• «Il Secolo Mobile», un volume di #Gabriele_Del_Grande

    Del Grande, nel suo libro Il secolo mobile (Mondadori, 2023), si è cimentato in un imponente progetto di (ri-)educazione riguardo il fenomeno dell’emigrazione su cui si è veramente poco informati: vuoi per preconcetti tramandati da generazioni; per innegabili pregiudizi legati a cultura, religione, colore della pelle, etc; o per la scarsa voglia di conoscere i veri e variegati motivi che spingono grandi quantità di persone a voler cambiare Paese – che unisce i più dietro alle solite e indignate uscite come: vengono nel nostro Paese per rubarci il lavoro!.

    E se l’ultima invisibile linea del colore fosse quella dell’apartheid in frontiera?

    L’autore con grande impegno delinea storicamente tale caso, focalizzandosi principalmente sul secolo breve e mostrando come i suoi tragici eventi, svoltisi in quest’arco temporale, abbiano spinto le persone, per diverse ragioni, all’emigrazione il più delle volte illegale. Questo è un libro difficile da leggere, non perché sia scritto male o in modo astruso, anzi, proprio il contrario.

    La scrittura di Del Grande è precisa e ferma quando si tratta di fornire dati e statistiche, chiara quando delinea determinati momenti storici, ed emotivamente coinvolgente quando parla delle ingiustizie, delle stragi e della freddezza di leggi e istituzioni. Forse troppo suggestiva, infatti, parla apertamente ai suoi lettori e non nasconde loro assolutamente nulla: dipinge il cimitero del Mediterraneo con la precisione di un pittore fiammingo senza trascurare i toni più cupi, e descrive minuziosamente tutte le conseguenze di quelle che sono sempre (o quasi) scelte politiche, riporta all’attenzione tutta la fatica, i sacrifici e soprattutto le barriere ideologiche e fisiche che si frappongono tra di noi.

    È una lettura che serve a interrogarsi sulla situazione europea odierna, e di come questa potrebbe evolversi in futuro e migliorare non soltanto da un punto di vista istituzionale ma anche sociale e ideologico; lo stesso autore ci invita a una seria riflessione nell’appendice del suo libro: Aprite quella porta!, proponendo una possibile soluzione al problema dell’immigrazione illegale e agli sbarchi che sono già costati fin troppe vite, vite che non verranno più restituite.

    Nel complesso è un’opera assolutamente necessaria, va letta senza dubbio per poter comprendere appieno la sofferenza e le ingiustizie subite, e per non rimanere più ciechi di fronte a un problema innegabile; Del Grande lancia un appello che incita a un cambiamento propositivo: «L’occasione per cambiare la storia è adesso. Se davvero crediamo che tutti gli esseri umani siano pari in diritti e dignità, apriamo quella porta».

    https://www.meltingpot.org/2024/03/il-secolo-mobile-un-volume-di-gabriele-del-grande
    #livre #migrations #histoire

    • Il #secolo_mobile

      Cent’anni fa non esistevano passaporti, si viaggiava senza permessi né lasciapassare. Oggi, al contrario, il regime dei visti di Schengen vieta di entrare in Europa alla maggior parte dell’umanità: ovvero ai ceti poveri e prevalentemente non bianchi dei paesi a medio e basso reddito di Africa, Asia e Caraibi. Ai loro emigranti, respinti dai consolati, non resta che imbarcarsi di contrabbando dai porti franchi del Nord Africa e della Turchia.

      È così che negli ultimi trent’anni hanno attraversato il Mediterraneo tre milioni e mezzo di viaggiatori senza visto, mentre i corpi di altri cinquantamila giacciono tuttora sul fondo del mare mangiati dai pesci. Come siamo arrivati fin qui? E soprattutto, come ne usciremo?

      Con il rigore dello storico e il piglio del narratore, Gabriele Del Grande scrive la prima storia dell’immigrazione illegale in Europa. Una storia che spazia dallo sbarco delle truppe africane a Marsiglia nel 1914 fino alla crisi delle ONG a Lampedusa, passando per la stagione della libera circolazione con le ex colonie, il divieto di espatrio dal blocco comunista, i riots razzisti nelle capitali europee, la messa al bando dell’immigrazione non bianca, il crollo del muro di Berlino, il doppio cortocircuito dell’asilo e dei ricongiungimenti familiari e la stretta sui visti che dal 1991 alimenta il mercato nero dei viaggi.

      Nella sua ricostruzione Del Grande non perde di vista il contesto globale della decolonizzazione, della segregazione razziale oltreoceano, della guerra fredda, dell’ascesa dei movimenti islamisti, del ritorno della Cina e dell’India sulla scena mondiale e del boom demografico – e in prospettiva economico – dell’Africa.

      Il risultato è una narrazione avvincente, che intreccia le vicende dell’immigrazione con quelle dell’emigrazione e, al contempo, contrappone ai fantasmi del passato suprematista euro-atlantico uno sguardo cautamente ottimista sul futuro. Porre fine agli sbarchi e ai naufragi, infatti, è possibile. Prima però è necessario rimuovere l’ultima invisibile linea del colore. Quella dell’apartheid alla frontiera.

      https://www.mondadori.it/libri/il-secolo-mobile-gabriele-del-grande

    • Il secolo mobile - la storia dell’immigrazione in Europa

      Cent’anni fa non esistevano passaporti, si viaggiava senza permessi e lasciapassare. Oggi il regime dei visti di Schengen vieta di entrare in Europa alla maggior parte dell’umanità ovvero ai ceti poveri e prevalentemente non bianchi dei Paesi a medio e basso reddito di Africa, Asia e Caraibi. Ai loro emigranti, respinti dai consolati, non resta che imbarcarsi di contrabbando dai porti franchi del Nord Africa e della Turchia. È così che negli ultimi trent’anni hanno attraversato il Mediterraneo tre milioni e mezzo di viaggiatori senza visto, mentre i corpi di altre cinquantamila persone giacciono sul fondo del mare. Come siamo arrivati fin qui? E come ne usciremo?

      https://www.youtube.com/watch?v=xtNI1oPiJ_A


      #interview

  • À Strasbourg, l’Europe intensifie discrètement le fichage des migrants

    Dans un bâtiment discret, 350 personnes travaillent à renforcer le #contrôle et le #suivi des personnes entrant dans l’#espace_Schengen. Reportage dans l’agence de l’Union européenne qui renforce le fichage des migrants.

    Dans le quartier du Neuhof à Strasbourg, un bâtiment hautement sécurisé attire l’œil. Dissimulée derrière le gymnase du Stockfeld et entourée de terrains vagues, l’#agence_européenne #eu-Lisa est protégée par deux lignes barbelées surplombées de caméras. Aux alentours du bâtiment, les agents de sécurité portent au cœur un petit drapeau bleu aux douze étoiles. Des véhicules immatriculés en France, au Luxembourg, en Belgique et en Allemagne stationnent sur le parking.

    Créée en 2011 et opérationnelle depuis 2012, l’#agence_européenne_pour_la_gestion_opérationnelle_des_systèmes_d’information à grande échelle eu-Lisa développe et fait fonctionner les #bases_de_données de l’Union européenne (UE). Ces dernières permettent d’archiver les #empreintes_digitales des demandeurs et demandeuses d’asile mais aussi les demandes de visa ou les alertes de personnes portées disparues.

    Le siège d’eu-Lisa est à Tallinn, en Estonie. Un bureau de liaison se trouve à Bruxelles et son centre opérationnel a été construit à Strasbourg. Lundi 26 février, le ministre délégué aux affaires européennes, Jean-Noël Barrot, est venu visiter l’endroit, où sont développés les nouveaux systèmes de suivi et de #filtrage des personnes migrantes et des voyageurs et voyageuses non européen·nes. Le « cœur de Schengen », selon la communication de l’agence.

    Sur les écrans de contrôle, des ingénieur·es suivent les requêtes adressées par les États membres aux différents #systèmes_d’information_opérationnels. L’un d’eux raconte que le nombre de cyberattaques subies par l’agence est colossal : 500 000 tentatives par mois environ. La quantité de données gérées est aussi impressionnante : en 2022, le système #VIS (#Visa_Information_System) a enregistré 57 millions de demandes de #visas et 52 millions d’empreintes digitales. La même année, 86,5 millions d’alertes ont été transmises au système #SIS (#Schengen_Information_System).

    Dans l’agence du Neuhof, une vingtaine de nationalités sont représentées parmi les 350 travailleurs et travailleuses. En tout, 500 mètres carrés sécurisés abritent les données confidentielles de dizaines de millions de personnes. 2 500 ordinateurs fonctionnent en permanence pour une capacité de stockage de 13 petabytes, soit 13 milliards de gigabytes. Vingt-quatre heures sur vingt-quatre et sept jours sur sept, l’eu-Lisa répond aux demandes de données des pays membres de l’espace Schengen ou de l’Union européenne.

    Traduire la politique en #technologie

    Au-delà de la salle de réunion, impossible de photographier les murs ou l’environnement de travail. L’enclave européenne est sous haute surveillance : pour entrer, les empreintes digitales sont relevées après un passage des sacs au scanner. Un badge connecté aux empreintes permet de passer un premier sas d’entrée. Au-delà, les responsables de la sécurité suivent les visiteurs de très près, au milieu d’un environnement violet et vert parsemé de plantes de toutes formes.

    Moins de six mois avant le début des Jeux olympiques et paralympiques de Paris et deux mois après l’accord européen relatif au Pacte sur la migration et l’asile, l’agence aux 260 millions d’euros de budget en 2024 travaille à mettre en place le système de contrôle des flux de personnes le plus précis, efficace et complet de l’histoire de l’espace Schengen. Le pacte prévoit, par exemple, que la demande d’asile soit uniformisée à travers l’UE et que les « migrants illégaux » soient reconduits plus vite et plus efficacement aux frontières.

    Pour accueillir le ministre, #Agnès_Diallo, directrice de l’eu-Lisa depuis 2023, diffuse une petite vidéo en anglais dans une salle de réunion immaculée. L’ancienne cadre de l’entreprise de services numériques #Atos présente une « agence discrète » au service de la justice et des affaires intérieures européennes. À l’eu-Lisa, pas de considération politique. « Notre agence a été créée par des règlements européens et nous agissons dans ce cadre, résume-t-elle. Nous remplaçons les frontières physiques par des #frontières_numériques. Nous travaillons à laisser passer dans l’espace Schengen les migrants et voyageurs qui sont légitimes et à filtrer ceux qui le sont moins. »

    L’eu-Lisa invente, améliore et fait fonctionner les sept outils informatiques utilisés en réseau par les États membres et leurs institutions. L’agence s’assure notamment que les données sont protégées. Elle forme aussi les personnes qui utiliseront les interfaces, comme les agents de #Frontex, d’#Europol ou de la #police_aux_frontières. Au Neuhof, les personnes qui travaillent n’utilisent pas les informations qu’elles stockent.

    Fichés dès l’âge de 6 ans

    L’agence eu-Lisa héberge les empreintes digitales de 7,5 millions de demandeurs et demandeuses d’asile et « migrants illégaux » dans le système appelé Eurodac. Pour le moment, les données récoltées ne sont pas liées à l’identité de la personne ni à sa photo. Mais avec l’adoption des nouvelles règles relatives au statut de réfugié·e en Europe, Eurodac est en train d’être complètement refondé pour être opérationnel en 2026.

    La réforme décidée en décembre 2023 prévoit que les demandeurs d’asile et « migrants illégaux » devront fournir d’autres informations biométriques : en plus de leurs empreintes, leur photo, leur nom, prénom et date et lieu de naissance seront enregistrés lors de leur entrée dans Schengen. La procédure vaudra pour toute personne dès l’âge de 6 ans (contre 14 avant la réforme). Les #données qui étaient conservées pour dix-huit mois pourront l’être jusqu’à cinq ans.

    La quantité d’informations stockées va donc croître exponentiellement dès 2026. « Nous aurons énormément de données pour #tracer les mouvements des migrants irréguliers et des demandeurs d’asile », se félicite #Lorenzo_Rinaldi, l’un des cadres de l’agence venant tout droit de Tallinn. Eurodac permettra à n’importe quelle autorité policière habilitée de savoir très précisément par quel pays est arrivée une personne, ainsi que son statut administratif.

    Il sera donc impossible de demander une protection internationale dans un pays, puis de s’installer dans un autre, ou de demander une seconde fois l’asile dans un pays européen. Lorenzo Rinaldi explique : « Aujourd’hui, il nous manque la grande image des mouvements de personnes entre les États membres. On pourra identifier les tendances, recouper les données et simplifier l’#identification des personnes. »

    Pour identifier les itinéraires et contrôler les mouvements de personnes dans l’espace Schengen, l’agence travaille aussi à ce que les sept systèmes d’information fonctionnent ensemble. « Nous avions des bases de données, nous aurons désormais un système complet de gestion de ces informations », se réjouit Agnès Diallo.

    L’eu-Lisa crée donc également un système de #traçage des entrées et des sorties de l’espace Schengen, sobrement appelé #Entry-Exit_System (ou #EES). Développé à l’initiative de la France dès 2017, il remplace par une #trace_numérique le tamponnage physique des passeports par les gardes-frontières. Il permet notamment de détecter les personnes qui restent dans Schengen, après que leur visa a expiré – les #overstayers, celles qui restent trop longtemps.

    Frontières et Jeux olympiques

    « Toutes nos équipes sont mobilisées pour faire fonctionner le système EES [entrées-sorties de l’espace Schengen – ndlr] d’ici à la fin de l’année 2024 », précise Agnès Diallo. Devant le Sénat en 2023, la directrice exécutive avait assuré que l’EES ne serait pas mis en place pendant les Jeux olympiques et paralympiques si son influence était négative sur l’événement, par exemple s’il ralentissait trop le travail aux frontières.

    En France et dans onze autres pays, le système EES est testé depuis janvier 2024. L’agence estime qu’il sera prêt pour juillet 2024, comme l’affirme Lorenzo Rinaldi, chef de l’unité chargé du soutien à la direction et aux relations avec les partenaires de l’eu-Lisa : « Lorsqu’une personne non européenne arrive dans Schengen, elle devra donner à deux reprises ses #données_biométriques. Donc ça sera plus long la première fois qu’elle viendra sur le territoire, mais ses données seront conservées trois ans. Les fois suivantes, lorsque ses données seront déjà connues, le passage sera rapide. »

    Ce système est prévu pour fonctionner de concert avec un autre petit nouveau, appelé #Etias, qui devrait être opérationnel d’ici au premier semestre de 2025. Les personnes qui n’ont pas d’obligation d’avoir de visa pour entrer dans 30 pays européens devront faire une demande avant de venir pour un court séjour – comme lorsqu’un·e citoyen·ne français·e demande une autorisation électronique de voyage pour entrer aux États-Unis ou au Canada. La procédure, en ligne, sera facturée 7 euros aux voyageurs et voyageuses, et l’autorisation sera valable trois ans.

    L’eu-Lisa gère enfin le #système_d’information_Schengen (le #SIS, qui gère les alertes sur les personnes et objets recherchés ou disparus), le système d’information sur les visas (#VIS), la base de données des #casiers_judiciaires (#Ecris-TCN) et le #Codex pour la #coopération_judiciaire entre États membres.

    L’agence travaille notamment à mettre en place une communication par Internet entre ces différents systèmes. Pour Agnès Diallo, cette nouveauté permettra une coordination sans précédent des agents aux frontières et des institutions judiciaires nationales et européennes dans les 27 pays de l’espace Schengen.

