• Crimes of Solidarity and Humanitarianism

    https://www.crimesofsolidarity.org
    #délit_de_solidarité #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #database #données #statistiques #chiffres #cartographie #monde #base_de_données #asile #migrations #réfugiés #visualisation

    La base données n’a pas l’air d’être vraiment à jour et fiable, mais l’approche est intéressante, ce qui est évident en regardant la carte pour France/Italie :

  • La rose kenyane face aux nouveaux défis de la mondialisation

    Le secteur des roses coupées est une composante majeure de l’insertion du Kenya dans la mondialisation des échanges. Cette production intensive sous serre, née de l’investissement de capitaux étrangers, tente de s’adapter aux évolutions récentes de l’économie globale et de tirer parti des nouvelles opportunités qu’offre ce marché. Les recompositions productives à l’œuvre concernent en premier lieu la diversification variétale et la montée en gamme de la production du cluster kenyan. Elles révèlent également de nouvelles interactions entre les producteurs et les obtenteurs. Par ailleurs, ce modèle productif fondé sur l’#exportation doit aujourd’hui faire face à de nouveaux défis en lien avec l’affirmation, au sein des principaux pays importateurs, d’un #capitalisme_d’attention centré sur les problématiques éthiques et environnementales. Ce contexte incite les producteurs kenyans à réduire leur dépendance historique vis-à-vis de l’#Europe et en particulier des #Pays-Bas en misant sur de nouvelles modalités de mise en marché et en diversifiant leurs débouchés commerciaux.

    https://journals.openedition.org/belgeo/54897

    #rose #fleur #Kenya #mondialisation #globalisation #ressources_pédagogiques #éthique #commerce

    • Une lecture géographique du voyage de la rose kenyane : de l’éclatement de la chaîne d’approvisionnement aux innovations logistiques

      La #rosiculture et sa #commercialisation à l’échelle internationale stimulent l’#innovation_logistique et révèlent des #interdépendances anciennes entre #floriculture, #transport et #logistique. L’objectif de cet article est de montrer, à travers la chaîne d’approvisionnement de la rose coupée commercialisée en Europe, que les exigences de la filière induisent des bouleversements et des innovations dans la chaîne logistique associée. Celles-ci ont un caractère profondément spatial qui justifie une analyse géographique de l’évolution de la chaîne d’approvisionnement : les imbrications entre floriculture et logistique produisent des effets de proximité puis de distance, de changement d’échelle, mais également des effets de concentration spatiale, de géophagie, de fluidité, ou encore d’imperméabilité. Ces recompositions spatiales se lisent à la fois à l’échelle de la chaîne d’approvisionnement dans son intégralité, des serres aux marchés de consommation, qu’à celle des lieux, des nœuds qui la composent : le pack house à la ferme, l’#aéroport Jomo Kenyatta de Nairobi ou encore le complexe logistique articulé entre l’aéroport d’#Amsterdam-Schiphol et les enchères de #Royal_Flora_Holland à Aalsmeer.

      https://journals.openedition.org/belgeo/54992

  • Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

    #blé #prix #Ukraine #Russie #guerre_en_Ukraine #guerre_globale_du_blé #produits_essentiels #ressources_pédagogiques #Etats-Unis #USA #Inde #instabilité #marché #inflation #céréales #indice_alimentaire #spéculation #globalisation #mondialisation #production #Afrique #production_agricole #malnutrition #excédent #industrie_agro-alimentaire #agrobusiness #faim #famine #Ethiopie #Arabie_Saoudite #land_grabbing #accaparemment_des_terres #Soudan #Egypte #Corée_du_Sud #exportation #aide_alimentaire #Angola #alimentation #multinationales #pays_du_Golfe #Mali #Madagascar #Ghana #fonds_souverains #sanctions #marchés_financiers #ports #Odessa #Mikolaiv #Mariupol #assurance #élevage #sanctions #dépendance_énergétique #énergie #ouragan_de_faim #dépendance #Turquie #Liban #pac #politique_agricole_commune #EU #UE #Europe #France #Maroc #Algérie

  • #Mondial_2022 : Comment le #Qatar a manipulé l’Organisation Internationale du travail
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/mondial-2022-comment-le-qatar-a-manipule-lorganisation-internationale-du-

    Le 28 juin 2022, Abdoullah Zouhair sortait de l’anonymat. Dans une vidéo pour Blast, ce haut fonctionnaire international et expert du droit du travail au Qatar racontait comment l’Organisation Internationale du Travail avait accompagné l’émirat dans la…

    #Football #OIT
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-mondial-2022-comment-le-qatar-a-manipule-lorganis

  • La (re)localisation du monde

    Et si le monde d’après-Covid était en gestation depuis plusieurs années déjà ? Si le phénomène actuel de #relocalisation ne datait pas de mars 2020, mais plutôt des années 2010 ? C’est la thèse de cet essai original et accessible, qui décrit le monde qui vient et ses acteurs, en s’appuyant sur une riche infographie et cartographie.

    Car notre monde globalisé est en train de s’éteindre au profit d’un monde localisé, suscité par trois révolutions. La première est industrielle : la robotique et le numérique sont entrés dans nos usines, les rendant capables de produire à la demande et à des coûts similaires à ceux des pays émergents. La deuxième est énergétique : l’essor exponentiel des renouvelables multiplie les sources locales d’énergie. La troisième concerne les #ressources : de plus en plus réemployées, elles offrent des matières premières de #proximité.

    Ce monde plus durable, fondé sur des grandes aires de production régionales, redessine les rapports de force économiques et géopolitiques, faisant apparaître de nouveaux maîtres du jeu. En se basant sur des données économiques internationales et de nombreux entretiens, Cyrille P. Coutansais rend compte de cette fascinante mutation de nos #systèmes_productifs, de nos #modes_de_vie et de #consommation.

    https://www.youtube.com/watch?time_continue=35&v=kINvJ2i9j7E&feature=emb_logo

    https://www.cnrseditions.fr/catalogue/relations-internationales/la-relocalisation-du-monde

    #relocalisation #globalisation #mondialisation
    #livre #géographie #ressources_pédagogiques

  • Nous pouvons (et devons) stopper la crise sur les marchés internationaux – Fondation FARM
    https://fondation-farm.org/crise-alimentaire-securite-mondiale

    Bien sûr, la guerre en Ukraine n’a rien arrangé. Cette région du monde (Ukraine + Russie) produit une part significative du blé et du maïs exporté sur les marchés internationaux (environ 20%) et il en est de même pour les huiles végétales (notamment celle de tournesol) et pour les engrais azotés. Pour l’instant, ce n’est pas tant la production qui est compromise que les exportations (qui se faisaient traditionnellement par les ports de la mer Noire).
    Mais l’essentiel de la hausse des prix s’est produit avant la guerre en Ukraine. Et il ne s’agit pas là d’un détail. Car si les prix alimentaires, notamment ceux du maïs, du blé et des huiles végétales, ont fortement augmenté depuis la mi-2020, c’est parce qu’ils ont été entraînés à la hausse par le prix des énergies fossiles (pétrole et gaz naturel). Ce qui est en cause, c’est donc notre modèle de production agricole basé sur l’utilisation intense de ces énergies : intrants chimiques (notamment les engrais azotés fabriqués avec du gaz naturel), mécanisation, transport à grande distance. Ce qui est en cause, c’est surtout notre utilisation massive de produits alimentaires pour fabriquer du carburant, surtout aux Etats-Unis (maïs) et dans l’Union européenne (colza). Une utilisation qui lie très fortement le prix des céréales (maïs et blé) et des huiles végétales aux prix des énergies fossiles.
    Alors bien sûr la guerre en Ukraine a prolongé et amplifié la crise mais lui en attribuer l’entière responsabilité est factuellement inexact. Nous (Européens et Américains du nord) avons aussi notre (grande) part de responsabilité et il nous revient de l’assumer.

