• Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

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    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

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      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Que veulent Modi et les ultranationalistes hindous ? [Podcast] - CONTRETEMPS
    https://www.contretemps.eu/inde-modi-bjp-rss-ultranationalistes-hindous-extreme-droite-fascisme

    Cette mouvance n’est pas réductible à Modi et à son parti le BJP : celui-ci est l’incarnation sur le terrain politico-électoral d’une organisation : le RSS, l’Organisation des Volontaires nationaux. C’est sur ce mouvement, son histoire et son idéologie, ses objectifs et son mode de fonctionnement, que revient le nouvel épisode du podcast d’Ugo Palheta « Minuit dans le siècle » (disponible sur la plateforme Spectre), avec le chercheur Christophe Jaffrelot. Auteur de nombreux livres sur le mouvement nationaliste hindou, en particulier L’Inde de Modi. National-populisme et démocratique ethnique (publié en 2019 aux éditions Fayard), il est l’un des plus grands spécialistes au niveau mondial de l’extrême droite indienne.

    Créé dès les années 1920 sur le modèle notamment des fascismes européens, ce mouvement de masse est largement implanté dans la société indienne et extrêmement ramifié, puisqu’il a engendré au cours du 20e siècle un vaste réseau d’organisations satellites (réseau que l’on nomme le « Sangh Parivar ») : des organisations culturelles et religieuses comme le VHP (qui signifie en français le Conseil hindou mondial), des organisations de jeunes, de femmes, syndicales, d’éducation populaire, des think tanks, des coopératives, des médias, mais aussi des milices et le BJP qui en constitue une sorte de front politique et de vitrine électorale.

    https://episodes.castos.com/60c88ecb8244e2-60091627/6107c87e-a82d-4105-921a-435589f787ce-EpJaffrelot-final.mp3

    #inde #modi #nationalisme #fascisme #xénophobie #audio

  • Marijn van Putten sur Twitter : “The Sanaa Palimpsest, one of the most valuable manuscripts that we have. The upper text contains the standard text of the Quran. It was written over an original text, which also was the Quran! But not the standard Quran as we know it, but what appears to be a pre-canonical one. https://t.co/P3lavzxXYj” / Twitter
    https://twitter.com/PhDniX/status/1606237274915700737

    #coran #modifications

  • l’histgeobox : Dans l’#Inde de #Modi, l’#islamophobie des nationalistes hindous s’épanouit en #musique.

    https://lhistgeobox.blogspot.com/2022/12/dans-linde-de-modi-lislamophobie-des.html
    https://lh3.googleusercontent.com/blogger_img_proxy/ANbyha3SdBGiSgKKZid56Hj4EgheB3d17ogWdS90NrlvUDinHnZlC7BWabC2o

    Les incitations à la haine religieuse contenues dans les paroles enfreignent le code pénal indien sans que cela n’incite le parti au pouvoir à engager des poursuites judiciaires. Au contraire, le BJP invite les chanteurs à se produire dans les meetings, débloque des financements, facilite l’accès aux médias amis...

    Ce petit tour d’horizon laisse mal augurer de l’avenir. En Inde, les conditions préalables à des violences généralisées de très grande ampleur semblent aujourd’hui réunies. La question n’est plus de savoir si ce type de pogroms est possible, mais quand ils surviendront.

  • #Emmanuel_Macron, 13.01.2022

    « Au-delà des questions des moyens, nous avons une question structurelle et on ne pourra pas rester durablement dans un système où l’enseignement supérieur n’a aucun prix pour la quasi-totalité des étudiants, où un tiers des étudiants sont considérés comme boursiers et où, pourtant, nous avons tant de précarité étudiante et une difficulté à financer un modèle qui est beaucoup plus financé sur l’argent public que partout dans le monde pour répondre à la compétition internationale. »

    https://twitter.com/caissesdegreve/status/1481963876451340290

    Quand est-ce qu’on l’arrête celui-là ?

    #macronisme #ESR #université #discours #facs #France #destruction #précarité_étudiante #financement #enseignement_supérieur #budget #compétition #compétition_internationale #néo-libéralisme #privatisation #Macron

    La casse de l’université continue...

    Voici ce que j’écrivais en 2020, lors des luttes contre la fameuse LPR :

    Si je lutte ici et maintenant c’est parce que je suis fermement convaincue que si on gagne en France la victoire contre une université néolibérale, on peut faire tache d’huile bien au-delà des frontières nationales. Et si, en France, on ne cède pas au chant des sirènes du néolibéralisme universitaire, je suis aussi fermement convaincue que le supposé « retard » décrié par certain·es aujourd’hui se transformera en avance. Car la grogne grandit aussi dans les autres pays européens, qui se battent pour ce qu’en France, nous sommes en train de perdre, mais nous n’avons heureusement pas encore complètement perdu

    http://www.riurba.review/2020/03/comprendre-le-neoliberalisme-universitaire-francais-a-partir-de-la-suisse

    • La privatisation de l’écoles et de l’université représente une montagne de fric, à côté de laquelle la privation de la Française Des Jeux et des autoroutes sont des cacahuètes apéritives.

      Restera la montagne d’or amassée par les caisses de retraite complémentaires, ce sera pour la quinquennat suivant.

    • Emmanuel Macron expose une #réforme « systémique » de l’université

      Le chef de l’État a estimé que le système actuel d’#études_supérieures était « révolu » et que les universités devaient s’ancrer dans une dimension plus « professionnalisante ».

      À trois mois de la présidentielle, Emmanuel Macron a souhaité jeudi 13 janvier une réforme « systémique » des universités, qu’il veut plus « professionnalisantes », tout en jugeant intenable un système d’études supérieures « sans aucun #prix » pour les étudiants mais avec un #taux_d'échec massif. « Je le reconnais sans ambages, nous avons commencé à colmater les brèches, mais nous devons redoubler d’effort pour que, à l’horizon de dix ans, notre université soit plus forte », a-t-il déclaré, en clôturant en visioconférence le Congrès de la Conférence des présidents d’universités.

      Le chef de l’État a d’abord remis en cause le double système #grandes_écoles - universités. « Nous avons trop longtemps accepté un modèle à plusieurs vitesses, où les grandes écoles et organismes de recherche étaient supposés s’occuper de la formation des #élites et l’université de la #démocratisation de l’enseignement supérieur et la gestion des #masses. Ce système est révolu », a-t-il lancé. « Demain ce seront nos universités qui doivent être les piliers de l’#excellence ».

      « Garantir l’orientation des jeunes vers l’emploi »

      Emmanuel Macron a aussi dénoncé l’« intolérable #gâchis » de l’#échec en première année, où « seuls 50% des étudiants se présentent aux examens », malgré l’injection de nouveaux moyens et la création de 84.000 places. Selon lui, il ne s’agit donc pas d’une question de #moyens. « On ne pourra pas rester durablement dans un système où l’enseignement supérieur n’a aucun prix pour la quasi-totalité des étudiants, où un tiers des étudiants sont considérés comme boursiers et où pourtant nous avons tant de précarité étudiante, et une difficulté à financer un modèle beaucoup plus financé par l’argent public que partout dans le monde », a-t-il argué.

      « Je dis les choses avec la clarté et la franchise que vous me connaissez » car « si nous ne réglons pas ces problèmes structurels, nous nous mentirions à nous-mêmes », a-t-il poursuivi. Et d’enchaîner : « Nous avons besoin d’une #transformation_systémique de nos universités ». Celles-ci doivent, selon lui, avoir d’avantage d’#autonomie mais l’État devra passer avec elles « de véritables #contrats_d'objectifs_et_de_moyens ». Notamment « les universités ne doivent plus seulement garantir l’accueil des étudiants dans une formation mais garantir l’orientation des jeunes vers l’#emploi ».

      « L’université doit devenir plus efficacement professionnalisante », a encore souhaité le chef de l’État : « la logique de l’#offre doit prendre le pas sur la logique de la #demande », ou encore, « l’orientation doit évoluer pour mieux correspondre aux besoins de la #nation ». « Quand on ouvre des filières sans #perspective derrière, nous conduisons un #investissement_à_perte », a-t-il dit, après avoir rappelé les nouveaux moyens - 25 milliards d’euros sur 5 ans - de la loi de programmation de la recherche, « un rattrapage » à ses yeux. Manuel Tunon de Lara, président de la Conférence des présidents d’universités, rebaptisée France Universités, a lui réclamé une plus grande autonomie des établissements mais aussi un financement de l’enseignement supérieur « à la hauteur de nos ambitions ».

      https://www.lefigaro.fr/demain/education/emmanuel-macron-expose-une-reforme-systemique-de-l-universite-20220113

      #professionnalisation

    • Le discours a été tenu devant le congrès de la CPU désormais appelée @FranceUniv

      qui représente « un nouvel élan, qui rappelle le rôle de partenaire essentiel des pouvoir publics / force de proposition et de transformation pour l’ESR » d’après M. Macron.

      https://www.youtube.com/watch?v=SwsAPNPyFU4&t=32750s

      –-

      Analyse de Julien Gossa sur twitter :

      Le discours commence par des banalités : « concurrence pour les talents », « décloisonner pour favoriser les synergies », « Shanghai / Saclay »...

      Mais surtout « conjurer notre histoire » avec « le vent de face en raison de la démographie ».
      C’est important pour la suite.

      Le discours se centre sur « repenser totalement le lien entre Lycée et Université » et « la séparation entre les études supérieures et le monde du travail ».
      Il fustige une « aristocratie égalitariste » avec la dichotomie Grandes Ecoles (« exellence ») et Université (« masse »).

      #debunk Il s’agit d’un classique diviser pour regner/l’herbe est plus verte ailleurs.
      Cette opposition (stérile ?) GE/Univ est systématiquement instrumentalisée pour réformer, mais seulement les universités.

      « ce n’est pas qu’une question de moyens » (?)

      D’après M. Macron « ce système est révolu » car « il ne correspond pas à la compétition internationale et crée des segmentations inefficaces ». C’est « le sens de l’Histoire ».

      Il faut donc « une nouvelle politique d’investissement ».

      #Point 1 : l’« intolérable gâchis » en Licence

      « Nous avons injecté 1 Md€ en plus dans le premier cycle / créé 84000 places / et 28000 oui-si... formidable ! et pourtant seulement 50% des étudiants se présentent aux examens de premières année »

      #debunk "Des efforts n’ont pas conduit à des résultats, donc il faut réformer plus en profondeur" est discutable.

      Par exemple, il y a en réalité une hausse des taux de réussite, que le discours doit ignorer volontairement pour atteindre son objectif.

      https://etudiant.lefigaro.fr/article/a-l-universite-un-taux-de-reussite-des-licences-en-pleine-croissan

      De plus, ces résultats ne sont pas évaluables en période de pandémie, parce que tout le système est perturbé, et que tirer des conclusions de mesures qui ont trois ans n’est pas intègre.
      https://www.franceculture.fr/societe/covid-19-la-detresse-croissante-des-etudiants

      Enfin, l’effort est en réalité factice, puisque la dépense par étudiant baisse, essentiellement à l’Université.

      Tout au contraire, si on en croit les indicateurs, l’Université a donc plutôt obtenu des résultats, sans moyen, et dans un contexte difficile.

      https://www.alternatives-economiques.fr/rentree-coutera-t-plus-cher-cette-annee/00100263

      #Discussion L’échec en Licence lui-même est peut-être un problème factice, instrumentalisé pour atteindre des objectifs pratiquement sans rapport, mais qui a le mérite de faire écho à un soucis très concret qu’on rencontre sur le terrain.

      #Point 2 : le financement public et la gratuité des études universitaires.

      Cela conduirait a un enseignement qui n’a « aucun prix » à cause d’« un modèle beaucoup plus financé par l’argent public que partout dans le monde »

      #Debunk Au delà du marqueur idéologique « ce qui n’a pas de prix n’a aucune valeur », l’affirmation sur le financement public de l’ESR en France est tout simplement fausse : nous sommes dans la moyenne, et en dessous des pays que nous admirons.

      https://publication.enseignementsup-recherche.gouv.fr/eesr/FR/T165/la_depense_pour_l_enseignement_superieur_dans_les_pays_de_l_ocde

      Plus intéressant encore, si on prend le cas extrême de la Grande Bretagne (GB).

      D’abord l’évidence : moins de financement public, c’est plus de financement privé, donc plus d’endettement des familles.

      E. Macron propose donc de vous endetter plus.

      https://commonslibrary.parliament.uk/research-briefings/sn01079

      Ensuite, le financement "privé" est en réalité sur des prêts garantis par l’État, et qui sont en grande partie (52%) non remboursé, donc payés par le public.

      Ça a couté 12Md€ d’argent public l’an dernier (~50% du budget du MESRI).

      https://www.dailymail.co.uk/news/article-9753557/Almost-10-billion-paid-student-loans-2020-written-off.html

      Et enfin, ça n’a apporté aucun financement supplémentaire aux universités.

      La proposition est donc d’endetter les ménages, même si ça coute encore plus au contribuable, sans rien rapporter aux universités.

      Seuls gagnants : les usuriers.

      #Point 3 : la formation réduite à une forme d’insertion professionnelle

      « les universités [doivent] garantir l’orientation des jeunes vers l’emploi » avec « de véritables contrats d’objectifs et de moyens ».

      En clair : l’emploi conditionne le financement des formations.

      « la logique de l’offre doit prendre le pas sur la logique de la demande » « l’orientation doit évoluer pour mieux correspondre aux besoins de la nation »

      En clair : ce n’est plus ni aux familles ni aux universitaires de décider de l’orientation et des formations, mais à l’Etat.

      D’après E. Macron,ces « besoins de la nation » sont seulement économiques, et tout le reste est un « investissement à perte ».

      C’est du bon sens, mais seulement avec une conception de la formation limitée à l’insertion professionnelle.

      #debunk Si on colle les trois points, on a une forme de logique :
      1. Les jeunes échouent en Licence
      2. Car ils se moquent d’études qui ne coutent rien
      3. Et qui de toutes façons ne mènent à aucun emploi.

      Faire payer les familles apparait alors comme une solution, non pas pour augmenter les financements (ils n’augmenteront pas, au contraire), mais seulement pour augmenter l’implication des familles, et restructurer « l’offre et la demande » de la formation.

      La réussite par l’augmentation de l’implication des familles repose sur la croyance « ce qui n’a pas de prix n’a aucune valeur ».

      Quand on regarde les indicateurs, c’est plutôt une question de moyens.


      https://twitter.com/anouchka/status/1481928533308022785

      La restructuration de « l’offre et la demande » imagine une vertu : si les études impliquent un endettement personnel, alors le choix d’orientation sera vers les formations qui permettent de rembourser, donc là où il y a des emplois.
      Et sinon c’est à la charge des familles.

      Julien Gossa
      @JulienGossa
      ·
      17h
      Les formations qui conduisent aux emplois bien payés peuvent augmenter leurs frais d’inscription, donc leur qualité. Les autres ferment ou de toutes façons ne coutent plus rien.

      Le marché comme solution à l’orientation et la formation, donc à la stratification sociale.

      C’est la vision qui a bien fonctionné au XXe siècle. Malheureusement, elle ne fonctionne plus. Tout simplement parce que « démographie » et « besoins [économiques] de la nation » sont désynchronisés.

      Il n’y a pas d’emplois non pourvus en France, il y a du chômage.

      Les emplois qui recrutent ne concernent pas les filières universitaires.

      Les formations universitaires montrent un léger chômage, qui indiquent qu’elles remplissent parfaitement leur rôle de fournisseur de main d’œuvre qualifiée.

      https://statistiques.pole-emploi.org/bmo/bmo?graph=1&in=1&le=0&tu=10&pp=2021&ss=1

      On revient à cette évidence, que le discours de M. Macron semble ignorer : diplômer quelqu’un ne crée pas un emploi.

      En terme d’emplois, la politique proposée est donc vouée à l’échec. Pire, elle enferme dans une sorte d’immobilisme économique.


      https://twitter.com/Taigasangare/status/1481897423437979649

      En toute logique, la politique proposée consiste donc non pas à augmenter le nombre de diplômés, puisque ça ne ferait que baisser le taux d’insertion professionnelle.

      Elle consiste forcément à baisser le nombre d’étudiants, seul moyen d’éviter un « investissement à perte ».

      Et ça nous mène à la question principale qui se pose pour l’avenir, même si on n’ose jamais l’affronter :

      Quel est le rôle des études supérieures ?

      Si c’est seulement économique, sans progrès futurs, alors Macron a raison : il faut endetter et réduire le nombre d’étudiants.

      Mais si c’est plus large que ça, que les études supérieures permettent de former des citoyens qui vont devoir gérer des crises graves... Alors il vaut mieux des chômeurs bien formés que des chômeurs mal formés.

