• Italy’s government is targeting NGOs saving people at sea. It is nothing new.

    I was there the first time around – and so were many journalists. At @open_migration we told the story of the dirty war waged against NGOs saving lives.

    This story starts on Easter weekend, 2017.
    During that weekend, 8,300 people were rescued in the Mediterranean: 1,300 by Frontex and the others by several NGOs in coordination with the Italian Coast Guard.

    @Giu_Bertoluzzi was on board of one of the ships – this is her logbook:
    https://openmigration.org/en/analyses/the-eight-thousand-migrants-saved-at-easter-logbook-of-a-rescue-missi

    “Too smart for their own good” (Renzi, then Italy’s PM), “Taxi cabs for migrants” (Di Maio).

    That weekend marked the start of the smear campaign against NGOs: @Lorenzo_Bagnoli @FraFloris made sense of the mix of unfounded claims and accusations:
    https://openmigration.org/en/analyses/accusations-against-ngos-at-sea-what-is-false-or-misleading-in-that-s

    It was also the start of the infamous “pull factor” claim, coming – no surprise – from Fabrice Leggeri, then executive director of Frontex.

    He would become a central figure in this political game - this is the last we heard of him:
    https://www.spiegel.de/international/europe/fabrice-leggeri-s-resignation-the-final-days-of-the-frontex-chief-a-a238224a

    That summer the Mediterranean was the scene of a brutal political game, with the Italian government working to delegitimize NGOs.

    “They have been forced to back away from, sometimes even renounce, their role in rescuing migrants” explained @alaskaHQ.
    https://openmigration.org/en/analyses/eight-things-we-have-learnt-from-the-papers-on-the-iuventa

    A main feature was of course the Minniti-sponsored code of conduct for NGOs.

    This legitimized the idea that they were acting in anarchy before this measures, while all the while they had been working under the Rome command of the Italian Coast Guard.
    https://openmigration.org/en/analyses/what-is-changing-in-the-med-five-things-you-must-know

    The militarisation of the Mediterranean continued throughout 2018, with a critical point with the seizure of Open Arms and accusations of criminal conspiracy and aiding illegal immigration.

    @alaskaHQ @Lorenzo_Bagnoli and @clatorrisi reported:
    https://openmigration.org/en/analyses/the-prosecutors-case-against-the-rescue-ship-open-arms

    Accusations were dropped and one month later the Open Arms was free to sail again.

    (Meanwhile Frontex was relaunching fears of terrorist attacks while introducing its new programme to secure European borders)
    https://openmigration.org/en/analyses/the-open-arms-case-continued-new-documents-and-malta

    I’d like for this story to have an end but there isn’t one.

    In 2017, Easter weekend marked the start of a dirty, dirty war that has claimed thousand of lives. NGOs were witnesses that the EU and the Italian government did not want around.
    And that is still the case.

    #chronologie #criminalisation_du_sauvetage #sauvetage #migrations #asile #réfugiés #Méditerranée #mer_Méditerranée #taxi #taxi_del_mare #pull_factor #facteur_pull #rhétorique #solidarité #Di_Maio #Luigi_Di_Maio #Matteo_Renzi #Renzi #Italie #rhétorique #accusations #Leggeri #Fabrizio_Leggeri #Frontex #codice_di_condotta #Minniti

  • #Leonardo sbarca in #Somalia, la sua fondazione promuove l’italiano e addestra l’esercito

    Leonardo punta a rafforzare la propria presenza in Corno d’Africa e affida l’affaire all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd), alla guida della Fondazione Med-Or costituita dall’holding del complesso militare-industriale italiano per promuovere progetti di “cooperazione” e scambi culturali-accademici con i Paesi del cosiddetto Mediterraneo allargato (Med) e del Medio ed Estremo Oriente (Or).

    Il 21 dicembre 2021 è stato firmato a Roma un Memorandum of Understanding tra la Fondazione Med-Or e la Repubblica Federale di Somalia per la “promozione della lingua italiana in Somalia e il sostegno all’alta formazione, attraverso l’erogazione di borse di studio e corsi di formazione professionale”.

    A sottoscrivere l’accordo Marco Minniti e il Ministro degli Affari Esteri somalo Abdisaid Muse Ali, ma all’evento erano presenti pure il Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, il Ministro della Pubblica Istruzione somalo Abdullahi Abukar Haji e l’intero stato maggiore di Leonardo S.p.A., il presidente Luciano Carta (generale ritirato della Guardia di finanza), l’amministratore delegato Alessandro Profumo, il direttore generale Valerio Cioffi e Letizia Colucci, direttrice generale della Fondazione Med-Or.

    “La Somalia è un Paese strategico nei complessi equilibri dell’Africa Orientale ed è un partner fondamentale per noi nel Corno d’Africa”, ha dichiarato l’ex ministro Minniti. “L’interesse e l’impegno di Med-Or verso l’ex colonia italiana sono in linea con quanto fatto nel corso degli ultimi anni. Consolideremo la cooperazione in numerosi campi e le relazioni comuni, insieme alle istituzioni somale”.

    Il Memorandum firmato con la Repubblica di Somalia segue altri due progetti promossi e finanziati in Africa dalla Fondazione di Leonardo: il primo con la Mohammed VI Polytechnic University di Rabat (finanziamento di alcune borse di studio presso la LUISS “Guido Carli” di Roma, destinate a studenti provenienti dal Marocco); il secondo con la consegna alla Repubblica del Niger di una cinquantina di concentratori di ossigeno per alcune strutture sanitarie impegnate nell’assistenza a malati di Covid-19.

    La presenza a Roma alla firma dell’accordo di “cooperazione” dei massimi vertici di Leonardo S.p.A., conferma l’intenzione del gruppo di penetrare nel redditizio mercato dei sistemi d’arma del martoriato Corno d’Africa. Risale a tre anni fa l’ultima importante commessa nella regione, la fornitura al governo federale somalo di sistemi ATC – Air Traffic Control. Nello specifico, la controllata Selex ES Technologies Limited (SETL) con sede in Kenya, ha installato nel 2018 a Mogadiscio un Centro Nazionale ACC (Air Control Centre) per l’integrazione degli strumenti operativi di controllo aereo e tre torri radar in altrettanti aeroporti del Paese per un totale di 16 postazioni operatore, oltre a un sistema radio VHF e una rete satellitare.

    Una trattativa per la fornitura di un sofisticato sistema radar è in corso tra Leonardo e le autorità militari di Gibuti, la piccola enclave tra Eritrea, Etiopia e Somaliland, strategica per il controllo dello Stretto Bab El Mandeb che separa il Mar Rosso dal Golfo di Aden, principale rotta commerciale e petrolifera tra l’Asia e l’Europa.

    Il 30 gennaio 2020 i manager del gruppo italiano hanno accompagnato una delegazione della Repubblica di Gibuti (presenti tra gli altri il ministro della Difesa Hassan Omar Mohamed e l’ambasciatore a Parigi Ayeid Mousseid Yahya) in visita alla 4ª Brigata Telecomunicazioni e Sistemi per la Difesa Aerea e l’Assistenza al Volo dell’Aeronautica Militare di Borgo Piave, l’ente responsabile della realizzazione, installazione e manutenzione dei sistemi radar, di telecomunicazioni e radio assistenze al volo e alla navigazione aerea.

    “Gli ospiti sono stati accolti dal Comandante della 4ª Brigata, generale Vincenzo Falzarano”, riporta la nota dell’ufficio stampa dell’Aeronautica italiana. “La visita ha interessato il Sistema FADR (Fixed Air Defence Radar, modello RAT–31DL, prodotto da Leonardo, nda) che costituisce la struttura portante del sistema di Difesa Aerea. Il FADR è un radar di sorveglianza a lungo raggio (oltre 470 chilometri) e l’Aeronautica Militare, grazie alla sinergia con il mondo industriale nazionale, lo ha utilizzato per il rinnovamento tecnologico di dodici radar fissi a copertura dell’intero spazio aereo nazionale”.

    Come nel caso del Niger, la Fondazione Med-Or di Leonardo S.p.A. sembra voler privilegiare le regioni del continente africano dove operano stabilmente le forze armate italiane. In Corno d’Africa l’Italia è presente nell’ambito di due missioni internazionali, EUTM Somalia (European Union Training Mission to contribute to the training of Somali security forces) e MIADIT.

    L’operazione EUTM ha preso il via nell’aprile 2010 dopo la decisione dell’Unione Europea di “contribuire al rafforzamento del Governo Federale di Transizione della Somalia attraverso l’addestramento delle Forze di sicurezza somale”. Inizialmente il personale militare UE era schierato in Uganda e operava in stretta collaborazione con le forze armate ugandesi.

    Furono costituititi un quartier generale a Kampala, una base addestrativa a Bihanga (250 km a ovest della capitale) e un ufficio di collegamento a Nairobi (Kenya). Quando le condizioni di sicurezza in Somalia sembrarono migliori, EUTM inaugurò un centro di formazione presso l’aeroporto internazionale di Mogadiscio (aprile 2013) e, dall’inizio del 2014, sia il quartier generale sia i centri addestrativi furono trasferiti in territorio somalo.

    “Focus iniziale della Missione EUTM è stato l’addestramento delle reclute somale e la formazione di istruttori delle Somali National Security Forces, capaci di gestire in proprio l’addestramento di sottufficiali e della truppa”, spiega il Ministero della Difesa italiano. “Con il crescente impegno della Comunità Internazionale e dell’UE nel processo di stabilizzazione del Corno d’Africa, è stato previsto un ulteriore sviluppo della missione. Dall’aprile 2015, con il 4° mandato, essa si è concentrata sempre più sulla componente legata alla consulenza operativa, logistica e amministrativa del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore somalo”. Dal 15 febbraio 2014 il Comando di EUTM è assegnato all’Italia e il contingente nazionale impiegato è di 148 militari e 20 mezzi terrestri.

    Dal 2013 le forze armate italiane sono impegnate pure nella Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane – MIADIT. “La missione è volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera regione del Corno d’Africa, accrescendo le capacità nel settore della sicurezza e del controllo del territorio da parte delle forze di polizia somale”, spiega ancora il Ministero della Difesa. “L’obiettivo a lungo termine è quello di rigenerare la polizia federale somala mettendola innanzitutto in grado di operare nel complesso scenario e successivamente, con i corsi training of trainers, portarla gradualmente all’autosufficienza formativa”.

    Il contingente nazionale impiegato è di 53 militari e 4 mezzi dell’Arma dei Carabinieri. I moduli addestrativi sono diretti a 150-200 agenti somali e gibutini alla volta e hanno una durata di 12 settimane.

    Le attività spaziano dall’addestramento individuale al combattimento, agli interventi nei centri abitati, alle tecniche di controllo del territorio e gestione della folla, alla ricerca e neutralizzazione di armi ed esplosivi. Sempre secondo la Difesa, gli istruttori dei Carabinieri hanno già addestrato oltre 2.600 unità appartenenti alla Polizia Somala, alla Polizia Nazionale e alla Gendarmeria Gibutiana, contribuendo inoltre alla ristrutturazione dell’Accademia di Polizia di Mogadiscio.

    https://www.africa-express.info/2021/12/24/leonardo-sbarca-in-somalia-la-sua-fondazione-promuove-litaliano-e-a

    #Italie #néo-colonialisme
    #Minniti #Marco_Minniti #Fondazione_Med-Or #complexe_militaro-industriel #Mediterraneo_allargato #Memorandum_of_Understanding #accord #langue #langue_italienne #formation_professionnelle #bourses_d'étude #Abdisaid_Muse_Ali #Luigi_Di_Maio #Abdullahi_Abukar_Haji #Luciano_Carta #Alessandro_Profumo #Valerio_Cioffi #Letizia_Colucci #Corne_d'Afrique #coopération #aide_au_développement #ATC #Air_Traffic_Control #Selex_ES_Technologies_Limited (#SETL) #ACC (#Air_Control_Centre) #radar #système_radar #Bab-el-Mandeb #Vincenzo_Falzarano #Sistema_FADR (#Fixed_Air_Defence_Radar) #RAT–31DL #défense_aérienne #Aeronautica_Militare #armée #EUTM_Somalia #European_Union_Training_Mission_to_contribute_to_the_training_of_Somali_security_forces #MIADIT #Bihanga #Nairobi #Somali_National_Security_Forces #Missione_Bilaterale_di_Addestramento_delle_Forze_di_Polizia_somale_e_gibutiane (#MIADIT) #training_of_trainers #formation #Carabinieri #police

  • Si formano a Gaeta le forze d’élite della famigerata Guardia Costiera libica

    Non bastava addestrare in Italia gli equipaggi delle motovedette libiche che sparano sui migranti nel Mediterraneo o li catturano in mare (oltre 15.000 nei primi sette mesi del 2021) per poi deportarli e torturarli nei famigerati centri di detenzione / lager in Libia. Dalla scorsa estate è nella #Scuola_Nautica della #Guardia_di_Finanza di #Gaeta che si “formano” pure le componenti subacquee di nuova costituzione della #Guardia_Costiera e della #General_Administration_for_Coastal_Security (#GACS).

    La presenza a Gaeta delle unità d’élite della #Libyan_Coast_Guard_and_Port_Security (#LCGPS) dipendente dal Ministero della Difesa e della GACS del Ministero dell’Interno è documentata dall’Ufficio Amministrazione - Sezione Acquisti della Guardia di Finanza. Il 18 giugno 2021 l’ente ha autorizzato la spesa per un servizio di interpretariato in lingua araba a favore dei sommozzatori libici “partecipanti al corso di addestramento che inizierà il 21 giugno 2021 presso la Scuola Nautica nell’ambito della Missione bilaterale della Guardia di Finanza in Libia”. Nell’atto amministrativo non vengono fornite informazioni né sul numero degli allievi-sub libici né la durata del corso, il primo di questa tipologia effettuato in Italia.

    Dal 29 agosto al 29 settembre del 2019 ne era stato promosso e finanziato uno simile a #Spalato, in Croazia da #EUNAVFOR_MED (la forza navale europea per le operazioni anti-migranti nel Mediterraneo, meglio nota come #Missione_Irini). Le attività vennero svolte in collaborazione con la Marina militare croate e riguardarono dodici sommozzatori della Guardia costiera e della Marina libica.

    A fine ottobre 2020 un’altra attività addestrativa del personale subacqueo venne condotta in Libia da personale della Marina militare della Turchia, provocando molte gelosie in Italia e finanche le ire dell’(ex) ammiraglio #Giuseppe_De_Giorgi, già comandante della Nato Response Force e Capo di Stato Maggiore della Marina Militare dal 2013 al 2016.

    “In un tweet, la Marina turca riferisce che le operazioni rientrano a pieno nel novero di attività di supporto, consultazione e addestramento militare e di sicurezza incluse nell’accordo raggiunto nel novembre del 2019 tra il GNA tripolino e Ankara: non può sfuggire come questo avvenimento sia un ulteriore affondo turco a nostre spese e l’ennesimo spregio all’Italia”, scrisse l’ammiraglio #De_Giorgi su Difesaonline. “Nelle foto allegate al tweet, infatti, sono presenti le navi che proprio l’Italia nel 2018 aveva donato alla Libia in seguito all’accordo siglato con il primo #Memorandum che avrebbe previsto da parte nostra la presa in carico della collaborazione con la Guardia Costiera libica, non solo per tenere a bada il fenomeno migratorio in generale, ma soprattutto per dare un freno al vergognoso traffico di esseri umani. In particolare, si può vedere la motovedetta #Ubari_660, gemella della #Fezzan_658, entrambe della classe #Corrubia”.

    “Oltre al danno, anche la beffa di veder usare le nostre navi per un addestramento che condurrà un altro Stato, la Turchia”, concluse l’ex Capo di Stato della Marina. “Mentre Erdogan riporta la Tripolitania nella sfera d’influenza ottomana si conferma l’assenteismo italiano conseguenza di una leadership spaesata, impotente, priva di autorevolezza, inadeguata”.

    Le durissime parole dell’ammiraglio De Giorgi hanno colpito in pieno il bersaglio; così dal cappello dell’esecutivo Draghi è uscito bello e pronto per i sommozzatori libici un corso d’addestramento estivo a Gaeta, viaggio, vitto e alloggio, tutto pagato.

    Il personale dell’ultrachiacchierata Guardia costiera della Libia ha iniziato ad addestrarsi presso la Scuola Nautica della Guardia di Finanza nella primavera del 2017. Trentanove militari e tre tutor giunsero in aereo nella base dell’aeronautica di Pratica di Mare (Roma) il 1° aprile e vennero poi addestrati a Gaeta per un mese. “A selezionarli sono stati i vertici della Marina libica tra i 93 militari che hanno superato il primo modulo formativo di 14 settimane, svolto nell’ambito della missione europea Eunavformed, a bordo della nave olandese Rotterdam e della nostra nave San Giorgio”, riportò la redazione di Latina del quotidiano Il Messaggero.

    Nella scuola laziale i libici furono formati prevalentemente alla conduzione delle quattro motovedette della classe “#Bigliani”, già di appartenenza della Guardia di Finanza, donate alla Libia tra il 2009 e il 2010 e successivamente riparate in Italia dopo i danneggiamenti ricevuti nel corso dei bombardamenti NATO del 2011. Le quattro unità, rinominate #Ras_al_Jadar, #Zuwarah, #Sabratha e #Zawia sono quelle poi impiegate per i pattugliamenti delle coste della #Tripolitania e la spietata caccia ai natanti dei migranti in fuga dai conflitti e dalle carestie di Africa e Medio Oriente.

    Per la cronaca, alla cerimonia di chiusura del primo corso di formazione degli equipaggi libici intervenne a Gaeta l’allora ministro dell’Interno #Marco_Minniti. Ai giornalisti, #Minniti annunciò che entro la fine del mese di giugno 2017 il governo italiano avrebbe consegnato alla Libia una decina di motovedette. “Quando il programma di fornitura delle imbarcazioni sarà terminato la Marina libica sarà tra le strutture più importanti dell’Africa settentrionale”, dichiarò con enfasi Marco Minniti. “Lì si dovranno incrementare le azioni congiunte e coordinate per il controllo contro il terrorismo e i trafficanti di esseri umani: missioni cruciali per tutta la comunità internazionale”.

    Un secondo corso di formazione per 19 ufficiali della Guardia costiera libica venne svolto nel giugno 2017 ancora un volta presso la Scuola Nautica della Guardia di Finanza di Gaeta. Nel corso del 2018, con fondi del Ministero dell’Interno vennero svolti invece due corsi della durata ognuno di tre settimane per 28 militari libici, costo giornaliero stimato 606 euro per allievo.

    Nell’ambito del #Sea_Horse_Mediterranean_Project, il progetto UE di “cooperazione e scambio di informazioni nell’area mediterranea tra gli Stati membri dell’Unione di Spagna, Italia, Francia, Malta, Grecia, Cipro e Portogallo e i paesi nordafricani nel quadro di #EUROSUR”, (valore complessivo di 7,1 milioni di euro), la Guardia di Finanza ha concluso uno specifico accordo con la Guardia Civil spagnola, capofila del programma, per erogare sempre nel 2018 un corso di conduzione di unità navali per 63 libici tra guardiacoste del Ministero della Difesa e personale degli Organi per la sicurezza del Ministero dell’Interno.

    Istituzionalmente la Scuola Nautica della Guardia di Finanza di Gaeta provvede alla formazione tecnico-operativa degli allievi finanzieri destinati al contingente mare, nonché all’aggiornamento ed alla specializzazione di ufficiali impiegati nel servizio navale. In passato ha svolto attività di formazione a favore del personale militare e della polizia della Repubblica d’Albania e della Guardia Civil spagnola.

    L’Istituto ha partecipato anche a due missioni internazionali: la prima sul fiume Danubio, nell’ambito dell’embargo introdotto nel maggio 1992 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro l’allora esistente Repubblica Federale di Jugoslavia; poi, a fine anni ’90, a Valona (Albania) per fornire assistenza e consulenza ai locali organi polizia nella “lotta ai traffici illeciti”.