    #marchés_céréales #crise_ukraine #biocarburant

  • « Personne ne veut vraiment que les entreprises soient responsables »

    Pourquoi les #tribunaux_internationaux ont été si impuissants à poursuivre les #hommes_d'affaires ? Pourquoi le #droit_international a protégé les entreprises de toute responsabilité dans les #crimes_internationaux ? Poursuivre un #PDG serait-il assez subversif ou ne serait-ce qu’un changement cosmétique ? Et si le droit international avait en fait entravé les efforts nationaux pour tenir les entreprises responsables ? Avec audace, les professeurs de droit #Joanna_Kyriakakis et #Mark_Drumbl tentent d’analyser pourquoi si peu a été accompli sur la responsabilité des acteurs économiques.


    https://www.justiceinfo.net/fr/93596-personne-veut-vraiment-entreprises-responsables.html
    #globalisation #responsabilité #mondialisation #entreprises #impunité #justice #justice_internationale

  • Le système alimentaire mondial menace de s’effondrer

    Aux mains de quelques #multinationales et très liée au secteur financier, l’#industrie_agroalimentaire fonctionne en #flux_tendu. Ce qui rend la #production mondiale très vulnérable aux #chocs politiques et climatiques, met en garde l’éditorialiste britannique George Monbiot.

    Depuis quelques années, les scientifiques s’évertuent à alerter les gouvernements, qui font la sourde oreille : le #système_alimentaire_mondial ressemble de plus en plus au système financier mondial à l’approche de 2008.

    Si l’#effondrement de la finance aurait été catastrophique pour le bien-être humain, les conséquences d’un effondrement du #système_alimentaire sont inimaginables. Or les signes inquiétants se multiplient rapidement. La flambée actuelle des #prix des #aliments a tout l’air du dernier indice en date de l’#instabilité_systémique.

    Une alimentation hors de #prix

    Nombreux sont ceux qui supposent que cette crise est la conséquence de la #pandémie, associée à l’#invasion de l’Ukraine. Ces deux facteurs sont cruciaux, mais ils aggravent un problème sous-jacent. Pendant des années, la #faim dans le monde a semblé en voie de disparition. Le nombre de personnes sous-alimentées a chuté de 811 millions en 2005 à 607 millions en 2014. Mais la tendance s’est inversée à partir de 2015, et depuis [selon l’ONU] la faim progresse : elle concernait 650 millions de personnes en 2019 et elle a de nouveau touché 811 millions de personnes en 2020. L’année 2022 s’annonce pire encore.

    Préparez-vous maintenant à une nouvelle bien plus terrible : ce phénomène s’inscrit dans une période de grande #abondance. La #production_alimentaire mondiale est en hausse régulière depuis plus de cinquante ans, à un rythme nettement plus soutenu que la #croissance_démographique. En 2021, la #récolte mondiale de #blé a battu des records. Contre toute attente, plus d’humains ont souffert de #sous-alimentation à mesure que les prix alimentaires mondiaux ont commencé à baisser. En 2014, quand le nombre de #mal_nourris était à son niveau le plus bas, l’indice des #prix_alimentaires [de la FAO] était à 115 points ; il est tombé à 93 en 2015 et il est resté en deçà de 100 jusqu’en 2021.

    Cet indice n’a connu un pic que ces deux dernières années. La flambée des prix alimentaires est maintenant l’un des principaux facteurs de l’#inflation, qui a atteint 9 % au Royaume-Uni en avril 2022 [5,4 % en France pour l’indice harmonisé]. L’alimentation devient hors de prix pour beaucoup d’habitants dans les pays riches ; l’impact dans les pays pauvres est beaucoup plus grave.

    L’#interdépendance rend le système fragile

    Alors, que se passe-t-il ? À l’échelle mondiale, l’alimentation, tout comme la finance, est un système complexe qui évolue spontanément en fonction de milliards d’interactions. Les systèmes complexes ont des fonctionnements contre-intuitifs. Ils tiennent bon dans certains contextes grâce à des caractéristiques d’auto-organisation qui les stabilisent. Mais à mesure que les pressions s’accentuent, ces mêmes caractéristiques infligent des chocs qui se propagent dans tout le réseau. Au bout d’un moment, une perturbation même modeste peut faire basculer l’ensemble au-delà du point de non-retour, provoquant un effondrement brutal et irrésistible.

    Les scientifiques représentent les #systèmes_complexes sous la forme d’un maillage de noeuds et de liens. Les noeuds ressemblent à ceux des filets de pêche ; les liens sont les fils qui les connectent les uns aux autres. Dans le système alimentaire, les noeuds sont les entreprises qui vendent et achètent des céréales, des semences, des produits chimiques agricoles, mais aussi les grands exportateurs et importateurs, et les ports par lesquels les aliments transitent. Les liens sont leurs relations commerciales et institutionnelles.

    Si certains noeuds deviennent prépondérants, fonctionnent tous pareil et sont étroitement liés, alors il est probable que le système soit fragile. À l’approche de la crise de 2008, les grandes banques concevaient les mêmes stratégies et géraient le risque de la même manière, car elles courraient après les mêmes sources de profit. Elles sont devenues extrêmement interdépendantes et les gendarmes financiers comprenaient mal ces liens. Quand [la banque d’affaires] Lehman Brothers a déposé le bilan, elle a failli entraîner tout le monde dans sa chute.

    Quatre groupes contrôlent 90 % du commerce céréalier

    Voici ce qui donne des sueurs froides aux analystes du système alimentaire mondial. Ces dernières années, tout comme dans la finance au début des années 2000, les principaux noeuds du système alimentaire ont gonflé, leurs liens se sont resserrés, les stratégies commerciales ont convergé et se sont synchronisées, et les facteurs susceptibles d’empêcher un #effondrement_systémique (la #redondance, la #modularité, les #disjoncteurs, les #systèmes_auxiliaires) ont été éliminés, ce qui expose le système à des #chocs pouvant entraîner une contagion mondiale.

    Selon une estimation, quatre grands groupes seulement contrôlent 90 % du #commerce_céréalier mondial [#Archer_Daniels_Midland (#ADM), #Bunge, #Cargill et #Louis_Dreyfus]. Ces mêmes entreprises investissent dans les secteurs des #semences, des #produits_chimiques, de la #transformation, du #conditionnement, de la #distribution et de la #vente au détail. Les pays se divisent maintenant en deux catégories : les #super-importateurs et les #super-exportateurs. L’essentiel de ce #commerce_international transite par des goulets d’étranglement vulnérables, comme les détroits turcs (aujourd’hui bloqués par l’invasion russe de l’Ukraine), les canaux de Suez et de Panama, et les détroits d’Ormuz, de Bab El-Mandeb et de Malacca.

    L’une des transitions culturelles les plus rapides dans l’histoire de l’humanité est la convergence vers un #régime_alimentaire standard mondial. Au niveau local, notre alimentation s’est diversifiée mais on peut faire un constat inverse au niveau mondial. Quatre plantes seulement - le #blé, le #riz, le #maïs et le #soja - correspondent à près de 60 % des calories cultivées sur les exploitations. La production est aujourd’hui extrêmement concentrée dans quelques pays, notamment la #Russie et l’#Ukraine. Ce #régime_alimentaire_standard_mondial est cultivé par la #ferme_mondiale_standard, avec les mêmes #semences, #engrais et #machines fournis par le même petit groupe d’entreprises, l’ensemble étant vulnérable aux mêmes chocs environnementaux.

    Des bouleversements environnementaux et politiques

    L’industrie agroalimentaire est étroitement associée au #secteur_financier, ce qui la rend d’autant plus sensible aux échecs en cascade. Partout dans le monde, les #barrières_commerciales ont été levées, les #routes et #ports modernisés, ce qui a optimisé l’ensemble du réseau mondial. On pourrait croire que ce système fluide améliore la #sécurité_alimentaire, mais il a permis aux entreprises d’éliminer des coûts liés aux #entrepôts et #stocks, et de passer à une logique de flux. Dans l’ensemble, cette stratégie du flux tendu fonctionne, mais si les livraisons sont interrompues ou s’il y a un pic soudain de la demande, les rayons peuvent se vider brusquement.

    Aujourd’hui, le système alimentaire mondial doit survive non seulement à ses fragilités inhérentes, mais aussi aux bouleversements environnementaux et politiques susceptibles de s’influencer les uns les autres. Prenons un exemple récent. À la mi-avril, le gouvernement indien a laissé entendre que son pays pourrait compenser la baisse des exportations alimentaires mondiales provoquée par l’invasion russe de l’Ukraine. Un mois plus tard, il interdisait les exportations de blé, car les récoltes avaient énormément souffert d’une #canicule dévastatrice.

    Nous devons de toute urgence diversifier la production alimentaire mondiale, sur le plan géographique mais aussi en matière de cultures et de #techniques_agricoles. Nous devons briser l’#emprise des #multinationales et des spéculateurs. Nous devons prévoir des plans B et produire notre #nourriture autrement. Nous devons donner de la marge à un système menacé par sa propre #efficacité.