      Et le projet proposé est très dangereux.

      Il est d’autant plus dangereux que la loi ORE a déjà posé des bases très solides pour sa réalisation :

      l’Etat contrôle désormais les places dans toutes les formations publiques. La réduction du nombre d’étudiants est donc techniquement possible.

      #Parcoursup est à la fois une sorte de concours national pour accéder aux places, et en plus une market-place pour les formations, incluant déjà des informations sur les "débouchés" et un module de paiement des frais.

      Toute la technique a été préparée pour ce projet politique.

      Reste que le projet politique de M. Macron, tout idéalisé et idéologisé qu’il soit, se confronte à une question toute simple : Que fait-on des jeunes surnuméraires par rapport aux besoin de l’emploi, si on ne les forme plus ?

      Ce fameux « vent de face de la démographie ».

      Julien Gossa
      @JulienGossa
      ·
      16h
      Pour conclure, le discours de M. Macron est bien rodé, puisqu’il a plus de 50 ans... Mais il est objectivement anachronique.

      Il faudrait un peu de courage, et attaquer vraiment la seule vraie question : Quel est le rôle des études supérieures au XXIe siècle ?

      Rappel qu’il y a une cohérence entre baisser le nombre d’étudiants et réduire le nombre de lycéens qui font des mathématiques.

      Si on n’a pas le courage d’aller jusqu’au bout, on aura donc autant d’étudiants, juste moins bien préparés à nos études.


      https://twitter.com/OlivierMusy/status/1481960693784092673

      NB : Si M. Macron souhaitait vraiment mettre en œuvre ce programme, il lui suffirait de donner une autonomie réelle aux universités, dont l’intérêt est effectivement de réduire le nombre d’étudiants et de les faire payer.

      Sauf que c’est impossible :
      https://blog.educpros.fr/julien-gossa/2021/10/17/selection-impossible-autonomie-fantome

      Ici le verbatim, qui termine sur cette blague « Et que fait-on ce soir, Cortex ? »
      https://t.co/9HYisOq789

      Et bien sûr la plus pathétiques des hypothèses : tout ce projet n’a en réalité aucun sens, complètement dépourvu de vision et d’ambition autre que séduire les présidents d’université dans une perspective tristement électoraliste.

      https://twitter.com/JulienGossa/status/1481996134042193925

    • Présidentielle 2022 : le programme d’Emmanuel Macron devant la CPU “#France_Universités

      Emmanuel Macron a prononcé un discours pour la clôture du 50e anniversaire de la Conférence des présidents d’université1. La vidéo et le verbatim sont disponibles ici2. Ce discours dresse le bilan de la politique du quinquennat en matière d’enseignement supérieur et de recherche, mais trace aussi un cap pour une nouvelle réforme — peut-être pour un nouveau mandat ?

      Le candidat-président Macron fixe dans tous les cas un certain nombre d’objectifs et de lignes directrices qu’il n’est pas inintéressant d’analyser.

      Cet article est tiré d’un fil Twitter (https://twitter.com/CathKikuchi/status/1481942125147312138) écrit à chaud et doit être complété avec d’autres analyses qui ont émergé à la suite de ce discours3. On citera en particulier :
      - Ce fil extrêmement complet de Julien Gossa : https://twitter.com/UnivOuverte/status/1481759141618139138
      - Cette réflexion de Marianne Blanchard sur la volonté de plus « professionnaliser l’université » : https://twitter.com/UnivOuverte/status/1481759141618139138
      - En complément, la reprise d’une intervention de l’économiste Elise Huillery au colloque de la Conférence des présidents d’université sur les ressources allouées à l’université française, un fil d’Ana Lutzky : https://twitter.com/anouchka/status/1481924369597308930

      Il est globalement beaucoup question de la politique universitaire, mais un article entier pourrait également être consacré à ce qu’Emmanuel Macron dit de la vie étudiante. Nous laissons ce point à analyser à d’autres.
      « Éclairer le monde tel qu’il va » ou l’abrutir

      « Faire pleinement de la France une avant-garde de la recherche de l’excellence du savoir » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      Le discours commence bien sûr par brosser les présidents d’université dans le sens du poil. Beaucoup ont commenté la petite phrase des universités qui doivent « éclairer le monde ». Ce passage s’inscrit dans tout un segment sur l’importance de l’autorité académique, de la reconnaissance des pairs et du cadre scientifique : « Ne laissons personne le remettre en question ». Evidemment, ce n’est pas nous que le contredirons. Mais cette déclaration prend une saveur particulière, alors que Jean-Michel Blanquer, ministre de l’éducation, cherche au contraire à dire aux universitaires ce qu’ils doivent chercher et comment en faisant l’ouverture d’un pseudo-colloque ((NDLR : Le président-candidat Macron évoque également la commission Bronner qui vient de rendre son “rapport” Des Lumières à l’ère du numérique.Il en retient la “nécessité d’empêcher la mise en avant ou le financement d’acteurs qui nuisent à l’information, à la cohésion sociale et in fine à la démocratie” — qui résone avec sa menace envers les “universitaires qui cassent la République en deux“.)). ou encore lorsqu’il prétend pouvoir dire quels universitaires constituent un « virus » de la pensée et donc, en creux, ceux qui pourraient en être le « vaccin ».

      « Tous ensemble, nous avons réussi à faire de notre jeunesse une priorité claire avec ces premiers résultats et également à faire de notre jeunesse et de nos étudiants une priorité. » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      Mais bien sûr, il s’agit d’abord de défendre un bilan. Emmanuel Macron se gargarise de milliers de places nouvelles ouvertes dans diverses filières pour accommoder la vague démographique. C’est bien rapide : ouvrir des places sans construction de bâtiment, sans recrutement de personnel, ne revient-il pas à faire du surbooking ? Changer un chiffre sur un tableur Excel, ne permet pas dans les faits d’accueillir correctement des milliers d’étudiants et d’étudiantes supplémentaires.

      Mais rassurons-nous : la loi de programmation a représenté un engagement financier sans précédent. Sauf que non : l’augmentation du budget de l’ESR stagne et sa légère augmentation, plus faible que par le passé, correspond à l’inflation. Un tour de passe-passe dénoncé par les politiques notamment au Sénat. L’effort budgétaire est principalement reporté sur la prochaine mandature :bel effort personnel pour le président Macron.

      « Justes hiérarchies » ? Parcoursup, reproduction sociale et démocratie

      Parmi les bons points qu’Emmanuel Macron se donne, le satisfecit sur Parcoursup est aussi d’un ridicule achevé. « Un système d’orientation avec des taux de satisfaction et de réponse incomparables, plus lisibles », alors que tous les acteurs du système, des élèves aux enseignants du secondaire, en passant bien sûr par les enseignants du supérieur disent le contraire. Mais peu importe : il s’agit de l’un des grands chantiers du quinquennat, il doit être un succès.

      « Des sociétés démocratiques comme la nôtre qui ont la passion de l’égalité que nous partageons toutes et tous doivent néanmoins défendre à nouveau les justes hiérarchies qu’il doit y avoir dans nos sociétés sans lesquelles tout se dissout » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      Macron se lance ensuite dans un grand discours visant à intégrer les universités à la formation de l’élite, dans une optique implicite de démocratisation. Il cite les Idex en exemple. Sauf qu’en termes de démocratisation, les Idex contribuent plutôt à une reproduction de l’élite plutôt qu’à son renouvellement, comme l’on montré les travaux d’Audrey Harroche et ceux de Hugo Harari-Kermadec.

      Cette volonté de s’inscrire dans le cadre de grands établissements va de pair avec une volonté de professionnalisation accrue.colloque

      L.’université « doit devenir plus efficacement professionnalisante car on ne peut pas se satisfaire de l’échec de nos étudiants dans les premiers cycles ni du taux de chômage trop élevé des jeunes qui sortent de certaines filières universitaires. Pour vous y aider, nous devons poursuivre le travail d’amélioration de l’orientation qu’a initié Parcoursup ». (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      Cet affichage ne peut être balayé d’un revers de main. Evidemment, aucun enseignant digne de ce nom ne peut vouloir que les universités forment des chômeurs. Mais cela passe sous silence que les universités sont déjà professionnalisantes : elles forment des professionnel·les de la recherche et de l’enseignement supérieur et des enseignant·es. Hors Master, , elles forment en licence en lien avec le monde du travail, y compris bien sûr celui hors de l’université et de l’enseignement : c’est vraiment n’avoir jamais regardé l’offre de formation universitaire ni les maquettes de premier cycle que de penser le contraire. S’il y a sûrement des améliorations à effectuer, il serait tout à fait faux de prétendre que les universitaires ne se préoccupent pas du devenir professionnel de leurs étudiant·es.

      « Les grandes écoles et organismes de recherche étaient supposés s’occuper de l’excellence et de la formation des élites, et les universités de la démocratisation de l’enseignement supérieur et de la gestion des masses. Ce système est révolu. Il est révolu d’abord parce qu’il ne correspond pas à la compétition internationale, parce que sa forme-même crée des barrières, des segmentations qui sont inefficaces. » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      Cependant, on peut être conscient des nécessités de professionnalisation à l’université tout en considérant que celle-ci a aussi un rôle intellectuel et émancipateur de transmission de savoir et de méthode scientifique. Mais cela, Macron n’en parle jamais pour l’enseignement. Enseigner à l’université est réduit à la formation en lien à des besoins identifiés de la nation. Et si les besoins de la nation, c’était aussi d’avoir des diplômés insérés dans le marché du travail ET capables de réfléchir par eux-mêmes ? Ce serait fou…

      De même la question de l’échec en première année de licence et de l’orientation est un vrai sujet. Mais ne serait-ce pas aussi parce que Parcoursup a accentué ce phénomène ? De nombreuses étudiantes et étudiants, à vue de nez encore plus nombreux qu’auparavant, s’inscrivent dans des formations sans réelle volonté de s’y investir. Alors quelle solution ? Emmanuel Macron évoque le développement de filières courtes et professionnalisantes, ce qui peut être une partie de la réponse. Mais est-ce que l’augmentation de leur capacité d’accueil va à nouveau se faire sans moyen supplémentaire ? Permettons-nous au moins de nous poser la question…

      « On ne pourra pas rester durablement dans un système où l’enseignement supérieur n’a aucun prix pour la quasi-totalité des étudiants » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      Malgré tous ces points ambigus, voire volontairement mensongers, le plus inquiétant de ce discours réside dans l’une de ses dernières parties. Cela a été déjà relevé : Emmanuel Macron dénonce un système où l’université n’a « aucun prix pour la grande majorité des étudiants », où on a un tiers de boursiers et où on a « un modèle beaucoup plus financé par l’argent public qu’ailleurs dans le monde ». D’abord, ce dernier point est tout bonnement faux : la France n’investit proportionnellement pas plus d’argent public dans l’université que, par exemple, l’Allemagne, la Norvège, le Danemark ou la Belgique, même si elle en investit d’avantage que les Etats-Unis ou le Royaume-Uni. Elle se situe dans une moyenne légèrement supérieure à celle de l’OCDE.

      Ensuite, le changement systémique auquel il appelle revient bien à faire payer les étudiant·espour leur faire financer leurs propres études. Y compris via un endettement étudiant peut-être ? C’est en tout cas ce que de proches conseillers d’Emmanuel Macron suggéraient. Alors c’est une option bien sûr. Mais ça revient à poser franchement sur la table la nature du modèle universitaire que nous souhaitons et la manière dont l’université est encore un levier d’ascension sociale, ou a minima de formation de toutes les catégories économiques et sociales. Et ce débat-là, évidemment, Macron ne le pose pas clairement.

      Les systèmes de gouvernance [des universités], « il faut bien le dire par tradition, ont eu dans beaucoup de situations pour conséquence d’impuissanter trop souvent les équipes face aux défis qui leur étaient posés. Mais cette autonomie, soyons clairs et sincères entre nous doit aussi être synonyme d’une gouvernance renforcée de nos universités dans laquelle les équipes présidentielles pourront définir et incarner pleinement leur projet. (…) Notre système est très hypocrite – autonomie à moitié, on continue de contrôler ; ceux qui réussissent, on les aide un peu plus, ceux qui ne réussissent pas, on les compense. Et puis autonomie, mais au fond, même localement, on donne des responsabilités, mais on bloque ceux qui sont élus par nous-mêmes » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      De la même manière, on a un passage éminemment confus sur un contrat que les universités devront passer avec l’État, où il est question d’augmenter l’autonomie mais aussi la responsabilité. Selon quelles modalités ? Ce point n’est pas clair, mais il est un passage qui personnellement me fait froid dans le dos. Macron dénonce un système déresponsabilisant : « Notre système est très hypocrite — autonomie à moitié, on continue de contrôler ; ceux qui réussissent, on les aide un peu plus, ceux qui ne réussissent pas, on les compense ».

      Est-ce que cela signifie que l’État se désengagera des universités qui ne répondent pas aux critères d’excellence fixés par le gouvernement ? Que celles-ci ne feront plus partie du système de service public de l’enseignement supérieur ?

      On voit bien où cela peut mener : les grandes universités comme Saclay auront toujours plus, les petites universités au bassin de recrutement local toujours moins. Et si un tel système aide à la promotion de l’enseignement supérieur, à la formation des étudiant·es partout en France, je veux bien manger mon chapeau.

      « La France continuera de jouer son rôle de résistance en défense de l’esprit de connaissance, de recherche, d’un enseignement libre et d’une recherche libre. Parce que je crois que c’est la seule manière de continuer à véritablement conquérir le monde, c’est-à-dire à inventer des possibles nouveaux dans une humanité en paix. Les autres voies, nous les connaissons. Ce sont les obscurantismes, les totalitarismes, les nationalismes appuyés sur la discorde. » (Emmanuel Macron, 13 janvier 2022)

      https://academia.hypotheses.org/33766

    • Thread de Marianne Blanchard, 14.01.2022
      Pourquoi ça n’a pas de sens de vouloir plus « professionnaliser l’université » => un thread

      1/ pour Macron, "l’université doit devenir plus efficacement professionnalisante ". Derrière, deux présupposés : a) c’est nécessaire de professionnaliser b) l’université ne le fait pas

      2/voyons déjà le premier. Pour ça je m’appuie (notamment) sur ça : https://sms.hypotheses.org/24385
      On a interrogés des jeunes diplômés d’écoles (commerce/ingé) et d’université, en sciences et en gestion sur les "compétences" dont ils avaient besoin dans leur emploi actuel

      3/ on a distingué les "compétences spécifiques" (en gros tout ce qui est spécialisé, propre à un secteur d’emploi) et "transversales" (en gros, ce qui est général, et mobilisable dans plein de métiers).

      4/ résultat pour les 971 enquêtes : "Le niveau de compétences spécifiques considéré comme acquis est en moyenne supérieur ou égal à celui estimé requis dans leur emploi" => qu’ils viennent de l’université ou d’école, personne ne se trouve pas assez "professionnalisé"

      5/ les individus déclarent peu de lacunes en compétences spécifiques, car ils les mobilisent qd elles sont trop spécialisées. Qd des déficits sont mentionnés, ils concernent des compétences trop « pointues » ou dépendantes du contexte d’emploi pour être enseignées

      6/ Les jeunes interrogés insistent aussi sur le fait qu’il est possible de se former et se spécialiser en cours d’emploi. + les entretiens révèlent que les compétences spécifiques acquises en formation semblent surtout valorisées dans leur dimension transversale

      7/ ce ne serait pas tant leur caractère technique qui importerait, que les capacités à acquérir d’autres compétences qu’elles suscitent.
      En gros, en apprenant (des choses, plus ou moins "spécifiques"/professionnelles), on apprend aussi à apprendre, à se former.

      8/ il faut donc sortir de la vision « adéquationniste » à la française prônant une professionnalisation et une spécialisation sans cesse accrue des formations initiales. Bcp de diplômé·es n’exercent pas le métier correspondant à leur spécialité de formation,

      9/ C’est le sens de l’ "introuvable" relation formation-emploi dont parlait déjà L. Tanguy.
      Se former, c’est aussi acquérir une culture générale, apprendre à porter un regard critique sur les choses, comprendre le monde pour pouvoir y prendre part en tant que citoyen·ne

      https://twitter.com/MJ_Blanchard/status/1481971200100376577

    • Universités : le renforcement « systémique » promis par Macron cache mal un projet de privatisation

      Le quasi-candidat Macron a souhaité jeudi une réforme « systémique » des universités. Derrière la promesse de les rendre « plus fortes » et de casser la concurrence avec les « grandes écoles », il a posé, en creux, les jalons d’un projet de privatisation.

