#morts_aux_frontières

  • Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

    –-

    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • Presenti mai assenti. Camminata sonora e opera d’immersione sulle rotte migranti
    https://onborders.altervista.org/presenti-mai-assenti-camminata-sonora-e-opera-dimmersione-sull

    di Simona Sala e Valentina Bosio Installazione sonora e field recordings BANDITE. Sound editor Giuseppe Giordano. Canti: Marjan Vahdat, Selda Özturk. Poesie: Rahma Nur da Il grido e il sussurro, Capovolte editrice. Con SENTIERI SOLIDALI e ONBORDERS È un’opera pensata per la commemorazione del 6 febbraio dei morti nel deserto, in mare, sulle nostre montagne […] L’articolo Presenti mai assenti. Camminata sonora e opera d’immersione sulle rotte migranti proviene da ON BORDERS.

    #LINGUAGGI_VISUALI

  • La commemorazione ipocrita di Bologna per la strage di Cutro

    I familiari delle vittime e le organizzazioni solidali: «Questa memoria distorta non ci appartiene»

    Ieri a Bologna il sindaco, Matteo Lepore, insieme al sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, hanno sfilato sulle tombe di 15 delle persone afghane morte nella strage di Cutro che sono state seppellite a Borgo Panigale. Hanno parlato di memoriali, umanità e tante belle cose. Nessun riferimento alle famiglie o ai sopravvissuti che ovviamente non sono stati invitati né contattati. Dimenticati e invisibilizzati, ancora una volta.

    Un gesto – come hanno spiegato i familiari delle vittime e diverse organizzazioni solidali in un comunicato 1 – considerato ipocrita, con la presenza di una persona come il sindaco di Cutro che ha insultato la memoria di vittime, sopravvissuti e famiglie incidendo anche nella pietra parole criminalizzanti contro le persone in movimento.

    «Non possiamo rimanere indifferenti», hanno scritto spiegando le proprie ragioni:

    «Proprio all’indomani delle denunce che familiari e sopravvissuti hanno espresso a Crotone lo scorso febbraio riguardo le omissioni di soccorso e le responsabilità da parte delle autorità competenti, apprendiamo dell’ennesimo oltraggio da parte di alcune istituzioni che indegnamente tentano di appropriarsi dei luoghi di culto dove sono state sepolte le vittime, luoghi in cui le stesse famiglie residenti in Iran, Afganistan o Pakistan non hanno mai potuto recarsi e della cui commemorazione non sono state rese partecipi.

    Non dimentichiamo l’ospitalità rivolta al consiglio dei ministri, alle persone di Salvini Piantedosi e il primo ministro Meloni che, a poche ore dal massacro, si recavano negli spazi comunali di Cutro per approvare un decreto nominato con il luogo della strage.
    – Non dimentichiamo l’abbandono dei familiari e dei sopravvissuti in quei giorni di disperazione e rabbia, da chi non ha trovato nemmeno un minuto per porgere loro cordoglio e assistenza.
    – Non dimentichiamo come la decisione presa dall’alto che quelle bare dovessero essere destinate a Bologna senza il consenso delle famiglie, sia stata scongiurata solo da chi, con i propri corpi, poteva opporsi davanti al Palamilone di Crotone.
    – Non dimentichiamo il trattamento disumano riservato ai sopravvissuti collocati nel Cara di Crotone.

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    La commemorazione ipocrita di Bologna per la strage di Cutro

    I familiari delle vittime e le organizzazioni solidali: «Questa memoria distorta non ci appartiene»
    11 Marzo 2024
    Ph: Mem. Med - Memoria Mediterranea

    Ieri a Bologna il sindaco, Matteo Lepore, insieme al sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, hanno sfilato sulle tombe di 15 delle persone afghane morte nella strage di Cutro che sono state seppellite a Borgo Panigale. Hanno parlato di memoriali, umanità e tante belle cose. Nessun riferimento alle famiglie o ai sopravvissuti che ovviamente non sono stati invitati né contattati. Dimenticati e invisibilizzati, ancora una volta.

    Un gesto – come hanno spiegato i familiari delle vittime e diverse organizzazioni solidali in un comunicato 1 – considerato ipocrita, con la presenza di una persona come il sindaco di Cutro che ha insultato la memoria di vittime, sopravvissuti e famiglie incidendo anche nella pietra parole criminalizzanti contro le persone in movimento.

    «Non possiamo rimanere indifferenti», hanno scritto spiegando le proprie ragioni:

    «Proprio all’indomani delle denunce che familiari e sopravvissuti hanno espresso a Crotone lo scorso febbraio riguardo le omissioni di soccorso e le responsabilità da parte delle autorità competenti, apprendiamo dell’ennesimo oltraggio da parte di alcune istituzioni che indegnamente tentano di appropriarsi dei luoghi di culto dove sono state sepolte le vittime, luoghi in cui le stesse famiglie residenti in Iran, Afganistan o Pakistan non hanno mai potuto recarsi e della cui commemorazione non sono state rese partecipi.

    Non dimentichiamo l’ospitalità rivolta al consiglio dei ministri, alle persone di Salvini Piantedosi e il primo ministro Meloni che, a poche ore dal massacro, si recavano negli spazi comunali di Cutro per approvare un decreto nominato con il luogo della strage.
    Non dimentichiamo l’abbandono dei familiari e dei sopravvissuti in quei giorni di disperazione e rabbia, da chi non ha trovato nemmeno un minuto per porgere loro cordoglio e assistenza.
    Non dimentichiamo come la decisione presa dall’alto che quelle bare dovessero essere destinate a Bologna senza il consenso delle famiglie, sia stata scongiurata solo da chi, con i propri corpi, poteva opporsi davanti al Palamilone di Crotone.
    Non dimentichiamo il trattamento disumano riservato ai sopravvissuti collocati nel Cara di Crotone.

    Dopo un anno, in cui ricordiamo non solo le oltre 105 persone morte e disperse la notte del 26 Febbraio 2023, ma tutte coloro che ogni giorno scompaiono alle frontiere interne ed esternalizzate o sopravvivono a politiche razziste, siamo testimoni di quanta violenza continui ancora e ininterrottamente ad insinuarsi oltre la morte e nella vita di chi resta, nel dolore d’una ferita che non rimargina.

    Crediamo in una Memoria distante da strumentalizzazioni politiche che si è espressa alcune settimane fa nella commemorazione a Crotone, dove abbiamo ascoltato il grido alto e chiaro di famiglie e sopravvissuti contro i reali responsabili di simili crimini.

    Una memoria che non coincide con quella del sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, che nella sua città ha piantato una stele di marmo incidendo nella pietra una storia distorta, che accusa “scafisti” e “trafficanti di esseri umani” di essere i responsabili del massacro. Una narrazione securitaria aderente a quella dei rappresentanti del Governo, come Matteo Piantedosi, che all’indomani della strage criminalizzava le stesse persone migranti morte in mare, salvo poi depositare un fiore sulla tomba di uno di loro, Alì, il più piccolo tra i deceduti, in un ipocrita gesto autoassolutorio.

    «Questa memoria distorta non ci appartiene. Questo atto di offesa al ricordo di chi è morto e di chi ha resistito alla violenza di frontiera ci indigna.»

    Lasciate in pace le salme inumate a Borgo Panigale, la loro presenza che finora avete ignorato o insultato, la loro memoria che nulla ha a che vedere con le commemorazioni istituzionali.

    Che siano familiari e sopravvissuti a recarsi sui luoghi della sepoltura, come chiedono incessantemente da un anno alla politica nazionale e internazionale!

    Saranno loro a custodirne l’ingiustizia e il dolore a monito di quello che è stato fatto.
    Saranno loro – gli esclusi dalla narrazione delle istituzioni – a commemorare i morti di un regime di frontiera che, dal Decreto Legge 50/2023, ancora più ferocemente e impunemente, colpisce le persone in movimento.

    Accanto a famiglie e sopravvissuti continueremo a sostenere la loro lotta per verità e giustizia, contro la mistificazione che criminalizza l’identità e la storia delle persone, contro la strumentalizzazione di chi esercita con violenza un potere non solo sulla vita ma anche sulla morte e sul lutto».

    https://www.meltingpot.org/2024/03/la-commemorazione-ipocrita-di-bologna-per-la-strage-di-cutro

    #commémoration #mémoire #naufrage #mourir_aux_frontières #Cutro #Bologne #morts_aux_frontières #migrations #réfugiés #hypocrisie

    • Non calpestate questa memoria

      Alla luce della commemorazione promossa dal Sindaco di Bologna, Matteo Lepore, prevista domenica 10 marzo 2024 alla presenza del Sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, ad un anno dall’arrivo delle 15 salme di persone decedute nella Strage di Steccato di Cutro e inumate nel cimitero di Borgo Panigale, non possiamo restare indifferenti.

      Infatti, proprio all’indomani delle denunce che familiari e sopravvissuti hanno espresso a Crotone lo scorso febbraio riguardo le omissioni di soccorso e le responsabilità da parte delle autorità competenti, apprendiamo dell’ennesimo oltraggio da parte di alcune istituzioni che indegnamente tentano di appropriarsi dei luoghi di culto dove sono state sepolte le vittime, luoghi in cui le stesse famiglie residenti in Iran, Afghanistan o Pakistan non hanno mai potuto recarsi e della cui commemorazione non sono state rese partecipi.

      - Non dimentichiamo l’ospitalità rivolta alle persone di Salvini, Piantedosi, Meloni che, a poche ore dal massacro, si recavano negli spazi comunali di Cutro per il Consiglio dei Ministri e discutere un Decreto nominato con il luogo della strage di stato
      – Non dimentichiamo l’abbandono dei familiari e dei sopravvissuti, in quei giorni di disperazione e rabbia, da chi non ha trovato nemmeno un minuto per porgere loro cordoglio e assistenza
      – Non dimentichiamo come la decisione presa dall’alto che quelle bare dovessero essere destinate a Bologna senza il consenso delle famiglie, sia stata scongiurata solo da chi, con i propri corpi, poteva opporsi davanti al Palamilone di Crotone ad un simile oltraggio
      - Non dimentichiamo il trattamento disumano riservato ai sopravvissuti collocati nel Cara di Isola Capo Rizzuto (KR)

      Dopo un anno, in cui ricordiamo non solo le oltre 105 persone morte e disperse la notte del 26 Febbraio 2023, ma tutte coloro che ogni giorno scompaiono alle frontiere interne ed esternalizzate o sopravvivono a politiche razziste, siamo testimoni di quanta violenza continui ancora e ininterrottamente ad insinuarsi oltre la morte e nella vita di chi resta, nel dolore d’una ferita che non rimargina.

      Crediamo in una Memoria distante da strumentalizzazioni politiche che si è espressa alcune settimane fa nella commemorazione a Crotone, dove abbiamo ascoltato il grido alto e chiaro di famiglie e sopravvissuti contro i reali responsabili di simili crimini.

      Una memoria che non coincide con quella del sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, che nella sua città ha piantato una stele di marmo incidendo nella pietra una storia distorta, che accusa “scafisti” e “trafficanti di esseri umani” di essere i responsabili del massacro. Una narrazione securitaria aderente a quella dei rappresentanti del Governo, come Matteo Piantedosi, che all’indomani della strage criminalizzava le stesse persone migranti morte in mare, salvo poi deporre un fiore sulla tomba di uno di loro, Alì, il più piccolo tra i deceduti, in un ipocrita gesto autoassolutorio.

      Questa memoria distorta non ci appartiene. Questo atto di offesa al ricordo di chi è morto e di chi ha resistito alla violenza di frontiera ci indigna.

      Lasciate in pace le salme inumate a Borgo Panigale, la loro presenza che finora avete ignorato o insultato, la loro memoria che nulla ha a che vedere con le commemorazioni istituzionali.

      Che siano familiari e sopravvissuti a recarsi sui luoghi della sepoltura, come chiedono incessantemente da un anno alla politica nazionale e internazionale!

      Saranno loro a custodirne l’ingiustizia e il dolore a monito di quello che è stato fatto.
      Saranno loro – gli esclusi dalla narrazione delle istituzioni – a commemorare i morti di un regime di frontiera che, dalla Legge 50/2023, ancora più ferocemente e impunemente, colpisce le persone in movimento.

      Accanto a famiglie e sopravvissuti continueremo a sostenere la loro lotta per verità e giustizia, contro la mistificazione che criminalizza l’identità e la storia delle persone, contro la strumentalizzazione di chi esercita con violenza un potere non solo sulla vita ma anche sulla morte e sul lutto.


      https://memoriamediterranea.org/comunicato-stampa-10-03-2024

    • A Borgo Panigale commemorazione delle vittime del naufragio di Cutro

      Il Comune di Bologna, in collaborazione con la Comunità Islamica di Bologna, ricorderà le vittime della strage di Cutro, ad un anno dall’arrivo delle prime salme inumate nel cimitero di Borgo Panigale.

      La commemorazione si terrà domenica 10 marzo alle ore 15, con partenza dall’ingresso di via Marco Emilio Lepido, 60, con una camminata silenziosa che attraverserà il cimitero di Borgo Panigale fino al campo islamico, dove riposano quattordici vittime della strage.

      Al termine del percorso ci saranno gli interventi istituzionali dei Sindaci di Bologna Matteo Lepore e di Cutro Antonio Ceraso.
      Il ricordo si concluderà con una funzione religiosa, celebrata dal presidente dell’UCOII, dott. Yassine Lafram, nella sua veste di imam.


      https://www.bolognaservizicimiteriali.it/A-Borgo-Panigale-commemorazione-delle-vittime-del-naufragi

  • El Paso Sector Migrant Death Database

    The migrant death database published here is an attempt to address the lack of comprehensive, transparent, and publicly available migrant death data for New Mexico, El Paso and border-wide. The accessibility of this information is essential to understanding and preventing death and disappearance in the US/Mexico borderlands.

    The data for this project was collected from the New Mexico Office of the Medical Investigator (OMI), US Customs and Border Protection (CBP), the New Mexico Department of Transportation (NMDOT), the El Paso County Office of the Medical Examiner (EPCOME), Hudspeth County Justices of the Peace District 1 and 2, the International Organization for Migration’s Missing Migrant Project, independent news sources, and statements from the Sunland Park Fire Department, as well as direct observation by volunteers in the field.


    https://www.elpasomigrantdeathdatabase.org
    #USA #Mexique #base_de_données #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Etats-Unis #données #cartographie #visualisation #rapport

    ping @reka @fil

  • Sink the Boats

    The UK government is paying France to ‘Stop the Boats’. Now first-time footage reveals French police have violently intercepted dinghies sailing for Britain, risking the lives of people on board

    For decades, people have tried to reach the UK from northern France in order to claim asylum in Britain. With tightened security at French ports making it harder for stowaways, tens of thousands of people have crossed the English Channel in rubber dinghies, prompting the British government to make stopping the boats one of its top priorities.

    Last year, the UK announced that it would allocate nearly £500m to France over three years to prevent boats from leaving its shores.

    The British government has repeatedly pressured France to intercept the boats at sea. France has previously refused on the basis that it would place lives at risk.

    But in collaboration with Le Monde, The Observer and Der Spiegel, Lighthouse Reports can reveal that French police officers have carried out so-called “pullbacks” in the Channel, in moves experts say mirror the deadly and illegal tactics used in the Aegean and the Central Mediterranean by the Greek and Libyan coast guards.

    We’ve established through sources that the patrol boat used by the French police to carry out at least one of these dangerous manoeuvres was funded by the British.

    Meanwhile, over the last two years there has been a sharp increase in the number of drownings in the sea off northern France where most of the pullbacks have taken place.
    METHODS

    We obtained previously unseen footage, leaked documents and witness testimony showing French police have used aggressive methods to intercept migrant vessels at sea, including circling a small boat, causing waves to flood it; ramming into a small boat while threatening passengers with pepper spray; and puncturing boats while they are already at sea, forcing people to swim back to shore. We were able to geolocate the videos to confirm their veracity.

    We showed the videos to a number of maritime experts, UK Border Force officers and French coast guards, who said the tactics would have clearly endangered the lives of those on board and appeared to be illegal. Leaked maritime documents helped us to establish that these types of interceptions at sea are not compatible with French law.

    We then obtained an additional crucial piece of evidence: a complaint filed by a coast guard officer to the prosecutor about an incident in which French police officers had ordered a National Society of Sea Rescues (SNSM) crew to puncture a migrant dinghy that had already set sail despite the risk of drowning being “obvious and imminent”.

    To find out whether these interceptions were happening on a wider scale, we travelled to Northern France to speak to people on the ground trying to reach the UK in boats. A number of people described having their dinghies slashed by police once they had already set sail.

    We were able to link the hundreds of millions of pounds provided by Britain to France with these tactics when sources confirmed that police patrol vessels, including the exact vessel seen in one of the videos, had been bought by the French with funding provided by the British government.

    An analysis of data by charity Alarm Phone meanwhile showed a sharp increase in the number of people known to have drowned within the vicinity of the French coastline, where most of the pullbacks we documented took place – with one in 2022 compared to five already this year.
    STORYLINES

    We met Satinder* from Punjab, a predominantly Sikh region in northern India, in Calais.

    Five days earlier, he and two friends had tried to make it to Britain by boat. The dinghy was overcrowded with around 46 people, mainly Indians and Afghans, on board. “We sailed for around 10 minutes at dawn without a hitch in an overloaded boat,” he said. “Then a boat came. It was a gendarmerie boat, they had uniforms. They said: ‘Stop the boat’.

    “They went around the boat like in a circle and then they stabbed the boat and left. We had to swim for about 10 minutes […] We nearly died.”

    The two friends Satinder was with in the boat gave matching accounts. We spoke to four other people who recounted similar stories on different occasions.

    “It reminds me of the Greek and Turkish coast guards,” said French customs coast guard Rémi Vandeplanque.”And that’s shameful for the French. If the police continue to use such tactics, there is likely to be a death at some point.”

    https://www.lighthousereports.com/investigation/sink-the-boats
    #Manche #La_Manche #migrations #réfugiés #sauvetages #UK #Angleterre #France #stop_the_boats #externalisation #enquête #contre-enquête #pull-backs #financement #mourir_aux_Frontières #morts_aux_frontières

    • Revealed: UK-funded French forces putting migrants’ lives at risk with small-boat tactics

      Exclusive: newly obtained footage and leaked documents show how a ‘mass casualty event’ could arise from aggressive tactics employed by border forces

      French police funded by the UK government have endangered the lives of vulnerable migrants by intercepting small boats in the Channel, using tactics that search and rescue experts say could cause a “mass casualty event”.

      Shocking new evidence obtained by the Observer, Lighthouse Reports, Le Monde and Der Spiegel reveals for the first time that the French maritime police have tried physically to force small boats to turn around – manoeuvres known as “pullbacks” – in an attempt to prevent them reaching British shores.

      Newly obtained footage, leaked documents and witness testimonies show that the French authorities have used aggressive tactics including circling a migrant boat, causing waves to flood the dinghy; ramming into a small boat while threatening passengers with a large tank of pepper spray; and puncturing boats when they are already at sea, forcing migrants to swim back to shore.

      The French authorities have previously refused the UK’s requests for them to carry out interceptions at sea, stating that they contravened international maritime law. But evidence indicates there has been an escalation in the use of these tactics since last summer.

      Rishi Sunak has pledged to “stop the boats” crossing the Channel and has promised hundreds of millions of pounds to France to pay for more surveillance and border guards to prevent people making the journey. Last Wednesday the government’s safety of Rwanda (asylum and immigration) bill suffered several defeats in the House of Lords, delaying the prime minister’s plan to see flights for Kigali take off until after Easter.

      Ministers claim that the bill will act as a deterrent to all those crossing the Channel from northern France to the UK. In the first video obtained and verified for this investigation, a police boat in Dunkirk harbour circles close to a dinghy holding about 25 people, creating a wake that floods the boat.

      The police vessel is seen advancing towards the dinghy at speed, before turning sharply to create waves, circling and coming back again. Migrants are seen wearing foam-packed lifejackets and attempting to bale water out using their shoes.

      Sources confirmed that the police patrol vessel used to carry out the manoeuvre seen in the video was bought by the French authorities with funding provided by the UK government under the “Sandhurst treaty”, a bilateral border security deal signed at the royal military academy in 2018.