    « On pourra suivre les migrants, réguliers et irréguliers », se félicite Fabienne Keller, députée européenne Renew et fervente défenseuse du Pacte sur les migrations. Pour la mise en place de tous ces outils, l’agence eu-Lisa devra former les États membres mais également les transporteurs et les voyageurs et voyageuses. L’ensemble de ces systèmes devrait être opérationnel d’ici à la fin 2026.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/050324/strasbourg-l-europe-intensifie-discretement-le-fichage-des-migrants

    #fichage #migrations #réfugiés #biométrie
    via @karine4
    ping @_kg_

  • À la croisée du courage et de l’harmonie pour les femmes d’Agadez | IOM Storyteller
    https://storyteller.iom.int/fr/stories/la-croisee-du-courage-et-de-lharmonie-pour-les-femmes-dagadez

    Agadez, Niger – Au cœur d’Agadez, un mouvement transformateur prend racine pour les femmes issues des communautés d’accueil et de migrants. Le Foyer féminin Tchimakrassan, une construction moderne au beau milieu des bâtiments traditionnels en banco, est une lueur d’espoir et d’opportunité.
    Le Foyer est un centre pour femmes de tous horizons à Agadez, un espace qui leur est propre, géré par les femmes elles-mêmes - le premier du genre dans la ville. Entre ses murs, les femmes ne font pas que se rassembler. Elles se soutiennent, s’encouragent, s’inspirent et apprennent les unes des autres. De la couture à la coiffure, de la transformation des aliments à la technique de teinture du batik, un éventail d’activités diverses et variées donne la possibilité aux femmes d’avoir un revenu, d’acquérir de nouvelles compétences et de nouer des liens au sein de la communauté, qu’elle soit d’accueil ou migrante.(...)
    Depuis son inauguration en 2023, le Foyer est entièrement dirigé par les femmes. Aujourd’hui, ces femmes gèrent de manière autonome les dépenses opérationnelles, y compris l’électricité et l’eau, et améliorent les formalités administratives pour inscrire les femmes d’Agadez et élargir les activités du Foyer.
    Proposant dix programmes de formation différents, l’espace contribue grandement à l’autonomisation des femmes issues aussi bien de la communauté migrante que de la communauté d’accueil et jette les bases de la cohésion sociale.(...)
    Grâce à son positionnement stratégique le long des principaux carrefours migratoires au nord du Niger, Agadez accueille des milliers d’Africains subsahariens en route vers ou depuis l’Afrique du Nord. Ces dynamiques migratoires exercent une pression sur les ressources déjà limitées et génèrent des tensions accrues au sein des communautés locales. En outre, les différences culturelles peuvent être source de conflit entre les communautés d’accueil et les migrants.Le Foyer féminin sert également de pont entre les communautés d’accueil et de migrants, favorisant le dialogue et un environnement propice à la coexistence pacifique.
    « Avant, nous gardions nos distances avec les migrants, nous les regardions avec suspicion. Mais depuis l’établissement de ce foyer, nous avons créé des liens avec les femmes migrantes. Nous avons réalisé que nous partagions des histoires et idées similaires. Cela nous a apporté une stabilité, à la fois sociale et économique », confie Hadjia Mamadou, en réfléchissant au changement.
    « Entre les murs de ce lieu consacré aux femmes, ces dernières se sentent autonomes et en sécurité, trouvant de la force dans un espace géré par et pour les femmes. C’est plus qu’un simple bâtiment, c’est un espace sûr qui alimente l’indépendance et la cohésion sociale », déclare Idrissa Somparé, coordonnateur du programme de l’OIM au Niger.« Le Foyer joue également un rôle essentiel dans leur autonomisation économique et social tout en favorisant l’unité et la compréhension entre les communautés migrantes et celles d’accueil », ajoute-t-il.
    Aujourd’hui, le Foyer Féminin Tchimakrassan se dresse comme un symbole d’espoir et dépeint un récit collectif d’autonomisation et un avenir plus radieux pour les femmes à Agadez. Le Foyer Féminin Tchimakrassan a été construit avec le soutien financier de l’Union européenne via le Programme de stabilisation communautaire de l’OIM. Ce programme vise à prévenir les conflits, à renforcer la cohésion sociale entre les communautés d’accueil et les migrants, à soutenir les groupes vulnérables, en particulier les femmes et les jeunes, en reconstruisant les moyens de subsistance malgré les changements dans les schémas migratoires.Écrit par Aïssatou Si, chargée de l’information publique, OIM Niger.

    #COvid-19#migrant#migration#niger#UE#inclusion#femme#OIM#agadez#accueil#sante#routemigratoire

  • Aux obsèques de Rola Al Mayali, 7 ans, morte noyée alors que sa famille cherchait à rejoindre le Royaume-Uni
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/08/aux-obseques-de-rola-al-mayali-7-ans-morte-noyee-alors-que-sa-famille-cherch

    Aux obsèques de Rola Al Mayali, 7 ans, morte noyée alors que sa famille cherchait à rejoindre le Royaume-Uni
    Par Julia Pascual (Grande-Synthe (Nord), envoyée spéciale)
    L’embarcation de fortune qui transportait la fillette et sa famille irakienne ainsi qu’une quinzaine d’autres migrants a chaviré le 3 mars dans le canal de l’Aa, dans le Nord, à 30 kilomètres du littoral. Un peu moins d’une centaine de personnes ont assisté à son enterrement, jeudi, à Grande-Synthe.
    Une peluche Kiki bleue a été posée au sol. Et, à côté d’elle, des bouquets de roses, de jonquilles et de tulipes ont été disposés. C’est ici, à l’extrémité sud du nouveau cimetière de Grande-Synthe, dans le Nord, en bordure d’une route départementale et sous une ligne à haute tension, que repose désormais le corps de la petite Rola Al Mayali. Née en 2016 en Irak, morte noyée le dimanche 3 mars dans le canal de l’Aa, à hauteur de la commune de Watten, alors que ses parents voulaient rejoindre l’Angleterre.
    Le petit bateau de pêche de rivière sur lequel ils venaient de monter dans la nuit a immédiatement chaviré avant même de s’engager vers la mer du Nord. Sous le poids de la vingtaine de personnes à son bord, il s’est retourné et la petite fille s’est retrouvée coincée dans la cabine.
    Ils sont un peu moins d’une centaine à s’être déplacés pour rendre hommage à la jeune Irakienne. Des militants associatifs surtout, de ceux qui maraudent sur le littoral, hébergent ou soignent les plus fragiles et distribuent des repas dans les camps de Calais (Pas-de-Calais) et Loon-Plage (Nord). Ils sont présents au côté des parents de la petite fille, Mohamed et Nour, et de leurs trois fils, Muhaimen, 14 ans, Hassan, 10 ans, et Moamel, 8 ans. Les deux plus jeunes pleurent leur sœur aux côtés de leur mère, enceinte de plus de huit mois, tandis que le père glisse dans un petit sac plastique une poignée de la terre qui recouvre sa fille. Une terre qu’il n’avait jamais imaginé fouler alors qu’il a quitté Bagdad en 2017, où il travaillait comme chauffeur de bus.
    « Nous avons vécu trois ans et cinq mois en Grèce et deux ans en Allemagne, à Oldenbourg [Basse-Saxe], confie-t-il. A chaque fois, nos demandes d’asile ont été rejetées et nous avions peur d’être expulsés en Irak. Si l’Allemagne nous avait donné des papiers, ma fille ne serait pas morte. » « Notre sœur était la meilleure à l’école », rapporte le fils aîné, Muhaimen, dans un anglais rudimentaire. « C’est à cause de Dublin que nous ne pouvons pas rester en Europe », poursuit-il, en mimant avec ses mains une prise d’empreintes, comme celle qui permet aux autorités d’un pays européen de savoir si un étranger a déjà été enregistré dans un autre Etat membre. En vertu du règlement européen de Dublin, elles peuvent alors refuser d’instruire sa demande d’asile et l’y transférer. « Nous sommes obligés d’aller en Angleterre, reprend le père, âgé de 42 ans. Si nous demandons l’asile en France, nous serons “dublinés” et renvoyés. »
    En payant 6 000 euros, Mohamed et Nour Al Mayali pensaient s’acquitter d’une somme suffisante pour rejoindre le Royaume-Uni en famille. Ils n’avaient pas imaginé que les passeurs essaieraient de les entasser à une vingtaine, dont dix enfants, sur une barque de moins de 5 mètres de long. »
    Après le naufrage, Nour et ses fils ont été hébergés une nuit par le 115 avant d’être pris en charge par le réseau associatif, tandis que le père a été placé en garde à vue, puis libéré sans poursuites, tout comme les deux autres pères de famille présents à bord de la barque cette nuit-là. Une enquête en flagrance a été ouverte par le parquet de Dunkerque (Nord), notamment pour « homicide involontaire » et « aide à l’entrée et au séjour irrégulier en bande organisée avec mise en danger d’autrui ».Depuis le début de l’année, les autorités observent une suroccupation croissante des « small boats », du nom de ces embarcations de fortune qui tentent les traversées de la Manche et de la mer du Nord vers les côtes anglaises. « Il y a en moyenne cinquante personnes par bateau, contre quarante l’an dernier, explique-t-on à la préfecture des Hauts-de-France. Et leur qualité se dégrade. » En dépit des risques pris, quelque 3 200 personnes ont déjà rejoint le Royaume-Uni en 2024, dont près d’un millier sur la seule semaine écoulée. A côté de ça, au moins neuf personnes sont mortes noyées depuis janvier, contre douze sur l’ensemble de l’année 2023 et cinq en 2022. « La mortalité augmente plus vite que les traversées », observe Nikolaï Posner, de l’association d’aide aux migrants Utopia 56.
    Depuis Watten, la famille de Rola Al Mayali avait encore une trentaine de kilomètres à naviguer et des écluses à passer avant d’arriver dans la mer du Nord par le port de Gravelines. « C’est un sacré périple, c’est fou », s’étonne encore le maire socialiste de Gravelines, Bertrand Ringot, qui dit avoir demandé à l’Etat de disposer une ligne de bouées pour empêcher le passage de bateaux qui arriveraient par le canal de l’Aa en amont du port de plaisance de sa commune.
    Un dispositif que les pouvoirs publics ont déjà mis en place ailleurs, en travers du canal des Dunes, des fleuves de la Canche et de l’Authie. Un plaisancier du port d’Etaples-sur-Mer (Pas-de-Calais) se souvient de l’époque, révolue depuis l’installation d’un barrage flottant en août 2023, où les passeurs faisaient du « cabotage » le long de la Canche en ramassant des personnes en divers points, pour ensuite rejoindre la Manche.Une façon d’éviter les mises à l’eau sur les plages du littoral, plus visibles et plus facilement entravées par les forces de l’ordre. « Les réseaux s’adaptent sans cesse », insiste-t-on à la préfecture des Hauts-de-France. Depuis le début de l’année, quatorze traversées ou tentatives de traversée ont été détectées à partir du canal de l’Aa, où la jeune Rola Al Mayali s’est noyée. (...)Les départs en mer restent cependant majoritaires et s’égrainent désormais tout le long de la côte, depuis la Belgique jusque, parfois, en baie de Somme.
    A ceux qui étaient venus le soutenir lors des funérailles, Mohamed Al Mayali, le père de Rola, a dit sa gratitude : « Je ne me suis pas senti étranger ici, en votre présence. » Le soir, la famille est retournée à la maison Sésame, à Herzeele (Nord), un lieu d’hospitalité citoyenne, qui permet d’offrir quelques jours de répit aux personnes en transit vers le Royaume-Uni. Un grand repas convivial y était organisé. Sylvie Desjonquères, une ancienne d’Emmaüs à l’origine de ce lieu de vie, voulait croire, jeudi soir, qu’« ici, il y a autre chose que des jungles et la frontière ».

    #Covid-19#migrant#migration#france#royaumeuni#traversee#manche#mortalite#sante#passeur#frontiere#prefecture#reseaux#baiedesomme#belgique#grandsynthe

  • Dans le Nord, les départs depuis les cours d’eau vers les côtes britanniques se multiplient - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55650/dans-le-nord-les-departs-depuis-les-cours-deau-vers-les-cotes-britanni

    Dans le Nord, les départs depuis les cours d’eau vers les côtes britanniques se multiplient
    Par Louis Chahuneau Publié le : 06/03/2024 Dernière modification : 07/03/2024
    Une fillette de 7 ans est morte noyée dimanche, à Watten, dans le Pas-de-Calais, après avoir embarqué avec une quinzaine d’autres migrants, dont sa famille, sur un bateau sous-dimensionné qui a coulé dans l’Aa. Deux semaines plus tôt, un autre groupe de migrants avait rejoint le Royaume-Uni depuis ce fleuve. Les forces de l’ordre surveillent ce nouveau mode opératoire destiné à éviter les interventions sur les plages du littoral.
    Le maire de Watten (Pas-de-Calais) a été réveillé aux aurores par les gendarmes dimanche 3 mars. Tôt ce matin-là, un groupe de 16 migrants, dont 10 enfants, qui avait embarqué sur un petit bateau, a chaviré au niveau de cette commune située à une trentaine de kilomètres en amont du littoral, faisant un mort. La victime était une fillette âgée de sept ans. Elle est décédée des suites d’un arrêt cardio-respiratoire. « Quand je suis arrivé, le bateau avait déjà coulé », déclare à InfoMigrants Daniel Deschodt, maire de Watten.
    Le parquet de Dunkerque a ouvert une enquête pour « homicide involontaire », « blessures involontaires », « association de malfaiteurs » et « aide à l’entrée et au séjour irrégulier en bande organisée avec mise en danger d’autrui ». Trois passagers, dont le père de la fillette, ont été placés en garde à vue avant d’être libérés mardi sans poursuites, a déclaré le parquet de Dunkerque, chargé de l’enquête. Le père a déclaré être de nationalité irakienne, tandis que les deux autres gardés à vue ont affirmé qu’ils étaient de nationalité koweïtienne.
    La fillette se trouvait sur le bateau avec ses trois frères et sœurs et sa mère enceinte. Ils ont chaviré à 30 kilomètres du littoral, sur le canal de l’Aa qui se jette dans la mer du Nord. « On a une écluse, mais ça ne leur fait pas peur. On a surtout un trafic assez important avec des porte-conteneurs. Là, c’était un dimanche matin donc il y avait moins de trafic, mais avec un petit bateau sur l’Aa, si vous croisez un porte-container, ça va tanguer, donc c’est risqué », explique Daniel Deschodt.
    Jusqu’au début d’année, la commune de 2 650 habitants était épargnée par le flux migratoire qui transite par les Hauts-de-France en direction du Royaume-Uni. Désormais, les migrants tentent d’embarquer depuis les cours d’eau de la région pour atteindre les côtes britanniques. Une manière de contourner les patrouilles de police et de gendarmerie qui quadrillent les plages du Nord et du Pas-de-Calais, d’autant plus qu’officiellement, ces dernières n’ont plus le droit d’intervenir une fois les embarcations mises à l’eau.
    « Le phénomène des taxi-boats n’est pas nouveau. La seule nouveauté, c’est qu’ils utilisent le canal de l’Aa pour mettre à l’eau les embarcations », explique Mathilde Potel, commissaire adjointe en charge de la lutte contre l’immigration irrégulière sur le littoral. Selon elle, une dizaine de départs ont été comptabilisés sur l’Aa depuis quelques semaines, et 26 sur la Canche en trois mois, avant la mise en place du barrage flottant.
    Même constat du côté des associations : « Ça fait un peu plus d’un an qu’on en entend parler, réagit Amélie Moyart, coordinatrice d’Utopia 56 à Grande-Synthe. C’est un phénomène qui reste très restreint, mais ça montre que les migrants cherchent des solutions [alternatives] parce qu’on ne leur propose rien d’autre. [Pour eux] il n’y a toujours pas de possibilité de se rendre en Angleterre de façon légale [depuis la France]. » Il y a deux semaines déjà, un bateau de pêche volé à Watten avait été retrouvé au Royaume-Uni. Les exilés avaient réussi leur pari. « J’ai le sentiment que ça va se reproduire. J’ai déjà des habitants qui rapatrient leur bateau chez eux pour éviter les vols », réagit le maire de la commune, Daniel Deschodt.
    En 2023, c’est la commune de Dannes, dans le Pas-de-Calais, qui a été approchée par des groupes de migrants. Bien que très au sud des côtes britanniques, elle bénéficie d’une réserve naturelle où les passeurs peuvent enterrer du matériel nautique, ainsi que de la proximité immédiate de la Canche, un autre fleuve qui se jette dans la Manche.
    Pour empêcher l’intervention des forces de l’ordre, les passeurs font monter les passagers depuis les berges du fleuve avant de remonter les côtes jusqu’au Royaume-Uni. Pour endiguer ce phénomène des « taxi-boats », les services de la préfecture ont fait installer un barrage flottant sur la Canche pour empêcher le passage des embarcations, puis sur l’Authie, autre fleuve qui se jette dans la mer près de Fort-Mahon. « C’est important pour nous d’endiguer ce mode opératoire, le canal de l’Aa est peu profond mais il y a quand même des décès », déclare la commissaire adjointe Mathilde Potel.
    Depuis quelques mois, on observe désormais des départs depuis la Baie de Somme. « Il y en a eu plus d’une dizaine en 2023 », assure Amélie Moyart d’Utopia 56. En février, le préfet maritime de la Manche et de la mer du Nord, Marc Véran, avait relevé que « ces traversées sont de plus en plus dangereuses ».
    En 2023, les autorités se sont félicitées d’une baisse de 30% des traversées de la Manche avec 30 000 passages contre près de 46 000 en 2022, une année record. Dans la nuit de lundi à mardi, près de 401 migrants ont tenté leur chance vers le Royaume-Uni, soit le plus haut nombre depuis le début de l’année 2024.

