Dr. Anastasia Maria Loupis sur X : « This »
▻https://twitter.com/DrLoupis/status/1820147268235735549
Dr. Anastasia Maria Loupis sur X : « This »
▻https://twitter.com/DrLoupis/status/1820147268235735549
"Can’t afford food ? Blame billionaires, not immigrants"
Poster spotted in Toronto
–-
ajouté à la métaliste sur la #guerre_entre_pauvres :
►https://seenthis.net/messages/567127
I diritti negati e il trattamento dei cittadini stranieri all’#hotspot di #Pantelleria
Sull’isola, in una condizione di totale invisibilità, è attivo un centro utilizzato come primo soccorso e identificazione. Ogni anno sbarcano quasi 5mila persone, soprattutto di nazionalità tunisina. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha visitato la struttura identificando una serie di gravi criticità: dal sovraffollamento alla mancanza di comunicazioni con l’esterno.
Privazione della libertà personale, sequestro dei cellulari, impossibilità di presentare la domanda d’asilo. Sono solo alcuni dei diritti violati delle persone che sbarcano sull’isola di Pantelleria (Trapani) e che vengono trattenute nell’hotspot presente sull’isola per primo soccorso e identificazione.
Prassi che presto potrebbero ulteriormente rafforzarsi in tutta Europa data la recente approvazione del Parlamento europeo del Patto per le migrazioni e l’asilo dell’aprile 2024. “Nelle modifiche previste nei nuovi Regolamenti sembrano recepite le più importanti e illegittime prassi viste nel centro e quindi la sistematica detenzione in frontiera, la sospensione delle garanzie costituzionali in termini di libertà personale, diritto alla libera comunicazione con l’esterno, di controllo giurisdizionale e reclamabilità immediata dei propri diritti e accesso alle procedure di asilo”, denuncia l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che, in collaborazione con Spazi Circolari, nell’ambito del Progetto InLimine, ha pubblicato a luglio un report sulle criticità della struttura visitata a metà maggio.
“L’esperimento Pantelleria’ si conferma di estremo interesse -scrivono i curatori dell’approfondimento-. Nell’ambito del nuovo assetto normativo e di fatto, riteniamo possibile che queste esperienze conosciute in Italia ormai da anni saranno implementate sempre più in altri luoghi”.
A Pantelleria è attivo come detto un hotspot utilizzato per il primo soccorso e l’identificazione dei cittadini stranieri, quasi esclusivamente tunisini, che fanno ingresso sul territorio italiano sbarcando sull’isola. Ogni anno arrivano in media nel centro cinquemila cittadini stranieri e, in particolare, tra l’11 agosto del 2023 e il 18 marzo 2024 vi hanno fatto ingresso 3.234 migranti di cui 2.918 uomini e 316 donne, 228 nuclei familiari e 663 minori stranieri non accompagnati.
Tutti i soggetti intervistati dall’Asgi hanno confermato che le persone ospitate nell’hotspot non possono uscire, salvo per motivi sanitari, nonostante non vi sia alcun provvedimento di arresto o di limitazione della libertà personale. Secondo quanto riportato dalla prefettura di Trapani il tempo di permanenza medio dei “trattenuti” è di due o tre giorni, tranne in caso di condizioni meteo avverse che non rendessero possibile il trasferimento via mare.
La delegazione ha effettuato l’accesso all’hotspot, vuoto al momento del sopralluogo. La struttura, che secondo la prefettura di Trapani ha una capienza di 40 posti, è divisa in due ambienti separati da una cancellata. Nel primo spazio si trovano gli alloggi per gli uomini, la mensa, i bagni e le docce e alcuni uffici. Il secondo è invece dedicato a ospitare donne e minori non accompagnati. Il centro è inoltre in fase di ampliamento per un totale di 60 posti, che si prevede siano destinati a donne e minori. Una scelta dovuta alla necessità di combattere il sovraffollamento della struttura che il 20 settembre 2023 è arrivata a ospitare 416 persone.
Secondo l’Asgi, le condizioni dei cittadini stranieri, in particolare dei minori, appaiono allarmanti. Nel periodo esaminato i minori non accompagnati ospitati nell’hotspot sono stati 663 per periodi anche lunghi nei casi in cui le condizioni del mare non ne permettevano un rapido trasferimento. Inoltre, secondo quanto riportato dalla prefettura, i loro spazi sono separati da quelli degli adulti solo quando le condizioni di affollamento lo consentono. Non vi sono, infine, procedure di verifica della minore età neppure in caso di dubbio, visto che gli accertamenti dell’età vengono svolti solo una volta trasferiti a Trapani.
Un’altra criticità riguarda l’accesso ai servizi: allo sbarco le persone ricevono una prima visita da parte di personale medico dell’azienda sanitaria provinciale che serve a verificare l’idoneità a vivere in comunità ma non vi è una valutazione rispetto a eventuali vulnerabilità psicologiche. I colloqui di assistenza psicologica si tengono solo su base volontaria.
Secondo l’Asgi, poi, il diritto alla corrispondenza è regolarmente compromesso: la struttura non dispone di telefoni fissi e i cellulari dei migranti sono sequestrati all’ingresso (senza che venga rilasciato alcun verbale). Le comunicazioni telefoniche possibili con l’esterno avvengono solo tramite un telefono gestito da un mediatore culturale e di conseguenza le conversazioni sono costantemente ascoltate e possono avvenire solo in orari prestabiliti.
Una volta giunte a Trapani le persone migranti (incluse donne e minori) sono fotosegnalate o direttamente sul molo di sbarco o presso i locali del Cpr di Milo, in attesa di essere trasportati in centri di accoglienza o strutture di trattenimento. Il centro di permanenza per il rimpatrio è chiuso ormai da mesi a causa delle rivolte dei trattenuti di inizio anno che hanno reso inagibile la struttura e il trasferimento verso i centri di accoglienza non ha una durata prestabilita. Una procedura che lascia i migranti senza tutele per un periodo anche lungo.
“Ciò viene confermato dalla prefettura di Trapani laddove le manifestazioni di volontà vengono registrate solo dopo la completa identificazione, successiva al trasferimento a Trapani, con conseguente grave mancanza di protezione per un tempo variabile- riporta l’Asgi-. Sembrerebbe che presso l’hotspot venga solo annotato, a fianco del nome, un simbolo con il quale riportare la volontà espressa di richiedere protezione internazionale, senza però riscontri effettivi sul recepimento di tali indicazioni a Trapani, dove al contrario alle persone viene fatto compilare un secondo foglio notizie. La procedura non è standardizzata e per questo risulta del tutto incontrollabile ed esposta al rischio di omissioni e ritardi”.
▻https://altreconomia.it/i-diritti-negati-e-il-trattamento-dei-cittadini-stranieri-allhotspot-di
#asile #migrations #réfugiés #Italie #migrants_tunisiens #réfugiés_tunisiens #privation_de_liberté #droits #laboratoire #expérimentation #pacte_européen #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #île #îles
Labour has ordered the Home Office to begin mass deportations of undocumented migrants.
▻https://linke.social/@alanferrier@mastodon.scot/112826436911377669
Writing in The Sun, Yvette Cooper says she has told the Home Office to raid car washes, nail bars and salons. 1,000 staff will be deployed to fast-track deportations.“Change,” eh?
Épisode 1/2 : #17_août_1893, le massacre des Italiens
Dans les rues d’#Aigues-Mortes, une #histoire restée muette ou presque, jusqu’à la fin des années 1970 reprend corps.
À Aigues-Mortes, dans les marais salants qui entourent l’ancien port royal, des centaines d’ouvriers se côtoient en cette fin de XIXe siècle pour la récolte du #sel. La #Compagnie_des_Salins_du_Midi doit embaucher plus de mille #saisonniers pour ce #travail de forçat : le battage du sel, qui consiste à enlever à la pioche la croûte saline asséchée des marais et à la disposer en tas, et le levage, le transport du sel à l’aide de brouettes jusqu’aux lieux de stockage.
Coup de feu du sel : le levage est rémunéré collectivement par équipe, au rendement, et une nombreuse main-d’œuvre piémontaise participe traditionnellement à cette opération. En cette période de crise, les saisonniers, trimards et Ardéchois, ont également afflué en masse des régions limitrophes, espérant se faire embaucher. Tous ne le seront pas. La #colère enfle et dégénère suite à une #rixe entre ouvriers, embrasant la ville entière. C’est une véritable battue à mort des Italiens qui se produit alors, faisant 8 victimes, plusieurs dizaines de blessés et des disparus. L’Armée ayant tardé à intervenir, l’#émeute durera deux longues journées...
▻https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/une-histoire-particuliere-un-recit-documentaire-en-deux-parties/17-aout-1893-le-massacre-des-italiens-2683413
#audio #podcast #migrants_italiens #migrations #massacre #salines #travailleurs_étrangers #italiens
Expulsion des Tunisien·nes d’#Italie : la #complicité discrète des #compagnies_aériennes
Toutes les semaines, l’Italie expulse des dizaines de Tunisien·nes de son territoire, en les chargeant dans des #avions #charters, à l’abri des regards. Quelles sont les compagnies aériennes chargées de ces voyages forcées ? Comment sont-elles engagées par l’Etat italien ? À travers l’exemple de la jeune compagnie #Aeroitalia, inkyfada, en collaboration avec le média italien internazionale, révèle les rouages d’un système opaque bien rodé. Enquête.
Rome, juillet 2023. Parmi les panneaux publicitaires qui jalonnent les rues de la capitale, on trouve ceux d’une compagnie aérienne qui vient de fêter sa première année et qui offre d’excellents tarifs pour la Sicile et la Sardaigne. Aeroitalia, "la nouvelle compagnie aérienne italienne à capitaux entièrement privés", comme l’indique son site Interne , promet de "donner le meilleur service possible, en prenant soin de ses passagers avec de petits gestes, de l’attention et de la chaleur humaine".
À la même période, l’activiste et chercheur sénégalais Ibrahima Konate reçoit un message de la part d’une connaissance tunisienne : le 20 juillet, le frère de ce dernier a été rapatrié d’Italie. Selon son témoignage, le vol n°XZ7744 a été opéré par la compagnie Aeroitalia. La même opération a été rapportée par le site d’information tunisien Falso et par Majdi Karbai, ancien parlementaire et militant tunisien, dans un post publié sur Facebook le 21 juillet.
Grâce au numéro de vol, il est possible de vérifier l’information. Comme le confirment plusieurs sites de surveillance du trafic aérien, dont FlightRadar et FlightAware, le matin du 20 juillet, un avion d’Aeroitalia a effectivement décollé de l’aéroport de Rome Fiumicino à destination de la Tunisie. Après une escale à Palerme, il atterrit à Tabarka, située à environ 130 kilomètres à l’ouest de Tunis, presque à la frontière algérienne.
Mais cette destination ne figure pas parmi celles annoncées sur le site Internet d’Aeroitalia, car les vols opérés sur cette route sont des vols spéciaux, réservés à des passager·es qui ne souhaitent pas partir. Dans cet avion, il n’y a que des Tunisien·nes, escorté·es par les autorités italiennes.
Le vol du 20 juillet 2023 est lié au marché des rapatriements forcés par charter : des vols programmés par les autorités d’un pays pour expulser, contre leur gré, des groupes de personnes à qui l’on refuse la possibilité de rester sur le territoire national. Dans le cas de l’Italie, il s’agit principalement de ressortissant·es tunisien·nes, comme le confirment les données les plus récentes sur les rapatriements aériens fournies par le ministère de l’intérieur.
En 2023, sur un total de 106 vols charters de rapatriement, 70 étaient à destination de la Tunisie. 80% des personnes rapatriées sur ces vols - 2 006 sur un total de 2 506 - étaient des ressortissant·es tunisien·nes.
La Tunisie dans le viseur de l’Italie
À l’été 2023, Aeroitalia n’est pas la seule à s’intéresser à la Tunisie. Après une première visite officielle le 6 juin, le Premier ministre italien Giorgia Meloni retourne à Tunis le 11 juin en compagnie de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte. L’espoir est d’obtenir du président tunisien Kais Saied un engagement renouvelé à coopérer dans la lutte contre l’immigration dite irrégulière.
Ce ballet entre l’Europe et la Tunisie intervient dans un contexte de persécution des personnes d’origine subsaharienne en Tunisie, alimenté par la présidence elle-même, et la répression croissante de la société civile. Cela n’a pas empêché l’Union européenne (UE) de signer, le 16 juillet, un protocole d’accord pour renforcer la coopération. Depuis des années, l’Europe tente d’engager des gouvernements étrangers en externalisant ses politiques de fermeture et de refoulement : de l’argent en échange d’une surveillance accrue des frontières et d’une augmentation des réadmissions de citoyen·nes non-européen·nes expulsé·es.
Les gouvernements européens tentent ainsi, par tous les moyens, d’empêcher les gens de quitter leur pays pour l’Europe. Certains sont plus directs : refus de visa, rejet des bateaux sur lesquels ils voyagent ou absence de sauvetage en mer. D’autres, plus insidieux, se mettent en place dans des États tiers à travers la formation et le financement des garde-côtes ou la promotion de technologies de surveillance de plus en plus sophistiquées.
Des expulsions peu étudiées
Mais pour expulser une personne de l’Union européenne, le moyen le plus efficace est généralement de la charger dans un avion. C’est là qu’interviennent des entreprises comme Aeroitalia, protagonistes et bénéficiaires d’un système encore peu étudié. Comme l’observe le chercheur William Walters, "l’aviation civile est le pivot central des déportations de personnes en provenance des pays du Nord, mais ceux qui étudient le sujet des déportations se sont rarement intéressés aux questions de mobilité aérienne".
Les retours forcés peuvent également avoir lieu sur des vols réguliers, en embarquant la personne avant les autres et en l’isolant à l’arrière du transporteur. Mais il y a toujours le risque que la personne résiste à sa propre expulsion, en essayant d’attirer l’attention des passager·es, et que le capitaine finisse par la débarquer si la situation à bord devient ingérable. Rien de tout cela ne se produit sur les charters.
"L’avantage des expulsions par charter est qu’elles sont plus faciles à contrôler", résume Yasha Maccanico, chercheur à l’organisation Statewatch.
L’Italie privilégie ainsi les expulsions par charter et a mis en place un système d’une rare lourdeur pour les gérer. Depuis 2011, année d’un des nombreux accords de "coopération migratoire" entre l’Italie et la Tunisie, les autorités italiennes tentent, sans succès, de maintenir une moyenne de deux vols charters de rapatriement par semaine : chaque vol est prévu pour 20-40 personnes à rapatrier et 60-110 accompagnateur·trices.
Compte tenu de la fréquence, un contrat à moyen ou long terme pour un service de "transfert de migrants irréguliers", pour reprendre le jargon officiel, serait la solution la plus logique, comme c’est déjà le cas au Royaume-Uni et en Espagne.
En 2016, un #appel_d'offres est lancé à cet effet par #Consip* pour le compte de la Direction centrale de l’immigration et de la police des frontières et du Département des libertés civiles et de l’immigration. Mais celui-ci n’aboutit pas, par désintérêt de la part des compagnies aériennes, selon les informations obtenues auprès de Consip. C’est ainsi qu’en Italie, contrairement à d’autres pays de l’UE, le système "un appel d’offres par vol" perdure.
Un système d’appel d’offre opaque
Jusqu’à la fin de l’année 2023, pour chacun de ces appels d’offres, le Viminale - le ministère de l’Intérieur - a publié sur son site internet deux documents : le texte de l’appel d’offres pour un vol programmé généralement une semaine plus tard, qui invite divers opérateurs à postuler, et le résultat de l’appel d’offres, ou "avis d’adjudication".
Les vols sont, bien entendu, opérés par des compagnies aériennes, mais leurs noms n’apparaissent presque jamais. En effet, la totalité des appels d’offres sont remportés par deux sociétés intermédiaires (ou courtiers) : l’entreprise allemande Professional Aviation Solutions (PAS) et Air Partner, une société britannique rachetée en 2022 par la société américaine Wheels Up.
Ces dernières se partagent le marché et prennent une commission de 3 à 5% sur le montant demandé pour opérer le vol. Les compagnies aériennes fournissent les moyens et le personnel sans lesquels les rapatriements ne pourraient avoir lieu, mais ce sont les courtiers, interlocuteurs indispensables des autorités, qui permettent à la machine à rapatrier de tourner à plein régime.
Outre le nom du courtier, les avis d’attribution de marché indiquent le nombre d’offres reçues par le ministère de l’intérieur pour le vol en question (souvent deux, parfois une seule) et le coût de l’offre retenue.
Le nom de la compagnie qui opérera le vol, et qui empochera donc l’essentiel de cet argent, n’apparaît pas.
C’est pourquoi, en réponse à une demande d’accès à l’information présentée dans le cadre de cette enquête, le secrétariat du Département de la sécurité publique a pu répondre qu’il "n’a pas de contact direct" avec Aeroitalia, étant donné que "l’attribution du service au transporteur identifié parmi ceux qui ont fait la meilleure offre se fait par l’intermédiaire d’une société tierce - ‘broker’”. Et en effet, en recherchant sur le site du ministère de l’Intérieur les documents relatifs au vol Rome-Palerme-Tabarka du 20 juillet 2023, on découvre seulement que l’appel d’offres a été remporté par PAS avec une offre de 115 980 euros. Pas de trace d’Aeroitalia*.
Mais dans le même temps, les avis d’attribution des contrats pour les vols charters de rapatriement opérés jusqu’à la fin de 2023 précisaient que la sous-traitance n’était pas possible. Pourtant, le service de transport aérien a bien été fourni par un tiers (le transporteur), ce qui pourrait s’apparenter à de la sous-traitance.
Jusqu’à fin 2023 également, la procédure d’appel d’offres n’était pas à jour : les avis d’attribution des marchés contenaient la liste des opérateurs économiques invités à participer à l’appel d’offres, liste dans laquelle figuraient Mistral Air (devenu Poste Air Cargo en 2019), Meridiana (qui a fermé en 2018) et le courtier Astra Associated Services, aujourd’hui en liquidation.
Un business discret
Pour les vols opérés à partir de janvier 2024, les documents relatifs aux vols charters de rapatriement publiés par le ministère de l’Intérieur ont changé. Sur le site Internet, les appels d’offres sont toujours disponibles, avec la nouveauté qu’une offre peut concerner deux vols effectués dans la même semaine - le premier au départ de Trieste, le second au départ de Rome - et que la dépense maximale doit être inférieure à 110.000 euros au lieu de 140.000 euros auparavant.
Par ailleurs, les avis d’attribution des marchés sont désormais indisponibles : il est donc impossible de savoir quels opérateurs ont été invités à proposer leurs services et combien d’offres ont été présentées. La référence à l’interdiction de la sous-traitance a également disparu. Parmi les nouveaux documents disponibles figurent les contrats avec les courtiers attribués, qui ne mentionnent cependant jamais le nom de la compagnie aérienne responsable de l’exploitation du vol, tandis que les offres reçues par le ministère de l’intérieur restent introuvables.
Cette opacité ne caractérise pas seulement les rapatriements de charters depuis l’Italie. Le chercheur Matthias Monroy* raconte que le ministère allemand de l’Intérieur avait défini comme "confidentielles" les données sur les compagnies de vols charters qui profitent des rapatriements. Répondant à une question parlementaire du parti Die Linke, le ministère affirmait que "ces informations pourraient exposer les compagnies à une ’critique publique’, entravant les opérations de rapatriement".
