• Dans l’Hérault, le groupe Nicollin visé par une enquête pour « corruption » | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160523/dans-l-herault-le-groupe-nicollin-vise-par-une-enquete-pour-corruption

    Dans l’#Hérault, le groupe #Nicollin visé par une enquête pour « #corruption »
    Une plainte pour « corruption et trafic d’influence » a été déposée par plusieurs élus d’une commune de l’Hérault. Ils soupçonnent le maire d’avoir favorisé le groupe Nicollin, géant de la gestion des #déchets, dans l’attribution d’un #marché_public.

    #Matelles

  • EmelineB (San Mateo, CA)’s review of Typothérapie : Fragments d’une amitié typographique
    https://www.goodreads.com/review/show/5549974871

    EmelineB’s Reviews > Typothérapie : Fragments d’une amitié typographique
    Typothérapie by Nicolas Taffin

    Typothérapie : Fragments d’une amitié typographique
    by Nicolas Taffin,
    Michel Melot (Preface)

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    EmelineB’s review
    May 14, 2023

    Avec Typothérapie, Nicolas Taffin nous offre de beaux aperçus de l’histoire de la typographie en France ces 30 dernières années. Des personnes et des publications qui l’ont fédérée, des Rencontres de Lure, de son parcours personnel (auto-didacte, organisateur, amateur, éditeur).

    Le livre s’ouvre avec des essais sur le rôle de la typographie en vis à vis et avec la philosophie, avec de belles pages sur le rôle du blanc, la question de l’(il)lisibilité. On continue avec des textes sur les problématiques du numérique et de la typographie. De Flash à Google Fonts, qui la contrôle, qui l’utilise, et avec quels desseins ? On y retrouve aussi d’utiles retours d’expériences sur le single-source publishing, une solution technique au problème complexe de la publication multi-formats, multi-médias. J’aurais voulu y voir ici discuté le format epub et ses standards de manière un peu plus développée, mais il s’agit dans tous les cas d’une documentation précieuse de ces années.

    Et puis dans les dernières pages, des hommages aux personnes qui ont fait vivre la typographie, une jolie manière de fermer un recueil de textes personnels en invitant à en rencontrer d’autres.

    #Typothérapie #Recension #Nicolas_Taffin

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • "Dans la nuit du 15 ou du 14 mars 1938, une balle fracassait la nuque de celui qui avait rêvé en 1918 d’apporter à la pointe des baïonnettes de l’Armée Rouge, la révolution socialiste jusqu’aux bords du Rhin."

    Quand les lilas refleuriront

    Lutte de classe n°52 - 30 octobre 1962

    Si le mot d’ « Octobre » est à lui tout seul devenu un symbole révolutionnaire, le 45e anniversaire de la prise du pouvoir par les Soviets, qui souleva alors d’espoir les exploités et les opprimés du monde entier, va dans quelques jours, passer pratiquement inaperçu. C’est qu’il y a bien loin entre les espérances d’hier et l’image qu’offre l’URSS d’aujourd’hui ; aussi loin que de Saint-Pétersbourg à Budapest.

    Les hommes qui dirigèrent la révolution d’Octobre ont depuis longtemps disparu. Quelques-uns tombèrent pendant la guerre civile, mais c’est sous les coups de Staline et de sa clique que la plupart périrent, assassinés. Certaines des victimes des purges staliniennes ont été, depuis, plus ou moins « réhabilitées » par Krouchtchev, et le dernier en date, puisqu’il n’y a que quelques jours que la presse a publié la nouvelle, fut aussi l’une des plus marquantes figures du parti bolchevik.

    Nicolas Ivanovitch Boukharine n’a que 29 ans en 1917, mais, membre du Comité Central bolchevik, il est pourtant considéré depuis longtemps comme un des plus brillants théoriciens du Parti. C’est à lui par exemple que Lénine a demandé en 1912 d’aider Staline à rédiger sa « question nationale », car il possède ce qui manque totalement au Géorgien : une large culture politique, des connaissances générales encyclopédiques, une tête faite pour la théorie.

    C’est comme journaliste et publiciste que Boukharine servira la révolution. Il a déjà, pendant la guerre, dirigé à New-York le journal « Nowy Mir » auquel collaborera Trotsky pendant son séjour américain. Pendant toutes les années héroïques de la révolution, à partir de 1918, c’est lui qui assumera la direction de la « Pravda ».

    Pourtant, il n’a pas toujours été, beaucoup s’en faut, d’accord avec la politique menée par le Parti. Lorsque se pose la question de la paix avec l’Allemagne, Boukharine, partisan de la guerre révolutionnaire, se place à l’aile gauche du Parti. Il publie un journal de tendance, « Le Communiste », dans lequel il écrira même à un certain moment qu’il lui paraît difficile d’éviter la scission. Les faits résoudront la crise d’eux-mêmes. Dans le parti de Lénine, une divergence politique n’était pas considérée comme un crime, ni l’indépendance de pensée comme un défaut, et Lénine voit en celui que tout le monde considère comme son « héritier » l’un des jeunes dirigeants les plus capables du Parti. Trotsky rapporte qu’au plus fort de la révolution, Lénine lui confiait que c’est à Sverdlov et à Boukharine qu’il pensait pour prendre la direction du Parti s’ils venaient tous deux à disparaître.

    Dans son « testament » politique rédigé en décembre 1922, Lénine formule cette appréciation : « Boukharine n’est pas seulement le plus précieux et le plus fort théoricien du Parti, et aussi légitimement considéré comme le préféré de tout le Parti, mais ses conceptions théoriques ne peuvent être considérées comme vraiment marxistes qu’avec le plus grand doute car il y a en lui quelque chose de scolastique (il n’a jamais appris et je crains qu’il n’a jamais compris vraiment la dialectique) ».

    Ces défauts de Boukharine devaient se révéler pleinement après la mort de Lénine. L’année 1923 ne marque pas seulement la disparition de celui-ci de la scène politique ; c’est aussi « le tournant obscur » de la situation politique européenne. Boukharine qui, jusque là, était considéré comme un communiste « de gauche », qui avait été partisan de la tactique de « l’offensive révolutionnaire », de l’aventuriste « action de mars » en 1921 en Allemagne, va devenir le théoricien de la droite.

    Puisque la grande crise révolutionnaire de l’après-guerre est décidément terminée, Boukharine, qui attribue depuis longtemps au capitalisme de très grandes capacités de récupération, et la possibilité de résoudre certaines de ses contradictions en évoluant vers un « capitalisme d’État », ne va plus voir d’autre solution pour le maintien du pouvoir soviétique que dans l’appui de la paysannerie. Il formule alors le fameux « Koulaks, enrichissez-vous ! ».

    Lorsque Zinoviev et Kamenev passent à l’opposition de gauche, en 1925, il devient le théoricien de la fraction au pouvoir, et le dirigeant de l’Internationale Communiste. Ses conceptions politiques vont amener cet homme intelligent et cultivé, que même ses adversaires de l’opposition de gauche reconnaissent comme honnête, généreux et désintéressé, à devenir pendant quelques années le compagnon de fraction du brutal, déloyal et inculte Staline, qu’il appelait lui-même « Gengis Khan ».

    Ce mariage monstrueux se brisera en 1928, lorsque Staline, après avoir éliminé l’opposition de gauche, va frapper à droite et décréter la collectivisation forcée.

    Comme les capitulards de la tendance Zinoviev, les hommes de la droite, s’ils restent dans le Parti, ne sont plus que des ombres politiques réduites aux tâches subalternes. De capitulation en capitulation, d’autocritique en autocritique, ils chemineront tout doucement vers les procès de Moscou.

    Celui qui va condamner Boukharine, le dernier de la série s’ouvre en mars 1938. Instruits par le sort de Zinoviev et Kamenev, par celui de Pitakov, les accusés ne peuvent guère se faire d’illusions sur ce qui les attend. De toutes les victimes de ces monstrueuses machinations, Boukharine sera incontestablement le moins brisé. Il n’a que 50 ans et la prison n’a pas entamé ses moyens, ni physiques , ni intellectuels.

    L’édition de 1938 de « L’histoire du PC (b) de l’URSS » nous apprend la substance de l’acte d’accusation : « Ces rebuts du genre humain avaient, dès les premiers jours de la révolution socialiste d’Octobre, tramé avec les ennemis du peuple Trotsly, Zinoviev et Kamenev, un complot centre Lénine, contre le Parti, contre l’État soviétique. Tentatives provocatrices pour faire échouer la paix de Brest-Litovsk, au début de 1918 ; complot avec les S.R. « de gauche » en vue d’arrêter et d’assassiner Lénine, Staline, Sverdlov, au printemps de 1918 ; coup de feu scélérat tiré sur Lénine, qui est blessé, en été 1918 ; aggravation voulue des divergences au sein du Parti, en 1921, dans le but d’ébranler et de renverser du dedans la direction de Lénine, tentatives faites pour renverser la direction du Parti pendant la maladie de Lénine, et après sa mort, trahison des secrets d’État et livraison de renseignements aux services d’espionnage étrangers ; lâche assassinat de Kirov ; sabotages, actes de diversion, explosions ; lâche assassinat de Menjinsky, de Kouybichev , de Gorky ».

    Boukharine n’est pas un accusé docile ; s’il accepte d’ endosser une responsabilité politique, il nie toute participation personnelle ; s’il se charge, il le fait de manière que l’historien de demain puisse comprendre le pourquoi de ses dépositions, et il essaye, autant que faire se peut, de donner une analyse de l’évolution oui a amené à ces procès : « Nous avons subi, dit-il, une dégénérescence qui nous a amenés à une sorte de fascisme prétorien de paysans enrichis ». S’il s’accuse, c’est parce qu’il espère que ce procès servira à renforcer l’État soviétique. « Puisse ce procès servir à tous de grande et de terrible, leçon ! Puisse la force colossale de l’URSS s’imposer à tous ».

    C’est bien par un geste de fidélité au parti, pour que sa mort serve encore à quelque chose, que s’expliquent ses aveux, et il conclut ainsi sa déposition : « mon séjour en prison m’avait permis de prendre la mesure de mon passé tout entier. et quand je me suis demandé : si tu dois mourir, pour quel idéal mourras-tu ? devant mes yeux s’ouvrit alors un gouffre sans fond ». il ne lui restait plus qu’à « s’agenouiller quand même, désespérément, devant le parti et devant le pays ».

    Dans la nuit du 15 ou du 14 mars 1938, une balle fracassait la nuque de celui qui avait rêvé en 1918 d’apporter à la pointe des baïonnettes de l’Armée Rouge, la révolution socialiste jusqu’aux bords du Rhin.

    Krouchtchev, dont les mains ont trempé dans le sang de tous ces assassinats, peut bien aujourd’hui, pour se forger sa légende de redresseur de torts du stalinisme, réhabiliter quelques-unes des victimes que Staline avait assassinées pour se forger la sienne. Ce n’est jamais qu’une manière de plus d’utiliser l’assassinat de ces hommes pour consolider le pouvoir de la bureaucratie.

    Mais, quelles qu’aient été par la suite leurs fautes politiques et leurs responsabilités dans l’avènement de la bureaucratie, Boukharine et ses camarades appartiennent à jamais à l’histoire de la révolution socialiste.

    Krouchtchev n’a aucun pouvoir sur leur mémoire. Mais eux en ont et en auront sur Krouchtchev, car c’est en leur nom que la révolution balaiera la bureaucratie stalinienne et ses serviteurs parvenus, roublards et pas même reconnaissants.

    #Boukharine #Nicolas_Ivanovitch_Boukharine #stalinisme #Staline #purge_stalinienne #procès_de_moscou

  • Nicolas Framont (de @frustration1) promeut le rapport de force, mais, dans le fond, ne perçoit d’issue que dans les isoloirs ; il pense très sérieusement que « la gauche défend les intérêts des classes laborieuses » et, qu’en guise de solution, « il faut travailler à la représentativité des organisations politiques [de la gauche] »...

    Tout cela, naturellement, est à jeter avec rage ou moquerie, comme toutes les chimères réformistes, mais #Nicolas_Framont est probablement intéressant à lire sur la question du parasitisme de la #classe_possédante, qui est l’objet de son dernier bouquin (Parasites) :

    Il décrypte le détournement des politiques publiques au profit des grandes fortunes à l’œuvre ces dernières décennies et pointe les mécanismes de dépossession, d’extorsion des classes bourgeoises avant de s’arrêter sur les moyens de les combattre. Son argumentaire se déploie d’emblée sur la base d’une inversion, celle du stigmate de l’#assistanat. Ne sont pas assistés ceux que l’on croit. Les parasites ce ne sont pas les pauvres mais les bourgeois…

    (Blast)

    #lutte_de_classe #réformisme #grande_bourgeoisie #parasitisme #capitalisme #curious_about

    • « La classe bourgeoise se nourrit du travail des autres pour parvenir à ses fins, l’accumulation de richesses.
      On peut vivre, diriger notre économie sans elle. On est suffisamment forts, intelligents, autonomes, solidaires pour diriger la société sans maître »

      https://video.twimg.com/ext_tw_video/1635004286596726784/pu/vid/540x540/1KT1r_drWrXetr0l.mp4?tag=12

      https://twitter.com/caissesdegreve/status/1635004629359681537?cxt=HHwWgoDTsYeD2rAtAAAA

    • Oui, c’est juste. Et Framont aspire à la renaissance du mouvement ouvrier… Mais, renonçant à porter le moindre espoir dans une révolution prolétarienne victorieuse — qui serait pourtant la seule voie vers l’expropriation de la grande bourgeoisie et la liquidation de son pouvoir sur la société et l’économie — il aspire en des partis de gauche représentatifs élus au gouvernements de la bourgeoisie…

      On trouve un schéma équivalent chez François Ruffin : des dénonciations radicales — en apparence — qui finissent toujours dans les mensonges insupportables de l’électoralisme (et du nationalisme, en ce qui le concerne).

      Le problème, c’est de se donner les moyens de sa révolte. Si celle-ci est saine et franche, et pose l’enjeu du renversement des rapports sociaux, on n’attend strictement rien de politiciens, même sincères, à la gestion de l’appareil d’État de la bourgeoisie (ni de directions syndicales réformistes, du reste). Et on se pose la question de la manière dont la classe ouvrière pourra enfin se doter du parti révolutionnaire qui lui permettra de s’emparer du pouvoir.

      Et cela se fera par les armes et la violence, pas avec un bulletin de vote.