    #Covid-19#migrant#migration#france#royaumeuni#traversee#manche#frontiere#mortalite#pasdecalais#baiedesomme#sante#PREMAR#taxiboats

  • Quatre cadavres de migrants retrouvés dans un canot au large des Canaries - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55639/quatre-cadavres-de-migrants-retrouves-dans-un-canot-au-large-des-canar

    Quatre cadavres de migrants retrouvés dans un canot au large des Canaries
    Par La rédaction Publié le : 06/03/2024
    Les sauveteurs espagnols ont retrouvé dans la nuit de mardi à mercredi quatre migrants morts dans une pirogue au large de l’île canarienne d’El Hierro. L’embarcation, dans laquelle avait pris place une soixantaine de personnes dont huit enfants et un bébé, avait quitté les côtes mauritaniennes neuf jours plus tôt. Quatorze exilés souffrant d’hypothermie et de déshydratation ont par ailleurs été transportés à l’hôpital.
    Les drames se succèdent dans l’Atlantique. Dans la nuit de mardi 5 à mercredi 6 mars, quatre corps ont été retrouvés dans une pirogue par les sauveteurs espagnols au large de l’île canarienne d’El Hierro.
    À bord du canot se trouvaient une soixantaine de migrants, dont huit enfants et un bébé. Parmi eux, 14 personnes ont été transférées à l’hôpital pour des cas d’hypothermie, de déshydratation, d’hypotension et d’infection aux pieds et aux mains.
    Les exilés, originaires du Sénégal, du Mali et de la Guinée Conakry, avait pris la mer depuis la capitale mauritanienne neuf jours plus tôt.La route migratoire qui relie les côtes ouest-africaines aux Canaries demeure l’une des plus dangereuses au monde. Les vents violents et les forts courants rendent la traversée très risquée, et peut faire dériver les pirogues surchargées et en mauvais état. De nombreux témoignages rapportent les périls du voyage, soumis aux aléas météorologiques, aux avaries de moteur, à la soif et à la faim.
    Lundi, les autorités cap-verdiennes ont annoncé avoir retrouvé une pirogue échouée sur une île du nord-ouest de l’archipel. Dans l’embarcation, cinq cadavres ont été découverts et un migrant est mort après son arrivée au Cap-Vert. Seules cinq personnes ont survécu à la traversée. Selon le récit des rescapés, la pirogue comptait 65 passagers."Dans les prochains jours, d’autres corps peuvent s’échouer sur la côte", a prévenu Elisio Silva.
    Dans cette affaire aussi, le canot avait quitté les rives mauritaniennes. Ce pays est depuis le début de l’année devenu une terre de départ pour les exilés désireux de rejoindre les Canaries. La majorité des canots arrivés en janvier dans l’archipel espagnol avait pris la mer depuis les rives mauritaniennes, malgré de nombreux accords entre Nouakchott et Madrid pour lutter contre l’immigration irrégulière.
    Ce phénomène inquiète les autorités espagnoles et européennes. Lors d’une visite début février en Mauritanie, le Premier ministre espagnol, Pedro Sanchez, et la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen ont annoncé l’octroi d’une aide de 200 millions d’euros pour aider Nouakchott à stopper les départs.L’an dernier, le nombre de décès sur la route qui mène de l’Afrique à l’Espagne a atteint des records. Selon l’ONG Caminando Fronteras, 6 618 exilés sont morts ou ont disparu en cherchant à rallier le sol espagnol en 2023. Un chiffre en hausse de 177% par rapport à 2022. Lors de la présentation de ces chiffres, la présidente de l’ONG Helena Maleno a fustigé les autorités espagnoles et les pays d’origine de ces migrants, qui d’après elle privilégient le « contrôle migratoire » au « droit à la vie » de ces personnes et à la recherche d’une vie meilleure

    #Covid-19#migrant#migration#mauritanie#espagne#canaries#senegal#mal#guineeconakry#capvert#sante#mortalite#traversee#routemigratoire#atlantique#UE#elhierro

  • Déclaration conjointe non contraignante de la Mauritanie et de l’UE sur les migrations - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55690/declaration-conjointe-non-contraignante-de-la-mauritanie-et-de-lue-sur

    Déclaration conjointe non contraignante de la Mauritanie et de l’UE sur les migrations
    Par RFI Publié le : 08/03/2024
    La Mauritanie et l’Union européenne (UE) ont signé et rendu publique jeudi à Nouakchott une déclaration conjointe (non contraignante juridiquement) établissant le renforcement d’un partenariat afin de lutter contre l’immigration irrégulière. Depuis le début de l’année, les départs de canots de migrants depuis la Mauritanie vers les îles Canaries ont fortement augmenté.
    D’après la feuille de route annexée à la déclaration conjointe de la Mauritanie et de l’Union européenne, rendue publique jeudi 7 mars, cinq thématiques autour de la migration feront l’objet d’une concertation : un chapitre pour faciliter la cohésion sociale des jeunes à travers des opportunités socio-économiques, un autre pour accompagner Nouakchott à répondre à l’afflux de réfugiés et soutenir les communautés qui les accueillent, ou encore un pour soutenir la mobilité des étudiants en améliorant par exemple les procédures de délivrance de visas.
    Mais il y a aussi des chapitres très attendus, comme ceux concernant la lutte contre l’immigration irrégulière et le trafic de migrants, ou celui concernant la gestion, la surveillance et le contrôle des frontières. Jean-Marc Dewerpe, chef de la coopération de la délégation de l’Union européenne en Mauritanie, détaille le partenariat non contraignant : « Combattre et poursuivre les réseaux de passeurs des migrants et les réseaux de traite des êtres humains, renforcer les moyens et les capacités des autorités responsables de la gestion des frontières, renforcer les opérations en matière de recherche et de sauvetage, ou encore faciliter le retour de ceux qui n’ont pas le droit de rester tout en respectant les droits humains. »
    Concernant les expulsions vers la Mauritanie, le document ne mentionne que le retour potentiel « des Mauritaniens en séjours irrégulier en Europe ». Une précision importante selon Abdessalam Ould Mohamed Saleh, ministre de l’Économie : « J’affirme ici que la Mauritanie ne sera jamais la patrie (alternative) des migrants illégaux étrangers. Nous ne les recevrons pas, ne les abriterons pas et ne leur accorderons pas la citoyenneté. »
    Dans le cadre du renforcement de ce partenariat, plus de 210 millions d’euros devraient être alloués à Nouakchott d’ici la fin de l’année. Ce pays est depuis le début de l’année devenu une terre de départ pour les exilés désireux de rejoindre les Canaries. La majorité des canots arrivés en janvier dans l’archipel espagnol avait pris la mer depuis les rives mauritaniennes, malgré de nombreux accords entre Nouakchott et Madrid pour lutter contre l’immigration irrégulière.

    #Covid-19#migrant#migration#mauritanie#UE#espagne#canaries#frontiere#migrationirreguliere#traite#reseaux#passeurs#sante

  • "Nous ne sommes pas l’agence européenne de #sauvetage", souligne le directeur de #Frontex

    #Hans_Leijtens, directeur de Frontex, a répondu mardi aux conclusions de la médiatrice européenne, qui constate de graves lacunes dans le mandat, les opérations et les relations de l’agence avec les États membres.

    Le directeur de Frontex répond au rapport de la médiatrice européenne. Le document, publié la semaine dernière, conclut que l’Agence européenne des garde-frontières et garde-côtes est trop dépendante du consentement des autorités nationales. Elle n’est donc pas dans les meilleures dispositions pour défendre les valeurs de l’UE et sauver des vies en mer.

    #Emily_O'Reilly recommande également à l’agence de « mettre fin, retirer ou suspendre ses activités » dans les pays qui persistent à ne pas respecter leurs obligations en matière de recherche et de sauvetage ou qui violent les droits fondamentaux.

    Dans le cas contraire, prévient la médiatrice, l’UE risque de devenir « complice » de la mort des migrants.

    Près d’une semaine après la publication du document, Hans Leijtens a tenu mardi une conférence de presse à Bruxelles pour donner sa réponse au rapport.

    « Je comprends la logique suivie par la médiatrice. Je ne suis pas vraiment d’accord avec elle sur un certain nombre de points », explique Hans Leijtens, « Nous ne sommes pas l’Agence européenne de recherche et de sauvetage. Nous sommes l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes ».

    Le directeur souligne que la « #mission_première » de l’agence était de sécuriser les frontières extérieures de l’UE en déployant des agents sur le terrain et en assistant les États membres. Sa tâche principale est de « #rechercher » plutôt que de « #secourir ». L’agence a repéré l’année dernière 2 000 cas de franchissements irréguliers par le biais d’avions de surveillance et de drones, précise le directeur.

    En vertu des règles actuelles, Frontex est habilitée à alerter les centres de coordination des situations de détresse potentielles et, le cas échéant, à apporter son aide dans les situations d’urgence en mer. Mais cette assistance ne peut avoir lieu que si l’agence obtient le consentement explicite d’un pays. Dans le cas contraire, Frontex n’a d’autre choix que de rester en marge de l’opération sans intervenir directement. En outre, Hans Leijtens fait remarquer que les bateaux gérés par Frontex sont principalement des « navires côtiers » qui ne sont pas destinés à la recherche et au sauvetage en haute mer.

    Malgré les limitations pratiques, Frontex est toujours étroitement impliquée dans la gestion des flux migratoires. L’agence estime qu’elle a contribué au sauvetage de 43 000 personnes en mer au cours de 24 opérations en 2023.

    « Notre tâche est basée sur la #sécurisation_des_frontières », souligne Hans Leijtens, « mais il ne fait aucun doute que si nous devons choisir entre évaluer s’il s’agit d’une question de #sécurité ou #sauver_des_vies, nous sauverons toujours des vies et nous nous occuperons de la question de sécurité plus tard ».

    Mais ce sont les épisodes qui se terminent en tragédie qui placent l’agence sous l’œil attentif des législateurs et de la société civile. Frontex a été confrontée l’année dernière à des questions difficiles concernant sa réponse à deux naufrages meurtriers : l’un en février, près de la Calabre, en Italie, qui a fait au moins 94 morts, et l’autre en juin, lorsque l’Adriana, un bateau de pêche surchargé de demandeurs d’asile, a chaviré au large des côtes de la Messénie, en Grèce entraînant la mort confirmée ou présumée de plus de 600 personnes.

    L’enquête de la médiatrice a été lancée à la suite de ce second incident. Le rapport indique que la Grèce n’a pas répondu aux alertes de Frontex à « quatre occasions distinctes » au cours de la tragédie et critique l’agence pour ne pas avoir joué un « rôle plus actif » tout en étant « pleinement consciente » des accusations de refoulement et d’abus systématiques qui entourent depuis des années les garde-côtes grecs.

    Frontex compte 626 agents en Grèce continentale et dans les îles, ainsi que 32 voitures de patrouille, neuf navires et deux avions, ce qui représente le plus grand déploiement de tous les États membres.

    Interrogé sur l’éventuelle suspension des activités en Grèce, conformément à la recommandation de la médiatrice, Hans Leijtens se montre prudent et répond que la question n’est pas « noire ou blanche ». L’agence, explique- t-il, « dépend fortement de ce que nous savons et de ce que nous savons être traité dans ce que l’on appelle les rapports d’incidents graves ». Ces documents sont soumis à l’officier des droits fondamentaux, un organe indépendant chargé d’assurer la conformité de l’agence avec les règles et les valeurs de l’Union européenne.

    « L’année dernière, nous avons reçu 37 de ces rapports. La plupart concernent la Grèce, l’Italie et la Bulgarie. Mais il s’agit d’un rapport d’incident. Ce n’est pas quelque chose qui a été prouvé. C’est un signal qui nous est parvenu », précise le directeur.

    Les enquêtes approfondies et les procédures pénales ne peuvent être lancées que par les autorités nationales. La décision de se retirer d’un pays doit se fonder sur ces enquêtes, poursuit Hans Leijtens, quel que soit le temps nécessaire à leur conclusion. La Grèce est toujours en train d’examiner le rapport du New York Times de l’année dernière, qui expose des preuves graphiques et des témoignages de refoulements à la frontière.

    « Je suis très impatient ici, franchement, mais je dois les attendre », indique le directeur de Frontex.

    Même si les résultats de ces enquêtes sont accablants, l’agence ne prendra pas nécessairement la décision radicale de couper tous les liens, estime-t-il. Frontex pourrait plutôt suspendre le cofinancement et des projets spécifiques, ou demander au pays incriminé de mettre en œuvre des « mesures appropriées » et empêcher que les actes répréhensibles ne se répètent.

    La suspension n’est « pas quelque chose qui peut se faire du jour au lendemain », prévient Hans Leijtens, « cela nécessite vraiment une certaine réflexion et une certaine justification ».

    Créée en 2004 avec un mandat limité, Frontex a progressivement gagné en puissance, en ressources, jusqu’à devenir l’un des organismes les plus importants de l’Union européenne. L’agence devrait compter environ 10 000 agents et disposer d’un budget d’un milliard d’euros d’ici 2027. Une réforme complète de la politique de l’UE en matière d’immigration et d’asile, que Hans Leijtens qualifie de « changement de paradigme », devrait encore renforcer le rôle de Frontex.

    https://fr.euronews.com/my-europe/2024/03/05/nous-ne-sommes-pas-lagence-europeenne-de-sauvetage-souligne-le-directeu
    #migrations #réfugiés #frontières

    –---

    Voir aussi :
    #Naufrages de migrants : les règles entourant Frontex doivent changer (médiatrice #Emily_O’Reilly )
    https://seenthis.net/messages/1044051

    Et aussi :
    #Frontex : « Sa #mission première est bien de garantir un contrôle des frontières extérieures », rappelle le Sénat
    Et les mêmes propos, prononcés par #Fabrice_Leggeri :
    https://seenthis.net/messages/984497

    • Frontex continuerà a segnalare la presenza di migranti in mare alla Guardia costiera libica

      Il direttore Hans Leijtens ha detto che l’agenzia è tenuta a farlo per legge, anche se nel fine settimana un’ong aveva accusato una motovedetta libica di aver ostacolato un’operazione di soccorso.

      Martedì Hans Leijtens, il direttore esecutivo di Frontex (la controversa agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), ha detto ad Associated Press che l’agenzia è tenuta per legge a informare le autorità libiche della presenza di barche di persone migranti in difficoltà nella zona SAR (Search and Rescue) di competenza del paese: «Dobbiamo informarli: non farlo significherebbe giocare con le vite dei migranti […] ed è un gioco che non farò mai», ha detto.

      Le dichiarazioni di Leijtens sono arrivate in seguito alle critiche avanzate di recente dalla ong SOS Humanity, secondo cui la Guardia costiera libica avrebbe ostacolato un’operazione di soccorso. Sabato la nave Humanity 1, di SOS Humanity, ha soccorso decine di migranti che si trovavano a bordo di tre imbarcazioni in difficoltà nella zona SAR della Libia, nel mar Mediterraneo meridionale. È riuscita a caricarne a bordo 77, ma il suo intervento è stato reso molto difficile proprio dall’arrivo di una motovedetta della Guardia costiera libica.

      L’equipaggio della Humanity 1 ha accusato i membri della Guardia costiera libica di aver sparato in acqua mentre alcune persone si trovavano in mare, minacciato il personale dell’ong e poi costretto alcuni migranti a salire a bordo della loro imbarcazione, per essere riportati in Libia. L’ong ha detto che almeno una persona è «morta annegata» nel caos che si è creato durante il soccorso. La ricostruzione di SOS Humanity è stata confermata anche dall’equipaggio dell’aereo per l’avvistamento di imbarcazioni in difficoltà Seabird, che opera con la ong tedesca Sea-Watch e ha documentato le operazioni con una serie di fotografie dall’alto.

      Le 77 persone soccorse dalla Humanity 1 sono sbarcate a Crotone, in Calabria. Le autorità italiane hanno posto la nave sotto fermo amministrativo per 20 giorni, con l’accusa di aver operato nella zona SAR della Libia.

      La cosiddetta Guardia costiera libica è composta da milizie armate libiche, finanziate e addestrate dall’Italia e dall’Unione Europea per fermare le partenze dei migranti. I suoi membri soccorrono chi vogliono, quando vogliono e con i metodi che vogliono, spesso violenti. Le persone che vengono riportate in Libia sono spesso riconsegnate ai trafficanti di esseri umani e ai gestori dei centri per migranti, dove le torture e gli stupri sono sistematici.

      Commentando i fatti con Associated Press, Leijtens ha detto che secondo il diritto internazionale Frontex è tenuta a segnalare la presenza di navi in difficoltà alle «autorità competenti: se [la nave] si trova nelle acque di competenza della Libia, questo include anche le autorità libiche».

      https://www.ilpost.it/2024/03/05/frontex-guardia-costiera-libica-ong

    • Frontex, une #arme_de_guerre contre les migrants

      Le 5 février 2024, la Commission européenne a rendu publique son évaluation du fonctionnement de Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, dont le rôle est d’aider les Etats membres de l’Union européenne (UE) et de l’espace Schengen à « sécuriser » leurs frontières extérieures.

      Parmi les missions de Frontex, la surveillance des frontières maritimes et terrestres, sur le terrain (agents déployés au sol, navires) ou à distance (avions, hélicoptères et drones), afin d’empêcher les migrants d’accéder irrégulièrement au territoire européen.

      La Commission se félicite de son travail : « Malgré des difficultés considérables (…) Frontex a contribué de manière importante à renforcer la gestion des frontières extérieures de l’UE, dans le respect des droits fondamentaux. » Car, ajoute-t-elle, l’agence est « régie par un cadre solide en matière de droits fondamentaux, qui garantit leur respect dans toutes ses activités ».

