Il campo di #Nea_Kavala nel nord della Grecia
Dove «le persone non hanno spazio per esistere»
Il Nord della Grecia è spesso dimenticato ma, non meno delle isole, è un luogo in cui si consuma l’ipocrisia europea dei campi come strumento di gestione del fenomeno migratorio. Un esempio è ciò che accade nel campo di Nea Kavala, vicino a Polykastro, a nord di Salonicco, nonostante la situazione sia critica ovunque.
Durante l’estate 2023, come in altri stati europei, gli arrivi di persone in movimento si sono moltiplicati. Ad ora, secondo l’UNHCR 2, la popolazione migrante ufficialmente in ingresso in Grecia è stata di 42.343 persone, quando l’anno scorso gli arrivi ufficiali registrati sono stati di poco meno di 20.000 in tutto l’anno. Inoltre la Grecia, sotto pressione per le alluvioni avvenute a inizio Settembre, ha dovuto svuotare campi inizialmente pensati per richiedenti asilo per poter far stare la popolazione greca senza più un’abitazione, come ad esempio è avvenuto nel campo di Klidi Sintiki.
Di conseguenza, da inizio Luglio 2023 la popolazione del campo di Nea Kavala 3 è aumenta drasticamente, raggiungendo quasi la massima capacità di più di 1.500 persone distribuite in 280 container. Nonostante il governo greco stia affrontando il fenomeno migratorio da diversi anni, viene sempre considerato come un’emergenza e le soluzioni governative adottate sono precarie e non rispettose dei diritti umani. Non solo vengono messi fino a otto persone, incuranti delle nazionalità, negli stessi container di 24 mq pensati per massimo 6 persone, ma vengono anche mischiate persone sane con malate, famiglie con uomini singoli… ovviamente alimentando tensioni che si potrebbero evitare.
Vivere in un campo in Grecia non è una questione temporanea di qualche giorno, ma possono volerci mesi e anni in base a quante decisioni negative si ricevono, e in base alla propria nazionalità e un po’ a fortuna, dato che la modalità di esaminare le richieste di asilo in Grecia presenta molte carenze e incongruenze. Le persone vedono la Grecia come passaggio, il loro obiettivo finale non è quello di rimanere, ma di ottenere i documenti di viaggio per poter chiedere asilo in un altro paese europeo, evitando così di percorrere la rotta balcanica. Nonostante gli accordi di Dublino, le persone spesso riescono a essere poi accolte in altri paesi europei in quanto riescono a dimostrare che le condizioni di vita nei campi greci sono inumane e degradanti.
Per descrivere com’è il campo di Nea Kavala mi risuonano le parole di Shahram Khosravi in Io sono confine:
«E’ il campo stesso a produrre il profugo, o la sua condizione (…) Nessuna delle mie esperienze passate- la fustigazione, il carcere, un anno di vagabondaggi illegali- era riuscita a privarmi della mia dignità. E’ stato il campo a togliermela. Fino ad allora avevo perso uno stato di riferimento con i suoi diritti di cittadinanza, ma non avevo perso la voglia di vivere, la forza di volontà e il coraggio. ll campo mi ha tolto tutto questo».
Tra i vari effetti collaterali del sovraffollamento c’è stato anche il mancato inizio della scuola. Mentre a Settembre i bambini greci hanno iniziato a frequentarla, per chi vive nel campo di Nea Kavala si è dovuto aspettare fino a fine Ottobre. Oltre ad essere una discriminazione, i bambini nel campo non fanno nulla. Le ONG presenti sul territorio cercano di offrire lezioni e spazi gioco, ma non è abbastanza per coprire il bisogno e per poter garantire continuità educativa.
Il campo è comunque pensato per non essere visto dalla popolazione, per essere lontano. 6 km lo separano dal centro di Polykastro in cui si trovano tutti i servizi (guardia medica, supermercato, fermata del bus, scuole…) e non c’è un servizio di trasporto pubblico disponibile. L’unica possibilità è utilizzare un taxi o una bicicletta, ma nel primo caso è costoso, nel secondo, la domanda è così alta che non ce ne sono abbastanza per tutti, nonostante l’ONG Open Cultural Center offra un servizio di noleggio 4.
Il campo è circondato da un muro di cemento alto 3 metri (intervallato da porte di metallo), telecamere e sicurezza che controlla in entrata e in uscita e sembra più simile ad una prigione che ad un rifugio. Ma il problema non è solo questo, è la stessa esistenza e la funzione dei campi.