Le Viminale a également rejeté la demande d’accès à l’information d’inkyfada, mais en invoquant une autre raison. La publication des offres reçues pour chaque vol de rapatriement, dans lesquelles figure, outre le nom du courtier, celui de la compagnie qui devrait opérer le vol, ne concernerait pas l’intérêt public. Un argument difficilement défendable étant donné que la majeure partie de l’argent public dépensé pour ces vols est empochée par les compagnies et non par les courtiers. Face à cette réponse, inkyfada et internazionale ont déposé une demande de réexamen qui a été rejetée le 8 mai 2024, le ministère de l’Intérieur s’étant contenté de renvoyer encore une fois vers les documents disponibles sur le site.
Entretemps, un problème informatique - ou, plus probablement, une erreur humaine - a permis de consulter deux de ces documents. Le 13 novembre 2023, le ministère de l’Intérieur a publié les deux offres reçues des courtiers habituels pour le vol du 12 octobre 2023, avec départ de Trieste Ronchi dei Legionari, escale à Palerme et arrivée à Tabarka. De manière surprenante, tant PAS qu’Air Partner avaient proposé pour ce vol un avion appartenant à la société espagnole Albastar, demandant respectivement 71.200 € et 71.880 €.
En d’autres termes, même si un seul courtier a remporté l’appel d’offres - en l’occurrence PAS, qui proposait l’offre la plus basse -, Albastar se serait de toute façon vu attribuer ce vol : une situation qui confirme le manque de sérieux de ces procédures d’appel d’offres.
Pour tenter d’identifier ces compagnies, il est donc nécessaire d’utiliser d’autres sources : les témoignages de déporté·es, les sites internet de certains aéroports et les sites de surveillance des vols.
Les quinze vols d’Aeroitalia
Aeroitalia n’est pas la seule compagnie à avoir opéré des vols charters de rapatriement forcé vers la Tunisie en 2023. En croisant les données de vol publiées par le ministère de l’Intérieur et celles disponibles sur les sites de surveillance des vols et sur le site de l’aéroport de Palerme, nous avons pu dater les 70 vols charters de rapatriement forcé vers la Tunisie.
Il a été possible d’identifier les courtiers dans 63 cas - Pas s’est vu attribuer 36 vols, Air Partner 27- et la compagnie aérienne dans 56 cas :
– 25 vols opérés par #Albastar, travaillant à la fois avec #Pas et #Air_Partner
– 15 vols opérés par Aeroitalia, uniquement pour le compte de PAS
– 9 vols opérés par la compagnie roumaine #Carpatair (qui ne semble travailler qu’uniquement avec Air Partner)
– 4 vols opérés par #Malta_MedAir
– 2 par la compagnie croate #Trade_Air
– 1 par la compagnie bulgare #Electra_Airways.
La recherche est rendue difficile par le fait que les compagnies aériennes peuvent attribuer des numéros de vol différents à une même route.
Retour à l’été 2023. Derrière sa bannière de “chaleur humaine”, Aeroitalia a réalisé 13 vols de rapatriement forcé vers la Tunisie entre le 20 juillet et le 3 octobre 2023, au départ de Trieste Ronchi dei Legionari ou de Rome. En supposant une commission maximale de 5 % retenue par le courtier PAS, Aeroitalia a perçu pour ces treize vols presque 1.3800.000 : un chiffre remarquable si l’on considère qu’en moyenne, les vols opérés par Aeroitalia étaient beaucoup plus chers que ceux opérés par d’autres compagnies sur les mêmes routes et au cours de la même période (112.000 euros en moyenne contre 82 000 euros).
Les deux autres vols Aeroitalia en 2023 remontent au 17 et 31 janvier, toujours avec PAS, qui a reçu respectivement 71.490 euros et 69.990 euros. D’après les informations recueillies en ligne, il s’avère également qu’Aeroitalia a commencé à opérer des vols de rapatriement forcé dès 2022 : certainement les 13 et 18 octobre, les 8 et 15 novembre et le 29 décembre (vols relevés par FlightRadar) et, selon un passager d’Aeroitalia, peut-être même en juillet de cette année-là, donc peu de temps après le lancement de la compagnie.
En mars 2023, un utilisateur du forum italien Aviazionecivile.it a fait le commentaire suivant à propos d’Aeroitalia : “Donc tous ces charters pour Tabarka au départ de Palerme et de Rome qu’ils ont opéré fréquemment au cours des derniers mois étaient des vols de #rapatriement”.
Ni PAS ni Aeroitalia n’ont répondu aux demandes de commentaires envoyées dans le cadre de cette enquête.
L’ensemble des vols de rapatriement font une escale à Palerme, où les autorités consulaires tunisiennes doivent confirmer - pro forma - l’identité des personnes ayant fait l’objet d’un décret d’expulsion. Chacun·e rencontre le consul, un·e par un·e. inkyfada a pu échanger avec Louay et Wael, deux ressortissants tunisiens qui ont été expulsés d’Italie respectivement en février 2021 et juillet 2023. Leurs histoires, très similaires, témoignent de ce système bien rôdé. Tous deux ont effectivement rencontré le consul tunisien à cette occasion. L’échange a duré à peine quelques minutes.
“Une minute grand maximum !”, s’exclame Louay. “Je lui ai dit que j’avais fait une demande d’asile et que je ne voulais pas rentrer en Tunisie… Il a juste dit ‘Ok’”.
“Il m’a juste demandé d’où je venais, pourquoi j’étais en Italie…”, confirme Wael. “Puis il m’a dit qu’on allait tous être expulsés”.
Des vols charters pas tous identiques
Fondée en 2022 par le banquier français #Marc_Bourgade et l’entrepreneur bolivien #Germán_Efromovich, Aeroitalia est dirigée par #Gaetano_Francesco_Intrieri, expert en aviation et ancien conseiller du ministre des transports de l’époque, #Danilo_Toninelli. Si le premier est peu connu du grand public, Efromovich et Intrieri se sont retrouvés par le passé au cœur de plusieurs scandales de corruption et de faillite*.
Dès sa création, l’objectif d’Aeroitalia était de se concentrer sur le marché des vols charters, explique le dirigeant Intrieri dans une interview en avril 2022. Marc Bourgade, de son côté, a déclaré à l’Air Financial Journal que la nouvelle compagnie prioriserait "d’abord les vols charters parce qu’ils garantissent des revenus dès le jour où nous obtenons le certificat d’opérateur aérien".
La compagnie s’est notamment occupée du transport de plusieurs équipe sportives*, des partenariats qu’elle vante sur son site internet… contrairement aux vols de rapatriements, impliquant de transporter des groupes de personnes contre leur gré.
Dans une recherche publiée en 2022, le Centre pour les droits de l’homme de l’Université de Washington a révélé comment, aux États-Unis, de nombreuses équipes sportives et artistes ont voyagé à leur insu sur des avions charters utilisés à d’autres moments pour des opérations de rapatriement souvent violentes. Si les passagers l’ignorent, les opérateurs de ces vols, aux États-Unis comme en Italie et ailleurs, savent certainement dans quel contexte ils offrent leurs services. Les vols de rapatriement forcé ne sont pas des vols comme les autres, mais des opérations de sécurité publique qui s’inscrivent dans un ensemble de pratiques et de politiques discriminatoires.
La machine à expulsion
Là encore, l’exemple de la Tunisie est emblématique : les chiffres des rapatriements donnent une idée de la "sérialisation" qui sous-tend ce système, observe l’avocat Maurizio Veglio, membre de l’Association pour les études juridiques sur l’immigration (ASGI). Pour remplir deux vols charters par semaine, il faut pouvoir compter sur un grand nombre de personnes rapatriables. Or, une personne est d’autant plus facilement rapatriée que ses chances d’obtenir une protection, voire de la demander, sont limitées.
Quand Wael arrive à Pantelleria, en juillet 2023, il est directement amené dans un centre de rétention où on lui donne la possibilité de passer un coup de téléphone d’une minute. L’amie qu’il contacte lui conseille de demander l’asile. En assistant à cet échange, l’homme responsable des communications, tunisien également, lui rétorque “[qu’ils] n’acceptent plus l’asile maintenant”.
Selon les statistiques disponibles, 76,6% des demandes d’asiles émises par des Tunisien·nes en Italie ont été rejetées en 2022. C’est le troisième plus haut taux de rejet de demande d’asile après l’Egypte (90,3%) et le Bangladesh (76,8%).
“Après plusieurs semaines dans les centres de rétention, j’ai pu voir les nationalités qui étaient le plus expulsées”, raconte Wael . “Avec les accords, les Tunisiens et les Egyptiens sont toujours expulsés (...). Nous, c’est le mardi et le jeudi, et eux, c’est le mercredi !”.
En 2019, l’Italie a inclus la Tunisie dans la liste des pays d’origine dits sûrs, un instrument qui, bien que prévu par la directive sur les procédures de 2013, "est ontologiquement en contradiction avec la procédure de protection internationale, c’est-à-dire avec l’évaluation sur le droit de l’individu à être protégé", dénonce l’avocat Maurizio Veglio. Ces listes, également adoptées par d’autres pays, ainsi que par l’UE elle-même, sont "un outil totalement asservi à la volonté des administrations de sérier au maximum les réponses négatives”.
“Il s’agit d’un énième forcing qui tente de faire de l’évaluation de la demande de protection internationale un simple incident bureaucratique, à accomplir dans les plus brefs délais, afin de classer la procédure et d’entamer le processus de rapatriement".
En effet, l’inclusion de la Tunisie dans la liste des pays d’origine sûrs “décourage les demandes de protection dont l’issue est en partie compromise par la simple citoyenneté du demandeur”, résume-t-il. “Les personnes de nationalité tunisienne qui ne demandent pas de protection (...), risquent d’être rapatriées dans un délai extrêmement court. Le mécanisme est si rapide qu’il annule la possibilité d’un droit de défense effectif”.
Sans surprise, la demande d’asile de Wael a été refusée, malgré ses recours. “Au bout d’un mois et demi, tous ceux qui avaient été dans les centres avec moi ont vu leur demande être refusée et ils ont été expulsé s", décrit le jeune homme. Selon lui, l’expulsion est quasiment systématique dans certains centres, notamment ceux de Trapani et Catania. “Là-bas, tu peux être sûr à 90% que tu vas être renvoyé en Tunisie”.
Résignation et Révolte
Dans les centres de rétention, l’incertitude et l’attente rythment le quotidien de ces personnes en sursis. “On était six par chambre. Rien n’est clair. Un coup, on nous dit qu’on va nous amener chez le docteur, une autre fois chez le psychologue, et à la fin personne ne vient”, rapporte Wael. “On n’a confiance en personne”.
Certain·es vivent très mal ces conditions d’isolement. “Un Tunisien avec nous était complètement déprimé”, raconte Louay . “Il n’en pouvait tellement plus qu’il a fait une tentative de suicide en s’immolant. Ils lui ont mis quelques pansements puis l’ont ramené dans sa chambre”.
À cette période, en 2021, la crise du Covid-19 bat son plein. Pour pouvoir expulser des individus, les autorités italiennes sont obligées de vérifier que personne n’est porteur du virus avant d’embarquer les passager·es vers leur pays d’origine. Louay et d’autres refusent à plusieurs reprises de faire le test.
“On m’a menacé plusieurs fois de me le faire de force (...). Une fois, j’ai demandé à parler à mon avocat. On m’a dit : ‘Fais ton test et on te laissera l’appeler’”, rapporte Louay. “Pareil pour parler avec ma famille".
Malgré ses refus, sa tentative de demande d’asile et ses multiples recours, Louay est finalement expulsé, tout comme Wael. Malgré les deux ans qui séparent leur expulsion respective, leur parcours est presque identique. “Un matin tôt, vers 2h du matin, on nous a mis dans un bus pour nous emmener vers une destination inconnue”, continue Louay. “On était 20, et seulement des Tunisiens”.
A l’aéroport, ils attendent quelques heures. Après un bref échange avec le consul, tous les passagers, escortés chacun par deux policiers, sont placés dans l’avion. Direction l’aéroport d’Enfidha Hammamet pour Louay, Tabarka pour Wael.
Ces témoignages confirment ce que le Garant national des droits des personnes privées de liberté observe depuis des années en suivant les vols de rapatriement. Selon son ex-président Mauro Palma, " les phases les plus problématiques sont celles qui précèdent l’arrivée à bord" : la phase de transfert du centre à l’aéroport, souvent sans avertissement, après un réveil brutal, au milieu de la nuit ou à l’aube ; l’attente à l’aéroport sans contrôle adéquat de l’état de santé physique et psychique des personnes ; l’utilisation de moyens de contrainte tels que des bandes Velcro appliquées aux poignets.
Pour citer à nouveau William Walters, qui place le phénomène des déportations aériennes dans le cadre plus large de la "géographie carcérale", les vols charters sont les maillons d’une "chaîne de détention" par laquelle les personnes sont "transférées d’un environnement à l’autre, d’une autorité à l’autre". D’autres chercheurs parlent de "couloirs de déportation" pour évoquer les différentes étapes et dimensions du phénomène.
Pour les personnes contraintes de quitter l’Italie, la phase de vol, une fois qu’elles sont escortées à bord, est souvent qualifiée de phase de "résignation", notamment parce qu’il n’existe pas de mécanisme de plainte en cas d’abus ou de mauvais traitements. “Dans l’avion, tout le monde était tranquille, que ce soit les hôtesses ou les passagers. On sait qu’il n’y a plus rien à faire et pas de solution”, commente Wael d’un ton désabusé.
Contrairement aux vols coordonnés par l’agence européenne Frontex, qui a introduit un nouveau mécanisme en 2019 - peu efficace selon de nombreux·ses expert·es -, les vols charters organisés par les autorités italiennes n’offrent pas de réelle "possibilité de plainte", confirme Mauro Palma. Comme dans le cas des centres de détention et de rapatriement, il peut arriver que le garant recueille des plaintes, puis les transmette au ministère de l’Intérieur, mais ce "dialogue" restera interne, sans conséquence pour la personne qui a voulu signaler un abus, et ne permettra pas d’alimenter les statistiques officielles sur ces plaintes. Et sans données, le problème n’existe pas.
Enfin, il ne faut pas oublier que sur ces vols, le rapport de force - deux ou trois agents d’escorte pour chaque personne rapatriée - est beaucoup plus déséquilibré que dans les centres de rétention et de rapatriement, où les émeutes non seulement éclatent, mais peuvent conduire à la fermeture partielle ou totale du centre de rétention, comme l’a encore montré la récente émeute du CPR de Milo.
Entreprises complices
Même lorsqu’ils ne sont pas le théâtre de violences physiques, les rapatriements forcés sont des opérations violentes, des démonstrations de force de la part des États qui "finissent par affecter les segments les plus faibles de la population étrangère", observe l’avocat Veglio. Il s’agit des groupes exclus, par le système discriminatoire des visas, des canaux de mobilité légale et sûre. En d’autres termes, toutes ces personnes qui, aujourd’hui, n’ont pas le droit de prendre un vol pour l’Italie, mais qui seront embarquées de force dans un avion pour en être expulsées.
En opérant ces vols, les compagnies deviennent complices et bénéficiaires de tout le système : plus les gouvernements accordent d’attention et de fonds aux rapatriements, plus les compagnies qui profitent d’une vision répressive et discriminatoire de l’immigration engrangent des revenus. Comme le rappelle Yasha Maccanico, l’obsession déjà manifeste des gouvernements européens pour les rapatriements risque de s’étendre grâce à la révision de la directive européenne sur le retour de 2008. La procédure, entamée en 2018, est actuellement bloquée au Parlement européen, qui n’est pas encore parvenu à une position commune. Mais selon Maccanico, la tentative est de présenter "tout facteur lié à l’état de santé, à l’âge ou aux droits de l’homme d’une personne comme un obstacle en matière de retour", et de ne plus les considérer comme des éléments "devant primer sur la directive retour".
Ces dernières années, des campagnes ont été lancées dans plusieurs pays contre les entreprises impliquées dans des opérations de rapatriement forcé par charter. Selon la chercheuse Sophie Lenoir, de l’organisation Corporate Watch, qui consacre un rapport annuel aux rapatriements forcés par charter depuis le Royaume-Uni, ces campagnes ont plus de chances d’aboutir si la compagnie visée "opère également des vols commerciaux, et se soucie donc davantage de son image de marque".
Sophie Lenoir cite l’exemple de Tui Airways (filiale britannique du groupe allemand Tui) qui, comme Aeroitalia, "propose également des vols commerciaux destinés aux familles qui partent en vacances". Au Royaume-Uni, après une importante campagne de dénonciation, "Tui a cessé de collaborer avec le Home Office dans le cadre d’opérations de rapatriement". Elle ajoute toutefois que cet impact présente des limites et qu’une entreprise n’arrête généralement ce type de vols " que temporairement, en attendant que l’attention du public retombe".
Un parallèle entre l’Italie et le Royaume-Uni émerge de l’analyse de Lenoir : tout comme en Italie, les personnes de nationalité tunisienne ont été pendant des années la principale cible des discours officiels contre l’immigration irrégulière, au Royaume-Uni, il en va de même pour la population albanaise. "Les Albanais", a dénoncé la philosophe britannico-albanaise Lea Ypi en 2022, "sont les victimes les plus récentes d’un projet idéologique qui, pour masquer ses propres échecs politiques, expose les minorités à des stéréotypes négatifs, à la xénophobie et au racisme".
Contre la logique des rapatriements
C’est ce même racisme que dénoncent les militant·es tunisien·nes, mères et sœurs de jeunes disparu·es ou mort·es en tentant de traverser la Méditerranée, dans un communiqué sur la répression du soulèvement du CPR Milo publié par l’association Mem.Med (Mediterranean Memory) : "Une fois de plus, nous constatons l’injustice d’une situation dans laquelle des jeunes sont traités comme des criminels en raison de leur migration”.
“Il n’y a personne qui va traverser la mer, sachant qu’il risque de mourir, sans bonne raison”, résume Louay.
Des compagnies aériennes, comme Aeroitalia et d’autres, collaborent ainsi à un système visant à la répression de plus en plus brutale du projet migratoire de milliers de jeunes à la recherche d’une vie meilleure en Italie, qui tenteront de quitter à nouveau la Tunisie à la première occasion. "La ré-émigration des migrants tunisiens donne la mesure de l’échec des accords de rapatriement entre l’Italie et la Tunisie", écrivait le chercheur David Leone Suber en 2019. "La ré-émigration de ceux qui ont été rapatriés doit être interprétée comme un acte conscient et subversif contre la logique des rapatriements et des déportations."
Wael est d’ailleurs reparti en Italie à peine quelques mois après avoir été expulsé. “De toute façon, je suis habitué aux tentatives ratées”, dit-il avec un sourire. “J’avais déjà tenté de passer par la Serbie en 2016-2017. Mais je me suis toujours dit qu’un jour, ça finirait bien par marcher”.
Cette fois, son bateau, avec à bord 42 personnes, part de Bizerte jusqu’en Sardaigne. La traversée dure 20h, et les derniers kilomètres sont réalisés avec l’armée italienne. A terre, il est amené vers un centre de rétention avec tous les autres passager·es. “Vers 4h du matin, je suis sorti et je me suis enfui. J’ai marché des kilomètres jusqu’à pouvoir prendre des transports jusqu’à une autre ville…”.