      “This is a textbook pushback – exactly the same as we see in Greece,” said one search and rescue expert who was shown the footage. “That one manoeuvre alone could cause a mass casualty event. The water is deep enough to drown in. I’ve seen this in the central Mediterranean many times, but this is the first time I’ve ever seen anything like this happening in the Channel.”

      Previous evidence has shown how the Greek coastguard has forced boats carrying migrants back into Turkish waters in the Aegean Sea, in some cases by manoeuvring around them at high speed to create waves.

      Two senior UK Border Force sources confirmed that the tactic could lead to multiple deaths and injuries. “If the blades [of the French boat] make contact with the vessel, it will slash right through it,” said one operational Border Force official.

      “The other thing is a collision. The weight and the force of that vessel could ride straight over the top of the rib. It would knock the passengers out, knock them unconscious and into the water. It could potentially lead to death. I can’t believe any mariner could condone that.”

      Maritime experts added that they would be “very surprised” if Border Force and HM Coastguard were not aware of these tactics being used, with one adding: “One hundred per cent, someone high up will definitely be aware of this.”

      In a second video, members of the French gendarmerie drive alongside a dinghy in a speedboat about 12 miles from the French coast, threatening to use a large tank of pepper spray against a boat carrying migrants. They then proceed to ram their vessel into the dinghy. “They don’t even know who’s on board – whether there’s someone asthmatic that you’re using pepper spray against, or pregnant women,” said a Border Force official. “That could really harm people.”

      In evidence of a third attempted pullback, a complaint filed by a member of the French customs coastguard to the public prosecutor in Boulogne-sur-Mer alleges that on 11 August 2023 police officers ordered a National Society of Sea Rescues (SNSM) crew to puncture a small boat that had already set sail. In an email seen by this investigation, the complainant, Rémi Vandeplanque, states that the SNSM crew “obviously refused” to do this, adding that the risk of drowning if they had done so was “obvious and imminent”.

      Testimony from several sources who boarded small boats bound for the UK supports the claims that French police have used such tactics. “There were four of them [French gendarmes] on the boat,” said one man, who was from India. “They went round the boat in a circle and then they stabbed the boat and left. We had to swim for about 10 minutes … We nearly died.” On 9 February 2024, the man lodged a complaint with the French human rights ombudsman. The incident is under investigation.

      Sources within France’s interior ministry have described the UK government’s “enormous pressure on a daily basis” for the French maritime police to prevent small boat departures, with one French civil servant describing the pressure as “intense” and “nonstop”.

      Another senior civil servant, who was in post until the end of 2020, added: “As far as the British were concerned, the boats had to be caught at sea. They sometimes insisted on it.”

      In September last year, then immigration minister Robert Jenrick said in the House of Commons that “there is clearly more that we need the French to do for us”, pointing to a recent trip to Belgium, where he said the authorities had “been willing to intercept in the water small boats leaving its shores”. He added: “That has proven decisive. Small boats from Belgian waters are now extremely rare, so that is an approach that we encourage the French to follow.”

      In August 2021, during a visit to the Greek island of Samos, then home secretary Priti Patel went out on patrol with the Greek coastguard, which is known for its use of aggressive pushbacks in the Aegean.

      “She came back invigorated,” said a Home Office source with knowledge of the trip. “They were very aggressive, had a good success rate of detection and were swift in how they processed them [asylum seekers]. She liked their posturing of ‘protecting borders’ and working with the military, though there was recognition that a lot of this wouldn’t be lawful in the UK.”

      Britain has allocated more than £700m to France to prevent irregular migration since 2014.

      At a summit in March 2023, Sunak announced that Britain would give France £500m over three years to fund additional border guards and a new detention facility, as well as video surveillance cameras, drones and night-vision binoculars, among other equipment.

      The package was, according to several sources at the French interior ministry, a turning point. “This has really put the relationship between the two countries on a contractual footing,” said one senior official.

      Last month the UK signed a working agreement with the European border agency Frontex to bolster intelligence sharing and deploy UK Border Force officials to coordinate the Channel response.

      When contacted by this investigation, the prefecture for the north of France confirmed that a police boat had circled a dinghy and that the aim of the intervention was to “dissuade passengers” from approaching the open sea, adding: “It’s the only time we’ve been able to intercept a small boat using this manoeuvre and it was a deterrent. All the migrants were recovered and the smugglers arrested.”

      A Home Office spokesperson said: “An unacceptable number of people are crossing the Channel and we will do whatever is necessary to end these perilous and fatal journeys. We remain committed to building on the successes that saw arrivals drop by more than a third last year.

      “Not only have we introduced tougher legislation and agreements with international partners, but we continue to work closely with our French counterparts, who are working tirelessly to save lives and stop the boats.”

      https://www.theguardian.com/uk-news/2024/mar/23/uk-funding-french-migrants-small-boat-border-forces

    • Dans la Manche, les techniques agressives de la police pour empêcher les traversées de migrants

      Officiellement, la police a interdiction formelle d’intercepter en mer les embarcations de migrants qui tentent de traverser la Manche. Après plusieurs mois d’enquête, « Le Monde » et ses partenaires de Lighthouse Reports, de « The Observer » et du « Der Spiegel » ont pourtant pu documenter différentes situations où les forces de l’ordre emploient des manœuvres dangereuses à l’encontre de ces « small boats » pourtant déjà à l’eau.

      Il pleut des cordes et la grande tonnelle blanche, sous laquelle plusieurs dizaines de personnes viennent s’abriter, a du mal à supporter le poids de l’eau qui s’accumule. Il est presque 11 heures, dans une zone périphérique de Loon-Plage Nord), ce mardi 12 mars, à l’entrée de l’un des nombreux campements de personnes migrantes présents depuis des années maintenant sur la commune, voisine de Dunkerque.

      Ziko (les personnes citées par leur prénom ont requis l’anonymat), 16 ans, vivote ici depuis cinq mois. Le jeune Somalien a déjà essayé cinq fois de gagner le Royaume-Uni. A chaque fois en bateau. A chaque fois sans succès. Systématiquement, les policiers sont intervenus pour stopper l’embarcation à bord de laquelle lui et d’autres espéraient traverser la Manche. « A chaque fois, ils ont crevé le bateau », se souvient-il.

      Il y a environ deux semaines de cela, les policiers ont fait une manœuvre au large de la plage de Gravelines (Nord) que le jeune homme n’est pas près d’oublier. Les fonctionnaires ont fait obstacle au canot alors qu’il était déjà en mer. « On était à plusieurs dizaines de mètres des côtes quand un bateau pneumatique avec cinq ou six policiers s’est approché et a crevé notre embarcation. » Ziko rapporte que lui et la cinquantaine de passagers sont tous tombés à l’eau. « J’avais de l’eau jusqu’à la poitrine, c’était très dangereux. Il y avait des enfants qui étaient portés à bout de bras par des adultes pour ne pas se noyer. »

      De ses cinq tentatives de traversée, c’est la seule au cours de laquelle le bateau de Ziko a été crevé en mer. Son témoignage, rare, vient percuter la version officielle livrée par les autorités depuis 2018 et l’explosion du phénomène des small boats, ces petites embarcations de migrants dont le but est de rejoindre le Royaume-Uni. Officiellement, la police a interdiction formelle d’intervenir lorsque les small boats sont déjà en mer. Dans une directive à diffusion restreinte du 10 novembre 2022, le préfet maritime de la Manche et de la mer du Nord, Marc Véran, rappelait que « le cadre de l’action des moyens agissant en mer (…) y compris dans la bande littorale des 300 mètres (…) est celui de la recherche et du sauvetage en mer » et « ne permet pas de mener des actions coercitives de lutte contre l’immigration clandestine ».

      Et ce, en dépit de la pression constante sur le littoral : alors que moins de 2 000 personnes ont traversé la Manche en 2019, elles étaient plus de 45 000 en 2022 et près de 30 000 en 2023. Un phénomène qui est devenu un irritant majeur dans la relation franco-britannique.

      Manœuvre dangereuse

      Au terme de plusieurs mois d’enquête, Le Monde, ses partenaires du collectif de journalistes Lighthouse Reports, du journal britannique The Observer et de l’hebdomadaire allemand Der Spiegel ont pourtant pu documenter différentes situations, parfois filmées, où des tactiques agressives similaires à celles que dénonce Ziko ont été employées depuis juillet 2023. D’après nos informations, elles sont même comptabilisées par le ministère de l’intérieur sous la dénomination explicite d’« interceptions en mer ». Des données d’une sensibilité telle qu’elles ne font l’objet d’aucune publicité.

      D’autres que Ziko en témoignent. La Défenseure des droits explique au Monde que quatre saisines sont en cours d’investigation portant sur des interceptions en mer en 2022 et 2023. Par ailleurs, l’inspection générale de la police nationale est saisie depuis l’automne 2023 d’une enquête préliminaire à la suite d’un signalement au parquet de Boulogne-sur-Mer (Pas-de-Calais) effectué par Rémi Vandeplanque, un garde-côte douanier et représentant du syndicat Solidaires.

      Ce dernier rapporte que, le 11 août 2023, au petit matin, un gendarme aurait demandé à un membre d’équipage de la Société nationale de sauvetage en mer (SNSM) de l’aider à percer un bateau au large de la plage de Berck-sur-Mer (Pas-de-Calais) avec une dizaine de personnes à son bord. Une manœuvre dangereuse que le sauveteur a refusé d’effectuer, tout en avisant le centre régional opérationnel de surveillance et de sauvetage (Cross) de Gris-Nez (Pas-de-Calais).

      L’échange a été entendu sur l’un des canaux radio utilisés par le Cross. « En tant que policier, on ne peut pas agir d’une manière qui met la vie d’autrui en danger, affirme Rémi Vandeplanque. On doit respecter les règles. » Sollicitée, la préfecture maritime de la Manche et de la mer du Nord assure que, « si elle est avérée, cette initiative ne pourrait être qu’une initiative individuelle de la personne en question et inappropriée ».

      Rares sont les images qui documentent ces pratiques, mais une vidéo inédite que nous nous sommes procurée, datée du 9 octobre 2023, montre un semi-rigide de la police nationale tourner autour d’un small boat dans le port de Dunkerque en créant à dessein des vagues qui déstabilisent la petite embarcation. A bord se trouvent pourtant une trentaine de passagers. Une partie d’entre eux se tient sur le boudin du canot. De l’eau entre dans l’embarcation au point que ceux assis au milieu sont immergés jusqu’aux genoux. Le policier semble ensuite dire aux occupants du petit bateau de retourner sur le bord. Les migrants seront finalement débarqués sains et saufs.

      Une manœuvre dangereuse, jugent plusieurs experts maritimes, d’autant que, en cas de chavirement, les embarcations légères des forces de l’ordre ne sont pas dimensionnées pour conduire des opérations de sauvetage. « Cette vidéo m’a choqué, raconte Kevin Saunders, ancien officier de la Border Force britannique en poste à Calais jusqu’en 2016 et connu pour ses positions extrêmement critiques à l’égard de l’immigration. Elle me rappelle ce que les Grecs faisaient à la frontière maritime avec la Turquie. Je suis surpris que les Français fassent cela parce que c’est contraire à leur interprétation du droit de la mer. »

      « Les Français sont poussés à jouer le même rôle dans la Manche que celui que l’Union européenne offre aux pays africains. Paris reçoit beaucoup d’argent des Anglais pour empêcher les migrants de partir ou les arrêter en mer », renchérit de son côté le politiste autrichien Gerald Knaus, architecte de l’accord de lutte contre l’immigration irrégulière entre l’Union européenne et la Turquie, faisant référence à la pression grandissante des autorités britanniques.

      Crever des bateaux bondés

      De son côté, la préfecture de la zone de défense et de sécurité Nord relativise : « On était en journée, dans une enceinte portuaire. Le but de l’intervention est de dissuader les passagers de s’approcher de la digue du Braek [qui mène à la mer du Nord]. C’est la seule fois où on a pu intercepter un small boat par cette manœuvre et ça a été dissuasif. Toutes les personnes migrantes ont été sauvées et les passeurs interpellés. »

      Dans une seconde vidéo, diffusée sur le réseau social TikTok en juillet 2023, un semi-rigide appartenant à la vedette de gendarmerie maritime Aber-Ildut, déployée depuis 2022 dans la Manche, est filmé en train de percuter à deux reprises une embarcation de migrants à pleine vitesse, au large des côtes de Boulogne-sur-Mer. Trois gendarmes sont à bord. L’un d’entre eux brandit une bombe de gaz lacrymogène en direction du small boat et intime à ses passagers de s’arrêter. Une pratique, encore une fois, contraire au cadre opérationnel français.

      « Refusant le contrôle coopérant, aucune action de coercition n’a été réalisée et cette embarcation a librement poursuivi sa route, précise la préfecture maritime, interrogée sur cette action. Le nombre de ces contrôles reste très modeste, aucun naufrage, blessé ou procédure non conforme n’a été signalé. »

      D’autres témoignages, recueillis auprès de migrants à Calais (Pas-de-Calais) ou à Loon-Plage, décrivent des tentatives de traversées empêchées par des forces de l’ordre, qui s’avancent dans l’eau, jusqu’aux épaules parfois, pour crever des bateaux bondés de passagers. « A aucun moment de telles consignes ne sont données ni même suggérées aux équipes coordonnées, assure pourtant la préfecture maritime, bien au contraire, la préservation de la vie humaine en mer est le seul credo qui vaille. »

      La lutte contre l’immigration irrégulière franchit-elle la ligne rouge ? Le 10 mars 2023, une grappe de journalistes trépignent dans la cour de l’Elysée balayée par un vent hivernal. Tous attendent la poignée de main entre le chef de l’Etat, Emmanuel Macron, et le premier ministre britannique, Rishi Sunak, sur le perron du palais présidentiel. C’est le premier sommet bilatéral entre les deux pays depuis cinq ans. Le rapprochement qui doit être mis en scène ce jour-là va s’incarner sur un sujet : l’immigration. Londres annonce le versement sur trois ans de 543 millions d’euros à la France pour « stopper davantage de bateaux », au titre du traité de Sandhurst de 2018.

      Cet argent va permettre de financer le déploiement de réservistes et l’installation de barrières et de caméras de vidéosurveillance sur la Côte d’Opale, mais aussi la surveillance aérienne du littoral ou encore l’équipement des forces de l’ordre en drones, jumelles à vision nocturne ou semi-rigides, comme celui que l’on voit à l’œuvre dans la vidéo prise dans le port de Dunkerque. Une tranche importante d’une centaine de millions d’euros est aussi dévolue à des projets immobiliers tels que la création d’un centre de rétention administrative vers Dunkerque ou d’un lieu de cantonnement pour les CRS à Calais. Désormais, plus de 700 policiers et gendarmes sillonnent vingt-quatre heures sur vingt-quatre heures les 150 kilomètres de littoral.

      « Pression énorme » des Britanniques

      Il n’est pas question ici de sauvetage en mer, au grand dam de certains opérateurs qui verraient bien leur flotte renouvelée alors que les naufrages d’embarcations sont récurrents et mettent à rude épreuve les équipages. Ainsi la SNSM a échoué à plusieurs reprises à bénéficier des fonds Sandhurst, « parce que son action n’est pas assimilable à de la lutte contre l’immigration illégale », justifie à regret un cadre de l’association dans un document que nous avons pu consulter.

      L’enveloppe d’un demi-milliard d’euros débloquée par les Britanniques en 2023 constitue, de l’aveu de plusieurs sources au ministère de l’intérieur, un tournant. « Cela a vraiment contractualisé la relation entre les deux pays, rapporte un cadre de la Place Beauvau, sous le couvert de l’anonymat. Les Anglais se comportent avec nous comme nous on le ferait avec un pays tiers. Ils mettent une pression énorme au quotidien sur le déblocage des crédits, si les chiffres ne s’améliorent pas. C’est non-stop et à tous les niveaux. »

      Déjà présents au sein d’un centre conjoint d’information et de coordination franco-britannique ainsi que dans une unité de renseignement à Coquelles (Pas-de-Calais), des officiers de liaison britanniques de la Border Force participent aussi, officiellement comme simples observateurs, à la réunion hebdomadaire de l’état-major de lutte contre l’immigration clandestine. « Ils sont extrêmement intrusifs, mais ils connaissent bien la zone, ils savent où on contrôle bien, où on est en difficulté », affirme un cadre de la gendarmerie.

      Pour tarir les flux de migrants, les Britanniques ne manquent pas d’idées. En octobre 2020, le gouvernement conservateur de Boris Johnson disait réfléchir à installer des machines à vagues pour repousser les small boats. En août 2021, la ministre britannique de l’intérieur d’alors, Priti Patel, est revenue enthousiasmée d’une visite en Grèce où elle a effectué des patrouilles avec les gardes-côtes helléniques en mer Egée, l’une des portes d’entrée en Europe. « Elle a dit que nous devrions apprendre des Grecs, se souvient une source au Home Office. Ils étaient très agressifs, avaient un bon taux de détection. » Et ont, à de nombreuses reprises, fait l’objet d’accusations de refoulements illégaux de demandeurs d’asile vers la Turquie.

      Toutes ces idées sont partagées avec la France lors de réunions bilatérales. « Pour les Britanniques, il fallait attraper les bateaux en mer. Ils le disaient de façon par moment insistante, lâche un haut fonctionnaire du ministère de l’intérieur, en poste jusqu’à fin 2020. Ils nous ont même expliqué comment faire, par exemple en lançant des grappins ou des filets. » A la préfecture de la zone de défense et de sécurité Nord, on reconnaît que « de nouvelles techniques sont essayées en permanence », à l’image de celle qui consiste à paralyser l’hélice d’un bateau de migrants à l’aide de filets.

      Mais « cela n’a pas été concluant », assure-t-on. « Notre stratégie, ça a été plutôt de dire qu’il fallait une forte présence sur les plages et empêcher les livraisons de bateaux, corrobore un ancien directeur de la police aux frontières. En mer, on porte secours aux personnes, on ne les intercepte pas. » D’autres croient que ce qui a freiné les autorités tient plutôt à des contingences matérielles : « Il n’y avait pas de moyens nautiques pour cela », assure l’ancien haut fonctionnaire du ministère de l’intérieur.

      Vingt-quatre noyades depuis 2023

      L’ampleur du phénomène des traversées persistant, les digues ont-elles sauté ? Les manœuvres en mer des forces de l’ordre « se comptent sur les doigts d’une main », balaye une source au ministère de l’intérieur.

      Le 10 mars 2023, tandis qu’Emmanuel Macron et Rishi Sunak enterrent à l’Elysée des années de brouille diplomatique, le préfet maritime Véran signe une nouvelle directive à diffusion restreinte. Elle précise le cadre de certaines manœuvres opérationnelles face à l’apparition du phénomène des taxis boats, ces embarcations qui longent la côte et récupèrent les migrants directement à l’eau pour éviter les interceptions sur les plages. La directive ouvre la voie à l’interception de small boats en mer par les forces de sécurité intérieure, à condition d’opérer « uniquement de jour », dans la bande côtière de 200 mètres de littoral, avant que le taxi boat n’embarque des passagers et dans le cas où « moins de trois personnes » seraient à bord.

      L’intervention est conditionnée, explique le vice-amiral, au comportement coopératif des occupants du bateau, mais aussi à l’absence de risques de mise en danger de la vie humaine. « En dehors des missions dédiées de contrôle des taxis boats, (…) le cadre juridique de la lutte contre l’immigration clandestine en mer se limite à l’exercice de pouvoirs de police à l’encontre des passeurs et non des passagers eux-mêmes », insiste M. Véran. Le préfet maritime ordonne d’éviter à tout prix des « routes de collision ».

      A la garde-côte douanière, Rémi Vandeplanque s’inquiète : « C’est une évolution choquante, mais ce n’est vraiment pas une surprise. » Un sentiment partagé par l’association d’aide aux migrants Utopia 56, présente sur le littoral et qui fustige, par la voix de son porte-parole, Nikolaï Posner, une « violence stérile et illégitime ». « Depuis octobre 2021 et la mise en place d’une maraude qui sillonne la côte, l’association est souvent la première à recueillir les témoignages de ceux qui ont tenté la traversée. »

      Sollicitée sur les différents cas de pratiques dangereuses des forces de l’ordre à l’encontre de small boats déjà à l’eau, la préfecture de la zone de défense et de sécurité Nord renvoie vers la préfecture maritime de la Manche et de la mer du Nord, qui est l’autorité compétente en mer. De plus, elle insiste sur la violence des réseaux de passeurs, confrontés à « la montée en puissance des saisies de bateaux en amont du littoral et sur les plages ».