    Adesso per la Scuola di Gaeta è scattata l’ora dell’addestramento dei reparti d’élite delle forze navali di Tripoli, sommozzatori in testa.

    http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/11/si-formano-gaeta-le-forze-delite-della.html

    –-> Articolo pubblicato in Africa ExPress il 30 novembre 2021, https://www.africa-express.info/2021/11/30/addestrata-in-italia-la-guardia-costiera-libica-accusata-di-crimini

    #Gaeta #formation #gardes-côtes_libyens #asile #migrations #réfugiés #Italie #Libye #frontières #Méditerranée #plongeurs

    –---

    Ajouté à la métaiste sur les formations des gardes-côtes lybiens sur le territoire européen :
    https://seenthis.net/messages/938454

    ping @isskein

  • Friends of the Traffickers Italy’s Anti-Mafia Directorate and the “Dirty Campaign” to Criminalize Migration

    Afana Dieudonne often says that he is not a superhero. That’s Dieudonne’s way of saying he’s done things he’s not proud of — just like anyone in his situation would, he says, in order to survive. From his home in Cameroon to Tunisia by air, then by car and foot into the desert, across the border into Libya, and onto a rubber boat in the middle of the Mediterranean Sea, Dieudonne has done a lot of surviving.

    In Libya, Dieudonne remembers when the smugglers managing the safe house would ask him for favors. Dieudonne spoke a little English and didn’t want trouble. He said the smugglers were often high and always armed. Sometimes, when asked, Dieudonne would distribute food and water among the other migrants. Other times, he would inform on those who didn’t follow orders. He remembers the traffickers forcing him to inflict violence on his peers. It was either them or him, he reasoned.

    On September 30, 2014, the smugglers pushed Dieudonne and 91 others out to sea aboard a rubber boat. Buzzing through the pitch-black night, the group watched lights on the Libyan coast fade into darkness. After a day at sea, the overcrowded dinghy began taking on water. Its passengers were rescued by an NGO vessel and transferred to an Italian coast guard ship, where officers picked Dieudonne out of a crowd and led him into a room for questioning.

    At first, Dieudonne remembers the questioning to be quick, almost routine. His name, his age, his nationality. And then the questions turned: The officers said they wanted to know how the trafficking worked in Libya so they could arrest the people involved. They wanted to know who had driven the rubber boat and who had held the navigation compass.

    “So I explained everything to them, and I also showed who the ‘captain’ was — captain in quotes, because there is no captain,” said Dieudonne. The real traffickers stay in Libya, he added. “Even those who find themselves to be captains, they don’t do it by choice.”

    For the smugglers, Dieudonne explained, “we are the customers, and we are the goods.”

    For years, efforts by the Italian government and the European Union to address migration in the central Mediterranean have focused on the people in Libya — interchangeably called facilitators, smugglers, traffickers, or militia members, depending on which agency you’re speaking to — whose livelihoods come from helping others cross irregularly into Europe. People pay them a fare to organize a journey so dangerous it has taken tens of thousands of lives.

    The European effort to dismantle these smuggling networks has been driven by an unlikely actor: the Italian anti-mafia and anti-terrorism directorate, a niche police office in Rome that gained respect in the 1990s and early 2000s for dismantling large parts of the Mafia in Sicily and elsewhere in Italy. According to previously unpublished internal documents, the office — called the Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, or DNAA, in Italian — took a front-and-center role in the management of Europe’s southern sea borders, in direct coordination with the EU border agency Frontex and European military missions operating off the Libyan coast.

    In 2013, under the leadership of a longtime anti-mafia prosecutor named Franco Roberti, the directorate pioneered a strategy that was unique — or at least new for the border officers involved. They would start handling irregular migration to Europe like they had handled the mob. The approach would allow Italian and European police, coast guard agencies, and navies, obliged by international law to rescue stranded refugees at sea, to at least get some arrests and convictions along the way.

    The idea was to arrest low-level operators and use coercion and plea deals to get them to flip on their superiors. That way, the reasoning went, police investigators could work their way up the food chain and eventually dismantle the smuggling rings in Libya. With every boat that disembarked in Italy, police would make a handful of arrests. Anybody found to have played an active role during the crossing, from piloting to holding a compass to distributing water or bailing out a leak, could be arrested under a new legal directive written by Roberti’s anti-mafia directorate. Charges ranged from simple smuggling to transnational criminal conspiracy and — if people asphyxiated below deck or drowned when a boat capsized — even murder. Judicial sources estimate the number of people arrested since 2013 to be in the thousands.

    For the police, prosecutors, and politicians involved, the arrests were an important domestic political win. At the time, public opinion in Italy was turning against migration, and the mugshots of alleged smugglers regularly held space on front pages throughout the country.

    But according to the minutes of closed-door conversations among some of the very same actors directing these cases, which were obtained by The Intercept under Italy’s freedom of information law, most anti-mafia prosecutions only focused on low-level boat drivers, often migrants who had themselves paid for the trip across. Few, if any, smuggling bosses were ever convicted. Documents of over a dozen trials reviewed by The Intercept show prosecutions built on hasty investigations and coercive interrogations.

    In the years that followed, the anti-mafia directorate went to great lengths to keep the arrests coming. According to the internal documents, the office coordinated a series of criminal investigations into the civilian rescue NGOs working to save lives in the Mediterranean, accusing them of hampering police work. It also oversaw efforts to create and train a new coast guard in Libya, with full knowledge that some coast guard officers were colluding with the same smuggling networks that Italian and European leaders were supposed to be fighting.

    Since its inception, the anti-mafia directorate has wielded unparalleled investigative tools and served as a bridge between politicians and the courts. The documents reveal in meticulous detail how the agency, alongside Italian and European officials, capitalized on those powers to crack down on alleged smugglers, most of whom they knew to be desperate people fleeing poverty and violence with limited resources to defend themselves in court.

    Tragedy and Opportunity

    The anti-mafia directorate was born in the early 1990s after a decade of escalating Mafia violence. By then, hundreds of prosecutors, politicians, journalists, and police officers had been shot, blown up, or kidnapped, and many more extorted by organized crime families operating in Italy and beyond.

    In Palermo, the Sicilian capital, prosecutor Giovanni Falcone was a rising star in the Italian judiciary. Falcone had won unprecedented success with an approach to organized crime based on tracking financial flows, seizing assets, and centralizing evidence gathered by prosecutor’s offices across the island.

    But as the Mafia expanded its reach into the rest of Europe, Falcone’s work proved insufficient.

    In September 1990, a Mafia commando drove from Germany to Sicily to gun down a 37-year-old judge. Weeks later, at a police checkpoint in Naples, the Sicilian driver of a truck loaded with weapons, explosives, and drugs was found to be a resident of Germany. A month after the arrests, Falcone traveled to Germany to establish an information-sharing mechanism with authorities there. He brought along a younger colleague from Naples, Franco Roberti.

    “We faced a stone wall,” recalled Roberti, still bitter three decades later. He spoke to us outside a cafe in a plum neighborhood in Naples. Seventy-three years old and speaking with the rasp of a lifelong smoker, Roberti described Italy’s Mafia problem in blunt language. He bemoaned a lack of international cooperation that, he said, continues to this day. “They claimed that there was no need to investigate there,” Roberti said, “that it was up to us to investigate Italians in Germany who were occasional mafiosi.”

    As the prosecutors traveled back to Italy empty-handed, Roberti remembers Falcone telling him that they needed “a centralized national organ able to speak directly to foreign judicial authorities and coordinate investigations in Italy.”

    “That is how the idea of the anti-mafia directorate was born,” Roberti said. The two began building what would become Italy’s first national anti-mafia force.

    At the time, there was tough resistance to the project. Critics argued that Falcone and Roberti were creating “super-prosecutors” who would wield outsize powers over the courts, while also being subject to political pressures from the government in Rome. It was, they argued, a marriage of police and the judiciary, political interests and supposedly apolitical courts — convenient for getting Mafia convictions but dangerous for Italian democracy.

    Still, in January 1992, the project was approved in Parliament. But Falcone would never get to lead it: Months later, a bomb set by the Mafia killed him, his wife, and the three agents escorting them. The attack put to rest any remaining criticism of Falcone’s plan.

    The anti-mafia directorate went on to become one of Italy’s most important institutions, the national authority over all matters concerning organized crime and the agency responsible for partially freeing the country from its century-old crucible. In the decades after Falcone’s death, the directorate did what many in Italy thought impossible, dismantling large parts of the five main Italian crime families and almost halving the Mafia-related murder rate.

    And yet, by the time Roberti took control in 2013, it had been years since the last high-profile Mafia prosecution, and the organization’s influence was waning. At the same time, Italy was facing unprecedented numbers of migrants arriving by boat. Roberti had an idea: The anti-mafia directorate would start working on what he saw as a different kind of mafia. The organization set its sights on Libya.

    “We thought we had to do something more coordinated to combat this trafficking,” Roberti remembered, “so I put everyone around a table.”

    “The main objective was to save lives, seize ships, and capture smugglers,” Roberti said. “Which we did.”

    Our Sea

    Dieudonne made it to the Libyan port city of Zuwara in August 2014. One more step across the Mediterranean, and he’d be in Europe. The smugglers he paid to get him across the sea took all of his possessions and put him in an abandoned building that served as a safe house to wait for his turn.

    Dieudonne told his story from a small office in Bari, Italy, where he runs a cooperative that helps recent arrivals access local education. Dieudonne is fiery and charismatic. He is constantly moving: speaking, texting, calling, gesticulating. Every time he makes a point, he raps his knuckles on the table in a one-two pattern. Dieudonne insisted that we publish his real name. Others who made the journey more recently — still pending decisions on their residence permits or refugee status — were less willing to speak openly.

    Dieudonne remembers the safe house in Zuwara as a string of constant violence. The smugglers would come once a day to leave food. Every day, they would ask who hadn’t followed their orders. Those inside the abandoned building knew they were less likely to be discovered by police or rival smugglers, but at the same time, they were not free to leave.

    “They’ve put a guy in the refrigerator in front of all of us, to show how the next one who misbehaves will be treated,” Dieudonne remembered, indignant. He witnessed torture, shootings, rape. “The first time you see it, it hurts you. The second time it hurts you less. The third time,” he said with a shrug, “it becomes normal. Because that’s the only way to survive.”

    “That’s why arresting the person who pilots a boat and treating them like a trafficker makes me laugh,” Dieudonne said. Others who have made the journey to Italy report having been forced to drive at gunpoint. “You only do it to be sure you don’t die there,” he said.

    Two years after the fall of Muammar Gaddafi’s government, much of Libya’s northwest coast had become a staging ground for smugglers who organized sea crossings to Europe in large wooden fishing boats. When those ships — overcrowded, underpowered, and piloted by amateurs — inevitably capsized, the deaths were counted by the hundreds.

    In October 2013, two shipwrecks off the coast of the Italian island of Lampedusa took over 400 lives, sparking public outcry across Europe. In response, the Italian state mobilized two plans, one public and the other private.

    “There was a big shock when the Lampedusa tragedy happened,” remembered Italian Sen. Emma Bonino, then the country’s foreign minister. The prime minister “called an emergency meeting, and we decided to immediately launch this rescue program,” Bonino said. “Someone wanted to call the program ‘safe seas.’ I said no, not safe, because it’s sure we’ll have other tragedies. So let’s call it Mare Nostrum.”

    Mare Nostrum — “our sea” in Latin — was a rescue mission in international waters off the coast of Libya that ran for one year and rescued more than 150,000 people. The operation also brought Italian ships, airplanes, and submarines closer than ever to Libyan shores. Roberti, just two months into his job as head of the anti-mafia directorate, saw an opportunity to extend the country’s judicial reach and inflict a lethal blow to smuggling rings in Libya.

    Five days after the start of Mare Nostrum, Roberti launched the private plan: a series of coordination meetings among the highest echelons of the Italian police, navy, coast guard, and judiciary. Under Roberti, these meetings would run for four years and eventually involve representatives from Frontex, Europol, an EU military operation, and even Libya.

    The minutes of five of these meetings, which were presented by Roberti in a committee of the Italian Parliament and obtained by The Intercept, give an unprecedented behind-the-scenes look at the events on Europe’s southern borders since the Lampedusa shipwrecks.

    In the first meeting, held in October 2013, Roberti told participants that the anti-mafia offices in the Sicilian city of Catania had developed an innovative way to deal with migrant smuggling. By treating Libyan smugglers like they had treated the Italian Mafia, prosecutors could claim jurisdiction over international waters far beyond Italy’s borders. That, Roberti said, meant they could lawfully board and seize vessels on the high seas, conduct investigations there, and use the evidence in court.

    The Italian authorities have long recognized that, per international maritime law, they are obligated to rescue people fleeing Libya on overcrowded boats and transport them to a place of safety. As the number of people attempting the crossing increased, many Italian prosecutors and coast guard officials came to believe that smugglers were relying on these rescues to make their business model work; therefore, the anti-mafia reasoning went, anyone who acted as crew or made a distress call on a boat carrying migrants could be considered complicit in Libyan trafficking and subject to Italian jurisdiction. This new approach drew heavily from legal doctrines developed in the United States during the 1980s aimed at stopping drug smuggling.

    European leaders were scrambling to find a solution to what they saw as a looming migration crisis. Italian officials thought they had the answer and publicly justified their decisions as a way to prevent future drownings.

    But according to the minutes of the 2013 anti-mafia meeting, the new strategy predated the Lampedusa shipwrecks by at least a week. Sicilian prosecutors had already written the plan to crack down on migration across the Mediterranean but lacked both the tools and public will to put it into action. Following the Lampedusa tragedy and the creation of Mare Nostrum, they suddenly had both.

    State of Necessity

    In the international waters off the coast of Libya, Dieudonne and 91 others were rescued by a European NGO called Migrant Offshore Aid Station. They spent two days aboard MOAS’s ship before being transferred to an Italian coast guard ship, Nave Dattilo, to be taken to Europe.

    Aboard the Dattilo, coast guard officers asked Dieudonne why he had left his home in Cameroon. He remembers them showing him a photograph of the rubber boat taken from the air. “They asked me who was driving, the roles and everything,” he remembered. “Then they asked me if I could tell him how the trafficking in Libya works, and then, they said, they would give me residence documents.”

    Dieudonne said that he was reluctant to cooperate at first. He didn’t want to accuse any of his peers, but he was also concerned that he could become a suspect. After all, he had helped the driver at points throughout the voyage.

    “I thought that if I didn’t cooperate, they might hurt me,” Dieudonne said. “Not physically hurt, but they could consider me dishonest, like someone who was part of the trafficking.”

    To this day, Dieudonne says he can’t understand why Italy would punish people for fleeing poverty and political violence in West Africa. He rattled off a list of events from the last year alone: draught, famine, corruption, armed gunmen, attacks on schools. “And you try to convict someone for managing to escape that situation?”

    The coast guard ship disembarked in Vibo Valentia, a city in the Italian region of Calabria. During disembarkation, a local police officer explained to a journalist that they had arrested five people. The journalist asked how the police had identified the accused.

    “A lot has been done by the coast guard, who picked [the migrants] up two days ago and managed to spot [the alleged smugglers],” the officer explained. “Then we have witness statements and videos.”

    Cases like these, where arrests are made on the basis of photo or video evidence and statements by witnesses like Dieudonne, are common, said Gigi Modica, a judge in Sicily who has heard many immigration and asylum cases. “It’s usually the same story. They take three or four people, no more. They ask them two questions: who was driving the boat, and who was holding the compass,” Modica explained. “That’s it — they get the names and don’t care about the rest.”

    Modica was one of the first judges in Italy to acquit people charged for driving rubber boats — known as “scafisti,” or boat drivers, in Italian — on the grounds that they had been forced to do so. These “state of necessity” rulings have since become increasingly common. Modica rattled off a list of irregularities he’s seen in such cases: systemic racism, witness statements that migrants later say they didn’t make, interrogations with no translator or lawyer, and in some cases, people who report being encouraged by police to sign documents renouncing their right to apply for asylum.

    “So often these alleged smugglers — scafisti — are normal people who were compelled to pilot a boat by smugglers in Libya,” Modica said.

    Documents of over a dozen trials reviewed by The Intercept show prosecutions largely built on testimony from migrants who are promised a residence permit in exchange for their collaboration. At sea, witnesses are interviewed by the police hours after their rescue, often still in a state of shock after surviving a shipwreck.

    In many cases, identical statements, typos included, are attributed to several witnesses and copied and pasted across different police reports. Sometimes, these reports have been enough to secure decadeslong sentences. Other times, under cross-examination in court, witnesses have contradicted the statements recorded by police or denied giving any testimony at all.

    As early as 2015, attendees of the anti-mafia meetings were discussing problems with these prosecutions. In a meeting that February, Giovanni Salvi, then the prosecutor of Catania, acknowledged that smugglers often abandoned migrant boats in international waters. Still, Italian police were steaming ahead with the prosecutions of those left on board.

    These prosecutions were so important that in some cases, the Italian coast guard decided to delay rescue when boats were in distress in order to “allow for the arrival of institutional ships that can conduct arrests,” a coast guard commander explained at the meeting.

    When asked about the commander’s comments, the Italian coast guard said that “on no occasion” has the agency ever delayed a rescue operation. Delaying rescue for any reason goes against international and Italian law, and according to various human rights lawyers in Europe, could give rise to criminal liability.

    NGOs in the Crosshairs

    Italy canceled Mare Nostrum after one year, citing budget constraints and a lack of European collaboration. In its wake, the EU set up two new operations, one via Frontex and the other a military effort called Operation Sophia. These operations focused not on humanitarian rescue but on border security and people smuggling from Libya. Beginning in 2015, representatives from Frontex and Operation Sophia were included in the anti-mafia directorate meetings, where Italian prosecutors ensured that both abided by the new investigative strategy.

    Key to these investigations were photos from the rescues, like the aerial image that Dieudonne remembers the Italian coast guard showing him, which gave police another way to identify who piloted the boats and helped navigate.

    In the absence of government rescue ships, a fleet of civilian NGO vessels began taking on a large number of rescues in the international waters off the coast of Libya. These ships, while coordinated by the Italian coast guard rescue center in Rome, made evidence-gathering difficult for prosecutors and judicial police. According to the anti-mafia meeting minutes, some NGOs, including MOAS, routinely gave photos to Italian police and Frontex. Others refused, arguing that providing evidence for investigations into the people they saved would undermine their efficacy and neutrality.

    In the years following Mare Nostrum, the NGO fleet would come to account for more than one-third of all rescues in the central Mediterranean, according to estimates by Operation Sophia. A leaked status report from the operation noted that because NGOs did not collect information from rescued migrants for police, “information essential to enhance the understanding of the smuggling business model is not acquired.”

    In a subsequent anti-mafia meeting, six prosecutors echoed this concern. NGO rescues meant that police couldn’t interview migrants at sea, they said, and cases were getting thrown out for lack of evidence. A coast guard admiral explained the importance of conducting interviews just after a rescue, when “a moment of empathy has been established.”

    “It is not possible to carry out this task if the rescue intervention is carried out by ships of the NGOs,” the admiral told the group.

    The NGOs were causing problems for the DNAA strategy. At the meetings, Italian prosecutors and representatives from the coast guard, navy, and Interior Ministry discussed what they could do to rein in the humanitarian organizations. At the same time, various prosecutors were separately fixing their investigative sights on the NGOs themselves.

    In late 2016, an internal report from Frontex — later published in full by The Intercept — accused an NGO vessel of directly receiving migrants from Libyan smugglers, attributing the information to “Italian authorities.” The claim was contradicted by video evidence and the ship’s crew.

    Months later, Carmelo Zuccaro, the prosecutor of Catania, made public that he was investigating rescue NGOs. “Together with Frontex and the navy, we are trying to monitor all these NGOs that have shown that they have great financial resources,” Zuccaro told an Italian newspaper. The claim went viral in Italian and European media. “Friends of the traffickers” and “migrant taxi service” became common slurs used toward humanitarian NGOs by anti-immigration politicians and the Italian far right.

    Zuccaro would eventually walk back his claims, telling a parliamentary committee that he was working off a hypothesis at the time and had no evidence to back it up.

    In an interview with a German newspaper in February 2017, the director of Frontex, Fabrice Leggeri, refrained from explicitly criticizing the work of rescue NGOs but did say they were hampering police investigations in the Mediterranean. As aid organizations assumed a larger percentage of rescues, Leggeri said, “it is becoming more difficult for the European security authorities to find out more about the smuggling networks through interviews with migrants.”

    “That smear campaign was very, very deep,” remembered Bonino, the former foreign minister. Referring to Marco Minniti, Italy’s interior minister at the time, she added, “I was trying to push Minniti not to be so obsessed with people coming, but to make a policy of integration in Italy. But he only focused on Libya and smuggling and criminalizing NGOs with the help of prosecutors.”

    Bonino explained that the action against NGOs was part of a larger plan to change European policy in the central Mediterranean. The first step was the shift away from humanitarian rescue and toward border security and smuggling. The second step “was blaming the NGOs or arresting them, a sort of dirty campaign against them,” she said. “The results of which after so many years have been no convictions, no penalties, no trials.”