De fil en aiguille, le jeune homme réussit à rejoindre la France. Depuis trois mois, il est installé à Paris où il travaille au noir comme livreur, en attendant de trouver un moyen de stabiliser sa situation. Face à ces histoires, “difficile de croire aujourd’hui, à une libre circulation des personnes entre l’Italie et la Tunisie, comme c’était le cas dans les années 1990”, rappelle le chercheur David Leone Suber.
Le 27 mars, comme pour donner une fin ouverte à cette enquête, le ministère de l’Intérieur a publié une autre consultation de marché : sept ans après le résultat décevant de l’appel d’offres Consip, le Viminale recherche des candidats pour un service de transport aérien de migrants irréguliers pour une durée de 36 mois.
Comme indiqué dans la note technique, les principales destinations seront la Tunisie et l’Égypte. En cas de succès, l’appel d’offres sera remporté par un courtier et le nom de la compagnie aérienne responsable de ces vols “pas comme les autres”, restera méconnu, maintenant l’opacité sur les bénéficiaires de ce système d’expulsion.
▻https://inkyfada.com/fr/2024/06/24/expulsions-compagnie-italie-tunisie
#expulsions #renvois #Tunisie #migrations #réfugiés #sans-papiers #migrants_tunisiens #réfugiés_tunisiens #chiffres #statistiques #business #vols #coût #retours_forcés
ping @isskein @karine4 @_kg_
Come funzionano i voli di rimpatrio forzato dall’Italia alla Tunisia
Il 31 maggio 2024, dal suo account X (ex Twitter), il ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi annunciava: “Altri 35 migranti sono stati rimpatriati in Tunisia. Proseguono gli sforzi per dare risposte concrete al fenomeno della migrazione irregolare”. La fotografia di un aereo pronto al decollo sotto lo sguardo di un agente di polizia accompagnava il tweet.
L’immagine è rappresentativa dei rimpatri forzati via charter: voli programmati dalle autorità di un paese per espellere, contro la loro volontà, gruppi di persone alle quali è negata la possibilità di restare sul territorio nazionale. Per svolgere queste operazioni i governi si affidano a compagnie aeree che offrono servizi charter. Un intero aereo è noleggiato per trasportare una o più decine di persone, ognuna delle quali sarà scortata da due o tre agenti di polizia.
Nel caso dell’Italia, quelle persone sono in gran parte di nazionalità tunisina, come confermano i dati che ci ha fornito il ministero dell’interno. Nel 2023 sono state 2.006 su 2.506. Su 106 voli di rimpatrio via charter, settanta erano diretti in Tunisia. In partenza dall’aeroporto di Trieste o da quello di Roma, questi voli fanno sempre scalo a Palermo, dove le autorità consolari tunisine devono confermare pro forma – sulla base di un accordo bilaterale siglato il 5 aprile 2011 – l’identità delle persone che hanno ricevuto un decreto di espulsione. In alcuni casi il volo parte da Trieste, si ferma a Roma o a Bari per prendere altre persone da rimpatriare e agenti, poi prosegue verso Palermo (o parte da Roma e si ferma a Bari prima di andare a Palermo). All’aeroporto di Palermo è imbarcato anche chi arriva dai centri di permanenza per i rimpatri (cpr) siciliani. A quel punto l’aereo può decollare. Se la rotta seguita da questi voli è nota, i nomi delle compagnie che li operano sono invece tenuti segreti.
Una destinazione speciale
Roma, luglio 2023. Tra i cartelloni pubblicitari che svettano lungo le strade della capitale ci sono quelli di una compagnia aerea che ha da poco compiuto un anno e vanta ottimi prezzi per la Sicilia e la Sardegna. Aeroitalia, “la nuova compagnia italiana a capitale interamente privato”, come si legge sul sito, promette di “dare il miglior servizio possibile prendendoci cura dei nostri passeggeri con piccoli gesti, attenzioni e calore umano”.
Proprio in quei giorni, l’attivista e ricercatore senegalese Ibrahima Konate riceve un messaggio da un conoscente tunisino: il 20 luglio suo fratello è stato rimpatriato dall’Italia su un volo XZ7744 della compagnia Aeroitalia. La stessa operazione è segnalata dal sito d’informazione tunisino Falso e da Majdi Karbai, ex parlamentare e attivista tunisino, in un post pubblicato su Facebook il 21 luglio. Il numero del volo permette di fare una ricerca sui siti di monitoraggio del traffico aereo, tra cui FlightRadar: la mattina del 20 luglio, un velivolo Aeroitalia è effettivamente decollato dall’aeroporto di Fiumicino diretto in Tunisia. Dopo uno scalo a Palermo, è atterrato a Tabarka, 130 chilometri a ovest di Tunisi, quasi alla frontiera con l’Algeria. È l’aeroporto dove atterrano i voli di rimpatrio forzato in provenienza dall’Italia.
Nell’estate 2023 la Tunisia è al centro dell’attualità italiana ed europea. Dopo una prima visita ufficiale il 6 giugno, la presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni torna l’11 giugno a Tunisi in compagnia della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte. La speranza è quella di strappare al presidente tunisino Kais Saied un impegno a collaborare nella cosiddetta lotta contro l’immigrazione irregolare.
Poco importano la persecuzione delle persone di origine subsahariana in Tunisia, alimentata dalle posizioni xenofobe di Saied, e la crescente repressione della società civile. Il 16 luglio dell’anno scorso l’Unione europea firma con il paese nordafricano un memorandum d’intesa che dovrebbe rafforzare il quadro della loro cooperazione. La ricetta è sempre la stessa, quella con cui l’Ue tenta di assoldare i governi stranieri esternalizzando le sue politiche di chiusura e di respingimento: soldi in cambio di maggiore sorveglianza delle frontiere e di più riammissioni di cittadini e cittadine espulsi dal territorio europeo.
Per impedire alle persone di raggiungere l’Ue, i governi europei hanno diversi mezzi a disposizione. Alcuni sono più diretti: negargli il visto, respingere le imbarcazioni su cui viaggiano o non prestare soccorso in mare. Altri, più indiretti, sono applicati negli stati terzi (addestrare e finanziare chi intercetta le imbarcazioni, incoraggiare l’adozione di leggi che criminalizzano il traffico di migranti o l’emigrazione irregolare, promuovere tecnologie di sorveglianza sempre più sofisticate).
Per espellere una persona dall’Unione europea, invece, in genere il modo è solo uno: metterla su un aereo. Ed è qui che entrano in gioco le compagnie aeree, protagoniste e beneficiarie di un sistema ancora poco studiato.
Come osserva il ricercatore William Walters, “l’aviazione civile è il perno centrale delle espulsioni di persone dai paesi del nord, eppure chi fa ricerca sulle espulsioni si è raramente interessato alle questioni legate alla mobilità aerea”. Negli ultimi anni sono usciti i primi studi, tra cui un numero della rivista antiAtlas Journal curato dallo stesso Walters con i colleghi Clara Lecadet e Cédric Parizot. Nell’introduzione, i tre autori sottolineano come l’opacità del settore, in particolare quello delle espulsioni via charter, abbia ostacolato lo sviluppo della ricerca sul tema.
I rimpatri forzati possono svolgersi anche su voli di linea, imbarcando la persona prima degli altri passeggeri e isolandola nei posti in fondo. Ma c’è sempre il rischio che faccia resistenza, cercando di attirare l’attenzione degli altri passeggeri, e che il comandante finisca per farla sbarcare se la situazione a bordo diventa ingestibile. Tutto questo sui charter non succede. “Il vantaggio dei rimpatri via charter è che sono più facili da tenere sotto controllo”, riassume Yasha Maccanico, ricercatore dell’organizzazione Statewatch, che segue da vicino il tema dei rimpatri a livello europeo.
L’Italia predilige le espulsioni via charter e, per gestirle, ha adottato un sistema di rara macchinosità. L’accordo di cooperazione con la Tunisia del 2011 prevede la possibilità di rimpatriare – su due voli charter a settimana – un massimo di 80 cittadini tunisini (ogni volo è previsto per 20-40 persone da rimpatriare e 60-110 agenti di scorta).
Data la frequenza, un contratto a medio o a lungo termine per un servizio di trasporto aereo regolare sembrerebbe la soluzione più logica. E infatti nel 2016, sull’onda della cosiddetta crisi migratoria del 2015, la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana (Consip) ha lanciato una gara d’appalto in questo senso (del valore di 31 milioni e 500mila euro), su incarico della direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere e del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. La gara, che riguardava tutti i voli di rimpatrio, non solo quelli per la Tunisia, è andata deserta. In una nota tecnica, che abbiamo ottenuto attraverso richiesta di accesso civico generalizzato, la Consip spiega i motivi di questo disinteresse: per le aziende del settore, le troppe variabili legate al servizio richiesto (in particolare i tempi di programmazione dei voli di rimpatrio e il numero di persone da trasferire) lo renderebbero difficilmente conciliabile con la loro normale attività di trasporto aereo.
E così l’Italia, a differenza di altri paesi europei (tra cui la Spagna, la Germania e il Regno Unito), ha continuato a indire una gara d’appalto per ogni volo.
Il sistema degli appalti
Nei documenti pubblicati dal ministero sui rimpatri via charter verso la Tunisia non compare mai il nome di una compagnia aerea. Le gare d’appalto sono tutte vinte da due società d’intermediazione (o broker), la tedesca Professional aviation solutions (Pas) e la britannica Air partner (acquisita nel 2022 dalla statunitense Wheels up), che si spartiscono il mercato. Le compagnie aeree forniscono i mezzi e il personale senza i quali i rimpatri sarebbero impossibili, ma sono i broker a permettere che la macchina dei rimpatri giri senza sosta.
Fino alla fine del 2023, per ogni volo charter di rimpatrio il ministero pubblicava il testo della gara d’appalto (“determina”) per un volo programmato in genere una settimana dopo, e il risultato della gara (“avviso di appalto aggiudicato”). Oltre al nome del broker selezionato, gli avvisi di appalto aggiudicato indicavano il numero di offerte ricevute dal ministero dell’interno per il volo in questione (spesso due, a volte una) e il costo dell’offerta selezionata. Il nome della compagnia che avrebbe operato il volo, e intascato quindi il grosso di quella cifra, non era precisato.
Alle nostre domande la segreteria del dipartimento della pubblica sicurezza ha risposto di “non avere contatti diretti” con Aeroitalia, dato che “l’affidamento del servizio al vettore individuato tra quelli con l’offerta migliore avviene attraverso una società terza – ‘broker’”. E infatti, cercando sul sito del ministero dell’interno i documenti relativi al volo Roma-Palermo-Tabarka del 20 luglio 2023, scopriamo solo che l’appalto è stato vinto dalla Pas con un’offerta di 115.980 euro.
Inoltre, fino alla fine del 2023 gli avvisi di appalto aggiudicato precisavano che il subappalto non era possibile. Eppure il servizio di trasporto aereo era eseguito da un terzo (il vettore) rispetto all’aggiudicatario, ovvero il broker. Sempre fino alla fine del 2023, la procedura di appalto non era aggiornata: gli avvisi di appalto aggiudicato contenevano la lista degli operatori economici invitati a partecipare alla gara, lista che includeva Mistral air (diventata Poste air cargo nel 2019), Meridiana (che ha chiuso nel 2018) e il broker Astra associated services (che risulta in liquidazione).
Per i voli operati dall’inizio del 2024 il ministero dell’interno ha modificato i documenti disponibili sul sito. Sono sempre presenti i bandi delle gare d’appalto (con la novità che una gara può riguardare due voli operati la stessa settimana – il primo da Trieste, il secondo da Roma – e che la spesa massima dev’essere inferiore a 110mila euro invece dei precedenti 140mila euro), mentre sono spariti gli avvisi di appalto aggiudicato. Impossibile quindi sapere chi è stato invitato a partecipare alla gara e quante offerte sono state presentate. Sparito anche il riferimento al divieto di subappalto. Tra i nuovi documenti disponibili ci sono i contratti con i broker aggiudicatari, ma neanche qui c’è il nome della compagnia aerea incaricata di operare il volo.
Questa opacità non caratterizza solo i rimpatri charter dall’Italia. Come riferisce il ricercatore Matthias Monroy, nell’agosto 2023 il ministero dell’interno tedesco, rispondendo a un’interrogazione parlamentare del partito Die Linke, ha definito “confidenziali” i dati sulle compagnie di voli charter che guadagnano con i rimpatri, perché “queste informazioni potrebbero esporre le compagnie a ‘critiche da parte dell’opinione pubblica’, ostacolando le operazioni di rimpatrio”.
Anche il ministero dell’interno italiano ha respinto la nostra richiesta di conoscere i nomi di queste compagnie, ma dando un’altra spiegazione. La pubblicazione delle offerte ricevute per ogni volo di rimpatrio, in cui oltre al nome del broker compare il nome della compagnia che opererebbe il volo, non sarebbe di interesse pubblico. Abbiamo presentato un’istanza di riesame, e nella sua risposta dell’8 maggio il ministero dell’interno si è limitato a rinviare ai documenti disponibili sul sito.
Nel frattempo, un intoppo informatico (o, più probabilmente, un errore umano) ha reso possibile la consultazione di due di queste offerte. Il 13 novembre 2023 sono state pubblicate le offerte ricevute dai soliti broker per il volo del 12 ottobre 2023, con partenza da Trieste, scalo a Palermo e arrivo a Tabarka. Fatto sorprendente, sia la Pas sia la Air partner avevano proposto per quel volo un aereo della compagnia spagnola Albastar, chiedendo rispettivamente 71.200 euro e 71.880 euro. Ha vinto la Pas, con l’offerta più bassa, ma Albastar si sarebbe in ogni caso aggiudicata quel volo.
Tredici voli
Torniamo ad Aeroitalia. Cercando il volo XZ7744 su FlightRadar, vengono fuori tredici voli operati su Tabarka tra il 20 luglio e il 3 ottobre, nelle stesse date e lungo le stesse tratte indicate nei documenti pubblicati dal ministero dell’interno. Dagli avvisi di appalto aggiudicato, sappiamo che i bandi per quei voli sono stati vinti dalla Pas, e conosciamo la cifra richiesta, come per esempio nel caso del volo del 20 luglio.
La commissione trattenuta dai broker, secondo un esperto del settore che desidera restare anonimo, è compresa tra il 3 e il 5 per cento. Se ipotizziamo una commissione massima del 5 per cento trattenuta dalla Pas, per quei tredici voli Aeroitalia potrebbe aver incassato quasi 1.380.000 euro. Gli altri due voli Aeroitalia nel 2023 risalgono al 17 gennaio e al 31 gennaio (rintracciati su FlightRadar con il numero XZ8846), sempre per conto della Pas, che ha incassato rispettivamente 71.490 euro e 69.990 euro.
Da ulteriori ricerche su FlightRadar emerge che Aeroitalia avrebbe cominciato a operare voli di rimpatrio già nel 2022. Ne abbiamo rintracciati il 13 e 18 ottobre, l’8 e il 15 novembre e il 29 dicembre, con i numeri di volo XZ8452, XZ8535 e XZ8846. Nel luglio 2022, quindi poco dopo il lancio della compagnia, l’allora primo velivolo Aeroitalia, il Boeing 737-85f 9h-cri, è stato noleggiato per portare Zubin Mehta e l’orchestra e il coro del Maggio musicale fiorentino a Malaga in occasione di un concerto. Il volo di ritorno ha avuto un ritardo di diciassette ore. In quel lasso di tempo, secondo i dati disponibili su FlightRadar, l’aereo ha effettuato vari spostamenti, tra cui un volo Roma-Bari-Palermo-Tabarka (numero AEZ4410).
Né la Pas né Aeroitalia hanno risposto alle nostre richieste di commento.
Un’azienda che fa parlare di sé
Fondata nell’aprile 2022 dal banchiere francese Marc Bourgade e dall’imprenditore boliviano Germán Efromovich, Aeroitalia è guidata da Gaetano Francesco Intrieri, esperto di trasporto aereo e, per un breve periodo nel 2018, consulente dell’allora ministro dei trasporti Danilo Toninelli. Bourgade è una figura poco nota al grande pubblico, mentre in passato sia Efromovich sia Intrieri sono finiti al centro di alcuni processi per reati di corruzione e bancarotta. Efromovich è stato assolto, Intrieri condannato ma la sentenza a due anni e quattro mesi è stata poi cancellata nel 2006 dall’indulto. Dal novembre 2023 Aeroitalia può contare anche sui servizi di Massimo D’Alema, assunto come consulente.
Dal 2004 al 2019 Efromovich è stato l’amministratore delegato della holding aeronautica latinoamericana Avianca holdings (oggi Avianca group). Determinato a entrare nel mercato italiano, avrebbe voluto acquisire Alitalia, ma ha finito per lanciare Aeroitalia. L’azienda si è fatta rapidamente notare per la disinvoltura con cui chiudeva rotte appena aperte, scatenando le ire di diversi aeroporti, tanto da spingere l’Enac a intervenire con una diffida il 31 ottobre 2023.
Intervistato dal Corriere della Sera nell’aprile 2022, al momento del lancio della compagnia, Intrieri spiegava che Aeroitalia si sarebbe concentrata da subito sul mercato charter “perché in Italia è semi-morto, ma pure le compagnie aeree charter qui sono semi-morte”. Nello stesso periodo, Marc Bourgade dichiarava all’Air Financial Journal che la nuova compagnia si sarebbe concentrata “prima sui voli charter perché garantiscono ricavi dal giorno in cui otteniamo il certificato di operatore aereo”. E infatti il primo volo operato da Aeroitalia, il 3 maggio 2022, è stato un charter Bologna-Valencia che trasportava la squadra di pallacanestro Virtus Segafredo Bologna.
Da allora, tra le collaborazioni strette con altre squadre sportive, Aeroitalia è diventata partner ufficiale dell’Atalanta (ottobre 2022), della Lazio (agosto 2023) e della squadra di pallavolo femminile Roma volley club (dicembre 2023).
Non tutti i voli charter sono uguali
Ma trasportare squadre di sportivi, o comitive di turisti, è un conto. Un altro è trasportare contro la loro volontà persone verso la Tunisia, paese che secondo esperti e tribunali non può essere considerato sicuro.
In una ricerca pubblicata nel 2022, il Center for human rights dell’università di Washington ha rivelato come negli Stati Uniti molte squadre sportive e molti artisti viaggiassero a loro insaputa su aerei charter usati in altri momenti per operazioni di rimpatrio spesso violente.
L’esempio della Tunisia è emblematico: i numeri relativi ai rimpatri danno un’idea della “serializzazione” alla base di questo sistema, osserva l’avvocato Maurizio Veglio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Per sperare di riempire due voli charter a settimana bisogna poter contare su un ampio bacino di persone rimpatriabili. E una persona è tanto più facilmente rimpatriabile quanto limitate sono le sue possibilità non solo di ottenere una qualche forma di protezione, ma perfino di chiederla.
