• Migranti, stop agli aerei di Sea Watch. “Ennesimo ostacolo al soccorso”

    Enac ha revocato il permesso per l’aeroporto di Lampedusa. La missione di ricognizione aree dei due velivoli #Moonbird e #Colibrì è per ora ferma. Linardi: “Gli occhi della società civile danno fastidio”. Enac: “Previsto dalle regole”.

    Bloccati gli aerei di ricognizione, Moonbird e Colibrì, dell’ong tedesca #Sea_Watch operati insieme all’organizzazione francese #Pilotes_volontaires. Ai due velivoli è stato negato per la prima volta il parcheggio all’aeroporto dell’isola di Lampedusa. L’Enac ha chiesto un permesso per operazioni speciali, un’autorizzazione che in passato non era mai servita per poter utilizzare la pista dell’aeroporto siciliano. Per ora, dunque, in attesa che la situazione si sblocchi, la missione area resta ferma.

    L’Enac contattata da Redattore sociale fa sapere di “non aver concesso l’autorizzazione ai voli Moonbird e Colibrì perché le norme nazionali, così come quelle in vigore negli altri Paesi europei, per questi aeromobili prevedono l’uso solo per le sole attività ricreative e non professionali. Nello specifico, il Colibrì non è un aeromobile certificato secondo standard di sicurezza noti , è in possesso di un permesso di volo speciale che non gode di un riconoscimento su base di reciprocità per condurre operazioni diverse da quelle sopra menzionate, tanto meno condotte in alto mare - sottolinea l’Ente -. Il velivolo, inoltre, è stato inoltre oggetto di modifiche significative di cui non abbiamo tranciabilità”.

    Per Enac le operazioni di Search And Rescue sono “operazioni professionali che nel nostro sistema richiedono un regime autorizzativo non compatibile, peraltro, con gli aeromobili di costruzione amatoriale. Di tutto ciò abbiamo dato informazioni al proprietario esercente del velivolo e all’autorità francese - precisa ancora Enac, specificando che lo stesso vale anche per Moonbird “un aereo svizzero che presenta comunque caratteristiche molto simili a quelle del Colibrì”. “L’attività Enac è finalizzata all’attuazione e al rispetto delle norme di sicurezza che regolano e disciplinano le operazioni di volo” conclude l’Ente.

    Il progetto di ricognizione civile nasce nell’aprile del 2017, per monitorare il Mediterraneo centrale e offrire supporto alle operazioni di salvataggio in mare. L’iniziativa ha il sostegno della Chiesa evangelica tedesca. Negli ultimi anni gli aeroplani delle ong, oltre a segnalare le imbarcazioni in difficoltà, hanno denunciato anche alcuni casi di naufragio. Come il 23 maggio scorso quando da un video realizzato proprio a bordo di Moonbird si vede un uomo sparire tra le onde vicine a un gommone in distress.

    Per Sea Watch il blocco dei velivoli per “complicazioni burocratiche” è l’ennesimo tentativo di ostacolare l’attività di soccorso in mare delle ong. “Le nostre operazioni aeree sono attenzionate perché gli occhi della società civile danno fastidio, sia in cielo che in mare”, sottolinea la portavoce Giorgia Linardi.

    Intanto, secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico The Guardian a inizio agosto, proprio il controllo aereo delle frontiere marittime sta diventando uno dei tasselli fondamentali della presente e futura strategia messa in campo dall’Europa per il controllo dei flussi migratori. L’agenzia europea di sorveglianza delle frontiere esterne Frontex oltre a gestire le politiche di rimpatrio degli stati membri dell’Ue è parte anche di un investimento da 103 miliardi di euro in aeromobili a pilotaggio remoto. Droni, telecamere aeree sul Mediterraneo, per controllare i confini e in teoria anche i naufragi che lì avvengono. Tuttavia alla richiesta di inviare copia delle istruzioni che gli operatori dei droni dovrebbero seguire qualora “intercettassero” un’imbarcazione in stato di pericolo, Frontex ha risposto di non poter inviare quei materiali.

    https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_stop_agli_aerei_di_sea_watch_ennesimo_ostacolo_al_soccorso
    #avions #sauvetage #mer #Méditerranée #ONG #asile #migrations #réfugiés

    Ici plus d’info sur la mission Moonbird initiée par des pilotes suisse et #Colibri initiée par des pilotes français:
    https://seenthis.net/messages/485880

    #the_end #la_fin #fin

  • JE VAIS COMMENCER ICI UN NOUVEAU FIL DE DISCUSSION, SUR LES SAUVETAGES ET LES NAUFRAGES EN MEDITERRANEE.

    CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/768421

    Ici la métaliste complète:
    https://seenthis.net/messages/706177

    ping @isskein

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    Ecco il decreto sicurezza-bis: multe per ogni migrante trasportato e per chi non rispetta le norme Sar

    Salvini si attribuisce la competenza a vietare il transito delle navi ritenute pericolose e prevede che a indagare possano essere solo le Dda. Pene più pesanti per chi aggredisce le forze dell’ordine. Il M5S: «Il ministro dell’Interno copre così il fallimento sui rimpatri».

    È un vero e proprio blitz quello con il quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini vara un #decreto_sicurezza_bis che prevede sanzioni pecuniarie pesantissime contro chi soccorrse i migranti in violazione delle norme #Sar ma soprattutto con cui attribuisce al Viminale e alle Direzione distrettuali antimafia competenze che erano del ministero dei Trasporti e delle Procure ordinarie.

    Il provvedimento consta di dodici articoli, la maggior parte dei quali dedicato ancora al contrasto dell’immigrazione clandestina. Con norme clamorose destinate a spaccare il consiglio dei ministri.
    La prima prevede sanzioni a chi «nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previste dalle Convenzioni internazionali», dunque i comportamenti che Salvini attribuisce alle navi umanitarie. Le sanzioni previste sono di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

    L’articolo numero 2 va a modificare il #Codice_della_navigazione. Salvini attribuisce al Viminale quelle che sono al momento competenze del ministero dei Trasporti, in particolare la limitazione o il divieto di transito nelle acque territoriali di navi qualora sussistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico. E, come già scritto nelle direttive fin qui emanate, Salvini ritiene che tutte le navi che trasportino migranti siano una minaccia per la sicurezza nazionale.

    Il decreto modifica anche il codice di procedura penale estendendo anche alle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina delle intercettazioni preventive. Di fatto togliendo alle Procure ordinarie la possibilità ad indagare.

    Tre milioni di euro vengono stanziati per l’impiego di poliziotti stranieri in operazioni sotto copertura contro le organizzazioni di trafficanti di uomini.

    Un altro pacchetto di norme inasprisce le sanzioni per chi devasta o danneggia nel corso di riunioni in luoghi pubblici e al contempo trasforma da sanzioni in delitti, con il conseguente inasprimento delle pene, le azioni di chi si oppone a pubblici ufficiali con qualsiasi mezzo di resistenza attiva o passiva, dagli scudi alle mazze e ai bastoni. Modifiche al codice penale aggravano il reato e dunque le sanzioni per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale soprattutto se commessi durante manifestazioni in luogo pubblico. Soppressa la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    L’articolo 7 è la norma già annunciata come «#spazzaclan» e prevede l’istituzione di un commissario straordinario con il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato delle sentenze di condanna da eseguire nei confronti di imputati liberi. Previste le assunzioni a tempo determinato di durata annuale di 800 unità .

    L’ultimo articolo infine prevede l’impiego di altri 500 militari a Napoli in occasione delle #Universiadi.

    Fonti del M5s hanno commentato: «Salvini copre così il fallimento sui rimpatri». Secondo altre fonti «c’è fortissima preoccupazione che il ministro dell’Interno si spinga sempre più su temi estremisti».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/10/news/ecco_il_decreto_sicurezza-bis_pene_piu_pesanti_per_i_trafficanti_di_uomin
    #decreto_sicurezza #décret #Italie #Salvini #migrations #réfugiés #Méditerranée #amende #sauvetage #mourir_en_mer #ONG #eaux_territoriales #eaux_internationales #frontières #militarisation_des_frontières

    • Message d’@isskein via la mailing-list Migreurop.
      Chronique 9-10 mai 2019 en Méditerranée :

      9 mai Le Mare Jonio (Mediterranea Saving Humains, RescueMed) sauve 29 passagers (1 enfant de 1 an, 3 femmes dont une enceinte) d’un bateau pneumatique endommagé dans les eaux internationales, à 40 miles des côtes libyennes. Ils demandent un port sûr au centre de coordination italien, le ministère de l’Intérieur leur enjoint de contacter les gardes-côtes libyens...

      10 mai Le Mare Ionio accoste à Lampedusa, les 29 rescapés débarquent. 20h45, la « saisie préventive » du MareJonio, réclamée depuis le matin par l’Intérieur, a été notifiée. Le capitaine Pietro Marrone et Luca Casarini, chef de mission du #Mare_Jonio, font l’objet d’une enquête pour facilitation de l’immigration clandestine

      10 mai le navire militaire italien #Cigala_Fulgosi débarque dans le port d’Augusta (Sicile) 36 migrants secourus sur une embarcation à la dérive

      10 mai Au moins 70 personnes disparues dans un naufrage au large des côtes tunisiennes

      Il n’y a aujourd’hui plus aucun navire d’ONG en Méditerranée centrale.

      Sur le #naufrage au large de la #Tunisie, v. plus ici :
      https://seenthis.net/messages/780298

    • Dl sicurezza bis, cosa prevede il decreto che introduce multe da 5.500 euro a chi salva i migranti

      Il Ministero dell’Interno nella serata del 10 maggio 2019 ha messo a punto il “decreto sicurezza bis”, che prevede multe per chi soccorre i migranti, ma non solo.

      Il decreto si compone di 12 articoli.

      Il nucleo centrale prevede l’inasprimento delle misure contro i trafficanti di esseri umani e il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione clandestina.

      Qui abbiamo spiegato cosa prevede il decreto sicurezza bis, punto per punto:
      Multe per chi soccorre i migranti

      L’articolo 1 del decreto sicurezza bis prevede che chi, nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali – con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o di quelle dello Stato di bandiera può incorrere in una “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 a 5.500 euro per ciascuno degli stranieri trasportati”.

      Nei casi “più gravi o reiterati è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerente all’attività svolta e al mezzo di trasporto utilizzato”.
      Modifiche al codice della navigazione

      L’articolo 2 del decreto sicurezza bis prevede alcune modifiche al codice della navigazione, e nello specifico viene attribuito al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e comunque in caso di violazione” di alcune delle disposizioni della Convenzione di Montego Bay.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

      All’articolo 3 il decreto sicurezza bis vuole contrastare a monte l’organizzazione dei trasporti di migranti irregolari. I reati associstende ai
      Finanziamento da 3 milioni per le forze dell’ordine

      Il decreto sicurezza bis all’articolo 4 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
      Universiadi

      Tra le novità del decreto sicurezza bis c’è l’arrivo di 500 militari in più a Napoli in vista delle Universiadi 2019.
      Inasprimento delle sanzioni per i reati di devastazione

      L’articolo 5 del decreto sicurezza bis interviene sul Tulps, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inasprendo le sanzioni conseguenti ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico.

      Inoltre, prevede espressamente l’obbligo di comunicazione immediata, non oltre le 24 ore, all’autorità di pubblica sicurezza delle generalità delle persone ospitate in alberghi o in altre strutture ricettive.

      Tutela degli operatori delle forze dell’0rdine

      L’articolo 6 del decreto sicurezza bis prevede maggiori tutele per gli operatori delle forze dell’ordine impiegati in servizio di ordine pubblico, attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose. Il decreto inoltre trasforma quelle che attualmente sono contravvenzioni in delitti e prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni.

      Ad esempio, “chiunque nel corso di manifestazioni.. per opporsi a pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.. utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.

      Ovvero, “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
      Commissario straordinario e assunzione di 800 persone

      L’articolo 8 del decreto sicurezza bis prevede l’istituzione di un commissario straordinario e l’assunzione di 800 persone con impegno di spesa per oltre 25 milioni di euro: permetterà di notificare sentenze ai condannati attualmente in libertà e garantire così l’effettività della pena. Inasprite anche le misure per chi aggredisce operatori delle forze dell’ordine.

      Il commissario straordinario, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, ha il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze di condanna divenute definitive da eseguire nei confronti di imputati liberi.

      https://www.tpi.it/2019/05/10/decreto-sicurezza-bis-cosa-prevede

    • Decreto sicurezza bis, ennesima proposta in contrasto con i principi fondamentali

      Nelle stesse ore in cui apprendevamo dell’ennesima strage avvenuta nel Mare Mediterraneo a causa delle politiche di chiusura ed esternalizzazione dell’Italia e dell’Unione europea, i mass media hanno anticipato i contenuti di un possibile nuovo decreto d’urgenza proposto dal Ministero dell’Interno che dovrebbe andare nuovamente a modificare alcune delle norme sulla disciplina dell’immigrazione in Italia.

      Il testo appare essere l’ennesimo stravolgimento dei fondamentali principi di diritto internazionale e un ulteriore contributo alla politica posta in essere da questo Governo, così come da quello precedente, finalizzata a colpire coloro, specialmente organizzazioni non governative di chiara fama, che non vollero ubbidire alla regolamentazione della salvaguardia del diritto alla vita.

      Tra esse la previsione di nuove sanzioni (ed addirittura la sospensione o la revoca della licenza alla navigazione) a carico di chi a certe condizioni ponga in essere “azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto irregolare di migranti, anche mediante il recupero delle persone”. Ovvero sanzioni per chi, nell’adempimento di un dovere etico, giuridico e sociale, salva vite umane altrimenti destinate alla morte.

      Nonostante i gravi dissidi istituzionali determinati dall’ultimo Governo Conte e dalle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, con l’attuale ipotesi di decreto legge (a cui sono evidenti a tutti la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza), si persegue pervicacemente nella strada intrapresa e, addirittura, si decide di portare la guerra agli esseri umani anche in acque internazionali sbeffeggiando le convenzioni internazionali in materia di ricerca e soccorso in mare.

      Riservandoci una compiuta analisi normativa se e quando (malauguratamente) quel testo dovesse prendere formalmente vita, riteniamo doveroso evidenziare che :

      sino ad oggi la magistratura italiana ha ritenuto che le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi private sono state svolte per adempiere a precisi obblighi internazionali e per rispondere ad evidenti condizioni di necessità

      La situazione generatasi in Libia nel corso degli ultimi anni è degenerata ulteriormente nelle ultime settimane impone di intervenire per salvare la vita dei civili e dei migranti presenti nel Paese e di interrompere le politiche di sostegno alla Libia relative alle operazioni della Guardia costiera libica

      Salvare vite in mare è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e non può e non dovrà mai essere considerato un crimine.

      Prendere posizione contro questo ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali è un dovere a cui non è più possibile sottrarsi.

      https://www.asgi.it/primo-piano/decreto-sicurezza-bis-ennesima-proposta-in-contrasto-con-i-principi-fondamental

    • Il teorema #Zuccaro sulle ong è fallito

      Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Catania, #Nunzio_Sarpietro, ha accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Durante l’operazione la nave umanitaria si era trovata a dover affrontare momenti di tensione con una motovedetta libica, che rivendicava il coordinamento delle operazioni.

      In quell’occasione gli spagnoli si erano rifiutati di consegnare ai guardacoste libici i migranti appena soccorsi e per questo, dopo essere approdati nel porto di Pozzallo, erano stati accusati di diversi reati e la loro nave era stata sequestrata. Con l’archiviazione di questa inchiesta, cade uno degli ultimi pilastri del cosiddetto “teorema Zuccaro”, la tesi sostenuta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro secondo cui ci sarebbero stati dei contatti tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani. Resta aperta, invece, l’inchiesta della procura di Ragusa contro Reig e Montes Mier accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata per lo stesso caso. Rimane aperta anche l’inchiesta della procura di Trapani contro la nave Iuventa dell’ong Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017. Il gip dovrebbe decidere l’eventuale rinvio a giudizio nelle prossime settimane.

      “Siamo felici di apprendere che un ulteriore passo verso la verità è stato fatto”, ha commentato l’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms in un comunicato. “Ribadiamo di aver sempre operato nel rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto del mare e che continueremo a farlo mossi da un unico obiettivo: difendere la vita e i diritti delle persone più vulnerabili”. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro chiarisce di non aver ancora preso visione delle motivazioni che hanno spinto la stessa procura di Catania a chiedere l’archiviazione. “Dal 3 maggio 2019 sapevamo però che il gip aveva archiviato questa indagine”, conferma Lo Faro.

      Già nel marzo del 2018 lo stesso gip Sarpietro aveva confermato il sequestro della nave, ma aveva escluso il reato di associazione a delinquere contro il capitano Marc Reig e la coordinatrice dei soccorsi Anabel Montes Mier, lasciando in piedi invece l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Questo elemento aveva fatto decadere la competenza territoriale del tribunale di Catania che ha una specifica autorità per i reati associativi e aveva fatto intervenire il tribunale di Ragusa, che deve ancora esprimersi in merito all’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.

      In questo caso giudiziario è stata particolarmente importate la decisione del gip di Ragusa nell’aprile del 2018 di dissequestrare la nave, ferma nel porto di Pozzallo per un mese dopo il salvataggio. Nel decreto di dissequestro infatti il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo aveva riconosciuto lo stato di necessità nel quale era avvenuto il salvataggio e aveva inoltre stabilito che la Libia non è un posto sicuro in cui portare le persone soccorse in mare. Il giudice Giampiccolo ha riconosciuto che la Libia è “un luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti e stupri e lavori forzati)”.

      “Quella decisione ha fatto scuola”, sottolinea l’avvocata Lo Faro. Da quel momento infatti non sono stati più disposti sequestri preventivi, ma solo sequestri probatori.

      Le indagini della procura di Catania
      Una figura centrale in questa vicenda è stato il procuratore generale di Catania Carmelo Zuccaro, alla guida della procura della città siciliana dal 2016. Dopo aver annunciato l’apertura di un fascicolo d’indagine conoscitivo sull’attività di queste organizzazioni, nella primavera del 2017 aveva rilasciato numerose interviste ai mezzi d’informazione italiani e stranieri. Il 22 marzo 2017 il pm era anche intervenuto in un’audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen dichiarando di aver aperto delle indagini sui profitti delle ong e affermando di ritenere sospetto il “proliferare così intenso di queste unità navali”.

      “Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali siano i canali di finanziamento”. In quell’occasione aggiungeva di trovare “anomalo” che le navi non approdassero nel porto più vicino, bensì nei porti italiani, e sosteneva che ci fosse un rapporto tra la presenza delle navi umanitarie e l’aumento del numero dei morti. L’altra questione che il procuratore sollevava era quella della necessità della presenza a bordo delle navi di poliziotti e autorità giudiziarie impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani. Questo è stato un tema caro ai magistrati, perché il materiale raccolto dalla polizia giudiziaria nel periodo della missione umanitaria Mare nostrum aveva aiutato le procure a condurre diverse indagini contro i trafficanti.

      La stessa preoccupazione ha ispirato anche uno dei punti del codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Marco Minniti. Dal 2013 la procura di Catania si era trasformata nell’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, grazie proprio alla missione Mare nostrum. Prima i barconi con i migranti si spingevano sotto costa e arrivavano a Lampedusa, l’isola italiana più vicina alla Tunisia, oppure sulla parte occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani, che in linea d’aria è più raggiungibile dalle spiagge nordafricane. Ma in quello stesso periodo la marina militare e la guardia costiera italiana avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel canale di Sicilia, e poi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche, quindi diversi porti siciliani, soprattutto quelli orientali come Catania, erano stati coinvolti negli sbarchi.

      Anche per questo Zuccaro si diceva preoccupato del grado di collaborazione tra le ong e la polizia giudiziaria: “Vogliamo cercare di capire se da parte di queste ong vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana”. In questa prima audizione per il procuratore di Catania risultano sospetti soprattutto i finanziamenti che le ong ricevono, mentre in diverse interviste successive si concentra sui presunti contatti tra i trafficanti e le navi.

      Circa un mese dopo, durante la trasmissione Agorà su Rai 3, il pm si spinge oltre, affermando che l’obiettivo delle navi umanitarie potrebbe essere quello di destabilizzare l’economia: “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, sono a conoscenza di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”.

      Accuse a cui il governo, tramite i ministri dell’interno Marco Minniti e quello della giustizia Andrea Orlando, reagiva con fermezza, chiedendo le prove. Zuccaro rispondeva di “avere denunciato un fenomeno e non singole persone”, perché se “si aspetta troppo tempo si rischia di produrre elementi deleteri non più controllabili”. Parlava di “deroga” al riserbo, ma anche di “un dovere per chi deve fare rispettare la legalità”. In un’intervista con la Repubblica del 28 aprile 2017, il procuratore afferma però una cosa nuova: finalmente ha “la certezza” dei contatti tra le ong e i trafficanti, ma si tratta di materiale non utilizzabile in sede giudiziaria. Si parla di tabulati telefonici e conversazioni nelle mani dell’intelligence. Zuccaro si dice certo di un rapporto di complicità tra le ong e gli scafisti.

      Per due mesi nella primavera del 2017 il procuratore è molto presente sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali con dichiarazioni di questo tenore, in tanti lo accusano di violare il segreto istruttorio e di produrre affermazioni che hanno un valore più politico che giudiziario. Mentre Zuccaro concede le sue interviste è aperta un’indagine conoscitiva sulle ong della Commissione difesa del senato, guidata dal senatore Nicola La Torre. Interpellato dalla commissione parlamentare, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del comando generale della guardia di finanza, smentisce le affermazioni del procuratore capo di Catania: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti tra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”.

      Dopo due anni d’indagini, il 13 agosto 2018 l’inchiesta “madre” di Zuccaro (che intanto aveva ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere) è avviata all’archiviazione, nel caso Open Arms viene archiviata l’accusa di “associazione a delinquere”, ma ormai la campagna di discredito ai danni delle ong ha fatto il suo corso e le dichiarazioni del pm hanno influenzato in maniera irreversibile l’opinione pubblica italiana, che considera “accertati” i contatti tra ong e scafisti, in barba a qualsiasi garantismo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/amp/open-arms-zuccaro-ong?__twitter_impression=true

    • Des migrants débarqués à Lampedusa, Salvini furieux

      Quarante-sept migrants ont été débarqués dimanche soir à Lampedusa, une île au sud de la Sicile, après la saisie sur ordre de justice de leur bateau de sauvetage, provoquant la colère du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Le navire affrété par l’ONG allemande Sea-Watch battant pavillon néerlandais, qui stationnait dans les eaux italiennes tout près de l’île de #Lampedusa, a été saisi dans la journée par la police financière italienne sur ordre d’un procureur de Sicile.

      Puis, les migrants à bord ont été transférés par moto-vedettes vers la terre ferme en fin de soirée. Une décision que M. Salvini —également vice-Premier ministre et chef de la Ligue (extrême-droite)— a semblé découvrir en temps réel à la télévision, l’amenant à demander qui au gouvernement avait pu prendre une telle décision contre son avis formel.

      Déjà à couteaux tirés avec lui, son partenaire gouvernemental du Mouvement 5 étoiles, Luigi Di Maio, a rétorqué qu’il n’acceptait pas ses insinuations, rappelant qu’il était obligatoire de faire débarquer les passagers d’un bateau saisi par la justice.

      Parallèlement à ce nouveau couac gouvernemental en pleine campagne pour les élections européennes, des échauffourées ont eu lieu dimanche soir à Florence (centre) entre forces de l’ordre et 2.000 personnes venues protester contre la présence de M. Salvini qui tenait un meeting politique dans la ville.

      Dimanche, le chef de Ligue avait jugé risibles les critiques du Haut-Commissariat aux droits de l’Homme (HCDH) de l’ONU contre un projet visant à durcir la législation anti-migratoire en Italie.

      L’ONU, « un organisme international qui coûte des milliards d’euros aux contribuables, qui a comme membres la Corée du Nord et la Turquie, et qui vient faire la morale sur les droits de l’Homme à l’Italie ? (...) Cela prête à rire », a commenté M. Salvini.

      Un projet de décret-loi, qui pourrait être soumis lundi au conseil des ministres, propose de donner au ministre de l’Intérieur le pouvoir d’interdire les eaux territoriales italiennes à un navire pour des raisons d’ordre public.

      Le texte prévoit aussi une amende de 3.500 à 5.500 euros par migrant arrivé en Italie pour tout navire de secours n’ayant pas respecté les consignes des garde-côtes compétents dans la zone où il serait intervenu.

      Dans sa lettre envoyée au ministère italien des Affaires étrangères, le HCDH demande à l’Italie de ne pas approuver ce nouveau décret-loi.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/des-migrants-debarques-lampedusa-salvini-furieux.afp.com.2019

    • Sea Watch, sbarcati i migranti. Salvini accusa i M5s: «Chi ha dato l’ordine?». Di Maio: «Non dia la colpa a noi»

      Sequestrata la nave Ong. Il ministero dell’Interno: i migranti non scenderanno. Ma il pm ordina che vengano portati sull’isola. E scoppia lo scontro tra i partner di governo. I primi a scendere una donna incinta e suo marito.
      La prima è una donna incinta, sorretta dal marito. A piedi nudi. Poi via via, tutti gli altri. Sorrisi, abbracci e saluti. Sono scesi tutti. Nonostante Salvini. “Fino a quando sono ministro io quella nave in un porto italiano non entra e non sbarca nessuno”, aveva garantito il ministro dell’Interno quando la Sea Watch 3 aveva ignorato la sua diffida e si era presentata davanti al porto di Lampedusa ottenendo l’autorizzazione all’ancoraggio alla fonda.

      Ventiquattro ore dopo, i 47 migranti rimasti a bordo della nave della Ong tedesca sono scesi a terra. Sequestro della nave d’iniziativa della Guardia di finanza, perquisizione e contestuale sbarco di tutti i migranti. Lo stesso “modello” già seguito per due volte per sbloccare i precedenti soccorsi della Mare Jonio, rimasta sequestrata per alcuni giorni e poi sempre liberata dai pm di Agrigento. Che questa volta si sono mossi di concerto con la Guardia di finanza forzando la mano ad un inferocito Salvini, incredulo di essere smentito proprio alla vigilia di quel consiglio dei ministri in cui intende portare all’approvazione il suo contestatissimo decreto sicurezza-bis.

      Un braccio di ferro senza precedenti quello tra la Procura di Agrigento e la Guardia di finanza da una parte e il Viminale dall’altro, conclusosi alle otto di sera quando due motovedette, dopo aver notificato al comandante della Sea Watch i decreti di sequestro e perquisizione firmati dal procuratore aggiunto Salvatore Vella che per tutto il weekend ha seguito personalmente sull’isola l’evolversi della vicenda, hanno scortato in porto la nave umanitaria.

      L’accelerazione nel primo pomeriggio quando il comandante Arturo Centore fa sapere alla Guardia costiera che la situazione a bordo è di assoluta emergenza. Alcuni migranti hanno indossato il giubbotto di salvataggio e minacciano di buttarsi a mare. “Se entro le nove di sera la situazione non si sblocca, levo l’ancora ed entro direttamente in porto”, annuncia il comandante della Sea Watch.

      A quel punto Guardia di finanza, guardia costiera e Procura decidono di notificare i sequestri e far sbarcare tutti. Anche contro il volere del Viminale.

      Salvini, che già poche ore prima, in un comizio a Sassuolo aveva attaccato a testa bassa “una procura e un giudice che invece di indagare gli scafisti indaga me”, incassa malissimo il colpo e ancor prima che la Sea Watch attracchi al molo di Lampedusa mette le mani avanti e sottolinea che lo sbarco avviene contro la sua volontà. “La magistratura faccia come crede ma il Viminale continua e continuerà a negare lo sbarco da quella nave fuorilegge. Il ministro dell’Interno si aspetta provvedimenti nei confronti del comandante della nave dal quale è lecito attendersi indicazioni precise sui presunti scafisti presenti a bordo”.

      Alle otto di sera, quando i 47 migranti toccano terra e vengono portati nell’hotspot di contrada Imbriacola, una nota firmata dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio (il pm del caso Diciotti che per primo ha contestato a Salvini il sequestro di persona) spiega la “ratio” della scelta degli inquirenti: “Il sequestro probatorio è stato eseguito per violazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione ponendo la nave a disposizione di questa procura che ne ha disposto, previo sbarco dei migranti, il trasferimento sotto scorta nel porto di Licata. Le indagini proseguiranno sia per l’individuazione degli eventuali trafficanti di esseri umani coinvolti sia per la valutazione della condotta della Ong”. Come sempre. A sbarco avvenuto, quando anche l’ultimo migrante era già sceso a terra, Salvini ricara: «Per me possono stare lì fino a ferragosto. Gli porto da mangiare e da bere ma stanno lì». E al procuratore di Agrigento: «E’ quello che mi ha indagato per sequestro di persona. Se li farà sbarcare, ne prenderò atto e valuteremo nei suoi confronti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
      Salvini attacca i 5s: «Chi ha dato l’ordine?»
      Matteo Salvini ha assistito in diretta tv allo sbarco dei migranti dalla nave Sea Watch 3, ospite in studio su La7. «Qualcuno l’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne dovrà rispondere», si irrita il ministro. Il M5s fa sapere a stretto giro che non sono stati i suoi ministri. Ma Salvini insiste: «Chi è che li ha autorizzati a
      sbarcare? Io no, non ho autorizzato niente, deve essere qualcun altro. Io sorrido ma è grave. Perché siamo un Paese sovrano con leggi, regole, una storia e nessuna associazione privata se ne può disinteressare. Qualcuno quell’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne deve rispondere».

      Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze parlando A che tempo che fa: «Il sequestro lo esegue la magistratura quindi non credo sia un espediente» per far sbarcare i migranti a bordo «perché la magistratura è indipendente dal governo. Quando arrivano qui contattiamo i Paesi Ue e chiediamo la redistribuzione. Io credo che la politica delle redistribuzioni è l’unica strada che abbiamo per fronteggiare il fenomeno. Poi c’è il tema dei rimpatri che si devono fare. La Chiesa Valdese stamattina ha lanciato una disponibilità, lavoriamo nel senso della redistribuzione» e «non scontriamoci con la magistratura, tutte queste tensioni non fanno bene al Paese».

      E dopo le accusa di Salvini replica: «Non accetto che il ministro dell’Interno dice che se stanno sbarcando dalla Sea Watch è perché i ministri 5 Stelle hanno aperto i porti. La nave è stata sequestrata dalla magistratura e, quando c’è un sequestro, si fanno sbarcare obbligatoriamente le persone a bordo».

      Duro anche il ministro Danilo Toninelli: «Salvini, se ha qualcosa da dirmi, me la dica in faccia. Non parli a sproposito del sottoscritto in tv. È evidente che l’epilogo della vicenda è legato al sequestro della nave da parte della magistratura, non serve un esperto per capirlo. Magari il ministro dell’Interno si informi prima di parlare. E trovi soluzioni vere sui rimpatri, non ancora avviati da quando è il responsabile della sicurezza nazionale».
      Lo sbarco per Salvini è una sconfitta politica
      Comunque la si guardi, la conclusione del braccio di ferro per Salvini è una sonora sconfitta che il ministro dell’Interno cerca di capitalizzare puntando tutte le sue carte su quel decreto sicurezza-bis che l’Onu chiede di ritirare ritenendolo una “violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.

      Dopo aver irriso la lettera dell’alto Commissariato dell’Onu invitandolo ad occuparsi “dell’emergenza umanitaria in Venezuela anziché fare campagna elettorale in Italia”, Salvini ribadisce: "Resta un tema fondamentale: la difesa dei confini nazionali e l’ingresso in Italia di un gruppo di sconosciuti dev’essere una decisione della politica (espressione della volontà popolare) o di magistrati e Ong straniere? La vicenda Sea Watch 3 conferma una volta di più l’urgenza di approvare il decreto sicurezza bis già nel Consiglio dei ministri di domani per rafforzare gli strumenti del governo per combattere i trafficanti di uomini e chi fa affari con loro”.

      I 47 migranti sbarcati aspettano adesso di conoscere il loro destino. Le chiese evangeliche hanno dato la loro piena disponibilità ad accoglierli tutti nelle loro comunità in Italia ma anche all’estero.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/19/news/via_libera_per_la_sea_watch_puo_attraccare_a_lampedusa-226674239

    • Italy: UN experts condemn bill to fine migrant rescuers

      UN human rights experts* have condemned a proposed draft decree by Italy’s interior minister, Matteo Salvini, to fine those who rescue migrants and refugees at sea, and urged the Government to halt its approval.

      “The right to life and the principle of non-refoulement should always prevail over national legislation or other measures purportedly adopted in the name of national security,” said the independent experts, who conveyed their concerns about the decree in a formal letter to the Italian Government.

      “We urge authorities to stop endangering the lives of migrants, including asylum seekers and victims of trafficking in persons, by invoking the fight against traffickers. This approach is misleading and is not in line with both general international law and international human rights law. Instead, restrictive migration policies contribute to exacerbating migrants’ vulnerabilities and only serve to increase trafficking in persons.”

      Earlier this month, Mr. Salvini announced a proposal to issue a decree that would fine vessels for every person rescued at sea and taken to Italian territory. NGO and other boats that rescued migrants could also have their licences revoked or suspended.

      The UN experts said that, should the decree – yet to be approved by the government – enter into force, it would seriously undermine the human rights of migrants, including asylum seekers, as well as victims of torture, of trafficking in persons and of other serious human rights abuses.

      They also asked for the withdrawal of two previous Directives banning NGO vessels rescuing migrants off Libya’s coasts from accessing Italian ports. In particular, the second Directive singled out the Italian ship Mare Jonio for helping those at sea.

      Declaring that Libyan ports were “able to provide migrants with adequate logistical and medical assistance” was particularly alarming, the experts said, especially given reports that Libyan coastguards had committed multiple human rights violations, including collusion with traffickers’ networks and deliberately sinking boats.

      The experts said any measure against humanitarian actors should be halted. “We are deeply concerned about the accusations brought against the Mare Jonio vessel, which have not been confirmed by any competent judicial authority. We believe that this represents yet another political attempt to criminalise humanitarian actors delivering life-saving services that are indispensable to protect humans’ lives and dignity.”

      The UN experts said Italian authorities had failed to properly consider several international norms, such as article 98 of the UN Convention on the Law of the Sea, on the duty to help any person in danger at sea. “Article 98 is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag,” they said.

      The Directives stigmatize migrants as “possible terrorists, traffickers and smugglers”, without providing evidence, the experts said. “We are concerned that this type of rhetoric will further increase the climate of hatred and xenophobia, as previously highlighted in another letter to which the Italian Government is also yet to reply.”

      The experts have contacted the Government about their concerns and await a reply. A copy of the letter has also been shared with Libya and the European Union.

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24628&LangID=E

    • Des ONG accusent la marine italienne de ne pas avoir porté assistance à des migrants en détresse

      L’ONG allemande Sea-Watch et le collectif Mediterranea accusent un navire de la marine italienne d’être resté à distance d’une embarcation de migrants en détresse au large des côtes libyennes, alors qu’il ne se trouvait qu’à plusieurs dizaines de kilomètres. Les 80 personnes en difficulté ont finalement été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

      « Le navire P492 Bettica de la marine italienne est à proximité d’un canot pneumatique en détresse avec environ 80 personnes à son bord mais il n’intervient pas ». Ce message a été posté sur Twitter jeudi 23 mai en début d’après-midi par l’ONG Sea-Watch qui alerte sur la présence d’une embarcation dans les eaux internationales, au large de la Libye. C’est son avion de secours, le Moonbird, qui a repéré le canot en difficulté. « Notre avion a envoyé un message de détresse et a confirmé que des personnes sont accrochées à l’embarcation qui est en train de se dégonfler », continue l’ONG allemande.
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1131652854006067200?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Un peu plus tôt, Alarm Phone, la plateforme téléphonique qui vient en aide aux migrants en mer, avait donné l’alerte sur les réseaux sociaux. « Depuis 12h40, nous sommes en contact avec un bateau en détresse en Méditerranée centrale […]. L’eau entre dans le bateau. Nous avons transmis leur position au MRCC de Rome. Nous demandons une opération de sauvetage rapide ».

      Selon les ONG, la marine italienne n’est pas loin de l’embarcation. Elle ne serait pas intervenue.

      Un tweet de la marine italienne confirme, en effet, sa présence dans la zone, à 80 km du canot en difficulté. « Nous envoyons notre propre hélicoptère pour soutenir le Colibri [également sur zone, ndlr] », écrit la marine italienne sur le réseau social. « Avec un hélicoptère de la région, nous avons vérifié que les migrants ont été récupérés par un bateau de la patrouille libyenne ».

      « Le gouvernement sera responsable de ses actes »

      Seulement voilà, les ONG accusent ainsi les Italiens d’être « restés à distance » sciemment, pour laisser « le champ libre » aux garde-côtes libyens. « Encore un refoulement par procuration en Méditerranée centrale » a réagi Alarm Phone. « L’UE continue de violer le droit international, d’ignorer les bateaux en détresse et de repousser les gens en zone de guerre ».

      https://twitter.com/alarm_phone/status/1131612656341852161?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Des accusations qui inquiètent plusieurs personnalités politiques en Italie. « Si c’est vrai, ce serait très grave car il est absolument impensable que des hommes, des femmes et des enfants soient renvoyés dans cet enfer qu’est la Libye », a déclaré le sénateur du mouvement 5 étoiles (M5S) Gregorio De Falco, également officier de la marine.

      Même son de cloche chez Massimiliano Smeriglio, candidat du Parti démocrate aux élections européennes. « Nous ne pouvons pas croire qu’’un navire de notre marine, qui a accompli tant de missions de secours international, peut apporter son aide sans intervenir dans une tragédie. Intervenez sans délai sans quoi le gouvernement sera responsable de ses actes », a-t-il insisté.
      Début mai, un navire militaire italien avait subi les foudres du ministre de l’Intérieur après avoir secouru des migrants en mer sans avoir attendu les garde-côtes. Matteo Salvini refuse systématiquement le débarquement des migrants sur le sol italien.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17114/des-ong-accusent-la-marine-italienne-de-ne-pas-avoir-porte-assistance-

    • Dl sicurezza bis, I pescatori continueranno a salvare i migranti

      Michele e Salvatore Casciaro, padre e figlio, sono pescatori di Novaglie, Salento. Salvatore assiste alla tragedia dei migranti nel canale d’Otranto sin dal grande esodo degli albanesi negli anni Novanta. E da allora partecipa con la propria imbarcazione alle operazioni di soccorso e salvataggio dei naufraghi. Oggi i flussi principali provengono dal nord africa. Nell’ultimo salvataggio ha salvato con il figlio Michele una somala che altrimenti sarebbe annegata. Ma con il decreto sicurezza bis, continueranno a salvare i naufraghi o si volteranno dall’altra parte? (M. Tota)

      http://www.la7.it/tagada/video/dl-sicurezza-bis-i-pescatori-continueranno-a-salvare-i-migranti-21-05-2019-27242
      #pêcheurs

    • Il cambio di rotta di un Paese che perde l’onore
      Finora la Marina militare aveva sempre risposto alle chiamate di

      naufraghi in difficoltà.

      OGGI le cose in Italia non sono facili e quindi è proprio oggi che dobbiamo amare il nostro Paese, rispettarlo, dobbiamo dialogare, confrontarci, litigare sapendo che il suolo che calpestiamo ci restituirà solo ciò che avremo seminato e curato. Ogni parola è un seme, ogni ragionamento è un seme e noi italiani restiamo quello che siamo sempre stati: persone fatte di terra e mare. Conosciamo il mare, gabbia e occasione, limite e infinito, siamo uomini e donne di mare. Ecco perché, quando già l’Europa trattava l’immigrazione come un problema, l’Italia continuava a salvare vite in mare. E le salvava perché un uomo, una donna, un bambino che dall’Africa prendono il mare per venire in Italia, se in pericolo, non sono migranti, ma naufraghi. È la legge eterna del mare: ogni naufrago va tratto in salvo. Sempre.

      Qualcuno mi dira’, non possiamo salvarli tutti noi. Se nessun altro li salva, vi rispondo, allora li salveremo noi! Esistono le Zone Sar (Search and Rescue, ovvero “ricerca e salvataggio”) di competenza dei diversi paesi, perché dovremmo farci carico di recuperare i naufraghi anche laddove non sarebbe di nostra competenza? Perché per prima cosa dobbiamo rispettare la vita umana, è una regola universale alla quale se ci sottraiamo iniziamo a modificarci. Lasciare che una persona anneghi significa perdere qualsiasi cosa abbiamo raggiunto. Empatia, leggi, diritti, morale, convivenza. Perdiamo tutto. Non è sentimentalismo, è misura di ciò che sta accadendo. Non possiamo sottrarci dal salvare le persone in mare perché ogni vita perduta, quando poteva essere salvata, è sofferenza che si moltiplica, è odio. E l’odio diventa rancore, e il rancore vendetta.

      Ma non possiamo accoglierli tutti, mi direte. Manca il lavoro per noi, come possiamo farci carico di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore? Ma noi non dobbiamo accoglierli tutti: noi dobbiamo salvarli tutti, è nostro dovere farlo. Non facciamoci fregare dalla propaganda: salvare e accogliere sono due cose diverse, due momenti diversi che possono e devono essere gestiti in maniera diversa. Il salvataggio risponde a una necessità immediata, non c’è tempo per la strategia. L’accoglienza viene dopo e su quella si può discutere e cambiare passo, ma senza mettere in dubbio la necessità di salvare. Anzi, direi, senza mettere in discussione il diritto che noi italiani abbiamo, il privilegio che viviamo nel salvare vite umane. Salvare vite è come donare vita, come è accaduto che lo abbiamo dimenticato? Qualcuno oggi pensa di poter girare la faccia davanti a queste storie, pensa che tutto sommato la quotidianità sia già così difficile che non serve complicarsi la vita con questo strazio; non invidio queste persone perché per loro il risveglio sarà ancora più duro. E non le invidio perché non sanno quanto l’Italia abbia fatto la differenza, perché non sanno che l’Italia non ha mai girato le spalle a chi, in pericolo, chiedeva aiuto.

      Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano quando ho visto il lavoro titanico che la Marina militare italiana ha sempre fatto, prima da sola, poi con l’Europa ma da capofila, poi insieme alle Ong, poi di nuovo da sola. Sono orgoglioso dei pescatori italiani che, nonostante andassero incontro a sanzioni gravose e al sequestro delle loro imbarcazioni che sono per loro sopravvivenza stessa, hanno sempre obbedito alla legge del mare, quella legge che impone di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo tra le onde, a qualunque costo e senza pensare alle conseguenze. “Noi gente in mare non l’abbiamo lassata mai!”: questo era il principio dei pescatori lampedusani e a questo principio non si sono sottratti; se l’avessero fatto, avrebbero negato ogni singola parte della loro vita.

      Ma le cose sono cambiate ora, dirà qualcuno tra voi. Oggi la Marina sta agendo diversamente, direte. Sappiamo che il 23 maggio scorso, e lo sappiamo dagli unici testimoni rimasti nel Mediterraneo a darci queste informazioni, ovvero le Ong, un uomo è morto durante un’operazione di salvataggio, anzi, prima ancora che l’operazione iniziasse. Nel video girato da un velivolo della Sea-Watch si vede un gommone in avaria che sta imbarcando velocemente acqua. La Sea-Watch contatta prima la Guardia costiera libica che non risponde e poi la nave della Marina militare italiana Bettica, che si trova a meno di trenta miglia dal gommone.

      Improvvisamente e per quasi un’ora le comunicazioni tra la Marina militare italiana e la Sea-Watch si interrompono, quando riprendono la Bettica avverte che la Guardia costiera libica si sta recando sul posto. È prassi che la Guardia costiera libica non risponda alle richieste di soccorso. È prassi che i salvataggi siano fatti all’unico scopo di riportare i migranti nei campi di prigionia libici dove ricomincia il loro calvario, dove vengono torturati e dove viene estorto loro denaro: ogni migrante preso dalla Guardia costiera libica è guadagno doppio per i trafficanti (che, detto per inciso, non sono le Ong ma la guardia costiera libica finanziata dall’Italia e dall’Europa) che li lasceranno tornare nel loro paese solo in cambio di denaro.

      È ormai appurato che la Libia non è un porto sicuro. E allora perché la nave della Marina militare italiana Bettica non è intervenuta? Perché si infanga l’onore (che bella parola quando porta con sé il rispetto per la vita umana) dei militari della Marina che hanno sempre, secondo coscienza, risposto prima ancora che alle convenzioni internazionali, che pure stabiliscono il dovere di salvare vite, alla superiore e universale legge del mare? Oggi possiamo dividerci su tutto, ma non sulla necessità e sul dovere di salvare vite. Quando un uomo, una donna o un bambino sono in pericolo in mare, noi abbiamo il dovere di salvarli e se l’alternativa è la Libia, dobbiamo essere consapevoli che li stiamo condannando all’inferno. Per sfuggire a questo ragionamento, la propaganda inventa scorciatoie ridicole ma funzionanti: parole da buonista, parli bene dall’attico a Manhattan; si bersaglia chi racconta, non il racconto, perché quello è oggettivo e non può essere messo in discussione. Ma quell’uomo che annega è vita reale, non la finzione spacciata per realtà sui social.

      Facile dire la solita balla buonista parli tu dall’attico a Manhattan… no, parlo da meridionale, nato e cresciuto nelle terre più martoriate d’Italia, più saccheggiate, terre dimenticate da Dio e dagli uomini, ma non dai politici avvoltoi e sciacalli. Quelli, di noi meridionali, non si dimenticano mai. Promettono acqua agli assetati e intanto condannano le nostre anime per l’eternità. Parlo da uomo che non può accettare che il confine tra la vita e la morte sia una linea convenzionale e invisibile tracciata nel mare. Ciò che resta, alla fine di tutto, è l’onore. L’onore riscattato dal significato abusivo che ne danno le mafie per indicare nell’uomo d’onore l’affiliato. Onore inteso come rispetto dei nostri principi umani più profondi al di là delle conseguenze, nonostante le conseguenze.

      Onore è ciò che permette ancora di guardarci l’un l’altro e di sapere che io mi posso fidare di te perché tu ti puoi fidare di me, qualunque sia la tua condizione sociale, qualunque sia il luogo da cui provieni, il tuo quartiere, la tua religione e il colore della tua pelle, la tua condizione sociale, il tuo lavoro, il tuo conto in banca, la scuola che frequenta tuo figlio, il lavoro che fai. È facile: se mentre tu soffri e muori io giro lo sguardo dall’altra parte, se io soffrirò e rischierò di morire mi ripagherai con la stessa moneta. Salvare per essere salvati. Salvare per salvarsi: nel nostro mare, se smettiamo di salvare, finiremo annegati noi.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/01/news/il_cambio_di_rotta_di_un_paese_che_perde_l_onore-227596448

    • Appel au secours d’un capitaine, coincé en mer avec 75 migrants malades

      Le capitaine d’un bateau égyptien ayant recueilli vendredi 75 migrants dans les eaux internationales, a lancé un appel aux autorités tunisiennes pour qu’elles le laissent accoster, alors que les vivres commencent à manquer et que des migrants sont malades.

      Le remorqueur égyptien #Maridive_601, qui dessert des plateformes pétrolières entre la Tunisie et l’Italie, est arrivé vendredi soir au port de Zarzis, dans le sud de la Tunisie, après avoir récupéré dans la matinée les migrants à la dérive.

      « Je demande aux autorités tunisiennes de nous permettre d’urgence d’entrer dans le port de Zarzis », a déclaré à l’AFP le capitaine #Faouz_Samir, ajoutant que « l’état de santé des migrants est mauvais, beaucoup sont atteints de la gale ».

      Un médecin a pu monter à bord, a indiqué la branche locale du Croissant-Rouge. « Quatre personnes sont dans un état qui nécessite une intervention médicale », et la plupart d’entre eux sont atteints de la gale infectieuse", a déclaré à l’AFP Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge dans le sud de la Tunisie.

      Selon l’organisation internationale pour les migrations (OIM), les migrants, 64 Bangladais, 9 Egyptiens, un Marocain et un Soudanais, dont au moins 32 enfants et mineurs non accompagnés, « ont besoin d’urgence d’eau, de nourriture, de vêtements, de couvertures et surtout d’assistance médicale ».

      L’agence de l’ONU a indiqué être prête à aider la Tunisie pour accueillir ces candidats à l’exil, partis de Libye dans l’espoir d’atteindre l’Europe.

      « Nous comprenons les difficultés et l’ampleur des défis que les flux migratoires peuvent poser et nous travaillons à appuyer les capacités de secours et d’assistance », a souligné Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie.

      « Nous restons toutefois préoccupés par les politiques de plus en plus restrictives adoptées par plusieurs pays du nord de la Méditerranée », ajoute Mme Lando.

      Le gouvernement et les autorités locales tunisiennes, sollicitées par l’AFP, n’ont pas souhaité s’exprimer.

      En août dernier, un autre bateau commercial, le Sarost 5, était resté bloqué plus de deux semaines en mer avec les 40 immigrés clandestins qu’il avait secourus. Soucieuses de ne pas créer un précédent, les autorités tunisiennes avaient souligné qu’elles acceptaient ces migrants exceptionnellement et pour raisons « humanitaires ».

      Le 10 mai, 16 migrants originaires en majorité du Bangladesh avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation qui avait fait une soixantaine de morts.

      La majorité des bâtiments de la marine qui ont patrouillé au large de la Libye ces dernières années se sont retirés tandis que les navires humanitaires font face à des blocages judiciaires et administratifs.

      https://www.voaafrique.com/a/appel-au-secours-d-un-capitaine-coinc%C3%A9-en-mer-avec-75-migrants-malades/4943716.html

    • Tugboat carrying 75 migrants stranded off Tunisia for 10 days

      The #Maridive_601, an Egyptian tugboat that rescued 75 migrants in international waters over one week ago, is still stranded off the Tunisian coast as Tunisian authorities refuse to let it dock.

      The Egyptian tugboat Maridive 601 rescued the migrants off the southern Tunisian coast on May 31 after they embarked from Libya.