      Dans un discours de clôture du congrès de la Conférence des présidents d’université (rebaptisée à cette occasion « France Universités »), Emmanuel Macron a fait le bilan de son quinquennat pour l’université et dessiné l’avenir qu’il imagine pour l’enseignement supérieur : une orientation universitaire dont la seule boussole serait le marché du travail, et une formation qu’il veut encore « plus efficacement professionnalisante ». Surtout, il a évoqué, sans prononcer les mots, une augmentation substantielle des frais de scolarité étudiante.

      Fier de son quinquennat, dont il a vanté la loi d’orientation et de réussite des étudiant·es, la loi de programmation pluriannuelle de la recherche (LPPR), l’ouverture de places supplémentaires à l’université (sans plan d’ouvertures massives de postes d’enseignant·es-chercheurs et chercheuses ni réels moyens supplémentaires), les entrées et « bonds de géant » des universités françaises dans le classement de Shanghai (pourtant décrié), le président de la République a oublié de citer, par exemple, les déboires de Parcoursup depuis 2018, l’immolation d’un étudiant par le feu devant le Crous de La Madeleine à Lyon en 2019, l’apparition des étudiant·es en masse dans les files d’attente des distributions associatives d’aides alimentaires pendant la crise du Covid-19, et la baisse de la dépense publique par étudiant·e. Tout de même, Emmanuel Macron a reconnu qu’il faudrait « redoubler d’effort pour que, à l’horizon de dix ans, notre université soit plus forte ».

      Ainsi, ce discours face aux présidents d’université était plus celui d’un candidat que celui d’un président en exercice. Le projet dessiné ? Une augmentation des frais de scolarité, et un pas de plus vers la privatisation de l’université.
      Un raisonnement fondé sur des chiffres erronés

      Sans se prononcer explicitement pour une hausse des frais de scolarité, Emmanuel Macron l’a remise sur la table en prenant prétexte de la précarité étudiante et du pourcentage important d’étudiant·es qui abandonnent avant même les examens en première année de licence (50 % selon lui). « On ne pourra pas rester durablement dans un système où l’enseignement supérieur n’a aucun prix pour la quasi-totalité des étudiants, où un tiers des étudiants sont boursiers et où, pourtant, nous avons tant de précarité étudiante et une difficulté à financer un modèle qui est beaucoup plus financé sur l’argent public que partout dans le monde pour répondre à la compétition internationale », a déclaré le chef de l’État.

      Si cette déclaration d’Emmanuel Macron n’est pas claire sur le prix que devront payer les étudiant·es pour accéder à l’université dans le système qu’il semble prôner, elle fait planer la possibilité de la création d’un accès réservé à celles et ceux qui en auront les moyens, ou qui auront accès à un prêt bancaire pour se le payer.

      Le quasi-candidat à la présidentielle semble vouloir calquer sa réforme « systémique » sur les systèmes anglo-saxons, où une bonne partie des étudiant·es s’endettent pour des années afin d’accéder aux études supérieures. Pourtant, aux États-Unis, la dette étudiante a atteint à la fin de l’année 2021 plus de 1 500 milliards de dollars, selon la FED, et représente désormais un véritable boulet pour l’économie.

      Mais cette déclaration présidentielle s’appuie sur des chiffres manifestement erronés. Il est d’abord mathématiquement impossible que « 50 % des étudiants seulement se présentent aux examens de première année », quand « le taux de passage en L2 des néo-bacheliers inscrits en L1 à la rentrée 2019 est de 53,5 % », d’après une note du ministère de l’enseignement supérieur, de la recherche et de l’innovation publiée en novembre 2021 (https://www.enseignementsup-recherche.gouv.fr/sites/default/files/2021-11/nf-sies-2021-24-15115.pdf).

      Ensuite, le financement du système de l’enseignement supérieur français n’est pas « beaucoup plus financé sur l’argent public que partout dans le monde », puisque selon l’OCDE (tableau C2.2b : https://www.oecd-ilibrary.org/sites/455a2bcc-en/index.html?itemId=/content/component/455a2bcc-en), la France finançait en 2018 à 80 % son système par des fonds publics pendant que, par exemple, l’Allemagne affichait un taux de 84 %, la Suède de 87 % et la Norvège de 95 % ! La réforme « systémique » de l’université française voulue par Emmanuel Macron tient sur des raisonnements scientifiquement peu solides.
      Une orientation dirigée par le marché du travail

      Jeudi, il a également jugé indispensable de pousser les universités à proposer des formations en fonction du marché du travail : « [Elles] ne devront d’abord plus seulement garantir l’accueil des étudiants dans une formation, mais garantir l’orientation des jeunes vers l’emploi. » Si cette position pouvait avoir un sens il y a plusieurs décennies, cela fait longtemps que les universités se préoccupent de l’entrée dans la vie active de leurs étudiant·es.

      Les chiffres du ministère de l’enseignement supérieur donnent un taux d’insertion à 18 mois de 89 % pour les masters et de 92 % pour les licences professionnelles. Surtout, la question de l’adéquation entre études et marché du travail est particulièrement délicate : il est impossible de connaître l’avenir de l’emploi plusieurs années après l’entrée dans les études, dans un monde en perturbations permanentes. À titre d’exemple, le sacrifice de la filière informatique à l’université (raconté ici par Mediapart : https://www.mediapart.fr/journal/france/140921/universite-la-start-nation-sacrifie-la-filiere-informatique?onglet=full), à cause d’un manque de moyens, alors même que la demande industrielle est énorme, montre combien la volonté des établissements n’est pas forcément le problème principal.

      À entendre Emmanuel Macron, en tout cas, l’université devrait « devenir plus efficacement professionnalisante ». Elle ne le serait donc pas assez. Mais la sociologue Marianne Blanchard et ses collègues montrent que, lorsqu’on interroge de jeunes titulaires d’un diplôme de niveau bac+5 de master ou d’école, ils et elles considèrent que « le niveau de compétences spécifiques considéré comme acquis est en moyenne supérieur ou égal à celui estimé requis dans leur(s) emploi(s) ». En clair, ils et elles ne se considèrent pas comme « non professionnalisé·es ». Ces chercheuses et chercheurs expliquent aussi que les jeunes diplômé·es pensent « que leur capacité à acquérir ces nouvelles compétences, et donc à s’adapter à de nouveaux environnements de travail, est une compétence en soi que leur formation a contribué à développer ».
      Une remise en cause superficielle des grandes écoles

      Enfin, dans son discours de jeudi, Emmanuel Macron a semblé vouloir remettre en cause le système « grandes écoles-universités », en lançant : « Nous avons trop longtemps accepté un modèle à plusieurs vitesses, […] où les grandes écoles et organismes de recherche étaient supposés s’occuper de l’excellence et de la formation des élites, et les universités de la démocratisation de l’enseignement supérieur et de la gestion des masses. Ce système est révolu. [...] Demain, ce sont nos universités qui doivent être les piliers de l’excellence, le centre de gravité pour la recherche comme pour la formation. » Faut-il lire, en creux, une volonté de disparition pure et simple des grandes écoles ? Dès lors, l’ambition serait-elle de chasser des universités les pauvres dont les bourses « coûtent un pognon de dingue », pour y faire venir les étudiant·es plus fortuné·es des grandes écoles ?

      https://www.mediapart.fr/journal/france/150122/universites-le-renforcement-systemique-promis-par-macron-cache-mal-un-proj

      #bilan #frais_de_scolarité #LPPR #classement_de_Shanghai #parcoursup #chiffres #statistiques #financement #taux_d'insertion #moyens

    • Discours de Macron : une réforme « systémique » de l’université pas si nouvelle et fantasque que ça…

      Le congrès du 13 janvier 2022 célébrant les 50 ans de feu la Conférence des Présidents d’Université (CPU) — dorénavant #France_Universités (sic) — aura eu son petit effet médiatique. Cependant, ce n’est pas #FU qui est au centre de l’attention depuis près d’une semaine mais le président Emmanuel Macron, qui y est intervenu en visioconférence, dans un discours verbeux et ampoulé1.

      Une phrase du chef de l’État a en effet suscité des réactions nombreuses et indignées de la part des mondes universitaire [2], étudiant [3], médiatique [4] et politique [5] (dont on peut parfois douter de la sincérité… [6]) :

      « On ne pourra pas rester durablement dans un système où l’enseignement supérieur n’a aucun prix pour la quasi-totalité des étudiants, où un tiers des étudiants sont boursiers et où, pourtant, nous avons tant de précarité étudiante et une difficulté à financer un modèle qui est beaucoup plus financé sur l’argent public que partout dans le monde pour répondre à la compétition internationale. » (p. 6)

      Malgré un flou artistique sur ce que voulait vraiment dire le Président, un consensus s’est formé autour de son probable projet pour l’enseignement supérieur : l’augmentation des frais d’inscription à l’université. En séances parlementaires, la ministre de l’Enseignement supérieur, de la recherche et de l’innovation (#MESRI), Frédérique Vidal, a été interpelée à ce sujet. Celle-ci y a catégoriquement démenti une telle interprétation des paroles de Macron [7]. Des macronistes se sont ensuite joint·es à elle pour dénoncer cette prétendue intox sur Twitter [8]. Ce SAV du discours du Président par la ministre culmine finalement avec un entretien dans Libération absolument lunaire [9].

      Au-delà de l’interprétation du discours, et du fait que le terme « évoquer » utilisé par Vidal (plutôt que « parler explicitement », cf. tweet de LCP) ne permet en rien de lever nos suspicions, existe-t-il des indications nous permettant de penser que Macron souhaiterait effectivement augmenter les frais d’inscription, en continuité avec sa politique depuis 2017 ? N’y aurait-il pas des précédents pendant son mandat ?

      Spoiler alert : oui, et oui à nouveau.

      Un précédent ?

      Alors que les macronistes égrainent dans leurs tweets une série de mesures qui démontrerait que, sous Macron, jamais les étudiant·es n’ont été aussi protégé·es (ce qui est de toute évidence faux), iels oublient systématiquement une mesure absolument honteuse : la hausse des frais d’inscription à l’université pour les étudiant·es extra-communautaires, passant de 170 à 2 770 euros en licence et de 243 à 3 770 euros en Master. Ce précédent, auquel le Conseil d’État n’a rien trouvé à redire [10], laisse penser qu’une telle hausse pourrait en principe être généralisée à tou·tes [11]. Mais est-ce dans le projet néo-libéral macroniste ?

      Un projet Macron-compatible ?

      Faisons d’abord un détour par l’#Institut_Montaigne, un think-tank néo-libéral. Ce dernier est consulté par le MESRI pour définir sa stratégie et sa politique ESR [12]. La collaboratrice de Vidal recrutée en juillet 2020, #Blanche_Leridon, est même passée par le think-tank de 2015 à 2018 [13]. Ce qui devient intéressant, c’est qu’en avril 2021, l’Institut faisait (à nouveau) des propositions sur une réforme de l’Université impliquant… une hausse des frais d’inscription, sans aucune ambiguïté ici ! [14]

      « [une] augmentation des droits de scolarité en licence à 900 € par an et à 1 200 € en master [qui] concernerait l’ensemble des universités, de manière uniforme » (p. 98–99)

      L’analogie ne s’arrête pas là puisque le think-tank propose, comme Macron (voir tableau en annexe) :

      – d’augmenter la part des #financements_privés dans les #fonds_universitaires ;
      - de résoudre la précarité étudiante par l’augmentation des frais d’inscription (ce que l’Institut Montaigne propose de faire en créant notamment des #prêts étudiants…) ;
      – de « remettre » la recherche au cœur des missions des universités au détriment des établissements de recherche, tels que le #CNRS, qui feraient office d’agences de moyens ;
      – de s’affranchir du « coût » que représente le tiers d’étudiant·es boursier·ères ;
      – la remise en cause du système historique Université–Grande école–EPST ;
      – le renforcement de la professionnalisation des formations universitaires ;
      – le renforcement de la #gouvernance des universités par leur #autonomisation.

      On remarquera tout de même quelques différences, notamment sur la précision de certains calculs puisqu’à l’inverse de Macron, l’Institut Montaigne montre que la France n’est pas la championne mondiale du financement public de ses universités ; le Président n’en étant pas à son premier raccourci grossier dans son discours [15]. Autre divergence notable, la transformation complète des EPST en agences de moyens n’est pas le scénario privilégié par le think-tank.

      Notons enfin que certain·es ont proposé à la suite du discours de Macron que l’augmentation des frais d’inscription serait inconstitutionnelle, sur la base d’une décision du Conseil constitutionnel en 2019 [16]. Cependant, ce dernier n’entérine pas la #gratuité de l’université mais sa « #modicité » ou #gratuité_payante. Un point que l’Institut Montaigne avait déjà bien pris soin de vérifier et qui serait selon lui compatible avec son projet de réforme, donc avec celui de Macron.

      « La question de la constitutionnalité d’une augmentation des droits de scolarité […] Il est donc possible de considérer que la proposition formulée [dans le rapport de l’Institut Montaigne] répond aux préoccupations du Conseil constitutionnel telles que précisées par le Conseil d’État. Des droits de scolarité annuels autour de 1 000 € apparaissent en effet modiques au regard du coût annuel moyen des formations dans l’enseignement supérieur (représentant autour de 10%).

      Ensuite, dans le cadre d’un prêt à remboursement contingent décrit ci-après, l’étudiant n’a à s’acquitter directement d’aucun droit sur la période de sa scolarité et le remboursement ultérieur de son emprunt sera fondé sur ses capacités financières. Un tel système, innovant et équitable, apparaît donc particulièrement adapté pour satisfaire aux obligations constitutionnelles pesant sur les droits de scolarité. » (p. 114–115)

      La comparaison entre le discours de Macron et celui du think tank est bluffante : il semblerait que l’un ait écrit l’autre, sans qu’on puisse savoir qui de la poule et l’œuf2 . L’ensemble des similarités entre le discours de Macron — et la politique ESR de son mandat — avec le rapport de l’Institut Montaigne montre le consensus libéral qui les unit sur la question de l’université. Une idéologie que l’un — l’Institut Montaigne — assume vis-à-vis de la question de l’augmentation des frais d’inscription, alors que l’autre — Macron et son gouvernement — la nie publiquement aussitôt l’avoir « évoquée ».

      Une difficulté à assumer qui en dit long sur l’absence de consensus dans la communauté académique et la société civile autour de ce projet de transformation de l’université.

      NB : au moment de l’écriture de ce billet, d’autres (ici le compte Twitter parodique @realUNIVFrance) ont aussi perçu le lien pour le moins troublant que nous décrivons. Le rapport de l’Institut Montaigne semble donc être une bonne grille de lecture pour comprendre le discours de Macron.

      Tableau annexe





      https://academia.hypotheses.org/33874

  • ‘World of Warcraft’ Update Covers Up Obscure, Horny Paintings
    https://www.vice.com/en/article/4av95p/world-of-warcraft-update-covers-up-obscure-horny-paintings

    Like many video games, massively multiplayer online role playing game World of Warcraft features in-game paintings and artwork in order to build out the flavor of the game’s world. Some of them are references to real world paintings, some are landscapes, some are still lives. Additionally, some of them are horny, like a portrait of a woman wearing a really strange dress with a plunging neckline.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #activision_blizzard #jeu_video_world_of_waracraft #jeu_vidéo_wow #femme #représentation #sexisme #modification #mise_à_jour #harcèlement #jeu_vidéo_overwatch #jesse_mccree #victoria_s_secrets #syndicalisme

  • Le Monde selon #Modi, la nouvelle #puissance indienne

    « Aucune puissance au monde ne peut arrêter un pays de 1,3 milliard d’habitants. Le 21e siècle sera le siècle de l’Inde ».
    #Narendra_Modi, nationaliste de droite, à la tête de l’Inde depuis 2014, est le nouvel homme fort de la planète. 3ème personnalité la plus suivie sur Twitter, au centre de « l’Indopacifique », une nouvelle alliance contre la Chine. C’est l’histoire d’un tournant pour l’Inde et pour le monde.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/62159_1

    #film #film_documentaire #documentaire
    #Inde #Savarki #culte_de_la_personnalité #nationalisme #cachemire_indien #purge #militarisation #couvre-feu #RSS #patriotisme #religion #propagande_hindoue #colonialisme #impérialisme #BJP #parti_nationaliste_hindou #pogrom #islamophobie #Amit_Shah #Vibrant_Gujarat #hologramme #réseaux_sociaux #journée_internationale_du_yoga #yoga #soft_power #fierté_nationale #Alliance_indo-pacifique #Indo-Pacifique #armée #Routes_de_la_soie #route_de_la_soie #collier_de_perles #Chine #armes #commerce_d'armes #Ladakh #frontières #zones_disputées #disputes_frontalières #différends_frontaliers #litige_frontalier #zones_frontalières #zone-tampon #Israël #revanche_nationaliste #temple_Ajodhya #hindouisme #déchéance_de_nationalité #citizenship_amendment_act #citoyenneté #primauté_des_Hindous #résistance #milices_privées

  • The unmaking of India | Free to read | Financial Times
    https://www.ft.com/content/80c18d5b-443e-48e4-9f28-3cc491df4260

    Despite his failures on the economic front, despite his mishandling of the pandemic, #Modi remains enormously popular among voters. An opinion poll conducted in late January showed “NaMo” as having approval ratings of above 70 per cent. Events of recent weeks may have caused a slide, but this is likely to be modest, rather than precipitous.

