• [Les Promesses de l’Aube] #brumm : Bruxelles Musiques #migrantes
    https://www.radiopanik.org/emissions/les-promesses-de-l-aube/brumm-bruxelles-musiques-migrantes

    Ce mercredi j’ai le plaisir d’accueillir Hélène Delaporte et Tanju Goban pour parler du #festival BruMM, cette année consacré aux liens entre #musique et #spiritualités.

    Playlist de l’entretien :

    Mounir Temsamani : Hiwar Mowal (extrait 2:26)

    Album : Fi Hawa Khayri Ibad

    chant soufi (Maroc)

    Harun Özdemir - saz et chant (Turquie)

    L’Univers danse le semah (extrait 1:38) (extrait du Documentaire radiophonique d’Anaïs Carton (production CBAI)

    Leyli Gülüm Semahi (6:03)

    Musique et texte : Tolga Sag

    Malabika Brahma:Kanai Daglar (extrait 3:08) - chant (Inde, Bengale)

    Album : Banjara (Baul Meets Saz)

    Malabika Brahma : chant, percussions

    Emre Gültekin : saz, chant

    Sanjay Khyapa : percussions

    Emanuela Lodato & Jonathan De Neck - Giga della fine del mondo (3:56)

    chant, percussions et accordéon (Italie) (...)

    #musique,festival,spiritualité,brumm,migrantes
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/les-promesses-de-l-aube/brumm-bruxelles-musiques-migrantes_15590__1.mp3

  • Rapporto Migrantes : +87% dei giovani italiani che « emigrano ». Mattarella : « Serve una riflessione »"

    Il rapporto «Italiani nel Mondo» presentato oggi dice che, nonostante la pandemia, la mobilità italiana è cresciuta. Mattarella: «Chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia un’occupazione adeguata»

    L’onda lunga della pandemia ha frenato la mobilità italiana, ma non ha impedito ai giovani italiani di partire e segnare una percentuale alta nella cosiddetta «fuga dei cervelli» con un + 87%. Italiani partiti soprattutto dal Nord Italia alla volta prevalentemente dell’Europa, mentre è noto che gli italiani del Sud affollano poi gli spazi lasciati vuoti al Nord.

    A sottolineare la tendenza è il «Rapporto Italiani nel Mondo» della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, giunta alla sua XVII edizione.

    "Il triplice rifiuto percepito dai giovani italiani, anagrafico, territoriale e di genere, incentiva il desiderio di estero e soprattutto lo fa mettere in pratica. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione «espatrio».

    "Una mobilità giovanile che cresce sempre più - spiega il dossier - perchè l’Italia ristagna nelle sue fragilità, e ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in «riserve di qualità e competenza» a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo".

    «In questa situazione, già fortemente compromessa - si legge ancora -, la pandemia di Covid-19 si è abbattuta con tutta la sua gravità rendendo i giovani italiani una delle categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche». "È da tempo - annota ancora il rapporto - che i giovani italiani non si sentono ben voluti dal proprio paese e dai propri territori di origine, sempre più spinti a cercar fortuna altrove. La via per l’estero si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali (autonomia, serenità, lavoro, genitorialità, ecc.).

    «E così ci si trova di fronte a una Italia demograficamente in caduta libera». Per quanto riguarda i dati, "al 1° gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’Aire sono 5.806.068, il 9,8% degli oltre 58,9 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre l’Italia ha perso in un anno lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020), all’estero è cresciuta negli ultimi 12 mesi del 2,7% che diventa il 5,8% dal 2020. In valore assoluto si tratta di quasi 154 mila nuove iscrizioni all’estero contro gli oltre 274 mila residenti «persi» in Italia".

    «Il Rapporto fornisce anche quest’anno una fotografia di grande interesse dei flussi migratori che interessano i nostri connazionali», ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al presidente della Fondazione Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego.

    «A partire sono principalmente i giovani - e tra essi giovani con alto livello di formazione - per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Partono anche pensionati e intere famiglie», osserva il Capo dello Stato.

    “Il fenomeno di questa nuova fase dell’emigrazione italiana non può essere compreso interamente all’interno della dinamica virtuosa dei processi di interconnessione mondiale, che richiedono una sempre maggiore circolazione di persone, idee e competenze. Anzitutto perché il saldo tra chi entra e chi esce rimane negativo, con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale. Ma anche perché in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio”.

    E conclude il capo dello Stato «Il nostro Paese, che ha una lunga storia di emigrazione, deve aprire una adeguata riflessione sulle cause di questo fenomeno e sulle possibili opportunità che la Repubblica ha il compito di offrire ai cittadini che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia».

    Il rapporto sottolinea peraltro come quella di oggi sia «una Italia interculturale - si legge nel dossier -in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni)».

    «Negli ultimi difficili anni di limitazione negli spostamenti a causa della pandemia, di recessione economica e sociale, di permanenza di una legge nazionale per l’immigrazione sorda alle necessità del tessuto lavorativo e sociodemografico italiano, la comunità dei cittadini italiani ufficialmente iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) ha superato la popolazione di stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale».

    https://www.rainews.it/articoli/2022/11/rapporto-migrantes-+87-dei-giovani-italiani-emigrano-mattarella-spesso-non-f
    #émigration #Italie #migrations #solde_migratoire #statistiques #Italie #2022 #rapport #chiffres #démographie

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    ajouté à la métaliste « Les Italiens quittent en masse leur pays, mais on n’en parle pas... »
    https://seenthis.net/messages/762801

    • Rapporto Italiani nel Mondo #Migrantes, mobilità italiana: convivere e resistere nell’epoca delle emergenze globali

      Si era soliti affermare che l’Italia da paese di emigrazione si è trasformato negli anni in paese di immigrazione: questa frase non è mai stata vera e, a maggior ragione, non lo è adesso perché smentita dai dati e dai fatti. Dall’Italia non si è mai smesso di partire e negli ultimi difficili anni di limitazione negli spostamenti a causa della pandemia, di recessione economica e sociale, di permanenza di una legge nazionale per l’immigrazione sorda alle necessità del tessuto lavorativo e sociodemografico italiano, la comunità dei cittadini italiani ufficialmente iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) ha superato la popolazione di stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale.

