• «Se muoio riportate il mio corpo in Guinea»
    https://www.meltingpot.org/2024/04/se-muoio-riportate-il-mio-corpo-in-guinea

    «Si je meurs jaimerais quon rianvoi mon corps en Afrique, ma mère serait ravie(…)les militaire Italien ne conait rien saufe largent,mon Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi. Il ne faut que pleure a cause de moi, paix á mon âme que je repose en paix» Aveva lasciato un messaggio di addio su una parete della sua camerata: un suo autoritratto e qualche riga in francese, poi Ousmane Sylla, detenuto nel CPR di Ponte Galeria di Roma, muore. Solo 10 giorni dopo, attraverso le reti sociali, la famiglia apprende la triste notizia e fin da subito dichiara di non

    #Approfondimenti #CPR,_Hotspot,_CPA #Francesca_Reppucci #Nicoletta_Alessio

  • se souvient qu’elle leur disait ça, aussi, à ses client·e·s, à l’époque où elle était pompiste Échelon Trois : à chaque fois qu’iels lui demandaient un conseil, un avis ou un renseignement sur une des s***peries en vente dans le snack ou la boutique de la pompisterie elle leur disait de ne pas faire ça, de ne pas lui poser de questions, qu’elle ne pouvait certes pas leur interdire d’acheter des trucs s’iels étaient zinzins et pété·e·s de thunes mais qu’il ne fallait JAMAIS croire les arguments de quelqu’un·e qui avait quelque chose à vendre, et qu’iels avaient rudement de la chance d’être tombé·e·s sur elle parce que ses collègues esclaves du Capital leur auraient sûrement débagoulé des carabistouilles juste pour pouvoir leur fourguer une m***e, augmenter leur score d’employé·e·s du mois et se faire bien voir du patronat — tandis qu’elle elle n’en avait rien à cirer, elle avait connu la guerre et brûlé son soutif sur les barricades alors elle ne se sentait pas obligée de leur mentir sur la marchandise.

    Pourquoi raconte-t-elle cela maintenant ? Parce qu’elle a l’impression que désormais TOUT LE MONDE est TOUT LE TEMPS en train d’essayer de vendre quelque chose à quelqu’un·e — ne serait-ce que sa propre image ou sa propre cosmogonie. Le commerce est la troisième plus grande plaie du monde (juste derrière les enfants et l’hétéropatriarcat) et c’est pour ça qu’on ne peut plus avoir confiance en personne, pas plus sur Internet que dans la « vraie » vie.

    Sauf évidemment dans les punkàchiennes goudous nullipares stoïco-nihilistes kimilsungiste-kimjongilistes-kimjongunistes cacochymes et valétudinaires, parce qu’elle partent déjà avec un tel handicap qu’elles ne peuvent pas se permettre le luxe d’être en plus des arnaqueuses.

    Vous êtes abonné au bon flux SeenThis, cher Lectorat. Ici on n’a personne à séduire.

    #NicoleGourelle.

  • Ferrara, manifestazione regionale contro l’apertura del CPR
    https://www.meltingpot.org/2024/02/ferrara-manifestazione-regionale-contro-lapertura-del-cpr

    Manifestazione regionale a Ferrara contro i C.P.R. promossa per sabato 2 marzo alle ore 15 da una variegata rete di oltre 50 associazioni e organizzazioni della società civile ferrarese che in questi mesi si sono mobilitate contro l’ipotesi di apertura di un nuovo Centro di Permanenza per il Rimpatrio, chiedendo nel contempo la chiusura di quelli esistenti. Una protesta a cui hanno aderito realtà sociali da tutta l’Emilia-Romagna che stanno condividendo un percorso regionale “No CPR” che, partito lo scorso ottobre con la manifestazione di Bologna, ha promosso diversi appuntamenti di mobilitazione e approfondimento. Ferrara, guidata dal leghista Alan (...)

    #Approfondimenti #CPR,_Hotspot,_CPA #Francesca_Reppucci #Nicoletta_Alessio

  • «Siamo vite sotto minaccia»
    https://www.meltingpot.org/2024/02/siamo-vite-sotto-minaccia

    di Monica Serrano Sul ciglio della strada lungo via Casilina, nel quartiere di Torpignattara, si sentono rumori laboriosi. È in corso la ristrutturazione dell’Associazione Dhuumcatu, in bengalese “Stella cometa” – un gruppo di persone straniere attive da più di un decennio in questo quartiere periferico di Roma, prima all’Esquilino e ancor prima ad Anagnina. Una lunga storia che tocca le zone della città più abitate dalle persone migranti e dove la ricerca di lavoro, il diritto alla casa e alla vita famigliare si uniscono alla lotta per un pezzo di carta che fa la differenza, il permesso di soggiorno. (...)

    #Approfondimenti #Francesca_Reppucci #Nicoletta_Alessio

  • Cronache di resistenza a Milano
    https://www.meltingpot.org/2024/02/cronache-di-resistenza-a-milano

    di Luna Selimovic e Sofia Mele Nel pomeriggio di giovedì 8 febbraio il grido dellə attivistə della città di Milano si è unito al coro delle proteste indette a Roma a seguito del suicidio di Ousmane Sylla nel CPR di Ponte Galeria. Numerose sono state le persone solidali accorse alla chiamata del presidio indetto dalla Rete Mai più Lager – No ai CPR per esprimere la rabbia e il dolore e rileggere ancora una volta insieme le parole di Ousmane scritte sul muro del CPR. Dopo la notizia dell’ennesima morte, il presidio sostiene ancora più fermamente l’importanza di denunciare la

    #Approfondimenti #CPR,_Hotspot,_CPA #Francesca_Reppucci #Nicoletta_Alessio

  • ​​Tra le macerie del CPR di Milo: voci da un’indegna reclusione, mentre la CEDU condanna l’Italia
    https://www.meltingpot.org/2024/02/tra-le-macerie-del-cpr-di-milo-voci-da-unindegna-reclusione-mentre-la-ce

    Un testo congiunto di ARCI, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), Borderline Europe, Campagna LasciateCIEntrare, Maldusa, Mem.Med – Memoria Mediterranea: “La Corte Europea dei Diritti Umani ha ordinato al Governo italiano l’immediato trasferimento dal CPR di Trapani di una persona trattenuta in condizioni materiali degradanti. Una sentenza che riguarda quanto accaduto al CPR di Milo nell’ultima settimana di gennaio e che riteniamo indispensabile ricostruire e condividere grazie alle voci delle persone trattenute”. Un cittadino tunisino richiedente asilo, insieme a numerose altre persone, a seguito dell’incendio del 22 gennaio, era trattenuto in condizioni degradate e totalmente inadeguate, senza alcuna (...)

    #Approfondimenti #CPR,_Hotspot,_CPA #Francesca_Reppucci #Nicoletta_Alessio

  • Al #Parco_Grandi inaugurata la stele in memoria di #Nicole_Lelli, vittima di femminicidio

    Alla giovane uccisa dal marito a soli 23 anni è stata intitolato un monumento. I famigliari lo dedicano anche a tutte le donne vittime del femminicidio
    Al parco Achille Grandi al Collatino è stata inaugurata una stele. E’ dedicata a Nicole Lelli ed a tutte le vittime del femminicidio. Alla vigilia della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il monumento acquisisce un significato particolare.

    Una battaglia culturale

    «Dopo che abbiamo elaborato il lutto – ha spiegato il papà di Nicole – ci siamo impegnati sul fronte culturale. Stiamo combattendo una battaglia per sensibilizzare i giovani sul rispetto di genere. E questo ’monumentino’ – per realizzare il quale è stato necessario ottenere molti permessi – si inserisce in questa battaglia» .
    L’omicidio di Nicole

    Nicole è stata uccisa a soli ventitre anni dall’uomo che aveva amato. Yoandris Medina Nunez, col quale si era sposata a Cuba, non aveva accettato la fine del loro rapporto. Per questo l’ha aspettata fuori un locale di Testaccio. L’ha invitata a salire sulla propria auto e poi le ha sparato. Per questo, tra le proteste ancora oggi reiterate dalla famiglia, non è stato condannato all’ergastolo, ma a vent’anni di reclusione.

    Una libertà pagata a caro prezzo

    «Siamo orgogliosi di aver donato a Roma questo monumento – ha dichiarato il papà di Nicole, durante l’inaugurazione, anche a nome del fratello della ragazza – e vorrei ricordare che le vittime dei femminicidi – per come sono state trattate – sono come le nuove streghe. Non vengono messe al rogo ma sono state assassinate perchè hanno rinvedicato la propria libertà di decidere se amare o meno un uomo. Per questo sono state uccise».

    La lettera della mamma

    Durante la cerimonia cui, insieme a tanti famigliari, hanno preso parte anche le istituzioni municipali, sono state lette le parole che la mamma ha dedicato a Nicole. Si è trattato di un momento particolarmente intenso. «Ti ho qui sempre e ovunque dove ci sia il colore del sole. Nei stessi sogni che facevamo insieme prima che diventassi mare, cielo e terra. Prima che diventassi oltre». Per questo «perchè nessuno dimentichi tutte le donne uccise» è stato realizzato questo monumento che «vivrà in eterno». Alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dal Collatino arriva un messaggio chiaro. Grazie alle istituzioni ma soprattutto ai famigliari di una ragazza che, a soli 23 anni, ha smesso di vivere.

    https://www.romatoday.it/zone/pigneto/collatino/stele-nicole-lelli-parco-grandi-collatino-.html

    #Collatino #Rome #Italie
    #mémoire #monument #toponymie #toponymie_féministe #féminicide

  • La loi de l’inceste
    Les couilles sur la table

    https://www.youtube.com/watch?v=43PMwj5NQLA

    Nous avons toutes et tous grandi dans une culture de l’inceste qui impose qu’on y soit aveugle et qu’on n’en parle pas. Alors que les victimes - et donc leurs agresseurs - sont banalement répandu·es, l’inceste est considéré comme le plus grand interdit voire le plus grand tabou de notre société. Selon l’anthropologue Dorothée Dussy, cette idée reçue entraîne un déni de la réalité de ce phénomène. Plus encore, cette vision désincarnée de l’inceste manque de prendre en compte le point de vue des femmes et des enfants, et participe à la constitution de l’inceste comme « structurant de l’ordre social ».

    En quoi les sphères intellectuelles, législatives et judiciaires véhiculent une perspective patriarcale et masculiniste de l’inceste, et plus largement du viol ? Comment l’inceste est représenté dans les œuvres d’art ?

    Dans cette deuxième partie de leur entretien, Victoire Tuaillon et Dorothée Dussy analysent ce qu’est la culture de l’inceste. Selon la directrice de recherche du CNRS, l’inceste est à la base des rapports d’oppression, d’où titre de son ouvrage majeur sur la question : « Le Berceau des dominations » (éd. Pocket, 2020 ; initialement publié en 2013 aux éditions La Discussion).

    #inceste #viol #culture_du_viol #masculinité

  • La #Grèce hors d’elle et autres textes - Collection Critique de la politique - Editions Klincksieck
    https://www.klincksieck.com/livre/3785-la-grece-hors-d-elle-et-autres-textes

    Cet ouvrage rassemble, selon un ordre strictement chronologique, cinquante-six articles écrits par #Nicole_Loraux entre 1973 et 2003. Il donne à lire le déploiement discontinu, expérimental, de réflexions lisibles sur le même plan que celui des livres publiés, et l’effet d’après-coup de ces derniers, leur reprise sur d’autres plans — toutes ces lignes dessinant ensemble la vaste cartographie d’une œuvre très singulière.
    L’article « La Grèce hors d’elle et autres textes », qui donne son titre à ce recueil, rappelle la méthode par laquelle Nicole Loraux n’a pas cessé, selon ses propres mots, de « trouver dans la Grèce (et en abondance) de quoi la faire sortir d’elle-même » en multipliant les stratégies comparatistes, les va-et-vient entre les champs disciplinaires les plus divers (philosophie, psychanalyse, ethnologie, philologie).
    Il en résulte un parcours intellectuel où apparaît, dominante et continue, l’analyse du discours que la cité athénienne a construit à son propre sujet en même temps que s’approfondit l’éclairage du conflit (stasis) constitutif de la démocratie. Enfin, l’attention toujours plus soutenue à « l’opérateur féminin », compris comme facteur de subversion de l’ordre politique de la cité, dominé par le masculin, suscite une approche originale et novatrice de la tragédie. Nicole Loraux découvre la dimension « antipolitique » de l’espace tragique, qui permet aux voix exclues de la parole civique de se faire entendre

  • Le bilan journalier dérisoire de la pandémie en France, qui ne justifie en rien la VIOLENCE de ce gouvernement #EnMarche
    23 Juillet 2020 : Coronavirus : 7 nouveaux décès, près de 1000 nouveaux cas confirmés en 24 heures en France
    https://www.lefigaro.fr/sciences/coronavirus-7-nouveaux-deces-pres-de-1000-nouveaux-cas-confirmes-en-24-heur
    . . . . . . .
    Au cours des dernières 24h, 7 personnes hospitalisées ont perdu la vie des suites d’une infection au coronavirus.

    Selon les chiffres de la Direction générale de la santé (DGS) publiés ce mercredi 22 juillet, 6366 patients sont toujours pris en charge par les services hospitaliers, 455 d’entre eux sont en réanimation.

    « Le virus circule sur l’ensemble du territoire national », indique la DGS, en soulignant le nombre croissant de clusters. Sur les 561 détectés depuis le 9 mai, 212 sont encore en activité et 14 ont été découverts dans la journée.
    . . . . . . .
    #macro_lepenisme #maintien_de_l'ordre macronien #violence #épidémie #pandémie pas #en_vedette #imposture #confinement
    C’est pas à la une des #médias de #france #propagande #journulliste #journullistes #medias #politique #médiacrates #mass_merdias

    • Amputations, défigurations, fracas maxillo-facial ou dentaire, dilacération oculaire ou énucléation, fracas crânien, hémorragies cérébrales…

      Couvrez ces plaies que je ne saurais voir…
      Le 24 janvier 2019, le professeur Laurent Thines, neurochirurgien au CHU de Besançon, après avoir constaté les dégâts occasionnés par les #LBD, informe les pouvoirs publics et lance une pétition.
      https://www.legrandsoir.info/couvrez-ces-plaies-que-je-ne-saurais-voir.html
      Il écrit : « J’ai été particulièrement choqué par les photos prises et les lésions observées chez les personnes blessées lors des mouvements de manifestation. Beaucoup, très jeunes (potentiellement nos enfants), ont été mutilés alors qu’ils ne représentaient aucune menace spécifique ». Et d’ajouter : « amputation de membre, défiguration à vie, fracas maxillo-facial ou dentaire, dilacération oculaire ou énucléation, fracas crânien, hémorragies cérébrales engageant le pronostic vital et entrainant des séquelles neurologiques, autant de mutilations qui produisent de nouveaux cortèges de « Gueules cassées »…Tant de vies ont été ainsi sacrifiées (…)…Pour toutes ces raisons nous, soignants (médecins, chirurgiens, urgentistes, réanimateurs, infirmiers, aides-soignants…) apolitiques et attachés à l’idéal de notre pays, la France, au travers de la déclaration des Droits de l’Homme, de la Femme et du Citoyen, demandons qu’un moratoire soit appliqué sur l’usage des armes sublétales de maintien de l’ordre en vue de bannir leur utilisation lors des manifestations »(1) .

      Première parenthèse : on dit « létal » pour éviter « mortel », « bâton souple de défense » pour ne pas dire « matraque », « lanceur de balles de défense » pour cacher que le lanceur est une arme d’attaque, « forces de l’ordre » pour indiquer que la violence n’est pas imputable aux policiers, « blessures oculaires » pour que le vilain mot « éborgnement » ne soit pas prononcé.

      Seconde parenthèse : la revendication de l’ « apolitisme » des signataires nous ferait tousser comme un contaminé au Covid-19 si l’on ne comprenait pas qu’il signifie « de diverses opinions politiques ».

      Avec Cathy JURADO, Laurent THINES publie à présent un recueil de textes dont ils disent : « né au cœur des ronds-points et des manifestations de Gilets Jaunes, il témoigne de ce combat historique, par le biais d’une évocation poétique sans concession de la répression contre ce mouvement mais aussi de la ferveur et du courage des militants. Les droits d’auteur seront reversés intégralement au Collectif des Mutilés pour l’Exemple ».

      C’est publié par « Le temps des Cerises » , excellent éditeur qui a publié.

      Maxime VIVAS Pour participer à ce geste de solidarité, contactez : poemesjaunes@gmail.com
      Pour en savoir plus, lisez l’article ci-contre https://www.legrandsoir.info/feu-poemes-jaunes.html

      Note (1) La réponse au cours de l’année a été la violence policière répétée contre le personnel soignant, matraqué et gazé. En mars 2020, des policiers se sont rendus, à la nuit tombée, avec des véhicules de service aux gyrophares allumés, devant des hôpitaux pour y applaudir (à distance) le personnel soignant qui est aux premières lignes dans la lutte contre le Coronavirus. Dérisoire initiative d’un corps de métier qui bénéficie, pour « maintenir l’ordre » de masques de protection qui font défaut dans les hôpitaux et qui usa de la matraque si les soignants manifestaient pour en réclamer. Puis, les manifestations ont repris et les brutalités contre le personnel soignant aussi.