    How does one explain this disjunction between performance and popularity? One reason for Modi’s appeal is that his ideology of Hindu majoritarianism is widely shared by voters, particularly in the populous states of northern India. The BJP has been especially successful in getting lower-caste Hindus into their fold, by offering them cultural superiority over Muslims.

    #Inde #identité #idéologie #popularité #populisme

  • Covid-19 : comment expliquer la situation catastrophique en Inde ? Vijay Prashad

    L’inaction irresponsable du gouvernement indien et des années de privatisation des soins de santé font aujourd’hui de l’Inde l’épicentre de la pandémie, selon l’historien, éditeur et journaliste marxiste indien Vijay Prasha.

    En Inde, la pandémie de coronavirus a pris une ampleur catastrophique. Sur WhatsApp, on lit annonce sur annonce de contaminations d’amis ou de membres de la famille, tandis que se multiplient les messages indignés vis-à-vis d’un gouvernement qui laisse totalement tomber ses citoyens. Un hôpital manque de lits, un autre d’oxygène.

    Treize mois après que l’Organisation mondiale de la santé (OMS) ait annoncé la pandémie de coronavirus, le gouvernement indien de Narendra Modi semble pétrifié. Alors qu’ailleurs, la vaccination va bon train, le gouvernement indien reste les bras croisés tandis que la population plie sous les assauts des deuxième et troisième vagues.

    Le 21 avril 2021, le pays enregistrait 315 000 cas en 24 heures. Un pic de contaminations qui inquiète : se trouve-t-on face à un nouveau variant ou cette flambée est-elle le résultat de l’incapacité du gouvernement à limiter les contacts sociaux et à vacciner suffisamment ?

    Une désinvolture coupable
    Un rapide coup d’œil sur la carte du monde de la #pandémie suffit pour se rendre compte que c’est dans les pays dont les gouvernements ont ignoré les avertissements de l’OMS que le Covid-19 a fait les pires ravages. L’Inde en est un parfait exemple. Le gouvernement indien a été très lent à réagir au début. Fin mars 2020, il a, du jour au lendemain, décrété un couvre-feu de 14 heures, suivi par un confinement strict. Résultat : des centaines de milliers de travailleurs ont été renvoyés chez eux, sans un sou en poche. Beaucoup sont morts au bord de la route, tandis qu’une multitude d’autres ramenaient le virus dans leurs villes et villages d’origine.

    Le Premier ministre Modi a pris la #pandémie à la légère. Il a conseillé à la population d’allumer des bougies et de taper sur des casseroles pour chasser le #virus en faisant du bruit. Le confinement était sans cesse prolongé, mais quel sens cela pouvait-il avoir pour les millions d’Indiens de la classe travailleuse, contraints de se rendre au travail pour gagner de quoi manger ?

    Un an après le début de la pandémie, l’Inde compte 16 millions de cas avérés et 185 000 décès confirmés. Si je précise « avérés » et « confirmés », c’est parce que l’Inde manque cruellement de données statistiques fiables.

    La faute à la privatisation
    Une grande partie du système de soins de santé indien est passée aux mains du secteur privé, tandis que les soins de santé publics sont systématiquement sous-financés. Alors que, de par son statut de grande puissance industrielle, l’Inde crée énormément de richesses, elle ne dépense pas plus en soins de santé par habitant que la Sierra Leone, un des pays les plus pauvres du monde.

    Les #hôpitaux indiens comptent 5,3 lits pour 10 000 habitants. En Chine, on en compte 43, soit huit fois plus. Il n’y a que 48 000 respirateurs pour l’ensemble de l’Inde, alors que la Chine en avait déjà 70 000 rien que pour la province de Wuhan. La déficience des infrastructures médicales indiennes est en grande partie le résultat de décennies de privatisation. Les hôpitaux privés fonctionnent à pleine capacité en temps normal, de sorte qu’ils ne sont pas en mesure de gérer des pics, puisque cela signifierait qu’ils auraient habituellement des lits ou des respirateurs inutilisés.

    Vaccins et oxygène
    L’Inde est considérée comme la « #pharmacie du monde », car son industrie pharmaceutique produit et exporte toute une série de médicaments génériques. Elle assure 60 % de la production mondiale de vaccins et est également le premier producteur de pilules pour le marché américain. Mais cela n’aide en rien les citoyennes et citoyens indiens ordinaires dans le cadre de la crise actuelle.

    Il n’y a pas assez de #vaccins pour protéger rapidement la population indienne, qui devra attendre... 2022 pour être vaccinée entièrement. Les producteurs de vaccins privés se montrent incapables d’atteindre une cadence suffisante pour répondre aux besoins, mais cela n’a pas empêché le gouvernement de les autoriser à augmenter leurs prix. Parallèlement à cela, les sites de production de vaccins indiens sont à l’arrêt car le gouvernement ne leur octroie pas de contrats ! Il existe également une importante pénurie d’oxygène à usage médical, malgré toutes les promesses d’augmenter les capacités.

    Le 25 mars 2020, le Premier ministre #Modi affirmait avec arrogance qu’il ne lui faudrait pas plus de 18 jours pour remporter le combat contre le #Covid-19. Aujourd’hui, plus d’un an plus tard, l’#Inde ressemble à un champ de bataille jonché de dizaines de milliers de morts, dans une guerre dont on ne voit encore que la partie émergée de l’iceberg.

    Sources : https://www.solidaire.org/articles/covid-19-comment-expliquer-la-situation-catastrophique-en-inde
    zt
    https://peoplesdispatch.org/2021/04/23/the-covid-19-catastrophe-in-india-keeps-growing

    • Et au Kerala ?
      Dans l’État indien du Kerala, dirigé par un gouvernement de gauche, la situation est également préoccupante. Le ministre en chef de l’État, M. Vijayan, assure cependant qu’il n’y a pas de pénurie de lits dans les hôpitaux ni d’oxygène. K. K. Shailaja, la célèbre ministre de la Santé du Kerala, a tweeté que 6,2 millions de doses sur les 6,5 millions allouées à son État avaient déjà été administrées. Elle appelle le gouvernement central à fournir de toute urgence les 5 millions de doses supplémentaires promises.

  • The report of the Commission on Race and Ethnic Disparities

    The Commission’s report sets out a new, positive agenda for change. It balances the needs of individuals, communities and society, maximising opportunities and ensuring fairness for all.

    The Commission has considered detailed quantitative data and qualitative evidence to understand why disparities exist, what works and what does not. It has commissioned new research and invited submissions from across the UK.

    Its work and recommendations will improve the quality of data and evidence about the types of barriers faced by people from different backgrounds. This will help to inform actions and drive effective and lasting change.

    https://www.gov.uk/government/publications/the-report-of-the-commission-on-race-and-ethnic-disparities

    #rapport #UK #Angleterre #racisme #discriminations #inégalités
    #Commission_on_Race_and_Ethnic_Disparities (#CRED)

    pour télécharger le rapport :
    https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/974507/20210331_-_CRED_Report_-_FINAL_-_Web_Accessible.pdf

    • Downing Street rewrote ‘independent’ report on race, experts claim

      Commissioners allege No 10 distorted their work on inequality, after conclusions played down institutional racism.

      Officials at Downing Street have been accused of rewriting much of its controversial report into racial and ethnic disparities, despite appointing an independent commission to conduct an honest investigation into inequality in the UK.

      The Observer has been told that significant sections of the report published on 31 March, which were criticised and debunked by health professionals, academics, business chiefs and crime experts, were not written by the 12 commissioners who were appointed last July.

      The 258-page document was not made available to be read in full or signed off by the group, which included scientist and BBC broadcaster Maggie Aderin-Pocock and Samir Shah, former chair of the Runnymede Trust, nor were they made aware of its 24 final recommendations. Instead, the finished report, it is alleged, was produced by No 10.

      Kunle Olulode, an anti-racism activist and director of the charity Voice4Change, is the first commissioner to condemn the government publicly for its lack of transparency. In a statement to the Observer, Olulode’s charity was scathing of the way evidence was cherrypicked, distorted and denied in the final document.

      “The report does not give enough to show its understanding of institutional or structural discrimination … evidence in sections, that assertive conclusions are based on, is selective,” it said. “The report gives no clear direction on what expectations of the role of public institutions and political leadership should be in tackling race and ethnic disparities. What is the role of the state in this?”

      One commissioner, who spoke out on condition of anonymity, accused the government of “bending” the work of its commission to fit “a more palatable” political narrative and denying the working group the autonomy it was promised.

      “We did not read Tony’s [Sewell] foreword,” they claimed. “We did not deny institutional racism or play that down as the final document did. The idea that this report was all our own work is full of holes. You can see that in the inconsistency of the ideas and data it presents and the conclusions it makes. That end product is the work of very different views.”

      The commissioner revealed that they had been privy only to the section of the report they were assigned, and that it had soon become apparent the exercise was not being taken sufficiently seriously by No 10.

      “Something of this magnitude takes proper time – we were only given five months to do this work, on a voluntary basis,” they said. In contrast to the landmark 1999 #Macpherson_report (https://www.theguardian.com/uk-news/2019/feb/22/macpherson-report-what-was-it-and-what-impact-did-it-have), an inquiry into the death of #Stephen_Lawrence, or the 2017 #Lammy_Review, both of which took 18 months to conclude, the report by the Commission on Race and Ethnic Disparities (Cred) was not peer reviewed and was published just seven months after the group first met on a videocall.

      The group, led by Sewell, was set up by #Samuel_Kasumu, No 10’s most senior black special adviser, who resigned from his post on the day the report was published, aghast at its final findings. Accusations that #Munira_Mirza, director of No 10’s policy unit, was heavily involved in steering the direction of the supposedly independent report were not directly addressed by a No 10 spokesperson, who said: “I would reiterate the report is independent and that the government is committed to tackling inequality.”

      A source involved in the commission told the Observer that “basic fundamentals in putting a document like this together were ignored. When you’re producing something so historic, you have to avoid unnecessary controversy, you don’t court it like this report did. And the comms was just shocking.”

      While the prime minister sought to distance himself from the criticism a day after its publication, unusually it was his office rather than the Cred secretariat which initially released the report to the press.

      A spokesperson for the race commission said: “We reject these allegations. They are deliberately seeking to divert attention from the recommendations made in the report.

      “The commission’s view is that, if implemented, these 24 recommendations can change for the better the lives of millions across the UK, whatever their ethnic or social background. That is the goal they continue to remain focused on.”

      https://www.theguardian.com/uk-news/2021/apr/11/downing-street-rewrote-independent-report-on-race-experts-claim

      #récriture #modification #indépendance #contreverse

    • voir aussi les critiques dans la page wiki dédiée au rapport :
      Reactions

      Political:

      Sir Keir Starmer, leader of the Labour Party, said that he was “disappointed” by the Commission’s report.[10][11]

      Isabelle Parasram, vice president of the Liberal Democrats, issued a statement that the Commission had “missed the opportunity to make a clear, bold statement on the state of race equality in this country”. Parasram said that the “evidence and impact of racism in the UK is overwhelming” and that “whilst some of recommendations made in the report are helpful, they fall far short of what could have been achieved”.[12]

      The Green Party of England and Wales issued a statement condemning the summary of the report as “a deliberate attempt to whitewash institutional racism” and that “Institutional racism in the UK does exist”.[13]

      Other:

      David Goodhart welcomed the report as “a game-changer for how Britain talks about race”.[14]

      Rose Hudson-Wilkin, the Bishop of Dover, described the report as “deeply disturbing”; she said the “lived experience” of the people “tells a different story to that being shared by this report”.[15]

      The historian David Olusoga accused the report’s authors of appearing to prefer “history to be swept under the carpet”.[16]

      A Guardian editorial quoted Boris Johnson’s intent to “change the narrative so we stop the sense of victimisation and discrimination”[17] when setting up the commission, and as evidence of the reality of racial inequality listed five recent government reports on different aspects:[18]

      - the criminal justice system (the David Lammy review of 2017[19][20]);
      - schools, courts, and the workplace (the Theresa May race audit of 2017[21]);
      - pay (the Ruby McGregor-Smith review of 2017[22][23]);
      - deaths in police custody (the Elish Angiolini report of 2017[24]);
      - the Windrush scandal (the Wendy Williams review of 2020[25][26]).

      https://en.wikipedia.org/wiki/Commission_on_Race_and_Ethnic_Disparities

  • India cracks down on journalism, again - Columbia Journalism Review
    https://www.cjr.org/the_media_today/india_modi_farmers_protests_journalism.php

    Last Tuesday, as India celebrated a national holiday commemorating its democratic constitution, thousands of farmers marched and drove their tractors through New Delhi. It was the latest in a series of protests against agricultural reforms that many farmers fear will allow large corporations to crush them. Police tear-gassed the demonstrators and charged at the crowd with batons; as Vidya Krishnan wrote in The Atlantic, “the dueling images—a celebration of India’s democracy on the one hand, the crushing of dissent on the other—were carried on a split screen by many news channels, inadvertently offering the perfect visual metaphor for modern India.” A twenty-five-year-old farmer named Navreet Singh was killed during the protest; officials claimed that he died in a tractor accident, but witnesses said that police shot Singh in the head—an account supported by photographic evidence. Singh’s family has alleged a cover-up. “One doctor told me that my grandson was hit by a gunshot,” Hardip Singh Dibdiba, Singh’s grandfather, told The Guardian, “but said they could not write that a bullet killed him.”

    Indian authorities have since filed sedition and other charges against at least nine journalists who reported on, or merely tweeted about, Singh’s death and the protests; some members of the press have been subjected to extrajudicial harassment and threats. Under Indian law, sedition carries a possible penalty of life imprisonment. The editors of two prominent independent news outlets—Vinod K. Jose, of the magazine The Caravan, and Siddharth Varadarajan, of the news website The Wire—were among those charged. On Saturday, police detained two more reporters—Mandeep Punia, a Caravan contributor, and Dharmender Singh, of Online News India—as they covered ongoing farmers’ protests in New Delhi. Kanwardeep Singh, a reporter with the Times of India, told The Guardian that his phone is under surveillance. The government, he believes, is trying to send him a message: “Either I stop writing and stay safe or be ready to live my remaining life behind the bars.”

    Masthead - Columbia Journalism Review
    https://www.cjr.org/about_us/masthead.php

    Columbia Journalism Review is published by the Columbia University Graduate School of Journalism.

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    #Inde #répression #journalisme #modi

  • La revue SAMAJ se mobilise pour les #libertés_académiques en #Inde

    L’université, la science et la liberté d’expression sont attaquées de toutes parts en Inde. Ce n’est pas simplement une métaphore car ces attaques sont parfois physiques, comme lorsque le 15 décembre 2019 la police brutalisa des étudiants alors qu’ils étaient paisiblement en train de travailler dans la bibliothèque de l’université Jamia Millia ou lorsque, le 5 janvier 2020, sous le regard bienveillant de la police, des membres des milices de l’extrême droite hindoue attaquèrent un rassemblement pacifique organisé par l’Association des enseignants de l’Université Jawaharlal Nehru (JNU).

    Des éditeurs sont contraints de retirer ou de détruire des livres à la suite d’intimidations, comme celui de Wendy Doniger, The Hindus : An Alternative History, publié par Penguin. La liberté à l’intérieur et à l’extérieur des amphithéâtres universitaires est également sapée par l’annulation de conférences, de films, de pièces de théâtre et de séminaires. Certaines universitaires comme Nandini Sundar et Archana Prasad ont même fait l’objet de fausses accusations de meurtre par la police. Dans les pires cas, cette violence peut aller jusqu’à l’assassinat d’universitaires, dits « rationalistes » comme l’ancien président d’université, M. M. Kalburgi. Les données du V-Dem report 2020, qui suivent depuis 1945 l’évolution des libertés académiques et de la liberté d’expression, donnent à voir un déclin qui s’est accentué à partir de 2014, soit la date de l’élection de Narendra Modi au pouvoir (cf. Figure 1 ; pour davantage de détails sur ce sujet, voir aussi le rapport par Nandini Sundar et Gowhar Fazili).