      Sixty-four of the 75 migrants are Bangladeshi and at least 32 of those on board are minors and unaccompanied children, according to the International Organization for Migration.

      The Maridive 601, which services oil platforms between Tunisia and Italy, picked up the migrants who were drifting in international waters near the Tunisian coast, and headed to the closest port of Zarzis in southern Tunisia.

      “I request that the Tunisian authorities allow us to make an emergency entry to Zarzis port,” appealed Faouz Samir, captain of the Maridive 601 shortly after the rescue.

      Since then, the crew has not received entry permission. An official from the Tunisian interior ministry was quoted as saying Monday that „the migrants want to be taken in by a European country." The official did not want to be quoted by name.

      Cases of infectious scabies

      Earlier last week, a Red Crescent team based in the southern Tunisian city of Zarzis delivered aid and medical care to the migrants, some of whom were ill, according to the Red Crescent.

      They “urgently need water, food, clothes, blankets and above all medical assistance,” the IOM added. According to AFP reports, the IOM added it was ready to help Tunisia provide for the migrants.

      Mongi Slim, a Red Crescent official in southern Tunisia, told InfoMigrant last Thursday that cases of scabies were on the rise and that there were around thirty people affected. The second captain of the Maridive 601 added that the Red Crescent was not allowed to board the ship to provide scabies medication. Instead, the crew had to contact its chartering company, Shell Tunisia, which in turn delivered medication in addition to food, water, mattresses and blankets. “We’re in telephone contact with the Red Crescent and they give us instructions on how to treat the migrants,” the captain informed InfoMigrants.

      Video footage

      Photos published online by the Tunisian Forum for Economic and Social Rights, an NGO, showed migrants lying on the deck of the boat, while sailors attempted to feed them. A video by the same NGO shows migrants shouting: “We don’t need food, we don’t want to stay here, we want to go to Europe.”

      https://www.facebook.com/ftdes/videos/189765251957864

      Tunisia’s central government and local authorities did not wish to comment to media requests.

      “We understand the difficulties and the scale of the challenges that migration flows pose and we are working to support relief and assistance capacities,” said Lorena Lando, the IOM’s head of mission in Tunisia. “But we are worried by the increasingly restrictive policies adopted by several countries,” Lando told AFP.

      Last month, around 60 migrants, most from Bangladesh, drowned off the coast of Tunisia after leaving Libya on a boat bound for Europe.

      https://www.infomigrants.net/en/post/17413/tugboat-carrying-75-migrants-stranded-off-tunisia-for-10-days?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Méditerranée : le navire #Sea_Watch_3 de retour dans la zone de détresse

      Après avoir été bloqué par la justice italienne pendant près d’un mois, le navire humanitaire Sea Watch 3 est de retour dans la zone de détresse (SAR zone) au large de la Libye. Il est actuellement le seul bateau de sauvetage en mer.

      Le navire humanitaire de l’ONG allemande Sea Watch, le Sea Watch 3, est de retour dans la zone de sauvetage au large de la Libye, la SAR zone.

      Le Sea Watch 3 était bloqué depuis le 20 mai par la justice italienne dans le cadre de poursuites pour aide à l’immigration illégale. Il a reçu samedi 8 juin l’autorisation de repartir en mer, a annoncé l’association.

      "Le Sea Watch 3 est libre ! Nous avons reçu une notification formelle sur la libération du navire saisi et son retour aux opérations" en mer, s’est félicitée l’organisation humanitaire sur Twitter.

      Malgré la politique de "fermeture des ports" du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite), le Sea Watch 3 avait pu débarquer les 65 migrants qu’il avait secourus à la mi-mai ; ils ont été autorisés à débarquer sur l’île de Lampedusa.

      Cette opération de secours avait provoqué la fureur de Matteo Salvini, qui a semblé la découvrir en temps réel à la télévision. “Je suis le ministère des règles et des ports fermés. Si un ministre du mouvement 5 étoiles a autorisé le débarquement, il devra répondre de ses actes devant les Italiens”, avait-il notamment lâché.

      Matteo Salvini estime que les migrants qui partent en mer à partir de la Libye doivent être remis aux garde-côtes libyens, conformément à un accord conclu entre l’Union européenne et Tripoli, mais les organisations humanitaires qui portent au secours des migrants refusent de s’y conformer.

      Hormis le Sea Watch 3, à la date du 10 juin, aucun autre navire humanitaire n’est présent au large des côtes libyennes.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      –Le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer, est actuellement bloqué en Sicile par les autorités.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17410/mediterranee-le-navire-sea-watch-3-de-retour-dans-la-zone-de-detresse

    • Italy to fine NGOs who rescue migrants at sea

      The Italian government has decided to impose stiff fines on rescuers who bring migrants into port without authorization. It also gave the interior ministry, led by Matteo Salvini, power to demand the payment.

      A decree adopted by the Italian government on Tuesday would force non-governmental organizations to pay between €10,000 and €50,000 ($11,327 – $56,638) for transporting rescued migrants to Italian ports.

      Rescuers who repeatedly dock without authorization risk having their vessel permanently impounded. The fines would be payable by the captain, the operator and the owner of the rescue ship.

      The Italian government is composed of the anti-establishment 5-Star Movement and right-wing populist League Party. The League leader Matteo Salvini, who also serves as the interior minister, has been spearheading an effort to clamp down on illegal immigration.

      Delayed decree

      The adoption of the decree has been delayed due to criticism from the United Nations and the office of the Italian president. Following the cabinet session on Tuesday, however, Salvini praised it as a “step forward the security of this country.” The populist leader also said he was “absolutely sure about the fact that it is compliant” with all national and international laws.

      The decree allows police to investigate possible migrant trafficking operations by going undercover. It also makes it easier to eavesdrop electronically on suspected people smugglers. Other sections of the decree impose stricter punishments on rioters and violent football fans.

      Read more: Italian court rules Salvini can be charged with kidnapping

      Additionally, the decree gives Salvini’s ministry the power to order the NGOs to pay the fines, this was previously the area of the transport and infrastructure ministries.

      Salvini has pushed through several anti-migrant decrees since becoming interior minister a year ago, including one in December which ended humanitarian protection for migrants who do not qualify for refugee status. Earlier this week, Salvini blasted three judges who opposed his hardline policies.

      Risking life at sea

      Since 2014, more than 600,000 people have made the dangerous journey across the central Mediterranean to reach Italy, fleeing war and poverty in Africa, Asia, and the Middle East. More than 14,000 have been recorded killed or missing when attempting the trip.

      Without a legal way to reach Europe, they pay people smugglers for passage in unseaworthy boats. The UNHCR and IOM recently said that 1,940 people have reached Italy from north Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route — putting the death rate for those crossing at more than 15%. The number of new arrivals has dropped off in recent years, but Rome is still faced with hundreds of thousands of people who migrated illegally. Pending asylum claims as of May 31 this year were 135,337.

      With official search-and-rescue missions canceled, the burden of assisting the shipwrecked migrants falls on rescue NGOs. The Italian coastguard estimates NGOs have brought in some 30,000 people per year since 2014.

      https://www.dw.com/en/italy-to-fine-ngos-who-rescue-migrants-at-sea/a-49143481

    • L’UNHCR chiede all’Italia di riconsiderare un decreto che penalizzerebbe i salvataggi in mare nel Mediterraneo centrale

      L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime preoccupazione per l’approvazione da parte del governo italiano di un nuovo decreto contenente anche diverse disposizioni che potrebbero penalizzare i salvataggi in mare di rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale, compresa l’introduzione di sanzioni finanziarie per le navi delle Ong ed altre navi private impegnate nel soccorso in mare.

      Salvare vite umane costituisce un imperativo umanitario consolidato ed è anche un obbligo derivante dal diritto internazionale. Nessuna nave o nessun comandante dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane.

      “In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai,” ha dichiarato Roland Schilling, Rappresentante regionale a.i. per il Sud Europa. “Senza di loro, altre vite saranno inevitabilmente perse”.

      L’UNHCR è inoltre preoccupata per il fatto che il decreto possa avere l’effetto di penalizzare i comandanti che rifiutano di far sbarcare le persone soccorse in Libia.

      Alla luce della situazione di sicurezza estremamente volatile, delle numerose segnalazioni di violazioni di diritti umani e dell’uso generalizzato della detenzione nei confronti delle persone soccorse o intercettate in mare, nessuno dovrebbe essere riportato in Libia.

      L’UNHCR ha ribadito più volte che il rafforzamento delle capacità di ricerca e soccorso, in particolare nel Mediterraneo centrale, deve essere accompagnato da un meccanismo regionale volto ad assicurare procedure di sbarco rapide, coordinate, ordinate e sicure. La responsabilità per i rifugiati e i migranti soccorsi in mare deve essere condivisa tra tutti gli stati che li accolgono, invece di ricadere su uno o due.

      L’UNHCR chiede al governo italiano di rivedere il decreto e al parlamento di modificarlo, mettendo al centro la protezione dei rifugiati ed il salvataggio di vite umane.

      https://www.unhcr.it/news/lunhcr-chiede-allitalia-riconsiderare-un-decreto-penalizzerebbe-salvataggi-mar

    • Migrants bloqués au large de la Tunisie : les Bangladais refusent le rapatriement

      Quinze jours après avoir été secourus, 75 migrants - dont la moitié de mineurs - sont toujours coincés à bord d’un navire commercial égyptien près des côtes tunisiennes. La Tunisie refuse de les laisser débarquer et souhaite les faire « rentrer chez eux ». Seuls les migrants africains ont accepté d’être rapatriés. La majorité des rescapés, des Bangladais, s’opposent à toute expulsion.

      Les 75 naufragés secourus il y a quinze jours par le bateau commercial égyptien Maridive 601 sont toujours bloqués au large de Zarzis, sur la côte tunisienne. Quelque 32 mineurs se trouvent à bord du navire.

      Les autorités tunisiennes refusent de les laisser débarquer depuis le vendredi 31 mai, jour du sauvetage. « Le gouverneur de Médenine insiste pour qu’ils rentrent chez eux », explique Mongi Slim du Croissant rouge tunisien, joint par InfoMigrants vendredi 14 juin.

      Informés de cette décision par le Croissant rouge, seuls les Égyptiens, les Marocains et les Soudanais présents à bord ont accepté un rapatriement dans leurs pays.

      La Tunisie demande l’aide du Bangladesh

      Les 64 autres naufragés, des Bangladais dont de nombreux mineurs, ont refusé cette offre. « Ils demandent de rejoindre l’Italie ou de pouvoir rester en Tunisie avec une permission de travail », raconte Mongi Slim.

      « Les autorités ont sollicité l’aide de l’ambassade du Bangladesh. Elle va intervenir pour résoudre le problème », ajoute-t-il.

      « Rien pour se mettre à l’abri du soleil »

      En attendant, à bord, la situation psychologique des naufragés se dégrade. « Il fait très chaud en cette période de l’année dans le sud de la Tunisie, et sur le bateau les migrants n’ont rien pour se mettre à l’abri du soleil. Ils risquent la déshydratation. Ils sont emprisonnés en mer », déplore Ben Amor Romdhane, du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) également contacté par InfoMigrants. Le militant s’inquiète aussi des cas de gale signalés à bord.

      Pour la première fois depuis 15 jours, jeudi, une équipe médicale du Croissant rouge tunisien a pu monter sur le Maridive 601 avec des médicaments et des vivres. Jusqu’ici, le navire était ravitaillé en eau, en nourriture et en médicament anti-gale par la compagnie Shell Tunisie qui affrète le bateau. Le Croissant rouge était néanmoins parvenu à faire acheminer un stock de médicaments. Les premiers soins avaient été prodigués par l’équipage, guidé au téléphone par le Croissant rouge.

      Le médecin du Croissant rouge, qui a pu examiner les 75 migrants jeudi, a déclaré qu’il n’y avait pas de maladie grave ou d’urgences, seulement des cas de diabète, selon Mongi Slim.

      D’après le représentant du navire égyptien, joint par InfoMigrant, la situation reste pourtant « très tendue ». « La seule solution est de laisser ces migrants entrer en Tunisie », estime-t-il.

      Cet incident rappelle celui qu’avait connu le Sarost 5 l’an dernier. Le navire commercial, qui avait secouru 40 migrants en mer Méditerranée, avait dû attendre 17 jours l’autorisation de débarquer à Zarzis. Les autorités avaient finalement cédé titre exceptionnel « pour des raisons humanitaires ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17533/migrants-bloques-au-large-de-la-tunisie-les-bangladais-refusent-le-rap

    • Migrants stranded at sea for three weeks now risk deportation, aid groups warn

      Group of 75 people survive prolonged ordeal but could now be made to leave Tunisia.

      https://i.guim.co.uk/img/media/235b366ca8ef3c06feec045df894e482906510c0/0_0_1280_768/master/1280.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=35a960601e803a971255f0

      A group of migrants who spent nearly three weeks trapped onboard a merchant ship in torrid conditions face possible deportation to their home countries after they were finally allowed to disembark in Tunisia, aid groups have warned.

      The 75 migrants, about half of whom are minors or unaccompanied children, were rescued on 31 May by the Maridive 601 only to spend the next 20 days at sea as European authorities refused to let them land.

      “The migrant boat was ignored by Italian and Maltese authorities, though they were in distress in international waters”, said a spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members. “This is a violation of international law and maritime conventions”.

      Heat and humidity onboard the Maridive 501, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, were insufferable, said aid groups. Food and water were scarce, scabies broke out and spread, and several people suffered fractures and other injuries during the rescue operation.

      Witnesses said the psychological strain was immense for migrants and crew members alike.

      The brother of one Bangladeshi man said on 3 June: “Today is Eid [the festival marking the end of Ramadan]. But the day is not for me. My brother is on the ship. I can’t take it any more. How is he? How can I explain my feelings to you? When I get good news, this will be my Eid gift and that day will be my Eid day.”

      Six days later, he said: “How many days will they stay there? Who can take care of him? I am depressed, every day my mother is crying.”

      The ship’s captain, Faouz Samir, asked repeatedly to be allowed to land at the nearest port, in Zarzis, but was initially refused permission. Regional authorities said migrant centres in Medenine were too overcrowded.

      On 6 June, the migrants staged an onboard protest, asking to be sent to Europe. Video of the protest was published by the Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux.

      The closure of Italian and Maltese ports to rescue ships has seemingly had a ripple effect, with Tunisia closing its own harbours to rescued people in order to avoid an overwhelming influx of migrants.

      On Tuesday evening, however, the Tunisian authorities relented. The migrants, who are mainly from Bangladeshi but also include Egyptians, Moroccans and Sudanese, will now be transferred to a detention centre.

      Aid groups, however, who had been demanding an immediate disembarkation in view of the medical emergency onboard, are concerned people may be sent back to Libya or even deported to their home countries after landing in the port of Zarzis. The governor of Medenine had previously said the boat would be allowed to dock only if all the migrants were immediately deported.

      “We are happy for the survivors. They are exhausted, some are traumatised, but we will accompany them so that we can finally find respite and reflect on the different alternatives available to them,” said Wajdi Ben Mhamed, head of the International Organisation for Migration’s Zarzis office.

      The IOM said its protection team would assist the survivors with “their protection needs and provide, for those who have requested it, assistance for voluntary return to their country of origin’’.

      Relatives claim some of the Bangladeshi survivors were told that food, water and medical treatment would be withheld if they did not accept deportation.

      One man who spoke to his brother on 18 June said fears of imminent deportation had been exacerbated by the visit of a Bangladeshi envoy to the boat. The envoy’s visit followed a meeting five days earlier with the Tunisian minister of the interior.

      Another relative said of a Bangladeshi migrant aboard the tugboat: “In Bangladesh there are people who want to kill him. He paid all the money and went to Libya to get away from the problems in Bangladesh. Then he escaped from Libya because of the problems there. He wants to go to Europe.”

      Médecins Sans Frontières warned that Tunisia could not be defined a safe haven for migrants and refugees, given that it had no functioning asylum system in place. “The nearest places of safety for rescues in the central Mediterranean are Italy or Malta,” said a spokesperson.

      A dangerous precedent would be set if an agreement was found to deport those rescued to their countries of origin quickly after disembarkation in Tunisia. Aid groups warn that boats like the Maridive would turn into migrant holding facilities until deportations were arranged. Many more boats could thus turn from places of rescue to prison islands, floating along north African shores.
      More than 70 million people now fleeing conflict and oppression worldwide
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      Giorgia Linardi, of SeaWatch in Italy said: “After this episode we should reflect on whether Tunisia qualifies as a place of safety, as our sources suggested that the migrants could be immediately repatriated or expelled from the country. The situation aboard the Maridive is very much confronted with the situation faced right now by the SeaWatch vessel with 53 migrants on board which is still floating in front of Italian territorial waters. As of now, the attitude of the Italian authorities is no different from the attitude of the Tunisian authorities towards the Maridive despite the two states having a different framework in terms of protection of human rights and in terms of asylum system in place.”

      With sea conditions currently favourable, thousands are preparing to leave Libya, where war and political instability have been aggravated by floods caused by heavy rain.

      Without rescue boats, however, the number of shipwrecks is likely to rise further. Only two of the 10 NGO rescue boats that were active in the Mediterranean are still present.

      According to data from the UN and the IOM, about 3,200 people have reached Italy and Malta from North Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route – putting the death rate for those crossing at about 11% along the central Mediterranean route.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/jun/19/migrants-stranded-at-sea-for-three-weeks-now-face-deportation-aid-group

    • Italy’s redefinition of sea rescue as a crime draws on EU policy for inspiration

      https://www.statewatch.org/analyses/no-341-italy-salvini-boats-directive.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la première directive de Salvini contre la #Mare_Jonio et la façon dans laquelle il essaye (avec part de raison) justifier la criminalisation systématique des secours en mer en base aux instructions issues de la Commission dans le contexte de l’Agenda Européenne, plus des problèmes de base dans les représentations contenues dans la directive.

    • Maridive : les 75 migrants bloqués depuis 18 jours au large de Zarzis ont pu débarquer en Tunisie

      Après 18 jours d’hésitation, les autorités tunisiennes ont finalement laissé les 75 migrants du #Maridive débarquer au port de Zarzis, ce mercredi. Ils ont toutefois imposé leurs conditions : les migrants ont tous accepté préalablement de rentrer dans leur pays.

      « C’est enfin fini, c’est un soulagement ». Mongi Slim, membre du Croissant-rouge tunisien, s’est réjoui, mardi 18 juin, du débarquement des 75 migrants bloqués depuis le 31 mai au large de Zarzis. Les autorités tunisiennes refusaient en effet de laisser débarquer en Tunisie ces personnes secourues par un navire commercial égyptien, le Maridive 601, au large de la Libye.

      Après 18 jours de blocage, ils ont enfin pu toucher la terre ferme. « Nous sommes heureux pour les survivants. Ils sont épuisés, certains sont traumatisés mais nous les accompagnerons pour pouvoir enfin trouver du répit », a déclaré Wajdi Ben Mhamed, chef de bureau de l’agence de l’Organisation internationale des migrations (OIM), dans un communiqué.

      Un premier vol vers le Bangladesh jeudi

      Cependant, ce débarquement s’est fait sous conditions après de longues négociations entre les ONG, les organisations internationales et les autorités. Tunis a finalement autorisé leur débarquement à condition que les migrants acceptent tous d‘être renvoyés dans leur pays d’origine. Parmi les 75 migrants secourus, 64 sont de nationalité bangladaise, neuf égyptienne, un est originaire du Maroc et un autre du Soudan.


      https://www.facebook.com/iomtunis/posts/354908018559713

      Samedi 15 juin, des représentants de l’ambassade du Bangladesh sont montés à bord du Maridive et ont convaincu les Bangladais de retourner chez eux. Selon Mongi Slim, du Croissant rouge tunisien, un premier groupe de 20 Bangladais devrait être renvoyé dès jeudi 20 juin.

      Aucune demande d’asile déposée

      Une information que ne confirme par l’OIM, qui est chargée d’organiser les retours volontaires de ces naufragés. « Nous avons effectivement dit aux autorités qu’un vol commercial avec une vingtaine de places partaient de Tunisie demain vers le Bangladesh. Mais nous n’organisons pas de retours forcés », précise à InfoMigrants Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie. « Mais, nous attendons de faire un point avec les migrants et savoir qui veut profiter d’un retour volontaire », insiste-t-elle.

      Malgré l’accord, l’OIM rappelle que les migrants qui veulent demander l’asile seront redirigés vers le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR). Mais pour l’heure, selon l’agence onusienne, aucun des migrants du Maridive ne souhaite déposer une demande d’asile en Tunisie.
      Le 10 mai dernier, 16 migrants, majoritairement du Bangladesh, avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation ayant fait une soixantaine de morts. Deux d’entre eux avaient décidé de rentrer dans leur pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17614/maridive-les-75-migrants-bloques-depuis-18-jours-au-large-de-zarzis-on

    • Working Paper: Guidelines on temporary arrangements for #disembarkation

      Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry)."

      “Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant).”

      The Council of the European Union has produced a new “Working Paper” on: Guidelines on temporary arrangements for disembarkation (LIMITE doc no: WK 7219-19):

      “The Guidelines are based on best practices used in previous disembarkation cases, and rely on a coordinating role of the Commission and support by relevant agencies. The framework is of a temporary nature and the participation of the Member States is on a voluntary basis. This document has a non-binding nature.” [emphasis added]

      The circumstances for “triggering” Temporary Arrangements (TA) are:

      “type of arrivals covered

      – a search and rescue operation; and/or

      – other sea arrivals where there is a humanitarian ground at stake.”

      On the face of it the idea would appear to refer to just about every rescue. However the idea relies on the state of first disembarkation - for example, in the Med: Spain, France, Italy and Greece - allowing a safe port of arrival. These states then make a “relocation” request to other Member States. This is entirely based on voluntary participation.

      “Workflow in the Member State of disembarkation

      The following procedural steps should be undertaken in the Member State of disembarkation, where appropriate with the assistance from EU agencies, and where relevant with the involvement of the Member State of relocation, in agreement with the benefitting Member State:

      (...) Initial identification, registration, fingerprinting and swift security screening: Registration and fingerprinting of all arriving migrants as category 2 in Eurodac system; check against national and EU information systems (such as Eurodac, SIS, VIS, Europol and Interpol databases) to ensure that none of the persons arriving to the EU is a threat to public policy, internal security or public health.

      Assessment regarding possible use of alternatives to detention or detention, on a case by case basis, pending further processing (in the context of border procedure, where possible, or otherwise)”

      Member states will be allowed to set conditions on acceptable refugees to relocate:

      “Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry).”

      The European Border and Coast Guard Agency (EBCGA) will:

      “provide assistance in screening, debriefing, identification and fingerprinting;

      – deploy Return Teams (composed of escort, forced return monitor and/or return specialists);”

      Financial support

      "Under the AMIF Regulation, funds are to be made available for:

      – Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant, applying the amended Article 18 of the AMIF Regulation 516/2014);

      – support to return operations;

      – Member States under pressure, as appropriate, including the possibility of a lump sum per relocation to cover transfer costs.

      – When MS make full use of the lump sums available under the national programmes, additional financial support could be provided.

      http://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-council-disembark.htm

    • La #marine_italienne sur le banc des accusés

      En octobre 2013, un bateau de pêche chargé de réfugiés syriens fait naufrage près de Lampedusa, île italienne proche de la Sicile. Si 212 personnes ont pu être sauvées, 26 corps ont été repêchés et environ 240 sont restées portés disparus dont une soixantaine d’enfants. Ce drame ne restera pas impuni.
      Un procès se tiendra en 2018 avec, sur le banc des accusés pour homicide involontaire et non-assistance à personnes en danger, des officiers de la marine italienne. C’est la première fois qu’un procès de ce type est lancé. Ce jour-là, un médecin syrien qui se trouvait à bord avec ses deux enfants -tous deux morts noyés- a appelé plusieurs fois au secours les garde-côtes italiens. Ceux-ci retransmettaient le relais à leurs confrères maltais et peu après lançaient un message signalant la situation aux navires se trouvant dans la zone. C’était le cas du navire Libra de la marine italienne, à moins d’une heure de navigation mais qui, au lieu de se précipiter, s’est éloigné en laissant intervenir les Maltais, ce qui prenait beaucoup plus de temps. Le bateau des migrants a fini par chavirer à 17h07. Les secours dont, le Libra, sont arrivés vers 18h00. Trop tard.

      https://www.arte.tv/fr/videos/080337-000-A/la-marine-italienne-sur-le-banc-des-accuses

    • Bangladeshi migrants in Tunisia forced to return home, aid groups claim

      Relatives say more than 30 people stuck at sea told to go home or lose food and water.

      More than 30 migrants from Bangladesh who were trapped on a merchant ship off Tunisia for three weeks have been sent back to their home country against their will, according to relatives.

      They were among 75 migrants rescued on 31 May by the Maridive 601, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, only to spend the next 20 days at sea near the Tunisian coast.

      The International Organization for Migration, an intergovernmental organisation linked to the United Nations, said the Bangladeshis “wished to return home”.

      But relatives and aid groups claimed that when a Bangladeshi envoy visited the boat the migrants were forced to accept their repatriation under the threat of having food, water and medical treatment being taken away.

      One relative told the Guardian: “When all the people were on the boat, they were told by the Bangladeshi embassy that if they didn’t agree to sign, they would not get any food or water any more. The people were afraid to die on the boat. The Bangladeshi embassy forced them to sign.”

      On 18 June, the 75 migrants, who included Egyptian, Moroccan and Sudanese people, were taken off the Maridive 601 and transferred to a Tunisian detention centre.

      The IOM confirmed that a few days later the first 17 individuals were returned to Bangladesh, and on 24 June, another 15 migrants were sent back.

      It said “more migrants will be travelling in the coming days, according to their decision”.

      The Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), an independent organisation that aims to defend economic and social rights, said: “We doubt that the decisions to return were made voluntarily by the migrants.

      “We have tried to visit the migrants in the reception centre in order to inquire about their wellbeing but despite making repeated inquiries and requests, the whereabouts of the detained migrants was not revealed.”

      Another relative said: “I spoke with my brother this morning in the centre. He is scared to be returned to Bangladesh, like all the people there. Nobody wants to return to Bangladesh; everyone who is returned is forced.”

      The IOM’s head of mission in Tunisia, Lorena Lando, rejected the accusations. “None of the migrants has been deported; [they] wished to return,” she said. “IOM does not do deportation, nor force anyone to return.”

      Lando said the IOM “did not have access” to the migrants until 19 June, after the Tunisian authorities allowed their disembarkation.

      She added: “Remaining at sea was not a solution either. It is up to the person to also apply for asylum if they fear persecution … or seek help to return home or take time to decide.”

      A spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members, said: “The IOM refers to such deportations as voluntary returns but what is voluntary about telling survivors that they can leave their prison merely if they agree to be returned?

      “Do we really believe that these Bangladeshi people risked their lives to move to Libya and then to try to cross the Mediterranean, only to then be ‘voluntarily’ returned to Bangladesh?”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/25/bangladeshi-migrants-in-tunisia-forced-to-return-home-aid-groups-claim

  • L’ONG #Sea-Eye va identifier les embarcations en détresse grâce aux #images_satellites

    L’ONG allemande Sea-Eye se lance dans un nouveau projet : le #Space-Eye. Objectif : utiliser les images satellites d’une société privée pour alerter sur la présence de migrants en détresse au large de la Libye, et documenter d’éventuelles violations des droits de l’Homme.

    Après les navires humanitaires et les avions de reconnaissance qui sillonnent les côtes libyennes à la recherche d’embarcations de migrants en détresse, Sea-Eye s’intéresse désormais aux images satellite avec un nouveau projet, Space-Eye. L’ONG allemande vient de signer un contrat avec Planet, une société privée américaine de fournisseur d’images satellites, afin de surveiller les côtes libyennes.

    Les images satellites fournies permettront à Sea-Eye d’alerter les ONG présentes au large de la Libye ou le MRCC italien et maltais, lorsqu’un navire est en difficulté.

    Mais ce n’est pas la seule mission que s’est donné Space-Eye. L’ONG cherche aussi à recenser les canots qui n’ont pas pu être secourus ; comment ? En comparant les images satellites actuelles à celles plus anciennes. En effet, #Planet peut fournir des images remontant sur plusieurs années, qu’elle garde en stock.

    « On veut ainsi vérifier si Frontex [garde-côtes européens, ndlr] vient secourir les migrants ou non lorsqu’ils reçoivent un appel de détresse. On a des doutes. Avec les images satellites et les signaux émis par Frontex, on pourra y voir plus clair », explique à InfoMigrants Hans-Peter Buschheuer, chargé de la communication de Space-Eye.

    La zone de surveillance définie englobe 4 500 kilomètres, au large des côtes libyennes. Elle s’étend sur 100 km de long et 30 km de large, au plus près de la région où les départs sont les plus importants.

    Pour l’ONG, ce projet est nécessaire car la politique européenne les inquiète. En effet, l’Italie n’accueille plus aucun navire sur son sol depuis l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini l’année dernière. Pire, les navires humanitaires sont régulièrement maintenus à quai dans les ports européens. « On pense qu’à terme il n’y aura plus aucun navire humanitaire dans la zone et que les avions comme le #Moonbird seront cloués au sol. Les images satellites seront le seul moyen de surveiller ce qu’il se passe le long des côtes libyennes », précise encore Hans-Peter Buschheuer.
    Space-Eye espère publier un rapport sur d’éventuelles violations des droits de l’Homme au large de la Libye dans les prochains mois.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/15933/l-ong-sea-eye-va-identifier-les-embarcations-en-detresse-grace-aux-ima
    #sauvetage #Méditerranée #ONG #asile #migrations #réfugiés #nouvelle_stratégie #droits_humains #forensic_architecture

    métaliste ici :
    https://seenthis.net/messages/706177

  • Il y a déjà beaucoup de matériel sur seenthis concernant les #ONG en #Méditerranée (v. https://seenthis.net/messages/678296)

    Je me suis dite que cela valait la peine de commencer un nouveau fil, car il y aura encore beaucoup de choses à archiver depuis que le nouveau gouvernement en Italie a été formé...

    Ce fil complète plus particulièrement celui-ci : https://seenthis.net/messages/514535

    #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #sauvetage

    cc @isskein

    • Ong, Saviano replica a #Salvini: «Il diritto del mare ha una regola sacra: non si lasciano annegare le persone»

      Lo scrittore e giornalista Roberto Saviano risponde attraverso un video alle parole pronunciate dal leader della Lega e neo ministro Matteo Salvini ("Le Ong? No ai vice scafisti che attraccano nei porti"): «La poca conoscenza che ha il ministro Salvini del diritto del mare lo porta a ignorare un elemento fondamentale: le Ong agiscono sempre coordinate dalla Guardia Costiera italiana, quindi sempre nel rispetto delle regole. Dando dei ’vice scafisti’ a persone che salvano vite in mare, sta dando anche colpa alla Guardia costiera italiana e di questo deve prendersene responsabilità». Infine dice: «Il diritto del mare ha una regola eterna: Non si lasciano persone a mare, non si lasciano annegare. E non sarà Salvini a interrompere questo diritto sacro»

      https://video.repubblica.it/politica/ong-saviano-replica-a-salvini-il-diritto-del-mare-ha-una-regola-sacra-non-si-lasciano-annegare-le-persone/306649/307279?refresh_ce

    • Migranti, Salvini a Malta: «La nave Aquarius non può attraccare in Italia». La replica: «Non spetta a noi»

      La decisione del ministro dell’Interno che ha intimato a Malta di accettare la nave con a bordo 629 migranti che sta entrando nelle acque di competenza de La Valletta. Gino Strada: «Sconcertato nel vedere ministri razzisti o sbirri alla guida del mio Paese»


      https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_giugno_11/migranti-salvini-la-aquarius-non-potra-approdare-un-porto-italiano-28e
      #Malte

    • #Aquarius, da Napoli a Palermo i sindaci contro Salvini: “I nostri porti sono aperti. È senza cuore e viola le norme”

      #Luigi_De_Magistris e #Leoluca_Orlando danno la loro disponibilità ad accogliere la nave Aquarius con a bordo gli oltre 600 migranti. Il sindaco di #Messina: «La nave è diretta qui, no a diktat: il porto è aperto». #Falcomatà (#Reggio_Calabria): «Disponibili come sempre». Pd: «Rischi umanitari, parli Conte». Boldrini: «Il ministro dell’Interno riporta il Paese ai tempi di sua nonna». Ma Forza Italia sta con il governo

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/10/aquarius-da-napoli-palermo-sindaci-contro-salvini-nostri-porti-sono-aperti-e-senza-cuore-e-viola-le-norme/4417316
      #Naples #Palerme #port

    • Migranti, Salvini a Malta: «Accolga la nave Aquarius, porti italiani chiusi». La replica: «Non è nostra competenza»

      Messaggio alle autorità maltesi: «Il porto più sicuro è il vostro». La risposta è negativa: «Il soccorso è stato coordinato da Roma». Il premier Conte: «Inviamo motovedette con medici». Alle 22.50 arrivano nuove istruzioni: fermarsi in mezzo al mare a 35 miglia dalla Sicilia


      http://www.repubblica.it/politica/2018/06/10/news/porti_salvini-198644488

    • De Magistris: «Il porto di Napoli pronto ad accogliere i migranti»

      Il sindaco del capoluogo campano risponde così alla decisione del ministro dell’Interno: «Metodo brutale, noi siamo per le vite umane». Con lui, i primi cittadini di Messina, Palermo, Reggio Calabria. Molte le critiche da sinistra. Grasso (Leu) commenta la foto di Salvini: «Olio di ricino su tela»

      http://www.repubblica.it/politica/2018/06/10/news/de_magistris_il_porto_di_napoli_pronto_ad_accogliere_i_migranti_-19866240

    • L’#Espagne va accueillir le navire avec 629 migrants en Méditerranée, le ministre italien Salvini crie victoire et prévient les autres navires

      L’Espagne a accepté d’accueillir le navire transportant les 629 migrants secourus au large de la Libye, dont le sort était l’enjeu d’un bras de fer entre Malte et l’Italie, a annoncé lundi le gouvernement de Pedro Sanchez. « Le président du gouvernement Pedro Sanchez a donné des instructions pour que l’Espagne honore les engagements internationaux en matière de crise humanitaire et a annoncé qu’elle accueillerait dans un port espagnol le navire Aquarius dans lequel se trouvent plus de 600 personnes abandonnées à leur sort en Méditerranée », indique un communiqué de la présidence du gouvernement.

      http://www.lalibre.be/actu/international/l-espagne-va-accueillir-le-navire-avec-629-migrants-en-mediterranee-le-minis

    • Migrants rejetés par l’Italie : l’Espagne propose d’accueillir l’« Aquarius » dans le port de Valence

      Six cent vingt-neuf passagers, dont de nombreux enfants, sont depuis samedi à bord du navire de sauvetage qui ne trouve pas de port pour l’accueillir.

      Un espoir pour les 629 migrants de l’Aquarius ? Le chef du gouvernement espagnol, Pedro Sanchez, a annoncé lundi 11 juin que son pays accueillerait le navire de sauvetage affrété par l’ONG française SOS-Méditerranée qui s’est vu refuser depuis samedi l’accès aux ports italiens et maltais.

      « Il est de notre obligation d’aider à éviter une catastrophe humanitaire et d’offrir un “port sûr” à ces personnes », dit un communiqué de la présidence du gouvernement, précisant que le port de Valence a été choisi comme destination du navire.

      Le premier ministre maltais, qui a lui-même refusé d’accueillir le navire, a remercié sur Twitter son homologue espagnol et proposé de faire parvenir des provisions à l’Aquarius. « Nous devrons nous réunir pour éviter qu’une telle situation se reproduise », écrit-il, ajoutant : « Il s’agit d’un problème européen. »

      Rien n’est pourtant acté du côté de l’association SOS-Méditerranée : « Cette déclaration politique doit encore trouver une traduction opérationnelle, notamment auprès des autorités maritimes », a indiqué au Monde Fabienne Lassalle, directrice adjointe de l’ONG.

      Depuis dimanche, la situation n’a pas évolué au large de Malte, où se trouve l’Aquarius, à quelque 30 milles de la petite île méditerranéenne, malgré les appels en ce sens de l’ONU et de Bruxelles. Sept femmes enceintes, 11 enfants en bas âge et 123 mineurs isolés notamment se trouvent à bord.

      « Impératif humanitaire »

      « Nous demandons à toutes les parties concernées de contribuer à un règlement rapide afin que les personnes à bord du navire Aquarius puissent être débarquées en toute sécurité dès que possible », a déclaré devant la presse le porte-parole de la Commission européenne, Margaritis Schinas, évoquant un « impératif humanitaire ».

      Le même terme a été repris par le Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR) de l’Organisation des Nations unies, qui a décrit la situation comme « un impératif humanitaire urgent ». « Les gens sont en détresse, ils sont à court de provisions et ont besoin d’aide rapidement », affirment les Nations unies. « Les questions plus larges de savoir qui a la responsabilité et comment ces responsabilités doivent être partagées entre Etats devraient être traitées plus tard », ajoute leur communiqué.

      En Europe, Berlin a fait part de sa préoccupation. « Le gouvernement allemand appelle toutes les parties impliquées à assumer leur responsabilité humanitaire », a déclaré le porte-parole du gouvernement allemand, Steffen Seibert.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/06/11/la-commission-europeenne-exhorte-malte-et-l-italie-a-trouver-une-solution-po
      #Valence

    • El Gobierno ofrece el puerto de Valencia para acoger a los 629 refugiados a la deriva en el Mediterráneo

      El Gobierno central acepta el ofrecimiento de Valencia como ciudad de acogida de los más de 600 inmigrantes que llevan días deambulando en un barco en el Mediterráneo. El alcalde de València, Joan Ribó, ha ofrecido este lunes la ciudad de para acoger a los refugiados del Aquarius, el barco de rescate de la ONG SOS Mediterráneo con 629 inmigrantes a bordo, entre ellos 123 menores, al que Italia ha cerrado sus puertos.

      https://www.eldiario.es/cv/Ribo-Valencia-refugiados-rescatados-Mediterraneo_0_781122098.html

    • Pedro Sánchez ofrece València como puerto para el ‘Aquarius’

      El Gobierno de España ha ofrecido a la ONU la ciudad de València como “puerto seguro” para el barco ‘Aquarius’, que navega con 629 inmigrantes y refugiados rescatados por MSF y Sos Mediterranée, cuya entrada a Italia ha sido impedida por el nuevo ministro del Interior, Matteo Salvini. La alcaldesa de Barcelona, Ada Colau, también había ofrecido su puerto.

      Pedro Sánchez ha dado instrucciones para que España “cumpla con los compromisos internacionales en materia de crisis humanitarias”, ha destacado el Ejecutivo en un comunicado. “Es nuestra obligación ayudar a evitar una catástrofe humanitaria y ofrecer ‘un puerto seguro’ a estas personas, cumpliendo de esta manera con las obligaciones del Derecho Internacional”, añade. El destino será València previa coordinación con la Generalitat valenciana.


      http://www.lavanguardia.com/local/valencia/20180611/4519741327/valencia-se-ofrece-puerto-aquarius.html

    • Aquarius: Spagna troppo lontana, fa rotta verso l’Italia

      Sos e Msf decidono di non fare rotta verso la Spagna, troppo rischioso. Raggiungere Valencia significa sottoporre i migranti a ore estenuati di viaggio. A bordo c’è ancora cibo e acqua ma non sufficienti per i giorni necessari a raggiungere la Spagna: l’equipaggio ritiene che sia comunque rischioso.

      La nostra corrispondente, Anelise Borges, direttamente dalla nave, ha intervistato in esclusiva per Euronews il coordinatore della ong Sos Mediterranée Italia, Nicola Stalla:

      «Abbiamo informato Spagna e Italia e tutte le autorità marittime in comunicazione con l’Aquarius in queste ore, che le circostanze in cui ci troviamo e con la quantittà ingente di persone a bordo, non ci sarebbero le condizioni di sicurezza per la nave e per l’equipaggio e per tutte le persone che sono a bordo per affrontare quest’altro viaggio e arrivare in spagna»

      Avremmo potuto affrontare questo tipo di viaggio se avessimo avuto meno persone sulla nave in modo tale che potessero essere accomodati e protetti all’interno di uno spazio coperto e non esposti all’aperto sui pontili. Le condizioni atmosferiche peggioreranno nei prossimi giorni infatti"
      La Sos Mediterrannée che opera in parternariato con Medici senza frontiere, reputa insomma troppo lontana la Spagna e non puo accettare la proposta del neo premier Pedro Sànchez.

      http://it.euronews.com/2018/06/11/aquarius-spagna-troppo-lontana-fa-rotta-verso-l-italia

    • L’Aquarius non approderà in Spagna

      La ong SOS Mediterranée ha rifiutato l’offerta del governo spagnolo: il viaggio fino al porto di Valencia sarebbe stato insostenibile per i seicento migranti a bordo della nave

      Lunedì sera la ong SOS Mediterranée ha fatto sapere che la nave Aquarius in arrivo dalla Libia e con circa seicento migranti a bordo non approderà al porto di Valencia, nonostante l’offerta del nuovo governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez. SOS Mediterranée – che si trova ancora tra Malta e Italia dopo che le era stato rifiutato l’approdo dal governo italiano – ha detto che il viaggio per Valencia sarebbe stato troppo lungo, dai tre ai cinque giorni, e avrebbe messo in pericolo la vita delle persone a bordo. La nave, infatti, ha già raggiunto la sua massima capienza e nei prossimi giorni è previsto un peggioramento del tempo. SOS Mediterranée ha ringraziato il governo spagnolo dell’offerta e ha sollecitato quello italiano a trovare una soluzione per le oltre seicento persone che si trovano sulla nave, molte delle quali minori e alcune in condizioni di salute precarie.

      Il governo spagnolo – che da pochi giorni è guidato dal leader socialista Pedro Sánchez – aveva fatto sapere di aver messo a disposizione il porto di Valencia «per evitare una crisi umanitaria». Valencia dista però più di 1.500 chilometri e fin da subito erano emersi dubbi sul fatto che l’equipaggio e le persone soccorse sarebbero state in grado di compiere un viaggio così lungo.

      https://www.ilpost.it/2018/06/11/aquarius-migranti-salvini

    • Commentaire de Sara Prestianni sur FB :

      Valencia è a 700 miglia da dove si trova ora L’Aquarius, a 3-4 giorni di traversata .... non certo il porto più sicuro.

      Inoltre con il far approdare la nave della Marina al porto di Catania, Salvini ribadisce che il suo obbiettivo sono, oltre ai migranti, le ong che praticano salvataggio in mare.

      https://www.facebook.com/prestianni.sara/posts/10216315178380129

      Et réponse d’Alessandro Fioroni :

      infatti mi pare che questo aspetto sia quasi espunto dal dibattito, tra l’altro 4 giorni per andare e 4 per tornare fanno 8, 8 giorni di assenza dalla zona calda. Spero proprio che non si verifichino tragedie

    • Pourquoi le navire humanitaire « Aquarius » n’accosterait pas en France ?

      A la différence de l’Espagne, la France n’a pour l’heure pas fait de proposition à l’ONG SOS Méditerranée pour accueillir son bateau, et rien ne l’y oblige.

      Bonjour,

      Le navire Aquarius, qui secoure les migrants en difficulté en Méditerranée au cours de la traversée vers l’Europe, s’est vu proposer, lundi 11 juin, un port espagnol pour accoster. Habitué des rades italiennes, le bateau affrété par SOS Méditerranée paye cher l’arrivée au pouvoir, de l’autre côté des Alpes, de la coalition Ligue du Nord (extrême droite) - mouvement Cinq Étoiles (anti système).

      Le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini (Ligue du Nord) a en effet refusé, pendant le week-end, d’accueillir l’Aquarius, et les plus de 600 migrants rescapés à son bord. Dimanche, Salvini reprochait à Malte de ne pas prendre ses responsabilités, menaçant de ne plus laisser accoster aucun bateau humanitaire dans les ports italiens, si La Valette n’ouvrait pas ses rades à l’Aquarius. Mais les Maltais ont refusé.

      Le Premier ministre socialiste espagnol Pedro Sanchez est alors entré en jeu, proposant le port de Valence au navire. Salvini s’est alors félicité, lors d’une conférence de presse à Milan, ce lundi après-midi, que le bateau débarque « dans un autre port qu’un port italien ». « Victoire », a aussi écrit le droitiste ministre de l’Intérieur italien sur Twitter. Dans la foulée, le Premier ministre maltais annonçait que l’île allait envoyer des ravitaillements à l’Aquarius, pour lui permettre de rallier l’Espagne.
      Querelle de droits

      L’Aquarius est intervenu dans les eaux territoriales libyennes, et a réalisé, selon l’Agence France-Presse, six opérations dans la nuit de samedi à dimanche. Il compte aujourd’hui 629 migrants à son bord. Sur marinetraffic.com, on peut situer le navire, au sud de la Sicile, à l’est de Malte et observer le trajet du bateau jusqu’aux côtes de Libye et en sens inverse.

      « Selon la Convention internationale sur le sauvetage (Search and Rescue, SAR) de 1979, les Etats définissent une zone où ils sont habilités à effectuer des sauvetages », explique à CheckNews Kiara Neri, maître de conférences à Lyon III. Puisque la Libye n’a pas les moyens d’assurer cette mission, la « zone SAR » italienne s’étend jusqu’aux côtes de l’Etat africain. « C’est donc le commandement de Rome qui gère les bateaux humanitaires qui interviennent là-bas », résume la spécialiste du droit international et maritime.

      L’Organisation internationale pour les migrations (OIM), dans une résolution de 2004, rappelle qu’il faut, en vertu des conventions internationales, que « dans un temps raisonnable, un endroit sûr [place of safety] » soit assuré aux personnes assistées en mer. Et ensuite : « La responsabilité de mettre à disposition un endroit sûr, ou de s’assurer qu’un endroit sûr soit mis à disposition, incombe au gouvernement responsable de la zone SAR dans laquelle les survivants ont été sauvés. » En l’occurrence, l’Italie.

      Or, à 19 heures ce lundi, Rome n’a toujours pas donné de consignes à l’Aquarius. « Nous sommes toujours en stand by », se désole Antoine Laurent, responsable des opérations maritimes de SOS Méditerranée, auprès de CheckNews. « On attend d’avoir des nouvelles des Italiens, soit pour nous dire d’accoster quelque part, soit pour nous confirmer qu’on doit aller en Espagne. »

      Sur le papier, toutefois, plusieurs villes, comme Reggio de Calabre, ou Naples, ont offert l’hospitalité, via les réseaux sociaux, à l’Aquarius. « Mais ces propositions ne servent pas si le ministère de l’Intérieur s’y oppose », rappelle Kiara Neri.
      Et la France dans tout ça ?

      Théoriquement, le bateau a le droit de sortir de la zone SAR italienne. Le problème, c’est qu’il n’en a pas les moyens. L’Espagne est à près de trois jours de mer, et le bateau ne dispose de vivres que pour une journée, selon Sophie Beau. La directrice générale de SOS Méditerranée, interrogée par l’AFP, juge la proposition espagnole « encourageante » mais « concrètement, il faut qu’on puisse débarquer au plus vite. »

      Ce manque de nourriture constitue, selon l’ONG, un « impératif humanitaire urgent », qui pourrait contraindre Malte ou l’Italie à laisser accoster l’Aquarius.

      Le bâtiment appartenant à une ONG française, que peut et doit faire Paris ? « Légalement, rien n’oblige la France à proposer quoi que ce soit », observe Kiara Neri. Par ailleurs, « la France n’est pas beaucoup plus près que l’Espagne », remarque Antoine Laurent qui préférerait voir le bateau jeter l’ancre à Malte ou en Sicile.

      Toutefois, selon le responsable de SOS Méditerranée, l’ONG n’a reçu aucune proposition de la part des autorités françaises. Sollicités par CheckNews, les ministères de l’Intérieur et des Affaires étrangères, et la présidence de la République n’ont pas répondu.

      Interrogé à ce sujet par une journaliste de BFM, lors d’une conférence de presse en marge d’une rencontre bilatérale avec la Belgique sur la sécurité et la lutte contre le terrorisme, le Premier ministre Edouard Philippe a botté en touche, évoquant plus largement la politique migratoire française, estimant notamment qu’il faut « traiter avec les pays d’origine de ces migrations […] pour éviter les départs ».

      Cordialement

      http://www.liberation.fr/checknews/2018/06/11/pourquoi-le-navire-humanitaire-aquarius-n-accosterait-pas-en-france_16582

    • UN High Commissioner for Refugees welcomes Spain’s decision to allow Aquarius to dock
      Today’s decision of Prime Minister Pedro Sanchez of Spain to exceptionally allow a rescue ship, Aquarius, to dock in his country is courageous and welcome. It ends what was becoming an increasingly difficult and untenable situation for the crew of the Aquarius and the more than 600 rescued people who were aboard.

      Irrespective of how European countries choose to manage their sea borders, the principle of rescue at sea is one that should never be in doubt. I would welcome opportunity to discuss with concerned governments arrangements for search and rescue operations in the Mediterranean and to avoid any repetition of the situation in which the Aquarius found itself.

      My office stands ready, as always to work with countries of Europe and the Mediterranean to ensure that saving lives and maintaining asylum remains our shared priority.

      http://www.unhcr.org/news/press/2018/6/5b1ea1824/un-high-commissioner-refugees-welcomes-spains-decision-allow-aquarius-dock.ht

    • Refugees in Orbit – again !

      Matteo Salvini, Italy’s new far-right home secretary, tweeted “Vittoria!” after news broke that the 629 persons stranded aboard the M.S. Aquarius would be forced to proceed to the Spanish city of Valencia rather than being allowed to disembark at much closer ports in Sicily. But for whom was it a “victory”?

      Surely not for those seeking asylum who had been stranded at sea for days on an overcrowded search and rescue ship. The ability of ship’s crew of 12 had been strained to the breaking point attempting to meet the medical and survival needs of those rescued on Saturday, including persons with serious chemical burns and others requiring urgent orthopaedic surgery, as Italy and Malta bickered like petulant children about which should step in to save lives.

      And surely not for international law. The longstanding principle that a shipmaster has a duty to rescue persons in distress without regard for their nationality, status, or circumstances is pragmatically viable only when states honour their duty to enable the speedy disembarkation of those rescued – a duty that Italy (and perhaps also Malta) breached in this case.