    • Je te trouve quand même bien dur mon cher Recriweb ! Le comparer à Ruffin et dire qu’il ne voit que de salut par les isoloirs, c’est quand même un peu mal honnête. Évidemment, on peut souligner ce qui ne joue pas en la faveur de Nicolas Framont, et ce qui d’ailleurs explique son ton, ses points de vues : à savoir qu’il est ancien attaché parlementaire LFI, sociologue, journaliste, qu’il fait du conseil pour des syndicats... Assurément, on est face à quelqu’un qui à bien des égards est très intégré au système bourgeois. Mais reconnaître et avoir conscience d’où il parle et de ce qu’il est ne devrait pas faire mettre si rapidement à la poubelle ce qu’il raconte et donc ce qu’il semble penser. Je veux dire par là que les arguments du style qu’il serait « équivalent [à] Ruffin » ou qu’il aspire à des bons gouvernements élus – je me répète – c’est un poil fort de café… Parce que ce n’est pas le fond de son discours il me semble et je me demande sur quoi tu te bases pour affirmer ça.

      Car vers la fin de son livre, « il aspire [bel et bien] à la renaissance du mouvement ouvrier » (je te cite) et il donne à plusieurs reprises des débuts de réflexion intéressante : lutte des classes ; l’importance pour les travailleurs de s’organiser à la base ; importance pour les travailleurs d’avoir un parti à eux, géré par eux et non pas par des diplômés petits-bourgeois de Science po ; il parle très clairement de « dépassement du capitalisme » par un processus révolutionnaire… Alors, oui : il n’utilise jamais le mot communisme ; oui, il a cette manie classique à gôche de sortir la brosse à reluire pour Ambroise Croizat ; oui, il fait les raccourcis classiques « les syndicats = les travailleurs » ; oui, il se dit proche de Révolution permanente ; oui, il va citer Bernard Friot ; oui, il est assez confus avec son « classe laborieuse » ; oui, il met en avant des méthodes de lutte assez burlesques parfois ; et tout ça dit beaucoup de lui et fait assurément grincer les dents. On peut donc voir toutes ses limites mais ça n’est pas pour autant qu’on ne peut pas être honnête et précis dans les critiques qu’on lui adresse.

      Framont a le mérite, au moins, de pouvoir permettre à ceux qui s’intéressent à lui de commencer à penser un peu, ce qui peut (je pense) ouvrir sur des discussions très intéressantes par la suite !

      (J’aurais aimé faire une réponse mieux construite et plus étayée, mais ça prendrait trop de temps !...)

    • Ta réponse est très bien et, à vrai dire, je la partage. Et ce d’autant mieux que tu énonces mes propres réserves.

      Mais remarque toutefois que mon post d’origine visait à promouvoir son bouquin. Que c’est donc une personne que j’écoute et respecte en dépit des réserves que l’on peut avoir envers tous ceux et celles qui croisent, sans voir la contradiction, renaissance du mouvement ouvrier et « représentativité » (?) de masse des partis bourgeois de gauche.

      Ruffin est un bonimenteur de foire qui répand du poison, Framont un activiste que je lis avec intérêt : d’accord pour modérer l’amalgame. Reste que l’un comme l’autre ne sont pas révolutionnaires. J’ai même en tête à ce propos un portrait de Libé, je crois, où il moquait un brin des espoirs de révolution prolétarienne.

      Mais peut-être change-t-il au contact du courant gramscien RP…

    • Merci pour ta réponse !

      C’est intéressant que tu parles de « gramscien » parce que Framont a un petit côté « bataille contre l’hégémonie culturelle » quand même. Ça se ressentait notamment avec son livre La guerre des mots.

      À voir comment il continuera d’évoluer : avec le temps on pourra vraiment apprécier la sincérité (ou non) de ses prises de positions et de son engagement ! :)

  • Typographie et philosophie : Nicolas Taffin sur France Inter - étapes :
    https://etapes.com/typographie-et-philosophie-nicolas-taffin-sur-france-inter

    Le concepteur graphique et éditeur Nicolas Taffin publie aux éditions C&F, maison d’édition qu’il a cofondée avec Hervé Le Crosnier, “Typothérapie. Fragments d’une amitié typographique”. Initialement diplômé en philosophie de l’Université Paris Ouest Nanterre, Nicolas Taffin explore dans cet ouvrage la typographie au prisme des affects et du soin. La typographie peut-elle être une pratique de soin du texte, du lecteur et de la lectrice, de la connaissance et de la société ? À cette occasion, il est interviewé sur France Inter par Xavier de La Porte dans l’émission “Le code a changé”. “On se connaît depuis longtemps avec Nicolas et j’aime bien l’écouter parce qu’il parle avec une voix très douce. Mais c’est pas simplement sa voix qui est douce, sa pensée l’est aussi. C’est pas pour rien qu’il a appelé son livre “Typothérapie”, c’est parce que pour lui la typo – du caractère jusqu’à la mise en page – ça relève du soin. Il dit toujours : pour bien mettre en page un texte, il faut beaucoup d’empathie, il faut avoir envie de faire du bien à cet autrui qu’est le lecteur en lui rendant agréable sa rencontre avec le texte et ce qu’il trimballe de signification” affirme le journaliste.

    #Typothérapie #Nicolas_Taffin

  • La typographie : ce qu’on voit, ce qu’on ne voit pas
    https://www.radiofrance.fr/franceinter/podcasts/le-code-a-change/la-typographie-ce-qu-on-voit-ce-qu-on-ne-voit-pas-6729837

    "Ce qu’on aime au fond, c’est ce qui est à la fois hyper-moderne, et très ancien". C’est grâce à cette phrase prononcée par son ami l’écrivain Olivier que Cadiot que Xavier de La Porte a compris pourquoi il aimait le numérique !

    Je l’aime parce que c’est un attribut très fort de notre modernité, ce qui donne forme à l’expérience contemporaine - et sans doute même à l’expérience dans l’avenir. Mais le numérique fait aussi ressurgir, sous une autre forme, les vieilles questions.

    Et c’est pour ça que la typographie m’a toujours intéressé : comme une rencontre de l’hypermoderne et du très ancien, comme un vieil art de la lettre et de la mise en page travaillé par tout ce qui travaille le reste du numérique : la domination de grands acteurs, l’exploitation des données personnelles, l’Intelligence Artificielle et tout ça.

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    Ça faisait longtemps que j’avais envie de discuter de ça, et là, j’apprends la parution d’un livre. Il s’appelle “Typothérapie” et son auteur est Nicolas Taffin, il sort dans les très bonnes éditions C&F, maison d’édition qu’il a cofondée avec Hervé LeCrosnier. Dans le tandem de C&F, Nicolas est celui qui compose les livres.

    On se connaît depuis longtemps avec Nicolas et j’aime bien l’écouter parce qu’il parle avec une voix très douce. Mais c’est pas simplement sa voix qui est douce, sa pensée l’est aussi. C’est pas pour rien qu’il a appelé son livre “Typothérapie”, c’est parce que pour lui la typo - du caractère jusqu’à la mise en page - ça relève du soin. Il dit toujours : pour bien mettre en page un texte, il faut beaucoup d’empathie, il faut avoir envie de faire du bien à cet autrui qu’est le lecteur en lui rendant agréable sa rencontre avec le texte et ce qu’il trimballe de signification.

    Ça, Nicolas le justifie en allant puiser dans l’histoire de la philosophie - parce que la philosophie est sa formation initiale - mais c’est aussi ce qui le guide dans son abord de toutes les questions dont j’ai envie de parler avec lui.

    #Typothérapie #Nicolas_Taffin #Xavier_de_La_Porte #Podcast #Le_code_a_changé

  • Des centaines d’agriculteurs en tracteur manifestent à Paris après la décision du gouvernement de renoncer à autoriser les insecticides néonicotinoïdes pour la culture de la betterave sucrière.

    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/02/08/interdiction-des-neonicotinoides-des-agriculteurs-manifestent-a-paris-contre

    A l’arrière de son tracteur, une pancarte « Macron menteur, oui aux NNI [néonicotinoïdes], oui au sucre français ».

    Miam le bon sucre !

    #néonicotinoïdes

    • Apparemment certains producteurs venaient juste de renouveler un contrat de 5 ans avec engagement de production.
      Il faut dire que le gouvernement comptait bien continuer à les autoriser à utiliser les néonicotinoïdes, avec une consultation publique en ce sens.

      « Je n’ai pas vu venir l’interdiction et si j’avais su, j’aurais révisé à la baisse mon contrat avec Tereos [ce groupe coopératif sucrier possède 44 sites industriels dont plus d’une dizaine dans les Hauts-de-France, et rassemble 12 000 associés coopérateurs pour un chiffre d’affaires de 5,1 milliards d’euros en 2021-2022]. Ces contrats, qui portent sur cinq ans, devaient être renouvelés avant le 31 décembre 2022 et l’interdiction par le gouvernement des néonicotinoïdes est tombée le 23 janvier. Je ne sais pas ce que je vais faire. En 2022, alors que leur usage était autorisé, par dérogation, j’ai pu faire 97 tonnes l’hectare. En 2020, quand ils étaient interdits, j’ai eu une perte de 10 % à 20 % », raconte l’agriculteur.

      https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/02/08/apres-l-interdiction-des-neonicotinoides-les-cultivateurs-de-betteraves-du-p

      Avant 2017 et depuis 1968, les producteurs de betteraves à sucre européens bénéficiaient d’un temps socialement nécessaire plus long que leurs concurrents via des quotas et des prix garantis.

      Avec la réforme de la PAC, tout s’arrête, mais le syndicat unique de la filière, la CGB, était optimiste avec un plan de hausse de la production de 20% et même une hausse de la productivité à l’hectare, pour exporter plus.

      La fin des quotas sucriers ouvre un boulevard pour la France, premier producteur européen de sucre. (2017)

      https://www.usinenouvelle.com/article/vers-une-production-record-de-betteraves-et-de-sucre-en-france.N62457

      Le temps socialement nécessaire (sur le marché mondial) pour produire une tonne de betterave est maintenant ~ de 2h par tonne avec un salaire horaire au SMIC (22€/t), et était de 2 h 15 du temps des quotas. Il faut donc gagner 15 min par tonne de betteraves pour continuer à produire de la betterave, par tous les moyens !

      Normal que les néonicotinoïdes soient indispensables pour produire de la valeur avec des betteraves à sucre. Tous les arguments les plus fallacieux sont bons pour justifier a posteriori cette production de valeur absurde, alors que le sucre n’est même indispensable à l’alimentation humaine, et qu’il cause diabète et obésité à travers le monde.

      Le discours du syndicat des producteurs de la betteraves, et des députés RN qui sont venus les soutenir, est de tout faire pour produire une tonne de betterave en 2h.

      https://twitter.com/MarionMarechal/status/1623343547914113026?s=20&t=_ekX1Lhl1lNCqkZ_FB5R4Q

      #critiquedelavaleur

    • Néonicotinoïdes : les capitalistes du sucre à la manœuvre

      [...] Le prétexte invoqué était que les #néonicotinoïdes représentaient la seule solution pour protéger leurs cultures contre la jaunisse, une grave maladie de la betterave transmise par les pucerons, qui peut diminuer fortement les #rendements, comme ce fut le cas en 2020.

      Il existe en fait des alternatives aux néonicotinoïdes, comme l’utilisation d’autres #insecticides, moins efficaces mais moins dangereux, ou bien la pratique de techniques culturales différentes, mais elles ne garantissent pas d’obtenir des rendements maximums chaque année. C’est là que le bât blesse car, pour les producteurs de #betteraves_à_sucre, des rendements élevés chaque année permettent de compenser les bas prix auxquels ils vendent leur #production.

      En effet ces #agriculteurs sont complètement inféodés aux groupes de l’industrie du sucre, comme le groupe coopératif ­#Tereos – qui n’a de coopératif que le nom –, qui achète les betteraves à sucre à 12 000 agriculteurs adhérents en France, en assure la transformation en sucre, amidon ou éthanol, intervient dans le monde entier et vient de réaliser plus de 5 milliards d’euros de chiffre d’affaires.

      Depuis la fin de la réglementation du secteur sucrier en Europe, survenue en 2017, les tarifs proposés par les industriels aux producteurs ne sont plus garantis par les États. Les capitalistes peuvent ainsi mettre en concurrence les betteraviers européens avec les agriculteurs du reste du monde (Brésil, Inde…) et pousser les prix à la baisse. Si la production européenne de la betterave est actuellement en crise, c’est du fait de la rapacité des industriels sucriers, et ce n’est pas l’utilisation de tel ou tel insecticide qui résoudra le problème.

      Le gouvernement semble pour le moment ne pas vouloir revenir sur sa décision d’appliquer l’interdiction des #nicotinoïdes à la betterave à sucre. Mais il n’en a pas pour autant terminé avec sa politique d’aide aux #betteraviers, qui finit immanquablement par bénéficier aux capitalistes du secteur. Le lendemain de la manifestation, il a annoncé que toutes leurs pertes seront indemnisées si la jaunisse frappe en 2023, une réactivité immédiatement saluée par le groupe Tereos.

      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/02/15/neonicotinoides-les-capitalistes-du-sucre-la-manoeuvre_50496

      #capitalisme #indemnisation

    • Une critique intéressante de la promesse de substitution aux pesticides.