Da Settembre il governo greco ha iniziato a impedire l’entrata al campo a chi avesse ottenuto i documenti o a chi, dopo 3 decisioni negative, avrebbe dovuto lasciare la Grecia. In Grecia, quando la richiesta di asilo viene accolta in modo positivo, si ottengono documenti che permettono di viaggiare in Europa e si finisce di ricevere alcuni benefici riservati ai richiedenti asilo, come ad esempio il pocket money o il cibo.
I programmi che aiutano l’inclusione sono pochi o inesistenti, quindi le persone si ritrovano spaesate e senza sapere cosa fare. Fino a prima di Settembre, alle persone veniva almeno lasciata la possibilità di rimanere nel campo per qualche settimana in più, in modo da potersi organizzare per muoversi in un altro paese o per cercare un’ altra soluzione abitativa in Grecia.
Attualmente invece, non solo si nega la possibilità di restare nel campo per qualche tempo, ma l’impossibilità di rientrare nel campo è comunicata senza preavviso, e senza dare l’opportunità di entrare per prendere i propri beni personali. Sono appena tornata da qualche mese lì, e nonostante diverse volte ho assistito a scene di totale disrispetto dei diritti umani fuori dal campo, ne ho una stampata in testa. Perché si tratta di persone.
Quel pomeriggio avevamo organizzato una caccia al tesoro con i bambini che vengono al centro dell’ONG, era stato molto bello e divertente per tutti. Come ogni giorno, a fine giornata, i bambini risalgono sul pullman che Open Cultural Center mette loro a disposizione per tornare al campo di Nea Kavala. Appena arrivati tutti scendono di corsa, i più grandi si mettono in autonomia in fila per i controlli mentre i più piccoli corrono in braccio ai genitori che li aspettano e si preparano a rientrare insieme. Mi fermo a scambiare due chiacchiere con Said, perchè è il primo giorno che la piccola Nura è venuta al centro, e discutiamo di come sia andata. Lo saluto, lui si gira, fa per rientrare e la security controlla il documento ma dice no, non siete più nella lista, non potete entrare. Ma come, ci deve essere un errore, sono uscito 10 minuti fa per prendere la bambina. No, avete ottenuto i documenti e non avete più diritto a star qui.
In realtà Said e Sana, sua moglie, hanno i documenti, ma non hanno ancora lasciato la Grecia perchè la piccola Roya, appena nata, non li ha. E’ quindi impossibile per loro andarsene. Said cerca di spiegarlo alla security ma niente da fare. Gli viene anche detto che potrebbero lasciarlo entrare, ma ci sono telecamere e se qualcuno dovesse vedere poi l’operatore della security perderebbe il posto di lavoro.
Nel frattempo Nura intuisce qualcosa e inizia a piangere, perché la mamma e la sorella son dentro, ma niente da fare li han lasciati fuori dal campo. Fra l’altro Said è in infradito e maniche corte, nonostante faccia freddo, perchè pensava di essere uscito per soli 5 minuti, non per sempre. In tutto ciò io guardo la scena, cerco di supportare Said ma sono abbastanza scioccata, non ci credo che quello che vedo sta succedendo davvero.
Alla fine Said, impotente, decide di passare la notte in un Hotel a Polykastro, nonostante sia costoso, perchè fa già tanto freddo per dormire all’aperto nei prati vicino al campo, soprattutto con una bambina di 4 anni. Prima di salutarci, lui che per tutto il tempo era stato fermo e deciso e sorridente per non far preoccupare la piccola, inizia a piangere e mi dice, ma lo sai che in Afghanistan facevo il traduttore per l’esercito greco? È per questo che me ne sono dovuto andare quando sono arrivati i Talebani.
Lascio Said, Sana e Nura quando ormai si è fatto buio. Io, con il mio carico di privilegio bianco ed europeo e il passaporto in tasca, torno a casa, sono disgustata.
Mi chiedo per quanto ancora le politiche EU e i governi continueranno a violare sistematicamente i diritti e la dignità delle persone in movimento. Mi chiedo fino a che punto sapranno spingersi, fino a quando sarà così buio.
►https://www.meltingpot.org/2023/12/il-campo-di-nea-kavala-nel-nord-della-grecia
#Grèce #camps_de_réfugiés #réfugiés #asile #migrations #Polykastro #containers
]]>Greece, ABR: The Greek government are building walls around the five mainland refugee camps
The Greek government are building walls around the five mainland refugee camps, #Ritsona, #Polykastro, #Diavata, #Makakasa and #Nea_Kavala. Why this is necessary, and for what purpose, when the camps already are fenced in with barbed wire fences, is difficult to understand.