    Finally, the third step was to build a new coast guard in Libya to do what the Europeans couldn’t, per international law: intercept people at sea and bring them back to Libya, the country from which they had just fled.

    At first, leaders at Frontex were cautious. “From Frontex’s point of view, we look at Libya with concern; there is no stable state there,” Leggeri said in the 2017 interview. “We are now helping to train 60 officers for a possible future Libyan coast guard. But this is at best a beginning.”

    Bonino saw this effort differently. “They started providing support for their so-called coast guard,” she said, “which were the same traffickers changing coats.”
    Rescued migrants disembarking from a Libyan coast guard ship in the town of Khoms, a town 120 kilometres (75 miles) east of the capital on October 1, 2019.

    Same Uniforms, Same Ships

    Safe on land in Italy, Dieudonne was never called to testify in court. He hopes that none of his peers ended up in prison but said he would gladly testify against the traffickers if called. Aboard the coast guard ship, he remembers, “I gave the police contact information for the traffickers, I gave them names.”

    The smuggling operations in Libya happened out in the open, but Italian police could only go as far as international waters. Leaked documents from Operation Sophia describe years of efforts by European officials to get Libyan police to arrest smugglers. Behind closed doors, top Italian and EU officials admitted that these same smugglers were intertwined with the new Libyan coast guard that Europe was creating and that working with them would likely go against international law.

    As early as 2015, multiple officials at the anti-mafia meetings noted that some smugglers were uncomfortably close to members of the Libyan government. “Militias use the same uniforms and the same ships as the Libyan coast guard that the Italian navy itself is training,” Rear Adm. Enrico Credendino, then in charge of Operation Sophia, said in 2017. The head of the Libyan coast guard and the Libyan minister of defense, both allies of the Italian government, Credendino added, “have close relationships with some militia bosses.”

    One of the Libyan coast guard officers playing both sides was Abd al-Rahman Milad, also known as Bija. In 2019, the Italian newspaper Avvenire revealed that Bija participated in a May 2017 meeting in Sicily, alongside Italian border police and intelligence officials, that was aimed at stemming migration from Libya. A month later, he was condemned by the U.N. Security Council for his role as a top member of a powerful trafficking militia in the coastal town of Zawiya, and for, as the U.N. put it, “sinking migrant boats using firearms.”

    According to leaked documents from Operation Sophia, coast guard officers under Bija’s command were trained by the EU between 2016 and 2018.

    While the Italian government was prosecuting supposed smugglers in Italy, they were also working with people they knew to be smugglers in Libya. Minniti, Italy’s then-interior minister, justified the deals his government was making in Libya by saying that the prospect of mass migration from Africa made him “fear for the well-being of Italian democracy.”

    In one of the 2017 anti-mafia meetings, a representative of the Interior Ministry, Vittorio Pisani, outlined in clear terms a plan that provided for the direct coordination of the new Libyan coast guard. They would create “an operation room in Libya for the exchange of information with the Interior Ministry,” Pisani explained, “mainly on the position of NGO ships and their rescue operations, in order to employ the Libyan coast guard in its national waters.”

    And with that, the third step of the plan was set in motion. At the end of the meeting, Roberti suggested that the group invite representatives from the Libyan police to their next meeting. In an interview with The Intercept, Roberti confirmed that Libyan representatives attended at least two anti-mafia meetings and that he himself met Bija at a meeting in Libya, one month after the U.N. Security Council report was published. The following year, the Security Council committee on Libya sanctioned Bija, freezing his assets and banning him from international travel.

    “We needed to have the participation of Libyan institutions. But they did nothing, because they were taking money from the traffickers,” Roberti told us from the cafe in Naples. “They themselves were the traffickers.”
    A Place of Safety

    Roberti retired from the anti-mafia directorate in 2017. He said that under his leadership, the organization was able to create a basis for handling migration throughout Europe. Still, Roberti admits that his expansion of the DNAA into migration issues has had mixed results. Like his trip to Germany in the ’90s with Giovanni Falcone, Roberti said the anti-mafia strategy faltered because of a lack of collaboration: with the NGOs, with other European governments, and with Libya.

    “On a European level, the cooperation does not work,” Roberti said. Regarding Libya, he added, “We tried — I believe it was right, the agreements [the government] made. But it turned out to be a failure in the end.”

    The DNAA has since expanded its operations. Between 2017 and 2019, the Italian government passed two bills that put the anti-mafia directorate in charge of virtually all illegal immigration matters. Since 2017, five Sicilian prosecutors, all of whom attended at least one anti-mafia coordination meeting, have initiated 15 separate legal proceedings against humanitarian NGO workers. So far there have been no convictions: Three cases have been thrown out in court, and the rest are ongoing.

    Earlier this month, news broke that Sicilian prosecutors had wiretapped journalists and human rights lawyers as part of one of these investigations, listening in on legally protected conversations with sources and clients. The Italian justice ministry has opened an investigation into the incident, which could amount to criminal behavior, according to Italian legal experts. The prosecutor who approved the wiretaps attended at least one DNAA coordination meeting, where investigations against NGOs were discussed at length.

    As the DNAA has extended its reach, key actors from the anti-mafia coordination meetings have risen through the ranks of Italian and European institutions. One prosecutor, Federico Cafiero de Raho, now runs the anti-mafia directorate. Salvi, the former prosecutor of Catania, is the equivalent of Italy’s attorney general. Pisani, the former Interior Ministry representative, is deputy head of the Italian intelligence services. And Roberti is a member of the European Parliament.

    Cafiero de Raho stands by the investigations and arrests that the anti-mafia directorate has made over the years. He said the coordination meetings were an essential tool for prosecutors and police during difficult times.

    When asked about his specific comments during the meetings — particularly statements that humanitarian NGOs needed to be regulated and multiple admissions that members of the new Libyan coast guard were involved in smuggling activities — Cafiero de Raho said that his remarks should be placed in context, a time when Italy and the EU were working to build a coast guard in a part of Libya that was largely ruled by local militias. He said his ultimate goal was what, in the DNAA coordination meetings, he called the “extrajudicial solution”: attempts to prove the existence of crimes against humanity in Libya so that “the United Nation sends troops to Libya to dismantle migrants camps set up by traffickers … and retake control of that territory.”

    A spokesperson for the EU’s foreign policy arm, which ran Operation Sophia, refused to directly address evidence that leaders of the European military operation knew that parts of the new Libyan coast guard were also involved in smuggling activities, only noting that Bija himself wasn’t trained by the EU. A Frontex spokesperson stated that the agency “was not involved in the selection of officers to be trained.”

    In 2019, the European migration strategy changed again. Now, the vast majority of departures are intercepted by the Libyan coast guard and brought back to Libya. In March of that year, Operation Sophia removed all of its ships from the rescue area and has since focused on using aerial patrols to direct and coordinate the Libyan coast guard. Human rights lawyers in Europe have filed six legal actions against Italy and the EU as a result, calling the practice refoulement by proxy: facilitating the return of migrants to dangerous circumstances in violation of international law.

    Indeed, throughout four years of coordination meetings, Italy and the EU were admitting privately that returning people to Libya would be illegal. “Fundamental human rights violations in Libya make it impossible to push migrants back to the Libyan coast,” Pisani explained in 2015. Two years later, he outlined the beginnings of a plan that would do exactly that.

    The Result of Mere Chance

    Dieudonne knows he was lucky. The line that separates suspect and victim can be entirely up to police officers’ first impressions in the minutes or hours following a rescue. According to police reports used in prosecutions, physical attributes like having “a clearer skin tone” or behavior aboard the ship, including scrutinizing police movements “with strange interest,” were enough to rouse suspicion.

    In a 2019 ruling that acquitted seven alleged smugglers after three years of pretrial detention, judges wrote that “the selection of the suspects on one side, and the witnesses on the other, with the only exception of the driver, has almost been the result of mere chance.”

    Carrying out work for their Libyan captors has cost other migrants in Italy lengthy prison sentences. In September 2019, a 22-year-old Guinean nicknamed Suarez was arrested upon his arrival to Italy. Four witnesses told police he had collaborated with prison guards in Zawiya, at the immigrant detention center managed by the infamous Bija.

    “Suarez was also a prisoner, who then took on a job,” one of the witnesses told the court. Handing out meals or taking care of security is what those who can’t afford to pay their ransom often do in order to get out, explained another. “Unfortunately, you would have to be there to understand the situation,” the first witness said. Suarez was sentenced to 20 years in prison, recently reduced to 12 years on appeal.

    Dieudonne remembered his journey at sea vividly, but with surprising cool. When the boat began taking on water, he tried to help. “One must give help where it is needed.” At his office in Bari, Dieudonne bent over and moved his arms in a low scooping motion, like he was bailing water out of a boat.

    “Should they condemn me too?” he asked. He finds it ironic that it was the Libyans who eventually arrested Bija on human trafficking charges this past October. The Italians and Europeans, he said with a laugh, were too busy working with the corrupt coast guard commander. (In April, Bija was released from prison after a Libyan court absolved him of all charges. He was promoted within the coast guard and put back on the job.)

    Dieudonne thinks often about the people he identified aboard the coast guard ship in the middle of the sea. “I told the police the truth. But if that collaboration ends with the conviction of an innocent person, it’s not good,” he said. “Because I know that person did nothing. On the contrary, he saved our lives by driving that raft.”

    https://theintercept.com/2021/04/30/italy-anti-mafia-migrant-rescue-smuggling

    #Méditerranée #Italie #Libye #ONG #criminalisation_de_la_solidarité #solidarité #secours #mer_Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #violence #passeurs #Méditerranée_centrale #anti-mafia #anti-terrorisme #Direzione_nazionale_antimafia_e_antiterrorismo #DNAA #Frontex #Franco_Roberti #justice #politique #Zuwara #torture #viol #Mare_Nostrum #Europol #eaux_internationales #droit_de_la_mer #droit_maritime #juridiction_italienne #arrestations #Gigi_Modica #scafista #scafisti #état_de_nécessité #Giovanni_Salvi #NGO #Operation_Sophia #MOAS #DNA #Carmelo_Zuccaro #Zuccaro #Fabrice_Leggeri #Leggeri #Marco_Minniti #Minniti #campagne #gardes-côtes_libyens #milices #Enrico_Credendino #Abd_al-Rahman_Milad #Bija ##Abdurhaman_al-Milad #Al_Bija #Zawiya #Vittorio_Pisani #Federico_Cafiero_de_Raho #solution_extrajudiciaire #pull-back #refoulement_by_proxy #refoulement #push-back #Suarez

    ping @karine4 @isskein @rhoumour

  • 1) #Marco_Minniti si dimette da parlamentare. Sarà presidente della fondazione Leonardo (#Finmeccanica)

    2) Chissà a che punto è quel progetto per il controllo delle frontiere libiche il cui valore è passato da 300 a 900 milioni. Era il 2017...

    https://twitter.com/nelloscavo/status/1365621593171517442

    #Minniti #Fondazione_Leonardo #fondation

    #frontières #business #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #complexe_militaro-industriel

    –—
    Pour rappel, c’est Minniti qui avait déclaré que « la frontière Sud de la Libye est la frontière sud de l’Europe » :

    Il ministro dell’interno italiano, Minniti, dichiara al Corriere che:
    «Il confine sud della Libia è il confine sud dell’Europa»

    https://seenthis.net/messages/604039

    –---

    voir aussi ce long fil de discussion (2017) à partir de cet article :
    Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger


    https://seenthis.net/messages/600874

    –—

    Le site de la Fondation Leonardo :
    https://www.fondazioneleonardo-cdm.com

  • La ministra #Lamorgese vuole un nuovo codice di condotta per le ong

    Un nuovo codice di condotta per le ong: sarebbe questa la proposta della ministra dell’interno #Luciana_Lamorgese che il 25 ottobre ha convocato al Viminale le organizzazioni non governative attive nei soccorsi nel Mediterraneo centrale. La proposta ha sorpreso gli operatori umanitari, che avevano già sottoscritto un altro controverso codice di condotta nell’estate del 2017 al termine di una lunga campagna di criminalizzazione che li accusava di essere “taxi del mare”. Durante l’incontro, la ministra Lamorgese ha accusato le navi di soccorso delle ong di essere un fattore di attrazione (#pull_factor) per i migranti che scappano dalla Libia a bordo di imbarcazioni e gommoni.

    L’accusa di pull factor è particolarmente rilevante, perché era stata usata sia contro la missione umanitaria governativa Mare nostrum nel 2013 da parte di alcuni governi europei sia contro le navi umanitarie alla fine del 2016 e ha costituito il nucleo centrale intorno al quale si sono articolate tutte le accuse contro le ong del mare negli ultimi anni. Tuttavia è stata smentita da numerosi studi e ricerche universitarie come quella dell’università Goldsmith di Londra e quella di Matteo Villa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Secondo lo studio dell’università Goldsmith, le partenze dalla Libia sono aumentate nei primi quattro mesi del 2015, per esempio, quando in mare non c’erano navi di soccorso, né militari né civili.

    L’Ispi, che raccoglie i dati delle partenze dalla Libia dal 2014 e li mette in relazione con la presenza di navi di soccorso, ha escluso in maniera categorica che ci sia una relazione tra le partenze e la presenza delle navi. In un’intervista recente il ricercatore #Matteo_Villa aveva detto a Internazionale: “Dal 1 gennaio al 24 settembre 2019 sono partite dalla Libia una media di 46 persone al giorno in presenza di navi di soccorso e 45 persone al giorno in assenza di navi di soccorso. Un numero identico di persone”.

    Le crisi in mare
    All’incontro al Viminale, a cui hanno partecipato anche funzionari del ministero dell’interno, del ministero degli esteri e del Comando generale delle capitanerie di porto, erano presenti rappresentanti delle ong Medici senza frontiere, Mediterranea, Open Arms, Pilotes Volontaires, Sea Eye, Sea Watch e Sos Meditérranée che hanno portato alla ministra le loro richieste: rimettere al centro l’obbligo del soccorso in mare, evitare ritardi, omissioni di intervento e mancanza di comunicazione sulle imbarcazioni in difficoltà, sospendere la collaborazione con la cosiddetta guardia costiera libica che intercetta le persone in mare e le riporta indietro in Libia, violando il diritto internazionale, definire con l’Europa un sistema strutturale e condiviso di sbarco in un vicino porto sicuro, evitando giorni di stallo e attesa in mare in condizioni di difficoltà.

    Nel secondo governo Conte le crisi in mare sono continuate, ma sono durate in media di meno rispetto al primo governo Conte, quando il ministro dell’interno era Matteo Salvini: la crisi più lunga durante il Conte 1 è durata venti giorni, secondo i dati raccolti dall’Ispi. Mentre nel Conte 2 la crisi più lunga è durata undici giorni.

    Le ultime crisi in mare hanno riguardato la Ocean Viking, di Medici senza frontiere e Sos Meditérranée, che è attraccata nel porto di Pozzallo dopo undici giorni di stallo in mare; la nave Alan Kurdi, ancora in mare dopo sei giorni con 90 persone a bordo; e la nave Open Arms, che ha recentemente soccorso 15 persone.

    Il nuovo codice di condotta
    Il primo codice di condotta, imposto alle ong nell’estate del 2017, era un regolamento di tipo amministrativo, firmato dalla maggior parte delle ong attive in quel momento. Il codice vietava, tra le altre cose, alle navi umanitarie di entrare nelle acque territoriali libiche, di spegnere i transponder delle navi, di fare segnali luminosi e di fare trasbordi. Gli operatori umanitari giudicarono la maggior parte di quelle norme inutili, perché già previste dalle normative marittime internazionali e in generale dannose perché avrebbero potuto rallentare gli interventi di soccorso e rafforzare nell’opinione pubblica italiana l’idea che le ong stessero agendo non in linea con le leggi internazionali e che non si stessero coordinando con le autorità.

    Nella bozza di accordo di Malta – redatta dai ministri dell’interno di Italia, Germania, Francia, Malta e Finlandia alla fine di settembre del 2019 – è stata inglobata una parte delle regole del codice di condotta italiano del 2017. Questo elemento confermerebbe la volontà dell’attuale ministero dell’interno italiano di imporre un nuovo codice di condotta alle ong, in una situazione che però è radicalmente cambiata rispetto al passato, perché nel frattempo a coordinare i soccorsi non c’è più la Centrale operativa della guardia costiera italiana (Mrcc), come avveniva invece nel 2017. La Libia nel 2018 ha proclamato l’istituzione di una propria zona di ricerca e soccorso (Sar), che gli è stata concessa dalle autorità marittime internazionali. Nella bozza dell’accordo di Malta infatti si chiede alle ong di non interferire con l’attività della cosiddetta guardia costiera libica.

    E infine anche i libici hanno redatto un proprio codice di condotta per le ong, che è stato consegnato alle autorità italiane il 9 ottobre e che è allo studio di guardia di finanza, marina militare e guardia costiera. Il codice libico non è un semplice regolamento come quello italiano, bensì è un decreto firmato dal presidente Fayez al Serraj sulle “regole di comportamento relativo al lavoro delle organizzazioni internazionali e non governative nell’area Sar libica”. Il codice libico impone alle ong che vogliono operare nella Sar libica di coordinarsi obbligatoriamente con la Centrale operativa di Tripoli e di registrarsi presso le autorità dello stato nordafricano.

    Il codice, inoltre, impone alle navi umanitarie di chiedere l’autorizzazione a Tripoli per operare soccorsi e inoltre stabilisce il diritto dei guardacoste libici di salire a bordo delle imbarcazioni per motivi di ordine legale o inerenti alla sicurezza e di sequestrare le navi e portarle in Libia nel caso che sia riscontrata una violazione del codice libico. Uno scenario particolarmente allarmante e in contrasto con le leggi internazionali, se si considera che le ong finora hanno rifiutato quasi sempre il coordinamento dei soccorsi da parte della Libia, un paese considerato non sicuro. Resta quindi da capire in che modo il nuovo codice di condotta italiano terrà conto delle regole stabilite dai libici.

    https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/10/31/lamorgese-codice-condotta-ong
    #code_de_conduite #code_de_conduite_bis (après celui de #Minniti, #2017) #ONG #sauvetage #asile #migrations #frontières #Méditerranée

  • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong
    Articolo (1)

    Definizioni:

    Nell’applicazione delle disposizioni si specifica sotto il significato dei Termini usati.

    Dispositivo: Dispositivo di guardia costiera e la sicurezza dei porti

    Autorità marittima Libica: Autorità portuali e trasporto marittimo

    Organizzazioni: Organizzazioni governativi e non governativi impegnati nel salvataggio degli immigrati clandestini nel mare

    Immigrati: Immigrati clandestini

    Area dichiarata: Area marittima di ricerca e salvataggio sotto controllo dello stato Libico come previsto dal coordinamento dell’organizzazione internazionale marittima (#IMO)

    Il centro (#LMRCC): Il centro di coordinamento delle ricerche e salvataggio marittimo Libico dipendente del consiglio di guardia costiera e la sicurezza dei porti.

    Autorità esecutiva: Autorità di competenza del dispositivo di guardia delle coste e sicurezza dei porti o qualsiasi altra entità autorizzata da parte del governo Libico.

    Unità Marittime: Navi e barche usati da parte delle organizzazioni governativi e non governativi impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (2)

    Sono regolate a seconda delle disposizioni di questa tabella, le misure di cooperazione nella zona di ricerca e salvataggio marittimo sotto responsabilità dello stato Libico e secondo quanto dichiarato dall’organizzazione marittima internazionale (IMO) del 10 Giugno 2017

    Articolo (3)

    Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (4)

    Il Dispositivo della Guardia Costiera e Sicurezza dei porti si occupa di:

    Gestione dell’area di ricerca e salvataggio nelle acque Libiche
    Comando delle operazioni di ricerca e salvataggio nella Zona dichiarata.

    Il Centro di ricerca e salvataggio marittimo LMRCC coordina le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo nella regione.

    Articolo (5)

    Le organizzazioni interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo nell’area gestita dal Dispositivo, devono presentare una domanda di autorizzazione che alleghiamo al presente accordo, secondo il modello (T.T.A./019). Il Dispositivo si occupa della trasmissione della domanda alle autorità marittime Libiche per il rilascio dell’autorizzazione di collaborazione a seconda delle normative.

    Articolo (6)

    Le unità marittime affiliate all’organizzazione di ricerca e salvataggio in mare, durante il lavoro nell’area devono fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento – al centro di coordinamento libico per il salvataggio in mare (LMRCC).

    Articolo (7)

    In caso d’ingresso, per i casi emergenziali e speciali, nelle acque territoriali libiche, si può ricevere assistenza immediata previo autorizzazione e supervisione del centro(LMRCC).