      Y a-t-il une alternative aux pesticides ?
      Alexis Aulagnier, 2021

      https://laviedesidees.fr/Y-a-t-il-une-alternative-aux-pesticides.html

      Suite à l’annonce du lancement d’Ecophyto, le ministère de l’Agriculture charge l’INRA de la rédaction d’une étude, intitulée Ecophyto R&D, qui doit identifier des scénarios de réduction de l’usage des pesticides et des solutions concrètes pour atteindre un objectif de réduction de moitié.
      (...)
      Les signataires de l’étude sont catégoriques : une réduction de 50% de la consommation de pesticides ne pourra passer que par une transformation en profondeur des exploitations agricoles. La publication de cette étude installe un horizon systémique pour les politiques publiques de réduction de l’usage des pesticides.
      (...)
      Pour le petit groupe d’agronomes chargés de mettre en place une première version du réseau Dephy, il est clair que cet instrument sera un lieu d’expérimentation pour les approches systémiques de l’agronomie. Ils insistent sur la nécessité de conduire des expérimentations systémiques, c’est-à-dire d’engager autant que possible les exploitations dans une reconception de leur organisation.
      (...)
      Le réseau Dephy devient le lieu d’un affrontement entre deux conceptions très différentes de l’agronomie et des savoirs que cette discipline doit produire pour accompagner la réduction de l’usage des pesticides. D’un côté, les agronomes systèmes entendent former des conseillers très qualifiés pour en faire les intermédiaires de transformations systémiques. De l’autre côté, la direction scientifique de l’institut souhaite avant tout rassembler un grand nombre de données pour favoriser l’identification de méthodes ou pratiques économes standardisées, puis en favoriser la diffusion. Elle prend des distances avec la notion de système puisque sa priorité est de mettre à jour des méthodes dont l’efficacité puisse être estimée en dehors d’un contexte particulier.
      (...)
      Des représentants de ces deux approches cohabitent temporairement, mais les tensions deviennent telles que la direction scientifique de l’institut prend la décision à la fin de l’année 2010 d’écarter les défenseurs des approches systèmes, accusés de se montrer inflexibles.
      (...)
      Cette inflexion s’incarne particulièrement dans l’émergence d’un nouveau levier d’action pour le plan Ecophyto : la mise au point et la promotion de substituts aux pesticides.

      L’intenable promesse de la substitution

      Très rapidement, les résultats du plan Ecophyto apparaissent comme extrêmement décevants. Alors que c’est une réduction de moitié qui était ambitionnée, les indicateurs de consommation sont à la stagnation, voire à l’augmentation dès l’année 2010. Les pouvoirs publics cherchent alors de nouvelles directions pour le plan Ecophyto. C’est dans ce contexte que le ministère de l’Agriculture s’intéresse à une solution nouvelle pour le plan : le développement des solutions de biocontrôle.
      (...)
      Un rapport consacré à ces méthodes est commandé par François Fillon, alors Premier ministre, à un député de sa majorité. La publication de ce document, à la tonalité très optimiste, installe le développement de substituts aux pesticides comme une réponse aux difficultés du plan. Lors de l’arrivée au pouvoir de Stéphane Le Foll en 2012, l’enthousiasme autour de ces méthodes ne se dément pas, bien au contraire.
      (...)
      Le développement des méthodes de biocontrôle présente enfin l’avantage de s’opposer aux approches systémiques, régulièrement taxées d’irréalistes par les organisations professionnelles agricoles. Face à la perspective lointaine et ambitieuse d’une reconception des exploitations, la promesse de la mise à disposition de substituts directs aux pesticides permet aux services du ministère de se montrer volontaires et concrets. Les solutions de biocontrôle, initialement marginales dans le plan Ecophyto, deviennent un leitmotiv dans la communication gouvernementale et sont opposées aux critiques adressées à l’égard du plan.

      Malgré cet enthousiasme politique, la déferlante de solutions alternatives n’a pas lieu et la substitution en tant que registre d’action n’éclipse pas la nécessité d’une réflexion sur le fonctionnement des exploitations. Les promoteurs mêmes du biocontrôle ne présentent pas ces solutions comme de stricts substituts. Une société savante, l’Académie du biocontrôle, est créée par des acteurs gravitant autour de l’IBMA. Elle rassemble des experts de ces méthodes issus de différents secteurs et propose notamment des formations à l’usage des méthodes de biocontrôle. Ses formateurs insistent sur l’incapacité des méthodes de biocontrôle à être utilisés comme des pesticides de synthèse et raccrochent ces solutions à la nécessité d’une réflexion de fond autour de la protection des plantes.

      Conclusion

      (...)
      la promesse de substitution est porteuse de forts effets de cadrage. Si ce levier d’action est privilégié par les pouvoirs publics, c’est parce qu’il permet de délaisser ou retarder des transformations plus profondes à la fois des exploitations et du modèle de développement agricole. Il produit en ce sens un effet dépolitisant. Les promesses de substitution sont nombreuses dans le champ de l’écologie : développement des énergies renouvelables, remplacement des voitures à moteur thermique par des véhicules électriques, etc.
      (...)
      De nombreux travaux en sciences sociales s’intéressent aux rapports d’affinité qui peuvent exister entre certaines connaissances et l’exercice de l’action publique. Les récents travaux sur l’enthousiasme politique autour du nudge sont à cet égard significatifs (Bergeron et al., 2018). Ils montrent comment des savoirs et méthodes venus des neurosciences sont aisément mobilisés dans l’action publique, en ce qu’ils sont porteurs d’une vision individualisante de problèmes publics. Mobiliser ces connaissances et les incarner dans des instruments permet d’éviter de s’attaquer à la racine collective de problèmes aussi divers que la malnutrition ou le réchauffement climatique. Un phénomène similaire de sélection de savoirs a eu lieu dans le cadre du plan Ecophyto : les options de l’identification de méthodes standardisées, puis celle de la substitution ont été favorisées puisqu’elles permettaient d’éviter les réflexions organisationnelles et structurelles liées à la mobilisation de connaissances systémiques.

      #agriculture #pesticides #plan-Ecophyto

  • Neue Photographische Gesellschaft-Steglitz
    http://www.npg-steglitz.de/index.htm

    Das wohl bekannteste Steglitzer Aushängeschild der Zeit um 1900 war wohl die Neue Photographische Gesellschaft, die ihr großes Fabrikationsareal zwischen Siemens-, Birkbusch und Luisenstraße (seit 1931 Nicolaistraße) hatte. Der äußerst tatkräftige Ostpreuße, Arthur Schwarz, 1862 in Braunsberg/Ostpreußen geboren, gründete am 5. Juli 1894 in Schöneberg mit zehn Angestellten seinen ersten fotografischen Betrieb als GmbH mit einem Grundkapital von 75.000 Mark. Man beschäftigte sich mit der maschinellen Herstellung von Fotografien, gleichzeitig mit der Fabrikation fotografischer Papiere und Bedarfsartikel. Schon 1895 wuchs die Gesellschaft auf 35 Mitarbeiter an, so dass die gemieteten Räumlichkeiten in Schöneberg nicht mehr ausreichten und nach dem Kauf des Steglitzer Grundstückes 1896 schon im Frühjahr 1897 das neue Fabrikgebäude bezogen werden konnte. Zwei Jahre später fand die Umwandlung in eine Aktiengesellschaft statt, so dass der Aufschwung mit Tochterunternehmen in London, Paris, Rom und New York nicht mehr zu übersehen war. Zum zehnjährigen Bestehen verfügte man über 650 Angestellte, einige Jahre später waren es etwa 1.200.

    Für die Angestellten vorbildlich waren die verschiedenen Wohltätigkeitseinrichtungen der Neuen Photographischen Gesellschaft wie eine Fabrikkrankenkasse, die den Beschäftigten neben freier ärztlicher Behandlung und Arznei ein angemessenes Krankengeld gewährte. Weihnachten bekamen sämtliche Angestellte Geldgeschenke, im Jahre 1903 waren dies immerhin insgesamt 20.000 Mark. Wer länger als ein Jahr in der Fabrik arbeitete, erhielt Urlaub bei voller Lohnzahlung. Generaldirektor und Kommerzienrat Arthur Schwarz stiftete eine Bibliothek für die Fabrik mit über 1.600 Bänden, die den Angestellten kostenlos zur Verfügung standen. Darüber hinaus gab es eine freiwillige Fabrik-Feuerwehr, die im Jahre 1904 aus 37 Mann bestand. Etwas Besonderes war das Kasino, dessen Speisesaal 36m lang, 14m breit und 12m hoch war. Hier erhielten die Mitarbeiter Speisen und Getränke zum Selbstkostenpreis, dem weiblichen Personal wurde freier Mittagstisch gewährt. Das Kasino besaß einen Lesesaal, in der Saalmitte befand sich eine Bühne, die für Theateraufführungen vorgesehen war, hier gab es auch gesellige Veranstaltungen mit Vorträgen usw.

    Die NPG ist damals weit über die Berliner Grenzen zu einem Begriff geworden. Allein auf dem Gebiet der Post- und Stereoskopkartenherstellung wurde in großer Vielfältigkeit produziert. Bilder der Hohenzollernfamilie, bekannter Militärs, von Kriegsschiffen, Abbildungen von Skulpturen verschiedenster Bildhauer, Berliner Zoobilder, Glückwunschkarten, Landschafts- und Städteansichten und eine Menge so genannter Kitschkarten waren ein Teil des Repertoires, alles in bester Qualität, schwarzweiß und koloriert. Für die große Zahl von Kaiserbildern, die in Schulen, Kasernen und sonstigen öffentlichen Gebäuden hingen, bedankte sich Wilhelm II. bei der Neuen Photographischen Gesellschaft für die Ausführung in einem besonderen Schreiben.

    Diese Erfolge waren vor allem Arthur Schwarz zu verdanken, der sich auf unzähligen Reisen u. a. nach England, USA (60 Städte in 75 Tagen), Kanada, Mexiko, Russland, Griechenland, Italien und Frankreich vielfältige Erfahrungen und Kenntnisse erwarb und Kontakte schloss, die ihm für den Aufbau seiner Unternehmung, die er 1890 in London und 1892 in New York mit der Vertretung photografischer Spezialitäten begründete, in hohem Maße zugute kamen.

    Große Verdienste erwarb man sich in der NPG bei der Herstellung lichtempfindlichen, fotografischen Papiers, speziell Bromsilberpapiers, sowie der Verwendung desselben im Rotationsverfahren. Automatisch arbeitende Belichtungs- und Entwicklungsmaschinen beschleunigten das Verfahren und lösten die Fotoherstellung mit Hilfe von Glasplatten ab.

    Die „Kilometerphotographie“ machte es möglich, dass an einem Tag mehr als 40.000 Karten hergestellt werden konnten.

    Die Grundlagen der heutigen Farbfotografie wurden durch den Chemiker Dr. Rudolf Fischer und seinem Mitarbeiter Dr. Hans Sigrist in den Jahren 1910-1912 in den Laboratorien der NPG entwickelt.

    1912 zog sich Arthur Schwarz von seinen leitenden Stellen zurück, die Konkurrenz und die allgemeine wirtschaftliche Situation machte ihm und der Firma zu schaffen. Der 1. Weltkrieg ließ vor allem die internationalen Geschäftsbeziehungen schrumpfen, so dass die Nachfrage und damit die Fabrikation stark nachließ.

    Im Jahre1921 kam das Aus. Die NPG wurde von der Dresdener „Mimosa“ übernommen und als Tochter bis 1948 weitergeführt.

    Auf dem Gelände siedelte sich u. a. zwischen Oktober 1932 bis April 1933 das Dessauer Bauhaus unter Mies van der Rohe an.

    Wolfgang Holtz

    https://de.wikipedia.org/wiki/Neue_Photographische_Gesellschaft

    Die Neue Photographische Gesellschaft m.b.H. (NPG) war ein deutsches Unternehmen, das von 1894 bis 1948 bestand. Es entwickelte das NPG Pigmentverfahren, vereinfachte die Massenherstellung von Fotografien und gilt als der Erfinder der „Kilometer-Fotografie“. Dabei wurde statt einzelner Bögen das Fotopapier erstmals in „kilometerlangen“ Rollen eingesetzt. Ebenso war sie als Verlag aktiv.

    #Deutschland #Preußen #Steglitz #Siemensstraße #Birkbuschstraße #Nicolaistraße #Geschichte #Photographie #Arbeit #Technologie #Kaiserreich

  • Pour l’anarchisme - Que font les anarchistes ?
    https://www.partage-noir.fr/pour-l-anarchisme-que-font-les-anarchistes

    La première chose que font les anarchistes, c’est penser et parler. Peu de gens sont anarchistes de naissance, et c’est une expérience troublante de le devenir, qui implique un considérable bouleversement émotif et intellectuel. Un anarchiste conscient est toujours dans une situation difficile (à peu près, disons, comme un athée dans l’Europe médiévale) ; c’est difficile de franchir les barrières de la pensée et de persuader les gens que la nécessité du gouvernement (comme l’existence de Dieu) ne va pas de (...)
    #Nicolas_Walter #anarchie [Source : Bibliothèque Anarchiste] [Source : Fragments d’Histoire de la gauche (...)

    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/anv-n18-19.pdf

  • Pour l’anarchisme - Que veulent les anarchistes ?
    https://www.partage-noir.fr/pour-l-anarchisme-que-veulent-les-anarchistes


    ❝C’est difficile de dire ce que veulent les anarchistes, non seulement parce qu’ils sont si différents les uns des autres, mais parce qu’ils hésitent à faire des propositions détaillées pour un avenir dont ils ne peuvent ni ne veulent décider. Au fond, ils veulent une société sans gouvernement, et celle-ci variera évidemment d’une époque à l’autre et d’un lieu à l’autre. Le trait essentiel de la société que veulent les anarchistes est qu’elle sera ce que ses membres eux-mêmes voudront en faire. Néanmoins, il (...)
    #Nicolas_Walter #anarchisme

    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/anv-n18-19.pdf

  • Pour l’anarchisme - Les divers courants de l’anarchisme
    https://www.partage-noir.fr/pour-l-anarchisme-les-divers-courants-de-l-anarchisme


    ❝Les anarchistes sont célèbres pour leurs désaccords, et en l’absence de chefs et de fonctionnaires, de hiérarchies et d’orthodoxies, de punitions et de récompenses, de politiques et de programmes, il est normal que des gens dont le principe de base est le refus d’autorité tendent perpétuellement à, diverger d’opinion. Néanmoins, il y a plusieurs types bien établis d’anarchismes parmi lesquels la plupart des anarchistes ont choisi celui qui exprime le mieux leurs vues personnelles. L’anarchisme (...)
    #Anarchisme #Nicolas_Walter

    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/anv-n18-19.pdf

  • Pour l’anarchisme - Que croient les anarchistes
    https://www.partage-noir.fr/pour-l-anarchisme-que-croient-les-anarchistes

    ❝Les premiers que l’on surnomma anarchistes le furent par insulte au cours des révolutions anglaise et française des XVIIe et XVIIIe siècles, pour laisser entendre qu’ils voulaient l’anarchie, c’est-à-dire le chaos ou la confusion. Mais, depuis les années 1840, furent anarchistes ceux qui acceptèrent ce nom comme symbole pour montrer qu’ils voulaient l’anarchie, c’est-à-dire l’absence de gouvernement. Le mot grec anarkhia, comme le mot français anarchie, a les deux sens ; ceux qui ne sont pas anarchistes (...)
    #Nicolas_Walter #anarchie


