• Enclave agro-industriali e relazioni tra forza lavoro distrettuale – caso studio del saluzzese

    Introduzione

    Lo studio dei rapporti che intercorrono tra gli attori della filiera agroalimentare risulta particolarmente interessante per capire come si sono intrecciati nel tempo i processi di globalizzazione e i flussi migratori in agricoltura.

    Il punto di vista privilegiato di questo lavoro è l’enclave ovvero il distretto agricolo, un luogo che ha preso forma proprio per soddisfare le esigenze del mercato. Un “paesaggio operazionale” (Brenner e Katsikis 2020) che incarna la modernizzazione agricola globale, scollegato dal territorio che lo circonda ma connesso a realtà similari mono funzionali poste in altri punti del globo. Lì dove ha avuto luogo la globalizzazione delle campagne andremo ad indagare quali sono gli attori che attualmente ci lavorano e quali sono i loro interessi.

    Stiamo assistendo alla decontadinizzazione degli agricoltori italiani, le aziende diminuiscono anno dopo anno, le persone si spostano dalle campagne alle città e poco spesso ci si chiede chi resterà a produrre il nostro cibo. Non sempre ci si ricorda infatti che il cibo è l’esito di rapporti socio-ecologici complessi (Avallone 2017) nei quali sono fondamentali sia il lavoro umano che quello naturale. Terra e lavoro però non bastano più, la proprietà dei mezzi di produzione è strutturale all’agricoltura modernizzata, come strutturale è la necessità del lavoro di manodopera salariata nelle nuove “fabbriche” agricole.

    Intensificazione, artificializzazione, mercificazione, imprenditorialità, scalabilità, centralizzazione e specializzazione sono le parole chiave della supermarket revolution. Parole che non sembrano andare d’accordo coi ritmi e i modi della natura, andremo allora a scoprire che effetti danno queste contraddizioni sul territorio e sull’economia locale.

    Il caso studio è il Saluzzese, area in provincia di Cuneo (Piemonte) a forte vocazione produttiva, famosa per le sue eccellenze frutticole e per l’industria manifatturiera dei macchinari e dei mezzi di trasporto necessari alla filiera (CGIL Cuneo 2016). Questo distretto risulta essere un buon esempio di enclave agricola modernizzata in quanto zona rurale dove interagiscono attori globali della filiera e dinamiche sociali tradizionali di un’area marginale all’urbano.

    Nel primo capitolo verrà presentata ed approfondita una rassegna di contributi teorici utili all’analisi del tema indagato. Da un iniziale excursus storico che prende in considerazione le tappe fondamentali intercorse tra il primo regime alimentare e l’attuale, andremo ad approfondire quali sono le caratteristiche fondanti il sistema agroalimentare industriale. La sottomissione dell’azione statale all’efficienza del mercato ci porterà a focalizzarci infine su ciò che sono e rappresentano i distretti agricoli globali, spazi dove forza lavoro e produzione si incontrano e si scontrano.

    Da questo incontro, infatti, prende avvio il secondo capitolo, anch’esso di inquadramento teorico, ma riguardante nello specifico la forza lavoro. Si presenteranno allora le motivazioni che hanno portato alla considerazione del lavoro agricolo come lavoro di serie B. Le stesse che spiegano come la forza lavoro che si trova nel gradino più basso della filiera sia quella che deve in ultima istanza subire le esternalità negative dell’intera catena agroalimentare.

    Solo nel terzo capitolo prenderà avvio lo studio di ricerca che si concentra sulle specificità del distretto saluzzese. Storia agraria territoriale, evoluzione del modello produttivo, staffetta di attori che si sono dati il cambio nel tempo e infine caratteristiche esogene al distretto come la crisi climatica o la Politica Agricola Comune. Questi i temi che saranno trattati al fine di fornire un’idea concreta di quelli che sono i fattori che contribuiscono a dare forma al distretto per come lo conosciamo oggi e che aiutano nella comprensione in prospettiva di come questo potrà evolversi in futuro.

    Il quarto ed ultimo capitolo è il cuore della ricerca e infatti sarà qui che, prendendo in considerazione due attori alla volta, andremo a investigare come i rapporti globali di filiera si adattino al territorio piemontese. Attraverso un lavoro che prende in considerazione notizie di cronaca, interviste e ricerche portate avanti da altri studi similari, studieremo come la Grande Distribuzione Organizzata, pur non entrando a far parte della forza lavoro distrettuale, sia a capo delle scelte produttive degli agricoltori. Andremo poi allo stesso modo ad indagare come si relazionano gli imprenditori agricoli coi loro sottoposti, tema più che mai interessante data la massiccia presenza di migranti tra la manodopera agricola e la restrizione alla mobilità imposta dalla pandemia da Covid-19.

    Concluderemo infine con un accenno a ciò che riguarda i fenomeni illegali che avvengono all’interno del distretto. Data la mancanza di informazioni più approfondite affronteremo il tema partendo da due estratti di interviste che ben si prestano a dare un’idea della complessità che si cela dietro fatti a prima vista inspiegabili come mancate denunce o migrazioni bloccate in fasi di stallo per periodi prolungati.

    https://www.meltingpot.org/2022/05/enclave-agro-industriali-e-relazioni-tra-forza-lavoro-distrettuale-caso-

    #agriculture #alimentation #globalisation #migrations #enclave #distretto_agricolo #industrie_agro-alimentaire #mondialisation #Saluzzese #Piémont #Italie #enclave_agricole #modernisation #régime_alimentaire #travail_agricole #exode_rural #grande_distribution

  • Saudi Arabia expands its sportswashing ambitions to the world of gaming | esports | The Guardian
    https://www.theguardian.com/sport/2022/mar/21/saudi-arabia-expands-its-sportswashing-ambitions-to-the-world-of-gaming

    By zeroing in on the burgeoning eSports market, Saudi Arabia has added a new layer to its soft power strategy in an attempt to polish its public image on the international stage. The process is known as sportswashing, a term popularized by Amnesty International to describe the use of sports by oppressive governments to legitimize their regimes and distract from their human rights abuses.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #business #soft_power #esport #arabie_saoudite #politique #sportwashing #amnesty_international #savvy_gaming_group #esl_gaming #modern_times_group #faceit #esl_faceit #esl_faceit_group #ignite #neom #snk #electronic_arts #ea #activision_blizzard #take_two_interactive_software #take_two #boston_consulting_group #mohammed_bin_salman #newcastle_united #jamal_khashoggi #guerre #yémen #riot_games #jeu_vidéo_league_of_legends #league_of_legends_european_championship #championnat #lgbt #ubisoft #jeu_vidéo_rainbow_six_siege #critique #protestation #pétition #russie #régime_autoritaire #dictature

  • First bivalent #COVID-19 booster vaccine approved by UK medicines regulator
    https://www.gov.uk/government/news/first-bivalent-covid-19-booster-vaccine-approved-by-uk-medicines-regulator

    In each dose of the booster vaccine, ‘Spikevax bivalent Original/Omicron’, half of the vaccine (25 micrograms) targets the original virus strain from 2020 and the other half (25 micrograms) targets Omicron.

    The MHRA’s decision is based on data from a clinical trial which showed that a booster with the bivalent #Moderna vaccine triggers a strong immune response against both Omicron (BA.1) and the original 2020 strain. In an exploratory analysis the bivalent vaccine was also found to generate a good immune response against the Omicron sub-variants BA.4 and BA.5.

    #vaccin_bivalent

  • Moderna : des doses de vaccin passées date peuvent être injectées sans danger Le journal de Montréal - Éric Yvan Lemay
    https://www.journaldemontreal.com/2022/07/13/moderna-des-doses-de-vaccin-passees-date-peuvent-etre-injectees-s

    Ne soyez pas surpris si vous recevez une dose de vaccin Moderna contre la COVID-19, dont la date de péremption est dépassée de quelques semaines. Il n’y a pas d’erreur et c’est sans danger, même si cela peut sembler surprenant.

    Un patient de la Montérégie a ainsi eu toute une surprise le 4 juillet dernier lorsqu’il s’est informé de la date du vaccin qu’il recevait dans une pharmacie de Saint-Lazare, en Montérégie.

    Sans lui dire la date précise, l’infirmière lui a indiqué que le mois de mai était inscrit sur la bouteille.

    « J’ai figé. Je me suis demandé : est-ce que je m’en vais ? », raconte l’homme, qui a finalement accepté la dose.

    Ce qu’il ignorait, c’est que Santé Canada a modifié la durée de conservation du vaccin en janvier dernier. La durée maximale de conservation est passée de sept à neuf mois.

    Jusqu’en août
    Cette nouvelle règle s’applique aussi aux lots qui étaient déjà produits, pourvu que le produit soit conservé à une température oscillant entre -25 °C et -15 °C.

    « Les derniers flacons faisant l’objet de cette prolongation rétroactive de la durée de conservation seront ceux dont la date de péremption imprimée est en août 2022 », peut-on lire dans une note envoyée aux professionnels de la santé par la compagnie Moderna.

    Pour la pharmacienne Sandra Bordus, il n’est pas rare que des lots de médicaments ou de vaccins soient prolongés par le fabricant. 

    « Je n’ai pas du tout de crainte que ce soit moins efficace », dit-elle, précisant que lorsque la date est modifiée, c’est parce que le produit a fait l’objet de vérifications.

    « Il serait inexact de qualifier ces lots de “périmés”, car ils ont été administrés pendant la durée de conservation approuvée », indique de son côté Patricia Gauthier, PDG de Moderna Canada, soulignant que « ces lots de Moderna ont été examinés et approuvés par Santé Canada ».

    Pas de douleurs
    Pour le patient qui a reçu sa dose en juillet dernier, il n’y a toutefois eu aucun effet secondaire. 

    « Je n’ai même pas eu de douleurs au point d’injection, comme lors des premières doses », dit-il, tout en déplorant qu’on ne l’ait pas informé plus tôt que des vaccins périmés pouvaient être administrés sans danger.

    En date du 11 juillet dernier, près de 1,3 million de Québécois avaient reçu leur quatrième dose de vaccin, soit 16 % de la population totale. 

    #moderna #covid-19 #vaccination #sante #vaccins #santé #vaccin #coronavirus #covid #pandémie #sars-cov-2 #santé_publique #foutage_de_gueule

  • Michael Mann ou la modernité mélancolique
    https://laviedesidees.fr/Michael-Mann-ou-la-modernite-melancolique.html

    À propos de : Jean-Baptiste Thoret, Michael Mann : mirages du contemporain, Flammarion. Des mégalopoles immenses où les individus se perdent, des systèmes froids où les personnages sont de simples rouages, des métiers dans lesquels les hommes s’épuisent : Michael Mann pose un regard acéré et mélancolique sur le monde contemporain.

    #Arts #capitalisme #États-Unis #modernité #cinéma #post-modernité
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20220513_mann_corrige-4.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20220513_mann_corrige-3.pdf

  • Difficult Heritage

    The Royal Institute of Art in Stockholm and the University of Basel are collaborating in the organization of the international summer program Difficult Heritage. Coordinated by the Decolonizing Architecture Course from Sweden and the Critical Urbanism course from Switzerland, the program takes place at #Borgo_Rizza (Syracuse, Italy) from 30 August to 7 September 2021, in coordination with Carlentini Municipality, as well as the local university and associations.
    The program is constituted by a series of lectures, seminars, workshop, readings and site visits centered around the rural town of Borgo Rizza, build in 1940 by the ‘#Ente_della_colonizzazione’ established by the fascist regime to colonize the south of Italy perceived as backward and underdeveloped.
    The town seems a perfect place for participants to analyze, reflect and intervene in the debate regarding the architectural heritage associated to painful and violent memories and more broadly to problematize the colonial relation with the countryside, especially after the renew attention due the pandemic.
    The summer program takes place inside the former ‘entity of colonization’ and constitutes the first intensive study period for the Decolonizing Architecture Advanced Course 2020/21 participants.

    https://www.youtube.com/watch?v=x0jY9q1VR3E

    #mémoire #héritage #Italie #Sicile #colonialisme #Italie_du_Sud #fascisme #histoire #architecture #Libye #Borgo_Bonsignore #rénovation #monuments #esthétique #idéologie #tabula_rasa #modernisation #stazione_sperimentale_di_granicoltura #blé #agriculture #battaglia_del_grano #nationalisme #grains #productivité #propagande #auto-suffisance #alimentation #Borgo_Cascino #abandon #ghost-town #villaggio_fantasma #ghost_town #traces #conservation #spirale #décolonisation #défascistisation #Emilio_Distretti

    –-
    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    via @cede qui l’a aussi signalé sur seenthis : https://seenthis.net/messages/953432

    • Architectural Demodernization as Critical Pedagogy: Pathways for Undoing Colonial Fascist Architectural Legacies in Sicily

      The Southern question

      In 1952, #Danilo_Dolci, a young architect living and working in industrial Milan, decided to leave the North – along with its dreams for Italy’s economic boom and rapid modernization – behind, and move to Sicily. When he arrived, as he describes in his book Banditi a Partinico (The Outlaws of Partinico, 1956), he found vast swathes of rural land brutally scarred by the war, trapped in a systematic spiral of poverty, malnutrition and anomie. After twenty years of authoritarian rule, Italy’s newly created democratic republic preserved the ‘civilising’ ethos established by the fascist regime, to develop and modernize Sicily. The effect of these plans was not to bridge the gap with the richer North, but rather, to usher in a slow and prolonged repression of the marginalised poor in the South. In his book, as well as in many other accounts, Dolci collected the testimonies of people in Partinico and Borgo di Trappeto near Trapani, western Sicily.1, Palermo: Sellerio Editore, 2009.] Living on the margins of society, they were rural labourers, unemployed fishermen, convicted criminals, prostitutes, widows and orphans – those who, in the aftermath of fascism, found themselves crushed by state violence and corruption, by the exploitation of local notables and landowners, and the growing power of the Mafia.

      Dolci’s activism, which consisted of campaigns and struggles with local communities and popular committees aimed at returning dignity to their villages, often resulted in confrontations with the state apparatus. Modernization, in this context, relied on a carceral approach of criminalisation, policing and imprisonment, as a form of domestication of the underprivileged. On the one hand, the South was urged to become like the North, yet on the other, the region was thrown further into social decay, which only accelerated its isolation from the rest of the country.

      The radical economic and social divide between Italy’s North and South has deep roots in national history and in the colonial/modern paradigm. From 1922, Antonio Gramsci branded this divide as evidence of how fascism exploited the subaltern classes via the Italian northern elites and their capital. Identifying a connection with Italy’s colonisation abroad, Gramsci read the exploitation of poverty and migrant labour in the colonial enterprise as one of ‘the wealthy North extracting maximum economic advantage out of the impoverished South’.2 Since the beginning of the colonisation of Libya in 1911, Italian nationalist movements had been selling the dream of a settler colonial/modern project that would benefit the underprivileged masses of southern rural laborers.

      The South of Italy was already considered an internal colony in need of modernization. This set the premise of what Gramsci called Italy’s ‘Southern question’, with the southern subalterns being excluded from the wider class struggle and pushed to migrate towards the colonies and elsewhere.3 By deprovincialising ‘the Southern question’ and connecting it to the colonial question, Gramsci showed that the struggle against racialised and class-based segregation meant thinking beyond colonially imposed geographies and the divide between North and South, cities and countryside, urban labourers and peasants.

      Gramsci’s gaze from the South can help us to visualise and spatialise the global question of colonial conquest and exploitation, and its legacy of an archipelago of colonies scattered across the North/South divide. Written in the early 1920s but left incomplete, Gramsci’s The Southern Question anticipated the colonizzazione interna (internal colonization) of fascism, motivated by a capital-driven campaign for reclaiming arable land that mainly effected Italy’s rural South. Through a synthesis of monumentalism, technological development and industrial planning, the fascist regime planned designs for urban and non-urban reclamation, in order to inaugurate a new style of living and to celebrate the fascist settler. This programme was launched in continuation of Italy’s settler colonial ventures in Africa.

      Two paths meet under the roof of the same project – that of modernization.

      Architectural colonial modernism

      Architecture has always played a crucial role in representing the rationality of modernity, with all its hierarchies and fascist ramifications. In the Italian context, this meant a polymorphous and dispersed architecture of occupation – new settlements, redrawn agricultural plots and coerced migration – which was arranged and constructed according to modern zoning principles and a belief in the existence of a tabula rasa. As was the case with architectural modernism on a wider scale, this was implemented through segregation and erasure, under the principle that those deemed as non-modern should be modernized or upgraded to reach higher stages of civilisation. The separation in the African colonies of white settler enclaves from Indigenous inhabitants was mirrored in the separation between urban and rural laborers in the Italian South. These were yet another manifestation of the European colonial/modern project, which for centuries has divided the world into different races, classes and nations, constructing its identity in opposition to ‘other’ ways of life, considered ‘traditional’, or worse, ‘backwards’. This relation, as unpacked by decolonial theories and practices, is at the core of the European modernity complex – a construct of differentiations from other cultures, which depends upon colonial hegemony.