    Si tant d’êtres humains ne mangent pas à leur faim dans une période d’abondance inédite, les conséquences de récoltes catastrophiques que pourrait entraîner l’effondrement environnemental dépassent l’entendement. C’est le système qu’il faut changer.

    https://www.courrierinternational.com/article/crise-le-systeme-alimentaire-mondial-menace-de-s-effondrer

    #alimentation #vulnérabilité #fragilité #diversification #globalisation #mondialisation #spéculation

  • OMC : Accord conclu sur la pêche, les levées des brevets sur les vaccins Covid et la sécurité alimentaire Le figaro
    https://www.lefigaro.fr/flash-eco/omc-accord-conclu-sur-la-peche-les-levees-des-brevets-sur-les-vaccins-covid

    Après plusieurs journées de tractations intenses, marqués l’intransigeance de l’Inde sur plusieurs textes, les négociateurs ont fini par s’entendre sur tous ces sujets.
    La ministérielle de l’Organisation mondiale du commerce (OMC) a annoncé avoir approuvé vendredi 17 juin à Genève des accords « historiques » sur la pêche, la levée des brevets anti-Covid et l’insécurité alimentaire. C’est « un ensemble de résultats sans précédent. Il y a longtemps que l’OMC n’avait pas obtenu un nombre aussi important de résultats multilatéraux. Les résultats démontrent que l’OMC est capable de répondre aux urgences de notre époque » , a déclaré la directrice de l’OMC Ngozi Okonjo-Iweala, devant les chefs de délégation des 164 pays membres de l’organisation.


    La conférence avait pour ambition non seulement de s’attaquer à l’insécurité alimentaire créée par la Russie, mais elle voulait aussi supprimer des subventions qui facilitent la surpêche et vident les océans, lever temporairement les brevets qui protègent les vaccins anti-Covid ou encore réformer l’OMC elle-même. Après plusieurs journées de tractations intenses, marqués par de nombreuses incertitudes et l’intransigeance de l’Inde sur plusieurs textes, les négociateurs ont fini par s’entendre sur tous ces sujets, a annoncé le Président de la Conférence ministérielle Timur Suleimenov, chef de cabinet adjoint du président du Kazakhstan.

    L’OMC n’a toutefois pas publié dans l’immédiat les textes finaux. La ministérielle a duré pratiquement 36 heures de plus que prévu. C’est finalement aux alentours de 03H00 GMT que la directrice générale a abattu le marteau qui marque l’adoption formelle des textes.

    Insécurité alimentaire
    Le texte sur l’insécurité alimentaire était très attendu, bien qu’il ne s’agisse que d’une déclaration ministérielle. La guerre menée par les Russes prive le monde de céréales et d’engrais, fait flamber les prix et menace de faim des millions de gens dans le monde. Le document adopté souligne l’importance « de ne pas imposer de prohibitions ou de restrictions à l’exportation » qui soient contraires aux règles de l’OMC. Il demande que toutes mesures d’urgence introduites pour répondre à des préoccupations en matière de sécurité alimentaire, comme un gel des exportations, « soient temporaires, ciblées et transparentes » , et soient notifiées à l’OMC. Un second texte protège les achats de nourriture du Programme alimentaire mondial de restrictions qui pourraient être imposées par certains pays.

    Pêche miraculeuse
    Jusqu’à pratiquement la dernière minute, l’accord sur la pêche est resté incertain, et même si le texte est édulcoré par rapport aux ambitions initiales, Ngozi Okonjo-Iweala n’a pas moins revendiqué un succès. C’était l’un des sujets phares de cette ministérielle. Les négociations sur le sujet ont été lancées il y a plus de 20 ans et s’inscrivent dans les objectifs du développement durable de l’ONU. Il s’agit en particulier d’interdire certaines formes de subventions qui peuvent encourager les prélèvements illégaux. Pour aider les pays en développement, l’OMC veut mettre en place un fonds permettant d’apporter une assistance technique et renforcer leurs capacités afin que ces pays puissent mettre en œuvre l’accord et aider leurs pêcheurs à se tourner vers une pêche plus durable.

    Propriété intellectuelle
    Après deux ans et demi de lutte contre la pandémie de Covid-19 les États membres ont réussi à s’accorder vendredi sur la facilitation du commerce des biens médicaux nécessaires à la lutte contre les pandémies. Un sujet d’importance pour éviter que le commerce des ingrédients et matériels ne soit restreint au moment ou on en a le plus besoin. La levée temporaire des brevets protégeant les vaccins anti-Covid destinés aux pays en développement a également été adoptée. Ce sujet a fait l’objet d’âpres batailles entre le lobby pharmaceutique, des pays en développement et de nombreuses ONG. L’idée est de faciliter la production de sérum. Les États membres ont aussi reconduit le moratoire sur les transactions électroniques, malgré les réticences de l’Inde et de l’Afrique du Sud, qui regrettent de voir une potentielle douanière de ces échanges leur échapper.

    #omc #vaccins #médicaments #covid #brevets_pharmaceutiques #propriété_intellectuelle #pêche #tafta #libre-échange #ue #mondialisation #multinationales #commerce #coronavirus

  • R. Sciortino, S. Cacciari – Punti di condensazione. La guerra, i media e il «secondo populismo»
    https://kamomodena.noblogs.org/2022/06/07/r-sciortino-s-cacciari-punti-di-condensazione-la-guerra-i-media-

    I feticisti dello spurio e dell’ambivalenza a tutti i costi, così come chi considera il “casino” una maledizione esclusiva di questa fase storica e di questa composizione di classe, se ne stiano a distanza: non siamo noi quello che fa per voi. Non c’è da scandalizzarsi, né da applaudire. Davanti alla realtà concreta, la critica morale di ciò che non si conforma a quello che vorremmo e l’elogio di quello che ancora non c’è portano a ben poco. Occorre, invece, analisi concreta. Come ci stiamo dentro a questa realtà – nello specifico alla guerra, che sta informando il prossimo futuro? Quali lenti e strumenti dobbiamo usare, e quali buttare via? Che uso ne facciamo delle faglie, delle contraddizioni, delle ambiguità che ci stanno intorno e ci determinano? La domanda è politica, non analitica.

    #Ucraina #globalizzazione #Ukraine #mondialisation

  • fil photos de Gabriele Galimberti : “The Ameriguns” où des "vrais gens" comme on dit à la TV se mettent en scène avec leurs flingues.

    Joey R Johnson 👨‍👨‍👦🏳️‍🌈 sur Twitter : “Parker, 33, his wife, Jalyn, 29, and their children in Poseyville, Indiana. Parker is the local pastor. https://t.co/eMT62hfa3E” / Twitter
    https://twitter.com/Johnson__joey/status/1530500001402609665

  • Vaccin anti-Covid : le favori Novavax arrivé trop tard
    https://www.lemonde.fr/sciences/article/2022/05/17/vaccin-anti-covid-le-favori-novavax-arrive-trop-tard_6126414_1650684.html

