• Ventimiglia, alcune note sull’operazione “Pantografo”
    La guerra mediatica ai trafficanti come strategia assolutoria degli Stati-nazione

    Un elicottero della polizia sorvola il cielo di Ventimiglia, squadroni in tenuta anti-sommossa sotto il ponte delle Gianchette, unità cinofile dislocate lungo il fiume Roja. Questo il culmine dell’Operazione Pantografo, condotta dalle procure di Imperia e Nizza in collaborazione con la polizia di frontiera italiana e la Paf (Police aux Frontières) francese, con l’obiettivo “di ricostruire […] i contatti con i migranti a Ventimiglia ovvero il modo con cui venivano reclutati; le modalità con cui venivano fatti salire sui treni” (Alberto Lari, procuratore di Imperia).

    Secondo le informazioni diffuse dalla stampa (le ultime datate al 29 marzo 2023) sono sedici le persone fermate con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, delle quali tredici sono colpite da misure cautelari. Tuttavia, secondo le osservazioni dellə attivistə in frontiera, resta forte il sospetto che i dati relativi agli arresti siano gonfiati in ragione di una celebrazione dell’operato delle forze dell’ordine e di una legittimazione pubblica della cospicua mobilitazione di mezzi e risorse.

    Basta guardare il video pubblicato dalla polizia a promozione dell’operazione: la messa in scena della potenza muscolare delle forze dell’ordine, e l’allestimento di un glorioso dispiegamento di mezzi atti a stanare loschi personaggi che si nascondono nel buio dei loro covi malsani. Il tutto montato come fosse il trailer dell’ultima stagione di CSI. Il ritmo delle immagini, le dichiarazioni più pubblicitarie che pubbliche delle autorità, riproducono la vecchia retorica del migrante come “pericolo per lo Stato”, e chi guarda da casa non ha tempo di chiedersi perché uomini e donne siano costrettə a vivere sotto un ponte, cosa aspettino nascostə in case abbandonate, perché indossino vestiti lisi e stracciati, perché siano dispostə a rischiare la vita aggrappandosi al pantografo di un treno per attraversare un confine.

    Per chi conosce quel territorio l’operazione condotta dalla procura è chiara: più che ricostruire i fatti si tratta di aggiornare la narrazione che vede i trafficanti come la piaga in suppurazione che infetta la limpidezza dei nostri confini, additare pubblicamente gli smugglers come i soli responsabili della morte delle persone in transito. Questa sceneggiatura militaresca non esibisce tanto una sicurezza raggiunta, ma finisce per legittimare il processo di securitizzazione dei confini; è una giustificazione pubblica per l’investimento militare a protezione dell’integrità nazionale. Il meccanismo così innescato si alimenta circolarmente riproducendo se stesso. La responsabilità delle morti, del fatto di trovarsi intrappolati al confine, è delle persone che hanno il vizio di mettersi nei pasticci da sole.

    Di fronte alla risonanza mediatica di cui è investita la figura dello smuggler, sovrapposta a quella del trafficante di esseri umani, pensiamo sia urgente iniziare un processo di decostruzione del reato di favoreggiamento, sempre più utilizzato come parola magica per deresponsabilizzare l’operato dello Stato sulle frontiere di mare e di terra. Decostruire la narrazione e la retorica sulla figura del cattivo scafista o passeur diventa perciò urgente per restituire la complessità del reale.

    Durante gli sbarchi, anche quelli più tragici come quello di Cutro del 26 marzo 2023, ancor prima di concludere le operazioni di salvataggio, si inizia la caccia allo scafista, spesso identificato con chi conduceva la barca. Il “chi stava al timone?” ancora prima del “siete tuttə vivə?” è alquanto significativo.

    Scafista, trafficante, contrabbandiere, in italiano. Smuggler, trafficker, in inglese; passeur in francese. I termini per designare questi fenomeni sono molteplici – ognuno con le sue accezioni e sfumature – ma nel linguaggio mediatico le loro differenze vengono appiattite e i loro significati omologati.

    Il meccanismo in atto è chiaro: c’è necessità di eleggere il cattivo, il capro espiatorio della storia e addossargli la responsabilità delle morti di frontiera.

    Questo meccanismo (mediatico, giudiziario, politico) permette una deresponsabilizzazione degli Stati e l’attribuzione di colpa a chi, spesso, non ha modo di difendersi. A questi viene ascritta anche la forma di disumanità più assoluta: l’aguzzino senza scrupoli che sfrutta e uccide i propri fratelli e le proprie sorelle, lə proprie connazionali.

    Quella che il governo Meloni sta utilizzando come grimaldello retorico rispetto alle questioni migratorie è la stessa narrazione che esiste a livello europeo, recentemente inserita nel nuovo patto sulla migrazione e l’asilo della Commissione europea: “dobbiamo fermare i trafficanti” il nuovo mantra. Se provi a ripetere la frase cento volte va a finire che ci credi. O, almeno, finisce a crederci chi viene bombardato di immagini-cartoline e parole-slogan dagli schermi televisivi.

    Se guardiamo ai numeri delle persone in carcere per reati di favoreggiamento e di traffico di esseri umani a livello italiano ed europeo, il dato è sbalorditivo. In Grecia, ad esempio, secondo i dati portati alla luce da “Kathimerini”, il 20,8% dei detenuti nelle carceri sovraffollate del Paese è sotto processo o condannato per traffico di migranti. Il loro numero ammonta a 2.223 su un totale di 10.678 detenuti. Quasi eguagliano il numero di coloro che scontano pene detentive per traffico di droga (2.508), che storicamente rappresenta la categoria di detenuti più numerosa.

    Per quanto riguarda l’Italia, i dati relativi ai detenuti per “traffico di essere umani” negli ultimi anni non sono pubblicamente accessibili. E questo potrebbe dirci già qualcosa a proposito della trasparenza delle indagini. Tuttavia, in riferimento al report “Dal Mare al Carcere” 1 l’indicazione di incidenza dei fermi rispetto al totale degli arrivi per il biennio 2018-2019 risulta essere 1:100. Tenendo a mente questo dato potremmo anche sospettare che, in ragione dell’investimento mediatico sulla criminalizzazione dei trafficanti – preludio all’inasprimento delle pene previste per tale reato dal decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20 – e dell’aumento dei numeri di persone in transito arrivate via terra e via mare, i fermi per reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina siano migliaia.

    Così, dati alla mano, vale la pena chiederci ancora “quale reato si imputa al trafficante, quale colpa?”. La risposta è tanto banale quanto poco scontata: la violazione della sovranità statale.

    Il bene giuridico tutelato dall’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, che inquadra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, è il mero interesse dello stato a regolamentare i flussi migratori. Le elevatissime sanzioni penali previste, variabili a seconda delle aggravanti che si applicano nel caso concreto, pongono non pochi problemi di legittimità costituzionale. Eppure l’art. 12 TUI continua ad essere modificato dai governi in senso repressivo, da ultimo con il decreto adottato all’indomani del naufragio di Cutro. E questo sulla base di una narrazione politica e mediatica che da anni volutamente confonde il “il favoreggiamento dell’attraversamento illegale dei confini” (smuggling) con la “tratta di essere umani” (trafficking), creando una figura dai contorni sfumati che assume il ruolo di nemico collettivo, cui addossare tutte le responsabilità e condannare a pene esemplari.

    Sappiamo però che la frontiera è un business e che le narrazioni sui migranti illegali contribuiscono a mantenerla attiva e produttiva. Sappiamo anche come la frontiera sia diventata un luogo di sperimentazione di tecnologie biometriche, di affinamento di tecniche di identificazione, spazio in cui si ridefiniscono i negoziati e le gerarchie di potere tra gli Stati Nazione: la fluidità per l’importazione e l’esportazione delle merci si paga al prezzo di un aumento di controllo sul movimento delle persone senza documenti. Così, più la frontiera diventa impermeabile al passaggio di persone più il prezzo da pagare è alto, misurabile in quantità di denaro speso, in ore di lavoro in regime di sfruttamento, in prestazioni sessuali (eppure, della tratta non si parla mai, guarda caso: non dovrebbe far parte anch’essa delle pratiche di traffico? Della loro forma più brutale e violenta?).

    Eppure, nonostante la frontiera sia organizzata come un dispositivo di controllo del movimento, le persone sono passate e continuano a passare. Sullo sfondo di una frontiera che alimenta dispositivi di morte dellə indesideratə si continuano a ricamare vie di fuga: brecce nel muro aperte in modo rocambolesco o reti più strutturate, create per soddisfare un bisogno, che è allo stesso tempo desiderio di vita e rifiuto di essere rifiutatə.

    La frontiera così diventa anche un mercato del passaggio, e la conseguenza della crescente militarizzazione, del rafforzamento dei dispositivi di controllo del movimento, si traduce in una professionalizzazione delle persone che aiutano ad attraversarla. Gli smugglers.

    Nel nostro tentativo di controcondurre la narrazione sui trafficanti non intendiamo invertire la loro criminalizzazione per farne una romanticizzazione che sa di rimozione. Sappiamo bene che ci sono uomini e donne che vendono “passaggi” attuando meccanismi coercitivi e di violenza, di vero e proprio traffico umano, ma ci sono molte persone che diventano esperte nel sapersi muovere nello space in beetween tra gli Stati Nazione – spesso per aver tentato di attraversarlo più volte senza riuscirvi -, che offrono la possibilità di andare da una parte all’altra a costi equivalenti al biglietto del treno che pagherebbe un normale cittadino europeo (i “passeur” arrestati a Ventimiglia il 28 marzo sono accusati di aver riscosso cifre che vanno da 30 ai 200 euro). Il punto non è criticare la narrazione omologante dell’UE in materia di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per decriminalizzare lo smuggler e ridisegnarlo come eroe del confine, ma far emergere la frontiera come processo in continua ridefinizione, come spazio di riterritorializzazione politica tra violenza istituzionale e pratiche di soggettivazione.

    In riferimento al territorio di Ventimiglia, l’attraversamento del confine sotto pagamento è una pratica che si avvia in modo quasi spontaneo, per poi diventare, parallelamente ai processi di border reinforcing, una rete strutturata di economia del traffico, che si innesta sulle reti della ‘ndrangheta, entra in conflitto coi gruppi solidali, e riscrive le tracce che altri passaggi hanno lasciato nella storia di quel confine. Dal 2015 ad oggi, il passaggio diventa pratica sempre più individuale e quindi monetizzabile; questo processo avviene parallelamente alla criminalizzazione e allo sgombero delle forme di vita auto-organizzate da migranti e solidali, dove fra mille contraddizioni, gli attraversamenti venivano pensati e agiti collettivamente, anche come pratica politica di contestazione del regime di frontiera europeo.

    Vista la complessità di contrari compresenti che abitano la frontiera possiamo pensarla come spazio vivente e vissuto piuttosto che linea da attraversare; o se si vuole, come un campo di battaglia in cui molti attori – trafficanti, poliziotti, sfruttatori, persone in transito e gruppi solidali – giocano il loro ruolo, inventano tattiche, entrano in conflitto e immaginano strategie in reciproca ridefinizione.

    Alla luce di queste considerazioni, è urgente la necessità di ribaltare la narrazione che gli Stati fanno degli smugglers, invertendo l’attribuzione di responsabilità su chi sia causa di morte delle persone in transito, tanto in mare quanto in terra. Potremmo infatti chiederci chi costringe le persone a rischiare la vita per passare una frontiera? Chi nega il loro diritto al movimento? Cosa vincola le persone in transito a logiche di sfruttamento per racimolare i soldi necessari a passare? Se i cosiddetti smugglers hanno tutto l’interesse a che i loro clienti giungano a destinazione dall’altra parte, chi crea gli ostacoli al loro passaggio? Forse, se le persone muoiono fulminate sul pantografo di un treno diretto a Mentone, chi è davvero sanzionabile non è lo smuggler che ha dato la “dritta”, ma chi condanna le persone a doversi servire di quel passaggio come unica via per attraversare la frontiera.

    https://www.meltingpot.org/2023/04/ventimiglia-alcune-note-sulloperazione-pantografo

    #operazione_pantografo #Vintimille #frontière_sud-alpine #Italie #France #frontières #PAF #opération_policière #militarisation_de_la_frontière #spectacle #hélicoptère #pantografo #propagande #vidéo

    Vidéo «operazione pantografo»:
    https://www.youtube.com/watch?v=QwwEICCw2OQ

  • Nous, les exilés (sur Briançon et la situation dans les #Hautes-Alpes)

    –-> série : Là où se cristallisent les questions d’aujourd’hui

    #Didier_Fassin (interviewé aux Terrasses solidaires, où il exerce bénévolement en tant que médecin et est présent en tant que chercheur) :
    (à retranscrire :-))

    –-

    Didier Fassin :

    « Des visages fatigués, épuisés. Des regards qui contiennent presque toujours au moins une lueur d’espoir. Malgré les épreuves déjà traversées. Elles et ils … sont environ 80 millions. 80 millions, soit un peu plus d’1% de la population mondiale. Eux, ce sont les exilés d’aujourd’hui. Dans un monde sous haute tension, personne n’est à l’abri. Vous, moi, nous serons peut-être les exilés de demain. En attendant, là maintenant : comment accueillir ces personnes qui arrivent dans nos régions ? Quelle hospitalité sommes-nous prêts à leur réserver ? Quels dispositifs établir aux frontières ? Et faut-il craindre le fameux appel d’air ? Ces questions, nous allons les déplier en altitude, du côté de Briançon, là où des exilés traversent la montagne au péril de leur vie. »

    Avec Isabelle Lorre (la coordinatrice du programme « migrations frontière transalpine » à Médecins du Monde sur Briançon), Sylvain Eymard (gestionnaire de l’association « Les Terrasses solidaires »), Didier Fassin (anthropologue, sociologue et médecin français. Il est professeur à l’Institute for Advanced Study de Princeton et directeur d’études à l’École des hautes études en sciences sociales à Paris), Jean Gaboriau (l’un des responsables de « Refuges solidaires »), Stéphanie Besson (cofondatrice du mouvement citoyens « Tous migrants » et autrice de « Trouver refuge : histoires vécues par-delà les frontières » chez Glénat), Agnès Antoine ( membre de “Tous migrants”), deux gendarmes et quelques exilés.

    https://www.rtbf.be/auvio/detail_passe-montagne-la-ou-se-cristallisent-les-questions-d-aujourd-hui?id=291

    #podcast #audio #asile #migrations #réfugiés #montagne #Alpes #Briançon #hospitalité #Briançonnais #Hautes-Alpes #Terrasses_solidaires #militarisation_de_la_frontière #risques #chasse_à_l'homme #chutes #traque #tiers-lieu #santé #blessures #efficacité #non-efficacité #spectacle #Didier_Fassin #spectacularisation #performance #inhumanité #inhumanité_institutionnalisée #inhumanité_d'Etat

    ping @_kg_

  • À la frontière franco-espagnole, le renforcement des contrôles conduit les migrants à prendre toujours plus de #risques

    Au #Pays_basque, après que trois Algériens sont morts fauchés par un train à Saint-Jean-de-Luz/Ciboure le 12 octobre, associations et militants dénoncent le « #harcèlement » subi par les migrants tentant de traverser la frontière franco-espagnole. Face à l’inaction de l’État, des réseaux citoyens se mobilisent pour « sécuriser » leur parcours et éviter de nouveaux drames.

    Saint-Jean-de-Luz (Pyrénées-Atlantiques).– Attablés en terrasse d’un café, mardi 26 octobre, sous un ciel gris prêt à déverser son crachin, Line et Peio peinent toujours à y croire. « On n’imagine pas le niveau de fatigue, l’épuisement moral, l’état de détresse dans lequel ils devaient se trouver pour décider de se reposer là un moment », constatent-ils les sourcils froncés, comme pour marquer leur peine.

    Le 12 octobre dernier, trois migrants algériens étaient fauchés par un train, au petit matin, à 500 mètres de la gare de Saint-Jean-de-Luz/Ciboure. Un quatrième homme, blessé mais désormais hors de danger, a confirmé aux enquêteurs que le groupe avait privilégié la voie ferrée pour éviter les contrôles de police, puis s’était arrêté pour se reposer, avant de s’assoupir.

    Un cinquième homme, dont les documents d’identité avaient été retrouvés sur les lieux, avait pris la fuite avant d’être retrouvé deux jours plus tard à Bayonne.

    « Ceux qui partent de nuit tentent de passer la frontière vers 23 heures et arrivent ici à 3 ou 4 heures du matin. La #voie_ferrée est une voie logique quand on sait que les contrôles de police sont quasi quotidiens aux ronds-points entre #Hendaye et #Saint-Jean-de-Luz », souligne Line, qui préside l’association #Elkartasuna_Larruna (Solidarité autour de la Rhune, en basque) créée en 2018 pour accompagner et « sécuriser » l’arrivée importante de migrants subsahariens dans la région.

    Peio Etcheverry-Ainchart, qui a participé à la création de l’association, est depuis élu, dans l’opposition, à Saint-Jean-de-Luz. Pour lui, le drame reflète la réalité du quotidien des migrants au Pays basque. « Ils n’iraient pas sur la voie ferrée s’ils se sentaient en sécurité dans les transports ou sur les axes routiers », dénonce-t-il en pointant du doigt le manque d’action politique au niveau local.

    « Ils continueront à passer par là car ils n’ont pas le choix et ce genre de drame va se reproduire. La #responsabilité politique des élus de la majorité est immense, c’est une honte. » Trois cents personnes se sont réunies au lendemain du drame pour rendre hommage aux victimes, sans la présence du maire de Saint-Jean-de-Luz. « La ville refuse toutes nos demandes de subvention, peste Line. Pour la majorité, les migrants ne passent pas par ici et le centre d’accueil créé à #Bayonne, #Pausa, est suffisant. »

    Un manque de soutien, à la fois moral et financier, qui n’encourage pas, selon elle, les locaux à se mobiliser auprès de l’association, qui compte une trentaine de bénévoles. Son inquiétude ? « Que les gens s’habituent à ce que des jeunes meurent et que l’on n’en parle plus, comme à Calais ou à la frontière franco-italienne. Il faut faire de la résistance. »

    Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, épuisés et frigorifiés

    Guillaume, un « aidant »

    Ce mardi midi à Saint-Jean-de-Luz, un migrant marocain avance d’un pas sûr vers la halte routière, puis se met en retrait, en gardant un œil sur l’arrêt de bus. Dix minutes plus tard, le bus en direction de Bayonne s’arrête et le trentenaire court pour s’y engouffrer avant que les portes ne se referment.

    Guillaume, qui travaille dans le quartier de la gare, fait partie de ces « aidants » qui refusent de laisser porte close. « Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, qui étaient arrivés à Saint-Jean en fin d’après-midi. Ils étaient épuisés et frigorifiés. » Après les avoir accueillis et leur avoir offert à manger, il les achemine ensuite jusqu’à Pausa à 2 heures du matin, où il constate qu’il n’est pas le seul à avoir fait la navette.

    La semaine dernière, un chauffeur de bus a même appelé la police quand des migrants sont montés à bord

    Guillaume, un citoyen vivant à Saint-Jean-de-Luz

    « Il m’est arrivé de gérer 10 ou 40 personnes d’un coup. Des femmes avec des bébés, des enfants, des jeunes qui avaient marché des heures et me racontaient leur périple. J’allais parfois m’isoler pour pleurer avant de m’occuper d’eux », confie celui qui ne cache pas sa tristesse face à tant d’« inhumanité ». Chaque jour, rapporte-t-il, la police sillonne les alentours, procède à des #contrôles_au_faciès à l’arrêt de bus en direction de Bayonne et embarque les migrants, comme en témoigne cette vidéo publiée sur Facebook en août 2019 (https://www.facebook.com/100000553678281/posts/2871341412894286/?d=n).

    « La semaine dernière, un #chauffeur_de_bus a même appelé la #police quand des migrants sont montés à bord. Ça rappelle une époque à vomir. » Face à ce « harcèlement » et cette « pression folle », Guillaume n’est pas étonné que les Algériens aient pris le risque de longer la voie ferrée. « Les habitants et commerçants voient régulièrement des personnes passer par là. Les gens sont prêts à tout. »

    À la frontière franco-espagnole aussi, en gare de Hendaye, la police est partout. Un véhicule se gare, deux agents en rejoignent un autre, situé à l’entrée du « topo » (train régional qui relie Hendaye à la ville espagnole de Saint-Sébastien), qui leur tend des documents. Il leur remet un jeune homme, arabophone, qu’ils embarquent.

    « Ils vont le laisser de l’autre côté du pont. Ils font tout le temps ça, soupire Miren*, qui observe la scène sans pouvoir intervenir. Les policiers connaissent les horaires d’arrivée du topo et des trains venant d’#Irun (côté espagnol). Ils viennent donc dix minutes avant et se postent ici pour faire du contrôle au faciès. » Depuis près de trois ans, le réseau citoyen auquel elle appartient, Bidasoa Etorkinekin, accueille et accompagne les personnes en migration qui ont réussi à passer la frontière, en les acheminant jusqu’à Bayonne.

    La bénévole monte à bord de sa voiture en direction des entrepôts de la SNCF. Là, un pont flambant neuf, barricadé, apparaît. « Il a été fermé peu après son inauguration pour empêcher les migrants de passer. » Des #grilles ont été disposées, tel un château de cartes, d’autres ont été ajoutées sur les côtés. En contrebas, des promeneurs marchent le long de la baie.

    Miren observe le pont de Santiago et le petit chapiteau blanc marquant le #barrage_de_police à la frontière entre Hendaye et #Irun. « Par définition, un #pont est censé faire le lien, pas séparer... » Selon un militant, il y aurait à ce pont et au pont de #Behobia « quatre fois plus de forces de l’ordre » qu’avant. Chaque bus est arrêté et les passagers contrôlés. « C’est cela qui pousse les personnes à prendre toujours plus de risques », estime-t-il, à l’instar de #Yaya_Karamoko, mort noyé dans la Bidassoa en mai dernier.

    On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette chasse aux sorcières

    Eñaut, responsable de la section nord du syndicat basque LAB

    Le 12 juin, à l’initiative du #LAB, syndicat socio-politique basque, une manifestation s’est tenue entre Irun et Hendaye pour dénoncer la « militarisation » de la frontière dans ce qui a « toujours été une terre d’accueil ». « Ça s’est inscrit dans une démarche de #désobéissance_civile et on a décidé de faire entrer six migrants parmi une centaine de manifestants, revendique Eñaut, responsable du Pays basque nord. On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette #chasse_aux_sorcières, avec les morts que cela engendre. L’accident de Saint-Jean-de-Luz est le résultat d’une politique migratoire raciste. » L’organisation syndicale espère, en développant l’action sociale, sensibiliser toutes les branches de la société – patronat, salariés, État – à la question migratoire.

    Des citoyens mobilisés pour « sécuriser » le parcours des migrants

    À 22 heures mardi, côté espagnol, Maite, Arantza et Jaiona approchent lentement de l’arrêt de bus de la gare routière d’Irun. Toutes trois sont volontaires auprès du réseau citoyen #Gau_Txori (les « Oiseaux de nuit »). Depuis plus de trois ans, lorsque les cars se vident le soir, elles repèrent d’éventuels exilés désorientés en vue de les acheminer au centre d’accueil géré par la Cruz Roja (Croix-Rouge espagnole), situé à deux kilomètres de là. En journée, des marques de pas, dessinées sur le sol à intervalle régulier et accompagnées d’une croix rouge, doivent guider les migrants tout juste arrivés à Irun. Mais, à la nuit tombée, difficile de les distinguer sur le bitume et de s’orienter.

    « En hiver, c’est terrible, souffle Arantza. Cette gare est désolante. Il n’y a rien, pas même les horaires de bus. On leur vient en aide parce qu’on ne supporte pas l’injustice. On ne peut pas rester sans rien faire en sachant ce qu’il se passe. » Et Maite d’enchaîner : « Pour moi, tout le monde devrait pouvoir passer au nom de la liberté de la circulation. » « La semaine dernière, il y avait beaucoup de migrants dans les rues d’Irun. La Croix-Rouge était dépassée. Déjà, en temps normal, le centre ne peut accueillir que 100 personnes pour une durée maximale de trois jours. Quand on leur ramène des gens, il arrive que certains restent à la porte et qu’on doive les installer dans des tentes à l’extérieur », rapporte, blasée, Jaiona.

    À mesure qu’elles dénoncent les effets mortifères des politiques migratoires européennes, un bus s’arrête, puis un second. « Je crois que ce soir, on n’aura personne », sourit Arantza. Le trio se dirige vers le dernier bus, qui stationne en gare à 23 h 10. Un homme extirpe ses bagages et ceux d’une jeune fille des entrailles du car. Les bénévoles tournent les talons, pensant qu’ils sont ensemble. C’est Jaiona, restée en arrière-plan, qui comprend combien l’adolescente a le regard perdu, désespérée de voir les seules femmes présentes s’éloigner. « Cruz Roja ? », chuchote l’une des volontaires à l’oreille de Mariem, qui hoche la tête, apaisée de comprendre que ces inconnues sont là pour elle.

    Ni une ni deux, Maite la soulage d’un sac et lui indique le véhicule garé un peu plus loin. « No te preocupes, somos voluntarios » (« Ne t’inquiète pas, nous sommes des bénévoles »), lui dit Jaiona en espagnol. « On ne te veut aucun mal. On t’emmène à la Croix-Rouge et on attendra d’être sûres que tu aies une place avant de partir », ajoute Maite dans un français torturé.

    Visage juvénile, yeux en amande, Mariem n’a que 15 ans. Elle arrive de Madrid, un bonnet à pompon sur la tête, où elle a passé un mois après avoir été transférée par avion de Fuerteventura (îles Canaries) dans l’Espagne continentale, comme beaucoup d’autres ces dernières semaines, qui ont ensuite poursuivi leur route vers le nord. Les bénévoles toquent à la porte de la Cruz Roja, un agent prend en charge Mariem. Au-dehors, les phares de la voiture illuminent deux tentes servant d’abris à des exilés non admis.

    J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le #bus et m’a renvoyée en Espagne

    Fatima*, une exilée subsaharienne refoulée après avoir franchi la frontière

    Le lendemain matin, dès 9 heures, plusieurs exilés occupent les bancs de la place de la mairie à Irun. Chaque jour, entre 10 heures et midi, c’est ici que le réseau citoyen Irungo Harrera Sarea les accueille pour leur donner des conseils. « Qui veut rester en Espagne ici ? », demande Ion, l’un des membres du collectif. Aucune main ne se lève. Ion s’y attendait. Fatima*, la seule femme parmi les 10 exilés, a passé la nuit dehors, ignorant l’existence du centre d’accueil. « J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le bus et m’a renvoyée en Espagne », relate-t-elle, vêtue d’une tenue de sport, un sac de couchage déplié sur les genoux. Le « record », selon Ion, est détenu par un homme qui a tenté de passer à huit reprises et a été refoulé à chaque fois. « Il a fini par réussir. »

    Éviter de se déplacer en groupe, ne pas être trop repérable. « Vous êtes noirs », leur lance-t-il, pragmatique, les rappelant à une triste réalité : la frontière est une passoire pour quiconque a la peau suffisamment claire pour ne pas être contrôlé. « La migration n’est pas une honte, il n’y a pas de raison de la cacher », clame-t-il pour justifier le fait de s’être installés en plein centre-ville.

    Ion voit une majorité de Subsahariens. Peu de Marocains et d’Algériens, qui auraient « leurs propres réseaux d’entraide ». « On dit aux gens de ne pas traverser la Bidassoa ou longer la voie ferrée. On fait le sale boulot en les aidant à poursuivre leur chemin, ce qui arrange la municipalité d’Irun et le gouvernement basque car on les débarrasse des migrants, regrette-t-il. En voulant les empêcher de passer, les États ne font que garantir leur souffrance et nourrir les trafiquants. »

    L’un des exilés se lève et suit une bénévole, avant de s’infiltrer, à quelques mètres de là, dans un immeuble de la vieille ville. Il est invité par Karmele, une retraitée aux cheveux grisonnants, à entrer dans une pièce dont les murs sont fournis d’étagères à vêtements.

    Dans ce vestiaire solidaire, tout a été pensé pour faire vite et bien : Karmele scrute la morphologie du jeune homme, puis pioche dans l’une des rangées, où le linge, selon sa nature – doudounes, pulls, polaires, pantalons – est soigneusement plié. « Tu es long [grand], ça devrait t’aller, ça », dit-elle en lui tendant une veste. À sa droite, une affiche placardée sous des cartons étiquetés « bébé » vient rappeler aux Africaines qu’elles sont des « femmes de pouvoir ».

    Le groupe d’exilés retourne au centre d’accueil pour se reposer avant de tenter le passage dans la journée. Mariem, l’adolescente, a choisi de ne pas se rendre place de la mairie à 10 heures, influencée par des camarades du centre. « On m’a dit qu’un homme pouvait nous faire passer, qu’on le paierait à notre arrivée à Bayonne. Mais je suis à la frontière et il ne répond pas au téléphone. Il nous a dit plus tôt qu’il y avait trop de contrôles et qu’on ne pourrait pas passer pour l’instant », confie-t-elle, dépitée, en fin de matinée. Elle restera bloquée jusqu’en fin d’après-midi à Behobia, le deuxième pont, avant de se résoudre à retourner à la Cruz Roja pour la nuit.

    L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres

    Mokhtar*, un migrant algérien

    Au même moment, sur le parking précédant le pont de Santiago, de jeunes Maghrébins tuent le temps, allongés dans l’herbe ou assis sur un banc. Tous ont des parcours de vie en pointillés, bousillés par « el ghorba » (« l’exil »), qui n’a pas eu pitié d’eux, passés par différents pays européens sans parvenir à s’établir. « Huit ans que je suis en Europe et je n’ai toujours pas les papiers », lâche Younes*, un jeune Marocain vivant depuis un mois dans un foyer à Irun. Mokhtar*, un harraga (migrant parti clandestinement depuis les côtes algériennes) originaire d’Oran, abonde : « L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres. Mais aujourd’hui, c’est impossible de rentrer sans avoir construit quelque chose... » La notion « d’échec », le regard des autres seraient insoutenables.

    Chaque jour, Mokhtar et ses amis voient des dizaines de migrants tenter le passage du pont qui matérialise la frontière. « Les Algériens qui sont morts étaient passés par ici. Ils sont même restés un temps dans notre foyer. Avant qu’ils ne passent la frontière, je leur ai filé quatre cigarettes. Ils sont partis de nuit, en longeant les rails de train depuis cet endroit, pointe-t-il du doigt au loin. Paix à leur âme. Cette frontière est l’une des plus difficiles à franchir en Europe. » L’autre drame humain est celui des proches des victimes, ravagés par l’incertitude faute d’informations émanant des autorités françaises.
    Les proches des victimes plongés dans l’incertitude

    « Les familles ne sont pas prévenues, c’est de la torture. On a des certitudes sur deux personnes. La mère de l’un des garçons a appelé l’hôpital, le commissariat… Sans obtenir d’informations. Or elle n’a plus de nouvelles depuis le jour du drame et les amis qui l’ont connu sont sûrs d’eux », expliquait une militante vendredi 22 octobre. Selon le procureur de Bayonne, contacté cette semaine par Mediapart, les victimes ont depuis été identifiées, à la fois grâce à l’enquête ouverte mais aussi grâce aux proches qui se sont signalés.

    La mosquée d’Irun a également joué un rôle primordial pour remonter la trace des harragas décédés. « On a été plusieurs à participer, dont des associations. J’ai été en contact avec les familles des victimes et le consulat d’Algérie, qui a presque tout géré. Les corps ont été rapatriés en Algérie samedi 30 octobre, le rescapé tient le coup moralement », détaille Mohamed, un membre actif du lieu de culte. Dès le 18 octobre, la page Facebook Les Algériens en France dévoilait le nom de deux des trois victimes, Faisal Hamdouche, 23 ans, et Mohamed Kamal, 21 ans.

    À quelques mètres de Mokhtar, sur un banc, deux jeunes Syriens se sont vu notifier un refus d’entrée, au motif qu’ils n’avaient pas de documents d’identité : « Ça fait quatre fois qu’on essaie de passer et qu’on nous refoule », s’époumone l’aîné, 20 ans, quatre tickets de « topo » à la main. Son petit frère, âgé de 14 ans, ne cesse de l’interroger. « On ne va pas pouvoir passer ? » Leur mère et leur sœur, toutes deux réfugiées, les attendent à Paris depuis deux ans ; l’impatience les gagne.

    Jeudi midi, les Syriens, mais aussi le groupe d’exilés renseignés par Irungo Harrera Sarea, sont tous à Pausa, à Bayonne. Certains se reposent, d’autres se détendent dans la cour du lieu d’accueil, où le soleil cogne. « C’était un peu difficile mais on a réussi, confie Fofana, un jeune Ivoirien, devant le portail, quai de Lesseps. Ça me fait tellement bizarre de voir les gens circuler librement, alors que nous, on doit faire attention. Je préfère en rire plutôt qu’en pleurer. »

    Si les exilés ont le droit de sortir, ils ne doivent pas s’éloigner pour éviter d’être contrôlés par la police. « On attend le car pour aller à Paris ce soir », ajoute M., le Syrien, tandis que son petit frère se cache derrière le parcmètre pour jouer, à l’abri du soleil, sur un téléphone. Une dernière étape, qui comporte elle aussi son lot de risques : certains chauffeurs des cars « Macron » réclament un document d’identité à la montée, d’autres pas.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/311021/la-frontiere-franco-espagnole-le-renforcement-des-controles-conduit-les-mi

    #frontières #migrations #réfugiés #France #Espagne #Pyrénées #contrôles_frontaliers #frontières #délation #morts #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #décès #militarisation_de_la_frontière #refoulements #push-backs #solidarité

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    voir aussi :
    #métaliste sur les personnes en migration décédées à la frontière entre l’#Espagne et la #France, #Pays_basque :
    https://seenthis.net/messages/932889

  • La #Pologne érigera une clôture en barbelés à sa frontière avec le #Bélarus

    La Pologne a annoncé lundi qu’elle allait ériger une « solide #clôture » de barbelés, haute de 2,5 mètres, à la frontière polono-bélarusse et y augmenter ses effectifs militaires pour empêcher les migrants de pénétrer sur son sol.

    La Pologne a annoncé lundi qu’elle allait ériger une « solide clôture » de barbelés, haute de 2,5 mètres, à la frontière polono-bélarusse et y augmenter ses effectifs militaires pour empêcher les migrants de pénétrer sur son sol.

    Varsovie et les trois pays baltes (la Lituanie, la Lettonie et l’Estonie) dénoncent ensemble une « attaque hybride » organisée par le Bélarus qui, selon eux, encourage les migrants à passer illégalement sur le territoire de l’Union européenne.

    Le ministre polonais de la Défense, Mariusz Blaszczak, a précisé lundi qu’une nouvelle clôture « à l’instar de celle qui a fait ses preuves à la frontière serbo-hongroise », composée de quelques spirales superposées de fils barbelés, doublerait la première barrière à fil unique qui s’étend déjà sur environ 130 kilomètres, soit sur près d’un tiers de la longueur de la frontière entre les deux pays.

    « Les travaux commenceront dès la semaine prochaine », a déclaré M. Blaszczak à la presse.

    Le ministre a annoncé que les effectifs militaires à la frontière allaient prochainement doubler, pour atteindre environ 2.000 soldats dépêchés sur place afin de soutenir la police des frontières.

    « Nous nous opposerons à la naissance d’une nouvelle voie de trafic d’immigrés, via le territoire polonais », a-t-il insisté.

    Les quatre pays de la partie orientale de l’Union européenne ont exhorté lundi l’Organisation des Nations unies à prendre des mesures à l’encontre du Bélarus.

    Les Premiers ministres d’Estonie, de Lettonie, de Lituanie et de Pologne ont assuré dans une déclaration commune que l’afflux des migrants avait été « planifié et systématiquement organisé par le régime d’Alexandre Loukachenko ».

    Des milliers de migrants, pour la plupart originaires du Moyen-Orient, ont franchi la frontière bélarusso-européenne ces derniers mois, ce que l’Union européenne considère comme une forme de représailles du régime bélarusse face aux sanctions de plus en plus sévères que l’UE lui impose.

    « Il est grand temps de porter la question du mauvais traitement infligé aux migrants sur le territoire bélarusse à l’attention des Nations unies, notamment du Conseil de sécurité des Nations unies », peut-on lire dans la déclaration.

    Les quatre pays affirment qu’ils accorderont toute la protection nécessaire aux réfugiés traversant la frontière, conformément au droit international, mais ils demandent également d’« éventuelles nouvelles mesures restrictives de la part de l’UE pour empêcher toute nouvelle immigration illégale organisée par l’Etat bélarusse ».

    Dans de nombreux cas, les autorités de Minsk repoussent les migrants vers la frontière de l’UE, ce qui a déjà conduit à des situations inextricables.

    Un groupe de migrants afghans reste ainsi bloqué depuis deux semaines sur une section de la frontière entre la Pologne et le Bélarus.

    Des organisations polonaises des droits de l’Homme et l’opposition libérale accusent le gouvernement nationaliste-conservateur polonais de refuser de secourir les personnes ayant besoin d’aide et d’ainsi violer le droit international.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/230821/la-pologne-erigera-une-cloture-en-barbeles-sa-frontiere-avec-le-belarus

    #frontières #murs #barrières_frontalières #asile #migrations #réfugiés #Biélorussie #militarisation_de_la_frontière

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    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • On the EU’s eastern border, Poland builds a fence to stop migrants

      Polish soldiers were building a fence on the border with Belarus on Thursday, as the European Union’s largest eastern member takes steps to curb illegal border crossings despite criticism that some migrants are being treated inhumanely.

      Brussels has accused Belarusian President Alexander Lukashenko of using migrants as part of a “hybrid war” designed to put pressure on the bloc over sanctions it has imposed, and building the wall is part of Poland’s efforts to beef up border security on the EU’s eastern flank.

      “Almost 3 km of fencing has been erected since yesterday,” Defence Minister Mariusz Blaszczak said on Twitter, adding that almost 1,800 soldiers were supporting the border guard.

      Blaszczak said on Monday that a new 2.5 metre high solid fence would be built, modelled on the one built by Prime Minister Viktor Orban on Hungary’s border with Serbia.

      On Thursday Reuters saw soldiers next the frontier stringing wire through barbed wire to hook it to posts.

      Poland has received sharp criticism over its treatment of a group of migrants who have been stuck on the Belarus border for over two weeks, living in the open air with little food and water and no access to sanitary facilities.

      On Wednesday refugee charity the Ocalenie Foundation said 12 out of 32 migrants stuck on the border were seriously ill and one was close to death.

      “No fence or wire anywhere in the world has stopped any people fleeing war and persecution,” said Marianna Wartecka from the foundation who was at the border on Thursday.

      Poland says responsibility for the migrants lies with Belarus. The prime minister said this week that a convoy of humanitarian offered by Poland had been refused by Minsk.

      Surveys show that most Poles are against accepting migrants, and Poland’s ruling nationalists Law and Justice (PiS) made a refusal to accept refugee quotas a key plank of its election campaign when it swept to power in 2015.

      An IBRiS poll for private broadcaster Polsat on Wednesday showed that almost 55% of respondents were against accepting migrants and refugees, while over 47% were in favour of a border wall.

      “Our country cannot allow such a large group of people to break our laws,” said Emilia Krystopowicz, a 19-year-old physiotherapy student, in Krynki, a village next the border.

      Belarusian President Alexander Lukashenko has accused Poland and Lithuania of fuelling the migrant issue on the borders.

      https://www.reuters.com/world/europe/eus-eastern-border-poland-builds-fence-stop-migrants-2021-08-26

    • Poland to build anti-refugee wall on Belarus border

      Poland has become the latest European country to start building an anti-refugee wall, with a new fence on its border with Belarus.

      The 2.5-metre high wall would be modelled on one built by Hungary on its border with Serbia in 2015, Polish defence minister Mariusz Blaszczak said.

      “We are dealing with an attack on Poland. It is an attempt to trigger a migration crisis,” he told press at a briefing near the Belarus frontier on Monday (23 August).

      “It is [also] necessary to increase the number of soldiers [on the border] ... We will soon double the number of soldiers to 2,000,” he added.

      “We will not allow the creation of a route for the transfer of migrants via Poland to the European Union,” he said.

      The minister shared photos of a 100-km razor-wire barrier, which Poland already erected in recent weeks.

      Some 2,100 people from the Middle East and Africa tried to enter Poland via Belarus in the past few months in what Blaszczak called “a dirty game of [Belarus president Alexander] Lukashenko and the Kremlin” to hit back at EU sanctions.

      “These are not refugees, they are economic migrants brought in by the Belarusian government,” deputy foreign minister Marcin Przydacz also said on Monday.

      Some people were pushed over the border by armed Belarusian police who fired in the air behind them, according to Polish NGO Minority Rights Group.

      Others were pushed back by Polish soldiers, who should have let them file asylum claims, while another 30-or-so people have been stuck in no man’s land without food or shelter.

      “People were asking the [Polish] border guards for protection and the border guards were pushing them back,” Piotr Bystrianin from the Ocalenie Foundation, another Polish NGO, told the Reuters news agency.

      “That means they were in contact and that means they should give them the possibility to apply for protection ... It’s very simple,” he said.

      “We have been very concerned by ... people being stranded for days,” Shabia Mantoo, a spokeswoman for the UN refugee agency, the UNHCR, also said.

      But for its part, the Polish government had little time for moral niceties.

      “The statements and behaviour of a significant number of Polish politicians, journalists, and NGO activists show that a scenario in which a foreign country carrying out such an attack against Poland will receive support from allies in our country is very real,” Polish deputy foreign minister Paweł Jabłoński said.

      Belarus has also been pushing refugees into Lithuania and Latvia, with more than 4,000 people recently crossing into Lithuania.

      “Using immigrants to destabilise neighbouring countries constitutes a clear breach of international law and qualifies as a hybrid attack against ... Latvia, Lithuania, Poland, and thus against the entire European Union,” the Baltic states and Poland said in a joint statement on Monday.

      Lithuania is building a 3-metre high, 508-km wall on its Belarus border in a €152m project for which it wants EU money.

      The wall would be completed by September 2022, Lithuanian prime minister Ingrida Simonyte said on Monday.

      “The physical barrier is vital for us to repel this hybrid attack,” she said.
      Fortress Europe

      The latest upsurge in wall-building began with Greece, which said last week it had completed a 40-km fence on its border with Turkey to keep out potential Afghan refugees.

      And Turkey has started building a 3-metre high concrete barrier on its 241-km border with Iran for the same reason.

      “The Afghan crisis is creating new facts in the geopolitical sphere and at the same time it is creating possibilities for migrant flows,” Greece’s citizens’ protection minister Michalis Chrisochoidis said.