“Closed controlled camps" ensuring that asylum seekers are cut off from the outside communities and services. A very dark period in Greece and in EU refugee Policy.
Three meter high concrete walls, outside the already existing barbed wire fences, would makes this no different than a prison. Who are they claiming to protect with these extreme measures, refugees living inside from Greek right wing extremists, or people living outside from these “dangerous” men, women and children? We must remember that this is supposed to be a refugee camps, not high security prisons.
EU agreed on financing these camps, on the condition that they should be open facilities, same goes for the new camps that are being constructed on the island. In reality people will be locked up in these prisons most of the day, only allowed to go out on specific times, under strict control, between 07.00-19.00. Remember that we are talking about families with children, and not criminals, so why are they being treated as such?
While Greece are opening up, welcoming tourists from all over the world, they are locking up men, women and children seeking safety in Europe, in prisons behind barbed wire fences and concrete walls, out of sight, out of mind. When these new camps on the islands, financed by Europe are finished, they will also be fenced in by high concrete walls. Mark my words: nothing good will come of this!
“From Malakasa, Nea Kavala, Polycastro and Diavata camps to the world!!
“if you have find us silent against the walls,it doesn’t mean that we agree to live like prisoners,but in fact we are all afraid to be threaten,if we speak out and raise our voices!!”
(▻https://twitter.com/parwana_amiri/status/1395593312460025858)
▻https://www.facebook.com/AegeanBoatReport/posts/1088971624959274
#murs #asile #migrations #réfugiés #camps_de_réfugiés #Grèce #camps_fermés #barbelés
]]> Concrete walls are being erected in mainland #Refugeesgr camps, #Diavata, #Malakassa, #Ritsona, & #Nea_Kavala
“closed controlled camps” ensuring #Asylumseekers are cut off from outside communities & services.
▻https://twitter.com/EleniKonstanto/status/1388934268504715265
#murs #camps_de_réfugiés #réfugiés #Grèce #asile #migrations #barrières #murs_intra-urbains
Le #camp de #Nea_Kavala en #Grèce
Dans l’Union européenne, certains camps pour personnes étrangères sont dits « ouverts » : les habitants sont libres d’y rester ou non, en attendant une réponse à leur demande d’asile – dans les faits, ils n’ont pas vraiment le droit ni les moyens de s’installer ailleurs.
Le 28 février 2016, la création de ce camp intervient dans un contexte de #fermetures_des_frontières dans les #Balkans, et du besoin de répartir les habitants du camp d’#Idomeni. 3520 personnes sont alors transférées vers des tentes disposées sur le tarmac de l’aéroport militaire « Asimakopoulou »[1], pour une capacité d’accueil estimée à 2500 personnes. Sur le bitume, les personnes sont exposées aux vents et aux températures parfois extrêmes. Elles attendront le mois de novembre pour que des containers soient mis en place.
Quatre ans plus tard, le camp est toujours là. L’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM) considère Nea Kavala comme une « installation d’accueil de long terme » ; et y transfère notamment des réfugiés depuis le camp de Moria à Lesbos[2].
Les habitants ont eu le temps de réaliser des « travaux d’agrandissement » sur certains containers (© Louis Fernier)
La vie s’est organisée à la marge de la société grecque. Des personnes migrantes sont isolées, bloquées dans un lieu initialement prévu pour que des avions décollent et atterrissent. Sur le tarmac, les préfabriqués ont été installés « de façon à contenir les effets des rafales de vent » ; les personnes « accueillies » partagent des sanitaires extérieurs l’été comme l’hiver, et une unique source d’eau potable située à l’entrée du camp. Si elles le souhaitent, elles sont toutefois libres de marcher 5 KM le long d’une voie rapide pour atteindre la première pharmacie. Sur place, nos observations nous ont permis de réaliser la carte ci-après :
Ce croquis illustre comment la vie prend forme dans un tel environnement. Les ressources et acteurs clés se situent presque exclusivement à l’entrée, dans le nord du camp.