Rispetto ai cittadini tunisini l’Italia ha agito su entrambi i fronti. Nel 2019 ha inserito la Tunisia nella lista dei cosiddetti paesi di origine sicuri, uno strumento che, pur essendo previsto dal diritto dell’Unione europea (la direttiva procedure del 2013), “è ontologicamente contrastante con la procedura di protezione internazionale, cioè con la valutazione sul diritto del singolo di essere protetto”, denuncia Veglio. Queste liste, adottate anche da altri paesi, oltre che dalla stessa Ue, sono “uno strumento al servizio delle autorità per rendere praticamente automatiche le risposte negative. Si tratta dell’ennesima forzatura che cerca di rendere la valutazione della domanda di protezione internazionale un mero incidente burocratico, da assolvere nel minor tempo possibile, per poter archiviare la procedura e avviare il processo di rimpatrio”.
Secondo Veglio, l’inserimento della Tunisia nella lista di paesi di origine sicuri “disincentiva le domande di protezione, il cui esito è in parte pregiudicato dalla semplice cittadinanza del richiedente. D’altra parte le persone di nazionalità tunisina che non richiedono la protezione, una volta sbarcate in Italia, ricevono un decreto di respingimento, possono essere trattenute e, in un lasso temporale estremamente ridotto, rischiano il rimpatrio. Il meccanismo è così rapido da vanificare la possibilità di un diritto di difesa effettivo”.
Wael ne sa qualcosa: arrivato a Pantelleria il 1 giugno 2023, dopo una settimana è trasferito nel cpr di Milo, a Trapani. Gli è concesso di fare una telefonata di un minuto. L’amica che chiama gli consiglia di presentare una domanda di protezione. Ma un altro tunisino detenuto nel centro lo avverte: “Qui non danno più l’asilo”. Nel 2022 il 76,6 per cento delle richieste di protezione presentate da persone di nazionalità tunisina è stato respinto, il tasso di rifiuto più alto dopo quello dell’Egitto (90,3 per cento) e del Bangladesh (76,8 per cento).
In seguito due agenti di polizia si presentano accompagnati da una traduttrice marocchina, che invita Wael a firmare un foglio: “Mi sono rifiutato, e lei mi ha detto che tanto lo avrebbero firmato al mio posto. Allora ho ceduto. Dopo varie settimane trascorse nel centro, ho visto quali erano le nazionalità più espulse. Grazie agli accordi, tunisini ed egiziani sono sempre espulsi: noi il martedì e il giovedì, loro il mercoledì”. Prevedibilmente, la sua domanda di protezione è respinta.
Attesa e incertezza
Nei cpr, i giorni scorrono nell’attesa e nell’incertezza. “Eravamo sei in una stanza”, ricorda Wael. “Nessuno ti spiegava nulla. Magari venivano e ti dicevano che sarebbero tornati per portarti dal dottore, oppure dallo psicologo, per verificare se eri davvero minorenne, ma poi non tornavano. Non potevi fidarti di nessuno”. C’è chi non sopporta l’isolamento. “Un tunisino detenuto con noi era talmente depresso che ha provato a darsi fuoco”, racconta Wael. “Gli hanno messo qualche benda e l’hanno rispedito in stanza”.
Louay (nome di fantasia) ha vissuto un’esperienza simile, due anni prima. Nel 2021, al momento del suo arrivo in Italia e della sua immediata detenzione, la pandemia era ancora in corso. Prima di procedere a un rimpatrio, le autorità dovevano fare un tampone per il covid. Louay e altri si sono rifiutati. “Mi hanno minacciato più volte di farmelo con la forza. Quando ho chiesto di poter parlare con il mio avvocato, mi hanno risposto: ‘Fai il test e poi potrai chiamarlo’. Stessa cosa se volevo parlare con la mia famiglia”. Anche Louay, come Wael, è stato espulso, in circostanze simili. “Una notte, verso le due, ci hanno fatto salire su un autobus senza dirci dove fosse diretto”, ricorda. “Eravamo in venti, tutti tunisini”.
All’aeroporto di Palermo hanno aspettato varie ore prima di essere imbarcati. L’incontro con il console tunisino è durato pochissimo. “Un minuto al massimo!”, dice Louay. “Gli ho detto che avevo chiesto l’asilo e che non volevo tornare in Tunisia. Ha risposto solo ‘Ok’”.
“A me ha chiesto da dove venissi in Tunisia e perché fossi venuto in Italia”, dice Wael. “Poi ha aggiunto che saremmo stati tutti espulsi”. Ammanettati, scortati da due agenti di polizia, Wael e Louay hanno affrontato l’ultima tappa: il volo charter.
Rassegnazione e rivolta
Le loro testimonianze confermano quanto osservato dal garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale in anni di monitoraggio di voli di rimpatrio. Secondo l’ex presidente Mauro Palma, “le fasi più problematiche sono quelle che precedono l’arrivo a bordo”: il trasferimento dal centro in aeroporto, spesso senza preavviso, dopo un risveglio brusco, in piena notte o all’alba; l’attesa in aeroporto senza che siano fatte le adeguate verifiche sullo stato di salute fisica e mentale delle persone; l’uso di mezzi contenitivi come le fascette di velcro applicate ai polsi.
Per citare di nuovo William Walters, che inserisce il fenomeno dei rimpatri aerei nel quadro più ampio della “geografia carceraria”, i voli charter sono anelli di una custodial chain (“catena di custodia”) attraverso la quale le persone sono “trasferite da un ambiente all’altro, da un’autorità alla seguente”. Altri ricercatori parlano di deportation corridor, corridoi della deportazione, per evocare le diverse tappe e dimensioni del fenomeno.
Una volta scortate a bordo, per le persone costrette a lasciare l’Italia quella del volo è spesso definita la fase della “rassegnazione”, anche perché non esiste un meccanismo di reclamo in caso di abusi o maltrattamenti. A differenza dei voli di rimpatrio coordinati dall’agenzia europea Frontex, che ha introdotto un simile meccanismo nel 2019 (poco efficace, secondo vari esperti), i voli charter organizzati dalle autorità italiane non offrono una reale “possibilità di reclamo”, conferma Mauro Palma.
Come nel caso dei centri per il rimpatrio, può succedere che il garante raccolga dei reclami, per poi trasmetterli al ministero dell’interno, ma è uno scambio informale, privo di conseguenze per la persona che ha voluto denunciare un abuso, e non permetterà di alimentare statistiche ufficiali su queste denunce. E senza dati, il problema non esiste.
Infine, non bisogna dimenticare che su quei voli il rapporto di forza – due o tre agenti di scorta per ogni persona rimpatriata – è molto più squilibrato rispetto a quanto accade nei cpr, dove le rivolte non solo scoppiano, ma possono portare alla chiusura parziale o totale della struttura detentiva, come ha dimostrato ancora una volta la rivolta nel cpr di Milo-Trapani a febbraio 2024 (ricostruita da diverse associazioni in un comunicato pubblicato sul sito di Melting Pot Europa).
Campagne di denuncia
Anche quando non sono teatro di violenze fisiche, i rimpatri forzati sono operazioni violente che “finiscono per colpire la fasce più deboli della popolazione straniera”, osserva Veglio. Quelle fasce escluse, attraverso il sistema discriminatorio dei visti, dai canali della mobilità legale e sicura.
Come ricorda Yasha Maccanico, l’ossessione dei governi europei per i rimpatri rischia di dilagare grazie alla revisione della direttiva europea sui rimpatri del 2008. Avviata nel 2018, la procedura di revisione è al momento bloccata al parlamento europeo, che non ha ancora raggiunto una posizione comune. Ma secondo Maccanico, il tentativo è quello di presentare “ogni fattore legato allo stato di salute, all’età o ai diritti umani di una persona come un ostacolo rispetto al rimpatrio”, invece di considerarli elementi “che dovrebbero prevalere sulla direttiva rimpatri”.
Negli ultimi anni in diversi paesi sono state lanciate campagne di denuncia contro le compagnie che partecipano alle operazioni di rimpatrio forzato via charter. Secondo la ricercatrice Sophie Lenoir, dell’organizzazione Corporate watch (che ogni anno dedica un rapporto ai rimpatri forzati via charter dal Regno Unito), queste campagne hanno più probabilità di successo se la compagnia presa di mira “opera anche voli commerciali, e tiene quindi di più alla propria immagine pubblica”.
Lenoir fa l’esempio di Tui airways (sussidiaria britannica del gruppo tedesco Tui group) che, come Aeroitalia, “propone anche voli commerciali puntando sulle famiglie che partono in vacanza”. Nel Regno Unito, dopo una grossa campagna di denuncia, nel 2022 “Tui ha smesso di collaborare con il ministero dell’interno nel quadro delle operazioni di rimpatrio”, spiega Lenoir, aggiungendo però che una compagnia può interrompere questo tipo di voli “solo temporaneamente, nell’attesa che cali l’attenzione dell’opinione pubblica”.
Dall’analisi di Lenoir emerge un parallelo tra Italia e Regno Unito: proprio come in Italia le persone di nazionalità tunisina sono da anni tra i principali bersagli dei discorsi ufficiali contro l’immigrazione irregolare, nel Regno Unito lo stesso sta succedendo con la popolazione albanese. “Gli albanesi”, denunciava nel 2022 la filosofa britannico-albanese Lea Ypi, “sono le vittime più recenti di un progetto ideologico che, per mascherare i propri fallimenti politici, espone le minoranze alla stereotipizzazione negativa, alla xenofobia e al razzismo”.
Quello stesso razzismo denunciato dalle attiviste tunisine, madri e sorelle dei giovani scomparsi o deceduti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, dopo la repressione della rivolta al cpr di Milo: “Ancora una volta, constatiamo l’ingiustizia di una situazione in cui dei giovani sono trattati come criminali per colpa della loro migrazione”, si legge nel loro comunicato, diffuso dall’associazione Mem.Med (Memoria Mediterranea).
“Nessuno attraversa il mare, sapendo che rischia di morire, senza una buona ragione”, dice Wael, che ha ripreso la via del mare pochi mesi dopo la sua espulsione. “Tanto ero abituato ai tentativi falliti”, commenta con un sorriso. “Avevo già provato a raggiungere l’Europa passando per la Serbia nel 2016-2017. Mi sono sempre detto che prima o poi ce l’avrei fatta. Con quello che guadagnavo in Tunisia è impossibile vivere”.
“L’emigrazione di migranti tunisini già rimpatriati dà una misura del fallimento degli accordi sui rimpatri tra Italia e Tunisia”, scrive il ricercatore David Leone Suber. “I loro tentativi devono essere interpretati come atti coscienti e sovversivi nei confronti della logica dei rimpatri”.
La terza volta, a fine dicembre del 2023, Wael è partito dalla città tunisina di Biserta: “Eravamo in 84, ci hanno divisi su due gommoni, diretti in Sardegna. Ci sono volute venti ore. È stato un viaggio lungo e stancante. Per l’ultimo tratto siamo stati scortati dall’esercito italiano”. A terra, Wael è stato trasferito in un centro. “Verso le quattro del mattino sono scappato. Ho camminato per alcuni chilometri fino a un’altra città…”. Dopo varie tappe, è riuscito ad arrivare in Francia. Ora vive a Parigi, dove lavora in nero come corriere per Deliveroo, nell’attesa di riuscire a regolarizzare la sua situazione.
Sentendo queste storie, è difficile credere che fino agli anni novanta, ovvero fino ai “primi decreti sull’introduzione di visti e restrizioni per i cittadini di paesi terzi”, esisteva “il libero movimento di persone tra Italia e Tunisia”, come ricorda Suber. Ora quel periodo sembra lontano anni luce (come lontanissima sembra l’epoca tra le due guerre mondiali, evocata in un recente articolo dalla politologa Speranta Dumitru, in cui gli europei odiavano una recente invenzione chiamata passaporto).
Il 27 marzo 2024 il ministero dell’interno italiano ha pubblicato una consultazione di mercato diversa: sette anni dopo l’esito deludente della gara Consip, il Viminale cerca candidati per un servizio di “trasporto aereo di migranti irregolari” della durata di 36 mesi. Le “manifestazioni di interesse” andavano mandate entro il 17 aprile. Come si legge nella nota tecnica, le destinazioni principali saranno la Tunisia e l’Egitto. Se andrà in porto, la gara d’appalto sarà vinta da un broker, e si porrà di nuovo il problema della mancata trasparenza sui nomi delle compagnie aeree coinvolte.
▻https://www.internazionale.it/reportage/haifa-mzalouat/2024/06/24/voli-rimpatrio-italia-tunisia
Le gouvernement allemand envisage des #déportations vers l’Afghanistan via l’Ouzbékistan, rapporte Der Spiegel
Le gouvernement allemand et l’#Ouzbékistan mènent des discussions en vue de permettre des déportations de migrants se trouvant en #Allemagne vers l’#Afghanistan, sans organiser de consultations directes avec les taliban, rapporte dimanche le magazine allemand Der Spiegel.
Le ministère allemand de l’Intérieur a envoyé dans ce but une délégation à Tachkent, la capitale de l’Ouzbékistan, à la fin du mois de mai, a indiqué le magazine, sans dévoiler ses sources.
La délégation allemande a proposé au gouvernement ouzbek que les Afghans candidats à la déportation soient envoyés à #Tachkent, d’où ils pourraient être transportés à Kaboul par avion, écrit Der Spiegel.
Le ministère allemand de l’Intérieur n’a pas immédiatement fait de commentaire.
La ministre de l’Intérieur Nancy Faeser a déclaré plus tôt dans le mois que l’Allemagne envisageait de déporter les migrants originaires d’Afghanistan qui représentaient une menace pour la sécurité.
Une telle décision serait toutefois controversée, l’Allemagne ne déportant pas de personnes vers des pays où leur vie est menacée. Berlin a cessé les déportations vers l’Afghanistan après la prise de pouvoir des taliban en 2021.
Tachkent veut néanmoins signer avec Berlin un #accord définitif visant à réglementer l’entrée de travailleurs qualifiés ouzbeks en Allemagne avant de sceller un pacte sur la question des déportations, selon Der Spiegel.
Le délégué spécial du gouvernement fédéral allemand aux accords migratoires se rendra en Ouzbékistan la semaine prochaine afin de discuter de l’accord concernant les travailleurs ouzbeks, précise Der Spiegel.
▻https://www.msn.com/fr-fr/actualite/monde/le-gouvernement-allemand-envisage-des-d%C3%A9portations-vers-lafghanistan-via-louzb%C3%A9kistan-rapporte-der-spiegel/ar-BB1ojW9N
#renvois #expulsions #asile #migrations #réfugiés #migrants_ouzbeks
via @karine4
Merkel, revient, ils sont devenus fous…
Rien de nouveau à l’horizon...
En 2014, j’écrivais ceci :
La légende allemande du « retour heureux » des requérants d’asile
La Croix-Rouge bavaroise publie sur son site une brochure imaginant le bonheur de rentrer au pays pour les enfants de requérants. Face à une pluie de critiques, la brochure est retirée.
►https://www.lacite.info/politiquetxt/2014/04/15/letrange-legende-allemande-du-retour-heureux-des-requerants-dasile
voir aussi ce fil de discussion :
▻https://seenthis.net/messages/534266
Bah, à Berlin on pratique déjà les retours forcés en Afghanistan. Je ne comprends pas cette discussion. Il n’y a rien de nouveau.
▻https://www.berliner-zeitung.de/mensch-metropole/abschiebung-nach-afghanistan-unmoeglich-berlin-macht-es-laengst-li.
Abschiebungen nach Afghanistan unmöglich? Berlin macht es auch nach Machtübernahme durch Taliban
Neue Zahlen aus Berlins Innenverwaltung zeigen, wie viele Menschen in welche Länder abgeschoben wurden. Einige Staaten stechen besonders heraus.
Andreas Kopietz
19.06.2024
Livres autour des « #enfants_du_placard » en #Suisse... c’était les années #Schwarzenbach (▻https://fr.wikipedia.org/wiki/Initiatives_suisses_contre_la_surpopulation_%C3%A9trang%C3%A8re)...
Enfants du placard. À l’école de la clandestinité
« Dans les #armoires des #saisonniers, il y a plus d’enfants que de chemises. » Cette réplique de Nino, personnage principal du film Pane e cioccolata (1974), dévoile avec une ironie amère la situation vécue par des milliers d’enfants clandestins en Suisse, victimes de l’interdiction du regroupement familial. C’est la voix de ces #enfants aujourd’hui devenus adultes que cet ouvrage invite à entendre. Des #témoignages qui permettent de donner la parole à celles et à ceux qui en ont été privés, mais aussi de découvrir le revers de la médaille des « Trente Glorieuses ».
▻https://www.alphil.com/livres/1347-enfants-du-placard.html
#migrations #livre
–-
voir aussi ce fil de discussion où est notamment signalé ce livre :
Celeste, l’enfant du placard. La migration italienne en Suisse
Cette bande dessinée évoque la rencontre de Léane, adolescente d’origine italienne, et de sa voisine, Celeste. Fille de saisonnier italien et enfant cachée dans les années 60/70, Celeste a vécu les conséquences du #statut de son père qui interdisait le #regroupement_familial. À travers les yeux de Léane, c’est l’histoire passée de l’immigration italienne en Suisse qui est évoquée.
▻https://www.antipodes.ch/produit/celeste-lenfant-du-placard
#BD #bande_dessinée #migrants_italiens
L’Enfant du placard
C’est l’automne et Claire trouve dans les affaires que sa mère lui a léguées une lettre faisant mystérieusement mention de deux personnes qu’elle n’a jamais connues : Tatiana et Enzo. Intriguée, elle décide de mener l’enquête pour découvrir qui ils sont. Petit à petit, le mystère envahit son quotidien d’habitude si bien rangé et elle part sur les traces de ces deux inconnus, accompagnée d’un archiviste récemment rencontré. Le voyage qu’elle entreprendra la mènera sur les traces d’un passé inconnu qui la forcera à se redécouvrir.
De l’Italie à la Suisse, des années 1960 aux années 2000, ce roman entre en résonance avec la réalité de tant de personnes aujourd’hui : le déracinement, la recherche d’un lieu de paix et de travail, l’identité de celles et ceux qui se construisent entre deux lieux, les conflits mais aussi les rapprochements entre des êtres humains qui doivent apprendre, et réapprendre, à vivre ensemble.
Comment les Vietnamiens sont devenus parmi les principaux migrants sur les « small-boats » vers l’Angleterre - InfoMigrants
▻https://www.infomigrants.net/fr/post/57420/comment-les-vietnamiens-sont-devenus-parmi--les-principaux-migrants-su
Comment les Vietnamiens sont devenus parmi les principaux migrants sur les « small-boats » vers l’Angleterre
Par Louis Chahuneau Publié le : 30/05/2024
Depuis le début de l’année, les migrants vietnamiens sont de plus en plus nombreux à traverser la Manche en direction du Royaume-Uni. Depuis le drame du camion charnier en 2019 où 39 Vietnamiens avaient trouvé la mort par asphyxie en se rendant de manière irrégulière au Royaume-Uni, les exilés originaires du Vietnam continuent de tenter d’atteindre les côtes britanniques, mais par voie maritime.
Au Royaume-Uni, 10 Downing street tremble. À cinq semaines des élections législatives britanniques, le Premier ministre conservateur Rishi Sunak ne parvient pas à limiter le nombre de migrants arrivant par bateau au Royaume-Uni : elles ont atteint un record sur les premiers mois de l’année 2024 avec 10 000 passages.Récemment, le ministère de l’Intérieur britannique a constaté un autre phénomène inquiétant. Depuis le début de l’année, la part de migrants vietnamiens sur les « small-boats » a considérablement augmenté. Entre janvier et mars 2024, 1 060 personnes originaires du Vietnam ont débarqué au Royaume-Uni par bateau, soit 14% du total des arrivées. Selon les médias britanniques, ils représentent désormais la plus large communauté qui traverse la Manche.