    Les chercheurs et enseignants en sciences sociales sont désormais désignés comme des ennemis de l’intérieur. Nombre d’enseignants autocensurent leurs propos (portant, par exemple, sur d’éventuelles critiques à l’encontre de la politique de Modi) dans leur propre salle de cours, tant ils craignent d’être dénoncés ensuite par des étudiants gagnés à la cause des nationalistes hindous. Les spécialistes des sciences de la nature sont de plus en plus souvent sommés de mettre en place des protocoles d’étude visant à démontrer les bénéfices de la bouse et de l’urine de vache (rebaptisée par les nationalistes hindous Gau mata, la « Vache mère »), ou les vertus de l’eau présumée sacrée du Gange. Pour obtenir des visas, les chercheurs étrangers en sciences sociales sont fréquemment contraints de travestir la présentation de leurs projets de recherche, habités par la crainte de se voir refuser l’accès au territoire indien. C’est déjà le cas chez un nombre croissant d’entre eux.

    En tant que revue spécialisée sur l’Asie du Sud, SAMAJ considère que notre mission principale — produire des connaissances scientifiques sur les sociétés — est donc menacée. Cette situation a incité le comité de rédaction de la SAMAJ à réunir des universitaires spécialistes des questions pour réfléchir à cet état de fait.

    Notre principal objectif dans ce numéro est de montrer que les sciences sociales proposent des outils analytiques utiles pour comprendre l’évolution politique de l’Inde sous le régime de Narendra Modi. Afin de sensibiliser et d’aider les lecteurs non spécialistes à comprendre ce qui se passe actuellement en Inde, nous avons choisi de faire une exception à notre format habituel et d’ouvrir la revue à des publications s’écartant du traditionnel article académique pour y inclure également des essais, des interviews ou des portraits de personnalités importantes. Le sommaire de ce numéro et les liens vers les articles (tous enaccès ouvert) sont disponibles ci-dessous.

    Pour celles et ceux préférant une présentation en français de la situation indienne, il est toujours possible de se tourner vers l’article d’Aminah Mohammad-Arif et Jules Naudet publié dans la revue L’Homme : « La démocratie indienne à l’épreuve du nationalisme hindou » [sous embargo]

    https://academia.hypotheses.org/29629

    #liberté_académique #université #recherche #facs #Narendra_Modi #Modi

  • FDA Approves First-of-its-Kind Intentional Genomic Alteration in Line of Domestic Pigs for Both Human Food, Potential Therapeutic Uses | FDA
    https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-approves-first-its-kind-intentional-genomic-alteration-line-domestic-pigs-b

    Today, the U.S. Food and Drug Administration approved a first-of-its-kind intentional genomic alteration (IGA) in a line of domestic pigs, referred to as GalSafe pigs, which may be used for food or human therapeutics. This is the first IGA in an animal that the FDA has approved for both human food consumption and as a source for potential therapeutic uses. The IGA in GalSafe pigs is intended to eliminate alpha-gal sugar on the surface of the pigs’ cells. People with Alpha-gal syndrome (AGS) may have mild to severe allergic reactions to alpha-gal sugar found in red meat (e.g., beef, pork, and lamb).

    #porc #élévage #modification_génomique_intentionnelle #alimentation

  • Le #Conseil_d’État rejette les #recours contre l’arrêté fixant les #frais_d’inscription dans l’enseignement supérieur

    Saisi pour se prononcer sur les frais d’inscription dans l’#enseignement_supérieur public, le Conseil d’État juge qu’ils ne s’opposent pas à « l’#exigence_constitutionnelle de #gratuité » qui vise à assurer l’égal accès à l’instruction. Il précise en outre que cette exigence ne s’applique que pour les formations préparant à des #diplômes_nationaux.

    Plusieurs associations, syndicats étudiants et requérants individuels ont demandé au Conseil d’État d’annuler l’arrêté interministériel du 19 avril 2019 qui fixe les droits d’inscription dans les établissements publics d’enseignement supérieur et prévoit pour les étudiants étrangers « en mobilité internationale » un montant différent de celui payé par les étudiants français, européens ou déjà résidents en France.

    Avant de se prononcer sur ce recours, le Conseil d’État a transmis une question prioritaire de constitutionnalité au #Conseil_constitutionnel.

    La Constitution exige la gratuité de l’#enseignement_supérieur_public, mais des #droits_d’inscription modiques peuvent être demandés

    Le 11 octobre 2019 , le Conseil constitutionnel a déduit une exigence constitutionnelle de gratuité de l’enseignement supérieur public du Préambule de la Constitution du 27 octobre 1946, qui prévoit l’égal accès à l’instruction et l’organisation par l’État de l’enseignement public gratuit. Il a toutefois précisé que des droits d’inscription modiques pouvaient être perçus en tenant compte, le cas échéant, des capacités financières des étudiants. Enfin, le Conseil constitutionnel a laissé au Conseil d’État le soin de contrôler le #montant des frais d’inscription fixés par les ministres au regard de ces exigences.

    Le Conseil constitutionnel n’ayant, en revanche, pas précisé si cette exigence de gratuité pouvait bénéficier à tout étudiant étranger, y compris à ceux venus en France dans le seul but d’y faire leurs études, le Conseil d’État ne se prononce pas sur ce point dans sa décision de ce jour.

    Les frais d’inscription contestés ne font pas obstacle à l’#égal_accès_à_l’instruction, compte tenu notamment des aides et exonérations destinées aux étudiants

    Le Conseil d’État précise que l’exigence de gratuité s’applique à l’enseignement supérieur public pour les formations préparant aux diplômes nationaux (licence, master, doctorat…) mais pas aux diplômes propres délivrés par les établissements de façon autonome ni aux titres d’ingénieur diplômé délivrés par les écoles d’ingénieurs.

    Par ailleurs, il juge que le caractère #modique des droits d’inscription s’apprécie en tenant compte du coût des formations et de l’ensemble des dispositifs d’exonération et d’aides destinés aux étudiants, afin de garantir l’égal accès à l’instruction.

    S’agissant des étudiants « en mobilité internationale », le Conseil d’État estime que les droits d’inscription fixés par l’arrêté attaqué, qui peuvent représenter 30 % voire 40 % du coût de la formation, ne font pas obstacle à l’égal accès à l’instruction, compte tenu des exonérations et aides susceptibles de bénéficier à ces étudiants. Ces droits d’inscription respectent donc l’exigence rappelée par le Conseil constitutionnel, à supposer que ces étudiants puissent s’en prévaloir.

    Les #étudiants_étrangers « en #mobilité_internationale » ne sont pas dans la même situation que ceux destinés à s’établir en France

    Enfin, le Conseil d’État juge que des étudiants « en mobilité internationale », venus en France spécialement pour s’y former, ne sont pas dans la même situation que des étudiants ayant, quelle que soit leur origine géographique, vocation à être durablement établis sur le territoire national. Il valide donc la possibilité de prévoir pour ceux-ci des frais d’inscription différents.

    https://www.conseil-etat.fr/actualites/actualites/le-conseil-d-etat-rejette-les-recours-contre-l-arrete-fixant-les-frais-
    #taxes_universitaires #France #ESR #Bienvenue_en_France

    La décision :
    https://www.conseil-etat.fr/ressources/decisions-contentieuses/dernieres-decisions-importantes/conseil-d-etat-1er-juillet-2020-arrete-fixant-les-frais-d-inscription-d

    Métaliste sur la question de l’augmentation des frais d’inscription pour les étudiants étrangers :
    https://seenthis.net/messages/739889

    • L’Université à bout de souffle

      Après la loi ORE en 2018, le décret « Bienvenue en France » et l’augmentation des frais d’inscription pour une partie des étudiants étrangers hors-UE en 2019, l’année universitaire qui vient de s’achever a vu une nouvelle réforme menacer les principes fondateurs de l’Université française. Le projet de loi LPPR, ou Loi de Programmation Pluriannuelle de la Recherche, est un texte qui propose, en principe, une évolution du budget de la recherche jusqu’en 2030. Dans les faits, la LPPR s’accompagne également de plusieurs mesures vivement contestées par la communauté scientifique : des « CDI de mission » (contrats appelés à se terminer à la fin d’un projet de recherche), des tenures tracks (recrutement accru de professeurs assistants temporaires), ou encore le renforcement d’un système de financement de la recherche basé sur des appels à projets et des évaluations prospectives.

      Maître de conférence, chercheur en Études cinématographiques à l’Université Paris Sorbonne Nouvelle depuis 2006 et codirecteur du Master Cinéma et Audiovisuel depuis 2019, Antoine Gaudin est en première ligne face à cette nouvelle mesure qui menace le monde, déjà fragile, de l’enseignement supérieur et de la recherche. Nous avons voulu nous entretenir longuement avec lui pour faire le point sur les conséquences de la LPPR sur son travail, sur les dernières réformes du quinquennat Macron à l’encontre de l’Université, mais aussi sur les formes possibles de contestation.

      (...)

      À partir du moment où vous avez au pouvoir des gens qui nomment « Bienvenue en France » une mesure ouvertement xénophobe, une mesure qui multiplie par quinze (!) les frais d’inscription pour les étudiants étrangers hors Union Européenne, sans que cette hausse, délirante, ne soit assortie d’aucun avantage par rapport à leurs camarades étudiants français ou européens (ce qui constitue d’ailleurs un cas de discrimination de l’accès à un service public basée sur l’origine géographique), à partir du moment où vous avez au pouvoir des gens qui tordent le langage pour lui faire signifier tout simplement l’inverse ce qui est, vous n’êtes pas simplement face à la pratique de l’enrobage flatteur constituant le support traditionnel de la communication politique. À ce niveau-là, vous avez basculé dans un au-delà de la raison, que l’on appelle parfois post-vérité, que des responsables politiques de haut rang devraient s’interdire d’utiliser, et que des médias critiques et indépendants devraient dénoncer, étant donné le danger qu’il représente pour la démocratie.

      (...)

      Faisons ici un peu d’anticipation. La première évolution possible serait la diminution des effectifs étudiants, qui permettrait aux universités de fonctionner malgré la pénurie de personnels. On en a déjà un peu pris le chemin avec la loi ORE de 2018, aussi nommée Parcoursup, qui a instauré le principe de la sélection à l’entrée de l’Université. Avec la fin d’un accès de droit à l’Université pour tous les bacheliers, on laisse un certain nombre de jeunes gens sur le carreau, en les empêchant d’accéder à un niveau d’études dans lequel ils auraient pu éventuellement se révéler. L’autre solution, pour pouvoir continuer à accueillir l’essentiel d’une classe d’âge chaque année, ce serait l’augmentation du coût des études, c’est-à-dire des frais d’inscription, afin de permettre aux universités devenues « autonomes » d’opérer les recrutements indispensables à un fonctionnement à peu près normal. On sait d’ailleurs, grâce aux MacronLeaks, que c’est globalement cela, le projet à terme, et que la multiplication par quinze des frais d’inscription des étudiants étrangers n’est qu’une façon d’amener ce qui sera sans doute la prochaine grande réforme de l’Université, si jamais la LPPR passe, c’est-à-dire la même hausse des frais d’inscription pour l’ensemble des étudiants. La plupart devront donc souscrire des emprunts bancaires pour faire face au coût de leurs études, ce qui signifie qu’ils passeront plusieurs années, au début de leur vie professionnelle, à rembourser un crédit.

      Bref, l’enseignement supérieur va sans doute à terme se transformer complètement en marché, et les étudiants en entrepreneurs d’eux-mêmes, dans un univers concurrentiel qui les forcera à rationaliser leurs parcours (adieu l’idée de se réorienter, de chercher sa voie, de se cultiver avant tout), afin d’être immédiatement « employables » dans la grande machine économique, et donc de ne pas trop pâtir de leur dette à rembourser. L’idée de l’Université, non seulement comme espace d’apprentissage et d’insertion professionnelle, mais surtout comme espace pour former des citoyens conscients, critiques et émancipés, prendrait alors un nouveau plomb dans l’aile. Quand bien même ce très probable scénario-catastrophe serait finalement abandonné au profit d’une plus grande sélection à l’entrée des facs, ou bien au profit d’une dégradation continue des conditions d’accueil et d’accompagnement, la LPPR nous fait foncer tête baissée vers une nouvelle remise en cause de l’accès à tous à des études gratuites de qualité. Si j’étais étudiant, je m’en inquiéterais et je refuserais cette perspective qui, associée aux réformes des retraites et de l’assurance-chômage, notamment, prépare un avenir bien sombre, où l’autonomie vis-à-vis des mécanismes tout-puissants du marché sera fortement réduite. Ce monde que nos dirigeants politiques sont en train de mettre en place pour eux, il faut que les étudiants disent maintenant, nettement et massivement, s’ils l’acceptent ou le refusent. Après, ce sera trop tard, car hélas on ne revient quasiment jamais sur des réformes de régression sociale une fois qu’elles ont été adoptées.

      https://www.critikat.com/panorama/entretien/luniversite-a-bout-de-souffle

    • Le Conseil d’État permet au gouvernement de fermer l’université

      Ce mercredi 1er juillet, le Conseil d’État a rendu sa décision concernant les contestations portées contre l’arrêté du 19 avril 2019 relatif aux droits d’inscription dans les établissements publics d’enseignement supérieur relevant du ministère chargé de l’enseignement supérieur.

      Cette décision procède d’une véritable réécriture de la décision du Conseil constitutionnel du 11 octobre 2019 qui était venu consacrer, sur le fondement du treizième alinéa du Préambule de la Constitution du 27 octobre 1946, l’exigence constitutionnelle de gratuité de l’accès à l’enseignement supérieur public, avec la perception de droits d’inscription modiques en tenant compte, le cas échéant, des capacités financières des étudiant·es.

      S’affranchissant des garde-fous érigés par les juges constitutionnel·les, le Conseil d’État a écarté toute possibilité de prise en compte de la capacité financière des étudiant·es, en estimant que le caractère modique des frais d’inscription exigés des usagèr·es suivant des formations dans l’enseignement supérieur public en vue de l’obtention de diplômes nationaux doit être apprécié au regard du coût de ces formations.

      Constatant que le « coût annuel moyen » de la formation suivie par un·e étudiant·e en vue de l’obtention d’un diplôme de licence, de master, de doctorat ou d’un titre d’ingénieur·e diplômé·e est évalué à la somme de 10 210 euros par la Cour des comptes, dans son rapport sur les droits d’inscription dans l’enseignement supérieur public de novembre 2018, et à la somme de 9 660 euros par le rapport d’information de l’Assemblée nationale sur l’accueil des étudiant·es extra-européen·nes en France du 13 mars 2019, le Conseil d’État va ainsi s’employer à vider entièrement de sa substance le principe de gratuité dégagé par le Conseil constitutionnel.

      Or, ce montant ne reflète pas la réalité des coûts de formations des différentes filières à l’université. Puisque que la Cour des comptes retient que le coût global d’une formation en santé (médecine, pharmacie, PACES) est de 3 307 euros et représente, en science humaines et sociales, 2 736 euros en licence et 3 882 en masters, les frais appliqués par Bienvenue en France (2 770 euros en Licence, 3 770 euros en Master) conduisent de facto à faire supporter aux étudiant·es étrangèr·es l’intégralité du coût global de leurs formations.

      Eu égard à la fois à la part du coût des formations susceptible d’être mise à la charge des étudiant·es étrangèr·es et aux dispositifs d’aides et d’exonération de ces frais dont peuvent bénéficier ces étudiant·es, le Conseil d’État, sans rechercher si les exigences de gratuité peuvent être utilement invoquées par les étudiant·es étrangèr·es, considère que les montants des droits d’inscription susceptibles d’être effectivement à leur charge ne font pas, par eux-mêmes, obstacle à un égal accès à l’instruction et ne contreviennent pas aux exigences découlant du treizième alinéa du Préambule de la Constitution de 1946.

      Cette approche scandaleuse du Conseil d’État revient donc à soutenir que 2 770 en licence et que 3 770 euros de frais d’inscription est une somme « modique » dès lors que les montants des frais d’inscription à la charge des étudiant·es extra-européen·nes représenteraient près de 30% du coût de la formation dispensée en ce qui concerne le diplôme national de la licence, près de 40% s’agissant du master seraient donc modiques.

      Pour justifier sa décision, le Conseil d’État retient également des dispositifs d’aides et d’exonération des frais d’inscription qui sont accessibles aux étudiant·es étrangèr·es. Or, le mécanisme d’exonération des frais d’inscription ne concerne que 10% des étudiant·es non-boursièr·es (étrangèr·es et français·es) de chaque établissement et, en l’absence de compensation par le ministère de l’enseignement supérieur et la recherche, les établissements vont progressivement restreindre, voire supprimer, l’accès à ce dispositif.