L’Etat grec a délégué la majeure partie des tâches de coordination au Danish Refugee Council. Les ministères de l’éducation et de la santé restent toutefois censés accomplir leurs missions respectives. Hélas, la majorité des enfants ne sont scolarisés que la moitié de la semaine, et le médecin du camp n’est présent que 15 heures par semaine. Deux associations non-gouvernementales, « Drop in the Ocean » et We Are Here », sont présentes au quotidien pour soutenir les personnes encampées. C’est au sein de We Are Here que nous effectuons une enquête de terrain depuis deux mois. Composée uniquement de bénévoles, cette association gère un espace social, organise des cours d’Anglais et de musique, et des activités pour les plus jeunes. Elle tient aussi un centre d’informations et un espace réservé aux femmes. Au quotidien, elle s’active dans un univers interculturel, comme le montre la diversité des nationalités présentes depuis 2016, et la nécessité de s’adapter en continue.
Être bénévole à We Are Here, c’est aussi travailler dans un milieu en perpétuel mouvement : la population connait des fluctuations parfois très soudaines.
Si la population n’a plus dépassé la capacité du camp depuis sa création, elle a connu certains pics – à la fin de l’été 2019 notamment. Les conditions de vie paraissaient alors peu dignes pour un « site d’accueil de long terme ». Une personne réfugiée témoignait le 02 septembre 2019 :
“Nea Kavala Camp is one of hell’s chosen spots in Greece. And to think that this government sees it as a suitable place for vulnerable refugees shows to me how much it must hate us. Nobody should be expected to stay there.”
Depuis le 12 mars 2020, les mesures de protection face au Covid-19 ont entraîné l’arrêt des activités de We Are Here ; cependant, nous sommes toujours en observation depuis le village voisin, en contact avec les habitants du camp. Et la crise sanitaire n’a pas freiné les travaux d’aménagement de Nea Kavala, en prévision de l’accueil de 1000 personnes transférées depuis l’île de Lesbos.
A l’intérieur de ces tentes, les familles sont aujourd’hui réparties par petites salles. Un habitant nous rapporte que « l’on y entend les voisins, c’est très serré. Il y a une table, quatre chaises et quatre lits pour toute une famille ».
Nea Kavala compte 372 arrivées depuis la fin du mois de février, dans le contexte actuel de pandémie mondiale. Le Danish Refugee Council estime que 700 nouvelles personnes arriveront encore d’ici l’été. Les locaux de We Are Here et de Drop in the Ocean ont été demandés pour organiser de potentielles mises en quarantaine. En attendant d’y retourner, nous espérons que le virus épargnera le camp ; et que l’ennui, l’isolement et les conditions d’accueil ainsi décrites n’entraineront pas de tensions. Nous retenons notre souffle.
►https://mi.hypotheses.org/2122
#transferts #migrerrance #immobilité #Grèce_continentale #frontières #Thessalonique #Polykastro #Asimakopoulou #OIM #IOM #temporaire #isolement #marginalité #marges #aéroport #tarmac #préfabriqués #croquis #cartographie #visualisation #Danish_Refugee_Council #déscolarisation #accès_aux_soins #Drop_in_the_Ocean #We_are_here
190 migrants from Tzia being transferred to mainland
▻http://www.ekathimerini.com/251503/article/ekathimerini/news/190-migrants-from-tzia-being-transferred-to-mainland
Greek authorities started on Wednesday evening the transfer to the mainland of 190 migrants who had been stranded on the island of Tzia since the Turkish smuggling ship they were onboard ran aground there on March 16.
The migrants, who were quarantined for two weeks after a few among them developed symptoms resembling those of the new coronavirus were boarding Andros Jet that would take them to Nea Kavala.
Last Saturday, health inspectors visited Tzia to test them for Covid-19 ahead of their scheduled transfer.
The small oil tanker that ran aground off Tzia has been identified as the Dorduncu, a Turkish-flagged ship that was built in 1968. Its passengers, who were able to get off the vessel safely, told investigators that they had paid smugglers in Turkey 5,000 euros each for passage to Italy.
The ship had reportedly set sail from Canakkale in northwestern Turkey and managed to cross the Aegean undetected by switching off its Automatic Identification System.
Authorities say that three traffickers are among the passengers.
#Covid-19 #Migration #Migrant #Balkans #Grèce #Camp #Tzia #Quarantaine #NeaKavala #
]]>#Migrerrance... de camp en camp en #Grèce...
Des personnes traitées comme des #paquets de la poste
Greece moves 1400 asylum-seekers from crowded Lesbos camp as migrant numbers climb
Greek officials and aid workers on Monday began an emergency operation to evacuate 1,400 migrants from a dangerously overcrowded camp on Lesbos as numbers of arrivals on the island continue to climb.