      Taking the decolonial question to the shores of Europe today means recognising all those segregations that also continue to be perpetuated across the Northern Hemisphere, and that are the product of the unfinished modern and modernist project. Foregrounding the impact of the decolonial question in Europe calls for us to read it within the wider question of the ‘de-modern’, beyond colonially imposed geographical divides between North and South. We define ‘demodernization’ as a condition that wants to undo the rationality of zoning and compartmentalisation enforced by colonial modern architecture, territorialisation and urbanism. Bearing in mind what we have learned from Dolci and Gramsci, we will explain demodernization through architectural heritage; specifically, from the context of Sicily – the internal ‘civilisational’ front of the Italian fascist project.

      Sicily’s fascist colonial settlements

      In 1940, the Italian fascist regime founded the Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS, Entity for the Colonization of the Sicilian Latifondo),4 following the model of the Ente di Colonizzazione della Libia and of colonial urban planning in Eritrea and Ethiopia. The entity was created to reform the latifondo, the predominant agricultural system in southern Italy for centuries. This consisted of large estates and agricultural plots owned by noble, mostly absentee, landlords. Living far from their holdings, these landowners used local middlemen and hired thugs to sublet to local peasants and farmers who needed plots of land for self-sustenance.5 Fascism sought to transform this unproductive, outdated and exploitative system, forcing a wave of modernization. From 1940 to 1943, the Ente built more than 2,000 homesteads and completed eight settlements in Sicily. These replicated the structures and planimetries that were built throughout the 1930s in the earlier bonifica integrale (land reclamation) of the Pontine Marshes near Rome, in Libya and in the Horn of Africa; the same mix of piazzas, schools, churches, villas, leisure centres, monuments, and a Casa del Fascio (fascist party headquarters). In the name of imperial geographical unity, from the ‘centre’ to the ‘periphery’, many of the villages built in Sicily were named after fascist ‘martyrs’, soldiers and settlers who had died in the overseas colonies. For example, Borgo Bonsignore was named after a carabinieri (military officer) who died in the Battle of Gunu Gadu in 1936, and Borgo Fazio and Borgo Giuliano after Italian settlers killed by freedom fighters in occupied Ethiopia.

      The reform of the latifondo also sought to implement a larger strategy of oppression of political dissent in Italy. The construction of homesteads in the Sicilian countryside and the development of the land was accompanied by the state-driven migration of northern labourers, which also served the fascist regime as a form of social surveillance. The fascists wanted to displace and transform thousands of rural laborers from the North – who could otherwise potentially form a stronghold of dissent against the regime – into compliant settlers.6 Simultaneously, and to complete the colonizing circle, many southern agricultural workers were sent to coastal Libya and the Horn of Africa to themselves become new settlers, at the expense of Indigenous populations.

      All the Sicilian settlements were designed following rationalist principles to express the same political and social imperatives. Closed communities like the Pontine settlements were ‘geometrically closed in the urban layout and administratively closed to farmers, workmen, and outside visitors as well’.7 With the vision of turning waged agrarian laborers into small landowners, these borghi were typologically designed as similar to medieval city enclaves, which excluded those from the lower orders.

      These patterns of spatial separation and social exclusion were, unsurprisingly, followed by the racialisation of the Italian southerners. Referring to a bestiary, the propaganda journal Civiltà Fascista (Fascist Civilisation) described the Pontine Marshes as similar to ‘certain zones of Africa and America’, ‘a totally wild region’ whose inhabitants were ‘desperate creatures living as wild animals’.8 Mussolini’s regime explicitly presented this model of modernization, cultivation and drainage to the Italian public as a form of warfare. The promise of arable land and reclaimed marshes shaped an epic narrative which depicted swamps and the ‘unutilised’ countryside as the battlefield where bare nature – and its ‘backward inhabitants’ – was the enemy to be tamed and transformed.

      However, despite the fanfare of the regime, both the projects of settler colonialism in Africa and the plans for social engineering and modernization in the South of Italy were short-lived. As the war ended, Italy ‘lost’ its colonies and the many Ente were gradually reformed or shut down.9 While most of the New Towns in the Pontine region developed into urban centres, most of the fascist villages built in rural Sicily were meanwhile abandoned to a slow decay.

      Although that populationist model of modernization failed, the Sicilian countryside stayed at the centre of the Italian demographic question for decades to come. Since the 1960s, these territories have experienced a completely different kind of migration to that envisaged by the fascist regime. Local youth have fled unemployment in huge numbers, migrating to the North of Italy and abroad. With the end of the Second World War and the colonies’ return to independence, it was an era of reversed postcolonial migration: no longer white European settlers moving southwards/eastwards, but rather a circulatory movement of people flowing in other directions, with those now freed from colonial oppression taking up the possibility to move globally. Since then, a large part of Sicily’s agrarian sector has relied heavily on seasonal migrant labour from the Southern Hemisphere and, more recently, from Eastern Europe. Too often trapped in the exploitative and racist system of the Italian labour market, most migrants working in areas of intensive agriculture – in various Sicilian provinces near the towns of Cassibile, Vittoria, Campobello di Mazara, Caltanissetta and Paternò – have been forced out of cities and public life. They live isolated from the local population, socially segregated in tent cities or rural slums, and without basic services such as access to water and sanitation.

      As such, rural Sicily – as well as vast swathes of southern Italy – remain stigmatised as ‘insalubrious’ spaces, conceived of in the public imagination as ‘other’, ‘dangerous’ and ‘backward’. From the time of the fascist new settlements to the informal rural slums populated by migrants in the present, much of the Sicilian countryside epitomises a very modern trope: that the South is considered to be in dire need of modernization. The rural world is seen to constitute an empty space as the urban centres are unable to deal with the social, economic, political and racial conflicts and inequalities that have been (and continue to be) produced through the North/South divides. This was the case at the time of fascist state-driven internal migration and overseas settler colonial projects. And it still holds true for the treatment of migrants from the ex-colonies, and their attempted resettlement on Italian land today.

      Since 2007, Sicily’s right-wing regional and municipal governments have tried repeatedly to attain public funding for the restoration of the fascist settlements. While this program has been promoted as a nostalgic celebration of the fascist past, in the last decade, some municipalities have also secured EU funding for architectural restoration under the guise of creating ‘hubs’ for unhoused and stranded migrants and refugees. None of these projects have ever materialised, although EU money has financed the restoration of what now look like clean, empty buildings. These plans for renovation and rehousing echo Italy’s deepest populationist anxieties, which are concerned with managing and resettling ‘other’ people considered ‘in excess’. While the ECLS was originally designed to implement agrarian reforms and enable a flow of migration from the north of the country, this time, the Sicilian villages were seen as instrumental to govern unwanted migrants, via forced settlement and (an illusion of) hospitality. This reinforces a typical modern hierarchical relationship between North and South, and with that, exploitative metropolitan presumptions over the rural world.

      The Entity of Decolonization

      To imagine a counter-narrative about Sicily’s, and Italy’s, fascist heritage, we presented an installation for the 2020 Quadriennale d’arte – FUORI, as a Decolonizing Architecture Art Research (DAAR) project. This was held at the Palazzo delle Esposizioni in Rome, the venue of the Prima mostra internazionale d’arte coloniale (First International Exhibition of Colonial Art, 1931), as well as other propaganda exhibitions curated by the fascist regime. The installation aims to critically rethink the rural towns built by the ECLS. It marks the beginning of a longer-term collaborative project, the Ente di Decolonizzazione or Entity of Decolonization, which is conceived as a transformative process in history-telling. The installation builds on a photographic dossier of documentation produced by Luca Capuano, which reactivates a network of built heritage that is at risk of decay, abandonment and being forgotten. With the will to find new perspectives from which to consider and deconstruct the legacies of colonialism and fascism, the installation thinks beyond the perimeters of the fascist-built settlements to the different forms of segregations and division they represent. It moves from these contested spaces towards a process of reconstitution of the social, cultural and intimate fabrics that have been broken by modern splits and bifurcations. The project is about letting certain stories and subjectivities be reborn and reaffirmed, in line with Walter D. Mignolo’s statement that ‘re-existing means using the imaginary of modernity rather than being used by it. Being used by modernity means that coloniality operates upon you, controls you, forms your emotions, your subjectivity, your desires. Delinking entails a shift towards using instead of being used.’10 The Entity of Decolonization is a fluid and permanent process, that seeks perpetual manifestations in architectural heritage, art practice and critical pedagogy. The Entity exists to actively question and contest the modernist structures under which we continue to live.

      In Borgo Rizza, one of the eight villages built by the Ente, we launched the Difficult Heritage Summer School – a space for critical pedagogy and discussions around practices of reappropriation and re-narrativisation of the spaces and symbols of colonialism and fascism.11 Given that the villages were built to symbolise fascist ideology, how far is it possible to subvert their founding principles? How to reuse these villages, built to celebrate fascist martyrs and settlers in the colonial wars in Africa? How to transform them into antidotes to fascism?

      Borgo Rizza was built in 1940 by the architect Pietro Gramignani on a piece of land previously expropriated by the ECLS from the Caficis, a local family of landowners. It exhibits a mixed architectural style of rationalism and neoclassical monumentalism. The settlement is formed out of a perimeter of buildings around a central protected and secured piazza that was also the main access to the village. The main edifices representing temporal power (the fascist party, the ECLS, the military and the school) and spiritual power (the church) surround the centre of the piazza. To display the undisputed authority of the regime, the Casa del Fascio took centre stage. The village is surrounded on all sides by eucalyptus trees planted by the ECLS and the settlers. The planting of eucalyptus, often to the detriment of indigenous trees, was a hallmark of settler colonialism in Libya and the Horn of Africa, dubiously justified because their extensive roots dry out swamps and so were said to reduce risks of malaria.

      With the end of the Second World War, Borgo Rizza, along with all the other Sicilian settlements, went through rapid decay and decline. It first became a military outpost, before being temporarily abandoned in the war’s aftermath. In 1975, the ownership and management of the cluster of buildings comprising the village was officially transferred to the municipality of Carlentini, which has since made several attempts to revive it. In 2006, the edifices of the Ente di Colonizzazione and the post office were rehabilitated with the intent of creating a garden centre amid the lush vegetation. However, the garden centre was never realised, while the buildings and the rest of the settlement remain empty.

      Yet despite the village’s depopulation, over the years the wider community of Carlentini have found an informal way to reuse the settlement’s spaces. The void of the piazza, left empty since the fall of fascism, became a natural spot for socialising. The piazza was originally designed by the ECLS for party gatherings and to convey order and hierarchy to the local population. But many locals remember a time, in the early 1980s, before the advent of air-conditioned malls that offered new leisure spaces to those living in peri-urban and rural areas, when people would gather in the piazza for fresh air amid summer heatwaves. The summer school builds on these memories, to return the piazza to its full public function and reinvent it as a place for both hospitality and critical pedagogy.

      Let’s not forget that the village was first used as a pedagogical tool in the hands of the regime. The school building was built by the ECLS and was the key institution to reflect the principles of neo-idealism promoted by the fascist and neo-Hegelian philosophers Giovanni Gentile and Giuseppe Lombardo Radice. Radice was a pedagogue and theoretician who contributed significantly to the fascist reforms of the Italian school system in the 1930s. Under the influence of Gentile, his pedagogy celebrated the modern principle of a transcendental knowledge that is never individual but rather embodied by society, its culture, the party, the state and the nation. In the fascist ideal, the classroom was designed to be the space where students would strive to transcend themselves through acquired knowledge. A fascist education was meant to make pupils merge with the ‘universal’ embodied by the teacher, de facto the carrier of fascist national values. In relation to the countryside context, the role of pedagogy was to glorify the value of rurality as opposed to the decadence wrought by liberal bourgeois cultures and urban lifestyles. The social order of fascism revolved around this opposition, grounded in the alienation of the subaltern from social and political life, via the splitting of the urban and rural working class, the celebration of masculinity and patriarchy, and the traditionalist nuclear family of settlers.

      Against this historical background, our summer school wants to inspire a spatial, architectural and political divorce from this past. We want to engage with decolonial pedagogies and encourage others to do the same, towards an epistemic reorganisation of the building’s architecture. In this, we share the assertion of Danilo Dolci, given in relation to the example of elementary schools built in the fascist era, of the necessity for a liberation from the physical and mental cages erected by fascism:

      These seemed designed (and to a large extent their principles and legacies are still felt today) to let young individuals get lost from an early age. So that they would lose the sense of their own existence, by feeling the heavy weight of the institution that dominates them. These buildings were specifically made to prevent children from looking out, to make them feel like grains of sand, dispersed in these grey, empty, boundless spaces.12

      This is the mode of demodernization we seek in this project: to come to terms with, confront, and deactivate the tools and symbols of modern fascist colonization and authoritarian ideologies, pedagogy and urbanism. It is an attempt to fix the social fabric that fascism broke, to heal the histories of spatial, social and political isolation in which the village originates. Further, it is an attempt to heal pedagogy itself, from within a space first created as the pedagogical hammer in the hands of the regime’s propagandists.

      This means that when we look at the forms of this rationalist architecture, we do not feel any aesthetic pleasure in or satisfaction with the original version. This suggests the need to imagine forms of public preservation outside of the idea of saving the village via restoration, which would limit the intervention to returning the buildings to their ‘authentic’ rationalist design. Instead, the school wants to introduce the public to alternative modes of heritage-making.

      Architectural demodernization

      In the epoch in which we write and speak from the southern shores of Europe, the entanglement of demodernization with decolonization is not a given, and certainly does not imply an equation. While decolonization originates in – and is only genealogically possible as the outcome of – anti-colonialist struggles and liberation movements from imperial theft and yoke, demodernization does not relate to anti-modernism, which was an expression of reactionary, anti-technological and nationalist sentiment, stirred at the verge of Europe’s liberal collapse in the interwar period. As Dolci explained for the Italian and Sicilian context, there is no shelter to be found in any anachronistic escape to the (unreal and fictional) splendours of the past. Or, following Gramsci’s refusal to believe that the Italian South would find the solutions to its problems through meridionalism, a form of southern identitarian and essentialist regionalism, which further detaches ‘the Southern question’ from possible alliances with the North.

      Demodernization does not mean eschewing electricity and wiring, mortar and beams, or technology and infrastructure, nor the consequent welfare that they provide, channel and distribute. By opposing modernity’s aggressive universalism, demodernization is a means of opening up societal, collective and communal advancement, change and transformation. Precisely as Dolci explains, the question it is not about the negation of progress but about choosing which progress you want.13

      In the context in which we exist and work, imagining the possibility of an architectural demodernization is an attempt to redraw the contours of colonial architectural heritage, and specifically, to raise questions of access, ownership and critical reuse. We want to think of demodernization as a method of epistemic desegregation, which applies to both discourse and praxis: to reorient and liberate historical narratives on fascist architectural heritage from the inherited whiteness and ideas of civilisation instilled by colonial modernity, and to invent forms of architectural reappropriation and reuse. We hold one final aim in mind: that the remaking of (post)colonial geographies of knowledge and relations means turning such fascist designs against themselves.

      https://www.internationaleonline.org/research/decolonising_practices/208_architectural_demodernization_as_critical_pedagogy_pathway

      #Partinico #Borgo_di_Trappeto #Italie_du_Sud #Italie_meridionale #Southern_question #colonizzazione_interna #colonisation_interne #Ente_di_Colonizzazione_de_Latifondo_Siciliano (#ECLS) #Ente_di_Colonizzazione_della_Libia #modernisation #bonifica_integrale #Pontine_Marshes #Borgo_Bonsignore #Borgo_Fazio #Borgo_Giuliano #latifondo #Pietro_Gramignani #Caficis

  • « Les Africains furent au cœur de la construction de notre monde moderne » | Victoria Brittain
    https://afriquexxi.info/article4938.html

    Dans un essai passionnant écrit en anglais, Born in Blackness, Howard W. French, un journaliste américain devenu universitaire, prend à contre-pied l’orthodoxie historique dominante. Grâce à une documentation riche, il démontre que l’Afrique et les Africains réduits en esclavage ont joué un rôle majeur dans la construction de ce que l’on a appelé la « modernité » de l’Occident. Source : Afrique XXI

  • Fourth dose of COVID vaccine offers only slight boost against Omicron infection
    https://www.nature.com/articles/d41586-022-00486-9

    Regardless of the vaccine brand, the fourth dose raised participants’ levels of ‘neutralizing’ antibodies, which can block viral infection of cells. But levels after the fourth dose did not surpass those observed shortly after the third dose, suggesting that the vaccines had hit an upper limit. “You can’t keep boosting antibody responses forever,” says Davenport.