      Turkey would not become Europe’s “refugee warehouse”, Turkish president Recep Tayyip Erdoğan said.

      https://euobserver.com/world/152711

    • Comme la Lituanie, la Pologne veut sa barrière anti-migrants à la frontière biélorusse

      Varsovie et Vilnius veulent construire des barrières contre les migrants qui transitent par le Bélarus, tandis que la situation humanitaire continue de se détériorer à la frontière orientale de l’Union européenne.

      La pression augmente pour faire de l’Union une forteresse. Vendredi 8 octobre, douze pays, dont la Pologne et la Lituanie, ont réclamé d’une seule voix que l’Union européenne finance la construction de barrières à ses frontières externes. Il s’agit de l’Autriche, la Bulgarie, Chypre, la République tchèque, le Danemark, l’Estonie, la Grèce, la Hongrie, la Lituanie, la Lettonie, la Pologne et la Slovaquie.

      « Je ne suis pas contre », a répondu la commissaire aux Affaires intérieures Ylva Johansson. « Mais quant à savoir si on devrait utiliser les fonds européens qui sont limités, pour financer la construction de clôtures à la place d’autres choses tout aussi importantes, c’est une autre question ».

      La question migratoire agite particulièrement en Pologne, soumise à une pression inédite sur sa frontière orientale, avec le Bélarus. Le 7 octobre, le vice-Premier ministre Jarosław Kaczyński, qui préside aussi la commission des affaires de sécurité nationale et de défense, a confirmé la construction d’une barrière permanente le long de la frontière polono-biélorusse. Lors d’une conférence de presse tenue au siège de l’unité des gardes-frontières de Podlachie, frontalière avec la Biélorussie, il a expliqué : « Nous avons discuté des décisions déjà prises, y compris dans le domaine financier, pour construire une barrière très sérieuse. Le genre de barrière qu’il est très difficile de franchir. L’expérience européenne, l’expérience de plusieurs pays, par exemple la Hongrie et la Grèce, montre que c’est la seule méthode efficace ».

      La Pologne a débuté les travaux en août dernier et des barbelés ont déjà été tirés sur des sections sensibles de la frontière polono-biélorusse. Lorsqu’elle aura atteint son terme, la barrière fera 180 kilomètres de long et plus de deux mètres de haut.

      La Lituanie, autre pays frontalier de la Biélorussie, a elle aussi déroulé les barbelés et alloué 152 millions d’euros pour la construction d’une barrière de quatre mètres de haut, sur cinq cents kilomètres, qui doit être prête en septembre 2022.

      Le gouvernement national-conservateur du Droit et Justice (PiS) a réagi par la manière forte à la pression migratoire inédite sur ses frontières. Plusieurs milliers de soldats ont été déployés pour prêter main-forte aux gardes-frontières.

      Le Sénat a adopté le 8 octobre un amendement qui autorise l’expulsion immédiate des étrangers interpellés après avoir franchi la frontière irrégulièrement, sans examiner leur demande de protection internationale. En clair, il s’agit de passer un vernis de légalité sur la pratique dit de « pushback » qui contrevient aux règles internationales, mais utilisées ailleurs sur la frontière de l’UE, parfois très violemment, comme en témoigne la diffusion récente de vidéos à la frontière de la Croatie.
      Loukachenko accusé de trafic d’êtres humains

      Varsovie et Vilnius accusent de concert le président autocrate du Bélarus, Alexandre Loukachenko, de chercher à ouvrir une nouvelle route migratoire vers l’Europe, dans le but de se venger de leur soutien actif à l’opposition bélarusse en exil et des sanctions européennes consécutives aux élections frauduleuses d’août 2020.

      « Ce sont les immigrants économiques qui arrivent. Ils sont amenés dans le cadre d’une opération organisée par les autorités biélorusses avec l’assentiment clair de la Fédération de Russie. Les agences de sécurité biélorusses le tolèrent totalement et y sont présentes », a noté Jarosław Kaczyński. « Ces personnes sont conduites vers des endroits où elles auront une chance de traverser la frontière. Parfois, des officiers biélorusses participent personnellement au franchissement des barrières et à la coupure des fils », a-t-il ajouté.

      « Des centaines de milliers de personnes seront acheminées à notre frontière orientale », a avancé le ministre polonais de l’Intérieur Mariusz Kamiński, au mois de septembre.
      Soutien de la Commission européenne

      La Commission européenne dénonce, elle aussi, « un trafic de migrants parrainé par l’État [biélorusse] ». Le 5 octobre, Ylva Johansson, commissaire européenne chargée des affaires intérieures, a déclaré que « le régime utilise des êtres humains d’une manière sans précédent, pour faire pression sur l’Union européenne. […] Ils attirent les gens à Minsk. Qui sont ensuite transportés vers la frontière. Dans des mini-fourgonnettes banalisées. ».

      C’est aussi une manne économique pour Minsk, a détaillé Ylva Johansson. « Les gens viennent en voyages organisés par l’entreprise touristique d’État Centrkurort. Ils séjournent dans des hôtels agréés par l’état. Ils paient des dépôts de plusieurs milliers de dollars, qu’ils ne récupèrent jamais ».
      La situation humanitaire se dégrade

      L’hiver approche et les températures sont passées sous zéro degré les nuits dernières en Podlachie, la région du nord-est de la Pologne, frontalière avec la Biélorussie. Des groupes d’immigrants qui tentent de se frayer un chemin vers l’Union européenne errent dans les forêts de part et d’autre de la frontière qui est aussi celle de l’Union. « Ce [samedi] soir il fait -2 degrés en Podlachie. Des enfants dorment à même le sol, quelque part dans nos forêts. Des enfants déportés vers ces forêts sur ordre des autorités polonaises », affirme le Groupe frontalier (Grupa Granica).

      Une collecte a été lancée pour permettre à une quarantaine de médecins volontaires d’apporter des soins de première urgence aux migrants victimes d’hypothermie, de blessures, d’infections ou encore de maladies chroniques. Avec les trente mille euros levés dès la première journée (près de soixante mille euros à ce jour), trois équipes ont débuté leurs opérations de sauvetage. « Nous voulons seulement aider et empêcher les gens à la frontière de souffrir et de mourir », explique le docteur Jakub Sieczko à la radio TOK FM. Mais le ministère de l’Intérieur leur refuse l’accès à la zone où a été décrété un état d’urgence au début du mois de septembre, tenant éloignés journalistes et humanitaires de la tragédie en cours.

      Quatre personnes ont été retrouvées mortes – vraisemblablement d’hypothermie – dans l’espace frontalier, le 19 septembre, puis un adolescent irakien cinq jours plus tard. La fondation pour le Salut (Ocalenie) a accusé les gardes-frontières polonais d’avoir repoussé en Biélorussie le jeune homme en très mauvaise santé et sa famille quelques heures plus tôt.

      A ce jour, ce flux migratoire n’est en rien comparable à celui de l’année 2015 via la « Route des Balkans », mais il est dix fois supérieur aux années précédentes. Samedi, 739 tentatives de franchissement illégal de la frontière ont été empêchées par les gardes-frontières polonais, qui ont enregistré plus de 3 000 tentatives d’entrée irrégulière au mois d’août, et près de 5 000 en septembre.

      https://courrierdeuropecentrale.fr/comme-la-lituanie-la-pologne-veut-aussi-sa-barriere-anti-mig

    • EU’s job is not to build external border barriers, says Commission vice president

      Yes to security coordination and technology; no to ‘cement and stones,’ says Margaritis Schinas.

      The European Commission is ready to support member countries in strengthening the bloc’s external borders against the “hybrid threat” posed by international migrant flows but doesn’t want to pay for the construction of physical border barriers, Commission Vice President Margaritis Schinas said Thursday.

      Rather than defending borders with “cement and stones,” Schinas said in an interview at POLITICO’s Health Care Summit, the EU can usefully provide support in the form of security coordination and technology.

      Highlighting how divisive the issue is of the use of EU funds for physical barriers, which EU leaders discussed at length at a summit last Friday morning, Schinas’ line is different from the one expressed by his party in the European Parliament, the center-right EPP, and by his own country, Greece.

      He was responding to comments by Manfred Weber, chairman of the European Parliament’s EPP group, in support of a letter, first reported by POLITICO’s Playbook, by 12 member countries, including countries like Greece, Denmark and Hungary, to finance a physical barrier with EU money.

      Commission President Ursula von der Leyen said after last week’s Council summit that no EU money would be spent to build “barbed wire and walls.”

      “The Commission position is very clear. We are facing a new kind of threat on our external border. This is a hybrid threat,” said Schinas. “The obvious thing for the European Union to do is to make sure that those who seek to attack Europe by weaponizing human misery know that we will defend the border … I think that, so far, we have managed to do it.”

      “At the same time we do have resources that will allow us to help member states to organize their defences — not of course by financing the cement and the stones and the physical obstacles of walls,” he added.

      “But we have the capacity to assist and finance member states for the broader ecosystem of border management at the European Union external border,” said Schinas, referring to setting up command centers and deploying equipment such as thermal cameras. “This is how we will do it. If there is one lesson that this situation has taught us [it] is that migration is a common problem. It cannot be delegated to our member states.”

      Eastern member states have accused authoritarian leader Alexander Lukashenko of flying thousands of people into Belarus and then sending them on hazardous journeys into EU territory. Polish lawmakers approved €350 million in spending last week to build a wall along the country’s border with Belarus.

      https://www.politico.eu/article/eus-job-is-not-to-build-external-border-barriers-says-commission-vice-presi

    • Poland Begins Constructing Border Walls To Deter Asylum-Seeking Refugees

      Poland has begun the construction of a new border wall, estimated to cost $400 million and likely to be completed by June 2022. The wall will stand 5.5 meters high (six yards) and will have a final length of 186 km (115 miles).

      “Our intention is for the damage to be as small as possible,” border guard spokeswoman Anna Michalska assured Poland’s PAP news agency on January 25th. “Tree felling will be limited to the minimum required. The wall itself will be built along the border road.”

      While the Polish border forces are taking extra precautions not to disrupt the nature surrounding the border, there have been concerns about the human rights of asylum-seeking refugees. Over the past decade, there has been a rise in Middle Eastern and African refugees entering European Union countries, primarily through Eastern European territories. Standards set by the United Nations state that it is not illegal to seek refugee status in another country if an individual is in danger within their home country; however, Poland has sent numerous troops to its borders to deter asylum seekers trying to enter the nation on foot from Belarus. Poland has accused Belarus of encouraging asylum seekers to use the state as a passage into E.U. countries that may be a more favorable residency. The Belarusian government has denied these accusations, stating that Poland’s current attempts to restrict the number of refugees allowed in its country are inhumane and a human rights issue. Poland has since claimed that the “easy journey” allowed by Belarus’s government, and potentially supported by its ally Russia, is a non-militant attack against not only Poland, but the rest of the E.U.

      As the two countries continue in their conflict, the asylum seekers – individuals from around the world in need of safety and shelter – are being caught in the crossfire.

      Over the past months, Poland has increased border security, built a razor-wire fence along a large majority of the border, closed off border territories from the media and advocacy groups, and approved a new law allowing the border guard to force asylum seekers back into Belarus. Due to the recent changes, the number of refugees entering Poland has decreased, but this does not mean that the number of asylum seekers in need of aid from E.U. countries has decreased. Numerous groups still try to cross the treacherous border; the Polish border guard estimates that there are seventeen crossings just in the span of 24 hours. Al Jazeera reported on the 25th that Polish border security caught a group of fourteen asylum seekers, the majority of them fleeing Middle Eastern countries, cutting through a portion of the wire fence. These individuals, like many asylum seekers discovered along the border, have been “detained” until the Polish government decides whether to grant them refugee status or force them to return to Belarus.

      While Poland’s frustration with the uneven distribution of asylum seekers entering their country compared to others within the E.U. is understandable, its poor treatment of those in need of aid and protection is unacceptable. Rather than raising arms and security, Poland and the European Union must explore options of refugee resettlement that appease Polish desires for an equal dispersal of refugees throughout Europe without turning away people who need real government assistance. No matter its attitude towards Belarus, Poland must not turn its punishment towards those in need of refuge.

      https://theowp.org/poland-begins-constructing-border-walls-to-deter-asylum-seeking-refugees

    • "The Iron Forest" - building the walls to scar the nature

      If I could bring one thing from my hometown, it would be the fresh air of the conifers from “my” forest. This is the statement my friends have heard me say many times, in particular when I feel nostalgic about my hometown.

      Augustów, where I am from, lies in the midst of Augustów Primeval Forest, in the North-East of Poland — a region referred to as the “green lungs” of Poland. It is an enormous virgin forest complex stretching across the border with Lithuania and connecting with other forests in the region.

      When I was 10, I went on a school trip to a neighbouring Bialowieza forest — a UNESCO heritage site with its largest European bison population. I still remember the tranquillity and magnificence of its landscape including stoic bison. I never would have thought that some years later, the serenity of this place will face being destroyed by the wall built on the Polish and Belarusian border, following the recent events of the refugee crisis.

      Today, I am a mental health scientist with a background in Psychology and Psychological Medicine. I am also a Pole from the North-East of Poland. Embracing both identities, in this blog, I would like to talk about “building walls” and what it means from a psychological perspective.
      Building Walls and Social Identity

      Following the humanitarian crisis which recently took place on the border between Belarus and Poland, we are now witnessing Poland building a wall which would prevent asylum seekers from Syria, Iraqi Kurdistan and Afghanistan, to cross the border.

      The concept of building a wall to separate nations isn’t new. I am sure you have heard about the Berlin wall separating East and West Germany, the Israeli West Bank Barrier between Israel and Palestine, or more recently the wall between Mexico and the US. In fact, according to Elisabeth Vallet, a professor at the University of Quebec-Montreal, since World War II the number of border walls jumped from 7 to at least 70! So, how can we explain this need to separate?

      In her article for the New Yorker on “Do walls change how we think”, Jessica Wapner talks about the three main purposes of the walls which are “establishing peace, preventing smuggling, and terrorism”. It is based on the premises of keeping “the others” away, the others that are threatening to “us”, our safety, integrity and identity. These motivations form the basis for the political agenda of nationalism.

      Using the words of the famous psychologist, Elliot Aronson, humans are social animals, and we all have the need to belong to a group. This has been well described by the Social Identity Theory which claims that positive evaluation of the group we belong to helps us to maintain positive self-image and self-esteem. Negative evaluation of the “the other,” or the outgroup, further reaffirms the positive image of your own group — the intergroup bias. As such, strong social identity helps us feel safe and secure psychologically, which is handy in difficult times such as perceived threat posed by another nation or any other crisis. However, it often creates a “psychological illusion” as in attempt to seek that comfort, we distort the reality placing ourselves and our group in a more favourable light. This, in turn, only worsens the crisis, as described by Vamik Volkan, a psychiatrist and the president of the International Society of Political Psychology, in the article by Jessica Wapner.

      The disillusionment of walls

      In reality, history shows consistently that building walls have only, and many, negative consequences. The positive ones, well, are an illusion: based on the false sense of psychological protection.

      In 1973, a German psychiatrist #Dietfried_Müller-Hegemann, published a book, “#Wall_disease”, in which he talked about the surge of mental illness in people living “in the shadow” of the wall. Those who lived in the proximity of the Berlin wall showed higher rates of paranoia, psychosis, depression, alcoholism and other mental health difficulties. And the psychological consequences of the Iron Curtain lingered long after the actual wall was gone: in 2005, a group of scientists were interested in the mental representation of the distances between the cities in Germany among the German population. They demonstrated systematic overestimations of distances between German cities that were situated across the former Iron Curtain, compared with the estimated difference between cities all within the East or the West Germany. For example, people overestimated the distance between Dusseldorf and Magdeburg, but not between Dusseldorf and Hannover, or between Magdeburg and Leipzig.

      What was even more interesting is that this discrepancy was stronger in those who had a negative attitude towards the reintegration! These findings show that even when the physical separation is no longer present, the psychological distance persists.

      Building walls is a perfect strategy to prevent dialogue and cooperation and to turn the blind eye to what is happening on the other side — if I can’t see it, it doesn’t exist.

      It embodies two different ideologies that could not find the way to compromise and resorted to “sweeping the problem under the carpet”. From a psychoanalytical point of view, it refers to denial — a defence mechanism individuals experience and apply when struggling to cope with the demands of reality. It is important and comes to the rescue when we truly struggle, but, inevitably, it needs to be addressed for recovery to be possible. Perhaps this analogy applies to societies too.

      It goes without saying that the atmosphere created by putting the walls up is that of fear of “the other” and hostility. Jessica Wapner describes it very well in her article for the New Yorker, as she talks about the dystopian atmosphere of the looming surveillance and the mental illness that goes with it.

      And lastly, I wouldn’t want to miss a very important point related to the wall of interest in this blog — the Poland-Belarus wall. In this particular case, we will not only deal with the partition between people, but also between animals and within the ecosystem of the forest, which is likely to have a devastating effect on the environment and the local society.

      Bringing this blog to conclusion, I hope that we can take a step back and reflect on what history and psychology tell us about the needs and motivations to “build walls”, both physically and metaphorically, and the disillusionment and devastating consequences it might have: for people, for society, and for nature.

      https://www.inspirethemind.org/blog/the-iron-forest-building-the-walls-to-scar-the-nature
      #santé_mentale

    • Poland’s border wall to cut through Europe’s last old-growth forest

      Work has begun on a 116-mile long fence on the Polish-Belarusian border. Scientists call it an environmental “disaster.”

      The border between Poland and Belarus is a land of forests, rolling hills, river valleys, and wetlands. But this once peaceful countryside has become a militarized zone. Prompted by concerns about an influx of primarily Middle Eastern migrants from Belarus, the Polish government has begun construction on a massive wall across its eastern border.

      Human rights organizations and conservation groups have decried the move. The wall will be up to 18 feet tall (5.5 meters) and stretch for 116 miles (186 kilometers) along Poland’s eastern border, according to the Polish Border Guard, despite laws in place that the barrier seems to violate. It’s slated to plow through fragile ecosystems, including Białowieża Forest, the continent’s last lowland old-growth woodland.

      If completed within the next few months as planned, the wall would block migration routes for many animal species, such as wolves, lynx, red deer, recovering populations of brown bears, and the largest remaining population of European bison, says Katarzyna Nowak, a researcher at the Białowieża Geobotanical Station, part of the University of Warsaw. This could have wide-ranging impacts, since the Polish-Belarus border is one of the most important corridors for wildlife movement between Eastern Europe and Eurasia, and animal species depend on connected populations to stay genetically healthy.

      Border fences are rising around the world, the U.S.-Mexico wall being one of the most infamous. A tragic irony of such walls is that while they do reliably stop the movement of wildlife, they do not entirely prevent human migration; they generally only delay or reroute it. And they don’t address its root causes. Migrants often find ways to breach walls, by going over, under, or through them.

      Nevertheless, time after time, the specter of migrants crossing borders has caused governments to ignore laws meant to protect the environment, says John Linnell, a biologist with the Norwegian Institute for Nature Research.

      Polish border wall construction will entail heavy traffic, noise, and light in pristine borderland forests, and the work could also include logging and road building.

      “In my opinion, this is a disaster,” says Bogdan Jaroszewicz, director of the Białowieża Geobotanical Station.
      Fomenting a crisis

      The humanitarian crisis at the border began in summer 2021, as thousands of migrants began entering Belarus, often with promises by the Belarusian government of assistance in reaching other locations within Europe. But upon arrival in Belarus, many were not granted legal entry, and thousands have tried to cross into Poland, Latvia, and Lithuania. Migrants have often been intercepted by Polish authorities and forced back to Belarus. At least a dozen migrants have died of hypothermia, malnourishment, or other causes.

      Conflict between Belarus and the EU flared when Alexander Lukashenko claimed victory in the August 2020 presidential election, despite documented claims the election results were falsified. Mass protests and crackdowns followed, along with several rounds of EU sanctions. Poland and other governments have accused Belarus of fomenting the current border crisis as a sort of punishment for the sanctions.

      In response, the Polish government declared a state of emergency on the second of September, which remains in place. Many Polish border towns near the Belarusian border are only open to citizens and travel is severely restricted; tourists, aid workers, journalists, and anybody who doesn’t live or permanently work in the area cannot generally visit or even move through.

      That has made life difficult for the diverse array of people who live in this multi-ethnic, historic border region. Hotels and inns have gone out of business. Researchers trying to do work in the forest have been approached by soldiers at gunpoint demanding to know what they are doing there, says Michał Żmihorski, an ecologist who directs the Mammal Research Institute, part of the Polish Academy of Sciences, based in Białowieża.

      The Polish government has already built a razor-wire fence, about seven feet tall, along the border through the Białowieża Forest and much of the surrounding border areas. Reports suggest this fence has already entrapped and killed animals, including bison and moose. The new wall will start at the north edge of the Polish-Belarusian border, abutting Lithuania, and stretch south to the Bug River, the banks of which are already lined with a razor-wire fence.

      “I assume that it already has had a negative impact on many animals,” Żmihorski says. Further wall construction would “more or less cut the forest in half.”

      Some scientists are circulating an open letter to the European Commission, the executive branch of the EU, to try to halt the wall’s construction.

      Primeval forest

      Much of the Białowieża Forest has been protected since the 1400s, and the area contains the last large expanse of virgin lowland forest, of the kind that once covered Europe from the Ural Mountains to the Atlantic Ocean. “It’s the crown jewel of Europe,” Nowak says.

      Oaks, ash, and linden trees, hundreds of years old, tower over a dense, unmanaged understory—where trees fall and rot undisturbed, explains Eunice Blavascunas, an anthropologist who wrote a book about the region. The forest is home to a wide diversity of fungi and invertebrates—over 16,000 species, between the two groups—in addition to 59 mammalian and 250 bird species.

      In the Polish side of the forest, around 700 European bison can be found grazing in low valleys and forest clearings, a precious population that took a century to replenish. There are also wolves, otters, red deer, and an imperiled population of about a dozen lynx. Normally these animals move back and forth across the border with Belarus. In 2021, a brown bear was reported to have crossed over from Belarus.

      Reports suggest the Polish government may enlarge a clearing through Białowieża and other borderland forests. Besides the impact on wildlife, researchers worry about noise and light pollution, and that the construction could introduce invasive plants that would wreak havoc, fast-growing weedy species such as goldenrod and golden root, Jaroszewicz adds.

      But it’s not just about this forest. Blocking the eastern border of Poland will isolate European wildlife populations from the wider expanse of Eurasia. It’s a problem of continental scale, Linnell says, “a critical issue that this [border] is going to be walled off.”

      Walls cause severe habitat fragmentation; prevent animals from finding mates, food, and water; and in the long term can lead to regional extinctions by severing gene flow, Linnell says.
      Against the law?

      The wall construction runs afoul of several national environment laws, but also important binding international agreements, legal experts say.

      For one, Białowieża Forest is a UNESCO World Heritage site, a rare designation that draws international prestige and tourists. As part of the deal, Poland is supposed to abide by the strictures of the World Heritage Convention—which oblige the country to protect species such as bison—and to avoid harming the environment of the Belarusian part of the forest, explains Arie Trouwborst, an expert in environmental law at Tilburg University in the Netherlands.

      It’s conceivable that construction of the wall could lead UNESCO to revoke the forest’s World Heritage status, which would be a huge blow to the country and the region, Trouwborst adds; A natural heritage site has only been removed from the UNESCO list once in history.

      The Polish part of the Białowieża site has also been designated a Natura 2000 protected area under the European Union Habitats Directive, as are a handful of other borderlands forests. The new wall would “seem to sit uneasily with Poland’s obligations under EU law in this regard, which require it to avoid and remedy activities and projects that may be harmful for the species for which the site was designated, [including] European bison, lynx, and wolf,” Trouwborst says.

      EU law is binding, and it can be enforced within Poland or by the EU Court of Justice, which can impose heavy fines, Trouwborst says. A reasonable interpretation of the law suggests that the Polish government, by building a razor-wire fence through Białowieża Forest, is already in breach of the Habitats Directive. The law dictates that potentially harmful projects may in principle only be authorized “where no reasonable scientific doubt remains as to the absence” of adverse impacts. And further wall construction carries obvious environmental harms.

      “One way or another, building a fence or wall along the border without making it permeable to protected wildlife would seem to be against the law,” Trouwborst says.

      The EU Court of Justice has already shown itself capable of ruling on activity in the Białowieża Forest. The Polish government logged parts of the forest from 2016 to 2018 to remove trees infected by bark beetles. But in April 2018, the Court of Justice ruled that the logging was illegal, and the government stopped cutting down trees. Nevertheless, the Polish government this year resumed logging in the outskirts of Białowieża.
      Walls going up

      Poland is not alone. The global trend toward more border walls threatens to undo decades of progress in environmental protections, especially in transboundary, cooperative approaches to conservation, Linnell says.

      Some of the more prominent areas where walls have recently been constructed include the U.S.-Mexico border; the Slovenian-Croatian boundary; and the entire circumference of Mongolia. Much of the European Union is now fenced off as well, Linnell adds. (Learn more: An endangered wolf went in search of a mate. The border wall blocked him.)

      The large uptick in wall-building seems to have taken many conservationists by surprise, after nearly a century of progress in building connections and cooperation between countries—something especially important in Europe, for example, where no country is big enough to achieve all its conservation goals by itself, since populations of plants and animals stretch across borders.

      This rush to build such walls represents “an unprecedented degree of habitat fragmentation,” Linnell says. It also reveals “a breakdown in international cooperation. You see this return to nationalism, countries trying to fix problems internally... without thought to the environmental cost,” he adds.

      “It shows that external forces can threaten to undo the progress we’ve made in conservation... and how fragile our gains have been.”

      https://www.nationalgeographic.com/environment/article/polish-belarusian-border-wall-environmental-disaster
      #nature #faune #forêt #flore

      –-
      voir aussi ce fil de discussion sur les effets sur la faune de la construction de barrières frontalières :
      https://seenthis.net/messages/515608

    • Le spectre d’une nouvelle #crise_humanitaire et migratoire à la frontière entre la Pologne et la Biélorussie

      La #clôture construite par la Pologne en réponse à l’afflux de migrants en 2021, n’empêche pas la Russie de continuer à user de l’immigration comme d’une arme pour déstabiliser l’Europe.


      #Minkowce est une bourgade polonaise d’une centaine d’âmes, accolée à la frontière biélorusse, où les rues non goudronnées, les anciennes maisons de bois et leurs vieilles granges donnent l’impression que le temps s’y est arrêté. « On se croirait en Amérique à la frontière avec le Mexique ! », s’amuse pourtant Tadeusz Sloma, un agriculteur à la retraite. Car si dans cette région forestière, l’automne est humide et resplendit de couleurs vives en cette fin d’octobre, une imposante clôture d’acier de 5,5 mètres de hauteur, rappelant celle du Texas, s’élève depuis peu à proximité immédiate du hameau.

      « On finit par s’y habituer et on ne la regarde même plus », relativise M. Sloma, dont le jardin débouche sur la clôture. Ici, le souvenir de l’afflux migratoire de l’automne 2021 et de ses dizaines de milliers de réfugiés reste vif. « Nous jetions de la nourriture aux migrants au-dessus des barbelés, des sacs de couchage, des habits, se rappelle le retraité. Ils nous répondaient : “Thank you ! We love you !” Des femmes enceintes, des enfants… cela faisait mal au cœur. » Mais désormais, dit-il, tous les autochtones approuvent le mur et les mesures sécuritaires. « C’est une situation qui ne pouvait pas durer. On se sent davantage en sécurité. Ça ne se répétera pas. »

      Le long de ce qui était il y a encore peu une des frontières les plus paisibles et les plus sauvages de l’Union européenne (UE), chemine désormais un serpent d’acier, de béton et de barbelés de 186 kilomètres de long. Beaucoup plus imposante que les infrastructures similaires dans les pays Baltes, la clôture traverse la #forêt de #Bialowieza, la dernière forêt primaire d’Europe et ses pâturages de bisons, classée au patrimoine de l’Unesco. Les ONG et les scientifiques dénoncent une catastrophe écologique provoquée par la construction de l’infrastructure, qui traverse des zones où la biodiversité était préservée depuis près de douze mille ans.

      « Guerre hybride »

      Depuis que le régime biélorusse a fait de l’organisation de filières migratoires du Moyen-Orient une arme contre le Vieux Continent, le gouvernement national conservateur polonais a répondu avec la plus grande fermeté, au grand dam des défenseurs des droits humains.

      Pour lutter contre ce qui a été qualifié par les institutions européennes de « #guerre_hybride », la raison d’Etat a pris le dessus sur bien des considérations liées aux libertés civiques, au respect du droit d’asile où à la protection du patrimoine naturel. La guerre en Ukraine n’a pas arrangé les choses, même si le nombre de soldats dans la région est passé de 15 000 au pic de la crise migratoire à 1 600 aujourd’hui.

      Grâce à la lutte contre les filières depuis les pays d’origine, l’arrivée de migrants a considérablement baissé, mais ne s’est jamais tarie : 11 000 tentatives de passages ont été recensées depuis le début de l’année, dont 1 600 au mois octobre. Elles étaient 17 000 en octobre 2021. La clôture, opérationnelle depuis juin, est sur le point d’être équipée de systèmes de surveillance électronique dernier cri, avec lesquels les autorités espèrent la rendre « 100 % étanche. » Il restera néanmoins 230 km de frontière le long du Boug occidental, un cours d’eau difficile à surveiller.

      « Ce qui est frappant, c’est que le profil des migrants a radicalement changé , souligne Katarzyna Zdanowicz, porte-parole des gardes-frontières de la région de Podlachie, au nord-est de la Pologne. L’immense majorité provient désormais d’Afrique subsaharienne et de pays jamais recensés auparavant : Nigeria, Soudan, Congo, Togo, Bénin, Madagascar, Côte d’Ivoire, Kenya, Erythrée. » Autre différence : les migrants ne transitent désormais plus directement par Minsk mais d’abord par Moscou. « Il est clair que la Russie leur facilite la tâche. Les visas russes sont tous récents », ajoute-t-elle.

      Possible hausse des tensions

      A une moindre échelle, l’effroyable industrie migratoire pilotée par Minsk et Moscou continue, et les épaisses forêts marécageuses, surnommées par les migrants « la jungle », voient errer des centaines de personnes par semaine. Les soldats biélorusses jouent les passeurs et s’occupent de la logistique. Ils aident les migrants à franchir le mur, fournissent des échelles, des outils, de quoi creuser des tunnels.

      « Grâce au mur, il y a moins d’incidents , insiste Katarzyna Zdanowicz. Avant, les heurts violents étaient fréquents. Les Biélorusses diffusaient dans des haut-parleurs des pleurs d’enfants pour nous faire craquer. » Le temps où les gardes polonais et biélorusses organisaient chaque année, en bonne camaraderie, des compétitions de kayaks le long de la frontière, paraît aujourd’hui bien loin.

      D’autres signes laissent présager une possible hausse des tensions : la Russie a ouvert, début octobre, l’aéroport de Kaliningrad, l’enclave russe située entre la Pologne et la Lituanie, aux vols internationaux. Les médias russes rapportent que les autorités aéroportuaires ont annoncé leur intention d’ouvrir des liaisons avec les Emirats arabes unis, l’Egypte, l’Ethiopie ou encore la Turquie. Un moyen supplémentaire de pression sur l’UE. Pour l’heure, les autorités polonaises assurent toutefois ne constater « aucun phénomène préoccupant » sur la frontière avec Kaliningrad, pourtant particulièrement difficile à protéger.

      Plus au sud, le village de #Bialowieza vit toujours au rythme des interventions des activistes bénévoles, qui portent assistance en forêt aux réfugiés retrouvés dans des états critiques après des journées d’#errance. Au quartier général de l’organisation « #Grupa_Granica » (« Groupe Frontière »), dans un lieu tenu secret, on recense toujours entre 50 et 120 interventions par semaine, sur une zone relativement restreinte. « Grâce au mur, si l’on peut dire, nous n’avons presque plus de femmes ou d’enfants, c’est une différence par rapport à l’année dernière, confie Oliwia, une activiste qui souhaite rester anonyme. Mais nous avons davantage de jambes et de bras cassés, de blessés graves par les barbelés. »

      « Nous avons vu trop d’horreurs »

      Autre différence, la #répression des activistes par les services spéciaux s’est considérablement accrue. « L’aide est de plus en plus criminalisée. On essaye de nous assimiler à des passeurs, alors que nous n’enfreignons pas la loi. Nous sommes surveillés en permanence. » Chacun des militants a un numéro de téléphone écrit au marqueur indélébile sur l’avant-bras : le contact d’un avocat. Les #arrestations_violentes sont devenues monnaie courante. Il y a peu, le local d’une organisation partenaire, le Club de l’intelligentsia catholique (KIK), a été perquisitionné, des membres ont été arrêtés et du matériel confisqué.

      « Nous ne sommes plus en crise migratoire, ajoute Oliwia. Les gardes et l’armée devraient être plus contenus, faire respecter les procédures. Mais ils sont au contraire plus agressifs. La crise humanitaire, elle, est toujours là, et elle va s’accroître avec l’hiver. »

      En #Podlachie, l’aide aux migrants repose principalement sur les épaules des militants bénévoles et de certains autochtones. Elle est financée par des campagnes de dons, et les moyens tendent à se tarir. Nombreux sont ceux qui déplorent l’absence de soutien des grandes organisations humanitaires internationales.

      L’année tumultueuse qui s’est écoulée a laissé des traces dans les mentalités des populations locales, empreintes d’un ras-le-bol généralisé, d’une atmosphère d’extrême méfiance de l’étranger et d’omerta sur les sujets sensibles. « Après plus d’une année à agir, nous sommes tous exténués physiquement et psychiquement , conclut Olivia. Nous avons vu trop d’horreurs. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2022/10/29/a-la-frontiere-entre-la-pologne-et-la-bielorussie-le-spectre-d-une-nouvelle-
      #criminalisation_de_l'aide #criminalisation_de_la_solidarité

    • Polonia tra accoglienza e nuovi muri, ‘solidarnosc’ a lettura politica

      Un nuovo muro anti migranti clandestini tra Polonia e Bielorussia costato quasi mezzo miliardo di Euro che frena ma non ferma. Non bastano il muro e l’inverno, in quelle foreste particolarmente crudele. La spinta dei migranti clandestini usata anche come arma politica, analizza Marsonet. Sulla Polonia e altrove. Chi la favorisce e chi la ferma per ragioni opposte ma eguali: per interesse politico o per puro guadagno.
      Per rimanere su quel confine interpretato spesso come fronte con la Russia, tra le persone che lo attraversano o muoiono tentando di farlo, si contano circa 80 nazionalità e luoghi di origine, segnalano Croce rossa e Mezzaluna rossa.
      Il migrante come arma o come guadagno

      Vi sono pochi dubbi sul fatto che Putin e il suo alleato Lukashenko stiano utilizzando il problema dei migranti per mettere in difficoltà l’Unione Europea. Del resto, è noto che anche Erdogan sta praticando la stessa strategia. L’unica differenza è che il “sultano” si fa profumatamente pagare per impedire che i disperati lascino il suolo turco e si dirigano verso l’Ue, lasciando però scoperti varchi attraverso i quali la fuga può essere tentata.
      Nessuna richiesta di denaro invece, da Mosca e Minsk. Federazione Russa e Bielorussia vogliono solo accrescere le difficoltà di Bruxelles, magari usando i migranti per cercare di ammorbidire le sanzioni emanate dopo l’invasione dell’Ucraina.
      Europa in ordine sparso e scaricabarile

      Purtroppo occorre constatare che le varie nazioni europee affrontano il problema (anzi: il dramma) in ordine sparso. Non c’è alcuna strategia comune che l’Unione abbia adottato. E, se anche vi fosse, vien fatto di pensare che non verrebbe accettata da tutti.
      La reazione più comune consiste nel costruire muri sempre più alti, con grandi quantità di filo spinato e dotati di sensori elettronici in grado di dare l’allarme in caso di sconfinamento. Tali muri danno, ai Paesi che li erigono, un notevole senso di sicurezza.
      I muri muraglia senza imparare dalla storia

      E’ lecito chiedersi, tuttavia, se tale senso di sicurezza sia giustificato, o se si tratta piuttosto di una sicurezza fasulla. I fenomeni migratori sono una costante della storia, e non solo di quella occidentale. Gli imperatori cinesi costruirono la Grande Muraglia, che resta tuttora una meraviglia architettonica.
      Però non riuscì affatto a fermare i popoli delle steppe dell’Asia centrale, che la superarono senza eccessivi problemi penetrando quindi nei territori dell’Impero Celeste, mischiandosi ai cinesi e imponendo addirittura dinastie estranee agli “han”, la componente etnica maggioritaria della Cina.
      L’inganno delle trincee indifendibili

      Ci si chiede, quindi, perché mai nella nostra epoca i muri che vengono costruiti a ritmo accelerato nell’Europa dell’Est dovrebbero riuscire a bloccare le ondate di disperati che vogliono penetrare nelle nazioni più ricche, alla ricerca di un’esistenza migliore.
      Il caso emblematico è quello della Polonia, ormai trasformata in una sorta di “fortezza” protetta dai muri anzidetti. Senza scordare che non tutti i confini sono fortificabili in questo modo. Per esempio, tra Polonia e Bielorussia esistono vaste aree con grandi foreste e acquitrini che rendono in pratica impossibile la costruzione di muri di quel tipo.
      ‘Solidarnosc’ solo con Kiev

      Ora si apprende che Varsavia intende erigere un muro anche al confine con l’enclave russa di Kaliningrad, peraltro irta di missili che Mosca vi ha piazzato per far pesare la sua presenza militare. Il governo polacco è allarmato per l’aumento dei voli dall’Africa a Kaliningrad, e accusa quello russo di voler incoraggiare anche qui il passaggio di migranti.
      Sottolineando ancora una vota le responsabilità di Mosca (e di Minsk) che usa i migranti come “arma politica”, è tuttavia lecito chiedersi se una nazione vasta come la Polonia può davvero trasformarsi in fortezza inespugnabile con questi metodi. Dopo tutto è il Paese in cui Lech Walesa fondò il movimento sindacale “Solidarnosc” (che significa “solidarietà”).

      https://www.remocontro.it/2022/12/20/polonia-solo-per-lucraina-altri-muri-per-i-migranti-sgraditi

    • Refugees seriously injured on razor-wire fence UK helped build to keep asylum seekers out of EU

      Government accused of backing ‘inhumane’ policies as 16 people are badly hurt by barrier blocking entry via Poland from Belarus

      Refugees and asylum seekers have been seriously injured by a “dangerous” razor-wire fence that the UK helped to build to keep asylum seekers out of Europe.

      At least 16 people have been gravely hurt, some hospitalised, when recently attempting to reach Europe by crossing a 5.5m-high barrier the British military helped to construct on Poland’s border with Belarus.

      Humanitarian groups last night called for an inquiry into why the government had aided “inhumane anti-migration measures” and demanded answers from ministers over Britain’s “role in the harm and misery inflicted upon vulnerable people”.

      The Ministry of Defence confirmed it sent Royal Engineers personnel to Poland between December 2021 and August 2022 to provide “border infrastructure support” in response to “pressures from irregular migration”.

      The Polish defence minister stated British soldiers would work on a fence on the Belarusian border.

      Now the medical charity Médecins Sans Frontières (MSF) has revealed it has been treating a series of grave injuries sustained at the barrier.

      During the month up to 24 April, at least 16 people, mainly from Syria, Iraqi Kurdistan and Afghanistan, were treated for blunt injuries, sprains, cuts, and suspected fractures – some requiring urgent hospitalisation – as a “direct result” of trying to cross the razor-wire border wall stretching 116 miles along its frontier with Belarus.

      The types of injury led MSF medics to conclude that the border fence, completed last June, was “dangerous.”

      Sophie McCann, advocacy adviser at MSF UK, said: “MSF medical teams have seen the injuries and suffering caused by abusive treatment at Europe’s borders of refugees, people seeking asylum and other migrants.

      “It is therefore deeply alarming that the UK government is actively and directly supporting these inhumane anti-migration measures.

      “Given the government sent personnel to help construct fences in response to ‘irregular migration’, ministers have serious questions to answer about their role in the harm and misery inflicted upon vulnerable people searching for sanctuary.”

      A defence source said the UK had become involved after Belarus began forcing migrants towards Poland, a Nato ally, in an apparent attempt to undermine EU security.

      “Belarus’s deliberate policy to use migrants as weapons has sadly led to many being forced across secure border fences. The UK government condemns such use,” said the source.

      The developments come as the UK government refuses to say what anti-migrant and border security support it has given to Hungary, whose nationalist prime minister, Viktor Orbán, previously described asylum seekers entering Europe as “a poison”.

      Since January 2021, MSF teams at the border have treated 498 patients for physical injuries, allegedly because of physical assaults by Hungary’s border police and army, or due to a steel fence built on the border with Serbia to keep out migrants.

      The charity said it was investigating recent reports of children locked up in shipping containers and teargassed in Hungary.

      Another country accused of serious abuses towards refugees is Greece. The UK government has, in the past, been transparent about helping Athens with anti-migrant measures but now appears to have adopted a policy of secrecy, not answering queries from the Observer or sharing details following Freedom of Information requests.

      “The excessive secrecy around the provision of assistance to other states’ harsh migration policies is deeply alarming,” said McCann.

      This month the New York Times published video showing asylum seekers taken to sea and abandoned on a raft by the Greek coastguard – despite the country claiming it does not ditch migrants at sea.

      McCann added: “We have seen the horrendous human cost of policies such as violent pushbacks – where people arriving in Greece are aggressively forced back out to sea and abandoned. Yet the Home Office is refusing to share even minimal information about what support it provides to border forces in Greece or Hungary – two states where many of the worst abuses happen.

      “It is completely unacceptable that the UK government continues to support this approach while seeking to cover up the evidence of its support at every turn.”

      A Ministry of Defence spokesperson said: “Between December 2021 and August 2022, personnel from the Royal Engineers were deployed to Poland to help secure its border.

      “Personnel supported Polish troops with specific engineering tasks along the border including infrastructure support and repairing access roads, as well as planning support.”

      The Home Office referred queries to the Foreign Office who said the issue was one for the Home Office.

      https://www.theguardian.com/uk-news/2023/may/27/refugees-hurt-dangerous-fence-uk-built-keep-asylum-seekers-out-of-eu-po

    • II.1.4) Description succincte : L’accord-cadre a pour objet l’acquisition de véhicules blindés maintien de l’ordre et sa maintenance associée au profit de la gendarmerie nationale. Il comprend trois postes : Acquisition de véhicules équipés, maintenance et pièces détachées associées, formation. L’accord cadre est conclu sans montant minimum ni montant maximum. A titre indicatif et non contractuel, les quantités estimées sont de quatre-vingt-dix véhicules.

