisme #antifascisme
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▶️ ▻https://www.fnlp.fr/2023/06/26/la-raison-683-juillet-aout-2023-arrive
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🛑 « On va brûler vos mosquées » : depuis la mort de Nahel, militants et journalistes subissent un harcèlement violent | StreetPress
« Il faut exterminer ces vermines d’Arabes et tirer à balles réelles ! », « Retourne manger du manioc. » Depuis la mort de Nahel, tué par un policier, des journalistes et militants subissent un harcèlement violent, allant jusqu’aux menaces de mort.
« Il y a une explosion du nombre de messages racistes et de menaces », assure Sihame Assbague, journaliste indépendante et militante. Depuis la mort de Nahel, un jeune de 17 ans tué par la police à Nanterre (92) le 27 juin, elle raconte ne plus pouvoir écrire sur ses réseaux sociaux, « sans recevoir des centaines et des centaines d’insultes et de menaces ». La vidéo de l’agent qui tire une balle dans le thorax du garçon a déclenché la colère, mais aussi les polémiques. Dans un climat de tensions, la famille de Nahel n’est pas la seule à recevoir des messages de haine. Journalistes et militants, qui couvrent l’affaire, ou s’expriment simplement sur le sujet, subissent eux aussi une vague d’insultes et de menaces sur leurs réseaux sociaux (...)
#Nahel ⚡️ #racisme #haine #violence #extrêmedroite #menaces #harcèlement... #Antifascisme #Antiracisme
⏩ Lire l’article complet…
▶️ ▻https://www.streetpress.com/sujet/1688554716-militants-journalistes-harcelement-menaces-racisme-sexisme-r
Tu m’appartiens ! - Racines d’un #féminicide
À Hanovre, Vanessa a subi une attaque à l’#acide de son ex-petit ami ; à Berlin, Rebeccah a succombé aux #coups_de_couteau de son compagnon ; à Mérignac, près de Bordeaux, Chahinez a été #brûlée_vive par l’homme dont elle voulait se séparer... Partout en Europe, les #féminicides se succèdent et se ressemblent. En Espagne, le gouvernement a créé des tribunaux spécialisés dans les affaires de #violences_sexistes. À Barcelone, à l’été 2021, un garçon de 2 ans, Léo, est tué par son père, lequel a cherché à se venger de la mère de l’enfant dans un contexte de #divorce. Depuis cette affaire, le pays considère ce type d’#infanticide comme un #féminicide_par_procuration. En France, les violences faites aux femmes, déclarées « grande cause du quinquennat » par Emmanuel Macron, ne diminuent pas, et les défaillances de la #justice continuent d’indigner la population. Près d’une femme sur cinq morte sous les coups de son conjoint ou ex-conjoint avait ainsi porté #plainte avant le drame. Outre-Rhin, le terme « féminicide » n’est pas encore véritablement entré dans le vocabulaire, et le fait qu’une femme ait voulu se séparer de son compagnon peut encore contribuer à atténuer la peine de l’homme devant un tribunal.
▻https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/65344_0
#film #documentaire #film_documentaire
#séparation #violences_conjugales #impunité #justice #machisme #crime_machiste #patriarcat #possession #tolérance #convention_d'Istanbul #VioGén #algorithme #contrôle #menaces #responsabilité #protection
En Corrèze, un maire ne veut pas « subir le même sort que celui de Saint-Brevin »
L’ouverture d’un Cada cet hiver à Beyssenac a provoqué de nombreuses manifestations dans la commune. L’élu, qui a reçu des menaces de mort, se sent « abandonné par l’Etat ».
L’actualité de Saint-Brevin-les-Pins a résonné jusqu’à Beyssenac, en Corrèze. Dans ce petit village d’environ 350 habitants entouré de champs et de vergers, l’ouverture d’un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (Cada) a fait grand bruit. Après avoir découvert la nouvelle dans la presse locale, au milieu de l’hiver, la population s’est divisée entre opposants et défenseurs, plus silencieux, du projet. Au milieu : le maire (LR) Francis Comby, cinq mandats au compteur. Il a été témoin des affrontements entre membres de l’Action française et militants antifas, des cagoules et des fumigènes devant sa mairie, fin février. 150 personnes réunies, du jamais-vu. « Depuis, il ne passe pas un jour sans que l’on me parle du Cada. Aujourd’hui, quand je vois ce qu’il est arrivé à ce maire [Yannick Morez, ndlr]… Je me sens dans la même situation que lui et j’espère que je ne vais pas subir le même sort », réagit-il.
L’édile a déposé trois plaintes : une pour menaces de mort reçues sur sa boîte mail dans les jours qui ont suivi l’annonce et deux pour diffamation. Francis Comby préfère se mettre en retrait et « calmer le jeu ». Il assure que la municipalité n’a jamais été concertée et, « mis devant le fait accompli », c’est à lui que les habitants demandent des explications. « Je me sens totalement abandonné. L’Etat ignore les élus, impose son projet et, en plus, m’envoie au tribunal », s’emporte celui qui a fait valoir, mi-mars, le droit du conseil municipal de préempter les parcelles où s’est depuis installée la structure. La procédure a été attaquée par la préfecture de la Corrèze devant le tribunal administratif de Limoges (Haute-Vienne), qui a suspendu la délibération du conseil municipal.
« Nous sommes là pour avoir la paix »
Toutes les prises de paroles du maire sont désormais scrutées et font régulièrement l’objet de reprises sur les réseaux sociaux. Les deux collectifs d’opposants restent à l’affût du moindre événement lié à l’accueil d’étrangers, qu’il soit en Limousin ou ailleurs en France. Mercredi 10 mai au soir, les membres de Sauvons Beyssenac – l’un des deux collectifs locaux qui souhaitent l’abandon du projet, appuyé par Reconquête – relayaient sur Facebook la démission du maire de Saint-Brevin fraîchement annoncée. La dernière sortie du collectif Non au Cada de Beyssenac – le deuxième, qui se revendique « apolitique » tout en étant soutenu par le délégué départemental Rassemblement national, Valéry Elophe – remonte au 1er mai. Un petit groupe s’est retrouvé en face de l’ancien hôtel-restaurant où sont accueillis les exilés pour manifester. Un moment « très convivial », racontent-ils sur Internet. « Contrairement à ce qui a été dit dans les journaux, les manifestations continuent et continueront dans les prochaines semaines. »
Plusieurs demandeurs d’asile ont assisté à la scène depuis les fenêtres de la réception, devant lesquelles patrouille régulièrement la gendarmerie. Cela faisait tout juste deux semaines que six femmes et un bébé venaient de s’installer sur place, encore secoués par leur périple. « C’était difficile. On entendait les cris, les gendarmes sont venus pour les faire partir », décrit Doris, Congolaise de 46 ans. Elle a découvert ce qu’il se disait au sujet du Cada avant même d’arriver. « Je me demandais pourquoi les gens ne voulaient pas de notre présence. Nous sommes là pour avoir la paix », poursuit Doris. L’association leur a expliqué comme elle pouvait. « Dès qu’il y a quelque chose de nouveau, les gens ont peur. Il y a aussi une méconnaissance du statut de demandeurs d’asile. S’ils sont là, c’est qu’ils sont en danger dans leur pays », insiste Camille, travailleuse sociale à Viltaïs, l’association mandatée par l’Etat pour gérer l’accueil.
Lieu de vie et de passage
Depuis un mois, l’ancienne auberge du village est redevenue un lieu de vie et de passage. Des habitants passent régulièrement saluer, déposer des dons ou proposer de l’aide. Dans la cuisine, Mariama prépare un plat typique de Guinée. L’odeur du mouton mijotant dans sa sauce au piment embaume la salle de vie où discutent les autres résidentes. « Certaines se sont déjà liées d’amitiés. Il y a beaucoup de solidarité entre elles », constate Patricia. L’animatrice sociale jongle entre les coups de téléphone pour organiser des activités sur place : cours de français, cuisine, couture, yoga… Un couple et leur bébé doivent arriver le lendemain. A la fin du mois, ils seront 20 sur place, la moitié de la capacité totale à terme du centre. Dans la matinée, trois résidentes ont marché jusqu’à la supérette d’une commune voisine. Se promener leur évite de cogiter. Un habitant les a récupérées sur le chemin du retour pour leur éviter de porter leurs sacs de courses sur plusieurs kilomètres. « Voir tous ces gens qui sont gentils avec nous, ça fait chaud au cœur, disent-elles. Nous, on est heureuses ici. »
▻https://www.liberation.fr/societe/en-correze-un-edile-ne-veut-pas-subir-le-meme-sort-que-le-maire-de-saint-
#Beyssenac #Cada #réfugiés #anti-réfugiés #asile #migrations #hébergement #France #centre_d'accueil #Francis_Comby #menaces_de_mort #Sauvons_Beyssenac #Non_au_Cada_de_Beyssenac #manifestation #Viltaïs #solidarité
voir ce fil de discussion sur #Saint-Brévin :
►https://seenthis.net/messages/992104
ping @karine4
En Corrèze, la création d’un centre pour demandeurs d’asile sème la discorde : « Les gens se regardent avec méfiance maintenant »
Depuis qu’ils ont découvert l’ouverture imminente d’un lieu d’#accueil pour demandeurs d’asile dans l’ancienne auberge de leur village, les habitants de #Beyssenac vivent entre #pétitions, #manifestations de l’extrême droite et brouilles entre voisins.
L’#auberge_de_la_Mandrie surgit après un virage, laissant le village de Beyssenac derrière soi. Ici, tout le monde connaît l’histoire de cette ancienne école rachetée par le couple Millot, dans les années 70, pour en faire un hôtel-restaurant. De l’autre côté de la départementale qui file vers Pompadour, des pancartes semblent avoir poussé dans les arbres. Les messages à la bombe fluo indiquent « Non au Cada, gardons notre auberge » ou encore « Cada imposé par le préfet, colère augmentée ».
La nouvelle est tombée début février, lorsque le quotidien la Montagne révèle que les aubergistes de la Mandrie partent à la retraite et que le lieu va devenir un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (Cada). D’ici l’automne, 40 exilés vivront sur place le temps d’obtenir, ou non, le statut de réfugié. Depuis cette annonce, les deux frères ne répondent plus aux sollicitations. « Vous savez, on est pas mal échaudés », dit l’aîné. Peu après la révélation, des manifestations ont éclaté dans ce village de 350 âmes. Les témoins racontent les 150 personnes devant la mairie, les fumigènes et les cagoules. Des membres de l’#Action_française venus de Limoges, à 60 kilomètres de là, ont déployé une #banderole « Immigration nation en danger » dans un face-à-face avec des militants antifas.
« La peur s’est installée »
« Du jamais-vu en vingt-trois ans de mandat ! » bout le maire #Francis_Comby (LR). Il a déposé trois plaintes pour #menaces_de_mort et pour #diffamation. On l’accuse d’accepter « des clandestins », d’avoir refusé l’installation d’une résidence senior sur le même site et caché ce nouveau projet. L’élu affirme n’être au courant de rien et, lassé de cette affaire, préfère parler de la deuxième fleur « Villes et Villages Fleuris » que vient de recevoir Beyssenac.
« Ils ont tardé à mettre les choses au clair et la #peur s’est installée », regrette une habitante qui exige l’anonymat, comme tous ceux voulant bien témoigner. Elle n’a pas signé les pétitions, quitte à s’opposer à ses voisins. « On était un village sans histoire et maintenant, les gens se regardent avec méfiance », décrit une Beyssenacoise. Celle-ci a rejoint le collectif anti-Cada de Christian Cargouet. « On est les gentils, insiste le formateur en hôtellerie de 58 ans. On ne veut pas être un parti politique, juste comprendre. » Le groupe, soutenu par le délégué départemental Rassemblement national Valéry Elophe, a sa théorie : « Il faut nettoyer Paris avant les JO », les exilés ne soutiendront pas l’économie locale et l’association mandatée trempe dans des « magouilles ».
Le second collectif, « #Sauvons_Beyssenac » appuyé par #Reconquête ! vise la même issue qu’à Callac dans les Côtes-d’Armor : l’abandon du projet. Son créateur, Philippe Ponge, sert l’argument de « l’endroit inadapté ». Tous les villageois le reconnaissent : il n’y a plus de commerces, de médecin ni même de club des aînés. Seuls le comité des fêtes et la société de chasse résistent. Mais avec 1,29 place de dispositif national d’accueil (DNA) pour 1 000 habitants, la Corrèze était le deuxième département le moins bien doté de Nouvelle-Aquitaine – elle-même déficitaire par rapport au niveau national.
Mi-mars, lors d’une réunion publique longtemps réclamée au préfet, un sentiment d’injustice gronde dans la salle des fêtes bondée. « Et pour les aînés de nos campagnes, vous faites quoi ? Ils n’ont pas le droit aux navettes pour aller chez le médecin », dénonce un quinqua sous les applaudissements. « Ceux qui peuvent se payer la traversée sont blindés. Nous, on n’a pas d’argent », crie un autre. « Ma maison est invendable. C’est terminé pour moi et pour ma famille », ajoute une retraitée avant de déguerpir. « Les oppositions aux Cada sont de plus en plus récurrentes », commente Karine Bouteleux, directrice du pôle asile de Viltaïs. L’association est connue sur le territoire notamment pour avoir organisé l’accueil des réfugiés ukrainiens.
Des habitants du coin, plus discrets par peur des représailles, ont proposé de donner des cours de français au Cada. « On peut être contre le projet, pas contre les humains », tranche un couple dont les enfants iront à l’école avec les jeunes demandeurs d’asile. Tandis que les opposants s’alarment d’une baisse du niveau scolaire, eux voient la possibilité de sauver une classe de la fermeture.
De retour aux abords de la Mandrie, la gendarmerie patrouille. Viltaïs peaufine les derniers détails. Il y aura un surveillant vingt-quatre heures sur vingt-quatre, mesure exceptionnelle pour calmer les inquiétudes de la population. « J’espère que le RN ne fera pas d’esclandres », commente Karine Bouteleux. Les premières familles arrivent la semaine prochaine.
▻https://www.liberation.fr/societe/en-correze-la-creation-dun-centre-pour-demandeurs-dasiles-seme-la-discord
#anti-migrants #asile #migrations #réfugiés #France #hébergement #extrême_droite #CADA #opposition
via @karine4
Le maire de Saint-Brevin était menacé : ses voitures et sa maison touchées par un incendie
Ouest-France Modifié le 22/03/2023
▻https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/saint-brevin-les-pins-44250/le-maire-de-saint-brevin-etait-menace-ses-voitures-et-sa-maison-touchee
▻https://media.ouest-france.fr/v1/pictures/MjAyMzAzOGVkZTE5ZGJiMWI0N2FiZGI0ZTM5YjJiMTNlMTg5MjU?width=1260&he
Le pont de Saint-Nazaire étant bloqué ce mercredi 22 mars, les automobilistes ont dû faire demi-tour. Sur le chemin de Saint-Brevin-les-Pins, des personnes ont aperçu des flammes et se sont rendues sur place. Il s’agissait du domicile du maire, Yannick Morez. Sa maison a pris feu, vers 5 h, alors qu’il dormait. Selon les premières pistes d’enquête, l’incendie pourrait avoir été provoqué par un cocktail Molotov jeté sur sa voiture. Il se serait ensuite propagé à l’autre voiture, puis à la façade de la maison.
Le maire déjà menacé
Yannick Morez a essayé d’éteindre l’incendie avec un extincteur mais les flammes étaient déjà trop importantes. Elles ont gagné également un deuxième véhicule stationné sur place. La chaleur était si forte que les éléments en plastique de la fermeture du portail ont fondu, pourtant situés à plus de quatre mètres de la voiture.
Depuis le projet de transfert du Cada (Centre d’accueil des demandeurs d’asile), le maire et ses adjoints font l’objet de menaces depuis quelques semaines.
]]>"Le monde se dirige vers le minuit de “l’Horloge de l’#apocalypse”"
[...] C’est en ces termes que la publication officielle des #Nations_unies résume les propos de son secrétaire général devant l’assemblée du 6 février. Au-delà des représentants à l’ONU des divers États auxquels il s’adressait, Antonio Guterres propose donc aux dirigeants politiques et à ceux des grandes entreprises de taille mondiale de « se réveiller ». Il voudrait qu’ils passent d’une politique de l’instant, dictée par la recherche des profits immédiats, à une politique raisonnable, c’est-à-dire tenant compte de l’intérêt général. Faute de quoi le genre humain irait à l’apocalypse, rien de moins.
Il n’y a évidemment aucun espoir qu’ils le fassent, et #Guterres est plutôt bien placé pour le savoir. L’#ONU a en effet été le témoin muet voire l’acteur de bien des exactions impérialistes depuis 1945, de la guerre en Corée à la première guerre du Golfe, à la reconnaissance de fait de toutes les dictatures, du soutien indéfectible à la politique américaine à la bénédiction quotidienne de la libre entreprise, des trusts et des milliardaires. Guterres le sait évidemment et il sait trop bien où cette situation peut mener.
Il est frappant que #Guterres, un des dirigeant du monde capitaliste, ne peut imaginer autre chose pour celui-ci qu’une vision apocalyptique. Il faut souhaiter que les symptômes qu’il décrit, et que chacun constate en effet, soient plutôt les prémisses de convulsions révolutionnaires et annoncent non pas la fin de l’humanité mais, plus joyeusement, celle du système capitaliste.
▻https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/02/15/onu-lapocalypse-selon-guterres_504987.html
#capitalisme #guerre #guerre_en_Ukraine #impérialisme #catastrophe_climatique #menaces_nucléaires #António_Guterres
]]>Des septuagénaires jugés pour avoir menacé de mort une enseignante « islamo-gauchiste »
Lors de la polémique qui visait Sciences Po Grenoble en mars 2021, certains journalistes à l’instar de Pascal Praud et Caroline Fourest, avaient accusé à tort une enseignante. Après avoir subi une vague de #cyber-harcèlement, celle-ci avait porté #plainte contre dix personnes.
« Je vais tenter de parler bien fort », prévient le président de la 24e chambre du tribunal judiciaire de Paris. L’audience a en effet quelque chose de peu banal. Les prévenus présents ce vendredi et poursuivis pour « #harcèlement au moyen d’un service de communication » et « #menaces_de_mort » sont majoritairement très âgés. Il fallait donc s’imaginer des personnes de plus de 70 ans saisir leur clavier, se connecter à leur compte Facebook et lâcher des #insultes et des menaces d’une extrême violence. Leur cible ? Une enseignante-chercheuse accusée de n’être rien d’autre qu’« une islamo-gauchiste ».
« Pour bien situer le contexte », le président résume la situation en lisant un article de presse. Il rappelle le début de cette affaire médiatisée en mars 2021 lorsque deux enseignants, #Klaus_Kinzler et #Vincent_T, sont la cible d’affiches placardées sur la façade de l’#IEP de Grenoble : « Des fascistes dans nos amphis Vincent T. […] et Klaus Kinzler démission. L’islamophobie tue. » Le syndicat étudiant Unef relaie l’action sur les réseaux sociaux, avant de tout supprimer.
Comme le racontait Mediapart (►https://www.mediapart.fr/journal/france/110321/accusations-d-islamophobie-la-direction-de-sciences-po-grenoble-laisse-le-), ce #collage, condamné unanimement, venait après d’intenses tensions entre ces deux professeurs et une autre enseignante, Claire M., autour d’une journée de débats nommée « Racisme, antisémitisme et islamophobie » et organisée dans le cadre d’une « semaine pour l’égalité et la lutte contre les discriminations ». Rapidement, Klaus Kinzler fait le tour des plateaux télé pour livrer une version comportant de nombreuses omissions. Il affirme, à tort, avoir été viré de ce groupe préparatoire pour s’être opposé à l’utilisation du terme « islamophobie ». En plus de l’enseignante, il accuse Anne-Laure Amilhat Szary, patronne du laboratoire Pacte, rattaché à l’IEP, d’avoir livré son nom en pâture et d’avoir contribué à ce que des gens placardent des affiches sur les murs de l’institut.
Une victime ciblée par #Pascal_Praud et #Caroline_Fourest
L’accusation est rapidement reprise par Marianne, BFMTV et par l’essayiste Caroline Fourest. « D’après ce témoignage, c’est une enseignante et le laboratoire de recherche Pacte (CNRS) qui ont excité les étudiants contre ces deux professeurs et lâché la meute contre le droit de questionner un mot qui a tué. Affligeant. Elle a bon dos la “liberté académique” », tweete cette dernière le 6 mars 2021. Tout est faux comme l’a révélé Mediapart, mais qu’importe, l’accusation se propage en même temps que naît l’emballement médiatique.
Sur CNews, Pascal Praud va beaucoup plus loin et tient à être le premier à donner le nom et le prénom de la patronne du labo. « Puis intervient ce laboratoire Pacte avec cette dame, je vais citer son nom, Anne-Laure Amilhat Szary. Cette dame-là, c’est la directrice du laboratoire, cette dame c’est une militante […] qui avance avec le sentiment d’impunité, et c’est très révélateur parce qu’on voit le #terrorisme_intellectuel qui existe dans l’#université à travers leurs exemples », déclare-t-il le 9 mars 2021.
Il n’en fallait pas plus pour que la directrice en question reçoive des centaines de messages d’insultes et de menaces de mort. Entre le 12 et le 17 mars 2021, on veut « la buter », « l’éliminer » ou lui « trancher la gorge ».
Première invitée à la barre, Anne-Laure Amilhat Szary veut d’abord laver son honneur en rappelant les vérités bafouées par certains journalistes. Non, elle n’a jamais publié un communiqué officiel pour livrer le nom des deux enseignants mentionnés sur les affiches de l’IEP. Il s’agissait d’un simple courrier pour défendre une membre du laboratoire prise pour cible par ces deux professeurs. « Je suis intervenue pour assurer le respect de la laïcité et défendre une collègue », explique-t-elle tout en précisant avoir immédiatement « affirmé sa solidarité » avec ces deux enseignants lorsqu’elle a pris connaissance des affiches. Klaus Kinzler s’attaquait violemment à Claire M. et n’hésitait pas à fustiger les musulmans et hiérarchiser les religions en disant préférer le christianisme.
Très émue, elle détaille ensuite les conséquences de cette haine virtuelle. « Je craignais pour ma sécurité et d’être suivie dans la rue, raconte-t-elle. Je me suis mise à passer mes nuits sur les réseaux sociaux pour voir ce qui tombait. » Dans le même temps, plusieurs posts Facebook la ciblent directement et reprennent l’idée amorcée par Caroline Fourest. « L’islamo-gaucho Anne Laure Amilhat Szary est une instigatrice de la “fatwa” lancée contre deux professeurs à Sciences Po Grenoble ! Comme elle a trouvé normal de diffuser les photos des professeurs… rien ne va déranger à ce que l’on diffuse la sienne », peut-on lire dans un post accompagné de la photo de la directrice et publié le 12 mars par un certain Jean-Luc.
Dans les commentaires, on peut lire un flot de #haine et d’#insultes. Et les messages des dix personnes poursuivies ce vendredi.
- Jacques L., 79 ans : « Quand ils la violent elle aura compris à moi que ça lui plaise !! […] Déjà pour la violer, il faut vraiment le vouloir beurk !! »
- Alain B., 73 ans : « Qu’elle crève le cul bourré de chiffon rouge et la gueul ouvert. »
- Annick L., 73 ans : « Horrible nana !! Le caillou rasé ! Pauvre tâche. Un jour viendra où tu devras te repentir ! »
- Jean-Marie C., 60 ans : « Saloupe à butté »
- Dominique B., 74 ans : « Il faut lui trancher la gorge »
- Wilfrid B, 65 ans : « A l’échafaud (…) Regardez la gueule de la bavure. A expédier au pays du Maghreb »
- Christian D., 58 ans : « Pauvre conne ton tour viendra »
- Ronan M., 56 ans : « Grosse connasse on va te butter »
- Dominique V., 56 ans : « Il faut tondre cette collabo de merde. »
Seul Maxence D., 32 ans, se démarque en lâchant sur Twitter : « Potence + corde pas trop épaisse pour lui lacérer le coup à cette p*** ».