« Une théorie sur l’augmentation récente des traversées en bateau est que l’autre itinéraire irrégulier, à l’arrière d’un camion à travers le tunnel sous la Manche, est devenu plus difficile en raison des réglementations récemment mises en œuvre dans le cadre du Brexit. Cela a poussé les migrants vietnamiens à emprunter les petites embarcations », explique à InfoMigrants Seb Rubsy, sociologue britannique à l’Université de Birmingham et spécialiste de cette communauté. « Avec le Brexit, les échanges commerciaux entre le Royaume-Uni et l’Europe continentale ont été réduits, ce qui a entraîné une diminution du nombre de camions transportant des marchandises entre les deux régions », complète Mimi Vu, experte indépendante sur le trafic d’êtres humains.
En 2019, la Grande-Bretagne a par ailleurs été marquée par la tragédie du camion charnier retrouvé dans l’Essex, dans lequel 39 migrants vietnamiens avaient trouvé la mort par asphyxie. Un drame qui a également participé au changement de méthode. Chez les bénévoles français qui maraudent sur les plages du nord, c’est un peu la sidération. « À notre grande surprise, on a constaté depuis le début de l’année beaucoup de Vietnamiens sur la côte. C’est incroyable, c’est une population qu’on ne croisait pas du tout avant », raconte à InfoMigrants Olivier Ternisien d’Osmose 62 qui patrouille sur les plages dans le Boulonnais et le Montreuillois.
« On croise autant de femmes que d’hommes, des personnes plutôt jeunes mais je n’ai pas vu de familles avec enfants », ajoute Sophie Roux, de la même association, qui se souvient d’une communauté un peu plus argentée que d’autres : « Quand ils échouent à traverser, ils ne cherchent même pas à négocier le prix des taxis pour rentrer vers Dunkerque », se souvient-elle. Même écho chez les bénévoles d’Utopia 56. « Depuis l’été dernier, on voit de plus en plus de Vietnamiens sur le littoral nord, surtout à Grande-Synthe et Dunkerque », commente Angèle Vettorello, coordinatrice de l’association à Grande-Synthe.
Dans les années 2010, les Vietnamiens se regroupaient essentiellement vers Angres (Pas-de-Calais), à une centaine de kilomètres des côtes françaises. Les médias avaient même surnommé cette ville « Vietnam city » en raison de l’entraide qui régnait entre l’ex-municipalité communiste et cette communauté asiatique à qui elle avait mis un local à disposition. Mais les temps ont changé et le hangar a fermé en 2018. Désormais, les Vietnamiens se mélangent d’avantage aux autres communautés (kurde, bangladaise ou encore soudanaise). « Il y a de plus en plus de Vietnamiens qui viennent sur les points de distribution, ce qui nous a poussé à traduire nos textes de prévention en vietnamien », explique encore Salomé Bahri d’Utopia 56. « Parfois on voit des Kurdes et des Vietnamiens prendre un bateau ensemble. Je pense que les communautés se mélangent de plus en plus car le nombre de passagers par ’small-boat’ est de plus en plus élevé ». (...)
Les migrants vietnamiens peuvent aussi compter sur l’appui d’une communauté historiquement établie en France. Fin mai, une opération de police conjointe menée par les services de l’Office central de lutte contre le trafic illicite de migrants (OLTIM) et la police anglaise ont permis de démanteler une filière de passeurs de migrants entre la France et le Royaume-Uni. Douze personnes, soupçonnées d’être des logeurs ou des convoyeurs, ont été arrêtées en banlieue parisienne, tandis que quatre autres ont été interpellées en Angleterre. Parmi eux, un jeune homme de 25 ans, surnommé
Cette opération de police a permis de comprendre comment fonctionne les réseaux de passeurs vietnamiens. « Pour diminuer leurs frais de passages clandestins, les migrants transportaient de la métamphétamine, afin d’alimenter les trafiquants asiatiques du Val-de-Marne », expliquent les enquêteurs français dans un document consulté par InfoMigrants. Lors d’une perquisition, les policiers ont notamment découvert chez l’un des suspects 218 grammes de kétamine, 102 grammes de méthamphétamine et 36 grammes d’ecstasy, des drogues de synthèse.
"Depuis la tragédie de l’Essex, les trafiquants demandent dorénavant 50 000 dollars [environ 46 000 euros, ndlr], voire plus, et prétendent garantir la sûreté du voyage jusqu’au Royaume-Uni avec un emploi à la clé, expliquaient dans une étude parue en 2020 les expertes indépendantes Nadia Sebatoui et Mimi Vu. « Les familles empruntent au moins la moitié de la somme totale pour payer la première partie du voyage du Vietnam jusqu’à un pays européen (…) Les trafiquants et les groupes criminels utilisent cette situation d’endettement pour exercer un contrôle sur le migrant tout au long du voyage, ce qui l’oblige à se soumettre en route à des situations d’exploitation, par exemple en étant forcé de travailler dans un atelier clandestin ou de vendre des médicaments contrefaits. »
Le réseau franco-britannique logeait des migrants dans plusieurs communes du Val-de-Marne, à Thiais, Choisy-le-Roi ou encore Ivry-sur-Seine. « L’un des interpellés a confié aux policiers que le coût de la traversée était d’environ 20 000 euros par migrant. Son rôle était de réceptionner des migrants vietnamiens fraîchement arrivés en France avec des visas hongrois de deux ans. Il devait ensuite leur trouver des hébergements et un emploi dans des ongleries. »
D’après les études publiées ces dernières années, il apparaît que les migrants vietnamiens profitent des relations diplomatiques entre leur pays et les anciens États du bloc communiste (Hongrie, Roumanie, Slovaquie, Pologne...) pour atteindre l’Europe. « Entre 1981 et 1990, 217 183 Vietnamiens ont été employés sous contrat dans ces pays », expliquent notamment deux chercheurs dans une enquête de terrain publiée en 2017."La majorité des nouveaux arrivants sont originaires de quelques provinces du centre du Vietnam, comme Nghệ An et Hà Tĩnh, qui ont été négligées sur le plan économique et présentent des taux de chômage élevés. Ils sont généralement issus de milieux pauvres, ruraux ou urbains, et n’ont probablement pas de diplôme universitaire", analyse le chercheur britannique Seb Rusby. Actuellement, il semblerait que la Hongrie tienne la corde pour attirer les migrants vietnamiens.
Il y a quelques années, des passeurs ont ainsi profité d’un partenariat entre le Vietnam et Malte pour inscrire de jeunes Vietnamiens au Malta College of Arts, Science and Technology. Selon le quotidien britannique The Guardian, sur les 265 étudiants vietnamiens qui ont obtenu ce visa, seuls deux sont depuis rentrés au Vietnam."Ces enfants, à la merci des réseaux de passeurs, ont été retrouvés par la police dans des pays comme la Belgique, l’Allemagne et la Suisse, réduits en esclavage dans des salons de manucure et exploités", explique l’experte indépendante Mimi Vu. Depuis, l’université a fermé son visa.
Lorsqu’ils arrivent au Royaume-Uni, les Vietnamiens sont employés dans des bars à ongles, ou plus rarement dans des fermes à cannabis, que la police britannique ferme régulièrement. Au début des années 2000, la diaspora vietnamienne a importé au Royaume-Uni le concept des bars à ongles très populaire aux États-Unis. « Depuis, ils représenteraient plus de 60% des commerces montés par la communauté vietnamienne », constatent des chercheurs.
Les réseaux de passeurs vietnamiens récupèrent directement leurs clients à la sortie des « small-boats ». « Ce qu’on comprend c’est qu’il y a une grosse organisation côté anglais, ils savent où ils vont. Tout est organisé de l’autre côté », explique Olivier Ternisien de l’association Osmose 62. Pour tenter de décourager les Vietnamiens de monter sur les frêles embarcations, le gouvernement britannique a lancé il y a quelques semaines une campagne de communication sur les réseaux sociaux pour les sensibiliser aux dangers de la traversée de la Manche. De quoi remédier au phénomène ? Au moins 16 migrants sont morts en tentant de traverser la Manche depuis le début de l’année 2024.
#Covid-19#migrant#migration#vietnam#royaumeuni#routemmigratoire#mineur#famille#traversee#manche#reseau#sante#trafic
L’exception française sur la scène migratoire européenne
▻https://metropolitiques.eu/L-exception-francaise-sur-la-scene-migratoire-europeenne.html
L’idée d’une immigration massive en France est régulièrement mise en avant dans la campagne pour les élections européennes. A l’aide de données internationales, Speranta Dumitru et Ettore Recchi soulignent au contraire la faible attractivité de l’Hexagone comparativement à ses voisins et le dynamisme exceptionnel de sa politique d’expulsion au sein de l’UE. Victor Hugo, ardent défenseur des « États-Unis d’Europe », considérait la frontière comme un synonyme de servitude : La richesse et la vie ont un #Débats
ACCORDO ITALIA – ALBANIA : FRA STRATIFICAZIONE COLONIALE E DEVOZIONE
In questa puntata di Harraga abbiamo parlato di esternalizzazione della detenzione amministrativa in Albania. Sebbene sembra che la scadenza del 20 Maggio, per l’apertura di un Hotspot a #Shengin e di un #CPRI a #Ghader, stia saltando per via del passo rallentato al quale proseguono i lavori, sarà comunque in tempi molto prossimi che vedremo sorgere le ennesime strutture di reclusione per persone senza documenti europei. La gestione e la giurisdizione alla quale faranno riferimento sarà totalmente made in Italy, di fatti i bandi e gli appalti sia edili che per il dislocamento delle guardie sono stati emessi a Roma. La struttura di Ghader sarà un CPRI ossia un centro di detenzione amministrativa per richiedenti asilo provenienti da paesi cosiddetti sicuri trovati dalla marina militare italiana in acque internazionali.
Con una compagna abbiamo tentato di fare un inquadramento di questi nuovi investimenti per delle prigioni fuori dal territorio italiano affrontato la profonda stratificazione storica e politica del rapporto tra Italia e Albania interpretabile nei termini della colonia.
▻https://radioblackout.org/podcast/accordo-italia-albania-fra-stratificazione-coloniale-e-devozione
#Albanie #colonialisme #Italie #histoire_coloniale #occupation #occupation_militaire #fascisme #expansionnisme #pétrole #résistance #dépendance #protectorat_italien #blanchité #néocolonialisme #migrations #accords #exploitation #néo-libéralisme #néo-colonialisme #call_center #soft_power #religion #télévision #OTAN #violence #migrants_albanais #invisibilisation
AGGIORNAMENTI DALL’ALBANIA E L’ESTERNALIZZAZIONE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA
A inizio Giugno 2024 Giorgia Meloni si è recata in Albania dove è stata accolta – scalzando le voci di protesta locali – tra fanfare (neo)coloniali tese a ribadire come il famoso accordo Rama-Meloni – su frontiere e #CPRI – altro non sia che la punta di diamante della linea europea di delocalizzazione della detenzione e della tortura “amministrativa”; nonché la riconferma del florido stato di salute del concetto di Colonia.
Mentre alle porte dell’Europa si dà un genocidio algoritmico mandato in mondovisione e volto al sadico perfezionamento del colonialismo di insediamento israeliano, in Albania si ritualizza simbolicamente l’utilizzo di un linguaggio coloniale che riconfermi le priorità europee in termini di brutale annientamento dell’eccedenza umana del capitalismo.
Dire che nei CPR si tortura e che da essi si viene deportati non basta.
I CPR sono strutture fondamentali nel garantire il perpetuarsi di un ordine coloniale alimentato – oggi, anche – da una soffocante retorica bellica sul nemico interno. Fare attenzione all’ordine di senso attraverso cui la brutalità di frontiere e detenzione si esplica sul piano geopolitico – e non solo – vuol dire però ricordarci anche come l’oppressione lungo la linea del colore incorpori un’implicita gerarchia della bianchezza dentro la quale Storia, Colonia e brutalità del capitalismo neo-liberale sono ingredienti fondamentali.
Di tutto questo e altro abbiamo parlato in una interessante diretta con una compagna da Milano ai microfoni di Harraga.
▻https://radioblackout.org/podcast/aggiornamenti-dallalbania-e-lesternalizzazione-della-detenzione-ammin
Proteste contro la visita della Presidente Meloni al porto di Shëngjin in Albania
Il mito della “storica amicizia” italo-albanese altro non è che neocolonialismo
I lavori al porto di Shëngjin sono terminati e i centri previsti dall’accordo Rama-Meloni saranno operativi dal 1° agosto 2024. La conferma è arrivata da Giorgia Meloni, che il 5 giugno 2024 si è recata sul posto per ispezionare l’hotspot appena finito.
Nella struttura a Shëngjin, circondata da un muro alto circa 7 metri, le persone intercettate in mare verranno sbarcate e trattenute massimo 24h per lo screening sanitario, l’identificazione, il fotosegnalamento e la formalizzazione delle domande di protezione internazionale.
A Gjadër, invece, potranno rimanere anche un mese in attesa di una decisione sulla loro domanda di asilo, che verrà sottoposta a procedura di frontiera, o eventualmente del loro rimpatrio. Questo grande CPR includerà anche un’area dedicata alla detenzione dei migranti che commettono reati all’interno del centro. La legge vigente dentro ai centri sarà italiana, così come il personale dell’ente gestore, Medihospes, e gli agenti di polizia. Il governo albanese collaborerà con le proprie forze di polizia per la sicurezza e la sorveglianza esterna delle strutture.
A Shëngjin, insieme al primo ministro albanese Edi Rama, la Meloni ha tenuto una conferenza stampa durante la quale ha espresso solidarietà al suo “storico amico”, a suo dire ingiustamente criticato dai media italiani per aver accettato di firmare un accordo con l’Italia per l’accoglienza dei migranti, e al popolo albanese, per essere stato dipinto come un narcostato.
Durante la conferenza stampa, Meloni e Rama hanno voluto sottolineare ancora una volta il solido rapporto di amicizia tra i due paesi.
«Volevo dire che le nostre nazioni sono due nazioni amiche, sono nazioni che storicamente hanno collaborato insieme e vorrei ringraziare ancora una volta il primo ministro Rama e tutto il popolo albanese per aver offerto aiuto all’Italia in modo che potessimo realizzare questo accordo e vorrei che questo fosse un esempio per tutta l’Unione Europea», ha detto la presidente del Consiglio.
Il primo ministro Rama ha aperto la conferenza dicendo: «Parlo italiano perché comunque qui siamo in territorio italiano». Ha poi dichiarato di essere orgoglioso che l’Albania possa essere di servizio all’Italia, definendo una benedizione la possibilità di essere utili al governo italiano.
L’amicizia italo-albanese è un tropo, una formula per cambiare nome alle cose, velandone il contenuto reale: un’amicizia che è più una comunione di interessi, una relazione d’affari e che soprattutto vale solo ai vertici. Gli albanesi in Italia subiscono spesso discriminazioni, criminalizzazione e violenza di frontiera.
Lo scorso 30 maggio, un attivista albanese in visita a Roma per parlare di ecologia e turistificazione in Albania e precisamente di questa retorica di fratellanza in relazione alla costruzione dei CPR in territorio albanese, veniva trattenuto 9 ore in una cella di isolamento a Fiumicino dopo essersi opposto al ritorno forzoso in Albania. Era infatti in possesso di tutti i requisiti di accesso al territorio italiano e dopo 9 ore di ingiustificata e discriminatoria detenzione veniva rilasciato senza scuse né spiegazioni.
Le dichiarazioni rilasciate al porto di Shëngjin riecheggiano un periodo familiare, che gli albanesi hanno tenuto a ricordare. Mentre Rama e Meloni si scambiavano frasi amichevoli, da un edificio di fronte al porto, alcuni attivisti hanno srotolato uno striscione con scritto “7 Aprile 1939 – L’Albania è italiana- 5 Novembre 2023” e hanno diffuso la registrazione audio dell’annuncio dell’invasione dell’Albania ad opera dell’Italia fascista del 7 Aprile 1939.
Il parallelismo é chiaro quanto la critica diretta ai due leader e al loro accordo: un’esternalizzazione dei confini italiani che viola il principio di sovranità albanese e che é l’ennesima espressione di una logica neocoloniale.
Recentemente Fabrizio Bucci, ambasciatore italiano a Tirana, ha affermato: «L’Albania è davvero una ‘regione italiana’ dove tutti amano il nostro Paese e parlano la nostra lingua». Dichiarazioni di questo tipo riecheggiano sorprendentemente quelle degli agenti imperialisti italiani durante l’occupazione fascista e confermano il forte radicamento di questa mentalità coloniale.
Gli attivisti albanesi a Shëngjin hanno ricordato il 7 aprile 1939, giorno in cui le truppe italiane sbarcarono sulle coste albanesi per occuparla senza alcuna formale dichiarazione di guerra. Quel giorno, i bombardieri italiani sorvolarono i cieli albanesi spargendo volantini con messaggi in albanese che recitavano: “Le truppe italiane, che sono state vostre amiche per secoli, vi hanno spesso dimostrato questa amicizia“.
L’occupazione italiana in Albania ha lasciato profonde cicatrici nel tessuto albanese, costando migliaia di vite e aprendo la strada a regimi autoritari. L’Albania oggi presenta sintomi ben visibili di post-colonialità che sono una diretta conseguenza dell’imperialismo italiano. Basta camminare per le strade di Tirana per capire quanto sia forte e oppressiva la presenza italiana sul territorio. L’Italia è infatti il principale paese straniero per numero di imprese attive sul territorio.
Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha impresso un’importante accelerata alla delocalizzazione delle sue imprese. Questo processo ha avuto conseguenze neocoloniali non solo sul piano economico, ma anche sfruttando la manodopera sottopagata dei cittadini albanesi. Migliaia di giovani albanesi continuano a lavorare da anni in condizioni svantaggiose nei call center italiani. Secondo i dati ufficiali di Info Mercati Esteri, nel 2021, si contavano circa 2675 aziende con capitale italiano in Albania e circa 20.000 italiani che transitavano nel paese, numeri che oggi sono ancora più alti.
Questo rappresenta un chiaro esempio di come l’Italia sfrutti la forza lavoro in Albania, beneficiando di minori tasse, maggiori profitti e bypassando le normative europee che sarebbero invece vincolanti in Italia.
Inoltre, per affrontare la crisi economica causata dalla pandemia, il governo albanese ha introdotto nel 2021 una serie di incentivi fiscali per sostenere le imprese. Questi incentivi includono l’azzeramento delle tasse sull’utile di impresa per le aziende con un fatturato fino a 14 milioni di Lek (circa 130 mila euro) e l’azzeramento dell’IVA per le aziende con un fatturato fino a 10 milioni di Lek (circa 80 mila euro).
Tali politiche fiscali hanno ulteriormente attratto le aziende italiane, consolidando la loro presenza in Albania.
L’accordo Rama-Meloni, firmato il 5 novembre 2023, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sin da subito attivisti sia in Albania che nella diaspora si sono mobilitati, con collettivi come Zanë Kolektiv (Italia), MiQ (Grecia), e Shota (Albania e Kosovo) che hanno co-scritto una dichiarazione contro la costruzione di centri di detenzione amministrativa in Albania, denunciando le tattiche neocoloniali italiane e la natura disumanizzante dei centri di detenzione amministrativa.