      But is it a victory for Italy, as the home secretary presumably meant to suggest? There is no doubt that Italy (and to a much greater extent, Greece) has shouldered more than its fair share of refugees arriving to seek protection in Europe. Nor can it be doubted that Europe and the rest of the world have acted too slowly and undependably to share-out what is in principle a common responsibility to protect refugees, thus fueling frustration and even anger. The EU’s absurd “Dublin Regulation” rule that allocates nearly all protection duties to the first country in which a refugee arrives is both unprincipled and cruel. So while nothing can justify Italy’s flagrant breach of the duty to facilitate speedy disembarkation of those rescued, its determination to force a redistribution of responsibility is perhaps more comprehensible.

      In truth, the real villain here is an outmoded system of implementing protection obligations under the UN’s Refugee Convention. Under the status quo, whatever country a refugee reaches is the one and only country that has protection obligations to that refugee. Accidents of geography, rather than any principled metric, determine which states are obliged to carry the burdens for implementing what is in theory a universal duty to protect refugees. That approach has led to some 60% of the world’s refugees being left in the hands of just 10, mostly very poor, countries – with the rest of us giving them only bits of charity and offering resettlement to only about 1% of the refugees they admit. There is therefore a perverse incentive built into the system to turn refugees away – as this week’s horrific events in the Mediterranean make clear.

      The UN’s “global compact” process was supposed to end this prisoner’s dilemma. Yet under the proposal now offered by UNHCR (the UN’s global refugee agency), little will change. The agency suggests only that states agree to attempt to hash out possible voluntary relief to frontline states on a case-by-case basis – leaving those states confronted with the arrival of refugees in the truly horrible bind of choosing between waiting and hoping for solidarity (that may or may not come) and turning refugees away. For the UN to have failed to put forward a plan for binding and immediate sharing of financial burdens and human responsibilities is ethically inexcusable.

      So if Italy is angry, it should turn its anger toward those responsible for its dilemma – the EU for failing to move beyond the manifestly wrong-headed “first country of arrival rule,” and the UN for failing to offer leadership on a serious system to share refugee burdens and responsibilities. But taking out its anger on sick and exhausted refugees as it did this week was not a victory for anyone.

      https://verfassungsblog.de/refugees-in-orbit-again

    • En 1939, l’Amérique ferma sa frontière à un paquebot de 908 réfugiés #juifs

      À l’heure où l’Europe ferme ses frontières aux réfugiés, il est bon de se rappeler cet épisode de 1939 où un bateau de plus de 900 réfugiés juifs fut prié de retourner en Europe, sous le régime nazi.

      Le 13 mai 1939, le #Saint-Louis, paquebot transatlantique allemand, quitte le port de Hambourg. À son bord, 937 passagers. La grande majorité d’entre eux sont des juifs allemands fuyant le Troisième Reich.

      Persécutés–quelques mois auparavant avait lieu la Nuit de Cristal, pogrom où une centaine de juifs furents assassinés–, ils ont réuni l’argent nécessaire pour un visa et un aller simple sur le Saint-Louis dans l’espoir de trouver refuge en Amérique.

      Mais, alors que leur paquebot appareille dans le port de la Havane, les autorités cubaines ne les autorisent pas à débarquer. Hostile envers les juifs, « le pays souffrait en plus d’une dépression économique et beaucoup de Cubains n’appréciaient pas du tout le nombre relativement grand de réfugiés [...], qui étaient perçus comme des concurrents pour les rares emplois », rapporte l’Encyclopédie multimédia de la Shoah. Seuls vingt-neuf d’entre eux sont autorisés à rester sur le sol cubain.

      Quotas de réfugiés

      Après Cuba, le Saint-Louis tente sa chance aux États-Unis. Le bateau navigue si près des côtes de la Floride que les passagers aperçoivent les lumières de Miami. Un câble est envoyé au président Franklin D. Roosevelt, lui demandant de leur accorder l’asile. Il ne reçut jamais de réponse.
      À l’époque, la presse américaine s’est largement fait l’écho de la situation critique des passagers du Saint-Louis. Mais l’Acte d’immigration de 1924, mis en place aux États-Unis, limitait le nombre de réfugiés pouvant être admis chaque année. À l’été 1939, le quota était déjà atteint.

      Les Américains, quoique compatissants vis-à-vis des réfugiés et indignés par la politique du régime nazi, soutiennent ces restrictions à l’immigration. La crise économique de 1929 venait de passer par là, laissant des millions d’Américains au chômage, et l’arrivée d’immigrés était vue comme une menace sur les derniers emplois disponibles.

      Souvenir honteux

      Le Saint-Louis a dû faire demi-tour pour l’Europe, alors sous la botte nazie. Beaucoup de ses passagers furent victimes des camps, comme les membres de cette famille, tous tués à Auschwitz, rapporte le site News :

      Le Saint-Louis a dû faire demi-tour pour l’Europe, alors sous la botte nazie. Beaucoup de ses passagers furent victimes des camps

      Le souvenir honteux du paquebot Saint-Louis, désormais immortalisé dans les musées de l’holocauste à travers le monde, n’est pas sans rappeler la situation critique de l’Europe.

      La Méditerranée est devenue un cimetière marin, avec plus de 30.000 migrants morts depuis 2000 lors du naufrage de leur embarcation, tandis qu’à Calais les réfugiés tentent de forcer l’entrée du tunnel sous la Manche au péril de leur vie. Pendant ce temps, les pays européens hésitent sur la marche à suivre pour gérer cet afflux de migrants et de réfugiés fuyant la guerre dans leur pays.

      Faut-il leur ouvrir toutes grandes les portes de l’Europe ? Faut-il se protéger avec encore plus de barbelés ? L’opinion oscille entre bonne volonté utopique et xénophobie voilée. Il n’existe aucune solution simple, mais conclut le site Project Syndicate, « se rappeler du sort des juifs d’Europe dans les années 1930 devrait au moins nous obliger à ne pas faire preuve d’indifférence envers le sort de ceux qui n’ont nulle part où aller ».


      http://www.slate.fr/story/106249/1939-amerique-refoulait-refugies-juifs
      #histoire #WWII #deuxième_guerre_mondiale #seconde_guerre_mondiale

    • Cronaca di una giornata sull’Aquarius

      Dalla sera del 10 giugno la nave Aquarius di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere è ferma a 35 miglia dalle coste italiane, in attesa che le autorità decidano quale è il porto di destinazione, ma la situazione a bordo è sempre più critica. La nave trasporta 629 persone, salvate in diverse operazioni al largo della Libia nel corso del weekend: i viveri basteranno ancora soltanto per poche ore. Nel frattempo il nuovo governo spagnolo, guidato dal socialista Pedro Sánchez, ha dato la sua disponibilità allo sbarco dei migranti nel porto di Valencia, in Spagna, che dista però qualche giorno di navigazione dal punto in cui la nave umanitaria si trova in questo momento.

      L’annuncio è stato accolto con sorpresa da Medici senza frontiere che in un comunicato ha detto di non aver ricevuto ancora comunicazioni ufficiali. “Medici senza frontiere ha appreso dai mezzi d’informazione che il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, ha offerto Valencia come porto di sbarco per la nave Aquarius. Non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale in merito da parte dei centri di coordinamento dalla centrale operativa della guardia costiera di Italia o Spagna. La situazione a bordo per le 629 persone soccorse, con diverse di loro che hanno bisogno di assistenza medica, richiede una soluzione urgente”.

      “Le persone a bordo hanno cominciato a chiedere cosa sta succedendo”, racconta Alessandro Porro, uno dei volontari italiani di Sos Méditerranée. “Li abbiamo informati che stiamo aspettando istruzioni per l’indicazione di un porto di sbarco, ma li abbiamo rassicurati sul fatto che non li porteremo in Libia, questa è la loro maggiore preoccupazione”, racconta Porro. A bordo non ci sono casi medici che hanno bisogno di un immediato trasferimento: ci sono sette donne incinte che probabilmente saranno trasportate in Italia con delle motovedette italiane perché non possono sostenere il viaggio verso la Spagna. “Le persone a bordo hanno problemi di disidratazione, di ustioni da carburante e infine c’è un ragazzo che ha bisogno di un intervento chirurgico”, continua Porro. Le motovedette con i presidi medici, che erano state annunciate dal governo italiano, non sono mai arrivate.

      “Avere più di seicento persone a bordo implica che lo spazio a loro disposizione non sia molto, la nave è lunga settanta metri, non è un traghetto. Per ora non ci sono ancora state tensioni, ma la situazione non è facile, ci stiamo facendo aiutare dagli stessi migranti per le pulizie. Solo le donne possono stare sotto coperta, gli uomini e i ragazzi sono sul ponte, all’aperto”, continua Porro che spiega che di solito il tempo di permanenza in queste condizioni è di uno o due giorni. “Non c’è problema né per il carburante né per l’acqua, perché l’Aquarius ha al momento parecchia autonomia e ha un impianto di desalinizzazione dell’acqua marina, ma i viveri finiranno entro poche ore”, conclude Porro.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/06/11/cronaca-giornata-aquarius

    • Yesterday, Monday 11th June, at 9pm, more than a thousand of people gathered in front of the port of Palermo to protest against the decision of Salvini, Italian Minister of Internal Affairs, to close Italian ports to boats carrying migrants.

      Hier, lundi 11 juin, à 21h, plus de mille personnes se sont rassemblées devant le port de Palerme pour protester contre la décision de Salvini, Ministre de l’Intérieur italien, de fermer les ports aux bateaux transportant des migrant.e.s.

      Des associations, des civils, des officiels dont le maire, se sont rejoints devant le port, un peu avant 21h. Le cortège s’est ensuite rendu jusqu’à Piazza Massimo, coeur de la ville, en passant devant la Préfecture de Palerme.

      Quelques articles/ photos sur la situation en Italie / et la manifestation (en italien)
      http://palermo.repubblica.it/cronaca/2018/06/12/foto/palermo_in_migliaia_al_porto_per_solidarieta_all_aquarius-198792435/1/#4

      http://siciliainformazioni.com/cettina-vivirito/834435/palermo-reato-di-altruismo-siamo-tutti-colpevoli-al-presidio-ap

      http://www.radiondadurto.org/2018/06/11/nave-aquarius-lega-e-5-stelle-chiudono-i-porti-scoppia-il-caso-diplom

    • Les dirigeants nationalistes corses proposent d’accueillir l’«Aquarius», chassé d’Italie

      Le président du conseil exécutif de Corse Gilles Simeoni a proposé ce mardi d’accueillir sur l’île le navire affrété par l’ONG qui a secouru 629 migrants en Méditerranée, enjeu d’un bras de fer entre l’Italie et Malte, qui refusent de le laisser accoster. « Manque de vivres, mauvaises conditions météo, et port espagnol trop éloigné : face à l’urgence, le conseil exécutif de Corse propose à @SOSMedFrance d’accueillir l’#Aquarius dans un port #corse », a tweeté Gilles Simeoni. L’Espagne avait proposé lundi d’accueillir le navire mais les dirigeants de l’ONG SOS Méditerranée jugent que les conditions de sécurité ne sont pas réunies pour mener le bateau jusqu’à l’Espagne.

      http://www.liberation.fr/direct/element/les-dirigeants-nationalistes-corses-proposent-daccueillir-laquarius-chass

      #Corse

    • Marie-Christine Vergiat : « C’est l’Union européenne qui a créé cette situation »

      L’eurodéputée Marie-Christine Vergiat dénonce la responsabilité de l’Union européenne qui, depuis une demi-douzaine d’années, laisse l’Italie gérer seule l’accueil des migrants pour l’Europe. Avec les dégâts politiques que l’on sait.
      Qui porte la responsabilité du blocage de l’Aquarius depuis dimanche, aux portes de l’Europe ? Si Matteo Salvini, le ministre de l’intérieur italien d’extrême droite, fait du refus de l’accueil des migrants sa marque de fabrique électoraliste, c’est l’Union européenne qui est la principale coupable du drame qui se joue actuellement, estime Marie-Christine Vergiat, députée européenne Front de gauche, membre de la GUE au Parlement de Strasbourg.

      L’Aquarius bloqué pendant deux jours en pleine mer : à qui la faute ?

      Marie-Christine Vergiat : C’est l’Union européenne qui, par absence de solidarité vis-à-vis de l’Italie, a créé cette situation. Avant 2011, et pendant des années, Malte [sollicitée après le refus de l’Italie – ndlr] a dû gérer toute seule l’arrivée des migrants, c’est pourquoi cette fois elle a refusé de prendre en charge l’Aquarius.

      Depuis 2011, date à laquelle les mouvements de population ont commencé à devenir plus importants, on a ensuite laissé l’Italie en première ligne se débrouiller. Aujourd’hui, elle accueille chaque année entre 100 000 et 150 000 personnes sur son territoire. Avec la mise en avant de « Dublin 3 », l’Italie a pris en charge le poids du sauvetage en mer pour toute l’Europe, et elle l’a plutôt bien fait.

      Il faut voir que quand le gouvernement italien a lancé l’opération « Mare Nostrum » pour aller secourir les personnes, elle s’est retrouvée seule. Matteo Renzi a dû trouver 95 millions d’euros d’octobre 2013 à octobre 2014 pour financer l’opération et, quand il a demandé de l’aide, le Conseil européen lui a donné 5 millions d’euros. Quant à la Grèce, elle a été en première ligne en 2015 et 2016, et a accueilli un million de personnes, là encore, seule.

      Comment expliquez-vous qu’il n’y ait jamais eu de répartition concertée des migrants entre les États membres ?

      En 2015, Jean-Claude Juncker, le président de la Commission européenne, a fait ce qu’il a pu : il a demandé à ce que 160 000 personnes soient « délocalisées » depuis l’Italie et la Grèce vers les autres pays européens sur deux ans. Même si cela était très insuffisant puisqu’il y avait 1,4 million de personnes arrivées en Italie et en Grèce sur la même période. Mais le premier réflexe des pays a été de refuser et de fermer leurs frontières. Heureusement qu’en 2015 et 2016, l’Allemagne d’Angela Merkel a accueilli 60 % des réfugiés (parmi eux, deux tiers de Syriens). Mais il faut rappeler que le nombre de réfugiés accueillis en Europe est une goutte d’eau par rapport à ce que vit le Moyen-Orient.

      Et pourtant, si l’on en croit les récentes élections en Italie notamment, le discours de l’extrême droite contre les migrants semble payant politiquement…

      Récemment, la Commission européenne a présenté une étude qui montre que les Européens restent solidaires des réfugiés dans tous les pays d’Europe, excepté en Italie. On peut pousser des cris d’orfraie, ce sentiment anti-immigré ne tombe pas du ciel. C’est facile de commenter alors qu’en France, on n’a jamais ouvert nos ports pour soulager l’Italie ou la Grèce. En réalité, la France a été très peu impactée par la crise migratoire. Le nombre de demandeurs d’asile n’a presque pas augmenté. Entre 2015 et 2016, il est passé de 85 000 à 95 000. Et encore, nous sommes un des pays où le taux d’acceptation des demandes d’asile est le plus bas – entre 35 et 40 % –, ce qui est en dessous de bien des pays européens. Quand on voit ce qui se passe à la frontière franco-italienne, c’est hallucinant : on fait du contrôle au faciès des migrants, au mépris des lois nationales, européennes et internationales… Il y a de quoi avoir honte de nos gouvernements ! En plus, ils se cachent derrière les accords de Dublin pour renvoyer les migrants dans le pays où ils ont accosté, donc très souvent en Italie, alors qu’il n’y a aucune obligation de « dublinage » : si le pays d’arrivée est obligé d’accepter le retour de la personne qui lui a été renvoyée, en revanche, l’autre pays européen n’est absolument pas obligé de la renvoyer là d’où elle vient.

      Où en êtes-vous de la réforme des accords de Dublin ?

      Il y a actuellement un bras de fer entre le Parlement européen et le Conseil européen. Au Parlement, six groupes sur huit, de la droite à la gauche européenne, sont d’accord pour proposer une clé de répartition. Le problème, c’est que le Conseil européen ne veut pas de cette solution et veut durcir Dublin en obligeant au renvoi dans le pays. Et contrairement à ce qu’on peut croire, il n’y a pas que les pays de l’Est qui bloquent. Les gouvernants, à l’exception des pays du Sud, affirment que mettre en place une répartition est trop compliqué pour les migrants et que c’est pour cela qu’ils refusent. Mais le problème, c’est qu’ils ne se donnent pas les moyens de l’accueil…

      Comment faire avancer les choses, puisqu’un blocage politique semble favoriser la flambée des extrêmes droites ?

      Le seul moyen de résister c’est, au lieu de courir derrière l’extrême droite, de faire tout le contraire : de montrer, d’une part, qu’il n’y a pas de « submersion » migratoire et, d’autre part, que si l’accueil est pensé et organisé, tout peut très bien se passer. Ce n’est de toute façon pas en construisant des murs qu’on va empêcher les migrants de venir.

      Cet épisode très médiatique de l’Aquarius bloqué en mer peut-il pousser le Conseil européen à revoir ses positions ?

      Il faut espérer que cette histoire permette de montrer ce qui se passe au Conseil européen. En tout cas, Pedro Sánchez, le nouveau président espagnol, a été courageux d’accepter que les 629 personnes bloquées sur le bateau débarquent en Espagne – même si cela s’explique par le fait que la question migratoire apparaît moins comme un enjeu du débat en Espagne… Aujourd’hui, il faut travailler dans deux directions pour l’opinion publique européenne : d’abord, expliquer que les migrations principales viennent non pas des pays du Sud, mais du Nord et d’Asie (Inde et Chine), et que les premiers migrants en Europe sont ukrainiens – ils arrivent en Pologne pour le travail. Ensuite, rappeler que la grande majorité des migrants arrivent de façon régulière (immigration de travail, pour faire des études, regroupement familial…) et que l’une des manières d’éviter les morts en Méditerranée et de ne pas faire le jeu des passeurs et des trafiquants, c’est d’ouvrir des voies de passage légales.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/110618/marie-christine-vergiat-c-est-l-union-europeenne-qui-cree-cette-situation?

    • Un plan de acogida vetado por Rajoy en 2015, clave para la llegada a Valencia de los refugiados del Aquarius

      La Conselleria de Igualdad y Políticas Inclusivas de la Generalitat Valenciana, dirigida por Mónica Oltra, ha desempolvado un plan elaborado hace tres años para acoger a refugiados sirios llegados a las islas griegas que el Gobierno Central nunca autorizó. El martes por la tarde habrá una reunión entre Generalitat, Ayuntamiento de Valencia y ONG para organizar la llegada de los 629 migrantes y refugiados a los que Italia ha negado sus puertos.

      http://www.publico.es/sociedad/plan-acogida-vetado-rajoy-2015-clave-llegada-valencia-refugiados-del-aquariu

    • Message de Sara Prestianni, via la mailing-list Migeurop (12.06.2018):

      Le Gouvernement Italien confirme sa volonté (folle) de ramener les migrants à Valencia bien que à plusieurs reprises Sos Med et autres ont signalé le risque que cela représentait pour les 629 migrants à bord de l’Aquarius de faire autres 3/4 jours de navigation avec la meteo qui semble empirer.
      Les migrants seront obligés à l’énième “trasbordo” - transfert - vers des bateaux de la Marine Militaire Italienne qui devraient les ramener à Valencia.

      La volonté du Gouvernement est clairement celle de criminaliser l’accès aux ports pour les ong qui sauvent vies humaines en mer.
      Hier, sans aucune déclaration officielle du Gouvernement, les 900 migrants interceptés en mer après les 629 qui se trouvent à bord de l’Aquarius,qui se trouvaient à bord de la Marine Militaire Italienne ont été autorisé à entrer dans le port de Catane. Le message de Salvini est claire : plus aucun bateau qui a un pavillon étranger pourra rentrer dans les ports italiennes avec à bord des migrants.
      Par ailleurs Salvini a annoncé une visite rapide en Libye et dans la réunion d’urgence sur le cas “Aquarius” il semblerait que la question de l’externalisation était à l’ordre du jour.

    • Lettera aperta di Gabriele Del Grande al Ministro dell’Interno Matteo Salvini

      Confesso che su una cosa sono d’accordo con Salvini: la rotta libica va chiusa. Basta tragedie in mare, basta dare soldi alle mafie libiche del contrabbando. Sogno anch’io un Mediterraneo a sbarchi zero. Il problema però è capire come ci si arriva. E su questo, avendo alle spalle dieci anni di inchieste sul tema, mi permetto di dare un consiglio al ministro perché mi pare che stia ripetendo gli stessi errori dei suoi predecessori.

      Blocco navale, respingimenti in mare, centri di detenzione in Libia. La ricetta è la stessa da almeno quindici anni. Pisanu, Amato, Maroni, Cancellieri, Alfano, Minniti. Ci hanno provato tutti. E ogni volta è stato un fallimento: miliardi di euro persi e migliaia di morti in mare.
      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2105161009497488&id=100000108285082

      Voici, hélas, ce qui est en train de se décider au niveau européen: un nouveau fonds pour la protection des frontières....
      https://seenthis.net/messages/701648

      Questa volta non sarà diverso. Per il semplice fatto che alla base di tutto ci sono due leggi di mercato che invece continuano ad essere ignorate. La prima è che la domanda genera l’offerta. La seconda è che il proibizionismo sostiene le mafie.

      In altre parole, finché qualcuno sarà disposto a pagare per viaggiare dall’Africa all’Europa, qualcuno gli offrirà la possibilità di farlo. E se non saranno le compagnie aeree a farlo, lo farà il contrabbando.

      Viviamo in un mondo globalizzato, dove i lavoratori si spostano da un paese all’altro in cerca di un salario migliore. L’Europa, che da decenni importa manodopera a basso costo in grande quantità, in questi anni ha firmato accordi di libera circolazione con decine di paesi extraeuropei. Che poi sono i paesi da dove provengono la maggior parte dei nostri lavoratori emigrati: Romania, Albania, Ucraina, Polonia, i Balcani, tutto il Sud America. La stessa Europa però, continua a proibire ai lavoratori africani la possibilità di emigrare legalmente sul suo territorio. In altre parole, le ambasciate europee in Africa hanno smesso di rilasciare visti o hanno reso quasi impossibile ottenerne uno.

      Siamo arrivati al punto che l’ultima e unica via praticabile per l’emigrazione dall’Africa all’Europa è quella del contrabbando libico. Le mafie libiche hanno ormai il monopolio della mobilità sud-nord del Mediterraneo centrale. Riescono a spostare fino a centomila passeggeri ogni anno con un fatturato di centinaia di milioni di dollari ma anche con migliaia di morti.

      Eppure non è sempre stato così. Davvero ci siamo dimenticati che gli sbarchi non esistevano prima degli anni Novanta? Vi siete mai chiesti perché? E vi siete mai chiesti perché nel 2018 anziché comprarsi un biglietto aereo una famiglia debba pagare il prezzo della propria morte su una barca sfasciata in mezzo al mare? Il motivo è molto semplice: fino agli anni Novanta era relativamente semplice ottenere un visto nelle ambasciate europee in Africa. In seguito, man mano che l’Europa ha smesso di rilasciare visti, le mafie del contrabbando hanno preso il sopravvento.

      Allora, se davvero Salvini vuole porre fine, come dice, al business delle mafie libiche del contrabbando, riformi i regolamenti dei visti anziché percorrere la strada del suo predecessore. Non invii i nostri servizi segreti in Libia con le valigette di contante per pagare le mafie del contrabbando affinché cambino mestiere e ci facciano da cane da guardia. Non costruisca altre prigioni oltremare con i soldi dei contribuenti italiani. Perché sono i nostri soldi e non vogliamo darli né alle mafie né alle polizie di paesi come la Libia o la Turchia.

      Noi quelle tasse le abbiamo pagate per veder finanziato il welfare! Per aprire gli asili nido che non ci sono. Per costruire le case popolari che non ci sono. Per finanziare la scuola e la sanità che stanno smantellando. Per creare lavoro. E allora sì smetteremo di farci la guerra fra poveri. E allora sì avremo un obiettivo comune per il quale lottare. Perché anche quella è una balla. Che non ci sono soldi per i servizi. I soldi ci sono, ma come vengono spesi? Quanti miliardi abbiamo pagato sottobanco alle milizie libiche colluse con le mafie del contrabbando negli anni passati? Quanti asili nido ci potevamo aprire con quegli stessi denari?

      Salvini non perda tempo. Faccia sbarcare i seicento naufraghi della Acquarius e anziché prendersela con le ONG, chiami la Farnesina e riscrivano insieme i regolamenti per il rilascio dei visti nei paesi africani. Introduca il visto per ricerca di lavoro, il meccanismo dello sponsor, il ricongiungimento familiare. E con l’occasione vada a negoziare in Europa affinché siano visti validi per circolare in tutta la zona UE e cercarsi un lavoro in tutta la UE anziché pesare su un sistema d’accoglienza che fa acqua da tutte le parti.

      Perché io continuo a non capire come mai un ventenne di Lagos o Bamako, debba spendere cinquemila euro per passare il deserto e il mare, essere arrestato in Libia, torturato, venduto, vedere morire i compagni di viaggio e arrivare in Italia magari dopo un anno, traumatizzato e senza più un soldo, quando con un visto sul passaporto avrebbe potuto comprarsi un biglietto aereo da cinquecento euro e spendere il resto dei propri soldi per affittarsi una stanza e cercarsi un lavoro. Esattamente come hanno fatto cinque milioni di lavoratori immigrati in Italia, che guardate bene non sono passati per gli sbarchi e tantomeno per l’accoglienza. Sono arrivati dalla Romania, dall’Albania, dalla Cina, dal Marocco e si sono rimboccati le maniche. Esattamente come hanno fatto cinque milioni di italiani, me compreso, emigrati all’estero in questi decenni. Esattamente come vorrebbero fare i centomila parcheggiati nel limbo dell’accoglienza.

      Centomila persone costrette ad anni di attesa per avere un permesso di soggiorno che già sappiamo non arriverà in almeno un caso su due. Perché almeno in un caso su due abbiamo davanti dei lavoratori e non dei profughi di guerra. Per loro non è previsto l’asilo politico. Ma non è previsto nemmeno il rimpatrio, perché sono troppo numerosi e perché non c’è la collaborazione dei loro paesi di origine. Significa che di qui a un anno almeno cinquantamila persone andranno ad allungare le file dei senza documenti e del mercato nero del lavoro.

      Salvini dia a tutti loro un permesso di soggiorno per motivi umanitari e un titolo di viaggio con cui possano uscire dal limbo dell’accoglienza e andare a firmare un contratto di lavoro, che sia in Italia o in Germania. E dare così un senso ai progetti che hanno seguito finora. Perché l’integrazione la fa il lavoro. E se il lavoro è in Germania, in Danimarca o in Norvegia, non ha senso costringere le persone dentro una mappa per motivi burocratici. Altro che riforma Dublino, noi dobbiamo chiedere la libera circolazione dentro l’Europa dei lavoratori immigrati. Perché non possiamo permetterci di avere cittadini di serie a e di serie b. E guardate che lo dobbiamo soprattutto a noi stessi.

      Perché chiunque di noi abbia dei bambini, sa che cresceranno in una società cosmopolita. Già adesso i loro migliori amici all’asilo sono arabi, cinesi, africani. Sdoganare un discorso razzista è una bomba a orologeria per la società del domani. Perché forse non ce ne siamo accorti, ma siamo già un noi. Il noi e loro è un discorso antiquato. Un discorso che forse suona ancora logico alle orecchie di qualche vecchio nazionalista. Ma che i miei figli non capirebbero mai. Perché io non riuscirei mai a spiegare ai miei bambini che ci sono dei bimbi come loro ripescati in mare dalla nave di una ONG e da due giorni sono bloccati al largo perché nessuno li vuole sbarcare a terra.

      Chissà, forse dovremmo ripartire da lì. Da quel noi e da quelle battaglie comuni. Dopotutto, siamo o non siamo una generazione a cui il mercato ha rubato il futuro e la dignità? Siamo o non siamo una generazione che ha ripreso a emigrare? E allora basta con le guerre tra poveri. Basta con le politiche forti coi deboli e deboli coi forti.

      Legalizzate l’emigrazione Africa –Europa, rilasciate visti validi per la ricerca di lavoro in tutta l’Europa, togliete alle mafie libiche il monopolio della mobilità sud-nord e facciamo tornare il Mediterraneo ad essere un mare di pace anziché una fossa comune. O forse trentamila morti non sono abbastanza?

    • By rejecting a migrant ship, Italian populists are simply following the EU’s lead

      The standoff over a boatload of men, women and children rescued in the Mediterranean encapsulates the morass of Europe’s migration policy so neatly that it is almost redundant to call it a metaphor.

      Some 629 migrants were left adrift in international waters while European Union member states competed to sound more resolute in their refusal of a safe port. It was left to Spain to intervene as supplies began to run out aboard the rescue ship, the Aquarius, one of the handful of charity boats still operating despite their routine harassment by the EU-backed Libyan coastguard. Meanwhile, Italy and Malta sniped at each other on social media, as policy was made in the form of hashtags such as “we’re shutting our ports”. Germany was too busy to comment as its leaders sound off over tougher asylum laws in response to the grisly murder of a teenage girl.

      Watching from the sidelines, the UN refugee agency asked meekly if Europe’s politicians could disembark the people in need aboard the Aquarius first and sort out their differences later.
      The starting point in understanding this mess should be to ask why Italy’s new interior minister, Matteo Salvini, has picked a fight over the Aquarius now.

      Migration policy watchers will be tempted to think that this is a public play to strengthen Italy’s position ahead of an end-of-June deadline to reform parts of the EU’s maddeningly complex asylum system. In this reading, Salvini is seeking an overhaul of the so-called Dublin regulations to ease the burden on frontline states such as Italy and Greece and remove the obligation for new arrivals to seek asylum in their country of first arrival.

      This interpretation would be both reassuring and completely wrong. This is not about the incremental advance of national interests.

      Where European observers had expected Italy to pick a fight with the EU over the single currency, its interior minister has gone straight for migration. Salvini understands, just as Viktor Orbán in Hungary and Sebastian Kurz in Austria do, that the EU has no response. Italy has been left alone to deal with sea arrivals from north Africa and talks over new Dublin regulations will not change this. There is no solidarity on asylum and migration.

      Salvini has blocked the Aquarius because this is the terrain on which he wins regardless of the outcome. As the leader of the far-right Northern League, he has built a campaign around promises of mass deportations of migrants. The fact that his proposals were and are impracticable and illegal did not prevent the League from gaining a 17% share of the vote.

      Salvini’s bombastic claims that African migrants are turning Italy into a giant refugee camp ignore the fact that sea arrivals so far this year have dropped to one-fifth of the level during the same period last year.

      No matter – rhetorical battles over migration allow him to pose as the senior coalition partner and defender of Italy.

      EU migration policy, particularly since the record inflows of 2015, has been built on the idea that controlling sea arrivals would shore up Europe’s political centre. Human rights and international law could be subordinated to the need for control even if this meant co-opting Libyan militias, paying smugglers to act as coastguards or redirecting development aid to corrupt African regimes in return for trapping Africans on the move.

      European voters, the reasoning went, would forgive rights abuses in faraway places in return for harder borders. In its simplest formulation, EU policy-makers framed the choice as one between allowing moderates to talk like Salvini or getting Salvini himself.

      Critics of this policy consensus were dismissed as naive.

      Its arch practitioner was Italy’s previous interior minister Marco Minniti, who delivered a huge reduction in sea arrivals through a series of shady deals in Libya that turned smugglers and traffickers into Europe’s paid gatekeepers.

      Before the votes were counted in Italy the “Minniti plan” had many admirers in Europe’s capitals and on the European commission, the bloc’s executive body. Since the man himself and his party were swept out of power it has become painfully apparent that there is no electoral dividend for centrists who endorse anti-migration populism.

      Over the weekend Minniti and his former government colleagues hit out at Salvini’s refusal of a safe port to the Aquarius and boasted of the balance they had struck between “security” and “reception” – in other words between the deterrence of migration and the humane treatment of those who somehow slipped through. They are still missing the point.

      By treating migration policy as an arena of crisis where human rights and international law could be discarded in the rush to respond to a perceived panic, Minniti and his supporters in Brussels and Berlin were the midwives of Salvinism.

      It has been left to the mayors of southern Italy to defy their own government and publicly offer the Aquarius a safe port. Often the strongest rebuttal to the populists comes not from the tainted centre but from Europeans in the areas most affected by the actual movement of people.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/jun/11/italy-migrant-rescue-ship-standoff-aquarius

    • ASGI : Gravi responsabilità dell’Italia nella vicenda Aquarius

      Il comportamento del governo italiano nella vicenda Aquarius è gravissimo e l’intervento della Spagna non solleva l’Italia dalle sue responsabilità. ASGI lancia l’allarme sul possibile imminente ripetersi di episodi analoghi.

      Mentre scriviamo ancora non è definitivamente conclusa la vicenda della nave Aquarius, che ci auguriamo possa trovare felice esito anche grazie all’intervento delle autorità spagnole e, comunque, oltre la gestione che ha avuto da parte del Governo italiano.

      La scelta di solidarietà fatta dal Governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, infatti, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni.

      Va infatti ricordato che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma e che pertanto, in base al diritto internazionale – l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi.

      Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali pertinenti in materia e, tra esse:

      – la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980);
      – la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994;
      – la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994)

      Fino al momento nel quale la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi, ha continuato a non indicare alcuna destinazione alla barca Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone.

      La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano e si trovano tutt’ora i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Nel caso di specie doveva, infatti, immediatamente trovare applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo. Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale, o nelle vicinanze del quale, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio. La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un “diritto” di accesso al porto.

      Il diniego di accesso ai porti italiani a imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare comporta la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, applicabile poiché l’Italia, nel coordinare l’azione SAR, esercita funzioni esecutive al di fuori del proprio territorio «conformemente al diritto internazionale» (v. mutatis mutandis, Al-Skeini c. Regno Unito e Jaloud c. Paesi Bassi). Le persone soccorse vertevano infatti in evidente necessità di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non potevano esser soddisfatti in alto mare. Le condizioni alle quali gli stessi sono stati sottoposti determinano l’esposizione di uomini, donne e bambini ad un reale trattamento disumano e degradante ( in violazione dell’art. 3 cedu) e ad un serio rischio per la loro vita (in violazione dell’ art. 2 cedu).

      Sulla nave Aquarius vi erano richiedenti asilo e rifugiati, pertanto la scelta del governo italiano di negare un porto sicuro a queste persone, anche poiché le operazioni di soccorso erano state gestite dalle autorità italiane, avrebbe potuto comportare per lo Stato Italiano la violazione del principio di non refoulment ai sensi dell’art 33 della Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati del 1951 se non si fosse trovato un porto sicuro. Il principio di non refoulment è un principio di diritto internazionale generale, vincolante per tutti gli Stati anche indipendentemente dalla ratifica della Convenzione del 1951; esso stabilisce il divieto di respingimento verso qualsiasi luogo in cui una persona potrebbe trovarsi esposta al rischio di persecuzione e/o di condizione ascrivibile a trattamento disumano e degradante, trattamento nel quale si sono trovati a vivere coloro che erano da giorni in alto mare in assenza di approdo in porto sicuro.
      Sotto il profilo del diritto penale, l’obbligo di prestare soccorso configura una precisa prescrizione giuridica, la quale non può essere disattesa. Si ritiene che la condotta tenuta dall’MRCC di Roma sia stata suscettibile da integrare almeno la fattispecie dell’omissione di soccorso ai sensi dell’art. 593 c.p. A ciò si aggiunga che se dal ritardo dell’ingresso fossero derivate (o dovessero derivare) morte o lesioni in capo alle persone a bordo, ciò integrerebbe fattispecie penali autonome, quali omicidio o lesioni, che sarebbero imputabili a tutta la catena di comando italiana in ragione dell’evidente dovere giuridico di salvaguardia della vita che incombe sul paese che coordina i soccorsi

      Il “braccio di ferro” diplomatico attuato parte del Governo italiano con le Autorità di Malta e con la UE ha messo a rischio la vita di centinaia di persone ed il rispetto di basilari diritti della persona e ciò costituisce un precedente gravissimo nella storia europea.

      Il governo italiano aveva tutti gli strumenti legali e politici per far valere nella fase di discussione e votazione del Regolamento Dublino IV le argomentazioni che ha portato invece sul piano mediatico e dell’uso della forza contro persone in stato di necessità dimostrando l’esplicita volontà di non proporre politiche costruttive rinunciando ad un ruolo centrale nel dibattito europeo. Il governo italiano, invece, ha voluto imporre il solo uso della forza. Sarebbe stato possibile per il Ministro degli Interni in carica recarsi a Bruxelles e discutere della necessità di ripartizione equa dei rifugiati fra gli stati europei facendo valere in modo democratico e legale presso tale sede le priorità individuate dall’esecutivo italiano, senza incorrere nelle violazioni dei diritti umani fondamentali e delle norme cogenti.

      ASGI, nell’auspicare che la specifica vicenda abbia esito rapido e positivo, ha tuttavia il fondato timore che situazioni analoghe possano ripetersi già dalle prossime ore fa appello a tutte le istituzioni e al Parlamento, nonché a tutte le forze democratiche del Paese, affinché l’Italia non si renda più responsabile degli indecorosi eventi che si sono consumati negli ultimi giorni e che il diritto internazionale e quello interno in materia di soccorsi in mare venga scrupolosamente rispettato.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/aquarius-violazione-diritto-internazionale

    • Migranti, Toninelli: «Non è detto che il posto in cui debbano sbarcare sia un porto. Può essere una nave»

      "Non c’è scritto da nessuna parte che il «place of safety», cioè il luogo in cui devono essere sbarcati e messi in sicurezza i migranti, debba essere un porto. Può essere anche una nave, battente bandiera straniera. Di conseguenza noi chiederemo un’assunzione di responsabilità a quei paesi di cui le navi della Ong battono bandiera". Così il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, al termine del vertice sull’immigrazione a Palazzo Chigi. Di fronte a chi gli fa notare che però questo significherebbe, nel caso della nave Aquarius che batte bandiera britannica, circumnavigare l’Oceano per arrivare in Inghilterra (contravvenendo dunque al principio del porto sicuro più vicino), Toninelli fa dietrofront: «Noi chiediamo un’assunzione di responsabilità e condivisione delle spese».

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/migranti-toninelli-non-e-detto-che-il-posto-in-cui-debbano-sbarcare-sia-un-porto-puo-essere-una-nave/307625/308254

    • Aquarius : l’Union européenne et les Etats membres doivent cesser de traiter les migrants comme « des patates chaudes »

      Bruxelles, 13 juin 2018 – Stupéfaits et inquiets de ce moderne Exodus, on voit se profiler à l’horizon le cabotage infini de ce bateau qui passe du statut de sauveteur à celui de fardeau. Le nouveau gouvernement italien, en large partie acquis aux idées xénophobes et racistes de Matéo Salvini, montre ses muscles et refuse de laisser mouiller l’Aquarius dans ses ports. Dont acte, l’AEDH savait ne rien devoir attendre d’un gouvernement dont les partenaires avaient annoncé pendant la campagne électorale qu’il ne respecterait pas les droits de l’Homme.

      Aujourd’hui, le nouveau gouvernement espagnol a annoncé que son pays est prêt à accueillir les « naufragés des droits » dans le port de Valence. L’AEDH salue cet acte et souhaite qu’il fasse exemple pour tous les États membres. Elle recommande que cet accueil se révèle inconditionnel et qu’ayant fait le principal, sauver des vies, le gouvernement de Pedro Sanchez s’illustre en offrant de dignes conditions de séjour. On souhaiterait également que ce nouveau gouvernement mette fin aux opérations de push-back des migrants se présentant aux enceintes de Ceuta et Melilla.

      Et les autres pays concernés par « les affaires de Méditerranée », que font-ils ? Malte refuse d’accueillir mais se donne bonne conscience en envoyant des vivres, la France de Macron se réfugie derrière une interprétation hasardeuse du droit de la mer contre le droit humanitaire pour ne rien faire et attend piteusement 48 h qu’un autre pays se dévoue…

      L’AEDH est au regret de constater que l’Union européenne est à la remorque des Etats membres. Notre association souhaite que le Conseil européen joue enfin son rôle d’orientation de la politique européenne et condamne l’attitude indigne des États membres qui, dominés par la peur, alignent leurs politiques migratoires sur celles prônées par les forces d’extrême droite.

      L’AEDH condamne avec force le refus d’accueillir du gouvernement italien. Mais depuis longtemps elle s’oppose aussi aux refus de la Pologne, de la Hongrie, de la Slovaquie, de la République tchèque d’accueillir des réfugiés. Elle ne peut non plus accepter les faux semblants de bien d’autres gouvernements, qui tout en proclamant qu’ils vont accueillir, imposent des règles tellement restrictives qu’ils organisent de fait la chasse aux migrants et les expulsent. C’est en particulier le cas de la France où l’on retrouve des migrants morts à la fonte des neiges, de la Belgique où la police peut tirer sur des migrants.

      L’AEDH affirme que le refus des Etats membres et de la Commission de procéder à l’abrogation du règlement Dublin est non seulement un manquement grave aux droits des personnes mais une stupidité qui enferme les États-membres situés aux frontières extérieures de l’U.E. dans un dilemme impossible : accueillir des milliers de migrants ou les repousser. C’est à cause du règlement Dublin, que le système d’accueil est devenu purement et simplement un moyen d’externaliser les migrants vers les pays de leur première entrée, en particulier l’Italie et la Grèce. Et si la Méditerranée a tant d’importance, c’est que la route par la Turquie a été bloquée par l’ignoble accord conclu avec ce pays, en fermant pudiquement les yeux sur la politique d’Erdogan qui piétine les droits fondamentaux de tant de citoyens en Turquie.

      L’AEDH considère que l’ensemble des Etats membres sont collectivement responsables du désastre italien. Elle demande à toutes ses associations membres, à tous les citoyens et à toutes les citoyennes de l’UE d’agir pour que l’on change de politique.

      C’est le but de l’ICE lancée depuis quelques semaines : « Nous sommes une Europe accueillante : laissez-nous agir ! ». Signez, faites signer, transmettez, montrez votre appui envers ces enfants, ces femmes, ces hommes qui croyaient avoir enfin pu prendre le bateau de l’espoir, cet Aquarius qui symbolise notre solidarité.

      http://www.aedh.eu/aquarius-lunion-europeenne-et-les-etats-membres-doivent-cesser-de-traiter-les-m

    • Migranti nel Mediterraneo, ong non può fare trasbordo: “Nessun porto assegnato, si rischia nuovo caso Aquarius”

      Una nave della Marina Usa ha salvato 41 persone e recuperato 12 corpi senza vita nel Mediterraneo. Ma l’imbarcazione di Sea Watch, che l’ha raggiunta e a bordo ha cibo e coperte, non può assistere i sopravvissuti. Perché da Roma non sono arrivate istruzioni

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/13/migranti-salvati-su-nave-militare-usa-ma-la-ong-sea-watch-non-puo-fare-trasbordo-nessun-porto-assegnato-si-rischia-nuovo-caso-aquarius/4426052

    • Aquarius procede a fatica contro il mare in burrasca, ancora a ridosso della Sicilia, a sud di Marsala. La velocita con la quale avanza verso nord-ovest d’ di appena 5 nodi e mezzo. A questa velocità impiegherà almeno 6 giorni per arrivare a Valencia. Salvini sta imponendo un trattamento disumano ai migranti dopo quello che si può definire un respingimento illecito. I migranti erano stati soccorsi da mezzi della Guardia costiera ed erano già entrati in territorio italiano.

      LA AQUARIUS DEVE ENTRARE NEL PORTO DI TRAPANI CHE SI TROVA SULLA SUA ROTTA. ASSIEME ALLA DATTILO CHE LA SCORTA CON ALTRI MIGRANTI A BORDO.
      VALENCIA NON E’ RAGGIUNGIBILE . IL PIANO DI SALVINI E’ DISUMANO.

      VI PREGO DI FARE GIRARE AL MASSIMO QUESTA NOTIZIA. LE AGENZIE DI INFORMAZIONI DANNO SOLO NOTIZIE RASSICURANTI CHE NON CORRISPONDONO ALLA SITUAZIONE REALE DEL MARE.


      https://www.facebook.com/isabelle.saintsaens/posts/10215493114986035?comment_id=10215493417153589&notif_id=1528933312392754&n

    • Autre ONG bloquée dans ses opérations de sauvetage en mer, cette fois-ci c’est #Sea-Watch. Voici leur communiqué du 13 juin 2018 :
      Shipwreck survivors and bodies stuck on US warship due to italian port closure – Sea-Watch 3 last rescue vessel left in Mediterranean.

      41 survivors and 12 deceased in a shipwreck off the Libyan Coast yesterday morning are still stuck on a US warship as Italy closed its ports to rescue vessels. Sea-Watch strongly denounces the fact that once again people in distress at sea are being held in diplomatic limbo. The dispute on migration must not be carried out at the expense of people in need. A surveillance aircraft of the civil rescue fleet is currently operating in the SAR zone to search for further distress cases and bodies of yesterday’s shipwreck. The Sea-Watch 3 is also patrolling the SAR zone in close proximity to the US warship. Meanwhile, we still await instructions as no state has taken responsibility so far. The Sea-Watch 3 is currently the only dedicated rescue asset in the Mediterranean Sea.

      At 12.36 local time, the Sea-Watch office received a request by a US Navy warship to take over 41 survivors and 12 deceased in a shipwreck 20 nautical miles off the Libyan coast. Our vessel Sea-Watch 3 proceeded towards the given position as the only civil rescue asset left in the mediterranean sea at that moment. “It is unacceptable that people who have literally been picked out of the water, who have seen their friends drowning, still do not get a place of safety, this is a damning indictment of the European Union’s policy on immigration. A dispute about the distribution of asylum seekers must not be carried out at the expense of people in maritime distress” says Johannes Bayer, Sea-Watch chairman and head of the current mission of the Sea-Watch 3. “We urge the European governments to find a quick solution for this humiliating tragedy”.

      Meanwhile, Italian Coast Guard asset CP941 is disembarking 932 people and 2 dead bodies in the Sicilian port of Catania today, which shows a double standard upheld by the Italian government.
      NGO vessels have consistently taken responsibility for search and rescue activities in the world’s most dangerous migration route, yet they have become the scapegoat of the Italian government, as it attempts to pressure the rest of the EU to share in the responsibility towards people in distress and in wider migration policy reforms, including that of the Dublin III regulation. Sea-Watch therefore urges the European states to make way for a political solution for this charade; after safe arrival to Italy, there are also many roads that lead from Rome.

      Furthermore, yesterday’s shipwreck shows a deadly lack of rescue capacity at sea, and it is evident that in the absence of safe and legal passage to Europe, such shipwrecks will only continue to occur. “If the Aquarius wasn’t stuck on the way to Valencia, maybe those people could have been rescued” Bayer says. Still there is no knowledge about the real number of drownings as it is likely not all bodies could be retrieved. “We urge the European states to take responsibility and to stop gambling with lives at sea,” Bayer says.

      https://sea-watch.org/en/shipwreck-survivors-and-bodies-stuck-on-us-warship-due-to-italian-port-cl

    • « Aquarius » 2018, « Saint-Louis » 1939 : l’histoire bégaie

      Alors que l’Aquarius a été refoulé par l’Italie, il y a quatre-vingts ans des réfugiés fuyaient le nazisme en embarquant sur un paquebot transatlantique, le « Saint-Louis ».

      Le refus de l’Italie de laisser accoster l’Aquarius n’est que l’expression paroxystique de la politique des Etats européens qui, depuis des années, mettent toute leur énergie à tenir à distance migrants et exilés. Mais cette image d’un vaisseau fantôme nous renvoie aussi quatre-vingts ans en arrière, quand les réfugiés fuyant le nazisme se voyaient systématiquement refuser l’accès à une terre d’asile.

      Entre hier et aujourd’hui, les analogies sont frappantes : la fermeture de plus en plus hermétique des frontières à mesure que la persécution s’aggrave et que les flux d’exilés augmentent ; des réfugiés contraints d’embarquer clandestinement sur des bateaux de fortune avec l’espoir, souvent déçu, qu’on les laissera débarquer quelque part ; en guise de justification, la situation économique et le chômage, d’un côté, l’état de l’opinion dont il ne faut pas attiser les tendances xénophobes et antisémites, de l’autre ; le fantasme, hier, de la troisième colonne – agitateurs communistes, espions nazis –, aujourd’hui de la menace terroriste ; et finalement une diplomatie qui n’hésite pas à pactiser avec les pires dictatures, hier pour tenter de sauver la paix (on sait ce qu’il en est advenu), aujourd’hui pour tenter d’endiguer les flux de réfugiés.
      Réfugiés interdits de débarquer à Cuba

      Visas refusés, frontières closes : les réfugiés sont acculés, en désespoir de cause, à prendre la mer, le plus souvent clandestinement. A la veille de la guerre, des dizaines, des centaines de bateaux, parfois des paquebots de ligne, souvent des bâtiments de fortune ou de contrebande qui ont pris leurs passagers en charge frauduleusement, naviguent sur les océans à la recherche d’un port où ils seront autorisés à débarquer : le Cairo part le 22 avril 1939 de Hambourg pour Alexandrie ; l’Usaramo pour Shanghai ; l’Orbita pour le Panama en juin 1939 ; l’Orinoco, vers Cuba… (1). D’autres restent bloqués pendant des semaines ou des mois dans les ports roumains de la mer Noire ou sur le Danube.