Des prévenus âgés et amnésiques
Très sûrs d’eux sur les réseaux sociaux, les quatre prévenus présents à l’audience sont désormais beaucoup moins fiers. Presque tous se disent amnésiques et affirment ne pas se souvenir de toute la polémique liée à Sciences Po Grenoble. Certains minimisent aussi la teneur de leur propos. « J’ai vu le post Facebook, j’ai lu deux trois commentaires et j’ai mis le mien, mais c’est juste une insulte, pas une menace de mort », lâche Alain B, qui contraint le tribunal à se répéter du fait de ses graves problèmes d’audition. « Qu’elle crève », ne serait pas une menace de mort selon cet ancien plombier aujourd’hui retraité. Tout juste « une connerie ».
Les mains dans les poches, il considère que « ce qui est fait est fait » et tarde à s’excuser, sans vraiment penser à la principale intéressée. « Je regrette bien sûr, si j’avais su que ça allait me ramener des ennuis comme ça… » Et d’insister face à une assemblée quelque peu médusée : « Je n’ai pas dit “je vais la crever”, j’ai dit “qu’elle crève”. Comme si elle tombait et que je la laissais par terre sans la ramasser. »
Dominique B, secrétaire de direction à la retraite, qui voulait « trancher la gorge » d’Anne-Laure Amilhat Szary, aurait tout oublié. « C’est parti de mon ordinateur, mais je ne me rappelle pas avoir marqué ces propos », justifie-t-elle tout en expliquant ne pas vraiment maîtriser Facebook. Wilfrid B, 65 ans et ancien ouvrier, tente d’expliquer en quoi « À l’échafaud » n’est pas une menace de mort « puisque cela n’existe plus ».
« Je débutais avec Facebook et je ne savais pas comment ça fonctionnait », avance-t-il avant de reconnaître : « J’ai lu qu’on instaurait une fatwa contre ces profs. Je répondais à ça, mais je ne la visais pas particulièrement. » Même dénégation de Christian D., 58 ans, qui tente d’expliquer en quoi écrire « ton tour viendra » n’est pas une menace de mort. Pourquoi la phrase était-elle accompagnée par trois emojis « crotte » et trois emojis « flammes » ? « J’utilise l’emoji flamme pour tout, pour les anniversaires par exemple », tente-t-il avant de laisser sa place à Annick L.
Cette femme de 72 ans se déplace difficilement et dit avoir été « traumatisée » par sa garde à vue. « Depuis je suis sous antidépresseurs », confie-t-elle. « Y a rien à faire, je n’ai aucun souvenir de cette histoire. J’ai vu mon nom qui apparaissait sur Facebook mais je ne comprends pas. Je ne conteste pas l’avoir écrit mais je ne m’en souviens pas », poursuit-elle. Elle aurait donc oublié qu’elle voulait voir cette « traître », l’ex-directrice du laboratoire Pacte, clouée « au pilori » « le caillou rasé ».
Des sympathisants de Zemmour et Le Pen
Les quatre prévenus semblent aussi sincères que vulnérables et aucun d’entre eux ne veut laisser d’indice sur ses accointances politiques. Tant mieux puisque le président du tribunal ne souhaite pas en savoir plus et tient à rappeler qu’il « se fiche » de savoir ce « qu’ils pensent sur le fond ». Il faut attendre la plaidoirie de Raphaël Kempf, l’avocat d’Anne-Laure Amilhat Szary, pour avoir un profil politique un peu plus précis.
Lors de leur garde à vue en effet, la plupart ont confessé leur colère contre les « islamo-gauchistes », qu’ils définissent tantôt comme des « musulmans de gauche », tantôt comme des « gens de gauche pro-islam ». À la lecture de son audition, on découvre que Christian D « adore » Éric Zemmour et qu’il est, comme d’autres prévenus, membre du groupe « L’avenir France avec Éric Zemmour ». « Les gens de gauche sont des pro-islam et immigration qui organisent des réunions interdites aux gens de type caucasien et amènent des idées nauséabondes au sein des établissements publics français », déclare quant à lui Jean-Marie C, 60 ans et sous curatelle.
« Grâce à cette procédure, il devient évident que je voterai à tout jamais Marine Le Pen et que j’inciterai ma famille à faire de même », lâche de son côté Dominique V. aux enquêteurs. Annick L., enfin, a plus de mal à disserter sur ses opinions politiques. Lorsqu’on lui demande si elle connaît le groupe « Marion Maréchal-Le Pen, on t’aime » qu’elle suit sur Facebook, la réponse est évasive : « J’ai peut-être déjà mis un pouce, mais sans plus. »
L’exploitation de son téléphone portable révèle pourtant de très nombreux commentaires virulents et des termes parfaitement explicites du type « nous les Français de souche ». « Ma belle-fille est chinoise, mon mari est d’origine polonaise. On n’est pas raciste », jure-t-elle. Elle affirme avoir répondu sans réfléchir et ne pas connaître Anne-Laure Amilhat Szary. Interrogée pour savoir ce qu’elle a contre les islamo-gauchistes , elle déroule les arguments déployés par certaines chaînes d’info en continu : « Y a cette histoire de Samuel Paty qui avait été égorgé, vous ne trouvez pas ça horrible ? Les gens qui sont poignardés pour rien, c’est affreux, c’est inhumain. Y a pas que ça. Tous les faits divers qu’on entend franchement c’est horrible, toutes ces jeunes femmes qui se font tuer. On ne vit plus dans un monde serein. »
Une vie « bouleversée » pour Anne-Laure Amilhat Szary
Les avocats de la défense insistent sur l’âge des prévenus qui ne sauraient pas vraiment utiliser les réseaux sociaux et ne sauraient pas vraiment qu’un commentaire publié sur le réseau est lisible par tous dès lors que l’option privée n’est pas cochée. L’un des conseils, l’avocat de Jean-Marc C., tient tout de même à évoquer la responsabilité de certains journalistes dans cette affaire. « Les chaînes d’info en continu peuvent avoir une vraie influence tout comme certains journalistes, estime-t-il. Mon client a pu se dire que Caroline Fourest , qui elle, est journaliste , a recoupé ses sources avant de tweeter. Pour beaucoup de personnes et pour mon client, son tweet était une information. »
Les prévenus, sorte de #fachosphère du troisième âge, ont en effet en commun de considérer les réseaux sociaux comme des sources à part entière et de ne rien vérifier. Ils confondent « article de presse » et « post-Facebook », et baignent dans des groupes qui s’affranchissent de toute réalité et qui partagent la même obsession que leurs journalistes préférés : la lutte contre des supposés islamo-gauchistes.
Lors de sa plaidoirie, Me Kempf livre sa déception de ne pas avoir eu « les explications » qu’il espérait. « Je regrette l’absence totale de prise en compte de ce que Anne-Laure Amilhat Szary a pu dire », enchaîne-t-il. Il rappelle donc les conséquences de ces mots sur la vie de sa cliente. Les quatre jours d’ITT, l’arrêt maladie, les troubles du sommeil et la dépression qui ont suivi. Il insiste aussi sur le « bouleversement professionnel » que cette victime collatérale de l’affaire de Sciences Po a dû subir.
Peu de temps après ces attaques, l’ex-patronne du laboratoire rattaché au CNRS et renommé dans le milieu scientifique a préféré renoncer à son mandat. Si elle enseigne de nouveau depuis peu, elle dit ne plus pouvoir prendre un poste de direction. Il revient sur le rôle de Caroline Fourest qui a contribué à relayer « la légende » selon laquelle Anne-Laure Amilhat Szary aurait contribué à ce que deux professeurs de l’IEP soient pris pour cible. Il n’oublie pas non plus « la communauté d’intérêt politique » qui lie tous ces prévenus et demande qu’ils soient condamnés solidairement à une peine de 20 000 euros d’amende.
La procureure, elle aussi déçue par la plupart des justifications, s’étonne que tous ces gens qui prétendent dénoncer ce qui est arrivé à Samuel Paty déploient la même mécanique « qui a tué Samuel Paty ». Pour les dix prévenus, elle a requis des peines avoisinant les mille euros d’amende à payer dans les 90 jours sous peine d’incarcération. La décision sera rendue le 13 janvier 2023.
▻https://www.mediapart.fr/journal/france/021222/des-septuagenaires-juges-pour-avoir-menace-de-mort-une-enseignante-islamo-
#affaire_de_Grenoble #justice #réseaux_sociaux
–—
ajouté à la métaliste atour de ce qu’on a surnommé l’#affaire_de_Grenoble :
►https://seenthis.net/messages/943294
Une instance de l’ONU s’inquiète de la « haine raciale » et des « interpellations discriminatoires » par la police en France
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/12/02/une-instance-de-l-onu-s-inquiete-de-la-haine-raciale-et-des-interpellations-
L’« ampleur » des discours de haine en France, mais aussi les « interpellations discriminatoires » conduites par les forces de l’ordre inquiètent le Comité de l’ONU pour l’élimination de la discrimination raciale (CERD). Ses 18 experts indépendants ont diffusé vendredi 2 décembre une série d’observations et de recommandations après examen de la politique française concernant les minorités du pays.
Le comité se dit « préoccupé par la persistance et l’ampleur des discours à caractère raciste et discriminatoire, notamment dans les médias et sur Internet », mais aussi par « le discours politique raciste tenu par des responsables politiques » ....
ce manque de respect pour la France est scandaleux. faudrait peut-être dissoudre - dans l’acide ?- les gauchiasses de l’ONU
]]>La #liberté_académique. Enjeux et #menaces
Penser la liberté académique au XXIe siècle, identifier les différentes menaces qui pèsent sur elle, interroger les responsabilités et moyens d’action pour faire face à ces menaces : tel est l’objet de cet ouvrage croisant réflexions théoriques, études de cas et témoignages.
Fondement de la vie intellectuelle dans l’université et dans la société, condition essentielle pour une recherche et un enseignement de qualité, la liberté académique se trouve aux prises avec des menaces plus ou moins explicites, plus ou moins ciblées, dans divers pays du monde, brouillant parfois la frontière entre monde démocratique et monde non démocratique.
L’enjeu de ce livre est de proposer une analyse conceptuelle de la notion de liberté académique, resituée dans une perspective socio-historique, avant d’aborder les différents contextes qui produisent des menaces sur elle. Faisant dialoguer philosophie et sciences sociales, recherches scientifiques et témoignages de terrain, cet ouvrage présente des études de cas en Azerbaïdjan, Belgique, Burundi, Chine, Hongrie, Iran, Liban, Russie, Syrie et Turquie. Ces cas nous donnent à voir une diversité des situations : conflit armé et situations post-conflit ; non-protection par l’État, voire criminalisation des chercheurs par celui-ci ; pressions économiques, sociales ou idéologiques, notamment. Ils mettent aussi en lumière des espaces improbables où la liberté académique survit parfois ainsi que des initiatives de solidarité transnationale entre académiques.
]]>Defensoras, voces de vida y resistencia
Défenseuses, voix de la vie et de la résistance
Ser mujer defensora de derechos humanos en Colombia no es fácil. En un contexto tan violento como el del país, se deben enfrentar a situaciones complejas: por un lado, las agresiones y amenazas derivadas de su liderazgo y, por el otro, las violencias por el hecho de ser mujeres.
En medio de este panorama surge el presente informe, Defensoras, voces de vida y resistencia, que tiene como propósito evidenciar las agresiones contra defensoras de derechos humanos en Colombia y los elementos del contexto que propician esta situación, para reconocer sus profundos orígenes y la manera en la que han afectado y siguen afectando a las mujeres con liderazgo en Colombia.
El análisis de los hechos violentos se enmarca en un periodo de siete años, comprendido entre el 2013 y el 2019, tiempo en el cual el Sistema de Información sobre Agresiones contra Personas Defensoras de Derechos Humanos en Colombia del Programa Somos Defensores, ha registrado agresiones en contra de 1.336 mujeres con liderazgo. Estos hechos se han incrementado con el tiempo, especialmente en los últimos años y en el marco de la implementación del Acuerdo de Paz; lo que permite insistir en la responsabilidad del Estado en el cumplimiento del Acuerdo como condición necesaria para avanzar en materia de garantías para el ejercicio de la labor de defensa de los Derechos Humanos.
Esta publicación es el resultado de una sinfonía de voces de mujeres comprometidas con la defensa de los derechos humanos y sus organizaciones. Es fruto del trabajo de Sisma Mujer y LIMPAL, tomando en cuenta también los aportes de los espacios de articulación a los que pertenecen que son la Cumbre de Mujeres por la Paz y GPAZ, y que junto con la sistematización y el seguimiento de las agresiones a personas defensoras que realiza el Programa Somos Defensores, lo ha hecho posible.
▻https://www.pazcondignidad.org/blog/colombia-informe-especial-defensoras-voces-de-vida-y-resistencia
pour télécharger le #rapport :
▻https://drive.google.com/file/d/1ztkaVm3AHLHQsRf3w4UBiMI_mMCIDjc9/view
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Source trouvée dans cet article publié dans la revue Vivre Ensemble (@vivre) :
Le rapport « Défenseuses, voix de la vie et de la résistance », rédigé par les organisations Somos Defensores, Sisma Mujer, Limpal et le Sommet national des femmes et de la paix, estime que les militantes « font face à des risques liés au genre auxquels les défenseurs masculins ne sont pas confrontés dans la même proportion, en raison des rôles préétablis qui sous-estiment et dégradent la condition féminine… Les femmes défenseuses sont constamment exposées aux #abus, aux #agressions et à l’#esclavage_sexuel, à la #traite à des fins d’esclavage sexuel et domestique (…). De nombreuses #menaces et actes de #violence sont dirigés contre les membres de la famille nucléaire, en particulier contre les fils et les filles »
►https://asile.ch/2021/05/31/colombie-le-danger-detre-une-femme-et-une-dirigeante-sociale-en-colombie
Têtes de Turcs. Interdits de travail, privés de passeport, les parias du président Erdogan s’organisent
(pour archivage, article sorti en 2018)
▻https://boutique.4revues.fr/revuexxi-43
#Turquie #répression #purge #pétition #pétition_pour_la_paix #travail #chômage #menaces_de_mort #menaces #paix #ennemis_d'Etat #universitaires_pour_la_paix #fuite #mort_sociale #emprisonnement #décret-loi #criminalisation #clandestinisation #suicide #entraide #peur #coup_d'Etat #limogeage #universités_sans_campus #université_sans_campus #mort_civile #liste #chasse_aux_sorcières #AKP #despotisme #révolution_culturelle #religion #justice (well...) #culpabilité #procès
ping @isskein
Schengen borders code: Council adopts its general approach
As part of the work carried out under the French presidency to reform and strengthen the Schengen area in the face of new challenges, the Council today adopted its general approach on the reform of the Schengen borders code.
This reform: (i) provides new tools to combat the instrumentalisation of migrant flows; (ii) establishes a new legal framework for external border measures in the event of a health crisis, drawing on the lessons learned from the experience with COVID-19; (iii) updates the legal framework for reintroducing internal border controls in order to safeguard the principle of free movement while responding to persistent threats; (iv) introduces alternative measures to these controls.
The general approach now enables the Council to start negotiations with the European Parliament, once the Parliament has adopted its own position.
The fight against the instrumentalisation of migration flows
The text defines the instrumentalisation of migrants as a situation in which a third country or non-state actor encourages or facilitates the movement of third-country nationals towards the EU’s external borders or to a member state in order to destabilise the EU or a member state. It introduces new measures to combat this phenomenon, including limiting the number of crossing points at the external border or limiting their opening hours, and intensifying border surveillance.
External border measures in the event of a health crisis
The text provides for the possible swift adoption of binding minimum rules on temporary travel restrictions at the external borders in the event of a threat to public health. This will strengthen the currently available tools applied during the COVID-19 pandemic, which have been based on non-binding recommendations.
The binding implementing regulation to be adopted by the Council in such situations will include minimum restrictions, with the possibility for member states to apply stricter restrictions if the conditions so require. It will also include a list of essential travellers to be exempted from certain measures, which will be decided on a case by case basis.
Reintroduction of internal border controls
The text sets out more structured procedures for the reintroduction of internal border controls, with stronger safeguards. It takes into account a recent judgment by the European Court of Justice, which confirmed the principle of freedom of movement within the Schengen area, while specifying the conditions for the reintroduction of internal border controls. In this regard, it offers possible responses to persistent threats to public policy and internal security.
If a continued need for internal border controls is confirmed beyond two years and six months, the member state concerned will need to notify the Commission of its intention to further prolong internal border controls, providing justification for doing so and specifying the date on which it expects to lift controls. The Commission will then issue a recommendation, also relating to that date, and with regard to the principles of necessity and proportionality, to be taken into account by the member state.
Promotion of alternative measures
The text updates the Schengen borders code by providing for alternative measures to internal border controls, in particular by proposing a more effective framework for police checks in member states’ border regions.
The text introduces a new procedure to address unauthorised movements of irregular migrants within the EU. In the context of a bilateral cooperation framework based on voluntary action by the member states concerned, this mechanism will allow a member state to transfer third-country nationals apprehended in the border area and illegally staying in its territory to the member state from which they arrived, in the context of operational cross-border police cooperation.
▻https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2022/06/10/schengen-area-council-adopts-negotiating-mandate-reform-schengen-bo
en français:
▻https://www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2022/06/10/schengen-area-council-adopts-negotiating-mandate-reform-schengen-bo
#Schegen #code_frontières_Schengen #frontières #frontières_extérieures #frontières_intérieures #frontières_internes #migrations #asile #réfugiés #réforme #menaces #liberté_de_circulation #surveillance_frontalière #instrumentalisation #contrôles_frontaliers #mouvements_secondaires #coopération_policière_opérationnelle_transfrontière
]]>Le #Conseil_d'Etat saisi du #contrôle_aux_frontières rétabli par la #France depuis 2015
Des associations s’appuient sur un arrêt de la #Cour_de_justice de l’Union européenne du 26 avril pour dénoncer le renouvellement illégal de cette #dérogation à la #libre_circulation des personnes.
Dans la nuit du 13 au 14 novembre 2015, alors que l’assaut des forces d’intervention n’avait pas encore été donné au Bataclan, François Hollande, alors président de la République, avait annoncé la proclamation de l’#état_d'urgence et la #fermeture_des_frontières pour un mois. Ce #rétablissement_des_contrôles aux #frontières_intérieures par un pays membre de l’#Union_européenne (#UE) est autorisé, mais de façon exceptionnelle et #temporaire. La France le maintient de façon interrompue depuis plus de six ans. Elle a notifié à quinze reprises à la Commission européenne le #renouvellement de cette #dérogation_temporaire au « #code_frontières_Schengen ».
Quatre associations ont décidé, selon nos informations, de saisir le Conseil d’Etat mardi 10 mai d’une demande de #suspension_en_référé de la dernière prolongation, du 1er mai au 31 octobre 2022, notifiée par Paris. L’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), le Groupe d’information et de soutien des immigrés (Gisti), le Comité inter-mouvement auprès des évacués (Cimade) et la Ligue des droits de l’homme (LDH) n’en sont pas à leur première tentative devant la haute juridiction administrative. Mais elles ont cette fois un atout maître avec une toute récente décision de la Cour de justice de l’Union européenne.
Le 26 avril, la cour de Luxembourg a dit, en réponse à une question d’interprétation des textes européens posée par la #justice autrichienne, que la réintroduction des contrôles aux frontières décidée par un Etat en raison de #menaces_graves pour son #ordre_public ou sa #sécurité_intérieure « ne peut pas dépasser une durée totale maximale de six mois » , y compris ses prolongations éventuelles. L’arrêt des juges européens précise que l’apparition d’une nouvelle menace peut autoriser à réintroduire ce contrôle au-delà des six mois initiaux, mais dans ce cas elle doit être « distincte de celle initialement identifiée » . Il s’agit de protéger la libre circulation des personnes, « une des principales réalisations de l’Union européenne » , soulignent les juges.
Or, selon le relevé de la Commission européenne, les dernières notifications de Paris pour justifier cette entorse au principe de libre circulation listent invariablement les trois mêmes « menaces » : la #menace_terroriste persistante, les #mouvements_secondaires de migrants, l’épidémie de #Covid-19. Rien de très nouveau en effet. Pour Patrice Spinosi, l’avocat des associations, le dernier renouvellement décidé « en dépit de la clarification apportée » par l’arrêt de la cour européenne constitue « une flagrante violation » de l’article 25 du code frontières Schengen.
Hausse « considérable » des #refus_d'entrée
Au ministère de l’intérieur, on indique en réaction à l’arrêt du 26 avril que la question du renouvellement répété de cette dérogation « est traitée par la réforme en cours du code des frontières Schengen » . On précise que le sujet sera évoqué les 9 et 10 juin, lors du prochain conseil des ministres « justice et affaires intérieures » de l’UE. Mais, d’une part, ces nouvelles règles ne sont pas encore définies, et d’autre part, la Commission européenne avait précisé en ouvrant ce chantier le 14 décembre 2021 que « l’actualisation des règles vise à faire en sorte que la réintroduction des contrôles aux frontières intérieures demeure une mesure de dernier recours. »
Derrière les arguments sur l’ordre public et la sécurité intérieure, les associations dénoncent des pratiques illégales de contrôle migratoire. Elles ont publié le 29 avril, avec d’autres associations comme Médecins du Monde et Amnesty International, un communiqué appelant « les autorités françaises à mettre un terme à la prolongation des contrôles aux frontières intérieures et à cesser ainsi les atteintes quotidiennes aux #droits_fondamentaux des personnes exilées qui s’y présentent (violences, contrôles aux faciès, non-respect du droit d’asile et des droits de l’enfant, enfermement) ».
Ces contrôles au sein de l’espace Schengen se traduisent par des « refus d’entrée » opposés en nombre, dénoncent les associations qui y voient des pratiques discriminatoires. « Les statistiques révèlent une augmentation considérable des refus d’entrée aux frontières intérieures depuis le 13 novembre 2015 » , de 5 000 en 2015 à 48 000 pour les huit premiers mois de 2020, écrivent-elles dans leur requête au Conseil d’Etat. Il se trouve que ce dernier a adressé le 24 février une question préjudicielle à la Cour de Luxembourg pour vérifier si le fait d’opposer un « refus d’entrée » à un #poste_frontière, même en cas de rétablissement des contrôles aux frontières, est conforme au droit de l’UE.
Par deux fois, en décembre 2017 et octobre 2017, le Conseil d’Etat avait rejeté des requêtes émanant des mêmes associations contre le renouvellement des contrôles aux frontières, estimant qu’une « #nouvelle_menace » ou une « #menace_renouvelée » pouvait justifier une nouvelle dérogation de six mois à la #libre_circulation_des_personnes. Ce nouveau référé devrait être examiné en audience sous un mois, à moins que la juridiction considère que l’affaire mérite d’être jugée au fond, ce qui pourrait prendre quelques semaines de plus.