      #violence #violences_policières #police #répression #violences #violence_policière #emmanuel_macron #giletsjaunes #resistances #social #mutilations #mutilés #maintien_de_l'ordre #gilets_jaunes #justice #répression #violence #armes_non_létales #flashball #blessures #langage

    • Le Ségur de la honte ! Jean-Michel Toulouse, ancien directeur d’hôpital public - 22 juillet 2020
      https://pardem.org/actualite/1057-le-segur-de-la-honte

      Certes il était illusoire d’espérer que des décisions à la mesure des besoins de l’hôpital, du personnel et des patients seraient prises au Ségur de la Santé. Sauf à croire au miracle ! 


      Mais la réalité dépasse la fiction : trois syndicats se sont déshonorés en signant les « accords » séguro-macroniens. Non seulement les revendications répétées des personnels hospitaliers depuis de très longs mois ont été piétinées mais il ne subsiste aucun espoir que les problèmes de fond qui minent la santé publique soient réglés.


      Mais l’honneur et la lutte n’ont pas disparu. Ils étaient incarnés le 14 juillet entre République et Bastille à Paris et dans de nombreuses villes par les soignants qui manifestaient et par les 15 organisations médicales et non médicales, qui ont refusé d’être complices du Ségur de la honte.

      Ils ont signé : la #CFDT, #FO et l’ #UNSA - les syndicats les moins représentatifs dans de nombreux hôpitaux et chez les médecins. Après 6 semaines de négociation bâclées, voici ce qu’ont accepté ces organisations : 


      – Un « socle » de 7,6 milliards d’euros pour les personnels para-médicaux (infirmières, aides-soignantes, kinésithérapeutes, etc.) et non médicaux (administratifs, agents des services hos-pitaliers, techniciens divers, etc.) est attribué à 1,5 million d’hospitaliers : une augmentation de salaire versée en deux temps, soit 90 euros au 1er septembre prochain et 93 euros au 1er mars 2021. Au total 183 euros nets mensuels sont octroyés aux agents des hôpitaux et des #EHPAD. Ce qui ne rattrape même pas le blocage du point indiciaire depuis 10 ans ! En effet pour ce rattrapage il aurait fallu 280 euros nets mensuels. Il s’agit donc d’une obole qui montre le mépris du pouvoir pour les salariés, qualifiés de « héros » par Macron ! Il est vrai que la notion de héros est commode : elle dépolitise le problème et, en outre, un héros n’a pas de besoin ! 


      – Une « révision des grilles salariales » - sans autre précision - en avril 2021, et cela ne représentera que 35 euros nets mensuels en moyenne ! Voilà la reconnaissance macronnienne pour celles et ceux qui ont tenu le pays à bout de bras pendant 3 mois et ont limité les dégâts de l’incompétence de ce pouvoir.


      – La « revalorisation » des heures supplémentaires, des primes pour travail de nuit, mais « plus tard » et sans autre précision, ce qui signifie que ce sera indolore pour ce pouvoir !


      – La création de 15 000 postes - sans précision non plus - alors qu’il en faudrait 100 000. De plus, ces postes seront à discuter avec les directions d’établissement, ce qui n’est pas acquis !


      – S’agissant des médecins, le Ségur leur octroie 450 millions d’euros (au lieu de 1 milliard), et 16 « autres mesures » à venir… La principale étant la « revalorisation » de la prime de service exclusif qui passera de 490 euros à 700 euros nets mensuels pour les PHPT (Praticiens hospitaliers plein temps), puis à 1 010 euros en 2021, à condition que ces #PHPT aient 15 ans d’ancienneté...


      – Toujours pour les médecins, révision des grilles salariales mais au rabais (100 millions d’euros), et en 2021, avec la fusion des trois premiers échelons déjà prévue par le plan Buzyn, et en créant 3 échelons supplémentaires en fin de carrière, c’est-à-dire aux calendes grecques !


      – Enfin pour les jeunes médecins et les internes, 124 millions d’euros pour les indemnités aux jeunes praticiens, qui seront portées au niveau du SMIC horaire ! Mais sans revalorisation de leurs grilles indiciaires ! Et cela alors que 30 % des postes sont vacants. Pas de mesure sur les gardes et la permanence des soins. Ce n’est pas avec cela que l’hôpital public sera plus attractif ! On risque même assister à une fuite générale des compétences vers le privé.

      Volet 2 (organisation et investissement) : du pareil au même !
      Monsieur Véran, ministre de la Santé, déclare que ce plan n’est pas fait « pour solde de tout compte ». En effet ! Nous apprenons que ce ne sera pas 15 000 postes qui seront créés mais seulement 7 500 car les 7 500 autres sont déjà inscrits dans le collectif budgétaire prévu dans le plan Buzyn « Ma santé 2022 » ! 


      Ce plan Ségur, animé par Nicole Notat, annoncé par Macron et Castex, proclame que 20 milliards de plus sont alloués aux hôpitaux. Mais en réalité il y en a déjà 13 qui sont sensés contribuer à éponger les dettes des hôpitaux (sur une dette de 30 milliards), ce qui réduit à 6/7 milliards l’ensemble des autres mesures ! 
Notat, qui a remis son rapport sur le volet 2 le 21 juillet, poursuit donc son travail d’enfumage macronien. Ce volet n°2 se limite, en effet, à injecter, sur 4 à 5 ans, 6 à 7 milliards d’euros pour financer les bâtiments, les équipements et le numérique. 6 milliards en 4-5 ans pour l’ensemble de ces mesures alors que l’hôpital est rongé par l’austérité et la réduction de moyens depuis 30 ans ! Sans compter qu’il faudra partager avec le secteur privé « assurant des missions de service public » !

      Considérant l’état des hôpitaux publics, on voit le fossé abyssal qui sépare les besoins réels et cette aumône méprisante ! En guise « d’investissement massif » - comme le promettait Macron - ce ne seront que 2,5 milliards pour les établissements de santé (projets territoriaux de santé, Ville-Hôpital, pour « casser les silos » !), 2,1 milliards pour le médico-social et les EHPAD (rénovation d’un quart des places, équipement en rails de transfert, capteurs de détection de chute, équipements numériques) et 1,5 milliard pour l’investissement dans le numérique et « les nouvelles technologies » . Il est donc évident que ce plan est loin de permettre de « changer de braquet ». Alors que ce sont des milliers de lits qui ont été supprimés depuis 30 ans (quelque 12 000 ces 5 dernières années), le plan Véran-Notat prévoit 4 000 créations mais seulement « à la demande » et « en fonction des besoins » (évalués par qui ?), et pour des motifs de « grippe saisonnière ou d’autres pics d’activité exceptionnels ». En réalité pas un lit ne sera créé pour compenser la destruction systématique de nos hôpitaux. Le COPERMO (Comité interministériel pour la performance et la modernisation de l’offre de soins hospitaliers), véritable instrument de verrouillage de l’investissement dans les hôpitaux publics, sera supprimé et remplacé par un « Conseil national de l’investissement » qui « accompagnera les projets, établira les priorités, répartira les enveloppes uniquement pour ceux qui seront financés sur fonds publics (on ne voit pas comment l’hôpital public serait financé autrement…), ou qui seront supérieurs à 100 millions d’euros » ! Autant dire que seul change le nom du COPERMO mais qu’est conservé l’instrument de verrouillage des investissements hospitaliers ; même si l’intention de le faire cautionner par quelques élus est annoncée comme une mesure formidable !
Ce volet 2 traite de « déconcentration de la gestion des investissements » et envisage de donner plus de pouvoirs aux Délégations départementales des ARS et « aux territoires ». Mais l’on sait que ces Délégations doivent respecter les « plans régionaux de santé » décidés par les ARS... Cette association des élus est donc un leurre !

      Véran annonce que les tarifs de la T2A « vont continuer d’augmenter » les années prochaines, alors que cela fait 10 ans qu’ils baissent… Par ailleurs le ministre propose « de mettre en place une enveloppe qui permettra aux hôpitaux de sortir plus rapidement de ce système » et « d’accélérer la réduction de la part de la T2A... » . Face au caractère fumeux de ces propos il est raisonnable d’être circonspect !

      Parmi « les 33 mesures » annoncées, citons aussi la volonté d’ « encourager les téléconsultations » , de décloisonner l’hôpital, la médecine de ville et le médico-social mais sans mesure concrète, « libérer les établissements des contraintes chronophages » et autres baragouinage sans mesure concrète.


      Le gouvernement veut « une gouvernance plus locale » et une revitalisation des services. Les candidats chefs de service devront présenter un projet : mais c’est déjà le cas ! On ne voit pas très bien le changement… Les pôles sont maintenus, même si les hôpitaux seront libres d’en décider.


      S’agissant des Instituts de formation en soins infirmiers (#IFSI), le gouvernement propose de doubler les formations d’aides-soignantes d’ici 2025 et d’augmenter de 10% celles des #IDE (Infirmières diplômées d’Etat). Ces mesures s’imposaient car l’on sait que la « durée de vie professionnelle » d’une IDE est de 6 ans... Mais au lieu d’augmenter massivement les postes d’IDE et de renforcer les IFSI, le gouvernement « lance une réflexion sur une nouvelle profession intermédiaire entre les IDE et les médecins » … ce qui lui permettra de gagner du temps et ne résoudra pas les manques d’effectifs dans les services !


      S’estimant satisfait d’avoir « remis de l’humain, des moyens et du sens dans notre système de santé » le Ministre conclut en annonçant un autre « Ségur de la santé publique » pour la rentrée et un « comité de suivi » des volets 1 et 2 du Plan Ségur.

      Qui peut se faire encore des illusions après cet enfumage cynique ?
      L’aumône concédée aux soignants, loin de leurs revendications qui préexistaient au Covid-19, ne suffit même pas à corriger le blocage du point d’indice depuis 10 ans alors que des centaines de milliards d’euros sont offerts aux multinationales et au #MEDEF.


      Rien n’est dit sur les ordonnances Juppé de 1995, sur la loi #HPST (hôpital, patients, santé, territoire) de la ministre de la Santé de Sarkozy, Roselyne Bachelot, qui vient de faire un grand retour en qualité de ministre de la culture ! Rien sur les lois Touraine et Buzyn qui ont continué à fermer des lits et détruire des postes !

      Rien sur le matériel, les respirateurs, les médicaments, les postes à créer, les hôpitaux à moderniser ! Rien sur les lits de réanimation dont on a vu la pénurie pendant ces 6 derniers mois ! Rien sur les 30 000 morts dont le pouvoir est responsable, faute de production locale de masques, de gel hydro-alcoolique, de gants, de tenues de protection, de médicaments, alors qu’une autre vague de la Covid-19 menace ! Où est le plan de relocalisation des industries de santé ?

      La signature de cet « accord » par la CFDT, FO et l’UNSA est une infamie ! Et cela alors que ces syndicats savent que Macron-Castex vont remettre sur la table la contre-réforme des retraites ! 


      Ils prétendaient après le volet 1 que les « autres volets » Ségur arrivaient : investissement et financement des hôpitaux, réforme de la #T2A, organisation territoriale, et « gouvernance » de l’hôpital. Pipeau !


      Qui peut se faire encore des illusions après cet enfumage cynique ? 


      Qui peut encore gober les déclarations officielles faisant des soignants des héros alors qu’ils ont été maltraités, le sont et le seront encore après ce Ségur de la honte ?


      Comment l’hôpital public va-t-il s’en sortir alors que la France est en voie de paupérisation et qu’il y aura un million de chômeurs de plus à la fin de l’année ?

      Ce qu’il faut retenir, c’est que 15 organisations n’ont pas signé cet « accord » déshonorant ! Parmi lesquelles la CGT, Sud, l’AMUF, la Confédération des praticiens des Hôpitaux, le Syndicat Jeunes Médecins, l’Union syndicale Action Praticiens des Hôpitaux, le Syndicat des professionnels IDE, etc. Leur manifestation du 14 juillet contre ce « plan » Macron-Castex-Véran-Notat est le début de la réplique contre l’indécent « hommage » de ce pouvoir aux soignants ! Il faut espérer que le mouvement social n’en restera pas là ! Que les citoyens s’en mêleront !

      Un seul objectif s’impose à nous : virer ce pouvoir inféodé aux multinationales, à la finance et à l’Union européenne !

      #Santé #santé_publique #soin #soins #enfumage #baragouinage #ségur #capitalisme #économie #budget #politique #olivier_véran #nicole_notat #agnès_buzyn #jean castex #alain_juppé #roselyne_bachelot #marisol_touraine #paupérisation #médecine #hôpital #inégalités #médecins #médecine #services_publics #conditions_de_travail #infirmières #infirmiers #soignants #soignantes #docteurs #budget #argent #fric #ue #union_européenne

  • « Ne parlez pas de violences policières » : un hors-série La Revue dessinée et Mediapart
    https://blogs.mediapart.fr/claire-denis/blog/230620/ne-parlez-pas-de-violences-policieres-un-hors-serie-la-revue-dessine

    https://www.youtube.com/watch?v=D_s_ZXfCRuI

    Un homme qui crie sept fois « j’étouffe » avant de mourir lors d’un banal contrôle routier. Des lycéens agenouillés les mains derrière la tête. Des pompiers frappés par des policiers. Des soignantes traînées au sol par les forces de l’ordre. Des « gilets jaunes » mutilés. Des actes, des paroles et des écrits racistes banalisés. Des rassemblements noyés sous les gaz lacrymogènes et victimes des LBD. Une police des polices qui enterre les dossiers. Et des familles endeuillées, qui ne demandent qu’une chose depuis des années : « justice et vérité ».

    Face à cela ? Un déni, un outrage même, prononcé par le président de la République en personne : « Il n’y a pas de violences policières. »

    Raconter les vies brisées, décrypter la fabrique de l’impunité, remonter les chaînes de responsabilité, voilà qui devient une nécessité, que ce soit écrit, filmé ou dessiné. D’où ce hors-série exceptionnel Mediapart/La Revue dessinée, à mettre sous les yeux de tous ceux qui veulent comprendre, et de tous ceux qui détournent le regard.

    Au sommaire : 160 pages d’enquête en bande dessinée.
    Avec : Marion Montaigne, Assa Traoré, David Dufresne, Fabien Jobard, Pascale Pascariello, Vanessa Codaccioni, Camille Polloni, Louise Fessard, Claire Rainfroy, Benjamin Adam, Vincent Bergier, Michel Forst, Aurore Petit, Thierry Chavant, Géraldine Ruiz.

    Accuser le coup
    
L’affaire Geneviève Legay : une charge, des révélations en série, de l’embarras, des médailles et du déni.

    Colère noire
    Après le meurtre de George Floyd aux États-Unis, plongée dans le mouvement Black Lives Matter, de l’étincelle à l’embrasement.

    Corriger le tir
    
Sourde aux critiques qui lui sont adressées, la France est l’un des rares pays européens à utiliser sans réserve les LBD.

    La vie volée de Maria
    Après un déchaînement de violence contre une jeune femme, la police des polices protège les siens.

    Le flic du futur
    Drones, robots et policiers augmentés... Au salon Milipol se dessine l’avenir high-tech des forces de l’ordre.

    Plusieurs entretiens au fil du numéro
    Assa Traoré, Fabien Jobard, Vanessa Codaccioni, David Dufresne et Michel Forst.

    #police #violence_policiére #violences_policiéres

  • [La vie électrique] Tutti Frutti
    http://www.radiopanik.org/emissions/la-vie-electrique/tutti-frutti

    une émission tutti frutti avec supplément chantilly, où des femmes voyagent dans le temps, où l’on explore l’espace en pyjama, où l’on parle de #Nicole_Claveloux et de #Nnedi_Okorafor

    #Kate_Mascarenhas : The Psychology of Time Travel #Amal_El-Mohtar & #Max_Gladstone : This Is How You Lose the Time War Quelques romans de #Connie_Willis (Le Grand livre, Black-out, All clear, …) #Star_Trek : Picard Star Trek : Discovery Nnedi Okorafor : Who fears death Nnedi Okorafor : Binti

    Encyclopédie improvisée de l’illustration fantastique et #science-fiction : Nicole Claveloux (et notamment réédition de La Main Verte chez Cornélius)

    La playlist :

    Ennio Morricone : Robodog William Shatner : Rocket man Geoff Goddard : Sky men John Barry : Electronic dance (feat. Billy (...)

    #science-fiction,Star_Trek,Nicole_Claveloux,Kate_Mascarenhas,Connie_Willis,Amal_El-Mohtar,Max_Gladstone,Nnedi_Okorafor
    http://www.radiopanik.org/media/sounds/la-vie-electrique/tutti-frutti_08551__1.mp3

  • yo,

    j’entends à la radio, une brève : « Adèle Haenel, dénonce blabla » qui n’ose même pas mettre un extrait du « moment » (c’est pas comme si on avait sous la main une oratrice hors pair, bandes de brelles), mais nous colle une vilaine lecture de ses mots, façon rédaction laborieuse de tes vacances, pour ensuite, vite, vite, laisser la parole à je ne sais quelle experte des violences sexuelles, qui invitera à son tour Adèle Haenel à porter plainte.

    Misère.

    On pourrait éviscérer l’agresseur sur la place publique, danser avec ses entrailles en guirlande autour du cou (programme plaisant certes) que ça ne changerait rien. Et ça été dit : il n’y a pas de lynchage, on ne cherche pas la vengeance. Moi je crois, même si ça, ce n’est pas vraiment dit, et qu’on laisse même penser à un moment que la justice pourrait faire quelque chose, si elle changeait, moi je crois qu’on le sait, qu’il n’y aura jamais de réparation à la hauteur. Quand on s’est fait baisé, eh bien, on s’est fait baisé. C’est le propre de la chose, du crime. Shit is fucked. Alors qu’est-ce qu’il reste à faire ? Eh bien ce qu’elle a fait : parler. Se battre. Déplier ce fatras, avec rigueur et austérité, sur la place publique, en invitant tout le monde à se confronter, à nettoyer l’infinie fosse à purin, à retordre les tordus, bref, à vivre, j’ai envie de dire, en tout cas mille choses plus agissantes qu’un misérable dépôt de plainte, une vulgaire réclamation à la place d’une révolution.