      Même ceux qui ont des papiers d’immigration en règle ne sont pas assurés d’être admis, comme le montre l’histoire cruelle du Saint-Louis. Ce paquebot transatlantique quitte Hambourg le 13 mai 1939 en direction de La Havane. Ses 937 passagers, presque tous des juifs fuyant le Troisième Reich, sont en possession de certificats de débarquement émis par le directeur général de l’Immigration de Cuba. Mais, dans l’intervalle, le président cubain a invalidé ces certificats. On interdit donc aux passagers de débarquer. Le bateau repart, et lorsqu’il passe le long des côtes de Floride une demande est adressée au président des Etats-Unis afin qu’il leur accorde l’asile – elle ne reçoit pas de réponse. Le 6 juin 1939, le Saint-Louis reprend sa route vers l’Europe. In extremis, avant que le bateau ne soit contraint de revenir en Allemagne, le Jewish Joint Commitee réussit à négocier avec les gouvernements européens une répartition des passagers entre la Grande-Bretagne, la France, la Belgique et les Pays-Bas qui n’acceptèrent de les accueillir qu’à condition qu’il ne s’agisse que d’un transit dans l’attente d’une émigration définitive vers une autre destination. Temporairement sauvés, une majorité d’entre eux connaîtra le sort réservé aux juifs dans les pays occupés par l’Allemagne.
      Un gigantesque marché noir

      Les embarquements clandestins se poursuivent une fois la guerre déclenchée, les réfugiés prenant des risques croissants pour tenter de rejoindre clandestinement la Palestine depuis les ports de la mer Noire, à travers le Bosphore, les Dardanelles et la mer Egée. Un gigantesque marché noir s’organise, avec la bénédiction des nazis qui, avant la programmation de la « solution finale », y voient une façon de débarrasser l’Europe de ses juifs. Beaucoup de ces « bateaux cercueils », comme on les a appelés, font naufrage, d’autres sont victimes des mines ou des sous-marins allemands, et les épidémies déciment ceux qui ont réussi à survivre. Décidément, on a l’impression que l’histoire bégaie.

      http://www.liberation.fr/debats/2018/06/13/aquarius-2018-saint-louis-1939-l-histoire-begaie_1658569

    • #Marie-Christine_Vergiat : « C’est l’Union européenne qui a créé cette situation »

      L’eurodéputée Marie-Christine Vergiat dénonce la responsabilité de l’Union européenne qui, depuis une demi-douzaine d’années, laisse l’Italie gérer seule l’accueil des migrants pour l’Europe. Avec les dégâts politiques que l’on sait.

      Qui porte la responsabilité du blocage de l’Aquarius depuis dimanche, aux portes de l’Europe ? Si Matteo Salvini, le ministre de l’intérieur italien d’extrême droite, fait du refus de l’accueil des migrants sa marque de fabrique électoraliste, c’est l’Union européenne qui est la principale coupable du drame qui se joue actuellement, estime Marie-Christine Vergiat, députée européenne Front de gauche, membre de la GUE au Parlement de Strasbourg.

      L’Aquarius bloqué pendant deux jours en pleine mer : à qui la faute ?

      Marie-Christine Vergiat : C’est l’Union européenne qui, par absence de solidarité vis-à-vis de l’Italie, a créé cette situation. Avant 2011, et pendant des années, Malte [sollicitée après le refus de l’Italie – ndlr] a dû gérer toute seule l’arrivée des migrants, c’est pourquoi cette fois elle a refusé de prendre en charge l’Aquarius.

      Depuis 2011, date à laquelle les mouvements de population ont commencé à devenir plus importants, on a ensuite laissé l’Italie en première ligne se débrouiller. Aujourd’hui, elle accueille chaque année entre 100 000 et 150 000 personnes sur son territoire. Avec la mise en avant de « Dublin 3 », l’Italie a pris en charge le poids du sauvetage en mer pour toute l’Europe, et elle l’a plutôt bien fait.

      Il faut voir que quand le gouvernement italien a lancé l’opération « Mare Nostrum » pour aller secourir les personnes, elle s’est retrouvée seule. Matteo Renzi a dû trouver 95 millions d’euros d’octobre 2013 à octobre 2014 pour financer l’opération et, quand il a demandé de l’aide, le Conseil européen lui a donné 5 millions d’euros. Quant à la Grèce, elle a été en première ligne en 2015 et 2016, et a accueilli un million de personnes, là encore, seule.

      Comment expliquez-vous qu’il n’y ait jamais eu de répartition concertée des migrants entre les États membres ?

      En 2015, Jean-Claude Juncker, le président de la Commission européenne, a fait ce qu’il a pu : il a demandé à ce que 160 000 personnes soient « délocalisées » depuis l’Italie et la Grèce vers les autres pays européens sur deux ans. Même si cela était très insuffisant puisqu’il y avait 1,4 million de personnes arrivées en Italie et en Grèce sur la même période. Mais le premier réflexe des pays a été de refuser et de fermer leurs frontières. Heureusement qu’en 2015 et 2016, l’Allemagne d’Angela Merkel a accueilli 60 % des réfugiés (parmi eux, deux tiers de Syriens). Mais il faut rappeler que le nombre de réfugiés accueillis en Europe est une goutte d’eau par rapport à ce que vit le Moyen-Orient.

      Et pourtant, si l’on en croit les récentes élections en Italie notamment, le discours de l’extrême droite contre les migrants semble payant politiquement…

      Récemment, la Commission européenne a présenté une étude qui montre que les Européens restent solidaires des réfugiés dans tous les pays d’Europe, excepté en Italie. On peut pousser des cris d’orfraie, ce sentiment anti-immigré ne tombe pas du ciel. C’est facile de commenter alors qu’en France, on n’a jamais ouvert nos ports pour soulager l’Italie ou la Grèce. En réalité, la France a été très peu impactée par la crise migratoire. Le nombre de demandeurs d’asile n’a presque pas augmenté. Entre 2015 et 2016, il est passé de 85 000 à 95 000. Et encore, nous sommes un des pays où le taux d’acceptation des demandes d’asile est le plus bas – entre 35 et 40 % –, ce qui est en dessous de bien des pays européens. Quand on voit ce qui se passe à la frontière franco-italienne, c’est hallucinant : on fait du contrôle au faciès des migrants, au mépris des lois nationales, européennes et internationales… Il y a de quoi avoir honte de nos gouvernements ! En plus, ils se cachent derrière les accords de Dublin pour renvoyer les migrants dans le pays où ils ont accosté, donc très souvent en Italie, alors qu’il n’y a aucune obligation de « dublinage » : si le pays d’arrivée est obligé d’accepter le retour de la personne qui lui a été renvoyée, en revanche, l’autre pays européen n’est absolument pas obligé de la renvoyer là d’où elle vient.

      Où en êtes-vous de la réforme des accords de Dublin ?

      Il y a actuellement un bras de fer entre le Parlement européen et le Conseil européen. Au Parlement, six groupes sur huit, de la droite à la gauche européenne, sont d’accord pour proposer une clé de répartition. Le problème, c’est que le Conseil européen ne veut pas de cette solution et veut durcir Dublin en obligeant au renvoi dans le pays. Et contrairement à ce qu’on peut croire, il n’y a pas que les pays de l’Est qui bloquent. Les gouvernants, à l’exception des pays du Sud, affirment que mettre en place une répartition est trop compliqué pour les migrants et que c’est pour cela qu’ils refusent. Mais le problème, c’est qu’ils ne se donnent pas les moyens de l’accueil…

      Comment faire avancer les choses, puisqu’un blocage politique semble favoriser la flambée des extrêmes droites ?

      Le seul moyen de résister c’est, au lieu de courir derrière l’extrême droite, de faire tout le contraire : de montrer, d’une part, qu’il n’y a pas de « submersion » migratoire et, d’autre part, que si l’accueil est pensé et organisé, tout peut très bien se passer. Ce n’est de toute façon pas en construisant des murs qu’on va empêcher les migrants de venir.

      Cet épisode très médiatique de l’Aquarius bloqué en mer peut-il pousser le Conseil européen à revoir ses positions ?

      Il faut espérer que cette histoire permette de montrer ce qui se passe au Conseil européen. En tout cas, Pedro Sánchez, le nouveau président espagnol, a été courageux d’accepter que les 629 personnes bloquées sur le bateau débarquent en Espagne – même si cela s’explique par le fait que la question migratoire apparaît moins comme un enjeu du débat en Espagne… Aujourd’hui, il faut travailler dans deux directions pour l’opinion publique européenne : d’abord, expliquer que les migrations principales viennent non pas des pays du Sud, mais du Nord et d’Asie (Inde et Chine), et que les premiers migrants en Europe sont ukrainiens – ils arrivent en Pologne pour le travail. Ensuite, rappeler que la grande majorité des migrants arrivent de façon régulière (immigration de travail, pour faire des études, regroupement familial…) et que l’une des manières d’éviter les morts en Méditerranée et de ne pas faire le jeu des passeurs et des trafiquants, c’est d’ouvrir des voies de passage légales.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/110618/marie-christine-vergiat-c-est-l-union-europeenne-qui-cree-cette-situation

    • La nave Usa che ha lasciato i corpi in mare vicina al porto di Augusta

      La Trenton della Us Navy, con a bordo i 40 superstiti del naufragio di martedì, ha abbandonato i cadaveri alla deriva perché non ha celle frigorifere. Ora incrocia al largo del porto siciliano, ma all’Italia non è arrivata nessuna richiesta formale.

      La nave Trenton della sesta flotta della Us Navy, con a bordo i 40 superstiti del naufragio di un gommone avvenuto martedì mattina, è ricomparsa al largo del porto di Augusta. Appare evidente l’intenzione di sbarcare nel porto siciliano i superstiti che ha a bordo ormai da tre giorni, nell’attesa che qualcuno dia indicazioni sul porto più vicino disposto a farli scendere. Tuttavia non risulta alcuna richiesta formale da parte degli Stati Uniti all’Italia che, peraltro, non ha mai assunto alcun coordinamento del soccorso, avvenuto a sole venti miglia dalle coste libiche.

      Perché dunque la nave americana, che ha lasciato andare alla deriva i corpi delle 12 vittime del naufragio, ha fatto rotta verso l’Italia invece di chiedere l’approdo in un altro Paese? Un altro caso spinoso per il governo italiano, che si trova adesso a dover decidere se autorizzare l’ingresso della nave della Us Navy nel porto di Augusta.

      Da tre giorni, ormai, dopo aver invano chiesto di poter trasbordare il suo carico sulla nave della Ong tedesca Sea Watch, la nave vagava in attesa di sapere dove poter sbarcare i vivi. I morti, quelli, vista la complessità della situazione, hanno deciso di abbandonarli in acqua. "Non ci sono salme a bordo della Trenton - ha confermato a «Repubblica» l’ufficio pubbliche relazioni della Us Navy - l’equipaggio continua a prendersi cura delle 40 persone soccorse. Ci stiamo coordinando con i nostri partner internazionali per decidere la destinazione delle persone a bordo".

      Dalla Us Navy spiegano così l’abbandono dei 12 cadaveri le cui operazioni di recupero erano state comunicate via radio dalla Trenton martedi mattina contestualmente alla richiesta di aiuto avanzata alla vicina nave della ong tedesca Sea Watch prima e all’IMRCC di Roma poi. < Abbiamo visto in un primo momento 12 corpi apparentemente senza vita. I soccorritori hanno dato priorità al recupero di coloro che avevano bisogno di aiuto immediato. La barca di salvataggio è poi tornata sul posto per cercare quei corpi, ma non li ha trovati". «Se necessario - si legge in una nota - le navi della US Navy sono in grado di conservare i corpi in depositi refrigerati».
      Un orrore destinato a scatenare un nuovo caso visto che, a impedire un rapido trasferimento dei superstiti e delle salme a terra, è l’impasse provocato dall’ostracismo annunciato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini alle navi delle Ong. Martedi, subito dopo il soccorso, dopo aver chiamato le guardie costiere libica e italiana, la nave americana si è rivolta alla Sea watch, comunicando di avere in corso il recupero dei 12 corpi, e ha chiesto la disponibilità al trasbordo. «Corpi non possiamo prenderne, non abbiamo le celle. E i superstiti li prendiamo solo se ci assegnano contestualmente un porto sicuro che non sia più lontano di 36 ore di navigazione».

      Dopo il caso Aquarius, il rischio è che poi, con i migranti a bordo, non venga concesso un porto in Italia e la nave, che non è grande, non potrebbe affrontare una lunga navigazione come quella cui è stata costretta la Aquarius. La richiesta viene reiterata dagli americani alla sala operativa di Roma, ma la risposta è che il soccorso non è stato coordinato da Roma e dunque non spetta a loro indicare il porto. In realtà il soccorso non è stato coordinato da nessuno.

      http://www.repubblica.it/cronaca/2018/06/14/news/la_nave_usa_senza_celle_frigoriferi_alla_deriva_12_corpi-198956762/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1

    • Aquarius, la nave di migranti cambia rotta e si dirige verso la Sardegna

      La decisione dovuta al maltempo. Sos Mediterranee spiega: «Le persone a bordo sono esauste, scioccate e con il mal di mare». Il ministro Salvini ribatte: «Problemi loro. A giorni ci saranno novità sul ruolo delle ong»

      «Dattilo, la nave della Guardia Costiera italiana che guida il nostro convoglio, ha deciso di cambiare rotta», twitta Sos Mediterranee, sottolineando che si tratta di una scelta dovuta al maltempo. «Aquarius proseguirà lungo la costa orientale della Sardegna — aggiunge la ong francese — per ripararsi dal maltempo altrimenti insopportabile per le persone a bordo, esauste, scioccate e con il mal di mare». Il ministro degli Interni Matteo Salvini, però, non cede: non ci sarà nessun attracco sulle coste sarde, Aquarius «arriverà in Spagna». Se le persone a bordo hanno problemi, «sono solo loro — afferma —. La nave prende a bordo sistematicamente 500 persone a tratta: ora ne hanno 100, un quinto di quelle che imbarcano di solito. Non è che adesso possano anche decidere dove cominciare e dove finire la crociera». «A giorni ci saranno novità sul ruolo delle ong», aggiunge. «Verranno messi i puntini sulle i, su chi fa cosa e su chi rispetta la legge e chi non la rispetta», ha aggiunto.

      La situazione sull’Aquarius

      Sull’Aquarius ci sono al momento 52 donne, 10 bambini e 45 uomini, tra cui alcuni trattati per sindrome da annegamento o con gravi ustioni da carburante e acqua salata; gli altri 523 profughi sono stati trasbordati sulle due unità navali italiane che la stanno scortando. Tutti i 629 migranti sono stati trasferiti per sicurezza all’interno delle tre imbarcazioni del convoglio: diversi di loro hanno accusato malori durante la notte per il «vento a 35 nodi e le onde alte 4 metri — comunicano i soccorritori —, abbiamo messo dei corrimano perché è difficile stare in piedi».

      Lo «schermo» alle onde

      Il percorso iniziale per il porto di Valencia prevedeva un passaggio a sud della Sardegna ma, considerato che l’apice della perturbazione è previsto sul lato occidentale, si vogliono utilizzare l’isola come «barriera» al maltempo; e tagliare le Bocche di Bonifacio, sotto la Corsica, per raggiungere quindi la Spagna. L’operazione è destinata ad allungare ulteriormente il viaggio verso la terra ferma della «nave della discordia», che ha innescato una crisi diplomatica tra Italia e Francia e un durissimo scambio di accuse con Malta, oltre all’accorato appello di Papa Francesco. L’approdo, meteo permettendo, potrebbe avvenire a questo punto domenica sera. «Abbiamo distribuito arance, barrette di cereali, cornetti e thè freddo forniti ieri dalla Guardia Costiera Italiana» rende noto il personale di Medici senza frontiere, che gestisce l’emergenza con Sos Mediterranee. Nel frattempo la zona di ricerca e soccorso resta sempre più scoperta e 12 cadaveri sono rimasti in mare». «L’identificazione del porto di sbarco è una decisione nazionale su cui l’Ue non ha competenza - afferma intanto la ministra degli Esteri europea, Federica Mogherini -, però viste le notizie sulle condizioni del mare» nella legge «c’è una chiara indicazione» affinché venga fatto «ogni sforzo per limitare al minimo il tempo di permanenza sulla nave» degli immigrati; da ormai 5 giorni consecutivi in balìa del mare e delle polemiche politiche.

      Madrid prepara l’accoglienza

      Le autorità spagnole, dal canto loro, fanno sapere che esamineranno «caso per caso» la situazione dei 629 richiedenti asilo per decidere, con «colloqui individuali», quali trasferire nei centri di aiuto umanitario e quali nelle strutture di detenzione per stranieri; esattamente come avviene per gli extracomunitari che arrivano attraverso i barconi o le enclavi marocchine di Ceuta e Melilla. Il governo iberico sostiene di essersi comportato semplicemente «come obbliga la Costituzione rispetto ai trattati internazionali e europei». Lo sbarco dei migranti avverrà comunque in maniera scaglionata e lontano dagli occhi dei media.

      https://www.corriere.it/cronache/18_giugno_14/odissea-aquarius-nave-cambia-rotta-la-sardegna-24e4bd94-6fb4-11e8-b9b6-434f

    • Francia prenderà parte migranti Aquarius

      La vicepremier spagnola Carmen Calvo ha annunciato che la Francia collaborerà all’accoglienza dei migranti dell’Aquarius. Lo riporta La Vanguardia. Calvo, responsabile del coordinamento per l’accoglienza, ha accettato la proposta presentata dal governo francese, dopo una conversazione con l’ambasciatore francese in Spagna. Il presidente Pedro Sanchez, riferisce il quotidiano, ha ringraziato il presidente francese Emmanuel Macron, sottolineando che questa è la cooperazione «con cui l’Europa deve rispondere».

      http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2018/06/16/francia-prendera-parte-migranti-aquarius_53ace0c1-88b9-4511-b1ab-6ab072e084aa.h
      #France

    • Migranti, dirottare le Ong nei porti di bandiera farebbe solo danni

      L’esperto di diritto del mare e di asilo Paleologo a L43: «La proposta di Salvini? Così si rallenta l’obbligo di salvataggio». Il ministro può ridiscutere Dublino, ma «non sulla pelle dei naufraghi».

      Il rallentamento, in alcuni casi fino al blocco, della catena di salvataggio in acque maltesi e libiche, di norma attraverso il coordinamento del comando della guardia costiera italiana, per effetto della chiusura dei nostri porti alle navi delle Ong straniere nel Mediterrano ha contribuito a provocare 12 morti e altre decine di feriti al largo della Libia, in seguito all’’altolà del neo ministro dell’Interno Matteo Salvini alla See Watch 3, «pronta dopo la Aquarius a raccogliere il suo carico umano davanti a Tripoli». Altre decine, centinaia di morti si temono nelle settimane a venire.

      CAMBIARE DUBLINO. Con i respingimenti delle navi straniere, il leader della Lega si aspetta un cambio della prassi e in prospettiva del regolamento di Dublino sui richiedenti asilo: far attraccare le imbarcazioni di Ong battenti bandiera straniera nei luoghi d’origine e non più in Italia, come i mezzi delle Marine di altri Paesi. Peccato che la legge internazionale non possa dargli ragione, né ora né mai: «Guardando alle bandiere», spiega a L43 l’avvocato in prima linea nei soccorsi in mare, componente della Clinica legale per i diritti umani dell’Università di Palermo e consulente del team legale di Open Arms, Fulvio Vassallo Paleologo, «verrebbe meno il salvataggio internazionale, ossia la stessa legge del mare».

      DOMANDA. Salvini ha chiuso i porti alle navi delle Ong straniere che caricano a bordo migranti naufraghi e sottolinea che debbano attraccare nei porti dei loro Paesi e non in Italia. Giuridicamente ha un fondamento la sua rivendicazione?
      RISPOSTA. No, intanto un ministro non può stabilire regole che valgono esclusivamente per le navi delle Ong. Quando richiamano i luoghi di sbarco – da indicare dalle competenti autorità nazionali e nel nostro caso dal comando della guardia costiera di Roma – le convenzioni di diritto del mare non distinguono tra navi umanitarie, navi commerciali o militari.

      D. La See Watch 3, additata da Salvini e bloccata nelle operazione come la Aquarius, è una Ong tedesca ma batte bandiera olandese: dopo i salvataggi potrebbe per esempio rientrare nei porti anche in Olanda, in Germania, o per legge deve attraccare per forza in Italia?
      R. Il criterio dello Stato di bandiera è arbitrario e non garantisce una sollecita conclusione delle operazioni di soccorso in un porto sicuro, che non è necessariamente quello più vicino ma deve trovarsi nello Stato della centrale operativa della guardia costiera che coordina i soccorsi.

      D. Nel caso del trasbordo dei 629 migranti nelle acque tra Malta e l’Italia dell’Aquarius, il coordinamento era della guardia costiera italiana. E inoltre la Aquarius è una nave umanitaria di Sos Mediterranee e Medici senza frontiere: Ong transeuropee o addirittura internazionali.
      R. Non a caso il criterio dello Stato di bandiera non è mai stato applicato in anni di soccorsi nel Mediterraneo perché è sussidiario. Non garantisce lo svolgimento rapido delle procedure di soccorso imposto dalle convenzioni internazionali. Seguirlo, come dice Salvini, segnerebbe la fine dell’obbligo di soccorso internazionale.

      D. La fine della legge universale del mare. Sempre legalmente, con i regolamenti europei e le norme internazionali attuali, si può chiedere alle navi per esempio della Marina francesi, inglesi e tedesche che salvano migranti nel Mediterraneo di dirigersi poi nei propri porti nazionali?
      R. Tutte le navi straniere delle operazioni Ue Frontex ed Eunavfor Med, ossia l’operazione militare Sofia, sono coordinate dalla centrale operativa della guardia costiera italiana, anche quando soccorrono nella zona di ricerca e salvataggio libica Sar, che in realtà esiste solo sulla carta. Di conseguenza devono sbarcare, come sbarcano, solo in porti italiani.

      D. Sulle responsabilità da redistribuire nelle acque territoriali dei Paesi membri dell’Ue, «e non solo all’Italia» ricorda sempre Salvini, la Francia se ne può lavare completamente le mani? La Spagna può fare di più? E Malta può essere pressata almeno dall’Ue a sottoscrivere le normative internazionali vigenti, per sgravare l’Italia anche dagli impegni nelle sue acque?
      R. A meno di una modifica sostanziale del regolamento Dublino, nessun Paese europeo può essere costretto a prendere a suo carico naufraghi soccorsi nelle zone di ricerca e salvataggio libiche o italiane. E il nuovo ministro dell’Interno non può imporre le modifiche con un ricatto sulla pelle di uomini, donne e bambini già duramente provati dalla sofferenza e dagli abusi subiti in Libia.

      D. La visione di Salvini può essere portata avanti politicamente al tavolo per cambiare il regolamento Dublino? È concepibile cioè un’Unione europea dove ogni mezzo di forze militari o Ong di Paesi membri impegnati nel Mediterraneo faccia riferimento, anziché all’Italia, al proprio Stato Ue specifico? Prendendosi a questo punto in carico anche la prima registrazione dei richiedenti asilo?
      R. L’odissea dell’Aquarius sta dimostrando che una redistribuzione dei naufraghi soccorsi in acque internazionali è possibile e lecita solo dopo il loro sbarco in un porto italiano, indicato dal comando centrale della guardia costiera. La scelta di sbarrare dei porti non aiuterà a cambiare il regolamento Dublino, specie se l’Italia farà fronte comune con l’Ungheria di Viktor Orban e l’Austria di Sebastian Kurz. Si avranno soltanto centinaia di morti in più, come conseguenza della cacciata delle Ong.

      https://www.lettera43.it/it/articoli/interviste/2018/06/17/migranti-soccorso-ong-straniere-salvini/221051

    • The Italian interior minister Matteo Salvini (Lega) has announced after negotiations with minister of infrastructure Danilo Toninelli (5 Stars), and the minister of defence Elisabetta Trenta (5 Stars) the retreat of the Italian rescue forces from the international waters of the central Mediterranean Sea. Instead, France, Spain, Greece, Malta, Libya, Tunisia, the EU with the Frontex-Themis operation and the NATO should take on the job. It is important to stress the following: this concerns the ‘death zone’ near the Libyan-Italian off-shore oil station in the central Mediterranean, where in the past three decades the most boat-people have drowned. Salvini’s plans are directed against the “radical crowd that wants to turn Italy into a refugee camp”. All the more important will it be to connect the activities of non-governmental rescuers in the Central Mediterranean with strategies of admit boat-people in Germany, France, and other EU member states.

      Salvini kündigt Abzug der Küstenwache aus internationalen Gewässern an
      Der italienische Innenminister Matteo Salvini (Lega) kündigt

      nach Beratung mit dem Infrastruktur-Minister Danilo Toninelli (5Stelle), und der Verteidigungsministerin Elisabetta Trenta (5Stelle) den Rückzug der italienischen Seenotrettung aus den internationalen Gewässern des zentralen Mittelmeers an. Stattdessen sollten Frankreich, Spanien, Griechenland, Malta, Libyen, Tunesien, die EU mit Frontex-Themis und die Nato diese Arbeit übernehmen.

      Hinzuweisen ist auf folgenden Hintergrund: Es geht um die Todeszone in der Nähe der libysch-italienischen Off-Shore-Petro-Förderanlagen im zentralen Mittelmeer, wo in den vergangenen drei Jahrzehnten die meisten Boat-people ertrunken sind. Salvini richtet dieses Abzugs-Vorhaben gegen die „radikale linke Schickeria, die Italien in ein Flüchtlingslager verwandeln will“.

      Um so dringlicher wird es, die Aktivität der NGO-Seenotrettung im zentralen Mittelmeer mit Strategien der Aufnahme von Bootsflüchtlingen in Deutschland, Frankreich und anderen EU-Ländern zu verbinden.

      http://ffm-online.org/2018/06/18/salvini-kuendigt-abzug-der-kuestenwache-aus-internationalen-gewaessern-a

    • Du « Saint-Louis » à l’« Aquarius » : 80 ans d’abomination envers les réfugiés

      Retour sur la pérégrination tragique du paquebot Saint-Louis, chargé de réfugiés juifs fuyant l’Allemagne nazie au printemps 1939, qui fut partout refoulé. Or voici que récidivent, sous nos yeux, la méprise et le mépris envers ceux qui migrent.

      Si cette histoire vous amuse,
      Nous allons la, la, la recommencer,
      Ohé ! Ohé !

      Ainsi s’achève – sans donc jamais se terminer – une comptine atroce (il y est question d’un mousse tiré à la courte paille échappant de peu à l’anthropophagie), qui semble saturer l’univers politique des adultes après avoir bercé leur enfance : Il était un petit navire. Le da capo suit son cours inexorable ; jusqu’à mimer le bégaiement de l’Histoire, maintenant et toujours.

      Navigation rime avec immigration et les Suisses opposèrent au flot des réfugiés de la Seconde Guerre mondiale une image impitoyable, dont le cinéaste helvète Markus Imhoof a fait un film : La barque est pleine (Das Boot ist voll). Le mot d’ordre apparaît plus que jamais d’actualité en cette fin de printemps 2018.

      Sous nos yeux se déroule l’errance d’un paquebot, dont le nom signifie en latin « qui se rapporte à l’eau » : Aquarius. Le sort réservé à ces migrants par une Europe absorbée dans sa graisse et dans ses ténèbres, rappelle la condition faite aux réfugiés du Saint-Louis par un monde sans lumières, opiniâtre et petit en tout à l’excès. C’était en 1939 : c’était hier et pourtant aujourd’hui.

      Nazifier les personnes et les événements relève certes du lieu commun, dénote une paresse de la pensée, tient du réflexe rhétorique pavlovien. Mais la concordance des temps s’avère parfois indéniable. À preuve, cet épisode du transatlantique allemand qui, le 13 mai 1939 – six mois après la Nuit de cristal –, laisse derrière lui le port de Hambourg dans un mugissement libérateur et des fumées de bon augure, avec à son bord quelque 900 juifs persuadés d’avoir échappé à la souricière hitlérienne.

      Le Saint-Louis fait route vers Cuba. Les voyageurs ont acheté à prix d’or des permis de débarquement : 500 dollars par passager (ce qui ferait aujourd’hui près de 9 000 dollars). Mais le président Federico Laredo Brú a signé entretemps son décret 937, qui invalide tous les engagements précédents de son pays. Ainsi prétend-il mettre fin à un trafic de visas ayant pris des proportions scandaleuses dans une île en crise.

      Le 27 mai, lorsque le paquebot entre dans le port de La Havane, interdiction lui est signifiée de s’approcher du quai, puis ordre lui est donné de regagner les eaux internationales. Surchauffée par l’extrême droite et ses journaux ayant soutenu la croisade de Francisco Franco en Espagne contre les rouges, la population cubaine manifeste (40 000 personnes dans les rues). Ne surtout pas laisser débarquer ces vecteurs du communisme – le messianisme juif étant lié à la révolution et donc à la dissolution de la société occidentale, selon un poncif politico-religieux de l’époque…

      Le navire se dirige alors vers la Floride, jette l’ancre au large de Miami. Attente angoissante. Rien n’y fait : l’Amérique isolationniste et le Département d’État antisémite auquel se fie encore le président Roosevelt, au pouvoir depuis plus de sept ans à Washington, se montrent inflexibles. Le souvenir et les effets de la Grande Dépression sont patents : 83 % des Américains s’opposent à l’allègement des quotas et restrictions de la loi sur l’immigration, selon un sondage du magazine Fortune.

      Les républicains ont réussi une percée lors des élections de mi-mandat, en novembre 1938. Pas question de céder à l’émotion, de créer un appel d’air en passant pour faible : l’Amérique renvoie l’encombrant vaisseau vers l’Europe. Les câbles adressés au président démocrate par certains passagers du Saint-Louis restent sans réponse.

      Gustav Schröder, capitaine au grand cœur du transatlantique, pour ne pas réexpédier ses passagers vers une mort certaine en Allemagne, a bien l’intention de mettre le feu à son navire au large des côtes britanniques, histoire de forcer le gouvernement de Londres à recueillir les passagers. Mais il apprend en mer que Morris Troper, directeur pour l’Europe du « Joint » (American Jewish Joint Distribution Committee), a obtenu – moyennant une caution de 500 000 dollars (près de 9 millions de dollars actuels) – que certaines nations démocratiques européennes, Pays-Bas, France, Grande-Bretagne et Belgique, accueillent la plupart des passagers.

      Après 40 jours et 40 nuits océaniques, le Saint-Louis débarque à Anvers sa cargaison humaine. Les rescapés rejoignent leur pays d’accueil. La guerre puis l’occupation nazie rattraperont certains d’entre eux. Des 288 personnes arrivées en Grande-Bretagne, toutes survécurent, sauf une qui fut tuée lors d’une attaque aérienne en 1940. Des 620 passagers sur le continent, 87 (14 %) purent émigrer avant l’invasion allemande de mai-juin 1940. 532 subirent la conquête nazie. 278 survécurent. 254 périrent, victimes de la Shoah (84 raflés en Belgique, 84 aux Pays-Bas et 86 en France).

      Les survivants se liguèrent après la guerre, pour venir en aide à l’ancien capitaine du Saint-Louis, Gustav Schröder, qui vivait dans la précarité en RFA. Le 11 mars 1993, Yad Vashem devait honorer la mémoire de ce marin allemand antinazi en lui accordant le titre de Juste parmi les nations.
      Scélérats d’État

      Quand montent les périls, des individus clairvoyants et volontaires se posent en vigies des libertés. Les Sentinelles, tel est le titre d’un beau roman tragique de Bruno Tessarech (Grasset, 2009), qui relate comment, à la fin des années 1930, les pseudo démocraties pactisent avec les dictateurs. Elles se vautrent, humainement, moralement et politiquement, face aux tyrans de rencontre : « Nous [les] supplions de résoudre le problème qu’ils ont eux-mêmes créé, manière de leur répéter, au cas où ils ne l’auraient pas encore compris, que nous leur laissons les mains libres », se désole un jeune diplomate français, héros imaginaire et pourtant si incarné de ce récit d’une marche à la guerre durant laquelle les supposés décideurs agissent en somnambules.

      Le livre s’ouvre sur la conférence internationale d’Évian en 1938, qui explique les tribulations tragiques du Saint-Louis l’année suivante. Les trente-deux pays réunis (le Reich nazi n’est pas invité, l’Urss de Staline ne s’y fait pas représenter) s’entendent pour fermer leurs portes et leurs ports aux juifs d’Allemagne. La Suisse estime en avoir assez fait depuis l’Anschluss et ses afflux de juifs autrichiens : Berne va jusqu’à réclamer à Berlin d’apposer la lettre « J », en rouge sur les passeports de ses ressortissants israélites, afin de les mieux repérer !

      Comble de cette époque désespérante : la République dominicaine du dictateur Trujillo s’avère le seul pays à souhaiter recevoir des réfugiés juifs allemands, afin de « blanchir » sa population ! Les victimes du racisme nazi refuseront la proposition raciste du despote des Antilles. Et la presse hitlérienne exulte à la suite de ce lâche fiasco d’Évian, au mois de juillet 1938 : « Juifs à vendre : même à bas prix, personne n’en veut ! » Le Führer se paie le luxe de faire la leçon à ses donneurs de leçon : « Une honte de voir les démocraties dégouliner de pitié pour le peuple juif et rester de marbre quand il s’agit de vraiment venir en aide aux Juifs ! »

      Tous les clignotants de la mémoire et de l’histoire sont au rouge, en 2018, quatre-vingts ans après la conférence d’Évian. Refuser les réfugiés tient lieu de politique commune aux États froids et veules, qui se satisfont des pertes humaines en temps de paix comme dans la guerre. Et tant de citoyens en âge de voter, perdus pour la raison, se fichent aujourd’hui du destin des musulmans comme ils se fichaient jadis du sort des juifs. Fortifiés par de telles masses électorales, les soi-disant responsables des prétendues démocraties se font scélérats d’État. Emmanuel Macron invite à ne « jamais céder à l’émotion ». Angela Merkel, qui passait pour l’ultime digue contre « l’orbanisation » de l’Europe, rend les armes face au premier ministre hongrois Viktor Orbán : « La Hongrie fait le travail pour nous », a-t-elle glissé dimanche 10 juin sur la chaîne de télévision publique allemande ARD.

      Comme à contre-courant, Justin Trudeau, le premier ministre du Canada, s’est repenti, le mois dernier, au sujet du refus de son pays d’accepter de recevoir les passagers errants du Saint-Louis en 1939 : « Ces excuses ne pourront pas ramener ceux dont la vie a été volée ni réparer les vies brisées par cette tragédie. Cependant, nous avons la responsabilité commune de reconnaître cette réalité difficile, d’en tirer des leçons, et de continuer à nous dresser contre l’antisémitisme tous les jours. C’est ainsi que nous donnerons un sens au vœu solennel : “Plus jamais.” »

      Faudra-t-il attendre 2098 pour que des regrets officiels se manifestent à Paris, Rome, Budapest, Londres ou Berlin, au sujet de la disgrâce européenne imposée en 2018 aux réfugiés de l’Aquarius ? Faudra-t-il qu’entretemps une calamité géopolitique – dont cet épisode aura été annonciateur – ait à nouveau ravagé les peuples et les consciences, pour que l’aveuglement laisse place à la solidarité ?

      Une chanson pour finir. Et pour comprendre à quel point nous avons régressé depuis une cinquantaine d’années. En 1967-1968, alors que l’Occident prônait l’ouverture, l’accueil, le brassage, la rencontre et l’hybridation dans le sillage de l’après-guerre et de la décolonisation, triomphait une comédie musicale : Hair. C’est désormais notre Atlantide. Aquarius était son titre phare. Aquarius, en anglais, signifie « verseau », la constellation du porteur d’eau, dont l’ère tant attendue devait advenir : « La paix guidera les planètes/ Et l’amour conduira les étoiles (Then peace will guide the planets/ And love will steer the stars). »

      Regardez, ci-dessous, dans le film de Miloš Forman (Hair, 1979), comment la diversité engendrait alors la richesse, au lieu de provoquer la suspicion. Écoutez ces paroles, aujourd’hui incroyables, annonçant « Harmonie et compréhension (Harmony and understanding), illumination séraphique (Angelic illumination) », avec cet hymne propre à un monde englouti : « Guidé par les forces cosmiques, prends soin de nous, ô verseau (Guided by the cosmic forces/ O care for us/ Aquarius). » C’était hier ; c’était il y a mille ans, hélas !…

      https://static.mediapart.fr/etmagine/default/files/2018/06/14/29731-700x468.jpg?width=700&height=468&width_format=pixel&height_fo


      https://www.mediapart.fr/journal/international/150618/du-saint-louis-l-aquarius-80-ans-d-abomination-envers-les-refugies?onglet=

    • EU inaction over Mediterranean migrants is criminal

      Frederic Penard of SOS Mediterranee urges EU member states to adopt immediately an adequate and common response plan to the ongoing crisis in the Med

      The extraordinary support we have received from European civil society since we were first refused a port of safety for the 630 people who were stranded on the Aquarius shows that citizens are wiser than their leaders (Report, 13 June). By showing their attachment to human life and dignity first, they contrast with the European heads of state and governments for whom this intolerable journey should be a wake-up call. To those EU leaders who would like us gone, we repeat that, as a maritime and humanitarian organisation, our only aim is to save and preserve life according to the law of the sea; and to bear witness on behalf of civil society to the ongoing tragedy in the Mediterranean.

      To those who’ve been supportive, we are sincerely thankful. Nevertheless, we have to remind them that as EU member states, they are co-responsible for the situation in the Mediterranean. By contributing to the training and financing of the Libyan coastguard, they are consciously participating in interceptions of boats in distress, which not only result in people being sent back to the Libyan hell, but also gravely jeopardises safe, efficient and professional search and rescue activities in international waters. To those of them who have been indifferent to our repeated calls for more coordinated search and rescue capacity in the central Mediterranean and for a European response to the drama on our common shores, we say that time has come to wake up. We urge all EU states to adopt immediately an adequate and common response plan to this tragedy: a European rescue fleet must be deployed and a EU-shared policy must be found for the safe disembarkation of the rescued people in the nearest port of safety.

      Indifference has resulted in too many deaths; inaction is criminal. As long as there will be people risking their lives at sea, SOS Méditerranée will pursue its mission in the international waters at the doorstep of Europe to search, rescue and testify.
      Frédéric Penard
      Director of operations, SOS Méditerranée

      https://i.guim.co.uk/img/media/3307b20a5bcac0913852ef75cbf988e55d3df282/0_16_3474_2084/master/3474.jpg?w=620&q=20&auto=format&usm=12&fit=max&dpr=2&s=d669e1263611751a3b5
      https://www.theguardian.com/world/2018/jun/17/eu-inaction-over-mediterranean-migrants-is-criminal?CMP=share_btn_tw

    • L’Italie ferme ses port(e)s

      Cette semaine, en effet, ça se passe beaucoup à Rome ! Nous avons tous entendu parler de l’interdiction faite au navire Aquarius de débarquer en Italie les près de 700 migrants secourus par son affréteur l’ONG SOS Méditerranée. Cette décision du gouvernement italien a été inspirée et incarnée par son ministre de l’Intérieur, le très télégénique chef du parti d’extrême-droite : la Ligue. Pas plus tard qu’hier, ce même Matteo Salvini en a rajouté une couche : aucun navire d’ONG n’accostera plus en Italie. Mais c’est fou ça !

      Pourquoi ? Car, qu’il y ait des ONG humanitaires ou qu’il n’y en ait pas, les personnes qui sont déterminées à traverser la Méditerranée pour rejoindre l’Europe le font. De plus, les navires des ONG sont équipés pour faire de l’humanitaire : sur l’Aquarius, il y a des vivres, des équipements médicaux, du personnel médical. Les cargos, les tankers, les chalutiers, lorsqu’ils se déroutent pour sauver les passagers d’une embarcation en détresse, eux, ne sont pas tout armés pour recueillir des personnes migrantes en train de couler.

      Mardi dernier, quelque-part au milieu de la mer Méditerranée. Un navire de la sixième flotte de la marine américaine, l’USS Trenton, se porte au secours de 40 naufragés. Malheureusement, précise le communiqué du 14 juin, concentré sur ce sauvetage, l’équipage n’a pu repêcher les douze cadavres qui flottaient au milieu des vivants. Ben oui : les navires militaires, jusqu’à preuve du contraire, ne sont équipés ni d’hôpital ambulant, ni de cellule de soutien, et encore moins de chambre froide. C’est important, pourtant, de donner au corps une sépulture, et d’identifier les morts.

      Salvini et le gouvernement populiste italien s’en prennent aux ONG. Vont-ils aussi interdire l’accostage dans leurs ports des navires militaires de l’Otan ? De leur propres gardes-côtes ? Vont-ils tomber sur la tête au point de se soustraire aux obligations du droit de la mer qui les oblige, en tant qu’Etat, à porter secours ?

      Avec Salvini, tout est possible... Ce gouvernement, au pouvoir depuis moins d’un mois, a mis dans son programme qu’il expulserait d’Italie les centaines de milliers de ressortissants étrangers déboutés du droit d’asile ou sans permis de séjour. En attendant, ce gouvernement, dont le président, Giuseppe Conte, était reçu par Emmanuel Macron à Paris vendredi, s’en prend aux ONG. Et, contrairement à une autre partie très importante de la société italienne qui se mobilise pour accueillir les personnes migrantes, les électeurs qui ont voté pour les deux partis au pouvoir, la Ligue et le Mouvement Cinq Etoiles, applaudissent des deux mains. S’ils apprécient la dureté et le peu d’humanité de leur gouvernement, c’est non seulement car ils sont souvent en phase avec le caractère xénophobe du programme de ces deux partis, mais c’est aussi car ils en ont marre que, depuis plusieurs années, les autres pays de l’Union européenne, notamment la France qui cadenasse sa frontière avec l’Italie, les laissent seuls face à ces arrivées de personnes migrantes, qui plus est dans ces conditions tragiques.
      Un « axe » qui fait tourner les têtes

      Car il n’y a pas que les Romains, en fait : ils sont nombreux, les dirigeants Européens à être tombés sur la tête cette semaine ! Les ministres de l’intérieur de trois pays, Salvini pour l’Italie, Kickl pour l’Autriche, Seehofer pour l’Allemagne, ont ainsi appelé à la constitution d’un « axe de la volonté ». De la volonté de quoi ? De renvoyer manu militari à la frontière toute personne entrée sans papier sur leur territoire. Les renvoyer où alors ? Dans le pays frontalier qu’elles auraient traversé précédemment ? A la mer ? Le gouvernement autrichien, que dirige Sebastian Kurz chef de l’ÖVP de droite, en coalition avec le FPÖ d’extrême droite, a déjà proposé, la semaine précédente, avec Lars Lokke Rasmussen, son homologue danois, d’ouvrir des centres d’examens des demandes d’asile à l’extérieur de l’UE, pourquoi pas dans les Balkans occidentaux, et d’y amener les demandeurs d’asile. De cette façon, ceux qui seraient déboutés ne seraient déjà plus dans l’UE.

      Il y a donc une ligne de front le long de laquelle s’affrontent deux conceptions du territoire européen : l’hospitalité et la xénophobie. La seconde est maintenant au gouvernement en Italie, en Autriche, au Danemark, en Hongrie, en République tchèque, en Slovaquie, et en Pologne. En France et en Belgique, les politiques publiques mises en œuvre glissent petit à petit de l’hospitalité vers le rejet et la fermeture. Cette semaine, le gouvernement français n’a pas voulu accueillir l’Aquarius, soit disant pour ne pas céder au chantage de Matteo Salvini. Résultat, c’est l’Espagne du tout nouveau gouvernement socialiste de Pedro Sanchez, pourtant bien plus éloignée de la Sicile, qui a proposé un de ses havres à l’Aquarius. En Allemagne, le ministre de l’intérieur, issu du parti qui dirige la Bavière, s’oppose, comme on vient de le voir, à la politique d’hospitalité et d’intégration voulue par sa cheffe de gouvernement.

      Les Européens sont donc divisés entre eux, et cette division passe au sein de chaque état-membre de l’UE. Les chefs d’État et de gouvernement vont se réunir les 28 et 29 juin prochains : ils sont censés se mettre d’accord sur une politique de migration et d’asile européenne. Une de ces deux lignes l’emportera-t-elle ? Un compromis ou une synthèse est-elle possible ? L’UE va-t-elle se briser sur la politique migratoire ? Jusqu’à quel point marchons-nous, nous les Européens, sur la tête ?

      Défié par son propre ministre de l’Intérieur qui prône cet axe des pays européens volontaires pour refouler les migrants, la chancelière d’Allemagne, Angela Merkel et la Commission européenne se battent pour un « dispatching » équilibré des migrants dans tous les pays de l’UE au delà du pays par lequel ces personnes arrivent en Europe. Elles proposent de mettre en place une procédure européenne d’instruction des demandes d’asile, de façon à éviter que l’étude des dossiers incombent uniquement aux pays d’entrée. Au passage, gardons bien en tête le nombre de personnes concernées. Selon Eurostat, citée par Euractiv.fr, le nombre de demandes d’asile est passé en UE de 563 000 en 2014 à environ 1,2 million en 2015 et 2016, au plus fort de la crise. En 2017, 650 000 demandes enregistrées. Si l’Allemagne, qui a suspendu l’application du règlement de Dublin au plus fort de la crise, récupère toujours la majorité des demandes (31% de l’ensemble des demandes en UE), l’Italie (20%) et la Grèce (9%) sont respectivement à la deuxième et quatrième place en raison de leurs situations aux portes de la Méditerranée.
      Ce qui est en cause, c’est donc ce qu’on appelle la convention de Dublin sur l’asile dans l’UE. Les 26 états-membres de l’espace Schengen de libre circulation (dans cet espace, les individus passent d’un pays à l’autre avec une simple carte d’identité et sans obligation de la montrer à la frontière) ont décidé que toute demande d’asile devait forcément être instruite par le pays d’entrée. Deux façons de réformer cette procédure qui n’est plus adaptée se font face : soit, au mépris de l’État de droit et des conventions internationales, on refoule les entrants et on examine leur demande dans des camps extra-territoriaux. C’est ce qui correspond aux propositions des gouvernements où l’extrême-droite est maintenant au pouvoir.

      Cela prolongerait et amplifierait ce que l’UE appelle ses hotspots : des centres installés dans plusieurs pays voisins qui sont sur les routes qui mènent des pays en guerre ou en crise que fuient les migrants vers l’UE, centres vers lesquels ils sont dirigés et retenus par les gouvernement locaux, pour que les fonctionnaires européens y examinent les demandes d’asile. Cette politique consiste, de plus en plus, en une diplomatie du carnet de chèque de moins en moins soucieuse du droit d’asile et des conventions de Genève réputées protéger les personnes en danger. Depuis 2015, la Turquie a ainsi coupé la route à des centaines de milliers de syriens fuyant la guerre civile ; elle les héberge dans des camps humanitaires financés par l’UE. L’Italie et l’UE ont passé des accords de même type avec la Libye pour les personnes fuyant la guerre au Soudan ou en Somalie, notamment. Mais, en Libye, ces personnes vivent un véritable enfer... pour partie financé par les accords avec l’UE.
      Vers un « axe de l’hospitalité » ?

      Les institutions de l’UE prévoient ce qui s’appelle des coopérations renforcées : un groupe de pays membre de l’UE peut mettre en œuvre une politique publique européenne si les autres ne s’y opposent pas. On pourrait imaginer que les pays hospitaliers refusent les propositions des pays actuellement gouvernés par l’extrême-droite de renvoi et d’externalisation ; et qu’ils obtiennent que les gouvernements xénophobes de ces pays ne s’opposent pas aux propositions de mutualisation de l’asile par les gouvernements des pays hospitaliers.

      Ceci ne serait pourtant que du court terme. À long terme, il s’agit de changer de discours et de regard sur la réalité migratoire. Il s’agit d’arrêter de marcher sur la tête, et de retomber sur nos pieds. Et là, cette semaine, ça se passe à Bilbao. Dans la capitale du pays basque espagnol qui est aussi une des plus belles villes d’Espagne, un allemand, Rainer Haas, s’est levé et a dit : « L’Union européenne doit adopter une législation unique sur les migrations ». Mais qui est Rainer Haas ? Il n’est que co-président du Conseil des communes et régions d’Europe (CCRE) et président du Comté de Ludwigsbourg (Allemagne). C’était mercredi dernier, en clôture de la conférence « Égalité, Diversité et Inclusion » organisée par le CCRE.

      Ce conseil regroupe toutes les collectivités locales d’Europe. Il n’a certes pas de pouvoir ni de souveraineté. Mais enfin, sur le terrain, c’est dans les collectivités territoriales que ça se passe. Rainer Haas a souligné l’impact positif de l’intégration des réfugiés et des demandeurs d’asile sur l’économie locale et régionale. « Actuellement, rapporte Euractiv.fr, notre taux de chômage dans la région oscille autour de 3 %, ce qui signifie le plein emploi. C’est le taux de chômage le plus bas depuis de très nombreuses années. ». Sa ville de Ludwigsbourg a intégré 11 000 réfugiés, soit l’équivalent de 2 % de la population locale.

      C’est la fermeture des voies d’accès légales à la migration vers l’Europe qui est à l’origine des trafics de passeurs et des morts en Méditerranée, ce n’est pas le projet migratoire lui même ! Au contraire, ces tragédies et ces crispations prouvent par l’absurde et de façon inhumaine et bien peu urbaine, que rien, même le risque de mourir, n’entame la détermination du petit nombre de personnes qui sont résolues à venir en Europe. Alors que les économistes, les démographes et les employeurs expliquent que l’Europe a rationnellement besoin de la venue de personnes migrantes, on pourrait peut-être mobiliser nos intelligences collectives et les formidables ressources de nos administrations si développées et si ingénieuses pour valoriser ces énergies, cette motivation, ces qualifications... avec lesquels ces candidats à des papiers européens font corps : le leur ! On pourrait peut-être trouver d’autre mode de sélection que la traversée de la Méditerranée au péril de sa vie, non ? Seuls les survivants auraient droit, et encore, à un permis de séjour ?

      Si donner des permis de séjour fait si peur à certains, on pourrait inventer des permis de circuler entre plusieurs pays. La France empêche les demandeurs d’asile de travailler, dans l’espoir de paraître une terre inhospitalière. L’Allemagne au contraire autorise les demandeurs d’asile à travailler peu de temps après le dépôt de la demande, de façon à ce que les gens se sentent bien et utiles le plus vite possible, et mènent une vie normale.... Il n’est pas surprenant qu’elle soit devenue une destination souhaitée par beaucoup.