  • Dans les Alpes, migrants et bénévoles face à une police aux frontières renforcée

    En novembre, Emmanuel Macron a doublé les effectifs de la police aux frontières "contre la menace terroriste". Des renforts auxquels se heurtent quotidiennement associations et exilés.

    C’est pour notre “protection commune”, assure Emmanuel Macron. Dans la foulée des attentats terroristes de Conflans-Sainte-Honorine et de Nice, le président de la République annonçait le 5 novembre rien de moins qu’un doublement des effectifs de la police aux frontières.

    À Montgenèvre (Hautes-Alpes), par exemple, une soixantaine de policiers, de gendarmes réservistes et même de militaires de l’opération Sentinelle sont arrivés en renfort ces dernières semaines, selon la préfecture.

    Comme vous pouvez le voir dans notre reportage vidéo ci-dessus, cette forte présence policière n’est pas sans conséquence sur les dizaines d’exilés, dont de nombreux demandeurs d’asile, qui tentent chaque jour de franchir au péril de leur vie ce point montagneux de la frontière franco-italienne, ni sur les associations qui leur portent assistance.

    Samedi 5 décembre, notre caméra a pu suivre sur le terrain l’association Tous migrants, dont deux bénévoles ont récemment été interpellés lors d’une maraude et convoqués devant le tribunal de Gap pour “aide à l’entrée” d’un couple d’Afghans.

    "On sait que des policiers ont bien conscience que ce qu’on leur demande de faire est inhumain."
    #Michel_Rousseau, association Tous migrants

    Signe supplémentaire que ce “#délit_de_solidarité” persiste, deux bénévoles ont une fois de plus été interpellés lors de notre reportage, alors qu’ils portaient assistance à une dizaine de migrants afghans, iraniens et maliens côté français. Soupçonnés “d’aide à l’entrée sur le territoire de personne en situation irrégulière”, ils ont reçu une convocation pour une audition libre 48 heures plus tard.

    Selon nos informations, les deux maraudeurs n’ont finalement fait l’objet d’aucune poursuite, mais ont vu leurs empreintes et photos récoltées par les autorités. Depuis notre tournage, quatre autres maraudeurs ont encore été convoqués par la police, pour un total de six bénévoles auditionnés en à peine une semaine.
    Des rétentions au cadre légal flou

    Avant leur renvoi aux autorités italiennes, les migrants interpellés en montagne sont emmenés dans des bâtiments préfabriqués (type Algeco) situés derrière le poste-frontière de Montgenèvre, comme vous pouvez le voir également dans notre reportage en tête d’article.

    Utilisé aussi à Menton, ce type de lieu de rétention sans cadre légal précis est dénoncé en justice par des associations et ONG. Ces derniers y réclament le droit de pouvoir y accéder pour porter une assistance aux demandeurs d’asile, comme dans les centres de rétention ou les zones d’attente (ZA) des aéroports internationaux.

    “On est dans un État de droit. Quand il y a privation de libertés, il y a une base légale et les gens maintenus ont des droits prévus par la loi. Et là, il n’y a rien”, regrette Gérard Sadik, responsable de la commission Asile de La Cimade.

    En ce qui concerne Menton, le tribunal administratif de Nice a d’ailleurs suspendu le 30 novembre dernier une décision du préfet des Alpes-Maritimes “refusant l’accès aux constructions modulaires attenantes au poste de la police aux frontières aux représentantes de l’association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) et de l’association Médecins du Monde”. En outre, la justice évoque plusieurs manquements aux droits des demandeurs d’asile :

    “Le juge relève que quotidiennement, de nombreuses personnes sont retenues dans ces locaux munis de système de fermeture et de surveillance vidéo, dans des conditions précaires, pour de nombreuses heures, notamment la nuit lorsque le poste de police italien est fermé, qu’elles sont mises dans l’impossibilité de partir librement de ces locaux et d’obtenir au cours de la période de ‘maintien’ une assistance médicale, juridique ou administrative des associations.”

    Une “fabrique des indésirables”

    Contactée par Le HuffPost, la préfecture des Hautes-Alpes évoque sobrement des “locaux de mise à l’abri proposés sans contrainte”, le temps de procéder à des “vérifications” et “aménagés dans l’unique objectif de préserver tant leur dignité, en proposant un lieu de repos (avec chauffage, couvertures, mobiliers, nourriture), que leur vie, afin de ne pas soumettre ces personnes non admises à un retour par leurs propres moyens”.

    À notre micro, Michel Rousseau, Briançonnais et bénévole de la première heure de Tous migrants, y voit plutôt une “fabrique des indésirables”. Tout en ajoutant : “Mais on ne veut pas être dans la caricature. On sait que des policiers ont bien conscience que ce qu’on leur demande de faire est inhumain. On compte sur eux pour que les droits fondamentaux triomphent”.

    https://www.huffingtonpost.fr/entry/dans-les-alpes-migrants-et-benevoles-face-a-une-police-aux-frontieres
    #vidéo #Tous_Migrants #maraudes #asile #migrations #réfugiés #Hautes-Alpes #Briançon #France #Italie #frontières #militarisation_des_frontières #solidarité #maraudes_solidaires #hiver #vidéo

    • (reportage de 2018, je mets ici pour archivage)

      Migrants, l’odyssée des marcheurs de l’extrême – Episode 1 : Mamadou

      Face à l’afflux des passages de la frontière, une solidarité montagnarde s’est installée dans le Briançonnais. Le but ? Secourir les migrants en difficulté. Radio Parleur vous propose une série de cinq reportages dédiés au passage des migrants à travers les Hautes-Alpes. Dans ce premier épisode, place à l’histoire de Mamadou, qui a traversé la frontière italo-française en passant par le col de l’Échelle, un soir de mars.

      Depuis le début de l’année, près de 2 000 réfugiés ou exilés, migrants, seraient arrivés en France, en traversant la frontière avec l’Italie. En passant par les Alpes, les cols alentours, et dans des conditions extrêmes, au péril de leur vie. Mamadou commence son odyssée en 2010, loin, très loin des Alpes. Fils d’un père boucher, il quitte son pays, le Mali, suite aux attaques menées par les touaregs qui combattent pour le contrôle du nord du pays.
      Du Mali à la Place des Fêtes, à Paris

      En 2011, alors que plusieurs de ses amis viennent de mourir dans un attentat sur un marché, il prend la décision de fuir. Passé par l’Algérie, il arrive finalement en Libye et monte dans un canot pneumatique à Tripoli. Sauvé de la noyade par les gardes-côtes italiens, on lui délivre à Naples un titre de séjour et un passeport Schengen.

      Il décide alors de rejoindre son oncle, qui travaille à Paris. Les petits boulots s’enchainent : boucher durant deux ans, puis vendeur pendant un an sur les marchés de Place des Fêtes et de Daumesnil, dans les 20ème et 12ème arrondissements parisiens.
      Repasser par l’Italie pour faire renouveler son titre de séjour

      A l’hiver 2016, Mamadou est obligé de retourner en Italie pour faire renouveler ses titres de séjour. On lui en accorde un, d’une durée de cinq ans, mais son passeport, lui, n’est pas encore prêt. À cause de son travail, Mamadou doit pourtant rentrer à Paris et ne peut attendre. Il décide de prendre le train à Milan, avant de se faire contrôler en gare de Modane, dix kilomètres après la frontière.

      Là, les policiers français lui expliquent que, sans son passeport, ils sont obligés de lui refuser l’entrée en France. Mamadou a beau leur assurer que sa demande est en cours et qu’il doit retourner travailler à Paris, d’où il vient, les agents lui répondent que ce n’est pas leur problème. Il est arrêté, ainsi qu’Ousmane, un autre exilé de 17 ans qui l’accompagne. Les deux garçons, migrants à ce moment-là, sont reconduits, en traversant la frontière, en Italie.
      Migrants : l’odyssée dramatique des marcheurs de l’extrême – Episode 1

      « Je ne savais pas que la neige pouvait brûler »

      À la gare de Bardonecchia, les deux jeunes gens ne connaissent personne. Mais ils sont déterminés à passer la frontière, comme d’autres migrants. Mamadou se renseigne sur l’itinéraire à prendre pour rejoindre la France auprès d’un italien. Celui-ci lui indique une route qui passe par le col de l’Échelle. Celui-ci culmine à 1762 mètres d’altitude.

      Le col de l’Échelle est fermé à la circulation l’hiver. En fonction de l’enneigement, cette fermeture peut durer de décembre jusqu’à mai. Nous sommes le 5 mars, il est 16h : il fait froid et il neige. Bien que peu couverts, en jean et en baskets, les deux jeunes décident néanmoins de franchir la montagne à pied.

      https://radioparleur.net/2018/06/04/migrants-solidaires-frontiere-episode-1

      #audio #son #podcast

    • Migrants, l’odyssée des marcheurs de l’extrême – Épisode 2 : Une #solidarité en actes

      Des milliers de réfugié·es ou d’exilé·es arrivent en France en provenance d’Italie. Ils et elles traversent la frontière par les cols des Alpes, dans des conditions extrêmes, avec un risque mortel. Face à cet afflux et à ces dangers, une solidarité montagnarde s’est installée dans le Briançonnais dans le but de secourir les migrant·es en difficulté. Dans ce deuxième épisode, Radio Parleur vous propose de découvrir trois portraits d’accueillant·es : un membre d’association, un pisteur en montagne ou une simple habitante de la #vallée_de_la_Clarée.

      Face aux risques que courent les migrants pour traverser la frontière, des habitant·es du Briançonnais, de #Névache et de #Montgenèvre se mobilisent par solidarité. Tout·es craignent de retrouver des cadavres au printemps et de voir la montagne se transformer en un gigantesque cimetière à ciel ouvert avec la fonte des neiges. Le 25 mai 2019, du côté italien du col de l’Échelle, un promeneur a découvert le corps d’« un homme à la peau sombre » inanimé, près d’un torrent. Le corps, en état de décomposition avancée, n’a pas pu être identifié, selon le journal italien La Stampa.

      Secourir les migrant·es en difficulté, par solidarité

      Bravant le froid et les contrôles accrus de la PAF (Police Aux Frontières), les bénévoles continuent. Épuisé·es et en colère face à un État qui, selon elleux, les laisse seul·es gérer l’urgence. C’est une armée de volontaires : ancien·nes militant·es, syndicalistes, anarchistes et libertaires, catholiques à la fibre sociale, mais aussi simples habitant·es de la vallée. Certain·es ne s’étaient jamais engagé·es par solidarité jusque-là. Mais tous et toutes ont prit le relais d’un État jugé déficient.

      Bruno Jonnard habite à Névache, la plus haute commune de la vallée de la Clarée, depuis maintenant quinze ans. Artisan l’été, il travaille comme dameur et pisteur l’hiver. Il assure des interventions comme pompier volontaire. Avec ses 361 habitant·es, Névache est le village le plus proche du col de l’Échelle. Un col dangereux et difficile d’accès par où passent les migrant·es qui franchissent la frontière franco-italienne.

      Murielle* habite à Montgenèvre où elle dirige un commerce. A quelques centaines de mètre, le col du même nom, et surtout la frontière franco-italienne. Mais aussi le poste de la Police Aux Frontières (PAF) d’où partent les patrouilles qui surveillent ce second point de passage pour les migrant·es.

      Michel Rousseau habite à Briançon. Ancien syndicaliste aujourd’hui à la retraite, il est le porte-parole de l’association Tous Migrants. L’association, sans étiquette politique, religieuse ou institutionnelle, créée en 2015, exprime l’indignation collective face au drame humanitaire vécu par les migrants en Europe. C’est aussi dans le chef-lieu de la vallée de la Clarée, que se situe le refuge solidaire de l’association pour les migrant·es.

      https://radioparleur.net/2018/06/05/montagnes-solidarite-migrants-marcheurs-odyssee-episode-2

    • Migrants, l’odyssée des marcheurs de l’extrême – Episode 3 : #Maraude en montagne

      Face à l’afflux des passages de la frontière, une solidarité montagnarde s’est installée dans le Briançonnais. Le but ? Secourir les migrants en difficulté. Radio Parleur vous propose une série de cinq reportages dédiés au passage des migrants à travers les Hautes-Alpes. Dans ce troisième épisode, Radio Parleur vous propose de partir au cœur d’une maraude en haute-montagne, avec Vincent et Emily*, bénévoles à l’association #Tous_Migrants.

      Dans les Hautes-Alpes, les migrants qui souhaitent rejoindre la France traversent régulièrement la frontière franco-italienne par la montagne. Ils passent par les cols de l’Echelle, à 1762 mètres d’altitude, et de Montgenèvre, à 1850 mètres d’altitude. Les conditions y sont extrêmement difficiles : températures qui descendent parfois en dessous de moins 20 degrés, passages par des zones difficiles d’accès et le plus souvent de nuit, avec les patrouilles de la #Police_Aux_Frontières (#PAF) et de la #Police_Nationale.

      Secourir les migrants en difficulté dans la montagne

      C’est pourquoi des professionnels de la montagne, des bénévoles, ou parfois de simples habitants de la région, s’organisent. Ils effectuent chaque soir des maraudes en altitude pour secourir les migrants en difficulté. Commençant autour de 21h, elles finissent tard dans la nuit. « Ça fait partie de la culture montagnarde : on ne laisse personne en difficulté sur le côté du chemin, là-haut », assure Vincent, habitant et pizzaiolo qui participe à la maraude.

      Parfois, ce sont jusqu’à douze ou quinze personnes par soir, qui tentent de passer. Il faut ensuite redescendre et parvenir jusqu’au #Refuge_Solidaire installé à Briançon. Là, suite à un accord avec la communauté de communes et la gendarmerie nationale, les migrant·e·s ne sont pas inquiété·e·s tant qu’ils ne s’éloignent pas du refuge installé dans une ancienne caserne de #CRS.

      https://radioparleur.net/2018/06/08/episode-3-maraude-montagne-migrants-detresse-solidaires

      Pour écouter le #podcast :
      https://podcast.ausha.co/radio-parleur/migrants-l-odyssee-des-marcheurs-de-l-extreme-episode-3-maraude-en-mon

      #maraudes

    • Dans les Alpes, les associations d’aide aux migrants se disent « harcelées » par la Police aux frontières

      L’association Tous Migrants qui vient en aide aux exilés qui traversent les Alpes pour rejoindre la France, s’inquiète du #harcèlement_policier dont elle se dit victime. Arrêtés pendant les #maraudes en montagne, à Briançon, les membres de l’association se plaignent des très nombreuses #amendes qu’ils reçoivent, disent-ils, pour non-respect du couvre-feu. Et s’inquiètent du sort des migrants interceptés par la Police aux frontières.

      « La situation est ubuesque ». C’est avec ces mots qu’Agnès Antoine, membre de Tous migrants, dans la ville de Briançon, au pied des Alpes françaises, évoque les maraudes de son association. « Il fait -15 degrés, les exilés risquent leur vie pour traverser la montagne et arriver en France et au lieu de les aider, nous sommes harcelés ». L’association reproche aux forces de l’ordre et aux membres de la Police aux frontières (PAF) de les entraver dans leur #aide_humanitaire.

      « Depuis le 6 janvier, nous avons déjà récolté une trentaine d’amendes pendant nos maraudes de soirées pour non-respect du #couvre-feu », explique-t-elle. Les associations sont pourtant autorisées à prolonger leurs activités au-delà de 20h avec une #attestation. Les bénévoles assurent que les forces de l’ordre n’en ont que faire.


      https://twitter.com/LoupBureau/status/1351629698565103625
      « Respect des règles »

      « Les #contrôles_arbitraires, notifications d’amendes, #auditions_libres et autres pressions envers les citoyens et citoyennes qui chaque soir essaient de porter assistance aux exilé(e)s se sont multipliés », peut-on lire dans un communiqué publié par Tous Migrants et Médecins du monde. « La nuit du 8 janvier 2021, j’ai été contrôlé quatre fois par deux équipes de gendarmes alors que je maraudais dans Montgenèvre. Cette même soirée, j’ai été notifié de trois amendes alors que j’étais en possession de mon ordre de mission et de mon attestation dérogatoire de déplacement délivrés par l’association Tous Migrants », ajoutent les auteurs du texte.

      Contactée par InfoMigrants, la préfecture des Hautes-Alpes se défend de harcèlement et de contrôles abusifs. « Les services chargés du contrôle aux frontières agissent dans le respect des règles de droit et des personnes qu’elles contrôlent », explique-t-elle dans un communiqué. « Concernant les maraudes exercées pendant le couvre-feu, les salariés et bénévoles peuvent se déplacer entre 18h et 6h pour l’aide aux personnes précaires en présentant une attestation professionnelle fournie par l’association. Il appartient à l’autorité de police verbalisatrice d’apprécier la validité des documents qui lui sont présentés. »


      https://twitter.com/DamienCAREME/status/1337458498146222082

      « La PAF nous demande de venir chercher des migrants dans leurs locaux »

      Pour Agnès Antoine, le comportement de la police est surtout incompréhensible. « Ils nous harcèlent et dans le même temps, ils nous demandent de les aider, de venir chercher des migrants quand ils sont dans les locaux de la PAF. Parce qu’ils ne savent pas quoi faire d’eux. C’est vraiment dingue ».

      Dernier exemple en date, dans la nuit du vendredi 15 janvier au samedi 16 janvier. Vingt-deux migrants, Iraniens et Afghans, dont des enfants et un nouveau-né, sont interceptés par la police dans la montagne puis emmenés dans les locaux de la PAF. Selon Tous Migrants, « toutes les personnes arrêtées ont reçu des OQTF et des IRTF délivrées par la préfète ». Après les avoir interrogés, la PAF a appelé l’association. « Ils nous ont demandé de venir pour nous en occuper », soupire-t-elle.
      De plus en plus de familles parmi les exilés

      L’association reproche également aux forces de l’ordre de bafouer les droits des migrants. « L’État militarise la frontière, traque les exilé(e)s et les reconduit quasi systématiquement en Italie sans même vérifier s’ils souhaitent demander l’asile en France », écrivent-ils encore dans leur communiqué.

      Selon Tous Migrants, le profil des exilés traversant les Alpes a changé ces derniers mois. Auparavant, les personnes secourues étaient majoritairement des hommes, en provenance d’Afrique de l’Ouest « qui remontaient l’Italie depuis le sud avant de traverser les Alpes ». Aujourd’hui, les migrants sont davantage des familles venues du Moyen-Orient. « Elles arrivent de Slovénie, passent par Trieste (dans le nord de l’Italie), et arrivent aux Alpes », explique Agnès Antoine. « Ce sont beaucoup de familles avec des femmes enceintes, des enfants et même des bébés en bas âge ».

      Depuis le mois de septembre 2020, les maraudes ont permis de porter assistance à 196 personnes, écrivent les bénévoles de l’association.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/29725/dans-les-alpes-les-associations-d-aide-aux-migrants-se-disent-harcelee

    • « A la frontière franco-italienne, l’Etat commet des violations quotidiennes des droits humains »

      Au nom de la lutte contre l’immigration irrégulière, la #militarisation_de_la_montagne n’est qu’un geste vain de l’Etat, alertent l’anthropologue #Didier_Fassin et le médecin #Alfred_Spira.

      Tribune. Toutes les #nuits, dans les Hautes-Alpes, au col de Montgenèvre, des hommes, des femmes et des enfants en provenance du Moyen-Orient, d’Afrique subsaharienne ou du Maghreb tentent de passer à pied d’Italie en France, dans la neige et le froid. Toutes les nuits, puissamment équipés, des agents de la police aux frontières et des gendarmes dépêchés sur place s’efforcent de les en empêcher et de les reconduire de l’autre côté de la frontière. Toutes les nuits, des bénévoles font des #maraudes pour porter assistance à ceux qui, une fois sur le territoire français, essaient d’échapper à leur arrestation.

      Cette étrange dramaturgie se reproduit depuis quatre ans, et, si les hivers sont particulièrement dangereux, certains des accidents les plus tragiques se sont produits en #été : il n’est pas de période sûre pour les exilés qui se perdent ou se blessent dans cette voie par laquelle ils espèrent obtenir la protection de la France ou poursuivre plus loin leur périple. Ajoutons à ce tableau la présence de deux compagnies de policiers et de gendarmes chargés du secours en haute montagne qui, en conformité avec leur noble mission, sont parfois paradoxalement conduits à intervenir pour aider des exilés qui fuient leurs collègues.

      Leur action se fait au nom du contrôle de l’immigration, et le président de la République a récemment ordonné un doublement des forces de l’ordre qui gardent les frontières.

      Mais cette impressionnante mobilisation se révèle à la fois disproportionnée et inefficace, comme le reconnaît un haut fonctionnaire préfectoral. Disproportionnée, car elle ne concerne que 2 000 à 3 000 passages par an. Inefficace, car celles et ceux qui sont reconduits retentent inlassablement leur chance jusqu’à ce qu’ils réussissent.

      La véritable conséquence du déploiement de ce dispositif est de contraindre les exilés à emprunter des chemins de plus en plus périlleux, sources de #chutes, de #blessures et de #gelures. Plusieurs #décès ont été enregistrés, des #amputations ont dû être réalisées. La militarisation de la montagne n’est ainsi qu’un geste vain de l’Etat, dont le principal résultat est la #mise_en_danger des exilés, souvent des familles.

      « #Délit_de_solidarité »

      Geste d’ailleurs d’autant plus vain qu’il est difficile d’imaginer que des personnes qui ont quitté un pays où ils n’étaient pas en sécurité pourraient y retourner. Les uns ont fait des milliers de kilomètres sur la route des Balkans, y ont été enfermés dans des camps infâmes sur des îles grecques ou ont subi les violences des policiers et des miliciens croates.

      Les autres ont franchi le Sahara où ils ont été dépouillés de leurs biens par des gangs avant d’arriver en Libye, où ils ont été détenus, torturés et libérés contre rançon, puis de traverser la Méditerranée sur des embarcations précaires et surchargées. Il est difficile d’imaginer que ces exilés puissent renoncer à cet ultime obstacle, fût-il rendu hasardeux par l’action de la police et de la gendarmerie.

      C’est pourquoi l’activité des maraudeurs est cruciale. Les premiers d’entre eux, il y a quatre ans, étaient des habitants de la région pour lesquels il était impensable de laisser des personnes mourir en montagne sans assistance. « #Pas_en_notre_nom » était leur cri de ralliement et l’intitulé de leur association, qui est devenue un peu plus tard Tous Migrants, récompensée en 2019 par un prix des droits de l’homme remis par la garde des sceaux. Très vite, ils ont été rejoints par des #bénévoles venus de toute la France et même de plus loin, certains étant des professionnels de santé intervenant au nom de #Médecins_du_monde.

      Ces maraudeurs qui essaient de mettre à l’#abri les exilés ayant franchi la frontière dans des conditions extrêmes ont à leur tour été réprimés. Bien que censuré par le Conseil constitutionnel en 2018, au nom du principe supérieur de fraternité, le « délit de solidarité » continue à donner lieu à des #interpellations et parfois à des #poursuites.

      Nous avons nous-mêmes récemment été, en tant que médecins, les témoins de ces pratiques. L’un de nous a fait l’objet, avec son accompagnateur, d’un long contrôle d’identité et de véhicule qui les a empêchés de porter secours, quelques mètres plus loin, à une dizaine de personnes transies, dont une femme âgée qui paraissait présenter des troubles cardiaques. Alors qu’ils insistaient devant le poste de police sur les risques encourus par cette personne et rappelaient la condamnation de la police aux frontières pour refus de laisser les organisations humanitaires pénétrer leurs locaux pour dispenser une assistance médicale et juridique, ils se sont fait vigoureusement éconduire.

      Double contradiction

      Un autre a pu, quelques jours plus tard, mettre à l’abri deux adultes avec quatre enfants qui venaient de franchir la frontière par − 15 °C ; il s’est alors rendu compte que deux fillettes étaient sans leurs parents qui avaient, eux, été interpellés ; revenu au poste-frontière pour solliciter la libération du père et de la mère au nom de l’#intérêt_supérieur_des_enfants de ne pas être séparés de leur famille, il n’a obtenu celle-ci qu’au prix d’une audition par un officier de police judiciaire, après avoir été fallacieusement accusé d’#aide_à_l’entrée_irrégulière_sur_le_territoire, #délit puni de cinq ans d’emprisonnement et de 30 000 euros d’amende.

      Dans les jours qui ont suivi ces deux épisodes, tous les maraudeurs ont fait l’objet d’un #harcèlement non justifié des #forces_de_l’ordre, avec jusqu’à six contrôles et trois #contraventions par personne certains soirs.

      Tous les policiers et les gendarmes n’adhèrent pas à ces pratiques. Certains vont jusqu’à féliciter les maraudeurs pour leurs actions. Ils sont d’autant plus légitimes à le faire qu’au nom de la lutte contre l’immigration irrégulière le gouvernement viole les #droits_humains, lorsque ses agents insultent, volent et frappent des exilés, comme des décisions judiciaires l’ont établi, et qu’il enfreint la législation lorsque les exilés ne sont pas autorisés à demander l’asile à la frontière. Parfois, les mineurs non accompagnés se voient refoulés, ce que condamne la justice.

      On aboutit à cette double contradiction : garant de la loi, l’Etat y contrevient au moment même où il sanctionne celles et ceux venus lui demander sa protection ; promoteur des valeurs de la République, il punit celles et ceux qui se réclament de la fraternité. Ces violations des droits humains et ces infractions à la législation contribuent à la crise humanitaire, sécuritaire et sanitaire, contre laquelle le devoir éthique de tout citoyen est d’agir, comme nous le faisons, pacifiquement et dans le strict respect de la loi.

      Didier Fassin est professeur à l’Institut d’études avancées de Princeton et titulaire de la chaire annuelle « santé publique » au Collège de France ; Alfred Spira est professeur honoraire de santé publique à la faculté de médecine de Paris-Saclay et membre de l’Académie nationale de médecine. Tous deux sont occasionnellement maraudeurs bénévoles pour l’association Médecins du monde.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/01/28/a-la-frontiere-franco-italienne-l-etat-commet-des-violations-quotidiennes-de
      #nuit #hiver #efficacité #proportionnalité #inefficacité

  • Imen Mellaz
    @Mellazimen
    https://twitter.com/Mellazimen/status/1272929930611953666

    Cette femme, c’est ma mère. 50 ans, infirmière, elle a bossé pendant 3 mois entre 12 et 14 heures par jour. A eu le covid. Aujourd’hui, elle manifestait pour qu’on revalorise son salaire, qu’on reconnaisse son travail. Elle est asthmatique. Elle avait sa blouse. Elle fait 1m55.

    On ose me dire au téléphone, évidemment, « qu’on ne sait pas ce qu’il s’est passé avant ces vidéos, mais ayez confiance, si elle n’a rien fait on la relâche ». Oui, comme #AdamaTraore par exemple ? Bien sûr, « ayez confiance ». Elle est actuellement en garde à vue.

    Rien ne justifie de TOUTE FACON une telle interpellation. Pas quand on est désarmée, pas en blouse, pas quand on fait 1m55, pas face à autant de robocop. Non, non et non.

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    Remy Buisine
    @RemyBuisine
    https://twitter.com/RemyBuisine/status/1272935058630983681

    Une femme en blouse blanche, tirée par les cheveux, durant une interpellation, finira évacuée le visage en sang durant la manifestation aux Invalides. Elle réclamera à plusieurs reprises sa Ventoline.

    Images issue de mon direct sur @brutofficiel
    (1H45). #soignants

    #manif16juin #soignants #soignantes

  • Signature d’une convention entre le #CNRS et la Direction du #renseignement_militaire

    Suite à l’appel attentats-recherche lancé le 18 novembre 2015 par le CNRS, ce dernier et la Direction du renseignement militaire ont mis en place une #collaboration concrétisée par la signature d’une #convention entre les deux parties le jeudi 30 mai 2018. A l’origine de ce partenariat, qui va aujourd’hui bien au-delà, les sciences humaines et sociales dont l’expertise de terrain des chercheurs permet une vision complète de situations géostratégiques complexes. Retour sur ce partenariat avec #Fabrice_Boudjaaba, directeur adjoint scientifique de l’Institut des sciences humaines et sociales.

    http://www.cnrs.fr/fr/cnrsinfo/signature-dune-convention-entre-le-cnrs-et-la-direction-du-renseignement-milita
    #recherche #université #militarisation_de_la_recherche #armée #SHS #sciences_humaines_et_sociales #France

    cc @isskein @tchaala_la @marty @daphne

    • #Intelligence_campus. Le premier écosystème européen civil et militaire en traitement de la #donnée

      Intelligence Campus : un espace de 250 hectares situé sur la base aérienne de #Creil.

      L’objectif est de faire émerger une #solution_technologique permettant de détecter et de reconnaître des objets dans une image satellite de très haute résolution. Cette solution sera expérimentée par les interprètes photo du ministère de la Défense dans le cadre d’une démarche d’#innovation ouverte.

      Les gagnants du défi :

      recevront le Prix de l’Intelligence Campus et du DGA Lab
      seront mis en relation avec des grands groupes du secteur civil et de la défense
      bénéficieront de dispositifs de conseil et d’accompagnement de l’Intelligence Campus et de la #DGA pour favoriser le développement de leur produit

      A travers son #Centre_de_Formation_Interarmées_du_Renseignement (#CFIAR) et ses partenariats avec le monde universitaire, le Projet Intelligence Campus assure une offre de #formation unifiée sur tous les domaines du #renseignement d’#intérêt_militaire - #imagerie, #cyber, #ROEM, #GEOINT, #GEOPOL, méthodologie de l’analyse... - au profit des agents de la #Direction_du_Renseignement_Militaire, des armées, des autres #agences_de_renseignement, des attachés de Défense et des partenaires étrangers. Il développe aussi des formations à destination des entreprises et des
      centres de recherche intéressés par les problématiques sécuritaires et l’intelligence des données.


      http://www.intelligencecampus.com
      #images_satellitaires #sécurité #complexe_militaro-industriel

      –-> et ce concept... #écosystème_civile_et_militaire

      cc @fil

    • Texte de réaction de chercheur.e.s CNRS bordelais par rapport à l’obsession sécuritaire qui gagne le CNRS, le monde de la recherche et plus généralement la société française.

      Reçu par email via la liste Geotamtam :

      L’obsession sécuritaire gagnerait-elle le CNRS ?

      Ce 30 mai 2018, une convention a été signée entre la direction du CNRS et la direction du renseignement militaire. D’après le Directeur Adjoint Scientifique de l’InSHS, cette convention s’adresse tout particulièrement aux collègues qui travaillent sur les questions de sécurité et les "régions lointaines". Ces collègues seront désormais invités à travailler formellement avec le renseignement militaire :

      http://www.cnrs.fr/fr/cnrsinfo/signature-dune-convention-entre-le-cnrs-et-la-direction-du-renseignement-milita

      Cette convention s’inscrit dans un contexte plus général. Elle fait suite à l’« #appel_attentats-recherches » qui avait été lancé par le CNRS il y a trois ans et que plusieurs d’entre nous avaient déjà dénoncé. Elle s’inscrit aussi dans la lignée d’un autre dispositif : le "#Pacte_Enseignement_Supérieur" lancé récemment par le ministère des Armées. Ce pacte doit déboucher sur l’attribution de "#labels_d'excellence", associés à une subvention de 300 000 euros, pour les "centres de recherche universitaires en pointe sur les questions de #stratégie et de défense".

      Ces évolutions posent de multiples problèmes. Le premier concerne nos pratiques de terrain. Que nous travaillions sur les questions de sécurité ou sur ces "régions lointaines", notre crédibilité scientifique d’enquêteur.e.s repose sur notre capacité à ne pas être perçus comme les acteurs de telle ou telle politique sécuritaire. Dans ce contexte, il est inconcevable d’entretenir un lien privilégié, et encore moins ostentatoire, avec le renseignement militaire. Même s’il ne s’agit pas de surévaluer les échos que peut avoir le rapprochement entre le monde de la recherche et celui du renseignement militaire, ne risque t-on pas de se voir fermer l’accès au terrain ?

      Deuxièmement, ces développement introduisent des biais dans le choix et la construction des objets. Dans les études aérales, la "sécurité" devient le prisme conceptuel à partir duquel on interroge des objets allant des pratiques religieuses aux révoltes sociales en passant par les politiques économiques. Dans les études sur la violence, la violence dite "terroriste" se trouve singularisée et hyperbolisée par rapport aux autres #violences (sexistes, sociales, anti-terroristes, etc.). Dans les études sur la guerre, la "stratégie" (de la France) devient le mot-clef à partir duquel on cherche à comprendre ce fait social. Ce faisant, on perd de vue les autres dimensions de la #guerre (genrées, postcoloniales, symboliques, bureaucratiques, etc.) tout en entretenant une confusion entre #recherche_scientifique et #expertise.

      Le troisième problème déborde la question de la recherche. Depuis quelques années, les #attentats et le #terrorisme ont été imposés comme objets essentiels de notre quotidien et du gouvernement de ce quotidien. Dans chaque école de chaque commune de France, des enfants doivent, à partir de l’âge de trois ans, participer chaque année à un exercice de simulation attentat pour se préparer à l’éventualité d’une intrusion terroriste dans leur établissement. Dans chaque wagon de chaque train, les voyageurs sont invités à prévenir les contrôleurs en cas de colis ou de comportements suspects. Sur chaque porte principale de chaque administration, on peut voir un panneau « alerte attentat » lorsque l’on pénètre les lieux. Dans chaque musée, chaque bibliothèque, chaque salle de spectacle, des vigiles fouillent les sacs à l’entrée et canalisent les déplacements. Le rapprochement entre les institutions de recherche et le ministère des Armées participe de cette logique de constitution du "terrorisme" en menace existentielle, logique dont les études sur la sécuritisation ont dénoncé les effets.

      Pour cela, il nous paraîtrait opportun que les laboratoires de recherche et les université se positionne contre la convention du 30 mai 2018 et cette dynamique plus générale que nous voulons, par ce texte et après beaucoup d’autres, dénoncer.

      Signataires :
      Elara Bertho, chargée de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Vincent Bonnecase, chargé de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Chloé Buire, chargée de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Mathias Delori, chargé de recherche CNRS au Centre Emile Durkheim
      Vincent Foucher, chargé de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Caroline Guibet-Lafaye, directrice de recherche CNRS au Centre Emile Durkheim
      Ophélie Rillon, chargée de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde

    • L’obsession sécuritaire gagnerait-elle le CNRS ?

      Ce 30 mai 2018, une convention a été signée entre la direction du CNRS et la direction du renseignement militaire. D’après le Directeur Adjoint Scientifique de l’InSHS, cette convention s’adresse tout particulièrement aux collègues qui travaillent sur les questions de sécurité et les "régions lointaines". Ces collègues seront désormais invités à travailler formellement avec le renseignement militaire :

      http://www.cnrs.fr/fr/cnrsinfo/signature-dune-convention-entre-le-cnrs-et-la-direction-du-renseignement-milita

      Cette convention s’inscrit dans un contexte plus général. Elle fait suite à l’« appel attentats-recherches » qui avait été lancé par le CNRS il y a trois ans et que plusieurs d’entre nous avaient déjà dénoncé. Elle s’inscrit aussi dans la lignée d’un autre dispositif : le "Pacte Enseignement Supérieur" lancé récemment par le ministère des Armées. Ce pacte doit déboucher sur l’attribution de "labels d’excellence", associés à une subvention de 300 000 euros, pour les "centres de recherche universitaires en pointe sur les questions de stratégie et de défense".

      Ces évolutions posent de multiples problèmes. Le premier concerne nos pratiques de terrain. Que nous travaillions sur les questions de sécurité ou sur ces "régions lointaines", notre crédibilité scientifique d’enquêteur.e.s repose sur notre capacité à ne pas être perçus comme les acteurs de telle ou telle politique sécuritaire. Dans ce contexte, il est inconcevable d’entretenir un lien privilégié, et encore moins ostentatoire, avec le renseignement militaire. Même s’il ne s’agit pas de surévaluer les échos que peut avoir le rapprochement entre le monde de la recherche et celui du renseignement militaire, ne risque t-on pas de se voir fermer l’accès au terrain ?

      Deuxièmement, ces développement introduisent des biais dans le choix et la construction des objets. Dans les études aérales, la "sécurité" devient le prisme conceptuel à partir duquel on interroge des objets allant des pratiques religieuses aux révoltes sociales en passant par les politiques économiques. Dans les études sur la violence, la violence dite "terroriste" se trouve singularisée et hyperbolisée par rapport aux autres violences (sexistes, sociales, anti-terroristes, etc.). Dans les études sur la guerre, la "stratégie" (de la France) devient le mot-clef à partir duquel on cherche à comprendre ce fait social. Ce faisant, on perd de vue les autres dimensions de la guerre (genrées, postcoloniales, symboliques, bureaucratiques, etc.) tout en entretenant une confusion entre recherche scientifique et expertise.

      Le troisième problème déborde la question de la recherche. Depuis quelques années, les attentats et le terrorisme ont été imposés comme objets essentiels de notre quotidien et du gouvernement de ce quotidien. Dans chaque école de chaque commune de France, des enfants doivent, à partir de l’âge de trois ans, participer chaque année à un exercice de simulation attentat pour se préparer à l’éventualité d’une intrusion terroriste dans leur établissement. Dans chaque wagon de chaque train, les voyageurs sont invités à prévenir les contrôleurs en cas de colis ou de comportements suspects. Sur chaque porte principale de chaque administration, on peut voir un panneau « alerte attentat » lorsque l’on pénètre les lieux. Dans chaque musée, chaque bibliothèque, chaque salle de spectacle, des vigiles fouillent les sacs à l’entrée et canalisent les déplacements. Le rapprochement entre les institutions de recherche et le ministère des Armées participe de cette logique de constitution du "terrorisme" en menace existentielle, logique dont les études sur la sécuritisation ont dénoncé les effets.

      Pour cela, il nous paraîtrait opportun que les laboratoires de recherche et les université se positionne contre la convention du 30 mai 2018 et cette dynamique plus générale que nous voulons, par ce texte et après beaucoup d’autres, dénoncer.

      Signataires :
      Elara Bertho, chargée de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Vincent Bonnecase, chargé de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Chloé Buire, chargée de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Mathias Delori, chargé de recherche CNRS au Centre Emile Durkheim
      Vincent Foucher, chargé de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde
      Caroline Guibet-Lafaye, directrice de recherche CNRS au Centre Emile Durkheim
      Ophélie Rillon, chargée de recherche CNRS à Les Afriques dans le Monde

      Texte reçu par email le 6 juin 2018 via la mailing-list geotamtam

  • Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger

    Una cooperazione congiunta per il contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani. Istituita una cabina di regia che opererà per monitorare sui temi oggetto dell’incontro


    http://www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-vertice-viminale-dei-ministri-dellinterno-italia-ciad-libia-e-n
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tchad #Italie #Libye
    cc @i_s_

    • Parola d’ordine esternalizzare: soldi europei agli Stati africani per fermare il flusso dei migranti

      Il ministro degli Interni del Niger: «Chiediamo all’Ue infrastrutture militari». Ma il Mali non firma le riammissioni: «Le rimesse ci hanno portato 800 milioni di dollari nel 2016»

      http://www.lastampa.it/2017/05/24/esteri/speciali/divertedaid/parola-dordine-esternalizzare-soldi-europei-agli-stati-africani-per-fermare-il-flusso-dei-migranti-VKqfQ42Nr9TimSleQzT7XL/pagina.html?platform=hootsuite

    • Deploying Italian warships to police Libyan waters will expose refugees to horrific abuse

      Proposals to send warships to police Libyan territorial waters are a shameful attempt by the Italian authorities to circumvent their duty to rescue refugees and migrants at sea and to offer protection to those who need it, said Amnesty International, ahead of a vote in the Italian parliament tomorrow.

      https://www.amnestyusa.org/press-releases/deploying-italian-warships-to-police-libyan-waters-will-expose-refugees-

    • Missione navale: Italia pronta a destinare rifugiati e migranti verso orribili violenze

      Dopo il voto del parlamento italiano in favore dell’invio di navi da guerra nelle acque libiche per assistere la Guardia costiera della Libia a intercettare migranti e rifugiati e a riportarli a terra, la vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa Gauri Van Gulik ha rilasciato questa dichiarazione:

      https://www.amnesty.it/missione-navale-italia-pronta-destinare-rifugiati-migranti-verso-orribili-vi

    • "L’aiuto dell’Italia alla Guardia costiera libica rischia di tradursi in complicità negli abusi sui migranti"

      L’annuncio del supporto operativo delle navi della Marina Militare italiana al governo di Tripoli, nell’intercettazione di barconi di migranti in acque libiche, è stata criticata da Human Rights Watch: «Potrebbe coinvolgere l’Italia in violazioni dei diritti umani a danno dei migranti successivamente detenuti in Libia».

      http://www.huffingtonpost.it/2017/08/02/l-aiuto-dellitalia-alla-guardia-costiera-libica-rischia-di-tra_a_2306

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172

      #aide_au_développement

    • Italy Has a Controversial New Plan to Stop Migrants Crossing the Mediterranean Sea

      The Italian government initially hoped to send six ships to Libya’s territorial waters, but plans had to be scaled down following popular protests in Tripoli, Reuters reports. Libyans have reportedly been posting images of Omar al-Mukhtar, a national hero who battled Italian rule in the early 1900s, on social media in response to the Italian presence— reflecting the widespread unease over a former colonial power intervening on domestic affairs. Pinotti said that Italy had no intention of creating a blockade on Libya’s coast.

      http://time.com/4885415/italy-naval-mission-migrant-smuggling

    • LIBIA : IL SUCCESSO DEMOCRATICO

      C’è solo una cosa che avete perso: la dignità umana.
      Credo l’abbiate fatto consapevolmente, perché liberarvi della fatica di difendere la dignità umana era il peso più affrontabile per risolvere questo maledetto problema degli sbarchi.
      Creare in pubblico il reato umanitario, confermare e rafforzare le derive più xenofobe e pericolose della nostra società, abbandonare migliaia di persone al loro immobile destino di ingiustizia e povertà, non disturbare la chiusura dell’Europa ricca e respingente, consolidare poteri forti e corrotti in paesi di origine e di transito: questo avete fatto e con questo state vincendo.
      Complimenti.
      Abbiate almeno il coraggio di non chiamarvi più nemmeno democratici.

      http://andreasegre.blogspot.ch/2017/08/libia-il-successo-democratico.html
      #Andrea_Segre

      Avec un ps sur la Suisse :

      P.P.S. scrivo tutto ciò da Locarno (Svizzera), dove presenteremo domani il nuovo doc IBI. E non posso non guardarmi intorno. Questo è il cuore dell’Europa ricca che proteggendosi ha ottenuto ciò che le interessava: crescita interna altissima sulle spalle di un mondo esterno da sfruttare e tenere fuori (i corpi ovviamente, i soldi no, se vogliono quelli entrano subito e senza controlli). Il PIL procapite medio da queste parti è circa 80mila euro l’anno. Nei paesi da cui scappano gli invasori raggiunge al massimo 1000 euro. Ma qui non ci arrivano, perché anche qui, soprattutto qui, hanno vinto. Bravi!