    Et puis, empêcher cette crapule de continuer ses crapuleries, la revanche, eh bien, elle la prise diable ! Mais comme en passant, en visant plus loin. Athéna a transpercé le type avec aisance, évidemment. Depuis sa position de force, certes, ce qui n’est pas donné à tout le monde, mais moi, c’est ce que j’appelle ouvrir des portes, rendre cela possible, partager cette puissance, la multiplier, la déposer sur la table et maintenant, que tout le monde s’en saisisse, bordel, et vite.

  • Affaire Tapie : le parquet fait appel
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160719/affaire-tapie-le-parquet-fait-appel

    Le parquet de Paris a décidé d’interjeter appel du jugement prononcé le 9 juillet par le tribunal correctionnel de Paris dans l’affaire Tapie. Il s’en est failli d’un rien qu’il prenne une décision inverse, mais l’intrusion de Nicole Belloubet dans le dossier et le conflit d’intérêts familial du procureur de Paris ont rendu cette reculade impossible.

    #JUSTICE #Nicole_Belloubet,_Tapie,_Remi_Heitz

  • Le ministre renvoie sa directrice de cabinet pour avoir conservé son HLM
    https://www.mediapart.fr/journal/france/110719/le-ministre-renvoie-sa-directrice-de-cabinet-pour-avoir-conserve-son-hlm

    Suite aux révélations de Mediapart, François de Rugy a demandé à sa directrice de cabinet de présenter sa démission. Elle « occupait » un logement HLM depuis 2001 à Paris. Et l’avait même conservé de 2006 à 2018, alors qu’elle n’habitait plus la capitale.

    #INÉGALITÉS #François_de_Rugy,_logement_social,_HLM,_Nicole_Klein,_A_la_Une

  • La directrice de cabinet de Rugy a conservé douze ans son HLM sans y habiter
    https://www.mediapart.fr/journal/france/100719/la-directrice-de-cabinet-de-rugy-conserve-douze-ans-son-hlm-sans-y-habiter

    La directrice de cabinet de François de Rugy au ministère de la transition écologique, la préfète Nicole Klein, « occupe » un logement HLM depuis 2001 à Paris, selon une enquête de Mediapart. Elle a conservé ce logement, de 2006 à 2018, alors qu’elle n’habitait plus la capitale.

    #INÉGALITÉS #Nicole_Klein,_logement_social,_François_de_Rugy,_HLM,_A_la_Une

  • L’ivresse décime Théophraste R - 18 Mars 2019 - Le Grand Soir
    https://www.legrandsoir.info/l-ivresse-decime.html

    Pour dire qu’elle souffre, une partie du pays s’expose, tous les samedis depuis 18 semaines, aux énucléations, amputations, fractures, plaies, gazages, matraquages, gardes à vue, procès expéditifs, emprisonnements. La majorité de citoyens la soutient, en dépit d’autres passages à tabac, incessants, par les « grands » médias qui ont lâché leurs chiens. Les animateurs, éditorialistes, politologues, « philosophes » (sic) aboient. L’un dit que l’armée devrait tirer, l’autre qu’il faut mettre les meneurs jaunes en état d’arrestation.

    Les mauvaises langues racontent que, rentré précipitamment de La Mongie, Macron a engueulé Castaner (qui lui conseillait d’enlever ses après-skis). « Et toi, ferme ta braguette » aurait-il répliqué sèchement avant de faire filmer une réunion de crise où, livide, les traits durcis, il a averti chacun qu’en matière de gestion du problème, « on n’y est pas ».

    Traduisez, non pas « Il faut céder à ceux qui ont faim », mais « Il faut taper plus fort sur Jojo, les analphabètes-alcooliques-fainéants-fouteurs-de-bordel qui ne sont rien et qui nous les gonflent avec leur histoire de fin de mois ».

    Bref, il faut remplir les prisons et les hôpitaux. Les morgues, peut-être.

    Edouard Philippe, qui pense que son heure approche (Macron étant fini), se pencha sur Nicole Belloubet (défaite comme si elle venait de se découvrir dans un miroir) pour lui chuchoter un petit poème irrévérencieux qui résumait le désarroi macronien :

    « Le Fouquet’s, symbole de la République

    Est incendié par les CRS.

    Brigitte, la muse érotique

    Est restée seule sur le tire-fesse ».

    Théophraste R. Auteur du mémoire (en cours) : « Le méprisant des riches peut-il finir en prison ? » et du pamphlet (déchiré et poubellisé dès le premier chapitre) : « Le jour où la foule haineuse s’empara de Mussolini ».

    #violence #emmanuel_macron #christophe_castaner #nicole_belloube #edouard_philippe

  • Les 66 propositions du « pacte pour le pouvoir de vivre » , où Berger sort de sa niche avec Hulot et qu’avec L’ImMonde ils se proposent d’amender et sauver le régime
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/03/05/les-66-propositions-du-pacte-pour-le-pouvoir-de-vivre_5431464_3232.html

    Dans une alliance inédite, dix-neuf organisations, ONG et syndicats présentent mardi 5 mars une série de mesures pour « faire face à l’urgence sociale et économique ».

    Document. Le ton est solennel. Dans un document publié mardi 5 mars, présenté dans Le Monde par Nicolas Hulot, le président de la fondation qui porte son nom, et le secrétaire général de la CFDT Laurent Berger, dix-neuf organisations, ONG et syndicats mettent en garde. « Les alarmes retentissent. Qu’elles viennent de nos organisations depuis des années ou plus récemment de citoyens éloignés de la vie publique, ces alarmes disent la même chose. Un modèle de société qui génère autant d’inégalités et d’injustices et met en péril la vie sur Terre de nos enfants et petits-enfants, et de millions d’êtres humains à travers le monde, n’est plus un modèle. C’est un non-sens », écrivent ces organisations.

    Ces structures – dont l’UNSA, ATD quart-monde, la Mutualité française, France terre d’asile, le Réseau action climat, la FAGE… – sont rassemblées dans une coalition inédite en faveur d’un « nouveau pacte politique, social et écologique », qu’elles définissent comme « un pacte pour l’humain et pour l’humanité (…). Un pacte du #pouvoir_de_vivre, aujourd’hui et demain, dans la dignité et le respect, un pacte qui nous engage tous ».
    A l’appui, 66 propositions, qui vont du logement à la formation, de la lutte contre l’exclusion à la mobilité, de la fiscalité à la politique du grand âge, avec comme exigence centrale la préservation de l’environnement et des conditions de vie futures de l’humanité.

    Avec une vidéo et la liste des propositions, "un quasi-programme politique"...
    #Pacte_social

    Nicolas Hulot et Laurent Berger : « 66 propositions pour un pacte social et écologique », Propos recueillis par Simon Roger, Audrey Garric et Rémi Barroux

    Au nom d’une coalition inédite de 19 organisations, l’ancien ministre et le secrétaire général de la CFDT présentent un pacte visant à concilier transition environnementale et équité.

    Représentant une alliance de dix-neuf organisations issues de la protection de l’environnement et du mouvement social, Laurent Berger, secrétaire général de la CFDT, et Nicolas Hulot, ancien ministre de la transition écologique qui a démissionné de son poste en août 2018, aujourd’hui président de la fondation qui porte son nom, présentent un projet « pour donner à chacun le pouvoir de vivre ». Celui-ci rompt avec la politique du gouvernement, sur fond de crise des « gilets jaunes » et de mobilisations pour le climat.

    Vous présentez, mardi 5 mars, soixante-six propositions qui forment un « pacte social et écologique ». Qu’apportez-vous de plus dans le débat actuel sur l’enjeu climatique ?

    Nicolas Hulot Notre alliance : cette coalition veut rendre définitivement indissociable l’enjeu écologique et l’enjeu social. Ce n’est pas un front de dénonciation, mais de proposition. Notre responsabilité, dans un contexte très tendu, au niveau national, européen et, plus encore, au niveau mondial, est de ne pas rester dans le constat, mais d’aller vers la construction, dans la proposition, d’additionner les intelligences et cesser de les opposer.
    Toutes les initiatives en cours, marches, mobilisation des jeunes, etc., sont autant de signaux positifs, incitatifs, à destination des politiques. Dans une démocratie qui fonctionne bien, il faut trouver une forme de synchronisation entre les aspirations citoyennes et la volonté politique.
    Un dénominateur commun existe entre elles : la double soif de cohérence et de dignité. Ces mouvements posent des questions qui doivent être entendues, notamment la demande d’équité – que chacun prenne sa part à proportion de ses moyens –, et de dignité parce qu’il y a des injustices dont on s’est accommodé trop longtemps. Ce n’est plus possible dans un monde où tout se voit, tout se sait.

    Laurent Berger A l’urgence écologique a répondu une ambition très faible. Le mouvement social, qui a bien d’autres causes, s’est cristallisé au départ sur la question de la fiscalité écologique. L’ambition sociale n’est pas antinomique du respect de l’environnement et de l’ambition écologique, et doit être au contraire construite de façon concomitante. Dans notre pacte, se retrouvent des organisations environnementales, des syndicats, des associations de lutte contre la pauvreté, sur le logement, de jeunesse et des mouvements d’éducation populaire.
    Ensemble, nous voulons affirmer l’enjeu de la transition écologique. « L’Affaire du siècle » [quatre associations attaquent l’Etat en justice pour son « inaction climatique »], mais aussi la mobilisation internationale des jeunes, le 15 mars, et la marche du 16 mars pour le climat sont autant de raisons d’espérer. Ne lâchons rien, et même allons beaucoup plus loin sur la transition écologique. Elle contribue aux solidarités, à l’emploi, à la lutte contre la pauvreté. A la condition que l’on fasse les bons choix, notamment en termes de répartition des richesses, en termes de politique fiscale. Ce n’est pas ce qui se fait aujourd’hui.

    Qu’espérez-vous concrètement avec le lancement de la plate-forme ?

    N. H. Il faut rester réaliste, d’autant qu’on est à un point de bascule dans nos sociétés. Nous ne passerons pas d’un état de scepticisme et d’inquiétude à un état d’euphorie. Il en faudrait peu pour basculer vers l’irréversible. Et il n’en faudrait pas non plus beaucoup pour qu’en y mettant des moyens et de la cohérence, on puisse faire un saut qualitatif. Mais les délais sont très courts. Les choix qui vont être faits en Europe et en France sont déterminants sur l’amplitude de la crise écologique, qui se cumule à une crise sociale, économique, culturelle et de civilisation.
    A partir du moment où il y a une expression diversifiée, massive, une injonction presque amicale aux politiques, j’attends qu’ils se sentent pousser des ailes et piochent dans notre boîte à outils, dans les propositions de ceux qui représentent des citoyens, des hommes et des femmes de terrain. Qu’ils ne voient pas cela comme un affront, mais comme une aubaine.
    Il y a une nécessité de rétablir une forme de confiance entre le politique et le citoyen. Ne tombons pas dans le travers démagogique qui est de considérer que ce serait dû au fait que le politique ne comprend rien à rien. Il a les défauts et les qualités du reste de la population. Il faut essayer de comprendre pourquoi, tous les cinq ans, on se soumet à une forme d’illusion et pourquoi, un an et demi après, on retombe sur terre violemment.
    Ce qui ne fonctionne pas, c’est qu’on ne se donne pas les moyens, c’est-à-dire qu’on se débarrasse d’un certain nombre de sujets avec des feuilles de route, des plans mais, bien souvent, sans la capacité de les réaliser, et notamment sans le nerf de la guerre : l’argent. Dans une période de transition qu’il est nécessaire d’accompagner, afin de la rendre socialement acceptable et même désirable, il faut investir.

    Dans quels secteurs ?

    N. H. Les problèmes de précarité énergétique, de mobilité, d’alimentation saine, appellent des investissements massifs. Et l’on sait bien que les marges budgétaires des Etats, si l’on tient compte des critères maastrichtiens et de la réalité de notre budget, sont réduites comme peau de chagrin. Si on ne sort pas des sentiers battus, on entretiendra encore une fois une mystification et une grande désillusion collective.
    Dans nos propositions, il y a deux choses. Premièrement, être capable d’extraire les investissements des critères européens. Deuxièmement, il faut un big bang fiscal parce que la fiscalité actuelle n’est pas juste, que le partage de l’effort n’est pas équitable. La fiscalité s’est accommodée trop longtemps de ce que les plus malins se sont organisés pour échapper à la solidarité. Parce qu’aussi, la fiscalité écologique a toujours été pensée comme additionnelle et punitive – ce qui s’est passé avec la fameuse taxe carbone –, alors qu’il faut faire en sorte qu’elle soit incitative ou dissuasive, mais sans mettre en difficulté.
    Bercy [le ministère de l’économie] doit faire son deuil sur l’affectation de la taxe carbone au budget national. Les recettes doivent être affectées à un coussin social, destiné aux gens qui se retrouvent dans une impasse. Personne ne conteste la nécessité de mettre un prix à la pollution, mais, collectivement, on s’y est très mal pris.

    L. B. Notre objectif, c’est que le gouvernement entende l’ambition que portent un certain nombre d’organisations représentant les corps intermédiaires. Celle-ci ne consiste pas en une simple liste de mesures, c’est celle d’un pacte social pour la transition écologique, la construction d’un autre modèle de développement. Pour cela, il existe plusieurs leviers dont le principal est financier. Il faut des politiques d’investissement, au niveau national comme européen, dignes de ce nom et pour cela, il faut mettre à contribution les flux financiers et rendre la finance plus responsable socialement et écologiquement.
    Le gouvernement doit comprendre que s’il se contente de retenir le troisième tiret d’une proposition, puis le quatrième d’une autre, cela ne fera pas sens. Cette transition doit se faire à hauteur de femme et d’homme. C’est cela que nous appelons le pouvoir de vivre. Nous n’avons pas seulement rédigé une contribution pour le grand débat, nous voulons nous inscrire dans la durée et peser sur les politiques menées, durablement. Et nous espérons qu’elle ne sera pas traitée d’un revers de la main.

    Pourquoi seriez-vous plus entendu aujourd’hui, alors que vous évoquez un « manque d’écoute du gouvernement »…

    L. B. Nous n’avons certes pas la certitude d’être entendus. Le gouvernement peut décider de traverser cette crise en continuant, comme avant, dans une pure logique budgétaire, sans fixer un cap de politiques sociales dans le cadre d’une vraie transition écologique. Si, à la fin du grand débat, la conclusion est soit institutionnelle, soit faite de mesurettes s’inscrivant dans un cadre budgétaire contraint, ce sera un échec. La colère ressurgira sous d’autres formes, avec des issues qui nous inquiètent profondément. Il n’y a pas qu’un enjeu écologique et social, il y a un enjeu démocratique dans la crise que nous traversons.
    Il n’y a que ceux qui n’auront pas essayé de peser sur l’issue du grand débat qui auront fait une connerie. Moi, je suis un peu plus flippé qu’il y a quelques années sur la situation sociale, écologique et démocratique. On aurait tous préféré être écoutés plus en amont. Mais il vaut mieux maintenant que jamais.

    La taxe carbone, point de départ de la colère des « gilets jaunes », peut-elle être conjuguée aux attentes sociales ?

    N. H. Pas telle qu’elle a été mise en œuvre. C’est un vieux débat. A l’époque où l’idée de fixer un prix au carbone avait été mise sur la table, je rappelle que les ONG, dont je faisais partie, avaient parlé de cette contribution climat énergie pour aider ceux qui allaient se retrouver dans la difficulté. La recette de cette taxe doit être intégralement affectée à la dimension sociale. Mais il faut quand même inciter tout le monde à la vertu, et mettre un prix à la pollution. Il faut un dispositif d’ensemble. J’ai toujours fait partie des convaincus qui estimaient que si on voulait cette transition, il fallait intégrer l’élément social. Pourquoi, d’après vous, ai-je appelé mon ministère « de la transition écologique et solidaire » ?
    Mais l’heure n’est ni au constat ni au procès du passé, notre démarche n’est pas agressive, elle est constructive. Personne n’a seul la vérité, mais chacun en détient une part. Le citoyen avec son gilet jaune a sa part de réalité mais ne mésestimons pas les corps intermédiaires, les ONG qui se sont penchées depuis longtemps sur cette question et avaient tiré le signal d’alarme.
    La fiscalité dans son ensemble est un outil de recettes pour certains, mais c’est aussi un outil de régulation. En affirmant les principes de prévisibilité, de progressivité et d’irréversibilité, en quinze ans, on peut changer les modes de production et de consommation. Qu’est-ce qui nous interdit dans la perspective européenne de mettre sur la table une TVA modulable en fonction des impacts sociaux et environnementaux ? Qu’est-ce qui nous interdit d’y aller à fond sur la taxe sur les transactions financières, car si nous ne donnons pas une bouffée d’air aux Etats, nous serons toujours condamnés à l’austérité au Nord et à la misère au Sud. Qu’est-ce qui nous interdit d’inscrire dans les priorités la fin de l’optimisation fiscale dans l’espace européen ?