      Una Italia interculturale in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni) afferma oggi iol Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes presentato a Roma.

      In generale, la popolazione straniera in Italia è più giovane di quella italiana. I ragazzi nati in Italia da genitori stranieri (“seconde generazioni” in senso stretto) sono oltre 1 milione: di questi, il 22,7% (oltre 228 mila) ha acquisito la cittadinanza italiana. Se ad essi si aggiungono i nati all’estero (245 mila circa) e i naturalizzati (quasi 62 mila), la compagine dei ragazzi con background migratorio supera 1,3 milioni e rappresenta il 13,0% del totale della popolazione residente in Italia con meno di 18 anni. Una popolazione “preziosa” vista la situazione demografica ogni anno più critica vissuta dall’Italia, caratterizzata da inesorabile denatalità e accanito invecchiamento e considerando il fatto che tra i sogni di queste nuove generazioni vi è sempre più presente quello di vivere in altri paesi del mondo: il 59% degli alunni stranieri delle scuole secondarie, infatti, vorrebbe da grande spostarsi all’estero, un dato molto più alto rispetto ai loro compagni italiani (42%). Per gli stranieri assume rilevanza anche il paese di nascita (proprio o dei propri genitori), che verrebbe scelto come destinazione di vita una volta adulti dall’11,6%. Il 47,7%, però, sceglierebbe un paese diverso sia dall’Italia sia dal paese di origine e gli Stati Uniti sono la meta più desiderata in assoluto.

      Fino a quando l’estero rimane per i giovani e i giovanissimi attualmente residenti in Italia un desiderio, il problema, per il nostro Paese, resta poco grave e circoscritto; la storia nazionale, però, insegna che la mobilità è qualcosa di strutturale per l’Italia e il passato più recente ha visto e vede proprio le nuove generazioni sempre più protagoniste delle ultime partenze. D’altronde non potrebbe essere altrimenti

      considerando quanto la mobilità sia entrata a far parte pienamente dello stile di vita, tanto nel contesto formativo e lavorativo quanto in quello esperienziale e identitario.

      L’Italia sempre più transnazionale

      L’attuale comunità italiana all’estero è costituita da oltre 841 mila minori (il 14,5% dei connazionali complessivamente iscritti all’AIRE) moltissimi di questi nati all’estero, ma tanti altri partiti al seguito delle proprie famiglie in questi ultimi anni. Ai minori occorre aggiungere gli oltre 1,2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni (il 21,8% della popolazione complessiva AIRE, che arriva a incidere per il 42% circa sul totale delle partenze annuali per solo espatrio).

      Non bisogna dimenticare, infine, tutti quelli che partono per progetti di mobilità di studio e formazione – che non hanno obbligo di registrazione all’AIRE e chi è in situazione di irregolarità perché non ha ottemperato all’obbligo di legge di iscriversi in questo Anagrafe.

      Una popolazione giovane, dunque, che parte e non ritorna, spinta da un tasso di occupazione dei giovani in Italia tra i 15 e i 29 anni pari, nel 2020, al 29,8% e quindi molto lontano dai livelli degli altri paesi europei (46,1% nel 2020 per l’UE-27) e con un divario, rispetto agli adulti di 45-54 anni, di 43 punti percentuali. I giovani occupati al Nord, peraltro, sono il 37,8% rispetto al 30,6% del Centro e al 20,1% del Mezzogiorno. Al divario territoriale si aggiunge quello di genere: se i ragazzi residenti al Nord risultano i più occupati con il 42,2%, le ragazze della stessa fascia di età ma residenti nel Mezzogiorno non superano il 14,7%.

      Il triplice rifiuto percepito dai giovani italiani – anagrafico, territoriale e di genere – incentiva il desiderio di estero e soprattutto lo fa mettere in pratica. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione “espatrio”.

      Una mobilità giovanile che cresce sempre più perché l’Italia ristagna nelle sue fragilità; ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in “riserve di qualità e competenza” a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo.

      In questa situazione, già fortemente compromessa, la pandemia di Covid-19 si è abbattuta con tutta la sua gravità rendendo i giovani italiani una delle categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche.

      La presa di coscienza di quanto forte sia stato il contraccolpo subito dai giovani e dai giovanissimi, già in condizioni di precarietà e fragilità, in seguito all’esplosione dell’epidemia mondiale, è stata al centro della creazione e formalizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e di diverse politiche adottate a livello europeo. Le azioni del PNRR sono volte a recuperare il potenziale delle nuove generazioni e a costruire un ambiente istituzionale e di impresa in grado di favorire il loro sviluppo e il loro protagonismo all’interno della società. Il PNRR è, detto in altri termini, un punto da cui ricominciare per pensare e programmare un futuro diverso, che risponda e valorizzi i giovani, le loro capacità e le loro competenze rispondendo anche ai loro desideri e alle loro attese.

      L’Italia fuori dall’Italia

      È da tempo che i giovani italiani non si sentono ben voluti dal proprio Paese e dai propri territori di origine, sempre più spinti a cercar fortuna altrove. La via per l’estero si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali (autonomia, serenità, lavoro, genitorialità, ecc.). E così ci si trova di fronte a una Italia demograficamente in caduta libera se risiede e opera all’interno dei confini nazionali e un’altra Italia, sempre più attiva e dinamica, che però guarda quegli stessi confini da lontano.

      Al 1° gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’AIRE sono 5.806.068, il 9,8% degli oltre 58,9 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre l’Italia ha perso in un anno lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020), all’estero è cresciuta negli ultimi 12 mesi del 2,7% che diventa il 5,8% dal 2020. In valore assoluto si tratta di quasi 154 Non c’è nessuna eccezione: tutte le regioni italiane perdono residenti aumentando, però, la loro presenza all’estero. La crescita, in generale, dell’Italia residente nel mondo è stata, nell’ultimo anno, più contenuta, sia in valore assoluto che in termini percentuali, rispetto agli anni precedenti.

      Il 48,2% degli oltre 5,8 milioni di cittadini italiani residenti all’estero è donna (2,8 milioni circa in valore assoluto). Si tratta, soprattutto, di celibi/nubili (57,9%) o coniugati/e (35,6%). I/le divorziati/e (2,7%) hanno superato i/le vedovi/e (2,2%). Da qualche anno si registrano anche le unioni civili (circa 3 mila).