      Pour manifester une telle satisfaction, la Commission européenne ne peut qu’être aveugle et sourde. De multiples signaux invitent à conclure qu’au contraire, l’agence Frontex est responsable ou complice de violations des droits des exilés, aux frontières ou dans leurs parcours migratoires. Certaines, comme les violences physiques ou les refoulements illégaux (les pushback), sont commises par des gardes-frontières qui agissent sous sa responsabilité ou en sa présence.

      D’autres sont à mettre directement au compte de Frontex, pour avoir omis de signaler des risques de naufrages qui auraient pu être évités, ou encore collaboré avec des garde-côtes libyens afin que des embarcations de migrants soient illégalement ramenées en Libye.

      Dès les premières années d’existence de Frontex, créée en 2004, des ONG ont mis en garde contre ses agissements. En 2013, une campagne a été menée, sous le nom de Frontexit, par une coalition d’organisations européennes et africaines pour dénoncer les violations des droits commises au cours d’opérations de l’agence. La plupart des associations intervenant dans la zone méditerranéenne et les ONG de sauvetage en mer, puis la presse, ont pris le relais. Ces alertes n’avaient que peu d’écho. Mais aujourd’hui, c’est de source officielle qu’émanent des accusations étayées visant Frontex.
      Refoulements et mauvais traitements

      Quelques jours après le bilan élogieux de la Commission, une enquête publiée par Le Monde le 26 février 2024 révélait en effet que Frontex était mise en cause par son propre bureau des droits fondamentaux. Le responsable de ce bureau, Jonas Grimheden, avait averti au mois de mars 2023, dans un rapport à son conseil d’administration, du risque que l’agence soit « indirectement impliquée dans des violations des droits fondamentaux commises par des agents en Bulgarie, à la frontière avec la Turquie ».

      Depuis plusieurs mois, il signalait des allégations persistantes de refoulements illégaux, de mauvais traitements et d’usage excessif de la force par la police bulgare des frontières. Des témoins lui avaient notamment rapporté des cas de demandeurs d’asile contraints de retourner en Turquie à la nage, déshabillés de force, frappés ou sévèrement mordus par des chiens policiers.

      Jonas Grimheden demandait que des enquêtes indépendantes sur ces violations soient menées, mais il n’a pas été entendu. Quoi d’étonnant, quand on sait qu’au moment même où il lançait son alerte, la Commission européenne initiait de son côté un projet pilote visant à « prévenir les arrivées irrégulières » ainsi que des « procédures d’asile accélérées » et d’expulsions rapides des migrants indésirables, dans deux pays, la Roumanie et la Bulgarie ? Cette dernière a d’ailleurs reçu 69,5 millions d’euros de fonds européens à cette fin.

      Déjà, dans son rapport pour 2022, le Forum consultatif de Frontex (composé d’organisations internationales et d’organisations de la société civile) s’inquiétait du fait que l’agence puisse être impliquée dans l’interception en Méditerranée, par des garde-côtes libyens, de barques de migrants ensuite ramenées en Libye. Le rapport signalait que « les retours vers la Libye peuvent constituer des violations du principe de non-refoulement ».

      Ces pratiques ont été confirmées par l’ONG Human Rights Watch, qui accuse Frontex de complicité avec les autorités libyennes. Puis, une enquête conduite par le média allemand Der Spiegel et le collectif de journalistes Lighthouse Reports a révélé que Frontex communique aux Libyens les informations dont elle dispose sur les positions des embarcations afin qu’ils les interceptent.
      Manquements et dissimulations

      Au même moment, au mois d’octobre 2022, était rendu public un rapport de l’Olaf, l’Office de lutte anti-fraude de l’UE, qui recensait, à l’issue d’une enquête menée depuis plusieurs années, une série de manquements, de dissimulations et de cas de complicité active de la part de Frontex, ayant conduit à la violation des droits fondamentaux de migrants.

      Il est ainsi établi que lors d’opérations d’interception de bateaux de migrants par des garde-côtes grecs, Frontex, témoin d’opérations de pushbacks vers la Turquie que ses agents avaient filmées, a choisi d’interrompre ses patrouilles aériennes en mer Egée plutôt que d’avoir à signaler ces pratiques illégales.

      Elle a même continué à cofinancer certaines des unités grecques responsables de ces refoulements. D’après ce rapport, l’agence aurait été impliquée dans le renvoi illégal d’au moins 957 demandeurs d’asile entre mars 2020 et septembre 2021. Selon Der Spiegel, les patrons de Frontex « ont menti au Parlement européen et ont masqué le fait que l’agence a soutenu certains refoulements avec de l’argent des contribuables européens ».

      A la suite de ces révélations, le Parlement européen a refusé, le 18 octobre 2022, de valider les comptes de 2020 de Frontex – une décision sans conséquences sur son fonctionnement mais destinée à marquer le désaccord des eurodéputés avec ces pratiques.

      L’enquête de l’Olaf a fait suffisamment de bruit pour que le directeur de Frontex, Fabrice Leggeri, qui a toujours réfuté ces accusations, soit poussé à la démission. Un départ que l’intéressé, aujourd’hui candidat du Rassemblement national (RN) aux élections européennes, attribue à « la tyrannie à la fois des ONG et du droit européen ».

      En prenant son poste en mars 2023, son successeur, le Néerlandais Hans Leijtens, s’est engagé publiquement en faveur de la « responsabilité, du respect des droits fondamentaux et de la transparence » et a qualifié de « pratiques du passé » l’implication de Frontex dans les affaires qui lui sont reprochées.
      « Incapable de remplir des obligations »

      Pourtant… Le 1er mars 2024, la médiatrice européenne Emily O’Reilly, a livré le résultat de l’enquête que ses services ont mené durant sept mois, après le naufrage le 14 juin 2023 de l’Adriana, un bateau de pêche qui, parti de Libye, a sombré au large des côtes grecques, provoquant la disparition de 650 personnes.

      Dans son rapport, la médiatrice relève que Frontex, qui avait repéré l’embarcation surpeuplée, sans gilets de sauvetage visibles, s’était contentée de prévenir les garde-côtes grecs de son arrivée, lesquels n’ont pas pris les mesures appropriées pour assurer le sauvetage des boat people.

      Emily O’Reilly souligne enfin que les règles qui encadrent les modalités d’intervention de l’agence « laissent Frontex incapable de remplir ses obligations en matière de respect des droits fondamentaux » et suggère qu’elle devrait « mieux prendre en compte les rapports non officiels, tels que ceux des ONG ».

      Après la démission de Fabrice Leggeri, le réseau Migreurop affirmait :

      « Il ne suffit pas de changer le directeur, c’est Frontex qu’il faut supprimer ! »

      De fait, comme le rappelle le politiste Denis Duez, « la manière dont on a défini le périmètre d’action de Frontex » en fait « d’abord une agence de contrôle et surveillance des frontières ».

      La satisfaction de la Commission européenne, qui félicite Frontex pour la « tâche capitale » qu’elle assure malgré les milliers de victimes qu’elle laisse dans son sillage, le confirme : dans la guerre menée par l’UE contre les migrants, le respect de leurs droits n’est pas seulement secondaire, il reste parfaitement illusoire.

      https://www.alternatives-economiques.fr/claire-rodier/frontex-une-arme-de-guerre-contre-migrants/00109936
      #Claire_Rodier

    • La commissaire européenne aux Affaires intérieures rejette la nécessité de réformer Frontex

      Il n’est pas nécessaire de réformer l’Agence européenne de gardes-frontières et de garde-côtes connue sous le nom de Frontex, a déclaré lundi (11 mars) à Madrid la commissaire européenne aux Affaires intérieures, #Ylva_Johansson, bien que l’agence des frontières de l’UE soit critiquée pour son inaction présumée dans le sauvetage des migrants en Méditerranée.

      Pour commémorer l’attentat terroriste islamiste qui a eu lieu en 2004 à Madrid contre le réseau de trains de banlieue, et qui a fait 193 morts et 1 800 blessés, Mme Johansson s’est rendue dans la capitale espagnole avec Margaritis Schinas, vice-présidente de la Commission européenne chargée de la promotion du mode de vie européen.

      S’exprimant sur la nécessité de réformer Frontex, Mme Johansson a déclaré : « Je suis assez satisfaite de la manière dont Frontex fonctionne », ajoutant : « Je ne pense pas que nous ayons besoin d’une réforme majeure de Frontex ».

      Fin février, la Médiatrice européenne, Emily O’Reilly, a appelé à modifier les règles de l’UE en matière de recherche et de sauvetage en mer, après avoir enquêté sur le rôle de Frontex et la mort de migrants en Méditerranée.

      L’enquête de la Médiatrice a révélé que les règles actuelles empêchent Frontex de remplir pleinement ses obligations en matière de droits fondamentaux et que l’agence s’appuie trop lourdement sur les États membres de l’UE lorsqu’elle doit faire face à des navires transportant des migrants en détresse.

      Pour parvenir à cette conclusion, le bureau de la Médiatrice de l’UE a concentré la majeure partie de son enquête sur la tragédie de l’Adriana en juin dernier. 600 personnes se sont noyées après que Frontex a été incapable de participer à une opération de sauvetage au large des côtes grecques, faute d’autorisation des autorités grecques.

      « La Médiatrice souhaiterait renforcer la partie de Frontex relative aux droits fondamentaux », a ajouté Mme Johansson.

      « Je ne suis pas convaincue que cela soit nécessaire, car nous avons déjà un mandat solide en matière de droits fondamentaux », a-t-elle ajouté.

      Mme Johansson a tout de même reconnu les problèmes auxquels est confrontée Frontex, pointant du doigt la gestion de l’ancien directeur de l’agence Fabrice Leggeri — qui a maintenant rejoint les rangs de l’extrême droite française — même si elle a déclaré que les choses avaient « complètement changé » pour le mieux depuis sa démission en 2022.

      « Bien sûr, il y a des défis à relever en ce qui concerne Frontex », a déclaré Mme Johansson.

      « Nous avons besoin d’une meilleure formation pour son corps permanent […] et d’un personnel plus spécialisé ; nous avons besoin que les États membres soient plus rapides dans les déploiements, mais je ne crois pas que nous ayons un problème avec les droits fondamentaux », a ajouté la commissaire aux Affaires intérieures.

      La commissaire a également défendu le pacte européen sur la migration et l’asile, adopté en décembre dernier et qui doit être approuvé par le Parlement européen en avril, ajoutant qu’elle ne craignait pas que sa mise en œuvre soit compromise par la montée attendue de l’extrême droite lors des élections européennes de juin.

      « L’extrême droite vit de la peur », a-t-elle souligné, rappelant que ces partis présentent l’immigration comme quelque chose d’« incontrôlable », ce qui est, selon elle, faux.

      https://www.euractiv.fr/section/immigration/news/la-commissaire-europeenne-aux-affaires-interieures-rejette-la-necessite-de-

  • Pour maintenir la santé des migrants, il faut leur donner plus de droits !

    Alors que le premier ministre a annoncé une réforme restrictive de l’Aide médicale d’Etat d’ici l’été, deux médecins rappellent, dans cette tribune à « l’Obs », l’indignité de cette proposition et le risque sanitaire qu’elle fait courir à tous.

    La vie, la survie des personnes en situation de migration, les « migrants », dépendent d’abord du bon état de leur corps et de leur mental, de leur bonne santé globale, leur capital le plus précieux. Le protéger, prévenir sa dégradation, est une préoccupation qui nous concerne tous.

    Emigrer, c’est se trouver confronté à toutes sortes de modifications sociales et environnementales qui constituent un processus de sélection dont ne sortiront que les personnes les plus fortes physiquement et intellectuellement, les plus résilientes. Emigrer, c’est d’abord formuler le projet de quitter son lieu habituel d’existence. Le seul fait d’en faire un projet de vie, puis de le mettre en œuvre, est une rupture existentielle. Quitter l’endroit où l’on a souvent vécu depuis sa naissance, quitter sa famille, ses amis, son travail, ses habitudes… ne va pas sans entraîner d’importantes perturbations. Le processus d’émigration est une cascade d’événements, de traumatismes, générateurs d’anxiété, de stress qui perturbent fortement l’équilibre des personnes et peuvent affecter la santé, mentale en particulier.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/03/07/pour-maintenir-la-sante-des-migrants-il-faut-l

    #migration #santé

  • The (many) costs of border control

    I have recently finished writing up a four-year study of the UK immigration detainee escorting system. This fully outsourced form of border control has not been the subject of academic inquiry before. While there is a growing body of work on deportation, few people have studied the process and its organisation in person, while sites of short-term detention have similarly been overlooked.

    The escorting contract is run as two separate businesses: ‘in-country’, known (confusingly for those more familiar with the US) as ICE, and Overseas, also referenced as OSE. ICE includes 31 sites of short-term immigration detention, many of which are in ports and airports including four in Northern France around Calais and Dunkirk, and a fleet of secure vans and vehicle bases. Overseas officers enforce removals and deportations. While staff may be cross deployed for ‘operational needs’, and some people do move from one part to another over the course of their careers, ICE and OSE are managed separately and staff in each tend to view themselves as distinct from colleagues working for the other.

    The study took many years to arrange and then was severely disrupted by the COVID-19 pandemic. It was one of the most taxing pieces of research I have ever done, and I am still recovering from it. A book about the project is currently in press and should be out later this year, with Princeton University Press. Here I explore some of the ‘costs’ of this system; in financial terms, in its impact on those employed within it, and on their communities. All these matters occur in the context of the impact of the system of those subject to it, as they are denied entry and forced to leave. As a researcher, I was also adversely affected by studying this system, but I shall leave reflections on that to a different piece.

    The current ten-year contract was awarded to Mitie, Care & Custody, in December 2017 at an estimated cost to the public of £525 million. Previous incumbents included Tascor, (part of the Capita group) and G4S. Like those competitors, Mitie holds many other contracts for a variety of public and private organisations. In their 2023 annual report, ‘Business Services’ (29%, £1172m) and ‘Technical’ Services (29% £1154m) provided the lion’s share of the company’s income, followed by ‘Central Government and Defence’ (20%, £828m). Profits generated by ‘Care & Custody’, which includes those generated by three immigration removal centres (Harmondsworth, Colnbrook and Derwentside) that are run under a different set of legal and financial arrangements, were not listed separately. Instead, they formed part of a general category of ‘Specialist Services’ made up of three other businesses areas: ‘Landscapes’, ‘Waste Management’ and, rather incongruously, ‘Spain’. Together, these four sets of contracts constituted just 10% of the company’s revenue (£411m) that year.

    The precise agreement that the Home Office signed for the services Mitie provides is hidden, like all contracts, under the veil of corporate confidentiality. But some information is available. The escorting contract, for instance, is subject to what is known as a ‘cap and collar’. This financial arrangement, which is designed to reduce exposure to financial risk for both parties, meant that during the pandemic, when the borders closed and the numbers detained in immigration removal centres dropped, that the company did not lose money. Despite detaining or deporting very few people, the collar ensured that staff continued to be paid as normal. Similarly, the cap means that Mitie is restricted in the additional costs they demand from the Home Office. The internal transportation of people under immigration act powers, for example, is paid for by ‘volume’, i.e. by the number of people moved within a daily requirement. Any additional movements that are requested that above that level generates profit for the company, but only within a set parameter.

    The cap and collar does not entirely protect Mitie from losing money. The contract includes a range of ‘service credits’, ie fines, which are applied by the Home office for cancellations, delays, injuries, and, escapes. The Home Office is also subject to small fines if they cancel a request without sufficient time for Mitie to redeploy the staff who had been assigned to the work.

    While a missed collection time (eg a person detained at a police station, who must be taken to an immigration removal centre) may incur Mitie a fine of £100, a delayed deportation would result in a fine ten times that sum, and a death ten times more again. These economic penalties form the basis of regular discussions between Mitie and the Home Office, as each side seeks to evade financial responsibility. They also shape the decisions of administrative staff who distribute detained people and the staff moving them, around the country and across the world. It is better to risk a £100 fine than a £1000 one.

    For staff, border control can also be considered in financial terms. This is not a particularly high paying job, even though salaries increased over the research period: they now hover around £30,000 for those employed to force people out of the country, and somewhat less for those who work in Short-term holding facilities. There is also, as with much UK employment, a north-south divide. A recent job ad for a post at Swinderby Residential Short-Term Holding Facility listed a salary of £26,520.54 for 42 hours a week; for two hours less work per week, a person could go to work in the nearby Vehicle base at Swinderby and earn £25,257.65. Down in Gatwick, the same kind of job in a vehicle base was advertised at £28,564.63. Both sums are well below the mean or median average salary for UK workers, which stand at £33,402 and £33,000 respectively. As a comparison, the salary for starting level prison officers, on band 3, is £32, 851, for fewer weekly hours.