    La fiscalité apparaît centrale dans votre approche…

    N. H. Si on ne met pas fin à ces injustices, je peux comprendre que la taxe carbone paraisse injuste car dans le même temps l’ISF a été supprimé. En outre, on voit que l’aviation et le transport maritime sont exonérés de cette taxe. Même si j’entends les arguments d’Emmanuel Macron sur l’intérêt d’arrêter cet impôt, il faut mettre l’ensemble de ces sujets sur la table si on veut apaiser les esprits. Que le citoyen n’ait pas le sentiment d’être le seul mis à contribution et que les plus gros pollueurs, les plus puissants, y échappent. Le moment de l’équité et de la vérité fiscale est venu.
    Dans la perspective des élections européennes, il faut mettre la barre très haut. Rien qu’en France, on a besoin de 10 à 30 milliards d’euros en plus pour investir dans la transition. Il ne faut pas les voir comme des éléments de dépense mais comme des éléments d’indépendance. Tout ce qu’on investira dans les énergies renouvelables restera dans nos frontières. Tout ce qu’on économisera grâce à l’efficacité énergétique sera autant d’argent à investir dans le social, la santé, l’éducation. Quand j’étais ministre, on me disait en permanence que, « par principe », on ne pouvait pas sortir des critères de Maastricht. Ce dont je suis sûr, c’est qu’à force de dire « on ne peut pas par principe », cela se terminera forcément mal. On ne peut pas continuer comme cela.

    Etes-vous favorables à la relance de la hausse de la taxe carbone ?

    L. B. Il y a nécessité de relancer la taxe carbone. Est-ce qu’il faut repartir sur le même mécanisme, c’est un vrai sujet. Mais donner un prix au carbone est nécessaire. Il faut aller plus loin : répartir différemment les richesses, taxer davantage les dividendes, taxer les transactions financières.

    N. H. Il faut regarder toutes les possibilités pour donner un prix à la pollution. Certains parlent d’une taxe flottante. D’autres disent que cela n’est pas possible à piloter, mais il me semble qu’en d’autres temps [entre 2000 et 2002], on a eu une TIPP [taxe intérieure de consommation sur les produits pétroliers] flottante. En revanche, on sait ce qu’il ne faut plus faire : une augmentation de la taxe carbone qui ne soit pas redistribuée, soit dans la transition énergétique, soit pour aider les personnes impactées qui n’auraient pas la possibilité de compenser.

    Faut-il rétablir l’impôt de solidarité sur la fortune (ISF) ?
    L. B. On a besoin d’une contribution fiscale des plus hauts revenus. Est-ce l’ISF ? Les combats perdus ne m’intéressent pas, le gouvernement ne reviendra pas sur la suppression de l’ISF. Une régulation de la finance, en renforçant la lutte contre l’évasion fiscale ou en taxant les GAFA [les géants du numérique, Google, Apple, Facebook, Amazon et Microsoft], accompagnée par une fiscalité beaucoup plus redistributive avec, par exemple, une tranche d’impôts supplémentaire, peut permettre de dégager les moyens importants que nécessite la transition écologique. On doit mettre les moyens là où on en a le plus besoin – l’investissement productif au service de la transition écologique, la vie quotidienne des Français avec les déplacements, le logement –, et en direction des plus fragiles.

    N. H. La fiscalité écologique a été le bouc émissaire. Il y a eu un manque de transparence et la brutalité d’une hausse sans compensation. Vouloir dégager des marges de manœuvre grâce à la fiscalité écologique est une erreur. J’ai la conviction que pour Bercy, la taxe carbone a été une aubaine. Pour faire des économies, il faudrait plutôt remettre en cause les milliards de subventions aux énergies fossiles, ou revoir la fiscalité sur les dividendes et sur tout ce qui est exonéré en toute immoralité. C’est cela qui crée l’exaspération et la colère des citoyens, et qu’il faut remettre à plat.
    La transition, c’est aussi du concret. On propose, par exemple, un service public de la transition écologique avec un guichet unique. Cela fait partie de ces mille mesures qui restent lettre morte. On se fixe depuis plusieurs gouvernements des objectifs de rénovation des passoires thermiques, mais on ne met pas l’argent. Soit parce que l’on ne va pas le chercher là où il est, soit parce que l’on est prisonnier des critères de Maastricht.

    Comment trouver cet argent ?
    N. H. Les traités européens offrent des flexibilités que l’on n’exploite pas pleinement pour investir massivement dans la transition. L’urgence climatique ne justifie-t-elle pas de déroger, au moins quelques années, au court-termisme budgétaire ? Quand il y a eu la crise économique, on ne s’est pas posé la question de sortir de l’orthodoxie financière en faisant de la création monétaire, pour sauver pas seulement les banques mais aussi les épargnants. Cela a davantage servi à la spéculation plutôt qu’à l’investissement. Aujourd’hui, on s’interdit d’y penser pour sauver non seulement la planète, mais surtout l’avenir de nos enfants. Ça me rend dingue.
    On peut aussi étudier la proposition de Pierre Larrouturou et de Jean Jouzel du pacte finance-climat [qui prévoit notamment la création d’une banque et d’un fonds européen du climat, totalisant jusqu’à 300 milliards d’euros par an].

    L. B. Il faut aussi conditionner un certain nombre d’aides publiques versées aux entreprises au fait qu’elles investissent dans la transition écologique et dans des politiques sociales, comme l’intégration de personnes discriminées. Elles doivent aussi investir dans un partage de la gouvernance.

    Pourquoi la France ne sait-elle pas organiser concrètement la transition, comme assurer la mutation professionnelle liée à la fermeture d’une centrale nucléaire ?

    L. B. Notre pays ne vit que dans l’instant et pâtit d’une incapacité d’anticipation. Quand le moment des choix arrive, ils se déroulent toujours dans une forme d’hystérie et de confrontation stérile. On ne sait pas se fixer un cap clair ou tracer une trajectoire sans mettre les problèmes sous le tapis.

    N. H. Quand on s’est fixé l’objectif de réduire la part du nucléaire de 75 % à 50 % d’ici à 2025, c’était un cas d’école : on met ça dans la loi de transition énergétique et plus personne ne s’en occupe. Quand on regarde après, c’est la panique. C’est pour ça que la transition doit être basée sur trois principes : prévisibilité, progressivité mais irréversibilité.

    Soutenez-vous la mobilisation des jeunes et la grève scolaire internationale du 15 mars ?

    L. B. Je préfère toujours voir des lycéens se mobiliser sur des causes nobles et justes, pour le climat, contre le racisme ou le rejet de l’autre, plutôt que sur des choix sur telle ou telle réforme de droit du travail qui les concernera un jour mais pas tout de suite. Je pense que la jeunesse a un devoir d’alerte et qu’elle l’exerce aujourd’hui. En revanche, je ne soutiens jamais la désobéissance civile. On vit avec des règles communes ; si on les respecte tous, on peut les faire évoluer.

    N. H. Je me réjouis simplement qu’ils se manifestent et expriment leur inquiétude car leur sort est entre nos mains. Je ne pratique pas la désobéissance civile, mais je n’ai pas à dire aux lycéens ce qu’ils doivent faire. Ce signal très intéressant ne peut pas laisser insensibles les uns et les autres.

    Nicolas Hulot, pensez-vous que votre démission ait été le catalyseur de ce mouvement ?

    N. H. Je ne suis pas le mieux placé pour y répondre, mais quand je regarde la chronologie des faits, je me dis que cela y a probablement contribué. Je ne l’avais pas imaginé. Je me réjouis de toutes ces initiatives, positives, constructives et pacifiques. Cela me redonne un peu d’espoir.

    Toujours prévoir un ersatz de #sociale-démocratie au cas où ça tangue trop fort.

    • « Le syndicat le plus constructif de France » : Comment Laurent Berger est devenu le premier opposant à Emmanuel Macron, [rire un peu avec] Françoise Fressoz
      https://www.lemonde.fr/politique/article/2019/03/09/comment-laurent-berger-est-devenu-le-premier-opposant-a-emmanuel-macron_5433

      Depuis le début du quinquennat, le secrétaire général de la CFDT tente de s’inscrire dans une opposition constructive au chef de l’Etat pour rénover la social-démocratie.

      Ne dites pas à Laurent Berger qu’il fait de la politique, il vous répondra que « la CFDT assume ce qu’elle est : un syndicat de transformation sociale ». Ne lui rétorquez pas qu’il est en train de s’imposer comme l’opposant numéro un au chef de l’Etat dans le camp de la social-démocratie moribonde, il vous assurera la main sur le cœur qu’il n’est « ni dans le combat politique ni dans une opposition à Emmanuel Macron, mais dans une démarche constructive ». Et pourtant, à 50 ans, le secrétaire général de la CFDT est en train de changer de stature. [tadadam !]

      Naguère discret, le syndicaliste occupe le devant de la scène politique, comme s’il était le dernier survivant de la famille sociale-démocrate mise en déroute par l’élection du candidat d’En marche ! Son dernier coup d’éclat ? La publication, mardi 5 mars, d’un « pacte social et écologique » soutenu par dix-neuf organisations, comportant soixante-six propositions concrètes, doublée d’un entretien croisé dans Le Monde avec l’ex-ministre de la transition écologique et solidaire Nicolas Hulot. L’emblématique défenseur de l’environnement avait dit oui à Emmanuel Macron en mai 2017, avant de quitter le gouvernement en août 2018, estimant n’avoir pas les moyens de son action.

      Ce que proposent aujourd’hui les deux hommes est un véritable manifeste politique centré sur la compatibilité entre l’écologie et le social avec des propositions qui sont autant de contestations de l’action en cours : plus grande progressivité de l’impôt, taxation des hauts patrimoines, fin des dérogations bénéficiant aux revenus du capital, etc. En plein grand débat national, le texte aurait dû être logiquement porté par la gauche réformiste, si celle-ci n’était sortie exsangue de l’élection présidentielle.

      Fin janvier, L’Obs avait consacré sa « une » au syndicaliste, voyant en lui le digne héritier d’Edmond Maire (ex-secrétaire général de la CFDT) et le phare de la reconstruction de la deuxième gauche. Et tant pis si sa visibilité reste encore faible. Dans les rangs syndicaux, on ne s’improvise pas leader comme cela. Laurent Berger le Nantais a été repéré en 2003 par François Chérèque et a gagné ses galons un à un, en se faisant élire puis réélire patron de la CFDT, au terme d’un minutieux travail de terrain. Puis, il a hissé son organisation au rang de premier syndicat de France et cela l’a libéré.

      « Heureusement qu’il est là ! »

      Dans un pays où la gauche réformiste a toujours eu du mal à s’assumer, rongée par la culpabilité de n’être jamais suffisamment révolutionnaire, lui revendique haut et fort le positionnement que la centrale assume avec constance depuis l’éviction des trotskistes en 2003. « Je ne me lève pas chaque matin en me demandant ce que va dire Philippe Martinez [le secrétaire général de la CGT] », s’amuse-t-il.

      Sous le précédent quinquennat, cela donnait lieu à des discussions épiques avec François Hollande. « Assume donc tes conquêtes au lieu de t’en excuser » , conseillait le syndicaliste au chef de l’Etat, qui n’a pourtant cessé de louvoyer entre son aile sociale-démocrate et son aile sociale-libérale, pour finir par être dépassé par cette dernière.

      Même s’il déplore un beau gâchis, le leader cédétiste n’a jamais rompu le dialogue avec l’ancien président. Lorsque la Fondation Jean-Jaurès l’a auditionné à l’automne 2018 pour tirer l’inventaire du précédent quinquennat, Laurent Berger n’a pas chargé la barque, contrairement à beaucoup d’autres. Les deux hommes continuent d’échanger avec plaisir mais sans exclusive.

      Article réservé à nos abonnés : L’autopsie sans complaisance du quinquennat Hollande par la Fondation Jean-Jaurès

      Le syndicaliste a aussi des contacts réguliers avec Bernard Cazeneuve, Jean-Marc Ayrault, Michel Sapin et beaucoup d’autres dans les rangs #socialistes et #écologistes. « Heureusement qu’il est là ! », s’exclament ces derniers en substance.

      Mais plus les éloges fusent, plus le syndicaliste se braque. « Si la #gauche pense qu’elle peut me récupérer, elle se fourre le doigt dans l’œil ! », dit-il au Monde. Pas touche à l’autonomie de la CFDT, c’est son ADN [qu’une série de mutations génétiques initiées durant les 70 a totalement retournée] . Tout comme l’est sa volonté de s’affirmer encore et toujours comme le syndicat le plus constructif de France .

      Créer un rapport de force

      Oui, mais comment le démontrer sans débouché politique ? C’est la question autour de laquelle tourne Laurent Berger depuis l’élection d’Emmanuel Macron. Pour prouver son utilité, il doit créer un rapport de force, donc jouer la surenchère. C’est la grande nouveauté par rapport à l’ère Hollande. Il n’y était pas forcément préparé car, a priori, rien d’incompatible entre lui et le président. A la fin de l’étrange printemps 2017, l’ex-secrétaire générale de la CFDT #Nicole_Notat avait d’ailleurs appelé à voter Macron. Et une grande partie des adhérents l’avait suivie, tout comme une majorité d’électeurs socialistes.

      Mais, depuis le début du quinquennat, le courant ne passe pas. « J’ai des discussions intéressantes avec le président mais, à certains moments-clés, lorsque certains mots sont prononcés comme ceux de solidarité ou de pauvreté, je vois son regard partir ailleurs », a récemment confié à un proche Laurent Berger, très troublé, de retour d’un tête-à-tête avec le chef de l’Etat.

      Lire aussi La gauche salue le « pacte » proposé par Laurent Berger et Nicolas Hulot [sic]

      Au sein de la majorité, un certain nombre d’élus ou de responsables regrettent d’ailleurs que le quinquennat se déporte trop à droite et néglige l’apport capital, à leurs yeux, du syndicat réformiste. Lorsque, en plein mouvement des « #gilets_jaunes », le premier ministre Edouard Philippe éconduit maladroitement le leader de la CFDT en refusant le « Grenelle du pouvoir de vivre » qu’il vient de proposer, le président du groupe La République en marche (LRM) à l’Assemblée nationale, Gilles Le Gendre, le rattrape par la manche en l’invitant, le 14 janvier, à intervenir devant les députés de la majorité. Laurent Berger y est ovationné.

      « Je n’ai pas de problème personnel avec Emmanuel Macron, je ne suis ni son ami ni son ennemi », tient aujourd’hui à préciser le leader syndical, faisant valoir que ce qui envenime leur relation dépasse largement le cadre du ressenti personnel.

      « Ce qui est en jeu, c’est la nature et l’ampleur de la recomposition politique en cours, analyse Gérard Grunberg, directeur de recherche émérite CNRS au Centre d’études européennes de Sciences Po. Soit il y a encore de la place pour une gauche sociale-démocrate rénovée, soit on va vers une recomposition à l’américaine autour d’un parti démocrate social-libéral. »

      Pour un retour en force des partenaires sociaux
      Laurent Berger joue clairement la première option. Le syndicaliste supporte mal le discours présidentiel autour des « premiers de cordée » qui néglige la notion « d’émancipation collective » chère à la CFDT. « On grandit avec les autres et dans les autres », martèle l’ancien adhérent de la Jeunesse ouvrière chrétienne (JOC), qui met en cause le bonapartisme du président, cette « vision personnelle » du pouvoir.

      Ce que reproche en retour Emmanuel Macron à la CFDT, comme aux autres syndicats, n’est pas moins lourd. Le président les tient pour responsables de ne pas vouloir assumer leur part dans la transformation qu’il appelle de ses vœux. « Si la CFDT avait fait son travail, on n’en serait pas là », soupire souvent M. Macron devant ses proches, en évoquant, entre autres, le chômage de masse qui gangrène le pays.
      Le mouvement des « gilets jaunes » n’a pas permis de solder la querelle. Certes, il a fait vaciller le pouvoir, mais sans épargner les syndicats, qui se sont sentis débordés et contestés. Là où Laurent Berger plaidait pour un retour en force des partenaires sociaux, le président a répondu par un grand débat national qui a conforté sa relation directe aux Français.
      L’idée que les syndicats, comme les partis, sont « mortels » s’ils ne se régénèrent pas, que le pays traverse un épisode dangereux pour la démocratie, parce que ses structures se désagrègent, éclaire toute sa démarche. « Il faut resserrer les liens avec la société civile et les territoires, martèle le syndicaliste. Si on veut éviter que le pays s’hystérise encore plus, il faut savoir entendre les différentes aspirations, dialoguer et concerter. »

      Depuis deux ans, le leader de la CFDT a intensifié le travail avec les intellectuels, les fondations, mais aussi les associations, pour faire émerger des propositions communes sur tous les grands sujets, devenant ainsi « le navire amiral de la société civile sociale-démocrate », selon l’expression du directeur général de la Fondation Jean-Jaurès, Gilles Finchelstein. « Laurent Berger a parfaitement compris l’importance de l’enjeu environnemental. Il renoue avec ce qu’avait tenté de faire le syndicat dans les années 1970 en travaillant sur ce sujet avec les ONG », observe l’ancien secrétaire confédéral de la CFDT, Richard Robert, éditeur du site Internet Telos.