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/05/10/le-conseil-d-etat-saisi-du-controle-aux-frontieres-retabli-par-la-france-dep
#justice
avec un effet clair sur les #frontières_sud-Alpines, dont il est pas mal question sur seenthis ;-)
#frontière_sud-alpine #Alpes
« Je ne me sens pas en sécurité à l’UQAM » - Le devoir - Marco Fortier
▻https://www.ledevoir.com/societe/education/700803/education-je-ne-me-sens-pas-en-securite-a-l-uqam
Menaces, intimidation, local vandalisé : des étudiants en science politique de l’Université du Québec à Montréal (UQAM) disent être la cible d’une campagne de harcèlement de la part de militants extrémistes. Ébranlés, une demi-douzaine d’étudiants ont décidé de quitter l’UQAM pour continuer leurs études dans une ambiance plus paisible.
Selon ce que Le Devoir _ a appris, des tensions entre une association étudiante de l’UQAM et des militants qui se qualifient de « woke » ont dégénéré au cours des derniers jours. Le local de l’Association étudiante du module de science politique (AEMSP) a été vandalisé durant la nuit de mardi à mercredi, la semaine dernière. Une enquête interne est en cours pour trouver les auteurs du saccage. La police a aussi été avisée.
« Je suis stressé. J’ai peur pour mon intégrité physique et personnelle. Je n’ai plus envie de mettre les pieds à l’UQAM parce que je ne me sens plus en sécurité », dit Jérôme Dufour, qui a démissionné de son poste de coordonnateur général de l’AEMSP.
Tout comme une demi-douzaine de ses collègues, il a décidé de quitter l’UQAM après avoir été la cible de harcèlement au cours des derniers mois. Le saccage du local de l’AEMSP, la semaine dernière, a été la goutte de trop : porte défoncée, ordinateur et imprimante jetés par terre, meubles renversés, graffitis sur les murs. « Fuck la CAQ », « fuck QS », « vive les woke », « fuck toute », « vandalisme », « ACAB » (All cops are bastards), ont notamment écrit les visiteurs non invités.
« On veut que ça bouge, ajoute-t-elle. J’aimerais que mes amis qui continuent au bac l’année prochaine n’aient plus peur de se promener dans les corridors et de se faire crier des choses. On a beau être de gauche, pour des extrémistes, on n’est jamais assez à gauche. Je vote pour QS, comme beaucoup d’étudiants à l’UQAM, mais je ne suis pas extrémiste. »
Une minorité bruyante
La jeune femme dit avoir constaté qu’une minorité d’étudiants qu’elle considère comme « extrémistes » font la pluie et le beau temps à l’UQAM. Avant même son engagement dans le mouvement étudiant, des signes lui avaient mis la puce à l’oreille.
À l’été 2021, elle et ses collègues de science politique organisaient des 5 à 7 au parc Laurier. Certains membres de la communauté étudiante avaient protesté : l’alcool « n’est pas inclusif » dans les soirées étudiantes, selon eux. Marie-Audrey Bernier s’est aussi fait reprocher de faire partie « d’un groupe d’hommes blancs hétérosexuels ». Le cercle d’amis était pourtant représentatif de la diversité montréalaise, souligne l’étudiante : « juif, communiste, gauchiste, droitiste, conservateur, féministe, Colombien, Algérien, Québécois de souche, séparatiste, fédéraliste, homosexuel, queer. Bref, j’en passe. Ce qu’il y avait de magnifique, c’était l’ouverture qui nous unissait. »
Une fois élus au bureau de l’AEMSP, à l’automne 2021, Marie-Audrey et ses collègues ont vécu d’autres difficultés. Les anciens membres du bureau ont refusé de donner les clés du local aux nouveaux élus. Des gens venaient faire le party et laissaient alcool et restes de nourriture sur place. Il a fallu changer la serrure.
Un événement visant à célébrer la Journée internationale des droits des femmes a créé du mécontentement. Trois étudiantes sont venues invectiver Marie-Audrey Bernier, en lui reprochant d’avoir « exclu les personnes non binaires » (ce dont elle se défend). Un 5 à 7 où les femmes auraient droit à un verre gratuit a aussi provoqué un « malaise » : « On me dit que j’encourage la culture du viol, que je suis fasciste et que l’association étudiante est misogyne. Lorsqu’elles sortent du local, j’ai peur. L’angoisse reprend. »
Le lendemain, le local étudiant a été vandalisé une première fois. Par la suite, des membres de l’AEMSP disent se faire intimider et insulter à tout moment dans l’UQAM. Dans les corridors, au café étudiant, au local de l’association. Marie-Audrey Bernier, Jérôme Dufour et leurs collègues se sentent abandonnés par la direction de l’université.
Enquêtes en cours
Jean-Christian Pleau, vice-recteur à la vie académique de l’UQAM, assure que l’établissement prend la situation « très au sérieux ». « Pour moi, c’est une situation d’intimidation et de harcèlement entre des personnes étudiantes. Il est clair que c’est complètement à l’opposé du climat que nous souhaitons voir sur le campus et des valeurs que nous préconisons », dit-il au Devoir.
Il affirme que la sécurité dans le secteur du local vandalisé sera renforcée à compter de mardi matin. En plus de l’enquête policière, le Service de prévention et de sécurité de l’UQAM mène son analyse. Les responsables du vandalisme risquent d’être traduits devant le comité de discipline de l’établissement. La sanction peut aller jusqu’à l’expulsion de l’UQAM.
« Dans un passé qui n’est pas si lointain, il arrivait que le discours politique serve de prétexte ou de paravent à des formes d’intimidation. Ce n’est pas un phénomène nouveau, je crois. C’était une façon d’excuser beaucoup de choses, de dire c’est normal, c’est de la politique. Je pense que cette excuse-là n’est plus admise aujourd’hui. Nous allons déployer tous nos mécanismes d’intervention pour essayer de résoudre la situation. On ne souhaite pas que les choses en restent là », précise le vice-recteur.
Des activités dérangeantes
L’Association facultaire étudiante de science politique et de droit (AFESPED), montrée du doigt par des étudiants pour certains gestes d’intimidation, se défend d’avoir commis tout geste déplacé. « L’AFESPED a toujours adopté une attitude cordiale et bienveillante envers l’AEMSP, notamment au sein des instances de collaboration entre associations », indique une déclaration transmise au Devoir par le bureau de l’AFESPED.
Des membres de la communauté étudiante « se sont plaints de comportements, de propos et d’activités de la part du bureau de l’AEMSP jugés inappropriés » au cours des derniers mois. Des références à Donald Trump et à Vladimir Poutine ont été mal reçues, d’autant plus que « des mandats féministes, antiracistes et contre la montée de l’extrême droite au Québec et en Occident ont été adoptés en assemblée générale par les membres de l’AEMSP eux-mêmes », rappelle l’AFESPED.
#woke #wokisme #violence #harcèlement #université #menaces #intimidations #agression #intimidation #extrémisme #inclusif #diversité #queer #binaires #culture_du_viol #féminisme #antiracisme #Quebec #uqam
]]>#métaliste de la saga autour du terme l’#islamo-gauchisme... mais aussi du #woke et du #wokisme, #cancel_culture, etc.
]]>L’Ukraine se dit prête à tirer sur des migrants qui tenteraient de traverser sa frontière avec la Biélorussie
Pour éviter un afflux de migrants venus de la Biélorussie voisine à ses frontières, l’Ukraine entend user de la manière forte. Le ministre ukrainien de l’Intérieur a affirmé vendredi que le pays n’hésiterait pas à faire « usage de tous les moyens de protection mis à notre disposition par la loi, y compris les armes à feu ».
L’Ukraine met en garde les migrants piégés en Biélorussie. Kiev ne laissera pas les exilés rentrer sur son territoire et se défendra pour les repousser.
« Si la vie et la santé des garde-frontières [ukrainiens] sont menacées, nous ferons usage de tous les moyens de protection mis à notre disposition par la loi, y compris les armes à feu », a déclaré vendredi 19 novembre le ministre de l’Intérieur #Denys_Monastyrsky devant le Parlement. En clair, les autorités ukrainiennes n’hésiteront pas à tirer à #balles_réelles sur les migrants.
Depuis cet été, des milliers de personnes, principalement originaires du Moyen Orient, ont afflué aux portes de l’Union européenne (UE), notamment aux frontières polonaises et lituaniennes. Lundi 8 novembre, une foule plus compacte s’est massée près de la Pologne, provoquant d’importantes tensions entre Minsk, soutenue par Moscou, et Bruxelles qui accuse le régime de Loukachenko d’avoir orchestré cet afflux migratoire en réponse aux sanctions imposées par les Vingt-Sept après la répression en 2020 d’un mouvement d’opposition historique.
Les migrants qui tentent d’entrer en Pologne sont renvoyés manu militari côté biélorusse, les refoulements étaient désormais inscrits dans la loi.
L’Ukraine, frontalière de la Biélorussie et de plusieurs États de l’UE, craint que ces exilés empruntent une autre route et essayent de rallier le Vieux continent en passant par le pays. « Nous n’excluons pas la possibilité que la Russie décide d’intentionnellement envoyer un grand nombre de migrants illégaux vers notre territoire à travers la Biélorussie », a jugé le ministre ukrainien de l’Intérieur, dans ce même discours, retransmis à la télévision.
« Nous nous préparons à cette situation », a-t-il affirmé, ajoutant néanmoins que la situation actuelle à la frontière entre l’Ukraine et la Biélorussie, longue de 890 km, était « sous contrôle et stable ».
La semaine dernière, Kiev a annoncé le doublement des effectifs des garde-frontières dans la région de #Volyn, à la frontière ouest de la Biélorussie, en déployant 200 soldats supplémentaires dans la zone.
▻https://www.infomigrants.net/fr/post/36619/lukraine-se-dit-prete-a-tirer-sur-des-migrants-qui-tenteraient-de-trav
#migrations #réfugiés #frontières #asile #Ukraine #Biélorussie #Pologne #Lituanie #tirs #menaces #militarisation_des_frontières
]]>#Elisabeth_Bik sur Twitter :
“More than 300 IHU_Marseille papers @PubPeer with concerns on image duplication, unauthorized human subject research on homeless, minors, people in Africa.
No scientific answers from the institution. Just ad hominems, insults, and legal threats.
I’m not going to be silenced.” / Twitter
▻https://twitter.com/MicrobiomDigest/status/1453119638263398402
#Liberté_académique et #justice_sociale
On assiste en #Amérique_du_Nord à une recomposition du paysage académique, qui met l’exercice des #libertés_universitaires aux prises avec des questions de justice sociale, liées, mais pas seulement, au militantisme « #woke », souvent mal compris. Publication du premier volet d’un entretien au long cours avec #Isabelle_Arseneau et #Arnaud_Bernadet, professeurs à l’Université McGill de Montréal.
Alors que se multiplient en France les prises de position sur les #libertés_académiques – voir par exemple cette « défense et illustration » -, un débat à la fois vif et très nourri se développe au #Canada depuis plus d’un an, après que des universitaires ont dû faire face à des plaintes pour #racisme, parfois à des suspensions de leur contrat, en raison de l’utilisation pédagogique qu’ils avaient faite des mots « #nègre » ou « #sauvages ». Significativement, un sondage récent auprès des professeurs d’université du Québec indique qu’une majorité d’entre eux pratiquent diverses formes d’#autocensure. C’est dans ce contexte qu’Isabelle Arseneau et Arnaud Bernadet, professeurs au Département des littératures de langue française, de traduction et de création de l’Université McGill de Montréal, ont été conduits à intervenir activement dans le débat, au sein de leur #université, mais aussi par des prises de position publiques dans la presse et surtout par la rédaction d’un mémoire, solidement argumenté et très remarqué, qui a été soumis et présenté devant la Commission scientifique et technique indépendante sur la reconnaissance de la liberté académique dans le milieu universitaire.
Initiée en février 2021 par le premier ministre du Québec, François Legault, cette commission a auditionné de nombreux acteurs, dont les contributions sont souvent de grande qualité. On peut télécharger ici le mémoire des deux universitaires et suivre leur audition grâce à ce lien (début à 5 :15 :00). La lecture du présent entretien peut éclairer et compléter aussi bien le mémoire que l’audition. En raison de sa longueur, je publie cet entretien en deux parties. La première partie est consacrée aux exemples concrets de remise en cause de la liberté de citer certains mots en contexte universitaire et traite des conséquences de ces pratiques sur les libertés académiques. Cette première partie intègre aussi une analyse critique de la tribune parue ce jour dans Le Devoir, co-signée par Blanquer et le ministre de l’Education du Québec, lesquels s’attaquent ensemble et de front à la cancel culture. La seconde partie, à paraître le vendredi 29 octobre, portera plus précisément sur le mouvement « woke », ses origines et ses implications politiques, mais aussi sur les rapports entre science et société. Je tiens à remercier chaleureusement Isabelle Arseneau et Arnaud Bernadet d’avoir accepté de répondre à mes questions et d’avoir pris le temps de construire des réponses précises et argumentées, dont la valeur tient tout autant à la prise critique de ces deux universitaires qu’aux disciplines qui sont les leurs et qui informent leur réflexion. Ils coordonnent actuellement un volume collectif interdisciplinaire, Libertés universitaires : un an de débat au Québec (2020-2021), à paraître prochainement.
Entretien, première partie
1. Pourriez-vous exposer le plus factuellement possible ce qui s’est passé au mois de septembre 2020 à l’université d’Ottawa et à l’université McGill de Montréal ?
Isabelle Arseneau. À l’automne 2020 éclatait à l’Université d’Ottawa une affaire qui a passionné le Québec et a connu d’importantes suites politiques : à l’occasion d’une séance d’enseignement virtuel sur la représentation des identités en art, une chargée de cours, #Verushka_Lieutenant-Duval, expliquait à ses étudiants comment l’injure « #nigger » a été réutilisée par les communautés afro-américaines comme marqueur subversif dans les années 1960. Parce qu’elle a mentionné le mot lui-même en classe, l’enseignante est devenue aussitôt la cible de #plaintes pour racisme et, au terme d’une cabale dans les #réseaux_sociaux, elle a été suspendue temporairement par son administration. Au même moment, des incidents à peu près analogues se produisaient au Département des littératures de langue française, de traduction et de création de l’Université McGill, où nous sommes tous les deux professeurs. Dans un cours d’introduction à la littérature québécoise, une chargée de cours a mis à l’étude Forestiers et voyageurs de #Joseph-Charles_Taché, un recueil de contes folkloriques paru en 1863 et qui relate les aventures d’un « Père Michel » qui arpente le pays et documente ses « mœurs et légendes ». Des étudiants interrompent la séance d’enseignement virtuel et reprochent à l’enseignante de leur avoir fait lire sans avertissement préalable une œuvre contenant les mots « Nègres » et « Sauvages ». Quelques jours plus tard, des plaintes pour racisme sont déposées contre elle. Le dossier est alors immédiatement pris en charge par la Faculté des Arts, qui lui suggère de s’excuser auprès de sa classe et d’adapter son enseignement aux étudiants que pourrait offenser la lecture des six autres classiques de la littérature québécoise prévus au syllabus (dont L’Hiver de force de Réjean Ducharme et Les Fous de Bassan d’Anne Hébert). Parmi les mesures d’accommodement, on lui conseille de fournir des « avertissements de contenu » (« #trigger_warnings ») pour chacune des œuvres à l’étude ; de se garder de prononcer à voix haute les mots jugés sensibles et de leur préférer des expressions ou des lettres de remplacement (« n », « s », « mot en n » « mot en s »). Trois mois plus tard, nous apprendrons grâce au travail d’enquête de la journaliste Isabelle Hachey (1) que les plaignants ont pu obtenir, après la date limite d’abandon, un remboursement de leurs frais de scolarité et les trois crédits associés à ce cours qu’ils n’ont cependant jamais suivi et pour lequel ils n’ont validé qu’une partie du travail.
Lorsque j’ai imaginé notre doctorante en train de caviarder ses notes de cours et ses présentations Powerpoint, ça a fait tilt. Un an plus tôt, je travaillais à la Public Library de New York sur un manuscrit du XIIIe siècle dont la première image avait été grattée par un lecteur ou un possesseur offensé par le couple enlacé qu’elle donnait jusque-là à voir. La superposition de ces gestes de censure posés à plusieurs siècles d’intervalle témoignait d’un recul de la liberté universitaire que j’associais alors plus spontanément aux campus américains, sans pour autant nous imaginer à l’abri de cette vague venue du sud (2). Devant de tels dérapages, mon collègue Arnaud Bernadet et moi avons communiqué avec tous les étages de la hiérarchie mcgilloise. Las de nous heurter à des fins de non-recevoir, nous avons cosigné une série de trois lettres dans lesquelles nous avons dénoncé la gestion clientéliste de notre université (3). Malgré nos sorties répétées dans les médias traditionnels, McGill est demeurée silencieuse et elle l’est encore à ce jour.
2. Pour être concret, qu’est-ce qui fait que l’emploi du mot « nègre » ou « sauvages » dans un cours est légitime ?
Isabelle Arseneau. Vous évoquez l’emploi d’un mot dans un cadre pédagogique et il me semble que toute la question est là, dans le terme « emploi ». À première vue, le contexte de l’énonciation didactique ne se distingue pas des autres interactions sociales et ne justifie pas qu’on puisse déroger aux tabous linguistiques. Or il se joue dans la salle de classe autre chose que dans la conversation ordinaire : lorsque nous enseignons, nous n’employons pas les mots tabous, nous les citons, un peu comme s’il y avait entre nous et les textes lus ou la matière enseignée des guillemets. C’est de cette distinction capitale qu’ont voulu rendre compte les sciences du langage en opposant le signe en usage et le signe en mention. Citer le titre Nègres blancs d’Amérique ou le terme « Sauvages » dans Forestiers et Voyageurs ne revient pas à utiliser ces mêmes termes. De la même façon, il y a une différence entre traiter quelqu’un de « nègre » dans un bus et relever les occurrences du terme dans une archive, une traite commerciale de l’Ancien Régime ou un texte littéraire, même contemporain. Dans le premier cas, il s’agit d’un mot en usage, qui relève, à n’en pas douter, d’un discours violemment haineux et raciste ; dans l’autre, on n’emploie pas mais on mentionne des emplois, ce qui est différent. Bien plus, le mot indexe ici des représentations socialement et historiquement situées, que le professeur a la tâche de restituer (pour peu qu’on lui fournisse les conditions pour le faire). Si cette distinction entre l’usage et la mention s’applique à n’importe quel contexte d’énonciation, il va de soi qu’elle est très fréquente et pleinement justifiée — « légitime », oui — en contexte pédagogique. Il ne s’agit donc bien évidemment pas de remettre en circulation — en usage — des mots chargés de haine mais de pouvoir continuer à mentionner tous les mots, même les plus délicats, dans le contexte d’un exercice bien balisé, l’enseignement, dont on semble oublier qu’il suppose d’emblée un certain registre de langue.
3. Ce qui étonne à partir de ces exemples – et il y en a d’autres du même type -, c’est que l’administration et la direction des universités soutiennent les demandes des étudiants, condamnent les enseignants et vont selon vous jusqu’à enfreindre des règles élémentaires de déontologie et d’éthique. Comment l’expliquez-vous ? L’institution universitaire a-t-elle renoncé à défendre ses personnels ?
Arnaud Bernadet. Il faut naturellement conserver à l’esprit ici ce qui sépare les universités nord-américaines des institutions françaises. On soulignera deux différences majeures. D’une part, elles sont acquises depuis longtemps au principe d’autonomie. Elles se gèrent elles-mêmes, tout en restant imputables devant l’État, notamment au plan financier. Soulignons par ailleurs qu’au Canada les questions éducatives relèvent avant tout des compétences des provinces et non du pouvoir fédéral. D’autre part, ces universités obéissent à un modèle entrepreneurial. Encore convient-il là encore d’introduire des nuances assez fortes, notamment en ce qui concerne le réseau québécois, très hétérogène. Pour simplifier à l’extrême, les universités francophones sont plus proches du modèle européen, tandis que les universités anglophones, répliques immédiates de leurs voisines états-uniennes, semblent davantage inféodées aux pratiques néo-libérales.
Quoi qu’il en soit, la situation décrite n’a rien d’inédit. Ce qui s’est passé à l’Université d’Ottawa ou à l’Université McGill s’observe depuis une dizaine d’années aux États-Unis. La question a été très bien documentée, au tournant de l’année 2014 sous la forme d’articles puis de livres, par deux sociologues, Bradley Campbell et Jason Manning (The Rise of Victimhood Culture) et deux psychologues, Jonathan Haidt et Greg Lukianoff (The Coddling of the American Mind). Au reste, on ne compte plus sur les campus, et parmi les plus progressistes, ceux de l’Ouest (Oregon, État de Washington, Californie) ou de la Nouvelle-Angleterre en particulier, les demandes de censure, les techniques de deplatforming ou de “désinvitation”, les calomnies sur les médias sociaux, les démissions du personnel - des phénomènes qu’on observe également dans d’autres milieux (culture, médias, politique). En mai dernier, Rima Azar, professeure en psychologie de la santé, a été suspendue par l’Université Mount Allison du Nouveau-Brunswick, pour avoir qualifié sur son blog Black Lives Matter d’organisation radicale…
Il y a sans doute plusieurs raisons à l’attitude des administrateurs. En tout premier lieu : un modèle néo-libéral très avancé de l’enseignement et de la recherche, et ce qui lui est corrélé, une philosophie managériale orientée vers un consumérisme éducatif. Une autre explication serait la manière dont ces mêmes universités réagissent à la mouvance appelée “woke”. Le terme est sujet à de nombreux malentendus. Il fait désormais partie de l’arsenal polémique au même titre que “réac” ou “facho”. Intégré en 2017 dans l’Oxford English Dictionary, il a été à la même date récupéré et instrumentalisé par les droites conservatrices ou identitaires. Mais pas seulement : il a pu être ciblé par les gauches traditionnelles (marxistes, libertaires, sociales-démocrates) qui perçoivent dans l’émergence de ce nouveau courant un risque de déclassement. Pour ce qui regarde notre propos, l’illusion qu’il importe de dissiper, ce serait de ne le comprendre qu’à l’aune du militantisme et des associations, sur une base strictement horizontale. Ce qui n’enlève rien à la nécessité de leurs combats, et des causes qu’ils embrassent. Loin s’en faut. Mais justement, il s’agit avec le “wokism” et la “wokeness” d’un phénomène nettement plus composite qui, à ce titre, déborde ses origines liées aux luttes des communautés noires contre l’oppression qu’elles subissaient ou subissent encore. Ce phénomène, plus large mais absolument cohérent, n’est pas étranger à la sociologie élitaire des universités nord-américaines, on y reviendra dans la deuxième partie de cet entretien. Car ni l’un ni l’autre ne se sont si simplement inventés dans la rue. Leur univers est aussi la salle de classe.
4. Au regard des événements dans ces deux universités, quelle analyse faites-vous de l’évolution des libertés académiques au Québec ?