    The researchers also assessed the neutralizing antibodies from 25 participants for the antibodies’ power against several SARS-CoV-2 variants. They found that, after the third vaccine dose, participants’ antibodies could block Omicron from infecting cells — but not as well as they blocked the Delta variant. After the fourth dose, the antibodies’ potency against Omicron rose but also not more than their potency against Delta.

    Those antibody data might explain why the fourth dose did not translate into substantial extra protection against infection with Omicron. A four-dose course of the #Pfizer vaccine was 30% more protective against infection than a three-dose course; for #Moderna, that extra efficacy was 11%.

    #covid-19 #vaccins

  • South African scientists copy Moderna’s COVID vaccine [3 fév. 2022]
    https://www.nature.com/articles/d41586-022-00293-2

    When the #WHO launched its mRNA tech-transfer hub in #South_Africa last June, it asked #Moderna, Pfizer and BioNTech to help teach researchers in low- and middle-income countries how to make their #COVID-19 #vaccines. But the companies did not respond, and the WHO decided to go ahead without their help. Friede says the WHO chose to replicate Moderna’s shot because more information on its development is available publicly, compared with Pfizer–BioNTech’s vaccine, and because Moderna has vowed not to enforce its patents during the pandemic. Moderna did not respond to requests from Nature to comment on the WHO’s decision to copy its vaccine.

    With funds from countries including France, Germany and Belgium, South African researchers began chipping away at the project in late September. A team at the University of the Witwatersrand in Johannesburg took the lead on the first step: making a DNA molecule that would serve as a template to synthesize the mRNA. Although Moderna has controversially patented this sequence, researchers at Stanford University in California deposited it in the online database Virological.org in March last year.

    Patrick Arbuthnot, director of gene-therapy research at the University of the Witwatersrand, says, “We were not intimidated, because mRNA synthesis is a fairly generic procedure.” Despite delays in the shipment of raw materials, the team completed this process in ten weeks and sent vials of mRNA to Afrigen in early December.

    During this period, having heard about plans to mimic Moderna’s shot, scientists from around the world e-mailed Afrigen researchers to offer assistance. Some of them were at the US National Institutes of Health, and had conducted foundational work on mRNA vaccines. “It was extraordinary,” says Petro Terblanche, Afrigen’s managing director. “I think a lot of scientists were disillusioned with what had happened with vaccine distribution, and they wanted to help get the world out of this dilemma.”

    [...] The next set of challenges will be to make a lot more of the vaccine. Jason McLellan, a structural biologist at the University of Texas at Austin whose work was foundational to the development of several COVID-19 vaccines, says he is not surprised that South African researchers seem to have copied Moderna’s vaccine, but he adds that scaling up production of that original shot required a lot of extra innovation by manufacturers.

    For the next phase of the project, several companies in the global south will learn from Afrigen and attempt to create batches of vaccine themselves, in preparation for testing the shots in rodents. The WHO expects a Moderna mimic to be ready for phase I trials in people by the end of November.

    #brevets

  • Pfizer is expected to ask the F.D.A. to authorize its #Covid vaccine for children under 5.
    https://www.nytimes.com/2022/01/31/us/politics/children-covid-vaccine.html

    #Pfizer and its partner BioNTech are expected as soon as Tuesday to ask the Food and Drug Administration to authorize a coronavirus #vaccine for children under 5 years old as a two-dose regimen while they continue to research how well three doses work.

    Federal regulators are eager to review the data in hopes of authorizing shots for young children on an emergency basis as early as the end of February, according to multiple people familiar with the discussions, who were not authorized to speak publicly. If Pfizer waited for data on a three-dose regimen, the data would not be submitted until late March and the vaccine might not be authorized for that age group until late spring.

    • Experts question unusual authorization plan for Covid vaccine for kids under 5
      https://www.statnews.com/2022/02/02/worry-vaccinating-under-5-could-backfire

      The idea of authorizing use of the first two doses while the third-dose data are pending is being framed as a way to allow parents eager to vaccinate children 4 and under to get a head start on the process, with a third dose to follow after review of the results of that part of the study.

      None of the experts STAT spoke to for this article could recall a precedent for this approach. And several worried going down this path could erode willingness on the part of parents of young children to get them vaccinated.

      [...] “I don’t think authorizing two doses in children ages 2 to 4 years of age where effectiveness in this age group hasn’t been confirmed is going to convince the majority of parents to vaccinate their children,” said Norman Baylor, president and CEO of Biologics Consulting and a former head of the FDA’s Office of Vaccines. “If the vaccine in this age cohort is a three-dose vaccine, #FDA should review the data from the three-dose series before authorizing the vaccine.”

    • What’s Holding Up the COVID Vaccines for Children Under 5?
      https://www.propublica.org/article/whats-holding-up-the-covid-vaccines-for-children-under-5

      Here’s the good news: Two companies could have data on vaccines in kids under 5 in a matter of weeks. Pfizer has said it’ll have data on three doses “in spring” and Moderna has said it’ll have data by the end of March. If the data looks good, there’s nothing to stop the FDA from authorizing a vaccine for kids of a certain age group, even if an older cohort misses the mark or hasn’t yet gotten the green light. Creech, who is also a principal investigator for Moderna’s pediatric vaccine trials, and Spearman both told me they expect authorization by April or, in a worst-case scenario, May.

    • Moderna to ask FDA to authorize Covid-19 vaccine in children 6 months to 6 years
      https://www.statnews.com/2022/03/23/moderna-to-ask-fda-to-authorize-covid-19-vaccine-in-children-6-months-to-6

      #Moderna said the studies — in children aged 6 months to 23 months and 2 to 6 years — showed the vaccine generated similar immune responses as those seen in adults aged 18 to 25 who received two doses of Moderna’s adult Covid vaccine.

      [...] In children 6 months to 2 years cases of Covid were decreased 43.7%; they were decreased by 37.5% in the 2 to under 6 years age group. Moderna said that the efficacy was on par with what would be expected of a two-dose vaccine against the Omicron variant, which predominated during the trial. The Omicron variant contains mutations that allow it to evade immunity built up by both vaccination and prior infection.

    • Pfizer/BioNTech to seek Covid vaccine authorization for children under age 5
      https://www.statnews.com/2022/05/23/pfizer-biontech-to-seek-vaccine-authorization-for-children-under-age-5
      Pfizer va soumettre une demande d’autorisation à la FDA d’ici la fin de la semaine (pour 3 doses, donc), le verdict devrait être rendu mi-juin et permettre une utilisation fin juin.
      Bien meilleure efficacité que le Moderna pour la même tranche d’âge, mais Moderna n’a pas encore publié les résultats avec booster.

      The vaccine was well-tolerated, induced a strong immune response, and was 80.3% effective at preventing Covid infections at a time when the Omicron variant of the SARS-CoV-2 virus was circulating.

  • Le gouvernement américain réclame sa part dans l’invention du vaccin de Moderna
    https://www.rts.ch/info/sciences-tech/12644605-le-gouvernement-americain-reclame-sa-part-dans-linvention-du-vaccin-de-

    Aux Etats-Unis, Moderna et les Instituts nationaux de la santé (NIH) se disputent la paternité de la découverte du vaccin à ARN messager contre le Covid-19. Estimant avoir développé la solution tout seul, le laboratoire a exclu du brevet des chercheurs de ces instituts ayant collaboré à sa mise au point.
    Qui a vraiment inventé le vaccin contre le Covid-19 ? Si Moderna et Pfizer ont été les premières sociétés à mettre sur le marché ceux à ARN messager, c’est aussi grâce à la recherche universitaire et à des milliards de dollars de fonds publics, notamment américains, qu’elles ont pu courir le sprint contre la pandémie.


    La firme pharmaceutique de Boston, encore inconnue au bataillon il y a deux ans, a reçu près de 10 milliards d’aides publiques pour développer et tester le vaccin, puis en distribuer 500 millions de doses aux Etats-Unis.

    Mais l’histoire de ce partenariat public-privé n’est pas aussi belle qu’il n’y paraît. Aujourd’hui, Moderna et les NIH (National Institutes of Health, les Instituts nationaux de la santé américains) sont à couteaux tirés. Tous deux se disputent la paternité d’un élément central du vaccin. Au vu des sommes d’argent à la clé, les enjeux dépassent la simple querelle de paternité. Moderna s’attend ainsi à des revenus du vaccin qui avoisinent les 18 milliards de dollars cette année. Il y a aussi, au-delà des gros sous, la question du contrôle de la production et de la distribution future du vaccin.

    Une « trahison » de Moderna
    Les chercheurs de Moderna et les Instituts nationaux de la santé collaboraient autour des vaccins contre les divers coronavirus depuis plusieurs années déjà, notamment sur l’identification des séquences génétiques qui permettent ensuite de produire une réponse immunitaire.

    « Ils ont collaboré pendant quatre ans. Puis ils ont travaillé indépendamment, au tout début de la pandémie, pour trouver la solution technologique » adaptée à la lutte contre le SRAS-CoV-2, le coronavirus responsable de la crise actuelle, a détaillé le professeur à l’EPFL en économie de l’innovation et propriété intellectuelle Gaetan de Rassenfosse lundi dans l’émission Tout un monde de la RTS. C’est donc après l’émergence de la pandémie que la dispute a surgi.

    Tout en reconnaissant que les NIH l’avaient beaucoup aidée, Moderna a estimé dans un communiqué avoir trouvé indépendamment la solution pour contrer le Covid et exclu les chercheurs des Instituts nationaux de la santé de ce brevet. Un geste très moyennement apprécié par les NIH, et que de nombreux chercheurs universitaires considèrent d’ailleurs comme une trahison.

    Le gouvernement américain frustré
    Or, être intégré au brevet « leur donnerait très probablement une part sur le profit », explique Gaetan de Rassenfosse. « Et ça leur donne surtout le droit d’octroyer des licences du vaccin en question à d’autres producteurs ». De quoi permettre aux pouvoirs publics de reprendre un peu le contrôle de ce marché.

    Le gouvernement de Joe Biden a d’ailleurs montré des frustrations vis-à-vis des pharmas, notamment à propos de leur manque de transparence sur les prix, ou encore à cause de leur refus de transférer leur technologie vers d’autres producteurs. Joe Biden avait même évoqué vouloir suspendre temporairement les brevets sur les vaccins contre le Covid-19, un enjeu important.

    Affaire portée devant la justice
    « Si les Etats-Unis étaient considérés comme les co-inventeurs d’un élément central du vaccin, le reste du monde aurait plus de chances de l’obtenir », avance le directeur de l’ONG Public Citizen à Washington Peter Maybarduck. Il ne veut pas non plus laisser les entreprises privées écrire l’histoire toutes seules. « Il s’agit d’un des vaccins les plus efficaces contre le Covid-19. C’est donc important de savoir qui l’a inventé, quelle est son histoire, ce que l’on dira dans le futur ».

    Public Citizen a donc pressé les NIH de définir leur position. Ils ont finalement décidé la semaine dernière de porter l’affaire devant les tribunaux, quoi qu’il en coûte. La procédure risque de coûter très cher, sans garantie de succès, même si les NIH ont le gouvernement derrière eux.

    Sujet radio : Francesca Argiroffo
Adaptation web : Vincent Cherpillod

    #moderna #crise_sanitaire #sante #santé #coronavirus #sars-cov-2 #variant #covid #pandémie #vaccins #santé_publique #fric #argent #dividendes

  • From Form‑Trans‑Inform to Atelier d’Architecture Autogérée. A Discussion with Doina Petrescu and Constantin Petcou
    Zeppelin
    https://e-zeppelin.ro/en/from-form%e2%80%91trans%e2%80%91inform-to-atelier-darchitecture-autogeree

    Summer 2021

    Interview: Alex Axinte

    Co-founded by Constan­tin Petcou and Doina Petrescu, atelier d’architecture autogérée (aaa) is “a collective platform of research and action around urban change and emerging cultural, social and political practices in the contemporary city. aaa initiates and supports strategies of ecological transition involving citizen locally and internationally. aaa acts against global crisis (ecological, economic, political, social, etc) by creating the conditions for citizen to participate in the ecological transition and adopting resilient ways of living. aaa functions within an open interdisciplinary network, where different viewpoints cross each other: architects, artists, students, researchers, pensioners, politicians, activists, residents, etc.

    aaa is an international reference in the field of participative architecture and urban resilience, aaa’s projects have been exhibited at Venise Biennale 2012 and 2016, MoMA New York, Berlin Biennale, Pavilion d’Arsenal Paris, Untied Nation Pavilion Geneva, etc. For its activity, aaa has received international recogni­tion and numerous awards across the years including the International Resilient Award Building for Humanity (2018), The Innovation in Politics Award for Ecology (2017) being one of the “100 projects for the climate” selected by the public at COP21 (2015). (Alex Axinte)

    The passages bellow are extracted from a series of conversations I had during several days with Doina Petrescu and Constantin Petcou. At their studio, at home, in cafes and metros or visiting their projects located in different Paris suburbs, we spoke about their beginnings in Romania, about their current practice atelier d’architecture autogérée (aaa) and about future plans. While still in school, within the social and political context of 1980’s Romania, they were involved in initiating groups and networks, they engaged in experiment and innovation, building after graduation an alternative practice through a critically approach of architecture.

    Visiting aaa. Drawing by Alex Axinte

    Alex Axinte: Let’s start from the time when you were professionally and humanly trained in Romania within the socialist education system of that time. Has this contributed to what your practice became?

    Doina Petrescu: Certainly it was a seed there, which wasn’t enough by itself, but it was important because this prepared us to face practical situations, knowing everything that a traditional architect should know. And this thing was a solid base, for knowing how to build, knowing about materials, knowing about structure, knowing history, you can see now that this is not taught in schools anymore, that these became specializations, you specialize in such things. We learned them all. And somehow this general formation counted a solid base, as a foundation. On top of this you can add other more sophisticated things, you may try to position yourself, you can take a stand, and you can develop certain interests. So this was one of the good things. Other good thing from the school, not necessarily different from the school, but one that we took or created in the school, was some sort of parallel school, of which Constantin can say more because he initiated it, adding the fact that the school allowed us the freedom to do other things.

    Constantin Petcou: I did two interesting things in school: first is that I walked a lot through Bucharest and I took the street as a teacher. I had also good teachers, but I studied a lot vernacular architecture. And second is that I initiated a group, a sort of school in school, which was called Form-Trans-Inform and which was based on knowledge theory, and other theories as well. [Stratford H, Petrescu D & Petcou C (2008) Form-Trans-Inform: the ‘poetic’ resistance in architecture. arq: Architectural Research Quarterly, 12(02)] Basically it was a transdisciplinary group: there were students from scenography, we had interactions with others too, we also organized some events in Club A, we invited philosophes, art critiques, until they spotted me and wanted me to enrol in the party…

    “Inner Gesture“ – happening, Baneasa 1982, team: Constantin Petcou, Constantin Gorcea, Florin Neagoe, Lavinia Marșu, Doru Deacu, Sorin Vatamaniuc, Constantin Fagețean ©Form-Trans-Inform

    AA: What vernacular Bucharest meant?

    CP: It meant some fabulous neighbourhoods, because many they were self-constructed, this being usual in mahalas (ie. popular neighbourhoods). The inhabitants were partly self-sufficient: they were already controlling the household climate, having a lot of courtyards covered with vine, they were trying to produce energy, and there were quite a lot of wind mills, they were trying to produce food by raising pigeons in big cages , which were flying all around… It was like in Garcia Marquez. If you were really sensitive to space and wind and light, you were blown away by how much you could see and feel…

    AA: Is this something that you were looking for also in Paris, or you rather came with this type of looking from Bucharest?

    CP: In Paris you don’t have such a thing. I think it was a root that we came from there.

    DP: Yes, and we applied this later in projects like R-Urban and other projects which we developed later. It was a lesson we have learned, we have understood from those conditions. Also, we still kept having this sensibility to “read” spaces’ potentiality. For example you see a square and some trees: you realise that there is a place there with a certain urban quality and in Bucharest there were many such places with very special qualities due to the urban typologies and ways of living. This mahala type of living was actually a sensitive urban typology.