    Vaccin anti-Covid : le favori Novavax arrivé trop tard
    Sa formulation était censée rassurer les réfractaires à l’ARN et son développement avait bénéficié d’un vaste financement public visant un accès équitable pour les pays du Sud. Mais la demande s’est tarie…
    Par Lise Barnéoud
    Cela devait être la belle histoire de la pandémie. Un vaccin efficace, sûr, mais surtout accessible en masse, et en priorité aux plus démunis. « Si l’immunologie a raison, le vaccin de Novavax est le meilleur », soutient Stéphane Paul, du comité scientifique sur les vaccins Covid. Avec un taux de protection établi à plus de 90 %, il se hisse en effet parmi les meilleurs produits et un « booster Omicron » est à l’essai. Autre atout : il ne contient pas d’ARN mais uniquement des protéines du virus, fabriquées en laboratoire dans des cellules d’insectes. Un procédé déjà utilisé dans certains vaccins (hépatite B, papillomavirus), susceptible de rassurer une partie de la population inquiétée par le caractère novateur de la technologie à ARN messager. En outre, ce vaccin peut se conserver pendant neuf mois au réfrigérateur (entre 2 °C et 8 °C), bien plus pratique que les – 15 °C nécessaires aux produits ARN.
    Autant d’avantages qui transforment rapidement ce candidat en grand favori de la Coalition pour les innovations en matière de préparation aux épidémies (CEPI). Au printemps 2020, cette alliance public-privé dont l’objectif est de garantir un accès équitable aux vaccins avait octroyé 365 millions d’euros à la société Novavax, qui n’avait encore développé aucun produit depuis sa création, en 1987. C’est la plus grosse dotation de la CEPI durant la pandémie. « L’accès équitable signifie que le candidat-vaccin est d’abord disponible pour les populations à risque, quand et où il est nécessaire, à des prix abordables », peut-on lire dans le contrat qui lie Novavax et la CEPI.Quelques mois plus tard, la biotech du Maryland signe un partenariat avec le plus grand fabricant de vaccins au monde : le Serum Institute of India (SII). Et, en février 2021, l’Alliance globale pour les vaccins et l’immunisation (GAVI) passe commande pour le compte de Covax, le dispositif international mis en place pour assurer une répartition des vaccins contre le Covid-19 dans le monde. Le volume préacheté s’élève d’abord à 350 millions de doses, bientôt porté à 1,1 milliard grâce à un autre accord entre la GAVI et le SII. L’Europe est plus timide : elle ne signe un accord d’achat anticipé qu’en août 2021, pour un volume allant jusqu’à 200 millions de doses, l’un des plus petits contrats sur les huit signés par la Commission européenne (finalement, 69 millions de doses ont réellement été commandées).Premier grain de sable de cette success story : l’entreprise rencontre des problèmes de mise en production qui retardent les homologations. Il faut attendre le 1er novembre 2021 pour que l’Indonésie délivre la toute première autorisation. Les Philippines suivent. Puis, le 17 décembre, l’Organisation mondiale de la santé délivre sa neuvième autorisation d’utilisation d’urgence en faveur de Covovax, le nom donné au vaccin de Novavax produit sous licence et commercialisé par SII. Trois jours plus tard, c’est au tour de l’Agence européenne des médicaments d’accorder une cinquième autorisation de mise sur le marché conditionnelle, pour Nuvaxovid. Le nom diffère, mais c’est le même produit, fabriqué au même endroit (au moins jusqu’à ce que les usines européennes puissent prendre le relais). Seule différence : c’est Novavax qui commercialise Nuvaxovid, dont le prix (environ 20 euros la dose) est 6 à 7 fois plus cher que Covovax.
    La suite ressemble à une grande dégringolade. Alors que les livraisons étaient au départ annoncées pour le troisième trimestre 2021, avec un accès prioritaire pour Covax, en mai 2022, aucune dose n’a encore été livrée grâce à ce dispositif. Les seules exportations rapportées par le ministère des affaires étrangères indiennes sont pour l’Indonésie (9 millions de doses en achat direct), la Thaïlande (2 millions de doses achetées par l’alliance Quad, qui rassemble les Etats-Unis, l’Inde, l’Australie et le Japon) et… les pays riches. Parmi eux : l’Australie (9,3 millions de doses), la Nouvelle-Zélande (250 000 doses) et l’Europe. D’après les données indiennes, 45 millions de doses auraient d’ores et déjà été livrées sur le Vieux Continent. Le Centre européen de prévention et de contrôle des maladies (ECDC) recense, quant à lui, 13 millions de doses de Nuvaxovid réceptionnées. L’Autriche a récupéré 3,1 millions de doses, de quoi couvrir 18 % de sa population ! Deuxième pays bénéficiaire : la France, avec 2,6 millions de doses reçues, majoritairement envoyées dans les départements et collectivités d’outre-mer pour « lever les réticences vis-à-vis des vaccins à ARNm ». Raté. « Les chiffres d’utilisation sont tellement minces que c’est difficile de les récupérer », s’excuse presque l’ARS de Guadeloupe, qui comptabilise à peine 300 injections sur les 20 000 doses reçues. Bref, ce vaccin vient gonfler les stocks déjà impressionnants des pays riches.
    « Encore une fois, Covax arrive en queue du peloton, alors que des accords d’approvisionnement énormes ont été passés, avec des engagements en faveur d’un accès équitable », dénonce Antoine de Bengy Puyvallée, du centre pour le développement et l’environnement de l’université d’Oslo, auteur de plusieurs articles sur la distribution des vaccins durant la pandémie. « Nous sommes, bien sûr, déçus que les premiers approvisionnements ne soient pas encore arrivés à Covax, mais nous reconnaissons la valeur pour la santé de chaque dose que Novavax livre au monde », réagit, de son côté, la CEPI.
    La réalité, c’est qu’aucun pays bénéficiaire de Covax n’a, pour l’heure, fait une demande de Covovax. Pourtant, dans la liste d’attribution des doses du premier trimestre 2022, huit pays apparaissaient intéressés par ce nouveau vaccin. Sauf que cette liste ne reflète pas les demandes des pays : « Ces allocations ont été faites sur la base de l’offre disponible », reconnaît la GAVI. Or, « plusieurs pays à qui nous avions alloué des doses de Covovax ont par la suite décliné l’offre ». Le Zimbabwe, qui figurait dans cette liste, dit n’avoir même pas été mis au courant de cette proposition, qui n’aurait de toute façon « aucune base légale, car [le pays] n’[a] pas enregistré ce vaccin », fait savoir son ministère de la santé.Dans la nouvelle liste d’attribution Covax qui couvre la période d’avril à septembre 2022, cinq nouveaux pays apparaissent intéressés par Covovax, pour un total de 12,8 millions de doses, soit 1 % de ce qui était prévu. Parmi ces doses, 4 millions sont allouées au Pakistan. Sauf que, là encore, « ces allocations sont offertes au pays mais peuvent être refusées », explique Rana Muhammad Safdar, le directeur général des services de santé du Pakistan, qui précise que son pays a déjà « suffisamment de doses pour répondre aux besoins de 2022, [il] n’[a] pas besoin de nouveaux vaccins pour le moment ». Les nouvelles offres de Covax pourraient donc, elles aussi, ne pas trouver preneurs. « C’est tout à fait contradictoire avec la politique de la GAVI énoncée au début de l’année, qui était de laisser les pays récipiendaires décider, réagit Antoine de Bengy Puyvallée. Qui a vraiment bénéficié des trois vaccins financés par la CEPI et autorisés aujourd’hui ? Pour AstraZeneca, ce sont avant tout les Indiens, à cause des restrictions d’exportation. La production de Moderna a été en grande partie dirigée vers les pays riches en 2021, et il semble que Novavax fait de même pour l’instant. »Actuellement, 100 millions de doses de Covovax sont stockées dans les locaux du SII. « Nous sommes prêts à livrer Covax pour atteindre notre objectif commun : rendre disponible notre vaccin là où il y en a le plus besoin », fait savoir Novavax. « Nous attendons toujours la commande pour livrer aux pays Covax », affirme le fabricant indien, qui produit désormais le Novavax « uniquement sur commande » et qui a arrêté sa production d’AstraZeneca faute de demande. Aspen, la compagnie sud-africaine qui produit le vaccin de Johnson & Johnson, est également en phase d’arrêt pour les mêmes raisons. « Les pays africains ont, pour la plupart, des stocks issus des donations bilatérales et le besoin d’en commander, alors que l’épidémie est en baisse presque partout, n’y est plus », explique Yap Boum, représentant pour l’Afrique d’Epicentre, le centre de recherche en épidémiologie de Médecins sans frontières. « Novavax est arrivé trop tard, analyse Zain Rizvi, spécialiste des questions relatives à l’accès aux médicaments au sein de l’association Public Citizen. C’est difficile de savoir qui blâmer ici, mais c’est clairement un investissement gâché. »
    Enquête réalisée avec Rahul Rajput, au Pakistan, et l’équipe du projet #Followthedoses financé par Investigative Journalism for Europe (IJ4EU).