      Les autorités décrivent ainsi comment « des personnes migrantes sont parfois sommées de créer des lignes de défense » et de jeter des pierres aux forces de l’ordre, pour permettre la mise à l’eau des small boats. Quarante et un policiers et gendarmes ont été blessés à cette occasion en 2023 et la préfecture a dénombré sur la même période « 160 confrontations sur les plages, c’est-à-dire avec usage de la force et de gaz lacrymogènes, alors qu’il n’y en a quasiment pas eu en 2022 ».

      C’est ce qui s’est notamment passé le 15 décembre 2023, à Sangatte, dans le Pas-de-Calais. D’après les éléments partagés par le parquet de Boulogne-sur-Mer, un groupe de migrants aurait fait barrage à des policiers pour permettre à un bateau de partir. Les policiers auraient essuyé des jets de projectiles et fait usage de gaz lacrymogènes en retour. Un récit en substance corroboré par plusieurs témoins présents sur place ce jour-là. Parvenu à prendre la mer, le small boat aurait rapidement subi une avarie de moteur et voulu regagner le rivage.

      Un migrant somalien parmi les passagers assure que, à bord du bateau, un jeune homme de 25 ans a par ailleurs été victime d’un malaise. La police aurait continué d’user de gaz lacrymogènes et se serait avancée pour crever le bateau avant qu’il n’ait pu atteindre le rivage. « Une personne de nationalité soudanaise se retrouve inanimée sur la plage », selon le parquet, et décède peu de temps après d’un arrêt cardio-respiratoire, en dépit des tentatives de le réanimer. « Depuis août 2023, on observe une recrudescence des événements dramatiques », dit le procureur de Boulogne-sur-Mer, Guirec Le Bras. Sans parvenir à expliquer cette particularité, il note que sa juridiction a recensé dix-neuf décès par noyade, survenus pour « la plupart au bord de l’eau ».

      Au total, selon l’estimation de la préfecture du Nord, vingt-quatre personnes sont décédées par noyade depuis 2023. Les autorités incriminent des « embarcations beaucoup plus chargées et une dégradation de la qualité des bateaux ». Dans un rapport publié en janvier, le réseau d’activistes Alarm Phone alertait sur ces morts près des côtes : « L’augmentation des fonds alloués à la France s’est traduite par un renforcement de la police, une augmentation de la violence sur les plages et, par conséquent, une augmentation des embarquements dangereusement surpeuplés et chaotiques au cours desquels des personnes perdent la vie. »

      « Nous avons dû nager »

      C’est peu ou prou ce que rapportent des migrants après une tentative de traversée échouée dans la nuit du 2 au 3 mars. Un exilé syrien de 27 ans, Jumaa Alhasan, s’est noyé dans le canal de l’Aa, un fleuve côtier qui se jette dans la mer du Nord. Plusieurs témoins, interrogés par Le Monde, assurent l’avoir vu tomber dans l’eau lors d’une intervention des forces de l’ordre qui aurait provoqué la panique des passeurs et poussé le Syrien à s’élancer depuis les rives de l’Aa pour tenter de sauter sur le canot en marche, là où le bateau était censé accoster et embarquer tout le monde. « Pour moi, il ne serait pas mort si les policiers français n’avaient pas été là », ne décolère pas Youssef, témoin de la scène. Le corps de Jumaa Alhasan a été retrouvé dans le chenal de l’Aa mardi 19 mars.

      Il est près de midi sur un des campements de Calais, ce 22 janvier. Sous le crachin habituel, un homme débite du bois pour alimenter un brasero autour duquel viennent se masser une demi-douzaine d’hommes. La plupart viennent du Pendjab, une région à majorité sikhe du nord de l’Inde. Tous sont arrivés il y a quelques semaines dans le nord de la France.

      Cinq jours plus tôt, Satinder, Paramjit et Gurfateh ont tenté une traversée. Ils ont longé l’autoroute qui mène jusqu’au port de Calais pour arriver au pied des dunes. « On a mis le bateau sur la plage, on l’a gonflé, tout se passait bien », rappelle Satinder, grand gaillard barbu, emmitouflé dans un cache-cou. Les trois hommes naviguent une petite dizaine de minutes au petit jour sans anicroche. Ils sont quarante-six à bord, la plupart avec des gilets de sauvetage. La météo n’est pas mauvaise, la mer presque plate.

      Ils entendent finalement une voix qui semble les poursuivre : « Stop the boat. » Un bateau s’approche du leur. La voix répète : « Stop the boat. » Satinder aperçoit une embarcation de la gendarmerie qui arrive par l’ouest. Le conducteur panique, remet les gaz sans parvenir à distancer les gendarmes. « Ils étaient quatre sur le bateau. Ils ont tourné autour de nous et ils nous ont dit que les conditions météorologiques étaient trop dangereuses, qu’ils ne pouvaient pas nous laisser partir », explique Satinder. L’un des gendarmes sort alors un « click-knife [un couteau d’attaque] », raconte Gurfateh, et assène un coup dans l’embarcation. L’air s’échappe du boudin. Le bateau s’affaisse.

      Le conducteur met alors le cap sur la terre ferme, mais le bateau coule avant de rejoindre la plage. « Nous avons dû nager une dizaine de minutes. Heureusement qu’il n’y avait presque que des adultes. Il y avait juste une petite fille de 4 ans », complète Satinder. Sur la plage, le groupe, hébété, reprend ses esprits avant de regagner la route du campement. Les trois hommes n’ont pas abandonné l’idée de traverser. Le 9 février, ils ont saisi la Défenseure des droits. « Ce jour-là, nous avons failli mourir. »

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/23/dans-la-manche-les-techniques-agressives-de-la-police-pour-empecher-les-trav

  • #Route_des_Balkans : les migrants noyés dans la Drina

    Des dizaines de migrants en route vers l’Union européenne meurent noyés chaque année dans les eaux froides de la #rivière #Drina entre la #Serbie et la #Bosnie et sont enterrés anonymement dans les cimetières voisins, où des activistes bénévoles tentent de leur donner une sépulture digne et de retrouver leurs proches sans nouvelles.

    https://www.arte.tv/fr/videos/119298-000-A/route-des-balkans-les-migrants-noyes-dans-la-drina
    #Bosnie-Herzégovine #cimetière #mourir_aux_frontières #vidéo #reportage #morts_aux_frontières #Balkans #noyade #migrations #réfugiés #frontières #cimetière #Nihad_Suljic #Vidak_Simic #Bijeljina #anonymat #identification #autopsie #ADN #DNA

  • Espagne : enquête sur un trafic de cadavres de migrants algériens

    Une vingtaine de personnes, dont des employés des pompes funèbres, des assistants légistes et du personnel de l’administration judiciaire, est visée par une enquête de la justice espagnole pour avoir participé à un vaste réseau de trafic de cadavres de migrants algériens. Ils faisaient payer les familles des victimes pour identifier les corps, en dehors de tout cadre légal.

    Au moins 20 personnes font l’objet d’une enquête dans les villes espagnoles de Murcie, Alicante, Almería et Madrid, et quatre ont été interpellées ce week-end pour appartenir à une organisation de trafic de cadavres de migrants, révèle le média La Verdad. Parmi ceux visés par la justice figurent des employés des pompes funèbres, des assistants légistes et du personnel de l’administration judiciaire affecté à l’Institut de médecine légale de Carthagène.

    Les membres de ce réseau sont accusés d’avoir demandé de l’argent, en dehors de tout cadre légal, à des familles d’exilés algériens à la recherche de leur proche disparu lors de la traversée de la Méditerranée.

    La manière de procéder était bien rodée : ils publiaient la photo d’un cadavre de migrant sur les réseaux sociaux afin d’appâter les familles sans nouvelles d’un frère, d’un fils, d’un mari ou d’un père. Ils leur facturaient ensuite différentes sommes, dont le montant n’a pas été divulgué, pour permettre d’identifier le corps et de le rapatrier au pays. Pour l’heure, on ne sait pas si l’identification était formelle et que le défunt était bien celui que les proches recherchaient ou s’ils ont falsifié des documents.

    Les quatre personnes interpellées ont été placées en détention provisoire par le tribunal de Carthagène. « Ces détenus font l’objet d’une enquête pour appartenance à une organisation criminelle, escroquerie, falsification de documents publics et délits contre le respect des défunts », précise la note de la justice transmise aux médias espagnols.
    Absence de protocoles clairs et homogènes

    En Espagne, il n’existe pas de protocoles clairs et homogènes pour procéder à la recherche des personnes disparues et à l’identification des personnes décédées sur la route de l’exil. Le manque d’informations et de règles favorise depuis des années le développement d’intermédiaires entre les autorités espagnoles et les familles des défunts.

    De plus, les proches font souvent face au silence des autorités espagnoles – et algériennes. « Malheureusement, les États ne respectent pas leur obligation de recherche lorsque les personnes disparues sont des migrants », affirme l’association Caminando Fronteras.

    Dans les morgues, les manières de gérer les cadavres et les familles diffèrent de l’une à l’autre. Dans celle « de Murcie, on a été bien reçu », expliquait l’an dernier à InfoMigrants Abdallah, à la recherche de son cousin disparu en mer en tentant de rejoindre l’Espagne depuis les côtes algériennes. « À Almeria, par contre, c’était plus compliqué. Il nous a fallu l’autorisation d’un commandant de gendarmerie pour vérifier qu’un cadavre qui correspondait aux caractéristiques physiques d’Oussama, et arrivé le jour supposé du naufrage, était bien celui de mon cousin. Malgré notre insistance auprès des autorités, nous ne l’avons jamais obtenue. C’était très dur pour nous. On nous a aussi interdit de voir les affaires personnelles retrouvés sur le corps. Alors qu’on a ce droit ».

    Les proches des exilés disparus peuvent faire appel à des associations, comme Caminando Fronteras, pour les aider dans leurs démarches et leur éviter de se faire escroquer par des personnes mal intentionnées.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/55761/espagne--enquete-sur-un-trafic-de-cadavres-de-migrants-algeriens

    #cadavres #trafic #trafic_de_cadavres #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #business #Espagne #Algérie #pompes_funèbres #enquête #migrants_algériens #identification #disparus #escroquerie #morgues

    • Los piratas de los muertos de las pateras: el negocio con los cuerpos de la inmigración irregular

      EL PAÍS revela el ‘modus operandi’ de una trama que se lucraba con la desesperación de familias argelinas y marroquíes.

      Las fotos que publicaba Francisco Clemente (https://elpais.com/masterdeperiodismo/2021-07-29/el-interprete-de-los-muertos.html) en sus redes sociales no pasaban inadvertidas para nadie. Durante años, este almeriense anónimo divulgó decenas de imágenes en las que podían verse cadáveres arrojados por el mar o cuerpos en la morgue dispuestos antes de la autopsia, todos muertos durante su viaje en patera hacia costas españolas. Muy pocas personas tienen acceso a ese material tan sensible, pero Clemente, no se sabe muy bien cómo, lo conseguía. Y se dio cuenta de que tenía en sus manos un valioso botín con el que hacer dinero. Un negocio que se lucraba con los muertos de la inmigración irregular.

      Este joven almeriense, de 27 años, cayó el pasado sábado detenido en una operación de la Guardia Civil acusado, entre otros delitos, de revelación de secretos y pertenencia a una organización criminal. EL PAÍS investiga los movimientos y conexiones de Clemente desde octubre de 2021 y revela, tras su detención, cómo operaban él y sus cómplices.

      Con esas fotografías de cadáveres y otro tipo de información privilegiada, Clemente dejó de ser tan anónimo y se convirtió en un referente para cientos de familias argelinas y marroquíes que habían perdido la pista de sus seres queridos al intentar emigrar a España. Madres, hermanos o primos que buscaban saber si sus seres queridos estaban vivos o muertos. Clemente creó a mediados de 2020 la cuenta Héroes del Mar en la red social X (antes Twitter) y en Facebook y, junto a su perfil personal, sumaba más de 150.000 seguidores a los que pedía donaciones. Hasta la prensa argelina le dedicaba artículos.
      Más información
      Condenados a una lápida sin nombre

      El joven, que se ganaba la vida vendiendo antiguallas por Wallapop, acabó montando un negocio haciendo de mediador entre las familias que buscaban a sus parientes desaparecidos o muertos, según fuentes policiales. No estaba solo, trabajaba en nombre del Centro Internacional para la Identificación de Migrantes Desaparecidos (CIPMID), una ONG de nombre rimbombante que, a diferencia de otras ONG más conocidas, no consta que reciba ninguna subvención o ayuda pública. Para algunas familias, Clemente fue la única fuente de información ante su pérdida y están agradecidos, aunque también dejó un reguero de familias que se sienten estafadas, según la docena de testimonios recogidos por EL PAÍS.

      Fran —como llaman a Francisco Clemente— al final cavó su propia tumba. Las mismas fotos con las que empezó todo encendieron las alarmas de la Guardia Civil que inició una investigación por la que ha acabado detenido junto a otras tres personas. Dos de los detenidos —el dueño de una funeraria y supuesto líder de la trama y el conductor del coche fúnebre de otra— permanecen en prisión sin fianza. A Fran, en libertad, se le ha retirado el pasaporte. Este diario ha intentado contactar con él, pero no ha obtenido respuesta.

      Los agentes han señalado a al menos una veintena de sospechosos, entre ellos, varios dueños de funerarias, auxiliares forenses y funcionarios del Instituto de Medicina Legal de Cartagena. Según se desprende de la investigación, Fran es sospechoso de integrar una especie de cártel que se disputaba los cadáveres de los inmigrantes. La trama supuestamente cobraba entre 3.000 y 10.000 euros por facilitar información a las familias, identificar y repatriar a los muertos. “El precio dependía del seguimiento que debían hacer del caso, pero también de la capacidad económica que viesen en los familiares”, explican fuentes de la investigación.

      Según el papel que jugaba cada uno de los participantes, la Guardia Civil les atribuye presuntos delitos contra la libertad de conciencia, contra los sentimientos religiosos y el respeto a los difuntos, además de por pertenencia a organización criminal, revelación de secretos, omisión del deber de perseguir delitos, estafa y cohecho. “Esto es solo la punta del iceberg”, afirman fuentes de la investigación, que deben ahora analizar una ingente cantidad de material incautado.

      La red, sin muchos escrúpulos, tiene su epicentro en Almería y Murcia, y tentáculos en Málaga, Baleares y Alicante, provincias a las que llegan los náufragos sin vida de las pateras. La trama se embolsó presuntamente decenas miles de euros con el sufrimiento de decenas de familias.
      Enganchado a la radio de Salvamento Marítimo

      Fran se metió en el mundo de la inmigración irregular en 2018, coincidiendo con el incremento de la llegada de pateras que salían desde Argelia. Su relación con el fenómeno —salvo por un breve pasaje por la Cruz Roja de donde lo echaron “por comportamientos inadecuados”—era nula, pero se aficionó a sintonizar la frecuencia de radio de Salvamento Marítimo y estaba al tanto de todos los rescates. Pasaba horas en el puerto de Almería y fotografiaba y grababa el desembarco de los inmigrantes, imágenes que, según ha confirmado EL PAÍS con sus compradores, también vendía a interesados en divulgar en redes mensajes contrarios a la inmigración irregular.

      En una de las varias denuncias que se han formalizado en comisarías de toda España contra él, una mujer que pide anonimato acusa Fran de relacionarse con los patrones de las pateras (suele saber con precisión cuándo salen y llegan las embarcaciones) así como de encubrirlos para evitar su detención. La mujer también asegura que fue testigo de cómo Fran contactó con familias para pedirles dinero si querían que su pariente “no tuviese problemas en España”. Presumía, según el acta de declaración de testigo a la que tuvo acceso EL PAÍS, de dar dinero a jueces y policías para evitar que los inmigrantes estuviesen presos. La mujer declaró a los agentes tener “pánico” de Fran y la ONG para la que trabaja.

      Con el tiempo, las posibilidades de negocio fueron creciendo. Fran, que vive con sus padres, ya no se limitaba a dar información a las familias sobre si sus parientes habían llegado o no, sino que encontró al que la Guardia Civil considera el líder de la red criminal, el propietario de una funeraria sin mucha actividad oficial. Este hombre, llamado Rachid, tenía una serie de funerarias amigas con las que hacer negocio y juntos, presuntamente, se disputaban los cadáveres de migrantes magrebíes que llegaban a las costas de sus zonas de actuación. “Decían a las familias que ellos eran los únicos capaces de repatriar el cuerpo”, mantienen fuentes de la investigación. Mentían. Rachid está en prisión sin fianza desde el sábado.

      Todos ganaban. Para Fran, las funerarias eran clave para cerrar el círculo que iniciaba con las familias de los migrantes que le contactaban. Y para las funerarias, Fran suponía un filón porque tenía contacto directo con decenas de potenciales clientes. Solo en 2023, se registraron casi 500 muertes de migrantes en la ruta migratoria que lleva a España por el Mediterráneo.

      Con el dinero que cobraban a las familias, a veces muy por encima de los 3.000 euros que suele costar una repatriación al uso, los investigadores sostienen que se repartían comisiones por adjudicarse los trámites administrativos y funerarios necesarios para repatriar los cuerpos a Argelia o Marruecos. Algunos implicados además pagaban por certificados de defunción falsos y otros trámites que aceleraban las repatriaciones, según la investigación.
      El conseguidor

      Según se lee en un fragmento del sumario al que ha tenido acceso EL PAÍS, Rachid sería “el conseguidor” o “líder de la organización criminal” en la misión de conseguir adjudicarse los cadáveres —previa exhibición a sus familiares de datos, informaciones e incluso fotografías de los cuerpos—, y su posterior repatriación.

      Rachid estaba muy conectado con la comunidad musulmana y sería supuestamente el intermediario con consulados de los fallecidos, generalmente de Marruecos y Argelia. En el registro de su casa se encontraron 60.000 euros en efectivo “de origen desconocido”, sellos médicos a nombre de otro investigado por expedir un certificado de defunción presuntamente falsificado, licencias de enterramiento y dos coches de alta gama “con gran cantidad de billetes en su interior”.

      España carece de protocolos claros y homogéneos para facilitar que las familias puedan identificar a las víctimas de la inmigración irregular. Quien tiene medios e información sobre cómo proceder debería personarse en una comisaria o comandancia y denunciar la desaparición de su familiar. Para ello, si está en Marruecos o en Argelia, tendría que conseguir un visado para desplazarse a España o conseguir un apoderado que lo haga en su nombre. El proceso suele exigir pruebas de ADN y si, se complica, hasta un procurador y un abogado. Confirmar una muerte es, por lo general, una labor hercúlea que las familias no pueden asumir en la lejanía y sin hablar español.

      Ante las dificultades y la falta de canales adecuados, han ido apareciendo facilitadores que median entre las autoridades españolas y los parientes de los muertos. La mayoría lleva mucho tiempo haciéndolo de forma altruista, por convencimiento y sin cobrarlas, pero también han surgido aprovechadores que han hecho negocio con el dolor de cientos de familias que siguen sin saber adónde acudir.

      https://elpais.com/espana/2024-03-13/los-piratas-de-los-muertos-de-las-pateras-el-negocio-con-los-cuerpos-de-la-i

  • Pour les migrants, l’année #2023 a été la plus meurtrière de la décennie, selon l’ONU

    Au moins 8 565 personnes sont mortes sur les routes migratoires l’an passé, selon l’Organisation internationale pour les migrations. La traversée de la mer Méditerranée reste la route la plus meurtrière, avec au moins 3 129 morts ou disparitions enregistrées.

    Il s’agit de l’année la plus meurtrière de la décennie sur les routes de migration dans le monde. Au moins 8 565 personnes migrantes sont mortes en 2023, a affirmé, mercredi 6 mars, l’Organisation internationale pour les migrations (#OIM). La traversée de la mer Méditerranée reste la route la plus meurtrière, avec au moins 3 129 morts ou disparitions enregistrées l’an dernier.