    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/anv-n18-19.pdf

  • Pour l’anarchisme - Présentation
    https://www.partage-noir.fr/pour-l-anarchisme-presentation


    ❝Le mouvement anarchiste a aujourd’hui cent ans, si on le fait naître au moment où les bakouninistes entrèrent dans l’Association Internationale des Travailleurs ; depuis lors il s’est étendu à plusieurs pays du monde, restant un mouvement minoritaire et méconnu, mats vivace. Une certaine force se dégage de son histoire, mais en même temps de la faiblesse — en particulier dans le domaine de la chose écrite. La littérature anarchiste ancienne pèse de tout son poids sur le mouvement actuel, et nous avons de (...) Anarchisme et non-violence N°18-19 – Octobre 1969

    #Nicolas_Walter #anarchie

    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/anv-n18-19.pdf

  • #Qatar / France : 300 millions pour une guerre en Libye
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/qatar-france-300-millions-pour-une-guerre-en-libye-_Hkqcqd7Rn-ZxECet0IUzA

    Dans un peu moins de deux semaines, le 20 novembre, la coupe du monde de football démarre avec le match d’ouverture au stade Al Bayt d’Al-Knor. Blast poursuit son voyage dans les coulisses de la diplomatie secrète de l’émirat. Cette semaine, nous vous…

    #BHL #Nicolas_Sarkozy
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-qatar-france-300-millions-pour-une-guerre-en-liby

  • E Macron , le tremplin pour l’extrême droite
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/e-macron-le-tremplin-pour-lextreme-droite-3SOFcbM1Q4W6BJCQjnuzuQ

    « Dimanche dernier, Le Journal du dimanche, propriété du groupe Lagardère, a publié un long entretien avec #Nicolas_Sarkozy, administrateur du groupe Lagardère, qui rappelle au passage qu’il a beaucoup de sympathie pour #Emmanuel_Macron. Qu’on se rassure :…

    #Gérald_Darmanin
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-e-macron-le-tremplin-pour-lextreme-droite-3SOFcbM

  • Qu’est-ce que l’anarchisme ? - PARTAGE NOIR
    https://www.partage-noir.fr/qu-est-ce-que-l-anarchisme

    L’anarchisme est l’idéologie des anarchistes ; les anarchistes sont les partisans de l’anar­chie ; l’anarchie (du grec « anarkhia ») est l’absence de gouvernement, l’absence d’autorité instituée, l’absence de chefs permanents dans un groupe humain.

    On peut interpréter l’anarchie de façon négative ou positive. Elle est souvent condamnée sous le prétexte qu’elle mène au chaos, que la liberté dépend de l’autorité, que la société dépend de l’État, que l’ordre dépend d’autres ordres, les règles de gouvernants et la loi de législateurs. Elle peut, tout au contraire, être positivement attendue car elle permettrait à la société de se libérer du joug de l’État et à l’humanité de l’autorité tout en encourageant la spontanéité, l’autogestion, l’entraide et la liberté authentique. L’anarchisme est la théorie politique de ce que nous appellerons l’anarchie positive.

    #anarchie #nicolas_walter

  • #Nicolas_Walter_n'est plus
    https://www.partage-noir.fr/nicolas-walter-n-est-plus

    Beaucoup de lecteurs du Monde libertaire connaissent Nicolas Walter par sa plaquette Pour l’anarchisme (About Anarchism). Cette introduction à l’anarchisme connut un grand succès dès sa parution en anglais en 1969 et fut traduite non seulement en français, mais aussi dans une bonne vingtaine de langues. (Article paru dans Le Monde libertaire n°1201 du 13 au 19 avril 2000) [Partages noirs]
    #Nicolas_Walter
    / Nicolas Walter , [Source : Archives du Monde libertaire]

    #[Partages_noirs] #[Source :_Archives_du_Monde_libertaire]
    https://fr.theanarchistlibrary.org/library/nicolas-walter-pour-l-anarchisme

  • #MeToo politique : mettons fin à l’impunité et à l’omerta
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/metoo-politique-mettons-fin-a-limpunite-et-a-lomerta-erLlupyLQsmiLatmE37q

    Il aura fallu 4 ans, 4 ans après le début du mouvement #Metoo en octobre 2017, pour que le milieu politique soit touché. Une preuve supplémentaire, s’il en fallait encore, de l’omerta immense qui y règne. Si le mouvement #Metoo politique commence en…

    #Damien_Abad #Darmanin #Nicolas_Hulot
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-metoo-politique-mettons-fin-a-limpunite-et-a-lome

  • #MeToo politique : mettons fin à l’impunité et à l’omerta
    https://www.blast-info.fr/articles/2022/metoo-politique-mettons-fin-a-limpunite-et-a-lomerta-erLlupyLQsmiLatmE37q

    Il aura fallu 4 ans, 4 ans après le début du mouvement #Metoo en octobre 2017, pour que le milieu politique soit touché. Une preuve supplémentaire, s’il en fallait encore, de l’omerta immense qui y règne. Si le mouvement #Metoo politique commence en…

    #Damien_Abad #Darmanin #Nicolas_Hulot
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-metoo-politique-mettons-fin-a-limpunite-et-a-lome

  • Nicolas Bonanni, Que défaire ?, 2022 – Et vous n’avez encore rien vu…
    https://sniadecki.wordpress.com/2022/05/29/bonanni-que-defaire

    Nicolas Bonanni a publié un petit ouvrage intitulé Que défaire ? pour retrouver des perspectives révolutionnaires aux éditions Le Monde à l’envers en mars 2022 (100 pages, 6 euros). Voici quelques extraits de l’introduction.

    http://www.lemondealenvers.lautre.net/livres/que_defaire.html

    Les luttes contemporaines sont souvent cantonnées à des résistances contre le libéralisme triomphant et l’extrême-droite carnassière, avec une efficacité pour le moins relative.
    Pour contribuer à sortir de cette position défensive, pour retrouver des perspectives, ce petit livre s’attaque à deux totems de la gauche : la fascination pour la technologie et la centralité de l’État et des élections.
    Appuyé tant sur des exemples actuels que sur l’histoire et les théories du mouvement révolutionnaire, il invite les anticapitalistes à questionner une partie de leur héritage, et à cette fin convoque tour à tour les pensées de Günther Anders, Simone Weil, Cornelius Castoriadis, Ivan Illich, Gustav Landauer, John Holloway, Matthew B. Crawford...

    L’auteur
    Nicolas Bonanni a publié Des moutons et des hommes. Contre l’identification électronique des animaux et des humains (2007), L’amour à trois. Alain Soral, Eric Zemmour, Alain de Benoist (Le monde à l’envers, 2016), Liberté des libéraux et liberté des anarchistes (2020) et Grenoble Calling. Une histoire orale du punk dans une ville de province (avec Margaux Capelier, Le monde à l’envers, 2021). Il collabore occasionnellement à la presse alternative.

    Aussi recensé
    https://bibliothequefahrenheit.blogspot.com/2022/05/que-defaire.html

    #gauche #politique #progressisme #défaire #émancipation #Nicolas_Bonanni

  • Démission de Leggeri à la tête de Frontex

    BREAKING OVERNIGHT: Frontex Director Fabrice Leggeri is quitting, POLITICO hears. The head of the EU border agency has tendered his resignation, several people in the know told us, with further details expected today. Frontex did not respond to a request for comment. Leggeri has led the agency, which has come under scrutiny for its alleged role in so-called pushbacks of migrants, since 2015. The development comes as the EU’s anti-fraud watchdog, #OLAF, is poised to present the full findings of its long-running probe into Frontex.

    https://www.politico.eu/newsletter/brussels-playbook/trouble-at-frontex-ruble-roulette-jeppes-replacement
    #Leggeri #Fabrice_Leggeri #Frontex #démission #frontières #migrations #réfugiés

    • Démission du Directeur de Frontex : une occasion à prendre pour une réorientation radicale

      Suite aux nombreuses enquêtes et rapports émanant de la société civile et d’institutions officielles européennes, tel le tout récent et explosif rapport de l’Office européen de la lutte anti-fraude (OLAF), qui mettent en cause l’agence Frontex pour ses agissements complices en matière de refoulements et de violences en vers des personnes exilées ainsi que pour sa mauvaise gestion interne (pour plus de détails, lire la récente Note politique #28 du CNCD-11.11.11 « Frontex : droits humains en danger »), le directeur de Frontex, s’est vu dans l’obligation de donner sa démission le 28 avril 2022. Cette démission a été acceptée ce 29 avril par le CA de l’agence.


      https://twitter.com/g_christides/status/1519967913066782720

      Ce 4 mai, tirant les leçons de cet épisode, le CNCD-11.11.11 encourage les membres du Parlement européen à refuser à Frontex la décharge de ses comptes pour l’exercice 2020 lors du vote en séance plénière. En effet, bloquer la décharge budgétaire est un bon levier pour exiger la réforme en profondeur de l’orientation et du fonctionnement de Frontex pour plus de transparence, de contrôle démocratique et de responsabilisation en cas de non-respect des droits humains. Les faits ayant amené à la démission du directeur doivent maintenant être analysés posément et des engagements formels pris pour garantir le respect des lois et des traités internationaux. C’est pourquoi il importe de reporter la décharge jusqu’à la démonstration de la mise en œuvre effective de mesures correctrices. Plus globalement, ce vote est l’occasion d’un signal fort pour exiger une réorientation radicale du pacte européen pour l’asile et la migration vers le respect des droits humains, la mobilité et la solidarité (pour plus de détails, lire notre récente étude « Migration et asile : analyse du pacte européen » : https://www.cncd.be/point-sud-22-migration-asile-pacte-europeen).

      https://www.cncd.be/Demission-du-Directeur-de-Frontex

    • Frontex | Faire sauter la tête ne suffira pas

      L’annonce de la démission du directeur de Frontex, Fabrizio Leggeri, vendredi 29 avril, ne représente que la première fissure dans l’édifice opaque qui s’est constitué depuis la création de l’Agence européenne des garde-frontières. Mais suffira-t-elle ? Semaine après semaine, les révélations se succèdent. D’autres membres du Conseil d’administration seraient impliqués dans la falsification de preuves de refoulements illégaux de personnes exilées. Des refoulements qui auraient conduit à la noyade de personnes migrantes, documentée par une équipe de journalistes. [1]

      Il faut rappeler que la Suisse a deux représentant·es au sein de ce conseil d’administration. L’un ou l’autre étaient-ils impliqués dans les faits reprochés à Leggeri ? Qu’en savaient-ils et qu’ont-ils communiqué au Conseil fédéral ? Alors que la Suisse est en pleine campagne de votation sur un arrêté fédéral visant à octroyer davantage de moyens financiers et de personnel à cette agence, les conseillers fédéraux concerné·es Karin Keller-Sutter et Ueli Maurer devraient répondre à cette question avant le jour du scrutin. C’est ce que demande depuis fin mars 2022 une Lettre ouverte publiée par Frontex-leaks.ch et relayée sur le site asile.ch. Une exigence de transparence légitime dans le cadre du débat démocratique.

      Au lieu de cela, c’est une crispation voire une censure que cherchent à imposer les autorités fédérales aux journalistes qui tentent de faire leur travail d’information. La RTS s’en est fait écho le 28 avril [2], évoquant même la possible intervention de Frontex dans cette interférence, alors que Le Temps dénonçait 4 jours plus tôt une censure de la part de l’Administration fédérale des douanes. Son vice-directeur Marco Benz est justement membre du conseil d’administration de Frontex.

      L’information est un outil essentiel de notre démocratie. Ce n’est que grâce au travail acharné de journalistes et d’ONG que les actes de Frontex commencent à voir le jour. L’agence a tenté par tous les moyens -y compris par des poursuites financières- d’empêcher leurs investigations. Celles-ci ont contribué au lancement de certaines enquêtes par des organes européens, notamment celle de l’Organe de lutte antifraude de l’Union européenne, dont le rapport a conduit à la démission de Leggeri. Pas plus tard que le 28 avril, l’enquête conjuguée du Monde, SRF, Republik, en collaboration avec Lighthouse report, a montré combien les refoulements illégaux pratiqués par l’agence sont « normalisés ». La question de savoir si les pushback font partie de l’ADN de Frontex reste entière.

      La justice internationale est également en train d’être activée par des ONG. Une autre façon de demander des comptes sur les pratiques de l’Agence et des États européens à leurs frontières extérieures. La dernière en date a été déposée par Sea-Watch, suite au refoulement d’un bateau vers la Libye, pays où, selon l’ONU, « ils seront placés dans des centres de détention inhumains et seront exposés à la famine, aux abus sexuels et à la torture. » [3]

      Est-ce cela que nous voulons ? Refuser aux personnes fuyant les guerres et la persécution le droit de déposer une demande de protection internationale ? Veut-on tripler les moyens financiers d’une agence qui renvoie vers la mort et la torture plusieurs milliers de personnes, ceci sans demander de comptes ?

      Refuser le 15 mai l’arrêté fédéral proposé par le Conseil fédéral et le Parlement ne met de loin pas en danger notre démocratie. Celle-ci a besoin de contre-pouvoirs forts.

      Un refus ne mettra pas davantage en danger notre participation à Schengen. Cet argument est de la poudre aux yeux. [4] Un rejet permettra de relégiférer, à la lumière des éléments qui se font jour aujourd’hui. D’ajouter des mesures d’accompagnement humanitaires qui avaient initialement été proposées lors des travaux parlementaires, pour assurer la sécurité des personnes qui sont elles-mêmes en danger et doivent être protégées.

      Le 15 mai, nous avons l’occasion de refuser d’adouber des pratiques antidémocratiques et illégales qui foulent au pied les valeurs que l’Europe essaie aujourd’hui de défendre face à la Russie de Poutine. Et de renforcer les voix européennes qui demandent un monitoring véritablement indépendant des pratiques de Frontex.

      https://asile.ch/2022/04/29/frontex-faire-sauter-la-tete-ne-suffira-pas

    • Le patron de Frontex Fabrice Leggeri démissionne sur fond d’accusations

      Le patron de Frontex, le Français Fabrice Leggeri, a présenté jeudi sa démission. Son départ fait suite à une enquête sur sa gestion de l’agence européenne de garde-côtes et de gardes-frontières.