      « Je veux être utile », répète comme un mantra Laurent Berger, sans pour autant cacher que son alliance avec le très médiatique et populaire Nicolas Hulot est un pavé dans la mare. « Après ça, je ne crois pas qu’ils puissent nous mépriser totalement », jubile-t-il en désignant l’Elysée et Matignon. Quelques heures après la publication du manifeste, le chef de file de la CFDT a reçu ce SMS dithyrambique de Gilbert Cette, professeur d’économie associé à l’université Aix-Marseille, qui avait conseillé Emmanuel Macron pendant la campagne présidentielle : « Bravo pour ce texte, tu positionnes la CFDT comme le grand syndicat réformiste du XXIe siècle ! »

      La réaction de LRM, qui doit présenter sa contribution au grand débat dimanche 10 mars, est bien plus mesurée. « Je me retrouve sur le projet de société, sur le fait de remettre les citoyens au cœur et de penser les sujets de transition comme un tout », réagit le délégué général du parti présidentiel, Stanislas Guerini. Mais pas question pour autant d’avaliser les propositions du syndicaliste.
      « Je ne suis pas sûr qu’être dans la surenchère soit efficace. La période est tellement particulière qu’elle appelle chacun à se dépasser », souligne pour sa part le conseiller d’Emmanuel Macron Philippe Grangeon. Pas de doute, Laurent Berger fait de la politique.

      #CFDT #syndicat_jaune

  • Lille : quatre Gilets jaunes, dont Alexandre Chantry, en garde à vue après s’être rassemblés avec des soignants du CHRU Quentin Vasseur - 22 Février 2019 - france 3 régions
    https://twitter.com/GiletsJaunesGo/status/1098988245071867906
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/nord-0/lille/lille-quatre-gilets-jaunes-dont-alexandre-chantry-garde

    Quatre Gilets jaunes ont été interpellés à Lille, dont la figure lilloise Alexandre Chantry ce vendredi après-midi, alors qu’ils manifestaient en compagnie d’une partie du personnel médical du CHU. 

    Le rassemblement était prévu sur le parvis de l’ICP et a démarré vers 13 heures. Plusieurs Gilets jaunes avaient appelé à se mobiliser dans le cadre de la visite conjointe de la ministre de la Santé #Agnès_Buzyn et de la Garde des Sceaux #Nicole_Belloubet

    Les faits se sont produits vers 14 heures, alors que les Gilets jaunes se trouvaient en nombre réduits sur le parvis, entre les CRS et un groupe de soignants plus nombreux.

    Sur une vidéo mise en ligne sur YouTube, on peut voir que les Gilets jaunes sont en nombre très réduits. Le personnel médical scande plusieurs fois « Pourquoi la police ? les soignants sont pacifiques ! » puis vers 5 minutes, les forces de l’ordre interviennent.

    https://www.youtube.com/watch?v=jfSmUYg2Kf0

    Cinq personnes avaient initialement été interpellées,mais la cinquième à été relâchée peu après. 

    Le parquet de Lille "confirme l’interpellation et le placement en garde à vue de 4 individus pour des faits de participation à une manifestation non préalablement déclarée, participation à un attroupement après les sommations d’usage et outrages à agent dépositaire de l’autorité publique. Les gardes à vue sont en cours."

    Une cinquantaine de Gilets jaunes s’est réunie en fin d’après-midi devant le commissariat de Lille. 

    Alexandre Chantry avait déjà été interpellé le 22 janvier alors qu’il s’était réuni avec une poignée de personnes devant le Grand palais où devait (supposément) venir le ministre Christophe Castaner. 

    #Lille #Hôpital #CHR #CHRU #Soignants #violences_policières #violences_judiciaires #en_marche #police #GiletsJaunes

  • En fait, les nouvelles d’#Italie, font vraiment vraiment vraiment #peur!
    C’est un #cauchmar.
    En Italie, le #fascisme n’est pas en marche... il va au galop!

    Quelques liens, que je mets ici en vrac, juste titre et lien...

    Novara, nel nuovo regolamento di polizia divieti su alcol in vetro, abiti succinti e bici legate ai pali

    https://www.lastampa.it/2018/11/02/novara/novara-nel-nuovo-regolamento-di-polizia-divieti-su-alcol-in-vetro-abiti-succinti-e-bici-legate-ai-pali-SZ2qRWWsy9coUXb6p80yNP/pagina.html

    ’’I bambini stranieri occupano le nostre altalene’’, le parole della nuova consigliera della Lega fanno il giro del web tra ironia e condanne
    https://www.ildolomiti.it/politica/2018/i-bambini-stranieri-occupano-le-nostre-altalene-le-parole-della-nuova-con

    Regione Veneto stanzia 50mila euro: premiate le scuole che fanno il presepe
    https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/veneto/regione-veneto-stanzia-50mila-euro-con-cui-premia-le-scuole-che-far

    Bomba carta e bottiglie molotov contro il centro di accoglienza per migranti
    http://www.riminitoday.it/cronaca/bomba-carta-e-bottiglie-molotov-contro-il-centro-di-accoglienza-per-migr

    Friuli, stretta su case a stranieri: il ’metodo-Lodi’ diventa modello e colpisce anche italiani

    https://video.repubblica.it/cronaca/friuli-stretta-su-case-a-stranieri-il-metodo-lodi-diventa-modello-e-colpisce-anche-italiani/318614/319243?ref=fbpr

    On parle de #méthode_Lodi, voici #Lodi:
    https://seenthis.net/messages/729303

    #fascismo_galoppante #fascisme_ordinaire

    cc @isskein @wizo

  • Techniques. Ré-évaluation. A qui profitait la violence ?
    (Interpersonal violence at Playa Venado, Panama (550-850 AD) : a reevaluation of the evidence). Latin American Antiquity.

    Enterré vivant. Boucherie. Décapité. Mutilé. Tué. L’archéologue Samuel K. Lothrop n’a pas obscurci le tableau en décrivant ce qu’il pensait être arrivé aux 220 corps que son expédition avait trouvés sur le site de Playa Venado au Panama en 1951. Le seul problème est que Lothrop s’est probablement trompé. Une nouvelle évaluation des vestiges du site par des archéologues du Smithsonian n’a révélé aucun signe de traumatisme au moment de la mort ou presque. Le lieu de sépulture raconte probablement une histoire plus nuancée culturellement.

    (...)

    Les interprétations erronées de Lothrop sont probablement dues à l’ère de « l’archéologie romantique », des méthodes sous-développées pour les études mortuaires et les lectures littérales par les espagnols des contes des peuples autochtones après un contact européen.

    « Nous réalisons maintenant que beaucoup de ces chroniqueurs espagnols étaient motivés à montrer les populations indigènes rencontrées comme » non civilisées « et ayant besoin de conquérir », a déclaré Smith-Guzmán, ajoutant que de nombreux récits de sacrifices et de cannibalisme n’ont pas été confirmés.

    (...)

    « Plutôt qu’un exemple de mort violente et de déposition imprudente, Playa Venado présente un exemple de la façon dont les sociétés précolombiennes de la région isthmo-colombienne ont montré du respect et du souci pour leurs proches après la mort. »

    Le problème c’est que

    l’article de Lothrop publié en 1954, « Le suicide, le sacrifice et les mutilations dans les sépultures à Venado Beach, au Panama », a marqué les annales de l’archéologie panaméenne. Il a été cité plus de 35 fois comme preuve de violence, de cannibalisme ou de décapitation de trophées. Certains auteurs ont utilisé l’article pour suggérer que Playa Venado est un lieu de sépulture de masse ou une manifestation de conflit.

    Pour la défense de Lothrop, qui était archéologue au musée d’archéologie et d’enthologie de l’université de Harvard, la bioarchéologie (étude des restes humains issus de contextes archéologiques) n’a existé qu’en tant que sous-discipline deux décennies après sa conclusion à Playa Venado. Les praticiens d’aujourd’hui bénéficient également des méthodes développées dans les années 1980 et 1990.

    (...)

    À l’examen, Smith-Guzmán n’a trouvé que des plaies qui montraient des signes de guérison bien avant que les individus ne décèdent, notamment des coups à la tête et un pouce disloqué. Lothrop a probablement expliqué la présence de divers os cassés et de restes désarticulés en raison des processus normaux de décomposition et d’enfouissement secondaire des restes, qui auraient une pratique commune de vénération des ancêtres au Panama précolombien.

    (...)

    « Le positionnement uniforme de l’enterrement et l’absence de traumatisme périphérique (au moment de la mort) sont en contradiction avec l’interprétation de Lothrop sur la mort violente sur le site », a déclaré Smith-Guzmán. dans le cadre de l’enquête. « Les taux de traumatisme sont généralement faibles et la bouche ouverte des squelettes notés s’explique plus facilement par un relâchement musculaire normal après la mort et la pourriture. »

    #Méthodes
    #Nicole_E._Smith-Guzmán #Richard_G._Cooke

    2018; 1 DOI: 10.1017/laq.2018.48

    Pre-Columbian burials | Smithsonian Tropical Research Institute
    https://stri.si.edu/story/pre-columbian-burials

  • ATTENTION :
    Les liens sur ce fil de discussion ne sont pas tous en ordre chronologique.
    Portez donc une attention particulière au date de publication de l’article original (et non pas de quand je l’ai posté sur seenthis, car j’ai fait dernièrement des copier-coller de post sur d’autres fils de discussion) !

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    Niger : Europe’s Migration Laboratory

    “We share an interest in managing migration in the best possible way, for both Europe and Africa,” Mogherini said at the time.

    Since then, she has referred to Niger as the “model” for how other transit countries should manage migration and the best performer of the five African nations who signed up to the E.U. #Partnership_Framework_on_Migration – the plan that made development aid conditional on cooperation in migration control. Niger is “an initial success story that we now want to replicate at regional level,” she said in a recent speech.

    Angela Merkel became the first German chancellor to visit the country in October 2016. Her trip followed a wave of arrests under Law 36 in the Agadez region. Merkel promised money and “opportunities” for those who had previously made their living out of migration.

    One of the main recipients of E.U. funding is the International Organization for Migration (IOM), which now occupies most of one street in Plateau. In a little over two years the IOM headcount has gone from 22 to more than 300 staff.

    Giuseppe Loprete, the head of mission, says the crackdown in northern Niger is about more than Europe closing the door on African migrants. The new law was needed as networks connecting drug smuggling and militant groups were threatening the country, and the conditions in which migrants were forced to travel were criminal.

    “Libya is hell and people who go there healthy lose their minds,” Loprete says.

    A side effect of the crackdown has been a sharp increase in business for IOM, whose main activity is a voluntary returns program. Some 7,000 African migrants were sent home from Niger last year, up from 1,400 in 2014. More than 2,000 returns in the first three months of 2018 suggest another record year.

    The European Development Fund awarded $731 million to Niger for the period 2014–20. A subsequent review boosted this by a further $108 million. Among the experiments this money bankrolls are the connection of remote border posts – where there was previously no electricity – to the internet under the German aid corporation, GIZ; a massive expansion of judges to hear smuggling and trafficking cases; and hundreds of flatbed trucks, off-road vehicles, motorcycles and satellite phones for Nigerien security forces.

    At least three E.U. states – #France, Italy and Germany – have troops on the ground in Niger. Their roles range from military advisers to medics and trainers. French forces and drone bases are present as part of the overlapping Barkhane and G5 Sahel counterinsurgency operations which includes forces from Burkina Faso, Chad, Mali and Mauritania. The U.S., meanwhile, has both troops and drone bases for its own regional fight against Islamic militants, the latest of which is being built outside Agadez at a cost of more than $100 million.

    https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2018/05/22/niger-europes-migration-laboratory
    #Niger #asile #migrations #réfugiés #laboratoire #agadez #frontières #externalisation #externalisation_des_frontières #modèle_nigérien #cartographie #visualisation
    #OIM #IOM #retours_volontaires #renvois #expulsions #Libye #développement #aide_au_développement #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #G5_sahel #Italie #Allemagne #IMF #FMI

    Intéressant de lire :

    ❝As one European ambassador said, “Niger is now the southern border of Europe.”
    #frontière_européenne #frontière_mobile

    Il y a quelques mois, la nouvelles frontière européenne était désignée comme étant la frontière de la #Libye, là, elle se déplace encore un peu plus au sud...
    –-> v. mon post sur seenthis :


    https://seenthis.net/messages/604039

    Voilà donc la nouvelle carte :

    • Europe Benefits by Bankrolling an Anti-Migrant Effort. Niger Pays a Price.

      Niger has been well paid for drastically reducing the number of African migrants using the country as a conduit to Europe. But the effort has hurt parts of the economy and raised security concerns.

      The heavily armed troops are positioned around oases in Niger’s vast northern desert, where temperatures routinely climb beyond 100 degrees.

      While both Al Qaeda and the Islamic State have branches operating in the area, the mission of the government forces here is not to combat jihadism.

      Instead, these Nigerien soldiers are battling human smugglers, who transport migrants across the harsh landscape, where hundreds of miles of dunes separate solitary trees.

      The migrants are hoping to reach neighboring Libya, and from there, try a treacherous, often deadly crossing of the Mediterranean to reach Europe.

      The toll of the military engagement is high. Some smugglers are armed, militants are rife and the terrain is unforgiving: Each mission, lasting two weeks, requires 50 new truck tires to replace the ones shredded in the blistering, rocky sand.

      But the operation has had an impact: Niger has drastically reduced the number of people moving north to Libya through its territory over the past two years.

      The country is being paid handsomely for its efforts, by a Europe eager to reduce the migrant flow. The European Union announced at the end of last year it would provide Niger with one billion euros, or about $1.16 billion, in development aid through 2020, with hundreds of millions of that earmarked for anti-migration projects. Germany, France and Italy also provide aid on their own.

      It is part of a much broader European Union strategy to keep migrants from its shores, including paying billions of euros to Turkey and more than $100 million to aid agencies in Sudan.

      Italy has been accused of paying off militias in Libya to keep migrants at bay. And here in Niger, some military officials angrily contend that France financed a former rebel leader who remains a threat, prioritizing its desire to stop migration over Niger’s national security interests.

      Since passing a law against human trafficking in 2015, Niger has directed its military to arrest and jail migrant smugglers, confiscate their vehicles and bring the migrants they traffic to the police or the International Organization for Migration, or I.O.M. The migrants are then given a choice whether to continue on their journey — and risk being detained again, or worse — or given a free ride back to their home country.

      The law’s effect has been significant. At the peak in 2015, there were 5,000 to 7,000 migrants a week traveling through Niger to Libya. The criminalization of smuggling has reduced those numbers to about 1,000 people a week now, according to I.O.M. figures.

      At the same time, more migrants are leaving Libya, fleeing the rampant insecurity and racist violence targeting sub-Saharan Africans there.

      As a result, the overall flow of people has now gone into a notable reverse: For the last two years, more African migrants have been leaving Libya to return to their homelands than entering the country from Niger, according to the I.O.M.

      One of Niger’s biggest bus companies, Rimbo, used to send four migrant-filled buses each day from the country’s capital in the south, Niamey, to the northern city of Agadez, a jumping off point for the trip to the Libyan border.

      Now, the company has signed a two-year contract with the I.O.M. to carry migrants the other way, so they can be repatriated.

      On a recent breezy evening in Niamey, a convoy of four Rimbo buses rolled through the dusty streets after an arduous 20-hour drive from Agadez, carrying 400 migrants. They were headed back home to countries across West Africa, including Guinea, Ivory Coast and Nigeria.

      For leaders in Europe, this change in migrant flows is welcome news, and a testament to Niger’s dedication to shared goals.

      “Niger really became one of our best allies in the region,” said Raul Mateus Paula, the bloc’s ambassador to Niger.

      But the country’s achievement has also come with considerable costs, including on those migrants still determined to make it to Libya, who take more risks than ever before. Drivers now take routes hundreds of miles away from water points and go through mined areas to avoid military patrols. When smugglers learn the military is in the area, they often abandon migrants in the desert to escape arrest.

      This has led to dozens of deaths by dehydration over the past two years, prompting Niger’s civil protection agency and the I.O.M. to launch weekly rescue patrols.

      The agency’s head, Adam Kamassi, said his team usually rescues between 20 to 50 people every time it goes out. On those trips, it nearly always finds three or four bodies.

      The crackdown on human smuggling has also been accompanied by economic decline and security concerns for Niger.

      The government’s closure of migrant routes has caused an increase in unemployment and an uptick in other criminal activity like drug smuggling and robbery, according to a Niger military intelligence document.

      “I know of about 20 people who have become bandits for lack of work,” said Mahamadou Issouf, who has been driving migrants from Agadez to southern Libya since 2005, but who no longer has work.

      Earlier this year, the army caught him driving 31 migrants near a spot in the desert called the Puit d’Espoir, or Well of Hope. While the army released him in this case, drivers who worked for him have been imprisoned and two of his trucks impounded.

      The military intelligence document also noted that since the crackdown, towns along the migrant route are having a hard time paying for essential services like schools and health clinics, which had relied on money from migration and the industries feeding it.

      For example, the health clinic in Dirkou, once a major migrant way station in northern Niger, now has fewer paying clients because the number of migrants seeking has dwindled. Store owners who relied on the steady flow of people traveling through have gone bankrupt.

      Hassan Mohammed is another former migrant smuggler who lost his livelihood in the crackdown.

      A native of Dirkou, Mr. Mohammed, 31, began driving migrants across the desert in 2002, earning enough in the process to buy two Toyota pickup trucks. The smuggling operation grew enough that he began employing his younger brothers to drive.

      Today, Mr. Mohammed’s brothers are in prison, serving the six-month sentences convicted smuggler drivers face. His two pickup trucks are gathering dust, along with a few dozen other confiscated vehicles, on a Niger army base. With no income, Mr. Mohammed now relies on the generosity of friends to survive.