    Articolo (8)

    Le unità marittime affiliate all’ organizzazione s’impegnano a lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto. A non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area dichiarata e a lasciargli la precedenza d’intervento.

    Articolo (9)

    Le unità marittime delle organizzazioni s’impegnano e si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro (LMRCC) e (si impegnano) a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa che intendano implementare autonomamente anche se è considerata necessaria e urgente nell’area.

    Articolo (10)

    I capitani delle navi affiliate alle organizzazioni che lavorano nell’area, devono notificare tutti gli interventi legati alla sicurezza marittima o altri atti sospetti.

    Articolo (11)

    Per quanto riguarda il diritto di visita, il personale del Dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera.

    Articolo (12)

    I naufraghi salvati nell’area, da parte delle organizzazioni, non vengono rimandati allo Stato Libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza.

    Articolo (13)

    Dopo il completamento delle operazioni di ricerca e salvataggio da parte delle organizzazioni, le barche e i motori usati nelle operazioni di contrabbando, saranno consegnati allo Stato libico e saranno sottoposti all’applicazione della legislazione in vigore.

    In tutte le circostanze va avvisato il Centro su tutti gli aspetti che riguardano la sicurezza di navigazione e il rischio d’inquinamento durante le attività di ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (14)

    Salvo le comunicazioni necessarie nel contesto delle operazioni di salvataggio e, per salvaguardare la sicurezza delle vite in mare, le unità marittime affiliate alle organizzazioni s’impegnano a non mandare nessuna comunicazione o segnale di luce o altri effetti per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso loro.

    Articolo (15)

    Secondo il capitolo V della convenzione internazionale per la sicurezza delle vite in mare(SOLVAS-74) e le sue Modifiche; non sospendere o ritardare i tempi regolari dei segnali d’identificazione sistematica (AIS) e i segnali d’identificazione e localizzazione a lungo raggio(LRIT) delle navi per garantire la sicurezza della navigazione e la sicurezza delle navi che non sono coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio.

    Articolo (16)

    In conformità alle sue competenze di controllo, il Dispositivo controlla tutte le navi e unità marittime affiliate alle organizzazioni che violano le disposizioni del presente regolamento e le conducono al porto marittimo libico più vicino.

    Articolo (17)

    L’autorità marittima, nell’area dichiarata, esegue la procedura d’infrazione con le navi e le unità sequestrate e sospettate in coordinamento con le altre autorità coinvolte. E ove applicabile saranno esposte davanti alla procura pubblica.

    Articolo (18)

    In caso di violazione del presente accordo sarà ritirata l’autorizzazione di cooperazione rilasciata all’organizzazione che opera nell’area, verrà cancellato il nome dell’organizzazione e non sarà concessa un’altra autorizzazione in caso di ripetizione delle violazioni degli obblighi contenuti nel presente accordo.

    Articolo (19)

    Il presente decreto entra in vigore dalla sua data di emissione, l’autorità vigilano alla sua esecuzione

    14/09/2019

    http://www.integrationarci.it/2019/10/29/migranti-il-governo-libico-emette-decreto-per-neutralizzare-le-ong
    #Libye #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #ONG #décret #gardes-côtes

    Commentaire de Sara Prestianni, via la mailing-list Migreurop:

    Après avoir crée une zone SAR et un MRCC (grâce au soutien logistique italien et aux fonds européen) le Gouv Serraj produit un code de conduite pour les ong qui entreraient dans la zone SAR Libyenne - qui rassemble beaucoup au code de conduit proposé par Minniti en l’été 2017 - et qui de fait met sous coordination des libyens leurs actions.

    #code_de_conduite #SAR #Libye #SAR_libyenne #Minniti

    Sur le code de conduite de 2017:
    https://seenthis.net/messages/514535#message614460
    Et plus largement ici:
    https://seenthis.net/messages/514535

    • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong

      Ecco il testo: “Autorizzazione preventiva al soccorso, polizia a bordo e sequestro per chi non obbedisce, i naufraghi mai in Libia”

      Il decreto, emesso dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico, porta la data del 14 settembre e ha come oggetto “il trattamento speciale delle organizzazioni internazionali e non governative nella zona libica di ricerca e salvataggio marittimo”. E’ stato inviato anche in Italia ed è un grottesco quanto pericoloso tentativo di ostacolare ancor di più l’operato delle navi umanitarie ma soprattutto di aggredirle con operazioni di polizia con la minaccia di condurle e sequestrarle nei porti libici. Un decreto che, alla vigilia della scadenza del patto tra Italia e Libia, desta ulteriori preoccupazioni anche perché alle Ong, che continuano ad operare in zona Sar libica, non è mai stato sottoposto. Ma è già, almeno sulla carta operativo. E, per assurdo che sembri, prevede che i naufraghi salvati non possano essere portati in Libia.Il decreto, che Repubblica ha consultato tradotto dall’ufficio immigrazione Arci, consta di 19 articoli ed esordisce così: “Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo”.

      Alle Ong “interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo” è imposto di presentare una preventiva domanda di autorizzazione alle autorità libiche a cui sono obbligate “ a fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento.Ed ecco le condizioni che vengono imposte alle navi umanitarie: “lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto, non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area e lasciare la precedenza d’intervento”. “Le Ong si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro e si impegnano a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa anche se è considerata necessaria e urgente”.E poi gli articoli che più preoccupano le Ong perché preludono ad un intervento di tipo poliziesco e autorizzano la Guardia costiera libica a salire a bordo delle navi. “Il personale del dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera”.

      L’articolo 12 è il più contraddittorio perché a fronte di una rivendicazione di coordinamento assoluto degli interventi di soccorso nella sua zona Sar, prescrive che “i naufraghi salvati dalle organizzazioni non vengono rimandati nello stato libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza”. La Libia invece vuole “le barche e i motori usati”.Alle Ong è richiesto di “non mandare alcuna comunicazione o segnale di luce per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso di loro.Infine le sanzioni: “ tutte le navi che violano le disposizioni del presente regolamento verranno condotte al porto libico più vicino e sequestrate. E non verrà più concessa alcuna autorizzazione”.

      “Il «codice Minniti libico» per le Ong è, come quello dell’ex Ministro italiano, un atto che punta ad ostacolare e criminalizzare i salvataggi in mare - commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci -Per di più è illegittimo, essendo stato emanato non da uno stato sovrano, ma da una delle parti in causa nella guerra civile in atto. Le ragioni che dovrebbero spingere verso la chiusura degli accordi con la Libia sono tali ed evidenti che chi si rifiuterà di farlo si renderà complice di questi criminali.Il «codice Minniti libico» conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, le ragioni che ci spingono a chiedere la cancellazione degli accordi con la Libia e l’azzeramento del Memorandun. Per cambiare pagina si ponga fine a questa follia e si metta subito in campo un piano straordinario di evacuazione delle persone detenute.”

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/29/news/migranti_il_governo_libico_emette_decreto_per_neutralizzare_le_ong-239783
      #gardes-côtes_libyens

  • #Minniti: ‘Affidare il salvataggio dei naufraghi ai libici è stato un drammatico errore’

    Marco Minniti (PD): ‘Il problema è chi risponde al telefono. Prima rispondeva la guardia costiera italiana, ma ora nel Mediterraneo centrale non operiamo più… e la guardia costiera libica non è in grado di salvare i naufraghi’

    http://www.la7.it/piazzapulita/video/giannini-%E2%80%98l%E2%80%99italia-in-libia-ha-scommesso-sul-cavallo-sbagliato%E
    #ONG #sauvetage #asile #migrations #Méditerranée #réfugiés #erreur #erreur_dramatique #gardes-côtes_libyens #Libye
    via @isskein

    J’ai ajouté à cette métaliste:
    https://seenthis.net/messages/731749#message765324

    • «La guardiacostiera libica non è preparata a svolgere attività di coordinamento e salvataggio in mare. È stato un tragico errore». L’ex ministro Minniti dice la verità. Finalmente. Dopo centinaia di morti.

      https://twitter.com/openarms_it/status/1116448798472134656

      Traduction de @isskein :

      « Les garde-côtes libyens ne sont pas prêts à mener des activités de coordination et de sauvetage en mer. C’était une erreur tragique » L’ancien ministre Minniti (qui a lancé es négociations avec les Libyens) dit la vérité. Enfin. Après des centaines de morts.

      https://twitter.com/isskein/status/1116452323050565641?s=12

    • Warning of ’Libyan death zone’ as Tripoli stops migrant rescues

      The Libyan Coast Guard has not been operating in its maritime rescue zone for three weeks. A German search and rescue NGO, Sea-Eye, has called for Malta to take over and has warned of a ’Libyan death zone.’

      Sea-Eye says the United Nations refugee agency, the UNHCR, has confirmed that there has been no search and rescue activity by the Libyan Coast Guard in the maritime rescue zone since April 10. The claim is supported by a UN official in Tripoli with access to “official information,” according to the Italian newspaper Avvenire.

      Avvenire alleges that Libyan patrol boats normally used for search and rescue, which include some supplied by Italy and France, are being deployed for combat.operations in the civil war. Since the beginning of April, hundreds of people have been killed in fighting between the Haftar Libyan National Army and the internationally-recognized Government of National Accord. “Obviously, the government of Tripoli has its own problems instead of dealing with EU border protection,” says Gorden Isler, a spokesperson for Sea-Eye.

      Blackout

      The Sea-Eye search and rescue vessel, the Alan Kurdi, will spend the next month in a Spanish shipyard for routine maintenance, leaving one other NGO ship, the Mare Jonio, in action in the Central Mediterranean.

      With very few NGOs active in the area and the International Organization for Migration (IOM) unable to work in Tripoli, Isler says there is no information about emergencies or drownings at sea. Sea-Eye has not heard of any rescues since April 10.

      However, this tweet from Alarm Phone, the hotline for people in distress at sea, says a group of 23 people was picked up by a fishing boat and returned to Libya yesterday.

      Leaving rescue to Libyans ’irresponsible’

      With Libya “paralyzed” by civil war, Europe must step in now and take over rescue work in the Mediterranean, says Isler. Sea-Eye wants immediate action from the International Maritime Organization to remove responsibility for the sea area from Libya, or “Libya’s so-called search and rescue zone will become a Libyan death zone.”

      Sea-Eye says Libya had conducted few missions in its search and rescue zone before the escalation of civil conflict, with only 12 operations this year. During the period in which the Sea-Eye’s vessel was in the area, between March 25 and April 3, the Libyan Coast Guard (LCG) failed to engage in three separate emergencies, according to Isler. “Rubber boats with people disappear without any LCG activities. It is irresponsible to leave this search and rescue area to the Libyans.”

      Malta urged to take over

      Italy handed over responsibility for rescuing migrants in the search and rescue zone to Libya last June. In February, the German left-wing party, Die Linke, called for administration of the zone to be given back to the Maritime Rescue Coordination Center in Rome. But the prospect of Italy agreeing to take back responsibility, Isler says, is “probably an illusion”.

      The best option now, according to Sea-Eye, is Malta, a small archipelago with a population of about half a million. The NGO argues that the country is capable of taking responsibility for the search and rescue zone “in principle”.

      But Malta has so far given no public sign that it would be willing to take over from Libya. Earlier this month, the Maltese government forced the Alan Kurdi, with 62 rescued migrants on board, to remain at sea for days while European countries argued over who would take them in. “Once again, the European Union’s smallest state has been put under pointless pressure in being tasked with resolving an issue which was not its responsibility,” the government complained.

      Sea-Eye says a resolution involving Malta must include support from other EU member states, particularly Germany. “We hope that our own government will lead by example and play an important role in supporting Malta,” Isler says.

      https://www.infomigrants.net/en/post/16615/warning-of-libyan-death-zone-as-tripoli-stops-migrant-rescues

  • Dai dati biometrici alle motovedette : ecco il #business della frontiera

    La gestione delle frontiere europee è sempre di più un affare per le aziende private. Dai Fondi per la difesa a quelli per la cooperazione e la ricerca: l’Ue implementa le risorse per fermare i flussi.

    Sono 33 i miliardi che l’Europa ha intenzione di destinare dal 2021 al 2027 alla gestione del fenomeno migratorio e, in particolare, al controllo dei confini. La cifra, inserita nel #Mff, il #Multiannual_Financial_Framework (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2018%3A321%3AFIN), (ed ora in discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio) rappresenta il budget complessivo Ue per la gestione delle frontiere esterne, dei flussi migratori e dei flussi di rifugiati. E viene notevolmente rafforzata rispetto al periodo precedente (2016-2020) quando i miliardi stanziati erano 12,4. Meno della metà.

    A questo capitolo di spesa contribuiscono strumenti finanziari diversi: dal fondo sulla sicurezza interna (che passa da 3,4 a 4,8 miliardi) a tutto il settore della cooperazione militare, che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, come accade già per le due missioni italiane in Libia e in Niger. Anche una parte dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e di quello per la Pace saranno devoluti allo sviluppo di nuove tecnologie militari per fermare i flussi in mare e nel deserto. Stessa logica per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi proveniente dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo Centrale.

    Un grande business in cui rientrano anche i Fondi alla ricerca. La connessione tra gestione della migrazione, #lobby della sicurezza e il business delle imprese private è al centro di un’indagine di Arci nell’ambito del progetto #Externalisation_Policies_Watch, curato da Sara Prestianni. “Lo sforzo politico nella chiusura delle frontiere si traduce in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza - sottolinea Prestianni -. La dimensione europea della migrazione si allontana sempre più dal concetto di protezione in favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza, che ha una logica repressiva. Chi ne fa le spese sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e propri o business”. Tra gli aspetti più interessanti c’è l’utilizzo del Fondo alla ricerca Orizon 20-20 per ideare strumenti di controllo. “Qui si entra nel campo della biometria: l’obiettivo è dotare i paesi africani di tutto un sistema di raccolta di dati biometrici per fermare i flussi ma anche per creare un’enorme banca dati che faciliti le politiche di espulsione - continua Prestianni -. Questo ha creato un mercato, ci sono diverse imprese che hanno iniziato ad occuparsi del tema. Tra le aziende europee leader in questi appalti c’è la francese #Civipol, che ha il monopolio in vari paesi di questo processo. Ma l’interconnessione tra politici e lobby della sicurezza è risultata ancor più evidente al #Sre, #Research_on_Security_event, un incontro che si è svolto a Bruxelles a dicembre, su proposta della presidenza austriaca: seduti negli stessi panel c’erano rappresentanti della commissione europea, dell’Agenzia #Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza. Tutti annuivano sulla necessità di aprire un mercato europeo della frontiera, dove lotta alla sicurezza e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente”.

    In questo contesto, non è marginale il ruolo dell’Italia. “L’idea di combattere i traffici e tutelare i diritti nasce con #Tony_Blair, ma già allora l’obiettivo era impedire alle persone di arrivare in Europa - sottolinea Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci -. Ed è quello a cui stiamo assistendo oggi in maniera sempre più sistematica. Un esempio è la vicenda delle #motovedette libiche, finanziate dall’Italia e su cui guadagnano aziende italianissime”. Il tema è anche al centro dell’inchiesta di Altreconomia di Gennaio (https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta), curata da Duccio Facchini. “L’idea era dare un nome, un volto, una ragione sociale, al modo in cui il ministero degli Interni traduce le strategie di contrasto e di lotta ai flussi di persone” spiega il giornalista. E così si scopre che della rimessa in efficienza di sei pattugliatori, dati dall’Italia alla Tunisia, per il controllo della frontiera, si occupa in maniera esclusiva un’azienda di Rovigo, i #Cantieri_Navali_Vittoria: “Un soggetto senza concorrenti sul mercato, che riesce a vincere l’appalto anche per la rimessa in sicurezza delle motovedette fornite dal nostro paese alla Libia”, sottolinea Facchini.

    Motovedette fornite dall’Italia attraverso l’utilizzo del Fondo Africa: la questione è al centro di un ricorso al Tar presentato da Asgi (Associazione studi giuridici dell’immigrazione). “Il Fondo Africa di 200 milioni di euro viene istituito nel 2018 e il suo obiettivo è implementare le strategie di cooperazione con i maggiori paesi interessati dal fenomeno migratorio: dal #Niger alla LIbia, dalla Tunisia alla Costa d’Avorio - spiega l’avvocata Giulia Crescini -. Tra le attività finanziate con questo fondo c’è la dotazioni di strumentazioni per il controllo delle frontiere. Come Asgi abbiamo chiesto l’accesso agli atti del ministero degli Esteri per analizzare i provvedimenti e vedere come sono stati spesi questi soldi. In particolare, abbiamo notato l’utilizzo di due milioni di euro per la rimessa in efficienza delle motovedette fornite dall’Italia alla Libia - aggiunge -. Abbiamo quindi strutturato un ricorso, giuridicamente complicato, cercando di interloquire col giudice amministrativo, che deve verificare la legittimità dell’azione della Pubblica amministrazione. Qualche settimana fa abbiamo ricevuto la sentenza di rigetto in primo grado, e ora presenteremo l’appello. Ma studiando la sentenza ci siamo accorti che il giudice amministrativo è andato a verificare esattamente se fossero stati spesi bene o meno quei soldi - aggiunge Crescini -. Ed è andato così in profondità che ha scritto di fatto che non c’erano prove sufficienti che il soggetto destinatario stia facendo tortura e atti degradanti nei confronti dei migranti. Su questo punto lavoreremo per il ricorso. Per noi è chiaro che l’Italia oggi sta dando strumentazioni necessarie alla Libia per non sporcarsi le mani direttamente, ma c’è una responsabilità italiana anche se materialmente non è L’Italia a riportare indietro i migranti. Su questo punto stiamo agendo anche attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo”.

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620038/Dai-dati-biometrici-alle-motovedette-ecco-il-business-della-frontie

    #externalisation #frontières #UE #EU #Europe #Libye #Forteresse_européenne #asile #migrations #réfugiés #privatisation #argent #recherche #frontières_extérieures #coopération_militaire #sécurité_intérieure #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #technologie #militarisation_des_frontières #fonds_fiduciaire #développement #Horizon_2020 #biométrie #données #données_biométriques #base_de_données #database #expulsions #renvois #marché #marché_européen_de_la_frontière #complexe_militaro-industriel #Tunisie #Côte_d'Ivoire #Italie
    ping @isskein @albertocampiphoto

    • Gli affari lungo le frontiere. Inchiesta sugli appalti pubblici per il contrasto all’immigrazione “clandestina”

      In Tunisia, Libia, Niger, Egitto e non solo. Così lo Stato italiano tramite il ministero dell’Interno finanzia imbarcazioni, veicoli, idranti per “ordine pubblico”, formazione delle polizie e sistemi automatizzati di identificazione. Ecco per chi la frontiera rappresenta un buon affare.

      Uno dei luoghi chiave del “contrasto all’immigrazione clandestina” che l’Italia conduce lungo le rotte africane non si trova a Tunisi, Niamey o Tripoli, ma è in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco. È ad Adria, poco distante dal Po, che ha sede “Cantiere Navale Vittoria”, un’azienda nata nel 1927 per iniziativa della famiglia Duò -ancora oggi proprietaria- specializzata in cantieristica navale militare e paramilitare. Si tratta di uno dei partner strategici della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno, per una serie di commesse in Libia e Tunisia.

      La Direzione è il braccio del Viminale in tema di “gestione” dei flussi provenienti da quei Paesi ritenuti di “eccezionale rilevanza nella gestione della rotta del Mediterraneo centrale” (parole della Farnesina). Quella “rotta” conduce alle coste italiane: Libia e Tunisia, appunto, ma anche Niger e non solo. E quel “pezzo” del Viminale si occupa di tradurre in pratica le strategie governative. Come? Appaltando a imprese italiane attività diversissime tra loro per valore, fonti di finanziamento, tipologia e territori coinvolti. Un principio è comune: quello di dar forma al “contrasto”, sul nostro territorio o di frontiera. E per questi affidamenti ricorre più volte una formula: “Il fine che si intende perseguire è quello di collaborare con i Paesi terzi ai fini di contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina”. Tra gli ultimi appalti aggiudicati a “Cantiere Navale Vittoria” (ottobre 2018) spicca la rimessa in efficienza di sei pattugliatori “P350” da 34 metri, di proprietà della Guardia nazionale della Tunisia. Tramite gli atti della procedura di affidamento si possono ricostruire filiera e calendario.