    Under these conditions, it is not surprising to find that staff everywhere complained about their pay. Many struggled to make ends meet. As might be expected, there was a generational divide; unlike their older colleagues who were able to obtain a mortgage on their salary, younger people were often stuck either in the rental market or at home with their parents. Few felt they had many alternatives, not least because many of the sites of short-term holding facilities are in economically depressed areas of the UK, where good jobs are hard to come by. In any case, staff often had limited educational qualifications, with most having left school at 16.

    Border control has other kinds of costs. For those who are detained and deported, as well as their families and friends, these are likely to be highest of all, although they do not directly feature in my study since I did not speak to detained people. I could not see how interviewing people while they were being deported or detained at the border would be ethical. Yet the ethical and moral costs were plain to see. In the staff survey, for example, 12.35% of respondents reported suicidal thoughts in the past week, and 7.4% reported thoughts of self-harm over the same period. Both figures are considerably higher than the estimates for matters in the wider community.

    Finally, and this part is the springboard for my next project, there are clearly costs to the local community. When I first started visiting the short-term holding facility at Manston, near Dover, when the tents had only just gone up and the overcrowding had not yet begun, I was shocked at the size of it. A former RA base, it includes many buildings in various states of disrepair, which could have been redeveloped in any number of ways that did not include depriving people of their liberty. Perhaps it could have included affordable homes for those trapped in the rental market, as well as non-custodial accommodation for new arrivals, new schools, a hospital, perhaps some light industry or tech to employ people nearby. What would it take to work for a vision of the future which, in principle, would have room for us all?

    https://blogs.law.ox.ac.uk/border-criminologies-blog/blog-post/2024/03/many-costs-border-control
    #UK #Angleterre #rétention #détention_administrative #renvois #expulsions #business #ICE #OSE #Overseas #Calais #ports #aéroports #Dunkerque #privatisation #migrations #réfugiés #coûts #Mitie #Tascor #Care_&_Custody #G4S #Harmondsworth #Colnbrook #Derwentside #home_office #Swinderby_Residential_Short-Term_Holding_Facility #Swinderby #Gatwick #travail #salaire #contrôles_frontaliers #frontières #santé_mentale #suicides #Manston

  • Border security with drones and databases

    The EU’s borders are increasingly militarised, with hundreds of millions of euros paid to state agencies and military, security and IT companies for surveillance, patrols and apprehension and detention. This process has massive human cost, and politicians are planning to intensify it.

    Europe is ringed by steel fences topped by barbed wire; patrolled by border agents equipped with thermal vision systems, heartbeat detectors, guns and batons; and watched from the skies by drones, helicopters and planes. Anyone who enters is supposed to have their fingerprints and photograph taken for inclusion in an enormous biometric database. Constant additions to this technological arsenal are under development, backed by generous amounts of public funding. Three decades after the fall of the Berlin Wall, there are more walls than ever at Europe’s borders,[1] and those borders stretch ever further in and out of its territory. This situation is the result of long-term political and corporate efforts to toughen up border surveillance and controls.

    The implications for those travelling to the EU depend on whether they belong to the majority entering in a “regular” manner, with the necessary paperwork and permissions, or are unable to obtain that paperwork, and cross borders irregularly. Those with permission must hand over increasing amounts of personal data. The increasing automation of borders is reliant on the collection of sensitive personal data and the use of algorithms, machine learning and other forms of so-called artificial intelligence to determine whether or not an individual poses a threat.

    Those without permission to enter the EU – a category that includes almost any refugee, with the notable exception of those who hold a Ukrainian passport – are faced with technology, personnel and policies designed to make journeys increasingly difficult, and thus increasingly dangerous. The reliance on smugglers is a result of the insistence on keeping people in need out at any cost – and the cost is substantial. Thousands of people die at Europe’s borders every year, families are separated, and people suffer serious physical and psychological harm as a result of those journeys and subsequent administrative detention and social marginalisation. Yet parties of all political stripes remain committed to the same harmful and dangerous policies – many of which are being worsened through the new Pact on Migration and Asylum.[2]

    The EU’s border agency, Frontex, based in Warsaw, was first set up in 2004 with the aim of providing technical coordination between EU member states’ border guards. Its remit has been gradually expanded. Following the “migration crisis” of 2015 and 2016, extensive new powers were granted to the agency. As the Max Planck Institute has noted, the 2016 law shifted the agency from a playing “support role” to acting as “a player in its own right that fulfils a regulatory, supervisory, and operational role.”[3] New tasks granted to the agency included coordinating deportations of rejected refugees and migrants, data analysis and exchange, border surveillance, and technology research and development. A further legal upgrade in 2019 introduced even more extensive powers, in particular in relation to deportations, and cooperation with and operations in third countries.

    The uniforms, guns and batons wielded by Frontex’s border guards are self-evidently militaristic in nature, as are other aspects of its work: surveillance drones have been acquired from Israeli military companies, and the agency deploys “mobile radars and thermal cameras mounted on vehicles, as well as heartbeat detectors and CO2 monitors used to detect signs of people concealed inside vehicles.”[4] One investigation described the companies that have held lobbying meetings or attended events with Frontex as “a Who’s Who of the weapons industry,” with guests including Airbus, BAE Systems, Leonardo and Thales.[5] The information acquired from the agency’s surveillance and field operations is combined with data provided by EU and third country agencies, and fed into the European Border Surveillance System, EUROSUR. This offers a God’s-eye overview of the situation at Europe’s borders and beyond – the system also claims to provide “pre-frontier situational awareness.”

    The EU and its member states also fund research and development on these technologies. From 2014 to 2022, 49 research projects were provided with a total of almost €275 million to investigate new border technologies, including swarms of autonomous drones for border surveillance, and systems that aim to use artificial intelligence to integrate and analyse data from drones, satellites, cameras, sensors and elsewhere for “analysis of potential threats” and “detection of illegal activities.”[6] Amongst the top recipients of funding have been large research institutes – for example, Germany’s Fraunhofer Institute – but companies such as Leonardo, Smiths Detection, Engineering – Ingegneria Informatica and Veridos have also been significant beneficiaries.[7]

    This is only a tiny fraction of the funds available for strengthening the EU’s border regime. A 2022 study found that between 2015 and 2020, €7.7 billion had been spent on the EU’s borders and “the biggest parts of this budget come from European funding” – that is, the EU’s own budget. The total value of the budgets that provide funds for asylum, migration and border control between 2021-27 comes to over €113 billion[8]. Proposals for the next round of budgets from 2028 until 2035 are likely to be even larger.

    Cooperation between the EU, its member states and third countries on migration control comes in a variety of forms: diplomacy, short and long-term projects, formal agreements and operational deployments. Whatever form it takes, it is frequently extremely harmful. For example, to try to reduce the number of people arriving across the Mediterranean, member states have withdrawn national sea rescue assets (as deployed, for example, in Italy’s Mare Nostrum operation) whilst increasing aerial surveillance, such as that provided by the Israel-produced drones operated by Frontex. This makes it possible to observe refugees attempting to cross the Mediterranean, whilst outsourcing their interception to authorities from countries such as Libya, Tunisia and Egypt.

    This is part of an ongoing plan “to strengthen coordination of search and rescue capacities and border surveillance at sea and land borders” of those countries. [9] Cooperation with Tunisia includes refitting search and rescue vessels and providing vehicles and equipment to the Tunisian coastguard and navy, along with substantial amounts of funding. The agreement with Egypt appears to be structured along similar lines, and five vessels have been provided to the so-called Libyan Coast Guard in 2023.[10]

    Frontex also plays a key role in the EU’s externalised border controls. The 2016 reform allowed Frontex deployments at countries bordering the EU, and the 2019 reform allowed deployments anywhere in the world, subject to agreement with the state in question. There are now EU border guards stationed in Albania, Montenegro, Serbia, Bosnia and Herzegovina, and North Macedonia.[11] The agency is seeking agreements with Niger, Senegal and Morocco, and has recently received visits from Tunisian and Egyptian officials with a view to stepping up cooperation.[12]

    In a recent report for the organisation EuroMed Rights, Antonella Napolitano highlighted “a new element” in the EU’s externalisation strategy: “the use of EU funds – including development aid – to outsource surveillance technologies that are used to entrench political control both on people on the move and local population.” Five means of doing so have been identified: provision of equipment; training; financing operations and procurement; facilitating exports by industry; and promoting legislation that enables surveillance.[13]

    The report highlights Frontex’s extended role which, even without agreements allowing deployments on foreign territory, has seen the agency support the creation of “risk analysis cells” in a number of African states, used to gather and analyse data on migration movements. The EU has also funded intelligence training in Algeria, digital evidence capacity building in Egypt, border control initiatives in Libya, and the provision of surveillance technology to Morocco. The European Ombudsman has found that insufficient attention has been given to the potential human rights impacts of this kind of cooperation.[14]

    While the EU and its member states may provide the funds for the acquisition of new technologies, or the construction of new border control systems, information on the companies that receive the contracts is not necessarily publicly available. Funds awarded to third countries will be spent in accordance with those countries’ procurement rules, which may not be as transparent as those in the EU. Indeed, the acquisition of information on the externalisation in third countries is far from simple, as a Statewatch investigation published in March 2023 found.[15]

    While EU and member state institutions are clearly committed to continuing with plans to strengthen border controls, there is a plethora of organisations, initiatives, campaigns and projects in Europe, Africa and elsewhere that are calling for a different approach. One major opportunity to call for change in the years to come will revolve around proposals for the EU’s new budgets in the 2028-35 period. The European Commission is likely to propose pouring billions more euros into borders – but there are many alternative uses of that money that would be more positive and productive. The challenge will be in creating enough political pressure to make that happen.

    This article was originally published by Welt Sichten, and is based upon the Statewatch/EuroMed Rights report Europe’s techno-borders.

    Notes

    [1] https://www.tni.org/en/publication/building-walls

    [2] https://www.statewatch.org/news/2023/december/tracking-the-pact-human-rights-disaster-in-the-works-as-parliament-makes

    [3] https://www.mpg.de/14588889/frontex

    [4] https://www.theguardian.com/global-development/2021/dec/06/fortress-europe-the-millions-spent-on-military-grade-tech-to-deter-refu

    [5] https://frontexfiles.eu/en.html

    [6] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [7] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [8] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [9] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

    [10] https://www.statewatch.org/media/4103/eu-com-von-der-leyen-ec-letter-annex-10-23.pdf

    [11] https://www.statewatch.org/analyses/2021/briefing-external-action-frontex-operations-outside-the-eu

    [12] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-, https://www.statewatch.org/publications/events/secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    [13] https://privacyinternational.org/challenging-drivers-surveillance

    [14] https://euromedrights.org/wp-content/uploads/2023/07/Euromed_AI-Migration-Report_EN-1.pdf

    [15] https://www.statewatch.org/access-denied-secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    https://www.statewatch.org/analyses/2024/border-security-with-drones-and-databases
    #frontières #militarisation_des_frontières #technologie #données #bases_de_données #drones #complexe_militaro-industriel #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #surveillance #sécurité_frontalière #biométrie #données_biométriques #intelligence_artificielle #algorithmes #smugglers #passeurs #Frontex #Airbus #BAE_Systems #Leonardo #Thales #EUROSUR #coût #business #prix #Smiths_Detection #Fraunhofer_Institute #Engineering_Ingegneria_Informatica #informatique #Tunisie #gardes-côtes_tunisiens #Albanie #Monténégro #Serbie #Bosnie-Herzégovine #Macédoine_du_Nord #Egypte #externalisation #développement #aide_au_développement #coopération_au_développement #Algérie #Libye #Maroc #Afrique_du_Nord

  • Deadliest Year on Record for Migrants with Nearly 8,600 Deaths in 2023
    https://mailchi.mp/c8c9bd3ed530/deadliest-year-on-record-for-migrants-with-nearly-8600-deaths-in-2023?e=e777

    Deadliest Year on Record for Migrants with Nearly 8,600 Deaths in 2023
    In the ten years since the Missing Migrants Project was established, more than 63,000 deaths and disappearances have been documented worldwide. Illustration: Roberta Aita, IOM GMDAC
    Geneva/ Berlin, 6 March – At least 8,565 people died on migration routes worldwide in 2023, making it the deadliest year on record, according to data collected by IOM’s Missing Migrants Project. The 2023 death toll represents a tragic increase of 20 percent compared to 2022, highlighting the urgent need for action to prevent further loss of life. “As we mark the Missing Migrants Project’s ten years, we first remember all these lives lost. Every single one of them is a terrible human tragedy that reverberates through families and communities for years to come,” said IOM Deputy Director General Ugochi Daniels. “These horrifying figures collected by the Missing Migrants Project are also a reminder that we must recommit to greater action that can ensure safe migration for all, so that 10 years from now, people aren’t having to risk their lives in search of a better one.”
    Last year’s total surpasses the number of dead and missing globally in the previous record year of 2016, when 8,084 people died during migration, making it the deadliest year since the Missing Migrants Project’s inception in 2014. As safe and regular migration pathways remain limited, hundreds of thousands of people attempt to migrate every year via irregular routes in unsafe conditions. Slightly more than half of the deaths were a result of drowning, with nine per cent caused by vehicle accidents, and seven per cent by violence.
    The Mediterranean crossing continues to be the deadliest route for migrants on record, with at least 3,129 deaths and disappearances. This is the highest death toll recorded in the Mediterranean since 2017. Regionally, unprecedented numbers of migrant deaths were recorded across Africa (1,866) and Asia (2,138). In Africa, most of these deaths occurred in the Sahara Desert and the sea route to the Canary Islands. In Asia, hundreds of deaths of Afghan and Rohingya refugees fleeing their countries of origin were recorded last year.
    In 2024, ten years since the establishment of the Missing Migrants Project as the only open-access database on migrant deaths and disappearances, the project has documented more than 63,000 cases worldwide. The true figure, however, is estimated to be much higher due to challenges in data collection particularly in remote locations such as the Darien National Park in Panama and on maritime routes, where IOM regularly records reports of invisible shipwrecks where boats disappear without a trace.
    Established in 2014 following two devastating shipwrecks off the coast of Lampedusa, Italy, the Missing Migrants Project is recognized as the sole indicator measuring the level of ’safety’ of migration in the Sustainable Development Goals and the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration.
    An upcoming report provides detailed analysis of missing migrants data from 2023 and key facts and figures on migrant deaths and disappearances over the last ten years. It provides an opportunity for IOM and partners to assess ongoing work to expand safe and regular migration pathways, enhance search and rescue operations, and support affected individuals and families. IOM, alongside many other organizations, and as Coordinator of the UN Network on Migration, calls on governments and the international community to continue working together to prevent further loss of life and uphold the dignity and rights of all individuals.
    Table: Data on migrant deaths 2014-2023
    Sign up to receive the upcoming report ‘Ten Years of Counting Migrant Deaths – and Counting’ here.
    For more information about the Missing Migrants Project, visit: missingmigrants.iom.int

    #Covid-19#migrant#migration#IOM#mortalite#disparition#routemigratoire#GMDAC#sante

  • 2,200 #Frontex #emails to #Libya

    Frontex has shared locations of migrant boats with Libya’s coast guard more than 2,000 times in three years – despite watching them whip, beat and shoot at passengers

    It has long been known that European countries provide support and funding to the Libyan Coast Guard to carry out a controversial mission: intercepting Europe-bound migrants whom EU member states and agencies cannot apprehend directly without breaching international laws.

    Numerous media and NGO reports have detailed the abuse and violence practised by the Libyan Coast Guard against migrants during sea interception and inside the detention centres they are taken to after being brought back to Libya.

    Lighthouse Reports has previously established suspicious patterns of collaboration between EU border agency Frontex and the Libyan Coast Guard, including direct links between Frontex aerial assets spotting boats and their subsequent interception by the coast guard.

    Despite the reports of abuse and torture, Frontex has withheld public criticism of the Libyan Coast Guard. And until now, the extent to which Frontex has shared information with the coast guard, and its internal knowledge of the abuse migrants face after they are intercepted, was unknown.
    METHODS

    Following the publication of Lighthouse investigation Frontex and the Pirate Ship in December, the EU Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE) sent a letter to Frontex Executive Director Hans Leijtens questioning the agency’s collaboration with Libyan actors, including militia, in eastern and western Libya.

    Lighthouse Reports and Der Spiegel gained access to the director’s response to the LIBE Committee’s questions. The email included all Serious Incident Reports (SIRs) relating to the Libyan Coast Guard.
    STORYLINES

    The SIRs reveal three incidents of Frontex aerial surveillance assets witnessing Libyan Coast Guard officers beating people in overcrowded boats at sea. In a separate incident, the agency’s surveillance drone recorded a Libyan officer shooting at a wooden boat to force it to stop.

    The letter from Leitjens meanwhile reveals that Frontex gave away the location of migrant boats to the Libyan Coast Guard approximately 2,200 times, usually via email, in the last three years – despite being aware of the regular instances of violence they commit.