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.

      https://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Libia, arrivano meno migranti che così finiscono nel lager di #Sabha

      Lo dicono i numeri delle ultime settimane: si assiste ad una drastica riduzione del flusso migratorio dalla Libia verso l’Italia. E’ l’effetto dell’accordo italo-libico, sostenuto dall’Unione Europea. Decine di migliaia di migranti subsahariani bloccati. Lo raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu)

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/08/news/libia-172648143/?ref=search

    • Libyan Coast Guard Faces Allegations of Corruption

      At the same time, conflict and corruption on the ground have called into question the EU’s plans to train the Libyan Coast Guard and return migrants to Libyan shores. In February, Libya’s UN-backed government in Tripoli agreed to direct its coast guard to return migrants to shore in exchange for training assistance and financial aid. On Monday, Libyan Prime Minister Fayez Serraj negotiated for an additional EU assistance package of $860 million in military equipment, including ships, vehicles, helicopters and communications gear.

      http://www.maritime-executive.com/article/libyan-coast-guard-faces-allegations-of-corruption
      #gardes-côtes #frontières #Libye #gardes-côtes_libyens #corruption #Libye

    • Supreme Court annuls verdict that suspended implementation of Italy-Libya MoU

      The Supreme Court in Libya annulled a previous verdict that suspended the implementation of the #memorandum_of_understanding (MoU) that was signed between Libya’s UN-proposed Presidential Council and Italy.


      https://www.libyaobserver.ly/news/supreme-court-annuls-verdict-suspended-implementation-italy-libya-mou

    • L’Italia esibisce in Europa gli accordi con Tripoli. Sotto attacco vittime e testimoni.

      Il governo italiano si presenta al vertice di Parigi esibendo, dietro il Codice di condotta per le ONG, autentico specchietto per le allodole, i risultati degli accordi con il premier libico Serraj e alcune tribù del Fezzan, come già prima con il Sudan di Bashir, con un abbattimento su base mensle, in agosto, del 70 per cento degli arrivi di migranti dalla Libia. Adesso si può davvero dire che le frontiere europee raggiungono il Fezzan, le attività di esternalizzazione dei controlli sono molto avanzate e numerosi contingenti militari sono già schierati sul territorio di confine tra Libia, Niger, Chad e Sudan. Poco importa a quale prezzo. Di fatto sono state proprio le milizie della zona di Sabratha, dalla quale si verificavano le partenze della maggior parte dei gommoni, ad intervenire per bloccare tutte le vie di fuga. Perchè di vie di fuga dalla Libia occorre parlare, oltre che di contrasto al traffico di esseri umani.

      http://www.a-dif.org/2017/08/28/litalia-esibisce-in-europa-gli-accordi-con-tripoli-sotto-attacco-vittime-e-te

    • DA TRAFFICANTE A COMANDANTE DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

      In un’intervista a “La Stampa” Roberto Saviano racconta oggi che il capo dei trafficanti di #Zawija, base di tante partenze di migranti, a 40 km da Tripoli, è un ragazzo di nemmeno trent’anni, ricchissimo e spietato: #Abdurahman_Al_Milad_Aka_Bija, che tutti conoscono come #Al_Bija. Bene, anzi male: Al Bija è appena diventato il nuovo comandante della Guardia costiera libica della città. Insomma, il referente delle nostre navi militari.

      https://alganews.wordpress.com/2017/08/15/da-trafficante-a-comandante-della-guardia-costiera-libica

    • Tripoli. Accordo Italia-Libia, è giallo sui fondi per aiutare il Paese

      «Il governo non tratta con i trafficanti», asserisce la Farnesina. Non a torto, perché diverse fonti in Libia e tra la bene informata diaspora a Tunisi, dove risiedono molti membri del Consiglio presidenziale libico, confermano che gli stanziamenti italiani sono destinati alle istituzioni. «Però tutti sanno – aggiungono con sarcasmo – che autorità e contrabbandieri hanno madri diverse, ma lo stesso padre». Da Tripoli, ancora nessuna smentita ufficiale. Le conferme, al contrario, sono molteplici, non tutte anonime. Almeno cinque milioni di euro sono stati consegnati da Roma nelle settimane scorse sotto forma di denaro e medicamenti per le strutture sanitarie di Sabratha. Altri ’aiuti’, per importi analoghi, sono attesi dai sindaci-dignitari che hanno assicurato di voler cooperare con il premier Fayez al-Sarraj e l’Italia. Ci sono poi gli stanziamenti già destinati a Bengasi, nell’area controllata dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (a est del Paese) ora in espansione anche nell’ovest del premier al-Sarraj.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accordo-italia-libia-giallo-sui-fondi-per-aiutare-il-paese

    • I migranti come arma di ricatto tra lotte di potere, ritorsioni e nuovi equilibri in Libia. E i morti aumentano

      Nel week end tra il 15 e il 17 settembre sono arrivati in Italia dalla Libia più di 1.800 migranti su una quindicina di gommoni. Senza contare il flusso crescente di “barche fantasma”, pescherecci di varie dimensioni che, partendo dalla Tunisia, approdano in Sicilia, soprattutto sulle coste dell’Agrigentino. Dopo giorni di sbarchi in calo e di continue, “trionfanti” notizie di blocchi effettuati dalla Guardia Costiera libica lungo le coste africane, questo improvviso exploit di sbarchi ha destato non poca sorpresa, contraddicendo almeno in parte le dichiarazioni del Governo italiano sull’efficacia e sulla tenuta dei “muri” eretti nel Mediterraneo e nel Sahara con gli ultimi accordi stipulati da Roma con Tripoli. Non a caso, questo degli sbarchi, è stato uno dei temi guida del dibattito politico e del notiziario dei media nel fine settimana.

      http://www.a-dif.org/2017/09/22/i-migranti-come-arma-di-ricatto-tra-lotte-di-potere-ritorsioni-e-nuovi-equili

    • Italy claims it’s found a solution to Europe’s migrant problem. Here’s why Italy’s wrong.

      Motivating the Libyan militias’ newfound zeal for blocking migrant movement is a new policy spearheaded by the Italian government and embraced by the European Union. The approach relies on payment to militias willing to act as migrant deterrent forces. Italian government representatives use intermediaries such as mayors and other local leaders to negotiate terms of the agreements with the armed groups. They also build local support in the targeted areas by distributing humanitarian aid.

      https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2017/09/25/italy-claims-its-found-a-solution-to-europes-migrant-problem-heres-w

    • Libye: La manœuvre périlleuse de l’Italie

      Rome est accusée d’avoir financé des passeurs de Sabratha pour endiguer le flux de migrants. Avéré ou non, cet accord a déclenché une guerre entre milices, déstabilisant un peu plus le pays.

      Côté face, Marco Minniti, le ministre italien de l’Intérieur, se félicite d’être à l’origine de la chute du nombre de migrants partant de la Libye pour l’Europe : - 50 % en juillet et - 87 % en août par rapport à la même période en 2016. Côté pile, Minniti, ancien chef des services secrets, est aussi la principale causede la guerre actuelle qui se déroule à Sabratha, ville située à 80 kilomètres à l’ouest de Tripoli, depuis le 17 septembre. Les combats ont fait au moins 26 victimes et, près de 170 blessés, endommageant également le théâtre romain antique classé au Patrimoine mondial de l’Unesco. Là, des taches de sang et des centaines de douilles jonchent encore le sol. Le lieu, qui a survécu aux soubresauts de l’histoire libyenne, est aujourd’hui marqué jusque dans ses pierres par ce nouveau drame qui n’a rien de théâtral.

      Marco Minniti est accusé d’avoir passé un accord financier avec le chef de milice Ahmed Dabbashi, alias Al-Ammou (« l’Oncle »), pour qu’il mette fin à ses activités de baron du trafic des migrants et ainsi faire baisser le nombre d’arrivées sur les côtes italiennes. L’homme était un des passeurs les plus puissants de Sabratha, dont les plages sont les lieux de départ de la grande majorité des candidats à rejoindre l’Europe.

      Dans les cafés de Sabratha, les habitués sourient lorsqu’on évoque le « repentir » d’Ahmed Dabbashi : « Il veut se donner une respectabilité, mais soyez certains qu’à 3 heures du matin, ses bateaux continuent de partir », assure Salah, qui préfère rester anonyme par crainte de représailles du chef mafieux, membre d’une importante famille de la cité antique. En septembre, plus de 3 000 migrants ont été secourus en mer, et un grand nombre d’entre eux était parti des plages de Sabratha. Si les départs ont ralenti, ils n’ont pas totalement disparu.

      Une aide italienne a minima

      Le conflit qui déchire Sabratha oppose les hommes d’Al-Ammou (alliés à la Brigade 48, dirigée par un frère d’Ahmed Dabbashi), à la Chambre des opérations (CDO) du ministre de la Défense, au Bureau de lutte contre la migration clandestine (BLMC) du ministre de l’Intérieur et à la milice salafiste Al-Wadi, également accusée de trafic humain. Tous se revendiquent d’une affiliation au gouvernement d’union nationale (GUN) de Faïez el-Serraj, soutenu par la communauté internationale. Mais ce dernier ne reconnaît que la CDO et le BLMC. Preuve, s’il en était, que la Libye, en proie au chaos, n’est qu’un camaïeu de gris.

      Bachir Ibrahim, le porte-parole du groupe d’Ahmed Dabbashi, a évoqué l’existence d’un accord verbal avec le gouvernement italien et le GUN de Faïez el-Serraj. Mais ces deux derniers démentent toute entente financière avec la milice. La rumeur ne s’est pas éteinte pour autant. Et les habitants de la ville rappellent les forts liens entre la milice de Dabbashi et l’Italie : c’est le groupe armé qui protège le site gazier de Mellitah, situé à l’ouest de Sabratha et géré par le géant italien ENI. D’ailleurs, la milice possède deux bateaux pneumatiques ultra-rapides qui appartenaient à la marine libyenne et dont l’un a été récupéré sur le site de Mellitah… Bassem al-Garabli, le responsable du BLMC, s’étonne, lui, que l’ambassadeur italien, Giuseppe Perrone, n’ait pas visité son unité lors de sa venue à Sabratha, le 10 septembre pour se féliciter de la chute du nombre de départs de migrants. L’ambassadeur italien à Tripoli n’a, de son côté, pas souhaité répondre à nos questions.

      « L’Italie a payé, en juillet, 5 millions d’euros à Al-Ammou pour trois mois de tranquillité, affirme sous couvert d’anonymat un membre de la CDO. L’échange s’est fait en haute mer. »Cette source rappelle le double jeu du chef de la milice, qui posséderait quatre hangars où des navires capables d’embarquer plusieurs centaines de migrants seraient restaurés. Pourtant, le 28 juillet, l’Union européenne a débloqué 46 millions d’euros à l’Italie afin qu’elle aide les autorités libyennes à renforcer sa capacité à gérer les flux migratoires et protéger ses frontières. Une somme que reflètent peu les résultats sur le terrain.

      A ce jour, seuls 136 marins libyens ont été formés en Italie à rechercher, secourir et perturber le trafic d’êtres humains. Les garde-côtes ont reçu cette année quatre bateaux, reliquats d’un contrat passé en 2008 et, qui plus est, anciens. « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants qui sont de plus en plus souvent escortées par des hommes armés sur des vedettes rapides. » La marine se montre davantage satisfaite par le « Code Minniti », qui a durci les conditions d’intervention des bateaux d’ONG présents pour secourir les migrants en détresse, au grand dam des organisations humanitaires. « Ces navires sont comme des taxis pour les clandestins, affirme Ayoub Gacem. Les passeurs ont compris qu’il suffit que les migrants atteignent les eaux internationales pour arriver en Europe. »

      Encore faut-il les atteindre. « Alors que nous étions au large de Sabratha, un bateau est arrivé, raconte Shaada, un Bangladais de 17 ans. Les hommes nous ont pris notre argent, nos téléphones portables, le téléphone satellite et le moteur avant de repartir. » Aujourd’hui au centre de rétention de Tripoli, Shaada décrit l’amplification de la piraterie à l’encontre des migrants, en mer comme dans le désert. Un phénomène qui explique aussi, en partie, la baisse des départs depuis la Libye.

      Boko Haram et l’état islamique

      Pour Ayman Dabbashi, cousin d’Al-Ammou mais également membre de la CDO, l’existence d’un « contrat » avec l’Italie ne fait aucun doute. Mais il ne comprend pas la logique italienne. « C’est incompréhensible, parce que mon cousin n’est pas quelqu’un d’éduqué, il sait à peine dire une phrase, affirme-t-il. Il a dit qu’il arrêterait les bateaux mais ce n’est pas vrai. Il va arrêter les bateaux des autres, mais pas les siens. »

      « Marco Minniti pousse le gouvernement d’union nationale à "intégrer" les milices comme celle d’Al-Ammou au sein du ministère de la Défense. Le ministre italien l’a reconnu lui-même. Cela est beaucoup plus grave pour la sécurité de la Libye, que l’existence ou non d’échange de valises de billets », prévient Jalel Harchaoui, qui prépare une thèse sur la dimension internationale du conflit libyen à l’université Paris-VIII. Même inquiétude du côté du général Omar Abdoul Jalil, responsable de la Chambre des opérations : « L’Europe doit faire attention avec qui elle négocie. Les passeurs n’ont aucun problème à introduire des terroristes dans des bateaux de migrants. » Il cite ainsi le cas de deux Camerounais récemment trouvés sur une embarcation et aussitôt envoyés en prison à Tripoli pour de forts soupçons d’appartenance à Boko Haram.

      Jusqu’en février 2016, des camps d’entrainement de l’Etat islamique étaient installés dans Sabratha, avant que les Américains ne bombardent un site. Le groupe terroriste était dirigé par Abdoullah Dabbashi, un parent d’Al-Ammou. Une accointance familiale qui pourrait servir de prétexte à Khalifa Haftar pour entrer dans la danse. L’homme fort de l’est du pays, bien qu’opposant au gouvernement de Faïez el-Serraj, pourrait envoyer des avions de sa base militaire d’Al-Watiya (à 80 kilomètres au sud-ouest de Sabratha) pour bombarder la milice d’Al-Ammou. Officiellement au nom de sa lutte contre le terrorisme. Officieusement, pour entrer de plain-pied dans la Tripolitaine, région ouest du pays. « Si Haftar intervient, l’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit le chercheur Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. »

      « c’est une fausse victoire »

      Le maréchal Haftar a d’ailleurs été reçu par Marco Minniti mardi dernier à Rome. La question de Sabratha a été abordée. Spécialiste de la Libye au Conseil européen des relations internationales, Mattia Toaldo ne croit pas à l’escalade : « Marco Minniti veut protéger sa politique antimigratoire en persuadant Khalifa Haftar de rester à l’écart. Ce dernier n’a d’ailleurs pas intérêt à intervenir, ce serait une mission kamikaze. »

      Que le conflit s’embrase ou non, le trafic des migrants ne disparaîtra pas, les réseaux s’adapteront. « En ce moment pour les trafiquants, c’est plus rentable de faire de la contrebande d’essence ou de nourriture que de transporter des hommes. Mais c’est une fausse victoire. Cela va reprendre », assure Choukri Ftis, qui a participé à un récent rapport de Altai Consulting intitulé « Partir de Libye, rapide aperçu des municipalités de départs ». Il pointe déjà la plage de Sidi Bilal, située à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli, comme prochain centre d’embarquement. Ici, l’Al-Ammou local se nomme Saborto et dirige une milice de la tribu des Warshefanas, réputée pour ses enlèvements de riches Tripolitains et d’étrangers.

      http://www.liberation.fr/planete/2017/10/01/libye-la-manoeuvre-perilleuse-de-l-italie_1600209

    • European priorities, Libyan realities

      August 14 began calmly for Riccardo Gatti. On the first morning of a new search and rescue mission in the central Mediterranean, the former yachtsman turned activist walked the grayed wooden deck of the Golfo Azzurro, a trawler that has been stripped of its bulky fishing equipment to make space for life jackets and water bottles.

      http://issues.newsdeeply.com/central-mediterranean-european-priorities-libyan-realities

      cc @isskein

    • Le Commissaire demande des éclaircissements concernant les opérations maritimes italiennes dans les eaux territoriales libyennes

      Adressée au ministre italien de l’Intérieur, M. Marco Minniti, et publiée le 11 octobre 2017, le Commissaire sollicite des informations concernant les opérations maritimes menées par l’Italie dans les eaux territoriales libyennes à des fins de gestion des flux migratoires.

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/commissioner-seeks-clarifications-over-italy-s-maritime-operations-in-libyan-te

      La réponse de Minniti :
      https://rm.coe.int/reply-of-the-minister-of-interior-to-the-commissioner-s-letter-regardi/168075dd2d

    • «Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore»

      Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

      http://www.vita.it/it/article/2017/11/07/ministro-minniti-mi-incontri-le-racconto-lorrore/145020

    • « En Libye, le trafic de migrants va reprendre comme avant »

      Ces derniers mois, les traversées depuis la Libye ont diminué de façon spectaculaire. Mais, en concluant un accord secret avec une milice de Sabratha, l’Italie pourrait avoir encore un peu plus déstabilisé le pays.

      Entre deux dossiers, dans son bureau de Rome, le ministre de l’Intérieur, Marco Minniti, doit sûrement se demander : « Ai-je eu raison ? » L’ancien chef des services secrets italiens est accusé d’avoir passé, au printemps, un accord financier avec Ahmed Dabbashi alias al-Ammou (l’Oncle), chef d’un des plus importants réseaux de trafic d’êtres humains en Libye, pour que ce dernier arrête son commerce et celui de ses concurrents régionaux.

      L’« Oncle » opère depuis Sabratha, à 70 km à l’ouest de Tripoli, d’où partait l’écrasante majorité des candidats à l’exil. Cette alliance a été revendiquée sur les réseaux sociaux par la brigade de l’Oncle, appelée « Anas-Dabbashi », du nom d’un cousin d’Ahmed tué pendant la révolution de 2011.

      « L’Italie a promis de verser 5 millions d’euros par trimestre. Le premier échange s’est fait durant l’été sur un bateau dans les eaux internationales », assure, sous couvert d’anonymat, un responsable de la Chambre des opérations de Sabratha, dépendant du gouvernement d’union nationale de Tripoli (reconnu par la communauté internationale) et principal ennemi de Dabbashi.

      Une realpolitik qui a eu des résultats spectaculaires : les enregistrements de migrants en Italie en provenance de la Libye ont chuté de 50% en juillet et 87% en août. Seulement, outre l’aspect moral douteux de cette politique, elle a été la principale cause d’une guerre de trois semaines (17 septembre-6 octobre) qui a fait une trentaine de morts et quelque 170 blessés. Les combats ont également profondément endommagé le Théâtre antique romain, classé au patrimoine de l’Unesco. Ils opposaient des forces du gouvernement d’union nationale à Dabbashi et son allié, la brigade 48. Ahmed Dabbashi a été battu et a dû quitter Sabratha. Son réseau n’est plus opérationnel, mais le jeu en valait-il la chandelle ?
      Milice payée avec des fonds européens ?

      L’Union européenne, qui avait donné quasi carte blanche à l’Italie pour régler la question des migrants, va-t-elle sévir ? Bruxelles avait octroyé 53,3 millions de francs suisses à la Botte pour aider la Libye à protéger ses frontières. L’argent a-t-il servi à payer Dabbashi ? Sur le terrain, les acteurs libyens n’ont pas vu d’amélioration notable. Les garde-côtes n’ont reçu cette année que quatre bateaux qui ont déjà servi, et encore s’agissait-il du reliquat d’un contrat passé en 2008.

      « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants, qui sont maintenant de plus en plus escortés par des hommes armés sur des vedettes rapides. » Car, si Dabbashi est hors-jeu, d’autres réseaux ont pris le relais.

      Après les affrontements de Sabratha, près de 15 000 migrants, principalement d’Afrique subsaharienne, ont été retrouvés et emmenés dans des centres de détention officiels dans la région de Tripoli. Dans le pays, ils seraient plusieurs centaines de milliers à attendre l’opportunité de traverser la Méditerranée.
      « Une fausse victoire »

      Le 31 octobre, deux bateaux pneumatiques avec 299 migrants à leur bord ont été arrêtés par les autorités libyennes. Ils étaient partis des plages de Zliten à 180 km à l’est de Tripoli. « La victoire de Sabratha est une fausse victoire, le trafic va reprendre comme avant dès l’an prochain quand ce sera la saison [été-automne] », prédit Choukri Ftis, un chercheur qui a participé récemment à un rapport sur la migration illégale en Libye.

      Cet été, le président français, Emmanuel Macron, avait lancé l’idée de centres d’enregistrement basés dans le sud libyen pour filtrer en amont les migrants. Une idée difficilement réalisable sur un territoire aussi vaste (2000 km de frontière avec l’Algérie, le Niger, le Tchad, le Soudan et l’Egypte) et soumis continuellement aux tensions ethniques entre Arabes, Toubous et Touaregs, qui se partagent le pouvoir dans une zone où l’Etat est quasi absent.

      La stratégie de Minniti a donné un coup de pied dans la fourmilière des réseaux de trafic d’êtres humains mais n’a pas fait disparaître le phénomène. Par contre, elle pourrait avoir durablement chamboulé l’équilibre politique du pays. Parmi la coalition armée qui a chassé Dabbashi se trouvait une force d’appui : la brigade al-Wadi. De tendance salafiste, le groupe est un affidé de l’Armée nationale arabe libyenne de Khalifa Haftar. L’homme fort de l’est a donc ainsi pu se draper de la victoire à Sabratha contre Ahmed Dabbashi.
      Intérêts gaziers

      Le 25 septembre, en plein milieu de la guerre de Sabratha, le maréchal a d’ailleurs été accueilli pour la première fois, bien qu’en catimini, par Marco Minniti et la ministre de la Défense, Roberta Pinotti. Au menu : le contrôle des plages de Sabratha si Dabbashi venait à être vaincu et la sécurisation du complexe gazier de Mellitah tout proche. Le site géré par le géant italien ENI était jusqu’alors protégé par les hommes de l’« Oncle ». Si rien n’a filtré de ce rendez-vous, les craintes sont vives que Haftar, fort d’un possible soutien italien qui aurait retourné sa veste devant la fuite de Dabbashi, n’ait des visées expansionnistes.

      « L’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. » Marco Minniti, dans son bureau, y pense-t-il parfois ?

      https://www.letemps.ch/monde/2017/11/05/libye-trafic-migrants-va-reprendre

    • Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal c.d. Fondo Africa

      Supporto tecnico alle autorità libiche per la gestione delle frontiere con fondi destinati a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani. ASGI al TAR : E’ sviamento di potere.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/libia-italia-ricorso-fondi-cooperazione
      #Fonds_afrique

      –-> An English synthesis:

      Supporting Libyan Coast Guard is a misuse of the so-called “Africa Fund”. Italian Association ASGI brings Italian Foreign Ministry to Court.

      The Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI) has recently brought legal proceedings before the Regional Administrative Tribunal (TAR) with regard to Decree 4110/47 by which the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation allocates 2,5 million euros to the Ministry of Interior to repair four vessels for Libyan authorities and train them. Such a disbursement is part of the “Africa Fund” (200 million euros) set up by the Italian Parliament to promote cooperation and dialogue with African countries. Being Libya a notoriously unsafe country for migrants and refugees in transit, the compatibility of such a massive allocation of money with the stated goals of the “Africa Fund” – however vague they are – should be questioned. Given that these vessels might be used by the Libyan Coast Guard to pull-back migrants and refugees rescued/intercepted at sea and retain them in appalling detention centers, the main argument before TAR is that this military equipment is a diversion of the funding allocated by the Italian Parliament to contribute to the resolution of the humanitarian crisis in Libya.

    • The Case for Italy’s Complicity in Libya Push-Backs

      When a boatload of migrants sets off from Libya in the direction of Italy, smugglers often tell those on board to get to international waters before raising the alarm. The migrants hope to be picked up by rescue boats run by humanitarian NGOs and taken on to Italy where they can apply for asylum. The alternative is interception at the hands of the Libyan coast guard and a return to Libya.

      http://souciant.com/2017/11/the-case-for-italys-complicity-in-libya-push-backs

    • The rest of the world has woken up, but migrants are still sleepwalking into Libya slave markets

      While the West has reacted with outrage to video evidence of Libyan slave markets, potential victims themselves remain unaware of the dangers they face

      The trade in human beings has risen sharpy since the Italian government began paying Libyan militant groups and smugglers to stem the flow of migrants over the sea earlier this year.

      http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/african-migrants-libya-slave-markets-aim-europe-refugees-human-traffi

    • La strategia italiana nel Mediterraneo

      http://www.ispionline.it/sites/default/files/media/img/rapporto_med_maeci_2017_internet_1.pdf

      Avec ce commentaire sur FB de Francesco Floris (07.12.2017):

      La Farnesina s’è desta.
      Il ministero degli esteri ci fa la cortesia di dirci cosa pensa della Libia. Dopo che Alfano ha speso gli ultimi 12 mesi a fungere da cartonato di Minniti e a implorare diversi magistrati siciliani (e non) di indagare sulle ong invece che sui centri d’accoglienza usati da Ncd come un’american express.
      Solo che appena parlano finiscono col confessare.

      A pagina 24 del doc. «La strategia italiana nel Mediterraneo» - pamphlet dalla prosa brillante pieno zeppo de «L’Italia ha prontamente reagito», «Roma si è immediatamente attivata», «la task force ha fermamente ribadito» che gli piacciono enormemente gli avverbi - si legge che dopo il 2 febbraio 2017, e su richiesta di Serraj, abbiamo inviato a Tripoli una nave-officina per riparare le unità navali libiche. Ma non solo per amore della meccanica a quanto pare, anche per «fornire un coordinamento alle operazioni di pattugliamento e salvataggio in mare».
      Coordinare le operazioni dei libici per riportare i migranti in una nazione che non sottoscrive la Convenzione di Ginevra e dove vige un regime di tortura. Lo scrivono loro. E sarebbe anche illegale qualora a questi manettari con i polsi degli altri interessasse qualcosa.
      Quindi ogni volta che sentite le autorità italiane o la Mogherini indignarsi e sbraitare «la Ue e l’Italia non hanno mai respinto nessuno» e altre cazzate fate loro due domande: Cosa ci fa allora una nave italiana a Tripoli a coordinare le operazioni?
      E due: ci state prendendo per il culo o cosa?
      La seconda è quella giornalisticamente più interessante.

    • Exclusive: Italy plans big handover of sea rescues to Libya coastguard

      ROME/TRIPOLI (Reuters) - Italy wants Libya’s coastguard to take responsibility within three years for intercepting migrants across about a tenth of the Mediterranean even as Libyan crews struggle to patrol their own coast and are accused of making deadly mistakes at sea.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-exclusive/exclusive-italy-plans-big-handover-of-sea-rescues-to-libya-coastguard-idUSK

    • Italy Strikes Back Again: A Push-back’s Firsthand Account

      Evidence is mounting about the Italian Navy’s involvement in facilitating the return of migrants to Libya. There have been alleged cooperation agreements between Italy and Libya to stem the flows to Europe, at the same time, as there have been accusations of pushbacks to Libya. In these cases, Italy stands accused of actively supporting the Libyan Coast Guard in committing unlawful acts, returning intercepted migrants to places where their lives or freedom would be threatened, or where they would face the risk of torture.

      https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2017/12/italy-strikes?platform=hootsuite

    • Vu sur twitter, le 15.02.2018 :

      Another patch of Libyan Coast Guards #LCG finished training in #Italy , certificates given during a ceremony in #Libya #Migration


      https://twitter.com/zakariyatz/status/963801317738209282

      Et avec ce commentaire de Gerry Simpson :

      A reassuring photo of the latest Libyan coastguards receiving certificates after Italy trained them to intercept refugees & migrants heading for the EU & return them to Libya to face guaranteed inhumane detention conditions and a real risk of torture

      https://twitter.com/GerrySimpsonHRW/status/963976898291355648

    • Italy Has Reportedly Delivered Further Vessels To Tripoli’s Coast Guard In Libya

      “Three further Italian patrol vessels have been delivered to the Libyan Coast Guard right in these days”, the Italian analyst Gerardo Pelosi has revealed on Il Sole 24 Ore while debating the military missions to Libya and Niger Rome approved last January.

      The news apparently echoes a similar one shared by the Libyan outlet Libya Observer‘s journalist Safa Al Harathy, who has written today an only vessel, the “106”, was delivered on February 22nd after being fixed in Tunisia:

      “the vessel 106 will join the vessels 109 and 111 at Khums port to contribute in securing the Libyan coast from Tajoura all along to Zlitan city in the east”,

      the Libya Observer reports.

      https://betweenlibyaanditaly.wordpress.com/2018/02/25/italy-has-reportedly-delivered-further-vessels-to-tr

    • Mancata ratifica parlamentare del memorandum Italia-Libia : al via il ricorso alla Corte Costituzionale

      Presentato un ricorso alla Consulta da alcuni parlamentari italiani contro il Governo che, non chiedendo la ratifica dell’ accordo, ha impedito loro di esercitare il diritto di discuterne e di votare, come stabilito dalla Costituzione . La scheda tecnica dell’ASGI sull’azione.

      https://www.asgi.it/primo-piano/mancata-ratifica-parlamento-memorandum-italia-libia-ricorso-corte-costituzional
      #memorandum

    • Italian work on Libya and migrants OK

      Italy’s work on migrants and Libya has been positive, Frontex chief #Fabrice_Leggeri told ANSA in an interview Tuesday.
      “Italy is working to use the resources allotted by the EU to find sustainable solutions for Libya” and the migrants held there, he said.
      "And for now it is going in the right direction, even though the conditions of the centres in Libya are not in line with our standards, and with basic humanitarian standards.
      “But that is not Italy’s fault, all the international community and not only the EU can help”.


      http://www.ansa.it/english/news/politics/2018/02/20/italian-work-on-libya-and-migrants-ok_1cfcf7d8-b477-452c-aedf-86c0cfd48b48.html
      #Frontex #Leggeri

    • Migranti, l’accordo Italia-Libia finisce davanti alla Corte costituzionale

      Era il 2 febbraio 2017 quando – alla vigilia di un importante vertice europeo a Malta in cui si sarebbe discusso anche di emergenza immigrazione – il Primo ministro Paolo Gentiloni siglava a Roma l’accordo col presidente del Governo di unità nazionale libico Fayez al-Serraj: un memorandum in cui l’Italia si impegnava nei confronti della Libia a fornire strumentazioni e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a fondi per lo sviluppo, per bloccare le partenze dei migranti in fuga. Un accordo con un Paese, è bene ricordarlo, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nelle cui carceri i migranti sono quotidianamente oggetto di violenze e soprusi.

      https://left.it/2018/02/28/migranti-laccordo-italia-libia-finisce-davanti-alla-corte-costituzionale

    • Le patrouilleur 648 qui a menacé Open Arms, un cadeau de l’Italie à la Lybie.

      L’UE a entrainé l’équipage du bateau qui a joué un rôle dans plusieurs incidents avec des ONG de sauvatage.

      CRISTINA MAS Barcelona 25/03/2018 00:21

      Le bateau de patrouille des gardes-côtes libyens qui a menacé dans les eaux internationales les volontaires d’Open Arms le 15 mars afin qu’ils leur livrent les femmes et les enfants qu’ils étaient en train de secourir, était un cadeau de l’Italie à la Libye. La même embarcation, qui porte le numéro d’identification 648 et le nom de Ras al Jadar, a joué un rôle dans plusieurs autres incidents avec d’autres bateaux des ONG SeaWatch et SOS méditerranée, qui travaillent au sauvetage de naufragés en Méditerranée.

      Entre 2009 et 2010, le Premier ministre italien Silvio Berlusconi a alors accordé six patrouilles aux garde-côtes libyens dans le cadre de l’accord amical signé avec le dictateur libyen Mouammar Kadhafi. Le texte prévoyait la construction d’un système de radar dans le but de surveiller les frontières du désert et des patrouilles maritimes conjointes dans les eaux libyennes et internationales pour empêcher que des bateaux quittant la Libye arrivent en Italie.

      Mais la vie des six bateaux de patrouille donnés à Kadhafi – toutes du modèle Bigliani, qui étaient auparavant au service du corps militaire Guardia di Finanza - était aussi courte que la période à laquelle le dictateur a survécu au pouvoir. Le 17 février 2011, le printemps arabe atteint la Libye avec une révolte qui a déclenché une intervention de l’OTAN et s’est terminée avec la mort de Kadhafi huit mois plus tard. Deux des embarcations ont été détruites dans les combats, et les quatre autres, dont le 648, ont été réparés à l’usine navale de Fiamme Gialle de Miseno (Naples). En avril dernier, l’Italie les a rendue au gouvernement de Tripoli.

      L’incident du 15 mars avec Open Arms n’est pas le premier d’une ONG avec ce bateau de patrouille. Le 6 novembre, l’ONG allemande Sea Watch, travaillant dans la même région, a rapporté qu’à 30 miles de la côte libyenne la même patrouille a interféré dans un sauvetage.

      Les migrants à bord ont pris panique, le bateau des gardes-côtes les a rattrapé, certains naufragés ont pu grimper sur le bateau de patrouille sans que les agents ne les aident et, une fois à bord, comme on peut le voir sur la vidéo enregistrée par l’ONG, les gardes-côtes les ont frappés avec les amarres du bateau.

      Un jeune a tenté de descendre pour atteindre le bateau de l’ONG et est resté suspendu à l’échelle, au moment où le bateau libyen a accéléré et mis sa vie en danger. Au moins cinq migrants sont morts dans l’opération, des décès qui selon Sea Watch auraient pu être évités.

      Le 4 mars, le navire Aquarius, de l’ONG SOS Mediterranée, a également subi l’hostilité de la patrouille 648, qui s’est approchée d’eux au cours d’une collision sans répondre à leurs avertissements radio et finalement ils leur ont ordonné de quitter le site, à 17 milles au large de la côte, alors même s’ils étaient à la recherche d’un bateau.

      Un autre vaisseau d’Open Arms a eu, en août, un incident avec un autre bateau de patrouille donné par l’Italie, le 654, qui les a menacé avec deux rafales de balles tirée en l’air et une semaine plus tard les a forcés à naviguer pendant environ deux heures en direction de Tripoli en disant qu’ils étaient sous sa protection.

      Rome et l’ensemble de l’UE ont choisi l’un des trois gouvernements qui se disputet le pouvoir dans la guerre civile en Libye, celui dirigé par le Premier ministre Faiez al-Sarraj, qui a le soutien de l’UE et de l’ONU, mais ne contrôle seulement qu’un tiers du pays. La Libye est plongée dans un conflit sans front avec des centaines de milices armées.

      Le Premier ministre italien Paolo Gentiloni et Al-Sarraj ont signé le 2 février 2017 un protocole d’accord - dans le cadre de l’accord signé par Berlusconi et Kadhafi - qui établit une coopération bilatérale dans les domaines du développement, l’immigration illegale, le trafic d’êtres humains, la contrebande et le renforcement de la surveillance des frontières entre l’Italie et la Libye. L’Italie livrera à Tripoli six patrouilles supplémentaires totalement neuves.

      L’Espagne s’est proposé de former 100 garde-côtes libyens dans la base navale de Carthagène. Dans le cadre de l’opération Sophia de l’OTAN, le programme de formation de la Garde côtière libyenne financé par l’UE avec 46 millions d’euros a déjà formé 93 agents dans un navire italien et dans un autre navire néerlandais. 43 officiers supplémentaires ont été formés en Crète, à Malte et à Rome.

      Human Rights Watch lance un cri d’alarme : « Aider les autorités libyennes à capturer des immigrés en haute mer, sachant qu’ils les rendront à un traitement cruel, inhumain ou dégradant dans une détention arbitraire, expose l’Italie et d’autres pays de l’UE à participer à une violation grave des droits de l’homme ». Les accusations ne viennent pas seulement des ONG. Le groupe d’experts de l’ONU sur la Libye a rappelé que « les abus contre les migrants ont été largement collectés, y compris les exécutions, la torture ou la privation de nourriture, d’eau et de médicaments », et prévient que « le département contre l’immigration (libyen) et la garde côtière (italienne) sont directement impliqués dans ces graves violations des droits de l’homme. » Avec les accords d’externalisation du contrôle des frontières de l’UE, le témoignage des ONG en Méditerranée centrale devient de plus en plus gênant."

      Traduction, reçu via la mailing list de Migreurop, de cet article paru en catalan:
      La patrullera #648 que va amenaçar Open Arms, un regal d’Itàlia a Líbia

      La UE va entrenar la tripulació del vaixell que ha protagonitzat diversos incidents amb ONGs de rescat


      https://www.ara.cat/internacional/patrullera-amenacar-Open-Arms-Libia_0_1984601662.html
      #Open_arms

    • Texte publié par SOS Méditerranée, sur twitter (17.04.2018) :

      UPDATE while searching for the boat in distress, the #Aquarius was informed the Libyan coastguard took coordination over 2 boats in distress today. This means more people were taken back to a place where their safety is not guaranteed.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986294580097224705

      v. aussi :

      UPDATE The #Aquarius was alerted to a boat in distress earlier today. This afternoon, the crew of the #Aquarius found this empty and slashed rubber boat in international waters off the coast of #Libya.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986267126087503872

      #refoulement #push-back

    • Cercate i guardacoste libici? Telefonate a Roma: 06/…

      È un numero di telefono a rivelare il rapporto, forse un po’ troppo stretto, tra Roma e Tripoli. Una utenza che corrisponde a un interno della Marina militare italiana, stampato, come recapito del mittente, su un modulo di messaggi utilizzato dalla Guardia costiera libica. Il documento, di cui pubblichiamo il dettaglio, ha consultato porta la […]

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/cercate-i-guardacoste-libici-telefonate-a-roma-06

    • Sur le site de la Défense italienne...
      Un article de août 2017:
      Nave #Tremiti nel porto libico di #Abu_Sittah

      Dopo il pattugliatore Comandante Borsini che ha sbarcato nel porto militare di Tripoli (Abu Sittah) il personale italiano che opererà a supporto della Guardia costiera libica, è giunta ieri nel porto della nostra ex colonia Nave Tremiti, una delle 6 unità da 750 tonnellate per il trasporto costiero della Classe Gorgona.

      La nave è destinata a garantire supporto tecnico ai mezzi navali libici nell’ambito della cooperazione italo-libica e in applicazione dell’accordo tra i due Paesi del 2008 “riesumato” dal governo di Fayez al-Sarraj.


      http://www.analisidifesa.it/2017/08/nave-tremiti-nel-porto-libico-di-abu-sittah

      –-> j’aime bien l’expression «accordo riesumato» = «accord ressuscité»

      Et puis cette nouvelle, de 30 mars 2018:
      Missioni Militari: Nave #Caprera sostituisce la #Capri nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia

      È previsto nella giornata di oggi il “passaggio di consegne” tra Nave Capri e Nave Caprera nell’ambito della Missione Bilaterale di Assistenza e Supporto in Libia.

      In particolare, a questo assetto navale compete, prioritariamente, l’attività di supporto logistico e tecnico-manutentivo dei battelli della Marina e della Guardia Costiera libiche. Nave Caprera giungerà domani al porto di Tripoli, da dove comincerà la sua missione della durata di circa quattro mesi.

      Nave Capri aveva iniziato la sua attività a dicembre dello scorso anno, subentrando a Nave Tremiti, e nei suoi circa quattro mesi di missione ha svolto consulenza e formazione del personale militare libico della Marina e della Guardia Costiera nelle attività di manutenzione, riparazione e ripristino dell’efficienza delle unità navali libiche.

      L’operazione, inizialmente inquadrata nell’operazione “Mare Sicuro”, era stata avviata ad agosto dello scorso anno, in seguito alla richiesta di supporto avanzata dal Governo di Accordo Nazionale libico al Governo italiano. Per assolvere con efficacia i compiti assegnati, a bordo delle unità navali italiane della “classe Gorgona” – selezionate per alternarsi in questo specifico incarico di natura tecnico-logistica – è prevista la presenza di un container attrezzato a officina meccanica, oltre che di due ulteriori team di personale tecnico-specialistico.

      https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Libia_Missione_bilaterale_di_supporto_e_assistenza/notizie_teatro/Pagine/Nave_Caprera_sostituisce_la_Capri_nella_missione_bilaterale_di_assistenza_e_s

      #operazione_Mare_Sicuro

    • "Playing with Molecules": The Italian Approach to Libya

      Cette étude met en lumière la manière dont la politique étrangère italienne a choisi en Libye de traiter avec les divers éléments, ou « molécules », d’un pays entré en décomposition.
      La politique impulsée par le gouvernement Gentiloni, et en particulier le ministre de l’Intérieur Marco Minniti, a composé avec les différents acteurs pour « repriser » et stabiliser le terrain, afin de mieux gérer les flux de migrants et les activités illégales en Méditerranée, mais aussi de sécuriser l’approvisionnement énergétique de l’Italie. Cette approche « moléculaire » est à double tranchant : alors que les flux migratoires se sont réduits, que les relations économiques s’intensifient et que les coopérations informelles créent de nouveaux espaces de dialogue, le manque de vision stratégique dans la mise en avant de nouveaux acteurs pourrait nuire aux perspectives de paix et in fine, aux relations entre l’Italie et la Libye.


      https://www.ifri.org/fr/publications/etudes-de-lifri/playing-molecules-italian-approach-libya

    • Most Libyan militias involved in illegal migration activities nominally affiliated to official state security institutions: UN Libya Experts Panel report

      Most Libyan militias involved in illegal migration activities are nominally affiliated to official state security institutions, the UN Libya Experts Panel report states in its section on human trafficking and financing of armed groups.

      ‘‘Armed groups, which were party to larger political-military coalitions, have specialized in illegal smuggling activities, notably human smuggling and trafficking. The drastic rise in the numbers of migrants starting in 2014 indicates that illegal migration in Libya is not the preserve of isolated armed groups but of much larger coalitions. Most armed groups involved in these illegal activities were nominally affiliated to official security institutions. In 2014, the number of migrants that took the central Mediterranean route (great majority through Libya) was 170,664, compared to 45,298 and 15,151, respectively in 2013 and 2012.

      Role of SDF and links with smugglers

      The Special Deterrence Force (SDF) is an armed group affiliated to the Government of National Accord’s Ministry of Interior, with policing and security functions, including investigation of human traffickers and the arrest of illegal migrants.

