• Il rafforzamento dell’esternalizzazione delle migrazioni

    Mentre esponenti del Governo e del parlamento italiano criticano in modo irresponsabile il governo tedesco per il finanziamento delle ONG che salvano i migranti nel mare, evocando invasioni e complotti (La bordata della Lega alla Germania: “Ci invase con le armi, ora coi migranti” – la Repubblica), segno dell’incapacità politica e di una campagna elettorale europea già iniziata, il Consiglio europeo dei ministri dell’interno si è riunito ieri per discutere dei regolamenti del Patto Asilo da adottare e dell’unica misura su cui tutti i paesi sono d’accordo, ovvero l’esternalizzazione del governo migratorio per fermare le partenze e contenerle nei paesi di transito del mediterraneo meridionale.

    E poco dopo Piantedosi a Palermo, incontra ministri di Libia e Tunisia – Notizie – Ansa.it, segno di come al Governo italiano, senza accordi con gli altri paesi europei sui movimenti secondari, la riforma del regolamento di Dublino, la ricollocazione dei migranti, non resti altro che sperare nella buona volontà dei governi più o meno democratici del Mediterraneo meridionale, di cooperare nel fermare le partenze. Il governo italiano sceglie di affidarsi agli autocrati e alle loro richieste di denaro, esponendosi ai loro ricatti.

    Mentre ci sarebbe l’unica soluzione seria e lungimirante, ma intrattabile per i sovranisti che nutrono la paura dell’altro: investire finalmente in modo strutturale sull’accoglienza e l’integrazione dignitosa per lo stesso sviluppo sostenibile dell’Italia (demografico, economico e sociale, interculturale) con canali migratori regolari per chi scappa da guerre e calamità, e per motivi di lavoro. Si tratterebbe di investire in Italia e per l’Italia, mentre con coerenza si dovrebbero cambiare in modo strutturale le relazioni commerciali e di investimento predatorie e a sostegno delle guerre che causano le migrazioni, investendo di più nella cooperazione allo sviluppo (home – campagna 070 e Home page – ECG Project (focsiv.org).

    Abbiamo tradotto in italiano il “discussion paper” della Presidenza spagnola del Consiglio europeo (vedi più avanti) che propone il seguente modello preventivo di esternalizzazione.

    Dopo avere ricordato la sfida della lotta alla migrazione irregolare nelle diverse rotte, tra cui quella del Mediterraneo centrale con la recente crisi in Lampedusa, la Presidenza indica la necessità di rafforzare la dimensione migratoria esterna basata, “in maniera decisa e continuativa, su una stretta e permanente collaborazione con i principali Paesi di transito e di origine dei migranti”, in modo da superare lo stato reattivo di “gestione della crisi” ricorrente.

    Ma tutto ciò senza chiedersi con chi si tratta: autocrati o democrazie? Senza perlopiù considerare che i paesi del Sud soffrono di una instabilità strutturale per cui è difficile presumere una continuità di medio-lungo periodo. A meno che non si voglia sostenere finanziariamente e in modo continuo la stabilità di governi autoritari.

    Il discussion paper ricorda che “le misure sono ben note: una combinazione coordinata di assistenza allo sviluppo per combattere le cause profonde della migrazione, la lotta contro il contrabbando di migranti, lo sviluppo di percorsi legali come alternativa alla migrazione illegale e una politica di riammissione e rimpatrio.”

    Ma ancora una volta non c’è profondità nell’analisi delle cause strutturali che portano alla migrazione e che dipendono da politiche economiche e di sicurezza e comportamenti contraddittori dell’Europa. Cosa possiamo cambiare in Europa per non contribuire a far crescere le disuguaglianze internazionali? Questa sarebbe la domanda giusta da porsi.

    La Presidenza spagnola afferma che “dobbiamo orientarci verso un “modello preventivo” in cui forniamo risposte strutturali a problemi strutturali. L’accento deve essere posto sulla prevenzione delle partenze irregolari… per ridurre il numero di partenze irregolari”. Per questo ci vuole una “una cooperazione con i Paesi di origine e di transito, che comprenda almeno i seguenti elementi: … un senso di responsabilità condivisa, con entrambe le parti che lavorano insieme per raggiungere obiettivi percepiti come reciprocamente vantaggiosi. Una fiducia reciproca costruita nel tempo attraverso l’ascolto attivo delle esigenze dei nostri partner e i contatti regolari a tutti i livelli. Una enfasi sulla cooperazione operativa congiunta e regolare, tra cui, ad esempio, pattuglie congiunte, centri operativi congiunti e scambio di informazioni operative finalizzato a smantellare le reti di traffico di persone e di contrabbando nei Paesi di origine e di transito, accompagnati da maggiori sforzi per combattere queste organizzazioni criminali sul territorio europeo. La cooperazione deve essere sostenuta nel tempo e prevedibile, indipendentemente dagli arrivi. Essa dovrebbe includere assistenza materiale, sostegno finanziario e operativo, nonché il rafforzamento delle capacità.”

    Al solito tutto viene ridotto alla cooperazione nel campo della sicurezza dopo aver invece ricordata la necessità di risposte strutturali a problemi strutturali. Non vengono mai menzionati i problemi strutturali riguardo la difesa ed emancipazione dei diritti umani e per la democrazia, la riduzione delle disuguaglianze, la mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. In effetti il testo si rivolge ai ministeri degli interni e quindi di per sé è settoriale e limitato, ma proprio per questo non può essere una risposta strutturale. E’ indispensabile assumere l’approccio di coerenza delle politiche (La coerenza delle politiche per le migrazioni e lo sviluppo sostenibile – Focsiv)

    Infine, non può mancare la questione finanziaria, con quanti e quali risorse sosterremo l’esternalizzazione del governo delle migrazioni? In tal caso il discussion paper chiede un aumento dei “fondi a sostegno della gestione delle frontiere dei Paesi di origine e di transito o la loro lotta contro il traffico di esseri umani o il contrabbando” per “progetti migratori con un reale impatto operativo”, così come un maggiore “ruolo delle agenzie dell’UE nei Paesi terzi, in particolare quello di Frontex, … con i Paesi partner”, e una “maggiore flessibilità nel processo decisionale e un maggior contributo degli Stati membri nell’attuazione dei progetti”.

    C’è poco da fare, l’esternalizzazione con l’esportazione di Frontex non può non essere considerata dai paesi partner come una misura neocoloniale per salvaguardare gli interessi europei, mentre continua la pressione ad aumentare i fondi per la sicurezza a danno di altri capitoli di bilancio europeo nell’attuale revisione a medio termine.

    Tutto ciò mentre si stimano 2500 morti nel Mediterraneo nel 2023, fino ad oggi (Onu, da gennaio a settembre 130mila migranti in Italia – Ultima ora – Ansa.it). Solo questo dato imporrebbe una grande operazione europea di salvataggio ma siamo troppo immersi e morti noi nell’indifferenza, e i nostri governi preferiscono continuare in una politica fallimentare e tragica.

    La dimensione esterna della migrazione. Da un modello reattivo a un modello preventivo.

    INTRODUZIONE

    Negli ultimi anni, le pressioni migratorie e di asilo hanno evidenziato l’importanza della dimensione esterna nella gestione dei flussi verso l’UE. L’aumento degli arrivi in seguito alla guerra in Siria nel 2015, la situazione nel Mediterraneo centrale nel 2016, nel Mediterraneo occidentale nel 2018, sulla costa atlantica nel 2020, la strumentalizzazione da parte della Bielorussia nel 2021 e il massiccio spostamento di persone in seguito all’aggressione russa in Ucraina dall’inizio del 2022 sono buoni esempi.

    Anche la rotta atlantica ha visto un aumento significativo degli arrivi negli ultimi mesi a causa dell’instabilità che sta attraversando il Senegal. La pressione migratoria sulla Grecia e su Cipro continua ad aumentare, sia attraverso le rotte marittime che terrestri e, nel caso di Cipro, attraverso le aree occupate, come avviene anche per le altre rotte terrestri. In questo contesto, è essenziale assicurare un’attuazione rapida ed efficiente dei Piani d’azione presentati per le rotte interessate, tra cui una rapida adozione del Piano d’azione per la rotta del Mediterraneo orientale.

    Inoltre, la guerra in Sudan, il colpo di stato in Niger e le catastrofi naturali in Marocco e in Libia potrebbero avere ulteriori gravi conseguenze migratorie per l’Unione Europea e i suoi Stati membri.

    Il picco della crescente pressione migratoria su tutte le rotte si è recentemente concentrato in Italia. La rotta del Mediterraneo centrale, che ha subito un forte aumento degli arrivi di migranti irregolari, in gran parte a causa dei problemi interni della Tunisia, nelle ultime settimane ha subito una situazione critica a Lampedusa, con l’arrivo di migliaia di migranti irregolari concentrato in pochi giorni.

    Queste prospettive desolanti ci ricordano la necessità di continuare a impegnarci per rafforzare la dimensione esterna della migrazione, in particolare la sfida della lotta alla migrazione irregolare. Per poter rispondere in modo più efficace alle situazioni critiche che possono presentarsi (come quella recente di Lampedusa). Ma anche, essenzialmente, per poterle prevenire, impegnandosi per una dimensione migratoria esterna basata, in maniera decisa e continuativa, su una stretta e permanente collaborazione con i principali Paesi di transito e di origine dei migranti.

    VERSO UN “MODELLO PREVENTIVO” NELLA RISPOSTA CONTRO L’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE

    Per quanto riguarda le sfide migratorie, gli sforzi compiuti dall’Unione europea e dai suoi

    Stati membri sono stati di natura eminentemente reattiva, dando talvolta l’impressione che l’Unione si trovi in uno stato di “gestione della crisi” ricorrente.

    L’aumento sostenuto dei flussi migratori verso l’UE negli ultimi decenni, e la sofferenza umana associata a questo fenomeno, dovrebbero incoraggiarci a continuare a migliorare la nostra gestione della migrazione. In particolare, la prevenzione della migrazione irregolare è un’area in cui l’UE e i suoi Stati membri hanno un notevole margine di miglioramento.

    La Presidenza spagnola crede fermamente nella necessità di rafforzare la dimensione esterna per affrontare le sfide migratorie che l’Unione condivide con altri continenti e paesi. La cooperazione con i Paesi di origine e di transito per prevenire la migrazione irregolare è l’unica risposta efficace e umana in questo settore.

    Le misure sono ben note: una combinazione coordinata di assistenza allo sviluppo per combattere le cause profonde della migrazione, la lotta contro il contrabbando di migranti, lo sviluppo di percorsi legali come alternativa alla migrazione illegale e una politica di riammissione e rimpatrio.