      Directeur exécutif de Frontex depuis 2015, Fabrice Leggeri a été visé par un rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf) qui, selon Le Point, lui reproche en substance de « ne pas avoir respecté les procédures, s’être démontré déloyal vis-à-vis de l’Union européenne et un mauvais management personnel ».

      Cette enquête intervient sur fond d’accusations régulières, notamment de la part d’ONG ces dernières années, de pratiques de refoulements illégaux de migrants (dits « pushbacks ») et de complaisance envers les autorités grecques, par exemple, sur des renvois brutaux vers la Turquie.

      Mercredi encore, une enquête publiée par le quotidien Le Monde et Lighthouse Reports a démontré qu’entre mars 2020 et septembre 2021, Frontex a répertorié des renvois illégaux de migrants, parvenus dans les eaux grecques, comme de simples « opérations de prévention au départ, menées dans les eaux turques ».

      Enquête internationale

      En sept ans à la tête de Frontex, qui doit surveiller les frontières extérieures de l’UE, Fabrice Leggeri a accompagné le renforcement de l’agence qui a été considérablement musclée et dont les effectifs doivent atteindre 10’000 garde-côtes et gardes-frontières d’ici 2027 (voir encadré).

      Dans le courrier où il annonce remettre son mandat au comité de gestion de l’agence, Fabrice Leggeri affirme que depuis son élection et sa reconduction en 2019, le mandat de Frontex a été modifié « tacitement mais effectivement », ce qu’a réfuté la Commission européenne.

      La gauche du Parlement européen, en particulier, réclamait la démission de Fabrice Leggeri depuis l’automne 2020, à la suite d’une enquête journalistique internationale qui impliquait Frontex dans plusieurs refoulements en mer Egée.

      https://www.rts.ch/info/monde/13056010-le-patron-de-frontex-fabrice-leggeri-demissionne-sur-fond-daccusations.

    • Commission statement on the resignation of Fabrice Leggeri

      The Commission takes note of the resignation with immediate effect of the Executive Director of the European Border and Coastguard Agency (Frontex), Fabrice Leggeri.

      As the most senior Deputy Executive Director of Frontex, Aija Kalnaja will deputise and assume the lead of the Agency with immediate effect. To ensure full continuity of the agency, the Commission will proceed quickly with recruitment and appointment of a new Executive Director.

      It is a priority for the Commission to have in place a strong, effective, and well-functioning European Border and Coast Guard.

      Frontex fulfils a critically important task to support Member States manage common European Union external borders, and to uphold fundamental rights in doing so. For that purpose, Frontex must be a robust and well-functioning agency. The Commission will continue to fully support Frontex in this mission.

      Over the past year, the Commission has stepped up significantly its support and advice to Frontex to ensure the full implementation of its mandate. To this end, the Commission initiated several extraordinary Management Board meetings dedicated to governance issues and fundamental rights. The Commission is committed to the continuous improvement of the agency.

      https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_22_2751

    • Refoulement de migrants aux frontières : Fabrice Leggeri, directeur de Frontex, démissionne

      Les accusations de renvois illégaux de migrants aux frontières de l’Union européenne se succèdent depuis plusieurs années à l’égard de l’agence européenne de gardes-côtes. La teneur d’une enquête de l’Office européen de lutte anti-fraude, pas encore rendue publique, a poussé Fabrice Leggeri, directeur controversé de l’institution, à démissionner.

      Fabrice Leggeri, directeur exécutif de l’agence de gardes-frontières et de gardes-côtes Frontex, a finalement jeté l’éponge. La pression qui s’exerce sur ses épaules n’a cessé de croître à mesure que les allégations de refoulements de demandeurs d’asile, couverts ou effectués par Frontex, se sont multipliées ces dernières années.

      Dernier scandale en date, révélé le 27 avril par Lighthouse Report, Der Spiegel et Le Monde : Frontex aurait volontairement « maquillé » des renvois illégaux de migrants vers la Turquie, à partir de la Grèce, les privant ainsi de leur droit à demander l’asile.

      Les nombreux rapports compilant les violations de droits fondamentaux de migrants aux frontières de l’Europe ont toujours été reçus par le silence ou les dénégations de Fabrice Leggeri, dont les arrières ont été protégés au Conseil d’administration de Frontex, composé de représentants des États membres.

      Les manquements organisationnels de Frontex – l’inefficacité des mécanismes de plaintes, de rapport d’incidents et de contrôle interne des violations des droits fondamentaux – sont pourtant dans le collimateur de nombreuses institutions. La médiatrice européenne et le Parlement ont publié des rapports pointant des #dysfonctionnements_majeurs. Même la Commission européenne s’y est mise. Le 18 décembre 2020, Monique Pariat, directrice générale chargée des migrations et des affaires intérieures pointait, dans une lettre envoyée à Fabrice Leggeri, la manière « trompeuse » dont le directeur de Frontex présentait les faits au Parlement européen.

      L’enquête de l’Olaf et la « gravité des faits »

      C’est surtout l’enquête menée par l’Office européen de lutte anti-fraude (Olaf) qui a fait vaciller Fabrice Leggeri et l’a poussé à la démission.

      Cela fait plus d’un an que l’Olaf scrute les agissements de la direction de Frontex. Deux enquêtes sont menées en parallèle et touchent trois personnalités de haut rang, dont le directeur exécutif. La première enquête, clôturée le 15 février dernier, porte sur les allégations de refoulement aux frontières extérieures de l’Union européenne et de violations des droits fondamentaux, notamment à la frontière gréco-turque.

      Frontex a-t-elle couvert des actions illégales de la part des gardes-côtes grecs ? Dans quelle mesure Frontex est-elle impliquée dans ces refoulements ? Comment l’agence et ses dirigeants ont-ils réagi face aux incidents qui leur étaient rapportés ? La seconde enquête, dont les conclusions sont attendues avant l’été, devrait faire la lumière sur des cas supposés de #harcèlement de travailleurs de l’agence.

      Ces enquêtes sont encore confidentielles. Mais quelques députés de la commission du contrôle budgétaire du Parlement européen ont pu prendre connaissance de leurs grandes lignes, lors d’une audition à huis clos du directeur général de l’Olaf, en mars dernier. Ils ont été convaincus, le 31 mars, « au vu de la gravité des faits », de suspendre la décharge budgétaire de Frontex. « Entre le rapport de l’Olaf et les dernières allégations de refoulement, la position de Fabrice Leggeri devenait intenable. Il était jusqu’à présent protégé par des États membres, dont la France, mais l’image de Frontex devenait trop abîmée », commente Tineke Strik, eurodéputée écologiste néerlandaise membre du groupe de contrôle de Frontex au Parlement européen. Pour la députée, le départ de Fabrice Leggeri est « un premier pas. L’organisation, la structure, la culture de Frontex devront changer ». Dans sa lettre de démission, Fabrice Leggeri, amer, regrettait que le mandat de Frontex ait « silencieusement, mais effectivement changé ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/290422/refoulement-de-migrants-aux-frontieres-fabrice-leggeri-directeur-de-fronte

    • Leggeri est parti, mais c’est Frontex qu’il faut renvoyer !

      Le directeur exécutif de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes vient de démissionner suite à des accusations de refoulements illégaux. Il est temps d’en finir avec l’approche restrictive et militarisée de l’UE envers les migrants.

      Fabrice Leggeri vient de présenter sa démission en tant que directeur exécutif de Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes. Cette démission survient après des mois de révélations successives concernant l’implication de Frontex dans les violations des droits humains, en particulier dans le cadre de ses opérations aux frontières de l’Europe de l’Est et en Grèce. Ayant focalisé mes recherches sur la Méditerranée centrale pendant plus de dix ans, ces révélations ne me surprennent absolument pas. Dans le cadre d’une des enquêtes que j’ai menées au sein du projet Forensic Oceanography (Death by Rescue, 2016), j’ai démontré qu’au cours de l’été 2014 Frontex a mené une véritable campagne pour que l’opération militaire et humanitaire italienne Mare Nostrum soit stoppée. Alors que l’opération déployée en 2013-2014 avait permis de secourir de manière proactive un grand nombre de migrant·e·s fuyant la Libye dans des conditions dramatiques, Frontex l’a accusée de constituer un « appel d’air » menant à plus de traversées.

      Dans le but de dissuader les migrant·e·s de rejoindre le continent européen, l’agence a mis tout en œuvre pour que soit mis fin à l’opération Mare Nostrum et que celle-ci soit remplacée par une opération de Frontex, Triton, bien plus éloignée des côtes libyennes, et dont l’objectif était le contrôle des frontières et non le secours en mer. Ce changement opérationnel a été mis en place malgré l’unanimité des acteurs défendant les droits des migrant·e·s, et même des évaluations internes à Frontex qui prévoyaient que la fin de Mare Nostrum ne mènerait pas à moins de traversées mais à plus de morts en mer.

      C’est bien cette réalité qui s’est tragiquement matérialisée, notamment avec le naufrage du 18 avril 2015, le plus meurtrier de l’histoire récente de la Méditerranée avec plus de 950 morts. A la suite de cette catastrophe, le président de la Commission européenne, Jean-Claude Juncker, a admis que « cela a été une sérieuse erreur que de mettre fin à Mare Nostrum. Cela a coûté des vies » (1). On aurait pu s’attendre à ce qu’à la suite de cette reconnaissance, Frontex soit sanctionnée pour son rôle dans ce changement opérationnel meurtrier. Il n’en a rien été : l’opération de Frontex fut renforcée et son budget augmenté. Et le vide de secours mortel laissé par la fin de Mare Nostrum n’a jamais été comblé.

      Du dédain à l’#impunité

      Tout cela peut sembler lointain. Mais aujourd’hui, des avions et drones de Frontex informent les garde-côtes libyens de la présence de migrant·e·s pour qu’ils et elles soient intercepté·e·s et ramené·e·s en Libye, et ce malgré tout ce que nous savons des conditions inhumaines qui leur sont réservées. Pourtant, cet épisode plus ancien mérite d’être rappelé car il démontre clairement le rôle de Frontex dans la construction des migrant·e·s comme une menace, la mise en place d’opérations de contrôle des frontières toujours plus coûteuses et militarisées, le dédain pour les vies et des droits des migrant·e·s qui anime l’agence, et l’impunité qui a été organisée autour de ses activités. Malgré la pression publique et politique dont Frontex fait aujourd’hui l’objet, cet état de fait n’est pas fondamentalement remis en cause, et le départ de Fabrice Leggeri ne changera pas significativement la donne.

      Mais il y a plus. L’Union européenne applique depuis deux mois une politique d’ouverture sélective face aux migrant·e·s fuyant l’Ukraine. Pour un groupe de personnes (trop) limité, un changement de paradigme a été opéré : celui de permettre la mobilité des personnes en quête de refuge et de reconnaître leurs droits plutôt que de chercher à les bloquer à tout prix. Cette brèche ouverte rend aujourd’hui évident pour le plus grand nombre ce qui l’a été depuis longtemps pour nombre de chercheurs, chercheuses, acteurs et actrices de la société civile : l’approche restrictive et militarisée de l’UE n’est pas une fatalité, une politique plus ouverte et respectueuse des droits est possible, et celle-ci rendrait des acteurs comme Frontex superflus.

      Le 15 mai, les citoyen·ne·s suisses se prononceront concernant le financement de Frontex. Ce référendum donne une opportunité à la population suisse de cesser d’être complice d’une agence dont les activités de plus en plus coûteuses n’ont jamais mis fin à la « menace migratoire » que Frontex a contribué à construire, et qui se soldent par la violation des droits des migrant·e·s et des milliers de morts en toute impunité. Un « non » des Suisse·sse·s au financement de Frontex pourrait avoir une résonance européenne et contribuer non seulement à une remise en cause de l’agence mais à une réorientation fondamentale des politiques migratoires européennes.

      (1) European Commission, « Speech by President Jean-Claude Juncker at the debate in the European Parliament on the conclusions of the Special European Council on 23 April : Tackling the migration crisis », 29 avril 2015, http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-15-4896_en.htm (dernier accès le 12 April 2016).

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/leggeri-est-parti-mais-cest-frontex-quil-faut-renvoyer-20220503_P4AJ6XWWU

    • Frontex’s evolution from the undisputable to the untenable EU border agency

      Fabrice Leggeri, the Executive Director of the European Union border agency “Frontex”, resigned on 29th April 2022 following the release of the initial findings of an anti-fraud investigation. Last February the EU anti-fraud watchdog “OLAF” closed a year-long probe into Leggeri’s management over allegations of harassment, misconduct and migrant pushbacks. The investigation reveals how the agency’s own reporting system is used to cover-up pushbacks in the Aegean and its direct involvement. The resignations came after constant scrutiny by NGOs, journalists and the European Parliament in 2020 and 2021, claiming that the massive expansion of the EU border agency had not been matched by a corresponding increase in transparency and accountability. At the end of 2019, Leggeri, a 51-year-old French official who hails from the Alsace region, declared that his organization would not face the same troubles as the European Asylum Support Office (EASO). In June 2018, EASO’s executive director had resigned after an investigation by the same OLAF over alleged misconduct in procurement procedures, irregularities in management of human resources and possible breaches of data protection. 17 years after its foundation, Frontex faced the same process. How did it come to this?

      Frontex and the accountability problem

      The European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the European Union (from the french Frontières extérieures, Frontex) was established by Council Regulation (EC) 2007/2004 in 2004, expanded with Regulation (EU) No 1168/2011. In September 2016, the founding regulation was amended and expanded by Regulation 2016/1624/EU creating the ‘European Border and Coast Guard Agency’. Less than two years after, the fourth revision of Frontex regulation was launched, and the new Regulation 2019/1896 entered into force on 4 December 2019. The new Frontex mandate stipulated that the number of EU border guards should double from 1,500 to 3,000 following an evaluation in 2024. Together with the forces of the Member States, Frontex is to reach its full strength of 10,000 border guards by 2027 (Bossong 2019). At the same time, Frontex has experienced a particularly significant growth in its budget, which has risen from merely 6.2 million euros (2005) to 395.6 million euros (2020) (Loschi, Slominski 2022).

      The Regulation 2019/1896 and all the narratives that led to its approval granted Frontex the power of resorting to crisis and securitisation narrative to justify the lack of transparency in its work. Since 2015, crises and security rationales have been often exploited by Frontex Executive Director to hamper access to documents, personnel and premises. Often, addressing requests of access by members of the European Parliament during the hearings, Frontex avoided commitments and cooperation, or, if put under pressure, it released documents that were extensively redacted on the ground of exceptions permitted on the basis of public security concerns.