      Testimonies of migrants, originating from Eritrea, reveal that when they reached Tripoli from Bani Walid in July 2016, they were arrested by SDF. They confirmed that, once arrested by SDF, they were handed over, against payment, to various migrant smuggling rings for onward journeys to Zawiyah and Sabratha.

      Some were handed over to the Mitiga detention centre, while others were taken to the Tajura and Abu Slim detention centres. These three centres are theoretically subordinated to the Ministry of Interior’s Department Combatting Illegal Migration (DCIM). The group detained in Mitiga had to pay the SDF between 300 and 400 USD each, for their release and transfer from Tripoli to Sabratha.

      Four Bangladeshis told the Panel that they landed in Tripoli from Dhaka on 15 July 2015, holding valid Libyan work visas. On arrival, SDF seized their passports and detained them for three months in Mitiga. They were subsequently transferred to Sabratha, and sent on boats against their will to Europe after being extorted of 300 USD paid in cash to the SDF elements.

      The Panel is assessing whether the SDF’s leadership was aware of collusion and trafficking being conducted within its ranks.

      Role of Eritrean smugglers

      In Tripoli, a well-structured network of smugglers coming from East Africa has operated since 2008. Multiple testimonies collected and corroborated by judicial authorities indicate that the leadership is composed of two Eritreans living in Tripoli, Ermias Ghermay and Abd al-Razzak Fitwi.

      They play a key role in organizing the smuggling from the migrants’ homeland to Italy against substantial payments. Interviewees claimed that Fitwi acts as a broker and receives up to 1,500 US dollars per person, to release the migrants held in the official detention centres in Tripoli and to send them to Sabratha.

      An armed group member from Tripoli, told the Panel that Fitwi and Ghermay paid substantial fees to prominent armed groups to pursue their activities and to guarantee their safety. They also have private detention camps in Tajura, Abu Slim and Gargaresh guarded by Africans. From there they transport migrants to Sabratha or Zawiyah.

      Use of State detention facilities for trafficking

      The Directorate Combatting Illegal Migration (DCIM) is responsible for 24 detention centres and employs 5,000 staff. Under Libyan legislation, the migrants are detained because they are considered as illegal aliens, subject to investigation by judicial authorities.

      According to international agencies, the DCIM has no control over its detention centres. The administration is almost non-existent, and records on the migrants, who have been detained, are poor. A minister of the GNA admitted in a discussion that the armed groups are stronger than the authorities in handling the flows of migrants. Several migrants also confirmed that the local armed group controlled the centres they stayed in.

      Smugglers in Sabratha

      Sabratha is the main departing point of migrants to Italy. The city is divided between two competing armed groups involved in migrant smuggling. The eastern zone is under control of Mosab Abu Grein al Wadi armed group. The western zone is held by Ahmad al-Dabbashi’s Martyr Anas al-Dabbashi Brigade.

      Anas al-Dabbashi Martyr Brigade

      The commander of Anas al-Dabbashi Martyr’s Brigade, Ahmad al-Dabbashi (alias al- ‘Amu), was the main smuggler in Sabratha from 2014 until he was ousted in October 2017. West African migrants rescued in Lampedusa in April 2017 testified in Italy on al-Dabbashi’s modus operandi.

      The interviewees were forced to call their families to transfer money to specific bank accounts located in Europe, Africa or the Middle East. From October 2016 to April 2017, they had to pay up to 2,000 USD each for their travel. The money was extorted by armed guards composed of Libyans, Nigerians and Gambians. The African guards work for three months to pay their own migration to Europe. The interviewees sailed, on 13 April 2017, with two of their former guards from Sabratha to Lampedusa.

      The Panel is investigating the GNA’s creation and financing of the anti-illegal migration unit, “Brigade 48”. Although it was supposedly under the Ministry of Defence and the Chief of Staff, sources stated that al-Amu’s brother, Mohamed al-Dabbashi, headed it. In summer 2017, al-Dabbashi’s brigade had apparently shifted from trafficking to policing migrants for the GNA’s account.

      Furthermore, several open sources reported an alleged deal with al-Dabbashi to contain the migration flows from Sabratha. Although the information was denied, it triggered violent clashes between competing armed groups involved in smuggling. Ahmad al-Dabbashi was defeated and escaped Sabratha on 6 October 2017. The PC dissolved the Brigade 48 on 16 November 2017.

      Role of Mos’ab Abu Grein

      Mos’ab Abu Grein (alias “The Doctor”), a leader of al-Wadi Brigade, operates in the eastern part of Sabratha. He is connected to a network of smugglers composed of Salafi armed groups in Tripoli, Sebha and Kufra. The Panel interviewed three different Eritrean migrants who reported that they were taken from SDF’s Mitiga detention centre to the Abu Grein facility in Sabratha in July 2016. They were detained in a hangar with African guards from where Abu Grein organizes departures on inflatable rubber boats to Italy.

      The interviewees said they paid Abu Grein 1,500 USD cash via a Nigerian broker to cross the Mediterranean. According to official sources, Mos’ab Abu Grein enjoys impunity for his activities in migrant smuggling because he collaborates with the SDF to counter drug traffickers, consumption of alcohol and combats alleged links of Sabratha and Zawiyah traffickers to listed entities such as ISIL.

      Abu Grein and Dabbashi have been in close competition, both seeking to monopolize the trafficking in Sabratha. From 21 September, Abu Grein supported the anti-ISIL Operation Room (AIOR) to combat the Brigade 48 armed group. The Panel notes that the warring parties, the AIOR and the Brigade 48, were officially financed by the GNA until the conflict broke out in Sabratha.

      Zawiyah

      Al Nasr Brigade and the Coast Guards

      Between Tripoli and Sabratha, Zawiyah port plays a distribution role. According to interviews of migrants and judicial reports, ‘Al Nasr Brigade’ 56, headed by Mohamed Koshlaf, and Zawiyah Coast Guards, was connected to Ahmad al-Dabbashi’s organization. Several migrants paid 100,000 to 150,000 Francs CFA57 to a Burkinabe broker operating between Koshlaf and the migrants.

      Other interviewees, who travelled in April 2017, asserted that their group left Zawiyah by night, crammed on a 10-meter inflatable rubber boat. While at sea, men with an official boat and wearing Coast Guard uniforms stopped them. They shot in the air and extorted the passengers’ money and valuables. When the boat arrived at calling distance off the Italian shores, the same official boat returned to seize the rubber boat’s engine. Similar incidents have been reported previously.

      Southern Region

      Brigade Subul al-Salam

      Eritrean and Ethiopian interviewees described their transfer, in January 2015, from the Sudanese border to Al Kufra. An Eritrean fixer, called Afra Waiki, transported and handed them over to an armed group, Brigade Subul al-Salam, affiliated with the LNA and under the command of Abd al Rahman Hashem from the Zway tribe in al-Kufra.

      The interviewees said they were put in a prison where the guards were dressed in police uniforms and driving official police cars. For their release, each migrant had to transfer up to 300 USD to a foreign bank account. In July 2015, they could continue their travel to Bani Walid driven by another Eritrean fixer known as Wadi Isaaq.

      Role of Tebu armed groups and Sudanese armed groups

      Sources indicated active involvement of Tebu and Darfuri armed groups, supported by Darfuri mercenaries in the south, in migrant smuggling. They operate particularly in the Tamassa region, in the south west of Jebel Arrush, Murzuq and al Kufra. The Tebu manage their own warehouses for migrants while Darfuri armed groups provide protection and escort to the traffickers.

      Recent developments have shown attempts to counter the groups involved in migrant smuggling. In September 2017, an armed group called the ‘Suqur al Sahara’ headed by the Tebu commander, Barka Shedimi, claimed the closure of the borders with Niger, Sudan and Chad to halt human trafficking. Similarly, a coalition of armed groups linked to Murzuq Municipality also created their own border protection force. The Panel is investigating these decisions, particularly the political and the financial motivations behind them”.

      https://www.libyaherald.com/2018/03/11/most-libyan-militias-involved-in-illegal-migration-activities-nominally
      signalé par @isskein via Fulvio Vassallo sur FB

    • Sauvetage de migrants : tensions entre gardes-côtes et ONG au large de la Libye

      Plusieurs associations dénoncent le traitement infligé aux migrants par les garde-côtes libyens. Ces derniers travaillent en coordination avec l’Italie.

      Toujours pas d’apaisement en Méditerranée entre ONG et gardes-côtes libyens. Ce week-end, plusieurs navires humanitaires souhaitant s’approcher d’embarcations de migrants en détresse se sont vus refuser l’accès.

      « Les Libyens agissent comme des pirates dans les eaux internationales, exigeant que leur soit reconnue une autorité. Ils agissent hors du droit et ils le font avec des moyens fournis par le gouvernement italien », a accusé sur Twitter le député italien de gauche Riccadro Magi. Samedi, il était à bord de l’Astral, un voilier appartenant à l’ONG Proactiva Open Arms, lorsqu’une vedette libyenne a ordonné au navire de s’éloigner.

      Bis repetita dimanche avec l’Aquarius. Ce bateau, affrété par SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) avait été prévenu par les gardes-côtes italiens de la présence d’un canot surchargé au large de Tripoli. Mais Rome a aussi prévenu ses homologues libyens, qui ont pris la coordination de l’opération et interdit au navire de s’approcher. Leur a également été demandé de s’éloigner quand des migrants ont sauté à l’eau pour tenter d’éviter d’être reconduits en Libye. En début de soirée, la marine libyenne a annoncé avoir secouru plus de 300 migrants dans trois opérations distinctes, faisant état d’un mort et d’un disparu.

      Flou autour de l’identité de ces gardes-côtes

      Le porte-parole de la marine libyenne a prévenu que les tensions avec les ONG risquent de s’aggraver dans les prochains jours, les navires humanitaires « s’approchant de plus en plus » des eaux libyennes, selon M. Kacem. La Libye, qui accuse les ONG d’être liées aux réseaux de passeurs, est soutenue par l’Italie et l’Union européenne qui finance la formation de ces officiers dans cette région en proie aux tensions inter-tribales.

      « Certains ont des uniformes mais on ne sait pas qui ils sont vraiment, décrivait pour le Parisien Francis Vallat, président de SOS Méditerranée. Certains dépendent du gouvernement libyen reconnu internationalement, tandis que d’autres relèvent de chefs féodaux plus ou moins provinciaux. On ne sait pas si ces gens respectent le droit. En tout cas, ils ont une attitude qui permet d’en douter. »

      LIRE AUSSI >Des migrants « secourus » sur fond d’accusations de traitements inhumains

      Trois responsables de l’ONG Proactiva Open Arms font actuellement l’objet d’une enquête judiciaire en Italie pour avoir refusé de remettre des migrants aux Libyens lors d’une opération mi-mars. Même si un juge a estimé qu’ils avaient agi « en état de nécessité » compte tenu de l’insécurité pour les migrants en Libye.
      La crainte de l’« enfer libyen »

      Le pays fait régulièrement l’objet de critiques pour les traitements infligés aux migrants, notamment africains, qui passent sur son territoire dans l’espoir de rejoindre l’Europe pour une vie meilleure. En novembre, CNN révélait au monde abasourdi l’existence de ventes aux enchères d’hommes réduits aux rangs d’esclaves, dans une vidéo glaçante tournée près de Tripoli, la capitale libyenne.

      Cette semaine, MSF a dénoncé la situation dans un centre de détention libyen à Zouara (ouest), où ses équipes ont vu plus de 800 personnes tellement entassées qu’elles ont à peine la place de s’allonger, « sans un accès adéquat à l’eau et à la nourriture ».

      LIRE AUSSI >Esclavage en Libye : Ousmane a vécu six mois d’enfer dans les geôles libyennes

      La coordination entre Rome et Tripoli a fait chuter drastiquement les départs vers les côtes européennes. Selon les autorités italiennes, près de 9 500 migrants ont débarqué cette année, soit une baisse de 75 % par rapport à la même période en 2017. Dans le même temps, les gardes-côtes libyens ont secouru et ramené en Libye plus de 5 000 migrants, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui fait aussi état d’un bilan d’au moins 379 morts ou disparus au large de la Libye.

      http://www.leparisien.fr/international/sauvetage-de-migrants-tensions-entre-gardes-cotes-et-ong-au-large-de-la-l

    • Riportati dalla Guardia costiera in Libia, torturati e venduti : le associazioni fanno ricorso alla CEDU

      Ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani contro l’Italia per aver coordinato la Guardia Costiera libica nei respingimenti che hanno portato ad abusi e al decesso di migranti

      Il 6 Novembre 2017 l’ONG Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. Almeno venti dei migranti sono morti, tra cui due minori. L’intervento è stato coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana e la motovedetta libica coinvolta era stata donata dal governo italiano alcuni mesi prima. La Guardia Costiera libica ha poi riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente “venduti” e torturati con elettrochoc. Nella conferenza stampa verrà illustrato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani e verrà presentato un rapporto audio-visivo prodotto da Forensic Oceanography/Forensic Architecture che ricostruisce questo ed altri casi di respingimento.

      https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/migranti-libia-guardia-costiera-cedu
      #CEDH

    • Un article d’avril 2017

      L’accordo tra Italia e Libia potrebbe favorire il traffico di migranti

      A Gaeta è una giornata di sole, i battaglioni della guardia di finanza sono schierati davanti al mare sulla terrazza della caserma Bausan, stretta tra il golfo e la cittadina fortificata. In mare le due motovedette che l’Italia restituirà alla guardia costiera libica si esibiscono in caroselli a sirene spiegate. Un elicottero sorveglia la parata. Il ministro dell’interno Marco Minniti è arrivato da Roma per assistere alla riconsegna alla guardia costiera libica di due motovedette. Erano state donate dall’Italia alla Libia nel 2009, ma erano state danneggiate nel 2011 durante la guerra in Libia, e restituite agli italiani nel 2012.

      “Entro l’anno ne saranno consegnate in tutto dieci”, dice il ministro, che nel suo discorso definisce la guardia costiera libica “la più importante struttura nel Nordafrica” per il controllo dell’immigrazione irregolare. Poco dopo, Minniti consegna i diplomi ai venti cadetti libici che hanno seguito un corso di addestramento a Gaeta per tre settimane. Altri diciannove saranno formati nelle prossime settimane dalla scuola nautica della guardia di finanza, per un totale di quattro equipaggi.

      L’obiettivo del governo italiano, espresso nel memorandum d’intesa con la Libia firmato il 2 febbraio, è affidare ai libici il pattugliamento delle coste e il recupero dei migranti che salpano ogni giorno dalle coste del paese africano a bordo d’imbarcazioni di fortuna. Dall’inizio del 2017 ne sono stati soccorsi più di 30mila, mentre quelli che hanno perso la vita durante la traversata sono stati più di mille. Il presidente del governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha chiesto all’Italia di investire 800 milioni di euro nella cooperazione per fermare l’arrivo dei migranti.

      Adel, Hamza e Omar sono alcuni degli ufficiali della guardia costiera libica che partecipano alla cerimonia di Gaeta: maglione blu a coste e cappellino da baseball. “In Libia la situazione non è per niente tranquilla”, dice Adel, gli occhi verdi e il volto scavato, in un italiano stentato, dopo la fine della cerimonia, mentre mangia pasticcini insieme ai compagni sotto coperta, all’interno della motovedetta appena riconsegnata a cui è stato dato il nome di Sabratha. “La guerra non è proprio finita”, continua Adel sorridente.

      Alleati affidabili?
      Il governo italiano conosce bene la situazione drammatica in Libia e molte inchieste hanno denunciato casi di corruzione della guardia costiera del paese, eppure Roma sembra determinata a perseguire il suo progetto di cooperazione con Tripoli per fermare la partenza dei migranti, anche se il memorandum d’intesa è stato sospeso dalle autorità libiche, nell’attesa che un tribunale ne stabilisca la legittimità.

      “Fermeremo le imbarcazioni che partono dalla Libia”, ha detto Ahmed Safar, l’ambasciatore libico in Italia. “Quelli che saranno soccorsi saranno portati nei centri di detenzione più vicini”, ha assicurato durante la cerimonia di Gaeta. La rete televisiva tedesca Ard ha rivelato che il governo di Tripoli ha chiesto all’Unione europea di armare la guardia costiera libica con altre 130 imbarcazioni di vario tipo, alcune delle quali dotate anche di mitragliatrici per fermare la partenza dei migranti dalle coste.

      Molti esperti, tuttavia, hanno espresso il timore che i fondi stanziati dall’Italia e dall’Unione europea per finanziare la guardia costiera libica finiscano indirettamente nelle mani dei trafficanti. Un’inchiesta di Nancy Porsia per Trt World, infatti, ha mostrato che il capo della guardia costiera a Zawiya, Abdurahman Milad, è una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione.

      Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. “Le mafie si sono infiltrate, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle città e dei villaggi libici”, aveva detto una fonte della sicurezza italiana all’inviato del quotidiano italiano Repubblica in Libia Vincenzo Nigro.

      “In Libia non si può parlare di un’unica guardia costiera, ma di un’istituzione che rimane espressione delle realtà locali”, spiega Gabriele Iacovino, esperto di Libia del Centro di studi internazionali (CeSI). “Una cosa è la guardia costiera di Misurata, un’altra quella di Zawiya. In particolare, in questa regione della Libia, i poteri locali sono nemici delle milizie che controllano Tripoli”.

      Iacovino spiega che non si può escludere che in alcune zone “esponenti della guardia costiera libica si facciano pagare delle tangenti dai trafficanti per consentire alle imbarcazioni di lasciare la costa e giungere nelle acque internazionali”.

      Questa ipotesi è stata confermata da un rapporto dell’operazione navale europea EunavforMed, citato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che denuncia la collusione tra la guardia costiera di Zawiya e i trafficanti di esseri umani. In un articolo, pubblicato sull’Espresso, i giornalisti Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi hanno descritto un fenomeno simile: la guardia costiera libica vende le persone recuperate in mare alle milizie, che gestiscono dei centri di detenzione illegali.

      Nell’agosto del 2016 una nave dell’ong Medici senza frontiere, che soccorreva i migranti in mare, è stata attaccata da un’imbarcazione della guardia costiera libica; il 21 ottobre del 2016 una nave dell’ong tedesca Sea-watch ha denunciato che la guardia costiera libica ha picchiato i profughi imbarcati su un gommone al largo della Libia. Un video pubblicato dal Times nel febbraio del 2017 mostra, infine, percosse e maltrattamenti dei guardacoste libici ai migranti.

      Il mercato degli schiavi
      “I migranti spesso ci dicono che preferirebbero morire piuttosto che tornare in Libia”, racconta Riccardo Gatti dell’organizzazione non governativa spagnola Proactiva open arms, che effettua soccorsi in mare. “Mi ricordo di un ragazzo bangladese che aveva minacciato di buttarsi in mare quando un’imbarcazione della guardia costiera libica si era avvicinata alla nostra nave”. Dall’inizio del 2017 i guardacoste e i pescatori libici hanno recuperato circa quattromila migranti al largo della Libia, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, conferma: “I trafficanti dicono ai migranti di mettersi in mare prima di giugno, cioè prima che la guardia costiera libica sia di nuovo attiva e impedisca la partenza delle imbarcazioni”.

      Di Giacomo aggiunge: “Sappiamo che ci sono persone che collaborano con la guardia costiera e che in realtà sono trafficanti”. L’Oim ha recentemente denunciato un “mercato degli schiavi” in cui una persona può essere venduta per duecento dollari. “Da anni i migranti ci raccontano che in Libia vengono sequestrati da miliziani che chiedono un riscatto alle famiglie per liberarli oppure li vendono ad altri trafficanti”, racconta Di Giacomo.

      “Non appena passano il confine tra il Niger e la Libia e arrivano a Sabha, i migranti cadono nelle mani delle milizie. Sono rapinati, rapiti, reclusi nei centri di detenzione. A Sabha corrono il rischio di essere venduti in un vero e proprio mercato degli schiavi, come lo definiscono loro stessi, che si svolge nei parcheggi e nelle piazze”, spiega Flavio Di Giacomo.

      L’ambasciatore libico in Italia ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri per migranti

      L’Oim è una delle poche organizzazioni umanitarie ad avere accesso a una decina di campi di detenzione intorno alla capitale libica, Tripoli, dove sono rinchiuse circa seimila persone. In totale, secondo le Nazioni Unite, ci sono una cinquantina di campi in tutto il paese, ma i centri dove sono reclusi i migranti potrebbero essere molti di più. “Più lavoriamo in Libia, più ci rendiamo conto che è una valle di lacrime per i migranti. I centri sono prigioni, posti disumani”, spiega Di Giacomo. La sua denuncia è confermata da Arjan Hehenkamp, direttore generale di Medici senza frontiere, che ha visitato sette campi intorno a Tripoli e assicura che in Libia “tutti i campi di detenzione sono in mano alle milizie, non ci sono campi controllati dal governo”.

      Hehenkamp si è detto sconvolto da ciò che ha visto nei centri: “Persone che non hanno più dignità né autonomia, a completa disposizione dei carcerieri. Alcuni mi hanno raccontato di nascosto, sussurrando, gli abusi subiti: non possono parlare e sono terrorizzati dalle ritorsioni”.

      L’ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri, ma ne ha minimizzato l’importanza. “Le violazioni ci sono state e ce ne saranno ancora nei campi, ma non possiamo generalizzare”, ha detto il 21 aprile a Gaeta. “In Libia non ci sono nemmeno le leggi per regolarizzare la presenza di cittadini stranieri, perché la Libia è un paese di transito. Ci sono campi di detenzione, campi per il rimpatrio, campi dove si aspetta di essere espulsi. Il governo libico ha bisogno del sostegno dei partner europei per garantire una situazione migliore”, ha concluso.

      Una frontiera che non esiste
      Per fermare l’arrivo di migranti in Europa, l’Italia sta investendo anche sul controllo della frontiera meridionale libica, un’area di confine in mezzo al deserto, da secoli attraversata dalle rotte migratorie e controllata dai trafficanti. Il 31 marzo a Roma il governo italiano si è fatto garante di un accordo di pace firmato da una sessantina di gruppi tribali che vivono nel sud del paese e che dall’inizio della guerra civile se ne contendono il controllo. Dopo la firma dell’accordo di pace, il ministro Minniti ha precisato che “una guardia di frontiera libica pattuglierà i cinquemila chilometri della frontiera meridionale del paese”.

      Minniti ha ribadito che mettere in sicurezza quel confine significa “mettere in sicurezza la frontiera meridionale dell’Europa”. Molti hanno però sollevato dubbi sul fatto che questo accordo possa funzionare, sia per la vastità della zona da controllare sia per gli interessi in gioco. “Si tratta di zone desertiche, molto insicure, zone che da sempre sono lo scenario di traffici di armi, di droga e di esseri umani”, spiega Giuseppe Loprete dell’Oim, che è appena tornato da una missione al confine tra il Niger e la Libia.

      “Le popolazioni dei tubu e dei tuareg presenti in Libia sono presenti anche in Niger, la frontiera per loro non esiste. Tra il nord del Niger e il sud della Libia c’è un rapporto di continuità: è importante che le comunità locali siano coinvolte in qualsiasi tipo di negoziato”, dice Loprete che sottolinea un aspetto importante, ma sottovalutato: “L’immigrazione irregolare è una fonte di guadagno per le comunità locali”.

      Dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali

      Lo conferma Virginie Colombier, esperta di Libia e ricercatrice dell’Istituto universitario europeo di Fiesole: “Soprattutto dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali del sud e dell’ovest della Libia”. Questa regione è il principale punto d’ingresso in Libia dei migranti che arrivano dall’area del Sahel e, più in generale, dall’Africa subsahariana.

      Si tratta di una zona isolata, dove non ci sono infrastrutture, reti di comunicazione, strutture sanitarie. In quella regione, inoltre, sono in gioco importanti interessi economici internazionali: passano i principali traffici illeciti diretti in Europa e in Nordafrica (commercio di droga e di armi) e ci sono pozzi petroliferi. “L’Italia ha tutto l’interesse a ristabilire la sicurezza nel sud e nell’ovest del paese, perché in quel territorio sono presenti alcune grandi aziende italiane attive nel settore del petrolio e del gas”, spiega Colombier.

      Secondo la studiosa francese, il governo di AlSarraj non riesce ad assicurare il controllo del territorio e per questo Roma ha deciso di intraprendere azioni dirette come l’accordo tra i gruppi tribali del sud del paese. “Una delle questioni centrali è la situazione nella città di Sabha; il centro urbano più popoloso dell’area, conteso tra i diversi gruppi”, continua Colombier.

      Prima del 2011, alcuni accordi di pace informali avevano garantito al governo di Tripoli di controllare – almeno in parte – il confine, ma questi accordi sono falliti dopo la caduta di Muammar Gheddafi e diverse tribù hanno cominciato a contendersi il controllo delle principali rotte dei traffici illegali. L’Italia sta cercando d’intervenire e di ritagliarsi un ruolo di mediatrice, “un passo preliminare che potrebbe assicurare agli italiani un’influenza nella regione anche in futuro”. Tuttavia, secondo Colombier, “l’accordo difficilmente avrà effetti concreti nel breve periodo, né servirà a fermare l’immigrazione irregolare”.

      Per Gabriele Iacovino al momento una delle questioni problematiche è l’interesse che il generale Khalifa Haftar, in conflitto con il governo di Tripoli, ha manifestatoperalcuni impianti petroliferi nella regione di Sabha. Queste azioni militari non fanno altro che minacciare i fragili equilibri nella regione meridionale del paese. “Interrompere il cessate il fuoco tra tebu e tuareg, le due principali tribù nel sud del paese, può compromettere ulteriormente il processo di stabilizzazione del paese”, conclude Iacovino.

      Nel frattempo, però, la situazione in Libia è talmente disperata che sta aumentando il numero di persone disposte a tornare in Niger. Lo conferma l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che ha osservato il fenomeno nei suoi cinque centri per migranti in Niger. “Quelli che sono abbandonati nel deserto, quelli che non ce la fanno ad arrivare sulla costa, quelli che hanno finito i soldi, tornano spesso in Niger, nel nostro centro a Dirkou”, racconta Loprete. Quando tornano hanno storie disperate. Hanno fatto il viaggio, con tutte le difficoltà che comporta, ma non hanno ottenuto quello che speravano.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera

    • Meeting of Libyan, Italian officials revolve around illegal migration, southern borders security

      Libyan officials from different authorities met with the Italian ambassador to Libya, Giuseppe Perrone, and a delegation from the Italian defense and interior ministries as well as representatives of the Italian Prime Minister at the coast security department’s headquarters in Tripoli on Thursday.

      https://www.libyaobserver.ly/news/meeting-libyan-italian-officials-revolve-around-illegal-migration-sout

    • Libia-Italia: ministro Interno #Minniti atteso oggi a Tripoli

      Tripoli, 15 mag 09:35 - (Agenzia Nova) - Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è atteso oggi a Tripoli per una visita a sorpresa. Lo hanno riferito ad “Agenzia Nova” fonti libiche secondo le quali il titolare del Viminale incontrerà funzionari del governo di accordo nazionale. Minniti dovrebbe tenere una conferenza stampa nel corso della giornata nella base navale di Abu Seta, vicino Tripoli. La scorsa settimana il coordinamento tra la Guardia costiera libica e italiana ha portato al primo salvataggio in mare di 498 migranti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale. L’11 maggio si è tenuta nella capitale libica una riunione del Comitato misto per la lotta contro l’immigrazione illegale tra Italia e Libia, nel quale è stato fatto il punto sul programma di rafforzamento delle capacità della Guardia costiera e della Guardia di frontiera del paese nordafricano. Durante la riunione è stata espressa soddisfazione per l’operazione di salvataggio dei 500 migranti. L’Italia ha recentemente consegnato alla Guardia costiera libica due motovedette riparate nel nostro paese. Le due motovedette erano state inviate in Italia nel 2013 per essere riparate e sarebbero dovute rientrare in servizio nell’agosto del 2014.

      Lo scorso 2 febbraio il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, e il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, hanno firmato a Roma un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e l’Italia. L’accordo prevede che la parte italiana si impegni “a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. Non solo: l’intesa prevede anche il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”, “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza”, “la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza”, “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia nel campo delle migrazioni a proseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine”. (Lit) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata

      https://www.agenzianova.com/a/59195c42c137d4.06358231/1565108/2017-05-15/libia-italia-ministro-interno-minniti-atteso-oggi-a-tripoli/linked

    • Italy tries to bolster Libyan coast guard, despite humanitarian concern

      Italy gave the Libyan coast guard four repaired patrol boats on Monday to beef up Libya’s efforts to stop people smuggling, but the support worries humanitarian groups operating rescue ships near the Libyan coast.


      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-idUSKCN18B2E5?feedType=RSS&feedName=worldNews
      cc @i_s_

    • L’Italie a signé un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger pour contenir l’afflux de migrants

      Selon le bilan diffusé lundi par le ministère de l’Intérieur italien, 50 041 migrants sont arrivés sur les côtes italiennes depuis le début de l’année. Un chiffre qui correspond à une hausse de plus de 45% par rapport à la même période l’an passé. Face à cet afflux, l’Italie a signé dimanche un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger.

      http://www.jeuneafrique.com/441266/societe/litalie-a-signe-accord-libye-tchad-niger-contenir-lafflux-de-migrants

    • Migranti: da vertice al Viminale con ministri Libia, Niger, Ciad centri accoglienza in paesi transito

      Centri di accoglienza per migranti rispondenti agli standard umanitari internazionali verranno costruiti in Ciad e Niger,due dei Paesi di transito delle migliaia di persone che dall’Africa sub sahariana raggiungono la Libia per poi imbarcarsi verso l’Italia. E’ uno dei risultati del vertice voluto dal ministro dell’Interno Minniti con i ministri dell’Interno di Libia, Niger e Ciad che si è tenuto al Viminale. I quattro ministri hanno siglato una dichiarazione congiunta.

      Secondo il Viminale si tratta di un punto di partenza per tentare di gestire il flusso di migliaia di senza speranza e spesso senza documenti che dall’Africa tenta di raggiungere l’Europa. Circa cinquemila uomini, donne e bambini diretti in Italia sono stati soccorsi al largo della Libia tra giovedì e sabato mattina dalle guardie costiere italiana e libica. Bisognerà vedere adesso se gli accordi messi nero su bianco nella dichiarazione congiunta troveranno applicazione nel deserto a sud della Libia, ma l’obiettivo e’ quello di arginare il fenomeno dove questo si origina e non in mare. Dalla Libia viene d’altronde il 90% di coloro che sbarcano in Italia e la quasi totalità è entrata nel paese nordafricano seguendo le rotte che dall’Africa occidentale portano ad Agades, in Niger, primo vero centro di smistamento di migliaia di esseri umani, o quelle che attraversano il deserto del Ciad e partono dall’Eritrea e dall’Etiopia.

      La strategia del Viminale si fonda su due pilastri: rafforzare la guardia costiera libica, mettendola in condizioni di operare per fermare i barconi – e in quest’ottica va la consegna entro giugno di 10 motovedette – e ristabilire il controllo sui cinquemila chilometri di confine sud che da anni sono in mano alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani.

      Su quest’ultimo fronte il primo passo è stato il patto siglato il 2 aprile scorso sempre al Viminale con le principali tribù del Fezzan. Oggi, con la firma sulla dichiarazione da parte di Minniti, del ministro libico Aref Khoja e dei colleghi di Niger e Ciad, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir e’stato fatto un altro passo per rafforzare i confini formando gli agenti e creando una “rete di contatto” tra tutte le forze di
      polizia della zona.

      L’Italia gioca una ruolo cruciale su questo aspetto visto che il Memorandum of understandig siglato il 2 gennaio a palazzo Chigi con la Libia prevede il completamento del sistema di controllo radar per il controllo dei confini al sud del paese già previsto dal trattato di Amicizia del 2008. Un sistema che dovrebbe realizzare Selex, del gruppo Leonardo-Finmeccanica, con una spesa prevista a carico dell’Italia di 150 milioni.

      http://www.onuitalia.com/2017/05/21/migranti-da-vertice-al-viminale-con-ministri-libia-niger-ciad-centri-acco
      #Tchad

    • Sempre più a Sud: Minniti ora vuole i Cie in Niger e in Ciad

      La foto ricordo scattata domenica scorsa al Viminale mostra una «storica» stretta di mano a quattro tra il nostro ministro dell’Interno Marco Minniti e i suoi omologhi di Ciad, Libia e Niger, dopo la firma di una dichiarazione congiunta per istituire una «cabina di regia» comune allo scopo di sigillare i confini a sud e evitare la partenza di migranti verso l’Italia e l’Europa.

      La dichiarazione impegna l’Italia a «sostenere la costruzione e la gestione, conformemente a strandard umanitari internazionali, di centri di accoglienza per migranti irregolari in Niger e in Ciad». Chi controlli la rispondenza di questi centri «di accoglienza» a standard di umanità internazionalmente riconosciuti non è chiaro, né chi li debba gestire e con quali fondi. E neanche è dato sapere in quale modo si intenda «promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella legata ai traffici illeciti in particolare al traffico di esseri umani». Ma i quattro ministri sono immortalati con ampi sorrisi, che dovrebbero migliorare la «sicurezza percepita» a cui tiene tanto il titolare del Viminale.

      Per chi non si accontenta di sorrisi e annunci, la situazione in Libia e tra una frontiera e l’altra nel Sahara, lungo la rotta dei migranti, è sempre più incandescente. A Zawiya, città costiera dove è florido il business dei barconi, è esplosa ieri un’autobomba.

      Nel Fezzan il bilancio del truculento assalto della settimana scorsa alla base aerea di Brak al Shati, controllata dalle milizie del generale Haftar, è salito a 141 morti, tra i quali 15 civili. E si scopre – attraverso la Commissione nazionale diritti umani della Libia – che al seguito della Terza Forza, negli squadroni della città stato di Misurata che costituiscono l’ossatura delle milizie fedeli al governo Serraj di Tripoli, quello con cui l’Italia sta stringendo accordi per fermare i migranti, c’erano anche «foreign fighters provenienti dal Ciad e qaedisti delle Brigate di difesa di Bengasi».

      Serraj, per far vedere di non aver gradito l’assalto che ha violato la tregua con Haftar, ha sospeso il ministro della Difesa Al Barghouthi e il capo della Terza Forza, Jamal al Treiki, ma si tratta di un pro forma che neanche il suo ministro ha preso sul serio, infatti ha continuato a incontrare i capi misuratini per verificare «la presenza di cellule dell’ Isis» sopravvissute all’assedio di Sirte. Gli Usa intendono mantenere una presenza militare in Libia, ha detto il generale Waldhauser, proprio per combattere le cellule dell’Isis che stanno tentando di riorganizzarsi.

      Intanto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, per la prima volta in visita ai centri di detenzione per migranti in Libia in queste ore, si è detto «scioccato» dalle condizioni in cui si trovano bambini, donne e uomini «che non dovrebbero sopportare tali difficoltà». Grandi fa presente che oltre ai profughi africani (1,1 milioni) in Libia ci sono 300 mila sfollati interni a causa del conflitto che dal 2011 non è mai finito.

      https://ilmanifesto.it/sempre-piu-a-sud-minniti-ora-vuole-i-cie-in-niger-e-in-ciad

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • Back to Old Tricks? Italian Responsibility for Returning People to Libya

      On 10/11 May 2017 various news outlets reported a maritime operation by the Libyan authorities, in coordination with the Italian Search and Rescue Authority, in which 500 individuals were intercepted in international waters and returned to Libya. This operation amounted to refoulment in breach of customary international law and several treaties (including the Geneva Refugee Convention and the European Convention on Human Rights), and an internationally wrongful act is one for which Italy bears international legal responsibility.

      https://www.ejiltalk.org/back-to-old-tricks-italian-responsibility-for-returning-people-to-libya

    • Tutto quello che c’è da sapere sull’accordo Italia – Libia

      Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia è solo una tappa della articolata strategia di esternalizzazione delle frontiere perseguita tanto dal nostro governo quanto dall’Unione Europea. A tutti i costi, e mettendo in secondo piano il rispetto dei diritti fondamentali. Ecco cosa c’è che non va nell’accordo e quali sono le sue conseguenze.

      http://openmigration.org/analisi/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sullaccordo-italia-libia/?platform=hootsuite

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172
      #aide_du_développement #coopération_au_développement #développement

    • commentaire reçu via la mailing-list migreurop (01.08.2017) :

      Elle a été déjà approuvée par le Conseil des Ministres Italiens. Demain le Président du Conseil en discutera aux commissions intéressées. Il s’agit d’une opération militaire italienne de soutien aux gardes cotes libyennes à l’intérieur des eaux territoriales libyennes suite à la demande de un des trois Gouvernement Libyen (celui de Al Serraj).
      L’Italie utiliserait donc – du 1 aout 2017 – deux bateaux militaires engagés aujourd’hui à l’extérieur des eaux libyennes dans l’opération Mare Sicuro (une opération qui a comme mission celle de la sécurité de la région, pas du tout celle de la migration). L’Italie ne prendra pas à bord des migrants, et si sera obligé à le faire les transbordera dans un bateau libyen avant de rejoindre le cotes libyennes.

      Il est évidente que de cette façon il y a un claire tentative de contourner le principe de non refoulement au quel l’Italie a l’obligation (et pour violation du quel a été déjà sanctionné). Il est intéressante aussi de voir que dans le Code de Conduit que le Gouvernement veut imposer aux Ong qui interviennent en mer, il y a interdiction de transborde. Mais si c’est l’Italie qui doit le faire pour contourner l’accusation de refoulement, alors cela semble accepté.

      L’opération devrait partir très rapidement, le 1 aout. Les bateaux sont prêtes, mais semble irréalisable la partie du “projet” italien qui prévoit des centres d’accueil à l’arrivés aux ports libyens gérés par l’UNHCR e OIM. Semblerait donc naturel que seront les camps d’enfermement la suite des opérations d’interception que l’Italie aurait aidé à mener dans les eaux libyennes.

      L’Italie – et les institutions européennes qui soutiennent l’opération – semble ne pas se préoccuper de l’effet boomerang sur un processus de stabilisation d’un pays déjà très fragile. Ce n’est pas au hasard que Serraj aurait d’abord nié d’avoir demandé à l’Italie d’intervenir pour ensuite le confirmer et que Haftar vient de faire circuler une note où dénonce cet accord et menace de considérer toute intervention militaire de l’Italie dans les eaux territoriale libyennes comme une violation de la souveraineté du pays.

      Une partie de la mission sera financé avec les fonds déjà alloués à l’opération Mare Sicuro et en partie seront surement financé par les 46 millions de Fonds Fiduciaires que la Commission Européenne a annoncé le même jour de l’annonce de la mission.

    • Libya’s eastern commander vows to destroy Italian warships if sailed to Libyan water

      The Libyan eastern commander of Dignity Operation forces, Khalifa Haftar, has ordered to bombard any warships sailing into the Libyan waters, in a U-turn that could see escalations between eastern Libya and the UN-proposed government’s bodies in western Libya get tense.

      http://www.libyaobserver.ly/news/libyas-eastern-commander-vows-destroy-italian-warships-if-sailed-libya

    • Des navires de guerre italiens pour repousser les réfugiés au lieu de les protéger

      En proposant de déployer des navires de guerre pour patrouiller dans les eaux territoriales libyennes, les autorités italiennes cherchent à se soustraire à leur obligation de secourir les réfugiés et les migrants en mer et d’offrir une protection à ceux qui en ont besoin.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/des-navires-de-guerre-italiens-pour-repousser-les-refugies-au-lieu-de-les-pr

    • Respingimenti collettivi ed omissione di soccorso nel contrasto dell’immigrazione irregolare

      L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, che assume adesso una dimensione operativa dopo gli accordi ed i protocolli operativi stipulati dall’Italia con la Libia, la Tunisia e l’Algeria, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mare ed alle frontiere marittime, e le retate operate con “pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, ai danni dei migranti irregolari, spesso donne e minori, o altri potenziali richiedenti asilo, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Quanto sta avvenendo in questi mesi in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e scopre tutte le ipocrisie di chi afferma di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane inerte ad assistere allo scempio del diritto di asilo, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse.

      http://www.meltingpot.org/Respingimenti-collettivi-ed-omissione-di-soccorso-nel.html

    • ASGI : C’è il rischio di riaprire la stagione buia dei respingimenti già condannati dalla CEDU

      Sulle nuove iniziative del Governo italiano per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia l’ ASGI lancia l’allarme: “C’è il rischio di gravissime violazioni del diritto internazionale che riportino la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo”.

      https://seenthis.net/recherche?recherche=%23libye+%23externalisation+%23italie
      #refoulement #push-back

    • Cooperazione: kit di primo soccorso inviati in Libia grazie a collaborazione tra Esteri e Difesa

      L’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, e l’addetto per la Difesa, capitano di vascello Patrizio Rapalino, hanno consegnato al sindaco di #Zwara, 5.000 kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti per le esigenze della municipalità.

      http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2017/08/cooperazione-kit-di-primo-soccorso.html

    • Accordo Italia e milizie in Libia, qualcosa c’è ma non si dice

      Cosa è realmente accaduto in Libia tra Italia (sia chi sia ad aver trattato) e le milizie di Sabratha che prima gestivano la mafia dei traffici di persone e ora la contrastano in nome del governo Sarray? Ora anche la stampa ‘tradizionale’ s’accorge del problema. Il Manifesto, «Accordo tra l’Italia e le milizie per fermare i migranti in Libia». Il Fatto quotidiano, Migranti, Ap: «Italia ha trattato direttamente con le milizie libiche per bloccare gli sbarchi”. Farnesina: ‘Falso’».

      https://www.remocontro.it/2017/08/31/accordo-italia-milizie-libia-qualcosa-ce-non-si-dice

    • L’Italie finance-t-elle des groupes armés libyens pour bloquer l’arrivée de migrants ?