Arnaud Bernadet. Au moment où éclatait ce qu’il est convenu d’appeler désormais “l’affaire Verushka Lieutenant-Duval”, le Québec cultivait cette douce illusion de se croire à l’abri de ce genre d’événements. Mais les idées et les pratiques ne s’arrêtent pas à la frontière avec le Canada anglais ou avec les États-Unis. Le cas de censure survenu à McGill (et des incidents d’autre nature se sont produits dans cet établissement) a relocalisé la question en plein cœur de Montréal, et a montré combien les cultures et les sociétés sont poreuses les unes vis-à-vis des autres. Comme dans nombre de démocraties, on assiste au Québec à un recul des libertés publiques, la liberté académique étant l’une d’entre elles au même titre que la liberté d’expression. Encore faut-il nuancer, car le ministère de l’enseignement supérieur a su anticiper les problèmes. En septembre 2020, le scientifique en chef Rémi Quirion a remis un rapport qui portait plus largement sur L’université québécoise du futur, son évolution, les défis auxquels elle fait face, etc. Or en plus de formuler des recommandations, il y observe une “précarisation significative” de la liberté académique, un “accroissement de la rectitude politique”, imputée aux attentes ou aux convictions de “groupes particuliers”, agissant au nom de “valeurs extra-universitaires”, et pour finir, l’absence de “protection législative à large portée” entourant la liberté académique au Québec, une carence qui remonte à la Révolution tranquille. En février 2021, le premier ministre François Legault annonçait la création d’une Commission scientifique et technique indépendante sur la reconnaissance de la liberté académique en contexte universitaire. Cette commission qui n’a pas fini de siéger a rendu une partie de ses résultats, notamment des sondages effectués auprès du corps professoral (ce qui inclut les chargés de cours) : 60 % d’entre eux affirment avoir évité d’utiliser certains mots, 35 % disent avoir même recouru à l’autocensure en sabrant certains sujets de cours. La recherche est également affectée. Ce tableau n’est guère rassurant, mais il répond à celles et ceux qui, depuis des mois, à commencer dans le milieu enseignant lui-même, doublent la censure par le déni et préfèrent ignorer les faits. À l’évidence, des mesures s’imposent aujourd’hui, proportionnées au diagnostic rendu.
5. La liberté académique est habituellement conçue comme celle des universitaires, des enseignants-chercheurs, pour reprendre la catégorie administrative en usage en France. Vous l’étendez dans votre mémoire à l’ensemble de la communauté universitaire, en particulier aux jeunes chercheurs, mais aussi aux personnels administratifs et aux étudiants ? Pourriez-vous éclairer ce point ?
Arnaud Bernadet. Ce qui est en jeu ici n’est autre que l’extension et les applications du concept de liberté académique. Bien sûr, un étudiant ne jouit pas des mêmes dispositions qu’un professeur, par exemple le droit à exercer l’évaluation de ses propres camarades de classe. Mais a priori nous considérons que n’importe quel membre de la communauté universitaire est titulaire de la liberté académique. Celle-ci n’a pas été inventée pour donner aux enseignants et chercheurs quelque “pouvoir” irréaliste et exorbitant, mais pour satisfaire aux deux missions fondamentales que leur a confiées la société : assurer la formation des esprits par l’avancement des connaissances. En ce domaine, l’écart est-il significatif entre le choix d’un thème ou d’un corpus par un professeur, et un exposé oral préparé par un étudiant ? Dans chaque cas, on présumera que l’accès aux sources, la production des connaissances, le recours à l’argumentation y poursuivent les mêmes objectifs de vérité. De même, les administrateurs, et notamment les plus haut placés, doivent pouvoir bénéficier de la liberté académique, dans l’éventualité où elle entrerait en conflit avec des objectifs de gouvernance, qui se révéleraient contraires à ce qu’ils estimeraient être les valeurs universitaires fondamentales.
6. Entre ce que certains considèrent comme des recherches “militantes” et les orientations néolibérales et managériales du gouvernement des universités, qu’est-ce qui vous semble être le plus grand danger pour les libertés académiques ?
Arnaud Bernadet. Ce sont des préoccupations d’ordre différent à première vue. Les unes semblent opérer à l’interne, en raison de l’évolution des disciplines. Les autres paraissent être plutôt impulsées à l’externe, en vertu d’une approche productiviste des universités. Toutes montrent que le monde de l’enseignement et de la recherche est soumis à de multiples pressions. Aussi surprenant que cela paraisse, il n’est pas exclu que ces deux aspects se rejoignent et se complètent. Dans un article récent de The Chronicle of Higher Education (03.10.2021), Justin Sider (professeur de littérature anglaise à l’Université d’Oklahoma) a bien montré que les préoccupations en matière de justice sociale sont en train de changer la nature même des enseignements. Loin de la vision désintéressée des savoirs, ceux-ci serviraient dorénavant les étudiants à leur entrée dans la vie active, pour changer l’ordre des choses, combattre les inégalités, etc. C’est une réponse à la conception utilitariste de l’université, imposée depuis plusieurs décennies par le modèle néolibéral. Et c’est ce qu’ont fort bien compris certains administrateurs qui, une main sur le cœur, l’autre près du portefeuille, aimeraient donc vendre désormais à leurs “clients” des programmes ou de nouveaux curricula portant sur la justice sociale.
7. La défense des libertés académiques, en l’occurrence la liberté pédagogique et la liberté de recherche d’utiliser tous les mots comme objet de savoir, est-elle absolue, inconditionnelle ? Ne risque-t-elle pas de renforcer un effet d’exclusion pour les minorités ?
Isabelle Arseneau. Elle est plutôt à notre avis non-négociable (aucun principe n’est absolu). Mais pour cela, il est impératif de désamalgamer des dossiers bien distincts : d’une part, le travail de terrain qu’il faut encore mener en matière d’équité, de diversité et d’inclusion (qu’il est désormais commun de désigner par l’acronyme « ÉDI ») ; d’autre part, les fondements de la mission universitaire, c’est-à-dire créer et transmettre des savoirs. Les faux parallèles que l’on trace entre la liberté académique et les « ÉDI » desservent autant la première que les secondes et on remarque une nette tendance chez certaines universités plus clairement néolibérales à utiliser la liberté académique comme un vulgaire pansement pour régler des dossiers sur lesquels elles accusent parfois de regrettables retards. Bien ironiquement, ce militantisme d’apparat ne fait nullement progresser les différentes causes auxquelles il s’associe et a parfois l’effet inverse. Revenons à l’exemple concret qui s’est produit chez nous : recommander à une enseignante de s’excuser pour avoir prononcé et fait lire un mot jugé sensible et aller jusqu’à rembourser leurs frais de scolarité à des étudiants heurtés, voilà des gestes « spectaculaires » qui fleurent bon le langage de l’inclusion mais qui transpirent le clientélisme (« Satisfaction garantie ou argent remis ! »). Car une fois que l’on a censuré un mot, caviardé un passage, proscrit l’étude d’une œuvre, qu’a-t-on fait, vraiment, pour l’équité salariale hommes-femmes ; pour l’inclusion des minorités toujours aussi invisibles sur notre campus ; pour la diversification (culturelle, certes, mais également économique) des corps enseignant et étudiant, etc. ? Rien. Les accommodements offerts aux plaignants sont d’ailleurs loin d’avoir créé plus d’équité ; ils ont au contraire engendré une série d’inégalités : entre les étudiants d’abord, qui n’ont pas eu droit au même traitement dans le contexte difficile de la pandémie et de l’enseignement à distance ; entre les chargés de cours ensuite, qui n’ont pas eu à faire une même quantité de travail pour un même salaire ; et, enfin, entre les universités, toutes soumises au même système de financement public, dont le calcul repose en bonne partie sur l’unité-crédit. Les salles de classe ont bon dos : elles sont devenues les voies de sortie faciles pour des institutions qui s’achètent grâce à elles un vernis de justice sociale qui tarde à se traduire par des avancées concrètes sur les campus. Confondre les dossiers ne servira personne.
8. Reste que ce qui est perçu par des acteurs de la défense de droits des minorités comme l’exercice d’une liberté d’expression est vécu et analysé par d’autres acteurs comme une atteinte à la liberté académique, en particulier la liberté pédagogique. La situation n’est-elle pas une impasse propre à aviver les tensions et créer une polémique permanente ? Comment sortir de cette impasse ?
Isabelle Arseneau. En effet, on peut vite avoir l’impression d’un cul-de-sac ou d’un cercle vicieux difficile à briser, surtout au vu de la polarisation actuelle des discours, qu’aggravent les médias sociaux. Dans ce brouhaha de paroles et de réactions à vif, je ne sais pas si on s’entend et encore moins si on s’écoute. Chose certaine, il faudra dans un premier temps tenter de régler les problèmes qui atteignent aujourd’hui les établissements postsecondaires depuis l’intérieur de leurs murs. En effet, la responsabilité me semble revenir d’abord aux dirigeants de nos institutions, à la condition de réorienter les efforts vers les bonnes cibles et, comme je le disais à l’instant, de distinguer les dossiers. À partir du moment où l’on cessera de confondre les dossiers et où l’on résistera aux raccourcis faciles et tendancieux, des chantiers distincts s’ouvriront naturellement.
Du côté des dossiers liés à l’équité et à la diversité, il me semble nécessaire de mener de vrais travaux d’enquête et d’analyse de terrain et de formuler des propositions concrètes qui s’appuient sur des données plutôt que des mesures cosmétiques qui suivent l’air du temps (il ne suffit pas, comme on a pu le faire chez nous, de recommander la censure d’un mot, de retirer une statue ou de renommer une équipe de football). Plus on tardera à s’y mettre vraiment et à joindre le geste à la parole, plus longtemps on échouera à réunir les conditions nécessaires au dialogue serein et décomplexé. Il nous reste d’ailleurs à débusquer les taches aveugles, par exemple celles liées à la diversité économique de nos campus (ou son absence), une donnée trop souvent exclue de la réflexion, qui préfère se fixer sur la seule dimension identitaire. Du côté de la liberté universitaire, il est nécessaire de la réaffirmer d’abord et de la protéger ensuite, en reprenant le travail depuis le début s’il le faut. C’est ce qu’a fait à date récente la Mission nommée par le recteur de l’Université de Montréal, Daniel Jutras. Les travaux de ce comité ont abouti à l’élaboration d’un énoncé de principes fort habile. Ce dernier, qui a été adopté à l’unanimité par l’assemblée universitaire, distingue très nettement les dossiers et les contextes : en même temps qu’il déclare qu’« aucun mot, aucun concept, aucune image, aucune œuvre ne sauraient être exclus a priori du débat et de l’examen critique dans le cadre de l’enseignement et de la recherche universitaires », le libellé rappelle que l’université « condamne les propos haineux et qu’en aucun cas, une personne tenant de tels propos ne peut se retrancher derrière ses libertés universitaires ou, de façon générale, sa liberté d’expression » (4). Il est également urgent de mettre en œuvre une pédagogie ciblant expressément les libertés publiques, la liberté académique et la liberté d’expression. C’est d’ailleurs une carence mise au jour par l’enquête de la Commission, qui révèle que 58% des professeurs interrogés « affirment ne pas savoir si leur établissement possède des documents officiels assurant la protection de la liberté universitaire » et que 85% des répondants étudiants « considèrent que les universités devraient déployer plus d’efforts pour faire connaître les dispositions sur la protection de la liberté universitaire ». Il reste donc beaucoup de travail à faire sur le plan de la diffusion de l’information intra muros. Heureusement, nos établissements ont déjà en leur possession les outils nécessaires à l’implantation de ce type d’apprentissage pratique (au moment de leur admission, nos étudiants doivent déjà compléter des tutoriels de sensibilisation au plagiat et aux violences sexuelles, par exemple).
Enfin, il revient aux dirigeants de nos universités de s’assurer de mettre en place un climat propice à la réflexion et au dialogue sur des sujets parfois délicats, par exemple en se gardant d’insinuer que ceux qui défendent la liberté universitaire seraient de facto hostiles à la diversité et à l’équité, comme a pu le faire notre vice-recteur dans une lettre publiée dans La Presse en février dernier. Ça, déjà, ce serait un geste à la hauteur de la fonction.
9. Quelle perception avez-vous de la forme qu’a pris la remise en cause des libertés académiques en France avec la polémique sur l’islamo-gauchisme initiée par deux membres du gouvernement – Blanquer et Vidal – et poursuivi avec le Manifeste des 100 ?
Arnaud Bernadet. Un sentiment de profonde perplexité. La comparaison entre “l’islamo-gauchisme”, qui nous semble en grande partie un épouvantail agité par le pouvoir macroniste, et le “wokism” états-unien ou canadien - qui est une réalité complexe mais mesurable, dont on précisera les contours la semaine prochaine - se révèle aussi artificielle qu’infondée. Un tel rapprochement est même en soi très dangereux, et peut servir de nouveaux amalgames comme il apparaît nettement dans la lettre publiée hier par Jean-Michel Blanquer et Jean-François Roberge : “L’école pour la liberté, contre l’obscurantisme”. Déplions-la un instant. Les deux ministres de l’Éducation, de France et du Québec, ne sont pas officiellement en charge des dossiers universitaires (assurés par Frédérique Vidal et Danielle McCann). D’une même voix, Blanquer et Roberge condamnent - à juste titre - l’autodafé commis en 2019 dans plusieurs écoles du sud-ouest de l’Ontario sur des encyclopédies, des bandes-dessinées et des ouvrages de jeunesse qui portaient atteinte à l’image des premières nations. Or on a appris par la suite que l’instigatrice de cette purge littéraire, Suzie Kies, œuvrait comme conseillère au sein du Parti Libéral du Canada sur les questions autochtones. Elle révélait ainsi une évidente collusion avec le pouvoir fédéral. Inutile de dire par conséquent que l’intervention de nos deux ministres ressortit à une stratégie d’abord politique. En position fragile face à Ottawa, dont les mesures interventionnistes ne sont pas toujours compatibles avec son esprit d’indépendance, le Québec se cherche des appuis du côté de la France. Au nom de la “liberté d’expression”, la France tacle également Justin Trudeau, dont les positions modérées au moment de l’assassinat de Samuel Paty ont fortement déplu. Ce faisant, le Québec et la France se donnent aussi comme des sociétés alternatives, le Canada étant implicitement associé aux États-Unis dont il ne serait plus que la copie : un lieu où prospéreraient une “idéologie” et des “méthodes” - bannissement, censure, effacement de l’histoire - qui menaceraient le “respect” et l’esprit de “tolérance” auxquels s’adossent “nos démocraties”. Au lieu de quoi, non seulement “l’égalité” mais aussi la “laïcité” seraient garantes au Québec comme en France d’un “pacte” capable d’unir la “communauté” sur la base “de connaissances, de compétences et de principes fondés sur des valeurs universelles”, sans que celles-ci soient d’ailleurs clairement précisées. On ne peut s’empêcher toutefois de penser que les deux auteurs prennent le risque par ce biais de légitimer les guerres culturelles, issues au départ des universités états-uniennes, en les étendant aux rapports entre anglophones et francophones. Au reste, la cible déclarée du texte, qui privilégie plutôt l’allusion et se garde habilement de nommer, reste la “cancel culture” aux mains des “assassins de la mémoire”. On observera qu’il n’est nulle part question de “wokes”, de décolonialisme ou d’antiracisme par exemple. D’un “militantisme délétère” (mais lequel, exactement ?) on passe enfin aux dangers de la “radicalisation”, dans laquelle chacun mettra ce qu’il veut bien y entendre, des extrémismes politiques (national-populisme, alt-right, néo-nazisme, etc.) et des fondamentalismes religieux. Pour finir, la résistance aux formes actuelles de “l’obscurantisme” est l’occasion de revaloriser le rôle de l’éducation au sein des démocraties. Elle est aussi un moyen de renouer avec l’héritage rationaliste des Lumières. Mais les deux ministres retombent dans le piège civilisationniste, qui consiste à arrimer - sans sourciller devant la contradiction - les “valeurs universelles” à “nos sociétés occidentales”. Le marqueur identitaire “nos” est capital dans le texte. Il efface d’un même geste les peuples autochtones qui étaient mentionnés au début de l’article, comme s’ils ne faisaient pas partie, notamment pour le Québec, de cette “mémoire” que les deux auteurs appellent justement à défendre, ou comme s’ils étaient d’emblée assimilés et assimilables à cette vision occidentale ? De lui-même, l’article s’expose ici à la critique décoloniale, particulièrement répandue sur les campus nord-américains, celle-là même qu’il voudrait récuser. Qu’on en accepte ou non les prémisses, cette critique ne peut pas être non plus passée sous silence. Il faut s’y confronter. Car elle a au moins cette vertu de rappeler que l’héritage des Lumières ne va pas sans failles. On a le droit d’en rejeter les diverses formulations, mais il convient dans ce cas de les discuter. Car elles nous obligent à penser ensemble - et autrement - les termes du problème ici posé : universalité, communauté et diversité.
10. La forme d’un « énoncé » encadrant la liberté académique et adopté par le parlement québécois vous semble-t-elle un bon compromis politique ? Pourquoi le soutenir plutôt qu’une loi ? Un énoncé national de référence, laissant chaque établissement en disposer librement, aura-t-il une véritable efficacité ?
Isabelle Arseneau. Au moment de la rédaction de notre mémoire, les choses nous semblaient sans doute un peu moins urgentes que depuis la publication des résultats de la collecte d’informations réalisée par la Commission indépendante sur la reconnaissance de la liberté académique en contexte universitaire. Les chiffres publiés en septembre dernier confirment ce que nous avons remarqué sur le terrain et ce que suggéraient déjà les mémoires, les témoignages et les avis d’experts récoltés dans le cadre des travaux des commissaires : nous avons affaire à un problème significatif plutôt qu’à un épiphénomène surmédiatisé (comme on a pu l’entendre dire). Les résultats colligés reflètent cependant un phénomène encore plus généralisé que ce que l’on imaginait et d’une ampleur que, pour ma part, je sous-estimais.
Dans le contexte d’une situation sérieuse mais non encore critique, l’idée d’un énoncé m’a donc toujours semblé plus séduisante (et modérée !) que celle d’une politique nationale, qui ouvrirait la porte à l’ingérence de l’État dans les affaires universitaires. Or que faire des universités qui ne font plus leurs devoirs ? L’« énoncé sur la liberté universitaire » de l’Université McGill, qui protège les chercheurs des « contraintes de la rectitude politique », ne nous a été d’aucune utilité à l’automne 2020. Comment contraindre notre institution à respecter les règles du jeu dont elle s’est elle-même dotée ? Nous osons croire qu’un énoncé national, le plus ouvert et le plus généreux possible, pourrait aider les établissements comme le nôtre à surmonter certaines difficultés internes. Mais nous sommes de plus en plus conscients qu’il faudra sans doute se doter un jour de mécanismes plus concrets qu’un énoncé non contraignant.
Arnaud Bernadet. Nous avons eu de longues discussions à ce sujet, et elles ne sont probablement pas terminées. C’est un point de divergence entre nous. Bien entendu, on peut se ranger derrière la solution modérée comme on l’a d’abord fait. Malgré tout, je persiste à croire qu’une loi aurait plus de poids et d’efficience qu’un énoncé. L’intervention de l’État est nécessaire dans le cas présent, et me semble ici le contraire même de l’ingérence. Une démocratie digne de ce nom doit veiller à garantir les libertés publiques qui en sont au fondement. Or, en ce domaine, la liberté académique est précieuse. Ce qui a lieu sur les campus est exceptionnel, cela ne se passe nulle part ailleurs dans la société : la quête de la vérité, la dynamique contradictoire des points de vue, l’expression critique et l’émancipation des esprits. Je rappellerai qu’inscrire le principe de la liberté académique dans la loi est aussi le vœu exprimé par la Fédération Québécoise des Professeures et Professeurs d’Université. Actuellement, un tel principe figure plutôt au titre du droit contractuel, c’est-à-dire dans les conventions collectives des établissements québécois (quand celles-ci existent !) Une loi remettrait donc à niveau les universités de la province, elle préviendrait toute espèce d’inégalité de traitement d’une institution à l’autre. Elle comblerait la carence dont on parlait tout à l’heure, qui remonte à la Révolution tranquille. Elle renforcerait finalement l’autonomie des universités au lieu de la fragiliser. Ce serait aussi l’occasion pour le Québec de réaffirmer clairement ses prérogatives en matière éducative contre les ingérences - bien réelles celles-là - du pouvoir fédéral qui tend de plus en plus à imposer sa vision pancanadienne au mépris des particularités francophones. Enfin, ne nous leurrons pas : il n’y a aucune raison objective pour que les incidents qui se sont multipliés en Amérique du Nord depuis une dizaine d’années, et qui nourrissent de tous bords - on vient de le voir - de nombreux combats voire dérives idéologiques, cessent tout à coup. La loi doit pouvoir protéger les fonctions et les missions des universités québécoises, à ce jour de plus en plus perturbées.
Entretien réalisé par écrit au mois d’octobre 2021
Notes :
1. Isabelle Hachey, « Le clientélisme, c’est ça » (La Presse, 22.02.2021)
2. Jean-François Nadeau, « La censure contamine les milieux universitaires » (Le Devoir, 01.04.2017)
3. Isabelle Arseneau et Arnaud Bernadet, « Universités : censure et liberté » (La Presse, 15.12.2020) ; « Les dérives éthiques de l’esprit gestionnaire » (La Presse, 29.02.2021) ; « Université McGill : une politique du déni » (La Presse, 26.02.2021).
4. « Rapport de la Mission du recteur sur la liberté d’expression en contexte universitaire », juin 2021 : ▻https://www.umontreal.ca/public/www/images/missiondurecteur/Rapport-Mission-juin2021.pdf
▻https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/211021/liberte-academique-et-justice-sociale
#ESR
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ajouté à la métaliste autour du terme l’#islamo-gauchisme... mais aussi du #woke et du #wokisme, #cancel_culture, etc.
►https://seenthis.net/messages/943271
#Tunisie - #Blocage du #port de #Zarzis en signe de #protestation contre les #garde-côtes_libyens.
Depuis une semaine, les #pêcheurs membres de l’association #Zarzis_Le_Pêcheur - #Al_Bahar (de la ville côtière de Zarzis au sud-est de la Tunisie, à la frontière avec la Libye) bloquent leur #port_de_pêche et lancent un #appel urgent à l’aide aux autorités tunisiennes. Comme expliqué dans un communiqué, les petits pêcheurs demandent aux autorités tunisiennes de les protéger et de les secourir pour ce qu’ils décrivent comme des actes de #piraterie commis par les garde-côtes libyens dans les eaux territoriales et la zone de recherche et de sauvetage (#SAR) de la Tunisie.
Les pêcheurs de Zarzis travaillent dans les #eaux_internationales entre l’Italie, la Tunisie et la Libye. Bien avant les révolutions de 2011, ils secourent en mer les personnes migrantes parties depuis la Libye dans des bateaux surchargés et délabrés. L’#enlèvement de pêcheurs tunisiens (et autres) par divers groupes armés libyens, souvent afin d’obtenir un rançon, n’est pas un phénomène nouveau. Récemment, cependant, les #enlèvements avec armes à feu, les #détournements_de_bateaux et les demandes de #rançon ont augmenté. Depuis cet été, les garde-côtes libyens - notamment de #Zawiya, selon les pêcheurs de Zarzis - opèrent dans la zone de Sar et dans les #eaux_territoriales_tunisiennes pour intercepter et renvoyer les migrants en Libye, comme convenu avec l’Italie et l’Union européenne. Des bateaux des garde-côtes libyens ont également été repérés dans d’autres localités tunisiennes plus au nord, près de la ville de #Mahdia.
À la suite de ces attaques, les pêcheurs hésitent de plus en plus à divulguer leur emplacement pour signaler les bateaux en difficulté, de peur d’être également kidnappés à l’arrivée des soi-disant garde-côtes libyens. Les pêcheurs demandent l’aide des ONG pour porter secours en Méditerranée et la protection de l’Etat tunisien. Nous publions ci-dessous le communiqué de l’Association Zarzis Le Pêcheur - Al Bahar, traduit par Issameddinn Gammoudi et Valentina Zagaria.