      With Europe as a primary beneficiary of the smuggling crackdown, the European Union is eager to keep the effort in place, and some of the bloc’s aid finances a project to convert former smugglers into entrepreneurs. But the project is still in its pilot stage more than two years after the migrant crackdown began.

      Ibrahim Yacouba, the former foreign minister of Niger, who resigned earlier this year, said, “There are lots of announcements of millions of euros in funding, but in the lived reality of those who are in the industry, there has been no change.”

      The crackdown has also raised security concerns, as France has taken additional steps to stop migration along the Niger-Libya border that go beyond its asylum-processing center.

      From its military base in the northern Nigerien outpost of Madama, France funded last year an ethnic Toubou militia in southern Libya, with the goal of using the group to help stop smugglers, according to Nigerien security officials.

      This rankled the Nigerien military because the militia is headed by an ex-Nigerien rebel, Barka Sidimi, who is considered a major security risk by the country’s officials. To military leaders, this was an example of a European anti-migrant policy taking precedent over Niger’s own security.

      A French military spokesperson said, “We don’t have information about the collaboration you speak of.”

      Despite the country’s progress in reducing the flow of migrants, Nigerien officials know the problem of human smugglers using the country as a conduit is not going away.

      “The fight against clandestine migration is not winnable,’’ said Mohamed Bazoum, Niger’s interior minister.

      Even as Libya has experienced a net drop in migrants, new routes have opened up: More migrants are now entering Algeria and transiting to Morocco to attempt a Mediterranean crossing there, according to Giuseppe Loprete, who recently left his post after being the I.O.M.’s director in Niger for four years.

      But despite the drawbacks that come with it, the smuggling crackdown will continue, at least for now, according to Mr. Bazoum, the interior minister. Migrant smuggling and trafficking, he said, “creates a context of a criminal economy, and we are against all forms of economic crime to preserve the stability and security of our country.”

      For Mr. Mohammed, the former smuggler, the crackdown has left him idle and dejected, with no employment prospects.

      “There’s no project for any of us here,” he said. “There’s nothing going on. I only sleep and wake up.”


      https://www.nytimes.com/2018/08/25/world/africa/niger-migration-crisis.html#click=https://t.co/zSUbpbU3Kf

    • Le 25 Octobre 2018, le Chef de Mission de l’ OIM Niger, M. Martin Wyss, a remis à la Police Nationale-Niger ??️via son Directeur Général Adjoint, M. Oumarou Moussa, le premier prototype du poste frontière mobile, en présence du #Directeur_de_la_Surveillance_du_Territoire (#DST) des partenaires techniques et financiers.

      Ce camion aménagé avec deux bureaux et une salle d’attente, des climatiseurs et une connectivité satellitaire, est autonome en électricité grâce à des panneaux solaires amovibles et une turbine éolienne. Il aura pour fonction d’appuyer des postes de contrôle aux frontières, établir un poste frontalier temporaire ou venir en soutien de mouvements massifs de personnes à travers les frontières.

      Ce prototype unique au monde a été entièrement développé et conceptualisé par l’unité de #gestion_des_frontières de l’#OIM_Niger, pour l’adapter au mieux aux contraintes atmosphériques et topographiques du Niger.

      Il a été financé par le Canada’s International Development – Global Affairs Canada ??️

      Crédits photos : OIM Niger / Daniel Kouawo

      source : https://www.facebook.com/IBMNiger/posts/1230027903804111

      #OIM #IOM #frontière_mobile #Canada

    • Remise du système MIDAS et inauguration du parc de vaccination à Makalondi

      L’ OIM Niger a procédé à la remise du #système_MIDAS au niveau du poste de police de #Makalondi (Burkina Faso - Niger).

      MIDAS saisit automatiquement les informations biographiques et biométriques des voyageurs à partir de lecteurs de documents, d’#empreintes_digitales et de #webcams. Il est la propriété entière et souveraine du Gouvernement du Niger.

      Le sytème permet d’enregistrer pour mieux sécuriser et filtrer les individus mal intentionnés, mais aussi de mieux connaître les flux pour ensuite adapter les politiques de développement sur les axes d’échange.

      A la même occasion, le Gouverneur de Tillabéri et l’OIM ont inauguré un par de vaccination le long d’un couloir de transhumance de la CEDEAO.

      Ce projet a été réalisé grâce au don du peuple Japonais.

      https://www.facebook.com/IBMNiger/videos/483536085494618
      #surveillance #biométrie #MIDAS

    • Le mardi 28 aout 2018, s’est tenu la cérémonie de remise du système MIDAS au poste de police frontalier de Makalondi (frontière Burkina faso). Cette cérémonie organisée par l’OIM Niger dans le cadre du projet « #NICOLE – Renforcement de la coopération interservices pour la sécurité des frontières au Niger » sous financement du Ministry of Foreign Affairs of Japan a enregistré la remarquable participation du gouverneur de la région de Tillabéri, le directeur de la surveillance du Territoire (DST), les responsables régionaux, départementaux et communaux de la police Nationale et de l’élevage, les autorités locales et coutumières du département de #Torodi et de la commune rurale de #Makalondi ainsi que de l’#Eucap_Sahel_Niger. MIDAS (#Migration_Information_and_Data_Analysis_System) qui est un système d’information et de gestion des données migratoires développé par l’OIM en 2009 et opérationnel dans 19 pays est aujourd’hui également opérationnel au niveau du poste frontière de Makalondi. Cette cérémonie était aussi l’occasion d’inaugurer le parc de vaccination pour bétail réalisé dans le cadre du même projet par l’OIM afin de soutenir les capacités de résilience des communautés frontalières de la localité.
      toutes les autorités présentes à la cérémonie ont tenues à exprimer leur immense gratitute envers l’OIM pour son appui au gouvernement du Niger dans son combat pour la sécurisation des frontières.


      https://www.facebook.com/IBMNiger/posts/1197797207027181

    • Niger grapples with migration and its porous borders

      Europe has been grappling with the migration problem on its side of the Mediterranean for several years now with little sign of bringing the situation under control, but there is also an African frontline, on the edges of the Sahara, and the improverished nation of Niger is one of the hotspots. The situation here is similarly out of control, and EU funds have been made available to try and persude people smugglers to give up their business. However, much of the money has gone to waste, and the situation has in some ways evolved into something worse. Euronews’ Valerie Gauriat has just returned from Niger. This is her report.

      Scores of four-wheel drives have just arrived from Libya, at the checkpoint of the city of Agadez, in central Niger, Western Africa’s gateway to the Sahara.

      Every week, convoys like these travel both ways, crossing the thousand kilometers of desert that separate the two countries.

      Travelers are exhausted after a 5-day journey.

      Many are Nigerian workers, fleeing renewed violence in Libya, but many others are migrants from other western African countries.

      “When we get to Libya, they lock us up. And when we work we don’t get paid,” said one Senegalese man.

      “What happened, we can’t describe it. We can’t talk about everything that goes on, because it’s bad, it’s so bad !” said another, from Burkina Fasso.

      Many have already tried to cross the Mediterranean to reach Europe.

      “We paid for it, but we never went. They caught us and locked us up. I want to go home to Senegal now, that’s my hope,” said another man.

      Mohamed Tchiba organised this convoy. This former Touareg rebel is a well-known figure in Agadez’s migration business, which is a long-standing, flourishing activity despite a law against irregular migration which made it illegal two years ago.

      EU-funded reconversion projects were launched to offset the losses, but Mohamed refuses to give up his livelihood.

      “I’m a smuggler, even now I’m a smuggler! Because I’ve heard that in town they are giving us something to give up this job. But they did not give me anything. And I do not know any other work than this one,” he told us.

      We head to Agadez, where we find dozens of vehicles in a car park. They were confiscated from the smugglers who were arrested by the police, and are a slowly-rusting symbol of the fight against irregular immigration.

      But that didn’t go down well with the local population. The law hit the local economy hard

      Travelers departing for Libya were once Ibrahim’s main source of revenue, but now customers for his water cans are scarce. The layoffs of workers after the closure of gold mines in the area did not help.

      “Before, we sold 400 to 500 water cans every week to migrants, and cans were also sent to the mine. But they closed the road to Libya, they closed the mines, everything is closed. And these young people stay here without working or doing anything, without food. If they get up in the morning, and they go to bed at night, without eating anything, what will prevent them one day from going to steal something?” wonders trader Oumarou Chehou.

      Friday prayers are one of the few occasions when the city comes to life.

      We go to meet with the President of the so-called Association for former migration workers.

      He takes us to meet one of the former smugglers. After stopping their activity they have benefited from an EU-funded reconversion programme.

      Abdouramane Ghali received a stock of chairs, pots, and loudspeakers, which he rents out for celebrations. We ask him how business is going.

      "It depends on God ... I used to make much more money before; I could get up to 800 euros a week; now it’s barely 30 euros a week,” he says.

      Abdouramane is still among the luckiest. Out of 7000 people involved in the migration business, less than 400 have so far benefited from the reconversion package: about 2000 euros per project. That’s not enough to get by, says the president of the Former Smugglers’ Association, Bachir Amma.

      “We respected the law, we are no longer working, we stopped, and now it’s the State of Niger and the European Union which abandoned us. People are here, they have families, they have children, and they have nothing. We eat with our savings. The money we made before, that’s what feeds us now, you see. It’s really difficult, it’s very hard for us,” he says.

      We catch up with Abdouramane the next morning. He has just delivered his equipment to one of his customers, Abba Seidou, also a former smuggler, who is now a taxi driver. Abba is celebrating the birth of his first child, a rare opportunity to forget his worries.

      “Since it’s a very wonderful day, it strengthened my heart, to go and get chairs, so that people, even if there is nothing, they can sit down if they come to your house. The times are hard for immigration, now; but with the small funds we get, people can get by. It’s going to be okay,” the proud father says. Lots of other children gather round.

      “These kids are called the” talibe “, or street kids,” reports euronews’ Valerie Gauriat. "And the celebration is a chance for them to get some food. Since the anti-smuggling law was implemented, there are more and more of them in the streets of Agadez.”

      The European Union has committed to spending more than one billion euros on development aid in a country classified as one of the poorest in the world. Niger is also one of the main beneficiaries of the European emergency fund created in 2015 to address migration issues in Africa. But for the vice-president of the region of Agadez, these funds were only a bargaining chip for the law against irregular immigration, which in his eyes, only serves the interests of Europe.

      Valerie Gauriat:

      “Niger has received significant funding from the European Union. Do you believe these funds are not used properly?”

      Vice-President of the Agadez Regional Council, Aklou Sidi Sidi:

      “First of all the funding is insufficient. When we look at it, Turkey has received huge amounts of money, a lot more than Niger. And even armed groups in Libya received much more money than Niger. Today, we are sitting here, we are the abyss of asylum seekers, refugees, migrants, displaced people. Agadez is an abyss,” he sighs.

      In the heart of the Sahel region, Niger is home to some 300,000 displaced people and refugees. They are a less and less transitory presence, which weighs on the region of Agadez. One center managed by the International Office for Migration hosts migrants who have agreed to return to their countries of origin. But the procedures sometimes take months, and the center is saturated.

      “80 percent of the migrants do not have any identification, they do not have any documents. That means that after registration we have to go through the procedure of the travel authorisation, and we have to coordinate this with the embassies and consulates of each country. That is the main issue and the challenge that we are facing every day. We have around 1000 people in this area, an area that’s supposed to receive 400 or 500 people. We have mattresses piled up because people sleep outside here because we’re over our capacity. Many people are waiting on the other side. So we need to move these people as quickly as possible so we can let others come,” says the IOM’s transit centre manager, Lincoln Gaingar.

      Returning to their country is not an option for many who transit through Niger. Among them are several hundred Sudanese, supervised by the UNHCR. Many fled the Darfur conflict, and endured hell in Libyan detention centres. Some have been waiting for months for an answer to their asylum request.

      Badererdeen Abdul Kareem dreams of completing his veterinary studies in the West.

      “Since I finished my university life I lost almost half of my life because of the wars, traveling from Sudan to Libya. I don’t want to lose my life again. So it’s time to start my life, it’s time to work, it’s time to educate. Staying in Niger for nothing or staying in Niger for a long time, for me it’s not good.”

      But the only short-term perspective for these men is to escape the promiscuity of the reception center. Faced with the influx of asylum seekers, the UNHCR has opened another site outside the city.

      We meet Ibrahim Abulaye, also Sudanese, who spent years in refugee camps in Chad, and then Libya. He is 20 years old.

      “It was really very difficult, but thank God I’m alive. What I can really say is that since we cannot go back home, we are looking for a place that is more favourable to us, where we can be safe, and have a better chance in life.”

      Hope for a better life is closer for those who have been evacuated from Libyan prisons as part of an emergency rescue plan launched last year by the UNHCR. Welcomed in Niamey, the capital of Niger, they must be resettled in third countries.

      After fleeing their country, Somalia, these women were tortured in Libyan detention centers. They are waiting for resettlement in France.

      “There are many problems in my country, and I had my own. I have severe stomach injuries. The only reason I left my country was to escape from these problems, and find a safe place where I could find hope. People like me need hope,” said one of them.

      A dozen countries, most of them European, have pledged to welcome some 2,600 refugees evacuated from Libya to Niger. But less than 400 have so far been resettled.

      “The solidarity is there. There has to be a sense of urgency also to reinstall them, to welcome them in the countries that have been offering these places. It is important to avoid a long stay in Niger, and that they continue their journey onwards,” says the UNHCR’s Alessandra Morelli in Niamey.

      The slowness of the countries offering asylum to respect their commitments has disappointed the Niger government. But what Niger’s Interior minister Mohamed Bazoum most regrets is a lack of foresight in Europe, when it comes to stemming irregular immigration.

      “I am rather in favor of more control, but I am especially in favor of seeing European countries working together to promote another relationship with African countries. A relationship based on issuing visas on the basis of the needs that can be expressed by companies. It is because this work is not done properly, that we have finally accepted that the only possible migration is illegal migration,” he complains.

      Estimated from 5 to 7,000 per week in 2015, the number of migrants leaving for Libya has fallen tenfold, according to the Niger authorities. But the traficking continues, on increasingly dangerous routes.

      The desert, it is said in Agadez, has become more deadly than the Mediterranean.

      We meet another one of the smugglers who for lack of alternatives says he has resumed his activities, even if he faces years in prison.

      “This law is as if we had been gathered together and had knives put under our throats, to slit our throats. Some of us were locked up, others fled the country, others lost everything,” he says.

      He takes us to one of the former transit areas where migrants were gathered before leaving for Libya, when it was allowed. The building has since been destroyed. Customers are rarer, and the price of crossings has tripled. In addition to the risk of being stopped by the police and army patrols, travelers have to dodge attacks by arms and drug traffickers who roam the desert.

      “Often the military are on a mission, they don’t want to waste time, so sometimes they will tell you,’we can find an arrangement, what do you offer?’ We give them money to leave. We must also avoid bandits. There are armed people everywhere in the bush. We have to take byways to get around them. We know that it’s dangerous. But for us, the most dangerous thing is not to be able to feed your family! That’s the biggest danger!”

      We entered one of the so-called ghettos outside Agadez, where candidates for the trip to Europe through Libya hide out, until smugglers pick them up. We are led to a house where a group of young people are waiting for their trip to be organized by their smuggler.

      They have all have already tried to cross the desert, but were abandoned by their drivers, fleeing army patrols, and were saved in the nick of time. Several of their fellow travelers died of thirst and exhaustion.

      Mohamed Balde is an asylum seeker from Guinea.

      “The desert is a huge risk. There are many who have died, but people are not discouraged. Why are they coming? One should just ask the question!” he says. “All the time, there are meetings between West African leaders and the leaders of the European Union, to give out money, so that the migrants don’t get through. We say that’s a crime. It is their interests that they serve, not the interests of our continent. To stop immigration, they should invest in Africa, in companies, so that young people can work.”

      Drogba Sumaru is an asylum seeker from the Ivory Coast.

      “It’s no use giving money to people, or putting soldiers in the desert, or removing all the boats on the Mediterranean, to stop immigration! It won’t help, I will keep going on. There are thousands of young people in Africa, ready to go, always. Because there is nothing. There is nothing to keep them in their countries. When they think of the suffering of their families, when they think that they have no future. They will always be ready, ready for anything. They will always be ready to risk their lives,” he concludes.

      https://www.euronews.com/2018/10/26/niger-grapples-with-migration-and-its-porous-borders

    • Europe’s « Migrant Hunters »

      The checkpoint on the way out of the Saharan town of Agadez in Niger is nothing more than a long metal chain that stretches across the road. On a Monday afternoon in March, a handful of pickup trucks and lorries loaded with migrants mostly from southern Niger waited quietly at the barrier to embark on the long journey up through the Ténéré desert. An overweight officer inspected the vehicles and then invited the drivers to show him their paperwork inside a somber-looking shack on the side of the road, where money most likely changed hands.

      Every Monday afternoon a convoy, protected by an escort of three military pickups, two mounted with machine guns, begins its arduous journey toward Dirkou, 435 miles away, on the road to the Libyan border. Protection has long been needed against highwaymen—or, as they’re called locally, coupeurs de route. These disgruntled Tuareg youths and former rebels roam the foothills of the Aïr Mountains just beyond Agadez. If a vehicle slips out of view of the escort for even a moment, the coupeurs seize the opportunity, chasing and shooting at the overloaded vehicles to relieve the passengers of their money and phones—or sometimes even to take the cars. A cautious driver sticks close behind the soldiers, even if they are pitifully slow, stopping frequently to sleep, eat, drink tea, or extract bribes from drivers trying to avoid the checkpoints.