    When confronted with these facts by our team, Frontex said: “The decision to share information about vessels in distress with the Libyan rescue coordination centre, alongside other national centres, is taken with a heavy heart”

    The SIRs contain parts of Frontex’s human rights officer’s recommendations for the agency. The measures proposed range from increasing the sharing of coordinates with NGO rescue ships to involving UN agencies in following the fates of those returned to Libya. Frontex did not comment on whether these recommendations were implemented.

    https://www.lighthousereports.com/investigation/2200-frontex-emails-to-libya

    #partage #localisation #migrations #asile #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #gardes-côtes_libyens #géolocalisation #SIRs #surveillance_aérienne #drones

  • Le Travail migrant, l’autre délocalisation, de Daniel Véron Note de lecture, Franz Himmelbauer, Antiopées, 3 mars 2024
    https://antiopees.noblogs.org

    Ramasser des fraises, faire les vendanges ou tailler la vigne, entre autres occupations, sont des activités non délocalisables. Des bagnoles, on peut les monter n’importe où, du moment qu’on détient les capitaux nécessaires à acheter du terrain et à installer des chaînes de montage. Mais un certain nombre d’autres travaux réclament une présence humaine sur place, quel ennui ! L’agriculture, comme on vient de le voir, mais aussi le bâtiment, l’hôtellerie-restauration, les emplois de service (nettoyage, manutention, logistique, etc.) et bien sûr ceux du care (dans les hôpitaux, les soins à domicile, les maisons de retraite, et on en passe). (Il y a aussi des choses que l’on pourrait faire ailleurs, et qui se font souvent ailleurs, comme la confection de vêtements au Bangladesh[1], mais que l’on s’arrange aussi parfois pour faire « ici », mais là, ce sera plutôt dans des ateliers clandestins, non autorisés par arrêté publié au JO…) Toute la question (pour les capitalistes) est dès lors d’organiser la « délocalisation sur place », soit de produire une main-d’œuvre moins chère et dépourvue de protections sociale et juridique, donc moins à même de protester contre sa condition. Ce que décrit Daniel Veron en termes plus précis et pertinents. Il parle en effet des « mécanismes de production d’une inclusion différentielle[2], laquelle s’avère décisive dans l’exploitation de la force de travail migrante ».

    #migrants #travail

  • Runology 润学 : How to Run Away from China
    https://chinarrative.substack.com/p/fleeing-shanghai

    In this issue we feature the writing of Kathy Huang, who examines a topic on many people’s minds in the wake of the Shanghai lockdown: How do I get out of China?

    There’s even a term for it: runxue, or the study of running away. “China’s forever lockdowns have caused some to look for a radical solution: to emigrate, or run away from what they see as a lost future in China,” Huang writes.

    This piece originally ran as a blog item on the Council on Foreign Relations “Asia Unbound” column, where CFR fellows and other experts assess the latest issues emerging in Asia today. Views expressed are not those of CFR, however, which takes no institutional positions.

    Thank you to Huang and CFR for their kind permission to republish.

    Huang, who is a research associate at the council, grew up in China’s Zhejiang province. She’s a graduate of Wesleyan University, where she earned a bachelor’s degree in government and East Asian studies. Her current research is focused on China’s domestic and foreign politics, and on the country’s internet space.

    By Kathy Huang

    In years past, some young people tried to escape the pressures of life in China—high housing prices, fierce employment competition, lack of work-life balance—by dropping out, or what was known in Chinese as “lying flat,” or tangping.

    Now, China’s forever lockdowns have caused some to look for a more radical solution: “runology,” or runxue in Chinese.

    The term plays on the romanization of the Chinese character 润, or run. It means “profitable” in Chinese, but its romanization run makes it a code word for running away, or emigrating overseas. It’s added to the character for “study,” xue (学), making the meme something like “the study of running away.”

    The term went viral at the beginning of the two months-long Shanghai lockdown, which started in early April and is only ending on June 1. (Editors note: As we publish, parts of the city are back under lockdown once again.)

    Residents were confined to their homes with limited access to food and healthcare. The goal: to follow the party’s rigid “dynamic zero-Covid” policy, which deploys mass testing and strict quarantine measures to contain any potential outbreaks.

    Adding to the sense of helplessness is that this was not China’s first Covid lockdown. Wuhan was the first city to go through a two-month lockdown at the beginning of 2020, followed by Xi’an, Harbin, and Shenzhen at the end of last year and earlier this year.

    The impact of the Shanghai lockdown, however, has grabbed people’s attention in China and abroad. China’s largest city and financial hub, Shanghai has a diverse population of foreigners and many young Chinese with international backgrounds.

    The global and relatively liberal image of the city collided with the horror stories recorded online during the lockdown. Chronically ill patients ran out of medication, pets were beaten to death on the street for potentially exposing people to Covid, while authorities have broken into houses to forcefully sanitize them.

    For many Chinese people, this lockdown became emblematic of disillusionment with government policies. That has caused some to look to emigration to essentially “run away” from what they see as a lost future in China.

    On April 3, the same day the government reiterated its “dynamic zero-Covid” policy, the number of searches for “immigration” increased by 440% on WeChat. Canada being the most popular destination, Tencent reported that the phrase “conditions for moving to Canada” increased 2846% in the week of March 28 to April 3. The number of inquiries to immigration consultancies has also skyrocketed in the past month.

    As the term has grown in popularity, “runology” became no longer just a synonym for “emigration,” but a study of why, where, and how to run away.

    Users on online discussion platforms such as Zhihu share their interpretation of the phenomenon and provide practical guidance on how to emigrate. The viewpoints are diverse: not everyone is blindly calling for emigration as the sole solution to problems, but many regard it as a viable alternative to their living conditions in China today.

    If this sort of widespread dissatisfaction lasts, trends such as “runology” could pose challenges to the Communist Party’s goal of growing China’s talent pool. In an important speech last September, Chinese President Xi Jinping highlighted the cruciality of cultivating, importing, and utilizing talent in China’s new era: “Never in history has China been closer to the goal of national rejuvenation and never in history has it been in greater need of talents people,” he said.

    Xi also emphasized the need for China to “self-cultivate talent” while also avoiding “self-isolation.” Half a year later, both goals seem far away.

    The extensive quarantine rules for traveling hinder any talent inflow, while the lockdowns are prompting talent outflow.

    Big data predicted the number of students abroad who returned to China for employment would exceed one million for the first time in 2021, according to the National Development and Reform Commission. But how to retain young talent remains a serious problem for the party.
    After two months cut off from the world, a man waits for sunrise on the Bund on his first trip outside. Shanghai, 1 June 2022. Zhou Pinglang.

    For many, the Shanghai lockdown is only the final trigger. Besides running away, some young Chinese see their options as limited to another popular term from recent years, neijuan, or “involution”—to participate in the highly competitive environment with few opportunities to succeed, and “lying flat.”

    None of these options reflect the optimal environment for cultivating talent. Although it takes much money and effort to emigrate—making it unclear how many really will go abroad—the spike in interest at least shows that many young people are dissatisfied with their current environment.
    A foreign resident exercises outside his apartment in the former French Concession. Shanghai, 25 April 2022. Zhou Pinglang.

    Perhaps what is most significant about the Shanghai lockdown for many is the epiphany that government policy trumps all in China: no matter one’s economic status, one can be subject to arbitrary government policy anytime that clashes with other priorities young people have.

    Freedom, not necessarily politically but at least physically, is becoming an important index of how people evaluate their lives.

    #Chine #émigration

  • Sur les traces des « retournés volontaires » de Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/01/immigration-sur-les-traces-des-retournes-volontaires-de-georgie_6219437_3224

    Sur les traces des « retournés volontaires » de Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur
    Par Julia Pascual (Tbilissi, envoyée spéciale)
    C’est un bloc d’immeubles parmi les centaines qui composent le paysage de Roustavi, une ancienne ville industrielle du sud-est de la Géorgie. Dans ce pays du Caucase où vivent 3,7 millions d’habitants, les cités ouvrières ont poussé pendant l’ère soviétique, et Roustavi a pris son essor autour d’un combinat métallurgique alimenté par l’acier azerbaïdjanais. Depuis, l’URSS s’est disloquée et les usines ont fermé. Voilà une dizaine d’années, attirés par un parc immobilier plus abordable que celui de la capitale, Tbilissi, Davit Gamkhuashvili et Nana Chkhitunidze sont devenus propriétaires d’un des appartements de la ville, au septième et dernier étage d’un immeuble que le temps n’a pas flatté. Le parpaing des façades se délabre, des tiges de fer oxydé crèvent le béton des escaliers et l’ascenseur se hisse aux étages dans un drôle de fracas métallique.
    Fin septembre 2023, Davit, 47 ans, et Nana, 46 ans, sont revenus ici après dix mois passés à Béthune, dans le Pas-de-Calais. Ils ont retrouvé leur trois-pièces propret et modeste, où ils cohabitent avec leur fils et leur fille adultes, leur gendre et leur petite-fille. Le couple de Géorgiens avait nourri l’espoir d’obtenir en France les soins que Davit, atteint d’un diabète sévère, ne trouvait pas dans son pays. Migrer, c’était sa seule option après qu’il a été amputé d’un orteil. Il souffrait d’un ulcère au pied et son médecin géorgien « ne proposait rien d’autre que couper et couper encore », se souvient-il.
    Pour venir en France et laisser à leurs enfants un peu d’argent, sa femme et lui ont vendu leur voiture et un terrain qu’ils possédaient à la campagne. Dans le Pas-de-Calais, le couple a été hébergé dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (CADA), et Davit a pu se faire soigner. Mais l’isolement social, la barrière de la langue, le sentiment d’être des « mendiants » leur ont donné le « mal du pays ». Déboutés de leur demande d’asile, Davit et Nana se sont retrouvés en situation irrégulière et ont été priés de partir. Las, ils ont renoncé à la France dans la douleur. A Roustavi, Nana replonge avec un soupçon de nostalgie dans le souvenir des amitiés qu’elle a nouées avec des bénévoles du CADA, des plats géorgiens qu’elle leur a fait découvrir, comme le khatchapouri, un pain farci au fromage, de la petite fête qui avait été organisée pour leur départ.
    Dans le français rudimentaire qu’elle s’est efforcée d’acquérir, Nana répétait « stop », « fini », « stress » alors que nous la rencontrions, dans les couloirs de l’aéroport de Roissy-Charles-de-Gaulle, le jour de son vol retour vers la Géorgie. Ce matin de septembre 2023, ils étaient une cinquantaine, comme elle, à devoir embarquer pour Tbilissi dans le cadre d’un retour volontaire aidé, un dispositif adressé aux étrangers en situation irrégulière et mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration (OFII). Il a l’avantage d’être beaucoup moins onéreux que les retours forcés, qui mobilisent des moyens importants, de l’interpellation des personnes à leur expulsion, en passant par leur placement en rétention et la phase éventuelle de contentieux juridique. En 2023, plus de 6 830 personnes ont souscrit à des retours volontaires aidés, toutes nationalités confondues. Avec plus de 1 600 retours aidés, les Géorgiens ont été les premiers bénéficiaires du programme.
    Juste avant d’embarquer, au milieu des touristes et des voyageurs d’affaires du terminal 2 de Roissy, Nana et Davit avaient reçu chacun, des agents de l’OFII, une petite enveloppe contenant 300 euros. Leurs billets d’avion avaient également été pris en charge. Pour encourager les départs, la France propose aussi aux personnes volontaires une aide sociale, le financement d’une formation ou encore une aide à la création d’entreprise, plafonnée à 3 000 euros en Géorgie. Avec 605 aides accordées en 2023, les Géorgiens sont, là aussi, les premiers récipiendaires de ce programme de réinsertion économique.Nana Chkhitunidze a obtenu la prise en charge d’une formation en cuisine, qu’elle suit aujourd’hui avec enthousiasme après ses heures de ménage. A son retour à Roustavi, elle a dû retrouver un emploi pour entretenir sa famille. Elle gagne aujourd’hui 600 laris (210 euros) par mois. Pas de quoi payer les consultations chez le diabétologue ni chez le cardiologue que les médecins français ont recommandées à Davit. Diminué physiquement, Davit Gamkhuashvili ne peut plus travailler dans le bâtiment. Il est fier de rappeler qu’il a, par le passé, rénové plusieurs églises du pays, dont la grande cathédrale de la Sainte-Trinité, à Tbilissi. Mais, depuis son amputation, ce n’est désormais plus envisageable. Il se pique trois fois par jour à l’insuline et veille à ce que l’ulcère au pied ne reprenne pas. Il lui reste des boîtes d’antalgiques prescrits en France. Ici, ils ne sont pas pris en charge. L’OFII lui a financé vingt séances de kinésithérapie, à hauteur de 2 100 laris.
    (...) Grâce à l’aide de l’OFII, Nini Jibladze a suivi une formation en manucure, un secteur porteur dans son pays. Elle a même pu s’acheter quelques équipements, comme un sèche-ongles et un stérilisateur, mais, plutôt que de lancer son affaire, elle a dû parer à l’urgence et accepter un poste de commerciale pour une société de vente de chocolats, payé 1 000 laris par mois. Khvtiso Beridze, lui, se plaint de ses douleurs au bras, résultat de deux accidents anciens qui ont abîmé ses nerfs. En France, il a été opéré deux fois, mais il faudrait qu’il subisse une nouvelle intervention. « J’ai peur de me faire opérer ici, reconnaît-il. Et je n’ai pas les moyens de me payer la rééducation à 40 laris la séance. » Anastasia, elle, doit continuer d’être suivie, mais trouver un angiologue ou un radiologue pédiatrique pour réaliser une IRM à 700 laris relève de la gageure. En outre, la famille a encore une dette de plus de 6 000 euros à rembourser, contractée pour financer son départ en France, à l’automne 2021. (...) Sa mère, Irma, avec laquelle le couple cohabite, compte les devancer. Elle s’y prépare sans états d’âme. « Dans notre immeuble, toutes les femmes ont migré, assure cette célibataire de 52 ans. Si quelqu’un en Géorgie se nourrit et s’habille correctement, c’est qu’il a quelqu’un à l’étranger qui lui envoie de l’argent. » Elle-même a déjà travaillé à Samsun, en Turquie, il y a quinze ans. « Je partais trois mois faire la plonge ou le ménage et je revenais, se souvient-elle. Ça valait le coup. A l’époque, on avait 100 dollars avec 120 livres turques. Aujourd’hui, ce n’est plus intéressant, il faut 3 000 livres turques pour 100 dollars. » Si Irma repart, ce sera en Grèce. Elle y a des amies qui promettent de l’aider à trouver un travail d’aide à domicile ou de femme de ménage pour au moins 1 000 euros par mois. « Ça pourra payer les dettes et les études des enfants », calcule la grand-mère.
    Depuis l’effondrement du bloc soviétique, la migration géorgienne vers l’Europe n’a cessé de croître. « C’est un phénomène très commun, qui a connu un pic avec la libéralisation des visas en 2017 », souligne Sanja Celebic Lukovac, cheffe de mission à Tbilissi de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), une agence onusienne. Cette « libéralisation » autorise les Géorgiens à circuler comme touristes dans l’espace Schengen pendant quatre-vingt-dix jours sans visa. « La Grèce accueille probablement la plus importante diaspora, mais de nombreux Géorgiens sont aussi allés en France, en Italie, en Allemagne, en Suisse ou en Espagne, guidés surtout par des opportunités d’emploi », poursuit Sanja Celebic Lukovac.D’abord très temporaire et individuelle, la migration est devenue plus durable et familiale. Les besoins médicaux sont, en outre, souvent au cœur du projet de mobilité. En France, en 2023, les Géorgiens ont ainsi représenté 7 % des demandes de titres de séjour pour étranger malade (dont un tiers pour des cancers). Parfois, ces besoins sont dissimulés derrière des demandes d’asile, l’un des rares moyens, si ce n’est le seul, de faire durer un séjour en règle, le temps de l’instruction du dossier.
    En 2022, selon Eurostat, plus de 28 000 Géorgiens ont déposé une demande d’asile en Europe, dont près de 10 000 en France. Cela reste faible, en comparaison avec la population du continent ou avec le volume total des demandes d’asile enregistrées dans l’Union européenne, qui a dépassé 955 000 requêtes la même année. Mais, l’octroi d’une protection internationale aux Géorgiens étant très rare – environ 4 % des demandes d’asile géorgiennes en Europe connaissent une issue positive –, cette migration ne manque pas d’alimenter un discours politique virulent. Emmanuel Macron a dénoncé plusieurs fois le « détournement du droit d’asile », des propos qui visent notamment les flux en provenance de Géorgie. Les pouvoirs publics ont tenté de les réduire, au travers de textes de loi ou de mesures réglementaires. Ainsi, la loi « immigration » de 2018 a permis l’expulsion des déboutés de l’asile provenant de pays d’origine « sûrs », nonobstant un éventuel recours.
    En mai 2019, le ministre de l’intérieur de l’époque, Christophe Castaner, s’était déplacé à Tbilissi pour fustiger l’« anomalie » de la demande d’asile géorgienne et la « dette médicale » générée par ceux « qui viennent se faire soigner en France », alors même que l’état du système de soins en Géorgie « ne justifie pas cette venue ». Fin 2019, la lutte contre le « tourisme médical » avait encore occupé une place importante dans le débat sur l’immigration organisé au Parlement par Edouard Philippe, alors premier ministre. Il avait débouché sur une série de mesures imposant notamment un délai de carence de trois mois pour accéder à la protection maladie pour les demandeurs d’asile et la limitation de la durée de cette protection à six mois pour ceux qui sont déboutés de leur demande.
    « On identifie un ensemble de raisons qui incitent les gens à investir dans la migration, analyse Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM. L’absence ou le manque d’accès aux traitements, le manque de confiance dans les soins et leur coût. » En Géorgie, où l’espérance de vie moyenne n’atteint pas 74 ans et où 15,6 % de la population vit sous le seuil de pauvreté, le système de soins pâtit notamment d’une faible prise en charge du handicap et des médicaments, ce qui expose les ménages à un risque d’appauvrissement. (...)
    Une étude réalisée en 2019 par le cabinet Evalua pour l’OFII, sur un échantillon de près de 400 bénéficiaires d’aide à la création d’entreprise dans quatorze pays, dont la Géorgie mais aussi la Côte d’Ivoire ou le Mali, montrait que, trois ans après avoir quitté la France, 82 % des « retournés » ayant bénéficié de l’aide – qui peut atteindre 6 300 euros dans certains endroits – se trouvaient toujours dans leur pays. En outre, 51 % des projets financés étaient encore actifs. Zhaneta Gagiladze aime « beaucoup » son métier de coiffeuse. Elle mène sa vie avec énergie et ambition. C’est d’ailleurs pour cela qu’elle veut repartir. Seule et en Israël, cette fois, où elle espère pouvoir gagner 4 000 dollars par mois comme femme de ménage. A deux reprises déjà, en 2023, elle a tenté de s’y rendre. Mais, à chaque fois, elle a été refoulée à l’aéroport de Tel-Aviv. Elle attend désormais d’avoir économisé suffisamment pour pouvoir s’acquitter des 6 000 dollars qui lui garantiront d’entrer sur le territoire, avant d’y demeurer clandestinement.Elle a du mal à comprendre qu’Israël ne donne pas de visa malgré ses besoins de main-d’œuvre. « Mon projet est juste d’y travailler deux ans, pour gagner de quoi acheter un appartement ici », dit-elle. Elle rêve aussi « d’aider [sa] fille à accomplir son rêve de retourner étudier en France », un pays qu’elle associe à une vie meilleure. « En France, elle a même été suivie par un psychologue, alors que, depuis notre retour, elle a fait une dépression », confie Zhaneta, qui répète à quel point elle est « reconnaissante » vis-à-vis de la France. A Lyon, elle a croisé des compatriotes miraculés. L’un a pu être guéri d’un cancer en Géorgie. Un autre, atteint d’une cirrhose et à qui l’on ne donnait pas un mois à vivre, a pu bénéficier d’une greffe de foie.
    Mais il y a aussi les déçus. Comme Natela Shamoyan, 58 ans, hébergée par le 115 en banlieue parisienne de 2019 à 2022 avec sa fille lourdement handicapée, pour qu’on lui dise finalement la même chose que dans son pays : il n’y a pas de traitement qui guérisse la maladie de Charcot. Grâce à l’argent de l’OFII, à son retour en Géorgie, elle a relancé dans son garage, et avec son fils de 35 ans, une petite activité de fabrication de tapis de voiture.
    Giorgi Maraneli garde néanmoins un bon souvenir de la France. Son fils avait pu être soulagé et la prise en charge était gratuite et de qualité. Aujourd’hui, il a l’impression d’être revenu à la case départ. Les projets financés dans le cadre des retours aidés ne fournissent souvent que des revenus d’appoint. Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM, a constaté qu’avec le temps les « retournés » d’Europe reçoivent de moins en moins d’aide pour leur réinsertion. « Cela signifie qu’il y a de plus en plus de gens dans le besoin », prévient-elle.
    En France, un arrêté ministériel d’octobre 2023 a resserré les critères d’éligibilité aux retours aidés, prévoyant une dégressivité de l’aide dans le temps à partir de la notification de l’OQTF. Mécaniquement, sur les premières semaines de 2024, les demandes de Géorgiens auprès de l’OFII ont baissé, car ils sont moins nombreux à pouvoir y prétendre. S’il avait obtenu des papiers, Giorgi Maraneli avait un poste de palefrenier qui lui était destiné dans une écurie près de Bailleul. Régulièrement, sur Facebook, il prend des nouvelles des bénévoles qui avaient adouci son quotidien et avec lesquels sa famille s’est liée d’amitié. Eux lui disent que la situation en France ne s’améliore pas, évoquent la loi « immigration » promulguée le 26 janvier. Avec franchise, Giorgi leur écrit qu’il veut revenir