      Facciamo un salto indietro al giugno 2017, quando i ministeri degli Esteri e dell’Interno italiani sottoscrivono un’“intesa tecnica” per prevedere azioni di “supporto tecnico” del Viminale stesso alle “competenti autorità tunisine”. Obiettivo: “Migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, inclusi la “lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. La spesa prevista -12 milioni di euro- dovrebbe essere coperta tramite il cosiddetto “Fondo Africa”, istituito sei mesi prima con legge di Stabilità e provvisto di una “dotazione finanziaria” di 200 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato del Fondo è quello di “rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie”. Le autorità di Tunisi hanno fretta, tanto che un mese dopo l’intesa tra i dicasteri chiedono all’Italia di provvedere subito alla “rimessa in efficienza” dei sei pattugliatori. Chi li ha costruiti, anni prima, è proprio l’azienda di Adria, e da Tunisi giunge la proposta di avvalersi proprio del suo “know how”. La richiesta è accolta. Trascorre poco più di un anno e nell’ottobre 2018 l’appalto viene aggiudicato al Cantiere per 6,3 milioni di euro. L’“attività di contrasto all’immigrazione clandestina”, scrive la Direzione immigrazione e frontiere, è di “primaria importanza per la sicurezza nazionale, anche alla luce dei recenti sbarchi sulle coste italiane di migranti provenienti dalle acque territoriali tunisine”. I pattugliatori da “consegnare” risistemati alla Tunisia servono quindi a impedire o limitare gli arrivi via mare nel nostro Paese, che da gennaio a metà dicembre di 2018 sono stati 23.122 (di cui 12.976 dalla Libia), in netto calo rispetto ai 118.019 (105.986 dalla Libia) dello stesso periodo del 2017.


      A quel Paese di frontiera l’Italia non fornisce (o rimette in sesto) solamente navi. Nel luglio 2018, infatti, la Direzione del Viminale ha stipulato un contratto con la #Totani Company Srl (sede a Roma) per la fornitura di 50 veicoli #Mitsubishi 4×4 Pajero da “consegnare presso il porto di Tunisi”. Il percorso è simile a quello dei sei pattugliatori: “Considerata” l’intesa del giugno 2017 tra i ministeri italiani, “visto” il Fondo Africa, “considerata” la richiesta dei 50 mezzi da parte delle autorità nordafricane formulata nel corso di una riunione del “Comitato Italo-Tunisino”, “vista” la necessità di “definire nel più breve tempo possibile le procedure di acquisizione” per “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”, eccetera. E così l’offerta economica di 1,6 milioni di euro della Totani è ritenuta congrua.

      Capita però che alcune gare vadano deserte. È successo per la fornitura di due “autoveicoli allestiti ‘idrante per ordine pubblico’” e per la relativa attività di formazione per 12 operatori della polizia tunisina (352mila euro la base d’asta). “Al fine di poter supportare il governo tunisino nell’ambito delle attività di contrasto all’immigrazione clandestina” è il passe-partout utilizzato anche per gli idranti, anche se sfugge l’impiego concreto. Seppur deserta, gli atti di questa gara sono interessanti per i passaggi elencati. Il tutto è partito da un incontro a Roma del febbraio 2018 tra l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti e l’omologo tunisino. “Sulla base” di questa riunione, la Direzione del Viminale “richiede” di provvedere alla commessa attraverso un “appunto” datato 27 aprile dello stesso anno che viene “decretato favorevolmente” dal “Sig. Capo della Polizia”, Franco Gabrielli. Alla gara (poi non aggiudicata) si presenta un solo concorrente, la “Brescia Antincendi International Srl”, che all’appuntamento con il ministero delega come “collaboratore” un ex militare in pensione, il tenente colonnello Virgilio D’Amata, cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Ma è un nulla di fatto.

      A Tunisi vengono quindi consegnati navi, pick-up, (mancati) idranti ma anche motori fuoribordo per quasi 600mila euro. È del settembre 2018, infatti, un nuovo “avviso esplorativo” sottoscritto dal direttore centrale dell’Immigrazione -Massimo Bontempi- per la fornitura di “10 coppie di motori Yamaha 4 tempi da 300 CV di potenza” e altri 25 da 150 CV. Il tutto al dichiarato fine di “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”.

      Come per la Tunisia, anche in Libia il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel Fondo Africa. Parlamento non pervenuto

      Poi c’è la Libia, l’altro fronte strategico del “contrasto”. Come per la Tunisia, anche in questo contesto il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri di Esteri e Interno -Parlamento non pervenuto- “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel citato Fondo Africa. Una di queste, datata 4 agosto 2017, riguarda il “supporto tecnico del ministero dell’Interno italiano alle competenti autorità libiche per migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi la lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. L’“eventuale spesa prevista” è di 2,5 milioni di euro. Nel novembre 2017 se n’è aggiunta un’altra, rivolta a “programmi di formazione” dei libici del valore di 615mila euro circa (sempre tratti dal Fondo Africa). Quindi si parte dalle intese e poi si passa ai contratti.

      Scorrendo quelli firmati dalla Direzione immigrazione e polizia delle frontiere del Viminale tra 2017 e 2018, e che riguardano specificamente commesse a beneficio di Tripoli, il “fornitore” è sempre lo stesso: Cantiere Navale Vittoria. È l’azienda di Adria -che non ha risposto alle nostre domande- a occuparsi della rimessa in efficienza di svariate imbarcazioni (tre da 14 metri, due da 35 e una da 22) custodite a Biserta (in Tunisia) e “da restituire allo Stato della Libia”. Ma anche della formazione di 21 “operatori della polizia libica” per la loro “conduzione” o del trasporto di un’altra nave di 18 metri da Tripoli a Biserta. La somma degli appalti sfiora complessivamente i 3 milioni di euro. In alcuni casi, il Viminale dichiara di non avere alternative al cantiere veneto. Lo ha riconosciuto la Direzione in un decreto di affidamento urgente per la formazione di 22 “operatori di polizia libica” e la riconsegna di tre motovedette a fine 2017. Poiché Cantiere Navale Vittoria avrebbe un “patrimonio informativo peculiare”, qualunque ricerca di “soluzioni alternative” sarebbe “irragionevole”. Ecco perché in diverse “riunioni bilaterali di esperti” per la cooperazione tra Italia e Libia “in materia migratoria”, oltre alla delegazione libica (i vertici dell’Amministrazione generale per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno) e quella italiana (tra cui l’allora direttore del Servizio immigrazione del Viminale, Vittorio Pisani), c’erano anche i rappresentanti di Cantiere Navale Vittoria.
      Se i concorrenti sono pochi, la fretta è tanta. In più di un appalto verso la Libia, infatti, la Direzione ha argomentato le procedure di “estrema urgenza” segnalando come “ulteriori indugi”, ad esempio “nella riconsegna delle imbarcazioni”, non solo “verrebbero a gravare ingiustificatamente sugli oneri di custodia […] ma potrebbero determinare difficoltà anche di tipo diplomatico con l’interlocutore libico”. È successo nell’estate 2018 anche per l’ultimo “avviso esplorativo” da quasi 1 milione di euro collegato a quattro training (di quattro settimane) destinati a cinque equipaggi “a bordo di due unità navali da 35 metri, un’unità navale da 22 metri e un’unità navale da 28 metri di proprietà libica”, “al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Lo scopo è fornire una “preparazione adeguata su ogni aspetto delle unità navali”. Della materia “diritti umani” non c’è traccia.

      Questa specifica iniziativa italiana deriva dal Memorandum d’Intesa con la Libia sottoscritto a Roma dal governo Gentiloni (Marco Minniti ministro dell’Interno), il 2 febbraio 2017. Il nostro Paese si era impegnato a “fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. È da lì che i governi di Italia e Libia decidono di includere tra le attività di cooperazione anche l’erogazione dei corsi di addestramento sulle motovedette ancorate a Biserta.

      Ai primi di maggio del 2018, il Viminale decide di accelerare. C’è l’“urgenza di potenziare, attraverso la rimessa in efficienza delle imbarcazioni e l’erogazione di corsi di conduzione operativa, il capacity building della Guardia Costiera libica, al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Anche perché, aggiunge il ministero, “alla luce degli ultimi eventi di partenze di migranti dalle coste libiche”, “appare strettamente necessario ed urgente favorire il pieno ripristino dell’efficienza delle competenti Autorità dello Stato della Libia nell’erogazione dei servizi istituzionali”. E così a fine giugno 2018 viene pubblicato il bando: i destinatari sono “operatori della polizia libica” e non invece le guardie costiere. Il ministero ha dovuto però “rimodulare” in corsa l’imposto a base d’asta della gara (da 763mila a 993mila euro). Perché? Il capitolato degli oneri e il verbale di stima relativi al valore complessivo dell’intera procedura sarebbero risultati “non remunerativi” per l’unico operatore interessato: Cantiere Navale Vittoria Spa, che avrebbe comunicato “di non poter sottoscrivere un’offerta adeguata”.

      Le risorse per quest’ultimo appalto non arrivano dal Fondo Africa ma da uno dei sei progetti finanziati in Libia dall’Unione europea tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. Quello che ci riguarda in particolare s’intitola “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, del valore di oltre 46 milioni di euro. Mentre l’Ue è il principale finanziatore, chi deve implementarlo in loco, dal luglio 2017, è proprio il nostro ministero dell’Interno. Che è attivo in due aree della Libia: a Nord-Ovest, a Tripoli, a beneficio delle guardie costiere libiche (tramite la costituzione di un centro di coordinamento per le operazioni di ricerca e soccorso in mare e per la dichiarazione di un’area di ricerca e soccorso in mare autonoma), e una a Sud-Ovest, nella regione del Fezzan, nel distretto di Ghat, per incrementare la capacità di sorveglianza, “in particolare nelle aree di frontiera terrestre con il Niger, maggiormente colpita dall’attraversamento illegale”. È previsto inoltre un “progetto pilota” per istituire una sede operativa per circa 300 persone, ripristinando ed equipaggiando le esistenti strutture nella città di Talwawet, non lontano da Ghat, con tre avamposti da 20 persone l’uno.

      A un passo da lì c’è il Niger, l’altra tessera del mosaico. Alla metà di dicembre 2018, non risultano appalti in capo alla Direzione frontiere del Viminale, ma ciò non significa che il nostro Paese non sia attivo per supportare (anche) la gestione dei suoi confini. A metà 2017, infatti, l’Italia ha destinato 50 milioni di euro all’EU Trust Fund per “far fronte alle cause profonde della migrazione in Africa/Finestra Sahel e Lago Ciad”, con un’attenzione particolare al Niger. Si punta alla “creazione di nuove unità specializzate necessarie al controllo delle frontiere, di nuovi posti di frontiera fissa, o all’ammodernamento di quelli esistenti, di un nuovo centro di accoglienza per i migranti a Dirkou, nonché per la riattivazione della locale pista di atterraggio”. In più, dal 2018 è scesa sul campo la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger” (MISIN) che fa capo al ministero della Difesa e ha tra i suoi obiettivi quello di “concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere”. Il primo corso “per istruttori di ordine pubblico a favore della gendarmeria nigerina” si è concluso a metà ottobre 2018. Pochi mesi prima, a luglio, era stata sottoscritta un’altra “intesa tecnica” tra Esteri e Difesa per rimettere in efficienza e cedere dieci ambulanze e tre autobotti. Finalità? “Il controllo del territorio volto alla prevenzione e al contrasto ai traffici di esseri umani e al traffico di migranti, e per l’assistenza ai migranti nell’ambito delle attività di ricerca e soccorso”: 880mila euro circa. Il Niger è centrale: stando all’ultima programmazione dei Paesi e dei settori in cui sono previsti finanziamenti tramite il “Fondo Africa” (agosto 2018, fonte ministero degli Esteri), il Paese è davanti alla Libia (6 milioni contro 5 di importo massimo preventivato).

      Inabissatosi in Niger, il ministero dell’Interno riemerge in Egitto. Anche lì vigono “accordi internazionali diretti al contrasto dell’immigrazione clandestina” sostenuti dall’Italia. La loro traduzione interessa da vicino la succursale italiana della Hewlett-Packard (HP). Risale infatti a fine 2006 un contratto stipulato tra la multinazionale e la Direzione del Viminale “per la realizzazione di un Sistema automatizzato di identificazione delle impronte (AFIS) per lo Stato dell’Egitto”, finalizzato alle “esigenze di identificazione personale correlate alla immigrazione illegale”: oltre 5,2 milioni di euro per il periodo 2007-2012, cui se ne sono aggiunti ulteriori 1,8 milioni per la manutenzione ininterrotta fino al 2017 e quasi 500mila per l’ultima tranche, 2018-2019. HP non ha avversari -come riporta il Viminale- in forza di un “accordo in esclusiva” tra la Hewlett Packard Enterprise e la multinazionale della sicurezza informatica Gemalto “in relazione ai prodotti AFIS per lo Stato dell’Egitto”. Affari che non si possono discutere: “L’interruzione del citato servizio -sostiene la Direzione- è suscettibile di creare gravi problemi nell’attività di identificazione dei migranti e nel contrasto all’immigrazione clandestina, in un momento in cui tale attività è di primaria importanza per la sicurezza nazionale”. Oltre alla partnership con HP, il ministero dell’Interno si spende direttamente in Egitto. Di fronte alle “esigenze scaturenti dalle gravissimi crisi internazionali in vaste aree dell’Africa e dell’Asia” che avrebbero provocato “massicci esodi di persone e crescenti pressioni migratorie verso l’Europa”, la Direzione centrale immigrazione (i virgolettati sono suoi) si è fatta promotrice di una “proposta progettuale” chiamata “International Training at Egyptian Police Academy” (ITEPA). Questa prevede l’istituzione di un “centro di formazione internazionale” sui temi migratori per 360 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera di ben 22 Paesi africani presso l’Accademia della polizia egiziana de Il Cairo. Il “protocollo tecnico” è stato siglato nel settembre 2017 tra il direttore dell’Accademia di polizia egiziana ed il direttore centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere. Nel marzo 2018, il capo della Polizia Gabrielli è volato a Il Cairo per il lancio del progetto. “Il rispetto dei diritti umani -ha dichiarato in quella sede- è uno degli asset fondamentali”.

      “La legittimità, la finalità e la consistenza di una parte dei finanziamenti citati con le norme di diritto nazionale e internazionale sono stati studiati e in alcuni casi anche portati davanti alle autorità giudiziarie dai legali dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, asgi.it)”, spiega l’avvocato Giulia Crescini, parte del collegio dell’associazione che si è occupato della vicenda. “Quando abbiamo chiesto lo stato di implementazione dell’accordo internazionale Italia-Libia del febbraio 2017, il ministero dell’Interno ha opposto generiche motivazioni di pericolo alla sicurezza interna e alle relazioni internazionali, pertanto il ricorso dopo essere stato rigettato dal Tar Lazio è ora pendente davanti al Consiglio di Stato”. La trasparenza insegue la frontiera.

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      “LEONARDO” (FINMECCANICA) E GLI INTERESSI SULLE FRONTIERE

      In Tunisia, Libia, Egitto e Niger, l’azienda Leonardo (Finmeccanica) avrebbe in corso “attività promozionali per tecnologie di sicurezza e controllo del territorio”. Alla richiesta di dettagli, la società ha risposto di voler “rivitalizzare i progetti in sospeso e proporne altri, fornendo ai Governi sistemi e tecnologie all’avanguardia per la sicurezza dei Paesi”. Leonardo è già autorizzata a esportare materiale d’armamento in quei contesti, ma non a Tripoli. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, ha approvato la Risoluzione 2420 che estende l’embargo sulle armi nel Paese per un altro anno. “Nel prossimo futuro -fa sapere l’azienda di cui il ministero dell’Economia è principale azionista- il governo di accordo nazionale potrà richiedere delle esenzioni all’embargo ONU sulle armi, per combattere il terrorismo”. Alla domanda se Leonardo sia coinvolta o operativa nell’ambito di iniziative collegate al fondo fiduciario per l’Africa dell’Unione europea e in particolare al programma da 46 milioni di euro coordinato dal Viminale, in tema di frontiere libiche, l’azienda ha fatto sapere che “in passato” avrebbe “collaborato con le autorità libiche per lo sviluppo e implementazione di sistemi per il monitoraggio dei confini meridionali, nonché sistemi di sicurezza costiera per il controllo, la ricerca e il salvataggio in mare”. Attualmente la società starebbe “esplorando opportunità in ambito europeo volte allo sviluppo di un progetto per il controllo dei flussi migratori dall’Africa all’Europa, consistente in un sistema di sicurezza e sorveglianza costiero con centri di comando e controllo”.

      Export in Libia. Il “caso” Prodit

      Nei primi sei mesi del 2018, attraverso l’Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento), l’Italia ha autorizzato l’esportazione di “materiale d’armamento” verso la Libia per un valore di circa 4,8 milioni di euro. Nel 2017 questa cifra era zero. Si tratta, come impone la normativa in tema di embargo, di materiali “non letali”. L’ammontare è minimo se paragonato al totale delle licenze autorizzate a livello mondiale dall’Italia tra gennaio e giugno 2018 (3,2 miliardi di euro). Chi esporta è una singola azienda, l’unica iscritta al Registro Nazionale delle Imprese presso il Segretariato Generale del ministero della Difesa: Prodit Engineering Srl. In Libia non ha esportato armi ma un veicolo terrestre modificato come fuoristrada e materiali utilizzabili per sminamento.

      https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta

      #Leonardo #Finmeccanica #Egypte #Tunisie #identification #P350 #Brescia_Antincendi_International #Virgilio_D’Amata #Massimo_Bontempi #Yamaha #Minniti #Marco_Minniti #EU_Trust_Fund #Trust_Fund #Missione_bilaterale_di_supporto_nella_Repubblica_del_Niger #MISIN #Hewlett-Packard #AFIS #International_Training_at_Egyptian_Police_Academy #ITEPA

    • "La frontiera è un buon affare": l’inchiesta sul contrasto del Viminale all’immigrazione «clandestina» a suon di appalti pubblici

      Dalla Tunisia alla Libia, dal Niger all’Egitto: così lo Stato italiano finanzia imbarcazioni, veicoli, formazione a suon di appalti pubblici. I documenti presentati a Roma dall’Arci.

      «Quando si parla di esternalizzazione della frontiera e di diritto di asilo bisogna innanzitutto individuare i Paesi maggiormente interessati da queste esternalizzazioni, capire quali sono i meccanismi che si vuole andare ad attaccare, creare un caso e prenderlo tempestivamente. Ma spesso per impugnare un atto ci vogliono 60 giorni, le tempistiche sono precise, e intraprendere azioni giudiziarie per tutelare i migranti diventa spesso molto difficile. Per questo ci appoggiamo all’Arci». A parlare è Giulia Crescini, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che insieme a Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di ARCI, Sara Prestianni, coordinatrice del progetto #externalisationpolicieswatch, e Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia, ha fatto il punto sugli appalti della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno e più in generale dei fondi europei ed italiani stanzianti per implementare le politiche di esternalizzazione del controllo delle frontiere in Africa.

      L’inchiesta. Duccio Facchini, presentando i dati dell’inchiesta di Altreconomia «La frontiera è un buon affare», ha illustrato i meccanismi di una vera e propria strategia che ha uno dei suoi punti d’origine in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco - dove ha sede una delle principale aziende specializzate in cantieristica navale militare e paramilitare - e arriva a toccare Tripoli, Niamey o Il Cairo. Il filo rosso che lega gli affidamenti milionari è uno solo: fermare il flusso di persone dirette in Italia e in Europa. Anche utilizzando fondi destinati alla cooperazione e senza alcun vaglio parlamentare.