      A Bilbao, Bart Sommers, maire de Malines en Belgique, a souligné l’impact positif de l’intégration des migrants. « Nous avons 138 nationalités différentes et nous avons plus de musulmans dans notre ville que la Hongrie et la Slovaquie réunies. » "Peut-être que Monsieur Orbán, [premier ministre hongrois depuis 2010 dont l’idéologie illibérale est très anti migrants], pourrait nous rendre visite", a-t-il ajouté.

      Mais ils sont fous ces Européens !


      https://www.explicite.info/articles/1003-leuroscope-de-la-semaine

      #aquarelle #dessins

    • La Spagna accoglie l’Aquarius, ma l’azione delle ong si restringe

      Il sole è già alto nel cielo e l’aria è ferma, il rumore dell’elicottero della polizia spagnola a bassa quota non dà tregua. Dopo otto giorni in mare e 1.300 chilometri percorsi in condizioni non sempre favorevoli per la navigazione, alle 10.25 del 17 giugno la nave umanitaria Aquarius appare all’orizzonte ed entra nel porto di Valencia, scortata da un’imbarcazione della guardia civil, da una della guardia costiera e dalle lance dell’ong Proactiva Open Arms.

      Aquarius sfila con il suo scafo arancione davanti alle televisioni di tutto il mondo schierate sul molo, mentre dal ponte i naufraghi intonano un canto. Sulla banchina gli operatori che aspettavano l’attracco dalle prime luci dell’alba si lasciano andare a un applauso. I medici e gli operatori sanitari spagnoli sono i primi a salire a bordo della nave diventata il simbolo della chiusura verso i migranti del nuovo governo italiano e della crisi politica che rischia di mandare in pezzi l’intera Unione europea.

      Circa un’ora dopo, le 106 persone soccorse al largo della Libia scendono dalla scaletta, tra loro undici bambini e sette donne incinte. L’ultimo a lasciare la nave è Reward, un ragazzo nigeriano, che scherza con i soccorritori. Per salutarlo uno degli operatori prende un’armonica e si mette a suonare. Dopo lunghi giorni di tensione, esplode la gioia. Un agente della guardia civil spagnola schierata allo sbarco non riesce a trattenere il sorriso. “Il momento più difficile è stato quando abbiamo dovuto spiegare ai migranti quello che stava succedendo”, ricorda Alessandro Porro, soccorritore di Sos Méditerranée e operatore della Croce rossa, originario di Asti, in Piemonte. “I migranti temevano di essere rimandati in Libia”.

      La rotta spagnola
      Alle 13.30 attracca la nave Orione della marina militare italiana, nave Dattilo della guardia costiera era sbarcata all’alba. Tutti i 630 migranti respinti il 10 giugno dall’Italia sono finalmente arrivati in un porto sicuro. Più di cento sono portati in ospedale, ma solo sei sono ricoverati. Le operazioni di sbarco vanno avanti per tutto il giorno e si concludono verso le 19.30, quando le autorità spagnole definiscono Valencia “capitale europea della solidarietà” e si dichiarano soddisfatte della buona riuscita del piano di emergenza che hanno chiamato “speranza nel Mediterraneo”.

      “Siamo contenti che questa inutile Odissea sia finita”, commenta la portavoce di Sos Méditerranée Mathilde Auvillain subito dopo lo sbarco dell’Aquarius. “L’accoglienza da parte degli spagnoli è stata molto umana, sono stati condotti prima i controlli medici e poi le identificazioni da parte della polizia”, continua. Il comune di Valencia ha preparato un’accoglienza imponente con la partecipazione di più di 2.300 operatori e funzionari, tra cui 800 volontari della Croce rossa. “Un aspetto che mi sembra molto positivo è il fatto che siano stati coinvolti circa 400 mediatori culturali e questo permetterà ai profughi di essere seguiti con attenzione durante le procedure di registrazione e di identificazione, fondamentali per la richiesta di asilo”, conclude. I migranti riceveranno un permesso umanitario valido per 45 giorni poi dovranno accedere alla procedure di richiesta di asilo ordinaria.

      Ma non tutti condividono la speranza che le sofferenze e gli ostacoli per queste persone siano terminati. Una parte dei migranti appena arrivati sarà trasferita in Francia, perché il governo di Emmanuel Macron ha comunicato la sua disponibilità, ma non vengono diffusi troppi dettagli su questa opzione. Mentre in particolare i migranti di origine algerina e marocchina rischiano di essere rimpatriati. Durante lo sbarco nel porto di Valencia, un gruppo di attivisti protesta davanti alla sala stampa.

      “Nessuno è illegale”, gridano. Denunciano le politiche di respingimento della Spagna nei confronti dei migranti nelle enclave di Ceuta e Melilla in Nordafrica e chiedono la chiusura dei centri di detenzione per il rimpatrio nella penisola iberica. “Molti dei migranti appena arrivati sono algerini e marocchini e dopo questo lungo calvario durato giorni in mare, ora rischiano di finire in un centro di detenzione per 60 giorni”, afferma Iñigo, un attivista della Campagna per la chiusura dei Centri di detenzione (Cie) mentre arrotola lo striscione con la scritta “No Cie” per tornarsene a casa dopo il sit in.

      La Spagna è il paese europeo con più immigrati in relazione alla popolazione (il 10 per cento) e il secondo paese dopo la Germania in termini assoluti con 6 milioni di immigrati. Ma è anche uno dei primi stati europei ad aver investito sulla militarizzazione della frontiera, tanto che le recinzioni di Ceuta e Melilla, costruite negli anni novanta, sono diventate il simbolo della cosiddetta Fortezza Europa.

      Negli ultimi due anni però la Spagna ha registrato a un nuovo aumento degli arrivi via mare in particolare dall’Algeria e dal Marocco. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nei primi sei mesi del 2018, in Spagna sono arrivati più di 14mila migranti, il 50 per cento in più di quelli arrivati nello stesso periodo del 2017, ma più o meno in linea con il numero di persone arrivate in Italia nei primi sei mesi del 2018 attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. Solo nel finesettimana appena trascorso, la guardia costiera spagnola ha soccorso 1.290 persone nello stretto di Gibilterra e al largo delle isole Canarie. Nelle operazioni sono stati recuperati quattro cadaveri e 43 persone risultano disperse. I numeri della rotta spagnola sono destinati ad aumentare, secondo Frontex, ma nonostante questo, anche la Spagna è stata accusata dal governo italiano di non “fare la sua parte” sull’immigrazione.

      Un punto di non ritorno?
      Qualche ora dopo l’arrivo a Valencia, il coordinatore delle operazioni della nave Aquarius di Sos Méditerranée Nicola Stalla confessa tutto il suo sconcerto per l’esperienza appena vissuta. Originario di Alassio, in Liguria, e con una lunga esperienza alle spalle da coordinatore della missione, Stalla non avrebbe mai pensato che la Centrale operativa della guardia costiera di Roma avrebbe potuto ordinare alla nave Aquarius di attraccare a Malta, dopo aver coordinato i drammatici soccorsi di sabato notte.

      “Domenica sera ci siamo resi conto che quella decisione da parte di Roma ci avrebbe messo in una condizione di stallo pericolosa”, afferma. “Il nostro timore era quello di esaurire i viveri nel giro di poche ore, mentre Italia e Malta si rimpallavano le responsabilità”, racconta. Per Stalla la lunga traversata dell’Aquarius è la dimostrazione che i porti spagnoli e francesi non possano essere considerati un’alternativa valida a quelli italiani per i migranti soccorsi al largo della Libia.

      Il coordinatore della missione definisce “inumano e irrealistico” pensare che i migranti debbano essere sbarcati in Spagna o in Francia. “I giornalisti che erano a bordo hanno documentato cosa significhi sottoporre queste persone così vulnerabili a un viaggio lungo attraverso il Mediterraneo, un mare tutt’altro che facile per una nave sovraccarica in certe condizioni del meteo”.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/06/17/aquarius-valencia-ong

    • @stesummi fait, dans cet article, un lien entre ce qui se passe en Méditerranée, la fermeture des ports, et les discussions sur la réforme du #règlement_Dublin...

      Riformare Dublino ? Campa cavallo

      Nonostante la portata simbolica, giuridica e umana della chiusura dei porti a diverse navi di ONG, Matteo Salvini riuscirà difficilmente ad imporre ai paesi europei una maggior solidarietà nei confronti dell’Italia, ritengono diversi esperti. Il caso Aquarius ha reso ancor più evidente la frattura in seno all’Unione e l’incapacità dei paesi membri di trovare una risposta comune alla sfida del secolo.

      https://www.tvsvizzera.it/tvs/vicenda-aquarius_riformare-dublino--campa-cavallo/44198368
      #Dublin_IV #Dublin

    • Aquarius, una nave ostaggio della politica

      Concesso: l’Italia non può essere lasciata sola dall’Unione Europea a gestire il flusso di immigranti che attraversano il Mediterraneo partendo dall’Africa. Così come non può essere lasciata sola la Grecia, che ospita centinaia di migliaia di persone che la raggiunsero dalla Turchia due anni fa. Su questa sfida si misura la statura morale e politica dell’idea di comunità europea. Che per ora appare bassa. Ma la decisione del ministro degli interni italiano Matteo Salvini di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della ong italo-franco-tedesca Sos Mediterranée con 629 persone a bordo (dando così prova di essere il vero capo del governo, visto che la competenza spettava in realtà ad un altro ministero) è una brutta notizia per chi ha a cuore il diritto e l’impegno umanitario.

      La decisione del governo italiano è un atto illegale, contravviene alla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (ratificata dall’Italia nel 1989), la quale impone non solo il salvataggio in mare ma anche il trasferimento in luogo sicuro. Ed essendo stata la Aquarius incaricata dalla guardia costiera di Roma di portare in salvo le 629 persone, raccolte in diverse operazioni al largo della Libia, la chiusura dei porti ordinata da Salvini risulta ancora più assurda, tanto più che i porti restano aperti alle navi militari italiane, una delle quali ha portato oltre 900 migranti a Catania.

      Evidentemente il ministro degli interni e capo della Lega voleva mandare un segnale «forte» anche alle ong che in questi anni si sono prodigate per salvare più vite possibile sul Mediterraneo (essendo le forze messe in piedi dall’Unione europea insufficienti), da lui accusate di favorire l’immigrazione clandestina e di fare affari con i passatori. Ma il messaggio più forte è rivolto all’Unione Europea, che non riesce a riformare l’accordo di Dublino sul primo asilo e mettere d’accordo i suoi Stati membri sulla redistribuzione dei profughi, di cui si fa attualmente carico soprattutto l’Europa meridionale. Una redistribuzione cui si oppongono in particolare gli Stati del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia), con l’appoggio dell’Austria, con cui Salvini si sente maggiormente in sintonia.

      Ma è questa la strada per far crescere la solidarietà all’interno dell’Ue? O non è piuttosto un tentativo di minarla dall’interno, scatenando una litigiosità su un tema altamente delicato? Se il presidente francese Macron non è la persona più indicata per dare del «cinico» a Salvini (visto che il suo paese ha più volte chiuso le frontiere ai migranti che volevano raggiungerla dall’Italia), quale altro titolo può essere assegnato ad un ministro che gioca sulla pelle di centinaia di persone per raggiungere i suoi scopi politici ed elettorali?

      http://www.azione.ch/editoriale/dettaglio/articolo/aquarius-una-nave-ostaggio-della-politica.html

    • [L’intervista] #De_Falco, il comandante dei Cinque Stelle: “Salvini si rassegni: i naufraghi in mare vanno salvati”

      Parla l’ufficiale di Marina #Gregorio_De_Falco che la notte del 13 gennaio 2012 ordinò al capitano Schettino della Cosa Concordia di “tornare subito a bordo”. Il senatore 5 Stelle ricorda al ministro dell’Interno che il governo è “un organo collegiale”. Ma riconosce al segretario della Lega di aver ragione su Malta: “Non può continuare a sottrarsi”. Da sue ricerche la nave della Ong Lifeline è olandese. Insensato parlare di “blocco navale”. E assurdo ipotizzare di arretrare le navi rispetto alla zona dei salvataggi. “Le Capitanerie non lo faranno…

      http://notizie.tiscali.it/politica/articoli/intervista-de-falco-fusani

      v. anche:
      L’ex M5s De Falco: «Salverò i migranti. La legge del mare è superiore a quella di Salvini» - L’intervista
      https://www.open.online/primo-piano/2019/04/06/news/de_falco_intervista-187159

    • Corsica offers to take migrant boat

      The speaker of Corsica’s regional parliament, Jean-Guy Talamoni, said Monday that the French island was ready to open its port to the Lifeline, the boat of German NGO Mission Lifeline with some 230 migrants on board. Italy and Malta have refused to let the boat dock on their territory, as has Spain, which accepted the Aquarius, another boat, earlier this month.

      https://euobserver.com/tickers/142192
      #Corse

    • Publié par Fulvio Vassallo sur FB, le 27.06.2018:

      La Lifeline sta attraccando a Malta. Tra poco Muscat -su ordine di Salvini- la sequestrera’.

      I servizi giornalistici confermano che si contesta al comandante, che verrà arrestato, il grave fatto di non avere obbedito agli ordini provenienti dalla Centrale Operativa della Guardia costiera italiana di consegnare i naufraghi alle motovedette libiche, se non portarli direttamente in un porto libico.

      Sotto processo chi ha rispettato le regole delle Convenzioni internazionali, legittimati gli ordini illegittimi di riconsegna ai libici. Ai libici dai quali fuggono persone vittime di abusi e violenze che Salvini definisce soltanto come «retorica». Ma per la Direzione Distrettuale antimafia e per il Tribunale di Ragusa la Libia non offre «porti sicuri di sbarco».

      Questa e’ la fine del diritto internazionale. Ma anche dello stato di diritto in Italia.

      https://www.facebook.com/fulvio.vassallo.3/posts/10156549963911926

    • Pubblicato da Fulvio Vassallo, il 27.06.2018, su FB:

      Provata la prassi adottata dalla Centrale operativa della Guardia Costiera italiana (IMrcc) di Roma che ha ordinato al comandante della Lifeline, prima di riconsegnare i migranti alle motovedette libiche e poi di dirigere direttamente su Tripoli, per una «rendition» dei naufraghi agli agenti delle unità antimmigrazione del governo Serraj. Si tratta di ordini illegittimi, mai impartiti prima, frutto delle direttive informali impartite da Salvini e Toninelli. Più mettono sotto accusa le Ong, piu’ aprono processi contro gli operatori umanitari, piu vengono fuori le magagne della Guardia costiera ( e della Marina) italiana. Siamo solo all’inizio. Verranno fuori tracciati, notam, mappe, registrazioni e testimonianze . Vedremo alla fine chi ha rispettato la legge e le convenzioni internazionali e chi le ha violate. Se da qualche parte esistono ancora giudici indipendenti, come i giudici di Palermo e di Ragusa che hanno scritto nelle loro sentenze che in Libia non esistono «porti sicuri di sbarco».

      https://www.facebook.com/fulvio.vassallo.3/videos/10156550134361926

    • Una zona SAR per la “Libia” che non esiste. Si perfeziona la politica dell’annientamento.

      Sull’onda dei successi delle manovre di criminalizzazione delle ONG avviate lo scorso anno durante il governo Gentiloni-Minniti, dopo le operazioni di “soccorso” in acque internazionali delegate ai guardiacoste di Tripoli, giunge la notizia che l’IMO (Organizzazione delle Nazioni Unite per la navigazione matrittima internazionale) avrebbe inserito nei suoi data base una zona SAR “libica” con la indicazione di una Centrale operativa di coordinamento.

      https://www.a-dif.org/2018/06/28/una-zona-sar-per-la-libia-che-non-esiste-si-perfeziona-la-politica-dellannien

    • La Libia ha dichiarato la sua zona SAR: lo conferma l’IMO

      Tripoli definisce una propria area di ricerca e soccorso riconosciuta dall’Organizzazione Marittima Internazionale. Una svolta che complica ulteriormente la situazione, rendendo ancora più incerto il futuro di chi è intrappolato in Libia e il ruolo delle navi umanitarie. Diverse le domande, prima tra tutte: come si può affidare la responsabilità del soccorso a un Paese che non può essere considerato “Place of Safety”?

      http://www.vita.it/it/article/2018/06/28/la-libia-ha-dichiarato-la-sua-zona-sar-lo-conferma-limo/147392
      #SAR #Libye #it_has_begun #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #zone_SAR

    • Colau ofrece Barcelona como “puerto seguro” para acoger migrantes a la deriva

      La alcaldesa de la capital catalana apela directamente al presidente Pedro Sánchez y la vicepresidenta Carmen Calvo para ayudar a la oenegé Open Arms “a salvar vidas”

      http://www.lavanguardia.com/politica/20180624/45375909848/ada-colau-barcelona-puerto-seguro-migrantes-deriva.html
      #Barcelone

      #Berlin aussi a déclaré vouloir accueillir des demandeurs d’asile de la #Lifeline...
      Berlin will Flüchtlinge aufnehmen
      http://www.taz.de/!5516521

      –-> je vais mettre les infos concernant les villes qui se sont déclarées prêtes à accueil des migrants sur ce fil autour des #villes-refuge : https://seenthis.net/messages/656848

    • Les ONG ne sont pas les complices des passeurs

      Non seulement les opérations de secours en mer sauvent des personnes de la noyade, mais elles œuvrent à leur évacuation en situation de danger immédiat dans leur pays, rappelle MSF.

      La Méditerranée est devenue depuis trois semaines l’arène au sein de laquelle les Etats européens s’adonnent à des jeux politiques sordides aux dépens de la vie de milliers de personnes et mettent en scène la fermeture de leur territoire. Dernier épisode en date, le 26 juin, commentant l’opération de sauvetage du Lifeline, un navire d’une organisation non gouvernementale et son débarquement accordé in extremis par Malte, le président Emmanuel Macron l’accuse d’être « intervenue en contravention de toutes les règles et des garde-côtes libyens » et ainsi d’avoir « fait le jeu des passeurs ». Poursuivant, il regrette qu’« au nom de l’humanitaire », il puisse n’y avoir « plus aucun contrôle ».

      Ainsi, c’est l’ensemble des organisations humanitaires de secours en mer qui se retrouvent qualifiées de complice des trafiquants. Une accusation aussi absurde qu’inacceptable. Les ONG n’agissent en mer que sur instruction du centre de coordination des secours maritimes italien. Emmanuel Macron oublie également, à l’instar de ses homologues européens, que les opérations non-gouvernementales ne secourent qu’une minorité de celles et ceux qui sont sauvés en mer, la plupart l’étant par les garde-côtes italiens et des navires marchands. Plutôt qu’encourager les migrants à prendre la mer dans des conditions périlleuses, nous disent les responsables européens, il s’agit de confier la responsabilité du sauvetage aux garde-côtes libyens, ainsi que celui de la surveillance des côtes pour empêcher les départs. Comme s’en félicite le porte-parole du gouvernement Benjamin Griveaux, « grâce à un investissement que la France et l’Union européenne auprès des autorités libyennes », le rythme des traversées a considérablement ralenti.

      Ce résultat a été obtenu au prix de mesures révoltantes. Car les Européens dans leur ensemble, et la France et l’Italie au premier chef, encouragent l’interception en mer, le refoulement et le maintien en Libye de milliers de personnes qui y ont enduré des mois, et même pour certains des années, de privations, d’extorsion, de torture et d’esclavage. Personne n’ignore plus en effet ces sévices depuis la publication de nombreux rapports, dont ceux issus de notre travail dans le pays, en Libye ainsi que la diffusion CNN de la vidéo d’un marché aux esclaves en octobre dernier. Le président Macron n’hésitait pas lui-même à qualifier de « crimes contre l’Humanité » les faits d’esclavage en Libye en novembre dernier.

      Depuis le début de l’année 2018, ils sont déjà plus de 10 000 à avoir été interceptés et refoulés par les « garde-côtes libyens », bannière regroupant des groupes disparates de militaires et milices en armes. Des garde-côtes que l’Union européenne finance et forme, malgré la porosité de certains de ces groupes avec les trafiquants d’êtres humains comme cela a été largement démontré. Pour rappel, le Conseil de sécurité de l’ONU a sanctionné le 7 juin dernier six personnes, dont quatre Libyens, à la tête de réseaux de trafiquants : parmi eux, un des chefs des garde-côtes de la ville de Zawiya. Pourtant, par un tour de passe-passe tragique, la France se satisfait aujourd’hui, à l’instar de l’Italie, de sa coopération – de sa complicité ? – avec ces autorités aux contours flous et dont on sait qu’elles maltraitent les migrants et organisent elles-mêmes parfois leur passage.

      Une fois reconduites dans les centres de détention, les personnes interceptées seront pour la plupart soumises à un chantage de fait : rester enfermées dans ces cages fétides des mois encore ou bien se résoudre à intégrer le programme de « retours volontaires » dans leur pays d’origine organisé par l’Organisation internationale des migrations. Bien que certains d’entre eux accueillent ces propositions avec soulagement, d’autres ne s’y soumettent que pour échapper au pire. Quelques-uns finiront par bénéficier de la protection du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, seront envoyés au Niger en attente d’une hypothétique relocalisation dans un pays européen. Mais leur nombre est terriblement faible – un peu moins de deux cents depuis la fin de l’année 2017 – au regard des dizaines de milliers de personnes reconnues demandeuses d’asile en Libye.

      A ce regard, rien ne fonctionne : il n’existe aucun système d’enregistrement digne de ce nom et les activités du HCR dans le pays sont extrêmement contraintes. Enfin, une partie des personnes interceptées se retrouve à nouveau plongée dans des réseaux de criminalité et enfermée dans des prisons sauvages, où elles sont torturées pour obtenir une rançon de leurs proches. Les migrants détenus en Libye aujourd’hui se trouvent d’ailleurs majoritairement dans ces lieux de captivité clandestins, soumis aux pratiques les plus barbares et parfois tués. MSF sait, pour jouer les fournisseurs de sacs à cadavre à une association locale au nord de la Libye, que ce sont des centaines de personnes qui disparaissent ainsi chaque mois.

      Dès lors, la fuite est pour ses personnes une nécessité bien plus qu’un choix. En ce sens, les opérations de secours en mer des ONG répondent autant à sauver les gens d’une noyade certaine que d’œuvrer à l’évacuation de personnes en situation de danger immédiat.

      L’alternative au secours en mer n’est pas, comme feignent de le croire Emmanuel Macron et Matteo Salvini, sa disparition, mais bien plutôt une capacité accrue pour faire sortir les migrants qui le souhaitent de cette situation où ils connaissent l’enfer, et cela sans que le recours aux passeurs soit leur unique possibilité : sortir d’une logique de détention, accorder toute sa place à la demande d’asile en prenant conscience que certains d’entre eux ne pourront être rapatriés, accélérer les processus de relocalisation dans les pays tiers, y compris en Europe. Que penserait Paul Ricoeur, dont se réclame notre président, d’un de ses disciples faisant de l’ambulancier le complice de l’agresseur ?

      http://www.liberation.fr/debats/2018/06/29/les-ong-ne-sont-pas-les-complices-des-passeurs_1662820

    • Migranti: Toninelli, divieto di attracco per la nave ong #Astral

      «In ragione della nota formale che mi giunge dal Ministero dell’Interno e che adduce motivi di ordine pubblico, dispongo il divieto di attracco nei porti italiani per la nave Ong Astral, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della Navigazione». Lo dice in una nota il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli.

      http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/06/29/migranti-toninelli-divieto-di-attracco-per-la-nave-ong-astral-_d1b9ba19-7f42-44

      Commentaire de Marta Esperti sur FB:

      Decisione puramente politica, l’Astral non ha nessun migrante a bordo tra l’altro. Inoltre Astral è il nome della nave e non della ONG (#Proactiva_Open_Arms). Un’altra decisione meschina ed irregolare.

    • Updated (3): Another battle between Malta, Italy brewing on yet another ship with migrants

      Another battle of words is brewing between Malta and Italy on yet another group of migrants that has been rescued by a ship belonging to a non-governmental organisation.

      Italian Home Minister Matteo Salvini, on Twitter, wrote that Italy will not be accepting the ship with the migrants which, according to him, is closer to Malta.

      But, in a reply, Home Affairs Minister Michael Farrugia said that Lampedusa, which is Italian territory, is closer to the area where the SAR operation took place. The map shows that Lampedusa is 124.99 nautical miles away from the site, while Malta is 141.02 nautical miles away.


      http://www.independent.com.mt/articles/2018-06-30/local-news/Another-battle-between-Malta-Italy-brewing-on-yet-another-migrant-sh

    • "Avete fatto annegare 100 migranti". Open Arms accusa l’Italia

      La ong #Open_Arms accusa la Guardia costiera italiana e quella libica della morte dei migranti annegati in un naufragio al largo della Libia. «Ieri 100 persone sono morte nel naufragio di una barca di fronte alle coste della Libia», afferma la ong, che ha in queste ore nel Mediterraneo la nave Astral, a bordo della quale si trovano 59 migranti soccorsi oggi.

      Open Arms - prosegue il tweet dell’europarlamentare socialista spagnolo Javi Lopez, che si trova a bordo e che in un filmato si sofferma in un colloquio con Oscar Camps, fondatore della ong spagnola - «avrebbe potuto salvarle ma il suo appello è stato ignorato dalla Guardia costiera italiana e da quella libica».Il gommone naufragato tra ieri e giovedì scorso aveva a bordo almeno 120 migranti. Al naufragio sono sopravvissuti in 16. Tra i morti ci sono almeno tre bambini. «L’evento Sar avvenuto nella giornata di ieri e per il quale risultano dispersi circa 100 migranti è accaduto in acque territoriali libiche e non ha visto in alcun modo il coinvolgimento della Centrale operativa della Guardia costiera di Roma». E’ quanto precisa la stessa Guardia costiera in riferimento alla ricostruzione di Open Arms che ha accusato l’Italia.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/06/30/avete-fatto-annegare-100-migranti-open-arms-accusa-litalia_a_23471711

    • Migrants rescue boat allowed to dock in Barcelona

      A Spanish rescue boat which plucked 60 migrants from a patched-up rubber dinghy in the Mediterranean Sea near Libya has been given permission to sail to Barcelona, following another political row between Italy and Malta over where the vessel should dock.

      The boat, Open Arms, run by Spanish aid group Proactiva Open Arms, said it rescued the migrants – including five women, a nine-year-old child and three teenagers – after it spotted a rubber boat patched with duct tape floating in the sea. All the migrants appeared in good health.

      Italy’s right-wing interior minister Matteo Salvini quickly declared that the rescue boat “can forget about arriving in an Italian port”, and claimed it should instead go to Malta, the nearest port.

      Malta swiftly pushed back, with its interior minister contending that the tiny Italian island of Lampedusa, south of Sicily, was closer to the boat.

      http://www.itv.com/news/2018-06-30/migrants-rescue-boat-allowed-to-dock-in-barcelona

    • Dopo l’allontanamento delle ONG è strage quotidiana sulla rotta del Mediterraneo centrale

      Nel giorno in cui il ministro dell’interno e vice-presidente del Consiglio rilancia da Pontida l’ennesimo attacco contro le ONG, che vedranno “solo in cartolina” i porti italiani, e mentre tre navi umanitarie sono bloccate nel porto de La Valletta, per decisione del governo maltese, nelle acque del Mediterraneo Centrale si continua a morire. Si continua a morire nell’indifferenza della maggior parte della popolazione italiana, schierata con chi ha promesso che, chiudendo i porti, e le vie di fuga, ai migranti da soccorrere in mare, le condizioni di vita degli italiani colpiti dalla crisi potranno migliorare. Una tragica illusione. Il vero pericolo per tutti oggi non viene dal mare, ma dalla costituzione di un fronte sovranista ed identitario europeo, che potrebbe cancellare lo stato di diritto e la democrazia rappresentativa. E allora non ci sarà più spazio nè per i diritti umani nè per i diritti sociali. i più forti imporranno le loro leggi ai più deboli.

      Questa volta nessuno potrà accusare le navi umanitarie, come hanno fatto fino a oggi direttori di giornali in Italia ed esponenti della sedicente Guardia costiera libica. Adesso i libici, in assenza delle navi umanitarie, sono costretti ad avvalersi delle navi commerciali in navigazione nelle loro acque, per operazioni di soccorso che da soli non sono in grado di garantire, salvo poi attaccare le ONG. Per le persone “soccorse” in mare da questi mezzi il destino è segnato, lo sbarco avviene a Tripoli, porto più vicino ma non “place of safety“, e dopo poche ore, per coloro che sono trasferiti dal centro di prima accoglienza al porto, ai vari centri di detenzione gestiti dalle milizie, il destino è segnato.

      Si ripetono intanto attacchi scomposti contro gli operatori umanitari, che rilanciano la macchina del fango che da oltre un anno si rivolge contro le ONG, accusate di tutti i possibili reati, per il solo fatto di salvare vite umane in mare. Si vogliono eliminare tutti i testimoni dell’Olocausto nel Mediterraneo. Senza un voto del Parlamento si è cercato di introdurre in via surrettizia il reato di solidarietà, in spregio al principio di legalità, affermato dalla Costituzione italiana.

      Questa striscia di morte, che si allunga giorno dopo giorno, con una cadenza mai vista prima, deriva direttamente dalla eliminazione delle navi umanitarie e dall’arretramento degli assetti militari italiani ed europei che in passato, anche se si verificavano gravi stragi, riuscivano tuttavia a garantire più solleciti interventi di soccorso. Il blocco di tre navi umanitarie a Malta, come il sequestro della Juventa lo scorso anno, potrebbero essere stati causa di una forte riduzione della capacità di soccorso in acque internazionali, tra la Libia e ‘Europa, una capacità di soccorso che gli stati non hanno voluto mantenere negli standards imposti dalle Convenzioni internazionali a ciascun paese responsabile di una zona SAR ( ricerca e soccorso). La presenza delle navi umanitarie è stata bollata come un fattore di attrazione delle partenze, se non come vera e propria complicità con i trafficanti, come ha ripetuto in più occasioni Salvini. Ne vediamo oggi le conseguenze mortali.

      Anche l’UNHCR ha espresso la sua preoccupazione per la diminuzione degli assetti navali in grado di operare interventi di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. Secondo l’OIM negli ultimi tre giorni sono annegate oltre 200 persone, una serie di stragi ignorate dall’oipinione pubblica italiana e nascoste dai politici concentrati nel rinnovato attacco contro le ONG. La “banalità” della strage quotidiana in mare costituisce la cifra morale del governo Salvini-Di Maio. Con il sommarsi delle vittime, e l’allontanamento dei testimoni, si vuole produrre una totale assuefazione nella popolazione italiana. Per alimentare altro odio ed altra insicurezza, utili per le prossime scadenze elettorali.

      Nelle prime settimane di insediamento del nuovo governo, ed in vista del Consiglio europeo di Bruxelles del 28-29 giugno scorso, il ministero dell’interno ha disposto in modo informale la chiusura dei porti ed il divieto di ingresso nelle acque territoriali, per alcune imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che avevano effettuato soccorsi nelle acque internazionali antistanti le coste libiche. Sono state anche ritardate le operazioni di sbarco di centinaia di persone, soccorse da unità militari ( come la nave americana Trenton), o commerciali ( come il cargo Alexander Maersk), che, solo dopo lunghi giorni di attesa, hanno potuto trasbordare i naufraghi che avevamo a bordo e proseguire per la loro rotta. In molti casi si sono trasferite le responsabilità di coordinamento dei soccorsi alle autorità libiche, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

      Le ultime vicende delle navi umanitarie Acquarius , Lifeline e Open Arms, dopo il sequestro, lo scorso anno, della nave Juventa, ancora bloccata a Trapani, hanno aperto una nuova fase di tensioni anche a livello internazionale, in particolare con il governo maltese e con le autorità spagnole. Il governo italiano ha chiuso i porti alle poche navi umanitarie ancora impegnate nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre si è rilanciata la criminalizzazione delle Ong, e più in generale di chiunque rispetti il dovere di salvare vite umane in mare, malgrado importanti decisioni della magistratura (di Ragusa e di Palermo) riconoscessero come lecite, anzi doverose, le attività di soccorso umanitario delle stesse Ong sotto inchiesta.

      Da ultimo si è appreso che ci sarebbero motivi “di ordine pubblico” alla base della decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di vietare l’accesso ai porti italiani alla Open Arms.
Questi motivi, stando a informazioni che non sono state formalizzate in un provvedimento notificato agli interessati, sarebbero costituiti dalle “vicende giudiziarie” in cui è stata coinvolta la nave delle Ong spagnola, dissequestrata con una sentenza del Gip poi confermata dal tribunale di Ragusa, e dalle “manifestazioni”(rischio proteste) che si sono verificate in occasione del sequestro preventivo alla quale era stata sottoposta nel porto di Pozzallo.

      Si configura così come problema di “ordine pubblico” il doveroso espletamento di una operazione SAR che si è svolta nel pieno rispetto della legge e del diritto internazionale, per legittimare un provvedimento, ancora segretato, forse una circolare probabilmente da redigere, del ministro Toninelli, che vieta l’ingresso alle navi delle Ong nelle acque territoriali e nei porti italiani .

      L’allontanamento delle ONG per effetto delle “chiusure” informali dei porti, e la istituzione unilaterale di una zona SAR libica, oltre al blocco imposto alle navi umanitarie dalle autorità maltesi, riducono la presenza dei mezzi di soccorso nel Mediterraneo centrale e hanno già comportato un aumento esponenziale delle vittime.

      La realizzazione del progetto italiano di istituire una zona SAR , completata con una forte pressione sull’IMO a Londra, sta producendo tutti i suoi effetti mortali, considerando che la Guardia costiera “libica” non può coprire tutte le azioni di soccorso che è chiamata ad operare (spesso da assetti italiani), avendo a disposizione soltanto sei motovedette. Si tratta di mezzi ceduti dai precedenti governi italiani, oggi abbastanza logorati malgrado siano stati curati nella manutenzione dai marinai delle unità italiane, di stanza nel porto di Tripoli, nell’ambito della missione NAURAS. Non si sa come e quando arriveranno in Libia le 12 motovedette promesse alla Guardia costiera di Tripoli da Salvini, che doveva fare approvare la sua proposta in Consiglio dei ministri, approvazione che ancora non c’e’ stata. Una iniziativa che potrebbe infuocare ancora di più lo scontro tra le milizie libiche per il controllo dei porti, e del traffico di gas e petrolio.
      La creazione fittizia di una zona SAR libica, che sembra sia stata notificata anche all’IMO, sta legittimando gli interventi più frequenti della Guardia costiera di Tripoli, che arrivano a minacciare anche gli operatori umanitari mentre sono impegnati negli interventi di soccorso in acque internazionali. Interventi di soccorso che sono sempre monitorati dalle autorità militari italiane ed europee, che però non intervengono con la stessa tempestività che permetteva in passato il salvataggio di migliaia di vite.

      Il cerchio si chiude. Adesso arriva anche il supporto europeo alla chiusura contro le ONG, anche se non si traduce in alcun atto dotato di forza normativa vinclante. Tutte le politiche europee sull’immigrazione, anche i respingimenti, avverranno “su base volontaria”. Ma le navi di Frontex ( e di Eunavfor Med) rimangono vincolate agli obblighi di soccorso previsti dai Regolamenti europei n.656 del 2014 e 1624 del 2016. Atti normativi, vincolanti anche per i ministri,che subordinano le azioni contro i trafficanti alla salvaguardia della vita delle vittime, non esternazioni di leader sull’orlo di una crisi di nervi alla fine di un Consiglio europeo estenuante ed inconcludente.

      L’illegalità di scelte politiche e militari che vanno contro il diritto internazionale viene giustificata con lo spauracchio di manifestazioni democratiche di protesta. Non e’ a rischio soltanto la libertà di manifestazione o il diritto a svolgere attività di assistenza e di soccorso umanitario. Il messaggio lanciato dal governo italiano, e ripreso dal governo maltese, è chiaro, riguarda tutti, non solo i migranti. E’ la strategia mortale della dissuasione, rivolta ai migranti ed agli operatori umanitari. Altro che “pacchia”. Per chi si trova costretto a fuggire dalla Libia, senza alternative sicure per salvare la vita, il rischio del naufragio si fa sempre più concreto. Anche se gli “sbarchi” sono drasticamente calati, rispetto allo scorso anno, è in forte aumento il numero delle vittime, morti e dispersi, abbandonati nelle acque del Mediterraneo.

      In questa situazione la magistratura italiana è chiamata a fare rispettare le regole dello stato di diritto e gli impegni assunti dall’Italia con la firma e la ratifica delle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Ma è anche importante il contributo della società civile organizzata, delle associazioni, di tutto quel mondo del volontariato che in questi ultimi mesi è stato messo sotto accusa con lo slogan della “lotta al business dell’immigrazione”. Quando erano state proprio le Organizzazioni non governative a denunciare chi faceva affari sulla pelle dei migranti e chi ometteva i controlli, denunce fatte in Parlamento e nel lavoro quotidiano di tanti cittadini solidali. L’attacco contro il sistema di accoglienza è stato utilizzato per delegittimare e bloccare chi portava soccorso in mare, mentre gli stati venivano meno ai loro obblighi di salvataggio. Verranno dalla società civile europea e dagli operatori umanitari le denunce che inchioderanno i responsabili delle stragi per omissione.

      Rispetto alle richieste di soccorso, e persino rispetto alle istanze che si stanno proponendo per avere chiarite le basi normative e i contenuti dei provvedimenti amministrativi, sulla base dei quali si sta interdicendo l’ingresso nelle acque territoriali e nei porti italiani alle navi delle ONG, impegnate in attività SAR nelle acque internazionali a nord delle coste libiche, silenzi e ritardi. Si può riscontrare silenzio e ritardo nell’attività delle pubbliche amministrazioni riconducibili al Ministero delle infrastrutture ( quanto al divieto di ingresso) e dell’interno (quanto alle note di rilevazione ed alla dichiarazione di una situazione di pericolo per l’ordine pubblico). Le decisioni dei ministri, su materie così importanti che incidono sulla vita ( e sulla morte) delle persone, non possono essere comunicate sui social, con messaggi Twitter o attraverso Facebook.

      Se gli avvistamenti iniziali ed il coordinamento “di fatto” (come rilevato dalla magistratura) della Guardia costiera “libica” sono effettuati da parte di autorità militari italiane, in sinergia con gli assetti aero-navali europei delle missioni Themis di Frontex ed Eunavfor MED, le autorità italiane non possono dismettere la loro responsabilità di soccorso.

      In questi casi il ministero dell’interno italiano ha l’obbligo di indicare un porto sicuro (place of safety) di sbarco in Italia, dal momento che la Libia non offre porti sicuri, e che Malta ha negato in diverse occasioni l’attracco a navi commerciali o umanitarie, che avevano operato soccorsi nelle acque del Mediterraneo centrale.

      Contro la scelta di chiudere i porti e di interdire l’ingresso delle navi delle ONG nelle acque territoriali, tanto per sbarcare naufraghi soccorsi in alto mare, quanto per effettuare rifornimenti e cambi di equipaggio, occorre rilanciare una forte iniziativa sul piano sociale, politico e legale. Per affermare il diritto alla vita, un diritto incondizionato, che non può essere piegato a finalità politiche o giudiziarie. Per battere quell’ondata di disinformazione e di rancore sociale che sta disintegrando il tessuto umano della nostra Repubblica, e la stessa Unione Europea, indicando nei migranti e in chi li assiste la ragione di tutti i mali che affliggono i cittadini italiani. Come se si trattasse di nemici interni da eliminare. Di fronte a tutto questo, la resistenza è un dovere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/01/dopo-lallontanamento-delle-ong-e-strage-quotidiana-sulla-rotta-del-mediterran

    • Migrants : pour les armateurs, secourir les naufragés est « un devoir absolu »

      Le devoir des navires est de porter assistance aux personnes en situation de détresse en mer, quelles que soient les circonstances, souligne le délégué général d’Armateurs de France Hervé Thomas, alors que l’Italie a bloqué pendant trois jours un cargo danois qui avait secouru des migrants.

      http://www.levif.be/actualite/international/migrants-pour-les-armateurs-secourir-les-naufrages-est-un-devoir-absolu/article-normal-860223.html
      #droit_de_la_mer

    • #Sea-Watch hindered from leaving port while people drown at sea

      +++ Current surge in death toll linked to crack down on sea rescue +++ Sea-Watch fully entitled with Dutch flag, investigations are political campaign against civil rescue fleet +++

      Sea-Watch learned today that its vessel is detained in Malta, without any legal grounds provided by authorities. Since the Sea-Watch 3 is not registered in the sportboat register, as is the case for LIFELINE and SEEFUCHS, but is listed in the royal shipping register as a Dutch seagoing vessel, fully entitled to fly the Dutch flag, the lack of permission to sail from Malta turns out not to be a registration issue, but a political campaign to stop civil rescue at sea.

      While rescue assets are blocked in port, recent days have become the deadliest this year. Yesterday, the UNHCR reported another 63 people missing, while on Friday more than 100 people had drowned, among them babies and children. At the moment there is no suitable rescue asset left in the area of operation, despite the fact that the Sea-Watch 3 is well equipped and ready to sail. Sea-Watch strongly urges the Maltese government to stop hindering rescue workers, as human lives are at acute risk.

      https://sea-watch.org/en/321

    • Terzo naufragio in quattro giorni. I governi uccidono ed i giudici processano la solidarietà.

      Oggi vogliamo soltanto fissare la sequenza dei fatti, le vicende di questa ultima strage, che rischia di essere cancellata dall’indifferenza generale, per restituire una lacrima ed un ricordo a quelli che potrebero essere nostri padri, madri, fratelli, sorelle, figli, nipoti. Che oggi, dopo questo ennesimo naufragio, saranno dispersi in qualche parte del Mediterraneo, senza che le loro famiglie possano avere almeno restituiti i cadaveri. Altre 114 vite cancellate dalle politiche di “lotta ai trafficanti” e di “difesa dei confini” che in Europa ed alle sue frontiere esterne stanno prevalendo persino sul diritto alla vita.

      https://www.a-dif.org/2018/07/02/terzo-naufragio-in-quattro-giorni-i-governi-uccidono-ed-i-giudici-processano-

      v. aussi:
      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/migranti_unhcr_nuovo_naufragio_in_libia_114_dispersi_in_mare-200669661
      https://www.corriere.it/cronache/18_luglio_02/migranti-altro-naufragio-l-agenzia-onu-ci-sono-114-dispersi-850cef22-7e26-1
      http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2018/07/02/nuovo-naufragio-in-libia-114-dispersi_79f8cc8a-ea4b-42a9-8be5-19b6c31b0545.html

    • 16/06: Alarm Phone alerted to two boats in the Western Mediterranean – one person died during rescue operation

      Watch The Med Alarm Phone Investigations – 16th of June 2018
      Case name: 2018_06_16-WM264
      Situation: Alarm Phone alerted to two distress cases between Morocco and Spain, one traveller died during the rescue operation.
      Status of WTM Investigation: Concluded
      Place of Incident: Western Mediterranean Sea

      Summary of the Case: On Saturday the 16th of June, the Alarm Phone shift team was alerted to two boats in distress in the Western Mediterranean. Both boats were rescued by the Moroccan navy. However, one traveller drowned during the rescue operation of the second boat.

      At 12.48pm, the Alarm Phone shift team was alerted by a contact person to a boat in distress carrying 51 travellers, amongst them seven women. The boat had left the day before in the early evening from Nador. The contact person had not been able to reach the travellers since the previous evening, and we did also not manage to establish direct contact. At 1.13pm the contact person informed us that the travellers had been intercepted by the Moroccan navy.

      At 09.10pm, the Alarm Phone shift team was alerted by a contact person to a group of 11 travellers, who had left from a beach just south of Tangier two hours earlier. Via the contact person we received the position of the travellers, but from 10.25pm it was not possible for neither us nor the contact person to reach the travellers. At 10.45pm we called the Spanish search and rescue organisation Salvamento Maritimo (SM) and passed on our information. At 11.41 we managed to reach the travellers. They had been rescued by the Moroccan navy and were back in Morocco, but they informed us that one person had drowned. We learned via the contact person that the person had drowned during the rescue operation, and that the Moroccan navy had been unwilling to resuscitate him.
      Four days later we received a testimony from the group of travellers, explaining the events on the night that their friend lost his life. They explained that the Moroccan navy had come towards them, just as a Spanish helicopter had spotted them from above. The navy had approached them quickly, creating big waves which caused the boat to capsize. Most of the travellers managed to cling on to their rubber boat, which had flipped over. They explained how their friend was not able to grab hold of the boat, and how the navy made no effort to help him, but simply watched him drown. Afterwards they allowed the remaining distressed people onto their vessel, and brought them back to Morocco. We send all our condolences to the family and friends of the traveller who passed away, and want to once again point out that the Moroccan navy is not a rescue organisation, but first and foremost a military unit with border management as their main aim.

      http://www.watchthemed.net/index.php/reports/view/923

    • Malta blocks migrant search plane from operating in Mediterranean as EU toughens stance on refugee rescues

      Malta has blocked an aircraft used to search for migrant boats in the Mediterranean from operating out of the country, according to a migrant rescue group.

      Sea Watch, which runs the #Moonbird aircraft, condemned the move, accusing authorities of grounding the plane during the “deadliest days” in the Mediterranean since records began.

      The German NGO said the plane had been involved in the rescue of some 20,000 people since it began operating.


      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/malta-blocks-moonbird-plane-mediterranean-refugee-crisis-ngo-sea-watc

    • Libya’s Authorities Rescue 41 Migrants after Shipwreck

      The Libyan Coast Guard rescued 41 migrants after the shipwreck of a pneumatic boat in which 63 other people, declared missing, were also traveling, today reported the government.

      The boat, which sank off the coast of Garabolli, 50 kilometers east of this capital, was carrying 104 people, a figure that can be deduced from the possible victims still to be found, according to the Navy spokesman, Colonel Major Ayoub Gassem.

      The 41 migrants who traveled as passengers survived because of their life vests, which allowed them to resist until they were rescued.

      Gassem lamented the limited resources of the Coast Guard, including only three operational vessels, often immobilized in the port due to lack of fuel, breakdowns and life jackets, in a country through which thousands of Africans try to reach Europe.

      That body of operations rescued only last June more than 4,000 migrants, a thousand of them in a single day.

      http://www.plenglish.com/index.php?o=rn&id=30585&SEO=libyas-authorities-rescue-41-migrants-after-s

    • Aquarius : les étudiantes rousseauistes de l’ULB livrent leur analyse

      En mai dernier, nous avons eu la chance de participer au Concours de procès simulé en droit international Charles-Rousseau, lequel abordait cette année la problématique des migrants interceptés en mer. Le cas pratique mettait en scène deux États mettant en cause la responsabilité d’un troisième État, le Takaramé, devant le Tribunal international du droit de la mer. Il lui était reproché d’avoir manqué à ses obligations en matière de droit de la mer, de droits de l’Homme et de droit des réfugiés. En effet, cet État, dont le port était le plus proche du navire, avait refusé l’accès à ce même port à un navire en situation de détresse à la suite du secours qu’il avait apporté à une centaine de migrants fuyant les persécutions subies dans leur pays d’origine. Ce cas fictif n’est évidemment pas sans rappeler les récents évènements en méditerranée. Pendant plusieurs jours, l’Italie et Malte se sont en effet renvoyées la responsabilité d’accueillir l’Aquarius, un navire ayant recueilli à son bord plusieurs centaines de migrants. Le 10 juin 2018, ce navire de l’ONG SOS Méditerranée avait secouru 629 migrants, parmi lesquels se trouvaient 123 mineurs isolés, 11 enfants en bas âge, et 7 femmes enceintes. L’Italie ayant refusé de les accueillir, le navire s’était retrouvé bloqué à 35 milles marins de l’Italie, et à 27 milles marins de Malte. L’ONG avait pourtant comme pratique, en raison d’un accord passé avec les autorités italiennes, d’accoster et de débarquer les personnes secourues dans les ports italiens. Il semblait donc logique que le navire débarque, comme à son habitude, ces personnes en Italie. Mais logique ne fait pas forcément droit. Il convient donc de s’interroger sur ce que dit le droit international quant au débarquement des migrants secourus en mer. Les conclusions qui suivent s’appuient sur les recherches que nous avons pu effectuer dans le cadre du Concours Charles-Rousseau.

      Dans la suite de la présente analyse, nous démontrerons d’abord que les Etats ne manquent pas de profiter des zones grises du droit de la mer pour oublier leurs obligations envers l’Aquarius. Ensuite, nous insisterons sur l’importance de l’obligation de respecter les droits de l’Homme en mer, qui apparaissait s’imposer tout particulièrement à l’Italie, mais également aux autre États, dans le cas présent.

      1. Les États côtiers de la méditerranée ont vite fait d’oublier les obligations que leur impose la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer

      L’obligation pour les Etats de secourir les personnes en détresse en mer est une des plus anciennes règles coutumières en droit de la mer, et est désormais codifiée à l’article 98 de la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer. Si ce dernier requiert des Etats qu’ils exigent des navires battant leur pavillon de se porter aussi vite que possible au secours des personnes en détresse en mer, il exige tout autant des États côtiers qu’ils facilitent la création et le fonctionnement d’un service permanent de recherche et de sauvetage adéquat et efficace pour assurer la sécurité maritime. Il nous semble dès lors important d’insister sur un premier point. Si les Conventions SAR et SOLAS précisent et mettent en œuvre cette obligation de coopération par la création de Régions de recherches et de sauvetage, elles ne font pas disparaitre l’obligation principale de coopération qui pèse sur tous les États côtiers. Nous nous étonnons dès lors d’entendre le président français, dont les côtes s’étendent sur plus de 1500km en méditerranée, dénoncer « l’irresponsabilité de l’Italie ». Les États ont beau jeu de se cacher derrière les obligations de l’Italie pour faire oublier les leurs.

      Quoi qu’il en soit, qu’en est-il plus précisément des obligations spécifiques de l’Italie et de Malte, États responsables de la Région de recherche et de sauvetage dans laquelle se trouvait l’Aquarius ? Si la Convention SAR a principalement pour objet de régler le déroulement des opérations de sauvetage et la coopération entre Etats, sa version initiale ne donne aucune indication sur l’endroit dans lequel les navires secourus devraient pouvoir débarquer. Les amendements de 2004 ont tenté, suite à l’affaire du Tampa en Australie, de combler cette lacune en imposant aux Etats de remettre les personnes en « lieu sûr ». Néanmoins, l’on se heurte à un premier problème en ce qui concerne Malte : elle n’a pas ratifié ces amendements, et ce, afin précisément de ne pas être soumise à l’obligation d’accueillir des navires en détresse tels que l’Aquarius. La République maltaise n’est dès lors tenue qu’à l’obligation de coopération en vue du sauvetage du navire et des personnes à son bord.