      I dati sul tempo di residenza all’estero indicano che il revival delle partenze degli italiani non è recentissimo, ma risale alla profonda crisi vissuta nel 2008-2009 dal nostro Paese. Infatti, il 50,3% dei cittadini oggi iscritti all’AIRE lo è da oltre 15 anni e “solo” il 19,7% è iscritto da meno di 5 anni. Il resto si divide tra chi è all’estero da più di 5 anni ma meno di 10 (16,1%), e chi lo è da più di 10 anni ma meno di 15 (14,3%).

      La presenza italiana nel mondo cresce, lo si è detto, ma la crescita avviene attraverso elementi esogeni ed endogeni. Tra gli elementi esogeni il più importante e più discusso, a seguito dei profondi cambiamenti del nostro Paese, dovuti a quasi 50 anni di immigrazione e a causa della legge n. 91 del 1992 oggi distante dalla realtà interculturale del Belpaese, è l’acquisizione di cittadinanza: i cittadini italiani iscritti all’AIRE per acquisizione della cittadinanza dal 2006 al 2022 sono aumentati del 134,8% (in valore assoluto si tratta di poco più di 190 mila italiani; erano quasi 81 mila nel 2006). L’elemento endogeno per eccellenza è, invece, la nascita all’estero dei cittadini italiani, ovvero figlie e figli che si ritrovano a venire al mondo da cittadini italiani che risiedono già oltreconfine e che, sempre da italiani, crescono e si formano lontano dall’Italia ma con un occhio rivolto allo Stivale. Gli italiani nati all’estero sono aumentati dal 2006 del 167,0% (in valore assoluto sono, oggi, 2.321.402; erano 869 mila nel 2006). Si tratta di italiani che restituiscono un volto ancora più composito del nostro Paese rendendolo interculturale e sempre più transnazionale, composto cioè da italiani che hanno origini diverse (nati e/o cresciuti in paesi lontani dall’Italia o nati in Italia in famiglie arrivate da luoghi lontani) e che si muovono con agilità tra (almeno) due paesi, parlando più lingue, abitando più culture.

      Gli oltre 5,8 milioni di italiani iscritti all’AIRE hanno, quindi, un profilo complesso: sono giovani (il 21,8% ha tra i 18 e i 34 anni), giovani adulti (il 23,2% ha tra i 35 e i 49 anni), adulti maturi (il 19,4% ha tra i 50 e i 64 anni), anziani (il 21% ha più di 65 anni, ma di questi l’11,4% ha più di 75 anni) o minori (il 14,5% ha meno di 18 anni).

      Oltre 2,7 milioni (il 47,0%) sono partiti dal Meridione (di questi, 936 mila circa, il 16%, dalla Sicilia o dalla Sardegna); più di 2,1 milioni (il 37,2%) sono partiti dal Nord Italia e il 15,7% è, invece, originario del Centro Italia.

      Il 54,9% degli italiani (quasi 3,2 milioni) sono in Europa, il 39,8% (oltre 2,3 milioni) in America, centro-meridionale soprattutto (32,2%, più di 1,8 milioni).

      Gli italiani sono presenti in tutti i paesi del mondo. Le comunità più numerose sono, ad oggi, quella argentina (903.081), la tedesca (813.650), la svizzera (648.320), la brasiliana (527.901) e la francese (457.138).

      https://www.migrantes.it/rapporto-italiani-nel-mondo-migrantes-mobilita-italiana-convivere-e-resist

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      synthèse en pdf:
      https://www.migrantes.it/wp-content/uploads/sites/50/2022/11/Sintesi_RIM2022.pdf

    • Il monologo di #Crozza su migranti e Mimmo Lucano: “Dovremmo accoglierli a braccia aperte, la vera emergenza sono gli italiani che scappano”

      Nella nuova puntata di Fratelli di Crozza, in onda in prima serata sul Nove e in streaming su Discovery+, Maurizio Crozza riflette su alcuni dati allarmanti che segnalano la fuga degli italiani dal nostro Paese: “Negli ultimi anni se n’è andato un italiano su dieci. Gli stranieri in Italia sono 5,2 milioni e gli italiani all’estero sono 5,8 milioni. Sono più quelli che sono andati di quelli che sono arrivati. E il governo non vuol far scendere gli stranieri dalle navi? Ma bisognava andar lì ad accoglierli con le collane di fiori come in Polinesia. L’emergenza non è l’invasione è l’evasione”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/12/il-monologo-di-crozza-su-migranti-e-mimmo-lucano-dovremmo-accoglierli-a-braccia-aperte-la-vera-emergenza-sono-gli-italiani-che-scappano/6871062

      #Maurizio_Crozza

  • Deux vidéos montrent des Israéliens agresser des Arabes à Jérusalem Par Times of Israel Staff
    https://fr.timesofisrael.com/deux-videos-montrent-des-israeliens-agresser-des-arabes-a-jerusale

    Plusieurs suspects ont attaqué un homme sur le marché Mahane Yehuda et un Arabe israélien a été frappé par un groupe dans un supermarché de Ramat Shlomo le mois dernier

    Plusieurs Israéliens juifs ont attaqué dimanche un Arabe sur le marché Mahane Yehuda de Jérusalem, un lieu populaire, une agression qui vient suivre la diffusion d’une vidéo montrant un assaut similaire survenu le mois dernier dans la capitale.


    Une agression sur le marché Mahane Yehuda de Jérusalem, le 21 août 2022. (Capture d’écran : Twitter)

    Sur des images du marché, plusieurs hommes habillés en noir frappent un homme en lui donnant des coups de poing et des coups de bâton. La victime parvient toutefois à se libérer et à prendre la fuite.

    Selon la police, les suspects ont ensuite brisé les vitres d’un restaurant après être entrés dans l’établissement pour retrouver l’homme qu’ils avaient pris pour cible, en vain.

    Les policiers ont ratissé le secteur pour retrouver les coupables mais il n’y a pas eu d’arrestation.

    Il est difficile de dire ce qui a provoqué cet incident.