      While according to Regulation 2019/1896 Frontex would be subjected to more oversight and legal obligations to uphold fundamental rights, holding Frontex accountable, in particular on grounds of fundamental rights, is the actual issue at stake. While European Member States can be held accountable before their own national courts and before international courts, in particular the European Court of Human Rights (ECHR), this does not apply with Frontex. As an EU body, neither of these options is viable. It can be brought before the Court of Justice of the European Union (CJEU) to account for the conformity of its conduct with EU law (Fink 2020). The nature of Frontex’s activities, however, poses a particular challenge. The operational support in border management provided by the Agency occurs in the form of “factual” conduct, coordination, and under formal request by Member States, which are the first responsible and does not entail the adoption of legally binding texts. In other terms, legal responsibility is often shared between several member states as well as Frontex, which makes it difficult for individuals to lodge a complaint before a court. Hence, until 2021, cases that have been handled by the Court of Justice of the EU do not deal with Frontex operations but with refusals of access to documents or procurement actions and public services. Academics, in particular legal scholars, as well as members of the European parliament have advocated for the establishment of stronger accountability mechanisms, for example specific mechanism that allows individuals to hold Frontex to account (Fink 2020; Gkliati 2021).

      Frontex: from undisputable to untenable border agency

      Frontex’s expansion of financial and operational resources over the years and especially the increasing operational profile introduced with Regulations 2016/1624 and 2019/1896 set the clock in motion for a long tug of war between Frontex on one side and European parliament, NGOs, and watchdogs on the other side, leading to Leggeri’s resignation. Especially after the 2015 so-called migration crisis, the operational profile of the agency has been under strict scrutiny by humanitarian organizations and in particular from members of the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE).

      In 2015, against increasing migrations flows at the EU external borders and the reinstitution of border checks by member states throughout 2015 (Guild et alii), Frontex became the main instrument of the European Commission to avoid the collapse of the entire Schengen acquis. Frontex missions already deployed in Italy and Greece were expanded in both mandates and resources. As a leading agency of hotspots operations established with the European agenda in migration in 2015, Frontex monitored that frontline member states authorities were adequately implementing EURODAC regulation and fingerprinting third-country nationals, to ensure compliance with the Dublin regime and avoid uncontrolled secondary movements (Loschi, Slominski 2022). In this frame, the agency served not only as an operational device but also as the legal instrument through which introducing sensitive reform in national administrative and police procedures at the borders. The EU Commission included the legal definition of hotspots in Frontex Regulation 2016/1624, an act that allowed the European Commission to avoid parliamentary scrutiny on the establishment of hotspot operations. However, this strict cooperation and indirect protection from Commission to the agency had an expiration date.

      Indeed, Leggeri’s resignation comes after a series of important processes toward Frontex accountability. Especially after Regulation 2019/1896, Frontex has been under intense and constant scrutiny. Back in 2016, several human rights groups as well as the internal body of Frontex the Consultative Forum for human rights, flagged the risks and unclear support by Frontex at the Hungarian Serbian border. Hungary passed new border control measures in 2016 which, amongst others, obliged officers to return migrants apprehended within 8 km of the border back to the fence with Serbia. The new restrictive border measures along with Hungarian asylum laws passed on 2015 deterring access to asylum, raised several concerns with regard to the compatibility of Frontex operations with international and European law on fundamental rights. Frontex, despite increasing requests to revise and suspend activities to avoid complicity, decided to continue with operational support. It suspended its activities only in 2021, in the context of strong criticism emerging against the agency. Moreover, the first lawsuit against Frontex brought in 2018 by two activists to the Court of Justice of the EU did not deal with Frontex operations but with refusals of access to documents related to Search and Rescue operations in the Mediterranean, and was not successful (Case T-31/88 Izuzquiza and Semsrott v. Frontex). Frontex indeed claimed that “disclosure of details related to technical equipment deployed in the current and ongoing operations would undermine public security”.

      However, since 2020, a number of investigations and accountability actions had created the background for OLAF probe and Leggeri’s quitting. Here follows a list of most the relevant steps of this process.

      In March 2020, attention has particularly been focused on the modus operandi of the Greek authorities. According to reports related to Greece, pushbacks, sometimes undertaken by unidentified forces wearing uniforms and masks and carrying weapons, have expanded to migrants after arrival on the islands or the mainland. However, direct participation by Frontex in these alleged actions could not be proven. In late 2020, a joint investigation by Bellingcat, Lighthouse Reports, Der Spiegel, ARD and TV Asahi (also known as the Bellingcat report) stated that Frontex planes were near the maritime Greek-Turkish border where alleged pushback operations were ongoing. The reporters claimed to have found evidence that Frontex had knowledge of the pushbacks, did nothing to ensure compliance with legal obligations, and in some cases even cooperated with the authorities carrying out the illegal pushbacks and collective expulsions.

      In December 2020, the watchdog Border Violence Monitoring Network (BVMN) compiled a 1,500-page “black book” documenting hundreds of illegal pushbacks by authorities on Europe’s external borders. The same month, the Court of Justice of the European Union ruled that Hungary’s legislation on the rules and practice in the transit zones situated at the Serbian-Hungarian border was contrary to EU law. And that the procedure for granting international protection in so far as third-country nationals […] were in practice confronted with the virtual impossibility of making their application” (Case C-808/18, Commission v Hungary).

      Against this context, in late 2020 the Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE) decided to investigate the allegations and in January 2021 established the Frontex Scrutiny Working Group (FSWG) to monitor all aspects of the functioning of the agency, including compliance with fundamental rights and accountability towards Parliament. In its first hearing on 4 March, the Working Group questioned Commissioner for Home Affairs Johansson and Leggeri about the implementation of the fundamental rights provisions included in the Regulation 2019/1896 (among which the obligations to appoint fundamental rights monitors); the investigation related to the agency’s activities in the Aegean Sea; the interpretation of applicable rules for the surveillance of the external sea borders and inquired about the political scrutiny role of the European Commission over the agency. According to the Working Group, Commissioner Johansson appeared eager to listen to the scrutiny activity and criticized the ‘reluctance of compliance’ with the fundamental rights mandate from Leggeri. A preliminary report flagged out that five push-back incidents have not been clarified due to unclear data provided by Frontex, and stressed the general unsatisfactory attitude and documents provided by the Agency. On Wednesday 28 April 2021, the European Parliament decided to postpone the discharge to the 2019 budget of Frontex, as long as the OLAF investigation and the parliamentary inquiry were still ongoing.

      Meanwhile, other investigations were pending or concluded. In April 2021, der Spiegel claimed that Frontex was coordinating with the Libyan Coast Guard to engage in illegal pullbacks. Albeit ED Leggeri claimed during EP hearings Frontex does not work with the Libyan Coast Guard and only informs sea rescue control centres about sea rescue cases, a joint investigation by Lighthouse-Report, Der Spiegel, Libération, and ARD claimed the contrary. Drawing on a variety of data, including available sources from flight and vessel trackers, data from international and NGOs, eyewitness accounts and testimonies from survivors, the reporting parties concluded that Frontex plays a crucial role in the interceptions and return of people fleeing Libya by the Libyan coastguard. The report identified a number of cases in which Frontex planes were present in the vicinity, and likely aware, of boats in distress that were later incepted by Libyan patrol boats, despite data showing that commercial or NGO vessels were present in the area.

      Establishment of first accountability procedures against Frontex

      Under an administrative accountability action, in November 2020, the European Ombudsman started an own-initiative inquiry on the functioning of the complaint mechanism, which was released on 15 June 2021 and which recommended the creation of an independent mechanism for handling complaints about Frontex operations, while the system established with Regulation (EU) 2016/1624 is an internal mechanism (European Ombudsman, Case OI/5/2020/MHZ). On 7 June 2021, the European Court of Auditors, released its report on the limited effectiveness of Frontex’s support to external border management.

      The agency reacted by trying to dissimulate cooperation. To address investigations by journalists regarding the alleged involvement of Frontex with pushbacks in the Eastern Mediterranean, in November 2020, Frontex Management Board established a Working Group on Fundamental Rights and Legal Operational Aspects of Operations (WG FRaLO). In its final report of 1 March 2021, the Management Board concluded that out of the 13 incidents put forward by the Bellingcat report, eight cases had not caused a violation of the Frontex Regulation, and five examined incidents were not yet, or could not yet be clarified. At its extraordinary meeting in May 2021, the Management Board concluded that “the strong belief that the presented facts support an allegation of possible violation of fundamental rights or international protection obligations such as the principle of non-refoulement, and that it cannot be excluded that the incident has characteristics of a case of unprocessed return and violation of the principle of non-refoulement”.

      At the level of legal accountability, in May 2021, a relevant change occurred. In the first human rights case against Frontex, two applicants brought an action against the agency to the European Court of Justice (CJEU), on the grounds that the agency had ’failed to act’ in accordance with Article 265 TFEU (Case T-282/21). This represented a legal precedent with relevant implications. The action is supported by three pleas in law. The first is about ‘serious or persisting violations of fundamental rights and international protection obligations in the Aegean Sea Region’, which resulted in a ‘policy of systematic and widespread attack directed against civilian populations seeking asylum in the EU’. The second is about the agency’s failure to fulfil ‘its positive obligations under the Charter of Fundamental Rights’ or take any action to prevent fundamental rights violations in the context of its operation. The third involves the applicants’ claim of having been directly and individually affected by Frontex operations, which resulted in ‘unlawful refoulement, collective expulsion, and prevention of access to asylum’ (EPRS Study 2021). The case is still under evaluation.

      At the level of political accountability, in July 2021, the Frontex Scrutiny Working Group (FSWG) of the European Parliament’s LIBE Committee delivered its final report with recommendations. These were focusing mainly on ED responsibilities; division of responsibilities between the Agency and Member States in relation to fundamental rights; the importance of strengthening internal mechanisms already existing, namely the Fundamental Rights Officer and the Consultative Forum for fundamental rights; the role of the Management board which has been weak supporter of fundamental rights protection in agency’s activities; and finally recommending to the European Commission to engage more proactively to ensure adequate compliance with fundamental rights principles, vis-à-vis the management board, member states, and to apply conditional financial support on bases of humanitarian principles compliance. The report allows for the comprehensive steps for the judicial and non-judicial accountability of the agency and set the framework for the definition of agency’s responsility. This responsibility can be indirect, through assisting Greece or Hungary in the commission of violations, either actively (e.g., technical and financial support) or by omission due to the agency’s positive obligations (e.g., failure to suspend or terminate an operation).

      All these processes, together with the OLAF probe, created the conditions for Fabrice Leggeri’s resignation and the formal and informal condemnation of his management.

      What’s next?
      In a press release on 29th April, Frontex confirmed Leggeri’s departure, adding that since he had already stepped down, it “is not necessary anymore” to launch further disciplinary procedures. Aija Kalnaja, Deputy Executive Director for Standing Corps Management will lead the Agency until the Frontex Management Board appoints the Executive Director ad interim in June 2022. However, the question emerging now is: what happens next? Frontex is still under scrutiny, but the Ukrainian crisis will keep the attention of the European Commission and the Parliament elsewhere than a new legislative initiative to reorganize Frontex profile. At the same time, Leggeri’s resignation comes not only after OLAF probe ended, but also during the French presidency of the European Union (ending on 30th June) and Macron re-election last 22nd April. Beginning of February, Macron, shortly before the Russian invasion of Ukraine and the reformulation of the international political agenda, was advancing the idea of a more operational “Schengen Council” which would evaluate how the border-free area was working but would also take joint decisions and facilitate coordination in times of crisis. One may speculate on the forthcoming political destiny of Leggeri, which could also be considered by the French administration. Leggeri comes from France’s ministry of the interior where he has been heading the division on irregular migration. At the same time, Macron has a history of grandiose statements in denial of reality, from being a supporter of Libyan political reconciliation while violating the UN arms embargo, to peace talks with Putin right before the latter launched the invasion of Ukraine. It would be wise to wait before advancing any speculation. However, French representatives in Brussels do not hide their aspiration for a practical and operational solution to long-standing issues in European Justice and Home Affairs, including the creation of external border buffer zones that should allow for ’third-country nationals processing’ without being paralyzed by NGOs or civil society actors (phone interview with French representative of Justice and Home Affairs, Vienna, March 2019). Leggeri himself declared to Die Welt in 2017 that ’By rescuing migrants off the North African coasts, non-governmental organisations are playing into the hands of human traffickers’.

      The first comprehensive steps for the judicial and non-judicial accountability of the agency have been taken. Frontex cannot ignore new and unprecedented legal, political and administrative accountability procedures now set in motion. The risk for their repeal and weakening may come from new and urgent needs and rationales linked to the war in Ukraine.

      https://securitypraxis.eu/frontex-evolution-from-the-undisputable-to-the-untenable-border-agenc

    • Frontex, la chute d’une « affaire française »

      D’après une note du ministère de l’intérieur, récupérée par « Le Monde » et le média collaboratif « Lighthouse Reports », un rapport accuse le directeur de Frontex, le Français Fabrice Leggeri, d’avoir « fermé les yeux » sur des refoulements illégaux de migrants en mer Egée, de s’être entendu avec les autorités grecques pour fournir une version concordante à la Commission européenne et d’avoir « commis un parjure » devant le Parlement européen.

      Dans les couloirs du Parlement européen, à Strasbourg, Fabrice Leggeri est venu prendre un café, mercredi 4 mai. Certains croient savoir qu’il se trouvait dans la région pour des raisons personnelles, lui qui est natif de Mulhouse (Haut-Rhin). Celui qui a dirigé l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, jusqu’au 29 avril aurait saisi l’occasion pour échanger avec des eurodéputés, notamment les anciens ministres de Nicolas Sarkozy, Nadine Morano et Brice Hortefeux (Les Républicains), mais aussi le porte-parole de Reconquête ! et transfuge du Rassemblement national (RN), Nicolas Bay. Des figures parmi celles qui l’ont publiquement soutenu depuis qu’il a été poussé à la démission, après sept ans à la tête de la plus riche agence européenne.