      The first 60 miles out of Agadez—a journey of about two hours through the mountains—were the most hazardous. But then we reached the dusty Ténéré plain. As darkness fell, lighter vehicles picked up speed, making good headway during the night as the cold hardened the sand. Sleepy migrants, legs dangling over the side of the tailboard, held on to branches attached to the frame of the vehicle to keep from falling off.

      The following day, there was a stop at Puits Espoir (“Hope’s Well”), midway between Agadez and Dirkou. It was dug 15 years ago to keep those whose transport had broken down in the desert from dying of thirst. But the well’s Arabic name, Bir Tawil, which means “the Deep Well,” is perhaps more apt. The well drops nearly 200 feet, and without a long enough rope to reach the water below, migrants and drivers can perish at its edge. The escort soldiers told me that the bodies of 11 who died in this way are buried in the sand inside a nearby enclosure built from car scraps. Travelers took a nap under its shade or beside the walls around the well, which were graffitied by those who had passed through. There was “Dec 2016 from Tanzania to Libya” or “Flavio—Solo from Guinea.” After Espoir, most vehicles abandon the slow convoy and go off on their own, risking attacks by coupeurs for a quicker journey toward Libya.

      PROXY BORDER GUARDS

      Before mid-2016, there were between 100 and 200 vehicles, mostly pickups, each filled with around 30 migrants heading for Libya, that were making such a journey every week. Since mid-2016, however, under pressure from the European Union, and with promises of financial support, the Niger government began cracking down on the northward flow of sub-Saharans, arresting drivers and confiscating cars, sometimes at the Agadez checkpoint itself. Now there are only a few cars transporting passengers, most of them Nigeriens who have managed to convince soldiers at the checkpoint—often with the help of a bribe—that they do not intend to go all the way to Europe but will end their journey in Libya.

      “To close Libya’s southern border is to close Europe’s southern border,” Marco Minniti, Italy’s interior minister, said in April at a meeting in Rome with representatives of three cross-border Saharan tribes, the Tubu, Awlad Suleiman Arabs, and Tuareg. The leaders agreed to form a border force to stop migrants entering Libya from traveling to Europe, reportedly at the demand of, and under the prospect of money from, the Italian government. All three communities are interested in resolving the deadly conflicts that have beset the country since the fall of Colonel Muammar al-Qaddafi in 2011 and hope Italy will compensate them monetarily for their casualties (in tribal conflicts, a payment is needed to end a fight) as well as fund reconstruction and development of neglected southern Libya. Italy, of course, is keen on halting the flow of migrants reaching its shores and sees these Saharan groups, which have the potential to intervene before migrants even get to Libya, as plausible proxies.

      Some tribal leaders in southern Libya—mostly Tubu and Tuareg—look favorably on Italy’s and Europe’s overtures and suggested that the EU should cooperate directly with local militias to secure the border. But their tribes largely benefit from smuggling migrants, and they also made clear this business will not stop unless development aid and compensation for the smugglers is provided. “The EU wants to use us against migrants and terrorism,” a Tubu militia leader told me, off-the-record, on the side of a meeting in the European Parliament last year. “But we have our own problems. What alternative can we propose to our youth, who live off trafficking?”

      With or without the EU, some of the newly armed groups in Libya are selling themselves as migrant hunters. “We arrested more than 18,000 migrants,” a militia chief told me, with a hauteur that reminded me of the anti-immigrant sentiment spreading across Europe. “We don’t want just to please the EU, we protect our youths and our territory!”

      It seems rather reckless, however, in a largely stateless stretch of the Sahara, for Europe to empower militias as proxy border guards, some of whom are the very smugglers whose operations the EU is trying to thwart. The precedent in Sudan is not encouraging. Last year, Khartoum received funding from the EU that was intended to help it restrict outward migration. The best the government could do was redeploy at the Sudanese-Libyan border the notorious Rapid Support Forces, recruited among Darfur’s Janjaweed militias, which have wreaked havoc in the province since 2003. In due course, their leader, Brigadier General Dagalo, also known as “Hemeti,” claimed to have arrested 20,000 migrants and then threatened to reopen the border if the EU did not pay an additional sum. The EU had already given Sudan and Niger 140 million euros each in 2016. And the Libyan rival factions are catching on, understanding well that the migrant crisis gives them a chance to blackmail European leaders worried about the success of far-right anti-immigrant groups in their elections. In February, with elections looming in the Netherlands and France, the EU made a deal to keep migrants in Libya, on the model of its March 2016 agreement with Turkey, with the Tripoli-based, internationally recognized Government of National Accord, despite the fact it has little control over the country. In August, the GNA’s main rival, eastern Libya’s strongman Khalifa Haftar, claimed that blocking migrants at Libya’s southern borders would cost one billion euros a year over 20 years and asked France, his closest ally in Europe, to provide him with military equipment such as helicopters, drones, armored vehicles, and night vision goggles. Needless to say, Haftar did not get the equipment.

      THE HUB

      Dirkou became a migrant hub about 25 years ago and remains a thriving market town whose residents make a living mostly off of road transport to and from Libya. Smuggling people across Libya’s southern borders became semiofficial practice in 1992, as Qaddafi sought to circumvent the UN’s air traffic embargo. This, in turn, opened up an opportunity for ambitious facilitators who could get their hands on a vehicle, a period that came to be known locally as “the Marlboro era.” Planes and trucks, contravening the embargo, delivered cigarettes to Dirkou, where there was already an airstrip long enough for cargo planes. They then sold their contraband to Libyan smugglers, who took them north with help from Nigerien authorities.

      Smuggling was possible at the time only if the government was involved, explained Bakri, one of the drivers I met in Dirkou (and who requested his name be changed). Gradually, cigarettes were replaced by Moroccan cannabis, which was driven down from around the Algerian border through Mali and Niger. Tuareg rebels, who had been involved in sporadic insurgencies against the governments of Mali and Niger, began to attack the convoys to steal their cargoes for reselling. The traffickers eventually enlisted them to serve as their protectors, guides, or drivers.

      That process began in the 1990s and 2000s when the Niger government and Tuareg rebels held regular peace talks and struck deals that allowed former insurgents to be integrated into the Niger armed forces. Hundreds of fighters who were left to fend for themselves, however, fell back on banditry or drug trafficking, and it wasn’t long before the authorities decided that they should be encouraged to transport migrants to Libya instead. Many now own vehicles that had been captured from the army in the course of the rebellion. These were cleared through customs at half the normal fee, and the Ministry of Transport awarded a great number of them licenses. It was decided that the new fleet of migrant facilitators would take passengers at the bus station in Agadez.

      In 2011, after the NATO-backed revolution in Libya had toppled Qaddafi, newly formed Tubu militias took control of most of the country’s arms stockpiles, as well as its southern borderlands. Many young Tubu men from Libya or Niger stole or, like Bakri, who dropped out of the university to become a smuggler, bought a good pickup truck for carrying passengers. The new wave of drivers who acquired their cars during the turmoil were known in Arabic as sawag NATO, or “NATO drivers.”

      “If the number of migrants increased,” Bakri told me, “it’s mostly because NATO overthrew Qaddafi.” Qaddafi was able to regulate the flow of migrants into Europe and used it as a bargaining chip. In 2008, he signed a friendship treaty with Italy, which was then led by Silvio Berlusconi. In exchange for Libya’s help to block the migrants, “Il Cavaliere” launched the construction of a $5 billion highway in Libya. Crucially, however, Qaddafi’s regime provided paid work for hundreds of thousands of sub-Saharans, who had no need to cross the Mediterranean. Since 2011, Libya has become a much more dangerous place, especially for migrants. They are held and often tortured by smugglers on the pretext that they owe money and used for slave labor and prostitution until their families can pay off the debt.

      In May 2015, under EU pressure, Niger adopted a law that made assistance to any foreigner illegal on the grounds that it constituted migrant trafficking. Critics noted that the legislation contradicts Niger’s membership in the visa-free ECOWAS (Economic Community of West African States), from which most migrants traveling between Niger and Libya hail (they numbered 400,000 in 2016). The law was not enforced until the middle of last year, when the police began arresting drivers and “coaxers”—the regional term for all intermediaries on the human-smuggling routes up through West Africa. They jailed about 100 of them and confiscated another 100 vehicles. Three months later, the EU congratulated itself for a spectacular drop in migrant flows from Niger to Libya. But the announcement was based on International Organization for Migration (IOM) data, which the UN agency has since acknowledged to be incorrect, owing to a “technical problem” with its database.

      Saddiq, whose name has also been changed, is a coaxer in Agadez. He told me that migrants were still arriving in the town in the hope of heading north. “The police are from southern Niger and they are not familiar with the desert,” he said. “For every car arrested, 20 get through.” The cars have gotten faster. One of Saddiq’s drivers traded his old one for a Toyota Tundra, which can reach 120 miles per hour on hard sand. Meanwhile, groups of migrants have gotten smaller and are thus lighter loads. New “roads” have already been pounded out through the desert. Drivers pick up migrants as far south as the Nigerien-Nigerian border, keeping clear of towns and checkpoints. “Tubu drivers have been going up with GPS to open new roads along the Niger-Algeria border,” said Saddiq. “They meet the drug traffickers and exchange food and advice.”

      On these new roads, risks are higher for drivers and passengers. Vehicles get lost, break down, and run out of fuel. Thirst is a constant danger, and, as drivers and the IOM warned, deaths increased during the 2017 dry season, which began in May. Drivers pursued by patrols are likely to aim for a high-speed getaway, which means abandoning their passengers in the desert. “Because we couldn’t take the main road, bandits attacked us,” Aji, a Gambian migrant, told me as he recounted his failed attempt to get to Libya last December. “Only 30 kilometers from Agadez, bandits shot at us, killed two drivers and injured 17 passengers, including myself.” They took everything he owned. He was brought back to the hospital in Agadez for treatment for his wounded leg. He was broke and his spirits were low. “I no longer want to go to Libya,” he said.

      New liabilities for the smugglers drive up their prices: the fare for a ride from Agadez to Libya before the Niger government decided to curtail the northward flow was around $250. Now it is $500 or more. People with enough money travel in small, elite groups of three to five for up to $1,700 per head. Migrants without enough cash can travel on credit, but they risk falling into debt bondage once in Libya. Even with the higher fees, smugglers’ revenues have not increased. Saddiq’s has fallen from $5,000 a month to around $2,000. Costs, including lavish bribes to Niger’s security forces, have risen sharply. Still, the pace of the trade remains brisk. “I have a brand-new vehicle ready for 22 passengers,” Saddiq told me. That evening, as he loaded up his passengers with their light luggage and jerry cans of water, a motorbike went ahead of it with its headlights off to make sure that the coast was clear.

      “Many won’t give up this work, but those who continue are stuntmen,” grumbled one of Saddiq’s colleagues, a Tuareg former rebel who has been driving migrants for more than 15 years. Feeling chased by the authorities, or forced to pay them bribes twice as much as before, Tuareg and Tubu drivers are increasingly angry with the Nigerien government and what they call “the diktat of Europe.” He thought there might be better money in other activities. “What should we do? Become terrorists?” he said, somewhat provocatively. “I should go up to Libya and enlist with Daesh [the Islamic State, or ISIS]. They’re the ones who offer the best pay.”

      https://www.foreignaffairs.com/articles/niger/2017-08-31/europes-migrant-hunters
      #Agadez #réfugiés #Niger #désert_du_Ténéré #passeurs #smugglers #smuggling #Dirkou #routes_migratoires #parcours_migratoires

    • Sfidare la morte per fuggire dal Niger

      In Niger i militari inseguono i migranti. Ordini dall’alto: quello che vuole l’Europa. Che per questo li paga. I profughi cercano così altri percorsi. Passano per il deserto, per piste più pericolose. Con il rischio di morire disidratati

      http://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.308980!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/gallery_990/image.JPG
      http://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.308979!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/gallery_990/image.JPG


      #photographie

    • A line in the sand

      In late 2016, Agadez made headlines when Niger became one of the European Union (EU)’s prime partners in the fight against irregular migration. The arrest of human smugglers and the confiscation of their 4x4 trucks resulted in a decrease in the number of migrants travelling through the region.

      Given Agadez’s economic dependence on the migration industry, Clingendael’s Conflict Research Unit investigated the costs of these measures for the local population, their authorities and regional security. We invite you to work with our data and explore our findings.


      https://www.clingendael.org/sustainable_migration_management_Agadez
      #économie #économie_locale

    • Quel lunedì che ha cambiato la migrazione in Niger

      Nella prima storia della sua trilogia sul Niger per Open Migration, Giacomo Zandonini ci raccontava com’è cambiata la vita di un ex passeur di migranti dopo l’applicazione delle misure restrittive da parte del governo. In questa seconda storia, sfida i pericoli del Sahara insieme ai migranti e racconta come la chiusura della rotta di Agadez abbia spinto la locale economia al dettaglio verso le mani di un sistema mafioso.

      http://openmigration.org/analisi/quel-lunedi-che-ha-cambiato-la-migrazione-in-niger
      #fermeture_des_frontières #mafia

      En anglais:
      http://openmigration.org/en/analyses/the-monday-that-changed-migration-in-niger

    • In Niger, Europe’s Empty Promises Hinder Efforts to Move Beyond Smuggling

      The story of one former desert driver and his struggle to escape the migration trade reveals the limits of an E.U. scheme to offer alternatives to the Sahara smugglers. Giacomo Zandonini reports from Agadez.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2018/01/03/europes-empty-promises-hinder-efforts-to-move-beyond-smuggling
      #reconversion

    • Agadez, aux portes du Sahara

      Dans la foulée de la ’crise des migrants’ de 2015, l’Union Européenne a signé une série d’accords avec des pays tiers. Parmi ceux-ci, un deal avec le Niger qui provoque des morts anonymes par centaines dans le désert du Sahara. Médecins du Monde est présente à Agadez pour soigner les migrants. Récit.

      https://spark.adobe.com/page/47HkbWVoG4nif

    • « A Agadez, on est passé de 350 migrants par jour à 100 par semaine »

      Journée spéciale sur RFI ce 23 mai. La radio mondiale propose des reportages et des interviews sur Agadez, la grande ville-carrefour du Nord-Niger, qui tente de tourner le dos à l’émigration clandestine. Notre reporter, Bineta Diagne essaie notamment de savoir si les quelque 5 000 à 6 000 passeurs, transporteurs et rabatteurs, qui vivent du trafic des migrants, sont en mesure de se reconvertir. Au Niger, Mohamed Bazoum est ministre d’Etat, ministre de l’Intérieur et de la Sécurité publique. En ligne de Niamey, il répond aux questions de Christophe Boisbouvier.

      http://www.rfi.fr/emission/20180523-agadez-on-est-passe-350-migrants-jour-100-semaine

      Des contacts sur place ont confirmé à Karine Gatelier (Modus Operandi, association grenobloise) et moi-même que les arrivées à Agadez baissent.
      La question reste :

      Les itinéraires changent : vers où ?

    • Niger: la difficile #reconversion d’Agadez

      Le Niger est un pays de transit et de départ de l’émigration irrégulière vers l’Europe. Depuis fin 2016, les autorités tentent de lutter contre ce phénomène. Les efforts des autorités se concentrent autour de la ville d’Agadez, dans le centre du pays. Située aux portes du désert du Ténéré et classée patrimoine mondial de l’Unesco, Agadez a, pendant plusieurs années, attiré énormément de touristes amoureux du désert. Mais l’insécurité a changé la donne de cette région, qui s’est progressivement développée autour d’une économie parallèle reposant sur la migration. Aujourd’hui encore, les habitants cherchent de nouveaux débouchés.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180523-niger-difficile-reconversion-agadez
      #tourisme

    • Au #Sahara, voyager devient un crime

      La France s’est émue lorsque Mamadou Gassama, un Malien de 22 ans, sans papiers, a sauvé un enfant de 4 ans d’une (probable) chute fatale à Paris. Une figure de « migrant extraordinaire » comme les médias savent régulièrement en créer, mais une figure qui ne devrait pas faire oublier tous les autres, « les statistiques, les sans-nom, les numéros. » Ni tous celles et ceux qui n’ont aucune intention de venir en Europe, mais qui sont néanmoins victimes des nouvelles politiques migratoires européennes et africaines mises en œuvre à l’abri des regards, à l’intérieur même du continent africain.

      Les migrations vers et à travers le Sahara ne constituent certes pas un phénomène nouveau. Mais à partir du début des années 2000, la focalisation des médias et des pouvoirs publics sur la seule minorité d’individus qui, après avoir traversé le Sahara, traversent également la Méditerranée, a favorisé l’assimilation de l’ensemble de ces circulations intra-africaines à des migrations économiques à destination de l’Europe.

      Ce point de vue, qui repose sur des représentations partielles et partiales des faits, éloignées des réalités de terrain observées par les chercheurs, sert depuis lors de base de légitimation à la mise en œuvre de politiques migratoires restrictives en Afrique.

      Le Sahara, zone de contrôle

      L’Europe (Union européenne et certains États), des organisations internationales (notamment l’Organisation internationale pour les migrations (OIM)) et des structures ad hoc (#Frontex, #EUCAP_Sahel_Niger), avec la coopération plus ou moins volontariste des autorités nationales des pays concernés, participent ainsi au durcissement législatif mis en place dans les pays du Maghreb au cours des années 2000, puis en Afrique de l’Ouest la décennie suivante, ainsi qu’au renforcement de la surveillance et du contrôle des espaces désertiques et des populations mobiles.