La protesta del 5 giugno a Shëngjin ha visto l’arresto temporaneo dei due attivisti che tenevano lo striscione, accusati di aver incitato a partecipare a una manifestazione non autorizzata.
Questi eventi sottolineano la determinazione degli albanesi a non rimanere più in silenzio di fronte alle politiche neocoloniali italiane. L’accordo Italia-Albania è un altro esempio di come governi extra-UE dalla scarsa legittimazione popolare si rafforzano tramite la complicità dei paesi UE a scapito dei diritti delle popolazioni locali e migranti. La pratica di delocalizzare le imprese italiane in Albania per sfruttare la manodopera locale, insieme alla costruzione di centri di detenzione e hotspot in territorio albanese per estendere la giurisdizione e gli interessi italiani, sono chiari esempi di un neocolonialismo che perpetua disuguaglianze economiche e mina la sovranità dell’Albania, nonché il grado delle libertà politiche e sociali nel paese.
La nostra resistenza collettiva rappresenta un rifiuto chiaro e deciso di rivivere il passato coloniale sotto nuove forme.
▻https://www.meltingpot.org/2024/06/proteste-contro-la-visita-della-presidente-meloni-al-porto-di-shengjin-i
Pacte européen sur la migration et l’asile : « Un continuum de l’enfermement attend désormais les exilés »
►https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/06/pacte-europeen-sur-la-migration-et-l-asile-un-continuum-de-l-enfermement-att
Parmi les dix textes adoptés par le Parlement européen le 10 avril, aucun n’a pour objet spécifique l’#enfermement des #étrangers. Pourtant, la détention est omniprésente dans le pacte européen sur la #migration et l’#asile – ce terme y figure plus de cent cinquante fois –, qu’il s’agisse de « filtrer » les arrivées de #migrants aux# frontières, de préparer le départ de ceux qui ne peuvent être admis sur le territoire européen, mais aussi d’instruire les demandes d’asile ou même d’organiser l’accueil des demandeurs. Comme si les Etats de l’Union européenne (#UE) ne pouvaient répondre aux attentes de ceux qui frappent à leur porte, parmi lesquels un grand nombre fuit des pays en guerre ou en crise, autrement qu’en les mettant derrière des barreaux.
Une directive européenne de 2008, dite « retour », fixe déjà des règles communes permettant que certains étrangers soient privés de liberté, sans avoir été condamnés pour un quelconque délit, si cette mesure est considérée comme nécessaire pour la gestion de leur situation administrative. Une pratique qui existe depuis longtemps en France, avec les centres de rétention, où sont placées des personnes en attente d’expulsion, et les zones d’attente aux frontières, où d’autres sont « maintenues » le temps d’examiner leur cas.
Ces détentions se font sous le contrôle d’un juge et peuvent faire l’objet de recours, même si l’effectivité de ces garanties s’amenuise au fil des réformes législatives. En étendant la possibilité d’enfermer à toutes les étapes du parcours migratoire, le pacte consacre une présomption d’indésirabilité. Un soupçon qui vise principalement les exilés arrivant en Europe par ses frontières méridionales.
Car tout le monde n’est pas logé à la même enseigne : lorsqu’en 2022 plus de quatre millions d’Ukrainiens fuyant l’agression russe se sont précipités aux frontières de l’UE, nul n’aurait songé à les mettre dans des camps ou à contrôler leurs déplacements. Dans tous les pays européens, où ils avaient libre choix de s’installer, un dispositif d’accueil a été mis en place en quelques jours pour leur offrir l’hospitalité, sans entraîner de bouleversement majeur.
« Approche hot spot »
Au contraire, avec le pacte, pour faire face à ce que certains n’hésitent pas à qualifier de « submersion migratoire » venue du Sud – rappelons qu’on parle de quelque 270 000 personnes arrivées irrégulièrement aux frontières de l’Europe en 2023 et que l’UE accueille moins de 10 % du total des réfugiés dans le monde –, les mêmes ont choisi de généraliser l’« approche hot spot », inventée en 2015 pour bloquer les exilés débarquant alors en grand nombre aux frontières maritimes de la Grèce et de l’Italie.
La combinaison des différents règlements du pacte aboutit à ce que toute personne se présentant, sans les documents exigibles, à une frontière extérieure de l’UE soit systématiquement maintenue sous autorité policière, pendant une période de huit jours destinée au « filtrage » (identification et évaluation de la situation). Cette règle s’impose à tous, demandeurs d’asile et enfants mineurs compris.
A l’issue de cette première phase, elle sera orientée soit vers une procédure de renvoi, soit vers une procédure d’asile à la frontière. Dans les deux cas, la #détention se poursuivra. Jusqu’à dix-huit mois, pour ceux qui doivent être expulsés, pendant de longues semaines pour de nombreux autres – alors même que, selon le droit international, la privation de liberté des demandeurs d’asile devrait rester une mesure exceptionnelle. Et si ces derniers sont « relocalisés » pour voir leur demande examinée dans un autre Etat membre de l’UE, c’est encore sous la contrainte que s’effectuera leur transfert dans ce pays.
Sans compter que le respect des délais prévus par le pacte suppose un bon fonctionnement des instances chargées du filtrage, de l’examen des demandes d’asile et du contrôle de ces procédures. Il exige aussi des locaux adaptés à l’accueil des populations concernées. Or, l’expérience des « #hot_spots » italiens, et surtout grecs, fait craindre que l’impossibilité matérielle de gérer ces différentes contraintes ne perpétue un mécanisme aussi inefficace qu’inhumain.
Caractère structurel
Faute de pouvoir procéder à des #expulsions, faute de personnel compétent en nombre suffisant, faute de capacités d’hébergement décent, plusieurs îles grecques de la mer Egée sont devenues, avec l’« approche hot spot », des centres de triage où des dizaines de milliers de personnes – hommes, femmes, enfants, vulnérables et malades mélangés – sont entassées et souvent enfermées, pendant parfois plusieurs années, dans des conditions matérielles et sanitaires en deçà de tous les standards.
En 2019, la commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe Dunja Mijatovic [remplacée en avril par Michael O’Flaherty] rapportait, après une visite, avoir vu « une situation explosive [où] les soins médicaux et les installations sanitaires font cruellement défaut, [et où] les gens font la queue pendant des heures pour recevoir de la nourriture ». Depuis, de nombreux rapports, émanant tant d’organismes officiels que d’organisations non gouvernementales, confirment le caractère structurel des violations des droits dont sont victimes les occupants des « hot spots ».
La massification de la détention instaurée par le pacte ne s’arrête pas aux frontières et n’épargne personne, dès lors qu’on a été obligé, faute d’accès à des voies légales pour voyager, d’emprunter la route de la clandestinité. Car un règlement du pacte sur les conditions « d’accueil » des #demandeurs_d’asile finalement admis sur le territoire européen prévoit qu’on pourra aussi détenir certains d’entre eux pour éviter les « risques de fuite ».
Bien loin du « système (…) pleinement ancré dans les valeurs européennes et le droit international » qu’avait promis la Commission européenne en 2020 en présentant le pacte, c’est un continuum de l’enfermement qui attend désormais les exilés ayant réussi à franchir les remparts de la forteresse #Europe.
Claire Rodier est membre du Groupe d’information et de soutien des immigrés et du réseau Migreurop. Elle publie, avec Annalisa Lendaro et Youri Lou Vertongen, « La Crise de l’accueil. Frontières, droits, résistances » (La Découverte, 2019).
Environ 900 corps de migrants ont été retrouvés en Tunisie depuis le début de l’année
(info datant de juillet 2023)
Selon le ministre tunisien de l’Intérieur, quelque 900 corps de migrants ont été découverts sur les côtes tunisiennes entre le 1er janvier et le 20 juillet. Parmi ces victimes figurent au moins au moins 260 ressortissants d’Afrique subsaharienne. Ce nombre tragique s’explique principalement par la très forte hausse des départs d’exilés due à la dégradation de la situation politique et économique dans le pays.
C’est un nombre qui dit l’ampleur de la tragédie qui se déroule en Méditerranée centrale, au large des côtes tunisiennes. Mercredi 26 juillet, le ministre tunisien de l’Intérieur Kamel Feki a annoncé que 901 #corps de migrants ont été retrouvés sur les côtes tunisiennes entre le 1er janvier et le 20 juillet. Parmi ces victimes se trouvaient 26 Tunisiens, 267 « étrangers » (des Africains subsahariens) et 608 corps non-identifiés.
De son côté, le porte-parole de la Garde nationale tunisienne, Houcem Eddine Jebabli a déclaré que 789 corps de migrants avaient été trouvés sur les côtes tunisiennes entre le 1er janvier et le 20 juin.
Ce tragique record illustre l’explosion du nombre de tentatives de traversées de la Méditerranée au départ de la Tunisie, depuis le début de l’année. Le pays se place désormais en première place des pays de départs d’exilés de la région, devant la Libye. Les exilés prennent la mer dans l’espoir de rejoindre l’Europe, et notamment l’île italienne de Lampedusa, distante de seulement 180km de la ville de Sfax, d’où ont lieu la plupart des départs.
Discours xénophobe
L’augmentation des départs de Tunisie remonte à 2022 et au début de la guerre en Ukraine qui a aggravé la crise économique dans le pays. De nombreux migrants qui vivaient d’emplois informels dans le pays ont perdu leurs revenus. Au même moment, de nombreux jeunes Tunisiens choisissaient également de quitter le pays en raison de la hausse des prix.
En février dernier, dans un discours, le président Kais Saied a accusé les migrants en Tunisie d’être à l’origine de « violence, de crimes et d’actes inacceptables ». Le président a également soutenu que l’immigration clandestine en Tunisie relevait d’une « entreprise criminelle ourdie à l’orée de ce siècle pour changer la composition démographique de la Tunisie », afin de la transformer en un pays « africain seulement » et estomper son caractère « arabo-musulman ».
>> À lire : Tunisie : pourquoi le président Kaïs Saïed s’en prend-il aux migrants subsahariens ?
Ces propos ont entraîné une vague de violences contre les Subsahariens dans le pays et a précipité le départ de nombreux d’entre eux. La plupart de ces départs se font depuis la région de Sfax, à l’est de la Tunisie. Dès le mois de mars, le personnel de la morgue de Sfax se disait totalement dépassé par le nombre de corps qui lui était confiés. Hatem Cherif, directeur régional de la santé à Sfax, cité par l’agence TAP, expliquait que « la semaine [précédente], la morgue [avait] compté 70 corps » pour seulement 35 places.
« Tous les Subsahariens aspirent à aller en Europe »
Dans la ville de Sfax la situation s’est encore dégradée après la mort, le 3 juillet, d’un Tunisien au cours d’affrontements entre migrants et population locale. À la suite de ces faits, de très nombreux exilés ont perdu leur emploi et ont été chassés de leur domicile. Des centaines de personnes ont également été arrêtées en pleine rue et envoyées dans des zones désertiques frontalières de la Libye et de l’Algérie. Face à ces menaces, de nombreux exilés ont décidé de quitter le pays alors qu’ils ne l’avaient pas envisagé auparavant.
« Cette situation va précipiter les départs », assurait à InfoMigrants Salif*, un Ivoirien de 39 ans. Installé en Tunisie depuis plusieurs années avec sa femme et sa fille, il n’avait jamais envisagé de prendre la mer. Mais, comme beaucoup, il expliquait ne plus voir « d’autres solutions ». « Avec ce qu’il se passe en ce moment, tous les Subsahariens aspirent à aller en Europe, même ceux qui ne voulaient pas prendre la mer », affirmait-il début juillet.
Une précipitation ressentie en Méditerranée par les ONG. « En 2022, nous n’avons pas opéré un seul sauvetage de personnes venues de Tunisie », confirme à InfoMigrants Caroline Willemen, responsable adjointe de la mission Search et Rescue de Médecins sans frontières (MSF). « Or, depuis janvier, on prend en charge plus de gens qui ont fui la Tunisie et cela s’est intensifié depuis début juillet ».
« Lors de notre dernière mission [mi-juillet, ndlr], après un sauvetage près des côtes libyennes, les autorités italiennes nous ont demandé de les épauler pour secourir 11 canots dans la zone de recherche et de sauvetage. Tous étaient remplis de Subsahariens partis de Tunisie », ajoute-t-elle.
Il faut ajouter à ces éléments que les départs d’embarcations depuis la Libye ne se sont jamais taris. De nombreux migrants continuent à prendre la mer depuis les côtes libyennes espérant atteindre Lampedusa. Un certain nombre de bateaux font naufrage en chemin et il arrive alors que des corps s’échouent sur les plages tunisiennes.
Canots en métal
Alors que le nombre de départs se multiplie, de nombreuses tentatives se finissent aussi en drame car la qualité des bateaux s’est dégradée ces derniers mois. Les canots pneumatiques et en bois ont été remplacés par des bateaux en métal assemblés à la va-vite et totalement inadaptés à la navigation en mer.
« Les canots sont très lourds et […] il n’y a que 20 cm qui séparent les migrants de [la surface] de l’eau. À la première vague qui arrive sur le bateau, il coule immédiatement », expliquait en mai dernier Jens Janssen, avocat de l’ONG Resqship, interrogé par Reuters.
Dans la ville tunisienne portuaire d’Ellouza, « les bateaux métalliques échoués et rongés par la rouille sont innombrables », a récemment décrit une reporter dans un article du Monde. Un pêcheur interrogé par la journaliste a, lui aussi, déploré l’utilisation de ces bateaux de « très mauvaise qualité ».
Selon Rome, plus de 80 000 personnes ont traversé la Méditerranée et sont arrivées sur les côtes de la péninsule italienne depuis le début de l’année, contre 33 000 l’an dernier sur la même période, en majorité au départ du littoral tunisien et de Libye.
La Méditerranée centrale - entre l’Afrique du Nord et l’Italie - est la route migratoire la plus dangereuse au monde en 2023, selon l’Organisation internationale des migrations (OIM), qui recense plus de 20 000 morts depuis 2014.
▻https://www.infomigrants.net/fr/post/50678/environ-900-corps-de-migrants-ont-ete-retrouves-en-tunisie-depuis-le-d
#xénophobie #racisme #mourir_aux_frontières #morts_aux_Frontières #décès #migrations #réfugiés #migrants_sub-sahariens #naufrages #Méditerranée #Mer_Méditerranée
Au grand dam de l’#extrême_droite, la famille #Tolkien soutient l’aide aux #réfugiés et l’#écologie - Basta !
▻https://basta.media/famille-tolkien-finance-aide-migrants-ecologie
La #récupération_politique par l’extrême droite de J.R.R. Tolkien n’est pas au goût de tous. Et sûrement pas de ses descendants, qui financent avec les royalties la solidarité avec les #migrants, les actions contre les ventes d’#armes ou les #pesticides.
Rassemblement devant le siège social de Adoma
▻https://vimeo.com/937878275
Le vendredi 19 avril 2024, un rassemblement de 500 personnes s’est tenu à côté du siège social de la société #ADOMA, intégré au groupe CDC Habitat, et nouvel avatar de l’iconique gestionnaire de #Foyers de Travailleurs Immigrés, la #Sonacotra.
Soutenu par le Copaf, le DAL et la Coordination des Sans Papiers du 74, une coordination de délégués des foyers ADOMA avait appelé à ce rassemblement pour accompagner une délégation composée de 6 personnes, chargée de discuter 5 points qui provoquent la colère des résidents :
1) l’absence de respect des délégués élus et de la parole des #comités_de_résidents qui doivent être concertés sur chaque problème de la vie du foyer ou de la résidence ;
2) la poursuite d’une campagne d’#expulsions massives et qui cible tout résident qui héberge un membre de sa famille ou un proche dans sa chambre. Sont particulièrement visés les vieux #retraités, contraints de vivre sur un double espace, en France et au pays pour pouvoir maintenir leurs droits et leurs revenus ;
3) respect de la vie privée et notamment du droit de changer sa serrure et de dupliquer sa clef, respect de la vie collective avec la signature de conventions partout permettant aux comités de résidents de gérer la #vie_collective du foyer en leur donnant l’accès aux salles polyvalentes ;
4) la non-intégration des préoccupations des résidents concernés et de leurs élus dans les processus de reconstruction et de transformation des anciens foyers en « #résidence_ sociales » ;
5) l’absence de transparence sur la #facturation de l’eau, arrêt de la facturation abusive d’eau chaude à un tarif plus élevé que le cout de revient de de l’eau froide, tarif spécifié dans les textes législatifs.
Boubou Soumaré au nom de la Coordination donne ici le compte rendu des discussions et appelle à la poursuite de la mobilisation. Si la nécessité de discuter systématiquement avec les comités de résidents semble prise en compte, il n’y a eu aucune avancée sur les autres questions.
Paris 2024 : le maire d’Orléans dénonce l’arrivée « en catimini » de centaines de sans-abri dans sa ville en provenance de Paris avant les JO
▻https://www.francetvinfo.fr/les-jeux-olympiques/paris-2024-le-maire-d-orleans-denonce-l-arrivee-en-catimini-de-centaine
Les nouveaux arrivants passent quelques semaines à l’hôtel, ensuite les #SDF ou les #migrants "s’évaporent dans la nature" selon le maire, "et ça n’est pas convenable, on ne peut pas se débarrasser des problèmes sur nous en disant que ’c’est difficile à Paris, débrouillez-vous’". Il estime que cela représente un total de 500 personnes depuis 2023. Serge Grouard explique cependant ne pas avoir de "certitude" sur un lien avec les Jeux olympiques de Paris.
"Nettoyage social"
Les associations d’aide aux personnes précaires partagent le constat du maire. Depuis un an, plusieurs centaines de personnes ont bien été évacuées de #camps de migrants ou de #squats à Paris et redirigées vers 13 "sas d’accueil", en région, à la demande de l’État. "Depuis l’arrivée des #JO, on envoie systématiquement les personnes hors de d’Île-de-France, confirme Paul Alauzy, de Médecins du Monde, c’est juste un déplacement des #sans-abris et ils se retrouvent dans des petites villes, où il y a beaucoup moins de moyens, à la rue alors qu’ils n’ont pas de réseau." Et sans réseau d’entraide, sans solutions de logement pérenne, une partie de ces personnes préfèrent même retourner à #Paris.
Paris 2024 : après une nouvelle évacuation d’un camp de sans-abris, les associations dénoncent un « nettoyage social » de la capitale pour les Jeux
▻https://www.francetvinfo.fr/les-jeux-olympiques/le-revers-de-la-medaille/reportage-paris-2024-apres-une-nouvelle-evacuation-d-un-camp-de-sans-ab
Mardi, les policiers ont délogé les occupants d’une trentaine de tentes dans le Ve arrondissement, leur proposant un départ pour Besançon. Des opérations habituelles, assure la préfecture, qui dément tout lien avec l’imminence des JO.