    I flussi migratori irregolari sono determinati da cause strutturali (instabilità politica ed economica, crescita demografica, povertà, cambiamento climatico, disuguaglianze sociali), a cui si aggiungono cause a breve termine (colpi di Stato, pandemie, disastri naturali, ecc.).

    La Presidenza spagnola ritiene che la nostra crescente capacità di reazione debba essere integrata da uno sforzo permanente e ancora maggiore per prevenire i flussi irregolari. Dobbiamo orientarci verso un “modello preventivo” in cui forniamo risposte strutturali a problemi strutturali. L’accento deve essere posto sulla prevenzione delle partenze irregolari. Non si tratta di sfumature, ma di un cambiamento radicale del nostro approccio alla migrazione.

    Non c’è dubbio che l’UE e i suoi Stati membri stiano compiendo sforzi preventivi, ma non sono sufficienti per affrontare la sfida che abbiamo di fronte. Questo è ciò che chiedono i nostri partner, i Paesi d’origine e di transito su tutte le rotte migratorie verso l’UE.

    Questo “modello preventivo”, che mira a ridurre il numero di partenze irregolari e quindi le tragedie umane derivanti dal rischio a cui le reti criminali espongono i migranti, molti dei quali sono vulnerabili, porterebbe a un controllo più efficace e a una maggiore resilienza delle frontiere esterne e a una minore pressione nell’area interna.

    Un solido “modello preventivo”, guidato dall’UE nel suo complesso e dai suoi Stati membri,

    dovrebbe essere caratterizzato da una cooperazione con i Paesi di origine e di transito, che comprenda almeno i seguenti elementi:

    - Un senso di responsabilità condivisa, con entrambe le parti che lavorano insieme per raggiungere obiettivi percepiti come reciprocamente vantaggiosi.
    – Fiducia reciproca costruita nel tempo attraverso l’ascolto attivo delle esigenze dei nostri partner e i contatti regolari a tutti i livelli.
    - Enfasi sulla cooperazione operativa congiunta e regolare, tra cui, ad esempio, pattuglie congiunte, centri operativi congiunti e scambio di informazioni operative finalizzato a smantellare le reti di traffico di persone e di contrabbando nei Paesi di origine e di transito, accompagnati da maggiori sforzi per combattere queste organizzazioni criminali sul territorio europeo.
    - La cooperazione deve essere sostenuta nel tempo e prevedibile, indipendentemente dagli arrivi. Essa dovrebbe includere assistenza materiale, sostegno finanziario e operativo, nonché il rafforzamento delle capacità.

    FINANZIANDO IL “MODELLO PREVENTIVO” PER LA MIGRAZIONE IRREGOLARE

    Affinché questo “modello preventivo” possa funzionare, deve essere sostenuto con risorse sufficienti a sviluppare la cooperazione preventiva in materia di migrazione con un reale impatto operativo nei Paesi di origine e di transito.

    È indubbio che i fondi disponibili per la migrazione esterna (NDICI, Assistenza per la preadesione, Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione, Strumento per la gestione delle frontiere e dei visti, Fondo per la sicurezza interna, ecc.) permettono di finanziare un gran numero di progetti operativi legati alla migrazione.

    Tuttavia, vi sono margini di miglioramento per quanto riguarda la quantità e la durata dell’utilizzo di questi fondi a sostegno della gestione delle frontiere dei Paesi di origine e di transito o la loro lotta contro il traffico di esseri umani o il contrabbando, anche in termini di beneficiari. Questi aspetti sono di maggiore interesse per i nostri partner.

    Va inoltre sottolineato che tutte le rotte e i progetti meritano e necessitano di attenzione e

    (come sottolineato in precedenza) che la nostra cooperazione deve essere sostenuta nel tempo e prevedibile, indipendentemente dagli arrivi.

    In linea con quanto detto, le delegazioni dell’UE dovrebbero probabilmente dedicare maggiore attenzione a progetti migratori con un reale impatto operativo, che dovrebbe essere una delle loro priorità.

    Il controllo delle frontiere esterne non è efficace se le azioni si limitano al territorio dell’UE. Di conseguenza, il ruolo delle agenzie dell’UE nei Paesi terzi, in particolare quello di Frontex, dovrebbe rafforzare il loro impegno (operativo) con i Paesi partner, in linea con le relazioni generali dell’UE con questi Paesi.

    Infine, secondo la Presidenza, altri aspetti essenziali per lo sviluppo di un vero e proprio

    “modello preventivo” sono una maggiore flessibilità nel processo decisionale e un maggior contributo degli Stati membri nell’attuazione dei progetti.

    In considerazione di quanto sopra, la Presidenza propone un dibattito per consentire ai Ministri di ascoltare l’Italia sulla recente situazione a Lampedusa, nonché sulle misure adottate e attuate, compreso il piano d’azione annunciato dalla Commissione. E, anche di esprimere le loro opinioni sulla dimensione esterna dell’UE in materia di migrazione e sui miglioramenti di cui necessita per essere più efficace e preventiva.

    A questo proposito, si propongono le seguenti domande per la discussione:

    - Per affrontare gli arrivi irregolari nell’UE, soprattutto quelli che avvengono in mare, quali elementi ritenete essenziali per un efficace “modello preventivo “dell’UE e dei suoi Stati membri nella lotta all’immigrazione irregolare?
    – Quali aspetti dovrebbero essere prioritari per un adeguato finanziamento di un “modello preventivo” in tutte le rotte (incentrato sull’agire in anticipo rispetto agli arrivi illegali alle frontiere esterne dell’UE)?

    https://www.focsiv.it/il-rafforzamento-dellesternalizzazione-delle-migrazioni

    #migrations #asile #réfugiés #externalisation #sécurité #Frontex #néocolonialisme

  • La chute du Heron blanc, ou la fuite en avant de l’agence #Frontex

    Sale temps pour Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières : après le scandale des pushbacks dans les eaux grecques, qui a fait tomber son ex-directeur, l’un de ses drones longue portée de type Heron 1, au coût faramineux, s’est crashé fin août en mer ionienne. Un accident qui met en lumière la dérive militariste de l’Union européenne pour barricader ses frontières méridionales.

    Jeudi 24 août 2023, un grand oiseau blanc a fait un plongeon fatal dans la mer ionienne, à 70 miles nautiques au large de la Crète. On l’appelait « Heron 1 », et il était encore très jeune puisqu’il n’avait au compteur que 3 000 heures de vol. Son employeur ? Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes chargée depuis 2004 de réguler les frontières européennes, avec un budget sans cesse en hausse.

    Le Heron 1 est désigné dans la terminologie barbare du secteur de l’armement comme un drone MALE (Medium Altitude Long Endurance) de quatrième génération, c’est-à-dire un engin automatisé de grande taille capable de voler sur de longues distances. Frontex disposait jusqu’au crash de seulement deux drones Heron 1. Le premier a été commandé en octobre 2020, quand l’agence a signé un contrat de 50 millions d’euros par an avec Airbus pour faire voler cet appareil en « leasing » – Airbus passant ensuite des sous-contrats, notamment avec le constructeur israélien IAISystem
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    – pour un total de 2 400 heures de vol, et avec des dépassements qui ont fait monter la facture annuelle. En clair, le coût de fonctionnement de ce drôle d’oiseau est abyssal. Frontex rechigne d’ailleurs à entrer dans les détails, arguant de « données commerciales sensibles », ainsi que l’explique Matthias Monroy, journaliste allemand spécialisé dans l’aéronautique : « Ils ne veulent pas donner les éléments montrant que ces drones valent plus cher que des aéroplanes classiques, alors que cela semble évident. »
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    La nouvelle de la chute de l’onéreux volatile n’a pas suscité beaucoup de réactions publiques – il n’en est quasiment pas fait mention dans les médias autres que grecs, hormis sur des sites spécialisés. On en trouve cependant une trace sur le portail numérique du Parlement européen, en date du 29 août 2023. Ce jour-là, Özlem Demirel, députée allemande du parti de gauche Die Linke, pose la question « E-002469/2023 » (une interpellation enregistrée sous le titre : « Crash of a second long-range drone operated on Frontex’s behalf »), dans laquelle elle interroge la fiabilité de ces drones. Elle y rappelle que, déjà en 2020, un coûteux drone longue distance opéré par Frontex s’était crashé en mer – un modèle Hermes 900 cette fois-ci, tout aussi onéreux, bijou de l’israélien Elbit Systems. Et la députée de demander : « Qui est responsable ? »

    Une question complexe. « En charge des investigations, les autorités grecques détermineront qui sera jugé responsable, explique Matthias Monroy. S’il y a eu une défaillance technique, alors IAI System devra sans doute payer. Mais si c’est un problème de communication satellite, comme certains l’ont avancé, ou si c’est une erreur de pilotage, alors ce sera à Airbus, ou plutôt à son assureur, de payer la note. »
    VOL AU-DESSUS D’UN NID D’EMBROUILLES

    Le Heron 1 a la taille d’un grand avion de tourisme – presque un mini-jet. D’une envergure de 17 mètres, censé pouvoir voler en autonomie pendant 24 heures (contre 36 pour le Hermes 900), il est équipé de nombreuses caméras, de dispositifs de vision nocturne, de radars et, semble-t-il, de technologies capables de localiser des téléphones satellites
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    . Détail important : n’étant pas automatisé, il est manœuvré par un pilote d’Airbus à distance. S’il est aussi utilisé sur des théâtres de guerre, notamment par les armées allemande et israélienne, où il s’est également montré bien peu fiable
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    , sa mission dans le cadre de Frontex relève de la pure surveillance : il s’agit de fournir des informations sur les embarcations de personnes exilées en partance pour l’Europe.

    Frontex disposait de deux drones Heron 1 jusqu’au crash. Airbus était notamment chargé d’assurer le transfert des données recueillies vers le quartier général de Frontex, à Varsovie (Pologne). L’engin qui a fait un fatal plouf se concentrait sur la zone SAR(Search and Rescue
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    ) grecque et avait pour port d’attache la Crète. C’est dans cette même zone SAR que Frontex a supervisé plus ou moins directement de nombreux pushbacks (des refoulements maritimes), une pratique illégale pourtant maintes fois documentée, ce qui a provoqué un scandale qui a fini par contraindre le Français Fabrice Leggeri à démissionner de la tête de l’agence fin avril 2022. Il n’est pas interdit de penser que ce Heron 1 a joué en la matière un rôle crucial, fournissant des informations aux gardes-côtes grecs qui, ensuite, refoulaient les embarcations chargées d’exilés.