      Concernant les dispositifs d’aides, l’argument est d’autant plus pernicieux que le nombre de bourses du gouvernement français attribué aux étudiant·es étrangèr·es est extrêmement faible, rapporté au nombre d’étudiant·es concerné·es. De même, les bourses nationales des pays d’origine n’existent pas toujours, et lorsqu’elles existent les montants et les critères d’attribution sont très divers à tel point qu’il est presque impossible de calculer une moyenne réaliste des revenus des bourses et aides nationales que peuvent toucher ces étudiant·es extra-européen·nes.

      Le Conseil d’État feint d’ignorer que nonobstant ces dispositifs d’aides, les étudiant·es étrangèr·es doivent également s’acquitter de frais supplémentaires en lien avec leur inscription (frais de visas, frais de transport pour venir en France) mais surtout sont tenus de justifier des ressources mensuelles d’un montant de 615€ par mois pour l’obtention et le renouvellement des visas.

      Enfin, reprenant sa jurisprudence classique, le Conseil d’État a ainsi écarté les argumentaires relatifs au principe d’égalité entre les usagèr·es du service public.

      Ainsi, le Conseil d’État a également considéré qu’il était loisible aux ministres de fixer les montants des frais d’inscription applicables aux étudiant·es inscrit·es dans les établissements publics d’enseignement supérieur en vue de la préparation d’un diplôme national ou d’un titre d’ingénieur·e diplômé·e en distinguant la situation, d’une part, des étudiant·es ayant, quelle que soit leur origine géographique, vocation à être durablement établi·es sur le territoire national, et d’autre part, des étudiant·es venu·es en France spécialement pour s’y former.

      Selon le Conseil d’État, la différence de traitement qui en résulte concernant les montants de frais d’inscription est en rapport avec cette différence de situation et n’est pas manifestement disproportionnée au regard de l’objectif poursuivi de formation de la population appelée à contribuer à la vie économique, sociale, scientifique et culturelle de la Nation et à son développement.

      La démarche du Conseil d’État permet ainsi de valider la position du gouvernement subordonnant le paiement de ces frais différenciés aux seuls étudiant·es étrangèr·es disposant d’une résidence fiscale inférieure à deux ans en France.

      Or, on peut difficilement soutenir par exemple qu’un·e étudiant·e étrangèr·e, qui après avoir obtenu son diplôme de master, entreprend sous couvert d’une autorisation provisoire de séjour d’un an de s’insérer professionnellement en France, n’a pas vocation à être durablement établi·e sur le territoire national ou soit considéré comme n’apportant aucune contribution à la vie économique, sociale, scientifique et culturelle de la Nation et à son développement.

      Le Conseil d’État laisse apparaître une pointe de nationalisme primaire dans cette décision et démontre une parfaite méconnaissance de l’apport des étudiant·es étrangèr·es pour l’économie française. Pour rappel, selon étude menée par l’institut BVA pour Campus France, publiée le mercredi 26 novembre 2014, les étudiant·es étrangèr·es coûtent 3 milliards d’euros et en rapportent 4,65 milliard d’euros à l’État français chaque année soit un bénéfice net de 1,6 milliard d’euros pour l’État français.

      Au-delà des seul·es étudiant·es extra-européen·nes, cette décision du Conseil d’État vient également s’attaquer aux principes fondateurs de l’enseignement supérieur public.

      Ainsi, il est surprenant de constater que le Conseil d’État a jugé utile d’exclure d’office les diplômes d’établissement délivrés en application de l’article L. 613-2 du code de l’éducation ou les titres d’ingénieur diplômé du bénéficie principe d’égal accès à l’instruction et l’exigence constitutionnelle de gratuité alors que le Conseil constitutionnel dans sa décision 11 octobre 2019 avait considéré l’exigence constitutionnelle de gratuité s’applique à l’enseignement supérieur public sans aucune exclusion.

      Le Conseil d’État épouse ici sans aucune justification juridique, la thèse soutenue par la Conférence des présidents d’université (CPU) qui encourage cette pratique tendant à favoriser la multiplication de ces diplômes d’établissement, dont les frais d’inscription échappent à tout contrôle législatif, réglementaire et désormais constitutionnel.

      Le point le plus contestable et dangereux de cette décision résulte de la volonté du Conseil d’État d’apprécier le caractère modique des frais d’inscription exigés des usagèr·es suivant des formations dans l’enseignement supérieur public en vue de l’obtention de diplômes nationaux au regard du coût de ces formations alors que le Conseil constitutionnel avait considéré que cette appréciation devait se faire le cas échéant sur les capacités financières des étudiant·es.

      Cette approche du Conseil d’État représente une grave entaille dans le principe de gratuité dégagé par le Conseil constitutionnel.

      Ainsi, si des frais d’inscription à la charge des étudiant·es étrangèr·es représentant près de 30% du coût de la formation dispensée en ce qui concerne le diplôme national de la licence, près de 40% s’agissant du master, alors qu’il s’agit d’un montant 2770€ et 3770€ respectivement, doivent être considéré comme modiques, les juges du Palais Royal ouvre ainsi la voie à une augmentation drastique et généralisée des frais d’inscription dans l’enseignement supérieur pour l’ensemble des étudiant·es.

      Dans la mesure où cette hausse est jugée conforme à l’exigence constitutionnelle de gratuité, rien n’empêchera les prochains gouvernements d’envisager une telle hausse sans avoir à craindre une censure des juges, visiblement enfermé·es dans leur Palais Royal.

      Alors que le mécanisme d’exonération des frais d’inscription par les établissements ne concerne 10% des étudiant·es non-boursièr·es et que les bourses sur critères sociaux ne concerne que 24 à 27% des étudiant·es, ce choix de Conseil d’État accentuera à l’avenir une polarisation du public pouvant accéder à l’enseignement supérieur, entre d’un côté les boursièr·es bénéficiant des aides de l’État et de l’autre les étudiant·es issu·es de familles aisés. Entre les deux, les étudiant·es provenant de foyer appartenant à la classe dite moyenne devront s’acquitter de ces frais, le cas échéant par l’endettement, ce qui aggravera encore la précarité étudiante.

      Cet échec juridique ne doit toutefois pas signifier la fin du combat. L’inutilité et les méfaits de cette réforme inégalitaire et xénophobe ne sont plus à démontrer. Elle n’est hélas pas isolée. Elle s’insère dans une série de politiques iniques, qui s’attaquent au service public de l’enseignement supérieur et de la recherche depuis des années, et dont le projet de LPPR est un prolongement morbide.

      Ensemble, continuons notre lutte pour une université publique, gratuite, émancipatrice et ouverte pour tou·tes !

      Illustration en une : photographie prise lors de la manifestation du 1er décembre 2018 contre « Bienvenue en France ».

      https://universiteouverte.org/2020/07/03/le-conseil-detat-permet-au-gouvernement-de-fermer-luniversite

    • Validation du plan “Bienvenue en France” : le Conseil d’Etat enterre l’#égalité entre étudiant·es

      Ce mercredi 1er juillet, le Conseil d’Etat a rendu sa décision en réécrivant totalement la décision du Conseil constitutionnel concernant le recours intenté par : UNEF, ASEPEF (Association des Étudiants Péruviens en France), FESSEF (Fédération des Étudiants Stagiaires et Sénégalais de France), AJGF (Association des Jeunes Guinéens de France), ADEEF (Association Des Etudiants Egyptiens en France), SNESUP-FSU, FERC CGT, FERC Sup, Solidaires Étudiant•e•s et FO ESR contre le plan “Bienvenue en France” et la multiplication par 15 des frais d’inscription pour les étudiant•e•s non-européen-ne-s.
      De 30% à 40% des coûts globaux de formations soit 4000 euros : une somme modique selon le Conseil d’Etat…

      Le Conseil d’Etat décide de considérer que 3 770 euros de frais d’inscription est une somme “modique” puisque cela ne concernerait qu’un tiers du coût de la formation par étudiant-e et par an. Pour estimer ce coût, il est établi un calcul généraliste visant à diviser le budget total de la formation (10 210 euros selon la cours des comptes, 9 660 euros selon un rapport de l’assemblée nationale) par le nombre d’étudiant•e•s, hors les formations ont des coûts très différents entre elles.Cette évaluation des coûts de formations n’est ni fine, ni précise puisqu’elle ne va pas dans le détail des formations et dans ce qui constitue ces coûts. De plus, par ce choix, le Conseil d’Etat réécrit le principe établit par le Conseil Constitutionnel qui préconis e de se baser sur l’étudiant•e et non pas sur le coût de la formation : le cout doit rester modique pour l’étuidant.es et non ramené au coût global de la formation.
      Des frais d’inscription qui peuvent être différenciés entre étranger•e•s et français•e•s …

      Le Conseil d’Etat entérine également dans sa décision le fait de pouvoir appliquer des frais différenciés entre étranger•e•s et français•e•s. Il met en avant que le système des bourses accordées par le pays d’origine et la possibilité d’exonération de 10% des étudiant•e•s non-boursier•ère•s par les établissements laisse la possibilité de prendre en considération la situation financière personnelle des étudiant•e•s. Cependant, cet argument est pernicieux. Les bourses nationales des pays d’origine n’existent pas toujours, et lorsqu’elles existent les montants et les critères d’attribution sont très divers à tel point qu’il est presque impossible de calculer une moyenne réaliste des revenus des bourses et aides nationales que peuvent toucher les étudiant•e•s étranger•ère•s.
      A l’absence d’aides s’ajoute aussi des frais supplémentaires, qui, s’ils ne concernent pas directement l’ESR, sont des frais connexes dont on ne peut se passer pour être étudiant•e : frais de visas, frais de transport pour venir en France, obligation de justifier de 615 euros de ressources mensuelles pour l’obtention et le renouvellement des visas ou encore restriction du travail salarié entre 50% et 60% du temps plein.
      … mais surtout une possibilité de sélection par l’argent pour tou•te•s entérinée !

      Enfin, cette décision participe à la dislocation de nos acquis sociaux que le Conseil d’Etat acte aujourd’hui . En effet, le recours ne concerne pas seulement les étudiant•e•s étranger•ère•s, mais tous les étudiant.es en la question du conditionnantement de l’accès à l’enseignement supérieur au paiement d’une somme d’argent importante.
      Ce sont tous les frais exorbitants mis en place dans certaines écoles, qui sont ainsi considérés comme ne faisant pas obstacle à l’accès à l’enseignement supérieur : à terme, tous tout le monde les étudiant.es peut pourrait avoir à payer environ 4000 euros car c’est modique !
      Enfin, de par sa décision, le Conseil d’Etat accepte de reconnaître que le service public et l’accès àl’enseignement supérieur national n’est plus ouvert à toutes et tous peut être conditionné au paiement de frais d’inscription élevés. A travers cette décision, c’est notre modèle social qui est remis en cause puisque le Conseil d’Etat prend acte du fait que l’accès à un service public aussi indispensable à l’individu qu’à la collectivité qu’est l’enseignement supérieur peut être conditionné au paiement de sommes d’argent importante ; il entérine ainsi la possibilité de sélection par l’argent dans l’accès à l’enseignement supérieur.

      https://academia.hypotheses.org/25156

      Lien vers la motion intersyndicale :
      https://f-origin.hypotheses.org/wp-content/blogs.dir/793/files/2020/07/FI-EE-CP-D%C3%A9faite-CE-vf.pdf

    • Bienvenue en France pour qui ? Le Conseil d’État, les #droits_constitutionnels et les #droits_étudiants

      La nation garantit l’égal accès de l’enfant et de l’adulte à l’instruction, à la formation professionnelle et à la culture. L’organisation de l’enseignement public
      gratuit et laïque à tous les degrés est un devoir de l’Etat.
      Préambule de la #Constitution de 1946,
      intégré au préambule de la Constitution de 1958.

      Hier a été rendue une décision très attendue du Conseil d’État qui statuait sur les frais d’inscription dans l’enseignement supérieur public, tels que fixés par l’arrêté du 19 avril 2019 (https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000038396885&categorieLien=id). Cet arrêt suscite une immense indignation, et elle est justifiée.

      Cet arrêt est le fruit d’une multitude de recours individuels et associatifs (Ligue des droits de l’homme, Unef, CGT FERC Sup, SNESUP, FO ESR, …), rappelée par l’avocat Juan Prosper.

      https://www.youtube.com/watch?v=lsfdzYkSgkc&feature=emb_logo

      Reprenons les choses dans l’ordre : il était très tentant, le 11 octobre 2019, de se réjouir de la décision du Conseil constitutionnel qui, saisi d’une question prioritaire de constitutionnalité, rappelait que le 13e alinéa du Préambule de la Constitution du 27 octobre 1946 – selon lequel « La Nation garantit l’égal accès […] de l’adulte à l’instruction [et] L’organisation de l’enseignement public gratuit […] à tous les degrés est un devoir de l’État » — s’appliquait aussi à l’enseignement supérieur public.

      "Dans sa décision de ce vendredi 11 octobre 2019 (https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2019/2019809QPC.htm), le Conseil constitutionnel confirme que la gratuité de l’enseignement supérieur est un principe constitutionnel, distinct du principe de l’égal accès, et qu’il implique que les droits d’inscription demeurent « modiques ». Dans son considérant n°6, le Conseil constitutionnel rappelle qu’« il résulte de la combinaison de ces dispositions que l’exigence constitutionnelle de gratuité s’applique à l’enseignement supérieur public. Cette exigence ne fait pas obstacle, pour ce degré d’enseignement, à ce que des droits d’inscription modiques soient perçus en tenant compte, le cas échéant, des capacités financières des étudiants. »" (Communiqué du collectif défendant la QPC, 11 octobre 2019 ((publié sur Université ouverte, 11 octobre 2019)) : https://universiteouverte.org/2019/10/11/le-conseil-constitutionnel-consacre-le-principe-de-gratuite-de-le)

      En réalité, il est vite apparu que cette décision n’est en rien une courageuse défense du principe de gratuité de l’enseignement supérieur public, mais une véritable démission (https://blogs.mediapart.fr/paul-cassia/blog/131019/frais-d-inscription-des-etudiants-une-gratuite-couteuse) : sous l’apparence du respect du préambule de 1946, le Conseil constitutionnel remet tout simplement au pouvoir réglementaire et à son juge attitré, le Conseil d’État, les clés de l’obligation constitutionnelle de gratuité de l’accès à l’enseignement supérieur public. Le Conseil constitutionnel évince, au passage, le Parlement d’un débat pourtant central, puisqu’il s’agit rien moins que du débat sur l’ouverture et la fermeture de l’accès à l’enseignement supérieur. Toute la discussion s’en trouve déplacée : on passe d’une gratuité solennellement proclamée par le Préambule constitutionnel, sans aucune ambiguïté, à un jeu ouvert d’interprétations, celui consistant à savoir ce qu’il faut entendre, exactement, par caractère « modique » des droits d’inscription.

      Dans sa décision rendue hier, le Conseil d’État a choisi de profiter pleinement de ce pouvoir d’interprétation complaisamment reconnu. Pourtant, le ministère ne lui avait pas facilité la tâche, poussant très loin le bouchon : avec l’arrêté du 19 avril 2019, Frédérique Vidal a non seulement décuplé une part des frais d’inscriptions, n’hésitant pas à les faire monter jusqu’à 2770 euros pour le diplôme national de la licence et 3770 euros pour le diplôme national de master ; mais elle a en outre choisi d’appuyer cette explosion des frais sur une discrimination, entre une catégorie d’étudiant.es désigné.es comme « en mobilité internationale », d’une part, et le reste des étudiant.es, d’autre part.

      Alors le Conseil d’Etat a fait ce qui, depuis son origine, justifie son existence : il a produit un discours juridique un tant soit peu cohérent afin de faire passer un monstre réglementaire pour une bête mesure d’application des textes auxquels le gouvernement est soumis. Cela supposait tout de même du Conseil d’État un vrai tour de force : il a d’abord fallu oser soutenir que des frais d’inscription de plusieurs milliers d’euros ne méconnaissent en rien le « devoir de l’État » de proposer un « enseignement public gratuit » ; il a ensuite fallu oser expliquer en quoi l’application de ces frais aux seul.es étudiant.es dit.es en « mobilité internationale » ne représente pas une atteinte au principe d’égalité entre les usager·es du service public.

      La magie du droit est, précisément, de rendre possible un tel tour de force, pourtant parfaitement contre-intuitif. Ce sont les deux temps de la démonstration du Conseil d’État : dans les paragraphes 13 à 19 pour ce qui concerne l’atteinte au principe de gratuité, et dans les paragraphes 20 à 25 pour ce qui concerne la méconnaissance du principe d’égalité.

      La #gratuité_payante

      C’est sur le premier de ces deux temps que le Conseil d’État était le plus attendu. Dans le monde parallèle du droit, le Conseil constitutionnel avait exécuté le premier pas : ce qui est d’un coût modique est « gratuit »1. Restait au Conseil d’État à faire le second : trois mois de SMIC pour douze mois d’étude en M1, c’est « modique » ; 16 000 euros pour cinq ans d’études, c’est « modique » . Ou, plus précisément, c’est « modique » , et donc c’est « gratuit » .