      De moins en moins de migrants débarquent en Italie. Comment l’expliquer ? D’après l’agence Associated Press, derrière les explications officielles, la véritable raison de cette diminution s’expliquerait par le fait que l’Italie financerait des groupes armés libyens. Valérie Dupont, correspondante pour la RTBF à Rome, fait le point.

      https://www.rtbf.be/info/monde/detail_l-italie-finance-t-elle-des-groupes-armes-libyens-pour-bloquer-l-arrivee

    • Migrants en Libye : le #pacte pourri entre Rome, les garde-côtes et les trafiquants

      Alors que l’Union européenne finance, à hauteur de dizaines de millions d’euros, les garde-côtes libyens, il est établi que certains de ses membres sont compromis dans le trafic de migrants. Rome, de son côté, est accusé de négocier directement avec les milices de #Sabratha pour empêcher le départ des embarcations.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020917/migrants-en-libye-le-pacte-pourri-entre-rome-les-garde-cotes-et-les-trafiq

    • E l’Italia contribuisce alla costruzione della mafia in Libia. Conversazione con Nancy Porsia

      «Negli ultimi 3 mesi c’è stata l’implementazione del piano messo a punto già prima di allora. Lo scorso autunno fu lanciata la campagna di criminalizzazione da parte delle autorità italiane e libiche verso le Ong che operano Ricerca e Soccorso in mare, e mentre nell’inverno e nella primavere seguenti questa campagna di delegittimazione e criminalizzazione veniva portata avanti, gli italiani e gli europei addestravano le autorità Libiche e le loro forze militari per il pattugliamento dei confini e quindi anche del mare e delle coste libiche. Questa era una sorta di fase preparatoria che poi si è andata finalizzando negli ultimi tre mesi. Quindi gli italiani hanno di fatto consegnato i mezzi alla Guardia costiera libica, mezzi che risalgono agli accordi fra Berlusconi e Gheddafi del 2008 e che sono stati riconsegnati solo oggi dopo il lavoro diplomatico massiccio delle Nazioni Unite, Europa e in prima fila Italia, e che ha portato alla legittimazione dell’entourage di Serraj come Governo di unità nazionale. Quindi quello che resta delle autorità libiche è stato assunto come interlocutore legittimo, nonostante i grandi dubbi che ci sono circa la loro stessa legittimità. I libici hanno iniziato a pattugliare la costa reclamando tale compito come loro “dovere / diritto” e insinuando come “ingerenza” le operazioni svolte dalle Ong. Si è andati un pezzettino avanti rispetto alla criminalizzazione delle stesse Ong che poi come sappiamo sono state vessate dalla magistratura italiana, dalla campagna di discredito a mezzo stampa, in Italia e in Europa, ed esposte in maniera sempre più frequente al pericolo del fuoco libico tanto che hanno dovuto fare un passo indietro. Quindi di fatto il piano che era in cantiere da oramai un anno e mezzo fra l’Italia, l’Europa e la Libia è entrato nella sua fase finale. Il risultato è che le coste vengono pattugliate dai libici, oggi in grado di fermare la maggior parte dei barconi carichi di migranti. Dove è la critica di senso rispetto alla nuova situazione? Quelli che oggi bloccano i migranti sono gli stessi che ieri li trafficavano, e quindi il “piano Minniti” ha portato ad una istituzionalizzazione degli stessi trafficanti. Siamo di fronte ad una politica di cooperazione che interloquisce con trafficanti istituzionalizzatie e alcuni ufficiali della Guardia costiera corrotti. Su alcuni di questi c’è anche un procedimento della Corte penale dell’Aia piuttosto che un fascicolo lungo non so quante pagine all’interno del rapporto del panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, pubblicato lo scorso giugno. Quindi negli ultimi mesi il piano Minniti ha proceduto a gamba tesa nell’istituzionalizzazione delle milizie e dei maggiori trafficanti in Libia oltreché alla connivenza con le stesse guardie corrotte, anzi più che corrotte io le definirei in odore di mafia, in quanto parte integrante di un sistema mafioso che trafficava i migranti. Tutto questo per ridurre il numero dei migranti nel più breve tempo possibile».

      http://www.a-dif.org/2017/09/04/e-litalia-contribuisce-alla-costruzione-della-mafia-in-libia-conversazione-co

    • I campi dei migranti in Libia sotto il controllo delle Ong

      Coinvolgere le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina, per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei milioni di euro.

      http://www.lastampa.it/2017/09/08/esteri/i-campi-dei-migranti-in-libia-sotto-il-controllo-delle-ong-y0jOMmVk6gVG49hdon0gZJ/pagina.html

    • Centri di detenzione in Libia: “(Forse) è ora di pensare alle ‘condizioni umanitarie’”…

      I nuovi propositi di attenzione del governo italiano alle «condizioni umanitarie» nei centri di detenzione per migranti e rifugiati in Libia arrivano dopo mesi di silenzi e di iniziative tutte mirate al loro “contenimento” in quel Paese.

      «Le condizioni di quelli che rimangono in Libia, posso garantirvi, sono il mio assillo ed è l’assillo del Governo italiano», ha detto venerdì a Torino il ministro dell’Interno Marco Minniti, dopo averlo già affermato ad agosto ma aggiungendo: «La prossima settimana insieme con la Farnesina incontreremo le ONG italiane. Ragioneremo con loro se è possibile, accanto alle operazioni di salvataggio in mare, che naturalmente continuano, costruire un’iniziativa delle ONG direttamente in Libia per affrontare quel tema dei diritti umani e delle condizioni di vita».

      http://viedifuga.org/centri-detenzione-libia-forse-ora-pensare-alle-condizioni-umanitarie
      #ONG

    • Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare.

      Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare. E Serraj non controlla neppure tutta Tripoli, cosa può garantire all’Italia ed all’Europa ?

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/08/il-governo-di-tripoli-vuole-cinque.html

    • Migrants: Italian FM wants more EU efforts on Libya route

      MILAN - The Italian government wants the EU to exert greater efforts concerning the central Mediterranean migrant route, which runs from Libya to Italy, Foreign Minister Paolo Gentiloni said Friday. The minister was replying to journalists’ questions after his speech at a conference on immigration, refugees and asylum policies at the Bocconi University in Milan, where he discussed the ’Migration Compact’. Gentiloni called for investment in African countries to be stepped up, ’’with new instruments like ’Africa bonds’’’, and said that the countries receiving the investment should be required to put forth serious efforts to limit migration flows. He added that repatriation of migrants to safe countries should be ’’ever more European’’, but that migrants should not be repatriated to Libya. ’’On these issues,’’ he concluded, ’’the Italian government is asking Europe for commitment similar to what it showed on the (migration, Ed.) route running from Turkey to Greece and the Balkans.’’

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2016/04/22/migrants-italian-fm-wants-more-eu-efforts-on-libya-route_f8c9e906-3729-44b

    • Migranti, il Gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale diventa stabile

      «Oggi abbiamo fatto un passo importante, abbiamo messo in comune la volontà di governare l’immigrazione; l’esito della riunione è stato particolarmente fruttuoso». E’ questa la convinzione espressa dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggi al termine dell’incontro conclusivo con ministri e rappresentanti di Paesi della Ue e del Nord Africa che fanno parte del «Gruppo di contatto per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale», presso la scuola Superiore di Polizia, in via Pier della Francesca a Roma.


      www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-gruppo-contatto-rotta-mediterraneo-centrale-diventa-stabile

    • signalé par Fulvio Vassallo sur FB avec ce commentaire (19.04.2017) :

      Ci volevano i giapponesi per dire quali sono le ragioni vere della partenze di massa della Libia. Altro che le navi umanitarie come fattore di attrazione. L’Italia sta consegnando altre motovedette alla Guardia Costiera libica per aggirare il divieto di respingimenti collettivi per cui nel 2012 veniva condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

      Facing threat of patrols, thousands of migrants fleeing Libya ; 28 found dead

      Warm weather and calm seas usually spur smugglers to send migrants across the Mediterranean come spring. But aid groups say another timetable might be behind a weekend spike: the looming start of beefed-up Libyan coast guard patrols designed to prevent migrants from reaching Europe.


      http://www.japantimes.co.jp/news/2017/04/19/world/social-issues-world/facing-threat-patrols-thousands-migrants-fleeing-libya-28-found-dead

      #fermeture_des_frontières #militarisation_des_frontières #mourir_en_mer #morts #mourir_en_méditerranée #décès #facteurs_push #attractivité #push_factors #push-factors

    • Migranti: l’Italia consegna 10 motovedette alla Libia

      La scena si è già vista il 14 maggio 2009 ed il 10 febbraio 2010, sempre nel porto di Gaeta (Latina): sei motovedette hanno ammainato la bandiera italiana ed alzato quella libica per andare a pattugliare le acque davanti al Paese nordafricano con il compito di bloccare le partenze dei migranti. L’attività è però durata poco, fino all’intervento della coalizione internazionale contro Muhammar Gheddafi, nel 2011.

      Ora Italia e Libia ci riprovano: domani a Gaeta,alla presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti – quattro di quelle motovedette (le altre due sono andate distrutte) saranno nuovamente riconsegnate alla Marina ed alla Guardia costiera libiche. Seguiranno altre sei nelle settimane successive, con la speranza che siano in grado di frenare il flusso gestito dai trafficanti di uomini, che nel 2017 ha già portato sulle coste italiane oltre 35mila persone, il 40% in più del 2016, anno record per gli sbarchi.

      http://www.imolaoggi.it/2017/04/20/migranti-litalia-consegna-10-motovedette-alla-libia

    • G.Costiera Libia soccorre migranti, riportati a Tripoli

      ROMA - Primi effetti degli accordi di collaborazione sottoscritti di recente tra Italia e Libia in materia di migranti: oggi la Guardia Costiera libica, alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali, ha soccorso in acque internazionali e riportato nel porto di Tripoli un barcone in navigazione verso l’Italia, a bordo del quale vi erano circa 300 migranti. I migranti avevano inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana. Il barcone, inoltre, era stato avvistato ancora in acque libiche da alcuni mezzi aerei impegnati sul Mediterraneo centrale.
      Ricevute le due segnalazioni, la centrale operativa di Roma della Guardia costiera ha allertato la Guardia costiera libica che - diversamente rispetto a quanto accaduto in passato - ha preso il comando delle operazioni di soccorso. Alcune motovedette di Tripoli sono salpate in direzione del barcone, che è stato raggiunto in acque internazionali. Alcuni uomini della Guardia costiera libica hanno preso il comando dell’unità, che, invertita la rotta, è stata riportata nel porto di Tripoli.

      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/10/g.costiera-libia-soccorre-migranti-riportati-a-tripoli_df5b95ff-4921-4f05-

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.


      http://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Migrants: Tripoli thanks Italy but wants help in maintenance

      Thanking Italian authorities for cooperating in the fight against human trafficking, the operations chief of Libyan coast guards, Colonel Massoud Abdelsamad, called on Italy to send spare parts and maintenance support soon for cutters given to Tripoli to fight traffickers through ’’joint operations’’ carried out by Italy and Libya.
      ’’I would like to thank very much Italian authorities and especially the Italian coast guard: we have a good cooperation between us’’, the colonel said, commenting recent gunfire between his personnel and traffickers. ’’We are in contact 24 hours a day and sometimes carry out joint operations’’, added Abdelsamad in a phone interview with ANSA.
      ’’Our boats however need spare parts and maintenance. We would like to have in Libya, as soon as possible, the finance police team that has been working closely with us since 2010’’, also said the colonel, referring to a unit that should take care of maintenance in case of problems.
      ’’We were promised that the group would come to Libya and we are now waiting for it so it can support us’’, stated Abdelsamad. ’’We can carry out joint operations with the Libyan coast guard, finance police and Italian coast guard’’ and ’’this would help us a lot’’, he concluded, recalling that traffickers are heavily armed and have fast motor boats.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/generalnews/2017/05/31/migrants-tripoli-thanks-italy-but-wants-help-in-maintenance_3d2f7ffa-42d4-

    • Migranti: Tripoli, grazie Italia ma aiutateci per manutenzione
      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/31/migrantitripoligrazie-italia-ma-aiutateci-per-manutenzione_e874ccee-bba3-4

      Avec ce commentaire de Fulvio Vassallo:

      I libici ammettono che la guardia costiera italiana collabora nei respingimenti collettivi, illegali se si svolgono, come si svolgono, in acque internazionali. E chiedono pure pezzi di ricambio. Tra poco chiederanno anche gli equipaggi. Se Minniti non ha gia’ provveduto con i cd. Agenti di collegamento.Naturalmente chi viene riportato in Libia non ha molte chance di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

    • Bloccati in Libia. I migranti e le (nostre) responsabilità politiche

      Le corrispondenze dal caos libico che ci invia Nancy Porsia sono pressoché uniche nel campo del giornalismo in occidente, sicuramente le uniche in Italia. Pubblichiamo questo suo articolo in cui si riprende il testo dell’ accordo italo – libico firmato ieri dal Primo Ministro Gentiloni e dal “Capo del Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia”, Fayez Mustafà Serraj. Un accordo, secondo l’autrice, siglato forse troppo in fretta e in base tanto alle esigenze economiche italiane quanto alla necessità di rendere più complesse le vie di fuga per coloro che, fuggendo da guerre, crisi ambientali o economiche, transitano in Libia per entrare in Europa. Alcune voci si sono levate contro l’accordo. Dal parlamento europeo, oltre 40 parlamentari, guidati da Barbara Spinelli (GUE/NGL) ma afferenti a diversi gruppi politici, anche il Partito Popolare Europeo, hanno preso una dura posizione con una interrogazione scritta in cui si parla espressamente di pericoli derivanti dall’accordo UE- Libia. Durissimo anche il comunicato di Amnesty International, in cui si denuncia che i “piani per “chiudere” la frontiera marittima rischiano di intrappolare rifugiati e migranti in condizioni orrende in Libia”, mentre l’ambasciata tedesca in Niger, ha paragonato i campi di detenzione libici, espressamente a dei lager.

      http://www.a-dif.org/2017/02/03/bloccati-in-libia-i-migranti-e-le-nostre-responsabilita-politiche

    • Migranti: accordo Italia-Libia, il testo del memorandum

      Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate ’Le Parti’


      http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/02/news/migranti_accordo_italia-libia_ecco_cosa_contiene_in_memorandum-157464439

      Le texte en anglais:
      http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/02/ITALY-LIBYA-MEMORANDUM-02.02.2017.pdf

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Tripoli Appeals Court to rule on Italy-Presidential Council MoU

      A number of Libyan citizens lodged an appeal at the Judiciary Division of the Tripoli Appeals Court against the signing of a #Memorandum_of_Understanding (MoU) between the UN-proposed government’s Presidential Council’s Head Fayez Al-Sirraj and the Italian Prime Minister, Paolo Gentiloni.


      https://www.libyaobserver.ly/news/tripoli-appeals-court-rule-italy-presidential-council-mou

    • Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti potrebbe essere illegale

      Il memorandum d’intesa sui migranti firmato il 2 febbraio dall’Italia e dalla Libia potrebbe essere illegale. A sostenerlo è un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici che il 14 febbraio ha presentato un ricorso di 23 pagine alla corte d’appello di Tripoli. I sei libici, tra cui diversi ex ministri, sostengono che il memorandum sia incostituzionale. Innanzitutto perché, prima di essere firmato dal primo ministro Fayez al Sarraj a Roma, non è stato approvato dal parlamento libico e dal governo all’unanimità. Al Sarraj non ha ottenuto la fiducia dei parlamentari libici che si sono ritirati a Tobruk nel 2014. Inoltre l’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli, che non erano contenuti nel trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira.

      http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/02/20/italia-libia-migranti-accordo-illegale

    • Così Italia e Libia argineranno il flusso dei migranti

      Ambulanze, gommoni, mute, satellitari e bombole.

      L’accordo bilaterale prevede «l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica». Per questo l’elenco delle forniture è lungo e costoso. L’obiettivo è di completare il piano di consegna in 24 mesi, anche se alcuni punti dovranno essere ritoccati. In particolare sono state chieste 10 navi per la ricerca e il soccorso (alcune da oltre trenta metri) e 10 motovedette che devono essere utilizzate per i controlli sotto costa in modo da impedire alle “carrette” dei trafficanti di salpare. Le prime tre imbarcazioni potrebbero essere consegnate già agli inizi di giugno, prevedendo una dilatazione dei tempi per quelle più grandi. E poi quattro elicotteri che dovranno “guidare” le operazioni contro le organizzazioni che gestiscono i viaggi della speranza, ma anche coadiuvare il recupero in mare. Nell’elenco sono stati poi inseriti

      24 gommoni
      10 ambulanze
      30 jeep
      15 automobili
      30 telefoni satellitari Turaya
      mute da sub
      bombole per l’ossigeno
      binocoli diurni e notturni

      Saranno le forze dell’ordine italiane a dover addestrare i poliziotti locali e gli uomini della Guardia costiera. Su questo c’è già l’intesa con l’Ue che finanzierà la missione della Capitaneria di Porto che partirà entro due mesi.

      http://www.agi.it/cronaca/2017/03/20/news/cos_italia_e_libia_argineranno_il_flusso_dei_migranti-1602473
      #accord_bilatéral #contrôles_frontaliers #militarisation_de_la_frontière #frontières

    • Migranti, 12 unità navali alla Libia: via libera del governo

      Roma cede «a titolo gratuito» a Tripoli dieci motovedette della Guardia costiera e due unità della Gdf. C’è poi un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale

      ARRIVERANNO presto i nuovi mezzi navali che il governo italiano ha promesso al governo libico di accordo nazionale di Tripoli. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’invio di 12 unità navali e a un programma di addestramento del personale per il loro utilizzo. Un impegno economico, ha precisato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, «che sfiora 1,5 milioni, a fronte di un costo complessivo del provvedimento pari a circa 2,5 milioni».

      «Siamo consapevoli che questo non può bastare e che bisogna lavorare per stabilizzare lo scenario, rafforzare lo stato di diritto e la tutela della dignità delle persone sul suolo del nascente Stato libico. Ecco perché stiamo via via intensificando la cooperazione con organizzazioni come l’Unhcr e l’Oim, che sono presenti a Tripoli. In attesa che l’Europa si faccia carico in modo solidale del fenomeno migrazioni - ha concluso Toninelli - il governo italiano e questo ministero lavorano in modo fattivo per debellare i naufragi di migranti in mezzo al Mediterraneo».

      Alla Libia saranno date «a titolo gratuito» 10 motovedette «Classe 500» della Guardia costiera e due unità costiere «Classe Corrubia» della Guardia di Finanza. Assieme alle navi, l’Italia fornirà un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale che possa rafforzare la Marina e la Guardia costiera libiche.

      Le «Classe 500» sono delle piccole vedette costiere che in Italia sono state usate da Carabinieri e Guardia Costiera, e saranno utili di sicuro soprattutto per il pattugliamento lungo le coste libiche. Hanno una autonomia di 200 miglia e una velocità massima di 35 nodi, vengono utilizzate in un raggio di azione di una ventina di miglia dalla costa e hanno un equipaggio composto da tre persone. Le «Corrubia» sono invece piccoli pattugliatori di 27 metri che possono raggiungere i 43 nodi e hanno un’autonomia di 800 miglia. Con un equipaggio di 14 persone, queste navi possono operare anche a parecchie miglia dalle coste.

      Assieme alle navi arriverà un programma di formazione dei marinai libici. Addestramento che si svolgerà sia in Italia sia in Libia e partirà entro una decina di giorni. Le vedette invece dovrebbero essere trasferite tutte nel porto militare di Augusta, da dove poi saranno trasportate con una nave della Marina militare fino a Tripoli.

      A Tripoli si è tenuta una riunione del Comitato tecnico italo-libico che riunisce Guardia costiera, marina, polizia marittima, polizia di frontiera libica con i corrispondenti enti italiani. In discussione oltre ai provvedimenti per la Guardia costiera anche la situazione nel Sud della Libia, dove la polizia di frontiera non ha la possibilità di controllare uno spazio così immenso come le migliaia di chilometri che segnarono i confini con Algeria, Niger e Ciad.

      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/la_promessa_del_governo_italiano_alla_libia_in_arrivo_dodici_motovedette-

    • Un decreto legge per la Guardia costiera della Libia che non esiste. La pianificazione della strage.

      Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri il Governo ha adottato un decreto legge che prevede “la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della Difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’Interno libici”.

      Analizzando il contenuto del decreto si nota subito che le unità fornite sono molto piccole (in prevalenza CP classe 500) e sono più indicate per intercettare i barconi carichi di migranti, e magari bloccarli, sotto minaccia delle armi, piuttosto che procedere a operazioni di salvataggio che garantiscano la riconduzione dei naufraghi, perchè di questo si tratta, verso un porto di sbarco sicuro, porto che la Libia oggi non può offrire. Come hanno rilevato le Nazioni Unite nei loro più revcenti rapporti sulla Libia ed i giudici di Ragusa e Palermo, nelle loro sentenze, nelle quali si esclude che la Libia offrisse porti sicuri di sbarco e si ritiene legittimo e conforme alle Convenzioni internazionali il comportamento delle ONG.

      Il provvedimento del governo italiano, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, non fa alcuna menzione alla situazione provvisoria, e assai precaria anche dal punto della legittimità, del governo di Tripoli sostenuto dalle Nazioni Unite, ma privo di continuità politica con la Libia di Gehddafi, che pure si cita nel provvedimento. Nessun riferimento al rispetto delle Convenzioni internazionali. La Libia non ha mai sottosctitto, peraltro, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

      l richiamo ai precedenti accordi stipulati dall’Italia con la Libia nel 2008 non costituisce alcuna legittima base del decreto, considerando che il governo italiano, che nel maggio del 2009 aveva messo in esecuzione quegli accordi, con i respingimenti collettivi illegali esegiti dalla Guardia di Finanza verso Tripoli, è stato condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( Sentenza 23 febbraio 2012- Caso Hirsi),

      Dopo l’allontanamento dell’Aquarius e il calvario inflitto alla Lifeline, con il sequestro della nave di Sea Watch a Malta e le indagini penali avviate a carico del comandante della Lifeline, sembra avere successo la strategia di Salvini per la eliminazione totale delle ONG dal Mediteraneo centrale. Una campagna avviata lo scorso anno da Frontex e da Minniti, sorretta da blogger che hanno diffuso una valanga di notizie false ma tanto condivise da valere più della verità, poi sfociata in indagini della magistratura che, prima ancora delle sentenze, hanno prodotto la condanna mediatica del soccorso umanitario in acque internazionali.

      Sono invece Minniti prima e Salvini poi che hanno fatto accordi con le milizie che coprono i trafficanti, e poi insinuano che le Ong siano colluse con gli scafisti. Quando il rovesciamento della realtà raggiunge questa dimensione, e su questo si aggrega il consenso, si può dire che lo stato di diritto e’ sconfitto dallo strapotere dell’esecutivo. Dunque responsabilità sempre più gravi incombono sulla magistratura. Non solo in Italia.

      Diverse iniziative giudiziarie, da ultimo a Malta, hanno portato al sequestro o all’allontanamento delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che costituivano l’ultima possibilità di salvezza sulla rotta del Mediteraneo centrale, dopo il ritiro, o la scomparsa dai radar, delle navi militari di Frontex e di Eunavfor Med (Operazione Sophia), che in passato avevano soccorso decine di migliaia di persone. I recenti piani dell’Unione Europea di creare in Libia e nei paesi del Sahel centri di contenimento (piattaforme di sbarco) dei migranti, per impedire loro di raggiungere le coste del Mediterraneo, appaiono impraticabili sul piano politico e militare, oltre che umanamente inaccettabili, anche se si dovesse ottenere l’avallo dellOIM e dell’UNHCR. Sono piani che non elimineranno mai l’esigenza assoluta di operazioni di soccorso umanitario nel mar libico.

      Le stragi di questi ultimi giorni dimostrano che la Guardia costiera libica non ha i mezzi e gli assetti organizzativi per salvaguardare effettivamente la vita umana in mare. I mezzi trasferiti a titolo gratuito dall’Italia al governo di Tripoli, per le loro ridotte dimensioni, non garantiscono alcun effettivo incremento delle capacità di soccorso della Guardia costiera che si definisce “libica”, ma che in realtà corrisponde solo alle milizie che controllano la Tripolitania. Milizie sulle quali pesano gravi sospetti di collusione con i trafficanti di esseri umani. Le unità più grosse, (nel massimo di due !) cedute ai libici, ed attualmente in uso alla Guardia di finanza, non sono lunghe più di 25 metri, e possono soccorerre al massimo 100 persone, in condizioni di mare calmo.

      Malgrado la pomposa titolazione del decreto legge, la capacità di ricerca e salvataggio della Guardia costiera di Tripoli resterà molto al di sotto degli standard internazionali imposti dalle Convenzioni e dal Regolamento IMO. Non basterà certo la istituzione di una Zona Sar “libica”, inserita persino nei dati dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare), in assenza di una effettiva capacità di coordinamento e di intervento della sedicente Guardia costiera “libica” che in realtà controlla soltanto alcuni porti della Tripolitania. Il riconoscimento di una zona SAR libica non comporta poi la qualifica automatica, come place of safety, e dunque legittimi porti di sbarco, dei porti di Tripoli, Zawia, Khoms, o di Sabratha o ancora di Zuwara.

      Chi ha coordinato davvero le ultime operazioni di soccorso, a partire dal 28 giugno, quando veniva resta nota la istituzione di una zona SAR libica ? Da quel giorno ad oggi sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo centrale centinaia di persone, quasi un naufragio al giorno, per quanto tempo continuerà così?

      Malgrado la istituzione di una zona SAR di loro competenza, I libici continuano a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

      Il decreto legge proposto dal governo italiano, al pari della chiusura informale dei porti e del blocco immotivato di tre battelli umanitarie a Malta, crea le condizioni oggettive perchè le stragi, al largo delle coste libiche, si ripetano con frequenza sempre maggiore. Non saranno certo i mezzi che l’Italia si appresta a trasferire alla Guardia costiera di Tripoli che potranno ridurre il numero delle vittime. Gli appelli dell’Alto Commissariato per i rifugiati, dopo le ultime stragi nel mar libico, non ricevono ancora risposta.

      Ancora oggi, dopo interventi della Guardia costiera libica, ormai padrona assoluta della vastissima zona SAR che si è voluta attribuire alle motovedette di Tripoli e Zawia, si contano morti e dispersi. E tante altre persone, bloccate in alto mare, vengono ricondotte in centri di detenzione nei quali si soffrono condizioni disumane e degradanti. Queste vite negate, quei corpi martoriati, che vediamo anche noi, quando riescono a fuggire ancora una volta dall’inferno libico, saranno davanti alla coscienza di quei parlamentari che nelle prossime settimane dovranno approvare il decreto legge proposto ieri dal governo Salvini-Di Maio. La mobilitazione nel paese, in difesa della vita e dei diritti umani, contro le politiche dell’odio e della rimozione, sarà sempre più forte. Siamo in tanti, colpevoli di solidarietà, che ci vengano a prendere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/03/un-decreto-legge-per-la-guardia-costiera-della-libia-che-non-esiste-la-pianif

    • Guardie e ladri: i trafficanti colpiti dalle sanzioni Onu e l’effetto italiano sulle rivalità in Libia

      In Libia sono quattro, appartengono a schieramenti mutevoli e aspettano che passi la tempesta delle sanzioni Onu, mentre le iniezioni di denaro dell’accordo italiano per fermare i migranti continuano a modificare alleanze ed equilibri sul campo. Nancy Porsia, che per prima ha reso note queste figure, ci racconta com’è la situazione oggi, molto più complessa di come la vorrebbe descrivere il governo italiano.

      Uno risulta sospeso dal servizio e l’altro risulta latitante, e insieme aspettano che i riflettori si spengano su di loro in un compound al centro della città di Zawiya, sulla costa occidentale della Libia.

      Il primo è il capo della Guardia Costiera di Zawiya, Abdul Rahman Milad, noto con il nom de guerre “Al Bija”, mentre il suo compagno di sventura è il noto trafficante di esseri umani della città di Sabrata Ahmed Dabbashi, meglio conosciuto come “Al Ammu”.

      Lo scorso mese, i due uomini che per circa tre anni hanno giocato a “guardie e ladri” davanti alle coste libiche sono finiti nella lista nera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite insieme ad altri due cittadini libici: il capo della Brigata Martiri Al Nasser di Zawiya, Mohamed Khushlaf, e il trafficante Mus’ab Abu Qarin, di Sabrata, meglio noto come Dottor Musab per i tanti anni di esperienza nel traffico. Oltre ai quattro libici, sono stati colpiti dalle sanzioni Onu anche due cittadini eritrei, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak, perché accusati di essere leader di una rete attiva nella tratta di migranti, in particolare di decine di migliaia di persone provenienti dal Corno d’Africa.

      Per i sei uomini sono scattati il congelamento degli assets bancari e il divieto di viaggio. È la prima volta che le Nazioni Unite emettono sanzioni individuali contro i trafficanti di essere umani in Libia, una decisione presa a fronte delle molteplici testimonianze contro i sei uomini, tant’è che già nel report annuale delle Nazioni Unite nel 2017 i quattro libici venivano citati come i principali attori del traffico di esseri umani in Libia.

      Gli uomini sotto sanzione: rivalità e alleanze

      Musab Abu Qarin è capo della Brigata Al Wadi; mentre Al Ammu è a capo della Brigata Anas Dabbashi. Sono entrambi miliziani che sulla pelle dei migranti hanno costruito il proprio impero.

      Concorrenti in affari, nel campo politico-militare i due sono nemici giurati. Musab è schierato con la frangia reazionaria della Libia rappresentata dal Generale Khalifa Haftar, da sempre sostenuto da Egitto e Emirati Arabi Uniti con l’avallo della Francia. Sebbene non sia ufficiale, il Dottor Musab è la longa manus della brigata Al Wadi, al servizio dei salafiti madkhali di cui fa parte anche Haftar e della coalizione formata sotto l’egida dell’operazione “Al Karama”, dignità in arabo, lanciata nel 2014 dal generale contro la lobby islamista dei Fratelli Musulmani. Dabbashi invece fa parte della fazione opposta, “Fajr Libya”, che in arabo significa Alba della Libia, sostenuta principalmente da Qatar e Turchia, e in maniera più discreta dall’Italia. Oltre ad Al Ammu, fanno parte della stessa lobby politico-militare anche il capo dei Guardiacoste di Zawiya Milad e Mohamed Khushlaf.

      Un dettaglio non da poco se si vuole comprendere il gioco politico che si sta consumando in Libia sulla pelle della popolazione locale e dei migranti che da lì transitano in rotta verso l’Europa. Infatti ai tempi del sodalizio tra Unione Europea e istituzioni libiche garantito dal Fondo Fiduciario europeo per l’Africa tra il 2016 e l’inizio del 2017, il governo di Serraj rappresentava ancora una sorta di corpo estraneo al paese senza identità né appartenenza. E attraverso la formula della delega a scatole cinesi, i soldi inviati da Bruxelles o da Roma verso Tripoli venivano poi equamente redistribuiti tra i vari potentati locali.
      Porticciolo di Sabrata - uno dei punti di partenza dei barconi di migranti verso l’Europa (foto: Nancy Porsia)

      A maggio del 2017, il capo dei guardiacoste di Zawiya, Milad, veniva ricevuto in Italia come membro della delegazione libica su invito dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Oim) in collaborazione con Operazione Eunavfor Med – Sophia. Come ci raccontarono loro stessi all’epoca dei fatti, alcuni uomini di Zawiya, richiedenti asilo in Italia che si trovavano nei centri di accoglienza visitati dal comandante Milad nel corso del tour siciliano, rimasero increduli davanti all’arrivo di colui che conoscevano come “Al Bija” in quello che pensavano fosse un luogo sicuro. Questo mentre sulla sponda sud del Mediterraneo Dabbashi e il Dottor Musab godevano entrambi di ampi spazi di manovra per i loro affari. Infatti nel braccio di costa di 70 chilometri tra Sabrata e Al Mutrud, un villaggio a ovest di Zawiya, si concentrava la quasi totalità delle partenze delle carrette del mare dalla Libia verso l’Europa.

      Ma nell’estate del 2017, l’allora Ministro degli Interni italiano Marco Minniti, con la firma del Memorandum of Understanding, giocoforza ha dato prevalentemente spazio ad alcuni gruppi della coalizione Fajr Libya, attraverso il sostegno indiretto alla Brigata 48 a guida Dabbashi, che proprio in quel periodo si era lanciata sul fronte del contrasto alla migrazione irregolare, e alla Guardia Costiera di Zawiya.
      La guerra di Sabrata

      Mentre Minniti si compiaceva dell’improvviso calo degli arrivi dalla Libia sulla sponda italiana, a ovest di Tripoli la controparte rimasta fuori dai giochi internazionali dichiarava guerra al nemico, e a settembre dello scorso anno si scatenava una guerra senza precedenti tra fazioni opposte. La sala operativa di Zawiya, testa d’ariete della brigata Al Wadi e dei salafiti madkhali nella regione ovest, ha sferrato un attacco massiccio contro Dabbashi. Durante quella che passerà alla storia come la “guerra di Sabrata”, migliaia di migranti venivano messi in mare dai Dabbashi così come dal Dottor Musab, mentre altrettante persone venivano scacciate dalla città via terra. In due giorni la città vicina di Zuwara ne ha accolti tremila.

      In quel frangente Dabbashi trovava riparo da Al Bija, suo fratello in armi dai tempi della Rivoluzione nel 2011. La conferma di questo sodalizio politico-militare ha portato, per un effetto domino, a un altro cambio della guardia importante: i salafiti madkhali a Tripoli, le Forze Speciali Rada, sconfinavano da quello che era il loro campo di competenza, la lotta al terrorismo, e si univano alle forze impegnate sul fronte anti-traffico.
      Le trasformazioni di Ben Khalifa

      A settembre dello scorso anno, le Forze Rada hanno annunciato in pompa magna l’arresto del trafficante Fahmi Ben Khalifa, dichiarando di aver preso il capo della rete del traffico dei migranti e incassando il plauso della comunità internazionale. Tuttavia, Fahmi Ben Khalifa era un noto passatore di migranti all’epoca del regime di Gheddafi. Grazie ai suoi ottimi rapporti con alcuni uomini d’affari a Malta, riusciva a far arrivare in Europa centinaia di migranti. Sempre in quel periodo, Ben Khalifa trafficava droga a livello internazionale sfruttando la posizione strategica della sua città, Zuwara, al confine con la Tunisia e a un tiro di schioppo da Malta e dall’Italia via mare.

      Ma all’indomani della caduta del regime, Ben Khalifa ha capitalizzato i suoi contatti a Malta e reinvestito sul traffico del diesel, dove la linea di demarcazione tra legalità e illegalità è meno definita. Già nel 2014 Ben Khalifa risultava essere il principale contrabbandiere di diesel in Libia. Tuttavia, secondo fonti di sicurezza della città di Zuwara, Ben Khalifa non aveva più nulla a che fare con il traffico di droga e di esseri umani. Eppure le Forze Rada lo hanno dato in pasto all’opinione pubblica europea come il principale attore del business sui migranti in Libia, proprio mentre l’Europa negoziava il consenso politico sul fronte anti-immigrazione, incurante degli introiti che la mafia incassa attraverso il traffico di diesel.

      Tra l’altro, anche nel campo del contrabbando degli idrocarburi, l’attore principale è Mohamed Khushlaf, il quale con la sua brigata Al Nasser controlla la raffineria di Zawiya, unica fonte di tutto il diesel trafficato dalla Libia. Non c’è litro di diesel che esca dalla principale raffineria in funzione nel paese senza il suo consenso. Ma all’epoca dell’arresto e delle foto segnaletiche di Ben Khalifa fatte circolare dalle Forze Rada sul web, i madkhali di Tripoli tentavano ancora di tenere in piedi la strategia doppio-giochista tra le forze Fajr Libya e Al Karama, e quindi Ben Khalifa era un ottimo alibi per coprire il più potente Mohamed Khushlaf.

      Con lo schieramento della comunità internazionale al fianco di Haftar a Parigi lo scorso maggio, la Russia che da sempre sostiene il Generale, il quale ha già il controllo dell’intero est del paese, ha ritirato il veto posto alla proposta di sanzioni dall’Olanda al Consiglio delle Nazioni Unite. Infatti le sanzioni Onu non hanno spostato di un millimetro l’attuale posizione delle forze madkhali sul campo, e il Dottor Musab diventa la sola vittima sacrificale.
      Cosa dice Milad delle sanzioni

      Sul fronte opposto, all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni, il generale Milad è stato formalmente sospeso dal suo incarico per quattro mesi, in attesa di prove alle accuse mosse dal Consiglio di Sicurezza. Secondo quanto enunciato dall’Onu, “Milad e altri membri della guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni di migranti, attraverso l’utilizzo di armi da fuoco. Al-Milad collabora con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf (anch’esso oggetto delle stesse sanzioni) che, secondo alcune fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite relative al traffico di migranti. Diversi testimoni di alcune indagini hanno dichiarato di essere stati prelevati in mare da uomini armati e trasbordati sulla nave della Guardia costiera ‘Tallil’, utilizzata dal comandante Milad, e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a percosse”.

      Qualche ora dopo l’annuncio delle sanzioni Onu, sul suo profilo Facebook Milad scriveva: “Ho lavorato tanto contro il contrabbando di diesel permesso dai politici libici corrotti, e per il contrasto nelle nostre acque alle Ong, che altro non rappresentano se non i servizi segreti stranieri e operano con il beneplacito del governo Al Serraj a Tripoli così come quello di Al Thinni nell’est. Abbiamo rinunciato a tangenti cospicue da funzionari di alto rango che chiedevano di lasciare lavorare le Ong. E per quanto le sanzioni siano un duro colpo, noi passeremo alla storia come quelli leali al paese. E solo Dio sa quanto abbiamo sofferto per questo paese”.

      Prendendo le distanze dal Governo Serraj, anche il comando centrale dei Guardiacoste a Tripoli difende a spada tratta il proprio uomo, tanto che l’Ammiraglio Abdallah Toumia ha criticato fortemente la decisione del Consiglio di Sicurezza Onu, e ha commentato in tv: “Questo non è comprensibile dopo gli sforzi profusi dal nostro comandante sequestrando sei petroliere e salvando ben 17 mila migranti davanti alle coste libiche”.

      Tra quelli sanzionati dall’Onu, dunque, solo Dabbashi risulta fuori gioco. E secondo fonti della sicurezza a ovest di Tripoli, oggi l’ex re del traffico dei migranti di Sabrata è sotto l’ala protettiva del generale Milad.

      http://openmigration.org/analisi/guardie-e-ladri-i-trafficanti-colpiti-dalle-sanzioni-onu-e-leffetto-i

    • Immigration : Rome et Tripoli veulent réactiver leur #traité_d’amitié

      L’Italie et la Libye ont convenu samedi de réactiver leur traité d’amitié signé en 2008, qui permet le refoulement de migrants en territoire libyen, à l’occasion de la première visite à Tripoli du chef de la diplomatie italienne Enzo Moavero Milanesi.

      Le traité signé par les ex-dirigeants des deux pays, Mouammar Kadhafi, renversé par une révolte populaire et tué en 2011, et Silvio Berlusconi, avait marqué la fin de 40 ans de relations tumultueuses entre la Libye et son ancien colonisateur. Mais il avait été suspendu en février 2011 après le début de la révolte libyenne.

      Il prévoit des investissements italiens en Libye de cinq milliards de dollars en compensation de la période coloniale. En contrepartie, la Libye s’engage à limiter l’immigration clandestine depuis ses côtes. Le traité permettait notamment le refoulement en Libye des migrants partis de ce pays, une clause dénoncée par les défenseurs des droits de l’Homme.

      « Nous nous sommes mis d’accord sur la réactivation du traité d’amitié italo-libyen de 2008 », a déclaré le ministre libyen des Affaires étrangères Mohamad Siala lors d’une conférence de presse conjointe avec son homologue italien dans la capitale libyenne Tripoli.

      M. Milanesi a lui jugé ce traité « important et prometteur ».

      Les deux ministres n’ont pas précisé si le texte allait être amendé ou réactivé tel quel.

      Selon le ministre italien, avec ce pacte, « toutes les conditions sont réunies pour travailler main dans la main en vue d’appuyer le processus de stabilisation, la sécurité et l’unité de la Libye ».

      Il a ajouté que la Libye « partageait avec l’Union européenne la responsabilité et le devoir de faire face aux flux de migrants ». « La coopération entre la Libye, l’Italie et l’UE est essentielle pour résoudre la question de l’immigration et éviter des drames humains » en Méditerranée, qui se sont multipliés ces dernières semaines au large de la Libye.

      M. Milanesi a jugé « essentiel d’oeuvrer dans les pays d’origine » des migrants pour les dissuader de tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Italie, tout en soulignant l’importance d’aider la Libye à sécuriser ses frontières maritime et terrestre dans le Sud.

      Du temps de Kadhafi, des milliers de migrants traversaient les frontières sud longues de 5.000 km, notamment pour tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Europe.

      La situation a empiré après la chute du dictateur, les passeurs profitant du chaos en Libye pour envoyer chaque année des dizaines de milliers de migrants à destination de l’Italie.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/07/07/immigration-rome-et-tripoli-veulent-reactiver-leur-traite-d-amitie_166490

      #traité_d'amitié_bis

    • Migrants : l’Italie et la Libye exhument un accord vieux d’il y a dix ans

      L’Italie cherche à fermer ses frontières. Dans ce sens, le nouveau gouvernement vient de réactiver un traité d’amitié signé avec la Libye en 2008. A l’époque, le texte avait permis à Silvio Berlusconi et Mouammar Kadhafi de mettre fin à 40 ans de relations tumultueuses, mais le début de la révolte libyenne, en février 2011, avait enterré l’accord. Le nouveau chef de la diplomatie italienne l’a ressorti lors de sa première visite à Tripoli le week-end dernier, car il permet le refoulement des migrants partis de Libye.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180709-migrants-italie-libye-exhument-accord-vieux-il-y-dix-ans

    • Migranti, prezzi aumentati e rotte modificate: così in Libia i trafficanti sono tornati a lavoro

      Il “tappo” sta saltando - Da Zwara a Garabulli, i capibanda libici stanno riattivando i punti di partenza bloccati un anno fa, sfidando i mandati di arresto

      È passato circa un anno da quando alcuni trafficanti di esseri umani, insieme a pezzi della Guardia Costiera corrotta a ovest di Tripoli, accettarono di sbarrare il passaggio ai migranti. I trafficanti di esseri umani si trasformarono in guardie, e le guardie tornarono a fare le guardie. Quel tratto di costa per due anni era stato il principale trampolino di lancio per le persone che cercavano un passaggio verso l’Europa.

      All’epoca, Roma “mandò a dire” alle controparti libiche che se non si fossero allineati sarebbero state scovate e arrestate dalle autorità internazionali. Molti degli interlocutori libici decisero di adeguarsi alle nuove regole del gioco. E il meccanismo oramai oliato si ruppe portando alla cosiddetta ‘guerra di Sabrata’ tra i principali trafficanti della città, Ahmed Dabbashi e Mus’ab Abu Qarin.

      Nel frattempo le istituzioni libiche sono state affiancate e sospinte dall’Europa a mettere in cima alle proprie priorità il flusso migratorio irregolare, ovviamente in cambio di legittimità e denari. E dunque anche le meno operative unità di Guardia Costiera o altri gruppi armati sono tornati in prima linea. Lo scorso giugno il Consiglio di sicurezza Onu ha inserito Dabbashi e Abu Qarin nella propria lista nera insieme al capo della Guardia Costiera Abdul Rahaman Milad e il responsabile della raffineria della città di Zawiya, 30 chilometri a est di Sabrata.