    Quant à son jumeau, le Heron positionné à Malte, son rôle est encore plus problématique. Il est pourtant similaire à celui qui s’est crashé. « C’est exactement le même type de drone », explique Tamino Bohm, « tactical coordinator » (coordinateur tactique) sur les avions de Sea-Watch, une ONG allemande de secours en mer opérant depuis l’île italienne de Lampedusa. Si ce Heron-là, numéro d’immatriculation AS2132, diffère de son jumeau, c’est au niveau du territoire qu’il couvre : lui survole les zones SAR libyennes, offrant les informations recueillies à ceux que la communauté du secours en mer s’accorde à désigner comme les « soi-disant gardes-côtes libyens »
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    – en réalité, des éléments des diverses milices prospérant sur le sol libyen qui se comportent en pirates des mers. Financés en partie par l’Union européenne, ils sont avant tout chargés d’empêcher les embarcations de continuer leur route et de ramener leurs passagers en Libye, où les attendent bien souvent des prisons plus ou moins clandestines, aux conditions de détention infernales
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    .

    C’est ainsi qu’au large de Lampedusa se joue une sorte de guerre aérienne informelle. Les drones et les avions de Frontex croisent régulièrement ceux d’ONG telles que Sea-Watch, dans un ballet surréaliste : les premiers cherchant à renseigner les Libyens pour qu’ils arraisonnent les personnes exilées repérées au large ; les seconds s’acharnant avec leurs maigres moyens à documenter et à dénoncer naufrages et refoulements en Libye. Et Tamino d’asséner avec malice : « J’aurais préféré que le drone crashé soit celui opérant depuis Malte. Mais c’est déjà mieux que rien. »
    BUDGET GONFLÉ, MANDAT ÉLARGI

    Tant que l’enquête sur le crash n’aura pas abouti, le vol de drones Heron 1 est suspendu sur le territoire terrestre et maritime relevant des autorités grecques, assure Matthias Monroy (qui ajoute que cette interdiction s’applique également aux deux drones du même modèle que possède l’armée grecque). Le crash de l’un de ses deux Heron 1 est donc une mauvaise nouvelle pour Frontex et les adeptes de la forteresse Europe, déjà bien éprouvés par les arrivées massives à Lampedusa à la mi-septembre et l’hospitalité affichée sur place par les habitants. À l’image de ces murs frontaliers bâtis aux frontières de l’Europe et dans l’espace Schengen – un rapport du Parlement européen, publié en octobre 2022 « Walls and fences at EU borders » (https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2022)733692), précise que l’on en est à 2 035 kilomètres de barrières frontalières, contre 315 en 2014 –, matérialisation d’un coûteux repli identitaire clamant une submersion fantasmée, il est évident que la démesure sécuritaire ne freine en rien les volontés de rejoindre l’Europe.

    Ce ne sont pourtant pas les moyens qui manquent. Lors de sa première année d’opérations, en 2005, Frontex disposait d’un budget de 6 millions d’euros. Depuis, celui-ci n’a cessé d’enfler, pour atteindre la somme de 845,4 millions d’euros en 2023, et un effectif de plus de 2 100 personnels – avec un budget prévisionnel 2021-2027 de 11 milliards d’euros et un objectif de 10 000 gardes d’ici à 2027 (dont 7 000 détachés par les États membres).

    Depuis 2019, Frontex dispose d’un mandat élargi qui autorise l’acquisition et la possession d’avions, de drones et d’armes à feu. L’agence s’est aussi géographiquement démultipliée au fil de temps. Ses effectifs peuvent aussi bien patrouiller dans les eaux de Lampedusa que participer à des missions de surveillance de la frontière serbo-hongroise, alors que son rôle initial était simplement d’assister les pays européens dans la gestion de leurs frontières. L’agence européenne joue aussi un rôle dans la démesure technologique qui se développe aux frontières. Rien que dans les airs, l’agence se veut novatrice : elle a déjà investi plusieurs millions d’euros dans un projet de #zeppelin automatisé relié à un câble de 1 000 mètres, ainsi que dans le développement de drones « #quadcopter » pesant une dizaine de kilos. Enfin, Frontex participe aussi à la collecte généralisée de #données migratoires dans le but d’anticiper les refoulements. Elle soutient même des projets visant à gérer les flux humains par #algorithmes.

    Traversée comme les armées par une culture du secret, l’agence s’est fait une spécialité des zones grises et des partenariats opaques, tout en prenant une place toujours plus importante dans la hausse de la létalité des frontières. « Frontex est devenue l’agent de la #militarisation_des_frontières européennes depuis sa création, résume un rapport de la Fondation Jean-Jaurès sorti en juillet 2023. Fondant son fonctionnement sur l’#analyse_des_risques, Frontex a contribué à la perception des frontières européennes comme d’une forteresse assiégée, liant le trafic de drogue et d’êtres humains à des mouvements migratoires plus larges. »

    « VOUS SURVEILLEZ LES FRONTIÈRES, NOUS VOUS SURVEILLONS »

    Dans sa volonté d’expansion tous azimuts, l’agence se tourne désormais vers l’Afrique, où elle œuvre de manière plus ou moins informelle à la mise en place de politiques d’#externalisation des frontières européennes. Elle pèse notamment de tout son poids pour s’implanter durablement au #Sénégal et en #Mauritanie. « Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la Direction nationale de lutte contre le trafic de migrants. Ces sites sont équipés d’un luxe de #technologies de #surveillance_intrusive : outre la petite mallette noire [contenant un outil d’extraction des données], ce sont des #logiciels d’#identification_biométrique des #empreintes_digitales et de #reconnaissance_faciale, des drones, des #serveurs_numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore », révèle une enquête du journal étatsunien In These Times. Très impopulaire sur le continent, ce type de #néocolonialisme obsidional se déploie de manière informelle. Mais il porte bien la marque de Frontex, agence agrippée à l’obsession de multiplier les murs physiques et virtuels.

    Au Sénégal, pour beaucoup, ça ne passe pas. En août 2022, l’association #Boza_Fii a organisé plusieurs journées de débat intitulées « #Pushback_Frontex », avec pour slogan : « Vous surveillez les frontières, nous vous surveillons ». Une manifestation reconduite en août 2023 avec la mobilisation « 72h Push Back Frontex ». Objectif : contrer les négociations en cours entre l’Union européenne et le Sénégal, tout en appelant « à la dissolution définitive de l’agence européenne de gardes-frontières ». Sur RFI, son porte-parole #Saliou_Diouf expliquait récemment son point de vue : « Nous, on lutte pour la #liberté_de_circulation de tout un chacun. […] Depuis longtemps, il y a beaucoup d’argent qui rentre et est-ce que ça a arrêté les départs ? »

    Cette politique « argent contre muraille » est déployée dans d’autres États africains, comme le #Niger ou le #Soudan. Frontex n’y est pas directement impliquée, mais l’Europe verse des centaines de millions d’euros à 26 pays africains pour que des politiques locales visant à bloquer les migrations soient mises en place.

    « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires », assure Mbaye Diop, travailleur humanitaire dans un camp de la Croix-Rouge situé à la frontière entre le Sénégal et la Mauritanie, dans l’enquête de In These Times. Un constat qui vaut de l’autre côté de la Méditerranée : dans un tweet publié après le crash du Heron 1, l’ONG Sea-Watch observait qu’avec les 50 millions alloués à Airbus et à ses sous-traitants pour planter son Heron dans les flots, « on pourrait faire voler pendant 25 ans nos avions de secours Seabird 1 et Seabird 2 ».

    https://afriquexxi.info/La-chute-du-Heron-blanc-ou-la-fuite-en-avant-de-l-agence-Frontex

    #drones #Heron_1 #frontières #surveillances_des_frontières #contrôles_frontaliers #migrations #asile #réfugiés #drone_MALE (#Medium_Altitude_Long_Endurance) #crash #Airbus #complexe_militaro-industriel #IAI_System #coût #prix #budget #chute #fiabilité #Hermes_900 #Elbit_Systems #données #push-backs #refoulements #AS2132 #Libye #guerre_aérienne_informelle #biométrie

  • 🛑 Une fois n’est pas coutume... on relaie l’éditorial du dernier numéro du journal « Lutte Ouvrière » (8 septembre)... avec lequel on partage l’essentiel du point de vue, si l’on fait abstraction de la rhétorique et de la déclamation hautement et indéniablement « trotsko-trotskyste »... 😅🙃

    « On vit chez les fous ! », s’est étranglé Macron, lundi dernier, à propos de la vague de putschs en Afrique, devant les ambassadeurs réunis à l’Élysée. Mais qui sont les fous dans cette histoire ? Ceux qui rejettent la présence française au Mali, au Burkina Faso et au Niger, ou ceux qui, comme Macron, sont prêts à déclencher une nouvelle guerre qui enfoncera davantage le Sahel dans le chaos guerrier ?
    Macron joue les matamores contre la junte nigérienne et refuse de rappeler son ambassadeur. Il ne digère pas que la France soit poussée dehors. À l’entendre, l’armée française aurait sauvé le Sahel du djihadisme ! Mais la population est bien placée pour faire le vrai bilan de l’opération Barkhane, lancée il y a dix ans : les bandes armées continuent de pulluler, elles rackettent et sèment la terreur dans une zone de plus en plus étendue (...)

    #Afrique #putschs #Macron #Françafrique #exploitation #capitalisme #militarisme #guerre #djihadisme #dictature #Mali #Niger #BurkinaFaso #Congo-Brazzaville #Gabon #Bongo #Tchad... #domination #France #EtatsUnis #Russie #Chine #Néocolonialisme #impérialisme #LutteOuvrière

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    ▶️ https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/09/06/bas-la-francafrique-travailleurs-dafrique-et-de-france-memes
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  • 🛑 N’oubliez jamais : le nucléaire est une « énergie propre » et « sans danger »... de la « conception » (uranium) à la « finition » (déchets)... 💩

    🛑 Uranium : le lourd passé prédateur de la France au Niger

    Le putsch au Niger et le fort sentiment anti-français découlent en partie de la politique colonialiste de la France. Depuis 50 ans, elle maintient le pays sous sa domination pour en extraire l’uranium nécessaire à sa politique nucléaire (...)

    🛑 ☠️ ☢️ 🌍 #Niger #néocolonialisme #écologie #environnement #contamination #pollution #uranium #radioactivité #nucléaire #nucléocratie #capitalisme #danger... #antinucléaire !