Clément Parrot, France Télévisions, le 23/04/2024
▻https://www.francetvinfo.fr/pictures/mU0JcWmfs7r9VSHoF_gAVVMIwkA/0x378:4032x2646/2656x1494/filters:format(avif):quality(50)/2024/04/23/img-7308-66277ed80ba2d269203851.jpg
Les occupants d’une trentaine de tentes sont évacués par les forces de l’ordre, mardi 23 avril, dans le Ve arrondissement de Paris. (CLEMENT PARROT / FRANCEINFO)
« Bonjour, c’est la #police. Il faut sortir monsieur. » Il est à peine 6 heures du matin, mardi 23 avril, quand une douzaine de policiers s’approchent d’une trentaine de tentes igloo disposées le long d’un mur aux abords du campus de Jussieu, rue des Fossés-Saint-Bernard, dans le 5e arrondissement de Paris. Sous la structure métallique du bâtiment universitaire, de jeunes #migrants venus du Mali, du Burkina Faso ou encore de Côte d’Ivoire sortent doucement de leur sommeil et de leurs abris de fortune. A quelques mètres, dans la pénombre, un bus attend, la porte ouverte. Les services de la préfecture proposent une solution de relogement à Besançon (Doubs), mais peu de migrants semblent intéressés par une aventure dans l’Est de la France.
"On a des recours [juridiques] ici, pourquoi vous voulez nous envoyer à Besançon ?", répond avec anxiété un homme en émergeant de sa toile de tente, avant d’emporter ses affaires dans un baluchon de fortune. "Vous allez nous abandonner, on veut un vrai endroit", lance un autre. "Il n’y a plus de places à Paris", martèle une fonctionnaire des services de la préfecture. Mais à trois mois des Jeux olympiques de Paris, les associations venues sur place pour apporter une aide aux personnes à la rue dénoncent une nouvelle opération fragilisant les plus précaires, une semaine après l’évacuation du plus grand squat de France à Vitry-sur-Seine (Val-de-Marne).
"On le sent bien, actuellement, le ’nettoyage social’, à coups de deux évacuations par semaine", insiste Aurélia Huot, de Barreau de Paris solidarité, une structure qui encourage le bénévolat des avocats parisiens. "Avant, les mises à l’abri pour les mineurs, c’était toujours en Ile-de-France, et pour les familles, il y avait aussi régulièrement des solutions ici. Mais là, depuis presque deux ans, ils ne proposent presque plus de solutions en Ile-de-France", constate également Luc Viger, de l’association Utopia 56.
(...)
Espagne : enquête sur un trafic de cadavres de migrants algériens
Une vingtaine de personnes, dont des employés des pompes funèbres, des assistants légistes et du personnel de l’administration judiciaire, est visée par une enquête de la justice espagnole pour avoir participé à un vaste réseau de trafic de cadavres de migrants algériens. Ils faisaient payer les familles des victimes pour identifier les corps, en dehors de tout cadre légal.
Au moins 20 personnes font l’objet d’une enquête dans les villes espagnoles de Murcie, Alicante, Almería et Madrid, et quatre ont été interpellées ce week-end pour appartenir à une organisation de trafic de cadavres de migrants, révèle le média La Verdad. Parmi ceux visés par la justice figurent des employés des pompes funèbres, des assistants légistes et du personnel de l’administration judiciaire affecté à l’Institut de médecine légale de Carthagène.
Les membres de ce réseau sont accusés d’avoir demandé de l’argent, en dehors de tout cadre légal, à des familles d’exilés algériens à la recherche de leur proche disparu lors de la traversée de la Méditerranée.
La manière de procéder était bien rodée : ils publiaient la photo d’un cadavre de migrant sur les réseaux sociaux afin d’appâter les familles sans nouvelles d’un frère, d’un fils, d’un mari ou d’un père. Ils leur facturaient ensuite différentes sommes, dont le montant n’a pas été divulgué, pour permettre d’identifier le corps et de le rapatrier au pays. Pour l’heure, on ne sait pas si l’identification était formelle et que le défunt était bien celui que les proches recherchaient ou s’ils ont falsifié des documents.
Les quatre personnes interpellées ont été placées en détention provisoire par le tribunal de Carthagène. « Ces détenus font l’objet d’une enquête pour appartenance à une organisation criminelle, escroquerie, falsification de documents publics et délits contre le respect des défunts », précise la note de la justice transmise aux médias espagnols.
Absence de protocoles clairs et homogènes
En Espagne, il n’existe pas de protocoles clairs et homogènes pour procéder à la recherche des personnes disparues et à l’identification des personnes décédées sur la route de l’exil. Le manque d’informations et de règles favorise depuis des années le développement d’intermédiaires entre les autorités espagnoles et les familles des défunts.
De plus, les proches font souvent face au silence des autorités espagnoles – et algériennes. « Malheureusement, les États ne respectent pas leur obligation de recherche lorsque les personnes disparues sont des migrants », affirme l’association Caminando Fronteras.
Dans les morgues, les manières de gérer les cadavres et les familles diffèrent de l’une à l’autre. Dans celle « de Murcie, on a été bien reçu », expliquait l’an dernier à InfoMigrants Abdallah, à la recherche de son cousin disparu en mer en tentant de rejoindre l’Espagne depuis les côtes algériennes. « À Almeria, par contre, c’était plus compliqué. Il nous a fallu l’autorisation d’un commandant de gendarmerie pour vérifier qu’un cadavre qui correspondait aux caractéristiques physiques d’Oussama, et arrivé le jour supposé du naufrage, était bien celui de mon cousin. Malgré notre insistance auprès des autorités, nous ne l’avons jamais obtenue. C’était très dur pour nous. On nous a aussi interdit de voir les affaires personnelles retrouvés sur le corps. Alors qu’on a ce droit ».
Les proches des exilés disparus peuvent faire appel à des associations, comme Caminando Fronteras, pour les aider dans leurs démarches et leur éviter de se faire escroquer par des personnes mal intentionnées.
▻https://www.infomigrants.net/fr/post/55761/espagne--enquete-sur-un-trafic-de-cadavres-de-migrants-algeriens
#cadavres #trafic #trafic_de_cadavres #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #business #Espagne #Algérie #pompes_funèbres #enquête #migrants_algériens #identification #disparus #escroquerie #morgues
Los piratas de los muertos de las pateras: el negocio con los cuerpos de la inmigración irregular
EL PAÍS revela el ‘modus operandi’ de una trama que se lucraba con la desesperación de familias argelinas y marroquíes.
Las fotos que publicaba Francisco Clemente (▻https://elpais.com/masterdeperiodismo/2021-07-29/el-interprete-de-los-muertos.html) en sus redes sociales no pasaban inadvertidas para nadie. Durante años, este almeriense anónimo divulgó decenas de imágenes en las que podían verse cadáveres arrojados por el mar o cuerpos en la morgue dispuestos antes de la autopsia, todos muertos durante su viaje en patera hacia costas españolas. Muy pocas personas tienen acceso a ese material tan sensible, pero Clemente, no se sabe muy bien cómo, lo conseguía. Y se dio cuenta de que tenía en sus manos un valioso botín con el que hacer dinero. Un negocio que se lucraba con los muertos de la inmigración irregular.
Este joven almeriense, de 27 años, cayó el pasado sábado detenido en una operación de la Guardia Civil acusado, entre otros delitos, de revelación de secretos y pertenencia a una organización criminal. EL PAÍS investiga los movimientos y conexiones de Clemente desde octubre de 2021 y revela, tras su detención, cómo operaban él y sus cómplices.
Con esas fotografías de cadáveres y otro tipo de información privilegiada, Clemente dejó de ser tan anónimo y se convirtió en un referente para cientos de familias argelinas y marroquíes que habían perdido la pista de sus seres queridos al intentar emigrar a España. Madres, hermanos o primos que buscaban saber si sus seres queridos estaban vivos o muertos. Clemente creó a mediados de 2020 la cuenta Héroes del Mar en la red social X (antes Twitter) y en Facebook y, junto a su perfil personal, sumaba más de 150.000 seguidores a los que pedía donaciones. Hasta la prensa argelina le dedicaba artículos.
Más información
Condenados a una lápida sin nombre
El joven, que se ganaba la vida vendiendo antiguallas por Wallapop, acabó montando un negocio haciendo de mediador entre las familias que buscaban a sus parientes desaparecidos o muertos, según fuentes policiales. No estaba solo, trabajaba en nombre del Centro Internacional para la Identificación de Migrantes Desaparecidos (CIPMID), una ONG de nombre rimbombante que, a diferencia de otras ONG más conocidas, no consta que reciba ninguna subvención o ayuda pública. Para algunas familias, Clemente fue la única fuente de información ante su pérdida y están agradecidos, aunque también dejó un reguero de familias que se sienten estafadas, según la docena de testimonios recogidos por EL PAÍS.
Fran —como llaman a Francisco Clemente— al final cavó su propia tumba. Las mismas fotos con las que empezó todo encendieron las alarmas de la Guardia Civil que inició una investigación por la que ha acabado detenido junto a otras tres personas. Dos de los detenidos —el dueño de una funeraria y supuesto líder de la trama y el conductor del coche fúnebre de otra— permanecen en prisión sin fianza. A Fran, en libertad, se le ha retirado el pasaporte. Este diario ha intentado contactar con él, pero no ha obtenido respuesta.
Los agentes han señalado a al menos una veintena de sospechosos, entre ellos, varios dueños de funerarias, auxiliares forenses y funcionarios del Instituto de Medicina Legal de Cartagena. Según se desprende de la investigación, Fran es sospechoso de integrar una especie de cártel que se disputaba los cadáveres de los inmigrantes. La trama supuestamente cobraba entre 3.000 y 10.000 euros por facilitar información a las familias, identificar y repatriar a los muertos. “El precio dependía del seguimiento que debían hacer del caso, pero también de la capacidad económica que viesen en los familiares”, explican fuentes de la investigación.
Según el papel que jugaba cada uno de los participantes, la Guardia Civil les atribuye presuntos delitos contra la libertad de conciencia, contra los sentimientos religiosos y el respeto a los difuntos, además de por pertenencia a organización criminal, revelación de secretos, omisión del deber de perseguir delitos, estafa y cohecho. “Esto es solo la punta del iceberg”, afirman fuentes de la investigación, que deben ahora analizar una ingente cantidad de material incautado.
La red, sin muchos escrúpulos, tiene su epicentro en Almería y Murcia, y tentáculos en Málaga, Baleares y Alicante, provincias a las que llegan los náufragos sin vida de las pateras. La trama se embolsó presuntamente decenas miles de euros con el sufrimiento de decenas de familias.
Enganchado a la radio de Salvamento Marítimo
Fran se metió en el mundo de la inmigración irregular en 2018, coincidiendo con el incremento de la llegada de pateras que salían desde Argelia. Su relación con el fenómeno —salvo por un breve pasaje por la Cruz Roja de donde lo echaron “por comportamientos inadecuados”—era nula, pero se aficionó a sintonizar la frecuencia de radio de Salvamento Marítimo y estaba al tanto de todos los rescates. Pasaba horas en el puerto de Almería y fotografiaba y grababa el desembarco de los inmigrantes, imágenes que, según ha confirmado EL PAÍS con sus compradores, también vendía a interesados en divulgar en redes mensajes contrarios a la inmigración irregular.
En una de las varias denuncias que se han formalizado en comisarías de toda España contra él, una mujer que pide anonimato acusa Fran de relacionarse con los patrones de las pateras (suele saber con precisión cuándo salen y llegan las embarcaciones) así como de encubrirlos para evitar su detención. La mujer también asegura que fue testigo de cómo Fran contactó con familias para pedirles dinero si querían que su pariente “no tuviese problemas en España”. Presumía, según el acta de declaración de testigo a la que tuvo acceso EL PAÍS, de dar dinero a jueces y policías para evitar que los inmigrantes estuviesen presos. La mujer declaró a los agentes tener “pánico” de Fran y la ONG para la que trabaja.
Con el tiempo, las posibilidades de negocio fueron creciendo. Fran, que vive con sus padres, ya no se limitaba a dar información a las familias sobre si sus parientes habían llegado o no, sino que encontró al que la Guardia Civil considera el líder de la red criminal, el propietario de una funeraria sin mucha actividad oficial. Este hombre, llamado Rachid, tenía una serie de funerarias amigas con las que hacer negocio y juntos, presuntamente, se disputaban los cadáveres de migrantes magrebíes que llegaban a las costas de sus zonas de actuación. “Decían a las familias que ellos eran los únicos capaces de repatriar el cuerpo”, mantienen fuentes de la investigación. Mentían. Rachid está en prisión sin fianza desde el sábado.
Todos ganaban. Para Fran, las funerarias eran clave para cerrar el círculo que iniciaba con las familias de los migrantes que le contactaban. Y para las funerarias, Fran suponía un filón porque tenía contacto directo con decenas de potenciales clientes. Solo en 2023, se registraron casi 500 muertes de migrantes en la ruta migratoria que lleva a España por el Mediterráneo.
Con el dinero que cobraban a las familias, a veces muy por encima de los 3.000 euros que suele costar una repatriación al uso, los investigadores sostienen que se repartían comisiones por adjudicarse los trámites administrativos y funerarios necesarios para repatriar los cuerpos a Argelia o Marruecos. Algunos implicados además pagaban por certificados de defunción falsos y otros trámites que aceleraban las repatriaciones, según la investigación.
El conseguidor
Según se lee en un fragmento del sumario al que ha tenido acceso EL PAÍS, Rachid sería “el conseguidor” o “líder de la organización criminal” en la misión de conseguir adjudicarse los cadáveres —previa exhibición a sus familiares de datos, informaciones e incluso fotografías de los cuerpos—, y su posterior repatriación.
Rachid estaba muy conectado con la comunidad musulmana y sería supuestamente el intermediario con consulados de los fallecidos, generalmente de Marruecos y Argelia. En el registro de su casa se encontraron 60.000 euros en efectivo “de origen desconocido”, sellos médicos a nombre de otro investigado por expedir un certificado de defunción presuntamente falsificado, licencias de enterramiento y dos coches de alta gama “con gran cantidad de billetes en su interior”.
España carece de protocolos claros y homogéneos para facilitar que las familias puedan identificar a las víctimas de la inmigración irregular. Quien tiene medios e información sobre cómo proceder debería personarse en una comisaria o comandancia y denunciar la desaparición de su familiar. Para ello, si está en Marruecos o en Argelia, tendría que conseguir un visado para desplazarse a España o conseguir un apoderado que lo haga en su nombre. El proceso suele exigir pruebas de ADN y si, se complica, hasta un procurador y un abogado. Confirmar una muerte es, por lo general, una labor hercúlea que las familias no pueden asumir en la lejanía y sin hablar español.
Ante las dificultades y la falta de canales adecuados, han ido apareciendo facilitadores que median entre las autoridades españolas y los parientes de los muertos. La mayoría lleva mucho tiempo haciéndolo de forma altruista, por convencimiento y sin cobrarlas, pero también han surgido aprovechadores que han hecho negocio con el dolor de cientos de familias que siguen sin saber adónde acudir.
▻https://elpais.com/espana/2024-03-13/los-piratas-de-los-muertos-de-las-pateras-el-negocio-con-los-cuerpos-de-la-i
Le Travail migrant, l’autre délocalisation, de Daniel Véron Note de lecture, Franz Himmelbauer, Antiopées, 3 mars 2024
►https://antiopees.noblogs.org
Ramasser des fraises, faire les vendanges ou tailler la vigne, entre autres occupations, sont des activités non délocalisables. Des bagnoles, on peut les monter n’importe où, du moment qu’on détient les capitaux nécessaires à acheter du terrain et à installer des chaînes de montage. Mais un certain nombre d’autres travaux réclament une présence humaine sur place, quel ennui ! L’agriculture, comme on vient de le voir, mais aussi le bâtiment, l’hôtellerie-restauration, les emplois de service (nettoyage, manutention, logistique, etc.) et bien sûr ceux du care (dans les hôpitaux, les soins à domicile, les maisons de retraite, et on en passe). (Il y a aussi des choses que l’on pourrait faire ailleurs, et qui se font souvent ailleurs, comme la confection de vêtements au Bangladesh[1], mais que l’on s’arrange aussi parfois pour faire « ici », mais là, ce sera plutôt dans des ateliers clandestins, non autorisés par arrêté publié au JO…) Toute la question (pour les capitalistes) est dès lors d’organiser la « délocalisation sur place », soit de produire une main-d’œuvre moins chère et dépourvue de protections sociale et juridique, donc moins à même de protester contre sa condition. Ce que décrit Daniel Veron en termes plus précis et pertinents. Il parle en effet des « mécanismes de production d’une inclusion différentielle[2], laquelle s’avère décisive dans l’exploitation de la force de travail migrante ».
La dimension existentielle du cinéma d’Agnieszka Holland
▻https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/signes-des-temps/la-dimension-existentielle-du-cinema-d-agnieszka-holland-8875568
La première expérience politique d’Agnieszka Holland a été le Printemps de Prague ; en 2014 elle signe la série Sacrifice qui a pour cadre la Tchécoslovaquie en 1969.
Green border est un cri d’alarme sur la situation tragique aux frontières. Les #migrants syriens et afghans se retrouvent bloqués dans une zone frontière entre la Biélorussie et la Pologne, et se font renvoyer d’un pays à l’autre, par les polices respectives avec la plus grande des brutalités. La cinéaste #Agnieszka_Holland utilise le noir et blanc et suggère des rapprochements historiques. Elle évoque le travail d’investigation avant le tournage auprès des gardes-frontières et des activistes ; c’est un film choral ancré dans l’action. Le film a été l’objet d’une campagne de haine par le gouvernement polonais au moment de sa sortie à Varsovie.
Agnieszka Holland énonce : « aujourd’hui, la référence et l’imaginaire selon laquelle on peut mener une lutte idéologique ou politique, est celle de la Seconde Guerre mondiale. »
La réalisatrice rappelle : « je prends les risques, mais j’en suis consciente, et je traite cette expérience surtout comme cinématographique pour garder l’équilibre et de me concentrer surtout sur les êtres humains dans une perspective existentielle ; les problèmes géopolitiques sont dans le fond. »
Une enfant de la (les) persécution(s) et du Printemps de Prague qui a contribué au renouvellement de l’imaginaire américain (The wire, _Treme)
▻https://fr.wikipedia.org/wiki/Agnieszka_Holland
Je ne savais pas si j’allais aller le voir. Entendre d’une oreille le bobino avec ce sionard de Weitzmann m’a décidé. Drôle de l’entendre éluder le fait que A.H. fut qualifiée d’antisémite par des ministres MSM après la sortie de Europa, Europa en 1990.
édit et j’aime aussi la manière dont elle gifle verbalement ce type de france cul qui voudrait insister sur l’extraction bourgeoise des polonais qui agissent en solidarité avec les migrants. #mdr
Je l’ai vu la semaine dernière en avant-première avec en plus elle qui était là à la fin pour discuter, et c’était dur et bouleversant, en sachant comme on le suit nous ici sur Seenthis que ce qui est montré est multi-documenté, aussi bien les actes horribles que les paroles et la déshumanisation ("ce ne sont pas des êtres humains mais des balles de l’Est"). D’ailleurs il me semblait que des paroles quasi identiques étaient sortis sur les palestiniens mais je ne retrouve plus de source.