Pêcheurs de Zarzis : le secteur de la pêche est en train de mourir à cause d’un #accord_international injuste et de l’absence d’une politique nationale
Les pêcheurs de Zarzis souffrent constamment, non seulement en raison de l’insuffisance des infrastructures portuaires, de la faiblesse de l’assistance, des répercussions de la situation politique dans les pays voisins, de la dégradation de l’environnement et de son impact sur la vie marine, mais aussi en raison des récentes opérations de piraterie et des #menaces armées contre les pêcheurs tunisiens dans les #eaux_territoriales_tunisiennes, commises par des hommes armés se réclamant des garde-côtes libyens. Ces pratiques sont devenues fréquentes, notamment l’enlèvement de personnes, la saisie illégale de bateaux et la négociation de rançons.
En tant qu’association qui défend les intérêts professionnels légitimes et communs des pêcheurs, nous lançons un appel aux autorités, sous la direction de la Présidence de la République, pour qu’elles interviennent d’urgence et résolvent cette crise qui non seulement menace la continuité de la pêche mais s’est transformée en une violation de la souveraineté nationale :
– Nous considérons les structures du ministère de l’agriculture, du ministère des affaires étrangères, du ministère de la défense et de la présidence du gouvernement pour responsables de la situation catastrophique produite par l’accord signé entre l’Union européenne, Malte, la Tunisie et la Libye. Nous considérons également que cet accord constitue une violation de la souveraineté nationale de l’État tunisien sur son territoire maritime, qui a imposé des restrictions injustes aux pêcheurs tunisiens, contrairement à leurs homologues des pays voisins.
– Nous demandons à la marine tunisienne et à la garde maritime nationale tunisienne de jouer leur rôle en protégeant les navires de pêche tunisiens qui ont également été attaqués dans les eaux territoriales tunisiennes par des groupes se réclamant des garde-côtes libyens.
– Nous considérons les structures étatiques en charge du contrôle de la pêche aveugle et interdite responsables de la faible rentabilité et exigeons le respect du droit à une vie digne des pêcheurs tunisiens du sud-est du pays.
– Nous appelons à une action urgente de toutes les autorités concernées pour protéger les bateaux tunisiens et les marins tunisiens dans le territoire maritime tunisien, une protection qui devrait être la composante la plus fondamentale de l’autorité de l’État sur son territoire.
La crise mondiale et ses répercussions s’ajoutent à toutes ces circonstances, qui ont contribué à la détérioration de l’activité de pêche dans la région et nous obligent à lancer un appel à l’aide pour tenter de préserver la durabilité du secteur à Zarzis et dans tout le sud-est du pays.
Association Zarzis Le Pêcheur - Al Bahar pour le développement et l’environnement
Slaheddine Mcharek, Président
Version originale en italien :
▻https://www.globalproject.info/it/mondi/tunisia-blocco-del-porto-di-zarzis-in-protesta-contro-la-guardia-costiera-libica/23667
–-> traduction reçu via la mailing-list Migreurop, le 15.09.2021
#migrations #asile #réfugiés #externalisation #frontières #Italie #UE #EU #contrôles_frontaliers
Loin d’être un phénomène isolé, le #cyberharcèlement touche en majorité les #femmes. Une enquête édifiante sur ce déferlement de #haine virtuelle, aux conséquences bien réelles. Avec le #témoignage d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, et de spécialistes de la question, qui en décryptent les dimensions sociologiques, juridiques et sociétales.
Les femmes sont vingt-sept fois plus susceptibles que les hommes d’être harcelées via #Internet et les #réseaux_sociaux. Ce constat, dressé par l’European Women’s Lobby en 2017, prouve que les #cyberviolences envers les femmes ne sont pas une addition d’actes isolés, mais un fléau systémique. Plusieurs études sociologiques ont montré qu’il était, en majorité, le fait d’hommes, qui, contrairement aux idées reçues, appartiendraient à des milieux plutôt socio-économiques plutôt favorisés. Se sentant protégés par le caractère virtuel de leurs actions, les auteurs de ces violences s’organisent et mènent parfois des « #raids_numériques », ou #harcèlement_en_meute, aux conséquences, à la fois personnelles et professionnelles, terribles pour les victimes. Celles-ci, lorsqu’elles portent plainte, n’obtiennent que rarement #justice puisqu’elles font face à une administration peu formée sur le sujet, à une législation inadaptée et à une jurisprudence quasi inexistante. Les plates-formes numériques, quant à elles, sont encore très peu régulées et luttent insuffisamment contre le harcèlement. Pour Anna-Lena von Hodenberg, directrice d’une association allemande d’aide aux victimes de cyberharcèlement, le phénomène est une menace directe à la #démocratie : « Si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se fassent écarter de cet #espace_public [Internet, NDLR] et disparaissent, alors nous n’aurons plus de #débat_démocratique, il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort ».
Acharnement haineux
#Florence_Hainaut et #Myriam_Leroy, deux journalistes belges cyberharcelées, recueillent les témoignages d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, (dont la chroniqueuse de 28 minutes #Nadia_Daam, l’humoriste #Florence_Mendez ou encore l’auteure #Pauline_Harmange), elles aussi insultées et menacées sur le Net. En partant des messages malveillants reçus par ces dernières, le duo de réalisatrices enquête sur la prolifération de la haine en ligne auprès de différents spécialistes de la question, qui décryptent les aspects sociologiques, juridiques ou encore sociétaux du cyberharcèlement.
►https://www.arte.tv/fr/videos/098404-000-A/salepute
–-> déjà signalé sur seenthis (▻https://seenthis.net/messages/919957 et ▻https://seenthis.net/messages/920100), mais je voulais y ajouter des mots-clé et citations...
#Renaud_Maes, sociologue (à partir de la min 16’30)
« Généralement c’est plutôt des hommes qui agressent sur internet et c’est plutôt des gens qui viennent de milieux socio-économiques plus favorisés (...), des gens qui viennent de la classe moyenne, voire de la classe moyenne supérieure. Cela permet de révéler quelque chose qu’on croit relativement absent : il existe une violence structurelle dans nos société, il existe une domination structurelle et on s’en est pas débarrassés. Clairement, encore aujourd’hui, c’est pas facile d’être un homosexuel, c’est pas facile d’être une femme, c’est pas facile d’être une personne racisée, c’est encore moins facile si on commence à avoir plusieurs attributs au même temps. C’est quelque chose qui parfait ne transparaît pas dans le monde social, parce qu’on a plus de self-control. Avec internet on voit bien que le problème est bien là et que dès qu’on a eu l’occasion d’enlever un peu de #contrôle_social, d’avoir, ne fut-ce que l’illusion, car ce n’est pas forcément vrai, moins de conséquences immédiatement les choses sont mises à nu. Et on voit qu’il y a de la violence, il y a du #rejet des personnes homosexuelles, il y a de la misogynie, il y a du racisme. »
#Ketsia_Mutombo, co-fondatrice du collectif « Féministes contre le harcèlement » (à partir de la min 22’30) :
« On est encore dans des sociétés où la parole publique ou l’espace public n’est pas fait pour les femmes, n’est pas fait pour les groupes minorés. On est pensé comme des personnes qui doivent rester dans l’espace domestique, s’acquitter du travail domestique, familial, relationnel, mais ne pas prendre la place. »
#Laurence_Rosier, linguiste (à partir de la min 22’45) :
"Les femmes qui s’expriment, elles s’expriment dans la place publique. (...) Et à partir du moment où ’elles l’ouvrent’, elles se mettent en #danger parce qu’elles vont en général tenir une parole qui n’est pas la parole nécessairement attendue. C’est quoi une parole attendue depuis des lustres ? C’est que la femme au départ elle doit respecter les #convenances, donc elle doit être polie, c’est elle qui fait l’éducation à la politesse des enfants, elle doit être mesurée, en retenue, pas violente. Et dès qu’elle adopte un ton qui n’est pas celui-là, qui est véhément, qui est agressif, qui est trivial, sexuel... et bien, on va lui faire sentir que justement elle sort des codes établis et elle va être punie
#Lauren_Bastide (à partir de la minute 22’18) :
« Je trouve que le cyberhacèlement a beaucoup de résonance avec le #viol et la #culture_du_viol, qu’il y a ce continuum de la simple interpellation dans la rue au viol. Pour moi c’est pareil, il y a le petit mot écrit, le petit commentaire un peu haineux sous ta photo et puis le raid qui fout ta vie par terre. Il y a cette espèce de #tolérance de la société pour ça... ’c’est le tarif en fait... il ne fallait pas sortir la nuit, il ne fallait pas te mettre en jupe’. ’Bhein, oui, c’est le tarif, t’avais qu’à pas avoir d’opinion politique, t’avais qu’à pas avoir un métier visible. Les conséquences qu’il peut y avoir c’est que les femmes sont moins prêtes à parler, c’est plus difficile pour elles. Prendre la parole dans l’espace public quand on est une femme c’est l’#enfer. Il faut vraiment être très blindée, très sure de soi pour avoir la force d’y aller. Surtout quand on va exprimer une opinion politique »
#Anna-Lena_von_Hodenberg, Hate aid (à partir de la minute 33’48) :
« Nous devons réaliser qu’internet c’est l’espace public au même titre que la vie physique. »
#Emma_Jane, autrice du livre Misogyny Online (à partir de la minute 35’30), en se référant au fait que le sujet n’est pas vraiment traité sérieusement...
"La plupart des politiciens sont de vieux hommes blancs, ils ne reçoivent pas d’insulte raciste, ils ne reçoivent pas d’insultes sexistes, ils n’ont pas grandi avec internet.
#Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 39’20) :
« Ce qui est choquant ce n’est pas seulement la haine dont j’ai été la cible, mais le fait que beaucoup de femmes sont visées par ce type de violence sexualisée. (...) On se sent personnellement visé, mais il s’agit d’un problème systémique, c’est caractéristique de l’extrême droite qui ne supporte pas que les femmes soient autre chose que des femmes au foyer et qu’elles jouent un rôle actif dans la société. (...) Il ne s’agissait pas d’une phrase, mais de milliers de messages qui ne disparaîtraient jamais. Pour toutes ces raisons j’ai porté plainte. Et j’ai été stupéfaite quand la réponse, se basant selon moi sur une mauvaise interprétation de la jurisprudence a été qu’en tant que femme politique je devais accepter ce genre de messages. (...) ’Détritus de chatte’, pour les juges en Allemagne, c’était de la liberté d’expression’. »
#Laurence_Rosier (à partir de la minute 41’35) :
« La liberté d’expression est invoquée aujourd’hui, pas dans tous les cas, mais dans beaucoup de cas, pour justifier des discours de haine. Et les discours de haine c’est pas soudain que la haine sort, c’est parce que ça a été permis et favorisé par ’oh, une petite blague sexiste, une petite tape sur l’épaule, un petit mot d’abord gentil’ et que progressivement on libère le niveau du caniveau. »
#Florence_Mendez, humoriste (à partir de la minute 43’01) :
« Le sexisme que même pour moi était acceptable avant, parce qu’on a toutes nagé dans cette mer en ce disant ’ça va, l’eau n’est pas si salée, je peux en boire encore un peu !’... On a toutes laissé passé ça. Et maintenant il y a des choses qui sont juste insupportables. (...) Je ne laisse plus rien passer du tout, rien passer du tout dans ma vie de tous les jours. »
#Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 43’25) :
« ça me rappelle ce slogan des mouvements féministes des années 1970 : ’Le pouvoir des hommes est la patience des femmes’. Il faut juste qu’on arrête d’être patientes. »
Anna-Lena von Hodenberg (à partir de la minute 47’32) :
« Si on laisse courir les choses, sans régulation, sans poursuites judiciaires, si en tant que société on continue à rester des témoins passifs, alors ça aura des conséquences massives sur nos démocraties. Nous voyons déjà maintenant aux Etats-Unis : la polarisation. Nous l’avons vu en Grande-Bretagne pendant le Brexit. Et ça, c’est juste un avant-goût. Le net est l’espace public le plus important que nous avons, si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se font écarter de cet espace public, qu’elles disparaissent, alors nous n’avons plus de débat démocratique, alors il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort et par conséquent, dans le débat public, régnera la loi du plus fort. Et ça, dans nos cultures démocratiques, nous ne pouvons pas l’accepter. »
Voix off (à partir de la minute 52’40) :
« ’Fermer sa gueule’, c’est déserter les réseaux, c’est changer de métier, adopter un ton très polissé, c’est refuser des opportunités quand elles sont trop exposées. Et serrer les dents quand on est attaqué, ne surtout pas donner l’impression de se plaindre. »
#Florence_Mendez (à partir de la minute 53’40) :
«C’est la fin de la tranquillité.»
#fait_de_société #cyber-harcèlement #menaces #santé_mentale #violence_structurelle #domination_structurelle #misogynie #racisme #sexisme #intersectionnalité #insulte #espace_numérique #punition #code_établi #plainte #impunité #extrême_droite #fachosphère #liberté_d'expression #polarisation #démocratie #invisibilisation #silenciation #principe_de_la_nasse #nasse
#documentaire #film_documentaire
#CNews, première chaîne d’#intox de France… avec le soutien de l’Élysée
La semaine dernière, CNews a pour la première fois dépassé #BFMTV en audience. Récompense suprême pour la chaîne qui propage des #fake_news sur des #controverses montées de toutes pièces : documentaire censuré à Orléans, #écriture_inclusive imposée à l’école, #Blanche-Neige victime de la “#cancel_culture”… Plus courageux encore, #Pascal_Praud désigne à la vindicte de la #fachosphère des responsables de services publics. Une action civique qui vaut à l’animateur d’être chouchouté par l’Élysée.
« Merci à vous tous, chers téléspectateurs, salue #Sonia_Mabrouk mardi dernier. Vous avez placé hier CNews leader des chaînes d’information de France. » Devant BFMTV, et sans que cette dernière perde de part d’audience. La chaîne de #Bolloré a donc su attirer un nouveau public. « C’est une confiance qui nous honore, merci encore. » Une confiance de laquelle Sonia Mabrouk sait se rendre digne. « La guerre contre l’écriture inclusive menée par #Jean-Michel_Blanquer qui veut l’interdire à l’école, annonce-t-elle au sommaire de Midi news. L’écriture inclusive, une attaque contre notre langue et derrière, une idéologie. » Rappelons que Sonia Mabrouk, elle, est dépourvue d’idéologie. « Et puis nous parlerons de tags anti-police et donc anti-France d’une violence inouïe. » Ils ont causé des dizaines de blessés parmi les forces de l’ordre.
« J’ai remercié les téléspectateurs qui ont placé hier CNews comme la chaîne leader des chaînes d’information, rappelle Sonia Mabrouk après le journal. Je remercie également les invités. De tous bords, c’est très important, chaque jour il y a la diversité des sujets et surtout des tendances. » De la droite extrême à l’extrême droite en passant par la gauche d’extrême droite, comme nous allons le vérifier. « Le ministre de l’Éducation a dit : Ça suffit ! Stop l’écriture inclusive à l’école !, relaie la présentatrice. — Il faut savoir l’enfer qu’on vit dans beaucoup de collectivités, gémit #Rudolph_Granier conseiller LR de Paris. À Grenoble, ils ont décidé de la rendre obligatoire dans les délibérations, c’est déjà le cas à la mairie de Paris. » Il faudrait mettre en place une cellule de soutien psychologique pour Rudolph Granier et ses collègues. « Moi, je pense aux personnes qui sont dyslexiques, qui sont aveugles. » Les aveugles ? Ils n’ont pas grand-chose à voir dans cette histoire.
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« Ça concerne les universités, Sciences Po, l’EHESS, Normale Sup, énumère Élisabeth Lévy. La triade des sciences humaines s’adonne à ça. Et si des profs ne mettent pas leurs demandes de financement en écriture inclusive, ils ont toutes les chances de se faire retoquer. » Information inventée de source sûre. « On est encore l’otage de groupuscules. » Terroristes. Le seul invité de tous bords de gauche prend la parole. « Autant je suis pour qu’on dise “madame la ministre”, revendique #Philippe_Doucet, du PS, mais je suis contre cette histoire d’écriture inclusive. » Ouf, les « socialistes » ne cèdent pas à la pression des preneurs d’otages. « Mais pourquoi le ministre de l’Éducation fait cela ? » s’auto-interroge Sonia Mabrouk pour mieux s’auto-répondre : « L’écriture inclusive et la théorie du #genre ont pris le dessus par exemple au #CNRS, c’est ce que vise le ministre. » Philippe Doucet fait assaut de bonne volonté : « Je suis contre la #culture_woke et pour la République. » Rappelons que l’écriture inclusive menace la République, ses partisans étant notoirement friands de dictature militaire.
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Sonia Mabrouk psalmodie : « Écriture inclusive, #femellisme, disent certains, mais aussi discours décoloniaux… » Sans oublier l’#islamo-gauchisme racialiste. « Il y a des militants, il faut les appeler ainsi, qui pensent tordre le cou au réel et changer la cité en corrigeant les #mots. » Rappelons que Sonia Mabrouk, elle, n’est pas militante. « Ces révolutionnaires de salon me font sourire, commente #Ludovic_Mendes, de LREM. Quand on dit à un gamin de CP qui a des difficultés parce qu’il est en apprentissage de la lecture qu’on va lui rajouter l’écriture inclusive… » Information fantasmée de source sûre : partout en France, les élèves de CP sont contraints par les professeurs des écoles d’apprendre l’écriture inclusive.
Sonia Mabrouk résume : « En gros, vous êtes tous d’accord. » Magie de la « diversité des tendances » des « invités de tous bords ». « L’écriture inclusive, vous dites : absurdité et non-sens linguistique. Mais je voudrais vous pousser plus loin. » Un peu plus à droite, si c’est possible. Élisabeth Lévy ne se fait pas prier. « La question, c’est : de quelle minorité sommes-nous otages ? Y compris chez les socialistes, chez les Verts, dans toute l’extrême gauche 3décolonialo-indigéno-je-ne-sais-quoi. On est #otages de gens qui représentent des #groupuscules. — Oui mais parfois les #minorités font l’histoire, alerte Sonia Mabrouk. Quand vous êtes à des postes très élevés, ça peut ruisseler. — Ça peut infuser », confirme Philippe Doucet. C’est d’autant plus dangereux que, selon Élisabeth Lévy, « le combat de la place des femmes dans la société, il est gagné ». L’emploi de l’écriture inclusive conduirait tout droit à une #dictature_féminazie.
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« Avant de parler de beaucoup d’informations sur la violence qui règne dans nos villes, annonce Pascal Praud la veille au soir, l’écriture inclusive. Vous savez qu’on essaye de mener modestement ce débat. » Cette #croisade. « Dans une interview au JDD, Jean-Michel Blanquer a rappelé l’existence de la circulaire d’Édouard Philippe qui en 2017 interdisait l’usage administratif de l’écriture dite “#épicène”. » Épicène, vraiment ? L’adjectif désigne un mot qui s’écrit au masculin comme au féminin. Blanquer va donc interdire l’emploi du mot « élève », un comble pour un ministre de l’Éducation… Mais puisque c’est une information vérifiée par Pascal Praud… « Et il demande que l’écriture inclusive ne soit pas utilisée à l’école. J’ai envie de dire : Enfin ! Enfin, il se réveille ! » Il a dû regarder CNews, où Pascal Praud mène un combat quotidien contre l’écriture inclusive.
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L’animateur relaie scrupuleusement les arguments du ministre : « Mettre des points au milieu des mots est un barrage à la transmission de notre langue pour tous, par exemple pour les élèves dyslexiques. » En revanche, apprendre à écrire « du cidre et des crêpes bretons » est une facilité pour les élèves dyslexiques. « Je rappelle que la mairie de Paris fait ses communiqués en écriture inclusive. Je rappelle que le site de France 2 est en écriture inclusive. — L’université est en écriture inclusive, chouine #Ivan_Rioufol. — L’université, quand t’écris pas ta thèse en écriture inclusive, t’es mis dehors ! » Information inventée de source sûre.
« Vous êtes injuste, proteste toutefois Ivan Rioufol, il me semble avoir entendu Blanquer le dire plusieurs fois. — Y a que nous qui le disons ! À l’université, c’est un scandale ! Tu peux prendre des sanctions, quand même ! » Condamner les profs à des peines de prison. « Pourquoi le président de la République n’a rien dit sur ce coup-là ?, s’étonne #Jean-Claude_Dassier — Il dit rien, le ministre de la Culture non plus… Tous les thèmes qui fâchent, de toute façon ! » À peine s’ils dénoncent l’islamo-gauchisme. « Je crois savoir que c’est assez marginal, tente l’avocate Sophie Obadia. — C’est pas du tout marginal à l’université, réplique Pascal Praud. — En #sciences_sociales, précise Ivan Rioufol. — C’est la terreur ! » Selon des témoignages fabriqués de source sûre.
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Sophie Obadia se range à la diversité des tendances des invités de tous bords : « Que ce soit enseigné, malheureusement, oui. Mais les étudiants n’y parviennent pas. C’est d’une complexité effarante. — C’est moralement illisible, ajoute Ivan Rioufol. — Sur le plan cognitif, c’est improbable, insiste l’avocate. — Ça devrait être considéré comme nul et non avenu, tranche Jean-Claude Dassier. — Le féminin d’entraîneur, c’est quoi ?, demande Jean-Louis Burgat. — Entraîneuse, répond Jean-Claude Dassier. — Vous voyez, y a des choses qui sont impraticables. — Ce qui est très inquiétant, geint Ivan Rioufol, c’est de voir à quel point une #moutonnerie peut amener à un #conformisme. » Les participants à L’heure des pros, eux, sont aussi anticonformistes que Jean-Michel Blanquer. « En sciences sociales, dans les universités, si vous ne faites pas de thèse en écriture inclusive, vous n’êtes pas lu ou vous avez deux points. » Information fabulée de source sûre. Pascal Praud en ajoute une : « Y a des profs qui ne répondent pas aux mails des étudiants quand ils ne sont pas en écriture inclusive. — Et Mme Vidal ne dit rien, peste Jean-Claude Dassier. — C’est peut-être pas la priorité, tente Sophie Obadia. — Mais c’est la priorité !, rage Pascal Praud. — Ah ben si, c’est la priorité ! », appuie Ivan Rioufol.
La priorité de mercredi est tout aussi anticonformiste. « Est-ce que dans Blanche-Neige, vous vous souvenez de la fameuse scène du baiser, quand le prince charmant se penche sur Blanche-Neige pour la réveiller ?, demande Sonia Mabrouk. Est-ce que vous y avez vu un baiser non consenti ? » #Olivier_Dartigolles réagit : « La polémique est ridicule » Tellement ridicule qu’elle a été montée de toutes pièces par la fachosphère et relayée par #FoxNews à partir d’un obscur blog qui faisait la promotion d’une nouvelle attraction de Disneyland. Mais, pour Sonia Mabrouk, « ça va loin. Parce que Disney se demande que faire de cette scène, est-ce qu’il ne faut pas la couper ». Information supputée de source sûre. « Évidemment on crie tout de suite à la cancel culture. » Sur CNews.
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« Qu’est-ce que vous en pensez, #Laurent_Jacobelli ? — Je pense que c’est ridicule », répond le porte-parole du RN. Qui suggère illico la prochaine fake news susceptible de provoquer de passionnants débats ridicules : « En plus, dans le nom Blanche-Neige, il y a “blanche” donc on va nous demander de le changer. Est-ce qu’on doit ridiculiser le débat, l’amoindrir à ce niveau au point de chercher le mal partout ? » Sur CNews, oui, c’est même un credo. « Arrêtons avec cette #censure permanente. » Voyez comme les bobards des journalistes de CNews sont affreusement censurés. « La moindre image, le moindre mot donne lieu à un procès. » Sans parler des terribles remontrances du CSA.