    « Le nombre des morts en 2023 représente une augmentation tragique de 20 % par rapport à celui de 2022, ce qui souligne le besoin urgent d’agir pour éviter de nouvelles pertes de vies humaines », a déclaré cette agence de l’ONU dans un communiqué. Il dépasse le précédent chiffre le plus élevé établi en 2016, lorsque 8 084 migrants étaient morts sur les routes de retour de leur exil.

    Plus de la moitié des morts sont dues à des noyades

    L’OIM souligne que les voies migratoires sûres et légales restent peu nombreuses, ce qui pousse des centaines de milliers de personnes chaque année à tenter leur chance dans des conditions dangereuses. Un peu plus de la moitié des morts survenues l’année dernière sont dues à des noyades ; 9 %, à des accidents de voiture ; 7 %, à des actes de violence.

    « Alors que nous célébrons les dix ans du projet Missing Migrants, nous nous souvenons d’abord de toutes ces vies perdues, a déclaré le directeur général adjoint de l’OIM, Ugochi Daniels, cité dans le communiqué. Chacune d’entre elles est une terrible tragédie humaine, qui se répercute sur les familles et les communautés pendant des années. »

    Le projet Missing Migrants de l’OIM, créé en 2014, est une banque de données en libre accès qui recense les morts et disparitions de migrants. Depuis sa mise en œuvre, plus de 63 000 cas ont été répertoriés dans le monde, mais le nombre réel est beaucoup plus élevé. Les migrants étant incités à employer des routes parfois très isolées pour échapper aux autorités, la collecte de données fiables est d’autant plus difficile.

    « Ces chiffres horribles collectés par le #Missing_Migrants_Project nous rappellent également que nous devons réaffirmer notre engagement à agir davantage pour garantir une migration sûre pour tous, afin que dans dix ans les gens n’aient pas à risquer leur vie à la recherche d’un meilleur avenir », a encore affirmé le directeur général adjoint de l’OIM.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/03/06/immigration-l-annee-2023-a-ete-la-plus-meurtriere-de-la-decennie-selon-l-onu
    #migrations #statistiques #chiffres #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #réfugiés #mortalité #monde #IOM #Missing_Migrants

  • La commemorazione ipocrita di #Bologna per la strage di Cutro
    https://www.meltingpot.org/2024/03/la-commemorazione-ipocrita-di-bologna-per-la-strage-di-cutro

    Ieri a Bologna il sindaco, Matteo Lepore, insieme al sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, hanno sfilato sulle tombe di 15 delle persone afghane morte nella strage di Cutro che sono state seppellite a Borgo Panigale. Hanno parlato di memoriali, umanità e tante belle cose. Nessun riferimento alle famiglie o ai sopravvissuti che ovviamente non sono stati invitati né contattati. Dimenticati e invisibilizzati, ancora una volta. Un gesto – come hanno spiegato i familiari delle vittime e diverse organizzazioni solidali in un comunicato – considerato ipocrita, con la presenza di una persona come il sindaco di Cutro che ha insultato (...)

    #Comunicati_stampa_e_appelli #Emilia-Romagna #Italia #Naufragi_e_sparizioni #Solidarietà_e_attivismo #Strage_di_Cutro_KR_

  • N.N. – No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise
    https://www.meltingpot.org/2024/03/n-n-no-name-no-nation-not-necessary-no-noise

    di Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica APS e Andrea Rizza Goldstein, Arci Bolzano-Bozen É a partire dalla fine del 2017 che il flusso delle persone in movimento per le rotte dei Balcani ha cominciato a interessare in maniera sempre più consistente la Bosnia-Erzegovina. Se all’inizio del 2018 la via di accesso principale passava dal Montenegro e prima ancora dalla Grecia e dall’Albania, già qualche segnale di quella che sarebbe poi diventata la via più utilizzata dal 2019 lo si registrava lungo le rive del fiume Drina, al confine tra Serbia e Bosnia-Erzegovina. Uno degli indicatori di questi attraversamenti, (...)

    #Notizie #Confini_e_frontiere #Redazione

  • Rotta balcanica: i sogni spezzati nella Drina
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Rotta-balcanica-i-sogni-spezzati-nella-Drina-229948

    Nelle acque del fiume Drina, in Bosnia Erzegovina, decine di migranti sono morti nel tentativo di avvicinarsi al sogno di una vita migliore in quell’Europa che li respinge. Volontari del Soccorso alpino di Bijeljina e attivisti sono impegnati nel difficile recupero dei corpi

    • Rotta balcanica : i sogni spezzati nella Drina

      Nelle acque del fiume Drina, in Bosnia Erzegovina, decine di migranti sono morti nel tentativo di avvicinarsi al sogno di una vita migliore in quell’Europa che li respinge. Volontari del Soccorso alpino di Bijeljina e attivisti sono impegnati nel difficile recupero dei corpi.

      “Finora non mi è mai capitato di sognare uno dei corpi ritrovati, non ho mai avuto incubi. Proprio mai. Credo sia una questione di approccio. Soltanto chi non ha la coscienza pulita fa incubi”, afferma Nenad Jovanović, 37 anni, membro della squadra del Soccorso alpino di Bijeljina.

      Negli ultimi sei anni, Jovanović ha partecipato alle operazioni di recupero di oltre cinquanta corpi di migranti nell’area che si estende dal villaggio di Branjevo alla foce del fiume Drina [nella Bosnia orientale], tutti di età inferiore ai quarant’anni, annegati nel tentativo di entrare in Bosnia Erzegovina dalla Serbia, per poi proseguire il loro viaggio verso altri paesi europei, in cerca di un posto sicuro per sé e per i propri familiari.

      “Ogni volta che scoppia un nuovo conflitto in Medio Oriente, in Afghanistan, Iraq o altrove, assistiamo ad un aumento degli arrivi di migranti in cerca di salvezza nei paesi dell’Unione europea. Purtroppo, per alcuni di loro la Drina si rivela un ostacolo insormontabile. Il loro è un destino doloroso che può capitare a chiunque”, spiega Nenad Jovanović.

      Durante le operazioni di recupero dei corpi, Jovanović più volte è stato costretto a gettarsi nel fiume in piena, rischiando la propria vita.

      “Recentemente abbiamo recuperato il corpo di un uomo proveniente dall’Afghanistan. Era in acqua da circa un anno. I pescatori che per primi lo avevano notato non erano nemmeno sicuri che si trattasse di un corpo umano. Potete immaginare lo stato in cui si trovava”, afferma Jovanović.

      Un suo collega, Miroslav Vujanović, si sofferma sull’aspetto umano del lavoro del soccorritore. “A prescindere dallo stato di decomposizione, cerchiamo in tutti in modi possibili di recuperare il corpo nelle condizioni in cui lo troviamo. Nulla deve essere perso, nemmeno i vestiti. Perché siamo tutti esseri umani. Nel momento del recupero di un corpo magari non pensi alla sua identità, cerchi di fare il tuo lavoro in modo professionale e basta. Poi però quando torni a casa e vedi tua moglie e i figli, inizi a chiederti chi fosse quell’uomo e se anche lui avesse una famiglia. È del tutto normale riflettere su queste cose. Sono però pensieri intimi, che tendiamo a tenere dentro”.

      I volontari del Soccorso alpino di Bijeljina hanno partecipato anche alle operazioni di ricerca e assistenza alle popolazioni colpite dal terremoto nella regione di Banovina (in Croazia) nel 2020 e alle vittime del terremoto che l’anno scorso ha devastato la Turchia. In tutte queste operazioni sono stati costretti ad utilizzare le attrezzature prese in prestito o noleggiate, perché le autorità locali non rispettano gli accordi di cooperazione stipulati con altri paesi. Del resto, la Bosnia Erzegovina è il paese delle assurdità. Lo confermano anche i nostri interlocutori, aggiungendo che a volte si sentono incompresi anche dai loro familiari.

      “Mia moglie spesso si chiede come io possa fare questo lavoro. Oppure invito ospiti a casa per la celebrazione del santo della famiglia, e proprio quando stiamo per tagliare il pane tradizionale, mi chiama la polizia dicendo di aver trovato un cadavere nella Drina. Quindi, mi scuso con gli ospiti, chiedo loro di rimanere e vado a fare il mio lavoro. Non è un lavoro facile, ma per me la più grande soddisfazione è sapere che quel corpo recuperato sarà sepolto degnamente e che la famiglia della vittima, straziata dalla sofferenza, finalmente troverà pace”, spiega Nenad Jovanović.

      Recentemente, Jovanović, insieme ai suoi colleghi Miroslav Vujanović e Safet Omerbegić, ha partecipato ad una cerimonia di commemorazione in memoria dei migranti scomparsi e morti ai confini d’Europa. In quell’occasione sono state inaugurate le lapidi delle tombe dei sedici migranti sepolti nel nuovo cimitero di Bijeljina, situato nel quartiere di Hase. Trattandosi di corpi non identificati, ciascuna delle lastre in marmo nero reca incise, a caratteri dorati, la sigla N.N e l’anno della morte.

      Nel cimitero è stato piantato anche un filare di alberi in memoria delle vittime e sono state collocate due targhe commemorative con la scritta: “Non dimenticheremo mai voi e i vostri sogni spezzati nella Drina”. L’iniziativa è stata realizzata grazie al sostegno dell’associazione austriaca «SOS Balkanroute» e di Nihad Suljić, attivista di Tuzla, che da anni fornisce assistenza concreta ai rifugiati e partecipa alle procedure di identificazione e sepoltura dei morti.

      “Per noi è un grande onore e privilegio sostenere simili progetti. Si tratta di un’iniziativa pionieristica che può fungere da modello per l’intera regione. Per quanto possa sembrare paradossale, siamo contenti che queste persone, a differenza di tante altre, abbiano almeno una tomba. Abbiamo voluto che le loro tombe fossero dignitose e che non venissero lasciate al degrado, come accaduto recentemente a Zvornik”, sottolinea Petar Rosandić dell’associazione SOS Balkanroute.

      Rosandić spiega che la sistemazione delle tombe dei migranti nei cimiteri di Bijeljina e Zvornik è frutto di un’iniziativa di cooperazione transfrontaliera a cui hanno partecipato anche le comunità religiose di Vienna. Queste comunità, che durante la Seconda guerra mondiale erano impegnate nel salvataggio degli ebrei, oggi partecipano a diversi progetti a sostegno dei migranti lungo le frontiere esterne dell’UE.

      “Sulle lastre c’è scritto che si tratta di persone non identificate, ma noi sappiano che in ogni tomba giace il corpo di un giovane uomo i cui sogni si sono spezzati nella Drina. Ognuno di loro aveva una famiglia, un passato, i propri desideri e le proprie aspirazioni. Il loro unico peccato, secondo gli standard europei, era quello di avere un passaporto sbagliato, quindi sono stati costretti a intraprendere strade pericolose per raggiungere i luoghi dove speravano di trovare serenità e un futuro migliore”, afferma l’attivista Nihad Suljić.

      Suljić poi spiega che nel prossimo periodo i ricercatori e gli attivisti si impegneranno al massimo per instaurare una collaborazione con diverse istituzioni e organizzazioni. L’obiettivo è quello di identificare le persone sepolte in modo da restituire loro un’identità e permettere alle loro famiglie di avviare un processo di lutto.

      “Questi monumenti neri sono le colonne della vergogna dell’Unione europea – commenta Suljić - non è stata la Drina a uccidere queste persone, bensì la politica delle frontiere chiuse. Se avessero avuto un altro modo per raggiungere un posto sicuro dove costruire una vita migliore, sicuramente non sarebbero andati in cerca di pace attraversando mari, fiumi e fili spinati. Le loro tombe testimonieranno per sempre la vergogna e il regime criminale dell’UE”.

      Suljić ha invitato i cittadini dell’UE che hanno partecipato alla cerimonia di commemorazione a Bijeljina a chiamare i governi dei loro paesi ad assumersi la propria responsabilità.

      “Non abbiamo bisogno di donazioni né di corone di fiori. Vi invito però a inviare un messaggio ai vostri governi, a tutti i responsabili dell’attuazione di queste politiche, per spiegare loro le conseguenze delle frontiere chiuse, frontiere che uccidono gli esseri umani, ma anche i valori europei”.

      Dalla chiusura del corridoio sicuro lungo la rotta balcanica [nel 2015], nell’area di Bijeljina, Zvornik e Bratunac sono stati ritrovati circa sessanta corpi di migranti annegati nel fiume Drina. Stando ai dati raccolti da un gruppo di attivisti e ricercatori, nel periodo compreso tra gennaio 2014 e dicembre 2023 lungo il tratto della rotta balcanica che include sei paesi (Macedonia del Nord, Kosovo, Serbia, Bosnia Erzegovina, Croazia e Slovenia) hanno perso la vita 346 persone in movimento. Trattandosi di dati reperiti da fonti pubbliche, i ricercatori sottolineano che il numero effettivo di vittime con ogni probabilità è molto più alto. In molti casi, la tragica sorte dei migranti è direttamente legata ai respingimenti effettuati dalle autorità locali e dai membri dell’agenzia Frontex.

      “La morte alle frontiere è ormai parte integrante di un regime di controllo che alcuni autori definiscono un crimine in tempo di pace, una forma di violenza amministrativa e istituzionale finalizzata a mantenere in vita un determinato ordine sociale. Molte persone morte ai confini restano invisibili, come sono invisibili anche le persone scomparse. I decessi e le sparizioni spesso non vengono denunciati, e alcuni corpi non vengono mai ritrovati”, spiega Marijana Hameršak, ricercatrice dell’Istituto di etnologia e studi sul folklore di Zagabria, responsabile di un progetto sui meccanismi di gestione dei flussi migratori alle periferie dell’UE.

      In assenza di un database regionale e di iniziative di cooperazione transfrontaliera, sono i volontari e gli attivisti a portare avanti le azioni di ricerca di persone scomparse e i tentativi di identificazione dei corpi. Al termine della cerimonia di commemorazione, a Bijeljina si è tenuta una conferenza per discutere di questo tema.

      “Molte famiglie non sanno a chi rivolgersi, non hanno mai ricevuto indicazioni chiare. Finora le istituzioni non hanno mai voluto impegnarsi su questo fronte. Spero che a breve ognuno si assuma la propria responsabilità e faccia il proprio lavoro, perché non è normale che noi, attivisti e volontari, portiamo avanti questo processo”, denuncia Nihad Suljić.

      A dare un contributo fondamentale è anche Vidak Simić, patologo ed esperto forense di Bijeljina. Dal 2016 Simić ha eseguito l’autopsia e prelevato un campione di DNA di circa quaranta corpi di migranti, per la maggior parte rinvenuti nel fiume Drina.

      “Questa vicenda mi opprime, non mi sento bene perché non riesco a portare a termine il mio lavoro. Credo profondamente nel giuramento di Ippocrate e lo rispetto. Le leggi e altre norme mi obbligano a conservare i campioni per sei mesi, ho deciso però di conservarli per tutto il tempo necessario, in attesa che il sistema venga cambiato. La mia idea è di raccogliere tutti questi campioni, creare profili genetici individuali, pubblicarli su un sito appositamente creato in modo da aiutare le famiglie – in Afghanistan, Pakistan, Algeria, Marocco e in altri paesi – che cercano i loro cari scomparsi.

      Lo auspicano anche il padre, la madre, la sorella e i fratelli di Aziz Alimi, vent’anni, proveniente dall’Afghanistan, che nel settembre dello scorso anno, nel tentativo di raggiungere la Bosnia Erzegovina dalla Serbia, aveva deciso di attraversare la Drina a nuoto con altri tre ragazzi. Poco dopo la sua scomparsa, nello stesso luogo da dove Aziz per l’ultima volta aveva contattato uno dei suoi fratelli, è stato ritrovato un corpo.

      Dal momento che non è stato possibile identificare il corpo per via del pessimo stato in cui si trovava, i familiari di Aziz, che nel frattempo hanno trovato rifugio in Iran, hanno inviato un campione del suo DNA in Bosnia Erzegovina. Ripongono fiducia nelle istituzioni e nei cittadini bosniaco-erzegovesi per garantire ad Aziz almeno una sepoltura dignitosa.

      Ai presenti alla conferenza di Bijeljina si è rivolta anche la sorella di Aziz, Zahra Alimi, intervenuta con un videomessaggio. “Non abbiamo parenti in Europa che possano aiutarci e davvero non sappiamo cosa fare. Per favore aiutateci, nostro padre è affetto da un tumore e nostra madre ha sofferto molto dopo aver appreso la triste notizia [della scomparsa di Aziz]. Possiamo contare solo su di voi”.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Rotta-balcanica-i-sogni-spezzati-nella-Drina-229948
      #route_des_Balkans #Balkans #rivière #Bosnie-Hezégovine #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Bijeljina #Branjevo #Nenad_Jovanović #Nenad_Jovanovic #Serbie #frontières #commémoration #mémoire #cimetière #tombes #SOS_Balkanroute #Nihad_Suljić #Nihad_Suljic #dignité #monument #responsabilité

  • #CommemorAction 2024 : on n’oublie pas, on ne pardonne pas !

    Le #6_février, c’était la journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles. Pour la troisième année consécutive, #Douarnenez a répondu à l’appel qui été suivi par 55 villes (dont sept en #Bretagne) de 17 pays d’Afrique, d’Asie et d’Europe.

    https://blogs.mediapart.fr/938539/blog/130224/commemoraction-2024-noublie-pas-ne-pardonne-pas
    #commémor'action #commémoration #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #migrations #réfugiés #mémoire #oubli #pardon #6_février_2024 #France #portfolio #photographies

    • « Parce que Oublier c’est Tuer une Deuxième Fois »

      « Parce qu’on ne veut pas s’habituer »

      « Parce qu’on savait »

  • Identifying dead migrants on Spain’s Canary Islands

    The Canary Islands are a first destination for people trying to reach continental Europe. Numbers of those attempting the dangerous Atlantic crossing are soaring. DW’s Jan-Philipp Scholz reports from Las Palmas and Mogán, on Gran Canaria.

    https://www.dw.com/en/identifying-dead-migrants-on-spains-canary-islands/video-68247230
    #mourir_aux_frontières #route_atlantique #Gran_Canaria #cimetière #réfugiés #migrations #identification #îles_Canaries #Canaries #morts_aux_frontières #celleux_qui_restent

  • Turning Grief into Action: Families of Dead and Disappeared Migrants in Morocco

    “Elach Jina Wehtajjina?” Rhetorically asking why they are here to protest. “Wladna li Bghina,” they answer, with a breast-beating shriek for their lost sons. Xeroxed pictures of their missing sons dangle on red ribbons from their necks. They march behind the vinyl-printed banners, making light-footed steps towards the Saidia beach—a seaside bordering Algeria. After rehearsing a suite of slogans, they lower themselves into a crouch and repot the shoreline with flowers in commemoration of dead and disappeared migrants. And yet, in their minds, their sons are never dead.

    These are families of dead and disappeared migrants in Morocco. On this Global Day of Commemorating Migrant Death and Disappearance—which marks the Tenth Anniversary of the Tarajal Massacre, they demand truth and justice about the fate of their loved ones. Those attending are mostly from the Oriental region; some had an all-night trip from Beni-Mellal to Oujda to participate in the commemoration in Saidia, organized by the indefatigable borderland militant, Hassan Ammari, and other members of AMSV (Association d’Aide aux Migrants en Situation Vulnérable). Amid efforts to bring solidarity groups down to size, AMSV, created in 2017, started its work with families of missing and dead migrants in 2018. The shift in migratory dynamics, mapped out below, drove its members to shift their focus on the (im)mobilities of West and Central African migrants to Moroccan migrants. Other families are unable to afford transport fares to attend the sit-in, or simply emotionally weary after attending dozens of sit-ins to no avail.

    I had countless conversations and stays with these families. Singular as they are, their stories of loss are proof of the EU’s deadly anti-migration policies. They also speak of extended collusion with a national system that has abdicated its responsibility towards the dead, disappeared and their families. Europe’s border regimes offshore not only border control to their southern neighbours; they outsource border violence, migrant death and disappearance, and the management thereof. Fortress Europe seeks not only to keep undesirable populations at bay, but its hands spick and clean from preventable, or rather willful, migrant death and disappearances. Such gory consequences are meant to be a memento mori for prospective migrants.

    Trajal Massacre, leaving at least 15 migrants dead and dozens missing and maimed as they waded their way to the shore, staged an obscene spectacle of border violence that, after ten years, let the Spanish Guardia Civil off scot-free. A new lawsuit, however, has recently been filed against Spain by a Cameroonian survivor.