    De son côté, la Treizième chaîne a diffusé des images filmées par les caméras de sécurité dans un supermarché de Ramat Shlomo, le mois dernier, où un groupe d’Israéliens juifs pourchassent un Arabe, un salarié, le frappant. La victime a été identifiée. Elle s’appelle Mahdi Jabarin.

    Selon le reportage de la chaîne, les hommes juifs, l’un d’entre eux n’était âgé que de douze ans, étaient spécifiquement à la recherche d’un Arabe à agresser. Dans la vidéo, les gardiens de sécurité du magasin apparaissent en train d’affronter les agresseurs et tentent de les arrêter, en vain.

    « Il n’est plus retourné travailler à partir de ce jour. Il ne veut pas y retourner », a confié le père de Jabarin à la chaîne, qui a dénoncé une attaque « raciste ».

    L’un des suspects a été mis en examen dans cette affaire, et les forces de l’ordre ont indiqué à la Treizième chaîne qu’elles se préparaient à inculper d’autres agresseurs présumés.

    #israël #israel #violence #ratonnades #colons #palestine #gaza #bds #occupation #colonisation #palestine_assassinée #racisme #apartheid

    • Les restaurateurs protestent contre une loi qui empêchera les réfugiés de travailler Times of Israel Staff
      La nouvelle législation, qui entrera en vigueur en octobre, nuira aux secteurs de la restauration, de la livraison et du nettoyage ; beaucoup d’Israéliens rechignent ces emplois

      Des restaurateurs et d’autres patrons ont protesté contre une réglementation gouvernementale qui interdira aux demandeurs d’asile de travailler, affirmant que les migrants sont nécessaires pour que certains secteurs puissent fonctionner correctement.

      Des dizaines de milliers de demandeurs d’asile vivent en Israël, la plupart provenant de pays d’Afrique de l’Est déchirés par la guerre. La majorité d’entre eux sont maintenus dans un flou juridique depuis plus de dix ans, ne jouissant que de droits civils élémentaires, sans obtenir le statut de réfugié.


      Des demandeurs d’asile africains et des militants des droits de l’homme manifestant contre l’expulsion des demandeurs d’asile, sur la place Rabin, à Tel Aviv, le 24 mars 2018. (Crédit : Miriam Alster/Flash90)

      Une législation publiée par l’Autorité de l’immigration et de la population empêchera les migrants de travailler légalement à partir d’octobre, a rapporté la Treizième chaîne.

      Cette décision devrait entraîner une grave pénurie d’employés, en particulier dans le secteur de la restauration, ce qui aura des conséquences pour les consommateurs, selon les propriétaires.

      Cela implique que des milliers de migrants concernés par cette décision vont faire face à d’extrêmes difficultés pour gagner leur vie.

      Yakir Lisitzki, un représentant de l’Association des restaurateurs israéliens, a déclaré que les restaurants israéliens ne pourront pas fonctionner sans cette précieuse main-d’oeuvre, dont beaucoup sont à la plonge ou aux fourneaux.

      « Les Israéliens ne sont pas intéressés par ce type d’emploi. Ils ne sont pas intéressés à travailler comme technicien de surface », a-t-il déclaré.

      De nombreux demandeurs d’asile travaillent également pour des entreprises de livraison de nourriture et pour des sociétés de nettoyage qui entretiennent les bureaux et les centres commerciaux.

      David Hadar, propriétaire de deux bars, a déclaré : « On ne sait pas trop ce qui va se passer. En fin de compte, il n’y aura pas d’autre moyen que de faire venir de la main-d’œuvre de l’étranger en Israël. »

      « Si cette réglementation passe vraiment et est adoptée tel quel, nous allons en pâtir, sans aucun doute », a-t-il ajouté. « Il y a de fortes chances que ce soit politique, en raison des prochaines élections. C’est une honte que ce soit sur notre dos, celui des patrons. »

      Selon la réglementation publiée en juin, les demandeurs d’asile ne seront pas autorisés à travailler à Jérusalem, Eilat, Netanya, Ashdod, Tel Aviv et ses banlieues environnantes. Ces zones représentent une grande partie des centres de population d’Israël, et les zones où vivent la plupart des migrants.

      La Fédération des chambres de commerce israéliennes a protesté contre cette décision dans une lettre adressée à la ministre de l’Intérieur, Ayelet Shaked, indiquant qu’elle allait tenter de porter l’affaire devant la Cour suprême.

      Dans son appel à Shaked, l’association a déclaré qu’empêcher les gens de travailler « uniquement en raison de leur origine » n’était pas sans rappeler « l’expérience des jours sombres pour notre nation, lorsque nous étions en exil, soumis à un antisémitisme systématique et humiliant ».

      « Ce sont des mesures qui ne sont pas dignes de l’État d’Israël », a déclaré Oriel Lin, chef de la Fédération des chambres de commerce israéliennes. « Ce sont des êtres humains. »

      En juin, le taux de chômage en Israël était de 3,3 %, soit un retour aux niveaux d’avant la pandémie.

      Au moins 30 000 migrants africains ont fui vers Israël pour échapper aux guerres, aux dictatures brutales et à d’autres difficultés depuis 2006. Le flux migratoire s’est arrêté en 2013, lorsqu’Israël a achevé la construction d’une clôture le long de la frontière égyptienne. La plupart sont originaires d’Érythrée et du Soudan.

      Israël leur a offert un refuge, mais s’est montré peu disposé à les reconnaître comme réfugiés, dans beaucoup de cas.

      Selon un rapport de 2020 de la Hotline pour les réfugiés et les migrants basée à Tel Aviv, 18 000 Erythréens et 5 000 migrants soudanais ont demandé l’asile. Seules quelques dizaines d’entre eux ont reçu ce statut en vertu de la Convention sur les réfugiés, selon l’Autorité de la population et de l’immigration du ministère de l’Intérieur.

      Ne pouvant les renvoyer chez eux, Israël a accordé aux Soudanais et aux Érythréens une autorisation légale de rester, par le biais d’un statut appelé « libération conditionnelle », qui ne leur confère que les droits civils les plus élémentaires.