Six hundred and forty people were bussed away from Moria camp, which has become notorious for violence and poor hygiene, with 800 more following.
“I hope to get out of this hell quickly,” 21-year-old Mohamed Akberi, who arrived at the camp five days earlier, told Agence-France Presse.
Lesbos has been hit hard by the migrant crisis, with authorities deadlocked over what to do with new arrivals. Some 11,000 have been put in Moria camp, an old army barracks in a remote part of the island which has a capacity of around 3,000.
The camp has been criticised sharply by human rights organisations for its squalid living conditions and poor security. Last month, a 14-year-old Afghan boy was killed in a fight and women in the camp are targets for sexual violence.
The migrants removed from Moria on Monday will be taken by ferry to Thessaloniki, where they will be transported to Nea Kavala, a small camp in northern Greece near the border with North Macedonia.
Lesbos saw 3,000 new arrivals in August, with around 650 arriving in just one day last week, and another 400 over the weekend.
The emergency transfer from Moria was agreed by the government at an emergency meeting on Saturday, with unaccompanied minors and other vulnerable people given priority.
The Greek government agreed to do away with the appeal procedures for asylum seekers to facilitate their swift return to Turkey.
Greece will also step up border patrols with the help of the EU border control agency Frontex.
Nearly 1,900 migrants have been forcibly returned to Turkey under a deal brokered by the European Union in 2016, and 17,000 migrants have voluntarily left Greece for their home countries over the last three years.
Aid workers have questioned whether the emergency move provides a meaningful solution to Greece’s migrant problem.
“While the situation in Moria is certainly diabolical, the government’s response to move people doesn’t solve the problem of overcrowding and is more of a PR exercise without addressing the issues that will be exacerbated by the move,” one aid worker with Nea Kavala, who wished to remain anonymous, told the Telegraph. “It’s very much an out-of-the-frying-pan-into- the-fire situation.”
Stella Nanou, a spokesperson at the UNHCR in Greece, told the Daily Telegraph: “The situation is an urgent one in Moria and requires urgent relief. It is obvious more needs to be done in the short term. In the long term, solutions need to be provided to decongest and relieve the situation on the islands. We stand ready to help.”
▻https://www.telegraph.co.uk/news/2019/09/02/greece-moves-1400-asylum-seekers-crowded-lesbos-camp-migrant
#Moria #Lesbos #Lesvos #camps_de_réfugiés #Grèce_du_Nord #déplacement #asile #migrations #réfugiés
#paquets_postaux
ping @isskein
Crise des réfugiés : dans certains villages du nord de la Grèce, plus de migrants que d’habitants
Courrier des Balkans | jeudi 24 mars 2016
La route des Balkans reste fermée, mais les candidats à l’asile continuent d’affluer. Les réfugiés en route vers l’Europe sont toujours bloqués en Grèce, et dans les communes du nord du pays, les habitants et les autorités locales craignent de se retrouver vite complètement débordés.
Par Elisa Perrigueur
Avant, à #Idomeni, il n’y avait pas grand monde. Les maisons étaient souvent vides, leurs volets fermés. Seuls quelques chiens erraient, sur les routes de ce village du nord de la Grèce. Depuis plusieurs mois, la vie a repris. Des Syriens, Afghans, Pakistanais, Irakiens, déambulent entre les maisons pour tuer le temps. Assises sur des pierres, des femmes voilées pianotent sur leurs portables. Sur une place abandonnée aux herbes folles, les enfants jouent.
Le plus grand #bidonville de Grèce
Idomeni abrite aujourd’hui le plus grand bidonville du pays. À côté de la vieille voie de chemin de fer qui relie la Grèce à la Macédoine, des milliers de tentes bleues et vertes s’étendent à perte de vue. Quelque 13 000 migrants et réfugiés attendent, dans ce camp entouré de champs, dans l’espoir de pouvoir franchir la frontière macédonienne. Jamais, au cours des dernières décennies, Idomeni n’avait vu autant de gens sur ses terres.
Comme la plupart des habitants de la région, Panos connaît tous les « spots » où sont désormais rassemblés les réfugiés et migrants. Sur une carte Google Maps, le jeune homme originaire de la ville de Kilkis, désigne les différents lieux. En plus du tristement célèbre camp d’Idomeni, explique t-il, « on y voit celui de Chevso, où il y a environ 3 500 personnes, celui de Nea Kavala, où il y a à peu près le même nombre. Puis aussi d’autres ’mini-camps’ improvisés, autour des stations essence. ».