    #Covid-19#migrant#migration#sante#monde#vaccin#COVAX#circulationtherapeutique#afrique#GAVI

  • Ceci est une plante
    https://metropolitiques.eu/Ceci-est-une-plante.html

    Proposant une « histoire environnementale de l’art », Estelle Zhong Mengual tente de modifier notre culture visuelle des paysages ; elle scrute la présence d’êtres et de milieux vivants sur certains tableaux emblématiques de ce genre pictural. Selon les époques et donc les regards, une œuvre d’art n’est pas vue et interprétée de la même façon. Une #peinture de #paysage pourra être appréciée pour son esthétisme, commentée pour sa composition, analysée selon les motifs et les symboles, voire les messages #Commentaires

    / #arts, paysage, peinture, #écologie, #vivant

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_metzger.pdf

    • Une forêt ? Un paysage charmant. Un corbeau ? Un sinistre présage. Une rose ? L’être aimé. Le #monde_vivant est à la fois omniprésent dans notre culture et décidément absent. Car percevoir le vivant comme un décor, un symbole ou un support de nos émotions sont autant de manières de ne pas le voir. Et si nous apprenions à voir le vivant autrement ? Si nous entrions dans un monde réanimé, repeuplé par les points de vue d’autres êtres que nous ? Ce livre se propose d’équiper notre oeil pour saisir le vivant autour de nous comme foisonnant d’histoires immémoriales, de relations invisibles et de significations insoupçonnées. Sur le chemin de cette métamorphose, nous avons pour guides celles et ceux qui ont passé leur vie à apprendre à voir le vivant dans son abondance de signes et de sens : des artistes peintres et des femmes naturalistes du XIXe siècle anglais et américain. Le livre enquête sur leurs arts de l’attention, différents mais complémentaires, qui ont su tisser ensemble savoirs et sensibilité. À travers cette exploration, c’est une autre disponibilité au monde qui fait surface.
      Chaque jour est une occasion inouïe et renouvelée d’apprendre à voir.


      https://www.actes-sud.fr/catalogue/nature-et-environnement/apprendre-voir
      #livre #absence #nature #présence #regarde #peintres #art

  • Une femme autour du #monde
    http://carfree.fr/index.php/2022/05/06/une-femme-autour-du-monde

    Annie Cohen Kopchovsky dite Annie Londonderry (1870–1947) est une aventurière américaine et la première femme à faire le tour du monde à bicyclette entre 1894 et 1895. Indépendante et émancipée, Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Vélo #boston #chicago #cyclistes #cyclotourisme #féminisme #histoire #new-york #usa

  • Que sommes-nous prêts à sacrifier pour aider les États-Unis à gagner une guerre de propagande contre Poutine ?
    https://caitlinjohnstone.com/2022/04/16/how-much-are-we-prepared-to-sacrifice-to-help-the-us-win-a-propaga

    Il y a une question très importante que nous devons tous nous poser à ce stade de l’histoire, et cette question est la suivante : que sommes-nous prêts, en tant que société, à sacrifier pour que le gouvernement américain puisse gagner une guerre de propagande contre Vladimir Poutine ?

    Laissez-moi vous expliquer.
    Un aspect très peu discuté de la dernière escalade de censure par la Silicon Valley, qui a commencé au début de la guerre en Ukraine, est le fait qu’il s’agit d’un niveau de censure sans précédent. Bien qu’elle puisse ressembler à toutes les autres vagues de purges sur les médias sociaux et aux nouvelles catégories de contenus interdits que nous connaissons depuis que la doctrine dominante, après l’élection américaine de 2016, est que les plateformes technologiques doivent réglementer strictement les discours en ligne, les justifications qui en découlent ont pris une déviation drastique par rapport aux modèles établis.


    Ce qui distingue cette nouvelle escalade de censure de ses prédécesseurs, c’est que cette fois personne ne prétend qu’elle est faite dans l’intérêt du peuple. Avec la censure des racistes, l’argument était qu’ils incitaient aux crimes haineux et au harcèlement racial. Avec la censure d’Alex Jones et de QAnon, l’argument était qu’ils incitaient à la violence. Quant à la censure des sceptiques du Covid, l’argument était qu’ils promouvaient une désinformation qui pouvait être mortelle. Même avec la censure de l’histoire de l’ordinateur portable de Hunter Biden, on a fait valoir qu’il était nécessaire de protéger l’intégrité des élections contre une désinformation d’origine potentiellement étrangère.

    Avec la censure relative à la guerre en Ukraine, il n’y a aucun d’argument pour prétendre qu’elle est faite pour aider le peuple. Rien ne prouve que le fait de laisser les gens dire des choses fausses sur cette guerre tue des Ukrainiens, des Américains ou qui que ce soit d’autre. Il n’y a aucune raison de penser que la contestation des allégations de crimes de guerre russes portera atteinte aux processus démocratiques américains. Le seul argument restant est « Nous ne pouvons pas laisser les gens dire des choses fausses sur une guerre, n’est-ce pas ? ».

    Plus d’escalade dans la censure en ligne
    « YouTube a supprimé des vidéos contestant le discours du gouvernement américain sur les crimes de guerre russes à Bucha. https://t.co/M7zupF8AMa
    Caitlin Johnstone (@caitoz) 15 avril 2022

    Demandez à un libéral au cerveau correctement lavé pourquoi il soutient la censure de quelqu’un qui conteste les récits américains sur les crimes de guerre russes à Bucha ou à Marioupol et il vous répondra probablement quelque chose comme « Eh bien, c’est de la désinformation ! » ou « Parce que c’est de la propagande ! » ou « Combien Poutine vous paie-t-il ? » . Mais ce qu’ils ne seront pas capables de faire, c’est d’articuler exactement quel préjudice spécifique est causé par un tel discours de la même manière qu’ils pouvaient défendre la censure des sceptiques du Covid ou des factions responsables de l’émeute de l’année dernière dans le bâtiment du Capitole [en référence aux partisans de Trump ayant pénétré au Capitole pour contester le résultat des élections présidentielles étasuniennes, NdT]

    Le seul argument que vous obtiendrez, si vous insistez vraiment sur la question, est que les États-Unis sont engagés dans une guerre de propagande contre la Russie et qu’il est dans l’intérêt de notre société que nos institutions médiatiques aident les États-Unis à gagner cette guerre de propagande. Une guerre froide est menée entre deux puissances nucléaires parce que la guerre chaude risquerait d’anéantir les deux nations, ce qui ne laisse d’autres formes de guerre que la guerre psychologique. Rien ne permet de dire que cette nouvelle escalade de censure sauvera des vies ou protégera des élections, mais il est possible de dire qu’elle peut contribuer à faciliter les programmes de guerre froide à long terme des États-Unis.

    Mais qu’est-ce que cela signifie exactement ? Cela signifie que si nous acceptons cet argument, nous consentons sciemment à une situation où tous les principaux médias, sites web et applications que les gens consultent pour s’informer sur le monde sont orientés non pas pour nous dire des choses vraies sur la réalité, mais pour battre Vladimir Poutine dans cette étrange guerre psychologique. Cela signifie qu’il faut abandonner toute ambition d’être une civilisation fondée sur la vérité et guidée par les faits, et accepter au contraire de devenir une civilisation fondée sur la propagande et visant à s’assurer que nous pensons tous des choses qui nuisent aux intérêts stratégiques à long terme de Moscou.

    Et c’est absolument effrayant que cette décision ait déjà été prise pour nous, sans aucune discussion publique pour savoir si oui ou non c’est le genre de société dans laquelle nous voulons vivre. Ils sont passés directement de « Nous censurons les discours pour vous protéger de la violence et des virus » à « Nous censurons les discours pour aider notre gouvernement à mener une guerre de l’information contre un adversaire étranger ». Et ce, sans la moindre hésitation.

    Ceux qui fabriquent le consentement de la population ont contribué à ouvrir la voie à cette transition en douceur avec leurs appels incessants et continus à toujours plus de censure, et depuis des années, nous voyons des signes qu’ils considèrent comme leur devoir de contribuer à faciliter une guerre de l’information contre la Russie.

    En 2018, nous avons vu un journaliste de la BBC réprimander un ancien haut fonctionnaire de la marine britannique pour avoir émis l’hypothèse que la prétendue attaque aux armes chimiques à Douma, en Syrie, était un faux-drapeau, une affirmation dont nous avons maintenant des montagnes de preuves qu’elle est probablement vraie grâce aux lanceurs d’alerte de l’Organisation pour l’interdiction des armes chimiques. La raison invoquée par la journaliste pour justifier son objection à ces commentaires est que « nous sommes dans une guerre de l’information contre la Russie » .

    « Étant donné que nous sommes dans une guerre de l’information avec la Russie sur tant de fronts, ne pensez-vous pas qu’il est peut-être déconseillé d’affirmer cela si publiquement étant donné votre position et votre profil ? Ne risquez-vous pas de brouiller les pistes ? » a demandé Annita McVeigh, de la BBC, à l’amiral Alan West après ses commentaires.

    Vous savez que vous avez des problèmes lorsque le militaire essaie de faire le travail du journaliste en posant des questions et en demandant des comptes au pouvoir… et que le journaliste essaie de l’en empêcher. « https://t.co/DVxR3JQ6S2
    Caitlin Johnstone (@caitoz) 18 avril 2018

    Nous avons vu une indication similaire dans les médias de masse quelques semaines plus tard, lors d’une interview de l’ancienne candidate du Parti vert, Jill Stein, qui a été admonestée par Chris Cuomo de CNN pour avoir souligné le fait totalement incontestable que les États-Unis sont un contrevenant extrêmement flagrant en matière d’ingérence dans les élections étrangères.