TRIBUNE : Hommage à celles et ceux qui ont eu le courage de fuir : ne laissons pas notre idéal européen mourir aux frontières
►https://www.humanite.fr/en-debat/briancon/hommage-a-celles-et-ceux-qui-ont-eu-le-courage-de-fuir-ne-laissons-pas-notr
Avant les #JO, un « nettoyage social » à Paris ? Un nouveau campement évacué, une partie des migrants transférés en régions
▻https://www.sudouest.fr/france/avant-les-jo-un-nettoyage-social-a-paris-un-nouveau-campement-evacue-une-pa
Une centaine de migrants ont été évacués d’un camp de fortune dans le 12e arrondissement de #Paris, ce mardi matin. Certains ont été transférés vers des villes de province. Les associations dénoncent un « #nettoyage_social » de la capitale avant les Jeux olympiques, cet été
Un #campement informel sous un pont de Paris, où vivaient plus de cent #migrants, a été démantelé mardi 6 février et une cinquantaine d’#exilés ont été transférés en province, a-t-on appris auprès des autorités et de plusieurs organisations humanitaires.
Le Pain de silence
« “Sans doute n’as-tu jamais été un enfant ” dit ma mère sans remuer les lèvres, sans prononcer une syllabe ni un mot, avec ces yeux tristes, en veilleuse que je lui ai toujours vus, comme si elle avait en permanence tiré le rideau sur sa vie, comme si elle avait pu bien sûr être là face à moi, avec son corps et sans pouvoir exprimer ce qui l’habitait, nulle syllabe, aucun mot, depuis tant de temps, un temps qui me dépassait, me submergeait… »
▻https://www.editionszoe.ch/auteur/adrien-pasquali
#livre #Adrien_Pasquali #silence #migrations #Suisse #migrants_italiens #émigration_italienne
#Adrien_Pasquali, constructeur d’une maison de mots, a été vaincu par le silence
L’écrivain suisse d’origine italienne Adrien Pasquali s’est donné la mort mardi à Paris. Il a récemment publié son dernier livre, « Le Pain de silence », aux Editions Zoé à Genève. Romancier, traducteur et brillant universitaire, Pasquali était chargé de cours en littérature romande aux Universités de Lausanne et de Genève. Hommage
A 40 ans, Adrien Pasquali a choisi de mettre fin à ses jours. La nouvelle est brutale, la stupeur, l’émotion, la consternation sont vives chez tous ses amis et collègues. Le Pain de silence, son dernier roman, vient de paraître (Samedi Culturel du 13 mars) : force nous est aujourd’hui de déchiffrer dans ce récit haletant le testament d’un écrivain pris dans un étau implacable. Le silence, qu’il attaque, qu’il conjure, qu’il apprivoise, a été le plus fort, et il n’aura plus été possible à l’écrivain de différer le point final.
Romancier, traducteur et brillant universitaire, Adrien Pasquali, né en 1958 à Bagnes, appartenait aux immigrés de la « seconde génération », celle qu’on dit parfois maudite, déracinée, sans lieu ni langue. Après le Collège de St-Maurice, Pasquali fait ses études à l’Université de Fribourg. Sa thèse de doctorat, dirigée par Jean Roudaut, porte sur Adam et Eve de Ramuz. Lecteur de français aux Universités de Saint-Gall, puis de Zurich, Pasquali vivait à Paris depuis plusieurs années, près de ses deux fils, qui comptaient pour lui plus que tout. Depuis 1997, il était chargé de cours en littérature romande aux Universités de Lausanne et Genève. Pasquali était associé au projet d’édition des romans de Ramuz en Pléiade.
Si la déchirure de l’émigration est omniprésente dans l’univers de Pasquali, ce n’est pas sur le mode de la dénonciation ou de l’analyse : elle aura été une toute-puissante incitation à se construire, dans le langage, une maison de mots. La littérature aura été pour lui une façon d’opposer les formes et la fiction au non-être, une façon de rendre éloquent un silence originel. L’impressionnante bibliographie d’Adrien Pasquali témoigne du rempart qu’il a tenté de construire. A relire l’œuvre à la lumière du dernier livre, et du regard douloureusement lucide qu’il porte sur l’incompatibilité, vécue dans l’enfance, d’une langue et d’un monde irréel parce que non transmis, on est frappé par la constance des thèmes et la cohérence obstinée de l’interrogation pathétique reprise de livre en livre, selon des stratégies, un raffinement et un savoir-faire toujours renouvelés.
En automne 1982, Ecriture publie le premier texte de Pasquali, lauréat du concours « Qui je lis ? » lancé par la revue. Ce texte, avec une sincérité sans équivoque, fait entendre la voix du futur écrivain : il y rend hommage à ses parents, originaires de la région de Gênes, venus en Valais pour y travailler : « Ils n’emportaient que leur statut, leur condition, une image de laggiù et l’amour qui est le leur ». Cette tendresse ne sera jamais démentie. Le premier récit, Eloge du migrant, est d’ailleurs dédié à ses parents. Le thème de la filiation et des origines hante toute l’œuvre, sans acrimonie. La référence à l’Italie est constante, terre de migration, terre d’enfance et de paysages lumineux. En rapport sans doute avec cette quête des origines, la passion de Pasquali pour la critique génétique.
Dans son texte de 1982, l’écrivain évoque sa passion pour la littérature romande, dans laquelle il va trouver une forme d’identité. Lisant Corinna Bille, Crisinel, Haldas ou, surtout, Ramuz : « Je découvrais le pays de cet autre qui me forçait bien obligeamment à découvrir le mien ». Dans un récit, L’Histoire dérobée, la narration progressera de pastiche en pastiche, imitant successivement le style de sept « grands intercesseurs » romands. Ce premier texte de 1982 conjure aussi « le miracle de l’inachèvement » : de textes fragmentaires et discontinus aux romans en compositions cycliques, d’énigmes en quêtes irrésolues, et jusqu’à la longue phrase éperdue du dernier récit, ou dans les essais qu’il a consacrés à l’inachèvement, on constate chez Pasquali la hantise de la clôture et du point final.
Le « silence éloquent »
La plupart des romans contiennent une réflexion sur leur propre statut, sur leur propre dispositif narratif. Après les audaces expérimentales des premiers livres, les deux derniers récits, La Matta et Le Pain de silence, atteignent une transparence et une force d’évocation poétique à la fois plus puissantes et plus souveraines. Autoréflexion et narration s’harmonisent ici grâce à une langue maîtresse de tous ses enjeux.
La traduction a été une autre manière, pour Pasquali, de pratiquer un « silence éloquent » : il a été le traducteur d’Alice Ceresa et de Giovanni Orelli, de Mario Lavaggetto et tout récemment, d’Aurelio Buletti (Ed. Empreintes, 1998). A l’impossible inscription dans un seul moule linguistique aura fait place, ici, une invitation à habiter dans la diversité des langues.
Les sections de français des Universités de Lausanne et Genève rendront hommage à l’œuvre d’Adrien Pasquali lors d’une manifestation dans le courant du mois de mai.
▻https://www.letemps.ch/culture/adrien-pasquali-constructeur-dune-maison-mots-vaincu-silence
EU’s Migration Pact is a Disaster for #Migrants and Asylum Seekers | Human Rights Watch
▻https://www.hrw.org/news/2023/12/21/eus-migration-pact-disaster-migrants-and-asylum-seekers
The wealthy Nigerians buying citizenship overseas
(article paru en 2020, que je me mets ici pour archivage)
Every year an increasing number of Nigerians flee poverty and unrest at home. Now, rich Nigerians are planning their escape too. And they’re taking their money with them.
Dapo has spent too long at home in Lagos, Nigeria. Back in October, protests against the SARS police unit kept him from going to his office. “First, we were told to stay at home because of the coronavirus. Then this,” he says.
A wealthy Nigerian, Dapo, who is in his late 30s, does not want to make himself identifiable by giving his surname and age, lest it draw unwanted attention.
He has had a “backup plan” for getting out of Nigeria for some time, he says. “I have Maltese citizenship. I can leave for there any time.” With one small obstacle – a 14-day quarantine upon arrival – Dapo could be permanently in Malta any time he pleases. He is not planning to go imminently, but describes it as his “plan b’’.
Dapo is one of a rapidly growing number of Nigerians who have bought so-called “golden visas” or foreign citizenships-by-investment this year. In his case it was Malta, the Mediterranean island where citizenship can be acquired for a minimum investment of 800,000 euros ($947,180) through the Malta Citizenship by Investment Programme.
Not that he has any special love for Malta. A record 92 countries around the world now allow wealthy individuals to become residents or citizens in return for a fee, sometimes as low as $100,000 but often several million dollars. It is billed as a “win-win”: The country gets much-needed foreign investment and, in return, the new citizens have new passports that open up more of the world to travel or live in.
Golden visas are the lesser-reported side of the Nigerian migration story. Every year thousands of Nigerians make their way to Europe via perilous crossings over the Sahara and Mediterranean. Now their wealthier counterparts are also making their way to Europe but via a different route.
A record year for golden visas
Whether rich or poor, the reasons for leaving one’s home country are often the same. Fear of political uncertainty at home and hope for better opportunities elsewhere. But 2020 has been exceptional.
Like Dapo, Folajimi Kuti, 50, was watching the #EndSARS protests from his home in Lagos in October. “I have children, they’re teenagers, and they’re asking me questions like, ‘How did we get here?’” he says, referring to the violence that accompanied demonstrations against the controversial Special Anti-Robbery Squad (SARS).
Kuti says he has believed for some time that social unrest would boil over in Nigeria, because of issues of poverty and police brutality. “It had been clear for the past two or three years that something was going to happen. It’s happened now in 2020 but, frankly, we’ve been expecting this outburst for a while so it wasn’t a matter of ‘if’. It was a matter of ‘when’.”
Citizenship or residency abroad has become appealing, he adds. As a financial adviser to the wealthy, Kuti knows the process of applying for one having walked clients through it before. Most of his work involves advising Nigeria’s growing number of millionaires about investments and wealth planning. But now they are asking about foreign citizenships and Kuti himself is tempted by the idea. “Just knowing that if you need to go you certainly could and move without any restriction.”
The rush for golden visas among rich Nigerians started before October’s SARS protests. At London-based Henley & Partners, one of the world’s largest citizenship advisory firms, applications by Nigerians increased by 185 percent during the eight months to September 2020, making them the second-largest nationality to apply for such schemes after Indians.
More than 1,000 Nigerians have enquired about the citizenship of another country through Henley & Partners this year alone, which Paddy Blewer, head of marketing, says “is unheard of. We’ve never had this many people contacting us”.
Many, like Kuti, saw political problems ahead and wanted an escape plan. Others were focused on coronavirus: What if the pandemic overwhelms Nigeria?
“There is a lack of primary healthcare capacity that would be able to manage with either a second wave or whatever happens in, say, 2025,” says Blewer. “Let’s say there is COVID-21 still going on in 2025 that is of an order or magnitude worse. It’s, ‘Do I want to be based here and only based here, or do I want an alternative base of operations where I believe I will be safer and I will be able to run my global businesses’.
“And, I think, that’s what COVID has driven.”
It was in July, when the number of COVID-19 cases in Nigeria escalated, that wealthy Nigerians started looking more seriously at citizenship abroad, experts say. “Those with medical conditions that could not fly out – a lot of them are buying passports just because if there is any problem they can fly out,” says Olusegun Paul Andrew, 56, a Nigerian entrepreneur and investor who spends much of the year in the Netherlands.
“Flying out” of Nigeria is hard and not just because of the coronavirus pandemic. Just 26 countries allow Nigerian passport holders visa-free entry, many of them part of West Africa’s ECOWAS arrangement. Both the United Kingdom and Europe’s Schengen zone require Nigerians to obtain visas ahead of travelling.
For the wealthy, this is too much hassle. “They don’t want to be queueing for visas for any EU country or whatever,” says Andrew. Instead, why not purchase the citizenship of a country with visa-free access to Europe?
To Europe, via the Caribbean
Bimpe, a wealthy Nigerian who also does not wish to give her full name, has three passports. One Nigerian, which she says she never uses, and two from Caribbean nations: St Kitts and Nevis; and Grenada.
The St Kitts and Nevis passport, which cost her $400,000 via a real estate investment programme, was useful when she travelled between London and New York on business as it allows for visa-free travel to the UK and Europe. But now that she has retired in Abuja, Bimpe, whose husband has passed away, wants her three adult sons to have the same opportunities to travel and live abroad.
“My kids were interested in visa-free travel. They are young graduates, wanting to explore the world. So that was the reason for my investment,” she explains.
Her investment to gain a Grenada passport for herself and her sons took the form of a $300,000 stake in the Six Senses La Sagesse hotel on the Caribbean island, which she bought in 2015 through a property development group called Range Developments. Like most countries offering their citizenship for sale, Grenada allows real estate investments to qualify for a passport.
Bimpe’s family has lived overseas before – spending nine years in the UK between 2006 and 2015. Of her three sons, she says: “One, for sure now, is never going to leave Nigeria. He loves it here. The second one lives in England. He’s been in England long enough to get British residency. My youngest – for him, living abroad is a very, very attractive option. He’s not very happy [in Nigeria]. He went to England very young – at age 12 – and he’s had a problem adjusting since. He’s been back in Nigeria five years and he’s still not settled.”
Now aged 26, Bimpe’s youngest son is looking at settling in the UK or in the US where, thanks to his Grenada citizenship, he qualifies for an E-2 visa, something not available to his fellow Nigerians since President Donald Trump’s ban on immigrant visa applications in February. Bimpe believes his career opportunities in acting – he studied Drama in the UK – are better abroad, and therefore considers the Grenada citizenship to be a worthwhile investment.
Neither Bimpe nor her sons have ever been to Grenada even though their investment allows them to stay on the Caribbean island, once known as The Spice Island. “I intend to go. I would like to go,” she says. “Just when I did [the investment], it was soon after my husband died and I wasn’t in the mood for travel and then I got my passport but there was no good reason for travel due to the pandemic.”
The Six Senses La Sagesse is being constructed by Range Developments, whose founder and managing director, Mohammed Asaria, says it is not unusual for investors never to visit. In fact, since there is no obligation for citizenship investors to visit Grenada, interest in the scheme has ballooned among Nigerians.
“We have between high single figures and low double-digit sales of hotel units on a monthly basis to Nigerians. The average investment is just under $300,000,” says Asaria. “It’s a big market for us. And it’s going to get bigger. There are 300 million people [in Nigeria].” Of these, more than 40,000 are millionaires and, therefore, potential customers for golden visas, according to the Knight Frank Wealth Report.
It is a similar story across the Caribbean. Arton Capital, a citizenship advisory group, says demand from Nigerian families for Antigua and Barbuda citizenship is up 15 percent this year compared with the last.
St Lucia has also seen a record number of Nigerians applying in 2020. “It’s more than it’s ever been over the past four years,” says Nestor Alfred, CEO of the St Lucia Citizenship-by-Investment Unit.
The citizenship market is not exclusive to the Caribbean, but these are the cheapest and they maintain that all-important visa-free access to Europe that their clients are hankering after.
Tax incentives
“I’m rich but I’m not a Donald Trump. I wasn’t looking for a tax escape,” says Bimpe.
Investing in a foreign citizenship is not illegal for Nigerians, but the issue of wealthy citizens moving their assets overseas is a thorny one in Nigeria, where about $15bn is lost to tax evasion every year, according to the country’s Federal Inland Revenue Service. Much of that money finds its way to the Caribbean, as was highlighted in the leaked documents that formed part of the Panama Papers in 2016.
The tax benefits of an overseas citizenship are undoubtedly attractive. Citizens can become tax residents of countries like Dominica, where there is no wealth or inheritance tax, or Grenada which offers “corporate tax incentives”. In Europe, Malta has long been courting hedge funds with its light-touch regulations.
Being a citizen of a country with a more stable currency is also appealing to the wealthy. “Second citizenship helps with capital mobility. Pull up a graph of the Naira. If you look at the Naira for the last 10 years it’s been a horrible journey,” says Asaria. Better, therefore, in the minds of the wealthy, to own assets in euros or even East Caribbean dollars which are pegged to the US dollar.
“Businesses are struggling, inflation on the rise, insecurity, and a host of other issues. These issues have prompted an increase in citizenship or residency-by-investment from wealthy Nigerians in a bid to secure a better future for their families in developed countries,” says Evans Ahanaonu, a Lagos-based representative for High Net Worth Immigration, a citizenship advisory firm. Grenada and Turkey are popular for clients wanting quick access to Europe, he adds, while some go straight for the UK Innovator Visa which means setting up a business in the UK.
Given the number of applications processed by the citizenship advisory firms interviewed just for this article, a conservative estimate would put the amount invested by Nigerians into citizenship schemes at more than $1bn this year alone.
Where rich and poor migrants meet
The loss of wealth from Nigeria has severe implications for levels of employment in the country. With wealthy businesspeople investing their capital outside Nigeria rather than in it, there is less funding for local businesses or government projects which might otherwise generate employment. This, in turn is causing more poorer Nigerians to want to move overseas as well, in search of better work opportunities, a trend backed up by the findings of a 2018 survey by Afrobarometer, the data analysis group.
Just before the pandemic struck, Kingsley Aneoklloude, 35, was able to make his way to Europe, but via a very different route.
He was working as a mechanic in his village in Edo State, one of the country’s poorer provinces which have been untouched by oil wealth, where he earned 1,500 naira ($3.95) a week.
The salary was poor but the final straw was police brutality. Aneoklloude was briefly employed as a local election monitor during the 2015 presidential elections. He says he was pressured by representatives of a political party to manipulate ballot papers, but refused, after which he became afraid for his safety. “I left because they were chasing me. Honestly, they come and chase me,” he says.
Libya migrant business
First, he went to Kano State in the north of Nigeria. Then, in December 2019, Aneoklloude made the dangerous journey to Europe via Niger, then Libya, “where there was a heavy war in Tripoli”, before crossing the Mediterranean.
While adrift on the Mediterranean Sea, his small boat was rescued by Open Arms, an NGO which helps refugees and migrants crossing the Mediterranean. Their ship docked in Lampedusa, one of the Italian Pelagie Islands, where Aneoklloude’s asylum application for Germany was processed.
Now in Potsdam, Germany, he is waiting to hear the outcome of his application for new citizenship and a job. “I have a nine-month contract for work, but they need the immigration officer to sign the contract before I start,” he explains.
At 35, Aneoklloude is just a few years younger than Dapo. Both have witnessed police brutality from different angles, and both saw the Mediterranean as their way out.
But now, with Nigeria’s economy officially in another recession, more will likely follow. It is a dangerous spiral: The more wealth taken out of Nigeria, the fewer jobs available to its poorest.
▻https://www.aljazeera.com/features/2020/12/10/wealthy-nigerians-buying-citizenship-overseas
#visas #golden_visas #Nigeria #migrants_nigérians #réfugiés_nigérians #riches #pauvres #migrations #asile #réfugiés #Malte #foreign_citizenships-by-investment #citoyenneté #Henley_&_Partners
Que sont devenus les foyers de travailleurs #migrants ?
▻https://metropolitiques.eu/Que-sont-devenus-les-foyers-de-travailleurs-migrants.html
Retraçant vingt-cinq ans d’histoire des foyers de travailleurs migrants, Laura Guérin montre comment leur transformation en « résidences sociales » bouleverse à la fois leur architecture et leur peuplement, et met en péril le droit à la ville de leurs occupants historiques. Vingt-cinq ans après le lancement du Plan de traitement des foyers de travailleurs migrants (PTFTM), les objectifs de cette politique nationale semblent être atteints : les derniers foyers ont débuté leur transformation et tous #Terrains
/ #foyer, #foyer_de_travailleurs, migrants, #logement