    🏴 ★ #Anticapitalisme #antiproductivisme #décroissance #anarchisme

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    ▶️ https://reporterre.net/Uranium-le-lourd-passe-predateur-de-la-France-au-Niger

    ▶️ https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/02/26/niger-a-arlit-les-gens-boivent-de-l-eau-contaminee-par-la-radioactivite_5262

  • 🛑 ☠️ ☢️ « LE NUCLÉAIRE, C’EST L’INDÉPENDANCE ÉNERGÉTIQUE »...

    L’uranium qui sert de combustible aux centrales nucléaires ne pousse pas dans les arbres. La France est totalement dépendante des pays qui possèdent ce minerais dans leur sol. C’est le premier mensonge des nucléocrates : « l’indépendance énergétique » n’a jamais existé. La totalité de l’uranium servant aux 56 réacteurs nucléaires françaises vient de l’étranger, importé du Niger, du Kazakhstan, d’Australie… ou de la Russie. Macron, qui veut relancer la filière nucléaire, rendrait donc la France encore toujours plus tributaire des aléas géopolitiques (...)

    🛑 ☠️ ☢️ 🌍 #Niger #néocolonialisme #écologie #environnement #contamination #pollution #uranium #radioactivité #nucléaire #nucléocratie #capitalisme #danger... #antinucléaire !

    🏴 ★ #Anticapitalisme #antiproductivisme #décroissance #anarchisme

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    ▶️ https://contre-attaque.net/2023/08/01/le-nucleaire-cest-lindependance-energetique
    364669856_701018088731575_6787869031702870944_n.jpg (1000×1000)

  • Une plongée dans l’univers musical de Fela Kuti.
    https://lhistgeobox.blogspot.com/2022/10/une-plongee-dans-lunivers-musicale-de.html

    « En novembre 1974, la police met à sac le fief de Fela, ce qui inspire à ce dernier l’album Kalakuta show. Plus la police frappe, plus il crée, plus la répression s’abat, plus elle l’inspire ! Entre 1975 et 1977, Fela enregistre 23 albums remplis de chefs d’œuvre comme Yellow fever , Zombie , No agreement , Shuffering and Smiling , Sorrow Tears and Blood , Water get no enemy . Les paroles ciblent les déviances de la société nigériane postcoloniale (Colonial mentality), l’oppression insupportable qu’exerce le pouvoir militaire sur le peuple, la corruption des gouvernants ( Monkey banana , Unnecessary Begging ), la trahison des élites africaines soucieuses de vivre à l’occidentale en tournant le dos à leur identité africaine ( J.D.D. = Johnny Just Drop ). »

  • Face au #récit_médiatique, notre #parole

    Le traitement médiatique de la question migratoire construit des politiques de rejet et une gestion policière des personnes. Il produit les pires #préjugés et divise. Pourquoi le sujet prend une telle place ? Quelles continuités historiques peut-on y voir ? Ce sont les questions que ce sont posées des personnes qui sont placées au centre de ces débats sans jamais être invité à y prendre part. https://audioblog.arteradio.com/blog/98862/podcast/181111/face-au-recit-mediatique-notre-parole

    #asile #migrations #médias #récit #contre-récit #représentations #stéréotype #néocolonialisme #catégorisation
    #audio #podcast

    ping @isskein @karine4

  • Palm Oil. The Grease of Empire

    It’s in our food, our cosmetics, our fuel and our bodies. Palm oil, found in half of supermarket products, has shaped our world. #Max_Haiven uncovers how the gears of capitalism are literally and metaphorically lubricated by this ubiquitous elixir.

    From its origins in West Africa to today’s Southeast Asian palm oil superpowers, Haiven’s sweeping, experimental narrative takes us on a global journey that includes looted treasures, the American system of mass incarceration, the history of modern art and the industrialisation of war. Beyond simply calling for more consumer boycotts, he argues for recognising in palm oil humanity’s profound potential to shape our world beyond racial capitalism and neo-colonial dispossession.

    One part history, one part dream, one part theory, one part montage, this kaleidoscopic and urgent book asks us to recognise the past in the present and to seize the power to make a better world.

    https://www.plutobooks.com/9780745345826/palm-oil

    #huile_de_palme #livre
    #capitalisme #néocolonialisme #néo-colonialisme #dépossession #capitalisme_racial

    ping @odilon @isskein @cede

  • https://afriquexxi.info/article4912.html

    Aux origines coloniales de Barkhane (2)
    Le mythe (écorné) de l’« homme bleu
     »

    Série · Façonnée durant la conquête coloniale, la légende des Touaregs, essentialisés en « valeureux combattants du désert », est restée gravée dans la mémoire de l’armée française. Même après les indépendances, les militaires et les agents secrets, souvent fascinés, n’ont jamais rompu les liens avec eux. Ils les ont réactivés quand la France en a eu besoin ces dernières années, en Libye et au Mali.

    Rémi Carayol > 19 janvier 2022

    #barkhane #néocolonialisme #sahel #arméefrançaise

  • https://afriquexxi.info/article4907.html

    Aux origines coloniales de l’opération Barkhane

    Rémi Carayol 10 janvier 2022

    Disons-le dès le début afin d’éviter tout malentendu : la guerre que la France mène dans la bande sahélo-saharienne depuis huit ans n’est pas une guerre de colonisation. Il ne s’agit pas, pour la France, de reconquérir un territoire qui fut jadis un des fleurons de son Empire (et une fierté de son armée), ni d’imposer son joug sur les populations, ni d’y piller les richesses naturelles – même si cet enjeu, qui concerne essentiellement les réserves d’uranium du Niger, ne doit pas être négligé.

    On peut difficilement la comparer, également, aux nombreuses interventions militaires, de type néo-colonial, menées après les indépendances en Afrique de l’Ouest, en Afrique Centrale et dans l’océan Indien, et qui avaient pour objectif, la plupart du temps, de déstabiliser un régime jugé trop indépendant ou, au contraire, de soutenir un président « ami ». Certes, cette guerre s’inscrit dans la logique interventionniste de la France dans son ancien « pré-carré », qui est un des marqueurs de sa politique post-coloniale. Ces dernières années, l’armée française a pu être amenée à intervenir pour venir en aide à des alliés, comme au Burkina en 2014 (pour exfiltrer Blaise Compaoré et ainsi lui permettre d’échapper à la justice de son pays) et au Tchad en 2019 (lorsqu’elle a bombardé une colonne de rebelles qui se dirigeait vers N’Djamena, en détournant la vocation des moyens mobilisés dans le cadre du mandat de l’opération Barkhane).

    À la faveur de ce déploiement militaire, la diplomatie française a elle aussi joué un rôle primordial ces dernières années, n’hésitant pas, parfois, à s’immiscer dans des affaires intérieures, comme au Mali pour empêcher tout début de discussion avec les groupes djihadistes, ou au Tchad pour soutenir la confiscation du pouvoir par le camp Déby après la mort d’Idriss Déby Itno. Mais l’objectif final de cette opération militaire n’est pas d’installer ou de pérenniser un homme lige de Paris. Il s’agit officiellement de lutter contre le « terrorisme international » et contre l’émergence d’une idéologie considérée par les dirigeants français comme une menace : le djihadisme.

    Il n’empêche, l’intervention française qui a débuté en janvier 2013 avec l’opération Serval, alors cantonnée au territoire du Mali, et qui s’est poursuivie à partir d’août 2014 avec l’opération Barkhane, élargie à quatre autres pays (le Burkina Faso, la Mauritanie, le Niger et le Tchad), a comme un parfum de IIIe République. Elle a réveillé de vieux fantasmes que l’on pensait enterrés depuis la fin de l’ère coloniale. L’armée de Terre (et tout particulièrement les troupes de marine), qui a façonné une partie de sa légende dans cette bande aride à la fin du XIXe siècle et au début du XXe, a convoqué ses anciennes gloires, dépoussiéré ses vieilles cartes et recyclé certaines de ses méthodes passées.

    Alors que sur le terrain, des officiers, bercés durant leur jeunesse aux « exploits » de la conquête coloniale, pouvaient fièrement marcher sur les pas de leurs aînés, à Paris, l’état-major ressuscitait de vieux mythes et remettait au goût du jour la stratégie de contre-insurrection expérimentée par quelques célèbres coloniaux. Si l’opération Barkhane n’est pas une guerre coloniale, elle se nourrit de cette époque. Et c’est peut-être ce qui explique en partie son échec.

    Rémi Carayol

    #opérationsextérieures #barkhane #Sahel #arméefrançaise #néocolonialisme

  • Livre : Meurtre au Burundi La Belgique et l’assassinat de Rwagazore Ludo De Witte
    https://boutique.investigaction.net/fr/home/135-meurtre-au-burundi-la-belgique-et-l-assassinat-de-rwaga

    L’auteur du livre "L’assassinat de Lumumba", Ludo De Witte, vient de sortir "Meurtre au #Burundi" (édité chez InvestigAction), qui montre le même scénario lors de l’indépendance.

    En janvier 1961, le colonisateur belge fait tuer le Premier ministre élu congolais #Patrice_Lumumba, trop peu docile.

    En octobre 1961, le colonisateur belge fait tuer le Premier ministre élu burundais #Louis_Rwagasore, trop peu docile. Avec l’implication du même #Étienne_Davignon, ainsi que celle du ministre socialiste #Paul-Henri-Spaak.

    Ce bis repetita montre qu’il ne s’agit pas d’un malheureux concours de circonstances : l’assassinat est un mode de gestion "normal" d’un #néocolonialisme belge qui n’a que faire des choix électoraux des populations.


    En 1999, Ludo De Witte publie un livre-choc : L’Assassinat de Lumumba. Ses révélations sur le rôle du roi Baudouin, du gouvernement belge et de la CIA amèneront la Belgique à présenter des excuses officielles au Congo.

    En 2017, le sociologue belge sort chez Investig’Action L’Ascension de Mobutu. Salué par Jean Ziegler : « Un livre superbe d’érudition, de courage et d’intelligence analytique. Au magnifique peuple congolais, il contribue à restituer une mémoire claire… »

    En 2021, ce nouveau livre approfondit son enquête sur le pillage de l’Afrique centrale et l’installation brutale du néocolonialisme.
De Witte fouille les archives, fait parler les témoins et dévoile un évènement longtemps camouflé : l’élimination du prince Louis
Rwagasore qui venait de remporter les premières élections du Burundi. Un crime d’État avec, dans les coulisses, le roi Baudouin, Étienne Davignon et Paul-Henri Spaak dans des rôles troubles. Tandis que l’ombre de Patrice Lumumba, ennemi n° 1 de Bruxelles et Washington, plane sans cesse au-dessus de ce thriller économico-politique.