    « Vous savez, ce serait à la Russie de faire valoir cela, pas à un point de vue américain » , a déclaré Cuomo en réponse aux remarques tout à fait exactes de Stein. « Bien sûr, il y a de l’hypocrisie en jeu, beaucoup de grands acteurs étatiques différents font beaucoup de choses qu’ils ne veulent peut-être pas que les gens sachent. Mais laissons la Russie dire que les États-Unis nous ont fait ça, et voici comment ils l’ont fait, donc c’est fair-play. »

    Ce qui revient à dire : « Oubliez ce qui est factuellement vrai. Ne dites pas de choses vraies qui pourraient aider les intérêts russes. C’est le travail de la Russie. Notre travail ici sur CNN est de dire des choses qui nuisent aux intérêts russes. »

    On peut retracer la généralisation de l’idée que c’est le travail des médias occidentaux de manipuler l’information dans l’intérêt du public, plutôt que de simplement dire la vérité, à la victoire présidentielle de Donald Trump en 2016. Dans ce qui était sans doute le moment politique le plus important aux États-Unis depuis le 11 septembre et ses conséquences, ceux qui fabriquent le consentement ont décidé que l’élection de Trump n’était pas due à l’échec de la politique du statu quo, mais un échec du contrôle de l’information.

    En octobre 2020, pendant le scandale des ordinateurs portables de Hunter Biden, Stephen L Miller, du Spectator, a décrit comment le consensus s’est formé au sein de la presse grand public depuis la défaite de Clinton en 2016, selon lequel il était de leur devoir moral de cacher au public des faits qui pourraient conduire à la réélection de Trump.

    « Depuis presque quatre ans maintenant, les journalistes ont fait honte à leurs collègues et à eux-mêmes sur ce que j’appellerai le dilemme ‘mais ses emails’ », écrit Miller. « Ceux qui ont rendu compte consciencieusement de l’enquête fédérale inopportune sur le serveur privé d’Hillary Clinton et la divulgation d’informations classifiées ont été exclus et écartés de la table des journalistes cool. Le fait de se concentrer autant sur ce qui était, à l’époque, un scandale considérable, a été considéré par de nombreux médias comme une gaffe. Ils pensent que leurs amis et collègues ont contribué à placer Trump à la Maison Blanche en se concentrant sur le scandale de Clinton, alors qu’ils auraient dû mettre en avant les faiblesses de Trump. C’est une erreur qu’aucun journaliste ne veut répéter ».

    Une fois que les « journalistes » ont accepté que leur travail le plus important n’est pas de dire la vérité mais d’empêcher les gens d’avoir de mauvaises pensées sur le statu quo politique, il était inévitable qu’ils commencent à encourager avec enthousiasme une plus grande censure d’Internet. Ils considèrent que c’est leur devoir, et c’est pourquoi les principaux partisans de la censure en ligne sont maintenant des journalistes de médias grand public.

    Dénoncer Radio Sputnik. Une tâche intéressante pour un journaliste. https://t.co/JP8NNFxvI1
    Tim Shorrock (@TimothyS) 16 avril 2022

    Mais il ne devrait pas en être ainsi. Il n’y a aucune raison légitime pour que les mandataires de la Silicon Valley et du gouvernement le plus puissant de la planète censurent les gens qui ne sont pas d’accord avec ce gouvernement au sujet d’une guerre, et pourtant c’est exactement ce qui se passe, et de plus en plus. Nous devrions tous être alarmés par le fait qu’il devient de plus en plus acceptable de faire taire les gens, non pas parce qu’ils font circuler de la désinformation dangereuse, ni même parce qu’ils disent des choses qui sont fausses de quelque manière que ce soit, mais uniquement parce qu’ils disent des choses qui sapent la propagande de guerre américaine.

    Les gens devraient absolument être autorisés à dire des choses en désaccord avec l’empire le plus puissant de l’histoire à propos d’une guerre. Ils devraient même être autorisés à dire des choses effrontément fausses sur cette guerre, parce que sinon seuls les puissants seront autorisés à dire des choses effrontément fausses à son sujet.

    La liberté d’expression est importante, non pas parce qu’il est agréable de pouvoir dire ce que l’on veut, mais parce que la libre circulation des idées et des informations permet de contrôler les puissants. Elle donne aux gens la possibilité de demander des comptes aux puissants. C’est exactement pourquoi les puissants travaillent à l’éliminer.

    Nous devrions considérer comme un énorme, énorme problème le fait qu’une si grande partie du monde ait été regroupée sur ces plateformes d’expression monopolistiques géantes qui pratiquent une censure en parfait accord avec la structure de pouvoir la plus puissante du monde. C’est l’exact opposé de la mise en place d’un contrôle du pouvoir.

    Combien sommes-nous prêts, en tant que société, à abandonner pour que le gouvernement américain et ses alliés gagnent une guerre de propagande contre Poutine ? Sommes-nous prêts à nous engager à être une civilisation pour laquelle la considération première de toute donnée n’est pas de savoir si elle est vraie ou non, mais si elle contribue à saper la Russie ?

    C’est une conversation qui devrait déjà avoir lieu dans les cercles traditionnels depuis un certain temps maintenant, mais elle n’a même pas commencé. Commençons-la.

    Caitlin Johnstone 16 avril 2022

    #censure #convormisme #propagande #manipulation #médias #histoire #russie #syrie #ukraine #politique #journalisme #racisme #guerre #fake_news #facebook  #presse #silicon_valley #youtube #vérité officielle

    • Explications sur le rappel massif de chocolats provoqué par une bactérie en @israël
      Information sans rapport avec le post précédent

      Le plus grand rappel de produits de l’histoire d’Israël est en cours, car de nombreuses lignes fabriquées par son plus grand producteur de confiseries, Elite, sont soupçonnées de contenir des salmonelles.

      Au moins deux enfants et deux adultes auraient consulté un médecin pour suspicion d’intoxication aux salmonelles après le rappel de produits Strauss, la société mère d’Elite, a annoncé le rappel dimanche. Aucun cas n’a été signalé chez les personnes âgées, chez qui les conséquences graves des salmonelles sont plus probables que chez les autres, et peuvent même être mortelles.

      Le ministre de la Santé, Nitzan Horowitz, a déclaré mardi que l’incident ferait l’objet d’une enquête approfondie et que l’usine ne serait pas autorisée à reprendre ses activités avant d’avoir été entièrement désinfectée. « La chocolaterie d’Elite-Strauss ne reprendra pas sa production tant que nous n’aurons pas l’assurance qu’elle est en mesure de fabriquer des produits sains, sans danger pour les consommateurs », a déclaré M. Horowitz.

      Les produits soupçonnés d’être contaminés sont le chocolat, la crème glacée, le pudding et les biscuits. Comment une telle contamination peut-elle se produire ? Est-il certain que la consommation de chocolat contaminé rend malade ? Et quels peuvent être les effets de la salmonelle ? Le Times of Israel s’est entretenu avec le professeur Daniel Cohen de la School of Public Health de l’Université de Tel Aviv, expert en épidémiologie et en médecine préventive.

      lA SUITE https://fr.timesofisrael.com/explications-sur-le-rappel-massif-de-chocolats-provoque-par-une-ba

      #salmonelle #empoisonnement #industrie_alimentaire #confiseries #Elite-Strauss

    • Shufersal rappelle des biscuits qui contiendraient des fibres de nylon

      Cette annonce suit un autre rappel du groupe Strauss, dont certains produits auraient été contaminés par des salmonelles
      La chaîne de supermarchés Shufersal a fait savoir, dimanche, qu’elle rappelait des biscuits commercialisés sous sa propre marque en raison de soupçons sur la présence de fibre de nylon dans ses produits de boulangerie.

      La chaîne a expliqué craindre que les fibres ne soient accidentellement entrées dans les biscuits pendant le processus de production et elle a préféré rappeler les produits « par mesure de précaution ».

      Les produits en question sont les biscuits de type « petit beurre » (paquet de 500 grammes) et de type « petit beurre au chocolat » (paquet de 500 grammes), dont la date limite de consommation est comprise entre le 1er et le 23 octobre 2022.