      « Il a un raisonnement assez solide même s’il n’est pas très satisfait d’être contraint à la démission », rapporte #Brice_Hortefeux. « Je l’ai croisé rapidement dans les couloirs », témoigne, à son tour, #Nicolas_Bay, qui se dit convaincu que M. Leggeri est « l’objet d’une cabale très politique ». Le patron de Frontex est « persécuté », avait aussi twitté, le 29 avril, l’eurodéputé et président par intérim du RN, #Jordan_Bardella. « Cette crise doit être l’occasion de lever certaines ambiguïtés sur le rôle de Frontex, ajoute M. Hortefeux. Est-ce que son rôle est de protéger les frontières ou ceux qui veulent venir ? »

      Tous reprennent à leur compte la défense de M. Leggeri, détaillée dans un courrier adressé à ses équipes, le 29 avril : « Au cours des deux dernières années, discrètement mais efficacement, une narration a pris le dessus [selon laquelle] Frontex devrait être transformée en une sorte d’organisme de défense des droits fondamentaux contrôlant ce que les Etats membres font à leurs frontières extérieures (…). Ma vision est et a toujours été que Frontex est, au travers de son corps opérationnel de gardes-frontières, une agence qui soutient les Etats membres. (…) Cette vision n’est plus soutenue au niveau politique. C’est pourquoi j’ai pris hier la décision de démissionner. »

      Un récit qui heurte certains observateurs. « M. Leggeri présente les choses comme une espèce de lutte philosophique sur le rôle de l’agence et on peut difficilement l’entendre », estime une source gouvernementale française. « A Frontex, on ne peut choisir entre les droits fondamentaux et la protection des frontières », affirme, de son côté, Anna Garphult, représentante suédoise au conseil d’administration de l’agence.

      « Manque de loyauté »

      Cela fait déjà de nombreux mois que des enquêtes journalistiques ou des ONG, et même la gauche parlementaire européenne, accusent le patron de Frontex de fermer les yeux sur des refoulements illégaux de migrants aux frontières de l’Union européenne (UE), voire d’en être complice. Pas de quoi entamer jusque-là le soutien de Paris, qui estimait qu’« il n’y avait pas de responsabilité avérée de l’agence ».

      La bascule aurait eu lieu à l’issue d’une enquête de l’Office européen de lutte antifraude (OLAF), lancée en novembre 2020. Pendant plus d’un an, ses agents ont entendu près d’une vingtaine de personnes, perquisitionné les bureaux de Fabrice Leggeri et de son directeur de cabinet, le 7 décembre 2020, saisi des téléphones et des ordinateurs… Un premier rapport est clôturé le 15 février 2022. Communiqué aussitôt au conseil d’administration de Frontex et à la Commission européenne, il « porte sur la façon dont la direction exécutive a géré [en mer Egée, à la frontière gréco-turque] les “pushbacks” [les refoulements illégaux de migrants], indique la source gouvernementale française. Il évoque notamment le manque de loyauté et de transparence vis-à-vis de la Commission et du Parlement, un style de management opaque et le manquement à certaines procédures de signalement sur les droits fondamentaux ».

      « Fabrice Leggeri a voulu de façon notable concentrer entre ses mains le pouvoir de décision », selon Gil Arias-Fernandez, directeur adjoint de Frontex

      Le 28 février, lors d’une présentation orale de l’enquête devant des parlementaires européens, le patron de l’OLAF, le Finlandais Ville Itälä prévient : « Nous avons beaucoup de preuves. » « Il était évident pour tout le monde que Fabrice Leggeri ne pouvait pas rester », avance un ancien membre du conseil d’administration. La France estime qu’« il n’y a plus de confiance ». La Commission européenne adopte la même ligne.

      Une note du ministère de l’intérieur français, datée du 29 avril, que Le Monde et ses partenaires – le média à but non lucratif Lighthouse Reports et l’hebdomadaire allemand Der Spiegel – ont pu consulter, rapporte que l’OLAF reproche au directeur « d’avoir fermé les yeux sur des “pushbacks” commis par les gardes-frontières grecs en 2019 sur les îles de Samos et Lesbos » et de « s’être accordé avec les autorités grecques, dont le représentant au conseil d’administration de l’agence, pour rendre les mêmes conclusions sur les demandes d’explication de la Commission européenne ». M. Leggeri aurait même « commis un parjure lors de son audition devant le Parlement européen en niant les accusations de manière formelle ». Interrogé à ce sujet, ce dernier n’a pas répondu à nos questions.

      Deux autres volets d’investigation sont toujours ouverts, indiquent des sources concordantes au sein du conseil d’administration de l’agence et au ministère de l’intérieur français. L’une porterait sur des faits de harcèlement moral visant la direction de Frontex et le cabinet du directeur exécutif, l’autre sur des irrégularités financières.

      « Il ne rendait de compte à personne »

      Malgré cela, M. Leggeri aurait « tout fait pour éviter la démission », rapporte la source gouvernementale française. Le 28 avril, au cours d’une audition organisée par le conseil d’administration de l’agence, une heure durant, il tente de défendre son bilan face aux représentants des Etats membres, mais sa stratégie n’opère pas. Il se résout à présenter sa démission dans la foulée, afin d’éviter l’ouverture d’une procédure disciplinaire à son encontre. Son directeur de cabinet, Thibauld de la Haye Jousselin, l’a précédé dans cette démarche dès le 22 avril.

      C’est ainsi que s’achèvent sept années pendant lesquelles Frontex a été considérée aux yeux de beaucoup comme une « affaire française ». En obtenant la nomination de M. Leggeri à la tête de l’institution, dont le siège se situe à Varsovie, fin 2014, la France décroche un poste stratégique au sein des institutions européennes à un moment où son influence décroît. Polyglotte, normalien, énarque, rattaché au ministère de l’intérieur tout en étant passé par celui de la défense, puis détaché à la Commission européenne, M. Leggeri « remplissait toutes les cases » : « C’est un type brillant », estime un haut fonctionnaire à l’époque en poste au cabinet de Manuel Valls, alors ministre de l’intérieur.

      M. Leggeri arrive à Frontex avec un mandat : renforcer les pouvoirs de l’agence. « Face à la crise des réfugiés, il y avait une pression politique élevée, de la Commission, du Conseil et du Parlement, pour donner à l’agence beaucoup d’argent et de moyens humains », se souvient l’Espagnol Gil Arias-Fernandez, directeur adjoint de Frontex entre 2014 et 2015.

      Le budget explose, 10 000 gardes-frontières doivent être recrutés. Frontex est sommée de se transformer en machine à protéger les frontières extérieures de l’UE. Nombreux sont ceux qui estiment que la montée en puissance a été trop rapide. Même la Cour des comptes européenne s’étonne, dans un rapport de juin 2021, que le budget soit planifié à 900 millions d’euros par an « sans même chercher à déterminer les besoins de Frontex » et « sans aucune évaluation de son impact sur les Etats membres ».

      « En externe, [M. Leggeri] pouvait donner l’impression que Frontex était une agence indépendante de la Commission. Il ne rendait compte à personne, négociait en bilatéral avec les Etats membres », dit un haut fonctionnaire français qui a beaucoup œuvré au sein des institutions européennes.

      Voix dissonantes ignorées

      « Il a voulu de façon notable concentrer entre ses mains le pouvoir de décision, ajoute Gil Arias-Fernandez. Par exemple, les compétences qui m’avaient été déléguées par son prédécesseur, comme l’évaluation des directeurs, m’ont été retirées. » Il s’appuie sur une équipe restreinte, composée en grande partie de francophones, dont son directeur de cabinet Thibauld de la Haye Jousselin. Ce dernier est membre de la préfectorale, passé notamment par le cabinet de Brice Hortefeux, place Beauvau, et officier de réserve. « Il est travailleur, organisé et il a le sens de l’autorité, ajoute l’ancien ministre sarkozyste. Il est clair que ce n’est pas un écolo-libertaire ».

      En 2019, malgré des réticences au sein de la Commission, le mandat de M. Leggeri est renouvelé. Les voix dissonantes auraient été ignorées. Inmaculada Arnaez Fernandez, la responsable des droits fondamentaux de l’époque, censée contrôler l’action de l’agence et son respect des traités, en fait l’amère expérience. Gil Arias-Fernandez se souvient de la « marginalisation » de cette avocate espagnole, arrivée en 2012. « Dès le début, Fabrice Leggeri n’a pas considéré ses tâches comme importantes, dit-il. Nombre de ses rapports sur des violations potentielles des droits fondamentaux n’ont pas été pris en compte. »

      En 2019, à la suite d’un congé maladie de Mme Arnaez, le directeur annonce l’ouverture de son poste et tente de la remplacer, en vain. La même année, le recrutement de quarante observateurs des droits de l’homme prend du retard, au point que, fin 2021, il n’a toujours pas été finalisé.

      M. Leggeri quitte l’agence dans une crise profonde, politique mais aussi opérationnelle. C’est la Lettone Aija Kalnaja, directrice adjointe avec le plus d’ancienneté, qui a été nommée à la tête de l’agence jusqu’au conseil d’administration des 7 et 8 juin, à Paris. Affable, pratiquant un anglais parfait, cette ancienne fonctionnaire de police présente un profil idoine. « [Sa] désignation n’est pas forcément très réjouissante », estime pourtant une note diplomatique française du jour de son arrivée.

      Le document épingle notamment sa gestion d’une « situation dramatique » dans laquelle des dizaines d’agents de Frontex déployés aux frontières se trouvent actuellement. Certains ont dû avancer plusieurs milliers d’euros pour leurs frais de déplacement et d’hébergement. Sur ce dossier, Mme Kalnaja « n’a pris aucune décision forte », poursuit la note. A Varsovie, le temps des tempêtes n’est pas encore passé. Mercredi 4 mai, le Parlement européen a décidé de suspendre le vote du budget de l’agence, « jusqu’à la publication complète du rapport d’enquête de l’OLAF ».

      https://www.lemonde.fr/international/article/2022/05/06/frontex-la-chute-d-une-affaire-francaise_6125052_3210.html

    • Il ne suffit pas de changer le Directeur, c’est Frontex qu’il faut supprimer !

      L’UE et ses Etats membres doivent sanctionner les pratiques illégales de Frontex et mettre fin à l’#impunité !

      Le 29 avril 2022, Le Directeur exécutif de l’agence de garde-côtes et garde-frontières européens Frontex, Fabrice Leggeri (en poste depuis 2015) a remis sa démission.

      Depuis octobre 2020 [1], Frontex fait face à de nombreuses accusations de complaisance ou de complicité dans des opérations de refoulements en mer Egée et en Europe de l’Est, mais aussi de graves #dysfonctionnements et de #mauvaise_gouvernance. Au point que de nombreuses enquêtes ont été menées par les institutions européennes (Parlement européen, médiatrice européenne, Cour des comptes de l’UE, Office européen anti-fraude OLAF), et que la décharge budgétaire de Frontex pour l’année 2020 a été bloquée par le Parlement européen, le 4 mai 2022, signe évident de défiance [2] . Les conclusions du rapport de l’OLAF [3], et les dernières révélations de refoulements maquillés en « préventions au départ » en mer Egée dans les rapports de Frontex [4], ont sans doute accéléré la chute de son Directeur, qui paraissait jusqu’ici intouchable.

      Mais Leggeri n’a pas été licencié, il a démissionné. Non pas car il assume sa responsabilité dans les violations avérées des droits commises ou couvertes par Frontex aux frontières [5], mais car le rôle de l’agence prend selon lui une orientation qu’il désapprouve. Son mandat et la vision politique des institutions auraient ainsi « silencieusement mais effectivement été modifiés » durant les deux dernières années, et il existerait selon lui une contradiction manifeste entre le mandat de contrôle et de protection des frontières européennes qui lui a été confié en 2015, et le respect des droits des personnes tentant d’atteindre ces frontières, les deux n’étant pas compatibles. Il démissionne donc car « il ne peut rester pour mettre en œuvre ce qui n’est pas le mandat de l’Agence » [6]. Dans son communiqué du 29 avril, le Conseil d’administration de Frontex a, lui, balayé tout dilemme en affirmant au contraire « qu’un contrôle efficace des frontières et la protection des droits fondamentaux sont pleinement compatibles » … Ce que la société civile réfute, documents à l’appui, depuis plus de dix ans [7].

      Et de fait, Leggeri évincé, rien ne change. Ni l’incompatibilité effective du mandat et des activités de Frontex avec le respect des droits fondamentaux, ni l’impunité structurelle dont elle jouit. Car il ne s’agit pas de la responsabilité d’un (seul) homme, mais bien de celle d’un système à l’échelle européenne qui a permis depuis des décennies la multiplication en toute impunité des violations des droits des personnes exilées aux frontières maritimes et terrestres de l’Europe.

      Car le mandat de Frontex et ses activités, tout comme la politique sécuritaire et mortifère de lutte contre l’immigration de l’Union, demeurent. Frontex continuera de « sécuriser » les frontières européennes, avec violence et au mépris des droits et de la vie des personnes [8], en procédant à des vols collectifs d’expulsion [9], en entravant le droit d’asile, en prévenant les pseudo garde-côtes libyens (qu’elle forme par ailleurs) de venir intercepter les bateaux d’exilé.e.s avant qu’ils ne franchissement les eaux territoriales européennes [10], et continuera d’ériger les personnes désireuses de rejoindre le territoire européens en « menaces » dont il faudrait se protéger. En somme, Frontex continuera d’entraver les mobilités - en violation du droit international [11] -, et à contraindre les personnes à emprunter des voies de passages risquées et mortelles, car tel est bien son mandat, et ce quel que soit le nom de son Directeur.

      Et tandis que la société civile n’a eu de cesse depuis une décennie de documenter et dénoncer ces dérives, Frontex n’a jamais été sanctionnée pour ses agissements attentatoires aux droits. En 2014, Migreurop évoquait déjà des refoulements entre la Grèce et la Turquie, dans le cadre de l’opération Poséidon de Frontex, ayant été rapportés à la chargée des droits fondamentaux de l’agence, sans qu’il n’y soit donné suite [12]. En décembre 2020, son Directeur avait déjà admis devant le Parlement européen que l’agence procédait à des « opérations de prévention au départ », assimilables à des refoulements [13]. Malgré cela, aucune décision officielle n’a jamais été prise pour faire cesser les opérations de l’agence dans cette zone, aucun de ses agents n’a été mis en cause, et il n’a pas été mis un terme aux responsabilités de son Directeur, qui n’a jamais été sanctionné, et qui est démissionnaire.