      Le refus d’accorder le statut de résident temporaire fait partie de ce qui semble être une tentative de faire en sorte que les migrants africains ne puissent pas se sentir à l’aise en Israël et, dans de nombreux cas, finissent par vouloir partir. D’autres mesures visant le même objectif prises par les gouvernements successifs ont été freinées ou annulées par la Haute Cour.

      L’une de ces mesures consistait à emprisonner les migrants arrivant d’Afrique, d’abord à la prison de Saharonim, puis au centre de détention de Holot, construit spécialement et aujourd’hui fermé, tous deux dans le désert du Néguev, dans le sud d’Israël. Une autre, en 2018, a été d’essayer de les envoyer dans d’autres pays africains dans le but d’apaiser les Israéliens vivant dans le sud de Tel Aviv qui souhaitaient le départ de leurs voisins africains.

      Shaked s’oppose depuis longtemps à l’intégration des migrants africains, estimant qu’ils ne cherchent en fait qu’à améliorer leur vie sur le plan économique en Israël.

      « Ce ne sont pas des réfugiés », avait déclaré l’ancien Premier ministre de longue date Benjamin Netanyahu au début d’une réunion hebdomadaire du cabinet en 2017.
      « Ou du moins, la plupart d’entre eux ne le sont pas », a-t-il ajouté. « La plupart d’entre eux sont à la recherche d’un emploi. »

      Un petit groupe d’Israéliens de Neve Shaanan, au sud de Tel Aviv, où vivent de nombreux migrants, réclame leur expulsion depuis plusieurs années.

      #migrants #migrantes #migration #demandeurs_d’asile #intégration #racisme #réfugiés #bullshit job

    • « C’est la joie ! »

      Rachel Kéké et Sylvie Kimissa, femmes de chambre de l’Hôtel Ibis Batignolles : « Je vais reprendre le travail la tête haute, j’ai eu mes droits »

      Après vingt-deux longs mois de mobilisation, elles ont obtenu un accord améliorant leurs salaires et leurs conditions de travail.

      Pousser le chariot, enlever le linge sale, changer les poubelles, laver la salle de bains, les toilettes, faire la poussière, refaire le lit entièrement, passer l’aspirateur, la serpillière… « On devait faire ça en dix-sept minutes, trente fois de suite ! », explique Rachel Kéké.
      « Y a pas de mots pour décrire la souffrance qu’on endurait, l’interrompt Sylvie Kimissa. Et c’était impossible de refuser quoi que ce soit parce qu’on avait peur d’être licenciée. » « Dur dur ménage » , chantait à l’automne 2020 dans un clip en forme d’hommage le mari de Rachel Kéké, l’artiste ivoirien Bobbyodet.

      Arrive ce jour où, pour la première fois, elles entendent parler de syndicalisme dans la bouche d’un délégué CFDT. « Tout de suite, ça m’a intéressée » , raconte Rachel Kéké. Mais ce sera d’abord beaucoup de désillusions. « On a connu des délégués du personnel qui ne faisaient pas grand-chose pour que ça change. » Alors elles commencent à s’impliquer, sans mandat.
      Devenue gouvernante, Rachel peut passer dans les étages pour mobiliser autour d’elle. D’abord pour de petits débrayages. Comme ce jour où elles n’avaient pas été payées double pour leur travail du 1er mai. « On a toutes arrêté de travailler. Le directeur n’en croyait pas ses yeux. Le lendemain, à 7 heures, il nous signait des chèques pour payer ce qu’il devait ! » , se rappelle fièrement Rachel Kéké. Sylvie Kimissa en rit encore, complices. « Rachel, c’est devenu plus qu’une sœur. On s’appelle cinq fois par jour ! »

      Les sous-traitants se succèdent. Le dernier, STN, reprend le contrat en 2016. « Les cadences étaient infernales. Si une copine était arrêtée, ils n’embauchaient pas : je me retrouvais avec quarante chambres à faire en six heures , explique Sylvie Kimissa. C’était impossible, donc on débordait tout le temps, sans être payées plus. » Un jour, elles constatent que des collègues victimes de troubles musculo-squelettiques sont mutées dans des 5-étoiles – où le travail est encore plus difficile. C’est « la goutte d’eau ».

      Estimant que ni la CFDT, ni FO, ni la CGT propreté ne sont à même de les défendre comme elles l’entendent – « sans les infantiliser » –, elles tapent à la porte de Claude Lévy, secrétaire général de la CGT-HPE (Hôtels de prestige et économiques). « Il nous a dit : “Vous savez que vous devez être payées à l’heure, pas à la chambre ?” Comment est-ce possible qu’aucun syndicat avant lui ne nous ait jamais dévoilé ce secret ?, s’indigne Rachel Kéké. On s’est dit : lui, il va nous aider. Et on s’est syndiquées ! »

      https://justpaste.it/7pqby

      Le clip « Dur dur ménage »https://seenthis.net/messages/885325

      Vidéo sur la lutte, il y a quatre mois https://seenthis.net/messages/899091

      Texte de Tiziri Kandi CGT–HPE (Hôtel de Prestige et Économique) https://seenthis.net/messages/819486

      #travail #Femmes #mères #migrantes #grève #solidarité #hôtellerie #Accor #Ibis #nettoyage #syndicalisme #sous-traitance #cadences #conditions_de_travail #précarité en #CDI #salaire

  • Aux États-Unis, des migrantes dénoncent des opérations gynécologiques non consenties
    https://www.courrierinternational.com/article/video-aux-etats-unis-des-migrantes-denoncent-des-operations-g

    Plus de quarante #migrantes affirment avoir subi, sans leur consentement, des #opérations_gynécologiques inutilement invasives, alors qu’elles étaient retenues dans un centre de #détention pour immigrés aux États-Unis. C’est le cas de Wendy Dowe, qui témoigne devant les caméras de la BBC.

    #paywall

  • Des stérilisations massives de femmes migrantes sont dénoncées aux États-Unis | Le Club de Mediapart
    https://blogs.mediapart.fr/e-lopez/blog/150920/des-sterilisations-massives-de-femmes-migrantes-sont-denoncees-aux-e

    Divers groupes de défense et de soutien juridique des États-Unis ont déposé une plainte ce lundi 14 septembre contre le personnel embauché par le Service de lutte contre l’Immigration (Immigration and Customs Enforcement Service, ICE), non seulement pour avoir ignoré les protocoles visant à freiner la propagation du #COVID- 19 dans ses locaux, mais aussi pour avoir procédé à des #stérilisations massives et injustifiées de #femmes #migrantes #détenues.