    Now let me draw a broad sketch of migrant death and disappearance at the EU-Moroccan borders. In 2018, the Western Mediterranean Route had many twists and turns. After a series of incessant expulsions and deportations in the north of Morocco, West and Central African smugglers relinquished their grip over the “illegality industry”. The growth of such industry has a history of at least two decades, from the late 1990s up to the so-called ‘migration crisis’ in 2015. During this period, North Africa had been (and still is) carrefour migratoire for West and Central African migrants fleeing poverty and warfare in their home countries. After 2018, Moroccans have held the mantle, quickly placing Moroccan migrants atop of the nationalities intercepted. No sooner had the year come to close than this route shut down owing to the run-up in migrant arrivals. And there is the rub. Old routes have reactivated, new ones are activated. New tactics are embraced to outwit the militarization seaming easier routes.

    Such geopolitical buildups gave way to a new and complex edge to migrant death, disappearance, and incarceration. In mid-2020, countless fishing boats started to leave Morocco’s southern shorelines, bound to disembark at any of the Canary Islands in sight. Unsurprisingly, death and disappearance tolls have seen an uptick. When common departure points have been militarized, new departure points have been activated in cities such as Sidi Ifni, Agadir and further north on the Rabat and Casablanca coastlines. Such routes have never been sailed by migrant boats to reach the Canary Islands, in the case of Sidi Ifni and Agadir, or mainland Spain, in the case of Rabat and Casablanca. While boats may escape the mandibles of border surveillance, they get lost into the doldrums of the Atlantic Sea before they find their ways to the Spanish archipelago. The ‘count regime’ of the IOM may chronicle some of these fatalities, but their exactitude is always blatantly compromised—counting on media reports to count migrant death and disappearance.

    Most families taking part in this commemoration are from the Oriental region. Their sons took riskier routes which have been activated following the striation of the Western Mediterranean Route. They crossed the Moroccan-Algerian border trenches before they could set sail from Algeria, Tunisia, or Libya. Some get lost at sea, while others are incarcerated in Algeria or Libya. These geopolitics are crucial to understand how death and disappearance, the twin technologies of the EU’s border deterrence, are marshalled along these routes. The EU’s security-driven approach, laying financial focus on border management, spares no efforts to engage with migrant death and disappearance.

    Families remain clueless about the whereabouts of their loved ones. Loss and unresolved grief trap them in a ghostly vertigo. Amid total disengagement with migrant death and disappearance, their individual, at times collective, efforts to look for their loved ones pale into insomniac waiting and statis. Consequently, families are left embattled with their loss, falling into a spiral of scam, hope and disappointment.

    Yet their efforts to mobilize shame against the death juggernaut of the EU’s external borders are tireless. Their efforts to search for their lost ones never cease to haunt the perpetrators. They turn their individual pain into collective grief, and collective grief into collective action to search for their missing sons. They never stop looking for their sons, even in dreams.

    https://africanarguments.org/2024/02/turning-grief-into-action-families-of-dead-and-disappeared-migrant

    #Maroc #disparus #réfugiés #migrations #frontières #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #commémoraction #commémoration #2024 #deuil #action

  • Personnes migrantes disparues : agir contre l’#oubli !

    En cette journée de CommemorAction, EuroMed Rights rejoint les organisations de défense des droits humains qui plaident pour l’adoption de mesures (https://commemoraction.net) pour empêcher les décès sur les routes migratoires vers l’Europe.

    EuroMed Rights s’inscrit aussi aux côtés des familles des trop nombreuses victimes disparues en mer Méditerranée ou dans le désert nord-africain. A cet effet, nous publions aujourd’hui notre cartographie (https://euromedrights.org/fr/soutien-de-la-societe-civile-aux-familles-de-personnes-migrantes-dece) des principaux acteurs régionaux de l’#identification des corps des victimes et de recherche des personnes disparues.

    Cette cartographie, fondée sur un travail mené en 2023 par #EuroMed_Rights (https://euromedrights.org/fr/publication/personnes-migrantes-et-refugiees-loubli-jusque-dans-la-mort) avec l’aide du chercheur indépendant Filippo Furri, est un outil destiné principalement aux familles de victimes qui peinent trop souvent à obtenir des informations sur leurs proches disparus.

    Ce sont ainsi plus de 3.000 personnes qui ont disparu en 2023 sur les routes migratoires vers l’Europe (https://missingmigrants.iom.int/region/mediterranean?region_incident=All&route=All&year%5B%5D=11681&mo). Silence des autorités, absence de soutien psychologique, les familles de victimes font trop souvent face à un mur dans leurs recherches sur le devenir de ces proches.

    EuroMed Rights espère que cette cartographie permettra à ces familles d’obtenir un début de réponse en attendant que les efforts de plaidoyer envers les autorités de la région mettent en place un cadre juridique plus consistant pour venir en aide aux familles de victimes.

    https://euromedrights.org/fr/publication/personnes-migrantes-disparues-agir-contre-loubli

    #commémoration #commémoraction #6_février #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #frontières #6_février_2024 #disparus

    • Soutien de la société civile aux familles de personnes migrantes décédées ou portées disparues

      La carte ci-dessous est une représentation visuelle des organisations et institutions travaillant sur les questions liées à la disparition des migrants dans l’espace euro-méditerranéen. La carte ci-dessous est une représentation visuelle géographique des organisations et institutions travaillant sur les thématiques liées à la disparition des personnes migrantes dans la zone euro-méditerranéenne.

      La carte présente des informations sur les services disponibles offerts par les différent.e.s acteurs et actrices afin de faciliter la recherche et l’identification des personnes disparues pour les familles, les proches et les acteurs de la société civile. Cette carte a pour vocation de faciliter la coordination et le partage d’expériences entre les différents intervenants et de renforcer les actions de plaidoyer.

      La carte est divisée en trois catégories

      - Organismes de soutien aux personnes migrantes et/ou aux familles de personnes migrantes décédées ou disparues (en bleu)
      – Hôpitaux et/ou cimetières (en jaune)
      - Organisations menant un travail de plaidoyer sur cette problématique (en vert).

      NB : certaines organisations d’accompagnement réalisent également un travail de plaidoyer. La classification proposée est une lecture simplifiée pour accompagner les familles et/ou toute personne utilisant la carte.

      https://euromedrights.org/fr/soutien-de-la-societe-civile-aux-familles-de-personnes-migrantes-dece

      #cartographie #visualisation

  • Briançon : un cairn en #hommage aux migrants décédés érigé au petit matin

    Ce mardi 6 février, au petit matin, un collectif de « solidaires des personnes exilées » a érigé un cairn en hommage “aux morts aux frontières”, à proximité de la porte du pont d’Asfeld, dans la vieille ville de Briançon.

    Il est un peu plus de 7 heures, ce mardi 6 février à Briançon, et le soleil n’a pas encore percé depuis l’Italie, à quelques dizaines de kilomètres. Sur la petite butte, juste après avoir passé la porte de la cité Vauban en direction du pont d’Asfeld, un petit groupe s’affaire à la frontale et à la truelle : un collectif de « solidaires des personnes exilées » érige un cairn.

    (#paywall)

    https://www.ledauphine.com/societe/2024/02/06/briancon-un-cairn-en-hommage-aux-migrants-decedes-erige-au-petit-matin
    #mémoire #commémoration #Briançon #migrations #réfugiés #6_février #commémor'action #commémoraction #Hautes-Alepes #France #cairn #monument #mémoriel #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #frontières #frontière_sud-alpine #mémorial #6_février_2024

  • Commémoraction des victimes des politiques migratoires aux frontières Paris, 6 février 2024

    Dans le cadre de la Journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes des politiques migratoires, retrouvons-nous à la #CommemorAction.
    📅 le 6 février 2024
    📍 place Edmont Michelet à #Paris

    https://piaille.fr/@LDH_Fr/111878731145971123

    #commémoration #commémor'action #2024 #mémoire #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #migrations #frontières #réfugiés #6_février #6_février_2024

  • Commémor’Action le 6 février #2024 - Dixième anniversaire

    Journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles

    Leur vie, notre lumière. Leur destin, notre colère. Ouvrez les frontières !

    Le 6 février 2014, plus de 200 personnes, parties des côtes marocaines, ont tenté d’accéder à la nage à la plage du Tarajal, dans l’enclave espagnole de Ceuta. Pour les empêcher d’arriver en « terre espagnole », la Guardia civil a utilisé du matériel anti-émeute et aussi les militaires marocains présents n’ont porté secours aux personnes qui se noyaient devant eux. Quinze corps ont été retrouvés côté espagnol, des dizaines d’autres ont disparu, les survivants ont été refoulés, certains ont péri côté marocain.

    Dix ans ont passé depuis le massacre de Tarajal.

    Dix ans pendant lesquels le nombre de morts et de disparus n’a cessé d’augmenter, en Méditerranée et sur la route des Canaries, au sein des frontières internes de l’UE, dans la Manche, aux frontières orientales, le long de la route des Balkans, ou encore dans le désert du Sahara et le long de toute autre trajectoire de mobilité. Le régime de frontière a montré encore en 2023 son visage cynique de manière totalement décomplexé, lors du naufrage de Cutro, quand la nuit du 25 février 94 personnes sont décédées et au moins 11 autres ont disparu à quelques mètres des cotes italiennes, sous les regards immobiles de Frontex et des autorités italiennes, encore le 14 juin quand plus de 600 personnes ont disparu à jamais au large de Pylos, en Grèce et tout comme le 23 avril 2022, quand un bateau avec 90 personnes à son bord a coulé au large des côtes libanaises.

    Dix ans pendant lesquels les associations, les familles, et tous celles et ceux qui luttent pour le droit à la mobilité pour toutes et tous n’ont cessé de réclamer vérité et justice pour ces victimes, de surligner les responsabilités directes et indirectes du régime des frontières, de travailler pour prouver ces responsabilités et pour soutenir les familles et les proches dans les douloureux parcours de recherche des disparus et d’identification des victimes.

    À l’occasion du dixième anniversaire du massacre de Tarajal, nous réitérons ici l’appel lancé l’année dernière, avec l’espoir que toujours plus d’organisations, d’associations, de familles, d’activistes s’associent à ce processus de Commémor’Actions décentralisées, réalisées chaque année le 6 février, pour que cette mobilisation transnationale prenne de plus d’ampleur, soit de plus en plus visible dans l’espace public, et arrive à fédérer de plus en plus de personnes.

    Nous demandons à toutes les organisations sociales et politiques, laïques et religieuses, aux groupes et collectifs des familles des victimes de la migration, aux citoyens et citoyennes de tous les pays du monde d’organiser des actions de protestation et de sensibilisation à cette situation le 6 février 2024.

    Nous vous invitons à utiliser le logo ci-dessus, ainsi que vos propres logos, comme élément pour souligner le lien entre toutes les différentes initiatives. Tous les évènements qui auront lieu peuvent être publiés sur le groupe (https://www.facebook.com/groups/330380128977418) et sur la page Facebook « Commemor-Action » (https://www.facebook.com/people/Commemor-Action/100076223537693).

    Migrer pour vivre, pas pour mourir !
    Ce sont des personnes, pas des chiffres !
    Liberté de circulation pour tous et toutes !

    En savoir plus :

    - événements et rassemblements qui ont lieu le 6 février (https://missingattheborders.org/en/index.php?p=news/2023/commemorazione-eventi)

    https://www.gisti.org/spip.php?article7173

    #commémoration #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #commémoraction #migrations #frontières #réfugiés #mémoire #6_février

    • #18_aprile

      Erano partiti di notte da un porto vicino a Zwara, a ovest di Tripoli, in Libia. Quando alcune ore più tardi la balena aveva cominciato a inabissarsi in un mugghiare di metallo dopo aver urtato per una manovra sbagliata il mercantile portoghese che la Capitaneria di porto di Roma aveva inviato a soccorrerla, quelli rinchiusi nella stiva si erano ammassati gli uni sugli altri, arrampicandosi su quelli che avevano davanti e di fianco per cercare di raggiungere la botola, lassù in alto. In due si erano abbracciati in quell’inferno che era la sala macchine. “Lì dentro si sviluppa un calore tale che neanche il macchinista ci mette spesso piede”, raccontano i Vigili del fuoco che li avevano tirati fuori, un anno dopo. Persino in mezzo ai motori avevano ammassato 65 persone. I mercanti li avevano stipati in ogni interstizio, mille persone pigiate come bestie in 23 metri di barca, e li avevano spediti nel Mediterraneo con due litri d’acqua a testa e senza uno straccio di ancora perché anche il gavone di prua doveva servire per farcene entrare ancora, per aumentare il guadagno. Erano riusciti a metterne 5 per ogni metro quadro.

      –-

      Settecento chilometri senza mangiare
      Bevendo sputi, a farsi bruciare
      Da questo sole feroce riflesso dal mare
      Da questo vento che di giorno scortica e di notte gela
      E rimescola il freddo con la paura

      Che quest’acqua buia, infinita e cattiva
      È più salata dei conti che ci han fatto saldare
      Non cura la sete, marcisce le ossa
      E questa Italia non vuole arrivare
      Questa terra che non ci vuole non si fa trovare

      E questo sarcofago sul mare è un cimitero per ottocento
      Sulla tavola fredda e muta che non finisce di violentare
      A perdita d’occhio e di cuore

      Amore mio, che ti ho lasciata a patire
      Tra la fame, la sete e l’orrore
      Tra gli arti amputati spezzati calpestati
      Le bombe esportate
      I bambini soldati
      Amore mio ascoltami bene: tu non morire che ti vengo a salvare
      Appena finisce questo mare io ti vengo a salvare

      E a noi ricchi senza pudore
      Ce lo spiega la televisione
      Un mantenuto ignorante e cafone
      Con la felpa e il ghigno arrogante
      Ce lo spiega lui cosa dobbiamo pensare
      Di questa gente che prende il mare
      Per provare a non morire

      https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=67661&lang=it
      https://www.youtube.com/watch?v=BpCkiqp6zNs&t=64s


      #chanson #musique #musique_et_politique #naufrage #asile #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #18_avril_2015 #mourir_en_mer

      #commémoration #Libye #Méditerranée #mer_Méditerranée #Zouara

  • #Je_ne_lâcherai_pas_ta_main, de #Dominique_Cabrera

    Le #24_novembre_2021,
    une embarcation qui tentait de rejoindre l’Angleterre
    a fait #naufrage dans la #Manche.
    27 exilés au moins se sont noyés ou ont disparu.
    Il n’y a eu que deux survivants.

    Ce film,
    à partir du témoignage de l’une de ces deux personnes,
    leur rend #hommage.


    Dominique Cabrera, réalisatrice du film :

    J’ai été comme beaucoup touchée par le naufrage des exilés en route pour l’Angleterre le 24 novembre 2021. 27 personnes au moins ont disparu ou sont mortes noyées dans la Manche. L’entretien qu’un des deux rescapés a donné au média Kurde Rudaw m’a frappée au point de me donner l’élan de faire ce film.

    Avec simplicité et sincérité, le jeune homme de vingt ans racontait la nuit où l’eau est entrée dans le canot, où les appels au secours n’ont été entendus ni par les Anglais ni par les Français et où à côté de lui ses compagnons se sont laissé couler. Ils ont pu téléphoner. Ils ont pu donner leur localisation précise. Il n’y a eu que le néant pour les accueillir. Que valent nos mots, nos considérations, nos précautions face à ces faits ?
    Il fallait absolument filmer ce récit. Pour qu’il reste. Pour que le scandale de ces morts continue d’être exposé. Je voyais les paroles du rescapé lues par des lectrices et des lecteurs lambdas, par des personnes, pas des « personnalités », des personnes qui porteraient les voix du rescapé et des disparus, comme si les voix des uns et des autres se relayaient, comme si les visages des lecteurs et ceux des noyés se répondaient, dessinant par le cinéma une commune humanité.

    J’ai demandé de l’aide autour de moi à Montreuil. Avec Manuela Frésil, Emanuelle Bidou, Galatée Politis, nous avons formé un collectif. Sont venus nous rejoindre Jean-Pierre Méchin, Michael Hädener, Sara Olacirégui, Nicolas Cantin, Victor Sicard, Charlotte
    Pouch, Caroline Glorion, Nathalie Raoul, Edmée Doroszlaï, Marc Daquin. Les uns et les autres ont participé à l’élaboration du projet, ont cherché des lecteurs, se sont fait prêter du matériel, ont assuré la logistique et le tournage. Le cinéma Méliès dont le premier étage faisait penser à un hall d’aéroport, à une zone de transit a accepté
    de nous accueillir. Un étudiant kurde d’Aix-en-Provence et un de ses amis ont traduit scrupuleusement le récit. Cette chaine de bénévoles, de bonnes volontés doit être rappelée car elle dit l’essentiel peut-être.

    Nous avons donné rendez-vous aux volontaires le matin du 3 Janvier. Je ne voulais pas faire de « casting ». On ne refuserait personne. Nous avions envoyé des invitations en privilégiant les liens existants comme par exemple un atelier que Manuela menait avec des femmes de La Boissière, un groupe constitué par Emanuelle, des adhérents de RESF, de la Fédération de parents d’élèves, un syndicaliste ami, des voisins et voisines, les jeunes usagers du LABEC que connaissaient Victor et Sara.

    Nous espérions 33 personnes, c’était le nombre de passagers de l’embarcation naufragée.
    65 personnes sont arrivées. Tout le monde voulait lire et nous avons partagé le texte. Nous avons tourné principalement en plan séquence, texte en main. Cela a été un grand moment d’émotion et de palpable solidarité.
    L’association Périphérie a accueilli le montage. La chercheure Alexandra Galitzine nous a mis en contact avec les associations de Calais et nous a aidés à chercher le nombre des noyés dans la Manche. Ce funeste calcul n’est pas possible et c’est celui des disparus aux frontières de l’Europe que nous avons inscrit.
    Ce film dure 8 minutes et demie. Il est destiné à être fourni gratuitement aux cinémas et aux associations qui en feront la demande.

    https://imagesenbibliotheques.fr/actualites/je-ne-lacherai-pas-ta-main-de-dominique-cabrera

    #film #documentaire #film_documentaire #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #court-métrage

  • Commémor’ action des Mort·es des frontières

    « Migrer pour vivre. Pas pour mourir »

    Depuis 2014, le 6 février est, à l’appel des familles de victimes des frontières la journée mondiale de commémor’action des mort·es des frontières. Une journée pour lutter contre les régimes faisant de la migration un périple trop souvent mortel et exiger la vérité, la justice et la réparation. Dans le Briançonnais, la frontière franco-italienne et le non-accueil ont encore fait au moins 3 mort·es en 2023.

    Les #affiches refusées dans les rues de Briançon :

    https://briancon-solidaire.org

    #commémoraction #commémoration #Briançon #morts_aux_frontières #mémoire #mourir_aux_frontières #migrations #asile #réfugiés #6_février #Hautes-Alpes #Briançonnais #lexique #mots #vocabulaire

  • #UK and France’s small boats pact and doubling in drownings ‘directly linked’

    Report says greater police presence on French beaches and more attempts to stop dinghies increases risks to refugees

    The most recent illegal migration pact between the UK and France is “directly linked” to a doubling of the number of Channel drownings in the last year, a report has found.

    The increased police presence on French beaches – along with more dinghies being stopped from reaching the coast – is leading to more dangerous overcrowding and chaotic attempts to board the boats, the paper said.

    The lives lost in 2023 – when the deal was signed – were close to the French shore and to police patrols on the beaches, in contrast to earlier Channel drownings such as the mass drowning on 24 November 2021, where at least 27 people lost their lives after their boat got into difficulty in the middle of the Channel.

    “We directly link the recent increase in the number of deadly incidents to the agreement between the British and French governments to Stop The Boats,” the report states.

    It adds that the increased police presence and their attacks on some of the migrants trying to cross “create panicked and dangerous situations in which dinghies launch before they are fully inflated”. This scenario can increase the risk of drowning in shallow water.

    The paper, named the Deadly Consequences of the New Deal to Stop the Boats, condemns what it describes as increased police violence as the most visible consequence of last year’s deal.

    The report compares data in the year before the March 2023 deal with last year’s data after the deal was signed.