    Un livre indispensable parce que la vérité a ses droits. On ne peut construire l’avenir en ignorant l’Histoire.

  • Joe Biden : un impérialisme à visage humain ?
    https://www.cetri.be/Joe-Biden-un-imperialisme-a-visage

    La carte blanche de Frédéric Thomas, chercheur au CETRI, dans #Le_Soir du 14/11/2020. Les espoirs mis en Joe Biden, pour amorcer un changement de cap international sont largement déplacés. L’attention médiatique, focalisée sur des questions de personnes, passe à côté des tendances structurelles de la politique étrangère nord-américaine. Joe Biden sera donc le quarante-sixième président des #États-Unis. Ce résultat, toujours contesté par Donald Trump, est censé apporter quelque soulagement : un retour à la (...) #Le_regard_du_CETRI

    / États-Unis, #Election, #Impérialisme, #Néocolonialisme, Le Soir, Homepage - Actualités à la (...)

    #Homepage_-_Actualités_à_la_une

  • Au Cabo Delgado, brouillard de guerre, tambours d’internationalisation
    https://www.cetri.be/Au-Cabo-Delgado-brouillard-de

    Des djihadistes se sont emparés de la ville portuaire de Mocimboa da Praia, au nord du #Mozambique, mercredi 12 août. Sous tension depuis déjà plusieurs années, cette région du Cabo Delgado abrite d’importantes installations gazières mises en place par plusieurs compagnies étrangères dont le français Total. Alors que le gouvernement et les pays voisins plaident pour un renforcement des forces armées pour lutter contre les djihadistes, des associations condamnent une militarisation aveugle qui exacerbe (...) #Le_Sud_en_mouvement

    / #Le_Sud_en_mouvement, Mozambique, #Corruption, #Extractivisme, #Néocolonialisme, Les blogs du (...)

    #Les_blogs_du_Diplo

  • Médecins Sans Frontières is ’institutionally racist’, say 1,000 insiders
    Karen McVeigh, The Guardian, le 10 juillet 2020
    https://www.theguardian.com/global-development/2020/jul/10/medecins-sans-frontieres-institutionally-racist-medical-charity-colonia

    The medical NGO Médecins Sans Frontières is institutionally racist and reinforces colonialism and white supremacy in its humanitarian work, according to an internal statement signed by 1,000 current and former members of staff.

    #Médecins_Sans_Frontières #ONG #racisme #racisme_systémique #néocolonialisme #humanitaire

  • L’impensé colonial de la #politique_migratoire italienne

    Les sorties du Mouvement Cinq Étoiles, au pouvoir en Italie, contre le #franc_CFA, ont tendu les relations entre Paris et Rome en début d’année. Mais cette polémique, en partie fondée, illustre aussi l’impensé colonial présent dans la politique italienne aujourd’hui – en particulier lors des débats sur l’accueil des migrants.

    Au moment de déchirer un billet de 10 000 francs CFA en direct sur un plateau télé, en janvier dernier (vidéo ci-dessous, à partir de 19 min 16 s), #Alessandro_Di_Battista savait sans doute que son geste franchirait les frontières de l’Italie. Revenu d’un long périple en Amérique latine, ce député, figure du Mouvement Cinq Étoiles (M5S), mettait en scène son retour dans l’arène politique, sur le plateau de l’émission « Quel temps fait-il ? ». Di Battista venait, avec ce geste, de lancer la campagne des européennes de mai.
    https://www.youtube.com/watch?v=X14lSpRSMMM&feature=emb_logo


    « La France, qui imprime, près de Lyon, cette monnaie encore utilisée dans 14 pays africains, […] malmène la souveraineté de ces pays et empêche leur légitime indépendance », lance-t-il. Di Battista cherchait à disputer l’espace politique occupé par Matteo Salvini, chef de la Ligue, en matière de fermeté migratoire : « Tant qu’on n’aura pas déchiré ce billet, qui est une menotte pour les peuples africains, on aura beau parler de ports ouverts ou fermés, les gens continueront à fuir et à mourir en mer. »

    Ce discours n’était pas totalement neuf au sein du M5S. Luigi Di Maio, alors ministre du travail, aujourd’hui ministre des affaires étrangères, avait développé à peu près le même argumentaire sur l’immigration, lors d’un meeting dans les Abruzzes, à l’est de Rome : « Il faut parler des causes. Si des gens partent de l’Afrique aujourd’hui, c’est parce que certains pays européens, la #France en tête, n’ont jamais cessé de coloniser l’Afrique. L’UE devrait sanctionner ces pays, comme la France, qui appauvrissent les États africains et poussent les populations au départ. La place des Africains est en Afrique, pas au fond de la Méditerranée. »

    À l’époque, cette rhétorique permettait au M5S de creuser sa différence avec la Ligue sur le dossier, alors que Matteo Salvini fermait les ports italiens aux bateaux de migrants. Mais cette stratégie a fait long feu, pour des raisons diplomatiques. Celle qui était alors ministre des affaires européennes à Paris, Nathalie Loiseau, a convoqué l’ambassadrice italienne en France pour dénoncer des « déclarations inacceptables et inutiles ». L’ambassadeur français à Rome a quant à lui été rappelé à Paris, une semaine plus tard – en réaction à une rencontre de dirigeants du M5S avec des « gilets jaunes » français.

    En Italie, cet épisode a laissé des traces, à l’instar d’un post publié sur Facebook, le 5 juillet dernier, par le sous-secrétaire aux affaires étrangères M5S Manlio Di Stefano. À l’issue d’une rencontre entre Giuseppe Conte, premier ministre italien, et Vladimir Poutine, il écrit : « L’Italie est capable et doit être le protagoniste d’une nouvelle ère de #multilatéralisme, sincère et concret. Nous le pouvons, car nous n’avons pas de #squelettes_dans_le_placard. Nous n’avons pas de #tradition_coloniale. Nous n’avons largué de bombes sur personne. Nous n’avons mis la corde au cou d’aucune économie. »

    Ces affirmations sont fausses. Non seulement l’Italie a mené plusieurs #guerres_coloniales, jusqu’à employer des #armes_chimiques – en #Éthiopie de 1935 à 1936, dans des circonstances longtemps restées secrètes –, mais elle a aussi été l’un des premiers pays à recourir aux bombardements, dans une guerre coloniale – la guerre italo-turque de 1911, menée en Libye. Dans la première moitié du XXe siècle, l’Italie fut à la tête d’un empire colonial qui englobait des territoires comme la Somalie, la Libye, certaines portions du Kenya ou encore l’Éthiopie.

    Cette sortie erronée du sous-secrétaire d’État italien a au moins un mérite : elle illustre à merveille l’impensé colonial présent dans la politique italienne contemporaine. C’est notamment ce qu’affirment plusieurs intellectuels engagés, à l’instar de l’écrivaine et universitaire romaine de 45 ans #Igiaba_Scego. Issue d’une famille somalienne, elle a placé la #question_coloniale au cœur de son activité littéraire (et notamment de son roman Adua). Dans une tribune publiée par Le Monde le 3 février, elle critique sans ménagement l’#hypocrisie de ceux qui parlent du « #colonialisme_des_autres ».

    À ses yeux, la polémique sur le franc CFA a soulevé la question de l’effacement de l’histoire coloniale en cours en Italie : « Au début, j’étais frappée par le fait de voir que personne n’avait la #mémoire du colonialisme. À l’#école, on n’en parlait pas. C’est ma génération tout entière, et pas seulement les Afro-descendants, qui a commencé à poser des questions », avance-t-elle à Mediapart.

    Elle explique ce phénomène par la manière dont s’est opéré le retour à la démocratie, après la Seconde Guerre mondiale : #fascisme et entreprise coloniale ont été associés, pour mieux être passés sous #silence par la suite. Sauf que tout refoulé finit par remonter à la surface, en particulier quand l’actualité le rappelle : « Aujourd’hui, le corps du migrant a remplacé le corps du sujet colonial dans les #imaginaires. » « Les migrations contemporaines rappellent l’urgence de connaître la période coloniale », estime Scego.

    Alors que le monde politique traditionnel italien évite ce sujet délicat, la question est sur la table depuis une dizaine d’années, du côté de la gauche radicale. Le mérite revient surtout à un groupe d’écrivains qui s’est formé au début des années 2000 sous le nom collectif de Wu Ming (qui signifie tout à la fois « cinq noms » et « sans nom » en mandarin).

    Sous un autre nom, emprunté à un footballeur anglais des années 1980, Luther Blissett, ils avaient déjà publié collectivement un texte, L’Œil de Carafa (Seuil, 2001). Ils animent aujourd’hui le blog d’actualité politico-culturelle Giap. « On parle tous les jours des migrants africains sans que personne se souvienne du rapport historique de l’Italie à des pays comme l’Érythrée, la Somalie, l’Éthiopie ou la Libye », avance Giovanni Cattabriga, 45 ans, alias Wu Ming 2, qui est notamment le co-auteur en 2013 de Timira, roman métisse, une tentative de « créoliser la résistance italienne » à Mussolini.

    Dans le sillage des travaux du grand historien critique du colonialisme italien Angelo Del Boca, les Wu Ming ont ouvert un chantier de contre-narration historique qui cible le racisme inhérent à la culture italienne (dont certains textes sont traduits en français aux éditions Métailié). Leur angle d’attaque : le mythe d’une Italie au visage bienveillant, avec une histoire coloniale qui ne serait que marginale. Tout au contraire, rappelle Cattabriga, « les fondements du colonialisme italien ont été posés très rapidement après l’unification du pays, en 1869, soit huit ans à peine après la création du premier royaume d’Italie, et avant l’annexion de Rome en 1870 ».

    La construction nationale et l’entreprise coloniale se sont développées en parallèle. « Une partie de l’identité italienne s’est définie à travers l’entreprise coloniale, dans le miroir de la propagande et du racisme que celle-ci véhiculait », insiste Cattabriga. Bref, si l’on se souvient de la formule du patriote Massimo D’Azeglio, ancien premier ministre du royaume de Sardaigne et acteur majeur de l’unification italienne qui avait déclaré en 1861 que « l’Italie est faite, il faut faire les Italiens », on pourrait ajouter que les Italiens ont aussi été « faits » grâce au colonialisme, malgré les non-dits de l’histoire officielle.
    « La gauche nous a abandonnés »

    Au terme de refoulé, Cattabriga préfère celui d’oubli : « D’un point de vue psychanalytique, le refoulé se base sur une honte, un sentiment de culpabilité non résolu. Il n’y a aucune trace de ce sentiment dans l’histoire politique italienne. » À en croire cet historien, l’oubli colonial italien deviendrait la pièce fondamentale d’une architecture victimaire qui sert à justifier une politique de clôture face aux étrangers.