    Constantin rises on his tops and waters the plants hanging from the studio’s ceiling. We flip through black and white magazines in which there were published some of their projects receiving prizes in paper architecture competitions. They tell me about how they became involved in organizing exhibitions, about working with clothing, about publications which didn’t make it past the 1st issue and where many articles finished with ‘to be continued’. Than, they continued with their architect’s life in Romania before ’89: Doina working in sistematizare (state planning) and Constantin as ‘mister Design’ in a factory of clothing and shoes. Here, with found materials, they worked together for redesigning an office space as a sort of ‘participative deconstructivist’ manifesto, quite provocative at the time. Doina goes out in the courtyard and ransacks bended over some compost containers. Here are their pets, some big earthworms which just received banana peels as their favourite meal. After ’90 they left for Paris guided by the idea to continue their postgraduate studies and than to come back.

    “Catarg towards Ithaca“ –“Honorable mention“ at Shinkenchiku Residential Competition, Japan, 1986. Echipa de proiect/Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu, Mircea Stefan, Victor Badea

    *The Design section atelier – Valceana Leather Factory, 1988. Project team : Constantin Petcou, Doina Petrescu ©ConstantinPetcou

    AA: It is a fairly quite spread perception, that architecture is architecture and politics is politics. We are doing our job, we design, we build. If this supports an ideology or not, this is not architecture’s business. How architecture became for you a political acting?

    DP: I think that in a way it was the context that forced us when we started. We started from scratch. And we had to invent ways of negotiating to gain access to space, to gain access to ways of practicing architecture, and we quickly realized that such a negotiation is political and that actually you need to learn to speak with people caring political responsibilities. But at the same time, we realized that the very fact of asking, of doing the practice differently is a political act. There were some things we refused to do, such as the conventional capitalist practice. We wanted to facilitate the inhabitants’ access to space, for any city inhabitant, we wanted to open urban spaces that are closed and that are controlled either by the municipalities or other institutions, and this is already a political act. We managed to ensure access to space, and afterwards, slowly, the self-management of the space, which was also a process, by persuading people that they have to become responsible if they want to use the space, that they need to learn how to manage it, to get along, to organize. This is in fact what Deleuze and Guatarri are calling micro-politics, meaning politics at the level of the subject, transformations at the subjective level. [Deleuze, G. and F. Guattari (2004), Anti-Oedipus, London: Continuum] We always worked with people. Our architecture always included this subjective and social architecture into the project. The fact that we formed a social group around the project, that people have changed, that they changed their interest, all these are for us part of architecture.

    AA: Do you tend towards consensus in your projects?

    CP: We don’t really use the word consensus. It is about temporary equilibrium. In any such a project, as there are many people involved, and here we speak about governance, co-management and self-management, there are various interests, there are people with different cultural backgrounds – some are employed, others not -­ and people with more or less time. So they cannot have the same vision over the use of space, over the type of activities, and then you need to reach some agreements, some temporary, partial deals, which should not suffocate the others and allow others to emerge. What we do is to give the inhabitants the opportunity to appropriate a space, an equipment, a way of organising time together, of organising the neighbourhood’s life, which are ecological, solidary, all this obviously with some guidance. Because the majority of inhabitants of the banlieue are very much excluded. And we are offering them an emancipatory space, or, in Guatarri’s language, a re-subjectivation capacity, very useful in today’s society which excludes many. [F. Guattari (1977), La révolution Moléculaire, Paris: ed. Recherches] In such spaces they gain new qualities; someone is a gardener, someone else takes care of the chickens, somebody else of the compost, one of the kitchen…

    DP: This is actualy the micro-politics.

    CP: Including until the kids’ level. I remember when we were at the Ecobox I had a lot of keys and a kid asked me, mais Constantin, you have keys from every space in the neighbourhood?! Can you open any space? And obviously that I answered yes, because, for his imaginary it was very important to know that you can open spaces, that you can make this urban space to evolve, which has become now more and more expensive, inaccessible and segregated. Such imaginary is fundamental for the “right to the city”, it is to know that, even for a kid, space could be negotiable, accessible and welcoming, that there are no barriers and walls. Actually, we don’t make walls: we make doors, windows, bridges… this is the kind of things we are building.

    Steering to the passers-by, Doina recollects her diploma project for which she collaborated with an ethnologist to design something which today could be called an ethnological cultural hub. Once arrived in Paris, after a master, they began teaching, being among others the co-founders of Paris-Malaquais architecture school. Step by step, they began to act as citizens, teachers and architects in the neighbourhood where they were living: La Chapelle. This is how aaa started. In the same time, they kept on teaching and initiating projects also in Romania, in Brezoi, but which got stuck. Constantin starts the fire in a small godin in the Agrocite, located in southern Paris, at Bagneux, which is a sort of ecological prototype spatializing aaa’s concepts: short circuits, popular ecology, urban resilience.

    Mobile modules – EcoBox project, 2003. Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu, Denis Favret, Giovanni Piovene ©aaa

    *Eco interstice “Passage 56“ – street view, 2007, Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu, Raimund Binder, Sandra Pauquet, Nolwenn Marchand ©aaa

    AA: 100 years after Bauhaus, 50 years after the May ’68 revolt and 30 years after the fall of the Berlin wall, within the current global capitalism crisis, all Bauhaus’ principles of how to live and work together are becoming again relevant. In this context, how legitimate is still Bauhaus’s questions if design can change society, and what it means to be modern today?

    DP: So all these ideas are reaching some sort of anniversary and one needs to take them together, one cannot take only Bauhaus ideas, but also other ideas which came after in order to understand what can design do today: participation, global democracy, ecology. Design need to remain open, as Ezio Manzini was saying: ‘design when everybody designs’. There is an acknowledgement of the fact that we are all designing, in our own way, we design our life, we design our decisions. How can you put all those things together in a strategic way, at a moment when the society and the humanity need to take some decisions, need to be prepared for a civilizational change, otherwise we become extinct? I think design has a role in this, by helping, by mediating, by formulating questions, decisions, or solutions together. And how to do design together is the big question, and there is not only one way of doing it, there are many ways. We also need to imagine what are these places where ways of designing together are possible. Which are the new institutions, the new mediating agents? – all these seem to me to be the questions of our times.

    Constantin confesses that Bauhaus changed his life, when, after an exhibition, improbable for that time, where 1:1 modernist furniture was exhibited, he quits the arts high school in Iași and joined the architecture school.

    CP: I am sure that design has an immense capacity to change society until even distorting it (see the tablet, the iPhone…). As architects, we are working a lot in a broader sense of design, and that’s why we are trying to launch not just projects, but also movements like One Planet Site or R-Urban which can be adopted also by others, because we have the capacity and the responsibility, so you have the capacity, but you have also the responsibility to act. It’s like a doctor. If you are in a plane and someone is sick, you have the capacity and responsibility to act. This is the case for us architects: we acted here in the neighbourhood we are living because there were many difficulties. The planet is now in great difficulty and you need to act. We know how to design, to project into the future, to find money, to create a horizon of hope, a model which becomes interesting for others too, so we have this capacity to design, in a broader sense, complex, temporal and functional. All these including re-balancing how much technology, how many resources, how much mutualisation, how much governance, all these are in fact design.

    DP: For example, with R-Urban we proposed a resilience strategy as designers. We have used design and the organization and shaping of space, of making visible specific practices, as a catalyst. We succeed in a way to organize a social group around the project, by giving it also a political dimension, again, by using architecture’s capacity to make visible, to make real the idea of short circuits for example. People could finally see what happens if you collect rain water, where it goes, that you have to think differently about space to make passive heating, and that you need to think differently about the heating system if you want to reduce the fuel consumption. That by using space in a certain way, in 1 year time you will have this amount of reduction of carbon emissions, which is much better than the national rate. So, all these things can be made visible through the way you design their experience. We didn’t just design a building, or a site, but we designed a usage and a way of creating an activity there.

    “ R-Urban “ – Diagrams on the ecological transition principles 2008. Echipa de proiect/Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu cu Nolwenn Marchand, Sara Carlini, Clémence Kempnich ©aaa

    ““Agrocité”—micro-farm for urban agriculture and ecological training, Colombes, 2013-2014

    “Recyclab”—social economy hub, urban waste recycling and eco-design, Colombes, 2013. Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu, Clémence Kempnich

    “Agrocité”—micro-farm for urban agriculture and ecological training, Bagneux, 2019. Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu, Anna Laura Bourguignon, Alex Gaiser, Rémi Buscot, Juliette Hennequin

    AA: So you could say that this means modernity now?

    DP: The concept of modernity is very much contested in fact, but in a way you could say that this means a hope for the future.

    CP: Modernity I think it had the quality of promoting progress, a democratic progress for all, through small prices, standardization, through in fact what they knew back then. And I think that these ideals remain somehow valid. Such as fablabs are in a way a continuity of this progressive modernist ideal of making accessible and democratic the use to technology. And it’s good. But the problem is the excess. When standardization becomes excessive and exploitative. I think modernity needs to be revisited, keeping what is good, like democracy, ethics, progress and others, and readapting it. Because modernity couldn’t address at that time the problems of limited resources issues, climate change, extractive capitalism, or extinction of species; those problems weren’t visible back than.

    AA: What is the relation with technology in your projects?

    DP: We document and present all our technological devices with an interface accessible to the users and we make them with means that makes them transferable and reproducible. I think we need to take into account the democratization of technology and the fact that the reproduction is not made by the industry, but by the masses, everyone being able to take part. What is important is to keep a degree of creativity, of appropriateness, of participative innovation possible at all levels. All these technological devices were conceived together with experts. The grey water filtration system was made together with a specialist in phyto-remediation. What we brought new is that we designed the first prototype used in urban contexts. This approach is also situated, is specific for a certain situation, you work with the specialist to find the solution there, and afterwards you integrate also local and traditional knowledge. For example, for the phyto-remediation device it was very cool that we built it with a team of Romanians having a construction company in France. Due to the fact we were in a flooding area, we needed to raise the device above the ground by 1 meter and we didn’t know how to build it. And then, the team of Romanians which knew how to make… barrels, manage with what we had, with found boards that were boarded like for barrels… and this is how we made the phyto-remediation device. This shows that all skills and ways of knowledge are useful in a certain situation.

    They choose together the tomatoes, than Doina the aubergines and Constantin the potatoes from a temporary market installed in the Paris former mortuary house. This is now a cultural centre, open to everyone and full of life. Recently they participated in the biggest architectural competition organized by the city of Paris which offered some difficult sites for development – “Reinventer Pars”. The brief was very close to the R-Urban model. They haven’t officially won, but their proposal was very good and this is how they were able to develop it in a different location. The project is called Wiki Village Factory (VWF) and is a cluster of technological and social innovation of 7000 sqm which aims to become a sort of central node in the R-Urban network towards developing the city 2.0 (ecological and collaborative).

    “Wiki-Village-Factory” – cluster of social and ecological innovation, Paris, 2016. Project team: Constantin Petcou, Doina Petrescu, Benjamin Poignon, Pierre Marie Cornin, Grégoire Beaumont © aaa-REI-Deswarte

    AA: With WVF for example, how important is for you the materiality and the aesthetics? Or is the program more important?

    CP: Aesthetics for as is a result. You need to take care for the building to be well integrated in the context, you need to express well what’s going on. For example, the coop spaces are trying to make you to wish to collaborate with others; it’s not just like any other office. The ground floor, we try to have it open towards the neighbourhood, despite it is a difficult neighbourhood.

    DP: I would say that aesthetics are trying to express not necessary the programme, but what is important in the program and beyond the program. We are using architecture tactically if you want, as a way of exposing and communicating principles of functioning, of governance, of construction and the ethics of using a building today.

    CP: We are exposing the ecology of the building in fact, and this is beyond function. In order to become more ecologic. This is to make you use fewer materials, less insulation, but count on the passive insulation of the building’ skin. We also succeeded in convincing them to have dry toilets. This will be the largest building with dry toilets in Europe. We will build a special device, like a large scale prototype, which doesn’t exist right now. In fact, although they are on a tight budget, they will put more money into this than into usual toilets, because also the developer and everybody want this aspect to be exemplary. And it will be quite vegetal, with urban agriculture; we will try to remediate the grey waters. All the principles that we are using in R-Urban hubs will be implementing as much as we can also here.

    AA: So, the city 2.0 should look differently because it values and creates hierarchies in a different way?

    DP: Yes, it is important to create a new discourse, but also governance is important, social and ecological governance, that is what we try to express through architecture. There are many layers which add up to the modernist functional layer. And there is also the idea of being reversible, the fact that a building needs to evolve, to adapt, to disappear if necessary after a while, so it is not built to last hundreds of years. Because we need to leave room for future generations to build the architecture they need, don’t we?

    #ville #écologie #participation #auto_gestion #urban_planning

  • #Belgique : Des cadeaux pour les assurances, de l’eau pour les sinistrés Claude Semal
    https://www.asymptomatique.be/des-cadeaux-aux-assurances-de-leau-aux-sinistres/?shared=email&msg=fail

    _ Les inondations de la mi-juillet dans la région liégeoise et la vallée de la Vesdre ont mobilisé des milliers de bénévoles pour porter secours aux sinistrés. Parmi eux, des centaines de membres et de sympathisants du PTB. Un échevin du P.S. verviétois vient de lancer une sombre polémique dans la presse sur ce “délit de solidarité”.

    Alors que les responsabilités de cette catastrophe seront bientôt discutées en commission au Parlement, rencontre avec Raoul Hedebouw, un des porte-paroles nationaux du PTB.
     
Entre deux séances parlementaires, j’ai rendez-vous avec lui “entre l’heure du midi”, Place de la Liberté, à deux pas du Parlement. J’ai deux minutes de retard, car dans cette capitale en perpétuels travaux, “ma” ligne 92 a été provisoirement interrompue. Mais j’étais en avance, donc je suis presqu’à l’heure ;-).
    
Grand, souriant, cordial, Raoul Hedebouw a le tutoiement facile des Liégeois, la répartie directe des militants rodés à la polémique, et l’humour de ceux qui savent qu’on ne combat pas nécessairement la misère en se vautrant dans la morosité.


    Cet éco-biologiste de formation, dont le travail de fin d’étude portait sur le pourrissement des feuilles de sept espèces d’arbres en Wallonie, en connait aussi un brin en matière de décomposition / recomposition du champ politique.
Comme il revenait tout juste de l’Université d’Été de la France Insoumise, alias la nouvelle Union Populaire, j’en ai profité pour conclure l’interview sur le devenir de la “gauche de la gauche” européenne.
Scoop : je peux déjà vous dire que Raoul boit du café au lait, qu’il transmet bien le bonjour à Irène, et qu’il a une autre réunion dans une demi-heure. Vous pouvez également saupoudrer son interview d’un léger fond d’accent herstalien, cela fera plus vrai que nature.

    Claude  : Six semaines après les inondations, as-tu une idée du nombre de gens qui ont été touchés par la catastrophe, et de ceux qui restent encore sans logis aujourd’hui ?

    Raoul  : Les chiffres vont encore certainement beaucoup fluctuer, parce qu’on ne sait toujours pas combien de maisons seront définitivement déclassées. Il y a au moins quinze mille ménages qui sont en très grande précarité.
Mais comme les gens logent toujours dans leur famille, il est impossible à l’heure actuelle de faire un décompte précis. Ce qui fait aussi partie du problème.
    
J’ai reçu des témoignages de gens qui sont “officiellement” encore dans leur maison, mais comme la “déshumidification” ne se passe pas bien, ils ne peuvent pas retourner y loger. Tous les problèmes liés à cette “déshumidification” sont d’ailleurs un des gros enjeux actuels pour les sinistrés. Et là, je parle uniquement de la détresse immobilière.

    Claude  : Il a y aussi toute la question des assurances, puisque la plupart des contrats “habitation” ont un volet “incendie” et “inondation”. A ce sujet, on a appris qu’Elio Di Rupo avait conclu un “accord” avec les compagnies d’assurances. A quel titre, avec quelle casquette et quel était son mandat pour faire cela ?

    Raoul  : C’est assez grave, en fait, et assez illustratif de la proximité entre le monde de la politique et celui de la finance. D’une part, il s’agit ici d’un accord “secret”, selon les dires mêmes de Di Rupo, dont nous ne pouvons donc pas connaître le contenu. Dans les grandes lignes, il s’agit d’une “approbation” de la loi de 2014 qui “limite” la responsabilité des assureurs à 590 millions d’euros pour des coûts estimés, jusqu’à présent, à 1,7 milliard. Je parle uniquement ici de ceux couverts par une assurance. Ceux qui sont “non assurés” dépendent d’un autre budget, le “fonds des calamités”.
Donc, il y a une sorte de “ristourne” d’un milliard d’euros rétrocédée au secteur de la finance. On va me dire : “c’est en vertu des accords conclus en 2014 et 2007”. C’est vrai que le problème date de là. Mais on retrouvait déjà les mêmes aux postes de commande. Car qui dirigeait le gouvernement fédéral à cette époque ? Elio Di Rupo !
Donc, c’est un peu facile. Nous, on paye tous nos primes d’assurance “volle pot”, comme on dit, et puis après, on se retrouve avec des assurances qui ne prennent en charge qu’un tiers des coûts. Alors que selon le propre bilan d’Assuralia, qui représente le secteur des assureurs, ces sociétés ont fait quinze milliards de bénéfices cumulés ces huit dernières années !
Donc c’est à nouveau nous qui allons devoir payer, alors que ce milliard aurait pu être investi dans le logement public. Les quartiers détruits de Pepinster, Angleur, Trooz, Verviers, … ne vont pas pouvoir être reconstruits par la loi du marché. Or ce milliard va filer dans la poche des actionnaires. On a donc un très gros problème autour de ce “deal” secret avec des entreprises de la finance. Et je suis étonné à quel point, dans les médias, on parle assez peu de cette affaire-là.