    The data was analysed by the organisation Alarmphone, which operates an emergency helpline for migrants crossing the seas who get into distress, and passes on location and other information to rescue services.

    In 2022, six lives were lost at sea in three separate incidents. In 2023, at least 13 lives were lost in six separate incidents.

    The most recent incident was on 14 January this year where five people lost their lives near the beach of Wimereux, north of Boulogne-sur-Mer, as more than 70 people tried to board a dinghy.

    The BBC reported that two of those who drowned were Obada Abd Rabbo, 14, and his older brother, Ayser, 24, who lost their lives a few metres from the French coast when people rushed into the sea to try to board the dinghy.

    Crossings reduced by a third in 2023 compared with 2022. But there are indications more migrants are turning to lorries and other methods of transport to reach the UK as the clampdown on sea crossings increases.

    Incidents last year in which people lost their lives close to the French shore include:

    - 12 August 2023: six Afghan men drowned in an overloaded dinghy which got intro trouble close to the French shore

    - 26 September 2023: Eritrean woman, 24, died in Blériot-Plage after being asphyxiated in a crush of 80 people trying to board one dinghy

    - 22 November 2023: three people drowned close to Équihen-Plage as the dinghy collapsed close to the shore. Fifty-seven survivors returned to the beach.

    The report concludes that the UK/French deal has further destabilised an already dangerous situation while police are still unable to prevent most crossings on a busy day. It identifies “victim blaming” of those trying to cross by politicians.

    A Home Office spokesperson said: “Fatal incidents in the Channel are the result of dangerous, illegal and unnecessary journeys in unseaworthy craft, facilitated by criminals in the pursuit of profit.

    “Asylum seekers should seek protection in the first country where it is reasonable for them to do so and we continue to take robust action to crackdown on criminal gangs, deter migrants from making dangerous crossings and intercept vessels.”

    The French interior ministry was approached for comment.

    https://www.theguardian.com/uk-news/2024/jan/29/uk-france-small-boats-pact-doubling-drownings-directly-linked

    #Calais #France #asile #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #militarisation_des_frontières #rapport #létalité #risques #Manche #La_Manche #violences_policières #accord #Wimereux #Boulogne-sur-Mer #responsabilité #Angleterre

    • The deadly consequences of the new deal to ‘#Stop_the_Boats’

      There were more deadly incidents in the Channel in 2023 due to the new ’Stop the Boats’ deal. Increased funding for the French has meant more police, more violence on the beaches, and thus more of the dangerously overcrowded and chaotic embarkations in which people loose their lives.

      On 14 January 2024, around 2am CET, another five people were killed attempting to cross the Channel to the UK. Survivors report that their dinghy collapsed near the beach of Wimereux, north of Boulogne-sur-Mer, as more than 70 people tried to get onboard during the launch. The Préfecture maritime’s press release states the police forces present first tried rescuing the people returning to the beach, as rescue boats and a helicopter spotted four unconscious people in the sea. Later in the morning, a walker discovered a fifth body washed up on the beach. In addition to the five who died, one person was taken into intensive care in the Boulogne hospital due to severe hypothermia, and another 33 needed additional care ashore after the incident. The identities of those who died have not yet been officially published. Testimonies of survivors identify them as four Syrian nationals; two aged 14 and 16. The fifth person remains unidentified but is thought to be a man from the Middle East.

      This incident is the most recent in a disturbing trend we have observed develop over the latter part of 2023: an increase in the loss of life in the Channel very close to the French beaches and often in the presence of police.

      The increasing activities of French police since the newest Franco-British declaration in March 2023 have had two main consequences:

      - Fewer dinghies are reaching the French coast, causing dangerous overcrowding and chaotic embarkations;
      – More police attacks on the dinghies as they launch, provoking panic and further destabilising an already unsafe situation.

      The result has been not only more dangerous and deadly embarkations, but further injury and trauma for travellers at the hands of police, as well as the increased separation of families.

      In this report we show the evolution in state policy and practices which are responsible for this trend, while drawing attention to those who lost their lives as a result.
      More deadly incidents

      Since the start of 2023 there has been an alarming increase in the number of deadly incidents in the Channel compared with 2022. Of the 29 people1 known to have died at the Franco-British border last year according to Calais Migrant Solidarity, at least 13 lost their lives in six incidents related to sea crossings. This includes the shipwreck of 12 August in which six Afghan men drowned.2 This is significantly more than the six people known to have lost their lives in three events related to sea crossings in 2022.

      There is a common misperception that people most often die in the Channel far out to sea, when the search and rescue response is not properly initiated or help takes too long to arrive. This is understandable considering the shipwreck of 24 November 2021 where the UK and French coastguards refused to assist a group of more than 30 people, passing responsibility back and forth to one another. Only two people survived. The misperception may also have been bolstered by the shipwreck of 14 December, 2022 in which up to four people lost their lives, and more are still missing, despite the authorities being informed of their distress. See our analysis of what really happened here. However, as a result of their previous failures, the Coastguards have since improved their organisation, coordination, and resources for search and rescue missions on both sides of Channel. French boats routinely shadow dinghies as they make their way to the UK to be on hand to rescue if necessary, and the UK Border Force anticipate the arrivals and rescue people as they cross the borderline

      What we observed last year, however, is that the deadly incidents all happened despite the presence or near immediate intervention of French rescue boats, for example on 12 August, 15 December 2023 and 14 January 2024. Even more concerning is that they all occurred on or within sight of French shores. The cause in all of the cases seems to be the same; the dinghies being overcrowded and failing shortly after departure, or dangerous situations created by chaotic launches.
      2023 Deaths during sea crossing attempts
      12 August: 6 Afghan men drown after the sponson of their dinghy of around 65 people collapses off of Sangatte.

      36 survivors are taken to the port of Calais by the French coastguard, and 22 or 23 more are taken to Dover by the British coastguard. 2 people remain missing at sea.

      Survivors told us their dinghy was moving slowly because of the high number of people (65 or 66). One of the sponsons gave out suddenly and half of the travellers were thrown into the water. Some tried to swim to the shore as they reported they could still see Sangatte. The search and rescue operation included 5 French assets, 2 UK assets, a French helicopter and aeroplane. The search and rescue operation was not able to recover all the travellers because most of them were already in the water when the first vessel arrived on scene. Two survivors are in custody in France, accused of piloting the dinghy.
      26 September: A 24-year-old Eritrean woman dies in Blériot-Plage after being asphyxiated in a crush of 80 people trying to board one dinghy.

      Witnesses told us a group approached the dinghy at the last moment before it departed and attempted to get onboard too. The dinghy was already overcrowded and this intervention led to mass panic among travellers. We know of at least two Eritrean families who were separated as some were pushed out of the boat and others unable to leave due to physical pressure from the mass of people. Wudase, a 24 year old woman from Eritrea was unable to get out and died from asphyxiation, crushed underneath the other travellers. Her body was lowered from the boat and around 75 people continued their journey to arrive in the UK.
      8 October: A 23-year-old Eritrean man is found drowned in Merlimont, after 60 people in dinghy collapsed near the beach.

      Around 60 people tried to board a dinghy towards the UK but the craft was unable to take the weight of the people and collapsed. The travellers swam or waded back to the shore but one man, Meron, was unable to swim and drowned at the beach. The emergency services on scene were unable to resuscitate him.
      22 November: Three people drown off of Equihen-Plage as the dinghy collapsed in sight of the shore. 57 survivors return to the beach.

      Two bodies, one man, Aman and a woman, Mulu were recovered on scene. A third body, of Ezekiel, a man also from Ethiopia was found on the beach of Dannes on the 4th of December.
      15 December: One Kurdish man name Rawezh from Iraq drowns 8kms off the coast of Grand-Fort-Philippe after attempting to cross to the UK by sea. 66 other people are rescued.

      As a French Navy vessel military approached the dinghy at around 1am, the crew informed CROSS Gris-Nez that one of the dinghy’s tubes had deflated and that some people were in the water. Despite the fast response of the French, it was already too late to recover all of the people alive. Two young men Hiwa and Nima both Kurdish Iranian are still missing after the incident.
      15 December: A Sudanese man named Ahmed drowns.

      An overloaded boat struggled to leave from Sangatte’s beach amidst a cloud of tear gas launched by the French police. Some people fell into the water as the dinghy turned around due to a non-functioning engine. One young man from Sudan drowned, trapped under the collapsed dinghy, and died later from cardio-respiratory arrest in hospital.
      What changed?: dangerous deals

      We directly link the recent increase in the number of deadly incidents to agreements between the British and French governments to ‘Stop the Boats’. Since the introduction of juxtaposed border controls in the 1990s there has been intense cooperation between the French and British in attacking and harassing people on the move in Northern France to prevent and deter them from crossing to the UK. The UK gives huge sums of money to France to intensify its policing of the border in the North, and secure its ports. From 2014 to 2022 £319m was handed over according to the House of Commons Library. This included £150m in four deals between 2019 and 2022 focused on stopping boat crossings.

      This money paid for an increase of the numbers of gendarmes patrolling the coast under Operation Poseidon; more surveillance tech including night-vision goggles, drones, aeroplanes, and ANPR cameras on the roads; and several all-terrain vehicles for patrolling the beaches and dunes. This equipment has made the French police and gendarmes more effective at detecting stashed dinghies, engines, fuel and life-jackets as well as groups of people while they wait for several hours hidden in the dunes before a crossing. It also marginally increased their ability to disrupt departures on the beach, but they remained unable to prevent most on a busy crossing day. Additionally, the deals increased law enforcement cooperation and intelligence sharing between the French and British to dismantle the networks of those who organise the journeys, as well as disrupt their supply chains.

      Despite the vast sums put up by the British, previous deals were criticised for still not providing the French with enough resources to ‘Stop the Boats’. They also took place in a period of cooler relations between France and Britain in the post-Brexit period of Johnson’s premiership when the French may have been less enthusiastic about being Britain’s border police. Last March, however, both governments doubled-down and made a new declaration in which the UK promised £478m to the French over three years for 500 more police, a new detention centre, and more surveillance capacity ‘to enable swifter detection of crossing attempts’ and ‘monitor a larger area of northern France and prevent more crossings’. It is after this deal that we have really noticed an uptick in the numbers of police interventions to stop dinghies being delivered to the coast, violence on the beaches (and sometimes at sea) to stop them launching, and by consequence the number of deadly incidents occurring at or near the shores.
      Consequences of the new deal
      1: Dangerously overcrowded dinghies

      Despite the fewer overall number of people crossing in 2023 compared to 2022, each dinghy making the trip was more crowded than in any previous year.

      Illustrated in the graphs above, the 47 days with the highest average number of people per dinghy ever all took place in 2023. The highest, 26 September 2023, had an average over 70, and there were 27 days with 56 or more people per dinghy, with all except one being after June. By comparison, the highest average day in 2022 saw not-quite 53 people per dinghy. These averages do not show the actual figures of each dinghy which have recently been stretching to more than 70, and sometimes 80. Meanwhile the number of crossings on any given day has gone down.

      A key factor driving this overcrowding are the police operations against the logistical networks to organise the dinghies used for crossings, which stretch as far as Turkey and other European countries like Germany. The vehicles and drivers which do the deliveries to the French coast during periods of good weather are also targeted by police on the coastal roads. The UK government recently boasted that in 2023 246 people were arrested as ‘people smugglers’ and an international operation led to the seizure of 136 dinghies and 46 outboard motors.

      These attacks on the supply chain, however, do not reduce the overall demand. They simply mean there are fewer total vessels for the overall number of passengers. It has been observed that, with fewer boats reaching the shores on a crossing day, people who are expecting to travel try to force their way onto any dinghy that has been delivered and inflated. This had led to one person being crushed to death inside a dinghy as well as others being pushed out into the sea. It also means that the extremely overcrowded dinghies are failing close to the French shores, like in the case of 12 August 2023.
      2: Increased police violence

      Increased police violence on the French beaches is the most visible consequence of the new ‘Stop the Boats’ deal, and exacerbates the dangers of already overcrowded embarkations.

      In previous years, the fewer numbers of police patrolling the beaches were unable to deal with the large groups of people who gathered during a dinghy launch, and many times they chose to look on rather than intervene. They also had difficulties to cover the whole stretch of coastline between Belgium and Berck. Now with more aerial support, double the number of officers, and increased resources like dune buggies the police are more able to intervene at the moment of departure. Typically they will fire tear gas at the people to try and disperse them and then use knives to slice the dinghy. We have also been told about policing using ‘less-lethal’ grenades and wading into the sea to cut a dinghy as people try to board it and start the motor.

      The police’s presence and their attacks create panicked and dangerous situations in which dinghies launch before they are fully inflated and in which people have to scramble on board whilst in water up to their necks. During these moments people have drowned in the shallow water like on 8 October, and families have been separated like on 26 September 2023. The danger of the police attacks compounds that of overcrowding. It is now common to observe chaotic embarkations where more than 70 or even 80 people all try at once to get on an inflatable of just a few meters length while the police try to stop them. We have also been told that if the police do successfully destroy a dinghy as it launches the would-be travellers will look to get onboard another rather than give up, again increasing the risks of overcrowding.

      The British authorities have proudly acknowledged the increased violence, publicising a French police officer’s bodycam video where we see tear gas being used indiscriminately against a group of people which we know included those in a situation of vulnerability. In a statement celebrating the fact that two people shown in the video trying to hold the violence of the police at bay were arrested and jailed in the UK, the Home Office states:

      “Tension on French beaches is increasing due to the successful efforts of law enforcement in frustrating this organised criminal enterprise. Incidents like this highlight the complex and brave work of our French colleagues in the face of challenging conditions.”

      Despite the increased violence on the shore, for now, it still appears that the policy of the French is to not intervene to stop the boats once they are at sea and underway. This illustrates a clear contradiction between the apparent concern for safety of life while at sea, and creating extremely dangerous situations for people by attacking their dinghies as they launch.
      No borders, not ‘Stop the Boats’

      The hypocrisy of the French and British governments is that their increased border policing activities, which they sanctimoniously describe as protecting people who have to travel to the UK by boat, have only made their crossings more dangerous. Unfortunately it seems these policies will only continue over the coming years, evidenced by the three year funding agreement from March. We must then expect only more victim blaming and lies for each death in the coming years that will occur as a result. The people who continue to have to make this journey, denied access to the safe ferries and trains the rest of us are able to take, are being sacrificed for the sake of politicians’ electoral ambitions. What those politicians understand, but do not want to admit, is that it is impossible to ‘stop the boats’ so long as the border exists. Further militarisation and police intervention will only increase the number of people who die, as we have been seeing. How far the states will go in pursuing their policies of harm and death in the name of protecting their border remains to be seen. In the meantime we must continue doing all we can to not only present them the account of the consequences for their obstinance, but practically organise against it, together with those who already doing so.

      https://alarmphone.org/en/2024/01/28/the-deadly-consequences-of-the-new-deal-to-stop-the-boats
      #Alarmphone #Alarm_phone #bateaux #statistiques #chiffres

  • XI #Marcha_po_la_Dignidad - #Tarajal | 3.02.2024 | 10 AÑOS EXIGIENDO VERDAD, JUSTICIA Y REPARACIÓN.

    *English version below.
    **Traduction en Français ci-dessous.

    La XI MARCHA POR LA DIGNIDAD es un acto en memoria de las personas a las que arrebataron la vida la mañana del 6 de febrero de 2014 en la playa del Tarajal en Ceuta, pero también es un acto de denuncia por todas las personas a las que les arrebatan la vida por falta de vías legales y seguras para migrar.

    Los colectivos y organizaciones que quieran adherirse a la XI MARCHA POR LA DIGNIDAD deberán completar el siguiente formulario. Ello supondrá el siguiente compromiso:
    – Su inclusión como firmante en el manifiesto al que se dará lectura al finalizar el recorrido de la marcha en la Playa de El Tarajal.
    – Su inclusión en carteles y publicaciones para difusión del acto.
    – Su compromiso en la promoción y difusión de la iniciativa en redes locales, nacionales e internacionales.
    – El acceder a la información y materiales relacionados con la Marcha.
    – La facilitación de la toma de contacto con cualesquiera otros de los miembros incorporados a la red.
    – Asumir las directrices de las personas que conforman la organización de los actos.

    Os esperamos el próximo 3 de febrero en Ceuta.

    Redes de la Organización de la marcha:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 YEARS DEMANDING TRUTH, JUSTICE AND REPARATION.»

    The XI MARCH FOR DIGNITY is an act in memory of the people whose lives were taken on the morning of February 6, 2014 on the beach of Tarajal, but it is also an act of denunciation for all the people whose lives are taken away from them due to the lack of legal and safe ways to migrate.

    Collectives and organizations wishing to join the XI MARCH FOR DIGNITY must complete the following form. This will involve the following commitment:

    / Their inclusion as a signatory organization in the manifesto that will be read at the end of the march.
    / Their inclusion in posters and publications for the dissemination of the event.
    / Your commitment in the promotion and dissemination of the initiative in local, national and international networks.
    / Access to information related to the march.
    / Facilitating contact with any other members of the network.
    / Assuming the guidelines of the Associations organizing the events.

    We look forward to seeing you on February 3th.

    Social networks of the March Organisation:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 ANS D’EXIGENCE DE VÉRITÉ, DE JUSTICE ET DE RÉPARATION».

    La 11e MARCHE POUR LA DIGNITÉ est un acte en mémoire des personnes dont la vie a été arrachée le matin du 6 février 2014 sur la plage de Tarajal, mais c’est aussi un acte de dénonciation pour toutes les personnes dont la vie leur est enlevée en raison de l’absence de moyens légaux et sûrs de migrer.

    Les collectifs et organisations qui souhaitent se joindre à la 11ème MARCHE POUR LA DIGNITÉ doivent remplir le formulaire suivant. Cela implique l’engagement suivant :

    / Leur inclusion en tant que signataire dans le manifeste qui sera lu à la fin de la marche.
    / Leur inclusion sur les affiches et les publications pour faire connaître l’événement.
    / Votre engagement à promouvoir et à diffuser l’initiative dans les réseaux locaux, nationaux et internationaux.
    / Accès aux informations relatives à la marche.
    / Faciliter le contact avec l’un des autres membres du réseau.
    / Assumer les directives des associations qui organisent les événements.

    Nous vous attendons le 3 février.

    Réseaux sociaux de l’organisation de la mache :
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal

    #commémoration #commémoraction #asile #migrations #réfugiés #Ceuta #Maroc #Espagne #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #2024 #dignité #justice #vérité #mémoire

    • A 10 anni dalla strage del Tarajal la XI Marcha por la dignidad

      Sono passati 10 anni dalla strage del Tarajal a Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco. Quella tragica mattina del 6 febbraio del 2014 un gruppo molto numeroso di migranti (circa 300) prova ad entrare a Ceuta a nuoto, attraverso la spiaggia di Tarajal. La Guardia Civil cerca di fermarli, sparando pallottole di gomma e fumogeni molto vicino alle persone che si trovano in acqua. Alcuni testimoni affermano che vengono lanciati proprio sulle persone, molte delle quali galleggiano a fatica. Gli agenti sparano anche quasi duecento colpi a salve. Si diffonde il panico in acqua. Muoiono 15 persone e altri rimangono feriti.

      Per ricordare questa strage e la brutalità del regime delle frontiere ogni anno a Ceuta si svolge una manifestazione, la Marcha por la Dignidad, un atto in memoria delle persone che sono state uccise, ma anche di denuncia per tutte le persone che vengono uccise a causa della mancanza di vie legali e sicure per migrare. Quest’anno sarà sabato 3 febbraio.

      «Quanto accaduto il 6 febbraio 2014 è un chiaro esempio di razzismo di Stato. È nostro dovere antirazzista sapere cosa sta accadendo al confine meridionale spagnolo, dare eco e denunciare le flagranti violazioni dei diritti umani che vi si verificano» – scrivono dalle pagine della Marcha – «anno dopo anno, manteniamo viva la fiamma della memoria e continuiamo a denunciare le politiche migratorie europee che causano morte».

      La giornata di mobilitazione, che ha raccolto oltre 220 adesioni, è organizzata in due momenti. Nel pomeriggio dalle 15.15 inizierà la manifestazione che attraverserà le strade di Ceuta da Plaza de Los Reyes per raggiungere la spiaggia della strage. Nella tarda mattinata, alle 11.30 nella Sala delle Assemblee dell’IES ABYLA di Ceuta, la tavola rotonda in cui interverranno Patuca Fernández, Viviane Ogou e Mouctar Bah (l’incontro sarà trasmesso in diretta qui).