      Ensuite, en ce qui concerne l’obligation de remettre les personnes secourues en lieu sûr, inscrite à la Règle 33 (1-1) de la Convention SOLAS, ainsi qu’au paragraphe 3.1.9. de la Convention SAR dans sa version amendée, elle n’implique aucune obligation de débarquement sur le territoire de l’État responsable de la Région de recherche et de sauvetage. L’Organisation Maritime Internationale (ci-après l’OMI) définit un lieu sûr comme étant « un endroit où la vie des personnes secourues n’est plus menacée et où leurs besoins fondamentaux (tels que la nourriture, le logement et les besoins médicaux) peuvent être satisfaits ». Le navire ayant prêté assistance peut ainsi être considéré comme un lieu sûr. Néanmoins, un tel navire ne peut être qu’un lieu sûr temporaire, les besoins fondamentaux des quelques 600 personnes secourues ne pouvant être indéfiniment contentés à son bord.

      S’il n’est pas requis de l’Etat côtier qu’il accueille les personnes secourues sur son territoire, les Principes relatifs aux procédures administratives pour le débarquement des personnes secourues en mer de l’OMI précisent que l’État responsable de la Région de recherche et de sauvetage a l’obligation résiduelle d’autoriser le débarquement sur son propre territoire, lorsqu’il n’est pas possible ailleurs. Toutefois, ces principes sont dénués de force juridique, et n’engagent donc les États à aucune obligation véritablement contraignante.

      En l’espèce, l’Italie et Malte n’ont pas coopéré pour trouver un lieu sûr pour ces personnes, mais se sont contentés de refuser qu’elles débarquent sur leurs territoires. Si l’Espagne n’avait pas proposé d’accueillir ce navire, l’Aquarius serait toujours en haute mer sans solution. L’Italie n’était certes pas dans l’obligation d’accepter les personnes sur son territoire, mais elle ne pouvait se contenter de refuser ce navire sans tenter de coopérer avec les autres Etats côtiers. En espèce, c’est l’Espagne qui s’est proposée, palliant de fait les violations de l’Italie.

      On constate donc ici une volonté de l’Italie et de Malte de profiter des zones grises du droit de la mer, en jouant de l’ambiguïté de la notion de « lieu sûr » dans le cas de l’Italie, ou en limitant autant que faire se peut l’étendue de son obligation de secours et sauvetage dans le cas de Malte. Si l’Italie est à blâmer pour avoir totalement nié sa responsabilité envers l’Aquarius, il nous semble qu’elle n’est pas la seule à devoir l’être, l’Europe entière étant concernée par la situation en méditerranée. En faisant la sourde oreille à celle-ci, les États européens oublient toutefois leur obligation de coopération en matière de secours et sauvetage. Ils oublient également les obligations qui leurs incombent en vertu des instruments de protection des droits de la personne, comme nous allons maintenant l’évoquer.

      2. Les considérations élémentaires d’humanité imposaient aux États côtier de se proposer afin d’accueillir les migrants

      Les obligations relatives au droit de la mer ne sont pas les seules à entrer en jeu. Les Etats doivent en effet également respecter les considérations élémentaires d’humanité. Par cette expression, on entend l’ensemble des principes juridiques visant à la protection du respect de la dignité des personnes. La Cour internationale de justice s’est prononcé à plusieurs reprises quant à celles-ci, insistant sur l’importance de leur respect (Détroit de Corfou, Activités militaires et paramilitaires au Nicaragua et contre celui-ci, Licéité de la menace ou de l’emploi d’armes nucléaires, Immunités juridictionnelles de l’État). Le Tribunal international du droit de la mer a également rappelé que ces principes s’appliquent dans le droit de la mer (Affaires du Navire Saïga No. 2, Incident de l’Enrica Lexie, Navire Louisa, Juno Trader). Plus spécifiquement, ces considérations élémentaires d’humanité sont reflétées dans les instruments conventionnels de protection des droits fondamentaux, qu’il s’agisse de la Convention européenne des droits de l’Homme (ci-après la CEDH) ou du Pacte international relatif aux droits civils et politiques (ci-après le PIDCP).

      Afin de déterminer si ces instruments sont applicables au cas d’espèce, il convient toutefois d’abord de déterminer si les États en cause exerçaient bien leur juridiction. En principe, une personne se trouvant sur le territoire d’un État est présumée se trouver sous sa juridiction. Toutefois, l’Aquarius ne se trouvant pas dans la mer territoriale de l’Italie ou de Malte, mais bien en Haute Mer, cette présomption ne joue pas en l’espèce. Toutefois, dans certaines circonstances exceptionnelles, un État peut exercer sa juridiction de manière extraterritoriale. Tel est le cas notamment, comme l’a rappelé la Cour européenne des droits de l’homme dans l’affaire Al-Skeini contre Royaume-Uni, quand des agents étatiques exercent un contrôle effectif sur les personnes victimes de violations de droits de l’Homme. Bien qu’aucun agent de l’État italien ne soit monté à bord de l’Aquarius, le simple fait d’empêcher un navire de se diriger vers son territoire permet d’indiquer que l’Italie exerçait bien juridiction sur le navire et les personnes à son bord. Par ailleurs, l’article 92 de la Convention de Montego Bay précise bien que « les navires naviguent sous le pavillon d’un seul État et sont soumis (…) à sa juridiction exclusive en haute mer ». Ainsi, l’Aquarius battant pavillon anglais, le Royaume-Uni pourrait potentiellement être tenu responsable des violations des droits de l’Homme commises à bord du navire. Le silence et la passivité de cet État dans cette affaire est dès lors interpellant…

      En l’espèce, il existait plusieurs risques de violations des droits fondamentaux. Tout d’abord, les migrants et les membres de l’équipage de l’Aquarius ont été contraint à vivre durant quatre jours à bord du navire dans des conditions déplorables, et à retraverser la mer méditerranéenne en direction de l’Espagne (dont le port le plus proche se situait à 1500 km du navire au moment des faits). Se pose alors la question de savoir si l’Italie, Malte et les autres États européens n’ont pas soumis ces personnes à des traitements inhumains et dégradants. De tels traitements sont prohibés par l’article 3 de la Convention européenne des droits de l’Homme, ainsi que par l’article 7 §1 du Pacte international relatif aux droits civils et politiques. Selon le Comité des droits de l’Homme, le fait qu’un acte relève ou non du champ d’application de l’article 7 du Pacte précité « dépend de toutes les circonstances, par exemple la durée et les modalités du traitement considéré, ses conséquences physiques et mentales ainsi que le sexe, l’âge et l’état de santé de la victime » (affaire Vuolanne contre Finlande). Au vu de la vulnérabilité accrue et de la situation personnelle des personnes se trouvant à bord du navire, et compte tenu de l’état de détresse du navire, le fait de les forcer à vivre ainsi à bord de l’Aquarius durant plusieurs jours, est constitutif de traitements inhumains et dégradants.

      Ensuite, bien qu’au regard du droit de la mer, aucun État n’ait formellement l’obligation de permettre le débarquement de migrants secourus en mer sur son territoire, il se peut qu’au final permettre un tel débarquement soit la seule façon pour un État d’agir conformément à ses obligations prévues en matière de droits de l’Homme. En effet, l’article 33 §1 de la Convention de Genève relative au statut des réfugiés interdit à tout État de refouler des personnes vers un territoire où leur vie ou leur liberté serait menacée. Dans le même sens, l’article 3 de la CEDH interdit aux États membres du Conseil de l’Europe de renvoyer une personne vers un territoire où elle risque d’être soumise à de la torture ou à d’autres mauvais traitements. A contrario, le renvoi de migrants vers un « pays sûr » est autorisé. A ce sujet, nous avons été assez surprises d’apprendre que l’Italie avait indiqué à l’Aquarius de se rendre en Libye, sachant que l’État italien a été condamné en 2012 par la Cour européenne des droits de l’Homme pour avoir violé l’article 3 de la CEDH en ayant refoulé des ressortissants somaliens et érythréens en Libye, lors de l’affaire Hirsi Jamaa.

      Conclusion

      En conclusion, l’actualité européenne concernant le navire Aquarius met en exergue l’intention des États d’exploiter les vides juridiques existants en matière de prise en charge des personnes secourues en mer et témoigne également de l’urgente nécessité que les États membres de l’Union européenne s’accordent afin d’apporter une réponse globale à la migration. Reste que, comme on l’a vu, les États sont liés par leurs obligations découlant des droits de la personne. Ici aussi cependant, les États en procédant à des refoulements en mer, cherchent à contourner celles-ci. Il est en effet plus que difficile pour un migrant refoulé vers la Lybie de pouvoir attraire l’Italie devant la Cour européenne des droits de l’homme.

      Justine Braun
      Marianne Chagnon
      Caroline Delava
      France Laurent

      http://cdi.ulb.ac.be/aquarius-etudiantes-rousseauistes-de-lulb-livrent-analyse/#more-4589

    • "Porti chiusi anche alle navi militari europee", ma Salvini irrita la Difesa: “Non ha nessuna competenza”

      L’affondo del vicepremier dopo lo sbarco a Messina di 106 migranti da una nave irlandese: «Stortura da modificare, porterò la questione al vertice dei ministri dell’Interno Ue». Ma arriva lo stop: «Questa missione europea è gestita da Esteri e Difesa»

      http://www.repubblica.it/cronaca/2018/07/08/news/nave_militare_irlandese_sbarca_a_messina_con_106_migranti-201198516

    • Les #gardes-côtes_libyens interceptent de plus en plus de migrants en Méditerranée

      Est-ce la conséquence d’une raréfaction des secours en Méditerranée ? Pendant le week-end du 14 juillet, un bateau de pêche en bois, avec à son bord 450 personnes, a été secouru dans les eaux internationales, non loin de l’île italienne de Lampedusa. Un mois après la crise de l’Aquarius, le navire que l’Italie – sous la pression de son ministre de l’intérieur d’extrême droite Matteo Salvini – a refusé d’accueillir avec 630 migrants à son bord, les ONG ne peuvent presque plus opérer au large des côtes libyennes, poussant les migrants à tenter des voies toujours plus dangereuses.
      « Ce n’est pas la première fois que ce type d’embarcations tente la traversée depuis la Libye, même si l’on voit plus souvent des petits bateaux pneumatiques, réagit Nicola Stalla, coordinateur des opérations de recherche et sauvetage à bord du navire humanitaire “Aquarius”. En revanche, le fait qu’ils soient parvenus aussi loin est clairement une conséquence du manque de moyens de sauvetage en mer. »

      L’Aquarius est à quai à Marseille, tandis que le Lifeline et le Sea-Watch sont empêchés de repartir de Malte. Seul l’Open-Arms, le bateau affrété par l’ONG catalane Proactiva, navigue actuellement en Méditerranée centrale, de retour de Barcelone où il avait accosté le 4 juillet, avec à son bord soixante migrants que l’Italie avait refusé d’accueillir.

      Le navire secouru ce week-end rappelle le naufrage d’un chalutier aux abords de Lampedusa en 2013, au cours duquel près de 400 personnes s’étaient noyées. La catastrophe avait déclenché l’opération militaire et humanitaire européenne « Mare Nostrum ». « Ces bateaux sont particulièrement dangereux, car le risque de chavirage est très important, ajoute M. Stalla. En fonction de la quantité de carburant et d’eau à bord, le centre de gravité est modifié. Il y a aussi un risque d’asphyxie dans la cale, souvent surchargée. »

      Ping-pong diplomatique

      Transbordées à bord de bateaux italien et britannique, les personnes secourues ce week-end ont accosté lundi en Sicile après un nouveau ping-pong diplomatique entre Rome et La Valette, les deux capitales se renvoyant la responsabilité de leur accueil. La situation s’est débloquée après que cinq pays européens, dont la France, ont accepté de recevoir plus de la moitié de ces migrants, à la demande du gouvernement italien. « On voit se mettre en place un mécanisme de solidarité entre certains pays européens, c’est un début mais c’est très fragile », commente Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) pour la situation en Méditerranée centrale.

      Conséquence directe du retrait des ONG, la proportion de morts en mer parmi les personnes tentant la traversée entre la Libye et l’Italie a doublé, passant de 1 % à 2,1 % entre les premiers semestres de 2017 et 2018, d’après des chiffres du HCR. Sur l’ensemble de la zone de Méditerranée centrale, 564 personnes ont disparu en juin. Un chiffre légèrement supérieur à celui de juin 2017, alors même que les flux d’arrivées sont sept fois moins importants. « Les noyades se multiplient pendant que les gouvernements européens bloquent les secours humanitaires », ont alerté la semaine dernière SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières, les deux ONG qui affrètent l’Aquarius.

      « Ceux qui criminalisent les ONG sont responsables des morts, parce qu’ils omettent délibérément de porter assistance aux personnes », a réagi Axel Steier, cofondateur de Lifeline, dont le bateau a débarqué 234 migrants à Malte, le 27 juin, après que l’Italie lui a également refusé l’accès à ses ports. Depuis, le navire a été saisi, et son capitaine est convoqué devant la justice maltaise le 30 juillet, accusé de ne pas avoir enregistré correctement l’immatriculation de son bateau. Egalement empêché de repartir, le navire de l’ONG allemande Sea Watch est amarré à La Valette. La capitaine, Pia Klemp, explique : « Quand on a décidé de partir le 2 juillet après une opération de maintenance, on a requis une autorisation aux autorités portuaires. Elle nous a été refusée. C’est la première fois ».

      « Le droit maritime est complètement foulé au pied »

      Enfin, le Moonbird, l’avion de reconnaissance géré par Sea Watch et l’ONG suisse Humanitarian Pilots Initiative, est bloqué au sol. « Malte nous interdit d’entrer ou de quitter la région d’information de vol libyenne, donc ça nous empêche de faire nos opérations », constate Tamino Böhm, chef de mission. « Depuis deux mois, il y a moins de capacités de recherche et de sauvetage, résume Vincent Cochetel, du HCR. Or, toutes les bonnes volontés sont nécessaires pour sauver des vies. Les ONG représentaient 40 % des efforts en mer. »

      Dans le même temps, les interceptions d’embarcations par les gardes-côtes libyens ont augmenté de plus de 28 %. Depuis le début de l’année, ce sont 10 466 personnes tentant la traversée qui ont été ramenées en Libye. Dans cet objectif, Rome apporte une aide importante à Tripoli, notamment en fournissant des vedettes aux gardes-côtes. « Si les Libyens réalisent des interceptions dans leurs eaux territoriales, ce n’est pas problématique en soi. Mais dans les eaux internationales, à notre avis, les Libyens peuvent coordonner les sauvetages dans leur zone de secours, mais pas débarquer les personnes chez eux tant qu’ils n’ont pas de lieu sûr. En tout cas, les centres de détention ne correspondent pas à un port sûr », prévient Vincent Cochetel, en référence au droit maritime international, qui considère que les migrants secourus doivent être débarqués dans le port sûr le plus proche. Plusieurs ONG font toutefois état d’opérations menées par les Libyens dans les eaux internationales. En outre, elles témoignent d’un transfert de responsabilité entre Rome et Tripoli en matière de coordination des sauvetages dans les eaux internationales. « Le droit maritime est complètement foulé au pied, s’alarme Sophie Beau. On ne peut pas construire un modèle autour de la Libye, c’est le chaos le plus total. »

      https://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2018/07/17/les-gardes-cotes-libyens-interceptent-de-plus-en-plus-de-migrants-en

    • Libyan coastguard left refugees to die in Mediterranean : NGO

      A woman and a child were found dead hours after they were left in their damaged boat by the Libyan coastguard.

      Proactiva Open Arms, which has been rescuing refugees crossing the Mediterranean Sea from North Africa to Europe, says the Libyan coastguard has left at least two refugees to die after abandoning them at sea.

      The Spanish NGO, which carries out search and rescue operations in Mediterranean, posted a video and pictures on Twitter showing how their boat took aboard three people; two women and a child.

      By the time the three were found by Proactiva, one woman and the child had already died.

      According to tweets by Oscar Camps, founder and director of Proactiva, the boat was damaged and abandoned by the Libyan coastguard.

      “Today we’ve found the bodies of a woman and a small child, as well as a woman who was still alive among the wreck of a ship,” Camps said in a video.

      “I want to condemn the lack of assistance in international waters and the merchant ship Triades which abandoned a boat in danger in the middle of the night,” he added.

      “They don’t know how to manage an emergency situation they arrived two days late and abandoned two women and a child in the wreckage of a ship that they themselves destroyed,” Camps said.

      The boat carrying the two bodies and one survivor were found about 120km off the Libyan coast.


      https://www.aljazeera.com/news/2018/07/libyan-coastguard-left-refugees-die-mediterranean-ngo-180717195213059.htm

      #gardes-côtes_libyens

    • Press Release: Migrants rescued in Distress in Maltese Search and Rescue Zone illegally transferred to Tunisian territorial waters

      Over the past four days, the WatchTheMed Alarm Phone has collected information that strongly suggest that a boat carrying 40 migrants from several African countries seeking protection in Europe was illegally transferred into Tunisian territorial waters after having already reached international waters and the Maltese Search and Rescue (SAR) zone. Among the group are eight women, two of whom are pregnant. The wooden boat had left from Libya and was rescued on Friday the 13th of July north of the oil platform Astrat in international waters and in the Maltese SAR zone by the supply vessel Sarost 5. MRCC Tunis as well as the crew of the supply vessel confirmed the position of the migrant boat in the Maltese SAR zone. Both Malta and Italy denied the supply vessel their permission to disembark the migrants in Maltese and Italian harbours.

      The migrants are still in limbo. After rescue, they were provided with some food and brought to the oil platform. Later, the supply vessel took course on Sfax/Tunisia to disembark the people there. The authorities of Sfax, however, refused to allow them to disembark. They were then told to disembark in Zarzis/Tunisia. But since Monday the 16th of July, at 1am, they are also blocked from entering the port there.

      We demand that the people are safely and immediately brought to a safe harbour in Europe. We demand that European coastguards take responsibility for coordinating Search and Rescue operations of boats in situations of distress in their Search and Rescue zones, as legally mandated. We demand a long-term solution that allows those in distress at sea to be swiftly disembarked in European harbours, rather than the case-by-case evaluations that we see currently, which unnecessarily prolong the suffering of those rescued. We also declare our solidarity with the crews of non-governmental and commercial vessels that carry out vital search and rescue operations despite the obstacles that European governments create.


      https://alarmphone.org/en/2018/07/18/press-release-migrants-rescued-in-distress-in-maltese-search-and-rescue-zone-illegally-transferred-to-tunisian-territorial-waters/?post_type_release_type=post

    • #Marc_Gasol, il campione Nba da 20 milioni di dollari all’anno che salva i migranti come volontario

      Il giocatore dei Memphis Grizzlies - fratello dell’ex Laker, Pau, e nazionale spagnolo come lui - era a bordo della nave della Ong catalana che martedì ha denunciato l’inefficienza della Guardia Costiera libica accusandola di aver abbandonato Josephine e una mamma con il figlio piccolo, poi morti, al largo delle coste di Tripoli. Il cestista al El Pais: «Scioccato dalla foto del piccolo Aylan circolata nel 2015. Da allora ho deciso di fare la mia parte»


      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/18/marc-gasol-il-campione-nba-da-20-milioni-di-dollari-allanno-che-salva-i-migranti-come-volontario/4500446

    • #Josephine, l’unica sopravvissuta al naufragio libico: è rimasta 48 ore in acqua attaccata a un pezzo di legno

      Lo sguardo traumatizzato, quasi vitreo, di chi ancora non distingue la vita dalla morte. Così appare l’unica donna sopravvissuta all’ultimo naufragio libico, in cui sono morti una madre e un bambino. Questa donna miracolata si chiama Josephine, viene dal Camerun ed è rimasta due giorni in mare, attaccata ad un pezzo di legno, prima che i volontari della Ong spagnola Open Arms la recuperassero al largo della Libia. A raccontare la sua storia è Annalisa Camilli, una giornalista di ’Internazionale’ che si trova a bordo della nave e ha assistito al salvataggio. A soccorrere la donna è stato Javier Figuera, uno volontario spagnolo di 25 anni: «Quando le ho preso le spalle per girarla - dice - ho sperato con tutto il mio cuore che fosse ancora viva. Dopo avermi preso il braccio non smetteva di toccarmi, di aggrapparsi a me». A quel punto, prosegue Camilli, sono arrivati altri soccorritori e l’hanno trasportata sulla nave, dove ora si trova con sintomi di ipotermia. Accanto a lei gli uomini di Open Arms hanno trovato anche un’altra donna e un bambino di circa 5 anni, che però erano già morti. I loro corpi sono a bordo della nave della Ong. Secondo il medico di bordo - scrive ancora Camilli - «la donna era morta da diverse ore mentre il bimbo era deceduto da poco». Per la Ong quanto avvenuto è «un’omissione di soccorso» da parte della guardia costiera libica - dice il fondatore di Open Arms Oscar Camps - che non è in grado di gestire una situazione d’emergenza e ha abbandonato due donne e un bambino"


      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/17/foto/naufragio_libia_open_arms_mamma_bimbo-202013383/1/?ref=fbpr#1

    • “Abbiamo lasciato in mare solo due morti”. I libici raccontano l’ultimo naufragio – La Stampa

      Parla l’equipaggio della Guardia costiera di Tripoli intervenuto lunedì per soccorrere il barcone alla deriva e fotografato da Open Arms. Resta il mistero sul dramma di Josefa, l’unica sopravvissuta: “Non c’era, non avremmo abbandonato nessuno vivo in acqua”

      Lunedì 16 luglio all’ora di pranzo abbiamo ricevuto una chiamata dal mercantile spagnolo Triades che ci segnalava un’imbarcazione di migranti in difficoltà tra Khoms e Tripoli e ci siamo mossi per intervenire, ne abbiamo tirati a bordo 165, maschi e femmine, tutti. Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita di una donna e un bambino dopo aver provato invano a rianimarli: erano morti e portarli a terra non aveva alcun senso, ma oltre loro non c’era nessun altro in acqua». A raccontare la versione libica dell’ultimo scontro tra Roma, Tripoli e l’Ong Open Arms, quello che da due giorni si consuma intorno alle tragiche immagini del salvataggio della superstite Josefa, è Tofag Scare, colonnello della Guardia Costiera di Misurata che lavora in coordinamento con i colleghi della capitale.

      “L’Italia fa fare a noi il lavoro sporco solo perché non vuole accogliere gli africani”

      Mentre parla con «La Stampa» il suo comando operativo riceve un Sos dalla zona SaR al largo di Khoms, l’ennesimo, ci dice: «Nonostante il nostro equipaggiamento obsoleto, dal 2011 a oggi abbiamo salvato oltre 80 mila persone alla deriva nel Mediterraneo».

      Le ricostruzioni di quanto avvenuto nella notte tra lunedì e martedì coincidono fino a un certo punto, poi divergono lasciando aperte molte domande. Secondo la Open Arms le motovedette di Tripoli avrebbero distrutto il barcone dei migranti e abbandonato in mare quelli riluttanti a salire a bordo, di loro sarebbe sopravvissuta solo Josefa che, ancora sotto choc, dice alla giornalista di «Internazionale» di non ricordare il momento del naufragio ma di essere stata picchiata dai libici al pari dei suoi compagni di cui non sa più nulla. Tripoli, al contrario, afferma di non aver fatto altro che recuperare 165 disperati: la novità è che parla anche di due corpi in mare, cadaveri che, si apprende, «secondo la legge libica vanno identificati prima di essere sepolti o rimandati a casa e dunque in questi casi vengono lasciati al mare».

      “Contro di noi solo accuse infamanti: abbiamo salvato più di 80 mila persone”

      Il colonnello Scare telefona a più riprese ai colleghi in servizio il 16 luglio e raccoglie i tasselli del suo puzzle: «La motovedetta Ras al Jade è andata a soccorrere 165 persone in condizioni penose, affamate, bruciate dal sole, c’era un cattivo odore spaventoso. Dopo averci chiamato, il mercantile Triades è rimasto lì ad attenderci, ma nel frattempo non ha neppure dato da mangiare e da bere a quella gente, ha detto che non era il suo lavoro e che non poteva fare nulla».

      Scare fornisce il verbale della conversazione tra la Guardia Costiera e la Triades con la posizione dell’intervento fatto (37.74147°/ 13.84367°) che, grossomodo, coincide con quella indicata dalla Open Arms. Anche la motovedetta Ras al Jade pare essere la stessa (quella che già in passato aveva incrociato le spade con la Open Arms): possibile che quella notte ci sia stato più di un salvataggio? Che i cadaveri di cui si parla siano diversi? Le fotografie diffuse dalla Open Arms – che domani arriverà a Maiorca – mostrano chiaramente che i due corpi senza vita si trovano sullo stesso relitto su cui è rimasta a galla Josefa. E dai centri dove i migranti soccorsi vengono condotti non escono numeri sugli arrivi di martedì.

      La risposta dal banco degli imputati è decisa e va oltre la testimonianza della giornalista tedesca Nadja Kriewwald, che quella notte era a bordo con i libici e ha raccontato di non aver visto altro che i superstiti accolti sul ponte: «Non avremmo avuto alcuna ragione di abbandonare in acqua delle persone vive: anche se si fossero rifiutate di salire a bordo le avremmo tirare su a forza, lo abbiamo fatto con gli uomini e lo avremmo fatto facilmente con le donne. È una bugia, è propaganda contro di noi. Non c’era nessuno oltre i due morti che, per altro, al nostro arrivo erano già morti. Quello di cui ci accusano è privo di senso».

      Il fastidio che si respira a Misurata e a Tripoli è forte, ma non tanto per l’attacco della Open Arms quanto per la stanchezza di «gestire una grana altrui» e prendere colpi. Lo esprime un membro della Guardia Costiera che però chiede di non pubblicare il suo nome: «L’Italia ci fa fare il lavoro sporco perché non vuole gli africani, ma anche noi non siamo contenti di prenderli qui, le nostre città sono piene fino a scoppiare, i centri per loro non bastano più e sono diventati bombe a orologeria. Certe volte con le motovedette ci spingiamo fin dentro le acque internazionali, dove sarebbe illegale, e io dico che sbagliamo. Lo facciamo perché abbiamo un accordo e l’Italia ci ha promesso delle cose, ma se non arriva nulla ci stiamo solo caricando di problemi e di cattiva reputazione. Quando bruciamo i barconi degli scafisti lo facciamo per metterli fuori uso, non per sadismo. E comunque siete voi a chiederci di bloccare gli africani che vogliono venire in Europa, loro di certo non sognano la Libia».

      La notte di lunedì resta un capitolo aperto che ne ha aperti altri. Un terzo marinaio di Misurata racconta che il numero dei migranti è cresciuto talmente tanto negli ultimi mesi, in concomitanza con il rinnovato impegno di pattugliamento della Guardia Costiera, da aver modificato la situazione sul terreno: «Non c’è neppure più lavoro per loro. Noi li prendiamo in mare ma dopo nessuno li vuole. I siriani adesso hanno cominciato ad andare in aereo in Sudan, dove non hanno bisogno del visto, e poi con 1500 dollari si fanno portare a Tripoli e da qui ad Algeri per avere maggiori chance».

      https://www.nuovaresistenza.org/2018/07/abbiamo-lasciato-in-mare-solo-due-morti-i-libici-raccontano-lultimo

    • L’ammiraglio. Pettorino: prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la vita in mare

      Il comandante della Guardia Costiera: c’è un principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: quello di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare.

      C’è un «principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: quello di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare». A dirlo non è un esponente delle “magliette rosse”, ma l’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante della Guardia Costiera italiana. Davanti al ministro Danilo Toninelli e al presidente della Camera Roberto Fico l’ufficiale ha scandito il caposaldo di chi va per mare. Parole espresse per ribadire quale sia la spinta interiore che sentono i suoi uomini ogni volta che arriva un Sos.

      Nel tono e nel lessico di Pettorino non ci sono accenti polemici. Ma quelle affermazioni pesano. E quando il comandante le pronuncia, viene calorosamente interrotto dagli applausi prolungati delle centinaia di divise bianche che lo ascoltano in occasione della cerimonia con cui mercoledì è stata ricordata la fondazione, 153 anni fa, della Guardia costiera. Un atto di fierezza che avrebbe dovuto chiudersi lì. Ma un servitore dello Stato lo riconosci anche quando sa celebrare i signornò. E succede quando l’ammiraglio si sfila le lenti da lettura e con piglio da comandante ricorda un episodio lontano.

      Un fuori programma con cui l’ammiraglio decide di chiudere il saluto alle autorità civili. Che il numero uno della Guardia Costiera stia per dire qualcosa che lascerà il segno lo intuisce chiunque lo conosca. Una citazione inizialmente non contenuta nel testo originario.

      È la rievocazione del leggendario comandante siciliano Salvatore Todaro, che durante la Seconda guerra mondiale affondò una nave militare belga per poi salvarne l’equipaggio. Todaro, come ha ricordato Pettorino, venne «violentemente apostrofato» dall’ammiraglio alleato tedesco Karl Donitz, che irrise l’ufficiale italiano definendolo «don Chisciotte del mare» e minacciando gravi conseguenze per avere tratto in salvo i nemici, mettendo a rischio il suo stesso equipaggio. Il perché di quella disobbedienza lo spiega Pettorino, guardando negli occhi gli esponenti politici sulla tribuna e facendo propria la risposta di Todaro: «Noi siamo marinai, marinai italiani, abbiamo duemila anni di civiltà, e noi queste cose le facciamo».

      Poi l’eroe di guerra «si avviò al congedo restando per sempre nella leggenda e nei cuori di tutti i marinai». A tanti uomini della Guardia Costiera queste parole sono suonate come un incoraggiamento. «In questi ultimi anni, ad invarianza di risorse umane disponibili, il corpo delle capitanerie di porto aveva ricordato prima Pettorino – è stato chiamato a far fronte ad uno sforzo inedito, quello del soccorso prestato, in mare, a migliaia di persone in pericolo di perdersi, operando su un’area ampia oltre la metà della superficie del mar Mediterraneo».

      Un impegno gravoso, «che abbiamo assolto nella piena consapevolezza di ben onorare il giuramento prestato, da ciascuno di noi, di osservare la Costituzione e le leggi». Dimostrando, una volta di più, quali siano quella vocazione e quell’abnegazione che non si può barattare: «Uomini e donne che ogni giorno si impegnano per far sì che altri possano continuare a vivere».


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/pettorino-prestare-aiuto-a-chiunque-rischi-di-perdere-la-vita-in-mare

    • EU-Rettungsmission im Mittelmeer vorerst gestoppt

      Italien weigert sich, aus dem Mittelmeer gerettete Flüchtlinge aufzunehmen - auch nicht im Zuge der EU-Mission „Sophia“.
      Die EU ist ratlos, der Kommandeur hat nach SPIEGEL-Informationen alle Schiffe in den Hafen beordert.

      Die EU-Mission „Sophia“ zur Rettung von Flüchtlingen auf dem Mittelmeer wird vorerst eingestellt. Nach SPIEGEL-Informationen beorderte der Kommandeur der Mission, der italienische Admiral Enrico Credendino, jetzt alle beteiligten Kriegsschiffe zurück in die Häfen.

      Mit der Order ist die Mission faktisch gestoppt, vorerst jedenfalls. Betroffen ist auch ein deutsches Versorgungsschiff. Nach SPIEGEL-Informationen befand sich der Tender „Mosel“ bereits vor dem Befehl von Credendino routinehalber in einem Mittelmeerhafen. Dort sollen das Schiff und die deutschen Soldaten nun erstmal bleiben, heißt es in Berlin.

      Hintergrund für den spontanen Stopp der Mission ist die Weigerung Italiens, von den EU-Militärschiffen gerettete Menschen weiter aufzunehmen. Italien hatte seine Blockadehaltung diese Woche in einem Brief an die EU angekündigt. Kurzfristig anberaumte Beratungen der EU-Partner brachten zunächst keine Lösung.

      Die Operation „Sophia“ ist nach dem Baby einer geretteten Somalierin benannt, das auf einer deutschen Fregatte geboren wurde. Seit 2015 ist die Mission mit einer kleinen Flotte von Kriegsschiffen auf dem Mittelmeer aktiv. So sollen die dort agierenden Schleusernetzwerke aufgeklärt und an ihrem lukrativen Geschäft gehindert werden.

      Seit dem Beginn der Mission konnten die EU-Soldaten, derzeit auf sechs Kriegsschiffen aus Spanien, Italien, Frankreich, Irland, Kroatien und Deutschland unterwegs, 148 mutmaßliche Schleuser festnehmen und mehr als 200 der benutzten Schiffe und Boote zerstören. Die EU sieht die Mission deswegen als Erfolg an.

      Rom verbietet privaten Rettern gerettete Flüchtlinge nach Italien zu bringen

      Regelmäßig werden die EU-Soldaten auf den Schiffen auch zu Seenotrettern. Fast 50.000 Flüchtlinge hat die Mission gerettet, fast die Hälfte davon wurde von deutschen Soldaten aus meist seeuntüchtigen Schiffen und Barkassen auf dem Mittelmeer gezogen. Anschließend wurden die Menschen nach Italien gebracht.

      Genau gegen diesen Automatismus geht Italien jetzt vor, die neue Regierung in Rom fährt einen radikalen Kurs gegen Flüchtlinge und will nicht länger akzeptieren, dass Italien die Hauptlast der ankommenden Menschen trägt. Folglich verbietet Rom privaten Rettern schon länger, gerettete Flüchtlinge nach Italien zu bringen.

      Als Reaktion auf den Brief aus Rom trafen sich die mit der Sicherheitspolitik betrauten EU-Botschafter umgehend zu einer Krisensitzung - eine Einigung konnte nicht erzielt werden. Folglich beorderte der Kommandeur der Mission die Schiffe in die Häfen.

      Auch am Freitag setzten sich die Botschafter erneut zusammen. Dem Vernehmen nach wollte man Italien anbieten, einen Schlüssel zu erstellen, wie die von der EU-Mission geretteten Menschen in ganz Europa verteilt werden können. Bis zum späten Nachmittag war nicht bekannt, ob sich Rom auf den Kompromiss einlässt.

      Ähnliche Angebote der anderen EU-Nationen hatten zumindest die quälenden Odysseen privater Rettungsschiffe in den jüngsten Tagen beendet, die von Italien an der Einfahrt in seine Häfen gehindert worden waren. Auch Deutschland hatte sich zur Aufnahme von kleineren Kontingenten der Geretteten bereit erklärt.

      Kommissionschef Jean-Claude Juncker ließ am Freitag mitteilen, dass er kommende Woche Vorschläge machen will, um die Flüchtlingskrise in Italien zu lindern. Details wurden zunächst nicht bekannt.

      Denkbar ist, dass es um Vorschläge geht, Flüchtlinge, die in Italien an Land gehen, rasch auf Länder zu verteilen, die sich dazu bereit erklären. Zudem soll die Kooperation mit Drittstaaten außerhalb der EU Thema sein.

      In der Debatte der EU-Sicherheitsbotschafter am Mittwoch versuchten die anderen Mitgliedsländer Italien davon zu überzeugen, sich weiter an das gemeinsam beschlossene Mandat zu halten. Italien trüge damit die Hauptlast der Operation „Sophia“, das Mandat läuft noch bis Ende des Jahres.

      Über die künftige Ausgestaltung des Mandats sollte im September ohnehin diskutiert werden. Denkbar ist, dass dies nun vorgezogen wird.

      In einem Schreiben an Italiens Premier Conte betonte Juncker, dass die Mission „Sophia“ eine wesentliche Rolle im Rahmen der europäischen Sicherheits- und Verteidigungspolitik spiele. Conte hatte sich am Donnerstag für eine EU-Kriseneinheit zur Verteilung von aus Seenot geretteten Flüchtlingen ausgesprochen.

      Am Freitagabend endete in Brüssel das Krisentreffen der Botschafter zunächst ohne konkrete Lösung. Einigen konnte man sich nur, den sogenannten Operationsplan für die Mission „Sophia“ in wenigen Wochen neu zu fassen. Darin soll dann auf italienischen Wunsch auch festgelegt werden, wie bei der Mission gerettete Flüchtlinge künftig verteilt werden, nachdem sie an Land gebracht wurden. Diplomaten sagten, Italien habe dies durch seine Blockade-Ankündigung erzwungen. Um den Verteilungsschlüssel dürfte bald heftig gestritten werden.

      http://www.spiegel.de/politik/ausland/mittelmeer-kommandeur-stoppt-eu-rettungsoperation-sophia-a-1219476.html

    • Ora le ong schierano i droni per salvare sempre più migranti

      La mossa dell’Aquarius: «Non ci arrivano più informazioni sui naufragi in atto, dobbiamo aggiustare la nostra strategia». Ed essere sempre più autonome
      Le navi delle ong tornano in mare e questa volta schierano anche i droni, per continuare nella propria ricerca delle imbarcazioni di migranti e salvare sempre più persone.

      Ad annunciare la novità un volontario imbarcato sulla nave Aquarius, che già nelle scorse settimane era stata protagonista della prima grande offensiva politica di Matteo Salvini dopo l’insediamento come ministro dell’Interno. Al momento a Marsiglia, la nave di Sos Mediterranée si attrezza per fronteggiare le mutate condizioni del quadro politico internazionale: «Ci stiamo preparando a diversi scenari, sicuramente avremo più cibo e autonomia di navigazione, perché dovremo stare più a lungo in mare. E avremo anche un drone per la ricerca dei migranti da soccorrere», spiega all’Ansa uno dei volontari.

      Dalla nave denunciano che nel mar Mediterraneo «alle navi di soccorso non arrivano più informazioni sui soccorsi in atto e non sappiamo perché». Per questo la variegata flottiglia delle molte associazioni non governative impiegate in queste missioni umanitarie si sta attrezzando per estendere il raggio d’azione e adeguarsi alla nuova situazione che impone loro di essere sempre più autonome. Il volontario Alessandro Porro ha svelato anche che ci sarebbero stati alcuni incontri fra le diverse organizzazioni proprio per coordinare al meglio gli sforzi.

      «Nell’attuale situazione ci sono naufragi di cui non si sa niente - spiega- Attualmente la mortalità è aumentata al 10%, quindi su 100 migranti che partono, 10 muoiono nel viaggio nel tratto di mare che oggi è il più pericoloso al mondo. Siamo arrabbiati ma ci sosteniamo a vicenda e ognuno di noi fa proposte per migliorare le operazioni di soccorso».

      http://m.ilgiornale.it/news/2018/07/20/ora-le-ong-schierano-i-droni-per-salvare-sempre-piu-migranti/1555943
      #drones

    • Omissione di soccorso come prassi di deterrenza ?

      Dopo l’arrivo delle due imbarcazioni di Open Arms a Palma di Maiorca è stata depositata presso la locale procura una denuncia sui fatti verificati in occasione del ritrovamento in acque internazionali, avvenuto il 17 luglio a circa 80 miglia dalle coste di Homs, di una donna e di due cadaveri sopra il relitto di un gommone alla deriva. Nella conferenza stampa che si è svolta oggi a Palma di Maiorca,sono stati esposti i fatti, secondo la documentazione in possesso dellla Organizzazione consegnata all’autorità giudiziaria spagnola. Le imbarcazioni di Open Arms hanno dovuto fare rotta verso la Spagna per le dichiarazioni del ministro dell’interno che esponevano la superstite al rischio di pressioni dopo lo sbarco a Catania, porto indicato dallo stesso Salvini.

      Il ministro, che su questo naufragio, e sulle conseguenti responsabilità, aveva annunciato prove inconfutabili attraverso “una teste indipendente”, una giornalista della televisione tedesca RTL, piuttosto che rispondere sulla vicenda, esibendo la documentazione in suo possesso, rilancia adesso pesanti accuse sulle fonti di finanziamento della Open Arms e minaccia a sua volta altre denunce su chi ha soltanto rappresentato quanto accaduto. Per il ministro Toninelli l’Italia non sarebbe neppure in grado di documentare i movimenti delle motovedette libiche.

      Alla fine, ancora una volta, tutte le colpe vengono riversate sulla ONG Open Arms che per la Meloni sarebbe addirittura responsabile di tratta e di causata strage. Un rovesciamento completo della narrazione dei fatti che si vuole imporre agli italiani in preda alla paura per la insicurezza che subiscono, una insicurezza che ha cause e responsabili molto diversi da quelli indicati dai politici di governo. Che attaccando le ONG devono solo nascondere i propri fallimenti, sia sul piano interno, che in Europa e nei rapporti con i paesi terzi, a partire dalla clamorosa bocciatura da parte dei libici di tutti i piani proposti da Salvini e Moavero.

      Le versioni inzialmente fornite dalla sedicente Guardia costiera di Tripoli, e quindi dalla giornalista che si trovava a bordo della motovedetta libica, venivano rapidamente modificate, fino all’ammissione che davvero i libici avevano avvistato il gommone poi soccorso da Open Arms, e dopo avere presumibilmente recuperato i vivi, avevano lasciato a bordo del relitto due cadaveri, come sarebbe prassi, per loro stessa ammissione. Saranno le indagini ad accertare se le persone, poi rinvenute cadavere sulle tavole del relitto, siano state abbandonate ancora in vita a seguito di un rifiuto a salire sulla motovedetta. Episodi nei quali la Guardia costiera libica aveva allontanato o minacciato imbarcazioni delle ONG intervenute in soccorso in acque internazionali, spesso sotto il coordinamento iniziale della guardia costiera italiana, si sono ripetute da tempo.

      Viene confermata anche dai libici la presenza, a 80 miglia a nord di Homs, dunque nell’area nella quale poi gli spagnoli hanno trovato il relitto semiaffondato del gommone, con Josepha e due cadaveri, di una nave commerciale, la TRIADES, che dopo lo scambio di vari messaggi radio, si sarebbe allontanata, o sarebbe stata allontanata, dal luogo dell’evento SAR, proseguendo la sua rotta verso il porto di Misurata. Open Arms ha presentato la sua denuncia alla magistratura spagnola contro il comandante della Triades, contro il comandante della motovedetta libica che sarebbe intervenuta sul gommone poi ritrovato distrutto ed alla deriva, e contro eventuali ignoti che dovessero emergere dalle indagini come responsabili del coordinamento dei soccorsi.

      Quanto poi affermato da un esponente daila Guardia costiera di Misurata, negli ultimi comunicati, conferma buona parte della ricostruzione iniziale fornita da Open Arms, e subito smentita da Salvini. Sarà la magistratura spagnola ad accertare le responsabilità relative all’abbandono in mare di due cadaveri, ammesso che il bambino fosse già morto al momento dell’intervento della Guardia costiera libica, e dell’unica sopravvissuta, che quando potrà raccontare la sua versione dei fatti, sarà sentita dalla Procura di Palma di Maiorca. L’obbligio di accertare fatti tanto gravi, se l’abbandono in mare si collega anche ad un rifiuto di salire sulla motovedetta, incombe ai magistrati, chi ha sollevato il velo della censura su queste stragi non ha paura. Anche se altri avrebbero preferito il silenzio.

      Come riferisce la stampa,“Dal Viminale fanno trapelare che l’intenzione non è quella di stare a guardare. Secondo l’agenzia AGI – Roma, 21 lug. – “Non meritano risposta le Ong che insinuano, scappano, minacciano denunce ma non svelano con trasparenza finanziatori e attivita””. E” quanto fanno trapelare fonti del Viminale dopo le denunce di Open Arms a Libia e Italia per omicidio colposo. “La denuncia di Josefa? Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici – proseguono le stesse fonti -. Noi denunceremo chi, con bugie e falsita”, mette in dubbio l”immensa opera di salvataggio e accoglienza svolta dall”Italia”. (AGI)

      Rimane la certezza di una grave anomalia democratica in Italia. Da una parte si ritiene di potere diffamare e calunniare le ONG, ed anche chi li difende, senza dovere mai pagare il conto di accuse che non trovano ancora conferme certe da parte della magistratura, che ha pure archiviato indagini sulle quali si è giocata una ignobile speculazione mediatica. Sembrerebbe ormai scontata la violazione delle regole internazionali di soccorso, anche quando questo inizialmente è gestito dalla Guardia costiera italiana, come è avvenuto a giugno nel caso della nave Aquarius. Un caso che ha occupato per giorni le prime pagine di giornali. Ma tutto questo oggi non sembra interessare più nessuno. Si deve rimanere in silenzio anche su queste vicende ?

      A causa di questa campagna mediatica, già scatenata lo scorso anno, ed adesso rilanciata con toni ancora più minacciosi, si sono ritirate, o sono state bloccate, la maggior parte delle navi umanitarie. A Malta sono ancora sotto sequestro, per “effetto domino” rispetto alle scelte italiane,due navi delle ONG, la Sea Watch e la Lifeline Le accuse di costituire un fattore di attrazione (pull factor) si sono poi estese alle attività di ricerca e salvataggio (SAR) della Guardia costiera italiana, ed addirittura alle attività di contrasto dei trafficanti e dei terroristi della missione Eunavfor Med. Dal 28 giugno si è inventata una zona SAR libica nella quale le autorità italiane declinano la loro competenza ad intervenire, ritendola trasferita sulle autorità di Tripoli che dispongono di sole 4 motovedette d’altura, e di una dozzina di mezzi veloci inadatti a caricare naufraghi a bordo.

      Le sentenze dei tribunali siciliani hanno confermato che la Libia non offre porti sicuri di sbarco e il ruolo di coordinamento nella cosiddetta “SAR libica” affidato nei mesi scorsi alla Marina italiana. Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, dopo il 28 giugno, quando si è affidata soltanto ai libici una immensa zona SAR che evdentemente non sono in grado di gestire garantendo la salvaguardia della vita umana in mare ?

      Risultato di queste politiche di progressivo ritiro e delle prassi aggressive nei confronti di chiunque soccorre migranti in alto mare, sulla rotta del Mediterraneo centrale, un aumento delle vittime,oltre quattrocento nelle ultime settimane, e probabilmente di tante altre non se ne sa nulla. Come non si sarebbe saputo nulla di Josepha e delle due vittime con le quali era rimasta aggrappata ad una tavola in alto mare, se Open Arms non avesso continuato le sue missioni, pur restando in acque internazionali, ad una distanza assai elevata dalla costa libica, oltre 140 chilometri ( 80 miglia marine). Adesso si profila una guerra totale alle ONG, dopo avere portato a compimento la criminalizzazione della solidarietà. Sembra che la parola ONG sia tra quelle più “odiate” dagli italiani. Le campagne di stampa, agite in maniera scientifica sui social, hanno prodotto più effetti delle sentenze della magistratura. Adesso fa notizia che una ONG abbia denunciato una omissione di soccorso, senza essere invece inquisita per agevolazione di ingresso clandestino.

      Una cappa di silenzio è invece calata sulla vicenda dei 40 migranti bloccati da sei giorni a bordo di un rimorchiatore, il SAROST, fermo davanti alla città tunisina di Zarzis perchè nessuno vuole offrire un porto sicuro di sbarco. Nè la Tunisia, che pure risulta stato di bandiera, nè l’Italia o Malta, che in passato soccorrevano e indicavano un luogo di sbarco sicuro, generalmente in Italia, per le persone soccorse nella zona SAR maltese, la stessa nella quale sono stati soccorsi gli sfortunati naufraghi presi a bordo dal SAROST, rimorchiatore di servizio di una piattaforma petrolifera offshore.

      Il comandante della SAROST ha chiesto lo sbarco in Tunisia, ma nessuno gli ha risposto. Nessuno ha raccolto gli appelli delle ONG perchè si procedesse allo sbarco. Adesso in peroicolo ci sono vite di esseri umani, dopo che l’equipaggio della nave ha ceduto tutto quello che poteva per garantire la sopravvivevanza. Chiediamo che a questo punto almeno la Tunisia garantisca un porto di sbarco e soccorsi per i feriti. Chiediamo che la Croce Rossa, che ha comnciato a fornire qualche aiuto alla SAROST, si impegni attivamente per risolvere questo ennesimo caso, frutto delle politiche di abbandono attuate da parte di Malta e dell’Italia. E tanti altri simili ne verranno nei prossimi mesi, fino alla prossima strage, e poi ancora un’altra. No. Non è possibile alcuna assuefazione, che vorrebbero imporci. Sul rimorchiatore fermo davanti Zarzis, di fatto trasformato in prigione galleggiante, 40 persone rischiano ormai la vita per effetto dell’abbandono imposto da Italia e Malta, e per la mancata disponibilità da parte della Tunisia, ad accettare almeno uno sbarco provvisorio.

      A bordo della SAROST sono ancora in attesa di sbarco in un porto sicuro, che nessuno ha indicato, due donne incinta e un ferito, che sono in acqua da 10 giorni. Persone che lo scorso anno, in una occasione simile, sarebbero state già soccorse da una nave umanitaria, in assenza di mezzi statali, e sbarcati in Italia in un porto sicuro. Ma ormai è l’Italia che non offre più porti sicuri, a fronte delle dichiarazioni del ministro dell’interno e delle prassi imposte alla Guardia costiera, alla Marina, alle autorità di frontiera e richieste persino alla magistratura, come nel caso della richiesta di arresti per i “facinorosi” soccorsi dal rimorchiatore Vos Thalassa e poi sbarcati a Trapani da una nave militare.

      A chi governa è concesso ogni giorno spacciare notizie false, come l’esistenza a Tripoli, di un centro di accoglienza sicuro, o, dopo la visita di Salvini in Libia, come la possibilità di creare campi di raccolta in quel paese, o addirittura in Niger, che sarebbero considerati come ubicati in un “paese terzo sicuro”, dunque nel quale si potrebbero creare vere e proprie “piattaforme di sbarco”, per impedire ai migranti qualsiasi possibilità di fuga verso l’Europa. Ma l’Unione Europea ha già fatto conoscere la sua ferma opposizione a questo progetto dietro il quale si camuffano i respinginenti collettivi vietati dalle Connvezioni internazionali, come dovrebbe sapere il leghista Salvini dopo che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia sul caso Hirsi nel 2012 per i respingimenti collettivi ordinati tre anni prima dal suo predecessore al Viminale, il leghista Roberto Maroni. Le torture e le estorsioni nei centri di detenzione libici sono ormai provate ed ancora attuali, secondo le testimonianze raccolte allo sbarco.