    Claude  : Je suppose que c’est une des raisons pour laquelle vous demandez une Commission Parlementaire à ce sujet. Une autre raison étant évidemment les causes mêmes de ces catastrophes, comme les permis de bâtir en zones inondables.

    Raoul  : Tout ce qui concerne l’aménagement du territoire sera débattu au niveau wallon, ça c’est déjà acquis. Toute la question des barrages, des bassins d’orage, des logements. Et il y aura probablement une autre commission d’enquête au niveau fédéral.
Là, on parlera des conséquences de la réforme de la protection civile, imposée par le MR et la NVa, qui je le rappelle, ont quand même supprimé 800 des 1200 postes de la protection civile. C’est pas de l’austérité, c’est carrément du rouleau compresseur anti services publics. On a amputé les deux tiers de notre force de frappe en cas de catastrophe !
L’autre problème fédéral, c’est la réforme des zones de pompiers et leur manque criant de moyens. On a beaucoup de témoignages de pompiers qui nous disent : “Nos petits bateaux ne résistaient pas au courant”, etc, etc….
Et puis les problèmes qu’on a rencontré en Belgique au niveau de la coordination et de la gestion de la crise. On a déjà vécu la même chose avec le COVID.
On ne sait pas qui décide quoi. Régional, fédéral, communal, provincial, international,… il n’y a pas eu un centre de coordination unifié. A notre avis c’est au niveau fédéral qu’on aurait dû le faire, alors que tout le volet fédéral du plan a été stoppé dès le 26 juillet. Ce qui a conduit à une cacophonie totale sur le terrain.
Enfin, il y a évidemment le débat autour de la question climatique. Sur la responsabilité de ces sociétés consuméristes qui produisent tout ce CO2, tout ce carbone. Car une de ses conséquences statistique, c’est l’augmentation des phénomènes extrêmes. Comme les sécheresses et les incendies, d’un côté, comme on le voit en Grèce, aux Etats-Unis et au Canada, et puis dans d’autres pays, les inondations. On n’échappera pas à ce débat-là aussi.

    Claude  : Sur la question du relogement des sinistrés, un certain nombre d’entre eux étaient relogés à l’hôtel, et avec toute cette tartufferie autour des 24 heures de Francorchamps, ils ont été mis dehors pour loger les spectateurs qui, eux mêmes se sont fait avoir, parce qu’ils ont payé 150 boules pour voir les voitures faire trois petits tours dans l’eau. Tu es au courant de ce dossier-là ?

    Raoul  : Il y a deux choses. La principale raison pour laquelle beaucoup de sinistrés ont été éjectés des hôtels, c’est parce les assureurs commencent à refuser de payer. En gros, la plupart des assurances comptaient quelque chose comme 21 jours de relogement.
On a reçu plusieurs témoignages comme quoi les assureurs ne communiquent même pas avec les sinistrés, mais s’adressent directement à la direction des hôtels pour les prévenir de l’interruption de leur intervention. C’est la première des raisons, et à mon avis la plus grave. Vient se greffer là-dessus effectivement l’événement de Francorchamps, qui est assez ironique, puisqu’il a été annulé à nouveau à cause de pluies particulièrement fortes. Et là, on a effectivement fait passer le commercial avant la gestion des sinistrés.

    Claude  : Puisque Di Rupo veut absolument payer les deux tiers de la dette des assurances, est-ce qu’on ne peut pas lui demander de prendre le relais ? Ce serait assez logique, non.

    Raoul  : Bien sûr. C’est tout le débat sur la façon dont le politique se désarme lui-même et laisse tout le pouvoir, sur plein de dossiers, au monde du privé. Ce n’est pas une maxime marxiste, c’est quelque chose qu’on peut constater tous les jours.
Ici, quatre compagnies d’assurances contrôlent presque l’ensemble du marché. Le logement, par exemple, est complètement laissé aux mains du marché. Le pourcentage de logements sociaux diminue d’année en année, même s’il doit en principe atteindre 10% par commune. Dans une commune comme Liège, qui se dit pourtant socialiste, de gauche et tout et tout, on doit flirter avec du 7,5 %.
Ce qui est grave pour les sinistrés, et cela montre combien le capital est cynique, c’est qu’actuellement le prix des loyers flambe – puisqu’il y a soudain une forte demande que le marché ne peut assurer ! Ca c’est le capitalisme : plus tu as besoin de quelque chose, plus tu payes ! Plus tu as de la misère, plus les loyers augmentent !
La seule manière de contrer cela, c’est d’une part de bloquer les loyers, pour maîtriser un peu le secteur, mais aussi de développer un secteur de logement public. Or je constate, au delà du blabla, qu’on n’investi pas dans la construction de nouveaux logements sociaux. Or ici, certainement dans la vallée de la Vesdre, et à Liège, il va pourtant falloir un plan ambitieux de construction massive de nouveaux logements. Et cela, il n’y a que le secteur public qui peut le faire.
Utilisons le fameux milliard qui est donné aujourd’hui aux assurances pour financer des logements sociaux de qualité. Une ville comme Vienne, “Vienne-la-rouge”, comme on l’appelait à l’époque, elle le fait massivement. En Belgique, c’est plutôt la tradition “libérale” et “privée” qui prévaut partout.

    Claude  : Cela dépend quand même où. La social-démocratie a parfois eu une politique de logement. Dans ma commune de Saint-Gilles, par exemple, il y a une régie foncière communale assez développée, qui gère un millier de logements.

    Raoul  : Tout à fait, il y a quelques communes qui font ici et là exception.

    Claude  : Face aux manque de moyens des services publics, face à l’incurie locale de certaines autorités politiques, il y a eu par contre très rapidement une énorme mobilisation citoyenne, et de très nombreux actes de solidarité. Des militants et sympathisants du PTB y ont notamment participé. Un échevin PS de Verviers a lancé une sombre polémique dans la presse en parlant de “récupération politique sur la détresse des sinistrés”.

    Raoul  : C’est dégoûtant à plusieurs niveaux. D’abord, c’est un peu ironique d’avoir un échevin d’une Ville qui était aux abonnés absents pour gérer la crise à Verviers (je ne parle pas des fonctionnaires, mais des autorités politiques). Notamment, de ne pas avoir assez rapidement donné l’alerte d’évacuation, et d’avoir par contre très rapidement arrêté la récolte des déchets. Je trouve ça dingue, plutôt que d’aller regarder dans sa propre assiette, d’aller pointer du doigt un parti qui, justement, a essayé d’organiser la solidarité concrète.
    
C’est stratégique pour nous. On veut s’inspirer de ce qui avait été fait à l’époque en France avec le Secours Populaire (1). Cela fait deux ou trois ans qu’on réfléchit à de telles formes concrètes de solidarité. Pour les inondations, ce sont finalement plus de 2.000 bénévoles qui sont venus à l’appel du PTB, à côté des milliers d’autres qui ont spontanément donné un coup de main. Cette auto-organisation de la population, c’est aussi un fait politique très important. A Liège, des milliers de bénévoles sont venus des quatre coins du pays, dont de nombreux flamands, il y en a même qui ont pris trois ou quatre semaines de congés, et cela montre que la Belgique de la solidarité, cela existe vraiment.

    Pour revenir aux déclarations de cet échevin PS, politiquement, c’est donc complètement à côté de la plaque. Nous avons voulu poser des actes concrets de solidarité, et pas lancer des paroles en l’air.
Il nous a accusé d’avoir pris les coordonnées des gens. Mais c’est absurde. Comment veux-tu coordonner et dispatcher les équipes, et savoir où les envoyer, où vider les caves et charger les détritus, si tu n’as pas les contacts des volontaires et des sinistrés ? C’est pas en trois heures qu’on nettoie ces affaires-là. A l’Ecole Don Bosco, on a envoyé des dizaines de personnes pendant des dizaines de jours pour vider et nettoyer les locaux.
    
Je peux même ici te donner un scoop.
Pendant deux jours, le centre de crise de Verviers a même renvoyé les bénévoles qui arrivaient vers le centre de bénévoles du PTB, parce qu’on était les seuls à avoir mis sur pied ces outils de coordination. Je le dis ici : les 21 et 22 juillet, on était sur le terrain, et on a envoyé 350 bénévoles à Verviers. L’autorité publique était complètement dépassée.

    Claude  : Je te crois, et ce n’est pas moi qu’il faut convaincre (rires).
Tu as gentiment pris sur ton temps de midi pour participer à cette interview, entre deux séances au Parlement, et le temps nous est donc un peu compté. Mais j’ai vu que tu avais participé comme orateur invité à l’Université d’Été de la France Insoumise, à Valence. Tu peux nous dire un mot à ce sujet ?

    Raoul  : C’était très sympa. J’ai été étonné de voir combien les militants français étaient informés de ce qu’on faisait, via les réseaux sociaux. Cela me faisait du bien de me plonger un peu dans la réalité compliquée française, avec les présidentielles qui arrivent, un vrai danger avec une extrême-droite qui est aussi forte que chez nous en Flandre, mais à l’échelle de toute la nation française. C’était chouette d’aller faire un clin d’oeil là-bas, mais j’irai aussi à la fête de l’Huma la semaine prochaine, parce que la “gauche de gauche” française est ce qu’elle est, elle est plurielle, et ce n’est pas à nous d’aller nous mêler des “affaires intérieures” françaises (rire de Claude).
    
J’ai rencontré beaucoup de jeunes de la France Insoumise, avec beaucoup de questions stratégiques assez pareilles aux nôtres. Comme créer une hégémonie culturelle à gauche ? C’est quoi le marxisme au XXIème siècle ? Les liens entre les luttes sociales et la politique. Plein de questions passionnantes, et on se pose les mêmes en France, en Grèce, en Espagne et en Belgique. Trop longtemps, au PTB, on a cru qu’on allait régler ça à l’échelle belge, avec notre vérité à nous, et on n’avait pas trop de contacts avec les autres gauches plurielles, qui sont très différentes en Europe. Mais là, on a décidé de prendre plus de contacts, et c’était vraiment chouette d’être là.

    Claude  : Justement, par rapport à ces questions stratégiques, la France Insoumise vient de se transformer en “Union Populaire”, qui semble moins spécifiquement marquée “à gauche” que le Parti de Gauche ou la France Insoumise elle-même. Tu as pu discuter de ce tournant politique, ou tu as toi-même une opinion à ce sujet ?

    Raoul  : Je vais parler pour nous. Nous, on reste dans des marqueurs “de classe”. Je sais qu’il y a des débats qui traversent “la gauche de gauche” mais moi, je crois en une analyse marxiste de la société, dans l’existence des classes sociales, même si elles se diversifient et si le prolétariat d’aujourd’hui n’est pas forcément le même que celui d’hier. Mais que le monde du travail, en tant que classe, se retrouve opposé à une grande bourgeoisie nationale et internationale financière, cela reste pour moi un fait, et je reste dans cette grille d’analyse là. Donc, personnellement, je ne me revendique pas du “populisme de gauche”, qui met plutôt en avant une opposition entre “peuple” et “élite”.
    
C’est un débat que nous avons aussi avec nos camarades de la France Insoumise, mais ce qui compte, c’est aussi la pratique de terrain, et c’est important de pouvoir mener ce type de débats sans anathèmes et dans le respect l’un de l’autre et de nos réalités spécifiques. Nous on reste plutôt sur cette alliance ouvriers, employés, petits indépendants, paysans, ce “front de classe” anti-monopolistique, et cette analyse-là nous semble toujours pertinente.

    Claude  : En plus de ça, on ne sait pas encore vraiment quel sera le contenu précis de cette Union Populaire. Là, on est plutôt dans “l’effet d’annonce”.

    Raoul  : Exactement . Nous n’en dirons donc pas plus (rires).

    Claude  : Pour conclure peut-être,… (Raoul regarde sa montre, mais il reste très disponible : on est “dans les temps”) …les inondations et la crise climatique sont entrées chez nous en collision avec une autre crise nationale majeure, celle du COVID. Comment as-tu le sentiment que l’État fédéral et les régions gèrent ce problème chez nous, et le PTB a-t-il une position sur le sujet ?

    Raoul  : Moi, ce qui m’inquiète, c’est la stratégie du “tout au vaccin”, qui a complètement zappé la première ligne de soins, toute cette médecine de proximité qui existe trop peu en Belgique, avec un renvoi systématique vers les spécialistes et les hôpitaux. Je crois qu’on risque de se mettre le doigt dans l’oeil. Même chose pour la vaccination. Je ne crois pas qu’avec l’obligation vaccinale, la répression, on va y arriver. Il y a une vrai méfiance d’une partie de la population vis-à-vis des autorités publiques, mais aussi vis-à-vis des multinationales pharmaceutiques, qui se cristallise peut-être malheureusement autour de la question du vaccin, mais la seule façon de combler ce fossé, c’est de construire un réseau médical proche de la population, et tu sais que nous mettons en avant le modèle coopératif des “maisons médicales”, qui sont une alternative concrète à la “médecine libérale” et du chacun pour soi.
    
Et l’autre versant du débat, ce sont les conséquences économiques de cette crise. Pour le moment, on a maintenu, et tant mieux, un certain nombre d’aides pour maintenir un certain nombre d’acteurs économiques en activité. Mais on parle bientôt de retirer la prise, et cela va provoquer des dégâts terribles d’un point vue social. Et là, va se poser à nouveau la question : qui va payer les conséquences de la crise ? Or toujours sous le capitalisme, et Noémie Klein l’a bien expliqué dans son livre “la Stratégie du Choc”, au moment du “choc”, et la crise du COVID en est un fameux, les gros et puissants vont en profiter pour s’accaparer à nouveau des pans entiers de notre société. Ces grand groupes industriels, qui ont les reins très solides, sont déjà en train de relancer leur production, comme Ryanair qui vient de renouveler sa flotte de Boeing, et ce sont les petits, qui ont des fonds propres beaucoup plus faibles, qui vont mourir.

    Claude  : L’année passée, en France, les principale entreprises du CAC40 ont très sensiblement augmenté leurs bénéfices…

    Raoul  : Là, il y a aussi un vrai enjeu socio-économique : qui va payer les pots cassés de cette crise ? Et on revient alors sur des débats fiscaux comme un impôt sur la fortune, un impôt exceptionnel sur les bénéfices bancaires, sur la grande distribution qui a réalisé des surprofits,… Ce n’est pas qu’une question philosophique. C’est une question très pratique pour le budget 2022. Car on va voir qu’on va à nouveau nous proposer de serrer la ceinture, au nom des dogmes de l’austérité, au lieu d’aller chercher l’argent là où il se trouve.

    Claude  : … sans parler du secteur pharmaceutique, qui a lui-même fait des profits incroyables !

    Raoul  : C’est scandaleux. Ca, c’est un hold-up des Pfizer et Cie, quand on parle de 4 ou 5 milliards de bénéfices en plus. Et en plus, #Pfizer et #Moderna viennent encore d’augmenter le prix des vaccins, alors que le prix de revient est le même !
C’est pour ça qu’on vient de lancer une campagne européenne, avec d’ailleurs tous nos camarades de la gauche radicale européenne, “Pas de Profits sur la Pandémie”, qui est un appel à la signature d’une initiative citoyenne pour exiger de la Commission Européenne une transparence totale et une remise en cause de ces contrats.

    Claude  : Sans compter que de nombreux pays pauvres n’ont pas accès à ces vaccins, à cause de ce coût prohibitif protégé par des brevets, alors qu’une épidémie mondiale, par définition, doit se traiter mondialement. Car les virus ne connaissent pas de frontières, et il est impossible de s’en débarrasser dans un seul pays sans le faire aussi dans tous les autres.