      Pour en arriver à ce qui n’est rien d’autre qu’un retournement des mots, le Conseil d’État n’a pas exactement fait dans la subtilité : la modicité, explique-t-il, doit s’apprécier de manière relative, à la fois au regard du « coût des formations » et « compte tenu de l’ensemble des dispositions en vertus desquelles les usagers peuvent être exonérés du paiement de ces droits et percevoir des aides ». Reste alors simplement à tricher sur cette double mise en relation, et le tour est joué :

      – s’agissant du coût des formations, le Conseil d’État fait une moyenne générale du coût des formations dans toutes les disciplines, ce qui lui permet de soutenir que les nouveaux frais d’inscription ne correspondent qu’à 30 % du « coût annuel moyen » d’une formation de Licence et à 40 % du « coût annuel moyen » d’une formation de Master. Évidemment, cela n’a aucun sens si l’on veut bien se souvenir des fortes disparités de coût entre les disciplines : un étudiant extra-européen s’inscrivant en licence en SHS s’acquitte désormais de droits d’inscription qui sont supérieurs au coût moyen de sa formation.
      – s’agissant des aides et exonérations, le Conseil d’État fait plus simple encore : il rappelle que ces aides et exonérations sont possibles. Qu’elles soient distribuées ou non, qu’importe : dans les nuages de l’argumentation juridique, le réel n’a aucun intérêt.

      Il est un point, cependant, qui a moins été remarqué, et qui nous semble très important. Au détour d’une phrase de l’arrêt (§19) ainsi que dans le communiqué de presse, le Conseil d’État fait quelque chose de tout à fait inhabituel : un appel du pied au ministère, pour l’avenir. Pour le Conseil d’État, en effet, rien ne permet de dire que l’exigence constitutionnelle de « gratuité » doive bénéficier aux étudiant.es « mobilité internationale » : il n’est pas sûr, explique-t-il, que

      « les exigences découlant du treizième alinéa du Préambule de la Constitution de 1946 [puissent] être utilement invoquées au bénéfice de ces étudiants ».

      Ou comment dire au ministère qu’augmenter encore bien davantage les frais d’inscriptions de ces étudiant·es, ça se tente.

      L’#égalité_discriminatoire

      S’agissant de la seconde question juridique à trancher – l’atteinte au prinicpe d’égalité du fait de la discrimination entre une catégorie d’étudiant·es désigné.es comme « en mobilité internationale », d’une part, et le reste des étudiant·es, d’autre part –, le Conseil d’État ne s’embarrasse pas de nuances : seuls les seconds ont « vocation à être durablement établis sur le territoire national », car les premiers sont seulement « venus en France pour s’y former », sans être « appelés à contribuer à la vie économique, sociale, scientifique et culturelle de la Nation et à son développement ». Voici donc que chaque individu se voit attribuer par l’État une « vocation », à laquelle il se trouve « appelé » : ce déterminisme d’État, fondé sur l’incorporation d’individus dans telle ou telle catégorie juridique, est proprement effrayant. N’y a-t-il donc plus personne au Conseil d’État pour sonner l’alerte quant à la charge de certains mots et de certaines argumentations ? Ironie de l’histoire, la Constitution de 1946 visait justement à combattre un certain régime honni : elle semble définitivement enterrée sous les immondices qu’elle visait à déjouer.

      *

      Une chose est sûre, pour finir : avec cette décision, la boîte de Pandore est désormais ouverte, et presque tous les garde-fous sont tombés. Demain, il suffira donc d’un simple arrêté pour que les frais que l’on impose aujourd’hui aux étudiants « en mobilité internationale » soient étendus à tou.tes. Et il suffira d’une simple loi – une loi modifiant les articles L. 132-1 et L. 132-2 du code de l’éducation – pour que l’on institue des frais du même ordre aux élèves de l’enseignement primaire et de l’enseignement secondaire.

      Bref, le Conseil constitutionnel et le Conseil d’État, dans un impressionnant pas de deux, ont tué l’alinéa 13 du préambule de 1946. Et ils l’ont tué par un simple jeu d’interprétations.

      https://academia.hypotheses.org/25122

  • « Augmentation des frais d’inscription des étudiants étrangers : c’est l’avenir de notre modèle social qui est en jeu »

    La décision prochaine du Conseil d’Etat sur l’augmentation des droits d’inscription pour les non-Européens est cruciale, estiment les économistes David Flacher et Hugo Harari-Kermadec dans une tribune au « Monde », car elle marquera la poursuite ou l’arrêt d’une politique de « marchandisation délétère ».

    L’enseignement supérieur global est en crise. En Australie, le pays le plus inséré dans le marché international de l’enseignement supérieur, les universités prévoient de perdre jusqu’à la moitié de leurs recettes. A l’échelle nationale, la perte de tout ou partie des 25 milliards d’euros qui rentraient en Australie grâce à l’accueil d’étudiants étrangers (le troisième secteur à l’export) pourrait déstabiliser toute l’économie du pays.

    Aux Etats-Unis, les pertes de recettes en 2020-2021 pourraient représenter 20 milliards d’euros, selon l’American Council on Education (une association de l’enseignement supérieur). Au Royaume-Uni, les pertes envisagées sont de l’ordre de 2,8 milliards d’euros. Cambridge a récemment annoncé que ses programmes de licence seront intégralement enseignés à distance, mais cette mise en ligne est coûteuse et ne pourra être assumée que par une petite minorité d’établissements.
    Fort endettement étudiant

    Si la pandémie a frappé une économie mondiale déjà bien mal en point, l’enseignement supérieur « payant » est particulièrement touché : les échanges internationaux d’étudiants – les plus profitables – sont en berne et la fermeture des campus réduit fortement l’attractivité de diplômes hors de prix. Expérience étudiante sur le campus et contenus pédagogiques ne peuvent plus justifier (si tant est qu’ils l’aient pu) des droits de scolarité pouvant atteindre 70 000 dollars (62 000 euros) par an. Les procès se multiplient aux Etats-Unis, intentés par des étudiants cherchant à récupérer une partie des sommes versées pour cette année. Plus proche de nous, les écoles de commerce françaises ont été obligées de recourir au chômage partiel pour encaisser le choc.

    Perspectives d’emploi catastrophiques

    On aurait tort de reprocher aux étudiants de négocier leurs frais d’inscription : les perspectives d’emploi sont catastrophiques, le taux de chômage atteignant des niveaux inédits outre-Atlantique. L’endettement étudiant, qui se monte en moyenne à 32 000 euros aux Etats-unis et 60 000 euros en Angleterre, assombrit un futur professionnel déjà peu amène, et pèse sur les revenus des diplômés pendant vingt ans en moyenne. A l’échelle macroéconomique, l’endettement étudiant total dépasse 1 300 milliards d’euros aux Etats-Unis, 133 milliards d’euros au Royaume-Uni.

    Le
    modèle des universités payantes fait donc
    les frais d’une politique délétère en période
    « normale », et carrément mortifère en ces
    temps agités. C’est pourtant ce modèle que
    le gouvernement français et ses conseillers
    essayent de promouvoir depuis 2018.
    En France, les prochaines semaines seront
    déterminantes pour l’avenir de notre modèle
    social. La décision attendue du Conseil
    d’Etat [qui examine depuis vendredi 12 juin
    le recours des organisations contre l’augmentation
    des droits d’inscription pour les
    étrangers extraeuropéens]
    représentera un
    soulagement doublé d’une révolution ou,
    au contraire, la porte ouverte à une descente
    progressive aux enfers pour de nombreuses
    familles.

    De quoi s’agitil
     ? Alors que le plan Bienvenue
    en France (annoncé le 19 avril 2019) prévoyait
    une forte augmentation des droits de
    scolarité pour les étudiants extraeuropéens
    (2 770 euros en licence et 3 770 euros
    en master, contre 170 et 243 euros), un ensemble
    d’organisations a obtenu que le Conseil
    constitutionnel soit saisi. Ce dernier a
    rendu une décision le 11 octobre 2019 selon
    laquelle « l’exigence constitutionnelle de gratuité
    s’applique à l’enseignement supérieur
    public » tout en considérant que « cette exigence
    [de gratuité] ne fait pas obstacle, pour
    ce degré d’enseignement, à ce que des droits
    d’inscription modiques soient perçus en tenant
    compte, le cas échéant, des capacités financières
    des étudiants ».

    Basculer du bon côté, celui de la gratuité

    Le Conseil d’Etat doit désormais interpréter
    cette décision en précisant ce que « modique
     » signifie. Si cette notion a vraisemblablement
    été introduite pour préserver les
    droits d’inscription habituels (170 et
    243 euros), certains comptent bien s’engouffrer
    dans la brèche. Les enjeux sont
    d’une ampleur inédite : pourraton
    discriminer
    les populations étrangères en leur
    faisant payer des tarifs plus élevés au motif
    qu’elles ne seraient pas contribuables fiscaux
    de leur pays d’accueil ? Le Conseil
    d’Etat pourra garder à l’esprit que ces étudiants
    nous arrivent formés aux frais de
    leur pays d’origine, et qu’ils rapportent, par
    les taxes qu’ils payent, bien plus qu’ils ne
    coûtent (le solde est positif de 1,65 milliard
    d’euros). Seratil
    mis un terme aux velléités
    d’élargissement des droits d’inscription à
    tous les étudiants et à des niveaux de tarification
    toujours plus élevés ? La note d’un
    conseiller du candidat Emmanuel Macron,
    annonçait l’objectif : 4 000 euros en licence,
    8 000 euros en master, jusqu’à 20 000 euros
    par an dans certaines formations.

    Pour basculer du côté de la gratuité de l’enseignement
    supérieur, plutôt que de celui
    de sa délétère marchandisation, il faudrait
    que le Conseil d’Etat retienne une notion de
    modicité cohérente avec la jurisprudence :
    le juriste Yann Bisiou indique ainsi qu’une
    « somme modique est une somme d’un montant
    très faible, qui n’a pas d’incidence sur
    la situation économique du débiteur ; elle est
    anecdotique. Pour les personnes physiques,
    elle est de l’ordre de quelques dizaines
    d’euros, rarement plus d’une centaine, jamais
    plusieurs milliers ». Le Conseil d’Etat
    préféreratil
    les arguments fallacieux de
    ceux qui tremblent dans l’attente de cette
    décision car ils ont augmenté leurs droits
    de scolarité au point d’en dépendre furieusement
     : Sciences Po (14 500 euros par an
    pour le master), Dauphine (6 500 euros en
    master), Polytechnique (15 500 euros pour le
    bachelor), etc.
    Si le Conseil d’Etat venait à respecter le cadre
    fixé par le Conseil constitutionnel, c’est
    l’ensemble de leur modèle qui serait remis
    en cause et c’est un retour à un véritable service
    public de l’éducation auquel nous assisterions.
    Une révolution indéniablement salutaire,
    qui appellerait des assises de l’enseignement
    supérieur. Après un Ségur de la
    santé, c’est à un « Descartes de l’enseignement
    supérieur » qu’il faudrait s’attendre,
    celui d’une refondation autour d’un accès
    gratuit à l’éducation de toutes et tous, sans
    discrimination.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/06/18/augmentation-des-frais-d-inscription-des-etudiants-etrangers-c-est-l-avenir-

    #rebelote
    #taxes_universitaires #France #éducation #université #études_supérieures #frais_d'inscription

    voir aussi cette métaliste :
    https://seenthis.net/messages/739889

    • #Rebelote pour le projet d’#augmentation des #frais_d'inscription à l’#université en #France (arrrghhh).

      Ici une vidéo d’explication d’un avocat du SAF (syndicat des avocat·es de France) :

      #Juan_Prosper : le combat contre « #Bienvenue_en_France » continue !

      « A partir du moment où les digues tombent, où on explique que 2770 euros c’est parfait pour un·e étudiant·e étrangèr·es, on pourra très certainement revenir plus tard en nous disant que si c’est parfait pour un·e étrangèr·es, on peut aussi l’appliquer pour un·e étudiant·e français·e, alors même que le principe du financement d’un service public, du financement de l’enseignement supérieur, repose sur l’impôt. »

      « Si on considère qu’il y a un principe de gratuité, que c’est un service public, ce n’est pas pas à l’usagèr·es de financer le fonctionnement du service public. »

      https://www.youtube.com/watch?v=lsfdzYkSgkc&feature=youtu.be

    • La bombe de la dette étudiante a-t-elle explosé ?

      Tribune de David Flacher et Hugo Harari-Kermadec parue dans Le Monde du 18 juin 2020 sous le titre « Augmentation des frais d’inscription des étudiants étrangers : c’est l’avenir de notre modèle social qui est en jeu » (https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/06/18/augmentation-des-frais-d-inscription-des-etudiants-etrangers-c-est-l-avenir-)

      La décision prochaine du Conseil d’Etat sur l’augmentation des #droits_d’inscription pour les non-Européens est cruciale, estiment les économistes David Flacher et Hugo Harari-Kermadec dans une tribune au « Monde », car elle marquera la poursuite ou l’arrêt d’une politique de « #marchandisation délétère ».

      L’enseignement supérieur global est en crise. En Australie, le pays le plus inséré dans le marché international de l’enseignement supérieur, les universités prévoient de perdre jusqu’à la moitié de leurs recettes. A l’échelle nationale, la perte de tout ou partie des 25 milliards d’euros qui rentraient en Australie grâce à l’accueil d’étudiants étrangers (le 3e secteur à l’export) pourrait déstabiliser toute l’économie du pays. Aux États-Unis, les pertes de recettes en 2020-2021 pourraient représenter 20 milliards d’euros selon l’American council on education. Au Royaume-Uni, les pertes envisagées sont de l’ordre de 2,8 milliards d’euros. Si Cambridge a récemment annoncé que ses programmes de licence seront intégralement enseignés à distance, cette mise en ligne est coûteuse et ne pourra être assumée que par une petite minorité d’établissements.

      Si la pandémie a frappé une économie mondiale déjà bien mal en point, l’enseignement supérieur « payant » est particulièrement touché : les échanges internationaux d’étudiant-es – les plus profitables – sont en berne, en même temps que la fermeture des campus réduit fortement l’#attractivité de diplômes hors de prix. L’expérience étudiante sur le campus et le contenu pédagogique ne peuvent plus justifier – si tant est qu’ils l’aient pu – jusque 70 000 dollars de #frais_de_scolarité par an. Les #procès se multiplient aux États-Unis, les étudiants cherchant à récupérer une partie des sommes versées pour cette année. Plus proche de nous, les #écoles_de_commerce françaises ont été obligées de recourir au #chômage_partiel pour encaisser le choc.

      On aurait tort de reprocher aux étudiants de négocier leurs #frais_d’inscription : les perspectives d’emploi sont catastrophiques. Le chômage atteignant des niveaux inédits outre atlantique. L’#endettement étudiant, qui atteint en moyenne 32 000 € aux Etats-unis et 60 000 € en Angleterre, assombrit un futur professionnel déjà peu amène, et pèse sur les revenus des diplômés pendant 20 ans en moyenne. A l’échelle macroéconomique, l’#endettement_étudiant total dépasse 1 300 milliards d’euros aux Etats-Unis, 133 milliards d’euros au Royaume-Uni.

      Le modèle des universités payantes fait donc les frais d’une politique délétère en période « normale » et carrément mortifère en ces temps agités. C’est pourtant ce modèle que le gouvernement français et ses conseillers essayent de promouvoir depuis 2018.

      En France, les prochains jours seront déterminants pour l’avenir de notre modèle social. La décision attendue de la part du Conseil d’État représentera un soulagement doublé d’une révolution ou, au contraire, la porte ouverte à une descente progressive aux enfers pour de nombreuses familles.

      De quoi s’agit-il ? Alors que le plan « Bienvenue en France » (annoncé le 19 avril 2019) prévoyait une forte augmentation des droits de scolarité pour les étudiants extra-européens (2770 euros en licence et 3770 euros en master, contre respectivement 170 et 243 euros), un ensemble d’organisations a obtenu la saisie du #Conseil_constitutionnel. Ce dernier a rendu une décision le 11 octobre 2019 selon laquelle « l’exigence constitutionnelle de #gratuité s’applique à l’#enseignement_supérieur_public » tout en considérant que « Cette exigence [de gratuité] ne fait pas obstacle, pour ce degré d’enseignement, à ce que des droits d’inscription modiques soient perçus en tenant compte, le cas échéant, des capacités financières des étudiants. ».