      Il Fondo Africa, istituito con la legge di bilancio 2017, art. 1 comma 621 per l’anno 2018, è pari a 200 milioni di euro, cifra che serve per attivare forme di collaborazione e cooperazione con i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno della migrazione, anche se l’espressione in sé significa tutto e niente. «Questo fondo - ha spiegato Facchini in conferenza nella sede Arci lo scorso 6 febbraio - viene dato al ministero degli Affari esteri internazionali che individua quali sono questi Paesi: nello specifico il ministero ha indicato una sfilza di Paesi africani, dal Niger alla Libia alla Tunisia, passando per l’Egitto la Costa d’Avorio, indicando anche una serie di attività che possono essere finanziate con questi soldi. Tra queste c’è la dotazione di strumentazioni utili per il controllo della frontiera». Gli autori dell’inchiesta hanno chiesto al ministero l’elenco dei provvedimenti che sono stati messi in campo e per attivare questa protezione alla frontiera. «Siamo alla fine del 2017 e notiamo che tra questi ce n’è uno che stanzia 2 milioni e mezzo per la messa in opera di quattro motovedette. Da lì cominciamo a domandarci se in base alla normativa italiana è legittimo dare una strumentazione così specifica a delle autorità così notoriamente coinvolte nella tortura e nella violenza dei migranti. Quindi abbiamo strutturato un ricorso giuridicamente molto complicato per cercare di interloquire con il giudice amministrativo». Notoriamente il giudice amministrativo non è mai coinvolto in questioni relative al diritto di asilo - per capire: è il giudice degli appalti - ed è insomma colui che va a verificare se la pubblica amministrazione ha adempiuto bene al suo compito.

      l punto di partenza. «Il giudice amministrativo e la pubblica amministrazione – ha spiegato Giulia Crescini dell’Asgi - stanno sempre in un rapporto molto delicato fra loro perché la pubblica amministrazione ha un ambito di discrezionalità all’interno del quale il giudice non può mai entrare, quindi la PA ha dei limiti che vengono messi dalla legge e all’interno di quei limiti il ministero può decidere come spendere quei soldi. Secondo noi quei limiti sono superati, perché la legge non autorizza a rafforzare delle autorità che poi commettono crimini contro i migranti, riportando queste persone sulla terra ferma in una condizione di tortura, soprattutto nei centri di detenzione». I legati hanno dunque avviato questo ricorso, ricevendo, qualche settimana fa, la sentenza di rigetto di primo grado. La sentenza è stata pubblicata il 7 gennaio e da quel giorno a oggi i quattro avvocati hanno studiato le parole del giudice, chiedendo alle altre organizzazioni che avevano presentato insieme a loro il ricorso se avessero intenzione o meno di fare appello. «Studiando la sentenza - continua Crescini - ci siamo accorti di come. pur essendo un rigetto, non avesse poi un contenuto così negativo: il giudice amministrativo in realtà è andato a verificare effettivamente se la pubblica amministrazione avesse speso bene o meno questo soldi, cioè se avesse esercitato in modo corretto o scorretto la discrezionalità di cui sopra. Un fatto che non è affatto scontato. Il giudice amministrativo è andato in profondità, segnalando il fatto che non ci sono sufficienti prove di tortura nei confronti dei migranti da parte delle autorità. Dal punto di vista giuridico questo rappresenta una vittoria. Perché il giudice ha ristretto un ambito molto specifico su cui potremo lavorare davanti al Consiglio di Stato».

      La frontiera è un buon affare. L’inchiesta «La frontiera è un buon affare» rivela che lo sforzo politico che vede impegnate Italia e istituzioni europee nella chiusura delle frontiere si traduce direttamente in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza.

      La dimensione europea della migrazione - si legge in un comunicato diffuso da Arci - si allontana sempre più dal concetto di protezione a favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza e alla repressione del fenomeno migratorio. La logica dell’esternalizzazione, diventata pilastro della strategia tanto europea quanto italiana di gestione delle frontiere, assume in questo modo, sempre più, una dimensione tecnologica e militare, assecondando le pressioni della lobby dell’industria della sicurezza per l’implementazione di questo mercato. L’uso dei fondi è guidato da una tendenza alla flessibilità con un conseguente e evidente rischio di opacità, conveniente per il rafforzamento di una politica securitaria della migrazione.

      Nel MFF - Multiannual Financial Framework - che definisce il budget europeo per un periodo di 7 anni e ora in discussione tripartita tra Commissione, Parlamento e Consiglio - si evidenzia l’intento strategico al netto dei proclami e dei comizi della politica: la migrazione è affrontata principalmente dal punto di vista della gestione del fenomeno e del controllo delle frontiere con un incremento di fondi fino a 34 miliardi di euro per questo settore.

      A questo capitolo di spesa - si legge ancora nel comunicato - contribuiscono strumenti finanziari diversi, dal fondo sulla sicurezza interna - che passa dai 3,4 del 2014/20120 ai 4,8 miliardi del 2021/2027 e che può essere speso anche per la gestione esterna delle frontiere - a tutto il settore della cooperazione militare che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, una tendenza che si palesa con evidenza nelle due missioni militari nostrane in Libia e Niger.

      Dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e quello per la Pace, una buona parte saranno devoluti allo sviluppo di nuova tecnologia militare, utilizzabili anche per la creazione di muri nel mare e nel deserto. Stessa logica anche per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi provenienti dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo centrale.

      Sulla pelle dei migranti. Chi ne fa le spese, spiegano gli autori dell’inchiesta, sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business. Questa connessione e interdipendenza tra politici e lobby della sicurezza, che sfiora a tutto gli effetti il conflitto di interessi, è risultata evidente nel corso del SRE «Research on security event» tenutosi a Bruxelles a fine dicembre su proposta della presidenza austriaca. Seduti negli stessi panel rappresentanti della commissione dell’Agenzia Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza, manifestavano interesse per un obbiettivo comune: la creazione di un mercato europeo della sicurezza dove lotta al terrorismo e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente

      «Il Governo Italiano si iscrive perfettamente nella logica europea, dalle missioni militari con una chiara missione di controllo delle frontiere in Niger e Libia al rinnovo del Fondo Africa, rifinanziato con 80 milioni per il 2018/2019, che condiziona le politiche di sviluppo a quelle d’immigrazione», dichiara ancora Arci. «Molti i dubbi che solleva questa deriva politica direttamente tradotta nell’uso dei fondi europei e nazionali: dalle tragiche conseguenze sulla sistematica violazione delle convenzione internazionali a una riflessione più ampia sull’opacità dell’uso dei fondi e del ruolo sempre più centrale dell’industria della sicurezza per cui la politica repressiva di chiusura sistematica delle frontiere non è altro che l’ennesimo mercato su cui investire, dimenticandosi del costo in termine di vite umane di questa logica».

      https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/02/07/news/la_frontiera_e_un_buon_affare-218538251
      #complexe_militaro-industriel

    • Appalti sulle frontiere: 30 mezzi di terra alla Libia dall’Italia per fermare i migranti

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada per il “contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa”, nell’ambito del quale l’Italia accresce il proprio ruolo. Il tutto mentre l’immagine ostentata di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del Viminale

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità della Libia trenta nuovi veicoli fuoristrada per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. L’avviso esplorativo pubblicato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il Viminale, risale al 5 marzo 2019 (scadenza per la presentazione della manifestazione d’interesse all’8 aprile di quest’anno).

      La fornitura riguarda 30 mezzi “Toyota Land Cruiser” (15 del modello GRJ76 Petrol e 15 del GRJ79 DC Petrol), in “versione tropicalizzata”, relativamente ai quali le autorità libiche, il 24 dicembre 2018, avrebbero esplicitato alla Direzione di Roma precise “specifiche tecniche”. Il Viminale la definisce una “richiesta di assistenza tecnica” proveniente da Tripoli per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. In forza di questa “strategia”, dunque, il governo italiano -in linea con i precedenti, come abbiamo raccontato a gennaio nell’inchiesta sugli “affari lungo le frontiere”– continua a equipaggiare le autorità del Paese Nord-africano per contrastare i flussi migratori. L’ammontare “massimo” degli ultimi due lotti (da 15 mezzi l’uno) è stimato in 2,1 milioni di euro.

      E così come è stato per la gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di 20 imbarcazioni destinate alla polizia libica, indetta dal Viminale a fine dicembre 2018, anche nel caso dei 30 mezzi Toyota le risorse arriveranno dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. In particolare, dal progetto implementato dal Viminale e intitolato “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, dal valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro competente Marco Minniti).

      Questo non è l’unico progetto finanziato tramite l’EU Trust Fund che vede il ministero dell’Interno italiano attivo nel continente africano. Alla citata “First Phase”, infatti, se ne sono affiancati nel tempo altri due. Uno è di stanza in Tunisia e Marocco (“Border Management Programme for the Maghreb region”), datato luglio 2018 e dal valore di 55 milioni di euro. L’altro progetto, di nuovo, ricade in Libia. Si tratta del “Support to Integrated border and migration management in Libya – Second Phase”, risalente al 13 dicembre 2018, per un ammontare di altri 45 milioni di euro. Le finalità dichiarate nell’”Action Document” della seconda fase in Libia sono -tra le altre- quelle di “intensificare gli sforzi fatti”, “sviluppare nuove aree d’intervento”, “rafforzare le capacità delle autorità competenti che sorvegliano i confini marittimi e terrestri”, “l’acquisto di altre navi”, “l’implementazione della rete di comunicazione del Maritime Rescue Coordination Centre” di Tripoli, “la progettazione specifica di programmi per la neocostituita polizia del deserto”.

      La strategia di contrasto paga, sostiene la Commissione europea. “Gli sforzi dell’Ue e dell’Italia nel sostenere la Guardia costiera libica per migliorare la sua capacità operativa hanno raggiunto risultati significativi e tangibili nel 2018”, afferma nel lancio della “seconda fase”. Di “significativo e tangibile” c’è il crollo degli sbarchi sulle coste italiane, in particolare dalla Libia. Dati del Viminale alla mano, infatti, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 giunsero 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e arrivate a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente sigillata. Un “successo” che nasconde la tragedia dei campi di detenzione e sequestro libici dove migliaia di persone sono costrette a rimanere.

      È in questa cornice che giunge il nuovo “avviso” del Viminale dei 30 veicoli, pubblicato come detto il 5 marzo. Quello stesso giorno il vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha incontrato a Roma il vicepremier libico Ahmed Maiteeq. Un “cordiale colloquio”, come recita il comunicato ministeriale, che avrebbe visto sul tavolo “i rapporti tra i due Paesi, in particolare su sicurezza, lotta al terrorismo, immigrazione e stabilizzazione politica della Libia”.

      Ma l’immagine ostentata dal governo Conte di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del ministero dell’Interno. Tra i quesiti presentati al Viminale da parte dei potenziali concorrenti al bando dei 20 battelli da destinare alla polizia libica, infatti, si trovano richieste esplicite di “misure atte a garantire la sicurezza dei propri operatori”. “Laddove si rendesse strettamente necessario effettuare interventi di garanzia richiesti in loco (Libia)”, gli operatori di mercato hanno chiesto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere “che tali prestazioni potranno essere organizzate a patto che le imbarcazioni si trovino in città (Tripoli, ndr) per garantire la sicurezza degli operatori inviati per tali prestazioni”. Il ministero dell’Interno conferma il quadro di instabilità del Paese: “Le condizioni di sicurezza in Libia devono essere attentamente valutate in ragione della contingenza al momento dell’esecuzione del contratto”, è la replica al quesito. “Appare di tutto evidenza che la sicurezza degli operatori non dovrà essere compromessa in relazione ai rischi antropici presenti all’interno dello Stato beneficiario della commessa”. Per gli operatori, non per i migranti in fuga.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-frontiere-terra
      #Libye

  • #métaliste (qui va être un grand chantier, car il y a plein d’information sur seenthis, qu’il faudrait réorganiser) sur :
    #externalisation #contrôles_frontaliers #frontières #migrations #réfugiés

    Des liens vers des articles généraux sur l’externalisation des frontières de la part de l’ #UE (#EU) :
    https://seenthis.net/messages/569305
    https://seenthis.net/messages/390549
    https://seenthis.net/messages/320101

    Ici une tentative (très mal réussie, car évidement, la divergence entre pratiques et les discours à un moment donné, ça se voit !) de l’UE de faire une brochure pour déconstruire les mythes autour de la migration...
    La question de l’externalisation y est abordée dans différentes parties de la brochure :
    https://seenthis.net/messages/765967

    Petit chapitre/encadré sur l’externalisation des frontières dans l’ouvrage "(Dé)passer la frontière" :
    https://seenthis.net/messages/769367

    Les origines de l’externalisation des contrôles frontaliers (maritimes) : accord #USA-#Haïti de #1981 :
    https://seenthis.net/messages/768694

    L’externalisation des politiques européennes en matière de migration
    https://seenthis.net/messages/787450

    "#Sous-traitance" de la #politique_migratoire en Afrique : l’Europe a-t-elle les mains propres ?
    https://seenthis.net/messages/789048

    Partners in crime ? The impacts of Europe’s outsourced migration controls on peace, stability and rights :
    https://seenthis.net/messages/794636
    #paix #stabilité #droits #Libye #Niger #Turquie

    Proceedings of the conference “Externalisation of borders : detention practices and denial of the right to asylum”
    https://seenthis.net/messages/880193

    Brochure sur l’externalisation des frontières (passamontagna)
    https://seenthis.net/messages/952016

    • Migranti:da inizio anno sbarcati 16.566,-79% rispetto a 2017

      Dall’inizio dell’anno ad oggi sono sbarcati in Italia 16.566 migranti, il 79,07% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando ne arrivarono 79.154. Dai dati del Viminale, aggiornati al 28 giugno, emerge dunque che per il dodicesimo mese consecutivo gli sbarchi nel nostro paese sono in calo: l’ultimo picco fu registrato proprio a giugno dell’anno scorso, quando sbarcarono 23.526 migranti (nel 2016 ne arrivarono 22.339 mentre quest’anno il numero è fermo a 3.136). Dal mese di luglio 2017, che ha coinciso con gli accordi siglati con la Libia dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, si è sempre registrata una diminuzione. Dei 16.566 arrivati nei primi sei mesi del 2018 (la quasi totalità, 15.741, nei porti siciliani), 11.401 sono partiti dalla Libia: un calo nelle partenze dell’84,94% rispetto al 2017 e dell’83,18% rispetto al 2016. Quanto alle nazionalità di quelli che sono arrivati, la prima è la Tunisia, con 3.002 migranti, seguita da Eritrea (2.555), Sudan (1.488) e Nigeria (1.229).

      http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2018/06/30/migrantida-inizio-anno-sbarcati-16.566-79-rispetto-a-2017-_30327137-364e-44bf-8

    • En Méditerranée, les flux de migrants s’estompent et s’orientent vers l’ouest

      Pour la première fois depuis le début de la crise migratoire en 2014, l’Espagne est, avant l’Italie et la Grèce, le pays européen qui enregistre le plus d’arrivées de migrants par la mer et le plus de naufrages meurtriers au large de ses côtes.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/280618/en-mediterranee-les-flux-de-migrants-s-estompent-et-s-orientent-vers-l-oue
      #routes_migratoires

    • Migratory flows in April: Overall drop, but more detections in Greece and Spain

      Central Mediterranean
      The number of migrants arriving in Italy via the Central Mediterranean route in April fell to about 2 800, down 78% from April 2017. The total number of migrants detected on this route in the first four months of 2018 fell to roughly 9 400, down three-quarters from a year ago.
      So far this year, Tunisians and Eritreans were the two most represented nationalities on this route, together accounting for almost 40% of all the detected migrants.

      Eastern Mediterranean
      In April, the number of irregular migrants taking the Eastern Mediterranean route stood at some 6 700, two-thirds more than in the previous month. In the first four months of this year, more than 14 900 migrants entered the EU through the Eastern Mediterranean route, 92% more than in the same period of last year. The increase was mainly caused by the rise of irregular crossings on the land borders with Turkey. In April the number of migrants detected at the land borders on this route has exceeded the detections on the Greek islands in the Aegean Sea.
      The largest number of migrants on this route in the first four months of the year were nationals of Syria and Iraq.

      Western Mediterranean
      Last month, the number of irregular migrants reaching Spain stood at nearly 1100, a quarter more than in April 2017. In the first four months of 2018, there were some 4600 irregular border crossings on the Western Mediterranean route, 95 more than a year ago.
      Nationals of Morocco accounted for the highest number of arrivals in Spain this year, followed by those from Guinea and Mali.

      https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/migratory-flows-in-april-overall-drop-but-more-detections-in-greece-a
      #2018 #Espagne #Grèce

    • EU’s Frontex warns of new migrant route to Spain

      Frontex chief Fabrice Leggeri has warned that Spain could see a significant increase in migrant arrivals. The news comes ahead of the European Commission’s new proposal to strengthen EU external borders with more guards.

      Frontex chief Fabrice Leggeri said Friday that some 6,000 migrants had entered the European Union in June by crossing into Spain from Morocco, the so-called western Mediterranean route.

      https://m.dw.com/en/eus-frontex-warns-of-new-migrant-route-to-spain/a-44563058?xtref=http%253A%252F%252Fm.facebook.com

    • L’Espagne devient la principale voie d’accès des migrants à l’Europe

      La Commission a annoncé trois millions d’euros d’aide d’urgence pour les garde-frontières espagnols, confrontés à un triplement des arrivées de migrants, suite au verrouillage de la route italienne.

      –-> v. ici :
      https://seenthis.net/messages/683358

      L’aide supplémentaire que l’exécutif a décidé d’allouer à l’Espagne après l’augmentation des arrivées sur les côtes provient du Fonds pour la sécurité intérieure et a pour but de financer le déploiement de personnel supplémentaire le long des frontières méridionales espagnoles.

      Le mois dernier, la Commission a déjà attribué 24,8 millions d’euros au ministère de l’Emploi et de la Sécurité sociale et à la Croix-Rouge espagnole, afin de renforcer les capacités d’accueil, de prise en charge sanitaire, de nourriture et de logement des migrants arrivants par la route de l’ouest méditerranéen.

      Une enveloppe supplémentaire de 720 000 euros a été allouée à l’organisation des rapatriements et des transferts depuis l’enclave de Ceuta et Melilla.

      Cette aide financière s’ajoute aux 691,7 millions que reçoit Madrid dans le cadre du Fonds pour l’asile, l’immigration et l’intégration et du fonds pour la sécurité intérieure pour la période budgétaire 2014-2020.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/avramopoulos-in-spain-to-announce-further-eu-support-to-tackle-migration

    • En #Méditerranée, les flux de migrants s’orientent vers l’ouest

      Entre janvier et juillet, 62 177 migrants ont rejoint l’Europe par la Méditerranée, selon les données de l’Agence des Nations unies pour les réfugiés. Un chiffre en baisse par rapport à 2017 (172 301 sur l’ensemble des douze mois) et sans commune mesure avec le « pic » de 2015, où 1 015 078 arrivées avaient été enregistrées.

      Les flux déclinent et se déplacent géographiquement : entre 2014 et 2017, près de 98 % des migrants étaient entrés via la Grèce et l’Italie, empruntant les voies dites « orientales » et « centrales » de la Méditerranée ; en 2018, c’est pour l’instant l’Espagne qui enregistre le plus d’arrivées (23 785), devant l’Italie (18 348), la Grèce (16 142) et, de manière anecdotique, Chypre (73).


      https://www.mediapart.fr/journal/international/030818/en-mediterranee-les-flux-de-migrants-s-orientent-vers-l-ouest
      #statistiques #chiffres #Méditerranée_centrale #itinéraires_migratoires #parcours_migratoires #routes_migratoires #asile #migrations #réfugiés #2018 #Espagne #Italie #Grèce #2017 #2016 #2015 #2014 #arrivées

      Et des statistiques sur les #morts et #disparus :


      #mourir_en_mer #décès #naufrages

    • The most common Mediterranean migration paths into Europe have changed since 2009

      Until 2018, the Morocco-to-Spain route – also known as the western route – had been the least-traveled Mediterranean migration path, with a total of 89,000 migrants arriving along Spain’s coastline since 2009. But between January and August 2018, this route has seen over 28,000 arrivals, more than the central Africa-to-Italy central route (20,000 arrivals) and the Turkey-to-Greece eastern route (20,000 arrivals). One reason for this is that Spain recently allowed rescue ships carrying migrants to dock after other European Union countries had denied them entry.

      Toute la Méditerranée:

      #Méditerranée_occidentale:

      #Méditerranée_centrale:

      #Méditerranée_orientale:

      http://www.pewresearch.org/fact-tank/2018/09/18/the-most-common-mediterranean-migration-paths-into-europe-have-changed-

    • The “Shift” to the Western Mediterranean Migration Route: Myth or Reality?

      How Spain Became the Top Arrival Country of Irregular Migration to the EU

      This article looks at the increase in arrivals[1] of refugees and migrants in Spain, analysing the nationalities of those arriving to better understand whether there has been a shift from the Central Mediterranean migration route (Italy) towards the Western Mediterranean route (Spain). The article explores how the political dynamics between North African countries and the European Union (EU) have impacted the number of arrivals in Spain.

      The Western Mediterranean route has recently become the most active route of irregular migration to Europe. As of mid-August 2018, a total of 26,350 refugees and migrants arrived in Spain by sea, three times the number of arrivals in the first seven months of 2017. In July alone 8,800 refugees and migrants reached Spain, four times the number of arrivals in July of last year.

      But this migration trend did not begin this year. The number of refugees and migrants arriving by sea in Spain grew by 55 per cent between 2015 and 2016, and by 172 per cent between 2016 and 2017.