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« Mais jusqu’où on va aller ?, insiste Sonia Mabrouk Jusqu’où cet activisme peut aller pour effacer… parce qu’il y a de véritables pressions… » À son tour, la journaliste imagine une fake news susceptible de provoquer de passionnants débats ridicules : « Peut-être que la prochaine étape, c’est de dire que les sept nains, c’est un gang bang… » Et Bambi une victime du lobby de la chasse. « Faut-il voir derrière les tenants de l’idéologie intersectionnelle, de la cancel culture, etc. ? » Sur CNews, oui. « Ou est-ce que vous dites : on prête trop d’attention à ces minorités ? » Sur CNews, c’est certain. « Il y a un véritable engagement politique derrière cela. » De l’extrême gauche décolonialo-indigéno-je-ne-sais-quoi, a démontré Élisabeth Lévy.
#Kevin_Bossuet, enseignant et coqueluche de la fachosphère, s’insurge, absence de preuves à l’appui : « On veut tout dénaturer, tout détruire, tout ce qui constitue le socle de notre identité et de notre civilisation. » Selon nos informations forgées de toutes pièces. « On pointe l’œuvre du #patriarcat partout, c’est profondément ridicule et dangereux. » Il faut sauver le patriarcat. « Le débat sur l’écriture inclusive, c’est exactement le même processus. » Effectivement : on monte en épingle une menace imaginaire pour pouvoir propager des idées réactionnaires. « Vous avez des manuels scolaires, des enseignants qui utilisent de l’écriture inclusive … » Information rêvée de source sûre. « On peut se poser des questions sur l’#idéologie de ces personnes. » En revanche, pas la peine de se poser des questions sur l’idéologie de toutes tendances des invités de tous bords de CNews.
« On est en train de recréer la censure, se désespère Laurent Jacobelli, de restreindre la possibilité d’exprimer une opinion, on le voit sur les plateaux télé. » Surtout sur CNews. « Il faut arrêter qu’une toute petite minorité impose sa #dictature_intellectuelle à une grande majorité. » D’invités de CNews. L’avocat Carbon de Sèze conclut « C’est pas à des amateurs de révision des œuvres artistiques d’imposer les thèmes de discussion. » Non, c’est à des amateurs de révisionnisme de les imposer sur le fondement de fausses informations.
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Le 30 avril, Pascal Praud impose un autre « débat » sur un nouveau scandale fantasmé, « l’#affaire_d’Orléans. L’histoire extravagante du programme financé par la mairie qui devait passer sur France 3 Centre-Val-de-Loire et qui finalement est censuré. — Oui, il est censuré », confirme #Serge_Grouard, maire LR d’Orléans et habitué de L’heure des pros. Le bandeau le clame, « France 3 censure un programme sur #Jeanne_d’Arc ». En réalité, comme l’a très bien raconté cet article d’Arrêt sur images, France 3 a renoncé à programmer un #documentaire sur les « #fêtes_johanniques » (qu’elle ne s’était jamais engagée à diffuser) quand elle s’est aperçue qu’il s’agissait d’un film promotionnel réalisé par la municipalité et commenté par la voix de #Charlotte_d’Ornellas, journaliste de Valeurs actuelles, figure de la fachosphère abonnée aux plateaux de CNews.
Pascal Praud, comme Sonia Mabrouk, préfère « crier à la cancel culture » d’inspiration soviétique : « Qu’il y ait des petits commissaires du peuple dans le service public d’information et notamment à France 3 n’étonnera personne. Ça s’appelle des petits commissaires du peuple, insiste-t-il. Dans le service public, ce sont les rois. » L’animateur s’adonne alors à l’une de ses méthodes favorites : désigner le nom du coupable à la vindicte de centaines de milliers de téléspectateurs nourris de fausses informations.
« On est en train d’essayer d’appeler M. Basier, il veut pas répondre. » Le lâche. « Jean-Jacques Basier, je vais donner son nom plusieurs fois. Jean-Jacques Basier, directeur régional de France 3 Centre-Val-de-Loire. » Son adresse et son numéro de téléphone, peut-être ? « C’est une police de la pensée, s’insurge Serge Grouard. — Ils ont des mentalités d’épurateurs, ajoute Ivan Rioufol. — Exactement, c’est les mêmes qui auraient tondu à la Libération. » Puisque Rioufol et Praud me tendent la perche du point Godwin, qu’il me soit permis de subodorer que ces Praud et Rioufol sont les mêmes qui auraient dénoncé des juifs sous l’Occupation. Quoiqu’il en soit, leur lynchage public a des effets dans la vie réelle : le directeur régional de France 3 est l’objet d’une campagne de #harcèlement sur les réseaux sociaux mais aussi sur sa propre messagerie vocale. Avec d’explicites #menaces_de_mort, rapporte un communiqué syndical.
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Une autre affaire montre que ce goût pour la #délation peut avoir de graves conséquences sur les personnes désignées à la furie de la fachosphère.. Jeudi soir, l’émission À l’air libre, réalisée par Mediapart, reçoit #Anne-Laure_Amilhat_Szary, directrice à Grenoble du laboratoire Pacte du CNRS. Je conseille vivement de regarder son témoignage (en accès libre) pour prendre la mesure de la gravité des agissements de M. Pascal Praud. Ce dernier a mis en cause l’universitaire lors de l’affichage des noms de deux professeurs de Sciences Po Grenoble accusés d’islamophobie. Affichage que l’intéressée a toujours vigoureusement condamné. Affichage consécutif à une controverse entre un prof militant et une chercheuse de son laboratoire qu’Anne-Laure Amilhat-Szary a défendue dans un communiqué ensuite falsifié par #Klaus_Kinzler, le prof en question.
Pascal Praud s’est empressé d’inviter ce professeur, qui déclare alors : « Un grand chercheur directeur de laboratoire de recherche se met en dehors de la science. Il ne comprend même pas, c’est une femme d’ailleurs, elle ne comprend même pas ce que c’est, la science. — Ce laboratoire, Pacte, avec cette dame…, rebondit Pascal Praud. Je vais citer son nom, Anne-Laure Amilhat-Sza… Szaa… Szary. » La délation est un métier. « Cette dame-là, c’est la directrice du laboratoire mais cette dame, c’est une militante. — C’est une militante. C’est des gens qui ne réfléchissent même pas. — Oui mais qui se croient tout permis et qui avancent avec le sentiment d’impunité. C’est très révélateur, on voit le #terrorisme_intellectuel qui existe dans l’université à travers leur exemple. »
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Sur le plateau de Mediapart, Anne-Laure Amilhat-Szary raconte la suite. « La ministre de l’Enseignement supérieur dit que c’est insensé de livrer des noms d’enseignants-chercheurs à la vindicte des réseaux sociaux, or ça a été mon cas. J’ai fait l’objet d’une campagne diffamatoire avec menaces de mort nombreuses et répétées. » Au point de devoir porter plainte pour « #cyber-harcèlement et menaces de mort ». « Comment vous avez vécu tout ça ?, demande Mathieu Magnaudeix. — Mal. Et comme la preuve que l’intersectionnalité est une bonne grille d’analyse puisque j’ai fait l’objet d’insultes islamophobes, antisémites, sexistes, avec une critique de mon physique avec mon portrait transformé… Je vous laisse imaginer le pire. » Le pire sciemment provoqué par Pascal Praud.
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« Je n’ai pas de protection judiciaire, regrette Anne-Laure Amilhat-Szary. Elle a été demandée et on n’en a plus jamais entendu parler. La ministre a défendu des personnes qui ont effectivement été mises en danger par des affichages criminels et moi, je me débrouille toute seule. » Comme se débrouillent toutes seules les journalistes #Morgan_Large et #Nadiya_Lazzouni, respectivement victimes d’#intimidations (dont un sabotage de voiture) et de menaces de mort, sans qu’elles obtiennent la #protection_policière demandée — et soutenues par de nombreuses organisations de journalistes.
En revanche, Emmanuel Macron n’hésite pas à téléphoner à #Eric_Zemmour, quand il est agressé dans la rue, pour l’assurer de son soutien. De même, #Christine_Kelly, la faire-valoir de #Zemmour, est promptement reçue à l’Élysée quand elle reçoit des menaces de mort (évidemment inadmissibles, quoiqu’on pense de son travail).
Quant à Pascal Praud… Non seulement ses délits de « mise en danger de la vie d’autrui par diffusion d’informations relatives à la vie privée, familiale ou professionnelle » (que le gouvernement se vante d’avoir inclus dans la loi Séparatisme) n’entraînent aucune poursuite, mais ils lui valent le soutien enamouré du pouvoir. Dans un article du Monde, Ariane Chemin raconte comment le journaliste de CNews est reçu avec les honneurs à Matignon, à la questure de l’Assemblée (où le reçoit le député Florian Bachelier, habitué de ses émissions) et même à l’Élysée. Emmanuel Macron et son conseiller #Bruno_Roger-Petit entretiennent des contacts réguliers avec Pascal Praud, allant jusqu’à lui livrer des infos en direct. Ariane Chemin explique que Bruno Roger-Petit, « le “M. Triangulation” de l’Élysée, scrute depuis longtemps CNews, qui relaie souvent les obsessions de l’extrême droite et a pour lui le même avantage que Valeurs actuelles : cliver l’opinion en deux camps sans laisser beaucoup de place à d’autres courants de pensée ».
Ainsi, le pouvoir actuel, et jusqu’à son plus haut sommet, utilise et protège un délinquant d’extrême droite propagateur de fausses nouvelles. La campagne pour la présidentielle s’annonce terrifian… pardon, passionnante.
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ajouté au fil de discussion sur l’#affaire_de_Grenoble :
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#Belgique : Les conséquences de la privatisation dans le centre d’accueil de demandeur·ses d’asile de #Jalhay (Spa)
Article du collectif Migrations Libres : « Centre d’accueil de Jalhay : quand les demandeur·ses d’asile paient le prix de la #privatisation » (►https://migrationslibres.be/svasta)
- En octobre 2020, la gestion du centre d’accueil de Jalhay (Spa) est passée de la #Croix-Rouge à la coopérative Svasta.
- Ce changement a entraîné une importante diminution du personnel et des dysfonctionnements graves : limitation de l’#accès_aux_soins, exploitation des résident·es au profit du gestionnaire privé, logements insalubres, #menaces, #intimidations et #chantage de la part de la direction sur les résident·es.
- Enregistrée comme coopérative à finalité sociale, #Svasta est administrée par le groupe hôtelier de luxe #Corsendonk et gère les centres sur les sites de ce dernier.
- Le cas du centre d’accueil de Jalhay illustre les nombreuses questions que pose la tendance à la privatisation des centres d’accueil en Belgique. Nous tentons de mettre en lumière les conditions plus structurelles (réglementations minimales, financement) qui autorisent malheureusement de nombreux dysfonctionnements.
Article consultable ici et communiqué de presse en pièce jointe
►https://migrationslibres.be/svasta
#asile #migrations #réfugiés #centres_pour_demandeurs_d'asile #hébergement #logement
Reçu via la mailing-list Migreurop, le 19.04.2021
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ajouté à la métaliste #tourisme / #migrations :
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ping @isskein
Google menace de bloquer son moteur de recherche en Australie
►https://www.lemonde.fr/pixels/article/2021/01/22/google-menace-de-bloquer-son-moteur-de-recherche-en-australie_6067152_440899
Le gouvernement australien travaille sur un « code de conduite contraignant », qui prévoit des pénalités de plusieurs millions d’euros en cas d’infraction et vise le « fil d’actualité » de Facebook et les recherches sur Google.
Le Monde avec AFP
Publié aujourd’hui à 04h56, mis à jour à 10h55
Google a menacé, vendredi 22 janvier, d’interdire aux internautes australiens l’utilisation de son moteur de recherche, si Canberra ne modifie pas son projet qui vise à contraindre le géant de l’Internet à rémunérer les médias pour leurs contenus.
Le gouvernement australien travaille sur un « code de conduite contraignant » censé régir les relations entre des médias en grandes difficultés financières et les géants qui dominent l’Internet, au premier rang desquels Google et Facebook, qui captent une part importante des revenus publicitaires.
Ce projet, l’un des plus contraignants au monde, prévoit des pénalités de plusieurs millions d’euros en cas d’infraction et vise le « fil d’actualité » de Facebook et les recherches sur Google.
Mais la directrice générale de Google Australia, Mel Silva, a déclaré vendredi devant une commission du Sénat que le « scénario du pire » serait que le projet de code passe tel quel. Le cas échéant, son groupe se verrait dans l’obligation de suspendre ses services de recherche en Australie. « Si cette version du code devenait une loi, cela ne nous laisserait pas d’autre choix véritable que de suspendre Google Search en Australie », a déclaré Mme Silva.
« Nous ne plions pas devant les menaces »
Une menace à laquelle le premier ministre australien, Scott Morrison, a sèchement répondu. « C’est l’Australie qui fait les règles quant à ce qui peut être fait en Australie. C’est notre Parlement qui en décide, a-t-il déclaré. Les gens qui sont prêts à travailler dans ce cadre en Australie sont les bienvenus. Mais nous ne plions pas devant les menaces. »
L’initiative australienne est suivie de près à travers le monde à un moment où les médias souffrent dans une économie numérique où les revenus publicitaires sont de plus en plus captés par Facebook, Google et d’autres grandes firmes de la tech. La crise des médias a été aggravée par l’effondrement économique provoqué par le coronavirus. En Australie, des dizaines de journaux ont été fermés et des centaines de journalistes licenciés.
Article réservé à nos abonnés Lire aussi L’Australie coupée du monde pour endiguer la pandémie de Covid-19
Le projet de code prévoit que Google et Facebook rémunèrent les médias australiens, qu’il s’agisse du groupe public ABC ou des titres du groupe News Corp, de Rupert Murdoch, pour la reprise de leurs contenus. Le gouvernement a cependant décidé de ne cibler que Facebook et Google, mais pas d’autres plates-formes très populaires, comme Instagram ou YouTube.
Mme Silva a insisté sur le fait que Google souhaitait soutenir les médias, et suggéré des modifications au projet de code qui doit entrer en vigueur cette année. « Il y a un chemin clair vers l’élaboration d’un code juste avec lequel on peut travailler, si on y apporte simplement de légers amendements », a-t-elle dit.
]]>Paper about Herbalife®-related patient death removed after company threatens to sue the journal – Science Integrity Digest
▻https://scienceintegritydigest.com/2020/12/20/paper-about-herbalife-related-patient-death-removed-after-co
C’est vraiment terrible.
]]>Le problème avec les vieux mâles blancs du vin – No wine is innocent
▻https://www.nowineisinnocent.com/2020/12/02/le-probleme-avec-les-vieux-males-blancs-du-vin
Avertissement préalable : tous les vieux mâles blancs du #vin ne posent pas de problème (je ne suis d’ailleurs pas loin, à 46 ans, d’en être un moi-même), mais tout le problème semble venir de vieux mâles blancs du vin. Surtout, derrière ce titre délibérément provocateur, il y a une réalité qui, si elle est évidemment loin d’être propre au seul milieu du vin, s’y manifeste violemment.
Ainsi, en France, une caste constituée d’#hommes, tous #blancs, tous âgés de 50 à 70 ans environ, tous pros et critiques de vin, tous affublés d’un bon vieux sentiment de supériorité, fait régner dans le monde du vin ce qu’il faut bien appeler, excuse my french, une ambiance de merde. Quand ils ne se livrent pas tout simplement au dénigrement, aux insultes, au #harcèlement et aux #menaces, notamment à l’égard des #femmes.
]]>Je suis prof. Seize brèves réflexions contre la terreur et l’obscurantisme, en #hommage à #Samuel_Paty
Les lignes qui suivent ont été inspirées par la nouvelle atroce de la mise à mort de mon collègue, Samuel Paty, et par la difficile semaine qui s’en est suivie. En hommage à un #enseignant qui croyait en l’#éducation, en la #raison_humaine et en la #liberté_d’expression, elles proposent une quinzaine de réflexions appelant, malgré l’émotion, à penser le présent, et en débattre, avec raison. Ces réflexions ne prétendent évidemment pas incarner la pensée de Samuel Paty, mais elles sont écrites pour lui, au sens où l’effort de pensée, de discernement, de nuances, de raison, a été fait en pensant à lui, et pour lui rendre hommage. Continuer de penser librement, d’exprimer, d’échanger les arguments, me parait le meilleur des hommages.
1. Il y a d’abord eu, en apprenant la nouvelle, l’#horreur, la #tristesse, la #peur, devant le #crime commis, et des pensées pour les proches de Samuel Paty, ses collègues, ses élèves, toutes les communautés scolaires de France et, au-delà, toute la communauté des humains bouleversés par ce crime. Puis s’y est mêlée une #rage causée par tous ceux qui, d’une manière ou d’une autre, et avant même d’en savoir plus sur les tenants et aboutissants qui avaient mené au pire, se sont empressés de dégainer des kits théoriques tendant à minimiser l’#atrocité du crime ou à dissoudre toute la #responsabilité de l’assassin (ou possiblement des assassins) dans des entités excessivement extensibles (que ce soit « l’#islamisation » ou « l’#islamophobie ») – sans compter ceux qui instrumentalisent l’horreur pour des agendas qu’on connait trop bien : rétablissement de la peine de mort, chasse aux immigré.e.s, chasse aux musulman.e.s.
2. Il y a ensuite eu une peur, ou des peurs, en voyant repartir tellement vite, et à la puissance dix, une forme de réaction gouvernementale qui a de longue date fait les preuves de son #inefficacité (contre la #violence_terroriste) et de sa #nocivité (pour l’état du vivre-ensemble et des droits humains) : au lieu d’augmenter comme il faut les moyens policiers pour enquêter plus et mieux qu’on ne le fait déjà, pour surveiller, remonter des filières bien ciblées et les démanteler, mais aussi assurer en temps réel la protection des personnes qui la demandent, au moment où elles la demandent, on fait du spectacle avec des boucs émissaires.
Une sourde appréhension s’est donc mêlée à la peine, face au déferlement d’injures, de menaces et d’attaques islamophobes, anti-immigrés et anti-tchétchènes qui a tout de suite commencé, mais aussi face à l’éventualité d’autres attentats qui pourraient advenir dans le futur, sur la prévention desquels, c’est le moins que je puisse dire, toutes les énergies gouvernementales ne me semblent pas concentrées.
3. Puis, au fil des lectures, une #gêne s’est installée, concernant ce que, sur les #réseaux_sociaux, je pouvais lire, « dans mon camp » cette fois-ci – c’est-à-dire principalement chez des gens dont je partage plus ou moins une certaine conception du combat antiraciste. Ce qui tout d’abord m’a gêné fut le fait d’énoncer tout de suite des analyses explicatives alors qu’au fond on ne savait à peu près rien sur le détail des faits : quel comportement avait eu précisément Samuel Paty, en montrant quels dessins, quelles interactions avaient eu lieu après-coup avec les élèves, avec les parents, qui avait protesté et en quels termes, sous quelles forme, qui avait envenimé le contentieux et comment s’était produit l’embrasement des réseaux sociaux, et enfin quel était le profil de l’assassin, quel était son vécu russe, tchétchène, français – son vécu dans toutes ses dimensions (familiale, socio-économique, scolaire, médicale), sa sociabilité et ses accointances (ou absences d’accointances) religieuses, politiques, délinquantes, terroristes ?
J’étais gêné par exemple par le fait que soit souvent validée a priori, dès les premières heures qui suivirent le crime, l’hypothèse que Samuel Paty avait « déconné », alors qu’on n’était même pas certain par exemple que c’était le dessin dégoutant du prophète cul nu (j’y reviendrai) qui avait été montré en classe (puisqu’on lisait aussi que le professeur avait déposé plainte « pour diffamation » suite aux accusations proférées contre lui), et qu’on ne savait rien des conditions et de la manière dont il avait agencé son cours.
4. Par ailleurs, dans l’hypothèse (qui a fini par se confirmer) que c’était bien ce dessin, effectivement problématique (j’y reviendrai), qui avait servi de déclencheur ou de prétexte pour la campagne contre Samuel Paty, autre chose me gênait. D’abord cet oubli : montrer un #dessin, aussi problématique soit-il, obscène, grossier, de mauvais goût, ou même raciste, peut très bien s’intégrer dans une #démarche_pédagogique, particulièrement en cours d’histoire – après tout, nous montrons bien des #caricatures anti-juives ignobles quand nous étudions la montée de l’antisémitisme, me confiait un collègue historien, et cela ne constitue évidemment pas en soi une pure et simple perpétuation de l’#offense_raciste. Les deux cas sont différents par bien des aspects, mais dans tous les cas tout se joue dans la manière dont les documents sont présentés et ensuite collectivement commentés, analysés, critiqués. Or, sur ladite manière, en l’occurrence, nous sommes restés longtemps sans savoir ce qui exactement s’était passé, et ce que nous avons fini par appendre est que Samuel Paty n’avait pas eu d’intention maligne : il s’agissait vraiment de discuter de la liberté d’expression, autour d’un cas particulièrement litigieux.
5. En outre, s’il s’est avéré ensuite, dans les récits qui ont pu être reconstitués (notamment dans Libération), que Samuel Paty n’avait fait aucun usage malveillant de ces caricatures, et que les parents d’élèves qui s’étaient au départ inquiétés l’avaient assez rapidement et facilement compris après discussion, s’il s’est avéré aussi qu’au-delà de cet épisode particulier, Samuel Paty était un professeur très impliqué et apprécié, chaleureux, blagueur, il est dommageable que d’emblée, il n’ait pas été martelé ceci, aussi bien par les inconditionnels de l’ « esprit Charlie » que par les personnes légitimement choquées par certaines des caricatures : que même dans le cas contraire, même si le professeur avait « déconné », que ce soit un peu ou beaucoup, que même s’il avait manqué de précautions pédagogiques, que même s’il avait intentionnellement cherché à blesser, bref : que même s’il avait été un « mauvais prof », hautain, fumiste, ou même raciste, rien, absolument rien ne justifiait ce qui a été commis.
Je me doute bien que, dans la plupart des réactions à chaud, cela allait sans dire, mais je pense que, dans le monde où l’on vit, et où se passent ces horreurs, tout désormais en la matière (je veux dire : en matière de mise à distance de l’hyper-violence) doit être dit, partout, même ce qui va sans dire.
En d’autres termes, même si l’on juge nécessaire de rappeler, à l’occasion de ce crime et des discussions qu’il relance, qu’il est bon que tout ne soit pas permis en matière de liberté d’expression, cela n’est selon moi tenable que si l’on y adjoint un autre rappel : qu’il est bon aussi que tout ne soit pas permis dans la manière de limiter la liberté d’expression, dans la manière de réagir aux discours offensants, et plus précisément que doit être absolument proscrit le recours à la #violence_physique, a fortiori au #meurtre. Nous sommes malheureusement en un temps, je le répète, où cela ne va plus sans dire.
6. La remarque qui précède est, me semble-t-il, le grand non-dit qui manque le plus dans tout le débat public tel qu’il se polarise depuis des années entre les « Charlie », inconditionnels de « la liberté d’expression », et les « pas Charlie », soucieux de poser des « #limites » à la « #liberté_d’offenser » : ni la liberté d’expression ni sa nécessaire #limitation ne doivent en fait être posées comme l’impératif catégorique et fondamental. Les deux sont plaidables, mais dans un #espace_de_parole soumis à une autre loi fondamentale, sur laquelle tout le monde pourrait et devrait se mettre d’accord au préalable, et qui est le refus absolu de la violence physique.