Dans le nord, ces camps sont désormais plus peuplés que les villages eux-mêmes. 20 000 candidats à l’asile s’y massent toujours, même après l’accord signé entre l’Union-Européenne et la Turquie. « Ici, on comprend plus qu’ailleurs la détresse de ces gens. La majorité des habitants de la région sont eux-mêmes des réfugiés, venus après la « Grande catastrophe » de 1922, explique Panos, lui-même descendant de Grecs venus de Kars, en Turquie. « Quand nous voyons ces gens, nous revoyons nos ancêtres ».
Les habitants s’impatientent
Mais, Panos tempère toutefois, « le problème, c’est que la situation s’éternise, alors que ces personnes n’ont pas du tout envie de rester ici, elles veulent aller en Allemagne, en Suède ». Le nord du pays est l’une des régions les plus touchées par le chômage. « Quel intérêt ont-ils à demander l’asile en Grèce ? », s’interroge Panos. Le jeune homme est ingénieur, et lui même au chômage depuis de longs mois. « Moi aussi, j’hésite à aller en Allemagne pour trouver du travail », sourit-il tristement.
Veste de cuir sur le dos, regard sombre et teint hâlé, Christos Goudenoudis, le maire du canton de Baionia (dans lequel se trouve le village d’Idomeni), n’est pas convaincu par l’accord signé entre l’UE et la Turquie la semaine dernière. « Selon l’accord, les gens du camp d’Idomeni seront transférés petit à petit dans des centres, où l’on examinera leur situation au cas par cas pour distinguer les migrants économiques de ceux éligibles au droit d’asile ». Il esquisse un bref sourire ironique. « Je demande à voir ». Pour lui, l’urgence, c’est d’évacuer l’immense camp d’Idomeni, qui ne devrait pas abriter plus de 2 000 personnes, estime t-il. Il a des solutions à proposer : « Si l’on changeait les points de distribution de nourriture par exemple, cela forcerait les gens à partir ».
“« Aujourd’hui, les migrants bloqués ont encore de l’argent, mais que se passera t-il quand ils n’en auront plus ? Comment réagiront-ils ? »”
Christos Goudenoudis assure que les habitants de son canton font preuve de patience, mais que « la peur commence à monter ». Il mentionne des « vols dans les maisons, des rixes dans le camp, des distributions de nourriture qui virent au chaos. « Aujourd’hui, les migrants bloqués ont encore de l’argent, mais que se passera t-il quand ils n’en auront plus ? Comment réagiront-ils ? ». Son ton se fait aussi amer lorsqu’il évoque le voisin macédonien, qui « a érigé un mur de barbelés à sa frontière en moins de six heures ».
Les administrations locales débordées
Lena Anastasiadou est adjointe au maire de #Kilkis, canton qui comprend la commune de #Nea_Kavala, où se trouve un autre camp de 3 500 personnes. Elle aussi exprime ses craintes. « Nous sommes débordés. On nous avait dit qu’il y aurait 2 000 personnes, elles sont 3 500. Ce n’est pas une question de bord politique, nous ne pouvons simplement pas les accueillir dans ces conditions ». Pour elle, « il faut que ces gens comprennent véritablement qu’ils n’auront aucun espoir de passer ».
“« C’est à l’Europe de prendre ces gens en charge. »”
Elle aussi réfléchit à des solutions. « Il faudrait créer des petites structures de 400 à 500 places dans toute la Grèce, et pas seulement dans le nord », suggère t-elle. Lena Anastasiadou estime que la situation ici n’est « pas juste ». « Je suis en charge des habitants, je dois faire en sorte que tout se passe bien dans ma commune. J’ai beaucoup de peine pour ces réfugiés, mais ma priorité, c’est les villages ». Selon elle, « c’est à l’Europe de prendre ces gens en charge ».
Le jour de la signature de l’accord entre l’UE et la Turquie, avant qu’il ne soit dévoilé, nombreux réfugiés s’étaient dirigés vers les camps à la frontière. Une rumeur courait ; la frontière macédonienne serait ouvert à l’issu de la réunion de Bruxelles. Bien sûr, il n’en fut rien.
▻http://www.courrierdesbalkans.fr/articles/grece-apres-l-accord-les-habitants-du-nord-sceptiques.html
#route_des_Balkans #Balkans #Grèce #asile #migrations #réfugiés #campement