    « Jouer les victimes, cela fait partie de la construction nationale. Notre hymne dit : “Noi fummo da sempre calpesti e derisi, perché siam divisi” [“Nous avons toujours été piétinés et bafoués, puisque nous sommes divisés” – ndlr]. Aujourd’hui, le discours dominant présente les Italiens comme des victimes des migrations pour lesquelles ils n’ont aucune responsabilité. Cette victimisation ne pourrait fonctionner si les souvenirs de la violence du colonialisme restaient vifs. »

    Un mécanisme identique serait à l’œuvre dans la polémique sur le franc CFA : « On stigmatise la politique néocoloniale française en soulignant son caractère militaire, à quoi on oppose un prétendu “style italien” basé sur la coopération et l’aide à l’Afrique. Mais on se garde bien de dire que l’Italie détient des intérêts néocoloniaux concurrents de ceux des Français », insiste Cattabriga.

    L’historien Michele Colucci, auteur d’une récente Histoire de l’immigration étrangère en Italie, est sur la même ligne. Pour lui, « l’idée selon laquelle l’Italie serait un pays d’immigration récente est pratique, parce qu’elle évite de reconnaître la réalité des migrations, un phénomène de longue date en Italie ». Prenons le cas des Érythréens qui fuient aujourd’hui un régime autoritaire. Selon les chiffres des Nations unies et du ministère italien de l’intérieur, ils représentaient environ 14 % des 23 000 débarqués en Italie en 2018, soit 3 300 personnes. Ils ne formaient l’année précédente que 6 % des 119 000 arrivés. De 2015 à 2016, ils constituaient la deuxième nationalité, derrière le Nigeria, où l’ENI, le géant italien du gaz et du pétrole, opère depuis 1962.

    « Les migrations de Somalie, d’Éthiopie et d’Érythrée vers l’Italie ont commencé pendant la Seconde Guerre mondiale. Elles se sont intensifiées au moment de la décolonisation des années 1950 [la Somalie est placée sous tutelle italienne par l’ONU de 1950 à 1960, après la fin de l’occupation britannique – ndlr]. Cela suffit à faire de l’Italie une nation postcoloniale. » Même si elle refuse de le reconnaître.

    Les stéréotypes coloniaux ont la peau dure. Selon Giovanni Cattabriga, alias Wu Ming 2, « [ses collègues et lui ont] contribué à sensibiliser une partie de la gauche antiraciste, mais [il n’a] pas l’impression que, globalement, [ils soient] parvenus à freiner les manifestations de racisme » : « Je dirais tout au plus que nous avons donné aux antiracistes un outil d’analyse. »

    Igiaba Scego identifie un obstacle plus profond. « Le problème, affirme-t-elle, est qu’en Italie, les Afro-descendants ne font pas partie du milieu intellectuel. Nous sommes toujours considérés un phénomène bizarre : l’école, l’université, les rédactions des journaux sont des lieux totalement “blancs”. Sans parler de la classe politique, avec ses visages si pâles qu’ils semblent peints. »

    Ce constat sur la « blanchitude » des lieux de pouvoir italiens est une rengaine dans les milieux militants et antiracistes. L’activiste Filippo Miraglia, trait d’union entre les mondes politique et associatif, en est convaincu : « Malgré les plus de cinq millions de résidents étrangers présents depuis désormais 30 ans, nous souffrons de l’absence d’un rôle de premier plan de personnes d’origine étrangère dans la politique italienne, dans la revendication de droits. À mon avis, c’est l’une des raisons des défaites des vingt dernières années. »

    Miraglia, qui fut président du réseau ARCI (l’association de promotion sociale de la gauche antifasciste fondée en 1957, une des plus influentes dans les pays) entre 2014 et 2017 (il en est actuellement le chef du département immigration) et s’était présenté aux législatives de 2018 sur les listes de Libres et égaux (à gauche du Parti démocrate), accepte une part d’autocritique : « Dans les années 1990, les syndicats et les associations ont misé sur des cadres d’origine étrangère. Mais ce n’était que de la cooptation de personnes, sans véritable ancrage sur le terrain. Ces gens sont vite tombés dans l’oubli. Certains d’entre eux ont même connu le chômage, renforçant la frustration des communautés d’origine. »

    L’impasse des organisations antiracistes n’est pas sans rapport avec la crise plus globale des gauches dans le pays. C’est pourquoi, face à cette réalité, les solutions les plus intéressantes s’inventent sans doute en dehors des organisations traditionnelles. C’est le cas du mouvement des Italiens de deuxième génération, ou « G2 », qui réunit les enfants d’immigrés, la plupart nés en Italie, mais pour qui l’accès à la citoyenneté italienne reste compliqué.

    De 2005 à 2017, ces jeunes ont porté un mouvement social. Celui-ci exigeait une réforme de la loi sur la nationalité italienne qui aurait permis d’accorder ce statut à environ 800 000 enfants dans le pays. La loi visait à introduire un droit du sol, sous certaines conditions (entre autres, la présence d’un des parents sur le territoire depuis cinq ans ou encore l’obligation d’avoir accompli un cycle scolaire complet en Italie).

    Ce mouvement était parvenu à imposer le débat à la Chambre basse en 2017, sous le gouvernement de Matteo Renzi, mais il perdit le soutien du même Parti démocrate au Sénat. « La gauche a commis une grave erreur en rejetant cette loi, estime Igiaba Scego, qui s’était investie dans la campagne. Cette réforme était encore insuffisante, mais on se disait que c’était mieux que rien. La gauche nous a abandonnés, y compris celle qui n’est pas représentée au Parlement. Nous étions seuls à manifester : des immigrés et des enfants d’immigrés. Il y avait de rares associations, quelques intellectuels et un grand vide politique. À mon avis, c’est là que l’essor de Matteo Salvini [le chef de la Ligue, extrême droite – ndlr] a commencé. »

    Certains, tout de même, veulent rester optimistes, à l’instar de l’historien Michele Colucci qui signale dans son ouvrage le rôle croissant joué par les étrangers dans les luttes du travail, notamment dans les secteurs de l’agriculture : « Si la réforme de la nationalité a fait l’objet de discussions au sein du Parlement italien, c’est uniquement grâce à l’organisation d’un groupe de personnes de deuxième génération d’immigrés. Ce mouvement a évolué de manière indépendante des partis politiques et a fait émerger un nouvel agenda. C’est une leçon importante à retenir. »

    https://www.mediapart.fr/journal/international/241219/l-impense-colonial-de-la-politique-migratoire-italienne?onglet=full
    #colonialisme #Italie #impensé_colonial #colonisation #histoire #migrations #causes_profondes #push-factors #facteurs_push #Ethiopie #bombardements #guerre_coloniale #Libye #histoire #histoire_coloniale #empire_colonial #Somalie #Kenya #Wu_Ming #Luther_Blissett #littérature #Luther_Blissett #contre-récit #contre-narration #nationalisme #construction_nationale #identité #identité_italienne #racisme #oubli #refoulement #propagande #culpabilité #honte #oubli_colonial #victimes #victimisation #violence #néocolonialisme #stéréotypes_coloniaux #blanchitude #invisibilisation #G2 #naturalisation #nationalité #droit_du_sol #gauche #loi_sur_la_nationalité #livre

    –—
    Mouvement #seconde_generazioni (G2) :

    La Rete G2 - Seconde Generazioni nasce nel 2005. E’ un’organizzazione nazionale apartitica fondata da figli di immigrati e rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. Chi fa parte della Rete G2 si autodefinisce come “figlio di immigrato” e non come “immigrato”: i nati in Italia non hanno compiuto alcuna migrazione; chi è nato all’estero, ma cresciuto in Italia, non è emigrato volontariamente, ma è stato portato qui da genitori o altri parenti. Oggi Rete G2 è un network di “cittadini del mondo”, originari di Asia, Africa, Europa e America Latina, che lavorano insieme su due punti fondamentali: i diritti negati alle seconde generazioni senza cittadinanza italiana e l’identità come incontro di più culture.

    https://www.secondegenerazioni.it

    ping @wizo @albertocampiphoto @karine4 @cede

  • Les parcs nationaux d’Afrique en tant que territoires néocoloniaux
    Pensés à l’origine comme les terrains de chasse des colonisateurs (pour le commerce de l’ivoire ou pour les trophées), les parcs nationaux accueillent aujourd’hui les touristes blancs. Si au XXe siècle, les législations protégeaient les chasseurs blancs mais interdisaient aux Africain.es la chasse de subsistance, très peu a changé aujourd’hui. Les petits blancs s’achètent d’immenses terrains de chasse privés et les protecteurs de la faune sauvage, dont le WWF, imposent leurs règles. Pourtant on sait que la biodiversité est plus grande dans les zones naturelles habitées.
    (avec une carte interactive de la création des parcs depuis 1900)