      « Les produits présentant d’autres dates d’expiration sont parfaitement sains et ils peuvent être consommés sans inquiétude », a déclaré l’entreprise.

      Ce rappel survient après un autre rappel qui avait été lancé par le groupe Strauss, l’un des plus importants producteurs de produits alimentaires israéliens.

      Certains produits du géant alimentaire avaient été contaminés à la salmonelle. La première annonce a été faite lundi et d’autres ont été faites les jours suivants, demandant aux clients de ramener une large gamme de chocolats, gaufres, biscuits, glaces, chewing-gums et autres caramels.

      Ce rappel serait l’un des plus importants de toute l’Histoire d’Israël.

      L’usine que possède le groupe Strauss à Nof Hagalil serait à l’origine de cette contamination. Jeudi dernier, le directeur général du ministère de la Santé, Nachman Ash, a annoncé que l’usine fermerait pendant trois mois, le temps qu’une enquête soit menée et que les mesures nécessaires soient prises pour assurer la sécurité alimentaire des clients.

      Dans un rapport publié dimanche, le ministère de la Santé a critiqué Strauss pour une série d’omissions et de défaillances responsables, selon lui, de la contamination à la salmonelle dans l’usine.

      Selon le ministère de la Santé, sur 300 échantillons prélevés jusqu’à présent dans l’usine en question, une trentaine contenaient des traces de salmonelle.

      Le ministère a évoqué une série de problèmes, parmi lesquels des travaux qui sont actuellement en cours à l’usine et qui ont été entrepris sans réfléchir à leur impact sur la production, la présence de pigeons dans l’usine, susceptibles d’avoir joué un rôle dans cette contamination, l’absence d’un directeur chargé de s’assurer de la salubrité des aliments et des conditions de décongélation inadéquates pour les matières grasses utilisées dans la production de chocolat.

      Il a également noté que dimanche matin, 21 personnes en Israël avaient signalé des symptômes de salmonellose suite à la consommation de produits affectés. Le ministère a déclaré avoir pris les tests de 16 de ces personnes dans l’attente des résultats, dans les prochains jours. Il a également déclaré que seulement six de ces 21 personnes avaient nécessité un traitement médical pour leurs symptômes.

      Le ministère de la Santé a déclaré qu’il n’y avait aucun lien entre la contamination aux salmonelles à l’usine Strauss et une contamination similaire en Belgique affectant les œufs en chocolat Kinder.

      L’article gratuit : https://fr.timesofisrael.com/shufersal-rappelle-des-biscuits-qui-contiendraient-des-fibres-de-n

  • La #mondialisation urbaine au prisme des salons internationaux de l’immobilier
    https://metropolitiques.eu/La-mondialisation-urbaine-au-prisme-des-salons-internationaux-de-l-i

    Tout comme les productions audiovisuelles, les grands projets urbains doivent désormais s’exposer pour attirer des investisseurs. En ouvrant les portes du MIPIM, le livre d’Antoine Guironnet montre les ressorts de la mondialisation et de la #financiarisation de la ville. Dès les premières lignes d’Au marché des métropoles. Enquête sur le pouvoir urbain de la #finance, Antoine Guironnet nous fait pénétrer sur les lieux du MIPIM (pour Marché international des professionnels de l’immobilier), « #Terrains

    / financiarisation, finance, mondialisation, #immobilier, #métropole, #métropolisation

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_lecler.pdf

  • 5 questions à Roland Riachi. Comprendre la #dépendance_alimentaire du #monde_arabe

    Économiste et géographe, Roland Riachi s’est spécialisé dans l’économie politique, et plus particulièrement dans le domaine de l’écologie politique. Dans cet entretien, il décrypte pour nous la crise alimentaire qui touche le monde arabe en la posant comme une crise éminemment politique. Il nous invite à regarder au-delà de l’aspect agricole pour cerner les choix politiques et économiques qui sont à son origine.

    https://www.carep-paris.org/5-questions-a/5-questions-a-roland-riachi
    #agriculture #alimentation #colonialisme #céréales #autosuffisance_alimentaire #nationalisation #néolibéralisme #Egypte #Soudan #Liban #Syrie #exportation #Maghreb #crise #post-colonialisme #souveraineté_nationale #panarabisme #militarisme #paysannerie #subventions #cash_crop #devises #capitalisme #blé #valeur_ajoutée #avocats #mangues #mondialisation #globalisation #néolibéralisme_autoritaire #révolution_verte #ouverture_du_marché #programmes_d'ajustement_structurels #intensification #machinisation #exode_rural #monopole #intrants #industrie_agro-alimentaire #biotechnologie #phosphates #extractivisme #agriculture_intensive #paysans #propriété_foncière #foncier #terres #morcellement_foncier #pauvreté #marginalisation #monoculture #goût #goûts #blé_tendre #pain #couscous #aide_humanitaire #blé_dur #durum #libre-échange #nourriture #diète_néolibérale #diète_méditerranéenne #bléification #importation #santé_publique #diabète #obésité #surpoids #accaparement_des_terres #eau #MENA #FMI #banque_mondiale #projets_hydrauliques #crise_alimentaire #foreign_direct_investment #emploi #Russie #Ukraine #sécurité_alimentaire #souveraineté_alimentaire

    #ressources_pédagogiques

    ping @odilon

  • La ville #logistique : réflexions depuis l’Afrique
    https://metropolitiques.eu/La-ville-logistique-reflexions-depuis-l-Afrique.html

    À quoi peut bien ressembler une ville dédiée à la logistique en #Afrique ? Comment se connecte-t-elle aux circulations de marchandises globales ? Telles sont les questions abordées par Hélène Blaszkiewicz à partir du cas de Kasumbalesa, petite ville à cheval sur la RDC et la Zambie devenue un centre logistique majeur. « Votre colis est disponible en point relais ! » Voici un message familier et rassurant, que de nombreuses habitantes et habitants des grandes villes occidentales ont déjà reçu. Derrière #Terrains

    / logistique, Afrique, #commerce, #frontière, #pays_du_Sud, #transports

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_blaszkiewicz.pdf

  • Histoires de changements dans les villes à travers le #monde
    http://carfree.fr/index.php/2022/04/11/histoires-de-changements-dans-les-villes-a-travers-le-monde

    La recherche de nouvelles histoires à raconter ! Parcourez et complétez la carte interactive de @Car Free Megacities en version française. Partout dans le monde, des villes prennent des mesures pour Lire la suite...

    #Argumentaires #Ville_sans_voitures #alternatives #aménagement #déplacements #écologie #environnement #futur #histoire #mobilité #transports_en_commun #ville

  • How Russia’s War In Ukraine Threatens Wheat Shortages, Rising Food Prices - Bloomberg
    https://www.bloomberg.com/news/features/2022-04-05/will-russia-s-war-in-ukraine-cause-wheat-shortages-raise-food-prices-more

    Disruptions in the flows of grains and oilseeds — staples for billions of people and animals across the world — are sending prices soaring. Countries fearing potential food shortages are scrambling to find alternative suppliers and new trades are emerging.

    #ukraine_food via Filou

  • Une nouvelle résolution des Nations Unies exhorte les pays à promouvoir le #Vélo au quotidien
    http://carfree.fr/index.php/2022/03/30/une-nouvelle-resolution-des-nations-unies-exhorte-les-pays-a-promouvoir-le-v

    Selon une nouvelle résolution de l’ONU, les pays du #monde entier devraient intégrer le vélo dans les transports, améliorer la sécurité routière et promouvoir l’utilisation de la bicyclette par les Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Réchauffement_climatique #climat #cyclistes #pistes_cyclables #planète

  • Salut à toi, fan de culture et de cartes antiques.

    Aujourd’hui je te propose d’aller explorer les détails de la #carte de Fra Mauro, un #planisphère réalisé sur un #parchemin circulaire durant les années 1450 par un moine camaldule italien.
    Mesurant près de deux mètres de diamètre, sa version originale est conservée à la Biblioteca nazionale Marciana de Venise, tandis qu’une copie est exposée au #musée Galilée à Florence.
    Il est possible d’explorer en haute résolution - photos et des vidéos à l’appui - les informations textuelles et graphiques ici :

    https://mostre.museogalileo.it/framauro/en/interactive-exploration/explore.html

    La carte de Fra Mauro est considérée comme l’une des œuvres les plus importantes de l’histoire de la #cartographie, réalisée juste avant les grandes navigations des Portugais et des Espagnols. C’est donc sur les récits de voyage de Marco Polo (1254-1324) et Niccolò dè Conti (1395-1469) qu’elle s’est appuyée. Elle intègre également la géographie de Ptolémée, un astronome d’Alexandrie du 2e siècle que l’on considère comme l’un des pères de la géographie. Ses cartes précises, redécouvertes à la fin du 14e siècle, vont changer la façon de voir le #monde à l’époque.

    https://www.sciencesetavenir.fr/archeo-paleo/patrimoine/numerisee-la-somptueuse-carte-medievale-de-fra-mauro-s-explore-dans

    • J’ai mis un sacré moment à comprendre cette inversion nord-sud ! C’est en finissant par trouver la « mare mediterraneu » que ça a fait tilt ! (bon sang, la botte de l’Italie, mais elle est « à l’envers » !).