    #stérilisations_forcées

    • Le calvaire des travailleuses domestiques éthiopiennes, victimes de la crise au Liban
      https://www.rts.ch/info/11457522-le-calvaire-des-travailleuses-domestiques-ethiopiennes-victimes-de-la-c

      Le Liban compte près de 250’000 travailleuses domestiques. Depuis des années, des associations dénoncent les abus dont elles font l’objet, alors que la crise aggrave encore leur situation, au point que beaucoup rêvent désormais de rentrer au pays.

      Zeina est Ethiopienne. Elle a rejoint des compatriotes à Mar Elias, un camp palestinien aux portes de Beyrouth, où elle séjourne depuis qu’elle a perdu son emploi il y a huit mois. Elle était venue au Liban sous contrat et vivait au domicile de ses employeurs. Jusqu’à l’arrivée de la crise sanitaire.

      « Mes employeurs m’ont dit qu’ils n’avaient plus d’argent et que je devais m’arranger avec mon ambassade. Donc je suis partie, que pouvais-je faire d’autre ? », témoigne la jeune fille de 26 ans. « Avant la crise sanitaire, je gagnais 150 dollars par mois, mais il n’y a désormais plus aucune offre de travail ailleurs. On veut toutes rentrer chez nous... »

      Résignées et déterminées à rentrer
      Rentrer, c’est en effet le rêve de nombreuses migrantes. Longtemps, les devises attiraient la main d’œuvre étrangère, malgré des conditions de travail régulièrement dénoncées par les associations de protection.

      Aujourd’hui, l’inflation est galopante, la livre libanaise dégringole, le dollar américain se raréfie, ce qui entraîne une chute drastique du pouvoir d’achat des travailleuses domestiques. « On a peur car on n’a plus d’argent. Il faut payer le loyer, et la nourriture est devenue très chère », déplore Marta, qui a également trouvé refuge dans le camp de Mar Elias.

      Or, impossible pour elle d’envisager un retour en Ethiopie, son passeport lui ayant été confisqué par son ancienne employeuse. « J’avais fui sa maison car elle me payait 100 dollars par mois, au lieu de 150. Sans papiers de résidence, comment vais-je pouvoir continuer à vivre ici ? »

      « J’ai dormi trois jours dans la rue »
      Pour réclamer de l’aide, des Ethiopiennes se rassemblent régulièrement devant leur consulat, en banlieue de Beyrouth. « J’ai dit à mes employeurs que je ne voulais pas travailler gratuitement, alors ils m’ont amené ici, devant le consulat », témoigne Massarat.

      « J’ai dormi trois jours dans la rue, avant d’être emmenée dans un hôtel, avec des compatriotes. On veut partir mais personne n’est en mesure de me dire quand on pourra quitter le pays », soupire la jeune femme de 23 ans.

      Pour Tsigeweyni, qui a réussi à garder son travail d’employée de maison, « le consulat éthiopien a également sa part de responsabilité, mais fait face à beaucoup de problèmes ».

      « Jeter un domestique à la rue salit l’image du Liban ! »
      En attendant un éventuel retour au pays, des ONG ont fourni quelques logements qui font office d’hôtels. Un réseau de solidarité entre Ethiopiennes, très actif, s’est également développé depuis le début de la crise, même si ses moyens restent limités.

      Tsigeweyni en fait partie et donne un coup de main dès qu’elle le peut. « Pour moi, voir des familles jeter leur domestique à la rue salit l’image du Liban ! Une famille qui, quand elle en avait les moyens, a recruté une fille, a le devoir, selon la loi, de la rapatrier chez elle. »

      Et de dénoncer le laxisme des autorités libanaises : « ce qui se passe est de la responsabilité de l’Etat libanais, des employeurs et des bureaux de recrutement », rappelle-t-elle. Au Liban, l’employeur fait office de tuteur pour son employée, le travail domestique n’étant pas réglementé par le code du travail. Ce faible niveau de protection ouvre la voie à de nombreux abus, tels que le non-versement des salaires, l’exploitation, et des traitements violents subis par certaines travailleuses.

      De leur côté, les autorités libanaises ont ouvert une enquête, pour poursuivre les employeurs qui se débarrassent de leur domestique. Mais le retour des Ethiopiennes, qui sont plus de 100’000 au Liban, reste un casse-tête. Beaucoup affirment ne pas oser raconter leur situation à leur famille restée en Ethiopie.

      #Femmes #Esclaves #esclavage #Liban #Ethiopie #crise #migrants #migrantes

    • . . . . . . . . . . .
      La BCE subventionne le rachat par LVMH, groupe de Bernard Arnault, d’un joaillier américain pour 14 milliards d’€
      https://linsoumission.fr/2020/07/01/scandale-comment-la-banque-centrale-europeenne-a-gave-lhomme-le-plus-r
      Vous n’avez pas entendu parler du scandale Arnault / BCE dans les médias traditionnels. Même pas dans Les Échos . Ce journal, possédé par Bernard Arnault, en a fait un papier très technique. Objectif : noyer le lecteur pour qu’il ne comprenne surtout pas le scandale. « La BCE offre un festin gratuit au plus riche des français » titre l’agence Bloomberg du côté de la presse anglo-saxonne. « La BCE achète des obligations LVMH pour financer l’acquisition de Tiffany, rendant encore plus riche l’homme le plus riche de France » , tacle de son côté le site financier américain Zéro Hedge. Du côté de la presse française ? À part dans la presse spécialisée, silence radio.
      https://www.youtube.com/watch?v=5spkN4KdFx4


      On parle pourtant de Bernard Arnault. L’homme le plus riche de France. Le troisième homme le plus riche du monde juste derrière Bill Gates et Jeff Bezos. Le patron d’Amazon a pris « un peu » d’avance dans la course à l’accumulation de milliards https://lafranceinsoumise.fr/2020/04/20/amazon-gagne-parts-de-marche-hallucinantes-avec-crise-commission-enquete-covid19/?%20target=_blank . Celui-ci a en effet empoché 24 milliards de dollars pendant le confinement. Mais Bernard Arnault peut aussi se frotter les mains. Son groupe de luxe, LVMH, vient de racheter « Tiffany & Co » : une entreprise américaine de joaillerie et d’« art de la table ». Fondée en 1837 dans Manhattan à New York, cette entreprise a atteint une cotation boursière de 14 milliards de dollars au moment de son rachat par le groupe de Bernard Arnault.