    Raoul  : Cela, il faut le faire comprendre aussi au monde du travail : tant que les trois-quarts de l’humanité n’auront pas accès à ces soins, les virus continueront à muter, et on ne sera jamais tranquille. Donc réclamer la levée de ces brevets, ce n’est pas qu’une attitude altruiste internationale, c’est aussi pour nous-mêmes. Brevets dont je rappelle quand même qu’ils utilisent des technologies qui, dans leur grande majorité, ont été conçues dans des universités publiques ou avec l’aide massive de fonds publics. Le livre “L’État Entrepreneurial” démontre cela très bien. Beaucoup de ces innovations technologiques viennent de nos universités, viennent du travail de chercheurs altruistes, qui n’en ont tiré aucun profit. Moi je suis biologiste de formation, j’ai vu des gens passionnés bosser pour des salaires très modestes. Il faut arrêter de croire que ce qui fait marcher l’humanité, c’est la recherche du profit. Ce n’est pas vrai. Il est d’autant plus immoral que la privatisation de ces techniques et découvertes mettent aujourd’hui notre santé collective en danger.

    Propos recueillis par Claude Semal le 1er septembre 2021.
    (1) NDLR : Héritier du “Secours Rouge” proche du PCF (1923-1943), le Secours Populaire a été créé en 1945 par fusion avec l’Association Nationale des victimes du Nazisme. C’est aujourd’hui la troisième association française de solidarité, en terme de budget, derrière la #Croix-Rouge et le #Secours_Catholique, mais c’est la première en terme de réseau militant. En 2018, elle est venue en aide à plus de trois millions de personnes grâce à plus de 80.000 #bénévoles.

    #Raoul_Hedebouw #PTB #Marxisme #Claude_Semal #union_Populaire #Inondations #Catastrophe #Précarité #ps #Di_Rupo #Secours_Populaire #vaccins #luttes_sociales #inondations #crise_climatique #maisons_médicales #médecine #Santé #Ryanair #surprofits #austérité

  • J.B. Fressoz et D. Pestre, Risque et société du risque depuis deux siècles, 2011
    https://sniadecki.wordpress.com/2021/09/03/fressoz-pestre-risque

    Le but de cet article n’est pas de nier tout changement, de dire que les continuités sont plus fortes que les ruptures, mais de questionner le hiatus trop hâtivement établi entre ce passé aveugle et nous. Les sociétés européennes du XIXe siècle ont certes largement pollué et enclenché la carbonification de notre économie et de notre atmosphère et, en cela, elles ne semblent pas « réflexives ». Mais cela n’implique pas qu’elles ne se sont jamais posées de questions – ni que notre prise de conscience actuelle nous mène vers un développement qualitativement différent. Notre but est donc double. Il est de pointer les faiblesses historiques d’une thèse qui a construit un passé imaginaire fait d’insouciance et de risques ignorés, mais aussi de revenir sur cette « réflexivité » qui, symétriquement, nous définirait comme tout différents. Notre souci, en remplaçant l’opposition binaire entre « eux » et « nous » par un récit historique plus complexe est donc de donner à « la société du risque » la généalogie qui lui manque, une généalogie qui peut seule permettre de dire comment nous en sommes arrivés à cette évidence que nous sommes aujourd’hui dans des sociétés autres, de miner l’illusion réconfortante de notre exceptionnelle conscience des choses – et d’ainsi mieux se préparer aux défis réels auxquels nous faisons face.

    #Histoire #modernité #pollution #risque #société_du_risque #Ulrich_Beck #Jean-Baptiste_Fressoz #Dominique_Pestre

  • Vaccin Moderna : l’agent contaminant serait une particule métallique

    Officiellement, la source de contamination des lots de vaccins Moderna livrés au Japon et suspendus par précaution reste inconnue. Mais des informations dans les médias japonais témoignent que le ministère de la Santé japonais est sur une piste et progresse dans l’identification de la substance étrangère.

    Selon la chaîne télévision japonaise NHK citant des sources du ministère de la Santé, la substance étrangère découverte dans des lots de vaccins Covid-19 de Moderna livrés au Japon et qui a justifié la suspension par les autorités de la vaccination avec les doses suspectes, serait une particule métallique.


    La découverte de ces lots contaminés est un nouveau revers dans la campagne de vaccination pour le Japon alors qu’il lutte pour persuader de nombreuses personnes - en particulier les plus jeunes - de se faire vacciner. (Crédits : Reuters)

    Jeudi dernier, les responsables du ministère ont prévenu les 863 sites de vaccination répartis dans tout le pays de cesser l’utilisation des quelque 1,63 million de doses en provenance du sous-traitant européen Rovi, dont l’usine est située en Espagne.

    Cette décision est intervenue plus d’une semaine après que le distributeur national, Takeda Pharmaceutical, ait reçu des informations faisant état d’une contamination de certains flacons.

    La substance étrangère serait une particule métallique
    Un responsable du ministère de la Santé a déclaré que l’identité de l’agent contaminant n’avait pas été confirmée. Mais la NHK a rapporté que selon ses sources du ministère de Santé, la particule avait réagi à la présence d’aimants et était donc soupçonnée d’être un métal.

    La nouvelle pourrait constituer un nouveau revers pour la campagne de vaccination -très en retard- du Japon alors qu’il lutte pour persuader de nombreuses personnes - en particulier les plus jeunes - de se faire vacciner.

    Le ministère avait déclaré que la suspension des lots Moderna était une précaution. Le ministère de la Santé affirmait que ces substances étrangères n’ont été découvertes pour l’instant que dans des flacons faisant partie du lot 3004667, mais les flacons de deux autres lots provenant de la même chaîne de production et fabriqués à la même période ont par précaution également été mis de côté.

    Annulations de vaccinations et retard accru du programme
    Cependant, cette décision a incité plusieurs entreprises japonaises à annuler les vaccinations des travailleurs et le régulateur européen des médicaments, l’EMA, à lancer une enquête.

    Il était prévisible que l’affaire n’en reste pas là car, dimanche, deux préfectures japonaises ont déclaré avoir découvert de nouveaux lots contaminés et suspendu la vaccination avec les doses suspectes.

    Le sous-traitant espagnol Rovi enquête dans son usine
    La société pharmaceutique espagnole Rovi, qui embouteille les vaccins Moderna pour des marchés autres que les États-Unis, a déclaré que la contamination pourrait être due à un problème de fabrication dans une de ses lignes de production.

    Un autre responsable a déclaré qu’il faudrait un certain temps pour confirmer combien d’injections du lot contaminé avaient déjà été administrées au Japon.

    Jusqu’à présent, environ 54% de la population japonaise a reçu au moins une dose, selon un traqueur de vaccins de Reuters.

    Pas de particules aimantées dans les vaccins ?
    L’affaire est intéressante à plus d’un titre et s’il y a un enjeu sanitaire, il semble qu’il y ait aussi l’enjeu d’une curiosité scientifique à élucider car elle fait courir bien des imaginations sur les réseaux sociaux (TikTok et Instagram notamment), à en croire le quotidien français Le Figaro  qui titrait le 1er juin dernier : « Non, les vaccins anti-covid ne contiennent pas de particules aimantées » https://www.lefigaro.fr/sciences/non-les-vaccins-anti-covid-ne-contiennent-pas-de-particules-aimantees-20210 . Dans cet article, Julien Bobroff, physicien et professeur des universités à Paris-Saclay, un physicien appelé à la rescousse, explique que les vaccins ne peuvent contenir des particules aimantées. Le Figaro cite aussi un autre physicien, Eric Palm, qui explique dans une animation vidéo sur le site de la BBC : « Non, votre injection n’est pas magnétique » https://www.bbc.com/news/av/57207134 .

    La suite payante de l’article : https://www.latribune.fr/entreprises-finance/industrie/chimie-pharmacie/vaccin-moderna-l-agent-contaminant-serait-une-particule-metallique-891335.

    #vaccin #vaccins #vaccination #Moderna #covid-19  #sante #santé  #en_vedette #coronavirus #sars-cov-2 #variant #covid #pandémie #Japon #Espagne #particules #Julien_Bobroff #Eric_Palm

  • Les arguments en faveur des vaccins évoluent donc.

    1. D’abord, il était efficace à plus de 95%, n’avait aucun effet secondaire, et il empêchait l’infection et la transmission.

    2. Puis son efficacité a été revue à la baisse.

    3. Puis on a découvert qu’il n’empêchait ni infection ni transmission.

    4. On nous a alors dit qu’il empêchait seulement les formes graves et qu’il permettait d’atteindre l’immunité de groupe.

    5. Puis on a vu s’accumuler des déclarations d’effets secondaires nocifs mais les “autorités” nous ont assuré qu’il n’y avait aucun rapport de cause à effet.

    6. Puis on a reconnu du bout des lèvres qu’il y avait en effet des effets nocifs (myocardites/AVC/zonas/allergies..) mais qu’ils étaient statistiquement négligeables.

    7. Puis on a découvert que l’efficacité baissait rapidement, au point qu’il faut injecter une 3ème dose au bout de 8 mois.

    8. Puis on a découvert que la pandémie flambait dans les pays les plus vaccinés (Israël, Islande, Seychelles, Royaume-Uni…).

    9. Puis les autorités de ces pays ont commencé à déclarer que l’immunité de groupe ne pouvait pas être atteinte par le vaccin mais par l’immunité naturelle.

    10. Puis on a découvert des double-vaccinés qui souffrent de formes graves et même en meurent.

    11. On nous alors a expliqué alors que les double-vaccinés :
    • ont statistiquement beaucoup moins de formes graves que les non-vaccinés
    • lorsqu’ils meurent de la Covid 19, c’est en souffrant moins.

    CONCLUSION
    Le narratif change sans cesse sur les bienfaits des vaccins Pfizer et Moderna, mais il ne change jamais pour :
    • les vaccins russe, chinois, cubain et français (Valneva), qui restent interdits dans l’Union européenne
    • les traitements, dont l’Ivermectine, qui restent interdits malgré l’accumulation d’études positives.

    #vaccin #vaccins #effets_secondaires #épidémie #contagion #vaccination #pression_sociale #médecins #covid-19 #coronavirus #santé #covid #sars-cov-2 #pandémie #Ivermectine #Pfizer #Moderna

  • TRIBUNE. « La critique de gauche du pass sanitaire se perd dans une impasse confusionniste », Philippe Marlière
    https://www.nouvelobs.com/idees/20210814.OBS47507/tribune-la-critique-de-gauche-du-pass-sanitaire-se-perd-dans-une-impasse-

    (...)le pass sanitaire est une pseudo-mesure bricolée à la va-vite pour pallier les carences graves de l’État social depuis le début de la pandémie (et avant) : absence d’investissement dans la santé publique (personnel et parc hospitaliers) ; campagne de vaccination erratique qui laisse de côté des populations précaires (les classes populaires, les racisés et la jeunesse) ; et messages sanitaires incohérents, voire mensongers (masques, gestes barrières).

    [...]

    L’opposition au pass sanitaire est l’occasion de nombreuses manifestations confusionnistes à gauche. Pour ne citer que les prises de position les plus visibles dans les médias ces derniers jours : la signature de tribunes aux côtés de personnalités de la droite dure (exemple : dans « Libération » du 6 août, Sébastien Jumel, PCF, et François Ruffin, LFI, aux côtés de François-Xavier Bellamy, le député européen issu de la Manif pour tous) ; des prises de position démagogiques au ton apocalyptique d’intellectuels de gauche (exemple : Jean-François Bayart sur son blog hébergé par Mediapart, le 20 juillet), les amalgames catastrophistes à penchant conspirationniste (exemple : Barbara Stiegler sur le site Reporterre, le 31 juillet) ; le repli virulent sur les positions anti-vaccin et anti-science de l’extrême droite (exemple : Laurent Mucchielli, passé de Mediapart à France Soir) et, de manière générale, une surenchère verbale brodant ad nauseam sur la soi-disant mise en place d’une « dictature » ou d’un « apartheid sanitaire ».

    À quel point de déboussolement confusionniste en est arrivée la gauche radicale française pour que des dirigeants d’Attac, de la Fondation Copernic, de LFI ou du NPA parlent ensemble le 22 juillet dans « Libération » de « la société de contrôle généralisé » en s’associant aux manifestations en cours ?

    Encore plus dangereuse est la croyance dans certains milieux de gauche que les cortèges anti-pass sanitaire esquissent un grand mouvement social et pro-libertés publiques. Jean-Luc Mélenchon a qualifié ces marches de « révolutions citoyennes observées dans le monde ». Cette illusion, qui ne repose sur aucune donnée tangible ou recherche de terrain, est pourtant communément développée sur les réseaux sociaux et dans certains médias orientés à gauche. Une lecture attentive des reportages de terrain, des interviews de type micro-trottoir, ainsi que le visionnage de vidéos des manifestations anti-pass sanitaire semblent, au contraire, contredire cette hypothèse.

    Les données observables montrent que dans ces cortèges anti-pass sanitaire on parle peu du… pass sanitaire, mais beaucoup du vaccin, que nombre de manifestants rejettent. L’opposition catégorique au pass sanitaire est davantage le fait d’intellectuels de gauche que de la masse indistincte des manifestants. Il semblerait que les manifestations anti-pass sanitaire soient un sideshow ; une distraction servant à amorcer un positionnement plus controversé au sein du public : le rejet du vaccin.

    La gauche commet une erreur d’appréciation grave en considérant que les populations anti-vaccin sont essentiellement les classes populaires précaires et racisées des zones urbaines. Celles-ci sont absentes des cortèges. Y sont surreprésentées les classes moyennes blanches et d’âge mur.

    Nébuleuse

    Une étude de la Fondation Jean-Jaurès (publiée le 9 août) portant sur la « défiance anti-vaccinale dans le Sud de la France » montre que les anti-vax constituent des populations sociologiquement et politiquement hétérogènes. La galaxie (ou nébuleuse) vaccino-sceptique se caractérise pour une forte appétence pour les médecines douces et alternatives, attractives auprès des cadres et diplômés du supérieur, pour les modes de vie New Age et alternatifs, néoruraux, retraités ou membres des petites classes moyennes se soignant par les plantes plutôt que par la médecine conventionnelle et les vaccins.

    • Mobilisations anti Pass sanitaire : Emmanuel Macron ou l’exacerbation d’une crise de régime latente

      Le mouvement est profond ; il dépasse de loin la question vaccinale, même si celle-ci est à l’origine de sa gestation . Il pose d’abord la question des fondamentaux de nos institutions : l’urgence sanitaire légitime t’elle la restriction d’un certain nombre de libertés et du principe d’égalité ? Le conseil constitutionnel a répondu favorablement mais une partie de l’opinion ne se satisfait pas manifestement de cette réponse . L’amplification territoriale du mouvement , au cœur de l’Eté, constitue un avertissement non seulement pour l’exécutif mais également pour la représentation nationale qui a approuvé le dispositif. La mobilisation est portée certes par le refus du passe-sanitaire mais elle agrège également tout un héritage de mécontentements et de colères qui ont grevé le mandat d’Emmanuel Macron depuis cinq ans . Il y a là quelque chose qui porte l’empreinte d’une crise latente de régime dont Emmanuel Macron n’est pas le responsable exclusif mais qu’il a exacerbé sans doute par sa pratique du pouvoir et l’expression publique de sa majorité . La motricité du mouvement auquel fait face le pouvoir est à ce stade lié , malgré quelques incidents assez relatifs, à son caractère non-violent . L’entreprise de disqualification esquissée par certaines déclarations politico-médiatiques pour l’instant se heurte à une dynamique d’ensemble qui s’interroge sur notre modèle de société . Sa signification est à rechercher dans une critique de la montée en puissance de ce que l’on appelle la gouvernance des conduites , c’est-à-dire de pouvoirs qui souvent ne répondant pas aux besoins stratégiques et régaliens des sociétés , entreprennent d’imposer toujours plus de contraintes à nos comportements collectifs et individuels. Il me parait important d’entendre ce que dit le surgissement de cette mobilisation plutôt que de la caricaturer.

      Arnaud Benedetti

      ⁩mon interview ce 15 Août dans ⁦atlantico.fr

      https://twitter.com/Benedetti65/status/1426842156845703176

      #Pass_Sanitaire #Pandémie #Covid-19 #Emmanuel_Macron

    • Le Pass Sanitaire est une mèche longue

      Les faits fonctionnent comme des mottes d’herbe : chaque brin est singulier, mais le tout se tient par les racines. C’est le cas pour la série des actuelles manifestations hebdomadaires, les innombrables incidents de la mise en œuvre du contrôle généralisé des Pass sanitaires, l’insupportable situation faite aux Dom et Tom aux Antilles et à la Réunion, et les rebonds impréparés de la pandémie. Tout se tient et forme un processus unique.

      Dès lors, la crise sanitaire est devenue une question entièrement politique, autant dans les faits que progressivement dans la conscience collective. En atteste le déploiement complet de l’arsenal habituel de la propagande gouvernementale : les manifestants seraient des antisémites, au service politique « des extrêmes », ce seraient des « égoïstes » qui revendiquent le droit de mettre la vie des autres en danger au motif de leur liberté individuelle. Et ainsi de suite. On retrouve quasi mot pour mot le même arsenal que contre les gilets jaunes ou les autres mouvements depuis l’élection de Macron.