    #Covid-19#migration#migrant#france#georgie#grece#israel#turquie#sante#soin#OFII#CADA#OQTF

  • Naufrage dans la Manche : trois Érythréens en garde à vue - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55544/naufrage-dans-la-manche--trois-erythreens-en-garde-a-vue

    Naufrage dans la Manche : trois Érythréens en garde à vue
    Par La rédaction Publié le : 01/03/2024
    Trois Érythréens de 24 ans, 25 ans et 28 ans ont été placés en garde à vue suite au naufrage de mercredi dans la Manche. Ce jour-là, une embarcation s’est retrouvée en difficulté alors qu’elle essayait de rejoindre l’Angleterre. Trois personnes sont tombées à l’eau. Un corps a été retrouvé, deux autres sont portés disparus.
    Trois ressortissants érythréens sont en garde à vue après le naufrage d’un canot et la mort de trois personnes dans la Manche, mercredi 28 février. Un migrant a été récupéré inconscient par les secours au large de Calais alors qu’il tentait de rejoindre l’Angleterre. Deux autres exilés sont également portés disparus.
    Les trois suspects sont âgés de 24 ans, 25 ans et 28 ans a précisé Patrick Leleu, procureur adjoint de Boulogne-sur-Mer. « Ils se trouvaient tous les trois sur le bateau ».La personne décédée « n’a pas encore été formellement identifiée, il s’agit d’un homme », a-t-il ajouté, tandis qu’aucun des deux disparus n’a encore été retrouvé.
    Mercredi dans l’après-midi, les trois victimes avaient pris place à bord d’une embarcation de fortune dans le détroit du Pas-de-Calais. Très vite le canot se retrouve en difficulté, les occupants appellent alors les secours. Cinquante-six personnes seront secourues mais trois manquent à l’appel, selon les survivants. Un hélicoptère dépêché dans la zone repèrera les trois migrants.
    Deux naufrages meurtriers en 2024
    Un premier est extrait de l’eau, inconscient, par le navire BSAM Seine. Il ne pourra pas être réanimé à bord. En revenant chercher les deux autres exilés, les secours ne les trouveront plus. « Les deux autres personnes signalées n’ont pas pu être relocalisées et récupérées par les moyens aéronautiques et maritimes présents », a détaillé la préfecture maritime de la Manche et de la mer du Nord dans un communiqué. Le naufrage de mercredi est le deuxième en 2024 au large des côtes françaises. Dans la nuit du 13 au 14 janvier, cinq migrants, dont deux adolescents syriens de 14 ans et 16 ans, avaient péri à Wimereux, au sud de Calais, alors qu’ils tentaient de rejoindre une embarcation déjà en mer dans une eau autour de 9 degrés.
    Douze migrants ont perdu la vie en 2023 en tentant de traverser la Manche, selon la Prémar. Depuis des années, la France et le Royaume-Uni multiplient les mesures pour empêcher les traversées de la Manche. En mars 2023, les deux États ont signé un énième accord pour le déploiement de patrouilles supplémentaires côté français notamment. Coût du dispositif pour Londres : près de 500 millions d’euros. Le Royaume-Uni s’était même félicité en début d’année d’avoir récolté les fruits de ses lourds investissements dans la militarisation de sa frontière maritime. Le nombre de personnes atteignant le littoral anglais a baissé d’un tiers en 2023. Londres a enregistré 29 437 arrivées de migrants en « small boat » cette année-là, contre 45 000 en 2022.

    #Covid-19#migrant#migration#france#royaumeuni#traversee#pasdecalais#manche#mortalite#sante#PREMAR#frontiere#migrationirrreguliere

  • « Ils sont à la rue » : 116 jeunes migrants en recours expulsés d’un gymnase à Toulouse - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55547/ils-sont-a-la-rue--116-jeunes-migrants-en-recours-expulses-dun-gymnase

    « Ils sont à la rue » : 116 jeunes migrants en recours expulsés d’un gymnase à Toulouse
    Par Maïa Courtois Publié le : 01/03/2024
    À l’aube, ce vendredi, 116 jeunes migrants ont été expulsés du gymnase Saint-Sernin de Toulouse où ils avaient trouvé refuge. Auparavant, ces derniers avaient déjà été évacués par la préfecture d’un bâtiment universitaire. Considérés ni mineurs ni majeurs par l’administration, la plupart sont en recours pour faire reconnaître leur minorité. Les bénévoles peinent depuis de longs mois à obtenir leur mise à l’abri. L’expulsion du gymnase Saint-Sernin à Toulouse a débuté un peu avant 6 heures du matin, ce vendredi 1er mars. Pas moins de 116 jeunes exilés y étaient abrités et accompagnés par des associations et citoyens solidaires. « La police a été aperçue vers 5h30 dans le quartier, donc on a été prévenus. Les jeunes se sont réveillés dans le calme, ils ont rassemblé leurs affaires », raconte Fred, membre du collectif toulousain AutonoMIE.Une trentaine de CRS accompagnés de la police aux frontières (PAF) ont mené l’opération. Les forces de l’ordre « ont défoncé la porte arrière du gymnase avec un bélier. Sachant que la porte de devant était ouverte... Ils n’avaient pas besoin de faire ça », soupire Fred.
    La préfecture de Haute Garonne évoque, elle une « opération, qui a duré 45 minutes et qui s’est déroulée dans le calme et sans heurt » dans son communiqué paru ce vendredi. Objectif : « empêcher que ce bâtiment public, qui n’est pas destiné à de l’hébergement, ne devienne un squat pérenne dans des conditions de sécurité et de salubrité indignes. Il va pouvoir retrouver sa fonction première », justifie la préfecture.Cet après-midi, les bénévoles ont réussi à négocier un accès au gymnase pour récupérer les affaires restantes : duvets, papiers d’identité, vêtements... Depuis une semaine, la centaine de jeunes exilés avait trouvé refuge dans ce gymnase appartenant à la mairie.
    La collectivité avait saisi un juge des référés dès samedi dernier, à leur arrivée, en vue d’une expulsion. Le tribunal administratif lui a donné raison, en ordonnant, mercredi, une évacuation « sans délai ». Le juge des référés a considéré que « l’occupation en cause faisait obstacle (...) à l’utilisation normale » de l’infrastructure sportive.
    Les jeunes ont donc été sortis, ce vendredi, « par petits groupes, autour de la place, pour éviter qu’ils ne se rassemblent », raconte Fred. « Ils sont à la rue, pour l’instant. Et on ne se fait pas d’illusion : si on appelle le 115 pour cent personnes, on ne leur trouvera jamais de place ». Pour l’heure, aucune opération de mise à l’abri n’a été déployée. La préfecture affirme dans son communiqué que « l’ensemble des occupants du squat de l’université avaient fait l’objet in situ d’une évaluation individuelle des services de l’État et du conseil départemental » et que les personnes mineures se seraient déjà vues proposer un hébergement.Elle justifie donc, en ce qui concerne le gymnase : « Dans la mesure où ce sont les mêmes personnes (...) Elles ne peuvent prétendre à aucune une prise en charge immédiate ».
    Ce « squat de l’université » que mentionne la préfecture correspond en fait à la précédente occupation, juste avant celle du gymnase.
    Pendant plus d’un an, un bâtiment de l’université Paul-Sabatier avait été occupé par ces jeunes exilés. 267 occupants en avaient été expulsés le 23 février. Une partie s’était donc installée, dès le lendemain, dans le gymnase.Pour mieux comprendre la situation, il faut rappeler que l’immense majorité des jeunes - ceux de l’université, comme ceux du gymnase -, sont en recours pour faire reconnaître leur minorité. Ils sont en attente d’une décision du juge des enfants, après un premier refus de la DDAEOMI, le dispositif d’évaluation départemental, délégué à l’ANRAS (Association nationale de recherche et d’action sociale).Une telle procédure de recours implique plusieurs mois d’attente. Or, durant ce laps de temps, les jeunes restent « très souvent en errance, sans hébergement ni prise en charge éducative, dans l’attente du prononcé de la décision du juge des enfants », expose la Défenseure des Droits dans un rapport sur les MNA paru en février 2022.
    Il n’existe pas, en effet, d’obligation pour le département de garder ces jeunes à l’abri le temps du recours. D’où l’argumentaire de la préfecture. À noter : entre l’expulsion de l’université et celle du gymnase, « au moins un jeune a été reconnu mineur par le juge des enfants », et donc envoyé vers un hébergement dans le cadre de l’aide sociale à l’enfance, souligne Fred.
    Lors de l’expulsion de l’université le 23 février, six jeunes avaient été, à l’inverse, envoyés « au Centre de rétention administrative en vue de leur reconduite dans leur pays d’origine », rapporte le communiqué de la préfecture de ce vendredi. Ce que les autorités oublient de préciser, c’est qu’entre-temps, ces jeunes envoyés en CRA « ont tous été libérés en raison d’une faute de procédure lors des contrôles de police », retrace encore Fred.Ce vendredi, plusieurs jeunes du gymnase ont été, eux, emmenés dans les locaux de la Police aux frontières pour approfondir les contrôles. « Au moins l’un d’eux a, depuis, été libéré », précise Fred.
    Le maire de Toulouse Jean-Luc Moudenc (DVD) a salué « l’efficacité » de l’action des forces de l’ordre de ce vendredi, tout en reconnaissant que « le problème de fond reste entier », sur son compte X (ex-Twitter). La faute, selon lui, aux bénévoles : « Nous subissons en continu des squats organisés par certains réseaux très militants, sous couvert associatif, qui se servent de la misère de leurs occupants pour les manipuler à des fins politiques, à travers des occupations successives d’immeubles privés ou de bâtiments publics ».En réalité, l’entre-deux administratif dans lequel se trouve ces jeunes, considérés ni mineurs ni majeurs, créé un cycle ininterrompu d’expulsions. « En permanence, c’est la même problématique », s’exaspère Fred.
    Avant l’occupation de l’université, 141 jeunes sans solution d’hébergement avaient survécu plusieurs semaines dans un campement aux abords du palais de justice de Toulouse. Jusqu’à leur évacuation en septembre 2022.
    Un « dispositif d’évaluation et d’intervention » avait été déployé par la préfecture pour réorienter ces jeunes. 137 mineurs en recours auprès du juge des enfants - une situation similaire à celle d’aujourd’hui, donc -, avaient été orientés vers des centres d’hébergement.Preuve que les collectivités peuvent agir pour de la mise à l’abri. D’autant qu’il existe un historique important, à Toulouse : pendant deux ans, une centaine de jeunes avait trouvé refuge dans les bâtiments de l’Ehpad des Tourelles. Un accord-cadre, signé en février 2020 avec la mairie qui finançait le lieu, avait permis leur hébergement. Mais à cause de conditions d’accueil dégradées amenant des incidents, la collectivité avait fait volte-face et demandé une expulsion, mise en oeuvre par la préfecture en août 2022.Antoine Bazin, coordinateur programme et actions mobiles de Médecins du Monde, avait alors regretté auprès d’Infomigrants la perte « d’un lieu unique où il y avait des mineurs isolés au même endroit ». Le responsable craignait de « perdre le fil avec certains jeunes qu’on ne va pas forcément retrouver », suite à cette évacuation propice à « briser des parcours de soin déjà précaires ». (..).