      “Con la stretta delle forze di sicurezza sul traffico degli esseri umani, i prezzi del mercato sono aumentati molto. E i grandi pesci sono tornati a lavorare con le vecchi modalità”, ha detto al Fatto una fonte di Zawiya. E giovedì, dalle coste libiche, è partito il barcone in legno con a bordo 450 migranti.

      Anche le rotte su territorio libico cambiano assetto. A Ovest di Tripoli, Sabrata e Zawiya hanno ceduto il passo a Zuwara, la città che per vent’anni è stata il principale snodo per la traversata del Mediterraneo e che negli ultimi tre anni ha visto le forze locali stringere in una morsa i trafficanti locali. “Le autorità locali da sole non possono reggere ancora a lungo. E i trafficanti stanno tornando alle loro postazioni”, spiega al Fatto una fonte di Zuwara. Secondo la Guardia Costiera di Tripoli, il barcone sarebbe partito proprio da Zuwara. A est della Capitale si estende la costa da cui partono l’80% delle imbarcazioni cariche di migranti, secondo una fonte vicina alla intelligence libica. Garabulli, 50 chilometri a oriente di Tripoli, è il principale punto di imbarco insieme alla città di Al Khoms, 50 chilometri più a est.

      Già ai tempi di Gheddafi, a Garabulli erano diverse le famiglie che lavoravano nel business del trasporto dei migranti: le bianche spiagge rendono quel tratto di costa idoneo per le partenze delle carrette del mare. Le dune scoscese lungo la costa sono un reticolo di sentieri che portano alla battigia. “Quei sentieri sono stati costruiti con escavatori dagli stessi trafficanti”, spiegava tempo fa un membro della Guardia Costiera durante uno dei giri di perlustrazione.

      Garabulli torna oggi a essere un importante punto di imbarco. Non solo per via dello sbarramento a ovest di Tripoli, ma anche perché, pochi chilometri a sud, a Bani Walid, si trova il principale punto di transito per i migranti tra il deserto e la costa.

      Dalla nascita dello Stato Islamico a Sirte nel 2015, il punto di smistamento tra sud e nord si è spostato dalla città natale di Gheddafi, Sirte, a Bani Walid. A Garabulli, inoltre, da più di due anni non esiste una struttura, seppure minima, di forze di sicurezza.

      Nel 2016 pesanti scontri a fuoco tra le milizie locali e quelle della vicina città di Misurata, portarono al fuggi fuggi generale dei gruppi armati incaricati della sicurezza.

      A sud, nel Fezzan, la situazione resta completamente fuori controllo.

      Bande di ladroni senza appartenenza politica si moltiplicano nel vuoto di controllo da parte del governo del premier Serraj, di base a Tripoli, e del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est del Paese.

      Dal Niger i migranti continuano ad arrivare in migliaia, anche se battendo sentieri più pericolosi in seguito alle attività di controllo al confine con la Libia. Nel deserto la città-oasi di Saba, la principale nella regione del Fezzan, resta il punto di passaggio principale. Proprio alla periferia di Saba, una prigione nuova di zecca e mai utilizzata dalle autorità locali, da un paio di anni funge da magazzino per i principali trafficanti della zona.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ricatto-dei-ras-della-costa-nuovi-accordi-o-piu-migranti

    • L’Italia delega i respingimenti dei migranti in mare alla Libia. Violando i diritti umani

      Il protagonismo delle autorità libiche nelle operazioni di “soccorso” nel Mediterraneo consente al nostro Paese di non rispondere direttamente delle condotte sui migranti. Un escamotage per non finire di nuovo dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 aveva duramente condannato l’Italia per i fatti del 2009. Intervista ad Anton Giulio Lana, l’avvocato di quei migranti respinti che hanno vinto la causa a Strasburgo.

      La strategia dell’Italia di delegare i respingimenti dei migranti in mare alle autorità della Libia vìola i diritti umani. Ed è un sostanziale aggiramento della sentenza della Corte europea dei diritti umani che nel 2012 aveva condannato il nostro Paese per aver espulso collettivamente 200 naufraghi intercettati a 35 miglia a Sud di Lampedusa nel maggio 2009. L’avvocato Anton Giulio Lana ha rappresentato 24 di quei respinti a Tripoli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2012 ha pronunciato la storica sentenza sul caso “Hirsi Jamaa e altri c. Italia”. Il comportamento italiano fu ritenuto una grave violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti (Art. 3), nonché le espulsioni collettive (Protocollo n. 4) e la mancata possibilità di richiedere la protezione internazionale (Art. 13).
      A nove anni dalla stagione dei respingimenti e a sei dalla sentenza Cedu, il giudizio di Lana sull’approccio dell’Italia è amaro. Navi dei soccorritori bloccate al largo, annunci di porti chiusi, arresti minacciati. E ancora naufragi.

      Avvocato, anche oggi i diritti umani sono violati nel Mediterraneo?
      AGL Sulla scorta della giurisprudenza che è stata adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi, che come noto ha stigmatizzato la violazione da parte del nostro Paese del principio di non refoulement (principio di non respingimento), anche eventuali azioni che dovessero inibire l’accesso delle imbarcazioni che salvano persone in mare contrasterebbe con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E con una serie di disposizioni di carattere internazionale come la Convenzione Montego Bay del 1982 delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974 e alla Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR) che prevedono che gli sbarchi di persone salvate in mare debbano essere operati nel luogo sicuro più vicino. C’è quindi un contesto di diritto del mare e di diritto internazionale dei diritti umani che prescrive da un lato il divieto di respingimenti e dall’altro l’obbligo di salvare le persone che si trovano in difficoltà su queste “carrette del mare”. Indiscusso il ruolo meritorio che hanno svolto negli anni la Marina italiana e la Capitaneria di porto di Roma per il salvataggio di vite nel mar Mediterraneo, quello che oggi preoccupa sono le nuove iniziative promosse dal governo: chiusura dei porti alle ONG e, anche -almeno nelle intenzioni- alle navi militari straniere che fanno capo all’operazione Sophia.

      Nelle ultime settimane sono stati operati dei respingimenti o comunque azioni che contrastano con le Convenzioni internazionali che ha menzionato?
      AGL Quello che è stato posto in essere, in particolare dal ministro dell’Interno, è una prassi innovativa di annunci via social media. Che è una modalità abbastanza anomala di esercitare il potere e il ruolo per un governo e in particolare per un ministro dell’Interno. Normalmente in un Paese democratico basato sullo Stato di diritto i ministri esercitano il loro ruolo attraverso provvedimenti di varia natura. I quali poi possono anche essere vagliati -in un sistema dove c’è una ripartizione dei poteri- da parte di un’autorità giudiziaria, nella specie da un giudice amministrativo, che potrà valutare validità, fondatezza e motivazioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento.

      Annunci a parte, in queste settimane è stata formalmente dichiarata una zona SAR libica e forniti degli estremi di un presunto centro di coordinamento a Tripoli, con il decisivo sostegno italiano e finanziamenti comunitari. È sufficiente questa condizione puramente formale per delegare le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni e di successivo trasporto verso le coste libiche per manlevare l’Italia rispetto a quelle situazioni critiche?
      AGL Come militante dei diritti umani, studioso della materia e avvocato posso porre delle domande. E solitamente le pongo a una giurisdizione interna o internazionale, come la Corte di Strasburgo. Quindi non ho risposte. Certo, mi domando se i finanziamenti che vengono dati attraverso modalità varie -anche mediante la fornitura di imbarcazioni alle autorità libiche, piuttosto che la formazione agli operatori libici o altre modalità di supporto- possano concretizzare una corresponsabilità italiana sul piano del diritto internazionale nelle azioni di intercettazione, limitazione e controllo che le forze dell’ordine libiche -se così possiamo definirle- pongono in essere. Io qualche perplessità sul punto ce l’ho.
      Bisognerebbe perciò sottoporre questa questione all’attenzione di un giudice internazionale. So di iniziative dinanzi alla Corte EDU che sono state adottate proprio per mettere in discussione già la politica adottata dal ministro Minniti, figuriamoci quella del ministro Salvini.

      Si può definire la strategia italiana -trasversale in termini di esecutivi- di stipulare di accordi con un Paese come la Libia per fermare i migranti, una sorta di aggiramento del pronunciamento della Cedu a cui lei ha in maniera decisiva contribuito? È cioè un modo per delegare i respingimenti ai libici quello adottato dall’Italia dopo la sentenza sul caso Hirsi?
      AGL Io credo di sì. Stiamo però parlando di una giurisdizione che ragiona sui fatti. Indubbiamente non ha molto senso con riferimento a questi problemi delicati, complicati e drammatici ragionare in linea teorica, bisognerebbe analizzare un singolo episodio, conoscerlo e valutarlo alla luce del diritto internazionale e del diritto del mare. In linea di principio, e quindi con tutti i limiti che ho detto, questa sorta di outsourcing che è stata ideata mi sembra che contrasti con il diritto internazionale dei diritti umani.

      Nel caso Hirsi ci fu un ricorso. Che tipo di iniziativa occorrerebbe per poter far prendere in esame il comportamento dell’Italia dalla Corte?
      AGL All’epoca del ricorso Hirsi, e siamo nel 2009, un rappresentante di un’organizzazione non governativa si recò in Libia, in questi centri, a raccogliere le procure di alcune delle persone respinte, 24, e sulla base di quelle procure fui in condizione di predisporre il ricorso alla Corte EDU. Quindi analogamente occorrerebbe che delle persone che hanno subito una violazione dei diritti fondamentali, ad esempio un’espulsione collettiva – come fu stigmatizzata nella sentenza del 2012 “Hirsi contro Italia”- presentino un ricorso alla Corte, del tutto analogo. Bisognerebbe insomma che si materializzi un’espulsione collettiva e che le vittime di questa espulsione conferiscano incarico per adire alla Corte.

      In queste settimane gli annunci e le chiusure hanno avuto conseguenze drammatiche sulle vite delle persone. Esistono strumenti immediati per ricorrere alla Corte e inibire questa o quella condotta di uno Stato?
      AGL Sì. L’articolo 39 del regolamento di procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo contempla proprio l’ipotesi di cui lei sta parlando, cioè la possibilità in via d’urgenza di richiedere una misura provvisoria, cautelare, per inibire una determinata condotta da parte di uno Stato. Si potrebbe perciò ottenere un ordine di non respingere in violazione della Cedu, ai sensi dell’articolo 3 laddove le persone una volta respinte fossero sottoposte al rischio concreto di subire torture o trattamenti inumani o degradanti.

      Poniamo che naufraghi alla deriva nelle acque SAR libiche chiamino il centro di coordinamento di Roma per i soccorsi e che questo deleghi “per competenza” a Tripoli le operazioni. L’iniziale contatto con l’MRCC italiano potrebbe essere già un elemento di corresponsabilità in grado di far scattare la giurisdizione della Corte europea?
      AGL Non lo so, dovrei rifletterci con più attenzione. La Corte europea si pronuncia nei confronti dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Si potrebbe immediatamente ravvisare una responsabilità italiana nel momento in cui su un’imbarcazione delle forze dell’ordine libiche, o della guardia costiera libica, fornite magari dall’Italia alla Libia, vi fossero dei militari o comunque degli esponenti delle forze dell’ordine italiane. Presenti lì per coadiuvare o contribuire alla formazione, o per qualsiasi motivo.
      Il semplice avviso al nostro centro di coordinamento è un’ipotesi su cui dovrei riflettere attentamente, bisognerebbe vedere il caso concreto. Ripeto, è difficile parlare di questioni così delicate, anche umanamente complesse e drammatiche, senza ragionare sulla singola fattispecie ma in teoria.

      A proposito della Libia. Per quel che lei ha avuto modo di seguire rispetto all’evoluzione del Paese dai fatti dei respingimenti del 2009 in avanti, è un Paese che ha superato le gravi problematiche fotografate dalla Corte europea di Strasburgo in termini di sicurezza e diritti umani?
      AGL Purtroppo non credo affatto. Tanto è vero che laddove nel caso concreto fossero operati dei respingimenti verso la Libia, si potrebbe a mio avviso sostenere che quelle persone non solo rischiano di essere rimandate nel Paese di origine, e dunque eventualmente sottoposte a violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), ma prima ancora la violazione consisterebbe nel respingimento verso la Libia in quanto tale, dove queste persone -come ahimè tristemente noto- vengono seviziate, le donne sono stuprate, torturate. La situazione in Libia, come noto dai rapporti delle Ong più autorevoli, è molto articolata e molto complessa e il governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite non ha certamente il controllo del territorio di tutto il Paese.

      Come valuta il fatto che dalla sentenza Hirsi in avanti gli esecutivi -riprendendo la strategia degli accordi bilaterali del 2007, 2008 e 2009- abbiano sostanzialmente individuato nella Libia e nelle presunte autorità del Paese un mezzo per non effettuare dei respingimenti direttamente ma per delegarli?
      AGL In modo molto critico. Penso che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, sottovalutato dall’Italia in particolare e dall’Europa in generale da vent’anni a questa parte. Non si tratta di un’emergenza, non è un fenomeno che può indurre una paura o una preoccupazione nei confronti di una popolazione di 500 milioni di abitanti per qualche centinaio di migliaia di persone che prova a migliorare le proprie condizioni di vita o a rifuggire da situazioni di guerra, di tortura o di violazioni di diritti umani. Per cui credo che questo problema doveva e ancora oggi deve essere affrontato in maniera radicalmente diversa. Con un impegno sistemico dell’Italia e dell’Europa intera.

      https://altreconomia.it/italia-libia-respingimenti-diritti-lana

    • Salvini: «Cambiare le norme e considerare quelli libici porti sicuri». Ma da Bruxelles arriva un secco No

      «Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro». Lo dice il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una conferenza stampa a Mosca indicando quale sarà l’obiettivo dell’Italia nell’incontro di dopodomani per ridiscutere la missione Sophia. «E’ un bipolarismo europeo che va superato» aggiunge.

      Per arginare il traffico di esseri umani, secondo Salvini, l’unica soluzione «è il blocco delle partenze, aiutando Tunisia, Marocco, Libia ed Egitto a controllare mari, porti e confini». Dobbiamo «soccorrere tutti ma anche riaccompagnarli tutti da dove sono partiti - aggiunge il ministro dell’Interno - E vanno creati canali per l’asilo politico dall’altra parte del Mediterraneo: non far partire più alcuna persona e non far sbarcare più alcuna persona in Italia, e dunque, in Europa, è l’obiettivo. L’Ue deve convincersi che questa è l’unica soluzione per risolvere la questione».

      Il titolare del Viminale è poi tornato a chiedere a Bruxelles «soldi veri» per interventi in Africa e ha ribadito che per le navi delle Ong i porti italiani resteranno chiusi. E quanto ai respingimenti, vietati dalle norme internazionali, Salvini ha sottolineato che «qualcosa che è vietato oggi può diventare normalità domani. Perché qui non parliamo di naufraghi ma di tratta di esseri umani, di un business organizzato dalle mafie dei due continenti».

      Secco no alla richiesta di Salvini da Bruxelles. «Nessuna operazione europea e nessuna imbarcazione europea» riporta i migranti salvati in mare in Libia, perchè «non consideriamo che sia un paese sicuro». Lo dice la portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, rispondendo ai giornalisti che chiedevano un commento della Commissione sulle parole del ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha detto che chiederà alla Ue di riconoscere i porti libici come sicuri.

      A stretto giro la controreplica di Salvini. «L’Unione Europea vuole continuare ad agevolare lo sporco lavoro degli scafisti? Non lo farà in mio nome, o si cambia o saremo costretti a muoverci da soli». Così il ministro dell’Interno su Twitter.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/16/salvini-cambiare-le-norme-e-considerare-quelli-libici-porti-sicuri-ma

    • Lo “scatolone di sabbia”: un anno di inchieste sulla Libia

      Nell’ultimo anno, nella convinzione che conoscere la complessità della Libia aiutasse a leggere più correttamente gli accordi siglati dall’Italia e il loro impatto sui migranti che attraversano il Mediterraneo, abbiamo pian piano costruito una mappa di indagini e storie. In questa estate di nuove e spesso pericolose semplificazioni, ve le proponiamo qui tutte insieme in ordine cronologico.

      http://openmigration.org/analisi/lo-scatolone-di-sabbia-un-anno-di-inchieste-sulla-libia

    • The first Italian vessel promised to the Libyan Coast Guard has just been delivered. Even later than forecast. Unlikely to make a difference for a fragmented, undertrained, understaffed, underequipped Libyan Coast Guard.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1054032047818317824

      «#658_Fezzan», 14 membri di equipaggio. In foto, il primo dei due pattugliatori ’classe Corrubia’ - ex GDF, previsto dal c.d. decreto motovedette - appena arrivato a Tripoli e consegnato dal governo italiano alle milizie libiche.


      https://twitter.com/scandura/status/1054021643440455680
      –-> et ce lien vers un site en arabe : https://almarsad.co/2018/10/21/%D8%A8%D8%A7%D9%84%D8%B5%D9%88%D8%B1-%D9%82%D9%88%D8%A7%D8%AA-%D8%A7%D9%84%

    • Tripoli-based Coast Guard: Italy has provided old boats and is not intended for rescue

      Spokesman of the Tripoli-based Libyan Coast Guard, Ayoub Qassem, said in media statements on Friday that Italy has provided old boats and is not intended for rescue.

      He also accused the international non-governmental organizations of seeking to reap huge profits through illegal flights to and from Libya.

      Qassem revealed that the number of migrant victims reaches 120 thousand annually, because of smugglers’ use for old boats crowded with immigrants. He also said that there are many who drowned in the sea and no one knows about them.

      Qassem demanded Europe to “pay billions annually to us” without which he says “the Coast Guard would not play its role properly against the waves of migration coming from Africa”. He added that Libya is not defending Europe, but defending its sovereignty.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/35784

    • L’Italia affida i migranti agli stessi che fa arrestare per contrabbando

      La Guardia costiera di #Zawiya è un’organizzazione criminale. Secondo le Nazioni Unite, fa parte di una milizia coinvolta in numerosi traffici di esseri umani. Secondo carte lette in questi giorni dall’AFP, l’Onu vuole proporre sanzioni contro sei trafficanti, fra i quali al Bija e Mohammed Koshlaf di cui leggerete in questo articolo. Intanto, secondo la Procura di Catania, la stessa Guardia costiera di Zawiya è coinvolta anche nel furto e contrabbando di petrolio, che costa alla Libia 750 milioni di dollari all’anno. Eppure per l’Italia è un’alleata nella lotta all’immigrazione irregolare.

      Zawiya, Libia, 28 giugno 2016. La petroliera Temeteron naviga a 11 miglia dalla costa. È una nave imponente: un tanker di 110 metri di lunghezza che può contenere fino a 4.600 tonnellate; uno di quei giganti, lunghi e piatti, che attraversano le autostrade del mare a basse velocità e per lunghissimi periodi.

      Nel 2016, la Temeteron viaggiava spesso da quelle parti: un andirivieni continuo dalle acque del Mediterraneo davanti alla Libia, fino al porto di Odessa, in Ucraina, o ai porti russi affacciati sul Mar Nero. Il 28 giugno 2016, però, appena prima che uscisse dal territorio nazionale libico, ossia le acque che si allungano fino a 12 miglia dalla costa, è stata intercettata dalla Guardia Costiera di Zawiya. Anzi, come la definiscono i due ricercatori Mark Micallef e Tuesday Reitano in questa ricerca, dalla “Guardia costiera della raffineria di Zawiya”. Il legame tra l’autorità costiera e il polo industriale della città è infatti indissolubile: quei guardacoste, dotati di due unità navali, sono gli stessi che tra gennaio e giugno 2017, secondo la ricerca di Reitano e Micallef, intercetteranno 5.707 migranti sui 10.989 fermati in tutto dalla Guardia costiera libica.

      Torniamo al 28 giugno 2016: la Guardia costiera di Zawiya scorta la Temeteron fino al porto di Tripoli, dove la lascia nelle mani della Marina militare libica. Temeteron si ormeggia: è in stato di fermo e con lei anche l’equipaggio. L’indomani, durante una conferenza stampa, il portavoce della Marina libica Ayoub Qasim sostiene che i suoi uomini abbiano trovato a bordo della petroliera 5.227 tonnellate di gasolio di contrabbando, rubato dalla raffineria di Zawiya. Il dato, riportato su diversi media, sembra scorretto, perché supera il tonnellaggio della nave. Non ci sono però altre versioni. Il fermo è stato certamente convalidato: l’equipaggio – cinque ucraini, tre russi e un greco – è rimasto nelle carceri libiche fino al 2 marzo 2017.

      Navi come la Temeteron, con gli stessi presunti carichi illeciti, passano spesso al largo di Zawiya. Eppure i controlli delle autorità locali sono sporadici. Il motivo è semplice: la Guardia costiera della città è parte di un’organizzazione criminale che contrabbanda gasolio. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, quella stessa Guardia costiera è coinvolta anche nel traffico di esseri umani. Migranti e gasolio, insieme al greggio, sono i pochi “beni di esportazione” della Libia: controllare questi mercati, di fatto, significa avere le mani sull’export del paese.
      La raffineria protetta dalla Guardia costiera

      La Azzawiya Oil Refinery Company è una raffineria di proprietà statale, aperta nel 1974. È la più grossa della Libia, con una capacità massima di 120 mila barili di greggio al giorno. La controlla la National Oil Company (Noc), l’azienda statale che gestisce gas e petrolio. È socia alla pari della nostra Eni nella Mellitah Oil & Gas, joint venture italo-libica che sorge sempre nella striscia di costa libica famosa come luogo di partenza degli sbarchi.

      La Noc è l’unica autorità del paese nordafricano che può approvare le esportazioni all’estero. Da maggio del 2014 a guidarla è Mustafa Sanalla, manager risoluto, consapevole di occupare il vertice dell’unica istituzione del paese capace, almeno in un immediato futuro, di dare un’economia alla Libia. Il 18 aprile, durante il convegno Oil & Fuel Theft a Ginevra, Sanalla ha affermato che la Libia ogni anno perde 750 milioni di dollari: il 30-40 per cento del gasolio e del greggio importati o prodotti dalla Libia “viene rubato”, ha detto. In altre parole, viene esportato senza un’autentica autorizzazione della Noc, e quindi senza che la compagnia statale libica possa incassare un centesimo di tasse da questa compravendita.

      Gli unici a guadagnare, così, sono i criminali che appartengono al cartello che ha portato il prodotto fuori dalla Libia. Gli acquirenti, che pagano il prodotto in media un terzo del prezzo di mercato, sono soprattutto italiani, spagnoli, tunisini, turchi e russi. A febbraio, la Procura generale di Tripoli ha spiccato 144 mandati d’arresto per traffico di gasolio nell’ovest della Libia. Non sono ancora noti né i nomi dei ricercati, né quanti di loro siano stati effettivamente portati in carcere.
      La mafia libica dei Koshlaf e di al-Bija

      La storia della Temeteron fa parte dell’inchiesta Dirty Oil, lavoro della procura di Catania che ha indagato sulla parte di prodotto che finisce nelle raffinerie italiane, portando in carcere sette persone. Il petrolio tracciato dall’operazione – 82 mila di tonnellate in un anno – rappresenta un trecentesimo del mercato italiano, secondo la stima dell’associazione dei petrolieri Assopetroli.

      Per camuffare i carichi di contrabbando, i gruppi di trafficanti – rivela l’inchiesta – falsificano i certificati d’origine del gasolio, oppure applicano finti timbri d’autorizzazione della Noc. In questo modo, i documenti sono validi per lo scarico in qualunque raffineria europea.

      Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese assassinata con un’autobomba il 16 ottobre, si era resa conto del fiorire di questo contrabbando sulla sua isola: Malta è il centro dove si svolge la maggior parte di queste contraffazioni. Il centro di giornalismo investigativo IRPI ha proseguito il suo lavoro, investigando sui protagonisti di questi traffici che partono da Malta. L’inchiesta di IRPI è stata pubblicata con il Daphne Project, progetto di giornalismo collettivo nato allo scopo di proseguire ciò che aveva scoperto o intuito la giornalista assassinata.

      Una pista investigativa porta da Malta alla Libia, dove sta una parte dell’organizzazione criminale arrestata a seguito dell’inchiesta Dirty Oil. In larga misura, i membri del gruppo libico sono ancora liberi. Almeno per tutto il 2016-17, la loro organizzazione è stata tra le più potenti della striscia costiera di 150 chilometri che dal confine con la Tunisia corre fino a Zuwara. Al suo vertice, Walid Koshlaf e Mohammed Koshlaf (detto al-Qasseb): secondo l’Onu, fratelli, e secondo un articolo determinante di Nancy Porsia su Trt, cugini. Uno dei loro luogotenenti è una vecchia conoscenza dell’Italia: la scorsa estate è stato accusato da Washington Post e Middle East Eye di essere a capo della Guardia costiera pagata e addestrata dal governo italiano per fermare i migranti. Il suo nome è Abdurahman al-Milad, detto al-Bija.

      Come si legge nel rapporto Onu del 1 giugno 2017, al-Bija con altri guardacoste “è direttamente coinvolto nell’affondamento delle navi dei migranti a colpi di armi da fuoco”. Dal rapporto Onu sappiamo anche che i Koshlaf dentro la raffineria di Zawiya “hanno aperto un rudimentale centro di detenzione dei migranti”(di cui in questo rapporto di Amnesty si vede una foto satellitare a pag.28). Una parte dei migranti “salvati” da al-Bija viene spesso condotta al centro di detenzione dei Koshlaf. Dal marzo 2016, la prigione risulta accreditata come centro sotto la direzione del Dipartimento per la lotta all’immigrazione irregolare (Dcim) del Governo di Tripoli. A dicembre 2016, la missione Onu in Libia (Unsmil), insieme all’Alto commissariato Onu per i diritti umani, ha pubblicato un rapporto in cui elencava le violazioni compiute in quelle strutture, compresa quella di Zawiya. L’Unicef riporta che per uscire da questi centri è necessario pagare una sorta di riscatto alle guardie carcerarie (cioè alle milizie).

      La tribù dei Koshlaf, gli Awlad Bu Hmeira, a cui appartiene anche al-Bija, controlla stabilmente la raffineria dal 2014. Quella che durante la guerra civile era una milizia tribale, oggi è una forza “regolare”, ufficializzata come corpo di guardia all’esterno del compound della raffineria di Zawiya: sono le Petroleum Facility Guard (Pfg), divisione di Zawiya, titolari di un contratto con la Noc. Prima del 2016 era la Brigata al-Nasr, una milizia pro-islamista che nel 2014 ha fatto parte della coalizione Libya Dawn, prima dell’avvento del governo sponsorizzato dalla Nazioni Unite guidato da Fayez Serraj. Secondo i rapporti Onu, la brigata è la prima responsabile dei furti di petrolio alle raffinerie, tanto che a gennaio 2017 Sanalla l’aveva formalmente deposta, arrivando a definire “terroristi” i suoi componenti. Nell’ultimo rapporto della Chatham House di Londra, però, si riporta che già il 16 ottobre 2017 i Koshlaf sono tornati a capo della milizia a difesa della raffineria di Zawiya.
      Perché la Temeteron è stata fermata?

      Tutte le operazioni che hanno portato a intercettare navi cariche di gasolio di contrabbando, secondo l’inchiesta Dirty Oil, sono avvenute nella zona tra Abu Kammash e Zuwara, vicino al confine libico-tunisino, zona di competenza della Guardia costiera di Zawiya.

      Eppure i suoi guardacoste non sono sempre efficienti e zelanti. La Temeteron, che ha un curriculum di contrabbando alle spalle (sigarette nel 2004 e poi gasolio nel 2015, per il quale venne fermata in Grecia), prima di quella data non era mai stata fermata dai libici. Secondo gli inquirenti, però, si era già dedicata al traffico di gasolio. Allora cos’è successo di diverso, il 28 giugno 2016?

      La risposta ce l’ha Fahmi Ben Khalifa, l’uomo che per conto dei Koshlaf gestiva le partite di gasolio di contrabbando dirette prima a Malta e poi in Italia. Un altro “affiliato” alla loro associazione a delinquere. Ben Khalifa aveva anche una società di trading e una nave, Tiuboda, battezzata con il nome di una città berbera ormai scomparsa sott’acqua.

      Ben Khalifa, alias il Malem, il capo, faceva affari insieme a due maltesi, Darren e Gordon Debono (che non sono parenti) e a un siciliano legato a Cosa Nostra, Nicola Orazio Romeo. Questi è in carcere dall’agosto del 2017, arrestato dalle Rada, le forze speciali del Ministero dell’Interno. I suoi partner sono in carcere in Italia da ottobre 2017, quando è scattata l’inchiesta Dirty Oil. Secondo un rapporto Onu ancora inedito che abbiamo consultato, gli interessi di Ben Khalifa ora sarebbero curati dai fratelli, proprietari di una stazione di benzina di contrabbando a Marsa Tiboda, vicino Abu Kammash.
      La scalata per la Temeteron

      Il cartello internazionale, a differenza della branca libica dell’organizzazione, non ha legami di clan. Non c’è nulla, se non il profitto, a tenere insieme contrabbandieri e fornitori. Tra i due Debono non correva nemmeno buon sangue: Darren era il più legato a Ben Khalifa – il fornitore libico – e a Romeo – l’uomo che gli mette a disposizione gli acquirenti in Italia. Ma Gordon Debono disponeva, grazie ai suoi contatti, di importanti compagnie di trasporto marittimo che vanno dalla Spagna all’Ucraina. La sua esperienza da broker era la più longeva.

      Nel momento in cui il rapporto fra Darren e Gordon si logora, Darren e Ben Khalifa provano a impossessarsi della Temeteron, che è una nave di dimensioni paragonabili a quelle a disposizione di Gordon. Vogliono trovare un modo per fare a meno di lui. La scalata per la Temeteron, però, fallisce, alla fine Gordon riesce a soffiare loro l’affare e comprarsi la nave. Intercettati dalla Guardia di Finanza di Catania durante una telefonata, due acquirenti italiani vicini a Darren hanno raccontato che è stato il libico ad aver segnalato alle autorità libiche il carico illecito a bordo della Temeteron e – a pochi giorni distanza – della San Gwann, altra petroliera riconducibile a Gordon Debono. Questa ipotesi, come si desume da vari dettagli delle carte dell’inchiesta Dirty Oil, è accreditata anche dagli investigatori.

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia. Se lo scopo della lotta ai trafficanti ha anche l’obiettivo di stabilizzare la Libia, come detto in più occasioni pubbliche dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, allora la strategia è da rivedere. L’Italia ha legittimato l’esistenza di questa Guardia costiera, lasciandole, in sostanza, la possibilità di arricchirsi, oltre che con i migranti, anche con il traffico di gasolio. I nostri inquirenti si trovano così nella situazione di dover arrestare componenti di quel cartello con cui il Viminale ha in realtà siglato un accordo di collaborazione.

      https://openmigration.org/analisi/litalia-affida-i-migranti-agli-stessi-che-fa-arrestare-per-contrabban
      #milice #Temeteron #Azzawiya_Oil_Refinery_Company #raffinerie #National_Oil_Company (#Noc) #Eni #Mellitah_Oil_&_Gas #Mustafa_Sanalla #Dirty_Oil #contrebande #pétrole #Walid_Koshlaf #Mohammed_Koshlaf #al-Qasseb #Abdurahman_al-Milad #al-Bija #Awlad_Bu_Hmeira #Petroleum_Facility_Guard #Libya_Dawn #Fayez_Serraj #Abu_Kammash #Zuwara #Tiuboda #Malem #Darren_Debono #Gordon_Debono #Cosa_Nostra #mafia #Nicola_Orazio_Romeo #Marsa_Tiboda

      En bref:

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia.

      #trafic_de_pétrole #trafic_d'êtres_humains

    • Départ de migrants vers l’Europe : l’Italie aurait négocié avec un trafiquant d’êtres humains libyen

      #Abd_al-Rahman_Milad, surnommé #Bija, est un militaire libyen accusé par l’ONU d’être l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains. L’homme est également sous le coup d’une enquête de la Cour pénale internationale. Pourtant, selon le média catholique italien Avvenire, Bija a participé à une réunion en Sicile au mois de mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens à propos des traversées des migrants vers l’Europe.

      C’est une information qui embarrasse l’Italie. Dans une enquête publiée vendredi 4 octobre, le média catholique italien Avvenire assure que l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains en Libye, également commandant des garde-côte libyens, a participé à une réunion organisée en Sicile en mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens.

      Le but de cette réunion était de discuter du contrôle des flux de migrants depuis les côtes libyennes.

      Enquête de la CPI

      Abd al-Rahman Milad, surnommé Bija, est notamment accusé par l’ONU d’être responsable d’une fusillade en plein mer contre des navires humanitaires mais également contre les bateaux de pêcheurs qui pourraient transporter des migrants. Il serait aussi à la tête d’une mafia insérée dans la classe politique et économique installée dans la région de Zaouia, dans le nord-ouest de la Libye.

      Depuis l’été dernier, Bija fait l’objet de sanctions de la part du Conseil de sécurité des Nations unies et ne peut plus sortir de Libye. La #Cour_pénale_internationale (#CPI) enquête également sur ses activités.

      Selon Avvenire qui publie des photos de la réunion, Bija a obtenu un laissez-passer pour entrer en Italie et assister aux discussions. Le trafiquant s’est présenté comme « un commandant des garde-côtes libyens ». Il aurait alors demandé aux Italiens des fonds pour gérer l’accueil des migrants en Libye.

      Lors d’une visite au centre d’accueil de Mineo, en Sicile, à l’invitation des autorités italiennes, Bija a été reconnu par un migrant libyen. « Mafia Libya, mafia Libya » s’est exclamé l’homme en voyant le trafiquant.

      En février 2017, le Times a diffusé une vidéo dans laquelle on voit un homme en tenue de camouflage frapper violemment un groupe de migrants sur une embarcation de fortune. Le milicien apparaît avec un handicap à la main droite, tout comme Bija qui a perdu des doigts lors des combats anti-Kadhafi de 2011.

      « C’est un homme violent et armé »

      En septembre, une enquête en Sicile a permis l’arrestation de trois trafiquants présumés qui s’étaient cachés parmi les migrants dans un hotspot de l’île. Ils sont accusés de torture, d’enlèvement et de traite d’êtres humains dans le centre de détention de Zaouia, contrôlé par ce même Bija. Plusieurs migrants interrogés ont alors déclaré aux policiers que cet homme "était chargé du transfert des migrants vers la plage. « C’est un homme violent et armé, nous le craignions tous », a insisté l’un d’entre eux.

      En février 2017, le ministre italien de l’Intérieur, Marco Minniti, a signé un accord avec le chef du gouvernement libyen d’union nationale, Fayez al-Sarraj, afin de déléguer la responsabilité des secours en mer aux autorités libyennes. Un accord controversé, les ONG assurant que la Libye n’était pas un pays sûr.

      La polémique vise aussi l’Union européenne, critiquée pour avoir financé la formation des garde-côtes libyens et leur avoir fourni des navires. Un de ces bateaux a notamment été confié aux troupes de Bija pour intercepter les migrants en mer et les empêcher d’atteindre l’Europe, selon un document de la CPI.

      Bija aurait donc en fait une double casquette selon Avvenire : celui de garde-côte et de passeur. D’un côté, il intercepte des migrants en mer pour les ramener en Libye et de l’autre, il organise leur traversée vers l’Europe.

      Le journal italien précise qu’un mois après la visite de Bija en Sicile, les départs de migrants depuis les côtes libyennes ont diminué de 50%.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/20076/depart-de-migrants-vers-l-europe-l-italie-aurait-negocie-avec-un-trafi
      #gardes-côtes_libyens

      –--------

      Bija apparaît sur seenthis déjà en 2017, dans ce même fil de discussion : https://seenthis.net/messages/600874#message625178
      Et ici : https://seenthis.net/messages/576747

    • Human trafficker was at meeting in Italy to discuss Libya migration

      #Abd_al-Rahman_Milad attended 2017 talks between intelligence officials and Libyan coastguard.

      One of the world’s most notorious human traffickers attended a meeting in Sicily with Italian intelligence officials to discuss controls on migrant flows from Libya.

      Abd al-Rahman Milad, known as #Bija, took part in a meeting with Italian officials and a delegation from the Libyan coastguard at Cara di Mineo, in Catania, one of the biggest migrant reception centres in Europe, on 11 May 2017.

      Bija’s presence was documented by the Italian newspaper Avvenire, which on Friday published an extensive investigation into the meeting.

      A UN security report published in June 2017 described Bija as a bloodthirsty human trafficker responsible for shootings at sea and suspected of drowning dozens of people. He is considered to be the leader of a criminal organisation operating in the Zawyah area in north-west Libya, about 28 miles west of Tripoli.

      https://i.guim.co.uk/img/media/6820513c9e08340e261337ba4c483ed098cf1be0/0_0_1000_1250/master/1000.jpg?width=380&quality=85&auto=format&fit=max&s=87be32c7882ff9ce055395

      In February 2017, the then Italian interior minister, Marco Minniti, signed a memorandum with the leader of Libya’s UN-recognised government, Fayez al-Sarraj, introducing a new level of cooperation between the Libyan coastguard and the Italians, including the provision of four patrol vessels.

      The controversial deal has empowered the Libyan coastguard to intercept migrant dinghies at sea and bring them back to Libya, where aid agencies say the migrants and refugees suffer torture and abuse. The deal, which entailed Italy providing funds and equipment, was made by Minniti, a former communist with deep connections to Italian intelligence and the levers of the Italian state, in an attempt to stem the flow of migrants to its shores.

      The agreement was recently reinforced by Italy’s interior minister, Luciana Lamorgese, at a meeting in Malta with his counterparts from France, Germany and Malta.

      According to Avvenire, which obtained the photos from a source present at the meeting, Bija obtained a pass to enter Italy and take part in the meeting, which was also attended by north African delegates from a handful of international humanitarian agencies. Bija was presented at the meeting as “a commander of the Libyan coastguard”.

      Bija had already been recognised by a number of migrants in Cara di Mineo on the day of the meeting.

      According to the Italian newspaper’s source, Bija that day asked the Italian authorities for funds to manage the reception of migrants in Libya.

      “There had always been suspicions about the agreement between the Libyan coastguard and the Italian government,” Nello Scavo, who wrote the Avvenire story, told the Guardian. “In the past, there had already been talk of the suspected involvement of traffickers in the Libyan coastguard. But now we have the evidence. It seems really strange that Italian intelligence was not aware of Bija’s identity. It is difficult to believe they were distracted.”

      Last September, detectives in Sicily arrested three men who allegedly raped and tortured dozens of migrants in a detention centre in the north-west of Libya.

      Prosecutors in Agrigento have collected testimonies from numerous asylum seekers from north Africa, who allegedly recognised their former captors at a migrant registration centre in Messina, Sicily.

      The three alleged captors, a 27-year-old Guinean man and two Egyptians, 24 and 26, are accused of torture, kidnapping and human trafficking, operated in Zawiya detention centre, the same centre where Bija operated.

      In some of the migrants’ testimonies, contained in the survey documents seen by the Guardian, asylum seekers talk about a man who called himself “Abdou Rahman, who was in charge of transferring migrants to the beach. It was he who, in the end, decided who could embark or not. He was a violent man and armed. We all feared him.”

      Friday’s development came as the Italian foreign minister, Luigi Di Maio, presented a new decree regarding asylum seekers, which he said would cut the time it took for a decision on whether a migrant should be repatriated to four months.

      https://www.theguardian.com/world/2019/oct/04/human-trafficker-at-meeting-italy-libya-migration-abd-al-rahman-milad
      #Minniti

    • La trattativa nascosta. Dalla Libia a #Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss

      Le foto dell’incontro nel 2017 tra il numero uno dei trafficanti di esseri umani, Bija, e delegati inviati dal governo.

      Quando il minibus coi vetri oscurati entra nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione da Tripoli. È l’11 maggio 2017. L’Italia sta negoziando con le autorità libiche il blocco delle partenze di profughi e migranti. Oggi sappiamo che quel giorno, senza lasciare traccia nei registri d’ingresso, alla riunione partecipò anche Abd al-Rahman al-Milad, il famigerato Bija. (IL PROFILO)

      Le numerose immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano quella mattinata rimasta nel segreto. Accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare «il modello Mineo», da dove in questi anni sono passati oltre 30mila migranti. Accordi indicibili che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite.

      All’incontro, partecipavano anche delegati nordafricani di alcune agenzie umanitarie internazionali, probabilmente ignari di trovarsi seduti a fianco di un signore della guerra dedito alle peggiori violazioni dei diritti umani. Non deve essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
      Sembra impossibile che le autorità italiane non sapessero chi era l’uomo seduto al tavolo dello strano convegno.

      Diversi mesi prima del suo arrivo in Italia, Bija era finito nel mirino di una raffica di inchieste giornalistiche e investigazioni internazionali. Il 14 febbraio 2017 The Times diffonde un video nel quale si vede un uomo in divisa mimetica picchiare selvaggiamente un gruppo di migranti su un gommone. Ripreso di spalle, il miliziano appare con una menomazione alla mano destra. Proprio come Bija, che durante i combattimenti anti Gheddafi del 2011 aveva perso alcune dita. Il 20 febbraio la giornalista italiana Nancy Porsia pubblica un approfondito reportage in inglese per Trt World, proseguendo un’inchiesta apparsa già il 6 gennaio in italiano su The Post Internazionale, nel quale spiega che «Bija lavora sotto la protezione di Al Qasseb, nom de guerre di Mohamed Khushlaf, che è a capo del dipartimento di sicurezza della raffineria di Zawiyah. Supportato da suo cugino e avvocato Walid Khushlaf, Al Qasseb esercita il controllo totale sulla raffineria e sul porto di Zawiyah. I cugini Khushlaf fanno parte della potente tribù Abu Hamyra, così come Al Bija». Poi arriveranno articoli pubblicati da Il Messaggero, Il Mattino, la Repubblica e l’Espresso. L’anno prima, siamo nel 2016, erano stati anche Panorama e Il Giornale a indicare Abdou Rahman quale uomo chiave del traffico di esseri umani. Numerose e ininterrotte da anni sono le inchieste di Francesca Mannocchi per l’Espresso e svariati altri media, di Sergio Scandura per Radio Radicale, oltre che di alcune tra le principali testate del mondo.