      C’est contrariant, cela empêche de réfléchir sur des faits et c’est souvent insultant. Mais ce n’est pas sans intérêt. Cela fonctionne aussi comme un vaccin. Car le grand nombre apprend à repérer ce discours type et chaque conscience produit ses anticorps. D’ailleurs, comme on peut l’observer : les marches du samedi ont été en participation croissante. Les chiffres publiés par le ministère de l’Intérieur lui-même en attestent. Ensuite il y a ce que l’on sait si l’on se renseigne par soi-même. Pour ma part je dispose des informations données par les Insoumis(es) nombreux à être présents dans les marches. Ils voient beaucoup de gens manifestant pour la première fois. Ils les voient venir souvent en famille et les cortèges mêlent vacanciers et gens du cru.

      Une autre observation : on voit des groupes de professionnels de santé, des pompiers, des groupes professionnels prendre la tête des cortèges, avec une approbation de tous. Cette présence exprime un message autrement plus significatif que celui des provocateurs antisémites d’extrême droite qu’il vaudrait mieux punir plutôt que de leur faire de la publicité. Cela montre que le lien entre le refus du Pass, la défense des libertés publiques et l’existence d’un service public de santé de bon niveau se fait dans les esprits. Ce ne sont pas des thèmes neutres politiquement.

      Certes, même en dehors des épiphénomènes lamentables sur lesquels se focalise la propagande gouvernementale, il y a une très grande diversité des motivations de présence dans ces marches. Ce n’est pas nouveau, ni réservé à ce seul cas. Les raisons d’agir sont toujours très variées dans un mouvement social de masse. Toujours. Les syndicalistes le savent bien. C’est pourquoi ils ont l’habitude d’appeler à l’action sur un mot d’ordre simple, capable de fédérer le plus grand nombre. Mais les marches du samedi ne sont pas des marches syndicales. Les syndicats n’y appellent pas. Je le regrette. Au total, en dépit de toutes les provocations du pouvoir et de ses relais d’expression, le mouvement ne peut être politiquement attribué. À cette étape, c’est sa force et la meilleure garantie pour sa cohésion. C’est pourquoi je prends avec le sourire de l’expérience les curieuses injonctions de ceux qui exigent de la FI qu’elle « appelle à la désobéissance », qu’elle « s’engage dans les marches » et ainsi de suite. Les mêmes souvent crieraient aussitôt à la « récupération » si nous le faisions et tous les micros leur seraient tendus ! En toute hypothèse, il n’en est pas question ! Je suis certain que ce serait nuire au mouvement cela le rétrécissait et donnerait un argument au régime macroniste pour le diviser.

      Dans le contexte, notre position est établie de longue main : nous voulons l’abrogation du Pass Sanitaire. Nous ne le croyons pas du tout efficace pour contenir la pandémie – au contraire. Le Pass sanitaire répand l’illusion de l’immunité de ceux qui en sont titulaires, il sert de prétexte au régime macroniste pour ne rien faire d’autre et met en place un système de contrôle généralisé profondément discriminant et socialement insupportable. Nous avons mené la bataille jusqu’au bout à l’Assemblée nationale et au-delà contre ce Pass.

      À présent ceux des nôtres qui le veulent et qui le peuvent participent aux marches du samedi. C’est important d’y être. D’abord pour renforcer l’action elle-même. Ensuite pour refuser la logique d’éclatement du mouvement que souhaitent réussir ceux qui veulent entrainer tout le monde dans leur direction exclusive. Nous luttons pour l’abrogation du Pass sanitaire. Voilà la raison de la présence de mes amis dans les cortèges. pour le reste, les insoumis sont aussi bigarrés que le mouvement lui-même. Certains sont pour la vaccination, d’autres dubitatifs sur les vaccins proposés. Certains n’ont confiance qu’en notre plan de la société par roulement, d’autres pensent que l’immunité collective est hors de portée du fait des mutations de ce virus. Et ainsi de suite sur une vaste palette d’analyses et d’appréciations. Mais l’essentiel est le but commun qui nous rassemble dans cette action : l’abrogation du Pass sanitaire.

      À mes yeux, la nouvelle étape politique ouverte par cette mise en mouvement populaire ne fait que commencer. Le phénomène que constitue ces marches, comme celles des gilets jaunes à leur commencement, est d’un ordre particulier. On l’observe dans le monde entier depuis maintenant dix ans. En le voyant déboucher dans tous les pays concerné vers des crises politiques marginalisant les pouvoirs en place, nous l’avons appelé « révolution citoyenne ». Cela permet de les distinguer des autres formes traditionnelles de mouvement sociaux dont l’épicentre est l’entreprise et dont l’acteur social reste directement le salariat.

      Pour résumer, cela désigne une catégorie de mouvements socio-politiques particuliers. Son acteur est le « peuple », catégorie qui englobe tous ceux qui ont besoin des réseaux collectif pour assurer leur existence (santé, énergie, transports, alimentation, etc). Ces mouvements expriment la volonté de contrôle des personnes sur les décisions qui s’appliquent à elles et leur famille quand le pouvoir politique s’avère impuissant à régler un problème et qu’il devient alors lui-même le problème aux yeux de gens de toutes opinions. De tels mouvements populaires ont des caractéristiques communes désormais toutes clairement répertoriées (je renvoie ceux que cela intéressent à mes textes à ce sujet). En France comme au Liban, en Algérie ou en Tunisie, au Chili et ailleurs ce mouvement se déploie par vagues successives. Chaque étape s’alimente de l’impact des précédentes sur la société dans son ensemble.

      La nouveauté pour ce qui nous concerne, c’est que la séquence qui s’ouvre dispose d’un horizon qui peut fonctionner comme un débouché politique : l’élection présidentielle de 2022. Il est donc légitime d’en parler et encore plus de demander à ceux qui sont candidats à la présidentielle ce qu’ils feraient sur ce sujet le moment venu. Et je note le silence à ce propos de tant de figures politiques qui sont en campagne interne, ou qui ont pour activité et pour projet de « se préparer » des mois durant ou qui comme madame Le Pen sont aux abonnés absents depuis des mois pour ne fâcher aucune des tribus composites qui forment son assise. Un vieil adage dit pourtant : on ne sort de l’ambiguïté qu’à ses dépens…

      JLM

      https://melenchon.fr/2021/08/13/le-pass-sanitaire-est-une-meche-longue

    • Nantes Révoltée
      @Nantes_Revoltee
      L’absence de critique de la #gaucheNouvelObs contre le Pass Sanitaire et l’ordre technopolicier se perd dans une #impasse-liberticide...

      la peur de la convergence des luttes sans aucun doute . Surtout que « gôche » de gouvernement est complice de Macron en faisant la promotion de la vaccination obligatoire qui est juridiquement contestable avec une autorisation de mise sur le marché conditionnelle.

      https://twitter.com/Nantes_Revoltee/status/1426872690149888002

    • @rastapopoulos d’autant que reste la question de fond : avec qui défilent tous ces gens qui « s’insurgent » contre le passe sanitaire ? Avec les pires crevures d’extrême-droite. Trop contents doivent être ces salopards de surfer sur l’émotion (légitime) de voir la classe dominante écraser les classes dominées, et là où se fourvoient ces dernières : de ne pas voir que c’est pour mieux diviser les classes dominées.

      Tristesse infinie de voir des gens que tu considérais comme des camarades se fourvoyer dans ce cloaque et embrasser les discours putrides de des gens. Effets immondes des réseaux asociaux.

      Les temps sont dangereux.

    • Dans le texte chez Mélenchon, la seule mention de la vaccination, c’est :

      pour le reste, les insoumis sont aussi bigarrés que le mouvement lui-même. Certains sont pour la vaccination, d’autres dubitatifs sur les vaccins proposés. Certains n’ont confiance qu’en notre plan de la société par roulement, d’autres pensent que l’immunité collective est hors de portée du fait des mutations de ce virus. Et ainsi de suite sur une vaste palette d’analyses et d’appréciations. Mais l’essentiel est le but commun qui nous rassemble dans cette action : l’abrogation du Pass sanitaire.

      Ah ben voilà, « certains » sont « dubitatifs », « d’autres pensent » des trucs sur l’immunité collective, alors on ne va pas faire notre boulot de groupe politique qui se présente comme progressiste et populaire, et bosser à convaincre les gens proches de nous de se protéger et de protéger les autres, on va juste instrumentaliser leur ressenti et reprocher à Macron de ne (justement) pas faire de pédagogie.

    • Certains sont pour la vaccination, d’autres dubitatifs sur les vaccins proposés.

      – La réalité sur les vaccins arrive au compte goutte :

      #Covid19 : efficacité de 76% du vaccin #Moderna contre le variant Delta, mais de seulement 42% pour le vaccin #Pfizer (étude américaine)
      ► Détails avec @HannaPapiach

      https://twitter.com/i24NEWS_FR/status/1425710807090876418

      – « La vaccination est un outil essentiel de lutte contre le Covid, mais il est dangereux de la faire passer pour une arme exclusive, comme le suggère l’imposition du passe sanitaire. Le "modèle de l’emmental" reste la meilleure illustration de la bonne stratégie contre l’épidémie. »


      https://twitter.com/gunthert/status/1426830258989322242

    • Marielle : donc il s’agit bien de se positionner contre la vaccination, avec des arguments foireux :

      #Covid19 : efficacité de 76% du vaccin #Moderna contre le variant Delta, mais de seulement 42% pour le vaccin #Pfizer (étude américaine)

      Bon sang que cette lecture est orientée (ce sont des chiffres supposés de réduction du risque de contamination). Tous les vaccins protègent à 80% contre les hospitalisations, et encore plus contre le passage en réanimation, et contre les décès. Et dans le modèle de l’emmental, si tu as un geste barrière qui empêche 80% des hospitalisations, tu n’es plus du tout dans le même ordre de grandeur que les autres gestes, et surtout tu ne te permets pas de dire qu’on peut s’en passer, parce que les autres gestes suffiraient. (Sans compter qu’il est connu que le variant Delta, nettement plus transmissible, met à mal l’efficacité attendue des gestes barrières. Sans compter non plus que jusqu’ici ce ne sont pas les gestes barrières qui ont mis fin aux précédents épisodes, mais des mesures de confinements et de fermetures des lieux de rassemblements, généralement considérés comme bien plus liberticides que la vaccination. Et sans compter que les gens qui manifestent contre les passe sanitaire sont aussi déjà très peu friands de porter le masque…)

      Ça me confirme dans la lecture qu’il s’agit pour ces gens de reprocher au gouvernement de ne pas faire de pédagogie (ce qui n’est pas faux), tout en refusant absolument d’en faire soi-même via sa propre organisation politique.

    • Donc il s’agit bien de se positionner contre la vaccination, avec des arguments foireux

      Pas du tout ! Personnellement je ne suis pas contre la vaccination qui n’empêche pas la transmission du virus mais contre le pass sanitaire. Certes je ne suis pas encore vaccinée !
      Et je comprends ceux qui hésitent.
      Je pense qu’il faut porter le masque en manifestation et plutôt défiler avec les professionnels de santé comme le Pr. Laurent Thines qui s’indigne du Coût du fliquage des patients et des soignants par des vigiles privés du #PassInSanitaire à l’hôpital : 60 millions d’euros par MOIS !!

      Cette info à elle seule devrait pousser dans la rue les français tous les samedis.
      https://twitter.com/LaurentThines/status/1425800381490139141

      Et non il n’y a pas que des crevures d’extrême-droite dans ces manifestations anti pass sanitaire !
      Et oui il faut manifester aussi pour la levée des brevets afin que la majorité des habitants de cette planète puisse avoir accès au vaccin.

    • Super, mais du coup je ne comprends pas du tout l’intérêt de ton message sur l’efficacité « seulement 42% » du vaccin Pzifer en réponse à mon commentaire.

      Et on revient aux questions de « confusionnisme » :

      – le fait que la gauche manifeste en laissant ouvertement planer le doute sur l’importance de la vaccination. Et c’est le cas du texte sur Mélenchon.fr, où le fait qu’une bonne part des insoumis soient encore « dubitatifs » sur le sujet est simplement présenté comme un truc « bigarré », et non comme l’échec de son propre parti à faire sa part de la pédagogie. Même topo avec les syndicats - point déjà abordé ici (et notamment par Colporteur, alors qu’il est bien plus ouvertement critique du passe sanitaire que moi par exemple). Si tu ne te positionnes pas ouvertement en faveur de la vaccination, dans une manif où les messages anti-vax sont omniprésents (en tout ici à Montpellier, c’est à des niveaux totalement grotesques), et que tu te contentes de trouver que c’est « bigarré » dans ton propre groupe politique, c’est un gros problème. Tu ne peux pas critiquer le manque de pédagogie du gouvernement si tu renonces aussi clairement à faire ta part du boulot de ce côté.

      – comme je l’ai déjà écrit ici, le fait que je doute que tu tiennes longtemps dans ces manifs avec des slogans en faveur de la vaccination la plus large, en insistant sur le fait que c’est un geste progressiste et solidaire (tout en dénonçant le passe sanitaire comme méthode de gouvernance sanitaire). Ici à Montpellier, la manif s’est illustrée en allant traiter les pharmaciens pratiquant des tests près de la Comédie de collabos : tu te voies discuter ouvertement de l’importance de la vaccination dans une manif pareille ?

      – et évidemment le fait de manifester dans des manifs où les messages complotistes et fachos sont omniprésents et jamais « corrigés ». Ici à Montpellier, vraiment, c’était grotesque de voir des anars défiler à deux mètres des types avec stickers contre le « big reset », Soros et Bill Gates. Et prétendant que le slogan « général » est tellement global que c’est tant mieux, ça permet à une diversité de gens de se retrouver sur l’essentiel. Prétendre que ces tarés sont super-exceptionnels dans ces manifs, je sais pas chez vous, mais ici c’est de l’aveuglement : ils sont visibles, bruyants, et personne ne vient leur demander d’aller se faire voir ailleurs avec leurs merdes.

      Pour aller au point Godwin tout de suite, j’imagine des manifs où la moitié des gens viendraient ouvertement manifester contre la mainmise de la finance juive, le contrôle des banques par les illuminatis ou les francs-maçons, que cela s’exprimerait de manière tout à fait ouverte et bigarée, et que des partis de gauche participeraient et soutiendraient ces manifs au motif qu’avec un slogan officiel contre les excès du capitalisme néolibéral, bon ben c’est bien ça ramène du monde.

    • Oui je comprends et partage en grande partie ton point de vue.
      Pour l’instant à vrai dire je n’y ai pas encore participé.

      Mais je n’oublie pas que certains partis de gauche (EELV, PS et PC) mais aucun élu de la FI ont déjà soutenu la manif des policiers en grande partie d’extrême droite pour lesquels le problème de la police s’est la justice !

      Ce qui me désole c’est que maintenant pour aller se faire vacciner à l’hôpital il faut aussi le pass sanitaire ainsi que pour l’accès aux soins.

      Pour conclure je ne supporte plus l’hypocrisie de ce gouvernement et surtout le baigneur de Brégançon aux méthodes brutales qui se veut notre Sauveur pour assurer sa réélection.

  • Pfizer, Moderna… : expropriation des trusts pharmaceutiques ! |
    éditorial de LO
    https://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/pfizer-moderna-expropriation-des-trusts-pharmaceutiques-168628.html

    Selon le quotidien britannique Financial Times, qui a pu consulter le contrat conclu avec l’#Union_européenne, le vaccin #Pfizer va passer de 15,5 à 19,5 euros et celui de #Moderna de 19 à 21,5 euros. Vu le nombre de doses vendues, cela représentera des milliards de profits en plus.

    Ces deux groupes viennent d’annoncer des profits record, mais le rebond épidémique dû au variant Delta leur permet d’imposer des augmentations, alors ils ne se gênent pas ! Protégés par le système de brevets, une poignée de grands #laboratoires_pharmaceutiques peuvent fixer librement leurs prix et priver ainsi les pays les plus pauvres de l’accès aux vaccins.

    La #vaccination est un progrès sur le plan scientifique, mais, dans le système capitaliste, elle est d’abord et avant tout une source d’enrichissement pour une poignée d’actionnaires se moquant totalement de l’intérêt général des populations et de leur santé.