    #Covid-19#migrant#migration#france#mineur#sante#DDAEOMI#PAF#MNA#accueil

  • Au Danemark, les migrants victimes de discrimination médicale - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55506/au-danemark-les-migrants-victimes-de-discrimination-medicale

    Au Danemark, les migrants victimes de discrimination médicale
    Par Ana P. Santos Publié le : 01/03/2024
    Au Danemark, des cliniques tentent de venir en aide aux migrants qui se retrouvent désavantagés dans le système de soins public.
    Des cliniques spécialisées au Danemark se lancent dans la lutte contre la discrimination dont sont victimes les migrants en matière de soins de santé. Elles dénoncent les négligences du système de santé publique, comme le rapporte l’agence de presse AFP.La discrimination médicale se traduit notamment par des diagnostics hasardeux et l’absence de prise en charge. « Un médecin peut estimer que vous êtes en bonne santé, simplement parce que vous ne lui ressemblez pas et que vous exprimez vos symptômes différemment de ce à quoi il est habitué », témoigne Morten Sodemann, professeur et médecin en chef à la Migrant Health Clinic, l’un des trois centres de soins de santé dédiés aux migrants au Danemark.
    Sa clinique a ouvert il y a une dizaine d’années à Odense et traite quelque 250 patients par an. Elle propose des consultations approfondies, qui peuvent durer une heure, et s’adresse aux patients dont le nom a une consonance étrangère et qui présentent un problème médical que personne n’a réussi à résoudre. La clinique traite environ 250 patients par an depuis son ouverture il y a plus de dix ans. Ali Hod Roj, un patient de Morten Sodemann, a fait le tour des spécialistes à la suite d’un accident de travail. Âgé d’une cinquantaine d’années et originaire du Liban, il n’a jamais été scolarisé. « Pendant trois ans, aucun médecin n’a réussi à m’aider. Ici, on m’écoute et nous commençons à trouver une solution », raconte le Libanais.
    Morten Sodemann a ouvert sa clinique après la mort tragique d’une femme ayant fui la Tanzanie pour rejoindre son mari au Danemark. Alors qu’elle se plaignait d’épuisement, des médecins ont conclu qu’elle souffrait d’un « choc culturel ».Elle décèdera à l’hôpital quelques semaines après ce diagnostic. Après sa mort, des examens médicaux ont révélé qu’elle était séropositive et atteinte de tuberculose. Le Danemark dispose pourtant d’un des meilleurs système de santé au monde, qui prône légalité dans l’accès aux soins. Ces derniers sont gratuits et principalement financés par les impôts. Toutefois, les migrants se retrouvent désavantagés.
    Michala Bendixen, de l’ONG Refugees Welcome, estime que le système de santé danois peine à prendre en compte les différences culturelles, ce qui conduit à des inégalités. Le système « met l’accent sur la responsabilité individuelle », en affirmant que « chacun est responsable de sa santé et doit participer au processus », explique Michala Bendixen.Selon elle, « ceux qui ne sont pas nés du Danemark hésitent à demander de l’aide, parce que le système de santé danois est performant comparé à celui qu’ils ont quitté ».
    Une étude publiée en 2022 dans le Journal of Migration and Health souligne l’importance de la relation entre le patient et son médecin dans la prestation de soins de santé pour les migrants.Une approche collaborative doit mettre l’accent sur une communication respectueuse, l’ouverture et l’écoute active en vue de de remédier aux inégalités, qui résultent souvent des barrières linguistiques ou encore de la méconnaissance d’un système de santé nouveau pour les exilés. L’étude insiste sur l’importance d’un partenariat patient-médecin fondé sur la confiance dans un environnement sûr. Cette approche implique le partage des décisions en matière de soins, comme l’évaluation de l’état de santé et la planification du déroulé du traitement.Les professionnels de la santé cités dans l’étude assurent qu’il est essentiel de consacrer du temps aux patients pour comprendre non seulement leur état de santé, mais aussi leur histoire personnelle.

    #Covid-19#migrant#migration#danemark#sante#systemesante#discrimination#droit#mortalite#morbidite

  • Émigration : La Chine en perte de sa jeunesse par la tactique de « Runxue » ou « l’art de la fuite »
    https://www.dakaractu.com/Emigration-La-Chine-en-perte-de-sa-jeunesse-par-la-tactique-de-Runxue-ou-

    Émigration : La Chine en perte de sa jeunesse par la tactique de "Runxue" ou "l’art de la fuite"
    L’énormité de la présence de la citoyenneté chinoise dans la diaspora connaît une augmentation virulente. En effet, selon le journal hebdomadaire The Economist, les tendances des recherches en ligne en Chine démontrent que l’élite chinoise jeune et instruite envisage de quitter leur pays pour un endroit nettement favorable. Selon d’ailleurs le politologue et ancien professeur associé à l’Université de sciences politiques et de droit de Shanghai, Chen Daoyin, "la classe moyenne s’attendait à une vie décente."
    « Avant, elle échangeait la liberté contre la sécurité, mais maintenant elle n’a plus ni liberté ni sécurité », explique-t-il.
    Runxue, "l’art de la fuite", est en fait un terme d’argot populaire apparu sur Internet durant la pandémie, faisant ainsi référence au désir et à l’envie de quitter la Chine et d’émigrer à l’étranger. Le jour même où le gouvernement a réitéré sa politique « zéro Covid dynamique », le nombre de recherches pour « immigration » a augmenté de 440 % sur WeChat, présentant le Canada comme étant la destination la plus populaire. D’après un rapport du média en ligne The Diplomat Asia, pour entreprendre un tel voyage, les migrants chinois dépenseraient entre 5 000 et 7 000 dollars pour des périples autoguidés, tandis que d’autres paient des frais de passeurs allant jusqu’à 35 000 dollars, soit trois fois ce que paient habituellement les migrants d’Amérique centrale ou d’Amérique du Sud. La capacité de payer des frais aussi élevés suggère que si certains migrants sont issus de la classe ouvrière, beaucoup sont issus de la classe moyenne. Le Runxue met réellement à mal l’ambition de "rajeunissement de la nation" partagé par le président Xi Jinping l’année passée. Cette initiative ayant pour mission d’unir davantage la jeunesse chinoise afin de "cultiver, importer et utiliser leur talent dans une Chine de nouvelle ère..."

    #Covid-19#migrant#migration#chine#canada#emigration#runxue#sante#ameriquecentrale#amriquedusud#passeur#jeunesse

  • Drame de migrants à Saint-Louis : Diomaye Faye dénonce la mal gouvernance et le pilotage à vue de l’Etat
    https://www.dakaractu.com/Drame-de-migrants-a-Saint-Louis-Diomaye-Faye-denonce-la-mal-gouvernance-e

    Drame de migrants à Saint-Louis : Diomaye Faye dénonce la mal gouvernance et le pilotage à vue de l’Etat
    Le naufrage d’une pirogue de migrants aux larges de Saint-Louis (Nord), occasionnant la mort de plus de nos 20 jeunes (bilan provisoire) et plusieurs autres personnes portées disparues a fait réagir la coalition Diomaye président. Dans un communiqué rendu public, le détenu demande à l’Etat d’intensifier les recherches pour retrouver les disparus.Sur ce, peste-t-il dans un communiqué que cet énième drame de l’émigration dite irrégulière met à nu l’échec de la politique gouvernementale dans la prise en charge de ce phénomène et de ses causes sociales et économiques. Cependant, il exige avec fermeté qu’il est temps de rompre avec la mal gouvernance et le pilotage à vue pour permettre à ces milliers de jeunes africains fuyant la pauvreté, le chômage ou l’absence de perspectives d’avenir de trouver enfin chez eux ce qu’ils tentent d’aller chercher désespérément ailleurs au prix de leurs vies.

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#saintlouis#traversee#atlantique#morbidite#sante#migrationirreguliere#jeunesse#crise#chomage#pauvrete

  • Guerre Israël-Hamas : pays hôtes des réfugiés palestiniens, le Liban et la Jordanie s’inquiètent d’une suspension des services de l’UNRWA
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/03/03/guerre-israel-hamas-pays-hotes-des-refugies-palestiniens-le-liban-et-la-jord

    Guerre Israël-Hamas : pays hôtes des réfugiés palestiniens, le Liban et la Jordanie s’inquiètent d’une suspension des services de l’UNRWA
    Par Laure Stephan (Beyrouth, Amman, envoyée spéciale)
    Dans le camp de réfugiés palestiniens Al-Hussein, à Amman, des enfants marchent vers l’école, dans le froid matinal, le long de la rue principale où les commerces sont encore endormis. Des élèves restent emmitouflés dans leurs manteaux, dans les classes de l’établissement scolaire pour filles géré par l’UNRWA, l’agence des Nations unies chargée des réfugiés palestiniens. Les salles ne sont pas équipées de chauffage, et la peinture aux murs est vétuste – depuis des années, l’agence fait face à des coupes budgétaires –, mais cela semble désormais secondaire. Depuis que seize pays donateurs ont gelé leurs financements à la suite des accusations israéliennes d’implication dans l’attaque du Hamas du 7 octobre de douze de ses employés, sur les 13 000 à Gaza, c’est la poursuite même des opérations d’éducation et de santé de l’UNRWA qui est menacée.
    L’agence, tributaire de contributions volontaires et instables, dont les quartiers généraux sont basés à Amman, navigue à vue, et a alerté contre le risque d’une cessation prochaine de ses activités dans toute la région, en l’absence de nouvelles ressources.
    La Jordanie a très vite réagi à ces coupes. Le chef de la diplomatie, Ayman Safadi, a appelé les pays boycotteurs à revoir leur décision, qu’il a décrite comme une « punition collective » de l’UNRWA entreprise « sur la base d’allégations ». Le roi Abdallah II a pris la défense de la mission de l’organisation lors de déplacements officiels dans des pays occidentaux.
    Plus de 2 millions de réfugiés palestiniens vivent dans le royaume, dont la plupart ont obtenu la nationalité jordanienne. A Amman, moins d’un sur cinq habite l’un des dix camps de réfugiés palestiniens, qui ressemblent à des quartiers populaires, intégrés à la ville et sont administrés par les autorités. « Certains y restent par attachement sentimental ou volonté de rester près de leurs familles et amis. D’autres le font car la vie y est moins chère », décrit Imad, un habitant du camp Al-Wehdat, à Amman.
    Ces camps sont « déjà considérés comme des poches de pauvreté. Si l’UNRWA cesse ses services, la situation se détériorera davantage », prédit l’avocate Samar Muhareb, à la tête de l’ONG Arab Renaissance for Democracy and Development, qui fournit une aide juridique à des réfugiés de diverses origines et travaille sur la question palestinienne. Elle ajoute : « Dans l’éventualité où ses opérations seraient transférées à d’autres agences des Nations unies, celles-ci auraient besoin de temps pour être opérationnelles. Ce scénario paraît absurde, alors que l’UNRWA existe comme agence spécialisée. Et si l’éducation ou la santé devenaient du ressort de la Jordanie, cela serait un poids supplémentaire pour le pays », qui dépend également de l’aide internationale, et accueille par ailleurs de nombreux réfugiés syriens. Les classes des écoles publiques sont surchargées, et la qualité du système éducatif s’est dégradée. L’enseignement des établissements de l’UNRWA est réputé meilleur : des élèves du camp Al-Hussein rapportent ainsi que leurs familles ont préféré les y scolariser, quand bien même elles vivent hors du camp.
    Les risques d’une détérioration sociale, attisant des troubles, sont également pris au sérieux au Liban, pays d’accueil d’environ 250 000 réfugiés palestiniens. Depuis l’exode forcé de leur terre en 1948, lors de la création d’Israël, les générations y ont fait l’expérience de fortes discriminations, avec l’interdiction d’exercer certains métiers, comme médecin, avocat ou journaliste. L’UNRWA négociait avec Beyrouth sur un assouplissement des restrictions à l’emploi et une amélioration des infrastructures des camps. Mais l’effondrement économique du pays, depuis 2019, a mis fin à ces espoirs.
    Avec le chômage et l’hyperinflation, la crise a davantage paupérisé les habitants des camps. « Les réfugiés palestiniens sont devenus totalement dépendants des services de l’UNRWA », constate Dorothee Klaus, directrice de l’agence au Liban. « Une suspension des services de l’UNRWA aurait des conséquences sociales dramatiques, et poserait des défis sécuritaires », estime Bassel Al-Hassan, directeur du comité de dialogue libano-palestinien, un bureau qui dépend du premier ministre. Les autorités craignent une déstabilisation des camps. « Nous demandons aux bailleurs de dissocier la situation au Liban de celle d’autres pays, en raison de la crise économique », plaide-t-il.

    #Covid-19#migrant#migration#gaza#israel#conflit#liban#jordanie#refugie#UNRWA#sante#pauvrete#camp#crise#exil#discrimination

  • Tentative de traversée de la Manche : une enfant de 7 ans meurt dans le naufrage d’une embarcation à Watten
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/03/tentative-de-traversee-de-la-manche-une-enfant-de-7-ans-meurt-dans-le-naufra

    Tentative de traversée de la Manche : une enfant de 7 ans meurt dans le naufrage d’une embarcation à Watten
    Le Monde avec AFP
    Une fillette de 7 ans s’est noyée, dimanche 3 mars, à Watten (Nord) dans le canal de l’Aa, qui se jette dans la mer du Nord, alors qu’elle se trouvait sur une petite embarcation. Seize migrants, dont dix enfants âgés de 7 à 13 ans, se trouvaient à bord et tous sont tombés à l’eau, selon les autorités.L’embarcation « n’était pas dimensionnée pour supporter autant de personnes », a affirmé la préfecture du Nord dans un communiqué. Elle a chaviré dans les terres, à une trentaine de kilomètres de la côte, « peu de temps après la montée de ces personnes », a-t-elle ajouté à l’Agence France-presse.
    « Plusieurs gardes à vue sont en cours », a annoncé à l’AFP le parquet, qui a ouvert une enquête pour homicide involontaire, blessures involontaires, association de malfaiteurs et « aide à l’entrée et au séjour irrégulier en bande organisée avec mise en danger d’autrui ». Ce naufrage si éloigné des côtes pourrait s’expliquer par le fait que les migrants partent aujourd’hui de plus loin dans les terres, afin de contourner la surveillance et cheminer vers les plages à l’abri des regards.Alertés par un promeneur, « gendarmes et pompiers se sont immédiatement transportés sur les lieux ». La fillette est morte « sur place, des suites d’un arrêt cardio-respiratoire, les tentatives de réanimation par les secours » ayant été « vaines », a précisé le parquet.
    Les parents de la petite fille, qui se trouvaient à bord avec leurs trois autres enfants, « ont été transportés au centre hospitalier de Dunkerque », a souligné la préfecture. A bord de cette petite embarcation, « vraisemblablement volée », selon elle, « se trouvaient également un couple, deux hommes et six jeunes enfants », dont les « jours ne sont pas en danger ».Dix personnes au total ont été transportées à l’hôpital. Cinq autres – deux hommes et trois enfants – ont été accueillis dans une salle mise à disposition par la mairie de Watte. L’enquête pénale ouverte par le parquet de Dunkerque a été confiée à la brigade de recherches de la gendarmerie de Dunkerque-Hoymille et à l’Office national de lutte contre le trafic illicite de migrants (Oltim). « Aujourd’hui, les politiques aux frontières ont tué, encore », a écrit sur X L’Auberge des migrants, une association d’aide aux migrants. « La colère nous empêche d’avoir les mots », a réagi Utopia 56. Ce drame est le troisième ayant entraîné des morts en 2024 lors de tentatives de traversée de la Manche pour rejoindre l’Angleterre. Mercredi, un Turc de 22 ans, tombé de son embarcation au large de Calais pour une raison encore indéterminée, est mort et deux autres migrants sont portés disparus. Un ressortissant érythréen a été mis en examen et incarcéré samedi dans ce dossier. Né en 1996, il est poursuivi pour homicide involontaire et « aide à l’entrée et au séjour irrégulier ». Dans la nuit du 13 au 14 janvier, cinq migrants, dont un adolescent syrien de 14 ans, étaient morts à Wimereux (Pas-de-Calais) alors qu’ils tentaient de rejoindre une embarcation déjà en mer dans une eau autour de 9 degrés.
    Douze migrants ont perdu la vie en 2023 en tentant de traverser la Manche, selon la préfecture maritime de la Manche et de la Mer du Nord. En 2023, 29 437 migrants ont rejoint illégalement les côtes anglaises, contre 45 774 en 2022, année record, d’après des chiffres du ministère de l’intérieur britannique. Environ 20 % sont originaires d’Afghanistan. Viennent ensuite les Iraniens, les Turcs, les Erythréens et les Irakiens.Un des réseaux de passeurs les « plus importants » organisant ces traversées a été démantelé le 21 février dans une vaste opération internationale. Dix-neuf personnes ont été arrêtées en Allemagne dans ce coup de filet ayant impliqué les autorités françaises, belges et allemandes, coordonné par Europol et Eurojust.

    #Covid-19#migrant#migration#france#royaumeuni#traversee#manche#mortalite#dunkerque#pasdecalais#migrationirreguliere#prefecture#sante

  • N.N. – No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise
    https://www.meltingpot.org/2024/03/n-n-no-name-no-nation-not-necessary-no-noise

    di Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica APS e Andrea Rizza Goldstein, Arci Bolzano-Bozen É a partire dalla fine del 2017 che il flusso delle persone in movimento per le rotte dei Balcani ha cominciato a interessare in maniera sempre più consistente la Bosnia-Erzegovina. Se all’inizio del 2018 la via di accesso principale passava dal Montenegro e prima ancora dalla Grecia e dall’Albania, già qualche segnale di quella che sarebbe poi diventata la via più utilizzata dal 2019 lo si registrava lungo le rive del fiume Drina, al confine tra Serbia e Bosnia-Erzegovina. Uno degli indicatori di questi attraversamenti, (...)

    #Notizie #Confini_e_frontiere #Redazione