      Nonostante la grande mole di informazioni, Bija viene accompagnato in Italia e presentato come «uno dei comandanti della Guardia costiera della Libia», racconta una fonte ufficiale presente al meeting di Mineo. Quel giorno però accade un imprevisto. Un migrante libico ospitato nel Cara finisce per errore nei pressi del prefabbricato dove erano attesi Bija, alcuni delegati del premier Serraj e del Ministero dell’Interno tripolino. Quando dal minibus di una azienda di servizi turistici della provincia di Catania sbarcano i libici (almeno sei), l’immigrato si allontana spaventato: «Mafia Libia, Mafia Libia», dice in italiano.

      Le immagini che oggi pubblichiamo parzialmente per proteggere l’identità di diversi funzionari italiani presenti a vario titolo, mostrano Abdou Rahman seduto accanto a due suoi connazionali, un uomo e una donna. Ascolta senza mai proferire parola. Prende nota e ogni tanto fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di intervenire. I libici fanno domande precise: «Quanto vi paga il governo italiano per ospitare ogni migrante qui? Quanto costa annualmente il Cara di Mineo». Poi, racconta la fonte di Avvenire, in modo neanche troppo diplomatico «fanno capire che in fondo il “modello Mineo” si può esportare in Libia e che l’Italia potrebbe finanziare la realizzazione di strutture per migranti in tutto il Paese, risparmiandosi denaro e problemi». Da lì a poco parte l’assedio alle Ong e vengono annunciati interventi dell’Italia e dell’Europa per aprire campi di raccolta nel Paese nordafricano.

      In realtà, ha spiegato l’inviato del Tg1 Amedeo Ricucci nel corso di uno speciale mandato in onda dopo essersi recato di persona a Zawyah per intervistare proprio Bija appena dopo il viaggio in Sicilia, «è come se giocassero a guardie e ladri, ma in salsa libica: con i ruoli degli uni e degli altri che si invertono di continuo a seconda delle convenienze».

      La trattativa deve essere andata a vantaggio dei trafficanti, se Bija è ancora in servizio. E anche i governi che si sono susseguiti hanno continuato a sostenere indirettamente ma consapevolmente le attività dei boss libici. Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

      Queste informazioni hanno avuto un inatteso riscontro proprio nei giorni scorsi. Mentre gli investigatori di Agrigento e Palermo indagavano per arrestate i tre presunti torturatori camuffati tra i migranti dell’hotspot di Messina, alcune delle vittime hanno raccontato che a decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico, forse di nome “Bingi” (fonetico), al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo un altro migrante l’uomo era soprannominato “Bengi”, e «si occupava di trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di lui». Quando gli chiedono se qualche volta avesse sentito il suo vero nome, il migrante risponde con sicurezza: «Lo chiamavano Abdou Rahman». (1-Continua)

      Una motovedetta del boss scafista mentre recupera un motore da un gommone in alto mare per riutilizzarlo nel traffico dei migranti

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dalla-libia-al-mineo-negoziato-boss-libico

    • Il trafficante libico Bija in Italia: ecco la lettera ufficiale di invito

      Una missiva protocollata da un’agenzia Onu. Destinatario: il consolato italiano a Tunisi. E il “comandante Bija”, considerato un potente boss degli scafisti, è venuto nel nostro Paese per incontri istituzionali.

      Come mai il libico Abd Raman al Milan, detto “comandante Bija”, ex capo della Guardia costiera accusato dalle Nazioni Unite di essere uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, nel 2017 è stato invitato a una serie di incontri ufficiali in Italia? Chi lo ha davvero invitato? E chi ha concesso e protocollato i documenti?

      La questione, esplosa dopo un’inchiesta del reporter Nello Scavo sul quotidiano Avvenire , è ora al centro di polemiche, indagini e interrogazioni parlamentari nel nostro Paese.

      L’Espresso è in grado di mostrare in esclusiva un documento fondamentale della vicenda: la lettera con cui il 3 aprile di due anni fa l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, chiedeva all’ufficio consolare italiano di base a Tunisi l’emissione dei visti per la delegazione libica di cui faceva parte anche Bija.

      Abd Raman al Milan è poi effettivamente venuto in Italia il maggio successivo: sia in Sicilia sia a Roma, dove ha avuto anche colloqui con «autorità italiane», così come anticipava la stessa lettera dell’Oim.

      L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite con sede centrale a Ginevra e uffici anche in Italia. Il suo presidente è il portoghese Antonio Vitorino, ex commissario Ue. L’Onu stessa ritiene che il “comandante Bija” sia un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e gli ha imposto il divieto d’espatrio.

      Secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il nostro consolato sarebbe stato ingannato da “documenti probabilmente falsi” presentati da Bija. Lo stesso boss libico, ex capo della guardia costiera di Zawhia, ha smentito questa tesi sostenendo di essere arrivato in Italia con il suo vero nome e i suoi regolari documenti, facendo seguito a un invito ufficiale. Le domande sull’incontro a Mineo, dunque, restano ancora aperte. Le versioni troppe e troppo discordanti.

      http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/10/18/news/trafficante-libico-bija-in-italia-lettera-ufficiale-1.340124

  • Clingendael report : EU external migration policies misaligned with reality

    On the February 1, Dutch think tank #Clingendael released a report on the relationship between irregular migration and conflict and stability in Mali, Niger and Libya. The report’s main finding is that current EU policies are misaligned with the reality of trans-Saharan migration.

    The report argues that European external migration policies fail to take into account the diverse socio-political dynamics of intra-African migration. EU policies focus on stemming migration flows through securitised measures as a means to stop human smuggling. However, it disregards local actors such as transportation companies facilitating irregular movements, local security forces gaining income by bribery and road taxes, political elites facilitating irregular migration in exchange for money and local population offering to sell food and lodging to earn a living. Ignoring such essential local dynamics prevents the establishment of effective migration management policies. A worrying mistake given the EU’s increased focus on the external dimension of migration in the context of the Partnership Framework.

    The report encourages the EU to focus on peace building processes and invest in both conflict- and politically sensitive state building as well as regional cooperation.

    http://www.ecre.org/clingendael-report-eu-external-migration-policies-misaligned-with-reality
    #rapport #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Libye #Sahel #Gao #Agadez #Niger #routes_migratoires #Mali #Tamanrasset #Niamey #Sebba #Arlit #Séguédine #Algérie #Murzuq #Ghadames #Ghat #Tripoli #EU #UE #Union_européenne #détention_administrative #rétention #passeurs #trafiquants #trafic_d'êtres_humains #gardes-côtes

    Lien vers le rapport :


    https://www.clingendael.nl/sites/default/files/turning_the_tide.pdf

    cc @isskein @reka

    • Our analyses from January: externalisation of migration control

      We pay but others do it. This first and foremost has been the response of the European Union
      to the so
      –called “refugee crisis”. Under the title of the
      European Agenda on Migration
      , in May
      2015 the European Commission proposed a series of measures to stop what
      it called “the
      human misery created by those who exploit migrants.” This document established as a priority
      cooperation with third countries to jointly address the causes of emigration. In practice, this
      cooperation has been limited to promoti
      ng the readmission of irregular migrants, border control
      and the reception of asylum
      –seekers and refugees in third countries. The EU’s agreements
      with Turkey (March 2016) and more recently with Niger, Nigeria, Senegal, Mali and Ethiopia
      (June 2016) represent the implementation of this approach.

      http://www.statewatch.org/analyses/no-305-viewpoint-migration-more-externalisation.pdf

    • Ecco l’accordo con la Libia sui migranti…

      Praticamente si chiede di far soffrire, di far subire violazioni, magari anche di uccidere, o di estorcere soldi ai migranti lontano dai nostri confini. Lontano dalle macchine fotografiche dei giornalisti, lontano da chi può raccontare cosa succede.


      http://www.africarivista.it/ecco-laccordo-con-la-libia-sui-migranti/111726

    • Profughi: un piano studiato per tenerli lontano, ad ogni costo

      Ora è operativo. Dal pomeriggio del 2 febbraio, con la firma congiunta del premier Gentiloni e del presidente del Governo di Alleanza di Tripoli, Fayez Serraj, è entrato in vigore a tutti gli effetti il piano sull’immigrazione concordato tra Italia e Libia dal ministro Minniti all’inizio di gennaio. Lo hanno chiamato memorandum sui migranti. Gentiloni lo ha presentato come “una svolta nella lotta al traffico degli esseri umani”, sollecitando il sostegno politico e finanziario dell’Unione Europea. In realtà è un piano di respingimento e deportazione, da attuare in più fasi e in modi diversi, a seconda delle condizioni e delle circostanze: l’ultima di tutta una serie di barriere messe su da Roma e da Bruxelles, negli ultimi dieci anni, per esternalizzare le frontiere della Fortezza Europa, spostandole il più a sud possibile e affidandone la sorveglianza a Stati “terzi” come, appunto, la Libia. Sorveglianza remunerata con milioni di euro, ben inteso: milioni per affidare ad altri il lavoro sporco di bloccare i profughi, non importa come, prima che raggiungano il Mediterraneo e, ancora, di “riprendersi” quelli respinti dall’Europa, con l’obiettivo, poi, di convincerli in qualche modo a ritornare “volontariamente” nel paese d’origine. A prescindere se il “paese d’origine” è sconvolto da guerre, terrorismo, dittature e persecuzioni, miseria e fame endemiche, carestia.

      http://habeshia.blogspot.ch/2017/02/profughi-un-piano-studiato-per-tenerli.html

    • La « forteresse » Europe commence en #Afrique_du_nord

      Le 3 février 2017, les représentants de l’Union européenne réunis à Malte se sont séparés après avoir entériné un plan d’action destiné à freiner – et éventuellement arrêter - les arrivées de réfugiés en provenance de #Libye principalement. Face à une situation incontrôlable dans ce pays, les dirigeants européens se tournent de plus en plus vers les pays voisins, la #Tunisie, l’#Egypte et l’#Algérie afin de les pousser à respecter ou intégrer les dispositifs de gestion des flux migratoires qu’ils ont mis en place. La chancelière allemande Angela Merkel a fait personnellement le déplacement pour convaincre les responsables de ces Etats à coopérer moyennant de substantielles aides matérielles et financières. Si les rencontres n’ont pas abouti aux résultats escomptés, force est de constater que les pratiques de contrôle et de répression de ces pays se professionnalisent et s’adaptent progressivement aux exigences de leurs partenaires du Nord.

      http://www.algeria-watch.org/fr/article/analyse/mellah_forteresse.htm

    • L’Afrique du Nord, dernier recours de l’Europe ?

      Depuis que l’accord controversé, conclu entre la Turquie et l’Union européenne (UE) en mars 2016, a largement réussi à empêcher les demandeurs d’asile d’atteindre l’Europe par la Méditerranée orientale, les dirigeants européens se sont tournés vers la partie centrale de cette mer. Avec les élections qui approchent dans plusieurs États de l’Union et les craintes suscitées par la perspective de voir de nouvelles vagues de migrants entrer en Europe au printemps, les responsables politiques tentent de trouver des solutions rapides pour montrer qu’ils sont capables de gérer la crise.

      Au-delà de ce contexte électorale, l’UE dans son ensemble est pressée de formuler, et pas seulement des solutions d’urgence, une vision stratégique de long à même de relever le défi que présente la question migratoire. Et pour trouver de telles solutions, elle est contrainte de se tourner vers les pays nord-africains.

      http://www.alternatives-economiques.fr/lafrique-nord-dernier-recours-de-leurope/00077792

      En anglais : carnegieendowment.org/sada/68097

    • Migration monitoring in the Mediterranean region – Libyan military to be linked up to European surveillance systems

      The Mediterranean countries of the EU are establishing a network to facilitate communication between armed forces and the border police. Libya, Egypt, Algeria and Tunisia are also set to take part. This would make them, through the back door, part of the surveillance system #EUROSUR. Refugees could then be seized on the open seas before being returned to Libya.

      https://digit.site36.net/2017/04/25/migration-monitoring-in-the-mediterranean-region-libyan-military-to-be

    • Security and migration amongst EU priorities for cooperation with “modern, democratic” Egypt

      Joint priorities adopted today by the EU and Egypt for 2017 to 2020 include a commitment from the EU to “support the Egyptian government’s efforts to strengthen its migration governance framework, including elements of legislative reform and strategies for migration management,” and to “support Egypt’s efforts to prevent and combat irregular migration, trafficking and smuggling of human beings, including identifying and assisting victims of trafficking.”

      http://www.statewatch.org/news/2017/jul/eu-egypt-priorities.htm

    • Niger : #ingérence et #néocolonialisme, au nom du #Développement

      Le 10 octobre 2016, la chancelière allemande Angela Merkel était reçue en grande pompe à Niamey. Elle ne faisait pas mystère que ses deux préoccupations étaient la « #sécurité » et « l’#immigration ». Il s’agissait de mettre en œuvre des « recommandations » répétées à l’envie : le Niger, « pays de transit », devait être accompagné afin de jouer le rôle de filtre migratoire. Des programmes de « renforcement des institutions locales » feraient advenir cette grande césure entre les « réfugiés » à protéger sur place et les « migrants » à « reconduire » vers leurs « pays d’origine ». Autrement dit, comme l’a récemment exprimé le président français, le Niger et ses voisins (Libye, Tchad…) devaient accepter de se couvrir de camps et de jouer le rôle de #hotspot (voir Note #4). Le #néo-colonialisme d’une telle vision des rapports euro-africains a poussé les très conciliantes autorités nigériennes à rappeler que les intérêts de leurs ressortissants et la souveraineté nationale devaient être l’objet de plus d’égards. Ces négociations inter-gouvernementales sont toujours en cours alors qu’en Libye elles ont été directement menées avec des chefs de milices, prêts à jouer les geôliers à condition de pouvoir capter les fonds qui se déversent sur les gardes-frontières de l’Union européenne (UE).

      http://www.migreurop.org/article2840.html

    • Niger : #Niamey, capitale cernée par les crises

      Exode de migrants, conflits ethniques exacerbés par une guerre contre le jihad et une montée de l’islam politique… Dans la ville, devenue réceptacle des problèmes actuels du Sahel, la tension est omniprésente.

      Ce sont des victimes invisibles. Emportées par un cycle sans fin de représailles dans un coin reculé du monde. La scène de la tuerie est pourtant terrifiante : « Les assaillants sont arrivés vers 17 heures et se sont rendus directement à la mosquée où ils ont tué à coup de mitraillettes automatiques une dizaine de personnes. Puis ils se sont dirigés à l’intérieur du campement nomade où ils ont tiré sur des personnes qu’ils ont croisées », affirme un communiqué officiel relayé par la presse au Niger. Bilan ? 17 morts, vendredi à Inates, un bled perdu dans le sud de ce pays sahélien et proche de la frontière avec le Mali. A part les autorités du pays, aucun témoin extérieur, journaliste ou humanitaire, n’a pu se rendre seul sur place. Car Inates se trouve dans cette nouvelle zone de tous les périls, située au nord de Niamey, la capitale. Le 11 avril, Joerg Lang, un humanitaire allemand, pensait pouvoir s’y rendre incognito en dissimulant son visage sous un keffieh, foulard traditionnel, et en circulant à bord d’une voiture banalisée. Il a été enlevé sur la route du retour, non loin d’Inates.

      L’attaque du 19 mai n’est que la dernière d’une longue série, qui oppose depuis peu des nomades, touaregs et peuls, de chaque côté de la frontière qui sépare le Niger et le Mali. « Il y a trois semaines, de jeunes Peuls, venus du Niger, ont exécuté 18 Touaregs de l’autre côté de la frontière, au Mali. Cette fois-ci, les assaillants voulaient en tuer autant chez les Peuls, en représailles. Sauf que l’une des victimes a finalement survécu », indique Mohamed Bazoum, ministre de l’Intérieur du Niger. Les forces de sécurité sont pourtant loin d’être absentes dans ce pays, qui est même devenu le nouveau hub militaire régional d’une coalition internationale en lutte contre les forces jihadistes au Sahel. A Niamey, la capitale, située à seulement 250 kilomètres d’Inates, des gaillards musclés aux cheveux très courts ont remplacé les touristes dans les hôtels, qui ne désemplissent pas. On y croise des Français, des Américains, et même désormais des Allemands.
      Théories complotistes

      C’est au Mali, pays gangrené depuis plusieurs années par les mouvements jihadistes, et désormais aussi au Burkina Faso voisin, que se joue l’essentiel de cette guerre asymétrique. Mais c’est bien au Niger que s’implantent de plus en plus les bases arrières étrangères engagées dans cette bataille du Sahel. Pourtant le Niger n’a jamais connu de mouvement jihadiste autochtone. Son point faible, ce sont justement ses frontières. Et notamment celles avec le Mali et le Burkina Faso, dans ce petit triangle où se trouve aussi Niamey. Une capitale en apparence assoupie, particulièrement en ce mois de mai où la température frôle souvent les 45 °C. Mais le calme de la ville est trompeur. Tous les accès extérieurs sont verrouillés par des barrages, les fameuses « ficelles ». Et les entrées et les sorties sont fortement contrôlées. Les dunes orange qu’on aperçoit parfois au loin évoquent ainsi un monde potentiellement hostile, qui donne à la capitale nigérienne un air de forteresse isolée guettant l’ennemi, comme dans le roman de l’Italien Dino Buzzati, le Désert des Tartares. Mais qui est exactement l’ennemi ?

      A Niamey, nombreux sont ceux qui s’interrogent : « Les Américains ont construit une immense base à Agadez [à 950 kilomètres au nord-est de Niamey, ndlr]. Les Français et les Allemands renforcent leurs installations près de l’aéroport. Visiblement, ils sont là pour rester longtemps. Mais dans quel but ? Est-ce seulement pour notre sécurité ? » s’inquiète Abdoulaye, un jeune entrepreneur de la capitale. Les intentions « réelles » des Occidentaux au Niger font l’objet de nombreuses conversations et les théories complotistes ne manquent pas. Pourtant, même dans ce cas de la tuerie d’Inates, c’est bien l’influence des jihadistes qui est aussi en jeu. « Les Peuls se sont fait piéger. Depuis quelques années, la pression démographique et la raréfaction des terres pastorales les ont poussés vers le nord du Mali. Mais en s’y implantant, ils ont dû choisir leur camp dans un conflit purement malien. Et se sont laissé instrumentaliser par les forces jihadistes de l’Etat islamique en Afrique de l’Ouest alors qu’une partie des Touaregs soutient désormais la coalition internationale », affirme le général Abou Tarka qui dirige la Haute Autorité pour la consolidation de la paix, un organisme né lors des rébellions touaregs des années 90 et qui tente aujourd’hui de désamorcer cette bombe communautariste parée des oripeaux jihadistes. « C’est une guerre de pauvres, de populations qui se sentent souvent abandonnées », confie le général.

      Le conflit dans le sud-ouest est récent. Mais dans le sud-est du pays, une autre zone dessine depuis plus longtemps un front sensible avec la présence de la secte Boko Haram qui a infiltré la région de Diffa, en provenance du Nigeria voisin. Il existe d’autres frontières sensibles dans ce vaste « pays de sable, en apparence immobile », comme le décrit le père Mauro, un prêtre italien très investi aux côtés des migrants. Les Nigériens immigrent peu, et encore moins vers l’Europe. Mais depuis longtemps, le pays est une zone de passage pour tous ceux qui veulent tenter la traversée de la Méditerranée à partir des côtes libyennes. Depuis 2016, les Européens ont fait pression sur le pouvoir en place pour restreindre ces mouvements. En criminalisant les passeurs, mais aussi en faisant de Niamey et d’Agadez des « hot spots » censés dissuader les traversées clandestines, grâce à l’espoir d’un passage légal vers l’Europe, du moins pour ceux qui peuvent prétendre au statut de réfugié. Ces derniers mois, des charters ont même ramené au Niger des candidats à l’asile en Europe, jusqu’alors détenus dans les geôles libyennes. « Mais aujourd’hui ces rotations sont quasiment à l’arrêt car les autorités se sont rendu compte que les Européens, et notamment les Français, n’acceptaient les réfugiés qu’au compte-gouttes, malgré leurs promesses », explique un responsable du Haut Commissariat aux réfugiés (HCR) à Niamey.

      Cette nouvelle stratégie impose aussi un tri entre « bons » et « mauvais » migrants. Dans une rue ombragée du centre de la capitale, des hommes prennent l’air, assis devant une maison gardée par des vigiles. Les visages sont maussades, les regards fuyants, et les gardiens ont vite fait d’éconduire les visiteurs étrangers qui tentent de parler à ces migrants rapatriés de Libye et qui ont, eux, accepté de rentrer dans leur pays. Ceux qui refusent ce retour « volontaire » se dispersent dans la ville, formant une cohorte invisible qui échappe aux radars. « En réalité, les passages de migrants ne se sont pas arrêtés. Il y a de nouvelles routes, plus dangereuses », confie un officiel nigérien. En revanche, la création des hot spots attire désormais d’autres candidats à l’exil. Début mai, des centaines de Soudanais ont ainsi envahi les rues d’Agadez dans l’espoir d’obtenir le sésame miraculeux de l’asile en Europe. Mais, excédées par ces arrivées massives, les autorités de la ville ont envoyé de force, le 12 mai, 145 d’entre eux à la frontière libyenne, en plein désert. Depuis, leur sort est inconnu.
      Arrestations

      En privé, les responsables nigériens se moquent parfois de l’autosatisfaction des Européens sur les mirages de cette nouvelle politique migratoire. Et fustigent les faux-semblants de l’aide, en principe massive, accordée au pays : « On nous dit que le Niger est désormais le pays d’Afrique le plus aidé par l’Europe. Mais ce sont les ONG étrangères qui captent toute cette aide », peste un haut responsable. Ce n’est pas le seul mirage financier dans l’un des pays les plus pauvres de la planète. En décembre, un grand raout organisé à Paris avait permis en principe au Niger d’engranger 23 milliards de dollars (19 milliards d’euros) de promesses d’investissements. Six mois plus tard, les promesses sont restées… des promesses : « La concrétisation des projets est effectivement assez lente », reconnaît, un peu gênée, la responsable d’une agence onusienne. Reste qu’en raison des enjeux sécuritaires et migratoires, le Niger est bien devenu « le chouchou de la communauté internationale », comme le rappelle Issa Garba, porte-parole local de l’association Tournons la page.

      Au début de l’année, la société civile avait organisé des manifestations dans les rues de Niamey pour protester contre une loi de finances qui instaure de nouvelles taxes et augmente les prix de l’électricité et de l’eau. Mais à partir du 25 mars, le mouvement a été brutalement décapité avec l’arrestation d’une vingtaine de leaders de la société civile. « Ils ne représentent rien, ils veulent juste créer le chaos et susciter un coup d’Etat militaire », balaye Mohamed Bazoum, le ministre de l’Intérieur. « Tout ce que nous demandons, c’est une bonne gouvernance et l’abandon de lois qui frappent les plus pauvres », rétorque Issa Garba. Reste que face aux arrestations, la communauté internationale se tait. Et la rue, elle, a compris le message : une journée ville morte décrétée par la société civile le 14 mai a été un échec et les manifestations n’ont pas repris. « Je soutiens ces leaders, mais je n’ai aucune envie de me retrouver moi aussi en prison », résume Mokhtar, un jeune homme très pieux. Dans la base arrière des Occidentaux en guerre contre le jihadisme au Sahel, d’autres influences s’imposent pourtant silencieusement. « Au Niger, l’islam gagne du terrain », souligne un professeur d’université, citant le nombre exponentiel de femmes voilées et de salles de prières dans les facs. « Le jour où les imams nous demanderont de sortir dans la rue, là, j’obéirais. Car l’islam est dans nos cœurs », constate de son côté Mokhtar.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/05/23/niger-niamey-capitale-cernee-par-les-crises_1652220

      Signalé par Alizée Dauchy sur la liste Migreurop, avec ce commentaire :

      un article rédigé par Maria Malagardis publié dans Libération le 23 mai :
      http://www.liberation.fr/planete/2018/05/23/niger-niamey-capitale-cernee-par-les-crises_1652220

      et à écouter sur France Culture un podcast avec Maria Malagardis en première partie :
      https://www.franceculture.fr/emissions/cultures-monde/culturesmonde-du-vendredi-25-mai-2018

      sur la question migratoire :
      Elle revient (min’9) notamment sur ’l’hypocrisie des #hotspot", avec très peu de #réinstallation en Europe, malgré les engagements pris (la France s’est engagée à 3000 #réinstallations jusqu’en 2019).

      Procédure d’asile : Idée admise de trier sur la base de la nationalité à la place des demandes individuelles. Autrement : rapatriement volontaire dans les pays d’origine / les migrants se fondent dans la nature.
      Effet pervers : de nouvelles populations se rendent au Niger pour demander l’asile, exemple des soudanais à #Agadez (Cf. http://www.rfi.fr/afrique/20180526-niger-refugies-soudanais-darfour-agadez-statut-migrants).
      Elle qualifie le Niger de « passoire de mouvements », en « rotation perpétuelle ».

      sur la loi de finance :
      Augmentation des taxes sur l’électricité et l’eau, loi typique d’austérité. Manifestations dans la rue dès la promulgation.
      Interdiction des manifestations par les autorités nigériennes, arrestations d’activistes dès le 25 mars, 26 personnes de la société civile ont été arrêtées.
      Silence de la part de la communauté internationale, elle parle de dérive autoritaire car chèque en blanc de la communauté internationale.

      Loi de finance élaborée avec le parrainage des européens, notamment des français avec des conseillers techniques français du ministère de l’économie.
      « Accord tacite » davantage que « silence tacite ». Communauté internationale a besoin d’un Niger calme et silencieux.

      sur la question jihadiste :
      Pas de mouvement nigérien jihadiste autochtone contrairement au Mali et au Burkina Faso.
      Niger était un exemple de stabilité, où l’on louait le règlement de la question touareg, il est aujourd’hui le pays le plus menacé.

      #hotspots #tri #catégorisation #djihadisme #EI #Etat_islamique

    • « Pour le HCR, l’essentiel est d’aider les pays qui hébergent vraiment les réfugiés, en Afrique ou en Asie »

      Filippo Grandi : « L’essentiel est qu’on nous donne les moyens d’aider les pays qui hébergent vraiment les réfugiés »

      Le haut-commissaire des Nations unies pour les réfugiés revient sur les difficultés de l’UE à apporter une solution commune à la crise migratoire et s’inquiète de la diminution de la solidarité en Europe.

      LE MONDE | 09.11.2018
      Propos recueillis par Jean-Baptiste Chastand

      A la tête de l’Agence des Nations unies pour les réfugiés (HCR) depuis 2016, Filippo Grandi appelle l’Union européenne (UE) à préserver le droit d’asile et considère que le retour des réfugiés syriens dans leur pays se fera au compte-gouttes.

      La crise migratoire déchirait l’Union européenne depuis 2015. Elle semble être passée au second plan des pré­occupations. Le problème est-il réglé ?

      Il y a eu des manipulations excessives de la part de ceux qui ont parlé d’invasion, de la fin de l’identité européenne ou de menaces sécuritaires. Maintenant que l’intérêt politique se décale, le risque consiste à ne pas faire ce qu’il faudrait pour mieux gérer ces mouvements de populations. L’Europe n’a pas encore donné toutes les réponses. Or, un report ne peut qu’aggraver la situation en cas de nouvelle crise.

      Les « centres contrôlés » et les « plates-formes de débarquement » destinés à centraliser le traitement des demandeurs d’asile paraissent dans l’impasse…

      La convention de Dublin, destinée à éviter le « tourisme de l’asile » en prévoyant que le premier pays d’accueil doit gérer les de­mandes d’asile, est mise à l’épreuve par les arrivées nombreuses dans quelques pays, qui se sont retrouvés pénalisés par rapport aux autres. Il faut passer à autre chose. On a longuement évoqué une répartition entre les 28 Etats, mais ça ne fonctionne pas, car seuls quelques pays y sont prêts. Moins de 100 000 personnes arrivées en Europe en 2018, c’est gérable.

      La prise en charge par des Etats d’une partie des passagers de l’Aquarius, par exemple, ressemble à une forme de partage, sauf que chaque nouveau bateau s’est transformé en crise. Un tel système devrait être décidé au préalable. Le problème est l’absence de consensus sur le lieu où ce partage doit se faire. Ce n’est pas au HCR de déterminer où ces centres d’accueil et de réception doivent se trouver, mais à l’Europe. Le rôle du HCR est de donner tous les instruments pour les gérer de manière correcte.

      Et qu’en est-il de l’idée de « centres ­d’accueil » hors Europe, comme au Maghreb ?

      Le HCR travaille dans tous les pays du monde pour gérer l’asile. Le gérer avec efficacité aide à stabiliser ces flux. Par ailleurs, nous n’accepterons jamais que les demandes d’asile en Europe soient gérées hors de son territoire. L’Europe doit garder ses portes ouvertes. Il faut qu’il y soit toujours possible de demander l’asile, sans être renvoyé vers des pays tiers. Cela dit, si l’Europe est prête à prendre des réfugiés dès le Niger, par exemple, dans le cadre de la « réinstallation » [transfert au sein de l’UE, par des voies sûres et légales, de personnes déplacées ayant besoin d’une protection], ce processus peut être renforcé.

      Vous êtes donc opposé à des plates-formes pour débarquer, en Afrique, des migrants sauvés en Méditerranée ?

      Si quelqu’un est sauvé dans les eaux territoriales tunisiennes, puis renvoyé en Tunisie, c’est légitime. C’est le droit. En Libye, les garde-côtes ont été renforcés par l’Europe de manière plus ou moins transparente. C’est une bonne idée, à condition de renforcer aussi les institutions qui gèrent les migrants, et pas seulement celles qui les empêchent de partir.

      L’Autriche, qui assure ce semestre la présidence tournante de l’UE, cherche à instaurer un accord avec l’Egypte. Y êtes-vous ­favorable ?

      Nous travaillons depuis longtemps en Egypte, qui héberge plus de 250 000 réfugiés. Si les Etats veulent nous aider à y renforcer les structures, c’est une bonne chose, mais cela ne doit pas être un moyen d’empêcher les gens de partir vers l’Europe.

      Pourquoi le HCR participe-t-il à cette politique d’externalisation des frontières européennes ?

      La Turquie héberge 4 millions de réfugiés. Vous voudriez qu’on ne les aide pas ? Au moment de l’accord UE-Turquie, auquel le HCR n’a pas été associé, on nous a demandé de vérifier que son contenu n’allait pas à l’encontre des normes internationales. Le HCR a travaillé avec la Grèce pour s’assurer qu’il n’y ait pas d’expulsion vers la Turquie de personnes qui pourraient y courir des risques.

      En 2015, l’Europe a lancé l’initiative d’un fonds pour l’Afrique. Il est sous-financé, et la plupart des ressources sont utilisées pour le contrôle des frontières et non pour traiter les causes des départs. Je le regrette.

      La situation de surpopulation et ­d’insalubrité du camp de Moria, sur l’île grecque de Lesbos, est catastrophique. Le HCR y participe…

      C’est difficile en effet, d’autant que le nombre d’arrivées continue à augmenter J’en ai parlé au premier ministre grec, Alexis ­Tsipras, et au ministre de l’immigration, qui vont faire un effort pour transférer des personnes sur le continent. J’ai reçu des assurances. Si on arrive à réguler la population dans les îles, on arrivera à mieux gérer la situation.

      Accordez-vous foi aux perspectives démographiques alarmistes du journaliste et chercheur Stephen Smith, qui prévoit une explosion migratoire venue d’Afrique ?

      L’invasion est un peu une légende : 70 % des mouvements de population en Afrique restent à l’intérieur du continent et ne vont pas vers l’Europe. Cela dit, il y aura toujours des migrations : les gens se déplacent toujours vers la prospérité. Quand il n’y a pas de possibilité d’émigrer de manière légale, ne reste que l’asile. Ce n’est pas bien, car ces demandes encombrent les systèmes d’asile et les délégitimisent, en créant dans l’opinion publique une confusion entre immigration et asile.

      Aujourd’hui, 80 % des demandeurs d’asile en Europe sont venus pour des raisons économiques, comment faire ?

      L’un des problèmes est l’impossibilité pour les déboutés du droit d’asile de retourner chez eux. Il faut trouver des accords de réadmission avec les pays d’origine, mais c’est coûteux et politiquement difficile pour ces derniers. En Libye, un accord avec l’Union africaine autorisant le HCR et l’Organisation internationale pour les migrations d’y travailler, a permis le retour de 30 000 migrants chez eux [depuis début 2017]. Ils ont été réadmis parce que les images terribles des gens exploités dans les prisons libyennes ont eu un impact. Ce processus doit s’élargir.

      Pensez-vous que les réfugiés syriens retourneront dans leur pays ?

      Il y a une petite augmentation des demandes de retour de Syriens vivant en Jordanie et au Liban, mais il ne s’agit que de quelques milliers de personnes sur plusieurs millions. Le droit au retour existe, mais il doit être le résultat d’un choix personnel. Il reste des obstacles sécuritaires et matériels. Les réfugiés ont peur d’être enrôlés pour le service militaire, ils redoutent des représailles ou de ne pas retrouver leurs biens. La situation dans la province d’Idlib [minée par les affrontements inter-rebelles et l’insécurité galopan­te] n’encourage pas non plus les gens à rentrer. La reconstruction de la Syrie est un sujet politiquement sensible, mais j’appelle les pays donateurs à au moins aider les gens qui font le choix du retour.

      Comment jugez-vous la politique migratoire d’Emmanuel Macron ?

      En France, il faut améliorer la mise à l’abri, l’accueil, certains aspects de la procédure, mais la loi asile et immigration [définitivement adoptée à l’Assemblée le 1er août] a permis des progrès. A l’échelle européenne, le discours solidaire du président est très positif [il s’était engagé, en automne 2017, à offrir en deux ans 10 000 places de réinstallation aux réfugiés liés au HCR, notamment au Niger et au Tchad]. L’augmentation relative des places de réinstallation pour les réfugiés et l’action rapide de l’Ofpra [Office français de protection des réfugiés et apatrides] au Niger ont été exemplaires.

      Comprenez-vous que l’afflux massif d’une population culturellement musulmane dans une région majoritairement judéo-chrétienne puisse créer des tensions ?

      Toute absorption de personnes issues d’une culture minoritaire est complexe, mais elle est possible et souhaitable ! Je crois à la diversité, même si je sais que ce n’est pas populaire de le dire. Lors de réunions européennes, en particulier dans l’est de l’Europe, j’ai entendu certains pays parler d’homogénéité. Mais ce n’est pas dans la tradition de l’Europe. Les valeurs chrétiennes sont précisément des valeurs de solidarité et de partage. L’homogénéité est une utopie négative qu’il faut contrer à tout prix. La diversité est un élément d’enrichissement. Les villes vivantes dans le monde sont des villes diverses ; ce sont elles qui sont à l’avant-garde ! Les Européens ont suffisamment d’outils économiques, sociaux et culturels pour gérer cette diversité.

      Etes-vous inquiet de la montée de l’extrême droite en Italie ?

      [Le ministre de l’intérieur italien] Matteo Salvini mène plusieurs batailles. Sur la question de la répartition des migrants en Europe, je suis d’accord avec lui : l’Italie ne peut pas recevoir tout le monde. Mais son discours très agressif, même s’il n’est pas forcément raciste, est susceptible de créer une atmosphère où le racisme peut prospérer. Cela m’inquiète beaucoup. Son langage ouvre la porte à des tendances extrêmes au sein des sociétés.

      La montée du populisme dans le monde pose-t-elle des problèmes pour une organisation multilatérale comme le HCR ?

      Pour l’instant, personne ne nous dit d’arrêter notre travail, qui, il faut le rappeler, est effectué à 90 % hors de l’Europe. Pour nous, l’essentiel est d’obtenir les ressources pour aider les pays qui hébergent vraiment les réfugiés, c’est-à-dire souvent des pays pauvres en Afrique ou en Asie. Je crains que la diminution de la solidarité en Europe et la stigmatisation du droit d’asile aux Etats-Unis donnent un mauvais exemple. Les pays pauvres me demandent de plus en plus pourquoi ils devraient prendre des réfugiés alors que l’Europe n’en veut pas. Or, pour des Etats voisins de pays en guerre, cela signifierait renvoyer des gens dans ces zones de conflit. C’est cela qui m’inquiète le plus.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2018/11/09/filippo-grandi-l-essentiel-est-qu-on-nous-donne-les-moyens-d-aider-les-pays-

      Avec ce commentaire de Emmanuel Blanchard via la mailing-list Migreurop :

      Une interview inquiétante à plus d’un titre : #Filippo_Grandi suggère que le HCR pourrait être plus impliqué encore en Lybie et dans tout pays d’Afrique du Nord prêt à s’impliquer dans des programmes de retours de boat-people et autres projets de gestion de « centres d’accueil et de réception ». Il ouvre même grand la porte pour une collaboration poussée avec l’UE en Egypte, même s’il prévient que le rôle du HCR ne peut pas être de contribuer à « des moyens d’empêcher les gens de partir vers l’Europe ». Il critique en effet à mots couverts certaines dimensions des politiques européennes de contrôle des frontières extérieures (voir passages soulignés en gras).
      A noter que sous couvert « d’équilibre », le journaliste du Monde - qui s’est autorisé une critique de la « politique d’externalisation des frontières européennes » - reprend certains des argumentaires « anti-migrants » les plus éculés.

  • Grenades offensives, flashballs, militarisation du maintien de l’ordre, comment se protègent les « zadistes » ?
    http://www.bastamag.net/Zone-a-defendre-On-ne-veut-pas

    « On ne veut pas devenir un bataillon de martyrs », expliquent-ils, après la mort de Rémi Fraisse, le militant écologiste, tué par une grenade offensive lancée par un gendarme, alors qu’il participait à la « zone à défendre » contre le projet de barrage de Sivens. Face à la guerre psychologique, aux violences policière et à l’emploi de plus en plus courant d’armes « non létales », des « zadistes » racontent comment ils tentent de se protéger de manière non-violentes. Reportage autour d’un café, dans les (...)

    #Résister

    / #Luttes_sociales, Des grands projets... inutiles ?, Biodiversité, #Droits_fondamentaux, A la (...)

    #Des_grands_projets..._inutiles_ ? #Biodiversité

  • Révélations sur les conversations des #gendarmes lors de la mort de Rémi #Fraisse
    http://www.lemonde.fr/planete/article/2014/11/12/revelations-sur-les-conversations-des-gendarmes-lors-de-la-mort-de-remi-frai

    L’enquête sur la mort de Rémi Fraisse, le jeune #manifestant de 21 ans, tué par une #grenade_offensive lancée par un gendarme lors des affrontements entre des opposants au projet de barrage de #Sivens (Tarn) et des #militaires, dans la nuit du 25 au 26 octobre, se révèle de plus en plus embarrassante pour les autorités.

    Selon des informations du Monde, les gendarmes ont tout de suite eu conscience de la gravité de la situation face à laquelle ils se trouvaient. C’est ce que révèle un procès-verbal daté du 29 octobre auquel nous avons eu accès, qui retranscrit les conversations des militaires sur place, enregistrées par la caméra d’un gendarme qui filme les affrontements.

    Lors de cette nuit, les militaires, équipés de jumelles à vision nocturne, voient un manifestant s’effondrer juste après le jet d’une grenade offensive, entre 1 h 40 et 1 h 50 du matin. A 1 h 53, un militaire ordonne : « Stop pour les F4 ! Il est là-bas le mec. OK, pour l’instant, on le laisse. » Les F4 désignent les grenades #lacrymogènes instantanées (GLI), dont l’usage a été aussi suspendu depuis par Beauvau.

    « IL EST DÉCÉDÉ LE MEC ! LÀ, C’EST VACHEMENT GRAVE »

    Au milieu des cris, un autre gendarme tente de se rassurer : « C’est bon, il va se relever ! Il va se relever, c’est bon ! » Rémi Fraisse ne se relève pas. Sept minutes passent. A 2 heures, « On y va ! », un peloton fait une sortie pour récupérer le blessé. Sur procès-verbal, les enquêteurs de la section de recherches de Toulouse relèvent alors que le chef de l’unité demande à un de ses hommes « de soutenir ceux qui sont allés chercher le manifestant », sans préciser en quoi cela consiste.

    Les militaires ramènent le corps inerte de Rémi Fraisse. « Il respire ou quoi ? », s’inquiète le supérieur. L’infirmier de l’escadron tente alors les gestes de premiers secours. A 2 h 03, un gendarme s’écrie : « Il est décédé, le mec ! Là, c’est vachement grave… Faut pas qu’ils le sachent ! »

    Cette dernière phrase prononcée dans le feu de l’action vise les manifestants, selon la thèse avancée par le service de #communication_de_la_gendarmerie, contacté mardi 11 novembre. « Il fallait éviter que ceux qui agressaient les gendarmes ne redoublent d’ardeurs en apprenant la mort de Rémi Fraisse. » En aucun cas, affirme-t-on, il ne s’agirait d’une volonté d’étouffer l’affaire, la gendarmerie avançant pour preuve que le #parquet a été avisé dans les minutes suivantes et une enquête judiciaire diligentée dans l’heure.

    Les rentranscriptions des conversations des gendarmes au moment du décès de Rémi Fraisse jettent cependant une nouvelle ombre dans un dossier où les autorités ont – au minimum – failli dans leur communication. Le ministre de l’intérieur, #Bernard_Cazeneuve, a notamment été critiqué pour être resté silencieux pendant plus de quarante-huit heures.

    Un article de médiapart retraçant la chronologie des faits démontrait déjà que l’on avait bien affaire une politique délibérée d’#occultation des faits (premiers constats médicaux sur le corps deux heures après concluant à l’effet dune grenade, etc)
    http://seenthis.net/messages/309739

    #parole_de_flic #mensonge_d'état

  • #Hillary_Clinton and the Weaponization of the State Department by JP Sottile — Antiwar.com
    http://original.antiwar.com/JP-Sottile/2014/06/05/hillary-clinton-and-the-weaponization-of-the-state-department

    The ultimate outcome of this shift is, to borrow from Nick Turse, yet another “#new_normal” – the new normalization of the War on Terror. What the adoption of the Whole-of-Government/mission integration approach has done is to normalize the implementation of the re-branded War on Terror (a.k.a. Overseas Contingency Operations) across key agencies of the government and masked it, for lack of the better term, under the rubric of stabilization, development and democracy building.

    It is, in effect, the return of a key Cold War policy of “regime support” for clients and “regime change” for non-client states, particularly in strategically-located areas and resource-rich regions. Regimes – whether or not they actually “reflect American values” – can count on US financial, military and mission-integrated diplomatic support so long as they can claim to be endangered…not by communists, but by terrorists.

    And because terrorism is a tactic – not a political system or a regime – the shadowy, State Department-assisted Special Ops industry that fights them will, unlike the sullen enthusiasts of the Cold War, never be bereft of an enemy.

    #militarisation_de_la_diplomatie #terrorisme