    Das koloniale Erbe der Nationalparks
    Simone Schlindwein
    Viele Konzepte des Artenschutzes wurzeln auf dem Rassismus der alten Kolonialmächte. Der Umgang mit der Bevölkerung ist bis heute ein Dilemma.
    […]
    Laut internationalen Standards sollen heute Schutzgebiete nur mit freier, vorheriger und informierter Zustimmung (free, prior and informed consent – FPIC) der dort ansässigen Menschen errichtet werden. Dies ist bei den meisten Schutzgebieten, die in der Kolonialzeit oder auch später unter den autoritären Regimen Afrikas gegründet wurden, nie der Fall gewesen.
    Der Umgang mit der lokalen Bevölkerung in und um die Parks ist daher bis heute ein Dilemma. Dies zeigt sich derzeit erneut an der umstrittenen Gründung des Messok-Dja-Nationalparks im Norden der Republik Kongo als Teil eines trinationalen Schutzgebiets mit den Nachbarländern Kamerun und Gabun, das vom WWF verwaltet und von der Europäischen Union (EU) finanziert werden soll. In ihm leben rund 24.000 Menschen in 67 Dörfern, die meisten von der Ethnie der Baka, also traditionelle Urwaldbewohner, so ein WWF-Evaluationsbericht. Sie ernähren sich von der Landwirtschaft, vom Fischen und von der Jagd. Das Problem laut WWF ist, dass die Baka im Wald nicht nur Heilkräuter sammeln, sondern auch Elefanten jagen würden. Deswegen müsse mit ihnen ein Konsens gefunden werden, wie sie in einem Teil des Waldes ihrem traditionellen Lebensstil nachgehen können, ohne die Gründung des Parks generell abzulehnen, so die Empfehlung.
    […]
    Bereits im Jahr 1900 war in London die erste internationale Konferenz zum Schutz der afrikanischen Wildtiere abgehalten und die sogenannte Londoner Konvention unterzeichnet worden. Sie legte den Grundstein für das westliche Naturschutzengagement in Afrika und stellte unter anderem die Gorillas unter strikten Schutz vor jeglicher Jagd, ebenso Elefanten mit Stoßzähnen unter fünf Kilo. Es versteht sich von selbst, dass keine Vertreter der unter der Kolonialherrschaft lebenden Menschen in Afrika an dieser Entscheidung beteiligt waren.
    In fast allen Kolonien wurden daraufhin im Laufe des 20. Jahrhunderts restriktive Jagdgesetze zum Schutz des Wildtierbestands eingeführt. Von Anfang an wurde dabei mit zweierlei Maß gemessen. Die von Kolonialisten betriebene Großwildhatz zum Erwerb von Trophäen und Elfenbein wurde erlaubt, die Jagd zur Ernährung durch die Afrikaner wurde unter Androhung hoher Strafen verboten.
    […]
    Die koloniale Idee der menschenleeren Naturräume und die Kriminalisierung der afrikanischen Jäger erkläre zahlreiche „Geburtsfehler“ der meisten afrikanischen Schutzgebiete, die bis heute immanent sind, erklärt Linda Poppe von Survival International in Deutschland. Die NGO, die sich für die Rechte indigener Völker einsetzt, kritisiert: Eine Dekolonialisierung dieser Naturschutzansätze habe bis heute nicht wirklich stattgefunden. Im Gegenteil, bis heute werden weiße Tierforscher als die eigentlichen Helden des Naturschutzes verehrt.
    […]
    Die koloniale Idee der menschenleeren Naturräume und die Kriminalisierung der afrikanischen Jäger erkläre zahlreiche „Geburtsfehler“ der meisten afrikanischen Schutzgebiete, die bis heute immanent sind, erklärt Linda Poppe von Survival International in Deutschland. Die NGO, die sich für die Rechte indigener Völker einsetzt, kritisiert: Eine Dekolonialisierung dieser Naturschutzansätze habe bis heute nicht wirklich stattgefunden. Im Gegenteil, bis heute werden weiße Tierforscher als die eigentlichen Helden des Naturschutzes verehrt.
    […]

    https://taz.de/Militarisierter-Naturschutz-in-Afrika/!5671721
    #parc_national #Afrique #néocolonialisme #racisme

    • Terrains de #chasse au sens littéral.

      Conserver la faune sauvage de la péninsule malaise : de la Malaya britannique à la Malaisie indépendante
      https://journals.openedition.org/vertigo/18503

      Les sources historiques montrent que la remarquable biodiversité de la péninsule malaise et les espèces menacées qu’elle abrite ont été préservées en partie grâce aux actions de conservation prises pendant la période coloniale, poursuivies et développées après l’indépendance. Sous l’impulsion de quelques coloniaux, tel l’amateur de grande chasse Theodore Hubback, les États de la péninsule malaise sous domination britannique ont adopté des législations de protection de la faune sauvage, créé des parcs et réserves, notamment le parc national King George V, et mis en place un département de protection de la vie sauvage. Ce dernier était en charge du contrôle des animaux considérés comme nuisibles, de l’application des lois, de la gestion des parcs et de la conservation des espèces. Les game warden britanniques étaient aidés par des Malaisiens engagés qui ont pris la relève après l’indépendance, malgré un manque criant de moyens. La Malayan Nature Society, créée en 1940 par le chief game warden fédéral, a aidé le département dans sa tâche. Jusqu’au début des années 1970, cette association était avant tout un club d’expatriés, mais certains parmi ses rares membres malaisiens sont devenus très influents dans la Malaisie indépendante. Elle s’est ainsi trouvée au cœur de réseaux qui permettaient de mettre les militants de la conservation, les scientifiques, les experts internationaux et les agents du département de la vie sauvage en contact avec les décideurs politiques. La Malaisie a ainsi pu poursuivre les programmes conçus sous domination britannique et développer ses propres politiques de conservation.

  • A NOS CORPS DEFENDANTS - 2020 - 90 min - FR / ENG

    https://www.youtube.com/watch?v=zrHcc_rPacE

    Désarmons les
    –------------
    Durée : 90 min

    Année : 2019

    Réalisation : IanB

    Synopsis

    Ce film ne raconte pas une histoire. Il se veut une approche sensible et radicale des violences psychologiques et physiques infligées aux habitant·es des quartiers populaires par la police. Les récits prennent place dans la France des vingt dernières années, celle de l’après Sarkozy, et sont rapportés par les premier·e·s concerné·e·s : pas de sociologue, pas d’historien, pas de journalistes ni de storytelling. Juste la parole de celles et ceux qu’on voudrait voir silencieux·ses : Wassil Kraiker et ses parents Zohra et Abdelaziz, des jeunes d’Argenteuil, Amine Mansouri et son père Moustapha, Ali Alexis et son épouse, Ramata Dieng et Farid El Yamni…

    On y aborde la question de la domination, ou comment l’Etat traite les corps étrangers pour mieux les contrôler. Il est question de racisme, de torture et d’un combat vital pour la vérité. Les protagonistes de ce film n’avaient pas choisi de devenir un jour visibles, mais les violences systémiques en ont fait des combattant·e·s, à leurs corps défendants.

    Sur le réalisateur

    IanB est membre fondateur d’un collectif qui existe et se bat depuis 2012 contre les violences d’Etat, Désarmons-les ! Ce film, il l’a pensé à la fois comme une manière de clore un chapitre dans son combat personnel, une déclaration de guerre et un message sans concession à l’attention de celles et ceux qui oseraient encore nier le caractère systémique des violences policières.
    Contacts :

    Mail : ianb@riseup.net

    Twitter : @ianb_desarmons

    Site internet : https://volte-face.info/film-a-nos-corps-defendants

  • Madagascar : la France augmente son aide mais ne cède rien sur les #Îles_Éparses
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/02/21/madagascar-la-france-augmente-son-aide-mais-ne-cede-rien-sur-les-iles-eparse


    L’île de Grande Glorieuse, en avril 2014.
    SOPHIE LAUTIER / AFP

    Lors de sa visite officielle, Jean-Yves Le Drian a annoncé une enveloppe de 240 millions d’euros sur quatre ans, sous forme de dons et de prêts.

    Après trois mois de silence, la visite de Jean-Yves Le Drian à Madagascar, jeudi 20 février, avait laissé espérer une avancée ou, à défaut, des clarifications sur l’épineux dossier des îles Eparses, dont le président Andry Rajoelina a officiellement demandé la restitution à la France. Il n’en a rien été.

    Interpellé lors d’un bref échange avec la presse, le chef de la diplomatie française s’est contenté de répondre : « C’est un sujet qui mérite une discussion approfondie. Comme vous le savez, les deux présidents se sont parlé au mois de mai, ils ont décidé de mettre en place une commission mixte pour à la fois échanger des arguments juridiques et des propositions de développement sur les zones concernées. […] Il va y avoir maintenant une deuxième réunion et le travail va se poursuivre en amitié et en confiance. »

    Depuis la première réunion de cette commission mixte, le 18 novembre à Antananarivo, la balle est dans le camp de Paris pour organiser le deuxième round des négociations. Le temps presse. Les deux chefs d’Etat se sont fixé comme échéance le 26 juin 2020, date du 60e anniversaire de l’indépendance de l’ancienne colonie française, pour parvenir à une « solution commune ». Paris invoque le récent remaniement ministériel à Madagascar et le changement d’interlocuteur, avec la nomination d’un nouveau ministre des affaires étrangères, pour expliquer cette longue pause et promet que la date d’une prochaine rencontre sera rapidement connue.

    « Ici c’est la France »
    Face à ce discours rassurant, personne ne voit pourtant quelle pourrait être l’issue des discussions tant que les deux parties continuent de poser en préalable la reconnaissance de leur souveraineté sur les quatre îlots situés dans le canal du Mozambique (le cinquième, Tromelin, dans l’océan Indien, étant quant à lui revendiqué par l’île Maurice). Par une série de déclarations jugées brutales et provocatrices par les Malgaches, Emmanuel Macron a coupé court à tout compromis. « Ici c’est la France », avait-il notamment proféré, le 23 octobre, en foulant le sable des îles Glorieuses, promises à devenir une réserve naturelle nationale d’ici au mois de juin.
    […]
    A ceux qui suspectaient la France de vouloir conserver ces territoires inhabités pour les hydrocarbures présents dans le sous-sol océanique, le ministère de l’écologie a opportunément annoncé, jeudi, que le gouvernement mettait « définitivement un terme aux forages en mer de France » et avait « refusé de prolonger le permis exclusif de recherches en mer de “Juan de Nova maritime profond” ». Ce que la société Marex, détentrice du permis, savait déjà depuis plusieurs semaines.

    Côté malgache, Andry Rajoelina a également fait monter la pression en faisant de la restitution des Eparses un enjeu de justice et de fierté nationale, alors que la grande majorité de la population, jeune et rurale, n’a jamais entendu parler de ce différend territorial qui ne mobilise qu’une partie des élites de la capitale. Mi-décembre, en présence de représentants venus de toutes les régions, une concertation nationale a été organisée pendant trois jours à Antananarivo afin de sensibiliser l’opinion publique. « Nous ne sommes pas de ceux qui reculent. Si nous n’obtenons pas la restitution de ces îles maintenant, nous les perdrons à jamais », avait alors déclaré le chef de l’Etat.

    Pour faire valoir ses droits, Madagascar s’appuie sur la résolution adoptée en 1979 par les Nations unies, reconnaissant sa souveraineté sur l’archipel.

  • Mapping the Global Flow of Foreign Aid - Visual Capitalist

    https://www.visualcapitalist.com/mapping-the-global-flow-of-foreign-aid

    Mapping the Global Flow of Foreign Aid

    Billions of dollars routinely flow between countries for a number of reasons that go beyond simply helping people in less wealthy nations.

    Extending foreign aid can be a tool to help strengthen relationships with allies, to help bolster a military presence in a key area, or even to project a positive image at home and abroad. Of course, aid also helps less wealthy nations do all kinds of things, from constructing new infrastructure to recovering from humanitarian crises or natural disasters.

    #capitalisme #neocolonialisme #ide #fdi

  • Irak : Washington refuse un retrait des troupes - Challenges
    https://www.challenges.fr/monde/etats-unis/rak-washington-dit-refuser-de-discuter-d-un-retrait-des-troupes-malgre-la

    Les Etats-Unis n’ont pas l’intention de discuter avec les autorités irakiennes d’un « retrait des troupes » américaines malgré la demande du Premier ministre irakien, a déclaré vendredi le département d’Etat américain.