      Et oui, c’est assez bluffant comme précision, quoi que j’ignore ce que valaient les autres productions de l’époque ou un peu avant. Est-ce qu’il y a un saut qualitatif important avec cette carte ? Je ne saurais dire, n’y connaissant pas grand chose.

    • Alors en fait la réponse est un peu (beaucoup) sur le même site. Va à l’étape 5, tu va voir une frise chronologique des mappemondes de 700 et quelques jusqu’autours de 1470. Et là tu te dis que ah oui, la carte de Fra Mauro elle a quelques longueurs d’avance.

    • C’est vrai qu’il y a une sacrée différence de précision...

      A l’exception des cartes catalanes peut être. Enfin je précise, la partie ouest de l’Atlas Catalan de 1375 me parait incroyable précis aussi (pour l’époque) côté occident/Afrique du nord (A partir du moyen jusqu’à l’extrême orient tu voyais que les gars ils y allaient à l’aventure par contre...).

      Et la seule où je retrouve ce niveau de précision est le planisphère catalan de 1460...qui est aussi le seul ou je retrouve peut être un peu de Fra Mauro d’ailleurs.

      Le reste...m’impressionne beaucoup moins.

    • explication de l’orientation Sud en haut:

      The orientation of the map by Fra Mauro (active ca. 1430-ca. 1459/1464), with the south at the top, may be its most immediately striking and intriguing characteristic to the modern observer, who may find the arrangement confusing. Because we are accustomed to reading maps with the north at the top, it can be difficult at first to make sense of the relations among the land masses. Map orientation is a convention that has undergone numerous changes over the centuries. Most world maps designed between 1150 and 1500, for example, are oriented with the east at the top, both because the sun—associated in Christian cosmology with Christ—rises in the east, and because it was believed that the Garden of Eden was located in that direction.

      Still, Christian cosmology also found reason to orient maps toward the south. Eden, the Earthly Paradise, was indeed thought to be in the east, but at an unspecified location somewhere in the Southern Hemisphere, in correspondence to the Heavenly Paradise, which was held to stand at the peak of all the celestial spheres, and thus be rightly positioned at the uppermost part of cosmological diagrams. Among the world maps of Fra Mauro’s time, a Southern orientation is featured in the 1448 world map by Andreas Walsperger, in the so-called “Borgia World Map” produced during the first half of the 15th century, and in the “Zeitz World Map” from the last quarter of that century.

      A Southern orientation is also common in Medieval Islamic maps, perhaps in accordance with Aristotle’s description, in De caelo, of the Antarctic Pole as the highest point in the universe. Fra Mauro provides no explanation for the south-up orientation of his map, no doubt presuming to adopt a widely shared convention of using the Sun at its peak—the most prominent astronomical element along with the Pole Star—to precisely determine the direction of the meridian passing through the Earth’s poles.
      https://mostre.museogalileo.it/framauro/en/historical-context/the-world-map/south-up-orientation.html

    • on continue ?

      https://www.openculture.com/2022/05/how-did-cartographers-create-world-maps-before-airplanes-and-satellites

      https://invidious.fdn.fr/latest_version?id=AJBBVQrRwqo&itag=22

      Regular readers of Open Culture know a thing or two about maps if they’ve paid attention to our posts on the history of cartography, the evolution of world maps (and why they are all wrong), and the many digital collections of historical maps from all over the world. What does the seven and a half-minute video above bring to this compendium of online cartographic knowledge? A very quick survey of world map history, for one thing, with stops at many of the major historical intersections from Greek antiquity to the creation of the Catalan Atlas, an astonishing mapmaking achievement from 1375.

      The upshot is an answer to the very reasonable question, “how were (sometimes) accurate world maps created before air travel or satellites?” The explanation? A lot of history — meaning, a lot of time. Unlike innovations today, which we expect to solve problems near-immediately, the innovations in mapping technology took many centuries and required the work of thousands of travelers, geographers, cartographers, mathematicians, historians, and other scholars who built upon the work that came before. It started with speculation, myth, and pure fantasy, which is what we find in most geographies of the ancient world.

      Then came the Greek Anaximander, “the first person to publish a detailed description of the world.” He knew of three continents, Europe, Asia, and Libya (or North Africa). They fit together in a circular Earth, surrounded by a ring of ocean. “Even this,” says Jeremy Shuback, “was an incredible accomplishment, roughed out by who knows how many explorers.” Sandwiched in-between the continents are some known large bodies of water: the Mediterranean, the Black Sea, the Phasis (modern-day Rioni) and Nile Rivers. Eventually Eratosthenes discovered the Earth was spherical, but maps of a flat Earth persisted. Greek and Roman geographers consistently improved their world maps over succeeding centuries as conquerers expanded the boundaries of their empires.

      Some key moments in mapping history involve the 2nd century AD geographer and mathematician Marines of Tyre, who pioneered “equirectangular projection and invented latitude and longitude lines and mathematical geography.” This paved the way for Claudius Ptolemy’s hugely influential Geographia and the Ptolemaic maps that would eventually follow. Later Islamic cartographers “fact checked” Ptolemy, and reversed his preference for orienting North at the top in their own mappa mundi. The video quotes historian of science Sonja Brenthes in noting how Muhammad al-Idrisi’s 1154 map “served as a major tool for Italian, Dutch, and French mapmakers from the sixteenth century to the mid-eighteenth century.”

      https://invidious.fdn.fr/latest_version?id=wIIcsSMQp7Q&itag=22

      The invention of the compass was another leap forward in mapping technology, and rendered previous maps obsolete for navigation. Thus cartographers created the portolan, a nautical map mounted horizontally and meant to be viewed from any angle, with wind rose lines extending outward from a center hub. These developments bring us back to the Catalan Atlas, its extraordinary accuracy, for its time, and its extraordinary level of geographical detail: an artifact that has been called “the most complete picture of geographical knowledge as it stood in the later Middle Ages.”

      Created for Charles V of France as both a portolan and mappa mundi, its contours and points of reference were not only compiled from centuries of geographic knowledge, but also from knowledge spread around the world from the diasporic Jewish community to which the creators of the Atlas belonged. The map was most likely made by Abraham Cresques and his son Jahuda, members of the highly respected Majorcan Cartographic School, who worked under the patronage of the Portuguese. During this period (before massacres and forced conversions devastated the Jewish community of Majorca in 1391), Jewish doctors, scholars, and scribes bridged the Christian and Islamic worlds and formed networks that disseminated information through both.

      In its depiction of North Africa, for example, the Catalan Atlas shows images and descriptions of Malian ruler Mansa Musa, the Berber people, and specific cities and oases rather than the usual dragons and monsters found in other Medieval European maps — despite the cartographers’ use of the works like the Travels of John Mandeville, which contains no shortage of bizarre fiction about the region. While it might seem miraculous that humans could create increasingly accurate views of the Earth from above without flight, they did so over centuries of trial and error (and thousands of lost ships), building on the work of countless others, correcting the mistakes of the past with superior measurements, and crowdsourcing as much knowledge as they could.

      https://www.openculture.com/2022/05/how-did-cartographers-create-world-maps-before-airplanes-and-satellites

  • https://orientxxi.info/magazine/les-camps-de-regroupement-entreprise-de-destructuration-du-monde-rural-a

    Les camps de regroupement, entreprise de destructuration du monde rural algérien

    Pour empêcher les combattants indépendantistes de bénéficier du soutien des villageois pendant la guerre d’indépendance, l’armée française procède au regroupement de la population dans une opération pudiquement désignée sous le nom de « pacification ». En réalité, plus de deux millions d’Algériens ont été parqués dans des camps soumis à l’autorité militaire et qui ont déstructuré la société rurale.

    Fabien Sacriste, 25 mars 2022

    (...)