      At the same time, there has been a decrease in the number of refugees and migrants entering the EU via the Central Mediterranean route. Between January and July 2018, a total of 18,510 persons arrived in Italy by sea compared to 95,213 arrivals in the same period in 2017, an 81 per cent decrease.

      This decrease is a result of new measures to restrict irregular migration adopted by EU Member States, including increased cooperation with Libya, which has been the main embarkation country for the Central Mediterranean migration route. So far this year, the Libyan Coast Guards have intercepted 12,152 refugees and migrants who were on smuggling boats (more than double the total number of interceptions in 2017). In the last two weeks of July, 99.5 per cent of the refugees and migrants who departed on smuggling boats were caught and returned to Libya, according to a data analysis conducted at the Italian Institute for International Political Studies (ISPI). The number of people being detained by the Libyan Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) has continued growing (from 5,000 to 9,300 between May and July 2018), with thousands more held in unofficial detention facilities.

      So, was there a shift from the Central to the Western Mediterranean Migration route? In other words, has the decline of arrivals in Italy led to the increase of arrivals in Spain?

      First of all, while this article only analyses the changes in the use of these two sea routes and among those trying to go to Europe, for most West Africans, the intended destination is actually North Africa, including Libya and Algeria, where they hope to find jobs. A minority intends to move onwards to Europe and this is confirmed by MMC’s 4Mi data referred to below.

      The answer to the question on whether or not there has been a shift between the two routes can be found in the analysis of the origin countries of the refugees and migrants that were most commonly using the Central Mediterranean route before it became increasingly difficult to reach Europe. Only if a decrease of the main nationalities using the Central Mediterranean Route corresponds to an increase of the same group along the Western Mediterranean route we can speak of “a shift”.

      The two nationalities who were – by far – the most common origin countries of refugees and migrants arriving in Italy in 2015 and in 2016 were Nigeria and Eritrea. The total number of Nigerians and Eritreans arriving in Italy in 2015 was 50,018 and slightly lower (47,096) in the following year. Then, between 2016 and last year, the total number of Nigerian and Eritrean arrivals in Italy decreased by 66 per cent. The decrease has been even more significant in 2018; in the first half of this year only 2,812 Nigerians and Eritreans arrived in Italy.

      However, there has not been an increase in Nigerians and Eritreans arriving in Spain. Looking at the data, it is clear that refugees and migrants originating in these two countries have not shifted from the Central Mediterranean route to the Western route.

      The same is true for refugees and migrants from Bangladesh, Sudan and Somalia – who were also on the list of most common countries of origin amongst arrivals in Italy during 2015 and 2016. While the numbers of Bangladeshis, Sudanese and Somalis arriving in Italy have been declining since 2017, there has not been an increase in arrivals of these nationals in Spain. Amongst refugees and migrants from these three countries, as with Nigerians and Eritreans, there has clearly not been a shift to the Western route. In fact, data shows that zero refugees and migrants from Eritrea, Bangladesh and Somalia arrived in Spain by sea since 2013.

      However, the data tells a different story when it comes to West African refugees and migrants. Between 2015 and 2017, the West African countries of Guinea, Mali, Cote d’Ivoire, Gambia and Senegal were also on the list of most common origin countries amongst arrivals in Italy. During those years, about 91 per cent of all arrivals in the EU from these five countries used the Central Mediterranean route to Italy, while 9 per cent used the Western Mediterranean route to Spain.

      But in 2018 the data flipped: only 23 per cent of EU arrivals from these five West African countries used the Central Mediterranean route, while 76 per cent entered used the Western route. It appears that as the Central Mediterranean route is being restricted, a growing number of refugees and migrants from these countries are trying to reach the EU on the Western Mediterranean route.

      These finding are reinforced by 3,224 interviews conducted in Mali, Niger and Burkina Faso between July 2017 and June 2018 by the Mixed Migration Monitoring Mechanism initiative (4Mi), which found a rise in the share of West African refugees and migrants stating their final destination is Spain and a fall in the share of West African refugees and migrants who say they are heading to Italy.[2]

      A second group who according to the data shifted from the Central Mediterranean route to the Western route are the Moroccans. Between 2015 and 2017, at least 4,000 Moroccans per year entered the EU on the Central Mediterranean route. Then, in the first half of this year, only 319 Moroccan refugees and migrants arrived by sea to Italy. Meanwhile, an opposite process has happened in Spain, where the number of Moroccans arriving by sea spiked, increasing by 346 per cent between 2016 and last year. This increase has continued in the first six months of this year, in which 2,600 Moroccans reached Spain through the Western Mediterranean route.

      On-going Political Bargaining

      The fact that so many Moroccans are amongst the arrivals in Spain could be an indication that Morocco, the embarkation country for the Western Mediterranean route, has perhaps been relaxing its control on migration outflows, as recently suggested by several media outlets. A Euronews article questioned whether the Moroccan government is allowing refugees and migrants to make the dangerous sea journey towards Spain as part of its negotiations with the EU on the size of the support it will receive. Der Spiegel reported that Morocco is “trying to extort concessions from the EU by placing Spain under pressure” of increased migration.

      The dynamic in which a neighbouring country uses the threat of increased migration as a political bargaining tool is one the EU is quite familiar with, following its 2016 deal with Turkey and 2017 deal with Libya. In both occasions, whilst on a different scale, the response of the EU has been fundamentally the same: to offer its southern neighbours support and financial incentives to control migration.

      The EU had a similar response this time. On August 3, the European Commission committed 55 million euro for Morocco and Tunisia to help them improve their border management. Ten days later, the Moroccan Association for Human Rights reported that Moroccan authorities started removing would-be migrants away from departure points to Europe.

      Aside from Morocco and Libya, there is another North African country whose policies may be contributing to the increase of arrivals in Spain. Algeria, which has been a destination country for many African migrants during the past decade (and still is according to 4Mi interviews), is in the midst of a nationwide campaign to detain and deport migrants, asylum seekers and refugees.

      The Associated Press reported “Algeria’s mass expulsions have picked up since October 2017, as the European Union renewed pressure on North African countries to discourage migrants going north to Europe…” More than 28,000 Africans have been expelled since the campaign started in August of last year, according to News Deeply. While Algeria prides itself on not taking EU money – “We are handling the situation with our own means,” an Algerian interior ministry official told Reuters – its current crackdown appears to be yet another element of the EU’s wider approach to migration in the region.
      Bargaining Games

      This article has demonstrated that – contrary to popular reporting – there is no blanket shift from the Central Mediterranean route to the Western Mediterranean route. A detailed analysis on the nationalities of arrivals in Italy and Spain and changes over time, shows that only for certain nationalities from West Africa a shift may be happening, while for other nationalities there is no correlation between the decrease of arrivals in Italy and the increase of arrivals in Spain. The article has also shown that the recent policies implemented by North African governments – from Libya to Morocco to Algeria – can only be understood in the context of these countries’ dialogue with the EU on irregular migration.

      So, while the idea of a shift from the Central Mediterranean route to the Western route up until now is more myth than reality, it is clear that the changes of activity levels on these migration routes are both rooted in the same source: the on-going political bargaining on migration between the EU and North African governments. And these bargaining games are likely to continue as the EU intensifies its efforts to prevent refugees and migrants from arriving at its shores.

      http://www.mixedmigration.org/articles/shift-to-the-western-mediterranean-migration-route
      #Méditerranée_centrale #Méditerranée_occidentale

    • IOM, the UN Migration Agency, reports that 80,602 migrants and refugees entered Europe by sea in 2018 through 23 September, with 35,653 to Spain, the leading destination this year. In fact, with this week’s arrivals Spain in 2018 has now received via the Mediterranean more irregular migrants than it did throughout all the years 2015, 2016 and 2017 combined.

      The region’s total arrivals through the recent weekend compare with 133,465 arrivals across the region through the same period last year, and 302,175 at this point in 2016.

      Spain, with 44 per cent of all arrivals through the year, continues to receive seaborne migrants in September at a volume nearly twice that of Greece and more than six times that of Italy. Italy’s arrivals through late September are the lowest recorded at this point – the end of a normally busy summer sailing season – in almost five years. IOM Rome’s Flavio Di Giacomo on Monday reported that Italy’s 21,024 arrivals of irregular migrants by sea this year represent a decline of nearly 80 per cent from last year’s totals at this time. (see chart below).

      IOM’s Missing Migrants Project has documented the deaths of 1,730 people on the Mediterranean in 2018. Most recently, a woman drowned off the coast of Bodrum, Turkey on Sunday while attempting to reach Kos, Greece via the Eastern Mediterranean route. The Turkish Coast Guard reports that 16 migrants were rescued from this incident. On Saturday, a 5-year-old Syrian boy drowned off the coast of Lebanon’s Akkar province after a boat carrying 39 migrants to attempt to reach Cyprus capsized.

      IOM Spain’s Ana Dodevska reported Monday that total arrivals at sea in 2018 have reached 35,594 men, women and children who have been rescued in Western Mediterranean waters through 23 September (see chart below).

      IOM notes that over this year’s first five months, a total of 8,150 men, women and children were rescued in Spanish waters after leaving Africa – an average of 54 per day. In the 115 days since May 31, a total of 27,444 have arrived – or just under 240 migrants per day. The months of May-September this year have seen a total of 30,967 irregular migrants arriving by sea, the busiest four-month period for Spain since IOM began tallying arrival statistics, with just over one week left in September.

      With this week’s arrivals Spain in 2018 has now received via the Mediterranean more irregular migrants than it did throughout all the years 2015, 2016 and 2017 combined (see charts below).

      On Monday, IOM Athens’ Christine Nikolaidou reported that over four days (20-23 September) this week the Hellenic Coast Guard (HCG) units managed at least nine incidents requiring search and rescue operations off the islands of Lesvos, Chios, Samos and Farmakonisi.

      The HCG rescued a total 312 migrants and transferred them to the respective islands. Additional arrivals of some 248 individuals to Kos and some of the aforementioned islands over these past four days brings to 22,821 the total number of arrivals by sea to Greece through 23 September (see chart below).

      Sea arrivals to Greece this year by irregular migrants appeared to have peaked in daily volume in April, when they averaged at around 100 per day. That volume dipped through the following three months then picked up again in August and again in September, already this year’s busiest month – 3,536 through 23 days, over 150 per day – with about a quarter of the month remaining. Land border crossing also surged in April (to nearly 4,000 arrivals) but have since fallen back, with fewer than 2,000 crossings in each of the past four months (see charts below).

      IOM’s Missing Migrants Project has recorded 2,735 deaths and disappearances during migration so far in 2018 (see chart below).

      In the Americas, several migrant deaths were recorded since last week’s update. In Mexico, a 30-year-old Salvadoran man was killed in a hit-and-run on a highway in Tapachula, Mexico on Friday. Another death on Mexico’s freight rail network (nicknamed “La Bestia”) was added after reports of an unidentified man found dead on tracks near San Francisco Ixhuatan on 15 September.

      In the United States, on 16 September, an unidentified person drowned in the All-American Canal east of Calexico, California – the 55th drowning recorded on the US-Mexico border this year. A few days later a car crash south of Florence, Arizona resulted in the deaths of eight people, including four Guatemalan migrants, on Wednesday. Two others killed included one of the vehicles’ driver and his partner, who authorities say had been involved with migrant smuggling in the past.

      https://reliefweb.int/report/spain/mediterranean-migrant-arrivals-reach-80602-2018-deaths-reach-1730

    • Analyse de Matteo Villa sur twitter :

      Irregular sea arrivals to Italy have not been this low since 2012. But how do the two “deterrence policies” (#Minniti's and #Salvini's) compare over time?


      Why start from July 15th each year? That’s when the drop in sea arrivals in 2017 kicked in, and this allows us to do away with the need to control for seasonality. Findings do not change much if we started on July 1st this year.
      Zooming in, in relative terms the drop in sea arrivals during Salvini’s term is almost as stark as last year’s drop.

      In the period 15 July - 8 October:

      Drop during #Salvini: -73%.
      Drop during #Minniti: -79%.

      But looking at actual numbers, the difference is clear. In less than 3 months’ time, the drop in #migrants and #refugees disembarking in #Italy under #Minniti had already reached 51,000. Under #Salvini in 2018, the further drop is less than 10,000.


      To put it another way: deterrence policies under #Salvini can at best aim for a drop of about 42,000 irregular arrivals in 12 months. Most likely, the drop will amount to about 30.000. Under #Minniti, sea arrivals the drop amounted to 150.000. Five times larger.

      BOTTOM LINE: the opportunity-cost of deterrence policies is shrinking fast. Meanwhile, the number of dead and missing along the Central Mediterranean route has not declined in tandem (in fact, in June-September it shot up). Is more deterrence worth it?

      https://twitter.com/emmevilla/status/1049978070734659584

      Le papier qui explique tout cela :
      Sea Arrivals to Italy : The Cost of Deterrence Policies


      https://www.ispionline.it/en/publication/sea-arrivals-italy-cost-deterrence-policies-21367

    • Méditerranée : forte baisse des traversées en 2018 et l’#Espagne en tête des arrivées (HCR)

      Pas moins de 113.482 personnes ont traversé la #Méditerranée en 2018 pour rejoindre l’Europe, une baisse par rapport aux 172.301 qui sont arrivés en 2017, selon les derniers chiffres publiés par le Haut-Commissariat de l’ONU pour les réfugiés (HCR).
      L’Agence des Nations Unies pour les réfugiés rappelle d’ailleurs que le niveau des arrivées a également chuté par rapport au pic de 1,015 million enregistré en 2015 et à un moindre degré des 362.753 arrivées répertoriées en 2016.

      Toutefois pour l’année 2018, si l’on ajoute près de 7.000 migrants enregistrés dans les enclaves espagnoles de #Ceuta et #Melilla (arrivées par voie terrestre), on obtient un total de 120.205 arrivées en Europe.

      L’an dernier l’Espagne est redevenue la première porte d’entrée en Europe, avec 62.479 arrivées (dont 55.756 par la mer soit deux fois plus qu’en 2017, avec 22.103 arrivées).

      La péninsule ibérique est suivie par la #Grèce (32.497), l’Italie (23.371), #Malte (1.182) et #Chypre (676).

      https://news.un.org/fr/story/2019/01/1032962

  • ITALIE ISOLÉE DANS LA TEMPÊTE MIGRATOIRE
    Article de JÉRÔME GAUTHERET

    Sur les 600 000 migrants arrivés en Italie depuis 2014, la plupart ont traversé la #Méditerranée. Des milliers d’autres y ont péri. L’île de #Lampedusa, avant-poste de l’accueil, est débordée par cette crise humanitaire fortement liée au chaos qui règne en #Libye.

    On rejoint le jardin public en poussant les portes d’une grille qui ne ferme plus depuis longtemps. Puis, après une courte promenade au milieu des agaves et des myrtes, on arrive à un étrange réseau de grottes sommairement aménagées à proximité d’un vieux puits. L’endroit est à peine mentionné par les guides de voyage, mais il mérite qu’on s’y arrête : en effet, le vrai cœur de Lampedusa est là, en ces vestiges
    à peine entretenus d’un sanctuaire millénaire, témoignage unique de ce qu’était l’île avant sa colonisation systématique, au début du XIXe siècle.

    LAMPEDUSA, UNE ÎLE AU CENTRE DU MONDE

    Avant de devenir un paradis touristique perdu au milieu de la Méditerranée, à 150 kilomètres des côtes tunisiennes, en même temps que, pour le monde entier, le symbole de l’odyssée des centaines de milliers de migrants qui, chaque année, bravent tous les dangers pour atteindre l’Europe, Lampedusa a été un havre, un lieu de repos pour les marins de toutes origines qui sillonnaient la mer.

    Marchands phéniciens, arabes ou grecs, chevaliers francs revenant de croisade, pirates barbaresques, pêcheurs en détresse : Lampedusa était leur île. Elle appartenait à tous et à personne. Chacun, du roi de France revenant de Terre sainte au plus humble pêcheur, venait s’abriter ici durant les tempêtes, prier ses dieux et reprendre des forces, en attendant l’accalmie. Aujourd’hui, une chapelle dédiée à
    la Vierge a été aménagée dans la pierre, à deux pas de la grotte, et les habitants viennent, de loin en loin, y déposer quelques fleurs ou prier, dans un calme absolu.

    La " porte de l’Europe ", pour reprendre le nom d’une œuvre d’art installée sur une plage faisant face à l’infini, à la pointe sud de Lampedusa, peut bien être présentée comme une des extrémités de l’Union européenne, un bout du monde exotique. Mais, dès que l’on pose le pied sur l’île, on est assailli par le sentiment inverse : celui d’être au centre d’un espace fluide, au sein duquel les populations ont navigué de rive en rive, depuis toujours. L’impression est encore plus
    saisissante lorsqu’on observe, grossièrement sculptées dans la roche, les traces de ce passé enfoui.

    L’homme qui nous conduit dans ce sanctuaire, un matin d’hiver, s’appelle Pietro Bartolo. Il est né sur l’île en 1956, il en est parti à 13 ans et y est revenu au milieu des années 1980, une fois achevées ses études de médecine. C’est lui qui a fondé, un peu à l’écart du bourg, le petit hôpital qui, aujourd’hui encore, constitue le seul lieu d’assistance, sur terre comme sur mer, à plus de 100 milles nautiques (185 km) à la ronde.

    En tant que directeur de l’#hôpital de Lampedusa, il a accueilli, ces dernières années, des dizaines de milliers de candidats à l’exil sur le quai minuscule qui tient lieu de débarcadère, et les a soignés. Il a aussi eu la terrible responsabilité d’ouvrir, du même geste, des centaines et des centaines de ces grands sacs verts dans lesquels on
    ramène à terre les corps des naufragés. Un film documentaire sorti en 2016, nominé pour l’Oscar, Fuocoammare. Par-delà Lampedusa, dans lequel il jouait son propre rôle, lui a valu une notoriété internationale. A sa manière, lui aussi est devenu un symbole.

    Comme c’est courant ici, l’histoire familiale de Pietro Bartolo est africaine autant qu’italienne. A l’exemple de ces milliers de Siciliens poussés par la misère qui, pendant des décennies, ont pris la mer en sens inverse des migrants d’aujourd’hui pour chercher du travail dans les colonies et protectorats d’Afrique du Nord, la famille de sa mère s’était installée un temps en Tunisie. Cette multitude d’odyssées ordinaires, dont le souvenir est entretenu par les histoires familiales, explique une bonne part des différences de perception du phénomène migratoire entre le nord et le sud de l’Italie.

    LE TEMPS DES " TURCS "

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, #Pietro_Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    Le gouvernement, lui, ne considère pas encore le phénomène comme préoccupant. D’autant plus que, depuis le début des années 1990, l’#Italie a la tête ailleurs. L’arrivée dans les Pouilles, au printemps et en été 1991, de plusieurs dizaines de milliers d’Albanais fuyant la ruine de leur pays a provoqué un choc terrible. Le 8 août, le #Vlora, un cargo venu du port albanais de Durres, est entré dans celui de Bari avec à son bord 20 000 migrants, bientôt installés dans l’enceinte du stade de la ville. La désorganisation est totale : le maire multiplie les appels aux dons et à la solidarité, tandis qu’à Rome le gouvernement cherche un moyen de renvoyer chez eux ces arrivants illégaux… Rien ne sera plus jamais comme avant.

    A l’aune de ce bouleversement venu des Balkans, qui force l’Italie, pour la première fois de son histoire, à se poser la question de l’accueil et de l’intégration, les arrivées sporadiques à Lampedusa ne sont pas perçues au départ comme beaucoup plus qu’une anecdote. Selon les souvenirs des habitants, les migrants venaient surtout des côtes tunisiennes, ils étaient jeunes et en relative bonne santé. La plupart du temps, la traversée était assurée par des passeurs, payés une fois le but atteint. Bref, la route de la #Méditerranée_centrale vivait à l’heure d’une migration "artisanale".

    Mais au fil du temps, dans les années 2000, le phénomène change de nature et d’échelle. "Il ne s’agit pas seulement de géopolitique. Il s’est produit un changement anthropologique dans la jeunesse africaine il y a une quinzaine d’années", assure le vice-ministre italien des
    affaires étrangères et de la coopération, Mario Giro, qui, avant d’entrer en politique, a consacré de nombreuses années à des missions en Afrique comme responsable des questions internationales de la Communauté de Sant’Egidio. "Avant, il s’agissait de projets collectifs : une famille se cotisait pour envoyer un de ses fils en Europe, dit-il. Désormais, ce sont des #hommes_seuls qui décident de
    partir, parce qu’ils considèrent que partir est un droit. Dans les villes africaines, la famille a subi les mêmes coups de la modernité que partout dans le monde. Ces jeunes gens se sont habitués à penser seuls, en termes individuels. Dans leur choix, il y a une part de vérité – les blocages politiques – et la perception que l’avenir n’est pas dans leur pays. Alors, ils partent."
    #facteurs_push #push-factors

    Des gouvernements européens essaient de passer des accords avec les Etats africains pour qu’ils arrêtent en Afrique les candidats à l’Europe, ce qui a pour effet de criminaliser l’activité des #passeurs. Des réseaux de plus en plus violents et organisés se mettent en place.