      Jusque-là, rien d’inhabituel pour le n°1 mondial du luxe. LVMH est coutumier du fait et engloutit les groupes de luxe les uns après les autres. Petit détail cependant. En février dernier, LVMH a lancé une émission obligataire pour un montant de 9,3 milliards d’€ dans le but de financer l’achat de « Tiffany ». Or, depuis juin 2016, un nouveau programme d’achat d’actifs financiers a été lancé par la BCE : un programme d’achat d’obligations « corporate », émises par les entreprises de la zone euro (programme CSPP). Et c’est grâce à ce dispositif que LVMH a pu se gaver auprès de la BCE. L’insoumise Manon Aubry a été une des rares élues à dénoncer le scandale. Nous l’avons donc invitée sur l’insoumission, pour nous l’expliquer. Et comme vous pourrez le constater dans notre interview, ce n’est que le premier scandale dans l’Affaire BCE-Arnault.

      De directrice adjointe de la BCE au conseil d’administration de LVMH : le cas Natacha Valla
      Utiliser de l’argent public pour financer le rachat de Tiffany par LVMH ? Christine Lagarde ne voit pas le problème. La présidente de la BCE répond : « le programme de rachat d’obligation corporate (CSPP) par la BCE est collé à la photographie du marché. Les titres verts représentent 20 % du marché. Ils représentent donc 20 % de nos achats. » Le réchauffement climatique ? Que nenni ! Ce n’est pas le problème de la BCE qui se borne à reproduire fidèlement la compétition et les rapports de force du marché dans sa politique monétaire. La BCE est indépendante, on vous dit ! Indépendante des États, ça oui. Indépendante des intérêts privés et financiers ? C’est plus compliqué. Un cas illustre assez bien les passerelles et potentiels conflits d’intérêts entre dirigeants de la BCE et des plus grands groupes mondiaux.

      Elle a un nom, elle a une adresse : Natacha Valla , directrice adjointe de la politique monétaire de la BCE. Enfin… elle l’était jusqu’au 30 juin 2020, jour où nous écrivons ces lignes. Dès le 1er Juillet, Natacha Valla aura rejoint le conseil d’administration… de LVMH.
      . . . . . . . . . . .
      #BCE #cadeau #ue #union_européenne #LVMH #bernard_arnault #natacha_valla #femme #conflits_d'intérêts #europe #france #corruption #capitalisme #ue #union_européenne

  • Pourquoi les #travailleuses_du_sexe chinoises à #Paris se sont-elles mobilisées ?

    Lassées des contrôles de #police, des Chinoises migrantes se prostituant à Paris décident, en 2013, de se faire entendre et s’allier à d’autres travailleuses du sexe. Soutenues par Médecins du Monde, qui mène auprès d’elles un programme de prévention santé depuis 2004 avec le #Lotus_Bus, elles rencontrent policiers et élus et se font connaître du #Strass, le #syndicat du Travail Sexuel.
    Hélène Le Bail, politologue spécialiste des migrations chinoises, a suivi cette mobilisation. Elle revient sur ce qui a déclenché le mouvement, la façon dont il a été perçu et sur ce qu’il a représenté pour ces femmes chinoises qui ne s’étaient jamais mobilisées auparavant.

    http://icmigrations.fr/2019/10/15/defacto-012-02
    #mobilisation #lutte #femmes #femmes_migrantes #France #migrantes_chinoises #Chine #femmes_chinoises

  • #Migrantes: il viaggio di Bianchini diventa un fumetto

    Migrantes è un libro basato su una vera avventura. Quella vissuta da #Flaviano_Bianchini, il fondatore di Source International che ha condiviso la rotta dei migranti centroamericani attraversando il Messico senza passaporto. I disegni sono di Giovanni Ballati


    https://www.osservatoriodiritti.it/2019/01/16/migrantes-libro-bianchini-fumetto
    #livre #BD #migrations #frontières #Mexique #USA

  • Lyon : un pasteur à la tête d’un réseau de prostitution d’une cinquantaine de femmes - Le Parisien
    http://www.leparisien.fr/faits-divers/lyon-un-pasteur-a-la-tete-d-un-reseau-de-prostitution-d-une-cinquantaine-

    Les filles arrivaient principalement du Nigéria en traversant la Méditerranée. Certaines savaient ce qui les attendaient, d’autres non.

    Exploitation sexuelle, misère et migration clandestine. Sept hommes et onze femmes, âgés de 27 à 42 ans, ont été mis en examen, jeudi et devaient être mis en examen ce vendredi à Lyon (Rhône) pour proxénétisme. Le réseau exploitait, depuis fin 2016 au moins cinquante jeunes femmes, âgées de 20 à 22 ans qui assuraient des passes à bord de 30 camionnettes, garées dans le quartier de Gerland. L’entreprise qui rapportait entre 100 000 et 150 000 euros par mois était dirigée par un pasteur évangéliste de 33 ans.

    #migrantes #proxénétisme #prostitution

  • Les trottoirs de Belleville - La Vie des idées
    http://www.laviedesidees.fr/Les-trottoirs-de-Belleville.html

    La #répression et l’#intimidation tendent à renforcer l’exposition aux #violences. Ce constat est partagé aussi bien par les associations abolitionnistes que par les autres. C’était l’argument clé en faveur de l’abrogation du délit de #racolage. Cette répression policière, ainsi que la surexposition aux violences décrite ci-dessus, sont des facteurs importants pour comprendre la mobilisation des femmes chinoises dans le cadre du débat sur la proposition de loi.

    #prostitution

  • #Prostitution : L’invisibilité des #femmes #migrantes - Crêpe Georgette
    http://www.crepegeorgette.com/2016/04/20/prostitution-linvisibilite-femmes-migrantes

    Il y a 30 à 40 000 prostituées en France dont 90% d’étrangères. Il est donc impossible de parler de prostitution sans parler d’immigration, de processus migratoires et des lois françaises et européennes sur l’immigration.