Moyennant quoi, dès lors que cette loi fondamentale est respectée, et expressément rappelée, la liberté d’expression, à laquelle Samuel Paty était si attaché, peut et doit impliquer aussi le droit de dire qu’on juge certaines caricatures de Charlie Hebdo odieuses :
– celles par exemple qui amalgament le prophète des musulmans (et donc – par une inévitable association d’idées – l’ensemble des fidèles qui le vénèrent) à un terroriste, en le figurant par exemple surarmé, le nez crochu, le regard exorbité, la mine patibulaire, ou coiffé d’un turban en forme de bombe ;
– celle également qui blesse gratuitement les croyants (et les croyants lambda, tolérants, non-violents, tout autant voire davantage que des « djihadistes » avides de prétextes à faire couler le sang), en représentant leur prophète cul nul, testicules à l’air, une étoile musulmane à la place de l’anus ;
– celle qui animalise une syndicaliste musulmane voilée en l’affublant d’un faciès de singe ;
– celle qui annonce « une roumaine » (la joueuse Simona Halep), gagnante de Roland-Garros, et la représente en rom au physique disgracieux, brandissant la coupe et criant « ferraille ! ferraille ! » ;
– celle qui nous demande d’imaginer « le petit Aylan », enfant de migrants kurdes retrouvé mort en méditerranée, « s’il avait survécu », et nous le montre devenu « tripoteur de fesses en Allemagne » (suite à une série de viols commis à Francfort) ;
– celle qui représente les esclaves sexuelles de Boko Haram, voilées et enceintes, en train de gueuler après leurs « allocs » ;
– celle qui fantasme une invasion ou une « islamisation » en forme de « grand remplacement », par exemple en nous montrant un musulman barbu dont la barbe démesurée envahit toute la page de Une, malgré un minuscule Macron luttant « contre le séparatisme », armé de ciseaux, mais ne parvenant qu’à en couper que quelques poils ;
– celle qui alimente le même fantasme d’invasion en figurant un Macron, déclarant que le port du foulard par des femmes musulmanes « ne le regarde pas » en tant que président, tandis que le reste de la page n’est occupé que par des femmes voilées, avec une légende digne d’un tract d’extrême droite : « La République islamique en marche ».
Sur chacun de ces dessins, publiés en Une pour la plupart, je pourrais argumenter en détail, pour expliquer en quoi je les juge odieux, et souvent racistes. Bien d’autres exemples pourraient d’ailleurs être évoqués, comme une couverture publiée à l’occasion d’un attentat meurtrier commis à Bruxelles en mars 2016 et revendiqué par Daesh (ayant entraîné la mort de 32 personnes et fait 340 blessés), et figurant de manière pour le moins choquante le chanteur Stromae, orphelin du génocide rwandais, en train de chanter « Papaoutai » tandis que voltigent autour de lui des morceaux de jambes et de bras déchiquetés ou d’oeil exorbité. La liste n’est pas exhaustive, d’autres unes pourraient être évoquées – celles notamment qui nous invitent à rigoler (on est tenté de dire ricaner) sur le sort des femmes violées, des enfants abusés, ou des peuples qui meurent de faim.
On a le droit de détester cet #humour, on a le droit de considérer que certaines de ces caricatures incitent au #mépris ou à la #haine_raciste ou sexiste, entre autres griefs possibles, et on a le droit de le dire. On a le droit de l’écrire, on a le droit d’aller le dire en justice, et même en manifestation. Mais – cela allait sans dire, l’attentat de janvier 2015 oblige désormais à l’énoncer expressément – quel que soit tout le mal qu’on peut penser de ces dessins, de leur #brutalité, de leur #indélicatesse, de leur méchanceté gratuite envers des gens souvent démunis, de leur #racisme parfois, la #violence_symbolique qu’il exercent est sans commune mesure avec la violence physique extrême que constitue l’#homicide, et elle ne saurait donc lui apporter le moindre commencement de #justification.
On a en somme le droit de dénoncer avec la plus grande vigueur la violence symbolique des caricatures quand on la juge illégitime et nocive, car elle peut l’être, à condition toutefois de dire désormais ce qui, je le répète, aurait dû continuer d’aller sans dire mais va beaucoup mieux, désormais, en le disant : qu’aucune violence symbolique ne justifie l’hyper-violence physique. Cela vaut pour les pires dessins de Charlie comme pour les pires répliques d’un Zemmour ou d’un Dieudonné, comme pour tout ce qui nous offense – du plutôt #douteux au parfaitement #abject.
Que reste-t-il en effet de la liberté d’expression si l’on défend le #droit_à_la_caricature mais pas le droit à la #critique des caricatures ? Que devient le #débat_démocratique si toute critique radicale de #Charlie aujourd’hui, et qui sait de de Zemmour demain, de Macron après-demain, est d’office assimilée à une #incitation_à_la_violence, donc à de la complicité de terrorisme, donc proscrite ?
Mais inversement, que devient cet espace démocratique si la dénonciation de l’intolérable et l’appel à le faire cesser ne sont pas précédés et tempérés par le rappel clair et explicite de l’interdit fondamental du meurtre ?
7. Autre chose m’a gêné dans certaines analyses : l’interrogation sur les « #vrais_responsables », formulation qui laisse entendre que « derrière » un responsable « apparent » (l’assassin) il y aurait « les vrais responsables », qui seraient d’autres que lui. Or s’il me parait bien sûr nécessaire d’envisager dans toute sa force et toute sa complexité l’impact des #déterminismes_sociaux, il est problématique de dissoudre dans ces déterminismes toute la #responsabilité_individuelle de ce jeune de 18 ans – ce que la sociologie ne fait pas, contrairement à ce que prétendent certains polémistes, mais que certains discours peuvent parfois faire.
Que chacun s’interroge toujours sur sa possible responsabilité est plutôt une bonne chose à mes yeux, si toutefois on ne pousse pas le zèle jusqu’à un « on est tous coupables » qui dissout toute #culpabilité réelle et arrange les affaires des principaux coupables. Ce qui m’a gêné est l’enchaînement de questions qui, en réponse à la question « qui a tué ? », met comme en concurrence, à égalité, d’une part celui qui a effectivement commis le crime, et d’autre part d’autres personnes ou groupes sociaux (la direction de l’école, la police, le père d’élève ayant lancé la campagne publique contre Samuel Paty sur Youtube, sa fille qui semble l’avoir induit en erreur sur le déroulement de ses cours) qui, quel que soit leur niveau de responsabilité, n’ont en aucun cas « tué » – la distinction peut paraitre simple, voire simpliste, mais me parait, pour ma part, cruciale à maintenir.
8. Ce qui m’a gêné, aussi, et même écoeuré lorsque l’oubli était assumé, et que « le système » néolibéral et islamophobe devenait « le principal responsable », voire « l’ennemi qu’il nous faut combattre », au singulier, ce fut une absence, dans la liste des personnes ou des groupes sociaux pouvant, au-delà de l’individu #Abdoullakh_Abouyezidovitch, se partager une part de responsabilité. Ce qui me gêna fut l’oubli ou la minoration du rôle de l’entourage plus ou moins immédiat du tueur – qu’il s’agisse d’un groupe terroriste organisé ou d’un groupe plus informel de proches ou de moins proches (via les réseaux sociaux), sans oublier, bien entendu, l’acolyte de l’irresponsable « père en colère » : un certain #Abdelhakim_Sefrioui, entrepreneur de haine pourtant bien connu, démasqué et ostracisé de longue date dans les milieux militants, à commencer par les milieux pro-palestiniens et la militance anti-islamophobie.
Je connais les travaux sociologiques qui critiquent à juste titre l’approche mainstream, focalisée exclusivement les techniques de propagande des organisations terroristes, et qui déplacent la focale sur l’étude des conditions sociales rendant audible et « efficace » lesdites techniques de #propagande. Mais justement, on ne peut prendre en compte ces conditions sociales sans observer aussi comment elles pèsent d’une façon singulière sur les individus, dont la responsabilité n’est pas évacuée. Et l’on ne peut pas écarter, notamment, la responsabilité des individus ou des groupes d’ « engraineurs », surtout si l’on pose la question en ces termes : « qui a tué ? ».
9. Le temps du #choc, du #deuil et de l’#amertume « contre mon propre camp » fut cela dit parasité assez vite par un vacarme médiatique assourdissant, charriant son lot d’#infamie dans des proportions autrement plus terrifiantes. #Samuel_Gontier, fidèle « au poste », en a donné un aperçu glaçant :
– des panels politiques dans lesquels « l’équilibre » invoqué par le présentateur (Pascal Praud) consiste en un trio droite, droite extrême et extrême droite (LREM, Les Républicains, Rassemblement national), et où les différentes familles de la gauche (Verts, PS, PCF, France insoumise, sans même parler de l’extrême gauche) sont tout simplement exclues ;
– des « débats » où sont mis sérieusement à l’agenda l’interdiction du #voile dans tout l’espace public, l’expulsion de toutes les femmes portant le #foulard, la #déchéance_de_nationalité pour celles qui seraient françaises, la réouverture des « #bagnes » « dans îles Kerguelen », le rétablissement de la #peine_de_mort, et enfin la « #criminalisation » de toutes les idéologies musulmanes conservatrices, « pas seulement le #djihadisme mais aussi l’#islamisme » (un peu comme si, à la suite des attentats des Brigades Rouges, de la Fraction Armée Rouge ou d’Action Directe, on avait voulu criminaliser, donc interdire et dissoudre toute la gauche socialiste, communiste, écologiste ou radicale, sous prétexte qu’elle partageait avec les groupes terroristes « l’opposition au capitalisme ») ;
– des « plateaux » sur lesquels un #Manuel_Valls peut appeler en toute conscience et en toute tranquillité, sans causer de scandale, à piétiner la Convention Européenne des Droits Humains : « S’il nous faut, dans un moment exceptionnel, s’éloigner du #droit_européen, faire évoluer notre #Constitution, il faut le faire. », « Je l’ai dit en 2015, nous sommes en #guerre. Si nous sommes en guerre, donc il faut agir, frapper. ».
10. Puis, très vite, il y a eu cette offensive du ministre de l’Intérieur #Gérald_Darmanin contre le #CCIF (#Collectif_Contre_l’Islamophobie_en_France), dénuée de tout fondement du point de vue de la #lutte_anti-terroriste – puisque l’association n’a évidemment pris aucune part dans le crime du 17 octobre 2020, ni même dans la campagne publique (sur Youtube et Twitter) qui y a conduit.
Cette dénonciation – proprement calomnieuse, donc – s’est autorisée en fait d’une montée en généralité, en abstraction et même en « nébulosité », et d’un grossier sophisme : le meurtre de Samuel Paty est une atteinte aux « #valeurs » et aux « institutions » de « la #République », que justement le CCIF « combat » aussi – moyennant quoi le CCIF a « quelque chose à voir » avec ce crime et il doit donc être dissous, CQFD. L’accusation n’en demeure pas moins fantaisiste autant qu’infamante, puisque le « combat » de l’association, loin de viser les principes et les institutions républicaines en tant que telles, vise tout au contraire leur manque d’effectivité : toute l’activité du CCIF (c’est vérifiable, sur le site de l’association aussi bien que dans les rapports des journalistes, au fil de l’actualité, depuis des années) consiste à combattre la #discrimination en raison de l’appartenance ou de la pratique réelle ou supposée d’une religion, donc à faire appliquer une loi de la république. Le CCIF réalise ce travail par les moyens les plus républicains qui soient, en rappelant l’état du Droit, en proposant des médiations ou en portant devant la #Justice, institution républicaine s’il en est, des cas d’atteinte au principe d’#égalité, principe républicain s’il en est.
Ce travail fait donc du CCIF une institution précieuse (en tout cas dans une république démocratique) qu’on appelle un « #contre-pouvoir » : en d’autres termes, un ennemi de l’arbitraire d’État et non de la « République ». Son travail d’#alerte contribue même à sauver ladite République, d’elle-même pourrait-on dire, ou plutôt de ses serviteurs défaillants et de ses démons que sont le racisme et la discrimination.
Il s’est rapidement avéré, du coup, que cette offensive sans rapport réel avec la lutte anti-terroriste s’inscrivait en fait dans un tout autre agenda, dont on avait connu les prémisses dès le début de mandat d’Emmanuel Macron, dans les injures violentes et les tentatives d’interdiction de Jean-Michel #Blanquer contre le syndicat #Sud_éducation_93, ou plus récemment dans l’acharnement haineux du député #Robin_Réda, censé diriger une audition parlementaire antiraciste, contre les associations de soutien aux immigrés, et notamment le #GISTI (Groupe d’Information et de Soutien aux Immigrés). Cet agenda est ni plus ni moins que la mise hors-jeu des « corps intermédiaires » de la société civile, et en premier lieu des #contre-pouvoirs que sont les associations antiracistes et de défense des droits humains, ainsi que les #syndicats, en attendant le tour des partis politiques – confère, déjà, la brutalisation du débat politique, et notamment les attaques tout à fait inouïes, contraires pour le coup à la tradition républicaine, de #Gérald_Darmanin contre les écologistes (#Julien_Bayou, #Sandra_Regol et #Esther_Benbassa) puis contre la #France_insoumise et son supposé « #islamo-gauchisme qui a détruit la république », ces dernières semaines, avant donc le meurtre de Samuel Paty.
Un agenda dans lequel figure aussi, on vient de l’apprendre, un combat judiciaire contre le site d’information #Mediapart.
11. Il y a eu ensuite l’annonce de ces « actions coup de poing » contre des associations et des lieux de culte musulmans, dont le ministre de l’Intérieur lui-même a admis qu’elles n’avaient aucun lien avec l’enquête sur le meurtre de Samuel Paty, mais qu’elles servaient avant tout à « #adresser_un_message », afin que « la #sidération change de camp ». L’aveu est terrible : l’heure n’est pas à la défense d’un modèle (démocratique, libéral, fondé sur l’État de Droit et ouvert à la pluralité des opinions) contre un autre (obscurantiste, fascisant, fondé sur la terreur), mais à une #rivalité_mimétique. À la #terreur on répond par la terreur, sans même prétendre, comme le fit naguère un Charles Pasqua, qu’on va « terroriser les terroristes » : ceux que l’on va terroriser ne sont pas les terroristes, on le sait, on le dit, on s’en contrefout et on répond au meurtre par la #bêtise et la #brutalité, à l’#obscurantisme « religieux » par l’obscurantisme « civil », au #chaos de l’#hyper-violence par le chaos de l’#arbitraire d’État.
12. On cible donc des #mosquées alors même qu’on apprend (notamment dans la remarquable enquête de Jean-Baptiste Naudet, dans L’Obs) que le tueur ne fréquentait aucune mosquée – ce qui était le cas, déjà, de bien d’autres tueurs lors des précédents attentats.
On s’attaque au « #séparatisme » et au « #repli_communautaire » alors même qu’on apprend (dans la même enquête) que le tueur n’avait aucune attache ou sociabilité dans sa communauté – ce qui là encore a souvent été le cas dans le passé.
On préconise des cours intensifs de #catéchisme_laïque dans les #écoles, des formations intensives sur la liberté d’expression, avec distribution de « caricatures » dans tous les lycées, alors que le tueur était déscolarisé depuis un moment et n’avait commencé à se « radicaliser » qu’en dehors de l’#école (et là encore se rejoue un schéma déjà connu : il se trouve qu’un des tueurs du Bataclan fut élève dans l’établissement où j’exerce, un élève dont tous les professeurs se souviennent comme d’un élève sans histoires, et dont la famille n’a pu observer des manifestations de « #radicalisation » qu’après son bac et son passage à l’université, une fois qu’il était entré dans la vie professionnelle).
Et enfin, ultime protection : Gérald Darmanin songe à réorganiser les rayons des #supermarchés ! Il y aurait matière à rire s’il n’y avait pas péril en la demeure. On pourrait s’amuser d’une telle #absurdité, d’une telle incompétence, d’une telle disjonction entre la fin et les moyens, si l’enjeu n’était pas si grave. On pourrait sourire devant les gesticulations martiales d’un ministre qui avoue lui-même tirer « à côté » des véritables coupables et complices, lorsque par exemple il ordonne des opérations contre des #institutions_musulmanes « sans lien avec l’enquête ». On pourrait sourire s’il ne venait pas de se produire une attaque meurtrière atroce, qui advient après plusieurs autres, et s’il n’y avait pas lieu d’être sérieux, raisonnable, concentré sur quelques objectifs bien définis : mieux surveiller, repérer, voir venir, mieux prévenir, mieux intervenir dans l’urgence, mieux protéger. On pourrait se payer le luxe de se disperser et de discuter des #tenues_vestimentaires ou des #rayons_de_supermarché s’il n’y avait pas des vies humaines en jeu – certes pas la vie de nos dirigeants, surprotégés par une garde rapprochée, mais celles, notamment, des professeurs et des élèves.
13. Cette #futilité, cette #frivolité, cette bêtise serait moins coupable s’il n’y avait pas aussi un gros soubassement de #violence_islamophobe. Cette bêtise serait innocente, elle ne porterait pas à conséquence si les mises en débat du #vêtement ou de l’#alimentation des diverses « communautés religieuses » n’étaient pas surdéterminées, depuis de longues années, par de très lourds et violents #stéréotypes racistes. On pourrait causer lingerie et régime alimentaire si les us et coutumes religieux n’étaient pas des #stigmates sur-exploités par les racistes de tout poil, si le refus du #porc ou de l’#alcool par exemple, ou bien le port d’un foulard, n’étaient pas depuis des années des motifs récurrents d’#injure, d’#agression, de discrimination dans les études ou dans l’emploi.
Il y a donc une bêtise insondable dans cette mise en cause absolument hors-sujet des commerces ou des rayons d’ « #alimentation_communautaire » qui, dixit Darmanin, « flatteraient » les « plus bas instincts », alors que (confère toujours l’excellente enquête de Jean-Baptiste Naudet dans L’Obs) l’homme qui a tué Samuel Paty (comme l’ensemble des précédents auteurs d’attentats meurtriers) n’avait précisément pas d’ancrage dans une « communauté » – ni dans l’immigration tchétchène, ni dans une communauté religieuse localisée, puisqu’il ne fréquentait aucune mosquée.
Et il y a dans cette bêtise une #méchanceté tout aussi insondable : un racisme sordide, à l’encontre des #musulmans bien sûr, mais pas seulement. Il y a aussi un mépris, une injure, un piétinement de la mémoire des morts #juifs – puisque parmi les victimes récentes des tueries terroristes, il y a précisément des clients d’un commerce communautaire, l’#Hyper_Cacher, choisis pour cible et tués précisément en tant que tels.
Telle est la vérité, cruelle, qui vient d’emblée s’opposer aux élucubrations de Gérald Darmanin : en incriminant les modes de vie « communautaires », et plus précisément la fréquentation de lieux de culte ou de commerces « communautaires », le ministre stigmatise non pas les coupables de la violence terroriste (qui se caractérisent au contraire par la #solitude, l’#isolement, le surf sur #internet, l’absence d’#attaches_communautaires et de pratique religieuse assidue, l’absence en tout cas de fréquentation de #lieux_de_cultes) mais bien certaines de ses victimes (des fidèles attaqués sur leur lieu de culte, ou de courses).
14. Puis, quelques jours à peine après l’effroyable attentat, sans aucune concertation sur le terrain, auprès de la profession concernée, est tombée par voie de presse (comme d’habitude) une stupéfiante nouvelle : l’ensemble des Conseils régionaux de France a décidé de faire distribuer un « #recueil_de_caricatures » (on ne sait pas lesquelles) dans tous les lycées. S’il faut donner son sang, allez donner le vôtre, disait la chanson. Qu’ils aillent donc, ces élus, distribuer eux-mêmes leurs petites bibles républicaines, sur les marchés. Mais non : c’est notre sang à nous, petits profs de merde, méprisés, sous-payés, insultés depuis des années, qui doit couler, a-t-il été décidé en haut lieu. Et possiblement aussi celui de nos élèves.
Car il faut se rendre à l’évidence : si cette information est confirmée, et si nous acceptons ce rôle de héros et martyrs d’un pouvoir qui joue aux petits soldats de plomb avec des profs et des élèves de chair et d’os, nous devenons officiellement la cible privilégiée des groupes terroristes. À un ennemi qui ne fonctionne, dans ses choix de cibles et dans sa communication politique, qu’au défi, au symbole et à l’invocation de l’honneur du Prophète, nos dirigeants répondent en toute #irresponsabilité par le #défi, le #symbole, et la remise en jeu de l’image du Prophète. À quoi doit-on s’attendre ? Y sommes-nous prêts ? Moi non.
15. Comme si tout cela ne suffisait pas, voici enfin que le leader de l’opposition de gauche, celui dont on pouvait espérer, au vu de ses engagements récents, quelques mises en garde élémentaires mais salutaires contre les #amalgames et la #stigmatisation haineuse des musulmans, n’en finit pas de nous surprendre ou plutôt de nous consterner, de nous horrifier, puisqu’il s’oppose effectivement à la chasse aux musulmans, mais pour nous inviter aussitôt à une autre chasse : la #chasse_aux_Tchétchènes :
« Moi, je pense qu’il y a un problème avec la #communauté_tchétchène en France ».
Il suffit donc de deux crimes, commis tous les deux par une personne d’origine tchétchène, ces dernières années (l’attentat de l’Opéra en 2018, et celui de Conflans en 2020), plus une méga-rixe à Dijon cet été impliquant quelques dizaines de #Tchétchènes, pour que notre homme de gauche infère tranquillement un « #problème_tchétchène », impliquant toute une « communauté » de plusieurs dizaines de milliers de personnes vivant en France.
« Ils sont arrivés en France car le gouvernement français, qui était très hostile à Vladimir Poutine, les accueillait à bras ouverts », nous explique Jean-Luc #Mélenchon. « À bras ouverts », donc, comme dans un discours de Le Pen – le père ou la fille. Et l’on a bien entendu : le motif de l’#asile est une inexplicable « hostilité » de la France contre le pauvre Poutine – et certainement pas une persécution sanglante commise par ledit Poutine, se déclarant prêt à aller « buter » lesdits Tchétchènes « jusque dans les chiottes ».
« Il y a sans doute de très bonnes personnes dans cette communauté » finit-il par concéder à son intervieweur interloqué. On a bien lu, là encore : « sans doute ». Ce n’est donc même pas sûr. Et « de très bonnes personnes », ce qui veut dire en bon français : quelques-unes, pas des masses.
« Mais c’est notre #devoir_national de s’en assurer », s’empresse-t-il d’ajouter – donc même le « sans doute » n’aura pas fait long feu. Et pour finir en apothéose :
« Il faut reprendre un par un tous les dossiers des Tchétchènes présents en France et tous ceux qui ont une activité sur les réseaux sociaux, comme c’était le cas de l’assassin ou d’autres qui ont des activités dans l’#islamisme_politique (...), doivent être capturés et expulsés ».
Là encore, on a bien lu : « tous les dossiers des Tchétchènes présents en France », « un par un » ! Quant aux suspects, ils ne seront pas « interpellés », ni « arrêtés », mais « capturés » : le vocabulaire est celui de la #chasse, du #safari. Voici donc où nous emmène le chef du principal parti d’opposition de gauche.
16. Enfin, quand on écrira l’histoire de ces temps obscurs, il faudra aussi raconter cela : comment, à l’heure où la nation était invitée à s’unir dans le deuil, dans la défense d’un modèle démocratique, dans le refus de la violence, une violente campagne de presse et de tweet fut menée pour que soient purement et simplement virés et remplacés les responsables de l’#Observatoire_de_la_laïcité, #Nicolas_Cadène et #Jean-Louis_Bianco, pourtant restés toujours fidèles à l’esprit et à la lettre des lois laïques, et que les deux hommes furent à cette fin accusés d’avoir « désarmé » la République et de s’être « mis au service » des « ennemis » de ladite #laïcité et de ladite république – en somme d’être les complices d’un tueur de prof, puisque c’est de cet ennemi-là qu’il était question.