    VIE ET MORT DE MOUAMMAR KADHAFI

    Un acteur central du jeu régional comprend très tôt le parti à tirer de ce phénomène, face auquel les pays européens semblent largement démunis. C’est le chef de l’Etat libyen, Mouammar #Kadhafi, qui cherche depuis le début des années 2000 à retrouver une forme de respectabilité internationale, rompant avec la politique de soutien au terrorisme qui avait été la sienne dans les années 1980 et 1990.
    Grâce aux immenses recettes de la rente pétrolière, dont il dispose dans la plus totale opacité, le Guide libyen multiplie les prises de participation en Italie (Fiat, Finmeccanica) et les investissements immobiliers. Il entre même au capital du club de football le plus prestigieux du pays, la Juventus de Turin. En contrepartie, le groupe énergétique ENI, privatisé à la fin des années 1990 mais dans lequel l’Etat italien garde une participation importante, conserve le statut d’Etat dans l’Etat dont il jouit en Libye depuis la période coloniale (1911-1942).

    Bientôt, la maîtrise des flux migratoires devient un aspect supplémentaire dans la très complexe relation entre la Libye et l’Italie. " De temps en temps, tous les deux ou trois ans, Kadhafi réclamait de l’argent pour la période coloniale. Et quand ça n’allait pas assez bien pour lui, il faisait partir des bateaux pour se rappeler à nous. C’était devenu pour lui un moyen de pression de plus, et ça signifie également qu’en Libye, des réseaux étaient déjà en place", se souvient Mario Giro.
    #chantage

    Entamées à l’époque du deuxième gouvernement Prodi (2006-2008), et émaillées de moments hauts en couleur – comme cette visite privée à Tripoli du ministre des affaires étrangères italien Massimo D’Alema, un week-end de Pâques 2007, au terme de laquelle Kadhafi a affirmé que l’Italie lui avait promis de construire une autoroute traversant le pays d’est en ouest –, les négociations sont poursuivies par le gouvernement de Silvio Berlusconi, revenu aux affaires au printemps 2008. Elles débouchent sur la signature d’un accord, le 30 août de la même année. En échange de 5 milliards d’euros d’investissements sur vingt-cinq ans et d’#excuses_officielles de l’Italie pour la #colonisation, le dirigeant libyen s’engage à cesser ses reproches, mais surtout à empêcher les départs de migrants depuis ses côtes. Plus encore, les migrants secourus dans les eaux internationales seront ramenés en Libye, même contre leur gré et au mépris du droit de la mer.
    #accord_d'amitié

    L’Eglise et plusieurs ONG humanitaires peuvent bien chercher à alerter l’opinion sur les conditions dans lesquelles sont ramenés à terre les candidats à la traversée, ainsi que sur les innombrables violations des droits de l’homme en Libye, elles restent largement inaudibles. Le colonel Kadhafi peut même se permettre de pittoresques provocations, comme ses visites officielles à Rome en 2009 et 2010, où il appelle publiquement à l’islamisation de l’Europe. Le gouvernement Berlusconi, embarrassé, n’a d’autre solution que de regarder ailleurs.

    L’irruption des "#printemps_arabe s", début 2011, va faire voler en éclats ce fragile équilibre. Le soulèvement libyen, en février 2011, un mois après la chute du président tunisien Ben Ali, est accueilli avec sympathie par les chancelleries occidentales. Mais en Italie, on l’observe avec préoccupation. "Bien sûr, l’Etat libyen de Kadhafi n’était pas parfait, concède #Mario_Giro. Mais il y avait un Etat… Dans les premiers mois de 2011 – je travaillais encore pour Sant’Egidio –, alors que la France semblait déjà décidée à intervenir en Libye, le ministre des affaires étrangères du Niger m’a demandé d’organiser une entrevue avec son homologue italien, Frattini. Nous étions trois, dans un bureau du ministère, et il nous a expliqué point par point ce qu’il se passerait en cas de chute de Kadhafi. Le chaos en Méditerranée, les armes dans tout le Sahel… Tout s’est passé exactement comme il l’a dit. Mais personne n’a voulu l’écouter". Il faut dire qu’en ce début d’année 2011, le prestige international de l’Italie est au plus bas. Très affaiblie économiquement et victime du discrédit personnel d’un Silvio Berlusconi empêtré dans les scandales, l’Italie est tout simplement inaudible.

    En mai 2011, les membres du G8, réunis à Deauville, appellent Mouammar Kadhafi à quitter le pouvoir. "Lors de ce sommet, Silvio Berlusconi a plusieurs fois tenté de prendre la défense du Guide libyen, mettant en avant son aide sur le dossier des migrants et le fait qu’il s’était amendé et avait tourné le dos au terrorisme", se souvient un diplomate français, témoin des discussions. "Mais
    personne n’en a tenu compte." Le chef libyen, chassé de Tripoli en août, mourra le 20 octobre, à Syrte. Quatre semaines plus tard, le gouvernement Berlusconi 4 cessait d’exister.

    Sur le moment, entre l’euphorie de la chute de la dictature et le changement d’ère politique en Italie, ces tensions entre puissances semblent négligeables. Il n’en est rien. Au contraire, elles ne cesseront de resurgir dans le débat, nourrissant en Italie un procès durable contre la #France, accusée d’avoir déstabilisé la situation en Méditerranée pour mieux laisser l’Italie en subir, seule, les conséquences.

    CHAOS EN MÉDITERRANÉE

    Car dans le même temps, les "printemps arabes" provoquent un bouleversement de la situation en Méditerranée. Une fois de plus, c’est à Lampedusa que les premiers signes de la tempête apparaissent. Sur cette île minuscule, en hiver, on compte à peine 5 000 habitants d’ordinaire. Là, ce sont plus de 7 000 personnes venues de #Tunisie qui y débarquent en quelques jours, entre février et mars 2011. La population les accueille avec les moyens du bord, dans des conditions très précaires. Des "permis temporaires de séjours" de trois mois
    sont délivrés aux arrivants par les autorités italiennes. Ainsi, les candidats à l’exil pourront-ils circuler aisément dans tout l’espace Schengen. Plus de 60 000 migrants débarqueront en 2011 ; la grande majorité d’entre eux ne resteront pas en Italie.
    #migrants_tunisiens

    Passé les mois de désorganisation ayant suivi la chute du président tunisien #Ben_Ali, Rome et Tunis concluent en 2012 un #accord_de_réadmission, formalisant le retour au pays des migrants d’origine tunisienne expulsés d’Italie. Assez vite, se met en place une coopération qui, de l’avis de nos interlocuteurs dans les deux pays, fonctionne plutôt harmonieusement.

    En revanche, en Libye, du fait de la déliquescence du pouvoir central, Rome n’a pas d’interlocuteur. Dans un pays livré aux milices et à l’anarchie, des réseaux de trafiquants d’êtres humains s’organisent à ciel ouvert. Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. "J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis."

    En une dizaine de jours, l’opération "#Mare_Nostrum" est mise sur pied. Concrètement, il s’agit d’une opération navale, à la fois militaire et humanitaire, visant à lutter contre les réseaux de passeurs, tout en évitant la survenue de nouveaux drames. Ses effets sont immédiats : en moins d’un an, plus de 100 000 migrants sont secourus et le nombre de morts diminue spectaculairement. Pourtant, le gouvernement Renzi, qui succède à Letta un an plus tard, décide d’y mettre un terme, à l’automne 2014. "Ça ne coûtait pas très cher, environ 8 millions d’euros par mois, et nous avons sauvé des centaines de vie avec ce dispositif, tout en arrêtant de nombreux trafiquants, avance Enrico Letta pour défendre son initiative. Mais très vite, Mare Nostrum a été accusée de provoquer un #appel_d'air… "

    De fait, en quelques mois, le nombre de départs des côtes africaines a explosé. Surtout, une évolution capitale se produit : peu à peu, les passeurs changent de stratégie. Pour ne pas voir leurs bateaux saisis, plutôt que de chercher à gagner un port italien, ils se contentent, une fois arrivés à proximité des eaux italiennes, de débarquer les migrants à bord de petites embarcations, les laissant ensuite dériver
    jusqu’à l’arrivée des secours. La marine italienne, trouvant les migrants en situation de détresse, n’a alors d’autre choix que d’appliquer les règles immuables du #droit_de_la_mer et de les conduire en lieu sûr.

    La suppression de Mare Nostrum par le gouvernement Renzi vise à sortir de cet engrenage. En novembre 2014, est annoncée l’entrée en vigueur de l’opération "#Triton", coordonnée par l’agence européenne #Frontex. Un dispositif de moindre envergure, financé par l’Union européenne, et dans lequel la dimension humanitaire passe au second plan. Las, le nombre de départs des côtes libyennes ne diminue pas. Au contraire, en 2015, plus de 150’000 personnes sont secourues en mer. En 2016, elles seront 181’000. Et pour suppléer à la fin de Mare Nostrum, de nouveaux acteurs apparaissent en 2015 au large des côtes libyennes : des navires affrétés par des #ONG humanitaires, aussitôt
    accusés, eux aussi, de former par leur présence une sorte d’appel d’air facilitant le travail des trafiquants d’êtres humains.

    L’ITALIE PRISE AU PIÈGE

    Pour Rome, les chiffres des secours en mer sont bien sûr préoccupants. Mais ils ne disent pas tout du problème. L’essentiel est ailleurs : depuis la fin de 2013, les pays limitrophes de l’Italie (#France et #Autriche) ont rétabli les contrôles à leurs frontières. Là où, jusqu’alors, l’écrasante majorité des migrants empruntant la route de la Méditerranée centrale ne faisaient que traverser le pays en direction du nord de l’Europe, ils se trouvent désormais bloqués sur le sol italien, provoquant en quelques années l’engorgement de toutes les structures d’accueil. Et les appels répétés à la solidarité européenne se heurtent à l’indifférence des partenaires de l’Italie, qui eux-mêmes doivent composer avec leurs opinions publiques, devenues très hostiles aux migrants.
    #frontière_sud-alpine

    Considéré jusque-là comme un impératif moral par une large part de la population, l’accueil des demandeurs d’asile est l’objet de critiques croissantes. En 2015, en marge du scandale "#Mafia_capitale ", qui secoue l’administration de la commune de Rome, l’Italie découvre que plusieurs coopératives chargées de nourrir et d’héberger les migrants se sont indûment enrichies. S’installe dans les esprits une l’idée dévastatrice : l’#accueil des réfugiés est un "#business " juteux plus qu’une œuvre humanitaire.
    #mafia

    Deux ans plus tard, une série de procédures à l’initiative de magistrats de Sicile en vient à semer le doute sur les activités des ONG opérant en Méditerranée. Le premier à lancer ces accusations est le procureur de Catane, Carmelo #Zuccaro, qui dénonce en avril 2017 – tout en admettant qu’il n’a "pas les preuves" de ce qu’il avance – les ONG de collusion avec les trafiquants. Après trois mois de rumeurs et de fuites organisées dans la presse, début août 2017, le navire de l’ONG allemande #Jugend_Rettet, #Iuventa, est placé sous séquestre, tandis qu’il a été enjoint aux diverses organisations de signer un "code de bonne conduite", sous le patronage du ministre de l’intérieur, Marco #Minniti, visant à encadrer leurs activités en mer. La plupart des ONG, dont Médecins sans frontières, quitteront la zone à l’été 2017.
    #code_de_conduite

    Tandis que le monde entier a les yeux tournés vers la Méditerranée, c’est en réalité en Libye que se produit, mi-juillet, une rupture majeure. En quelques jours, les départs connaissent une chute spectaculaire. Moins de 4000 personnes sont secourues en mer en août, contre 21’000 un an plus tôt, à la même période. La cause de ce coup d’arrêt ? Le soutien et l’équipement, par Rome, des unités libyennes
    de #gardes-côtes, qui traquent les migrants jusque dans les eaux internationales, au mépris du droit de la mer, pour les reconduire dans des camps de détention libyens. Le gouvernement italien conclut une série d’accords très controversés avec différents acteurs locaux en
    Libye.
    #accord #gardes-côtes_libyens
    v. aussi : http://seen.li/cvmy

    Interrogé sur les zones d’ombre entourant ces négociations, et les témoignages venus de Libye même affirmant que l’Italie a traité avec les trafiquants, Marco Minniti nie la moindre entente directe avec les réseaux criminels, tout en mettant en avant l’intérêt supérieur du pays, qui n’arrivait plus, selon lui, à faire face seul aux arrivées. "A un moment, confiait-il fin août 2017 à des journalistes italiens, j’ai eu peur pour la santé de notre démocratie."

    De fait, l’accueil de 600’000 migrants depuis 2014 et l’attitude des partenaires européens de l’Italie, qui ont poussé à l’ouverture de "#hotspots" (centres d’enregistrement des migrants) en Sicile et dans le sud de la Péninsule, sans tenir leurs engagements en matière de #relocalisation (à peine 30 000 réfugiés arrivés en Italie et en Grèce concernés à l’automne 2017, contre un objectif initial de 160’000), a nourri le rejet de la majorité de centre-gauche au pouvoir. Il a alimenté le discours xénophobe de la Ligue du Nord de Matteo Salvini et la montée des eurosceptiques du Mouvement 5 étoiles. A quelques jours des élections du 4 mars, celui-ci est au plus haut dans les sondages.

    Depuis l’été, les départs des côtes africaines se poursuivent
    sporadiquement, au gré de la complexe situation régnant sur les côtes libyennes. Resteque des centaines de milliers de candidats à l’exil – ils seraient de 300’000 à 700’000, selon les sources – sont actuellement bloqués en Libye dans des conditions humanitaires effroyables. Pour le juriste sicilien Fulvio Vassallo, infatigable défenseur des demandeurs d’asile, cette politique est vouée à l’échec, car il ne s’agit pas d’une crise migratoire, mais d’un mouvement de fond. "Pour l’heure, l’Europe affronte le problème avec
    la seule perspective de fermer les frontières, explique-t-il. Et ça, l’histoire des vingt dernières années nous démontre que c’est sans espoir. Ça n’a pas d’autre effet que d’augmenter le nombre de morts en mer."

    Depuis 2014, selon les chiffres du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, 13’500 personnes au moins ont trouvé la mort en mer, sur la route de la Méditerranée centrale. Sans compter la multitude de ceux, avalés par les eaux, dont on n’a jamais retrouvé la trace.


    http://www.lemonde.fr/international/article/2018/02/23/l-italie-seule-dans-la-tempete-migratoire_5261553_3210.html

    Un nouveau mot pour la collection de @sinehebdo sur les mots de la migration : #Les_Turcs

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, Pietro Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    #histoire

    #abandon de l’Italie :

    Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. « J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis. »

    #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #frontières

    • C’est une manière de classer les étrangers en mouvement ou en attente de statut par le pays d’accueil.
      Migrants pour étrangers en mouvement. Immigrés pour étrangers sur le territoire national quelque soit leur statut.
      Demandeur d’Asile pour ceux qui font une demande de protection.
      Réfugiés pour ceux qui ont obtenu cette protection.
      Sans papiers pour ceux qui n’ont pas encore obtenu un statut qu’ils aient fait la demande ou non. Le terme administratif en France est ESI, étranger en situation irrégulière.
      Exilés pour ceux qui ont quitté leur pays d’une manière volontaire ou involontaire avec ce qui implique de difficultés et de sentiment d’éloignement de son pays.

    • Solidarietà Ue: gli altri paesi ci hanno lasciati da soli?

      Tra settembre 2015 e aprile 2018 in Italia sono sbarcate quasi 350.000 persone. A fronte di ciò, i piani di ricollocamento d’emergenza avviati dall’Unione europea prevedevano di ricollocare circa 35.000 richiedenti asilo dall’Italia verso altri paesi Ue: già così si sarebbe dunque trattato solo del 10% del totale degli arrivi. Inoltre i governi europei avevano imposto condizioni stringenti per i ricollocamenti: si sarebbero potuti ricollocare solo i migranti appartenenti a nazionalità con un tasso di riconoscimento di protezione internazionale superiore al 75%, il che per l’Italia equivale soltanto a eritrei, somali e siriani. Tra settembre 2015 e settembre 2017 hanno fatto richiesta d’asilo in Italia meno di 21.000 persone provenienti da questi paesi, restringendo ulteriormente il numero di persone ricollocabili. Oltre a queste limitazioni, gli altri paesi europei hanno accettato il ricollocamento di meno di 13.000 richiedenti asilo. La solidarietà europea sul fronte dei ricollocamenti “vale” oggi dunque solo il 4% degli sforzi italiani e, anche se si fossero mantenute le promesse, più di 9 migranti sbarcati su 10 sarebbero rimasti responsabilità dell’Italia.

      Oltre al fallimento dei ricollocamenti, neppure le risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza hanno raggiunto un livello significativo. Al contrario, gli aiuti europei coprono solo una minima parte delle spese italiane: nel 2017, per esempio, gli aiuti Ue ammontavano a meno del 2% dei costi incorsi dallo Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio.

      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #aide_financière

  • Marco Minniti: “Basta sbarchi, farò arrivare diecimila rifugiati con gli aerei”

    Il ministro dell’Interno rivendica i risultati del suo dicastero, fa il punto sulla situazione dell’accoglienza e guarda avanti. Alla gestione dei corridoi umanitari e all’intesa con le associazioni islamiche

    https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2017/12/23/news/il_ministro_minniti_-185046459

    #corridor_humanitaire #Italie #Minniti #asile #migrations #réfugiés #Libye #évacuation
    #hypocrisie de Noël, évidemment...
    #effet_d'annonce

  • Italy will Boost Deportations

    The Italian government is planning to augment the number of migrants who will be deported soon by speeding procedures up.

    The Interior Ministry said it would take a stronger stance on migrants this year, without giving further detail. In testimony to parliament, the minister for the first time.


    http://bmigration.com/italy-deportations
    #Italie #Minniti #renvois #expulsions #politique_migratoire #it_has_begun

    –-> Minniti comme Macron et beaucoup d’autres

  • Je me suis un peu amusée sur FB. Avec la production de cette #carte... regardez uniquement l’idée, non pas sa réalisation... Mais en tout cas, je mettrais cela dans la catégorie : #cartographie_radicale, #cartographie_critique

    C’est une cartographie que je déduis des mots de #Minniti, ministère de l’intérieur italien, qui a déclaré au Corriere della Sera :
    « Il confine sud della Libia è il confine sud dell’Europa », soit : « la frontière sud de la Libye est la frontière sud de l’Europe ».
    Voici la source de la citation :
    http://www.corriere.it/esteri/17_giugno_04/sfida-ong-mare-siete-libere-portate-salvati-altri-paesi-ue-9c831eae-4887-11

    Du coup, par cohérence, on peut en déduire que :
    si la frontière sud de la Libye est la frontière sud de l’Europe, alors touTEs celles et ceux qui vivent au nord de la frontière sud de la Libye, doivent être considérés européens, et doivent donc bénéficier de la libre circulation des personnes. A minima : libyens et tunisiens !

    En italien, j’ai écrit cela sur FB :

    Questione di coerenza.

    Il ministro dell’interno italiano, Minniti, dichiara al Corriere che:

    «Il confine sud della Libia è il confine sud dell’Europa»

    http://www.corriere.it/esteri/17_giugno_04/sfida-ong-mare-siete-libere-portate-salvati-altri-paesi-ue-9c831eae-4887-11

    Quindi. Riassumendo. Se il confine sud dell’Europa è il confine sud della Libia, allora tutti e tutte quelli/e che vivono a nord del confine sud della Libia, ossia libici e tunisini, dovrebbero essere considerati europei. E dovrebbero quindi beneficiare della libera circolazione delle persone!

    Graficamente, ecco il risultato!

    #frontières #europe #frontières_mobiles #externalisation #migrations #réfugiés #asile #Libye #frontière_européenne #frontière_mobile #frontières_mobiles
    cc @reka @stesummi

  • Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger

    Una cooperazione congiunta per il contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani. Istituita una cabina di regia che opererà per monitorare sui temi oggetto dell’incontro


    http://www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-vertice-viminale-dei-ministri-dellinterno-italia-ciad-libia-e-n
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tchad #Italie #Libye
    cc @i_s_