    J’aborderai dans un article suivant la question du trafic et des réseaux.

    Le mot « migrant-e » permet de souligner la complexité des processus de migrations. On parle désormais de transmigrations (pour des gens qui transitent dans un pays dans lequel ils ne souhaitent pas rester) ; parler de « migrant-e » et pas d’"immigré-e" permet de rendre compte des processus de migrations qui ne sont pas toujours achevés. On peut rester longtemps dans un pays, changer régulièrement de pays (en particulier pour éviter les contrôles policiers mais pas que), aller et venir entre un pays de destination et d’origine, changer de choix de destination...

  • Les #femmes #réfugiées risquent agressions, exploitation et harcèlement sexuel lors de leur traversée de l’#Europe
    https://www.amnesty.org/fr/latest/news/2016/01/female-refugees-face-physical-assault-exploitation-and-sexual-harassment-on

    Les gouvernements et organismes d’aide humanitaire manquent à leur devoir de fournir la #protection la plus élémentaire aux femmes réfugiées arrivant de #Syrie et d’#Irak. De nouvelles recherches effectuées par Amnesty International montrent que les femmes et les jeunes #filles sont exposées à des #violences, à des #agressions, à l’#exploitation et au #harcèlement sexuel à toutes les étapes de leur trajet, y compris sur le territoire européen.

    Le mois dernier, l’organisation a recueilli en Allemagne et en Norvège les propos de 40 réfugiées qui s’étaient rendues en #Grèce depuis la #Turquie, avant de traverser les #Balkans. Toutes ces femmes ont dit s’être senties menacées et en danger pendant leur périple. Beaucoup ont indiqué que dans presque tous les pays qu’elles ont traversés, elles ont connu agressions physiques et exploitation financière, ont été touchées de manière inappropriée ou ont subi des pressions visant à les inciter à avoir des relations sexuelles avec des passeurs, des employés chargés de la sécurité ou d’autres réfugiés.

    #migrantes #migrants #réfugiés

  • Les femmes étrangères : les oubliées du projet de loi pour l’égalité entre les femmes et les hommes
    http://feminisme.fr-bb.com/t1663-les-femmes-etrangeres-les-oubliees-du-projet-de-loi-pour-l-eg

    Dans un communiqué, le collectif ADFEM déplore le manque d’avancées significatives pour les droits des femmes étrangères dans ce projet de loi présenté le 3 juillet en Conseil des Ministres.

    08/07/2013
    Le Communiqué

    "Le projet de loi pour l’égalité entre les femmes et les hommes présenté en conseil des ministres le 3 juillet par la ministre des droits des femmes ne contient qu’un seul article portant spécifiquement sur les droits des femmes étrangères. Il s’agit de l’article 14 prévoyant l’exonération des taxes de séjour lorsque la carte de séjour est délivrée ou renouvelée à des femmes victimes de violences conjugales.

    Certes cette mesure est positive - puisque des taxes de plus en plus élevées sont régulièrement imposées aux étranger-e-s - mais elle est loin d’être suffisante. Aucune des autres revendications des associations défendant les droits des femmes étrangères n’est intégrée dans ce projet de loi. Rien sur le droit à l’aide juridictionnelle pour les femmes sans titre de séjour afin qu’elles puissent défendre leurs droits en cas de violence ou pour une requête en divorce. Rien pour limiter le pouvoir discrétionnaire du préfet qui « peut » (et non « doit ») renouveler ce titre de séjour. Rien qui ne garantisse les droits des conjointes ayant la nationalité d’un pays tiers de résidents ressortissants de l’UE. Enfin, les mesures de protection de ce projet de loi concernent exclusivement les violences commises au sein du couple.

    Globalement, pour ce qui concerne les droits des femmes étrangères, l’action du ministère des droits des femmes a été inexistante et malgré nos nombreuses demandes, et en dépit de l’engagement de la ministre, pris officiellement le 30 janvier 2013, le groupe de travail transversal (ministères, associations…) annoncé sur ce sujet n’a pas été constitué.

    En matière de droit international privé et de conventions bilatérales sur le statut des personnes, le ministère avait sollicité le 10 décembre 2012, un avis de la CNCDH. A ce jour pour autant, nous n’avons eu aucun retour à ce sujet. Or il y a là de réels problèmes, comme en témoigne la circulaire du ministère de la justice rappelant aux maires que la loi ouvrant le mariage aux couples de même sexe n’autorise pas ce mariage avec les ressortissant-e-s de 11 pays étrangers.

    En outre, des femmes étrangères victimes de violence rencontrent toujours de grandes difficultés dans leur prise en charge administrative, juridique et sociale, leur accès au droit et notamment leur droit au séjour en France. Les préfets sont certes incités, par la circulaire du ministère de l’intérieur du 28 novembre 2012, à prendre en compte la situation des femmes victimes de violences, mais concrètement dans les préfectures l’application de la loi et de cette circulaire est inégale d’une préfecture à l’autre mais également méconnue. Cette circulaire ne règle par ailleurs en rien la situation des femmes travailleuses sans papiers, qui pour la plupart travaillent sans être déclarées et sans bulletins de salaire, donc ne peuvent prouver qu’elles exercent officiellement un emploi

    En matière de droit d’asile, il est urgent que le gouvernement accepte d’inclure la notion de « persécution liée au genre » qui est inscrite dans la directive « qualification » de l’UE et qui devrait par conséquent être transposée en droit français au plus vite.

    Pour les droits des femmes étrangères, tout reste à faire ! Nous agirons pour que dans ce projet de loi, ainsi que dans ceux qui seront ensuite proposés par le gouvernement en matière d’immigration et d’asile, il y ait des avancées substantielles pour les droits des femmes étrangères, migrantes et exilées, vivant en France."
    Le collectif ADFEM réunit à l’heure actuelle les associations : Cimade, Comede, FASTI, Fédération nationale solidarité femmes, Femmes de la Terre, Ligue des femmes iraniennes pour la démocraties, Femmes migrantes debout, RAJFIRE