      Si spaccia per contrasto dell’immigrazione, che si definisce “illegale” la pratica degli accordi con le milizie libiche, o con i sindaci delle città che ne sono espressione, apparentemente per rilanciare iniziative civili, di fatto per incentivare l’arresto e la detenzione del maggior numero di persone al fine di impedire la prosecuzione della loro fuga verso il Mediterraneo. Il numero degli immigrati presenti in questi mesi nei centri di detenzione libici è raddoppiato, lo conferma l’ONU. Si richiamano protocolli operativi e Trattati di amicizia stipulati con una Libia che oggi non esiste più’. Sullo sfondo altri accordi con le milizie. Tutto questo senza la minima base legale di un voto parlamentare.Sembra proprio la fine del diritto internazionale, piegato dalla politica della forza muscolare esibita sui social e del fatto compiuto.

      Quando invece giornalisti indipendenti o rappresentanti delle ONG raccontano fatti documentati e facilmente verifiicabili, quando gli avvocati esercitano in pieno il loro ruolo di difensori dei diritti umani, si scatenano le minacce e le ritorsioni, che collegano pezzi di istituzioni, servizi e gruppi delle destre identitarie europee, ben oltre quanto consentirebbero i ruoli istituzionali dei soggetti da cui provengono. Insinuazioni calunniose si rivolgono anche a chi difende gli operatori umanitari ed i migranti.

      Nessuno però riferisce della corruzione diffusa in Libia e della stretta commistione tra il traffico di esseri umani ed il contrabbando di petrolio che dalla Libia raggiunge Malta ed altri paesi europei. Quando i processi contro le ONG si arrestano, o le indagini vengono archiviate, solo uno spazio a fondo pagina, la sentenza di condanna gli italiani la hanno già emessa nei giorni della tempesta mediatica. La fine della presunzione di innocenza e del diritto ad un giusto processo.

      Sono tempi in cui una menzogna ripetuta cento volte sembra valere più della verità, lo sappiamo, e vediamo la marea nera di consenso che si sta aggregando attorno alle posizioni più estreme sul tema immigrazione, che giocano sulla vita delle persone per raccattare consensi elettorali o per aumentare il potere contrattuale con gli altri paesi europei. Si spaccia una emergenza che non esiste, la vera emergenza è l’attacco alla democrazia ed alle garanzie dello stato di diritto, che si gioca proprio sulle questioni del soccorso in mare e della protezione internazionale ( con il ricatto sul Regolamento Dublino). Evidente la saldatura nei fatti tra le estreme destre identitarie e nazionaliste europee e la poltica di Salvini, che aspira ad un asse con Orban in Ungheria e Kurtz in Austria. Due “alleati” sul piano ideologico, ma che in nome del loro nazionalismo hanno già respinto tutte le richieste avanzate dal governo italiano, a partire dai trasferimenti Dublino. Alla fine in Europa i diversi nazionalismi si scontreranno tra loro, ma dalle macerie ne usciremo tutti impoveriti e con una grave lesione dei principi democratici.

      Tutto questo preoccupa ma non spaventa, restiamo al nostro posto, testimoni di un tempo terribile in cui la vita delle persone vale meno della difesa di un confine sull’acqua, un confine che nell’ordine naturale non può esistere. Nell’immaginario collettivo però i confini si stanno moltiplicando proprio per effetto della politica, e non conta se chi si presenta come difensore dell’identità nazionale e del territorio italiano, ricorre poi alla menzogna ed all’odio per costruire altri muri, questa volta all’interno della nostra società. per alimentare un livello di conflittualità sempre più elevato, dal quale ricava evidenti vantaggi in vista delle prossime scadenze elettorali. Ma le ferite inferte oggi ai rapporti internazionali, alla coesione sociale, alla possibilità di convivenza pacifica con gli immigrati tutti, resteranno aperte per anni. E per costruire una finta sicurezza costruiranno sempre più muri, fino a quando saremo tutti reclusi.

      Non arretriamo.Saremo ancora attivi nella difesa degli operatori umanitari e di tutti coloro che saranno accusati di crimine per avere soccorso o prestato assistenza alle persone migranti. Perchè prima che di migranti si tratta di persone, che devono avere riconosciuti gli stessi diritti fondamentali che spettano a qualunque persona, a partire dal diritto alla vita. Perchè i loro diritti sono i nostri diritti.

      https://www.a-dif.org/2018/07/21/omissione-di-soccorso-come-prassi-di-deterrenza

    • Italian coastguards express unease as government closes ports to migrants

      The decision by Italy’s new populist government to close the country’s ports to migrants saved at sea is causing unease within the heart of the Italian coastguard, some staff say, who until recently played a key role in rescue missions.

      Over the last decade the coastguard has coordinated the rescue of hundreds of thousands of migrants off the coast of Libya, in many cases pulling them from the water themselves in treacherous conditions.

      But as of June, they have been ordered to transfer calls for help and reports of boats in distress to the Libyan capital Tripoli.

      Now — despite a culture of traditionally not criticising government policy — a handful of coastguard staff have spoken out.

      In an interview with Italian daily Il Sole 24 Ore last week, a coastguard admiral criticised the government and in particular far-right interior minister Matteo Salvini’s new hardline stance.

      Speaking on condition of anonymity, the admiral recalled that the Italian justice system had deemed Libya was not a “safe place” for rescued people to returned to.

      Many migrants trying to reach Europe are desperate not to go back to Libya as they potentially face abuse and rape in detention centres.

      The admiral also denounced the absence of an official decree or act regarding the decision to close the country’s ports to vessels carrying migrants.

      In recent weeks the policy has left the coastguard powerless as several ships with rescued migrants aboard spent days stranded in the Mediterranean unable to dock in Italy.

      On Wednesday, at an event marking the 153rd anniversary of the Italian Coastguard, admiral Giovanni Pettorino, coastguard commander, evoked the memory of Salvatore Todaro, a submariner who during WW2 took serious risks to rescue the survivors of a ship he had just sunk.

      “In times of war, these things are not done,” a German admiral is said to have told Todaro at the time.

      The coastguard commander concluded his speech given before Italy’s new political authorities, by recalling Todaro’s response: “We are Italian sailors. We have 2000 years of civility behind us and we do these things.”

      – ’Feeling of helplessness’ -

      Speaking anonymously to Catholic daily Avvenire and Radio Radicale, some coastguard officers said the priority to rescue those in danger was demonstrated earlier this month.

      On 13 July the coastguard was sent to keep watch on 450 migrants crammed into a fishing boat, but took part in a later rescue mission even though Rome had told them to let Malta take charge, the officers said.

      Recalling the decision to intervene, the officers spoke of their “feeling of helplessness” which had built up in the weeks prior, as migrants attempted the perilous sea crossing.

      The vast majority of Italy’s around 13,000 coastguard officers work along the country’s 8,000 km of coastline, but the institution says that more than 2,000 of them have had first-hand experience on vessels operating off Libya — where a large number of the migrant tragedies occur.

      “At the moment, the atmosphere among the coastguard corps is not the best,” says Sergio Scandura, a journalist with Radio Radicale.

      The month of June was the deadliest in the Mediterranean in recent years with the International Organisation for Migration (IOM) reporting some 564 deaths or disappearances, despite the fact that overall departures have dropped sharply since the summer of 2017.

      Salvini’s hardline immigration stance appears to, however, be very popular among Italians: according to about half a dozen separate polls, some two-thirds of citizens approve his decision to close ports to rescued migrants.

      His far-right League party — which governs the country as part of a coalition — has also experienced a boom in the polls: the League garnered 17 percent of the vote at the March general election, but opinion polls now suggest support of around 30 percent.

      The new policy has come under fire from the country’s opposition politicians, however, and some of Italy’s prominent Catholic figures have also spoken out.

      After two bodies were discovered in a deflated dinghy off Libya, along with one survivor suffering from shock and hypothermia on Tuesday, the Episcopal Conference of Italy released a statement denouncing a “tragedy which we cannot manage to get used to”.

      “We warn unequivocally that to save our humanity from vulgarity and barbarism, we must protect life. Every life. From the most exposed, humiliated and trampled,” the bishops wrote.

      http://www.digitaljournal.com/news/world/italian-coastguards-express-unease-as-government-closes-ports-to-migrants/article/527517

    • Quale futuro per le operazioni di soccorso in mare svolte dalle ONG ?

      1.Quanto successo nell’ultimo mese, a partire dal blocco dell’attracco della Aquarius in un porto italiano, e poi, a ridosso del Consiglio Europeo del 28 giugno con la istituzione, sulla carta, di una zona SAR libica, e quindi con il seguito di naufragi in acque internazionali, deve indurre ad una riflessione sulle operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) svolte dalle Organizzazioni non governative. Operazioni sempre di più spesso oggetto attacchi calunniosi e nel mirino di iniziative giudiziarie, in Italia ed a Malta. Anche se le prime inchieste contro alcune ONG sono state già archiviate.

      Giorno dopo giorno, abbiamo assistito ad una continua escalation del governo italiano contro le ONG, alle quali si è negata ogni possibilità di attracco e di sbarco, con Salvini che si è reso anche protagonista dei tentativi di inasprimento delle prassi adottate dalle missioni europee Frontex ed Eunavfor Med, giungendo a negare, anche dopo stragi gravissime, l’indicazione di un porto sicuro di sbarco a navi militari, persino americane, ed a mezzi della missione europea EUNAVFOR MED ( Sophia). Un tentativo che l’Unione Europea ha respinto, ribadendo gli impegni operativi ed i doveri di soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei, che nessun paese membro può violare unilateralmente.

      Analoga risposta negativa è giunta alla proposta di Salvini che intendeva lanciare un piano Marshall per la Libia, allo scopo evidente di rinforzare la cd. Guardia costiera “libica” e di finanziare grandi centri di trattenimento dei migranti in modo da impedire che questi potessero imbarcarsi verso l’Europa. Un progetto già avviato da anni da precedenti governi, al quale si voleva dare adesso maggiore concretezza con un ulteriore fornitura di motovedette al governo Serraj. Ma le promesse italiane si sono rivelate farlocche, le motovedette da regalare ai libici sono pochissime, e sembra che il loro arrivo a Tripoli sia previsto per il mese di ottobre. Sempre che ad ottobre a Tripoli ci sia ancora il governo Serraj. Tutta la politica italiana in questi ultimi due mesi ha nascosto come non si possa parlare più di un processo di riconciliazione in Libia, e dunque di una unica Libia, la vera fake-news che continua ad essere distribuita agli italiani per tranqullizzari sui “successi” conseguiti dai loro governanti.

      Adesso anche la sedicente “Guardia costiera libica” ammette di non avere i mezzi per garantire le attività di ricerca e soccorso in “alto mare”, fino a 85 miglia dalla costa, che sarebbero imposte dalle Convenzioni internazionali, e che si sarebbero dovute verificare prima di concedere l’inserimento della SAR Zone libica nei registri ufficiali dell’Organizzazione marittima della Nazioni Unite (IMO). Chi ha spinto per quella zona SAR libica che ancora oggi non esiste, porta sulla coscienza le centinaia di vittime che i ritardi degli interventi dei libici, e le modalità di ingaggio violento adottate dalle motovedette di Tripoli, hanno prodotto in questo ultimo mese. Una responsabilità che non sarà facile accertare nei tribunali, ma che peserà come una pietra sul destino politico dei protagonisti di queste scelte.

      Di fronte ad un fallimento di così vaste dimensioni, ed alle prime denunce che stanno arrivando, non solo in cartolina, i governanti italiani hanno scelto la linea del totale capovolgimento dei fatti e delle responsabilità, inasprendo i blocchi e lo sbarramento dei porti, ed imposto a Malta un analogo inasprimento, che si sta traducendo anche nel sequestro arbitrario a La Valletta di due navi delle ONG ( Lifeline e Seawatch). Salvini lo aveva promesso, e i maltesi hanno eseguito.

      Le ONG ritornano dunque nel mirino, in nome di un emergenza che non esiste e di una lotta contro ai trafficanti che nessuno però garantisce perchè in Libia non si riesce ad affermare una giurisdizione indipendente dalle milizie che controllano i diversi territori, e gestiscono direttamente rapporti con i trafficanti di persone ( e di petrolio). Dal momento che queste scelte politiche, alle quali corrispondono prassi operative prive di fondamento legale, come la “chiusura dei porti” imposta da Salvini e Toninelli, o gli ordini di “stand by“,già impartiti lo scorso anno, producono e produrranno ancora in futuro centinaia di morti. Perchè cambieranno soltanto le rotte, ma sempre i migranti saranno messi in mare dalla Libia verso l’Europa, occorre chiedersi che ruolo possono giocare ancora le ONG. Per tentare almeno di ridurre il numero delle vittime, e per continuare a denunciare i casi sempre più frequenti di omissione di soccorso in acque internazionali. In attesa che i tribunali internazionali o l’Unione Europea impongano agli stati il pieno rispetto delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti europei che privilegiano la salvaguardia della vita umana in mare ed il diritto di chiedere protezione, rispetto alla difesa dei confini marittimi.

      2.Occorre innanzitutto prendere atto che, come si è evidenziato in queste ultime settimane, sempre più spesso le decisioni amministrative o le direttive emanate dal governo potranno creare i presupposti per l’avvio di azioni penali da parte della magistratura nei confronti di quegli operatori umanitari e di quelle ONG che si atterranno al rispetto delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti europei, nello svolgimento di attività di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo Centrale.

      Si verificherà poi, in occasioni sempre più frequenti, che la manipolazione dei dati e la successiva diffusione di fake-news capovolga il senso della narrazione degli eventi di soccorso in mare, fino a fare assumere ai veri responsabili la veste di accusatori ed ai soccorritori la posizione di inquisiti, in modo da eliderne del tutto le possiblità di intervento, sia in mare che nel dibattito pubblico, minandone la credibilità.

      Per contrastare tutto questo e permettere la prosecuzione delle attività di ricerca e salvataggio delle ONG in acque internazionali occorre rafforzare i team legali di esperti che verifichino il rispetto delle regole di Diritto internazionale, e del diritto dei rifugiati, da parte di tutti gli attori chiamati ad intervenire, o che si trovano nelle posizioni più vicine alle aree nelle quali si verificano gli eventi SAR.

      Appare fondamentale in questa prospettiva denunciare la istituzione di una zona SAR libica da parte dell’IMO,su impulso ed avallo delle autorità italiane. Va denuinciata altresì la inefficacia delle attività di ricerca e salvataggio svolta da Malta nella vastissima zona SAR che per ragioni economiche il governo di La Valletta continua ad attribuirsi. Occorre dunque una forte iniziativa a livello di Nazioni Unite e quindi dell’IMO per stabilire con certezza vere zone SAR, individuando le autorità che effettivamente sono in grado di intervenire con effettive capacità di coordinamento e di raccordo con altre autorità SAR. La vita umana in mare non può essere data in appalto per ragioni elettorali o di convenienza politica. Gli accordi bilaterali tra stati in questo campo possono assumere rilievo solo nell’ambito di un riconoscimento internazionale effettivo della capacità di coordinamento dei soccorsi attraverso una Centrale operativa nazionale (MRCC).

      Al fine di garantire la massima trasparenza, contro il rischio di altre e più gravi ricostruzioni farlocche degli interventi SAR da parte dei ministri, e di altre autorità, occorre realizzare sistemi di trasmissione video in tempo reale, accessibili in rete, di tutte le attività di ricerca e soccorso che saranno svolte dalle navi delle ONG, utilizzando anche le rilevazioni radar, quelle satellitari, e la via del monitoraggio aereo con l’uso di droni, per documentare i casi di intervento della Guardia costiera “libica”, che libica non è più, ed eventuali casi di abbandono in mare. Si corre altrimenti il rischio concreto che alla prossima strage, se soltanto una nave delle ONG si trovi nelle vicinanze dell’evento di soccorso, tutte le responsabilità posano essere adossate sugli operatori umanitari. Una certa parte dell’opinione pubblica, ormai incline all’odio senza verificare i fatti, non aspetta altro.

      In un momento in cui le spinte nazionaliste dei governi sovranisti e populisti europei hanno messo tutti contro tutti, occorre negoziare accordi con i singoli stati, anche della sponda sud, come la Tunisia, per garantire possibilità di rifornimento alle singole navi delle ONG che saranno ancora impegnate in attività di ricerca e salvataggio sulla rotta del Mediterraneo Centrale. Vanno inoltre utilizzate le navi più grandi che le ONG saranno in grado di inviare in questa zona come stazione galleggiante di rifornimento e assistenza anche sanitaria, per i casi più urgenti. Ornai è evidente che l’Italia e Malta non garantiscono più “porti sicuri di sbarco” (POS), e le offerte più recenti di attracco altro non sono che un passaggio strumentale al sequestro delle imbarcazioni ed all’incriminazione degli equipaggi.

      Si è visto lo scorso anno come i provvedimenti amministrativi di controllo o di fermo tecnico siano finalizzati alla successiva adozione di inziative penali, con il caso della Juventa, attratta con un ordine della Guardia costiera per il trasbordo di tre migranti a Lampedusa, e poi sequestrata. Un processo ancora in corso, nel quale si dovrà chiarire anche il ruolo degli agenti di sicurezza infiltrati a bordo della nave Vos Hestia di Save The Children, poi finita pure nell’inchiesta. Si è ripetuto ancora quest’anno, in Italia, a Pozzallo, con il sequestro della Open Arms, ed a Malta con il sequestro illegale ( perchè in assenza di provvedimenti giudiziari che lo legittimassero) della nave Sea Watch e della Lifeline, bloccate da settimane per problemi burocratici. Tutti casi nei quali le scelte degli esecutivi e gli ordini di natura amministrativa delle autorità marittime hanno contribuito alla costruzione di una fattispecie penale. E quindi ad una gigantesca operazione mediatica che ha condannato le ONG e tutti i cittadini solidali prima ancora che i processi offrissero almeno qualche effettiva possibilità di difesa e di ribaltamento della narrazione tossica diffusa a reti unificate. Ma la Libia non offre “porti sicuri di sbarco”, dopo i giudici siciliani adesso lo dice anche l’Unione Europea.

      Quanto alla individuazione di porti sicuri di sbarco (POS), che sono garantiti dalle Convenzoni internazionali, prima di ciascuna missione le imbarcazioni delle ONG va garantita la possibilità di rientro in un paese ed in un porto nel quale le persone soccorse possano essere sbarcate in sicurezza, e nel quale gli operatori umanitari non rischino l’apertura di procedimenti penali o il sequestro della nave. Queste attività repressive che si riconducono generalmente al contrasto dell’immigrazione irregolare, come pure il ritardo immotivato nella indicazione di un porto sicuro di sbarco, si ripercuotono direttamente sulla salute psico-fisica dei naufraghi, e possono ridurre notevolmente la capacità operativa delle imbarcazioni delle ONG, mettemndo a rischio anche il diritto alla vita.

      3. Le attività di ricerca e salvataggio ancora svolte da Organizzazioni non governative non si possono collocare al di fuori di una cornice di coordinamento che va comunque garantita con le Autorità SAR nazionali competenti, come previsto dal diritto internazionale del mare. Non si può però continuare a ricorrere ad una negoziazione caso per caso, dopo o addirittura durante l’espletamento delle operazioni di soccorso.

      Retweeted Paolo Biondi (@PaoloBiondi82):

      Oggi Malta ha coordinato il salvataggio di 19 migranti in difficoltà all’interno della Regione di ricerca e soccorso maltese (DDR) circa 50 miglia a sud dell’isola. Rcc Malta è stata informata di questa barca da parte di Mrcc Roma e della guardia costiera libica quando era ancora nella SAR Libica.

      Malta coordinated the rescue of 19 migrants in distress within the Maltese Search and Rescue Region (SRR) some 50NM south of the island. RCC Malta was informed of this boat by MRCC Rome and the Libyan Coast Guard when it was still in Libya SRR

      Bisogna dunque attivare canali di comunicazioni costanti con quelle autorità SAR che possono garantire lo sbarco in un porto sicuro, che come prevedono le Convenzioni internazionali di diritto del mare, non è necessariamente il “porto più vicino”, come qualcuno ha ritenuto in Italia, ma è quel porto nel quale la persona sbarcata ( e potremmo aggiungere adesso, anche i soccorritori) abbiano la piena garanzia che i diritti fondamentali della persona siano rispettati. Occorre che le ONG si raccordino tra loro e stilino loro una “Carta dei soccorsi nel mare Mediterraneo”, sulla quale aggregare consenso in modo da garantire modalità di intervento generalmente condivise. Un documento con prasse operative concordate da verificare con la Guardia costiera italiana che ha una tradizione di soccorso in mare che non può essere smentita da atti di indirizzo politico.

      Ricordiamo bene come l’attacco alle ONG sia patrtito dalle destre identitarie europee e, subito dopo, da Frontex, all’inizio dello scorso anno. Ma il confronto ed il coordinamento sulle operazioni SAR nel Mediterraneo centrale non potrà prescindere dal tentativo di coinvolgimento dell’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX), oggi ridefinita come “Guardia costiera e di frontiera europea” ( in base al Regolamento UE 1624 del 2016) . Sarò anche importante verificare la disponibilità a partecipare ad attività SAR della missione EUNAVFOR MED ( Operazione Sophia), un obbligo ineludibile da garantire nel rigoroso rispetto del proprio mandato operativo, deciso nell’ambito della politica estera comune dell’Unione Europea (PESC). Non sarà un confronto facile, ma nessuno può pensare che ritirando le navi militari, limitandone le attività in operazioni SAR, o costringendo le ONG al ritiro totale, si possa garantire un miglior risultato delle politiche migratorie europee e nazionali, anche a costo di passare sopra le migliaia di morti e dispersi che queste politiche hanno fin qui prodotto.

      Il soccorso in mare è condizionato anche da quello che succede nei paesi della sponda sud del Mediterraneo. Senza una soluzione politica del conflitto in Libia e senza la garanzia di un qualsiasi stato di diritto che sia almeno in parte esente dalla corruzione diffusa che caratterizza quel paese, qualsiasi accordo con le milizie e con le forze che controllano le diverse Guardie costiere, rischia di tradursi ancora una volta con un ulteriore rafforzamento delle organizzazioni criminali. Le minacce, reiterate anche di recente, rivolte dalla Guardia costiera di Tripoli alle Organizzazioni non governative comprendono ormai il rischio di attacchi armati e di sequesto di persona.

      Le navi delle ONG ben dificilmente potranno avventurarsi a meno di 70 miglia (120 chilometri) dalla costa libica. La minaccia di sequestro da parte della Guardia costiera di Tripoli diventa ogni giorno più grave. Un motivo in più che dovrebbe spingere la comunità internazionale, o singoli paesi, questa volta davvero “volenterosi”, ad organizzare missioni internazionali di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. In acque internazionali che ormai, dopo la creazione di una zona SAR “libica”, sono rimaste nella esclusiva disponibilità di un gruppo di milizie che non garantisce il rispetto dei diritti e dei corpi delle persone, nè durante le azioni di soccorso, nè durante le successive fasi dello sbarco a terra e dell’internamento nei centri di detenzione. Adesso sono ache alcuni esponenti della Guardia costiera di Tripoli, di cui Salvini si fida tanto, che ammettono di non avere i mezzi necessari per salvaguardare la vita umana in mare.

      In questa direzione la società civile organizzata deve andare oltre l’impegno qui profuso, occorre davvero che “si imbarchi” con tutte le proprie capacità organizzative sulle navi delle ONG, che significa garantire un impegno continuo a livello più ampio. Non certo con la presenza fisica, ma con una attività ben documentata di diffusione delle notizie, di accertamento delle fake news, di iniziativa politica e di sostegno economico e legale, che permetta di difendere i valori del soccorso e della solidarietà contro tutti i tentativi di depistaggio e di diffusione di messaggi di odio, di negazione della dignità umana e di subordinazione del diritto alla vita alle esigenze della difesa delle frontiere, se non alla mera propaganda elettorale.

      https://www.a-dif.org/2018/07/22/quale-futuro-per-le-operazioni-di-soccorso-in-mare-svolte-dalle-ong

    • JOSEFA : «SONO ARRIVATI I LIBICI E CI HANNO PICCHIATO»

      Sicuri da morire. L’accusa dell’unica superstite al naufragio. Da Open Arms denuncia per omicidio colposo

      «Denunceremo chi, con bugie e falsità, mette in dubbio l’opera di salvataggio e accoglienza svolta dall’Italia»: il Viminale ieri ha attaccato ancora l’Ong catalana Proactiva open arms, arrivata ieri mattina a Palma di Maiorca con il cadavere della donna e del bambino ritrovati martedì con l’unica superstite, Josefa, aggrappata alle assi del fondo del gommone distrutto a 80 miglia dalla cosa libica, 90 da Lampedusa. La donna camerunese, ricoverata in forte stato di choc e con i postumi dell’ipotermia, dopo essere rimasta due giorni a galleggiare in acqua, ha raccontato: «Sono arrivati i libici, ci hanno picchiato e ci hanno lasciato in mare». Il Viminale insiste: «Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici. Se la Ong ha preferito rifiutare l’approdo per scappare altrove è un problema suo. I porti siciliani erano aperti». Alla Proactiva era stato offerto lo scalo di Catania ma il coordinatore della missione, Riccardo Gatti, aveva chiarito: «Rifiutiamo il porto di sbarco italiano dopo le dichiarazioni del governo (che aveva definito la denuncia dei volontari catalani una fake news ndr) e perché non crediamo che in Italia ci sia un porto sicuro». La scelta di Catania, poi, era risultata sospetta visto che la procura locale sta processando l’Ong tedesca Jugend Rettet per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

      I membri della Proactiva open arms, insieme al campione dell’Nba Marc Gasol, si sono recati ieri al tribunale di Palma per presentare una denuncia per omissione di soccorso e omicidio colposo contro il capitano della Triades, il mercantile che per primo ha individuato i migranti e avvertito Tripoli senza però soccorrerli. «Lo faremo anche contro il capitano del pattugliatore della Guardia costiera libica» che avrebbe volontariamente affondato il gommone mentre a bordo c’erano ancora due donne e un bambino ha spiegato Oscar Camps, fondatore dell’Ong catalana, confermando anche l’intenzione di presentare una denuncia contro la Guardie costiera italiana e Malta perché potrebbero aver commesso il reato di omissione del dovere di assistenza.

      Alla stampa Camps ha poi spiegato che l’Europa lascia alla Libia («un paese senza stato») le operazioni in mare nonostante i sospetti di connivenza della sua Guardia costiera con i trafficanti: «Siamo etichettati come criminali, l’Italia ci accusa di mentire, diffamare e insultare, vuole rimandare in Libia le persone che salviamo. Siamo gli unici testimoni e adesso nessun’altra Ong è attiva nell’area. Siamo stati testimoni della barbarie disumana che vive il Mediterraneo». L’ultima stoccata è per il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che da mesi ripete «le Ong vedranno i nostri porti in cartolina». Camps ne ha mandata una virtuale via twitter al leader leghista con la dedica «Un abbraccio da Maiorca. Oscar e Josefa». A Palma c’era anche il deputato di Leu, Erasmo Palazzotto, che ha partecipato alla missione: «Chiederò al governo italiano che renda pubblici i dati su ciò che è accaduto nel luogo in cui è stata trovata morta la madre con il bambino per vedere se c’è responsabilità del governo e della guardia costiera nell’omicidio».

      La Marina italiana ieri ha respinto ogni addebito: «Non siamo mai stati coinvolti nel soccorso. Dopo il ritrovamento, all’Ong è stata data piena disponibilità a trasferire la donna, ancora in vita, in Italia, per ricevere assistenza sanitaria, è stata data anche la possibilità di raggiungere direttamente il porto di Catania». Anche il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, difende l’operato del governo: «Open Arms sbaglia obiettivo. L’Italia è un esempio per umanità ed efficienza nei soccorsi».

      Nessuno però sa spiegare la presenza di una donna viva e due cadaveri tra i relitti del gommone distrutto. Non sa spiegarlo soprattutto la Libia, che martedì aveva negato di averli lasciati in mare, chiamando in causa una troupe di giornalisti tedeschi presenti durante le operazioni. Poi è stata costretta a precisare che i salvataggi lunedì sera erano stati due e quindi venerdì ha parzialmente ammesso di aver provato a rianimare i corpi senza vita ma di non saper spiegare la presenza di Josefa. Una spiegazione arriva però dall’Italia. Il fatto quotidiano, riportando notizie apprese dai nostri militari, spiega: «I migranti non vogliono essere riportati in Libia, per convincerli ad accettare il soccorso è ormai prassi che i libici inizino le operazioni per affondare la barca». È la spiegazione che aveva dato Camps martedì, bollata da Salvini come «fake news».

      https://ilmanifesto.it/josefa-sono-arrivati-i-libici-e-ci-hanno-picchiato

    • Open Arms, a una settimana dalla tragedia Salvini incalzato non dà spiegazioni e loda i libici

      Era il 17 luglio quando la ong spagnola Proactiva Open Arms annunciava di aver recuperato nel Mediterraneo tre corpi - un bambino e una donna morta e un’altra invece ancora in vita - accanto a un relitto abbandonato dalla Guardia Costiera libica dopo un’operazione di recupero di migranti. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva negato che i libici avessero abbandonato delle persone in mare, tantomeno affondando il barcone nel quale viaggiavano, e aveva promesso le prove a sostegno della sua tesi. Poco dopo, dal Viminale si segnalava la presenza di una giornalista tedesca a bordo delle motovedette dei libici che avrebbero compiuto il salvataggio oggetto della questione e che avrebbe documentato la correttezza del loro operato.

      Con il passare delle ore, però, è emerso da diverse testimonianze, compresa quella della stessa giornalista, come in realtà l’operazione che avrebbe portato all’abbandono dei corpi sarebbe stata differente da quella documentata dalla troupe televisiva. Come e perché Josefa (la donna superstite) e la madre e il bambino annegati siano finiti in mare rimane dunque una domanda senza risposta.

      A una settimana di distanza dai fatti, siamo tornati a chiedere a Salvini una spiegazione sulla vicenda, senza ottenere una risposta.

      https://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/open-arms-a-una-settimana-dalla-tragedia-salvini-incalzato-non-da-spiegazioni-e-loda-i-libici/311052/311687

    • Watch: 10 days at sea, the real story of the Aquarius

      For us, journalists, bearing witness is both an instinct and a responsibility.

      The Aquarius deployment came about because I wanted to see for myself how NGOs conducted search and rescue missions in the so-called “world’s deadliest migration route”.

      I had reported on the refugee crisis for years - from the Turkish-Syrian border, but also from Greece, Macedonia, Hungary, Germany, France... I had seen fear and desperation. But also solidarity and hope.

      I wanted to understand what this part of the story was all about. And what impact it had on the whole of the European Union.

      Little did I know I would be reporting on a story that would threaten to split Europe apart.

      10 days at sea: the real story of the Aquarius is about what happened aboard the humanitarian vessel while it found itself at the heart of one of the most serious storms Europe has ever faced.

      http://www.euronews.com/2018/07/16/10-days-at-sea-the-real-story-of-the-aquarius-exclusive

    • Stampa spagnola, Josepha vuole denunciare Libia e Italia

      La donna sopravvissuta e soccorsa da Open Arms, secondo Diario de Mallorca, pensa alle vie legali per l’omissione di soccorso.

      Josepha, la donna del Camerun salvata dalla Ong spagnola Proactiva Open Arms dopo aver trascorso due giorni in mare aggrappata a un pezzo di legno, denuncerà l’Italia per aver rifiutato di sbarcare i cadaveri dei migranti morti nel Mediterraneo nel porto di Catania. Lo scrive il quotidiano Diario de Mallorca. La donna per 48 ore è stata in balia delle onde a largo della Libia, aggrappata a un pezzo di legno. Insieme a lei c’erano i cadaveri di una donna e un bambino.

      Secondo il quotidiano il quotidiano spagnolo, dopo essere sbarcata a Palma - dove è arrivata, insieme ai volontari, da poche ore - denuncerà alle autorità spagnole la guardia costiera della Libia per aver speronato la barca a bordo della quale si trovava. Si rivolgerà alla giustizia spagnola per segnalare anche una presunta omissione dell’Italia. Josefa, che ha raccontato di essere scappata dal Camerun per fuggire dal marito che la picchiava perché non poteva avere figli, riceverà lo status di rifugiata.

      Anche i volontari di Open Arms hanno deciso di denunciare la guardia Costiera libica per omissione di soccorso e di avere intenzione di fare lo stesso con «qualsiasi altra persona che ha preso parte ai fatti con azioni o omissione». A tal proposito, hanno detto, anche la Guardia costiera italiana «avrà qualcosa da dichiarare riguardo ciò che è avvenuto a 80-90 miglia dalle sue coste».

      Dal Viminale rispondono: «Se la Ong spagnola ha preferitorifiutare l’approdo in Italia per scappare altrove, è un problema suo. I porti siciliani erano aperti anche per accogliere i cadaveri a bordo, e per questo alla Ong era stata esclusa l’opzione Lampedusa: l’isola è infatti sprovvista di celle frigorifere per i corpi».

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/21/stampa-spagnola-josepha-vuole-denunciare-libia-e-italia_a_23486787

    • « #Sarost_5 » : une situation dramatique selon les migrants relayés par une ONG

      L’épuisement, la fatigue, le découragement ne font que croître à bord du Sarost 5. Le navire commercial est toujours bloqué devant le port de #Zarzis en #Tunisie, après avoir été refusé par les autorités maltaises et tunisiennes. Cela fait maintenant une semaine que les 14 membres d’équipages et les 40 migrants attendent le débarquement, avec peu de vivres, dans une situation sanitaire de plus en plus compliquée. Aucun des pays proches n’a pour l’instant accepté que le bateau accoste et permette à ces ressortissants africains de débarquer. Pour alerter l’opinion sur leur situation, l’ONG Watch the Med a recueilli des témoignages à bord du Sarost 5.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180723-migrants-sarost-5-situation-dramatique-temoignages-relayes-ong-watch-th

    • Secondo il Viminale la versione di Open Arms è una “fake news”, ma ad oggi non ha fornito le prove

      Pochi giorni fa, a circa 80 miglia dalle coste libiche l’associazione non governativa Proactiva Open Arms ha trovato i resti di un’imbarcazione con due cadaveri e una donna ancora viva. L’ipotesi e poi l’accusa della ONG è che la «Guardia costiera libica», nel corso di un’operazione di salvataggio, abbia lasciato volutamente alcune persone in mare perché non volevano ritornare in Libia. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha definito questa ricostruzione una «fake news» e ha promesso che avrebbe fornito le prove della sua falsità. Al momento, però, queste prove non sono state ancora esibite.

      https://www.valigiablu.it/ong-salvini-fake-news

    • Rejetés par les pays européens, 40 migrants sont bloqués au large de la Tunisie

      Quarante migrants et l’équipage du Sarost 5 sont bloqués devant le port de Zarzis, en Tunisie. Le navire battant pavillon tunisien est arrivé sur place après avoir été refusé par l’Italie, la France et surtout Malte. C’est pourtant ce dernier pays qui est censé secourir ces rescapés, car leur embarcation était située en zone maltaise quand elle a été signalée. Deux femmes enceintes se trouvent à bord.

      www.rfi.fr/europe/20180721-sarost-5-zarzis-malte-italie-france-migrants-bloques-tunisie

    • La Tunisie s’apprête à accueillir les 40 migrants bloqués sur le Sarost 5

      Après deux semaines bloqué en mer, au large de Zarzis, le navire Sarost 5 devrait finalement avoir l’autorisation d’accoster en Tunisie. Le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed, a expliqué samedi devant le Parlement que le pays allait lui ouvrir ses ports pour des raisons humanitaires. Quarante migrants dont deux femmes enceintes se trouvent en effet sur le Sarost 5 que ni la France, ni l’Italie, ni Malte n’ont jusqu’ici accepté d’accueillir.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180730-tunisie-accueille-quarante-migrants-sarost-5-zarzis-youssef-chahed

    • WatchTheMed Alarm Phone : Press Release on the Sarost 5 Disembarkation Announcement

      July 29, 2018
      Watch the Med Alarm Phone has been in regular contact with crew members as well as rescued people of the Sarost 5 since the first distress call that took place in the Maltese SAR zone on Friday 13.07.18. The 40 rescued people have been at sea for more than two weeks. The rescued people and the crew of the supply vessel Sarost 5 have been stationed off the port of Zarzis since Monday 16.07.18 and have endured unbearable living conditions on board. We are relieved that the Tunisian government will let the people disembark for ‘humanitarian reasons’. However, we remain extremely concerned about the following points:

      The ordeal endured by the crew and passengers of the Sarost 5 is the direct result of EU migration policies, which externalize border controls and condone the closure of ports in Italy and Malta to NGO and private rescue vessels. The case of the Sarost 5 adds to other worrying developments in the Central Mediterranean, such as the increased collaboration between Italy and the Libyan Coast Guard and the failure to give authorizations to rescue vessels to disembark people, leaving them stranded at sea for days.
      The EU has announced its plans to establish regional disembarkation mechanisms in North Africa. The arrival of the Sarost 5 on Tunisian soil does not constitute a precedent for such disembarkation points. The Sarost 5 sails under Tunisian flag and no North African country has agreed to disembarkation points on their territory. We strongly oppose any steps towards such regional disembarkation points.
      The case of the Sarost 5 illustrates the erosion of SAR responsibilities in the central Med. Malta has not abided by its responsibilities to provide a port of safety to the 40 people who were first given supplies at sea by the Caroline III, under Maltese orders and in the Maltese SAR zone. This denial of responsibility not only breaks international maritime law, but also violates the principle of non-refoulment. The People on board the Sarost 5 have declared in video testimonies that they are in need of international protection. Furthermore, the lack of a legal framework to apply for international protection in Tunisia will deprive the people on board the Sarost 5 from their right to an effective remedy. The violation of basic rights of asylum seekers in Tunisia has been documented through the ongoing ordeal faced by the ex-Choucha camp refugees, who are still fighting for legal status and a dignified life in Tunisia. In fact, their struggle continues four years after the closure of the camp. In addition, the rights of LGBTQ people are severely restricted in Tunisia. For the reasons mentioned above, we strongly believe that ports in Tunisia should not be considered as ports of safety.

      Watch the Med Alarm Phone denounces the EU states’ failure to take responsibility and their stark negligence of international human rights, as well as the lack of a public statement from the UNHCR in favour of the people on board the Sarost 5. Watch The Med Alarm Phone will monitor the disembarkation closely and remain in contact with the people from the Sarost 5.

      In light of the Sarost 5 case, we immediately call for:

      – Full and unconditional respect for human rights and the international Maritime law;
      – Immediate disembarkations in ports of safety, which cannot be in Tunisia or Libya, given their non-compliance with international refugee and human rights law;
      – The abolition of the Dublin regulation so that the arrival of migrants can be shared among member states of the EU and that the pressure on southern EU states can be alleviated;
      – The re-opening of Italian and Maltese ports to NGOs and private vessels transporting people rescued at sea, as they are the closest safe ports to the rescue zone

      communiqué de presse reçu via la mailing-list de Migreurop

    • Le Sarost 5 toujours bloqué au large de la Tunisie : situation confuse dans les eaux tunisiennes

      Le week end dernier, de nombreuses informations contradictoires, concernant le sort des 40 migrants bloqués au large de la Tunisie depuis 15 jours, ont circulé. Alors que le navire humanitaire espagnol Open Arms n’était qu’à quelques km du Sarost 5, les autorités tunisiennes ont annoncé leur intention d’accueillir sur leur sol les 40 migrants. Cependant pour l’heure, la situation à bord n’a pas changé.

      Samedi 28 juillet, le Premier ministre tunisien Youssef Chahed a déclaré lors d’une séance plénière au Parlement que « pour des raisons humanitaires », la Tunisie allait finalement « accueillir les 40 migrants » bloqués au large du port tunisien de Zarzis depuis le 16 juillet.

      Lundi 30 juillet en milieu d’après-midi, le Sarost 5 était cependant toujours immobilisé en pleine mer. « Les autorités portuaires tunisiennes n’ont pas encore reçu l’autorisation de Tunis de laisser entrer le bateau », déclare à InfoMigrants Mongi Slim du Croissant rouge tunisien. « On sait que le gouvernement a accepté que notre navire accoste en Tunisie mais depuis cette annonce on est toujours bloqués ! On attend quoi », se plaignait déjà samedi soir à InfoMigrants un des membres d’équipage.

      Pour que le bateau puisse amarrer à Zarzis, il faut que le MRCC tunisien - le centre de contrôle maritime tunisien - donne son autorisation. On ignore encore pourquoi il n’a rien reçu malgré l’annonce du Premier ministre samedi.

      Open Arms au large des côtes tunisiennes

      Tout le week-end, la confusion a régné à bord du Sarost 5. À leur réveil samedi matin, les migrants aperçoivent au loin le navire humanitaire Open Arms qui est immobilisé à quelques milles nautiques de là. L’espoir renaît à bord du bateau. L’ONG espagnole a l’autorisation d’entrer dans les eaux tunisiennes pour offrir une assistance humanitaire et médicale aux membres du Sarost 5. Mais en milieu d’après-midi, Open Arms rebrousse chemin vers Malte pour évacuer d’urgence un de ses sauveteurs.

      Le lendemain, dimanche 29 juillet, le navire humanitaire reprend la route en direction des côtes tunisiennes et se positionne de nouveau à proximité du Sarost 5 – il repart finalement dans les eaux internationales lundi en début d’après-midi, les autorités tunisiennes ne l’autorisant pas à stationner dans leur zone maritime.

      Entre-temps, le gouvernement tunisien a fait part de son intention d’accueillir les 40 migrants. L’ONG espagnole assure que sa présence dans les eaux tunisiennes a permis de débloquer la situation. « Quand la Tunisie a vu qu’une organisation aussi médiatique que la nôtre était devant sa porte - et que nous voulions rencontrer les migrants à bord - ils ont eu peur qu’on montre publiquement que les migrants n’étaient pas bien traités », a déclaré à l’agence de presse espagnole EFE Oscar Camps, le président de l’ONG.

      À bord du Sarost 5, l’incertitude pèse sur les migrants déjà éprouvés moralement et physiquement par plus de deux semaines en mer. « Mon Dieu, quand est-ce que tout cela va s’arrêter. Le gouvernement donne officiellement son accord mais il ne se passe rien. Que nous veut la Tunisie encore ? », s’interroge lundi Samuel*, un migrant qui est en contact régulier avec InfoMigrants.

      La Tunisie, pas un « port sûr » selon les ONG

      Par ailleurs, les ONG s’inquiètent de l’arrivée éventuelle de ces migrants en Tunisie. « Ce pays ne remplit pas les critères pour être qualifiée de ‘port sûr’. Il n’y a pas de cadre légal pour y déposer une demande d’asile », dénonce à InfoMigrants Olivia Santer, porte-parole d’Alarm Phone. « La violation des droits fondamentaux des demandeurs d’asile en Tunisie a été documentée par ce que subissent les anciens migrants du camp de Choucha qui luttent toujours pour un statut légal (..). Quatre ans après la fermeture du camp, leur combat se poursuit toujours », déclare l’ONG dans un communiqué.

      Le Croissant rouge tunisien assure lui que tout est prêt pour gérer au mieux l’arrivée des 40 migrants du Sarost 5. Ces derniers doivent être accueillis par l’ONG au port de Zarzis et seront ensuite envoyés au foyer de Médenine (à l’ouest de Zarzis) où « ils pourront bénéficier de soins médicaux, de distribution de nourriture et de vêtements », selon Mongi Slim du Croissant rouge tunisien.

      Les demandeurs d’asile pourront, toujours selon le croissant rouge tunisien, déposer une demande auprès du Haut-commissariat des Nations-Unies pour les réfugiés (HCR). Sur ce sujet aussi, les informations demeurent floues. L’agence onusienne assure avoir déjà rencontré plusieurs migrants du Sarost 5 lors d’une mission sur le navire, mais les naufragés et l’équipage nient la visite du HCR à bord. « Nous avons demandé plusieurs fois que l’agence onusienne vienne nous voir mais ils ne sont jamais venus », assure Samuel.

      L’ONG Alarm Phone se dit outrée par le HCR qui « n’a pas su se positionner clairement en faveur des droits des rescapés ». « Cela renforce notre inquiétude pour l’avenir de ces 40 migrants », signale Olivia Santer. « Ils devraient être en Europe car ils ont été repérés dans les eaux maltaises. Mais une nouvelle fois, les autorités européennes n’ont pas pris leurs responsabilités et ont renvoyé le problème », souffle-t-elle.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/10974/le-sarost-5-toujours-bloque-au-large-de-la-tunisie-situation-confuse-d

    • Rejetés par les pays européens, 40 migrants sont bloqués au large de la Tunisie

      Quarante migrants et l’équipage du Sarost 5 sont bloqués devant le port de Zarzis, en Tunisie. Le navire battant pavillon tunisien est arrivé sur place après avoir été refusé par l’Italie, la France et surtout Malte. C’est pourtant ce dernier pays qui est censé secourir ces rescapés, car leur embarcation était située en zone maltaise quand elle a été signalée. Deux femmes enceintes se trouvent à bord.

      C’est le capitaine du Sarost 5, un navire d’approvisionnement battant pavillon tunisien, qui a appelé les autorités tunisiennes à « intervenir d’urgence » pour lui permettre d’accoster au large de Zarzis, dans le sud du pays.

      Ce navire commercial a secouru 40 migrants, dont huit femmes et notamment deux enceintes. Or, il patiente au large de ce port. Une attente qui « commence à être très longue, au détriment de notre travail », déplore le capitaine, Ali Hajji, interrogé par l’Agence France-Presse.

      « L’équipage du bateau est épuisé moralement et physiquement », explique-t-il à l’AFP. « Nous faisons notre maximum pour apporter notre aide aux migrants, dont certains sont malades, et nous risquons d’être contaminés. »

      Selon une source de l’AFP - un responsable de la garde maritime tunisienne s’exprimant sous couvert d’anonymat -, l’autorisation d’accoster à Zarzis « dépasse » ses équipes. « Nous attendons une décision politique », fait-il remarquer. Mais cette dernière tarde à venir de Tunis pour le moment.

      Les 40 migrants à bord du Sarost 5 n’en sont pas au début de leur calvaire. Ils seraient originaires d’Afrique subsaharienne et d’Egypte, et seraient partis de Libye à bord d’une embarcation pneumatique avant d’être perdus en mer cinq jours.

      Un problème symptomatique de la crise européenne

      Ces personnes ont finalement été repérées, à une date non précisée, par le navire Caroline III, envoyé par un centre de secours maltais. Problème : selon des ONG tunisiennes, quand ce bateau a appelé à l’aide les gardes-côtes d’Italie, de France et de Malte, ces derniers « ont refusé d’accueillir les rescapés ».

      Selon ces ONG, le prétexte des Européens, c’était que « les ports les plus proches étaient situés en Tunisie ». Les migrants ont donc finalement été pris en charge par le Sarost 5. Le Croissant-Rouge a pu les examiner à deux reprises.

      « Huit migrants ont la gale et les deux femmes enceintes risquent de perdre leur bébé », relate Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge à Médenine, une ONG qui continue d’envoyer médicaments et nourriture. « Nous avons demandé aux autorités tunisiennes d’hospitaliser au moins trois personnes », ajoute-t-il.

      La Tunisie fait partie des pays cités pour l’émergence de possibles centres d’accueil de migrants hors Europe souhaités par l’UE. Mais selon M. Slim, les passagers du Sarost 5 « refusent d’être accueillis par la Tunisie et veulent rejoindre l’Europe ».

      Watch The Med-Alarm Phone s’est fait une spécialité de repérer les bateaux à la dérive en Méditerranée, pour les guider vers d’éventuels sauveteurs. Et pour Olivia Santer, militante au sein de ce réseau, la situation du Sarost 5 est symptomatique de la crise de l’accueil européen. Ci-dessous, ses explications sur RFI.

      http://www.rfi.fr/europe/20180721-sarost-5-zarzis-malte-italie-france-migrants-bloques-tunisie

    • Sur la Sarost 5, voici le commentaire de @_kg_, qui m’a été envoyé par email, et qui répond à la question : si la Tunisie acceptait de prendre les migrants sur son territoire...

      - les personnes vont être logés au centre de logement du Croissant Rouge Tunisien (CRT) à Médenine
      – le Conseil Italien des Réfugiés va venir sur place pour categoriser entre « migrant.e.s » et « réfugiés » ; les réfugiés peuvent faire une demande d’asile en Tunisie et sont logés au centre d’UNHCR...t’imagines la situation d’un demandeur d’asile en Tunisie...réinstallation dans un pays tiers = environ 12 personnes/année...un très grand taux des demandeurs d’asile disparait, on ne les retrouve plus...
      – les « migrant.e.s » restent au centre CRT dont ils sont pris en charge au maximum deux mois (cf. Monghi Slim http://www.rfi.fr/afrique/20180730-tunisie-accueille-quarante-migrants-sarost-5-zarzis-youssef-chahed) ; l’OIM vient sur place pour leur proposer le « retour volontaire » dans leur pays d’origine comme seule solution... donc ces « migrant.e.s » sont maintenant bloqués en Tunisie, le nombre monte.
      – Il reste quel projet futur ? Dans la plupart des cas ils/elles quittent le centre de logement pour les grandes villes tunisiennes : travailler pour financer le prochain voyage vers l’Europe ou vers un autre pays...

    • 2018 sind schon mehr als 1500 Flüchtlinge im Mittelmeer ertrunken | NZZ.ch 2018-08-04

      https://www.nzz.ch/international/2018-schon-mehr-als-1500-fluechtlinge-auf-dem-mittelmeer-ertrunken-ld.1408860

      https://nzz-img.s3.amazonaws.com/2018/8/4/4e09c75c-b1d0-4211-bd3f-a77d296b1d19.jpeg

      Nach einer Mitteilung des Uno-Flüchtlingshilfswerks ist die Zahl der Todesfälle gestiegen, obwohl die Gesamtzahl der über das Mittelmeer nach Europa gekommenen Personen zuletzt deutlich zurückgegangen war.