    Biden, Macron et leurs semblables se gargarisent de grandes déclarations hypocrites sur la nécessité de faire du vaccin « un bien commun de l’humanité », mais, en dociles défenseurs des intérêts des capitalistes, ils se gardent bien de remettre en cause le droit de ces grands trusts de détourner à leur profit le travail de tous ceux qui ont concouru à la découverte et à la production des #vaccins. Par contre, vis-à-vis de leur population, ces mêmes dirigeants n’hésitent pas à multiplier les interdictions, les obligations avec menaces de sanctions à l’appui, comme Macron vient de le faire avec la loi sanitaire qu’il entend faire appliquer dès le 9 août.

    À compter de cette date, il faudra donc présenter un #passe_sanitaire pour rentrer dans un hôpital ou un Ehpad, pour prendre le train ou aller au restaurant, et cette obligation concernera aussi les travailleurs de nombreux secteurs. Les soignants auront l’obligation de se faire vacciner, faute de quoi, après le 15 septembre, leur contrat de travail serait suspendu et ils ne toucheraient plus de salaire, à moins de poser des jours de congés. La ministre du Travail a tenu à préciser que les employeurs pourraient aussi procéder à des licenciements. Sous prétexte d’imposer la vaccination, Macron fait passer une loi anti ouvrière qui renforce l’arbitraire patronal.

    Les annonces du ministre de l’Éducation, Jean-Michel Blanquer, sont tout aussi choquantes. Ainsi, à la prochaine rentrée, des élèves non vaccinés pourraient être « évincés » de leur classe. Au même moment, Blanquer refuse de dégager des moyens pour permettre à tous d’étudier dans des conditions correctes et sûres du point de vue sanitaire. Il prévoit même de supprimer 1 800 postes d’enseignants en septembre.

    Ces mesures vont compliquer énormément la vie de bien des gens, et en particulier des travailleurs. Mais Macron s’en moque éperdument ! En digne représentant de la classe patronale, il use des mêmes méthodes autoritaires qui ont cours quotidiennement dans les entreprises.

    Pour se justifier, il invoque l’urgence de réagir à la quatrième vague épidémique. C’est du cynisme, car cette menace était prévisible et, depuis un an, les moyens matériels et humains des #hôpitaux, des #Ehpad et de l’ensemble du système de santé n’ont nullement été augmentés.

    Alors, oui, il y a bien de quoi être en colère contre Macron et Castex qui multiplient les leçons de morale à destination de la population, alors que, depuis le début de l’épidémie, l’État n’a cessé de montrer son incurie. Sa seule préoccupation a été de permettre aux entreprises, en particulier les plus grandes, de maintenir leurs profits.

    Comme ses prédécesseurs, Macron a été l’exécuteur des volontés des grands patrons, des financiers, de la minorité de riches privilégiés qui fait passer ses affaires avant tout. La société paye aujourd’hui les conséquences désastreuses de la domination de cette classe capitaliste totalement irresponsable et exclusivement préoccupée de s’enrichir toujours plus.

    Les manifestations contre la loi sanitaire de Macron se sont poursuivies dans toute la France. Protester contre ces mesures est légitime. Pas au nom de la défense des libertés individuelles, mais pour affirmer la nécessité, au nom de l’intérêt collectif, d’exproprier sans indemnité ni rachat les grands trusts de l’industrie pharmaceutique et de les mettre sous le contrôle de la population. Les agissements de ces groupes montrent que c’est la seule façon d’empêcher que la santé publique dépende des décisions d’actionnaires guidés uniquement par la recherche du profit.

    #capitalisme #expropriation #brevet #parasitisme #collectivisation

  • Le Janus de la science et de l’industrie

    Louis de Colmar

    https://lavoiedujaguar.net/Le-Janus-de-la-science-et-de-l-industrie

    Lorsque Greta Thunberg fustige les puissants de ce monde en les exhortant à « écouter les scientifiques » elle se situe au cœur des contradictions de ce temps. Elle idéalise la science en l’opposant aux basses œuvres de l’industrie, méconnaissant que cette industrie n’est que le bras armé de la science. Historiquement parlant, il est tout à fait impossible de les dissocier : science et industrie obéissent à une même vision du monde, à une même pratique effective du monde. Dans les deux cas, il s’agit d’être capable de reproduire à l’infini, sans pertes ou dégradations, des procédures expertes : la reproductibilité des expériences scientifiques est de même nature que la reproductibilité des mécanismes de fabrication industrielle ; bien plus, le propre de la reproductibilité industrielle est directement tributaire d’approches scientifiques particulières, la reproductibilité industrielle n’est qu’une généralisation et une massification de questionnements scientifiques élaborés à échelle réduite.

    Il est temps de sortir de la fausse opposition entre science-connaissance pure, et applications impures et détournées d’une même conception du monde.

    Le combat contre le réchauffement climatique ne peut qu’être corrélé avec le combat contre l’idéalisation de la science, contre sa mythologisation : le réchauffement climatique a bien pour origine la mise en pratique d’une représentation théorique du monde spécifiquement incarné par la science. L’expérimentation scientifique dans les laboratoires académiques ou privés n’est que le b.a.-ba de sa potentielle industrialisation, qui n’est jamais qu’un changement d’échelle. (...)

    #science #industrie #Greta_Thunberg #rationalité #crise #Guillaume_Carnino #Jérôme_Baschet #capitalisme #monde-robot #nature #idéologie #Marx #Pfizer #Moderna #révolution #économie #Paul_Ricœur

  • #Héritage et #fermeture. Une #écologie du #démantèlement

    Nous dépendons pour notre subsistance d’un « monde organisé », tramé par l’#industrie et le #management. Ce monde menace aujourd’hui de s’effondrer. Alors que les mouvements progressistes rêvent de monde commun, nous héritons contre notre gré de #communs moins bucoliques, « négatifs », à l’image des fleuves et sols contaminés, des industries polluantes, des chaînes logistiques ou encore des #technologies_numériques. Que faire de ce lourd #héritage dont dépendent à court terme des milliards de personnes, alors qu’il les condamne à moyen terme ? Nous n’avons pas d’autre choix que d’apprendre, en urgence, à destaurer, fermer et réaffecter ce #patrimoine. Et ce, sans liquider les enjeux de #justice et de #démocratie. Contre le front de #modernisation et son anthropologie du projet, de l’#ouverture et de l’#innovation, il reste à inventer un art de la #fermeture et du #démantèlement : une (anti)écologie qui met « les mains dans le cambouis ».

    https://www.editionsdivergences.com/livre/heritage-et-fermeture
    #livre #effondrement #pollution #anti-écologie #écologie

  • Parution prochaine le 11 juin : Robert Kurz, Raison sanglante. Essais pour une critique émancipatrice de la modernité capitaliste et des Lumières bourgeoises (Editions Crise & Critique)

    http://www.palim-psao.fr/2021/05/parution-prochaine-le-11-juin-robert-kurz-raison-sanglante.essais-pour-un

    Depuis le 11 septembre 2001, c’est avec une arrogance jamais atteinte jusqu’ici que les idéologues de l’économie de marché et de la démocratie invoquent leur enracinement dans la grande philosophie des Lumières. Oubliée la « dialectique de la raison » d’Adorno et Horkheimer, oubliée la critique de l’eurocentrisme : il n’est pas jusqu’à certaines fractions de la gauche qui ne s’accrochent à une prétendue promesse de bonheur bourgeoise, alors même que la mondialisation du capital ravage la planète.

    Robert Kurz qui s’est fait connaître pour ses analyses critiques du capitalisme et de son histoire (La Substance du capital, L’Effondrement de la modernisation), s’attaque ici aux « valeurs occidentales » à contre-courant du mainstream intellectuel dominant et au-delà de la critique passée des Lumières. Dans ces essais théoriques polémiques et fondateurs, on voit s’ébaucher une nouvelle critique radicale de la forme-sujet moderne (déterminée de manière masculine) et ce non pas pour rendre hommage à un romantisme réactionnaire mais afin de montrer que les Lumières et les contre-Lumières bourgeoises ne sont que les deux côtés de la même médaille. L’objectif visé est une « antimodernité émancipatrice » qui refuserait les fausses alternatives se situant toutes sur le terrain du système patriarcal producteur de marchandises.

  • Generalplan Ost - Planungshorizont Krim - Zielrichtung Ukraine - Vo...
    https://diasp.eu/p/12936309

    Generalplan Ost - Planungshorizont Krim - Zielrichtung Ukraine - Vordenker der Vernichtung - Prof. Dr. Götz Aly über die Planer einer neuen Europäischen Ordnung (1941 - 1943) im Gespräch mit Alexander Kluge. | 16.06.2017 - 45 Min.

    https://www.youtube.com/watch?v=0ZbeI1xzs48

    #Überbevölkerung #Volk_ohne_Raum #Rassismus #Osteuropa #Rassengesetze #Ostkrieg #Armut #Umsiedlungsprojekte #Aussiedlung #Rationalisierung #Modernisierung

  • The power of private philanthropy in international development

    In 1959, the Ford and Rockefeller Foundations pledged seven million US$ to establish the International Rice Research Institute (IRRI) at Los Baños in the Philippines. They planted technologies originating in the US into the Philippines landscape, along with new institutions, infrastructures, and attitudes. Yet this intervention was far from unique, nor was it spectacular relative to other philanthropic ‘missions’ from the 20th century.

    How did philanthropic foundations come to wield such influence over how we think about and do development, despite being so far removed from the poor and their poverty in the Global South?

    In a recent paper published in the journal Economy and Society, we suggest that metaphors – bridge, leapfrog, platform, satellite, interdigitate – are useful for thinking about the machinations of philanthropic foundations. In the Philippines, for example, the Ford and Rockefeller foundations were trying to bridge what they saw as a developmental lag. In endowing new scientific institutions such as IRRI that juxtaposed spaces of modernity and underdevelopment, they saw themselves bringing so-called third world countries into present–day modernity from elsewhere by leapfrogging historical time. In so doing, they purposively bypassed actors that might otherwise have been central: such as post–colonial governments, trade unions, and peasantry, along with their respective interests and demands, while providing platforms for other – preferred – ideas, institutions, and interests to dominate.

    We offer examples, below, from three developmental epochs.

    Scientific development (1940s – 70s)

    From the 1920s, the ‘big three’ US foundations (Ford, Rockefeller, Carnegie) moved away from traditional notions of charity towards a more systematic approach to grant-making that involved diagnosing and attacking the ‘root causes’ of poverty. These foundations went on to prescribe the transfer of models of science and development that had evolved within a US context – but were nevertheless considered universally applicable – to solve problems in diverse and distant lands. In public health, for example, ‘success against hookworm in the United States helped inspire the belief that such programs could be replicated in other parts of the world, and were indeed expanded to include malaria and yellow fever, among others’. Similarly, the Tennessee Valley Authority’s model of river–basin integrated regional development was replicated in India, Laos, Vietnam, Egypt, Lebanon, Tanzania, and Brazil.

    The chosen strategy of institutional replication can be understood as the development of satellites––as new scientific institutions invested with a distinct local/regional identity remained, nonetheless, within the orbit of the ‘metropolis’. US foundations’ preference for satellite creation was exemplified by the ‘Green Revolution’—an ambitious programme of agricultural modernization in South and Southeast Asia spearheaded by the Rockefeller and Ford Foundations and implemented through international institutions for whom IRRI was the template.

    Such large-scale funding was justified as essential in the fight against communism.

    The Green Revolution offered a technocratic solution to the problem of food shortage in South and Southeast Asia—the frontier of the Cold War. Meanwhile, for developmentalist regimes that, in the Philippines as elsewhere, had superseded post-independence socialist governments, these programmes provided a welcome diversion from redistributive politics. In this context, institutions like IRRI and their ‘miracle seeds’ were showcased as investments in and symbols of modernity and development. Meanwhile, an increasingly transnational agribusiness sector expanded into new markets for seeds, agrichemicals, machinery, and, ultimately, land.

    The turn to partnerships (1970s – 2000s)

    By the 1970s, the era of large–scale investment in technical assistance to developing country governments and public bureaucracies was coming to an end. The Ford Foundation led the way in pioneering a new approach through its population programmes in South Asia. This new ‘partnership’ mode of intervention was a more arms-length form of satellite creation which emphasised the value of local experience. Rather than obstacles to progress, local communities were reimagined as ‘potential reservoirs of entrepreneurship’ that could be mobilized for economic development.

    In Bangladesh, for example, the Ford Foundation partnered with NGOs such as the Bangladesh Rural Advancement Committee (BRAC) and Concerned Women for Family Planning (CWFP) to mainstream ‘economic empowerment’ programmes that co-opted local NGOs into service provision to citizens-as-consumers. This approach was epitomised by the rise of microfinance, which merged women’s empowerment with hard-headed pragmatism that saw women as reliable borrowers and opened up new areas of social life to marketization.

    By the late-1990s private sector actors had begun to overshadow civil society organizations in the constitution of development partnerships, where state intervention was necessary to support the market if it was to deliver desirable outcomes. Foundations’ efforts were redirected towards brokering increasingly complex public-private partnerships (PPPs). This mode of philanthropy was exemplified by the Rockefeller Foundation’s role in establishing product development partnerships as the institutional blueprint for global vaccine development. Through a combination of interdigitating (embedding itself in the partnership) and platforming (ensuring its preferred model became the global standard), it enabled the Foundation to continue to wield ‘influence in the health sphere, despite its relative decline in assets’.

    Philanthrocapitalism (2000s – present)

    In the lead up to the 2015 UN Conference at which the Sustainable Development Goals (SDGs) were agreed, a consensus formed that private development financing was both desirable and necessary if the ‘trillions’ needed to close the ‘financing gap’ were to be found. For DAC donor countries, the privatization of aid was a way to maintain commitments while implementing economic austerity at home in the wake of the global finance crisis. Philanthrocapitalism emerged to transform philanthropic giving into a ‘profit–oriented investment process’, as grant-making gave way to impact investing.

    The idea of impact investing was hardly new, however. The term had been coined as far back as 2007 at a meeting hosted by the Rockefeller Foundation at its Bellagio Centre. Since then, the mainstreaming of impact investing has occurred in stages, beginning with the aforementioned normalisation of PPPs along with their close relative, blended finance. These strategies served as transit platforms for the formation of networks shaped by financial logics. The final step came with the shift from blended finance as a strategy to impact investing ‘as an asset class’.

    A foundation that embodies the 21st c. transition to philanthrocapitalism is the Omidyar Network, created by eBay founder Pierre Omidyar in 2004. The Network is structured both as a non–profit organization and for–profit venture that ‘invests in entities with a broad social mission’. It has successfully interdigitated with ODA agencies to further align development financing with the financial sector. In 2013, for example, the United States Agency for International Development (USAID) and UK’s Department for International Development (DFID) launched Global Development Innovation Ventures (GDIV), ‘a global investment platform, with Omidyar Network as a founding member’.

    Conclusion

    US foundations have achieved their power by forging development technoscapes centred in purportedly scale–neutral technologies and techniques – from vaccines to ‘miracle seeds’ to management’s ‘one best way’. They have become increasingly sophisticated in their development of ideational and institutional platforms from which to influence, not only how their assets are deployed, but how, when and where public funds are channelled and towards what ends. This is accompanied by strategies for creating dense, interdigitate connections between key actors and imaginaries of the respective epoch. In the process, foundations have been able to influence debates about development financing itself; presenting its own ‘success stories’ as evidence for preferred financing mechanisms, allocating respective roles of public and private sector actors, and representing the most cost–effective way to resource development.

    Whether US foundations maintain their hegemony or are eclipsed by models of elite philanthropy in East Asia and Latin America, remains to be seen. Indications are that emerging philanthropists in these regions may be well placed to leapfrog over transitioning philanthropic sectors in Western countries by ‘aligning their philanthropic giving with the new financialized paradigm’ from the outset.

    Using ‘simple’ metaphors, we have explored their potential and power to map, analyse, theorize, and interpret philanthropic organizations’ disproportionate influence in development. These provide us with a conceptual language that connects with earlier and emergent critiques of philanthropy working both within and somehow above the ‘field’ of development. Use of metaphors in this way is revealing not just of developmental inclusions but also its exclusions: ideascast aside, routes not pursued, and actors excluded.

    https://developingeconomics.org/2021/05/10/the-power-of-private-philanthropy-in-international-development

    #philanthropie #philanthrocapitalisme #développement #coopération_au_développement #aide_au_développement #privatisation #influence #Ford #Rockefeller #Carnegie #soft_power #charité #root_causes #causes_profondes #pauvreté #science #tranfert #technologie #ressources_pédagogiques #réplique #modernisation #fondations #guerre_froide #green_revolution #révolution_verte #développementalisme #modernité #industrie_agro-alimentaire #partnerships #micro-finance #entrepreneuriat #entreprenariat #partenariat_public-privé (#PPP) #privatisation_de_l'aide #histoire #Omidyar_Network #Pierre_Omidyar