    « A ce stade, toute délégation qui se rendrait en Irak serait chargée de discuter de la meilleure manière de reconfirmer notre partenariat stratégique, pas de discuter un retrait des troupes », a affirmé la porte-parole de la diplomatie américaine Morgan Ortagus dans un communiqué.

    Le Premier ministre démissionnaire irakien Adel Abdel Mahdi avait auparavant demandé au secrétaire d’Etat américain Mike Pompeo l’envoi d’une délégation pour organiser le retrait des soldats américains d’Irak. Il lui a « demandé que des représentants soient envoyés en Irak pour mettre en place les mécanismes nécessaires à l’application de la décision du Parlement en vue d’un retrait sécurisé des troupes d’Irak », selon un communiqué de ses services.

    Impudence totale... #néocolonialisme

  • Texte d’#Achille_Mbembe à l’occasion de l’#occupation du #Panthéon, 12 juillet 2019

    « Tout se passe comme si chaque fois que l’on ouvre les yeux, il y a des personnes humaines d’origine africaine quelque part dans notre monde en train d’être brutalises par une autorité ou une autre.

    Ailleurs, loin de chez eux, hors d’Afrique.

    Mais en Afrique aussi, entre les mains des leurs - des coups, surtout des coups, la brutalité avec laquelle tout #corps de nègre (simple gisement musculaire) est traité !

    Et cela fait très longtemps que ça dure.

    Ça dure depuis tant de temps que cela n’étonne plus personne.

    Les #Nègres, on s’attend a ce qu’ils soient brutalisés, et c’est le contraire qui est anormal.

    Il y a quelques semaines, un camp de prisonniers (car c’est de cela qu’il s’agit) en majorité africains a été littéralement bombardé en Libye. Plusieurs dizaines d’entre eux ont été tues.

    D’autres périssent presque chaque semaine, noyés dans les eaux de la Méditerranée.

    On ne compte plus ceux dont les sables du Sahara recouvrent de leur linceul les dépouilles.

    Pas un seul mot de nos Chefs d’Etat.

    Pas un seul mot des représentants des peuples africains. Pas un seul mot des organisations continentales, encore moins de nos intellectuels, artistes, footballeurs, hommes et femmes d’Église ou entrepreneurs.

    Après deux jours, la nouvelle a disparu des grands médias occidentaux. Et tout a recommence comme si rien n’avait jamais eu lieu. De telles vies comptent-elles seulement ?

    La Libye est un pays où existent des marches d’#esclaves africains en plein XXIe siècle. Tout le monde le sait.

    Elle est un pays ravagé par le #racisme_anti-nègre qui menace de plus en plus la plupart des États maghrébins. Tout le monde le sait.

    Tout le monde le sait par ailleurs, certaines puissances européennes revendiquant le statut d’"amies des Africains" procurent des #armes sophistiquées a l’une ou l’autre des milices qui se disputent le pouvoir a Tripoli.

    L’Europe, qui a joue un role determinant dans la destruction de la #Libye, leur procure d’énormes sommes d’argent.

    L’objectif est d’empêcher la migration des Nègres en Europe. Pour ce faire, il faut transformer l’Afrique en un immense #Bantoustan.

    En réalité, il s’agit de subsides a la #chasse de captifs nègres que l’on entasse dans des prisons qui ne disent pas leur nom, et que l’on revend a l’encan sur les marchés locaux. Un commerce ignominieux est en cours dont les corps d’ébène servent une fois de plus de monnaie.

    Ceci, l’Europe prétend ne pas le voir, tout comme elle s’échine à rendre invisible la saignée en cours en #Méditerranéenne.

    Au sujet de ce scandale, nos Chefs d’Etat n’ont aucun mot a dire. Nos intellectuels, nos artistes, nos footballeurs, nos hommes et femmes d’Église et nos entrepreneurs non plus.

    Hier, le Président Emmanuel #Macron a réuni a l’Élysée des individus choisis au hasard par son gouvernement. Ces individus de son choix sont supposes représenter "la #diaspora_africaine" en #France. Le Président Macron, nous dit-on, est un grand intellectuel. Il serait un disciple de Paul Ricoeur et aurait suivi des séminaires avec Etienne Balibar.

    Mais quand il s’agit de l’#Afrique, il évite soigneusement de discuter avec des intellectuels africains critiques. Ils risquent de le démaquiller, de lui poser toutes les questions qui gênent, de lui opposer des arguments sérieux auxquels il n’a aucune réponse plausible. Ils risquent de remettre publiquement en cause les trois piliers de la politique française - le #militarisme, le #mercantilisme et le #paternalisme mâtiné, comme toujours, de #racisme.

    Et, naturellement, le soutien sans condition a des régimes corrompus qui militent activement contre les intérêts bien compris du Continent.

    Le President Macron leur préfére des gens choisis par ses diverses cellules de communication et autres conseils présidentiels - de pauvres étudiants d’une pauvre université qui ne savent pas comment formuler des questions pertinentes et qu’il se fait fort de ridiculiser ; des quidam qui n’ont étudié aucun dossier en profondeur et se contentent de généralités ; des Nègres de pacotille assoiffés de vanité et en quête de selfies, hilares et bon enfant, trop heureux de servir le Maitre lorsqu’il ne s’agit pas d’opportunistes peu scrupuleux en quête de prébendes.

    Tout heureux de se retrouver sous les lambris, hier ils lui ont en effet servi la soupe et ont soigneusement évité de traiter des vrais dilemmes - ceux qui font des rapports entre la France et l"Afrique le paradigme même du scandale néocolonial.

    Bal des cyniques, en vérité, et des deux côtés !

    Ce soir, cette comédie s’est révélée être ce qu’elle a toujours été.

    Des centaines d’Africains #sans-papiers ont occupe le Pantheon pour exposer aux yeux du monde le traitement qu’ils subissent en France.

    La réponse ne s’est pas fait attendre. Ils ont été "évacués" sans ménagement, à la manière exacte dont ils sont traités dans leurs pays respectifs par leurs propres gouvernements.

    Quant prendra fin ce scandale ? Quand apprendrons-nous a gagner de nouveau ? Quand est-ce que les vies nègres compteront enfin ?

    Tant que l’Afrique ne deviendra pas son centre propre, tant qu’elle ne se reconstituera pas en tant que vaste espace de circulation, tant qu’aucun Africain ne sera traité comme étranger en Afrique même, la #brutalisation des corps nègres se poursuivra.

    Pour le reste, le salut ne viendra pas de la France. Il n’y a strictement rien a attendre d’elle que nous ne puissions nous offrir a nous-mêmes. Le salut ne viendra pas non plus des diasporas. Il viendra d’abord de l’Afrique elle-même.

    Il faut donc réapprendre a faire corps et reprendre la #lutte. Il faut l’intensifier là où elle est déjà en cours. Il faut puiser dans la #mémoire, la #créativité et les énergies souterraines de nos peuples pour aller de l’avant.

    Nul ne nous libérera à notre place ou malgré nous. Les vies des nôtres disperses dans les quatre coins du monde ne compteront véritablement que le jour ou l’Afrique sera #debout sur ses propres jambes.

    Et c’est a travailler à reconquérir cette initiative historique que nous sommes appelés. Tout le reste n’est que diversion. »

    https://www.facebook.com/gildas.ledem/posts/10157313594073610?__tn__=H-R

    Texte signalé par @isskein

    #Mbembe #France #Paris #migrations #résistance #néo-colonialisme #néocolonialisme #Afrique

  • La France sauve une nouvelle fois le soldat Deby
    http://afaspa.com/article.php3?id_article=900

    Cette nouvelle intervention militaire française au Tchad, qui n’entre même pas dans le cadre des accords avec ce pays, « qui se limitent aux cas d’agression d’un pays tiers, pas dans les affaires internes », comme le souligne Mohamed Ibni Oumar, directeur de l’ONG tchadienne Action Humanitaire Africaine. Depuis les années d’indépendance, on dénombre une soixantaines d’interventions militaires françaises en Afrique. À qui fera-t-on croire que le but est la stabilité des pays quand les plus nombreuses se situent au Tchad, en RDC, en Centrafrique ?

    https://survie.org/pays/tchad/article/les-frappes-aeriennes-francaises-au-tchad-un-cadre-legal-incertain-un-soutie

    #Tchad #néocolonialisme #françafrique

  • #Franc_CFA : le grand débat

    La Cemac et l’Uemoa doivent-elles en finir avec l’ex-franc des colonies d’Afrique ? Économistes, responsables politiques, banquiers… il semble de plus en plus difficile de trouver des voix pour défendre cette monnaie commune. Enquête sur un tabou africain.


    https://www.jeuneafrique.com/dossiers/franc-cfa-grand-debat
    #économie #finance #monnaie #néo-colonialisme #néocolonialisme

  • l’histgeobox : Lapiro de Mbanga : « Constitution constipée »
    http://lhistgeobox.blogspot.com/2018/11/lapiro-de-mbanga-constitution-constipee.html

    En 1982, le Président Ahidjo cède le pouvoir (2) à Paul Biya (3), son premier ministre. Ce dernier créé aussitôt un nouveau parti unique : le Rassemblement démocratique du peuple camerounais (RDPC). Entre 1983 et 1984, Biya échappe à plusieurs tentatives de coup d’état, ce qui contribue à durcir fortement le régime. Pour conserver la mainmise sur le pays, le parti présidentiel met en place un impressionnant maillage de contrôle des populations, tandis que police et armée répriment toute forme de contestation. Le chef d’État divise pour mieux régner, fait et défait les carrières à sa guise, évince tous ceux qui pourraient lui faire de l’ombre, muselle l’opposition.
    Au début des années 1990, les incitations internationales en faveur de la transition démocratique (conférence de la Baule) obligent le président à quelques concessions de pure forme. Mais, à la différence d’autres États d’Afrique de l’Ouest, Biya refuse de convoquer une conférence nationale réunissant les différents acteurs politiques camerounais.
    Depuis l’accession au pouvoir de Biya, la fraude électorale permet au président sortant de se représenter et de l’emporter sans coup férir comme en 1992, 1997, 2004, 2011, 2018.
    Le maintien au pouvoir de l’indéboulonnable autocrate s’explique aussi par le soutien tacite au régime de la part de l’union africaine, des États-Unis ou de la France qui recherchent avant tout la stabilité régionale, quitte à s’appuyer sur un régime autoritaire.