      Le dernier round a eu lieu le 12 juin : le Conseil d’État doit désormais interpréter cette décision en précisant ce que « #modique » signifie. Si cette notion a vraisemblablement été introduite pour préserver les droits d’inscription usuels (170 et 243 euros), certains comptent bien s’engouffrer dans la brèche.

      Les enjeux sont d’une ampleur inédite : pourra-t-on discriminer les populations étrangères en leur faisant payer des tarifs plus élevés au motif qu’ils ne seraient pas contribuables fiscaux de leur pays d’accueil ? Le Conseil d’État pourra garder à l’esprit que ces étudiants nous arrivent, formé aux frais de leurs pays d’origine, et qu’ils rapportent, par les taxes qu’ils payent, bien plus qu’ils ne coûtent (le solde est positif de 1,65 milliards). Sera-t-il mis un terme aux velléités d’élargissement des frais d’inscription à tous les étudiants et à des niveaux de tarification toujours plus élevé ? La note d’un conseiller du candidat Emmanuel Macron annonce l’objectif : 4000 euros en licence, 8000 euros en master et jusqu’à 20000 euros par an dans certaines formations. Pour basculer du bon côté, celui de la gratuité de l’enseignement supérieur, plutôt que de celui de sa délétère marchandisation, il faudrait que le Conseil d’État retienne une notion de modicité cohérente avec la #jurisprudence : le juriste Yann Bisiou indique ainsi qu’une : « somme modique est une somme d’un montant très faible, qui n’a pas d’incidence sur la situation économique du débiteur ; elle est anecdotique. Pour les personnes physiques, elle est de l’ordre de quelques dizaines d’euros, rarement plus d’une centaine, jamais plusieurs milliers ». Le Conseil d’État préfèrera-t-il des arguments fallacieux de ceux qui tremblent dans l’attente de cette décision pour avoir augmenté leur frais de scolarité au point d’en dépendre furieusement : Sciences Po (14 500 € par an), Dauphine (6500 € en master), CentraleSupélec (3500 €), Polytechnique (15 500 € pour la Bachelor), etc. Si le #Conseil_d’État venait à respecter le cadre fixé par le Conseil constitutionnel, c’est l’ensemble de leur modèle qui serait remis en cause et c’est un retour à un véritable #service_public de l’éducation auquel nous assisterions. Une révolution en somme, indéniablement salutaire, qui appellerait des assises de l’enseignement supérieur. Après un Grenelle de l’environnement, un Ségur de la santé, c’est à un « Descartes de l’enseignement supérieur » qu’il faudrait s’attendre, celui d’une refondation autour d’un accès gratuit à l’éducation de toutes et tous, sans discrimination.

      https://acides.hypotheses.org/2446

  • #Actu_Coronavirus – 15 mai
    https://www.les-crises.fr/actu-coronavirus-15-mai

    Ce fil d’actualités comprend des informations provenant de trois sources : Les Lives #Covid-19 du Figaro, de 20 minutes et le compte Twitter @Conflits_FR. 15 mai 21h Les Etats-Unis vont fournir des respirateurs artificiels à l’#Inde afin de les aider dans leur lutte contre le #coronavirus. Les #USA assurent coopérer avec le pays dirigé par #Modi dans la recherche pour un #vaccin. (Donald #Trump sur Twitter) #COVIDー19 19h30Lire la suite

    #Revue_de_Presse #SRAS-2 #Revue_de_Presse,_Actu_Coronavirus,_Covid-19,_SRAS-2

  • Les très graves ratés de l’expérience chinoise des « bébés CRISPR »
    http://theconversation.com/les-tres-graves-rates-de-lexperience-chinoise-des-bebes-crispr-1287

    L’annonce de la naissance en Chine de Lulu et Nana, des jumelles dont le génome a été modifié en utilisant la technologie de l’édition du génome CRISPR/Cas9, a choqué le monde entier l’année dernière. Une année après cette annonce, Jiankui He, le scientifique chinois a l’origine de la naissance de ces bébés génétiquement modifies, a été condamné à trois ans de prison ferme et 380 000 euros d’amendes pour la pratique illégale de la médecine.

    https://seenthis.net/messages/814993

    #CRISPR #Hubris_scientifique #Génomique #Modification_génétique

  • Des mutations inquiétantes sur les bébés chinois génétiquement modifiés par CRISPR - UP’ Magazine
    https://up-magazine.info/index.php/le-vivant/innovations-vertes/28764-des-mutations-inquietantes-sur-les-bebes-chinois-genetiquement-m

    Les jumelles chinoises nées l’an dernier d’embryons génétiquement modifiés par les ciseaux moléculaires « CRISPR » ont probablement des mutations imprévues dans leur génome à la suite de cette manipulation. C’est un journaliste américain qui révèle cette information ce 3 décembre après avoir obtenu une version non publiée de l’étude détaillant l’expérience.

    L’annonce avait choqué le monde en novembre 2018 : le scientifique He Jiankui avait révélé à Hong Kong qu’il avait modifié des embryons, dans le cadre d’une fécondation in vitro pour un couple, afin de tenter de créer une mutation de leurs génomes qui leur conférerait une immunité naturelle contre le virus du sida au cours de leur vie. Cette nouvelle avait provoqué un tollé car la procédure employée n’avait aucune justification médicale, présentait de graves dangers pour la santé et contrevenait aux règles éthiques les plus élémentaires.

    LIRE DANS UP : Les Chinois auraient mis au monde deux bébés génétiquement modifiés par CRISPR

    Des jumelles étaient nées, nommées Lulu et Nana, mais elles et leurs parents sont restés anonymes, et on ignore totalement ce qu’elles sont devenues.

    L’expérience d’He Jiankui avait vivement été condamnée par la communauté scientifique internationale et les autorités de son pays, et l’affaire avait relancé les appels à une interdiction des « bébés Crispr ».
    Le manuscrit de l’étude révélé

    Un journaliste de la MIT Technology Review a reçu le manuscrit de l’étude que He Jiankui a tenté de faire publier par des revues scientifiques prestigieuses, et qui détaille sa méthode et ses résultats. Mais le texte de l’étude confirme ce que beaucoup d’experts suspectaient : selon des généticiens interrogés, il ne montre en réalité pas que la mutation tentée, sur une partie du gène CCR5, a effectivement réussi. L’étude affirme que la mutation accomplie est « similaire » à celle qui confère l’immunité, et non identique.
    Des conséquences imprévisibles

    En outre, des données incluses en annexe montrent que les jumelles ont subi des mutations ailleurs dans leur génome, et probablement différentes d’une cellule à l’autre, ce qui rend les conséquences imprévisibles.

    « CRISPR » est une technique révolutionnaire de modification du génome inventée en 2012, bien plus simple et facile d’utilisation que les technologies existantes. Mais les ciseaux coupent souvent à côté de l’endroit ciblé, et les généticiens répètent que la technologie est encore loin d’être parfaite pour être utilisée à des fins thérapeutiques.

    « Il y a énormément de problèmes dans l’affaire des jumelles CRISPR. Tous les principes éthiques établis ont été violés, mais il y a aussi un grand problème scientifique : il n’a pas contrôlé ce que CRISPR faisait, et cela a créé plein de conséquences imprévues », a dit le professeur de génétique Kiran Musunuru, de l’université de Pennsylvanie, dans un entretien récent à l’AFP.

    Dans la MIT Technology Review, le généticien Fyodor Urnov déclare : « La recherche était toutefois incomplète et le manuscrit passe sous silence un point clé : les cellules prélevées sur les embryons au stade précoce pour les tester n’ont pas réellement contribué aux corps des jumeaux. Les cellules restantes, celles qui se multiplieraient et se développeraient pour devenir les jumeaux, auraient pu aussi avoir des effets hors cible, mais il n’y aurait eu aucun moyen de le savoir avant le début de la grossesse. » Il ajoute : « Une déformation flagrante des données réelles qui ne peut, encore une fois, être décrite que comme un mensonge flagrant. Il est techniquement impossible de déterminer si un embryon modifié « n’a présenté aucune mutation hors cible » sans détruire cet embryon en inspectant chacune de ses cellules. Il s’agit d’un problème clé pour l’ensemble du domaine de l’édition d’embryons, un problème que les auteurs balaient sous le tapis ici. »

    #CRISPR #Hubris_scientifique #Génomique #Modification_génétique

  • The Gates Foundation shouldn’t legitimise Narendra Modi | Gloria Steinem and Akeel Bilgrami | Opinion | The Guardian
    https://www.theguardian.com/theguardian/commentisfree/2019/sep/24/narendra-modi-gates-foundation-award-donald-trump

    The Gates Foundation has announced it is bestowing a prestigious annual award on prime minister Narendra Modi of India. And in advance of the UN general assembly meeting in New York, Donald Trump flew down to Houston, Texas, to welcome him at an event charmingly dubbed the “Howdy Modi” rally.

    #FBMG #Inde #Modi #récompense

    • Sangita Vyas, a research fellow at the Rice Institute, said: “For Swachh Bharat to have made huge progress, they would have needed to address caste hierarchies and beliefs in purity and pollution. We found that it seems to have exacerbated caste hierarchies. Sanitation is used as a method for elite groups to suppress marginalised communities.”

      Concerns were also raised in a report last year by the UN special rapporteur for safe drinking water and sanitation, Leo Heller. “As an unintended consequence of the desire to obtain rewards, including the title of ‘open-defecation free’, some aggressive and abusive practices seem to have emerged,” he wrote.

      Heller reported that “individuals defecating in the open are being shamed, harassed, attacked or otherwise penalised,” and that accused open defecators faced being denied food rations, or having their electricity disconnected.

      Heller also noted the Indian government “recognised the existence of abuse associated with the Clean India mission implementation and issued at least two advisories to all states underlining that such practices must stop”.

      Despite rapid economic strides in past decades, India has lagged behind other countries on sanitation. Academics have argued that the practice of open defecation has survived because cleaning toilets is considered low-caste work.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/sep/30/narendra-modi-to-face-down-critics-by-hailing-clean-india-scheme-a-succ

      #assainissement #toilettes ou pas #répression

  • Comment la France a effacé la dette fiscale d’un industriel indien associé de #Dassault
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2019/04/13/comment-la-france-a-efface-la-dette-fiscale-d-un-industriel-indien-associe-d

    L’homme au cœur de « l’affaire Rafale », qui agite l’Inde depuis des mois, est un puissant industriel indien, dont la fortune est estimée à 1,9 milliard de dollars (1,68 milliard d’euros) par le magazine Forbes.

    [...]

    Selon les informations du Monde, la France a annulé un redressement fiscal d’un montant global de 143,7 millions d’euros , pourtant réclamé depuis des années, en faveur d’une entreprise française appartenant au groupe Reliance Communications d’Anil Ambani. Le litige a été réglé entre février et octobre 2015, au moment même où l’Inde et la France négociaient la vente des trente-six avions de combat.

    Que s’est-il passé cette année-là ? L’entreprise française Reliance Flag Atlantic France, détenue par Anil Ambani, connaît à cette période de gros soucis financiers. Sa solvabilité est menacée par une importante dette fiscale . Cette société fournit des services de télécommunications, en exploitant, notamment avec d’autres sociétés du groupe Reliance, un câble sous-marin de télécommunication transatlantique entre l’Europe et les Etats-Unis, et elle réalise un chiffre d’affaires de 60,6 millions d’euros sur l’exercice fiscal clos au 31 mars 2014.

    #Modi #Hollande #Macron #association_de_malfaiteurs

  • #Burkina : controverse autour de #moustiques #OGM contre le #paludisme
    http://www.burkinaonline.com/wp/burkina-controverse-autour-de-moustiques-ogm-contre-le-paludisme

    Le Collectif citoyen pour l’agro-écologie, regroupant une soixantaine d’organisations, est radicalement contre le projet, estimant que « le risque zéro n’existe pas, surtout avec des manipulations génétiques ».

    « Le lâcher des moustiques génétiquement modifiés comporte un risque de catastrophe #sanitaire effroyable. La modification du #génome d’une espèce vivante peut entraîner un changement de comportement de cette espèce. La #technologie à laquelle #TargetMalaria veut in fine arriver est un forçage #génétique qui va amener les moustiques à disséminer un trait de caractère qui va descendre et contaminer toute la descendance de l’espèce ».

  • Un businessman de 70 ans à la tête d’un réseau criminel wallon en lien avec la mafia Charlotte Legrand - 29 Avril 2018 -RTBF
    https://www.rtbf.be/info/societe/detail_un-businessman-de-70-ans-a-la-tete-d-un-reseau-criminel-wallon-en-lien-a

    Cette semaine, 290 policiers ont mené des perquisitions dans le Hainaut, mais aussi à Namur, Liège et dans le Luxembourg. Ils sont parvenus à démanteler une organisation criminelle de grande ampleur, active dans le trafic de stupéfiants, de faux billets, la traite des êtres humains, le blanchiment, la fraude douanière.

    Des liens ont été établis avec des organisations mafieuses. Les Albanais contrôlaient les plantations de cannabis, la #mafia italienne fournissait les faux billets. On sait désormais qui était à la tête de ce réseau.

    Parcours particulier
    Selon des informations recueillies à très bonne source, il s’agit de Francis Leclaire. Il habite à Obigies, dans l’entité de Pecq, près de Tournai.
    L’homme est âgé d’une septantaine d’années et il a un parcours très étonnant puisqu’il débute comme coiffeur, il se spécialise dans les perruques puis, première reconversion, Francis Leclaire se tourne vers le secteur textile dans les années 70.
    Il est d’abord simple importateur de T-shirts asiatiques, puis fabrique ses propres textiles. Et il connait une ascension fulgurante. Il devient PDG de plusieurs usines. #Modibel, à Leuze en Hainaut. #Texim à Mouscron, une usine qu’il déplace à Roubaix. Là bas, on fabrique pour #Carrefour - la marque #TEX, #Promod, #Pimkie, #Decathon mais aussi Lee Cooper, Sonia Rykiel…
    Fin des années 90, Francis Leclaire passe pour un pionnier dans le renouveau du #textile. C’est un visionnaire qui parvient à fabriquer plus vite qu’en Inde ou en Asie.

    La famille interpellée
    Mais, quelques années plus tard, l’homme d’affaires entame une deuxième reconversion. Dans des business beaucoup plus occultes. Les sociétés qu’il avait fondées dans le secteur textile sont aujourd’hui soit en faillite, soit revendues. Francis Leclaire est soupçonné d’avoir tiré les ficelles d’un véritable réseau en lien avec les mafias albanaise et italienne.
    Quatre membres de sa famille, son épouse, ses enfants et son beau-fils ont été arrêtés lors du vaste coup de filet de la semaine dernière. Au total, 11 personnes sont sous les verrous. L’enquête se poursuit.
    Nous avons tenté de joindre Francis Leclaire, via des membres de sa famille, pour recueillir sa réaction ou celle de son avocat. Sans succès.

    #Roubaix #Patronat #Patronat_du_nord #mulliez

  • An Algorithm to More Accurately Classify Land Cover Using Landsat Imagery ~ GIS Lounge
    https://www.gislounge.com/algorithm-accurately-classify-land-cover-landsat-imagery

    Classification of multispectral and hyperspectral data has increasingly become important to detecting land use change. While many algorithms and approaches exist for such classification, improving classification techniques using widely available data such as Landsat #satellite data has largely stalled in recent years.

    Recently, Hankui Zhang, from South Dakota State University, has developed a new classification technique that used a large number of images from MODIS, which has 500-meter resolution, and Landsat (30-meter) resolution together. Overall, three years of data were gathered from the Landsat 5, Landsat 7, and #MODIS programs. The research focused on the area covering 20 and 50 degrees north latitude mostly in North America. A future aim is to use the Sentinel 2 series and combine that data to then also obtain a global 30-meter resolution classification. The algorithm can be obtained using an FTP server after obtaining a username and password from Zhang.[1]

    #algorithmes #cartographie #couverture_des_sols

  • Inde : Narendra Modi essuie un premier orage d’impopularité | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/international/141017/inde-narendra-modi-essuie-un-premier-orage-dimpopularite?onglet=full

    Jeudi 12 octobre, c’est la Haute Cour de Bombay qui s’en est pris à Modi, lui reprochant de rester silencieux face à « la dangereuse tendance » actuelle de l’Inde à faire « payer de leur vie » les voix dissidentes. Une allusion au meurtre de plusieurs personnalités libertaires ou communistes, dont celui début septembre, à Bangalore, de Gauri Lankesh, une grande figure du journalisme engagé et de la lutte contre l’extrême droite. « Les valeurs, les principes et les opinions favorables aux libertés individuelles ne sont plus respectés, ont déclaré les juges, certains sont encore assez intrépides pour exprimer leur point de vue mais ils ne sont pas libres de leurs mouvements et risquent d’être pris pour cible à tout moment. »

    #Inde #Modi #Neo-fascisme