      Lorsque les accusations ne peuvent plus être dissimulées et que les pratiques illégales de l’agence Frontex ne peuvent plus être ignorées ni remises en cause, l’unique conséquence semblerait donc être la démission (et non le licenciement) d’un Directeur, qui ne fera par ailleurs l’objet d’aucune sanction disciplinaire ou judiciaire. Face à l’accumulation de preuves, lorsque les institutions de contrôle démocratique ne peuvent plus se taire, elles ne sont donc capables que de produire des changements cosmétiques.

      Frontex s’est vue renforcée à chaque révision de mandat (2011, 2016, 2019) malgré les « rapports d’incidents » internes, les rapports d’ONG et les enquêtes médiatiques, et est de plus en plus rétive à rendre des comptes, tant aux institutions qu’aux citoyen.ne.s [14]. Quel que soit son Directeur, l’agence a, en de trop nombreuses occasions, prouvé qu’elle pouvait en toute impunité s’affranchir du droit européen pour satisfaire une politique sécuritaire de lutte contre l’immigration, qui a démontré ne pouvoir être respectueuse des droits.

      En acceptant le départ volontaire de Leggeri, les institutions européennes lui font indirectement porter la responsabilité des dérives de l’agence, une façon également de faire silence sur celles-ci et de ne pas remettre en cause les fondements mêmes de Frontex, tout en prétendant reprendre les choses en main et « assainir » une entité « abîmée ». Mais les bases sur lesquelles s’appuie Frontex n’ont pas changé d’un iota, et Frontex est irrécupérable.

      Remplacer le Directeur ne modifiera pas le mandat ni les activités de Frontex. Il ne s’agit plus désormais d’apporter des changements cosmétiques, mais de supprimer enfin l’agence Frontex pour faire cesser les violations des droits aux frontières, perpétrées impunément au nom de leur protection.

      https://migreurop.org/article3102.html

    • Inside the Final Days of the Frontex Chief

      Radical views, internal resistance, merciless investigators: Why Frontex chief Fabrice Leggeri had to go – and what his resignation means for the future of the EU border agency.

      In the end, once it was all over, it looked as though Fabrice Leggeri wanted to sneak out through the back door. Close advisers urged the Frontex chief to address his staff one last time after his resignation. “You were these people’s boss for many years. They’ve earned the right to know what is going on,” his advisers argued. But Leggeri refused to budge. It was a sad thing to watch, says one of those who had worked with Leggeri for many years.

      On Friday afternoon, at 3:22 p.m., once everybody had learned of his resignation, Leggeri did ultimately send a farewell message to his staff. In the email, the outgoing Frontex chief thanked the employees for their efforts – and fired a last parting shot at his critics. Frontex, Leggeri wrote, has been accused of either being involved in pushbacks or of having covered them up. He, too, was personally targeted by such accusations, he wrote, claiming that such allegations were unjust. There is still, he claimed, no proof. “I could rebuke all of them,” he wrote. Just that, in the end, nobody believed him any longer.

      Fabrice Leggeri was the head of Frontex for seven years. During his tenure, he was able to transform a meaningless EU authority into one of the bloc’s largest agencies, with an annual budget of 750 million euros. Leggeri created a cabinet suited to his tastes, concentrating almost all the power in his own hands. In the end, he ran the agency like a monarch – until he was pushed off the throne.

      Leggeri’s resignation was not widely expected. Even many Frontex staff members didn’t think they would be getting a new boss any time soon. To be sure, he was faced with an entire catalogue of accusations: DER SPIEGEL, Lighthouse Reports and several other media outlets had clearly demonstrated
      over the past 18 months that Frontex was involved in legal violations committed by Greece. Frontex units would intercept rickety refugee vessels on the Aegean and turn the asylum-seekers over to the Greek coast guard, which would then abandon the men, women and children at sea – frequently on life rafts with no motor.

      Human rights activists call such operations “pushbacks,” and they are not legal under European law. According to its own codex, Frontex should have been doing all it could to stop such pushbacks. But instead, the agency helped out: It was involved in illegal pushbacks affecting hundreds of asylum-seekers.

      Leggeri, though, has consistently rejected all such accusations. And for quite some time, it looked as though EU member states were wiling to simply accept the situation, as though the assistance Frontex provided to the pushbacks was actually in their interest. There were demands that he resign, but they mostly came from left-wing and center-left European parliamentarians – and not from EU heads of state and government, who control Frontex via the Management Board.

      What, then, led to Leggeri’s resignation? What happened behind closed doors in those decisive moments? And what does it mean for the future of the border protection agency?

      A team of reporters from DER SPIEGEL, Lighthouse Reports and the French daily Le Monde spoke with more than a dozen Frontex employees and European officials for this article. Some of them worked closely with Leggeri, while others were responsible for oversight of his agency. Leggeri himself declined to be interviewed.

      Taken together, the comments from confidants and employees produce the image of a man whose views grew increasingly radical as time passed, and whose shortcomings ultimately became so conspicuous that EU member states no longer had much of an option other than pushing him out of office. Fabrice Leggeri didn’t lose his job because of pushbacks as such, but more because he had become a PR problem for the EU.
      The Oracle of Delphi

      When seeking to understand Leggeri’s downfall, Delphi is a good place to start. On a warm day in April, Leggeri found himself in a stuffy conference center in the small Greek town, which takes its name from the Oracle of Delphi, who once predicted the future for petitioners. “Know thyself” was thought to have been inscribed at the entrance to the temple.

      The trip to Delphi was to become one of Leggeri’s final official journeys. Next to him on the stage of the Delphi Economic Forum was Greek Minister of Migration Notis Mitarachi. A noted hardliner, nobody defends the Greek approach to cross-Aegean migration as passionately as he does. Indeed, between the lines, it frequently sounds as though he finds pushbacks to be not such a bad idea.

      Leggeri gets along well with Mitarachi, and recently even received a medal from the Greek minister for his service on the EU external border. For Frontex, Greece is more important than any other European country. One of the most important migration routes to Europe leads from Turkey to the Greek islands across the Aegean Sea, and nowhere does Frontex have as many agents stationed. Leggeri dreamed of an even larger agency, and without a significant presence in Greece, such a vision would have been impossible.

      On stage in Delphi, Leggeri said that he was proud that Frontex under his leadership had always stood at Greece’s side. Not everybody can be allowed in, he said, that’s just a fact. Rather astounding sentences coming from somebody accused of covering up for Greek legal violations.

      A close parsing of Leggeri’s comments in Delphi reveals the broader motifs with which he would seek to defend himself from his critics a short time later. Frontex, he said, is a law enforcement authority and not an immigration agency, not showing much empathy for the women and children that had been abandoned at sea in the Aegean. He wrote something similar in his email to Frontex staff following his resignation. Frontex, Leggeri contended, is to be transformed into a sort of fundamental rights body, with a narrative to that effect spreading “discretely, but efficiently.” Such sentiments make it sound as though Leggeri believes in some kind of large-scale conspiracy. Even in Delphi, many listeners found themselves wondering how long Leggeri would be able to last with his impertinent bluster.

      Leggeri didn’t always sound so extreme. When he took over the position of Frontex director in 2015, he was considered to be an able technocrat. The Frenchman’s fluent command of German and excellent English were the qualities that initially stuck out for many. He was reputed to be consistently meticulously prepared for his meetings.

      In 2016, shortly after the apex of the refugee crisis, Leggeri emphasized in an interview with the influential German weekly Die Zeit that Europe had the obligation to provide protection to asylum-seekers. “We don’t reject anybody and we aren’t allowed to do so,” he said.

      Since then, the use of force on the EU’s external borders has escalated. Some EU member states, with Greece leading the way, are now in favor of turning pushbacks into standard practice. Leggeri put himself at the front of that movement, becoming a mouthpiece of the most radical camp within the EU in the process – and assumed that the other member states would tolerate it.

      Leggeri’s transformation didn’t go unnoticed within Frontex. One staff member who worked with him for several years says that his boss became more and more uncompromising over time. He increasingly adopted a black-and-white view of the world with no gray areas apparent, the staff member says, adding that Leggeri completely lost any kind of balance. At some point, says an additional staff member, Leggeri would only speak to members of his innermost circle.

      Towards the end of his tenure, there was a significant amount of grumbling at Frontex. Support for Leggeri within the agency began eroding while leaks to the outside world increased. Staffers at the Frontex Situation Center, who saw on their computer screens what was going on in the Aegean every day, grew defiant. In at least one case in which a Frontex aircraft recorded video of a pushback from above, a staff member explicitly wrote of a suspected human rights violation. Leggeri, though, ignored it.
      Leggeri’s Final Battle

      When EU anti-corruption officials get involved, the situation for those concerned tends to grow serious. Investigators from the European Anti-Fraud Office, known as OLAF for short, operate independently and are charged with uncovering rules violations committed by EU officials. Very little about their investigations tends to make it into the press.

      On Dec. 7, 2020, a few weeks after DER SPIEGEL published the initial revelations, investigators searched Leggeri’s office in Warsaw along with that of his then chief-of-staff, Thibauld de la Haye Jousselin. The investigators apparently also confiscated their mobile phones. In early March 2022, they presented a more than 200-page investigative report, which still hasn’t been made available to the public.

      Essentially, the report works through what DER SPIEGEL and its media partners have already reported: Leggeri covered up the Greek pushbacks and thus violated the regulations of his own agency. He then lied to the European Parliament when confronted with specific questions. Furthermore, according to a summary of the OLAF report compiled by French officials, which DER SPIEGEL has acquired, he coordinated with the Greek government before responding to growing questions.

      The investigators documented each lapse. And they recommended that disciplinary measures be taken against Leggeri and two additional senior Frontex leaders. The report essentially forced the overseers of Frontex to take a stand. And with that, Leggeri was never able to shake the detailed accusations documented in the OLAF report.

      The Management Board of Frontex is primarily made up of representatives from Schengen member states. Border protection agents and senior officials from European interior ministries supervise the Frontex chief. Their meetings take place behind closed doors and leaks are rare. Even the brief meeting summaries are classified.

      On the morning of April 28, members came together virtually for the decisive meeting. The German Management Board chair Alexander Fritsch led the proceedings. Leggeri joined from France – together with his lawyer.

      It immediately became apparent that Leggeri had no intention of giving up. The Frontex chief had had two months to prepare his defense, and according to sources who took part in the meeting, he repeated what he had said in Delphi and what he would later write in his final email to staff: namely that he sees Frontex as a law enforcement agency and not as a pro-migration NGO. It’s not his fault, he says, that the agency’s mandate had been changed.

      Later in the meeting, the Management Board considered the situation without Leggeri’s participation. And it quickly became clear that there was a majority against the Frontex chief, with many apparently concerned that Leggeri could pull the agency into the abyss along with him. “Because of the OLAF report, we wanted to do something,” says one meeting participant. Now that EU investigators had also leveled accusations against Leggeri, says the participant, the situation had simply become untenable.

      Leggeri had long since lost the trust of European Commissioner for Home Affairs Ylva Johannson. Now, Leggeri’s supporters also realized that he had to go. Even the French government, shortly after the re-election of President Emmanuel Macron, distanced itself from the Frontex chief. The Greek representative on the Board was one of the few who continued to support Leggeri.

      That same evening, Leggeri gave in. He contacted Alexander Fritsch, the German chairman of the Management Board, and announced he was stepping down. The next day, a broad majority of the board voted to accept Leggeri’s resignation. The board decided not to implement disciplinary measures as OLAF had recommended, but only because Leggeri was no longer a Frontex employee. It is ultimately a compromise that allowed Leggeri to save face, but nothing more.

      In a press released, the Management Board made clear that border control and the protection of human rights are not mutually exclusive. The press release also clarified that the agency’s mandate, which Leggeri had claimed was being changed “discretely and efficiently,” is clearly described in Frontex documents. The statement essentially amounted to a final slap in the face for Leggeri, and the beginning of the effort to limit the amount of damage to the agency’s reputation.
      A New Beginning?

      The woman who is now to take over from Leggeri is named Aija Kalnaja. The Management Board installed the Latvian as interim chief on the day of Leggeri’s resignation. A career police officer, she had been deputy executive director of Frontex. In her very first email to agency staff, Kalnaja distanced herself from Leggeri. The rights of asylum-seekers, she wrote, must be protected, and Frontex must set an example.

      It is going to be a long road to becoming an exemplary EU agency. Leggeri left behind a fair amount of chaos, and Kalnaja, as deputy director, wasn’t entirely uninvolved. Currently, for example, Frontex officials must pay for their lodgings at the EU’s external border out of their own pockets because the agency isn’t able to arrange official trips. Frontex cancelled its contract with a travel agency because costs were skyrocketing, and a replacement hasn’t yet been found.

      Many in the agency believe that Kalnaja would like to remain in the top spot. In contrast to Leggeri, she is thought to have good relations with the European Commission. The final decision on her status will be made in early June, which is when the Management Board will gather to elect a new director.

      The German government is now stressing that Leggeri’s departure presents an opportunity for a new beginning. That, though, wouldn’t just require a new Frontex chief, but also a policy shift in the EU member states that Leggeri spent so long protecting. A first test is on the horizon: The Frontex Fundamental Rights Officer could soon recommend that the agency withdraw from the Aegean. And then, nobody could hide behind Fabrice Leggeri any longer.

      https://www.spiegel.de/international/europe/fabrice-leggeri-s-resignation-the-final-days-of-the-frontex-chief-a-a238224a

  • The DIY origins and design of Playdate puzzler Pick Pack Pup
    https://www.gamedeveloper.com/playdate-launch/the-diy-origins-and-design-of-playdate-puzzler-pick-pack-pup

    Pick Pack Pup is a ludicrously charming match-3 puzzler with a twist (or two) that will surely become a fan-favorite of Playdate owners. Its path from prototype to Playdate, however, was an unconventional one.

    During a lengthy chat with Game Developer earlier this year, co-creator Nicolas Magnier tells me how he became fascinated by the concept of Playdate after reading about the console in Edge a few years ago.

    For the veteran dev, who’s currently working as a senior game designer at Ubisoft Mainz, the prospect of a device full of constraints was a huge selling point. It reminded him of old-school Nintendo hardware, and he was particularly eager to try and squeeze every last drop of creative potential from the Playdate’s 400 × 240 black-and-white display.

    Making contact with Panic with a view to developing for the console, though, proved challenging.

    As you can imagine, the high-profile reveal sent devs scrambling to join what, at the time, must have felt like the most exclusive club in the games industry. So, with Panic still in closed development and slowly drowning in a sea of emails, Magnier did the only thing his could — he built his own Playdate and got to work.

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