      «La logica razziale e coloniale ha determinato le politiche migratorie dell’Europa. I confini di Ceuta e Melilla stabiliscono una divisione tra coloro che sono considerati persone e coloro che non lo sono», spiegava nella tavola rotonda del 2023, Youssef M. Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale.
      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi. Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha sottolineato.

      Sono tante, troppe, le date che rappresentano purtroppo i punti più alti del razzismo e della violenza delle frontiere. Fra meno di un mese sarà passato un anno dal 26 febbraio 2023, giorno in cui 94 persone (34 di loro erano bambine/i) sono morte a soli 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro in Calabria: non una fatalità come le istituzioni vogliono far credere, ma un eccidio per omissione di soccorso diventato legge. Anche a Cutro, dopo un anno, si tornerà a manifestare ancora al fianco dei familiari e dei superstiti per non dimenticare e continuare a chiedere verità e giustizia.

      https://www.youtube.com/watch?v=g5fGZLGBVSg


      https://www.meltingpot.org/2024/02/a-10-anni-dalla-strage-del-tarajal-la-xi-marcha-por-la-dignidad

    • En 2023...

      Tarajal. Il dovere della memoria per tutte le vittime di frontiera

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità

      A Ceuta, enclave spagnolo situato a nord nel continente africano, centinaia di persone, tra attivistə e giovani migranti, continuano la Marcha por la Dignidad che da nove anni percorre l’intera cittadina lungo la linea che divide la Spagna dal Marocco per raggiungere la spiaggia del Tarajal dove, il 6 febbraio 2014 furono assassinate oltre 15 persone di origine sub-sahariana delle 300 che tentavano di attraversare il confine a nuoto.

      Quella mattina, all’alba di un’ennesima violenza razzista e coloniale, la Guardia Civil spagnola non solo sparò contro di loro proiettili di gomma per impedire che raggiungessero la costa, provocandone l’annegamento, ma eluse ogni tipo di soccorso delle persone in difficoltà e il recupero dei corpi in mare.

      Alla Frontera Sur sono trascorsi nove anni di impunità, nove anni di ingiustizia e violenza perpetrata verso le vittime di quella tragedia e contro tutte coloro che ogni giorno sfidano una delle frontiere più ineguali al mondo. Vigile e repressiva in modo sempre più assiduo sulle persone che da diversi paesi dell’Africa tentano l’attraversamento per mare e per terra della valla di filo spinato che separa i due continenti.

      Se è vero che nel Mediterraneo è iniziata l’Europa, altrettanto certo è che nel Mediterraneo stesso si esaurisce, tra le colonne di un mito che non ha più eroi ma esseri umani in cerca di sogni brutalmente lacerati. Uomini e donne disumanizzate affinché il fardello di colpe e responsabilità trainato da secoli di imperialismo e gerarchie di potere – ben oltre la colonialità storica – alleggerisca il suo peso.

      «Esistono due morti: quella fisica e quella ermeneutica» ha affermato Patuca Fernandez, l’avvocata di Coordinadora de barrios che prese in carico il caso del Tarajal, nel suo intervento sul dovere della memoria delle vittime di frontiera 1

      La prima costituisce quella biologica mentre la seconda riguarda quella inflitta dal processo di normalizzazione e di riduzione o perdita di rilievo del crimine che l’ha provocata. Un criminale non solo uccide la vittima ma impiega ogni sforzo necessario per trovare forme strategiche di ridurre la carica penale che ricadrebbe sui crimini commessi.

      È il modus operandi di una più profonda logica razziale che tende a interiorizzare e disumanizzare le persone migranti per normalizzare la violenza e gli abusi a loro inflitti.

      Ma queste morti non sono occasionali, né tanto meno naturali. Sono sistematiche e strutturali, legittimate da una necropolitica razzista in quanto applicata esclusivamente sulle persone che provengono da territori direttamente o indirettamente vincolati alle (ex)colonie, mediante accordi in materia di sicurezza e criminalizzazione applicata sulla base della propria origine.

      Ad oggi questo crimine resta ancora impunito, sotto la responsabilità di nessuno se non delle vittime stesse, profanate non soltanto in vita ma calpestate nella propria dignità in morte e in quella dei familiari, privati di verità e di giustizia, del diritto al dolore, al lutto, al risarcimento e alla non ripetizione.

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità.

      Puntare lo sguardo indietro ha un significato estremamente potente per quanto accade nel presente, e dare contenuto a quel passato che continua sistematicamente a ripetersi. Fare memoria vuol dire far conoscere la realtà di quanto accade ed esigere giustizia per ogni vittima di frontiera.

      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi», ha affermato Youssef M.Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale. «Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha continuato ricordando quanto accaduto di recente a Melilla2. Se cambiassero il luogo e la data, l’evidenza della violenza delle frontiere, esterne ed interne al Paese, sarebbero esattamente le medesime.

      https://www.youtube.com/watch?v=4HayyEDFaSc

      Tra le vittime più recenti, Moussa Sylla, espulso dal Ceti (Centro di residenza temporanea per migranti) di Ceuta dove era stato accolto al suo arrivo in territorio spagnolo lo scorso dicembre 2022. Moussa ha dovuto lasciare il centro senza però avere un altro luogo dove andare, allontanato come tanti altri minori che arrivano soli e finiscono abbandonati a sé stessi e alla disperazione. Fino allo scorso 26 gennaio era rimasto davanti alla porta dello stabilimento per chiedere di entrare. Sotto pioggia e freddo supplicava ripetutamente di non esser rilegato al margine ancora una volta. Ma non è stato ascoltato. Espulso dallo Stato che difende le frontiere anziché proteggere le persone, Moussa si è impiccato ad un albero dinanzi le porte dello stabilimento.

      Le colonne di Ercole, erette una di fronte all’altra nello stretto di Gibilterra, non sono più elemento di connessione ed unione tra due mondi inesplorati di un Ulisse che dal suo viaggio fa ritorno in patria. Le colonne dello stretto sono una stretta sul popolo in movimento indesiderato, una strategia ulteriore di chiusura all’Altro per cui l’hospes si è risolto in hostis.

      In questo incrocio di acque – Atlantico e Mediterraneo – e di terre, l‘Europa dall‘Africa, sorge l’inquietudine di una frontiera in cui i paesi e gli uomini non solo stanno di fronte ma sul fronte, in prima linea di guerra, per fronteggiarsi ed ispezionarsi.

      E’ al grido di «Basta violenza alle frontiere» che accompagniamo la marcia di commemor-azione che da nove anni si batte contro l’impunità che vige sul caso: l’inchiesta giudiziaria aperta, che stava per mettere al banco per omicidio colposo 16 guardie civili (scampate applicando la ‘dottrina Loot’), è stata definitivamente archiviata dalla Corte Suprema nel giugno dello scorso anno. La Corte Costituzionale sta ancora studiando se accogliere o meno i ricorsi presentati da diverse organizzazioni non governative e per conto delle famiglie delle vittime (a cui non è stato nemmeno permesso di recarsi in Spagna) per violazione dei loro fondamentali diritti alla vita, protezione giudiziaria effettiva e integrità morale, come indicato nelle dichiarazioni dell’avvocata Fernández.

      In memoria di Roger, Yves, Samba, Larios, Daouda, Luc, Youssouf, Armand, Ousmane, Keita, Jeannot, Oumarou, Blasie e le altre persone non identificate, continuiamo ad esigere che si faccia giustizia, che venga riconosciuta la responsabilità dei crimini di frontiera e garantire equi diritti a tutte le persone senza condizione alcuna.

      https://www.meltingpot.org/2023/02/tarajal-il-dovere-della-memoria-per-tutte-le-vittime-di-frontiera

    • La tomba 147 e l’instancabile lotta di giustizia per la strage del Tarajal

      Ceuta, 10 anni dal 6 febbraio 2014

      Nei tranquilli e placidi passaggi del cimitero di Santa Catalina a Ceuta, situato nel cortile di Santa Beatriz de Silva, c’è un corridoio infinito fiancheggiato da due file di lapidi, in cui si può scoprire un enigmatico labirinto di marmo. È adornato da nomi, cognomi e ornamenti che evocano la memoria di coloro che non ci sono più. Oltre questa fila, nel punto più alto, si trovano tombe meticolosamente numerate, sigillate nel freddo abbraccio del cemento. Questi loculi sono privi di nomi o vasi di fiori che ricordano le anime che riposano al loro interno. Guardando dall’altra parte dello stretto, si vedono le tombe dei migranti che sono morti nel tentativo di raggiungere la spiaggia di Tarajal a Ceuta e di altri che hanno subito lo stesso destino. Si tratta di tombe anonime. Qui giacciono cinque delle quindici persone che, il 6 febbraio 2014, hanno cercato di raggiungere a nuoto la spiaggia di Tarajal a Ceuta, situata al confine tra Marocco e Spagna.
      Ostacoli all’identificazione dei corpi delle vittime di Tarajal

      Solo il corpo di Nana Roger Chimie, un giovane camerunense, è stato identificato; gli altri resti sepolti nel sito rimangono non identificati, nonostante gli sforzi delle famiglie e degli avvocati di Samba, Larios e Ussman Hassan per chiarire l’identità dei corpi trovati dopo il ritrovamento di Nana, che giacciono sepolti lì.

      Patricia Fernández Vicent, avvocata della Coordinadora de Barrios, conferma che «Nana è stato identificato perché il suo corpo è stato ritrovato solo due giorni dopo i fatti e grazie agli oggetti personali che portava con sé quando ha cercato di attraversare il mare per raggiungere la Spagna. Inoltre, le sue condizioni hanno permesso di verificare le sue impronte digitali con i database camerunesi. Roger riposa nella tomba numero 147», che si distingue solo per la data e l’iscrizione: “Tarajal 6-2-14“.

      L’identità degli altri rimane un mistero. L’avvocata aggiunge: «Abbiamo chiesto al tribunale il test del DNA, ma è stato rifiutato in quanto non necessario per chiarire i fatti, quindi non è mai stato effettuato». C’è anche un quinto corpo la cui identità rimane sconosciuta, poiché non è stato fatto alcun tentativo formale di identificarlo.

      A distanza di dieci anni, le famiglie delle vittime sono ancora in cerca di giustizia e lottano senza sosta per ottenere il permesso di recarsi a Ceuta per identificare i loro cari. Tuttavia, il governo spagnolo ha ripetutamente negato i visti necessari per verificare se i resti appartengono a qualcuno dei parenti ancora dispersi.

      A tre anni dagli eventi, le famiglie delle vittime del Tarajal erano state ascoltate dal Congresso dei Deputati, in coincidenza con l’anniversario. Una dozzina di padri, madri, fratelli e sorelle di coloro che morirono sulla spiaggia di Ceuta avevano partecipato a un atto commemorativo in videoconferenza. «Vogliamo che sia fatta giustizia, vogliamo che la loro morte non rimanga impunita», aveva esclamato la madre di uno dei giovani morti di Douala, in Camerun, durante il tributo.

      Le famiglie dei giovani deceduti continuano a chiedere di conoscere la verità su quanto accaduto, chiedendo giustizia affinché queste morti non rimangano dimenticate e senza responsabilità. «Stavano solo cercando una vita migliore per le loro famiglie», ha detto un membro della famiglia.
      Dieci anni senza responsabilità

      A dieci anni dalle morti e dopo otto anni di procedimenti giudiziari, il caso non è ancora arrivato al processo, essendo stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. La vicenda giudiziaria del caso Tarajal è stata complessa e prolungata. È iniziata nel febbraio 2015 quando il Tribunale di Ceuta ha convocato 16 agenti di polizia, con le Ong CEAR, Coordinadora de Barrios e Observatori DESC che hanno agito come parti civili.

      Nelle prime due istanze di archiviazione, nel 2015 e nel 2018, il giudice ha concluso che erano stati compiuti tutti i passi investigativi possibili, senza trovare prove di attività sanzionabile nei confronti dei 16 agenti della Guardia Civil coinvolti negli eventi di quella mattina del febbraio 2014. Tuttavia, il Tribunale Provinciale di Ceuta ha ribaltato entrambe le decisioni nel 2017 e nel 2018, incaricando il giudice di identificare i cinque deceduti e di raccogliere le dichiarazioni dei sopravvissuti. Nell’ottobre 2017, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Spagna per pratiche simili a Melilla.

      Il caso è stato nuovamente chiuso nel gennaio 2018, ma dopo i ricorsi, nell’agosto 2018, il Tribunale Provinciale di Cadice ha deciso di riaprire il caso, sottolineando le inadeguatezze dell’indagine. Nel settembre 2019, 16 agenti della Guardia Civil sono stati processati, ma il fascicolo è stato chiuso per la terza volta nell’ottobre 2019, provocando ulteriori ricorsi. Il Tribunale Provinciale di Cadice ha respinto i ricorsi nel luglio 2020.

      Le Ong hanno presentato un ricorso in Cassazione alla Corte Suprema, che è stato respinto nel maggio 2022. Nel luglio 2022 è stato presentato un ricorso per amparo alla Corte Costituzionale 1. Infine, nel giugno 2023, la Corte Costituzionale ha ammesso il ricorso per amparo, aprendo la possibilità di stabilire una dottrina costituzionale che protegga i diritti dei migranti alle frontiere.

      Nonostante si tratti di uno dei casi più mediatici degli ultimi anni, né i giudici né i pubblici ministeri si sono pronunciati pubblicamente durante il processo, limitandosi a fare riferimento alle ordinanze e ai documenti inviati alle parti. Una fonte giudiziaria ha spiegato a questo corrispondente che “si trattava di un caso insolito, in quanto era la prima volta che si trovavano di fronte a un gruppo di assalto marittimo“. Inoltre, ha sottolineato che le questioni legali sono complicate, in quanto bisogna stabilire “se c’è una responsabilità condivisa per i crimini sconsiderati e qual è stata la partecipazione specifica di ciascuna guardia civile“. Questo perché le sanzioni non possono essere applicate a gruppi, il che solleva questioni di natura strettamente legale.

      Cosa è successo nelle prime ore del 6 febbraio 2014 sulla spiaggia di Tarajal a Ceuta

      Nelle prime ore del 6 febbraio 2014, circa 400 persone hanno tentato di attraversare la barriera di confine che separa il Marocco dall’Europa. La Guardia Civil, dispiegata lungo l’intero perimetro del confine, ha cercato di impedire al gruppo di entrare a Ceuta utilizzando attrezzature antisommossa, proiettili di gomma, gas lacrimogeni e detonazioni acustiche.

      Almeno 15 persone sono state uccise e molte altre gravemente ferite. Coloro che sono sopravvissuti e sono riusciti a raggiungere il lato spagnolo della spiaggia di Tarajal sono stati immediatamente rispediti in Marocco. La mattina successiva furono ritrovati 14 corpi, 5 in Spagna e 9 in Marocco. Ufficialmente, 23 persone sono state riportate in Marocco e solo una persona è stata dichiarata dispersa.

      Secondo le ONG coinvolte nell’accusa popolare contro le guardie civili, “molte testimonianze di sopravvissuti e testimoni, insieme ai video ufficiali rilasciati dalla Guardia Civil, dimostrano che la delegazione governativa a Ceuta era a conoscenza in ogni momento dell’attivazione del livello massimo di allerta, che prevedeva la mobilitazione di varie unità della Guardia Civil dotate di attrezzature anti-sommossa“. L’allerta è stata attivata per impedire al gruppo di circa 400 persone di entrare in territorio spagnolo. Si trattava di coloro che erano riusciti a eludere i controlli delle forze marocchine nei boschi vicino al confine con Ceuta e a raggiungere la spiaggia, nella zona marocchina, dove si sono gettati in mare. Secondo i testimoni, circa 1.500 persone, per lo più africani subsahariani, hanno cercato di entrare in Europa quella mattina, ma solo 400 sono riusciti ad avvicinarsi.

      La Guardia Civil ha affrontato il gruppo in assetto antisommossa mentre nuotava verso la riva, lanciando candelotti fumogeni e palle di gomma dal frangiflutti. Questa azione non è stata inizialmente riconosciuta dal delegato del governo, Francisco Antonio González, e successivamente dal direttore generale della Guardia Civil, Arsenio Fernández de Mesa, che ha negato l’uso di materiale antisommossa in acqua, attribuendo la responsabilità dei morti alle forze marocchine.
      Le bugie del Ministero degli Interni

      Jorge Fernández Díaz, all’epoca Ministro degli Interni, si presentò una settimana dopo al Congresso ammettendo l’uso di materiale antisommossa come deterrente, ma indicando l’acqua. Queste spiegazioni seguirono la diffusione di immagini che mostravano gli agenti della Guardia Civil utilizzare “145 proiettili di gomma e cinque candelotti fumogeni” per impedire ai migranti di raggiungere la Spagna, sparando verso la posizione in cui stavano nuotando, mentre erano inseguiti da una motovedetta marocchina. Nella stessa occasione, il ministro si è rammaricato per la morte delle 15 persone sulla spiaggia di Tarajal ma, come gli ha chiesto un deputato dell’opposizione, non si è scusato con le famiglie delle vittime in quanto capo della Guardia Civil.

      Il Segretario di Stato per la Sicurezza, Francisco Martínez, al Congresso, ha dichiarato che nessuno dei giovani che hanno raggiunto la riva spagnola è rimasto ferito e che la Guardia Civil ha sparato solo mentre erano ancora in acque marocchine, attenuando l’azione dal frangiflutti. Tuttavia, sono sorte delle domande: “Perché nessuno ha cercato di salvare le persone che stavano annegando? Perché non sono stati allertati i soccorsi marittimi e la Croce Rossa?“.

      Il governo del PP, attraverso il ministro, ha ufficializzato la sua versione dei fatti e ha respinto la richiesta di aprire una commissione d’inchiesta richiesta dall’opposizione, approfittando della maggioranza assoluta di cui godeva nel 2014. Ma le registrazioni e gli audio forniti delle comunicazioni tra gli agenti e il COS mettono in dubbio la versione di Martínez. In una delle comunicazioni, gli agenti hanno avvertito della presenza di migranti che nuotavano e hanno chiesto istruzioni: “Dobbiamo fermarli?“. Dalla centrale operativa hanno risposto con incertezza: “Non sono sicuro, almeno cerchiamo di fermarli dall’avanzare, si stanno dirigendo verso Ceuta“. La risposta è stata: “Non è possibile, hanno attraversato da dietro e l’unica opzione era catturarli o lasciarli proseguire“. Le contraddizioni del delegato del governo a Ceuta e del direttore della Guardia Civil sono venute alla luce, mettendo a nudo la leadership del Ministero degli Interni. Nessuno si è dimesso.

      Persino il presidente del governo della città autonoma, Juan Jesús Vivas, si è spinto a definire “miserabili” sul suo account Facebook le organizzazioni che hanno accusato direttamente le guardie civili di essere responsabili delle morti. L’Ong Caminando Fronteras ha pubblicato un rapporto che includeva i referti delle ferite e le testimonianze dei sopravvissuti, tutti sono concordi nell’affermare che i proiettili di gomma erano diretti contro i migranti. Dopo essere venuto a conoscenza del rapporto, Francisco Antonio González ha consigliato alle guardie civili di sporgere denuncia contro l’organizzazione.
      Il vescovo di Tangeri critica l’azione della Guardia Civil

      L’arcivescovo emerito di Tangeri, Santiago Agrelo, ha criticato le azioni della Guardia Civil durante gli eventi del 6 febbraio 2014 a il Tarajal. “Quel giorno, quei giovani non si sono gettati in acqua contro nessuno: cercavano solo un futuro migliore, al quale sicuramente avevano diritto almeno quanto me“. Ha sottolineato la responsabilità delle forze dell’ordine, affermando che “le forze dell’ordine del Regno di Spagna hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per impedire a quei giovani di raggiungere la spiaggia, un fatto che non solo è stato riconosciuto ma anche rivendicato: hanno fatto ciò che dovevano fare“.

      Nessuno si è assunto la responsabilità e nessuno sa chi abbia dato l’ordine di autorizzare gli agenti spagnoli ad agire sulla spiaggia di Tarajal. A distanza di dieci anni, nessuno a nome dello Stato spagnolo si è scusato con le famiglie delle vittime di quella fatidica mattina del febbraio 2014. La tomba 147 nel cimitero di Ceuta rimarrà in silenzio.