      Mehr als 1500 Flüchtlinge sind nach Angaben der Uno in den ersten sieben Monaten dieses Jahres im Mittelmeer ertrunken. Mehr als die Hälfte von ihnen sei dabei im Juni und Juli ums Leben gekommen, teilte das Uno-Flüchtlingshilfswerk UNHCR am Freitag in Genf mit. Demnach stieg die Zahl der Todesfälle, obwohl die Gesamtzahl der über das Mittelmeer nach Europa gekommenen Personen zuletzt deutlich zurückgegangen war.

      Laut UNHCR gelangten seit Januar ungefähr 60 000 Flüchtlinge nach Europa. In den ersten sieben Monaten des Vorjahres waren es noch etwa doppelt so viele Personen. Spanien löste Italien mittlerweile als wichtigstes Ankunftsland ab. Dort kamen von Januar bis Juli rund 23 500 Menschen an – so viele wie im gesamten Jahr 2017. Italien verzeichnete im Betrachtungszeitraum dagegen rund 18 500 Ankünfte; in Griechenland waren es zirka 16 000 Personen.

      [...]

    • Ong, Open Arms in attesa di un porto in cui sbarcare 87 migranti: “Caldo rovente sul ponte”

      Dopo tre giorni l’ong spagnola attende ancora indicazioni: a bordo di Open Arms ci sono 87 migranti, tra cui 8 minori.

      Terzo giorno a bordo di Open Arms, la temperatura è rovente sul ponte. La paura di essere riportati in Libia si placa. Ci affidano le loro storie terribili, molte provenienti dall’inferno Darfur e dagli abusi ripetuti della Libia. Ancora nessun porto di destinazione". Lo fanno sapere i volontari con un tweet lanciato dalla nave della ong che il 2 agosto ha soccorso 87 migranti, fra cui 8 minori, che erano alla deriva su un gommone al largo della Libia.

      I profughi erano stati salvati dopo che il loro gommone si trovava da due giorni alla deriva in acque internazionali. Secondo il racconto del segeratario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni – che si trova a bordo della nave dell’ong per continuare la staffetta di solidarietà iniziata da Riccardo Magi, deputato di +Europa, e proseguita poi dal parlamentare di LeU Erasmo Palazzotto – i migranti sono in condizioni di salute precarie: alcuni di loro hanno sul corpo ustioni provocate dalla miscela di acqua di mare e gasolio.

      La prima segnalazione della presenza in mare del gommone era arrivata lunedì scorso dalla Guardia Costiera libica. Open Arms, una volta completato le operazioni, aveva informato l’Italia la Spagna e la Libia. In quello stesso giorno il ministro degli Interni Matteo Salvini aveva sottolineato l’assoluta chiusura dei porti italiani all’imbarcazione carica di migranti: «La nave spagnola Open Arms ha raccolto a bordo 90 immigrati nelle acque libiche. Visto che venti giorni fa aveva dichiarato che i porti italiani non sono sicuri perché c’è Salvini, sono certo che porteranno questi immigrati ovunque, tranne che in Italia. Buon viaggio», aveva scritto in un tweet il vicepremier leghista.

      https://www.fanpage.it/ong-open-arms-in-attesa-di-un-porto-in-cui-sbarcare-87-migranti-caldo-rovent

    • Aquarius, diario di bordo – giorno 2: “In caso di avvistamento non chiederemo autorizzazione, come prevede la legge”

      Prosegue il nostro viaggio a bordo della nave Aquarius. Il terzo giorno di navigazione è quello della preparazione al soccorso in mare. L’arrivo in zona Sar è previsto per stanotte. “A quel punto cominceranno le guardie notturne. A turno si resterà di vedetta per un’ora e mezzo a testa”. E, in caso di avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà, di un naufragio, di persone in mare, “non chiederemo autorizzazione a nessuno per intervenire. Semplicemente lo farà, come richiede la legge”

      Sono le quattro del pomeriggio quando il wi-fi di bordo finalmente si risveglia – almeno per un po’ – e il Gps certifica: da un lato Tripoli, dall’altro Marsala. Il mare sembra avere un altro volto. Il blu è diverso. La stessa consistenza dell’acqua sembra essere cambiata. “Sul colore hai ragione”, dice serio Eduard, logista di Medici senza frontiere. “Il resto è una tua percezione”. Lui è un marinaio. Ha vissuto e lavorato per qualche anno sui pescherecci nella Manica, racconta. “Se hai lavorato in mare in quella zona, vieni considerato affidabile in questo lavoro”, mi spiega. Il suo sguardo a volte molto serio è ora, di fronte a una neofita del mare, comprensivo. “Il tempo, in quest’area, può cambiare da un momento all’altro. Ma non c’è il problema delle correnti. Nella Manica sì”. E giù a spiegare il funzionamento dei nodi, delle navi, del vento, delle correnti, della pesca. I gradi di classificazione di maltempo e tempeste, come reagiscono le imbarcazioni a seconda della loro grandezza. Cosa cambia a seconda del verso in cui dondolano. “Questa è una nave molto stabile”, mi assicura. “Certo che ho avuto paura, e spesso, quando lavoravo nella Manica e il mare era brutto. La paura è sana. Insieme alla rabbia, in quelle occasioni ti fa reagire e ti dà energia”.

      Nella notte la nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva ha soccorso 87 persone, di cui otto minori. Erano alla deriva da due giorni. Se ne parla nel corso della riunione mattutina su nave Aquarius. “In un’ideale staffetta umanitaria, Open Arms vorrebbe forse guadagnare un po’ di tempo ora e attendere il più possibile il nostro arrivo. Altrimenti non resterebbe nessuno a salvare vite”. L’arrivo di Aquarius in zona Sar è previsto per stanotte, al più tardi domani mattina. “A quel punto cominceranno le guardie notturne”, spiega Tanguy, bretone dall’espressione paciosa: uno sguardo che diventa incredibilmente serio quando vuole assicurarsi che tutti abbiano ascoltato e compreso chiaramente. È il “deputy Sar co”, ovvero chi coordina il momento del soccorso in mare e le lance che si avvicineranno a un’eventuale imbarcazione in difficoltà. Nick, invece, è il Search and rescue coordinator: coordina l’operazione dal ponte.

      Il terzo giorno di navigazione è quello della preparazione al momento che dà il senso alla missione: quello del soccorso in mare. Protagonista la squadra Sar di SOS Mediterranée: Nick, Tanguy, Basile, Baptiste, Dragos, Alessandro, Viviana, Hassad, Marc, Jeremie e Theo. Anche il fotografo dell’organizzazione, Guglielmo – 28enne palermitano – è parte attiva: in caso di necessità dovrà lasciare la macchina fotografica e dare una mano mentre è a bordo di uno dei gommoni dell’operazione. Da poppa a prua, il team passa la mattinata a spostare, montare, gonfiare, disporre, verificare. Per poi, dopo pranzo, animare un incontro di “teoria SAR” in cui Tanguy spiega, lavagna, pennarello e modellini di barchetta alla mano, la posizione delle lance in mare: come si muoveranno, chi sarà dove e chi farà cosa.

      Da stanotte “a turno si resterà di vedetta per un’ora e mezzo a testa”. E, in caso di avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà, di un naufragio, di persone in mare, “Aquarius non chiederà autorizzazione a nessuno per intervenire. Semplicemente lo farà, come richiede la legge”. Quella dell’autorizzazione al IMRCC (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo) di Roma “era una consuetudine non scritta, non un obbligo”, spiegano. Assicurava coordinamento e regolare svolgimento delle operazioni finché tutti gli attori coinvolti parlavano la stessa lingua. Una consuetudine valsa fino a prima della vicenda che a giugno ha portato la nave Aquarius a Valencia. Ora che “il contesto del Mediterraneo Centrale” è cambiato così tanto, “faremo direttamente quello che richiede la legge: fornire immediata assistenza a chi è in pericolo di vita in mare”.

      Il “drill”, il segnale, scatta nel primo pomeriggio: tutti – le equipe di SOS e di MSF e i giornalisti a bordo – indossano casco, giacchetto di salvataggio, pantaloni lunghi, magliette possibilmente con le maniche lunghe: “Durante un soccorso potrebbe capitare di restare in mare, sotto al sole, per ore”, spiega Tanguy. La simulazione vera e propria, con tanto di lance a mare e di persone a bordo nelle rispettive postazioni per assicurare efficienza e sicurezza (“Quella del giornalista sul gommone è una posizione fissa. Non ti devi muovere”, spiega serio il bretone guardandoti dritto negli occhi) è prevista per oggi. Ragioni di sicurezza: ieri Aquarius si trovava su una traiettoria molto trafficata. Mentre il primo giorno di navigazione aveva incrociato solo giovani delfini che giocavano in mare, e qualcuno aveva anche avvistato una balena, ieri, attraversando il Canale di Sicilia, erano tante le navi intorno.

      È poi la volta del team di Medici Senza Frontiere, con un meeting obbligatorio per tutte le persone a bordo: quello sul primo soccorso. David, il medico, spiega insieme alle due infermiere Catherine e Aoife e a una delle ostetriche, Nina, le principali tecniche di rianimazione su adulti e bambini. “Sai come capisci qual è il ritmo giusto per le pressioni del massaggio cardiaco? Cantando ‘Stayin’ Alive’”, dice David, mentre ne dà dimostrazione pratica con apposito manichino. Il trucco per ricordare sembra efficace: provano tutti, vogliono tutti sapere. Perché non si sa mai nella vita, e perché hanno scelto di essere su questa nave.

      Il sole tramonta questa volta quasi alle spalle di Aquarius: la traiettoria sta cambiando, si vira a est. E, guardando il mare, cominciano i racconti. Di soccorsi e naufragi, nel tentare di immaginare cosa voglia dire rimanere stipati su una barca di legno o su un gommone – o direttamente in acqua, naufragati – in solitudine e circondati da nient’altro che il mare nero della notte. “Quando ero su Vos Prudence (la nave SAR MSF che ha operato fino a un annetto fa, ndr), la notte ci capitava di vedere quelli che chiamavamo gli ‘angeli del mare’: pesciolini che saltano e seguono la luce delle barche”, racconta Ben. È uno dei due mediatori culturali e sarà a bordo di una lancia in caso di soccorso: è suo, e solo suo, il primissimo contatto con i migranti, suo il messaggio per spiegare che si tratta di un salvataggio e cosa accadrà alle persone soccorse in mare. “E i delfini spesso vengono accanto alla barca a sfregarsi il muso per pulirsi. Chissà se li vedremo”

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/04/aquarius-diario-di-bordo-giorno-2-in-caso-di-avvistamento-non-chiederemo-autorizzazione-come-prevede-la-legge/4537889

    • OpenArms: terzo giorno con 87 migranti a bordo, nessun porto aperto

      «Terzo giorno a bordo di OpenArms, la temperatura è rovente sul ponte. La paura di essere riportati in Libia si placa. Ci affidano le loro storie terribili, molte provenienti dall’inferno Darfur e dagli abusi ripetuti della Libia. Ancora nessun porto di destinazione». E’ il tweet lanciato dalla nave della Ong che il 2 agosto ha soccorso 87 migranti, fra cui 8 minori, che erano alla deriva su un gommone al largo della Libia.


      http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/openarms-terzo-giorno-con-87-migranti-a-bordo-nessun-porto-aperto_3

    • L’inchiesta “madre” Ong-scafisti verso l’archiviazione

      È trascorso circa un anno – era il 13 agosto 2017 – da quando il Fatto pubblicò la notizia che la procura di Catania indagava, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo. Un anno dopo, per quanto risulta al Fatto, quel fascicolo sembra destinato inesorabilmente all’archiviazione. E per molti motivi.

      Il più importante: non è stato trovato alcun riscontro alle accuse. O meglio: nel fascicolo non è potuto confluire nulla, di quel po’ che è stato riscontrato, che sia possibile sostenere in un processo. La vicenda – che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare – è più complessa di quanto possa sembrare. Innanzitutto, le lancette dell’orologio, vanno portate indietro di un anno: l’inchiesta inizia infatti nel 2016.

      È la Marina Militare a sospettare per prima dei collegamenti tra Ong e scafisti nelle operazioni di sbarco e salvataggio. Nessuna informativa ufficiale. Ma notizie che giungono comunque alla procura di Catania e spingono il procuratore Carmelo Zuccaro a delegare delle indagini amplissime: verificare le possibili condotte associative per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

      Contestualmente – questo è però un percorso parallelo, che nulla ha a che fare con l’inchiesta, ma paradossalmente ne influenza parecchio l’esito – le nostre agenzie di intelligence, attraverso i satelliti militari, captano conversazioni tra scafisti e volontari delle Ong, dimostrando l’esistenza di alcuni contatti che non certificano però alcun reato. Operazione benedetta dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che ha già avviato la sua strategia per sgomberare il Mediterraneo dalle Ong. E infatti: le Ong finiscono nella bufera. Dal punto di vista giudiziario, nei fatti, oggi però resta in piedi una sola inchiesta: quella di Trapani, che non contesta l’associazione per delinquere, ma comportamenti di singoli volontari specificando che le eventuali violazioni del codice penale erano motivate esclusivamente da fini umanitari.

      Ma torniamo alla primavera del 2017. Non è un caso che, ad aprile il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto Operazioni del Comando generale della GdF, dinanzi alla Commissione Difesa del Senato affermi: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti fra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”. Non è un caso perché sia lo Sco della Polizia sia gli investigatori della Gdf, già da un anno stanno indagando, proprio su delega della procura di Catania.

      Nelle audizioni Zuccaro si mostra più ottimista, rispetto l’esito dell’inchiesta, spingendosi a dichiarare, alla trasmissione Agorà, che “alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti e so di contatti”. I contatti, effettivamente, sono stati riscontrati. Ma è lo stesso Zuccaro a rendersi conto della difficoltà della situazione quando, circa un mese dopo, precisa: “Non siamo più in grado di svolgere indagini di ampio respiro volte a contrastare il traffico di migranti clandestini”. Sarebbe necessario, spiega il procuratore, poter “fare indagini in acque libiche” e utilizzare “intercettazioni delle comunicazioni satellitari”.

      Il punto, infatti, è che gli investigatori stanno utilizzando metodi di indagine “sperimentali” che non pare possibile produrre in giudizio: le intercettazioni via etere – avvenute con strumenti utilizzati in ambito militare – necessitano di essere ulteriormente “blindate” per poter certificare senza ombra di dubbio l’identità degli interlocutori. Se non bastasse, sono state realizzate in acque libiche.

      Difficile considerarle valide sotto il profilo probatorio: per quanto risulta al Fatto di questi (pochi) riscontri nel fascicolo non v’è traccia. La campagna del governo sulle Ong, il codice di condotta richiesto da Minniti, l’ulteriore indagine di Trapani e le polemiche di quei mesi, infine, ottengono l’effetto politico desiderato: gran parte delle Ong in quei mesi lascia il Mediterraneo a ridosso della Libia. Risultato: per la procura di Catania c’è poco da intercettare. Resta qualche indizio. Prove, zero.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/linchiesta-madre-ong-scafisti-verso-larchiviazione

    • Soccorsi in mare. Un anno dopo cadute le accuse di legami tra Ong e scafisti

      Erano quattro le inchieste a carico delle Ong che salvano migranti. Tutte accusate di essere in combutta con gli scafisti. Ma di indagini ne sopravvivono due: una (Catania) si avvia all’archiviazione; l’altra (Trapani) ha derubricato l’associazione per delinquere all’ipotesi di irregolarità allo scopo di ’commettere’ salvataggi.

      Le procure di Palermo e Ragusa, invece, hanno già archiviato, concludendo che non ci sono stati reati.

      CATANIA Il procuratore Carmelo Zuccaro ipotizzava a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Secondo diverse fonti, sarebbe vicina

      RAGUSA A Ragusa il Tribunale del Riesame ha stabilito che la ’disobbedienza’ delle organizzazioni non governative che scelgono di non cooperare con le autorità libiche è motivata dallo «stato di necessità» connaturato al soccorso dei naufraghi.

      TRAPANI Nell’inchiesta sono stati adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Lo scopo? Dimostrare un presunto patto tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Per proteggere gli equipaggi, sarebbe stato reclutato personale vicino a movimenti identitari.

      PALERMO Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

      Quasi due anni di indagini (la cui esistenza è stata ufficializzata alla vigilia dell’estate scorsa) e un dispiegamento di forze e risorse senza precedenti – con agenti infiltrati, intercettazioni satellitari, elaborazioni di tracciati radar, informative richieste ai servizi segreti – ad oggi hanno prodotto un unico risultato: l’allontanamento dal Mediterraneo della gran parte delle organizzazioni non governative e l’aumento dei naufragi in rapporto al numero di migranti messi in acqua dai trafficanti.

      Le Ong respinte e quelle bloccate a terra (due le navi sequestrate, di cui una ancora bloccata nel porto di Trapani) non sono state rimpiazzate da dispositivi degli Stati Ue, mentre la comunità internazionale non è stata in grado di stabilizzare la Libia né di fermare i trafficanti di uomini e chiudere i loro lager.

      Due procedimenti sono già stati definitivamente mandati in archivio. A Ragusa il Tribunale del riesame ha stabilito che la ’disobbedienza’ delle organizzazioni non governative che scelgono di non cooperare con le autorità libiche è motivata dallo «stato di necessità» connaturato al soccorso dei naufraghi. Un’ordinanza contro cui la procura non ha avanzato ricorso in Cassazione, di fatto diventando giurisprudenza a cui possono appigliarsi tutti gli operatori che agiscono nel Canale di Sicilia.
      Sempre a Ragusa era stata inizialmente sequestrata (per ordine della procura di Catania, poi spogliata dalla competenza territoriale restituita ai magistrati ragusani) la nave di Proactiva Open Arms. Ma il giudice per le indagini preliminari ne aveva disposto la riconsegna all’equipaggio dell’organizzazione iberica.

      Anche Trapani si avvierebbe a chiudere definitivamente nel cassetto l’inchiesta. Nel porto rimane sotto sequestro la nave dell’organizzazione tedesca Jugend Rettet. Il pool di magistrati aveva tra l’altro inviato un avviso di garanzia al sacerdote eritreo don Mosé Zerai che con la sua agenzia umanitaria

      Habeshia

      raccoglie da anni gli Sos dei migranti e li trasmette alle forze dell’ordine. Un comportamento che a qualche poliziotto era sembrato ’sospetto’.
      Nell’inchiesta vennero anche adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Agli atti ci sono anche le dichiarazioni di alcuni addetti alla sicurezza arruolati da una delle navi umanitarie. Secondo questi ultimi, pur in mancanza di concreti riscontri, doveva esservi una qualche losca intesa tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Qualche tempo dopo si scoprirà che, prima di venire assunti per proteggere gli equipaggi, i bodyguard avevano avuto a che fare con i movimenti identitari protagonisti della campagna internazionale scatenata contro le organizzazioni umanitarie anche a colpi di false notizie.

      A Palermo, dove erano aperti due fascicoli d’indagine, a lungo hanno investigato i magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Non proprio dei tirocinanti. Ma anche qui non è stata rinvenuta alcuna prova di connivenze tra l’Ong Sea Watch e i trafficanti libici.
      Le inchieste, condotte dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri, avevano ad oggetto un procedimento avviato a maggio del 2017 dopo lo sbarco, a Lampedusa, di 220 migranti; l’altro aperto dopo una segnalazione della Guardia di Finanza che ipotizzava delle «incongruenze» nel comportamento della Sea Watch in occasione di un soccorso portato ad aprile del 2017. Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

      L’esercito di detrattori da tastiera, da mesi fa circolare la leggenda secondo cui i magistrati che archiviano sono, nel migliore dei casi, inquirenti dal cuore tenero oppure, secondo alcune delle bufale più in voga, eterodiretti da una qualche corrente. Il caso di Palermo, però, smentisce platealmente. I pm che hanno indagato e poi chiesto l’archiviazione, sono gli stessi che hanno fatto arrestare il presunto superboss eritreo del traffico di uomini, Mered Medhanie Yedhego. Il ragazzo in carcere si professa innocente e sia le inchieste giornalistiche, come quella che da due anni conduce il Guardian, sia le analisi difensive che l’esame del Dna confermano che si tratterebbe di un clamoroso scambio di persona. Nonostante questo i magistrati inquirenti – autori dell’archiviazione per le Ong – vanno avanti. Segno che non si tratta di giudici che rispondono a inesistenti diktat umanitari.

      Le archiviazioni contrastano e mettono allo scoperto le contraddizioni dell’indagine monstre avviata a Catania dal procuratore Carmelo Zuccaro. La procura etnea, che secondo diverse fonti potrebbe chiedere a giorni l’archiviazione dell’indagine perché gli elementi raccolti non sopravviverebbero all’esame di un tribunale, ipotizzava in particolare a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. In mancanza di prove incontrovertibili, Zuccaro non ha mai mancato di fare conoscere la sua opinione sull’operato delle organizzazioni non governative. «Fanno parte di un sistema profondamente sbagliato – ha sostenuto –, che affida la porta d’accesso all’Europa a trafficanti che sono criminali senza scrupolo. Questo è l’aspetto sbagliato delle cose che non risponde né a senso di umanità né di solidarietà». Opinione rispettabile e che nell’attuale governo certo trova consensi. Ma giudiziariamente irrilevante.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/un-anno-dopo-svanisce-il-patto-trafficantiong

    • 34’000 signatures pour que la Suisse donne son pavillon à l’Aquarius

      L’initiateur de la pétition pour que la Suisse accorde son pavillon à l’Aquarius, #Nicolas_Morel, revendique aujourd’hui 34’000 signatures. Il attend une réponse du Conseil fédéral pour fin novembre.

      Dans un entretien mardi à la RTS, ce Lausannois, qui avait à lui seul démarré le mouvement, indique que le résultat est atteint après 6 semaines de récolte.

      Il espère « une réponse du Conseil fédéral d’ici la fin du mois de novembre ». La pétition avait été déposée le 8 octobre, munie de 25’000 signatures.

      Elle faisait suite à une lettre ouverte signée par des personnalités suisses et une interpellation déposée par Ada Marra et deux autres parlementaires au Conseil fédéral il y a deux semaines.
      Une interpellation parlementaire pendante

      « Cette interpellation parlementaire a entraîné plein d’événements. Selon moi, les Suisses sont donc prêts à accorder ce pavillon », estimait en octobre la conseillère nationale vaudoise Ada Marra.

      Mais le combat politique n’est pas encore gagné, car du côté des parlementaires, la question divise. D’un côté il y a l’émotion que la situation d’urgence suscite, et de l’autre, une analyse plus froide. Certains demandent du temps pour une réflexion plus aboutie sur la question.

      D’autres vont jusqu’à dire qu’accorder le pavillon suisse à ce bateau reviendrait à encourager la migration.

      L’Aquarius, bateau de sauvetage des migrants en Méditerranée, est actuellement bloqué au port de Marseille, faute d’un pavillon lui permettant de naviguer.

      https://www.rts.ch/info/suisse/9992576-34-000-signatures-pour-que-la-suisse-donne-son-pavillon-a-l-aquarius.htm

    • Le Conseil fédéral refuse que le navire Aquarius batte pavillon suisse

      Le navire humanitaire Aquarius ne battra pas pavillon suisse. Le Conseil fédéral estime qu’une telle action compromettrait les efforts coordonnés de l’Union européenne dans la résolution de la crise migratoire en mer Méditerranée.

      Les opérations de secours en Méditerranée nécessitent une approche de l’admission des réfugiés coordonnée et fondée sur une répartition équitable, argumente le gouvernement dans sa réponse à plusieurs interpellations du PS, des Verts et du PLR, publiée lundi. Toute action isolée, comme l’attribution d’un pavillon suisse à un navire particulier, compromettrait l’action commune.
      Pas d’exception

      Le Conseil fédéral refuse ainsi d’appliquer la clause d’exception de la loi sur la navigation maritime au navire Aquarius, comme le demandaient les interpellations. Il estime par ailleurs impossible d’établir une stratégie générale pour que la flotte maritime suisse participer aux sauvetages en mer Méditerranée. La Confédération ne peut contraindre cette dernière qu’à approvisionner des pays en cas de grave pénurie.

      Affrété par SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, le navire Aquarius a sauvé près de 30’000 migrants tentant de rejoindre l’Europe en deux ans. Il s’est vu retirer son pavillon panaméen fin septembre. Depuis, il mouille en attente dans les eaux du port de Marseille, en France. De nombreuses ONG dénoncent une action politique derrière sa mise aux arrêts.

      https://www.rts.ch/info/suisse/10040572-le-conseil-federal-refuse-que-le-navire-aquarius-batte-pavillon-suisse.

    • L’Aquarius ne battra pas pavillon suisse

      Le navire humanitaire Aquarius ne battra pas pavillon suisse. Le Conseil fédéral estime qu’une telle action compromettrait les efforts coordonnés de l’Union européenne dans la résolution de la crise migratoire en mer Méditerranée.

      Les opérations de secours en Méditerranée nécessitent une approche de l’admission des réfugiés coordonnée et fondée sur une répartition équitable, argumente le gouvernement dans sa réponse à plusieurs interpellations du PS, des Verts et du PLR, publiée lundi. Toute action isolée, comme l’attribution d’un pavillon suisse à un navire particulier, compromettrait l’action commune.

      Le Conseil fédéral refuse ainsi d’appliquer la clause d’exception de la loi sur la navigation maritime au navire Aquarius, comme le demandaient les interpellations. Il estime par ailleurs impossible d’établir une stratégie générale pour que la flotte maritime suisse participe aux sauvetages en mer Méditerranée. La Confédération ne peut contraindre cette dernière qu’à approvisionner des pays en cas de grave pénurie.

      Affreté par SOS Méditerranée et Médecins sans frontières, le navire Aquarius a sauvé près de 30’000 migrants tentant de rejoindre l’Europe en deux ans. Il s’est vu retirer son pavillon panaméen fin septembre. Depuis, il mouille en attente dans les eaux du port de Marseille, en France. De nombreuses ONG dénoncent une action politique derrière sa mise aux arrêts.

      https://www.swissinfo.ch/fre/toute-l-actu-en-bref/l-aquarius-ne-battra-pas-pavillon-suisse/44590636

  • Schweizer Piloten wollen Flüchtlinge retten

    Ihr Herz schlägt nicht nur für die Fliegerei, sondern auch für Flüchtlinge: Mit Suchflügen über dem Mittelmeer will eine Gruppe Schweizer Piloten in Seenot geratene Migranten retten.


    http://www.blick.ch/news/schweiz/hilfseinsatz-ueber-dem-mittelmeer-schweizer-piloten-wollen-fluechtlinge-retten
    #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #solidarité #avion #sauvetage

    • Due piloti svizzeri da oggi sorvoleranno i mari alla ricerca di migranti

      BERNA - «È cominciato tutto l’anno scorso. Ero seduto accanto a un falò con Samuel Hochstrasser» racconta Fabio Zgragger. Il grafico di 30 anni è insegnante di parapendio e pilota privato. «Abbiamo cominciato a parlare di migranti, e volevamo aiutare in qualche modo. Ma è solo quando abbiamo appreso dell’esistenza di un’associazione privata a Malta che aiuta i migranti in difficoltà nel Mediterraneo che abbiamo deciso di approfittare della nostra passione del volo per fare del bene».


      http://www.tio.ch/News/Svizzera/Attualita/1092584/Due-piloti-svizzeri-da-oggi-sorvoleranno-i-mari-alla-ricerca-di-migranti-

      #pilotes #sauvetage #Méditerranée

    • «Salam aleikum, Tripolis, wir suchen nach Flüchtlingen»

      Schweizer Piloten fliegen Rettungsmissionen vor der Küste Libyens. Das ist nicht unumstritten. Ihnen wird vorgeworfen, sie seien Handlanger der Schlepper.

      https://www.nzz.ch/gesellschaft/salam-aleikum-tripolis-wir-suchen-nach-fluechtlingen-ld.1290524
      cc @stesummi

    • Des pilotes professionnels s’engagent pour sauver les migrants en Méditerranée

      L’association #Pilotes_volontaires a été créée en janvier pour repérer les embarcations de migrants en Méditerranée et aider les bateaux d’ONG à leur venir en aide. L’équipe a déjà acquis un avion et espère pouvoir commencer les missions de repérage en mai.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/8053/des-pilotes-professionnels-s-engagent-pour-sauver-les-migrants-en-medi

    • Nous sommes tous les deux pilotes de ligne. J’habite à Chamonix et suis aussi instructeur de parapente, quand il me reste un peu de temps. J’ai vendu mon appartement et ai acheté un petit avion 4 places. On va partir la semaine prochaine à Malte pour faire du repérage aérien d’embarcations de réfugiés. Jusqu’ici, les repérages se sont faits à partir de bateaux, mais avec la houle et les vagues, beaucoup d’embarcations sont invisibles et les gens coulent, anonymes et seuls. Nous voulons pouvoir les répérer pour leur envoyer les bateaux de secours. De la même manière qu’on envoie dans le massif les helicos pour sauver les gens qui sont en danger dans une voie.


      https://www.facebook.com/Humansofchamonix/photos/a.272504229605771.1073741829.268669966655864/787557404767115/?type=3&theater

    • Deux pilotes français achètent un avion pour sauver des migrants en Méditerranée

      En investissant toutes leurs économies, les deux hommes se sont offert un petit avion afin d’aller repérer les canots en perdition au large de la Libye. Première mission le 2 mai.

      Les jumelles sont prêtes, les provisions aussi. Tout sera bientôt à bord du MCR-4S, le petit avion de Benoît Micolon et José Benavente. Acheminé le 30 avril depuis Annemasse (Haute-Savoie), le Colibri n’a pas grand-chose à voir avec les autres coucous de la base maltaise, garés là avant une petite balade touristique pour se défroisser les ailes. Lui doit décoller le 2 mai, « pour quadriller le rectangle de 150 kilomètres de l’est à l’ouest, sur 50 kilomètres au nord de Tripoli ; la zone dans laquelle se concentrent le maximum de sauvetages et les naufrages », observe José Benavente, 49 ans, le père de ce projet original d’appui aux bateaux ONG qui portent secours aux migrants en Méditerranée.

      Avec Benoît Micolon, 35 ans, ils veulent devenir les yeux de la mer. Les deux Français, qui se sont connus sur les bancs de l’école de pilotage en 2006, viennent d’investir la totalité de leurs économies – soit 130 000 euros – pour s’offrir le Colibri, l’avion qui sauvera des vies. « Il y a urgence à assister les navires ONG en repérant les canots et en les leur signalant en même temps qu’au MRCC, l’organisme officiel italien qui gère les sauvetages », rappelle José Benavente.

      « Vraiment utiles, tout de suite »

      Pragmatiques, les deux fondateurs de Pilotes volontaires savent que la capacité de repérage depuis un avion qui survole les eaux à basse altitude est cent fois supérieure à une observation depuis le pont d’un navire. Ils savent aussi que cet appui aérien manque cruellement aujourd’hui en Méditerranée et que durant le premier trimestre 2018, quelque 500 personnes ont encore péri au large des côtes libyennes, selon l’Organisation internationale pour les migrations.

      « Au départ, on avait pensé monter une opération de crowdfunding pour trouver de l’argent, mais ça aurait pris trop longtemps. Le printemps est là, les départs de Tripoli reprennent », observe José Benavente, qui remonterait bien le temps s’il le pouvait… « Quand les humanitaires de SOS Méditerranée [une des ONG présente au large de Tripoli, avec l’Aquarius, son bateau] nous ont expliqué le mal qu’ils avaient à repérer les canots dans les vagues, on a compris qu’on pouvait vraiment être utile, tout de suite », ajoute-t-il. L’idée des vies en jeu chaque jour les pousse à brûler les étapes, prenant juste le temps de déposer les statuts de leur association le 28 janvier, de trouver l’avion, l’acheter, lui faire installer un pilote automatique pour pouvoir se concentrer sur la mer, un système satellite pour communiquer avec les ONG et un réservoir suffisamment grand pour voler dix heures d’affilée.

      Samedi 30 avril, c’était le départ de France. Les deux hommes ont mis leur vie personnelle entre parenthèses pour rallier Malte, leur base arrière ; leur vie professionnelle aussi. Benoît Micolon, pilote de ligne sur Boeing 747, complétera ses 6 000 heures de vols, certes, mais sur un autre type d’engin, même s’ils ne sont pas si loin des avions qu’il pilotait en début de carrière pour repérer les départs d’incendie dans les forêts du sud de la France. José Benavente, lui, un Lyonnais installé à Kinshasa (République démocratique du Congo), reprendra sa mission humanitaire plus tard.

      Véritable mouvement citoyen

      Depuis longtemps déjà il mûrissait l’idée de survoler la Méditerranée pour sauver les migrants. « Il y a quinze ans, en mission en Guinée où je travaillais sur l’approvisionnement en eau potable, j’entendais parler des disparus au large des côtes sénégalaises. Trop de petites embarcations en partance vers les Canaries sombraient sans avoir été secourues. Plus tard, je me suis dit que les plaisanciers pourraient s’organiser en associations pour aider les canots entre le Maroc et l’Espagne… J’ai essayé d’imaginer comment les fédérer… Toutes ces idées ont cheminé en moi et, en janvier, j’ai décidé d’agir en revenant à mon idée d’avion, puisque je suis aussi pilote », rappelle ce père de famille.

      José Benavente appelle alors Benoît Micolon, en repos à Chamonix (Haute-Savoie) entre deux missions. « J’avais pas fini ma phrase qu’il m’avait déjà dit oui », se réjouit-il, reconnaissant bien là son ami. Très vite, les deux hommes recomptent leurs économies et réunissent de quoi commencer. « On démarre avec l’argent qu’on a. On a ouvert un site pour récolter les dons. Il y a derrière notre opération l’idée que tout le monde peut participer, même avec quelques euros », rappelle l’humanitaire. L’esprit qui préside à Pilotes volontaires est proche de celui qui a permis à SOS Méditerranée de se développer, en entraînant un véritable mouvement citoyen dans son sillage.

      http://www.lemonde.fr/societe/article/2018/05/01/deux-pilotes-francais-achetent-un-avion-pour-sauver-des-migrants-en-mediterr

    • Malta blocks migrant search plane from operating in Mediterranean as EU toughens stance on refugee rescues

      Malta has blocked an aircraft used to search for migrant boats in the Mediterranean from operating out of the country, according to a migrant rescue group.

      Sea Watch, which runs the Moonbird aircraft, condemned the move, accusing authorities of grounding the plane during the “deadliest days” in the Mediterranean since records began.

      The German NGO said the plane had been involved in the rescue of some 20,000 people since it began operating.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/malta-blocks-moonbird-plane-mediterranean-refugee-crisis-ngo-sea-watc

      #moonbird

    • #Pilotes_volontaires : « Qui va le faire si on ne le fait pas ? »

      Ils se sont donnés pour mission d’être les « yeux aériens » des bateaux de sauvetage naviguant en Méditerranée. Une mission nécessaire et compliquée.

      L’idée est partie d’une simple question : comment aider les bateaux de secours parcourant la Méditerranée pour venir en aide aux embarcations de migrants en détresse ? Pilote professionnel, José Benavente Fuentes a logiquement pensé au repérage aérien. Après avoir longtemps mûri le projet, il en fait part à un autre pilote, Benoît Micolon. Tous deux créent l’association Pilotes Volontaires en janvier dernier et survolent la Méditerranée depuis le mois d’avril. Une mission ambitieuse qui a son lot de difficultés. Benoît Micolon nous en parle :

      Quand José vous a demandé de le rejoindre dans cette aventure, est-ce que vous avez hésité ? Pourquoi ?

      Un soir de Janvier, au détour d’une conversation ordinaire, José m’a parlé de ce projet qu’il avait en tête depuis un moment. Il m’a demandé mon avis sur certains aspect techniques et opérationnels. Je ne crois pas qu’à ce moment-là son intention était de me recruter.

      Je me suis alors renseigné de mon côté, afin de pouvoir lui donner les détails techniques qu’il me demandait, et j’ai rapidement réalisé que trop de temps avait déjà été perdu, car beaucoup de vies étaient en danger chaque jour.

      C’est apparu presque comme un devoir pour moi de mettre mes compétences aéronautiques au service de cette cause humanitaire. Qui va le faire si on ne le fait pas ?

      Quelques jours plus tard, j’annonçais à José ma volonté de m’engager dans ce projet à ses côtés, à 200%.

      C’est ainsi que fin janvier, Pilotes Volontaires naissait officiellement, avec le dépôt en préfecture des statuts de l’association.

      Quels ont été vos doutes au moment de commencer, en sachant que vous mettiez votre argent personnel dans ce projet ?

      Nous avons décidé d’acheter l’avion avec nos économies pour ne pas perdre trop de temps, en faisant le pari qu’on trouverait des donateurs pour nous soutenir par la suite, dès lors qu’on aurait sauvé des vies.

      En effet, il est compliqué de convaincre des gens alors qu’on n’a encore rien fait, et que le projet n’est que sur papier brouillon. L’idée était donc de prouver notre efficacité. Le plan a fonctionné ! Quant au risque financier, il était maîtrisé, car si le projet n’aboutissait pas, nous avions toujours l’option de revendre l’avion et récupérer une partie de notre argent.

      Le plus gros doute concernait l’obtention des différentes autorisations de vol, mais finalement, ça c’est bien passé. Nous respectons scrupuleusement les différentes règlements, et cela se passe bien.

      A ce jour, combien de temps vous prennent ces missions ? Votre carrière professionnelle en est-elle impactée ?

      José et moi avons consacré toutes nos vacances et temps libre pour lancer le projet.

      Nous devons voler aussi souvent que possible, quand les conditions météo le permettent pour tenter de sauver un maximum de vies. Heureusement, nous avons pu former plusieurs pilotes et observateurs. Pilotes Volontaires compte aujourd’hui près de 10 membres actifs, qui participent à la vie de l’association. José et moi sommes donc moins présents sur le terrain qu’au départ, mais nous organisons et suivons les missions de près. On y passe tout notre temps libre.

      Mon employeur n’est pas disposé à m’aider avec le projet Pilotes Volontaires. Je me dois de respecter ce choix, et je fais en sorte que ce projet humanitaire n’impacte pas ma vie professionnelle.

      Depuis le mois de mai vos missions ont permis de sauver environ 4000 personnes, est-ce que vous vous attendiez à voir autant de personnes en danger ?

      Nous savions qu’il y avait de nombreuses personnes en détresse en mer, mais nous n’avions pas idée de la fréquence à laquelle nous allions repérer des embarcations en détresse. Nous découvrons des personnes en danger de mort dans plus de 50% des missions...

      Ce qui personnellement m’inquiète le plus ce sont les embarcations qu’on n’a pas vues. Celles qui ont sombré pendant la nuit, avant même qu’on ait une chance de les repérer dans la journée. Tous ces bateaux qui ont sombré parce que nous n’avons pas pu voler, ou parce que même lorsque nous volons nous ne les voyons pas car la zone est immense.

      Toutes ces vies perdues dont personne ne parlera jamais. Ces milliers de parents qui restent au pays ne recevront plus jamais de nouvelles de leurs fils de leurs filles et vivront dans l’espoir de les revoir un jour. Tous ces deuils impossibles a faire... car pas de corps à enterrer... pas de sépultures à ériger... pas de tombes à fleurir...


      https://www.lecourrierdelatlas.com/migration-pilotes-volontaires-qui-va-le-faire-si-on-ne-le-fait-p

    • Migranti, così Roma comanda la Libia. La verità sui respingimenti / Audio

      Alcune registrazioni nelle comunicazioni interne tra Italia e Tripoli svelano anomalie e irregolarità che rischiano di trascinare le autorità italiane davanti alle corti internazionali.

      La nave Mare Jonio aveva soccorso 49 persone a 40 miglia dalle coste libiche il 18 marzo, poi aveva fatto rotta su Lampedusa a causa di condizioni meteomarine avverse. La nave aveva ricevuto il divieto (mai formalizzato) di avvicinarsi alle coste italiane, ma il capitano Pietro Marrone si era rifiutato: «Abbiamo persone da mettere in sicurezza, non fermiamo i motori». Poi alle 19.30 del 19 marzo i migranti erano stati fatti sbarcare a Lampedusa.

      «Ma in questi casi non c’è una procedura?», domanda sbigottito un ufficiale italiano a un collega delle Capitanerie di porto. «No - risponde l’altro - è una decisione politica del ministro, stiamo ancora aspettando le direttive». Intanto, però, senza ordini formali la nave Mare Jonio subisce un tentativo di blocco. Poche ore prima, sulle linee telefoniche Roma-Tripoli, si era consumato l’ennesimo riservatissimo scaricabarile a danno dei migranti.

      L’inchiesta giornalistica che viene pubblicata oggi in contemporanea da un pool di testate internazionali e per l’Italia Avvenire e Repubblica svela anomalie e irregolarità. Tra questi alcune registrazioni audio (disponibili sul canale Youtube di Avvenire) ottenute nel corso di indagini difensive, che rischiano di trascinare le autorità della penisola davanti alle corti internazionali che stanno investigando sui respingimenti e i morti in mare.

      Sono ore convulse quelle tra il 18 e il 19 marzo, quando la nave italiana della Missione Mediterranea aveva a bordo 49 persone salvate nel Mar Libico. Una motovedetta della Guardia di finanza aveva intimato di fermarsi e spegnere i motori. Dopo lo sbarco a Lampedusa il comandante e il capo missione vengono indagati per aver disobbedito, ma ora emergono registrazioni audio e documenti che raccontano un’altra storia e su cui la procura di Agrigento vuole vedere fino in fondo, risalendo l’intera catena di comando fino al vertice politico.

      L’ascolto di tutte le registrazioni audio e l’esame della documentazione lasciano sul campo molte domande. A cominciare da quelle sulla reale capacità della Guardia costiera libica di intervenire, ma che segretamente ottiene la supplenza di militari italiani.

      Abbiamo ricostruito i momenti ad alta tensione con vite alla deriva, mentre tra Roma e Tripoli passano minuti e ore prima che qualcuno provi a darsi davvero una mossa. L’unica certezza è che bisognava fare il possibile perché non intervenissero i soccorritori della missione civile italiana.
      Da Roma le direttive operative per Tripoli

      Alle 13.25 del 18 marzo parte verso la Libia una telefonata da Mrcc Roma, il centro di coordinamento e soccorso della Guardia costiera presso il Ministero delle Infrastrutture. Risponde l’ufficiale di servizio a Tripoli che però non è in grado di comprendere le comunicazioni in lingua inglese. Ne nasce una conversazione tragicomica. Degna dei migliori Totò e Peppino spersi tra le piazze della grande Milano. Se non fosse per le 49 vite umane alla deriva nel Mediterraneo, più che da sorridere ci sarebbe da disperarsi. «Le passo l’ufficiale di servizio», dice al libico in ottimo inglese un militare italiano che da Roma sta per porgere la cornetta al suo superiore. Ma il libico non capisce: «L’ufficiale di servizio sono io», ribatte. Da Roma cercano di non perdere la pazienza: «I’m passing you our duty officer», spiegando di nuovo e lentamente che al telefono sta arrivando «l’ufficiale di servizio della guardia costiera italiana». Non c’è verso. Il guardacoste libico sembra perdere le staffe: «Sono io l’ufficiale di servizio», scandisce nel suo inglese stentato, dopo avere però avvertito che la lingua di Shakespeare la parla solo «a little». Troppo poco per gli standard internazionali stabiliti per chi deve gestire situazioni d’emergenza.

      Caccia all’interprete

      Da Roma vogliono sapere se Tripoli prenderà in carico il coordinamento delle ricerche e del soccorso del gommone perché, come quasi sempre accade, i libici non avevano risposto alle richieste d’aiuto e perché quando intervengono lo comunicano di rado e a cose fatte. Anche questa volta la cosiddetta Guardia costiera libica non aveva neanche afferrato il telefono per rispondere alle segnalazioni di Moonbird, l’aereo dell’Ong Sea Watch che aveva avvistato il barcone e fornito le coordinate già nella mattinata, ma senza ricevere alcuna risposta. Vista l’impossibilità di intendersi, all’ufficiale di servizio italiano non resta che contattare con urgenza un interprete che, in conferenza telefonica, cercherà di spiegare in arabo al militare libico quale fosse la ragione della telefonata da Roma. Si perdono così minuti preziosi, con il guardacoste di Tripoli che arriva a dire di non sapere «se ci sono motovedette libiche che stanno intervenendo, se sono partite, da quale porto e verso quale rotta si stiano eventualmente dirigendo». Al contrario il comportamento dell’ufficiale italiano presso Mrcc appare impeccabile. Il militare si sforza in ogni modo di farsi comprendere e di rendere chiare le indicazioni e nel corso di successive comunicazioni sembra quasi battersi per avere certezza che qualcuno stia occupandosi dei disperati in mare.

      Che ruolo ha la Marina italiana in Libia?

      Se già in passato in molte circostanze era apparso chiaro che la cosiddetta Guardia costiera libica non è in grado di gestire l’area di ricerca e soccorso registrata con il sostegno economico e logistico dell’Italia, adesso si ripropone un nuovo interrogativo: chi coordina davvero le motovedette regalate dall’Italia a Tripoli? Dopo quella con la bislacca marineria libica partono una serie di altre telefonate tra Mrcc Roma e la nave della Marina Militare “Capri”, ormeggiata a Tripoli. Ufficialmente è lì per assistenza logistica sulla base di accordi bilaterali. Ma è davvero così?
      Il giallo dell’ordine ai libici partito dalla nave italiana

      La sequenza dei contatti parte alle 13,28. Appresa la notizia dell’Sos lanciato dal Moonbird con una mail inviata dalla Mare Jonio, Mrcc Roma chiama la nave militare italiana a Tripoli a cui fornisce le informazioni ricevute dai soccorritori di Mediterranea. Dal quartier generale nella capitale chiedono se a bordo della «Capri» ci sia l’ufficiale libico. Dalla plancia rispondono che lo attendono a minuti. Alle 13,43 l’ufficiale in servizio a Roma richiama il personale italiano della missione Nauras, insistendo per poter parlare con il guardacoste libico. In sottofondo si sente un militare italiano che a sua volta su un altro telefono parla in inglese con un tale Mustapha: «Ok, ti aspettiamo a bordo», gli dice. Nell’attesa, da Nauras assicurano a Mrcc che i libici avrebbero gestito l’evento ma che ancora non c’era una formale assunzione di responsabilità da parte loro. Alle 14.02 l’ufficiale della Marina militare sulla Capri rassicura Roma: l’ufficiale libico sta per firmare l’assunzione di coordinamento. Non solo, l’atto di conferma conferma sarebbe stato firmato da «Mustapha» e spedito via fax attraverso la nave italiana: «Io comunque sto per fare partire da qui il fax che sta firmando il liasoner officer libico», dicono dal vascello italiano.
      Ma il governo aveva smentito

      Nel corso di una interrogazione parlamentare presentata da Erasmo Palazzotto (Leu), il governo aveva risposto escludendo categoricamente che la Marina Italiana sia in Libia per cooperare con la Guardia costiera libica durante le operazioni. «In tale contesto e a tale scopo, l’Unità dislocata in porto a Tripoli svolge attività tecnico/logistica e supporto - spiegava il governo il 2 agosto rispondendo all’interrogazione - per il ripristino dell’efficienza di alcune imbarcazioni della Guardia Costiera libica e consulenza a favore della Guardia Costiera e Marina libica. Pertanto, per quanto noto, il coordinamento delle attività di soccorso è assolto esclusivamente da personale della Guardia Costiera libica». Le comunicazioni, invece, sembrano raccontare una storia differente.
      Mrcc Roma: «La Libia svolgerà i soccorsi»

      Alle 14.31 Mrcc informa la nave Mare Jonio che «alle h. 13.00 Zulu, 14.00 italiane, Jrcc Tripoli (la centrale di soccorso libicca, ndr) ha assunto il coordinamento dell’evento precisando che una motovedetta libica, la Raz Al Jadar, «si sta dirigendo in area per effettuare il soccorso». Poi aggiunge: «In nome e per conto dell’autorità libica, ci chiede di riferire a tutte le navi in area di mantenersi a una distanza di sicurezza di 8 miglia per evitare che, qualora avvistati dai migranti, possano generarsi situazioni di pericolo per gli stessi». A questo punto il militare italiano, sembra prendere le distanze da quanto è accaduto. Non può immaginare che nel giro di poche settimane verranno resi noti i retroscena: «Questo - scandisce - è quello che ci chiedono e io testualmente ve lo riporto».
      «Ordini politici». Ma nessuna traccia di atti formali

      I libici, invece, non si sono fatti vedere, così Mediterranea mette in salvo i migranti e si dirige verso Lampedusa. Nel quartier generale della Guardia costiera viene registrata un’altra telefonata. «Nottata intensa», dice un militare che chiama da fuori e chiede novità all’ufficiale di turno nella centrale di soccorso. «Mare Jonio - spiega questi - è adesso entrato nelle acque territoriali, sta a sud di Lampedusa e procede». Cosa fare, nessuno lo sa. «Quali sono le azioni in questo caso?», domanda il chiamante. Da Mrcc l’ufficiale di servizio sorride quasi rassegnato: «Mi fai una bella domanda. Adesso, chiaramente, è una questione politica». Di nuovo la domanda: «Ma ci sono procedure?». L’ufficiale non sa davvero cosa rispondere: «Decide il ministero, il ministro dell’Interno. Aspettiamo direttive».

      Nonostante le «direttive» non fossero state fornite (come poi hanno confermato nei giorni scorsi sia il Viminale che il Ministero delle Infrastrutture smentendo qualsiasi ordine di porti chiusi o divieti alla Mare Jonio) all’esterno non era stato fatto trapelare nulla. E viene da domandarsi quante altre volte, nei casi dei dispersi e dei morti in mare, i rimpalli e le incomprensioni possano avere giocato un ruolo fatale. Chissà se anche per questo nessuno doveva conoscere quel grande imbroglio che prende il nome di «Guardia costiera libica».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/esclusivo-la-verita-sui-respingimenti-in-mare
      #audio

      L’enregistrement audio:
      https://www.youtube.com/watch?v=BWRvk8_UmTE