Il faudra raconter que des universitaires absolument irréprochables sur ces questions, comme #Mame_Fatou_Niang et #Éric_Fassin, furent mis en cause violemment par des tweeters, l’une en recevant d’abjectes vidéos de décapitation, l’autre en recevant des #menaces de subir la même chose, avec dans les deux cas l’accusation d’être responsables de la mort de Samuel Paty.
Il faudra se souvenir qu’un intellectuel renommé, invité sur tous les plateaux, proféra tranquillement, là encore sans être recadré par les animateurs, le même type d’accusations à l’encontre de la journaliste et chroniqueuse #Rokhaya_Diallo : en critiquant #Charlie_Hebdo, elle aurait « poussé à armer les bras des tueurs », et « entrainé » la mort des douze de Charlie hebdo.
Il faudra se souvenir qu’au sommet de l’État, enfin, en ces temps de deuil, de concorde nationale et de combat contre l’obscurantisme, le ministre de l’Éducation nationale lui-même attisa ce genre de mauvaise querelle et de #mauvais_procès – c’est un euphémisme – en déclarant notamment ceci :
« Ce qu’on appelle l’#islamo-gauchisme fait des ravages, il fait des ravages à l’#université. Il fait des ravages quand l’#UNEF cède à ce type de chose, il fait des ravages quand dans les rangs de la France Insoumise, vous avez des gens qui sont de ce courant-là et s’affichent comme tels. Ces gens-là favorisent une idéologie qui ensuite, de loin en loin, mène au pire. »
Il faudra raconter ce que ces sophismes et ces purs et simples mensonges ont construit ou tenté de construire : un « #consensus_national » fondé sur une rage aveugle plutôt que sur un deuil partagé et un « plus jamais ça » sincère et réfléchi. Un « consensus » singulièrement diviseur en vérité, excluant de manière radicale et brutale tous les contre-pouvoirs humanistes et progressistes qui pourraient tempérer la violence de l’arbitraire d’État, et apporter leur contribution à l’élaboration d’une riposte anti-terroriste pertinente et efficace : le mouvement antiraciste, l’opposition de gauche, la #sociologie_critique... Et incluant en revanche, sans le moindre état d’âme, une droite républicaine radicalisée comme jamais, ainsi que l’#extrême_droite lepéniste.
Je ne sais comment conclure, sinon en redisant mon accablement, ma tristesse, mon désarroi, ma peur – pourquoi le cacher ? – et mon sentiment d’#impuissance face à une #brutalisation en marche. La brutalisation de la #vie_politique s’était certes enclenchée bien avant ce crime atroce – l’évolution du #maintien_de l’ordre pendant tous les derniers mouvements sociaux en témoigne, et les noms de Lallement et de Benalla en sont deux bons emblèmes. Mais cet attentat, comme les précédents, nous fait évidemment franchir un cap dans l’#horreur. Quant à la réponse à cette horreur, elle s’annonce désastreuse et, loin d’opposer efficacement la force à la force (ce qui peut se faire mais suppose le discernement), elle rajoute de la violence aveugle à de la violence aveugle – tout en nous exposant et en nous fragilisant comme jamais. Naïvement, avec sans doute un peu de cet idéalisme qui animait Samuel Paty, j’en appelle au #sursaut_collectif, et à la #raison.
Pour reprendre un mot d’ordre apparu suite à ce crime atroce, #je_suis_prof. Je suis prof au sens où je me sens solidaire de Samuel Paty, où sa mort me bouleverse et me terrifie, mais je suis prof aussi parce que c’est tout simplement le métier que j’exerce. Je suis prof et je crois donc en la raison, en l’#éducation, en la #discussion. Depuis vingt-cinq ans, j’enseigne avec passion la philosophie et je m’efforce de transmettre le goût de la pensée, de la liberté de penser, de l’échange d’arguments, du débat contradictoire. Je suis prof et je m’efforce de transmettre ces belles valeurs complémentaires que sont la #tolérance, la #capacité_d’indignation face à l’intolérable, et la #non-violence dans l’#indignation et le combat pour ses idées.
Je suis prof et depuis vingt-cinq ans je m’efforce de promouvoir le #respect et l’#égalité_de_traitement, contre tous les racismes, tous les sexismes, toutes les homophobies, tous les systèmes inégalitaires. Et je refuse d’aller mourir au front pour une croisade faussement « républicaine », menée par un ministre de l’Intérieur qui a commencé sa carrière politique, entre 2004 et 2008, dans le girons de l’extrême droite monarchiste (auprès de #Christian_Vanneste et de #Politique_magazine, l’organe de l’#Action_française). Je suis prof et je refuse de sacrifier tout ce en quoi je crois pour la carrière d’un ministre qui en 2012, encore, militait avec acharnement, aux côtés de « La manif pour tous », pour que les homosexuels n’aient pas les mêmes droits que les autres – sans parler de son rapport aux femmes, pour le moins problématique, et de ce que notre grand républicain appelle, en un délicat euphémisme, sa « vie de jeune homme ».
Je suis prof et j’enseigne la laïcité, la vraie, celle qui s’est incarnée dans de belles lois en 1881, 1882, 1886 et 1905, et qui n’est rien d’autre qu’une machine à produire plus de #liberté, d’#égalité et de #fraternité. Mais ce n’est pas cette laïcité, loin s’en faut, qui se donne à voir ces jours-ci, moins que jamais, quand bien même le mot est répété à l’infini. C’est au contraire une politique liberticide, discriminatoire donc inégalitaire, suspicieuse ou haineuse plutôt que fraternelle, que je vois se mettre en place, sans même l’excuse de l’efficacité face au terrorisme.
Je suis prof, et cette #vraie_laïcité, ce goût de la pensée et de la #parole_libre, je souhaite continuer de les promouvoir. Et je souhaite pour cela rester en vie. Et je souhaite pour cela rester libre, maître de mes #choix_pédagogiques, dans des conditions matérielles qui permettent de travailler. Et je refuse donc de devenir l’otage d’un costume de héros ou de martyr taillé pour moi par des aventuriers sans jugeote, sans cœur et sans principes – ces faux amis qui ne savent qu’encenser des profs morts et mépriser les profs vivants.
►https://lmsi.net/Je-suis-prof
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... mais je voulais mettre le texte complet.
Qui est complice de qui ? Les #libertés_académiques en péril
Professeur, me voici aujourd’hui menacé de décapitation. L’offensive contre les musulmans se prolonge par des attaques contre la #pensée_critique, taxée d’islamo-gauchisme. Celles-ci se répandent, des réseaux sociaux au ministre de l’Éducation, des magazines au Président de la République, pour déboucher aujourd’hui sur une remise en cause des libertés académiques… au nom de la #liberté_d’expression !
Je suis professeur. Le 16 octobre, un professeur est décapité. Le lendemain, je reçois cette menace sur Twitter : « Je vous ai mis sur ma liste des connards à décapiter pour le jour où ça pétera. Cette liste est longue mais patience : vous y passerez. »
C’est en réponse à mon tweet (▻https://twitter.com/EricFassin/status/1317246862093680640) reprenant un billet de blog publié après les attentats de novembre 2015 (▻https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/161115/nous-ne-saurions-vouloir-ce-que-veulent-nos-ennemis) : « Pour combattre le #terrorisme, il ne suffit pas (même s’il est nécessaire) de lutter contre les terroristes. Il faut surtout démontrer que leurs actes sont inefficaces, et donc qu’ils ne parviennent pas à nous imposer une politique en réaction. » Bref, « nous ne saurions vouloir ce que veulent nos ennemis » : si les terroristes cherchent à provoquer un « conflit des civilisations », nous devons à tout prix éviter de tomber dans leur piège.
Ce n’est pas la première fois que je reçois des #menaces_de_mort. Sur les réseaux sociaux, depuis des années, des trolls me harcèlent : les #insultes sont quotidiennes ; les menaces, occasionnelles. En 2013, pour Noël, j’ai reçu chez moi une #lettre_anonyme. Elle recopiait des articles islamophobes accusant la gauche de « trahison » et reproduisaient un tract de la Résistance ; sous une potence, ces mots : « où qu’ils soient, quoi qu’ils fassent, les traîtres seront châtiés. » Je l’analysais dans Libération (▻https://www.liberation.fr/societe/2014/01/17/le-nom-et-l-adresse_973667) : « Voilà ce que me signifie le courrier reçu à la maison : on sait où tu habites et, le moment venu, on saura te trouver. » J’ajoutais toutefois : « l’#extrême_droite continue d’avancer masquée, elle n’ose pas encore dire son nom. » Or ce n’est plus le cas. Aujourd’hui, les menaces sont signées d’une figure connue de la mouvance néonazie. J’ai donc porté #plainte. C’est en tant qu’#universitaire que je suis visé ; mon #université m’accorde d’ailleurs la #protection_fonctionnelle.
Ainsi, les extrêmes droites s’enhardissent. Le 29 octobre, l’#Action_française déploie impunément une banderole place de la Concorde : « Décapitons la République ! »
C’est quelques heures après un nouvel attentat islamiste à Nice, mais aussi après une tentative néofasciste avortée en Avignon. Avant d’être abattu, l’homme a menacé d’une arme de poing un commerçant maghrébin. Il se réclamait de #Génération_identitaire, dont il portait la veste avec le logo « #Defend_Europe », justifiant les actions du groupe en Méditerranée ou à la frontière franco-italienne ; un témoin a même parlé de #salut_nazi (▻https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/vaucluse/avignon/avignon-homme-arme-couteau-abattu-policiers-1889172.htm). Le procureur de la République se veut pourtant rassurant : « c’est un Français, né en France, qui n’a rien à voir avec la religion musulmane ». Et de conclure : « nous avons plus affaire à un #déséquilibré, qui semble proche de l’extrême droite et a fait des séjours en psychiatrie. Il n’y a pas de revendication ». « Comme dans le cas de l’attentat de la mosquée de Bayonne perpétré par un ancien candidat FN en octobre 2019 » (▻https://www.mediapart.fr/journal/france/281019/attentat-bayonne-l-ex-candidat-fn-en-garde-vue?onglet=full), note Mediapart, « le parquet national antiterroriste n’a pas voulu se saisir de l’affaire ». Ce fasciste était un fou, nous dit-on, pas un terroriste islamiste : l’attaque d’Avignon est donc passée presque inaperçue.
Si les #Identitaires se pensent aux portes du pouvoir, c’est aussi que certains médias ont préparé le terrain. En une, l’#islamophobie y alterne avec la dénonciation des universitaires antiracistes (j’y suis régulièrement pointé du doigt) (▻https://www.lepoint.fr/politique/ces-ideologues-qui-poussent-a-la-guerre-civile-29-11-2018-2275275_20.php). Plus grave encore, l’extrême droite se sent encouragée par nos gouvernants. Le président de la République lui-même, qui a choisi il y a un an de parler #communautarisme, #islam et #immigration dans #Valeurs_actuelles, s’inspire des réseaux sociaux et des magazines. « Le monde universitaire a été coupable. Il a encouragé l’#ethnicisation de la question sociale en pensant que c’était un bon filon. Or, le débouché ne peut être que sécessionniste. » Selon Le Monde du 10 juin 2020, Emmanuel Macron vise ici les « discours racisés (sic) ou sur l’intersectionnalité. » Dans Les Inrocks (►https://www.lesinrocks.com/2020/06/12/idees/idees/eric-fassin-le-president-de-la-republique-attise-lanti-intellectualisme), je m’inquiétais alors de cet #anti-intellectualisme : « Des sophistes qui corrompent la jeunesse : à quand la ciguë ? » Nous y sommes peut-être.
Car du #séparatisme, on passe aujourd’hui au #terrorisme. En effet, c’est au tour du ministre de l’Éducation nationale de s’attaquer le 22 octobre, sur Europe 1, à « l’islamo-gauchisme » qui « fait des ravages à l’Université » : il dénonce « les #complices_intellectuels du terrorisme. » « Qui visez-vous ? », l’interroge Le JDD (►https://www.lejdd.fr/Politique/hommage-a-samuel-paty-lutte-contre-lislamisme-blanquer-precise-au-jdd-ses-mesu). Pour le ministre, « il y a un combat à mener contre une matrice intellectuelle venue des universités américaines et des #thèses_intersectionnelles, qui veulent essentialiser les communautés et les identités, aux antipodes de notre #modèle_républicain ». Cette idéologie aurait « gangrené une partie non négligeable des #sciences_sociales françaises » : « certains font ça consciemment, d’autres sont les idiots utiles de cette cause. » En réalité, l’intersectionnalité permet d’analyser, dans leur pluralité, des logiques discriminatoires qui contredisent la rhétorique universaliste. La critique de cette assignation à des places racialisées est donc fondée sur un principe d’#égalité. Or, à en croire le ministre, il s’agirait « d’une vision du monde qui converge avec les intérêts des islamistes. » Ce qui produit le séparatisme, ce serait donc, non la #ségrégation, mais sa dénonciation…
Si #Jean-Michel_Blanquer juge « complices » celles et ceux qui, avec le concept d’intersectionnalité, analysent la #racialisation de notre société pour mieux la combattre, les néofascistes parlent plutôt de « #collabos » ; mais les trolls qui me harcèlent commencent à emprunter son mot. En France, si le ministre de l’Intérieur prend systématiquement le parti des policiers, celui de l’Éducation nationale fait de la politique aux dépens des universitaires. #Marion_Maréchal peut s’en féliciter : ce dernier « reprend notre analyse sur le danger des idéologies “intersectionnelles” de gauche à l’Université. »
▻https://twitter.com/MarionMarechal/status/1321008502291255300
D’ailleurs, « l’islamo-gauchisme » n’est autre que la version actuelle du « #judéo-bolchévisme » agité par l’extrême droite entre les deux guerres. On ne connaît pourtant aucun lien entre #Abdelhakim_Sefrioui, mis en examen pour « complicité d’assassinat » dans l’enquête sur l’attentat de #Conflans, et la gauche. En revanche, le ministre ne dit pas un mot sur l’extrême droite, malgré les révélations de La Horde (►https://lahorde.samizdat.net/2020/10/20/a-propos-dabdelhakim-sefrioui-et-du-collectif-cheikh-yassine) et de Mediapart (▻https://www.mediapart.fr/journal/france/221020/attentat-de-conflans-revelations-sur-l-imam-sefrioui?onglet=full) sur les liens de l’imam avec des proches de #Marine_Le_Pen. Dans le débat public, jamais il n’est question d’#islamo-lepénisme, alors même que l’extrême droite et les islamistes ont en commun une politique du « #conflit_des_civilisations ».Sans doute, pour nos gouvernants, attaquer des universitaires est-il le moyen de détourner l’attention de leurs propres manquements : un professeur est mort, et on en fait porter la #responsabilité à d’autres professeurs… De plus, c’est l’occasion d’affaiblir les résistances contre une Loi de programmation de la recherche qui précarise davantage l’Université. D’ailleurs, le 28 octobre, le Sénat vient d’adopter un amendement à son article premier (►https://www.senat.fr/amendements/2020-2021/52/Amdt_234.html) : « Les libertés académiques s’exercent dans le respect des #valeurs_de_la_République », « au premier rang desquelles la #laïcité ». Autrement dit, ce n’est plus seulement le code pénal qui définirait les limites de la liberté d’expression des universitaires. Des collègues, désireux de régler ainsi des différends scientifiques et politiques, appuient cette offensive en réclamant dans Le Monde la création d’une « instance chargée de faire remonter directement les cas d’atteinte aux #principes _épublicains et à la liberté académique »… et c’est au nom de « la #liberté_de_parole » (►https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/31/une-centaine-d-universitaires-alertent-sur-l-islamisme-ce-qui-nous-menace-c-) ! Bref, comme l’annonce sombrement le blog Academia (►https://academia.hypotheses.org/27401), c’est « le début de la fin. » #Frédérique_Vidal, ministre de l’Enseignement supérieur et de la recherche, le confirme sans ambages : « Les #valeurs de la laïcité, de la République, ça ne se discute pas. »
▻https://twitter.com/publicsenat/status/1322076232918487040
Pourtant, en démocratie, débattre du sens qu’on veut donner à ces mots, n’est-ce pas l’enjeu politique par excellence ? Qui en imposera la définition ? Aura-t-on encore le droit de critiquer « les faux dévots de la laïcité » (▻https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/101217/les-faux-devots-de-la-laicite-islamophobie-et-racisme-anti-musulmans) ?Mais ce n’est pas tout. Pourquoi s’en prendre aux alliés blancs des minorités discriminées, sinon pour empêcher une solidarité qui dément les accusations de séparatisme ? C’est exactement ce que les terroristes recherchent : un monde binaire, en noir et blanc, sans « zone grise » (▻https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/260716/terrorisme-la-zone-grise-de-la-sexualite), où les musulmans feraient front avec les islamistes contre un bloc majoritaire islamophobe. Je l’écrivais dans ce texte qui m’a valu des menaces de décapitation : nos dirigeants « s’emploient à donner aux terroristes toutes les raisons de recommencer. » Le but de ces derniers, c’est en effet la #guerre_civile. Qui sont donc les « #complices_intellectuels » du terrorisme islamiste ? Et qui sont les « idiots utiles » du #néofascisme ?
En France, aujourd’hui, les #droits_des_minorités, religieuses ou pas, des réfugiés et des manifestants sont régulièrement bafoués ; et quand des ministres s’attaquent, en même temps qu’à une association de lutte contre l’islamophobie, à des universitaires, mais aussi à l’Unef (après SUD Éducation), à La France Insoumise et à son leader, ou bien à Mediapart et à son directeur, tous coupables de s’engager « pour les musulmans », il faut bien se rendre à l’évidence : la #démocratie est amputée de ses #libertés_fondamentales. Paradoxalement, la France républicaine d’Emmanuel #Macron ressemble de plus en plus, en dépit des gesticulations, à la Turquie islamiste de Recep Tayyip Erdogan, qui persécute, en même temps que la minorité kurde, des universitaires, des syndicalistes, des médias libres et des partis d’opposition.
Pour revendiquer la liberté d’expression, il ne suffit pas d’afficher des caricatures ; l’esprit critique doit pouvoir se faire entendre dans les médias et dans la rue, et partout dans la société. Sinon, l’hommage à #Samuel_Paty serait pure #hypocrisie. Il faut se battre pour la #liberté_de_la_pensée, de l’engagement et de la recherche. Il importe donc de défendre les libertés académiques, à la fois contre les menaces des réseaux sociaux et contre l’#intimidation_gouvernementale. À l’heure où nos dirigeants répondent à la terreur par une #politique_de_la_peur, il y a de quoi trembler pour la démocratie.
►https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/011120/qui-est-complice-de-qui-les-libertes-academiques-en-peril
#Eric_Fassin #intersectionnalité #SHS #universalisme #Blanquer #complicité
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Pour compléter le fil de discussion commencé par @gonzo autour de :
Jean-François Bayart : « Que le terme plaise ou non, il y a bien une islamophobie d’Etat en France »
►https://seenthis.net/messages/883974
De l’amiante encore détecté dans des produits cosmétiques, dont le talc pour bébé
▻https://www.bastamag.net/Amiante-talc-pour-bebe-maquillage-cosmetiques-Johnson-Chanel-L-Oreal-Andev
Plusieurs milliers de procédures judiciaires sont en cours aux États-Unis, engagées par des femmes atteintes d’un cancer de l’ovaire après avoir utilisé du talc pouvant contenir de l’amiante. En France les associations dénoncent l’inertie des pouvoirs publics. Le géant américain de produits pharmaceutiques J&J (Johnson & Johnson) a annoncé le retrait des ventes de son talc pour bébé, le « Johnson’s baby powder », six mois après la découverte de traces d’amiante dans plusieurs échantillons, et un (...) #Décrypter
/ #Menaces_sur_la_santé_publique, #Toxiques, Santé , A la une
]]>Les ventes de #Pesticides et de glyphosate ont explosé en France
▻https://www.bastamag.net/augmentation-vente-pesticide-glyphosate-fongicide-herbicide-echec-plan-eco
Une étude pilotée sous l’égide du ministère de la Transition écologique et solidaire révèle une hausse des ventes d’insecticides, fongicides et herbicides depuis 10 ans en France. Un bilan alarmant. Entre 2009 et 2018, les ventes d’insecticides ont été multipliées par 3,5 ! Celles des fongicides ont progressé de 41 %, tandis que celles des herbicides ont augmenté de 23 %. Ces données sont issues d’une étude publiée en mai 2020 par le Commissariat général au développement durable, rattaché au ministère de (...) En bref
/ Pesticides, #Toxiques, #Menaces_sur_la_santé_publique, #Agriculture
]]>« Une population fragilisée par les maladies chroniques est plus vulnérable au coronavirus »
▻https://www.bastamag.net/epidemie-maladie-chronique-comorbidite-covid-obesite-cardiovasculaire-canc
Le Covid-19 aurait-il fait bien moins de victimes si les maladies chroniques et les affections longue durée n’étaient pas aussi répandues depuis une décennie ? C’est l’avis du toxicologue André Cicolella, président du Réseau environnement santé, qui invite à s’intéresser bien davantage aux causes environnementales qui nous rendent encore plus vulnérables face aux nouveaux virus. Entretien. Basta ! : En sait-on plus aujourd’hui sur les victimes du Covid ? Des études relativisent le poids des pathologies (...) #Décrypter
/ #Entretiens, Santé , #Alimentation, #Toxiques, Menaces sur la #Santé_publique, A la (...)
]]>L’extrême droite tue encore
En Allemagne, mais aussi ailleurs en Europe, les crimes racistes font leur retour. Les auteurs de ces actes se sentent encouragés par les nouvelles droites, qui diffusent de façon décomplexée leurs théories sur une « race blanche » prétendument menacée. Enquête sur un phénomène particulièrement inquiétant.
Le 2 juin dernier, à Kassel, Walter Lübcke a été abattu à bout portant. Ce meurtre d’un membre de la CDU ouvertement pro-migrants, a ébranlé toute la société allemande. Car pour la première fois depuis la chute du régime nazi, un homme politique était assassiné par l’extrême droite. Comme l’a révélé l’enquête, le suspect principal, Stephan E., et son complice présumé, Markus H., appartenaient à la même mouvance. Ce meurtre n’est qu’un exemple parmi d’autres. Dans le collimateur des droites extrêmes, on trouve les migrants, les juifs, les musulmans, les membres de la gauche, les journalistes…
https://www.youtube.com/watch?v=najaYvIJs5k
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Covid : pour des traitements accessibles à tous, casser les monopoles, socialiser la production
▻https://www.bastamag.net/Covid-traitement-vaccin-industrie-pharmaceutique-monopole-brevets-chloroqu
Les futurs traitements et vaccins contre le coronavirus seront-ils accessibles à tous, dans tous les pays ? Les entreprises pharmaceutiques qui les produiront, avec l’aide financières des pouvoirs publics, seront-elles prêtes à renoncer à leurs profits ? Des solutions existent pour mutualiser ces médicaments, pour le bien de toutes et tous. Sanofi, Novartis, Bayer… Ces #Multinationales pharmaceutiques promettent d’offrir des millions de doses de chloroquine, l’un des traitements à l’étude contre le (...) #Inventer
/ #Menaces_sur_la_santé_publique, #Solidarités_internationales, Multinationales, Santé , A la (...)
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