      La mattina di domenica 4 febbraio, la tomba di Roger Nana è stata resa dignitosa. L’associazione ELIN, la Coordinadora de Barrios e alcuni attivisti hanno dedicato un poster che è stato collocato sulla tomba di Nana. Dopo un breve funerale, Javier Baeza, presidente dell’organizzazione di Madrid, ha dedicato alcune parole di omaggio alle vittime. Le altre tombe sono già segnate come “persona non identificata 6 febbraio 2014“.

      https://www.meltingpot.org/2024/02/la-tomba-147-e-linstancabile-lotta-di-giustizia-per-la-strage-del-taraja

      #responsabilité

    • #Ceuta: di tutte le stragi, una Memoria Mediterranea

      A dieci anni dalla strage del Tarajal, in cui furono uccise almeno 14 persone nel tentativo di raggiungere la Spagna a nuoto, Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco, continua a essere tra le frontiere più violente del regime necropolitico europeo: il mare da un lato, la valla di concertina tagliente dall’altro, sistematicamente iper vigilati e militarizzati per impedire il transito delle persone verso l’Europa. Luogo di incessante approccio securitario, Ceuta, come Melilla, in territorio nordafricano, è da anni scenario di morte e negazione della vita umana, non solo delle persone che tentano di sfidarlo ma di tutte coloro che restano dall’altro lato in attesa di verità sui propri familiari.

      Sono trascorsi 10 anni di silenzio sul massacro del Tarajal, quando, all’alba del 6 febbraio 2014, la Guardia Civil spagnola sparava brutalmente centinaia di proiettili di gomma contro un gruppo di oltre 300 persone migranti di origine sub – sahariana provocandone la morte per annegamento e omettendo il loro soccorso e il recupero dei corpi. Decine di persone sono annegate davanti allo sguardo inerme delle guardie che ad oggi continuano impunemente a perpetrare violenza e repressione contro le persone migranti direttamente coinvolte e contro le famiglie a cui viene negato l’accesso per poter raggiungere l’Europa e cercarli.

      Le persone che tentano di varcare il confine al costo della propria vita, vengono sottoposte a ripetute umiliazioni e procedure di controllo, trattenimento e maltrattamento propedeutiche allo smistamento e alla loro espulsione, sorte di cui spesso le famiglie rimangono ignare e lontane dalle possibilità di richiesta per verità e giustizia dai territori di origine.

      Dal massacro, il governo spagnolo ha ripetutamente respinto la richiesta dei visti ai familiari delle persone disperse e il prelievo del DNA dai resti recuperati affinché procedessero con l’eventuale identificazione dei corpi, ignorando di fatto la loro richiesta di giustizia e verità.

      Infatti, il caso del 6 febbraio fu ripetutamente archiviato dalle responsabilità di una ennesima strage di Stato, riaperto successivamente e in corso di risoluzione, solo lo scorso giugno 2023, grazie alla pressione delle stesse persone sopravvissute e delle famiglie, alle avvocate e attiviste solidali che con loro sostengono la rivendicazione contro la negazione politica della vita e della morte.

      In accordo con il Marocco – da Rajoy e i successori fino all’attuale Sanchez – lo Stato spagnolo ribadisce da decenni il proprio compromesso sul controllo bilaterale della frontiera elogiando l’impegno sempre più mirato all’esternalizzazione della frontiera sul territorio marrocchino in un’ottica di governance migratoria, disattendendo i principi democratici e i diritti di libertà e dignità per la vita delle persone migranti, in fuga da altrettante situazioni di violenze ed abuso, spesso dipese dalla onerosa precarizzazione economica.

      In questo senso, la violenza di cui Ceuta si fa testimone, la medesima che interessa Melilla e la rotta canaria in Spagna o i luoghi in cui vige la procedura di frontiera sull’intero suolo europeo – da Lampedusa a Ventimiglia e lungo i Balcani – non è rappresentata da “ assalti” ed “invasioni” illegali come mediaticamente cerca di strumentalizzare la difesa politica, ma insita nella rimozione sistematica del diritto a partire, a circolare ed arrivare liberamente, alla possibilità per tutte e tutti di avere riconosciuta un’identità ante e post mortem, il diritto a sapere e al lutto.

      Accordi con paesi terzi come il Marocco, esattamente come accade tra Italia e Libia e Tunisia, ledono ogni diritto umano, in primis quello alla vita, abusata e fatta prigioniera dietro e dentro le mura di cinta, potenziate nel meccanismo di controllo e respingimento in mare, nei dispositivi detentivi e di sorveglianza dei centri per il rimpatrio (In Spagna C.I.E.), luoghi di trattenimento forzato e punitivo senza alcuna condanna, dove però non si spengono manifestazioni per la libertà e la liberazione dalle persone trattenute e recluse, in protesta anche in questi giorni dai vari centri in Italia a seguito del suicidio di Stato di Ousmane Sylla .

      La strage di Tarajal è l’espressione di quanto accade ogni giorno da anni in cui impunità, ingiustizia e violenza assumono le sembianze della lotta alla criminalità e alla sicurezza nazionale. Massacri senza giustizia, tombe senza nome, corpi senza volto, morti senza corpo, non sono che l’espressione ultima.

      Ma non l’unica.

      Alla Frontera Sur, una ‘Marcha por la Dignidad’, organizzata da centinaia di persone migranti, familiari, attivisti e diverse organizzazioni solidali, tra cui @Caravana Abriendo Fronteras e @CarovaneMigranti, continua da 10 anni a reclamare ed esigere verità e giustizia per tutte le persone morte nel massacro di Ceuta e per tutte coloro che muoiono e scompaiono per mano della indifferente violenza sistemica di un regime politico mortifero che vigila e reprime le persone migranti alle frontiere interne ed esternalizzate.

      Anche quest’anno la Marcha, partita dalla sede della Delegazione del Governo di Ceuta, ha raggiunto la spiaggia del Tarajal, dove la commemorazione diviene strumento di lotta non solo per ricordare il Tarajal ma per parlare di tutte le ennesime stragi che si ripetono. Quanto accaduto nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma rigorosamente sistematico, lo abbiamo visto a Melilla, a Nador, ad Ouija, in Tunisia, in Sicilia, a Cutro. Tante, troppe e ininterrotte stragi, in altrettante date del calendario, si verificano nel silenzio politico di turno.

      Ma la lotta per la Memoria viva è un riscatto mediterraneo che unisce la rabbia per trasformare il dolore in un grido collettivo per ogni Memoria negata e inabissata che vive attraverso chi può raccontare, dalle lotte familiari e collettive.

      A dieci anni dalla strage di Ceuta, per tutte le stragi invisibili di cui non si racconta, per ogni persona coinvolta in un massacro rimosso, continuiamo a tessere un’unica Memoria Mediterranea, quella praticata tutti i giorni come strumento di denuncia e di ricerca di giustizia, custode di dignità e resistenza.

      Non lasceremo il Mediterraneo agli abissi, ce ne impossessiamo senza timore per combattere dove si combatte, per elevare la voce dove si protesta, per piantare dove si cerca di seppellire.

      Tarajal, no olvidamos!

      https://memoriamediterranea.org/ceuta-di-tutte-le-stragi-una-memoria-mediterranea
      #mémoire_méditerranéenne

  • Mort de Blessing Matthew : la justice européenne ne permet pas de rouvrir le dossier

    La CEDH a rendu sa décision jeudi 18 janvier : elle estime irrecevable la requête de la sœur de la Nigériane retrouvée morte noyée dans la Durance, près de Briançon, en mai 2018. Elle souhaitait une réouverture de l’enquête.

    C’estC’est la fin d’un long combat en quête de justice et de vérité. Jeudi 18 janvier, la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a statué dans l’affaire dite « Blessing Matthew », du nom de cette exilée nigériane retrouvée morte noyée dans la Durance, à la frontière franco-italienne, près de Briançon (Hautes-Alpes), le 7 mai 2018.

    La Cour a jugé, à l’unanimité, que la requête était « irrecevable », coupant court aux derniers espoirs nourris par Christiana, la sœur de Blessing Matthew, par l’association locale Tous Migrants, mais aussi par Hervé, le seul témoin, dont Mediapart a révélé l’existence. Son témoignage, quatre ans après les faits, pointait le rôle des forces de l’ordre dans la mort de la jeune femme.

    À seulement 20 ans, elle tentait d’échapper aux gendarmes qui cherchaient à l’interpeller au petit matin, après qu’elle eut franchi la frontière franco-italienne accompagnée de deux hommes. La justice française avait estimé qu’il n’y avait « aucun témoin ». Hervé avait d’ailleurs disparu un temps après avoir été refoulé en Italie. Une juge d’instruction indépendante avait aussi rendu un non-lieu en 2020, après une plainte déposée par Christiana.

    Lorsqu’Hervé est sorti de l’ombre pour donner sa version des faits, après des années d’errance, les avocats de Tous Migrants ont décidé de demander la réouverture du dossier. Ils n’ont pas été entendus. Pour Me Vincent Brengarth, cette décision de la CEDH cause une « déception très claire » chez tous les intervenants qui ont pu participer à ce « combat judiciaire » au cours des dernières années.

    « Il y a le sentiment que la décision de la CEDH n’est pas à la hauteur de la mobilisation exceptionnelle qu’il y a eue autour de cette affaire, pour que toute la lumière soit faite sur les circonstances de la mort de Blessing », explique l’avocat, joint par Mediapart. Il ajoute qu’il ne s’agit pas d’une irrecevabilité « classique », qui pourrait laisser entendre qu’il pouvait y avoir des vices de forme ou des irrégularités dans la procédure.
    Une décision sur le fond

    « Non, un juge a bien regardé le dossier au fond mais a rejeté la requête en considérant que les autorités françaises avaient fait le nécessaire de façon raisonnable dans ce dossier. » Un point de vue que ne partagent pas l’avocat ni l’association Tous Migrants.

    « On constate que malgré une analyse de fond, la décision donne crédit à la manière dont les autorités ont agi dans cette affaire, regrette Agnès Antoine, membre de Tous Migrants. Ni les autorités françaises ni la CEDH n’auront répondu à la demande de justice et de vérité pour Blessing depuis 2018. »

    Le contraste avec le volume et la qualité du travail produit par la communauté d’acteurs est, selon elle, saisissant. « Il y avait une intensité d’éléments fournis par le témoin, Tous Migrants ou encore Border Forensics [qui regroupe chercheuses et chercheurs, architectes et cartographes et mène des investigations sur les morts aux frontières – ndlr]. Que faut-il de plus aujourd’hui pour espérer que la justice soit rendue à une personne exilée ? », abonde Vincent Brengarth, qui évoque un « rendez-vous raté avec la justice ».

    Dans ses motivations, la CEDH justifie sa décision ainsi : « Le témoignage ne contenait pas d’allégation plausible ou crédible qui aurait permis l’identification, la poursuite et éventuellement la condamnation de l’auteur d’un homicide, et n’était de nature à remettre en cause ni le sérieux ni les conclusions de l’enquête initiale. »

    Le nouveau témoignage d’Hervé, à la fois « précis et inédit » selon Me Brengarth, aurait pourtant dû mener à de nouvelles investigations. « Il pointait des gendarmes à l’identité connue à travers les éléments de l’investigation. On a l’impression aujourd’hui que tous ces éléments ont été piétinés. » Sans parler des risques pris par Hervé en accusant des gendarmes dans une affaire aussi sensible, et qui a été menacé d’expulsion, peu de temps après avoir livré son témoignage à la presse.

    L’avocat tout comme l’association Tous Migrants prennent acte de la décision de la CEDH malgré tout. Mais ils promettent que le combat ne s’arrêtera pas là : d’autres victimes des frontières, ou proches de victimes, « ont besoin d’un espace pour être entendues dans leur quête de vérité et de justice », conclut Agnès Antoine. La mort de la jeune femme avait secoué le tissu associatif local, déjà fortement mobilisé pour venir en aide aux exilé·es en situation de détresse dans la montagne.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/180124/mort-de-blessing-matthew-la-justice-europeenne-ne-permet-pas-de-rouvrir-le

    #Blessing_Matthew #CEDH #justice (well...) #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #asile #migrations #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #frontière_sud-alpine #Alpes

    • Communiqué de presse Tous Migrants - Border Forensics, 19.01.2024 :
      LA CEDH ne répond pas à la demande de vérité pour Blessing Matthew

      [EXTRAIT] Depuis la mort de Blessing Matthew le 7 mai 2018, suite à sa chute dans la Durance alors qu’elle était poursuivie par la police, sa famille ainsi que l’association Tous Migrants ont inlassablement poursuivi leur combat pour que la justice fasse toute la lumière sur ce drame, en ne négligeant aucune voie judiciaire. Des plaintes ont ainsi rapidement été déposées auprès du Procureur de la République en 2018, avant que, en 2019, des plaintes avec constitution de partie civile soient déposées devant le Doyen des juges d’instruction après le classement sans suite de l’affaire. En dépit de l’ensemble des éléments produits au cours de la procédure, une ordonnance de non-lieu était rendue puis confirmée.

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      Texte complet :

      Depuis la mort de Blessing MATIHEW le 7 mai 2018, suite à sa chute dans la Durance alors qu’elle était poursuivie par la police, sa famille ainsi que l’association Tous Migrants ont inlassablement poursuivi leur combat pour que la justice fasse toute la lumière sur ce drame, en ne négligeant aucune voie judiciaire. Des plaintes ont ainsi rapidement été déposées auprès du Procureur de la République en 2018, avant que, en 2019, des plaintes avec constitution de partie civile soient déposées devant le Doyen des juges d’instruction après le classement sans suite de l’affaire. En dépit de l’ensemble des éléments produits au cours de la procédure, une ordonnance de non-lieu était rendue puis confirmée.

      Des éléments nouveaux sont par la suite intervenus, dont un témoignage de M. H. S., contredisant formellement les déclarations des gendarmes et faisant état de ce que Blessing MATIHEW s’était débattue avec l’un d’eux, entrainant sa chute dans l’eau, de ce que personne ne lui a porté secours avant qu’elle ne disparaisse dans la rivière et trouve la mort.

      La cohérence de ces déclarations a été confirmée par l’analyse minutieuse menée par Border Forensics, après plusieurs mois de travail. https://www.borderforensics.org/fr/enquetes/blessing

      C’est dans ces conditions qu’une demande de réouverture de l’information judiciaire a été introduite par les parties civiles le 13 juin 2022.

      Malgré les éléments nouvellement communiqués, qui n’avaient, de fait, jamais été étudiés par la justice, et en dépit de la gravité des accusations portées, le Procureur Général n’en a tiré aucune conséquence, se contentant de rejeter la demande de réouverture formulée en adoptant une motivation expéditive.

      Compte tenu de cette décision contestable, la famille de Blessing MATTHEW et l’association Tous Migrants ont fait le choix de se tourner vers la CEDH en 2022, en dernier recours.

      Par une décision communiquée ce jour, plus d’un an après la requête, la Cour Européenne des Droits de l’Homme a constaté que la demande de réouverture de l’information pour charges nouvelles formulée était bien étayée par un élément nouveau, à savoir le témoignage de M. H.S. livré postérieurement à la clôture de l’instruction, mais que, selon elle, rien ne pouvait permettre de remettre en cause l’appréciation de cet élément par le procureur général.

      La CEDH refuse par conséquent d’invalider l’enquête menée par les autorités françaises.

      Cette décision n’est absolument pas à la hauteur des enjeux, des éléments produits et du travail fourni par les parties civiles pour palier la défaillance de la justice française, s’agissant d’une affaire qui, doit-on seulement le rappeler, concerne le décès d’une personne exilée et ce consécutivement à l’intervention des gendarmes.

      Les soussignés ne vont pas cesser le combat, ni dans cette affaire ni dans d’autres. Ils entendent au contraire tirer tous les enseignements de cette décision de la CEDH, intervenue à l’ issue de l’épuisement des voies de recours internes, afin que, par la suite, les autorités n’aient plus l’occasion de trouver des échappatoires pour ne pas rechercher toutes les responsabilités.

      L’impunité qui persiste pour la mort de Blessing MATIHEW perpétue après sa mort le traitement discriminatoire et inhumain dont elle a été l’objet durant sa vie. L’absence de réponse aux demandes de vérité et de justice de la famille de Blessing de la part des institutions judiciaires françaises et maintenant la CEDH rendent le travail de la société civile encore plus essentiel.

      Nous nous engageons à continuer à chercher à éclairer les circonstances qui ont mené à la mort de Blessing et les responsabilités impliquées, et à les faire connaître publiquement.

      Nous nous engageons à continuer à soutenir d’autres victimes de la violence des frontières Alpines, dont la liste continuera de s’allonger tant que l’impunité pour les morts et les violations est perpétuée, et que les politiques qui y mènent structurellement sont maintenues.

      https://tousmigrants.weebly.com/communiqueacutes-de-presse.html

    • Noyade de Blessing Matthew : la Cour européenne des droits de l’homme déclare la « requête irrecevable »

      En octobre 2022, la sœur de Blessing Matthew et Tous migrants avaient déposé une requête contre la France devant la Cour européenne des droits de l’homme. La jeune migrante, originaire du Nigeria, était décédée en mai 2018, en tombant dans la Durance.

      (#paywall)
      https://www.ledauphine.com/societe/2024/01/18/noyade-de-blessing-matthew-la-cour-europeenne-des-droits-de-l-homme-decl

  • Reportages : InfoMigrants à la rencontre des Sénégalais tentés par le rêve européen

    InfoMigrants est allé au Sénégal, en banlieue de Dakar, à la rencontre de jeunes - et moins jeunes - tentés par un départ vers l’Europe. En cause : l’inflation, la crise du Covid et de la pêche... Certains sont restés mais ont aussi perdu un proche dans la traversée de l’Atlantique vers les Canaries espagnoles. D’autres encore sont rentrés après l’échec de leur rêve européen. Retrouvez tous nos reportages.

    La situation économique du Sénégal pousse de plus en plus d’hommes et de femmes à prendre la mer en direction des îles Canaries, distantes d’environ 1 500 km. Les Sénégalais fuient généralement une vie sans perspective, aggravée par les changements climatiques.

    https://www.youtube.com/watch?v=ZuLD1UbvL5Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À l’été 2023, les départs se sont notamment succédé vers l’archipel espagnol depuis les côtes sénégalaises. Sur l’ensemble de l’année 2023, plus de 37 000 personnes ont tenté de rejoindre le pays européen, du jamais vu.

    https://www.youtube.com/watch?v=4N-_aCjoA-c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Beaucoup prennent la mer sans en mesurer les dangers. Selon l’ONG espagnole Caminando fronteras, plus de 6 000 migrants sont morts en mer l’année dernière. Ce chiffre, qui a pratiquement triplé (+177%) par rapport à celui de 2022, est « le plus élevé » comptabilisé par l’ONG depuis le début de ses recensements.

    https://www.youtube.com/watch?v=QMMuxSFfSS4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Dans le même temps, des Sénégalais, déçus par leur exil, sont aussi rentrés au pays après des années passées en Europe. Souvent, ils reviennent avec l’aide de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le soutien financier de l’Union européenne. Mais en rentrant « les mains vides », ils doivent faire face à la déception de leurs proches.

    https://www.youtube.com/watch?v=LsbHTBTn3fY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À Dakar, on croise aussi des Centrafricains, des Congolais, des Sierra-léonais, des Ivoiriens… Certains sont réfugiés, d’autres sont en transit, d’autres encore sont « bloqués » au Sénégal et attendent de pouvoir rejoindre rentrer chez eux.

    https://www.youtube.com/watch?v=apA6oKCDlOE&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Enfin, il y a ceux qui refusent de risquer leur vie et s’échinent à demander un visa pour atteindre l’Europe, malgré les refus successifs et le coût de la procédure. Comme partout, des trafiquants profitent de la situation et organisent des trafics de rendez-vous en ambassades. Des mafias prennent ainsi tous les créneaux sur internet et les revendent à prix d’or à des Sénégalais désespérés.

    https://www.youtube.com/watch?v=IgyUa9priPY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    https://www.infomigrants.net/fr/post/54517/reportages--infomigrants-a-la-rencontre-des-senegalais-tentes-par-le-r

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