      Le Sahara est ainsi transformé en une vaste « #zone-frontière » où les migrants peuvent partout et en permanence être contrôlés, catégorisés, triés, incités à faire demi-tour voire être arrêtés.

      Cette nouvelle manière de « gérer » les #circulations_migratoires dans la région pose de nombreux problèmes, y compris juridiques. Ainsi, les ressortissants des États membres de la Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest (#CEDEAO), qui ont officiellement le droit de circuler librement au sein de l’#espace_communautaire, se font régulièrement arrêter lorsqu’ils se dirigent vers les frontières septentrionales du #Mali ou du #Niger.

      Le Niger, nouveau garde-frontière de l’Europe

      Dans ce pays, les migrations internationales n’étaient jusqu’à récemment pas considérées comme un problème à résoudre et ne faisaient pas l’objet d’une politique spécifique.

      Ces dernières années, tandis que le directeur général de l’OIM affirmait – sans chiffre à l’appui – qu’il y a dorénavant autant de décès de migrants au Sahara qu’en Méditerranée, l’UE continuait de mettre le gouvernement nigérien sous pression pour en finir avec « le modèle économique des passeurs ».

      Si des projets et programmes sont, depuis des années, mis en œuvre dans le pays pour y parvenir, les moyens financiers et matériels dédiés ont récemment été décuplés, à l’instar de l’ensemble des moyens destinés à lutter contre les migrations irrégulières supposées être à destination de l’Europe.

      Ainsi, le budget annuel de l’OIM a été multiplié par 7,5 en 20 ans (passant de 240 millions d’euros en 1998 à 1,8 milliard d’euros en 2018), celui de Frontex par 45 en 12 ans (passant de 6 millions d’euros en 2005 à 281 millions d’euros en 2017), celui d’EUCAP Sahel Niger par 2,5 en 5 ans (passant de moins de 10 millions d’euros en 2012 à 26 millions d’euros en 2017), tandis que depuis 2015 le Fonds fiduciaire d’urgence pour l’Afrique a été lancé par l’UE avec un budget de 2,5 milliards d’euros destinés à lutter contre les « causes profondes de la migration irrégulière » sur le continent, et notamment au Sahel.

      Ceci est particulièrement visible dans la région d’Agadez, dans le nord du pays, qui est plus que jamais considérée par les experts européens comme « le lieu où passe la plupart des flux de [migrants irréguliers] qui vont en Libye puis en Europe par la route de la Méditerranée centrale ».

      La migration criminalisée

      La mission européenne EUCAP Sahel Niger, lancée en 2012 et qui a ouvert une antenne permanente à Agadez en 2017, apparaît comme un des outils clés de la politique migratoire et sécuritaire européenne dans ce pays. Cette mission vise à « assister les autorités nigériennes locales et nationales, ainsi que les forces de sécurité, dans le développement de politiques, de techniques et de procédures permettant d’améliorer le contrôle et la lutte contre les migrations irrégulières », et d’articuler cela avec la « lutte anti-terroriste » et contre « les activités criminelles associées ».

      Outre cette imbrication officialisée des préoccupations migratoires et sécuritaires, EUCAP Sahel Niger et le nouveau Cadre de partenariat pour les migrations, mis en place par l’UE en juin 2016 en collaboration avec le gouvernement nigérien, visent directement à mettre en application la loi nigérienne n°2015-36 de mai 2015 sur le trafic de migrants, elle-même faite sur mesure pour s’accorder aux attentes européennes en la matière.

      Cette loi, qui vise à « prévenir et combattre le trafic illicite de migrants » dans le pays, définit comme trafiquant de migrants « toute personne qui, intentionnellement et pour en tirer, directement ou indirectement, un avantage financier ou un autre avantage matériel, assure l’entrée ou la sortie illégale au Niger » d’un ressortissant étranger.
      Jusqu’à 45 000 euros d’amende et 30 ans de prison

      Dans la région d’#Agadez frontalière de la Libye et de l’Algérie, les gens qui organisent les transports des passagers, tels les chauffeurs-guides en possession de véhicules pick-up tout-terrain leur permettant de transporter une trentaine de voyageurs, sont dorénavant accusés de participer à un « trafic illicite de migrants », et peuvent être arrêtés et condamnés.

      Transporter ou même simplement loger, dans le nord du Niger, des ressortissants étrangers (en situation irrégulière ou non) fait ainsi encourir des amendes allant jusqu’à 30 millions de francs CFA (45 000 euros) et des peines pouvant s’élever à 30 ans de prison.

      Et, cerise sur le gâteau de la répression aveugle, il est précisé que « la tentative des infractions prévue par la présente loi est punie des mêmes peines. » Nul besoin donc de franchir irrégulièrement une frontière internationale pour être incriminé.

      Résultat, à plusieurs centaines de kilomètres des frontières, des transporteurs, « passeurs » avérés ou supposés, requalifiés en « trafiquants », jugés sur leurs intentions et non leurs actes, peuvent dorénavant être arrêtés. Pour les autorités nationales, comme pour leurs homologues européens, il s’agit ainsi d’organiser le plus efficacement possible une lutte préventive contre « l’émigration irrégulière » à destination de l’Europe.

      Cette aberration juridique permet d’arrêter et de condamner des individus dans leur propre pays sur la seule base d’intentions supposées : c’est-à-dire sans qu’aucune infraction n’ait été commise, sur la simple supposition de l’intention d’entrer illégalement dans un autre pays.

      Cette mesure a été prise au mépris de la Charte africaine des droits de l’homme et des peuples (article 12.2) et de la Déclaration universelle des droits de l’homme (article 13.2), qui stipulent que « toute personne a le droit de quitter tout pays, y compris le sien ».

      Au mépris également du principe de présomption d’innocence, fondateur de tous les grands systèmes légaux. En somme, une suspension du droit et de la morale qui reflète toute la violence inique des logiques de lutte contre les migrations africaines supposées être à destination de l’Europe.
      Des « passeurs » sans « passages »

      La présomption de culpabilité a ainsi permis de nombreuses arrestations suivies de peines d’emprisonnement, particulièrement dans la région d’Agadez, perçue comme une région de transit pour celles et ceux qui souhaitent se rendre en Europe, tandis que les migrations vers le Sud ne font l’objet d’aucun contrôle de ce type.

      La loi de 2015 permet en effet aux forces de l’ordre et de sécurité du Niger d’arrêter des chauffeurs nigériens à l’intérieur même de leur pays, y compris lorsque leurs passagers sont en situation régulière au Niger. Cette loi a permis de créer juridiquement la catégorie de « passeur » sans qu’il y ait nécessairement passage de frontière.

      La question des migrations vers et à travers le Sahara semble ainsi dorénavant traitée par le gouvernement nigérien, et par ses partenaires internationaux, à travers des dispositifs dérivés du droit de la guerre, et particulièrement de la « guerre contre le terrorisme » et de l’institutionnalisation de lois d’exception qui va avec.

      Malgré cela, si le Niger est peu à peu devenu un pays cobaye des politiques antimigrations de l’Union européenne, nul doute pour autant qu’aucune police n’est en mesure d’empêcher totalement les gens de circuler, si ce n’est localement et temporairement – certainement pas dans la durée et à l’échelle du Sahara.

      Adapter le voyage

      Migrants et transporteurs s’adaptent et contournent désormais les principales villes et leurs #check-points, entraînant une hausse des tarifs de transport entre le Niger et l’Afrique du Nord. Ces #tarifs, qui ont toujours fortement varié selon les véhicules, les destinations et les périodes, sont passés d’environ 100 000 francs CFA (150 euros) en moyenne par personne vers 2010, à plusieurs centaines de milliers de francs CFA en 2017 (parfois plus de 500 euros). Les voyages à travers le Sahara sont ainsi plus onéreux et plus discrets, mais aussi plus difficiles et plus risqués qu’auparavant, car en prenant des routes inhabituelles, moins fréquentées, les transporteurs ne minimisent pas seulement les risques de se faire arrêter, mais aussi ceux de se faire secourir en cas de pannes ou d’attaques par des bandits.

      Comme le montre l’article Manufacturing Smugglers : From Irregular to Clandestine Mobility in the Sahara, cette « clandestinisation » (http://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/0002716217744529) généralisée du transport de migrants s’accompagne d’une diminution, voire d’une disparition, du contrôle social jusque-là exercé sur les différents acteurs, entre eux, mais aussi par leurs proches ou par les agents de l’État qui ponctionnaient illégalement leurs activités.

      Il était en effet aisé, jusqu’à récemment, de savoir qui était parti d’où, quel jour, avec combien de passagers, et de savoir si tous étaient arrivés à bon port. Ce qui incitait chacun à rester dans les limites morales de l’acceptable. Ces dernières années, entre les risques pris volontairement par les transporteurs et les migrants, et les abandons de passagers dans le désert, il ne serait pas étonnant que le nombre de morts sur les pistes sahariennes ait augmenté.
      Une vraie fausse réduction des flux

      Récemment, l’OIM a pu clamer une diminution des volumes des flux migratoires passant par le Niger, et des représentants de l’UE et de gouvernements sur les deux continents ont pu se féliciter de l’efficacité des mesures mises en œuvre, clamant unanimement la nécessité de poursuivre leur effort.

      Mais de l’accord même des agents de l’#OIM, seul organisme à produire des chiffres en la matière au Sahara, il ne s’agit en fait que d’une diminution du nombre de personnes passant par ses points de contrôle, ce qui ne nous dit finalement rien sur le volume global des flux à travers le pays. Or, malgré toutes les mesures sécuritaires mises en place, la toute petite partie de la population qui a décidé de voyager ainsi va sans doute continuer à le faire, quel qu’en soit le risque.

      https://theconversation.com/au-sahara-voyager-devient-un-crime-96825
      #Afrique_de_l'Ouest #mobilité #libre_circulation #frontières #externalisation #fermeture_des_frontières #migrations #asile #réfugiés #IOM #contrôles_frontaliers #déstructuration #passeurs #smugglers

    • Déclaration de fin de mission du Rapporteur Spécial des Nations Unies sur les droits de l’homme des migrants, Felipe González Morales, lors de sa visite au Niger (1-8 octobre, 2018)

      L’externalisation de la gestion de la migration du Niger par le biais de l’OIM

      En raison de ses capacités limitées, le gouvernement du Niger s’appuie depuis 2014 largement sur l’OIM pour répondre à la situation des personnes migrantes expulsées de l’Algérie ou forcées de revenir de pays voisins tels que la Libye et le Mali. À leur arrivée dans l’un des six centres de transit de l’OIM, et sous réserve qu’ils s’engagent à leur retour, l’OIM leur offre un abri, de la nourriture, une assistance médicale et psychosociale, des documents de voyage/d’identité et le transport vers leur pays d’origine. Depuis 2015, 11 936 migrants ont été rapatriés dans leur pays d’origine dans le cadre du programme d’AVR de l’OIM, la plupart en Guinée Conakry, au Mali et au Cameroun.

      Au cours de ma visite, j’ai eu l’occasion de m’entretenir avec de nombreux hommes, femmes et enfants vivant dans les centres de transit de l’OIM à Agadez et à Niamey, inscrits au programme d’AVR. Certains d’entre eux ont indiqué qu’ils ne pouvaient plus supporter les violations des droits de l’homme (ayant été victimes de discrimination raciale, d’arrestations arbitraires, de torture, d’expulsion collective, d’exploitation sexuelle et par le travail pendant leur migration) et de la situation difficile dans les centres de transit et souhaitaient retourner dans leur pays d’origine. D’autres ont indiqué qu’ils s’étaient inscrits au programme d’AVR parce que c’était la seule assistance qui leur était offerte, et beaucoup d’entre eux m’ont dit que dès leur retour dans leur pays d’origine, ils essaieraient de migrer à nouveau.

      En effet, quand le programme d’AVR est la seule option disponible pour ceux qui ont été expulsés ou forcés de rentrer, et qu’aucune autre alternative réelle n’est proposée à ceux qui ne veulent pas s’y inscrire, y compris ceux qui se trouvent dans une situation vulnérable et qui ont été victimes de multiples violations des droits de l’homme, des questions se posent quant à la véritable nature volontaire de ces retours si l’on considère l’ensemble du parcours qu’ils ont effectué. De plus, l’inscription à un programme d’AVR ne peut pas prévaloir sur le fait que la plupart de ces migrants sont à l’origine victimes d’expulsions illégales, en violation des principes fondamentaux du droit international.

      L’absence d’évaluations individuelles efficaces et fondées sur les droits de l’homme menées auprès des migrants rapatriés, faites dans le respect du principe fondamental de non-refoulement et des garanties d’une procédure régulière, est un autre sujet de préoccupation. Un grand nombre de personnes migrantes inscrites au programme d’AVR sont victimes de multiples violations des droits de l’homme (par exemple, subies au cours de leur migration et dans les pays de transit) et ont besoin d’une protection fondée sur le droit international. Cependant, très peu de personnes sont orientées vers une demande d’asile/procédure de détermination du statut de réfugié, et les autres sont traitées en vue de leur retour. L’objectif ultime des programmes d’AVR, à savoir le retour des migrants, ne peut pas prévaloir sur les considérations en lien avec les droits de l’homme pour chaque cas. Cela soulève également des préoccupations en termes de responsabilité, d’accès à la justice et de recours pour les migrants victimes de violations des droits de l’homme.

      Rôle des bailleurs de fonds internationaux et en particulier de l’UE

      Bien que les principaux responsables gouvernementaux ont souligné que l’objectif de réduction des migrations vers le nord était principalement une décision de politique nationale, il est nécessaire de souligner le rôle et la responsabilité de la communauté internationale et des bailleurs de fond à cet égard. En effet, plusieurs sources ont déclaré que la politique nigérienne en matière de migration est fortement influencée et principalement conduite selon les demandes de l’Union européenne et de ses États membres en matière de contrôle de la migration en échange d’un soutien financier. Par exemple, le fait que le Fonds fiduciaire de l’Union européenne apporte un soutien financier à l’OIM en grande partie pour sensibiliser et renvoyer les migrants dans leur pays d’origine, même lorsque le caractère volontaire est souvent discutable, compromet son approche fondée sur les droits dans la coopération pour le développement. De plus, d’après mes échanges avec l’Union européenne, aucun soutien n’est prévu pour les migrants qui ne sont ni des réfugiés ni pour ceux qui n’ont pas accepté d’être renvoyés volontairement dans leur pays d’origine. En outre, le rôle et le soutien de l’UE dans l’adoption et la mise en œuvre de la loi sur le trafic illicite de migrants remettent en question son principe de « ne pas nuire » compte tenu des préoccupations en matière de droits de l’homme liées à la mise en œuvre et exécution de la loi.

      https://www.ohchr.org/FR/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=23698&LangID=F
      #droits_humains #droits_de_l'homme_des_migrants #Niger #asile #migrations #réfugiés

    • African migration ’a trickle’ thanks to trafficking ban across the Sahara

      The number of migrants trying to cross the Mediterranean for Europe has been dropping and that is partly because of tougher measures introduced on the migrant routes, as Mike Thomson reports from Niger.

      In a small dusty courtyard near the centre of Agadez, a town on the fringes of the Sahara desert, Bachir Amma, eats lunch with his family.

      A line of plastic chairs, clinging to the shadow of the mud walls, are the only visible furniture.

      Mr Amma, a former people smuggler, dressed in a faded blue denim shirt and jeans, has clearly known better days.

      "I stopped trafficking migrants to the Libyan border when the new law came in.

      "It’s very, very strict. If you’re caught you get a long time in jail and they confiscate your vehicle.

      “If the law was eased I would go back to people trafficking, that’s for sure. It earned me as much as $6,000 (£4,700) a week, far more money than anything I can do now.”
      Traffickers jailed

      The law Mr Amma mentioned, which banned the transport of migrants through northern Niger, was brought in by the government in 2015 following pressure from European countries.

      Before then such work was entirely legal, as Niger is a member of the Economic Community of West African States (Ecowas) that permits the free movement of people.

      Police even provided armed escorts for the convoys involved. But since the law was passed many traffickers have been jailed and hundreds of their vehicles confiscated.

      Before 2015, the Agadez region was home to more than 6,000 people traffickers like Mr Amma, according to figures from the UN’s International Organization for Migration (IOM) .

      Collectively they transported around 340,000 Europe-bound migrants through the Sahara desert to Libya.
      Migration in reverse

      Since the clampdown this torrent has become a relative trickle.

      In fact, more African migrants, who have ended up in Niger and experienced or heard of the terrible dangers and difficulties of getting to Europe, have decided to return home.

      This year alone 16,000 have decided to accept offers from the IOM to fly them back.

      A large and boisterous IOM-run transit centre in Agadez is home to hundreds of weary, homesick migrants.

      In one large hut around 20 young men, from a variety of West African countries, attend a class on how to set up a small business when they get home.

      Among them is 27-year-old Umar Sankoh from Sierra Leone, who was dumped in the Sahara by a trafficker when he was unable to pay him more money.

      “The struggle is so hard in the desert, so difficult to find your way. You don’t have food, you don’t have nothing, even water you can’t drink. It’s so terrible,” he said.

      Now, Mr Sankoh has given up his dreams of a better life in Europe and only has one thought in mind: "I want to go home.

      "My family will be happy because it’s been a long time so they must believe I am dead.

      “If they see me now they’ll think, ’Oh my God, God is working!’”
      Coast guards intercept vessels

      Many thousands of migrants who make it to Libya are sold on by their traffickers to kidnappers who try and get thousands of dollars from their families back home.

      Those who cannot pay are often tortured, sometimes while being forced to ask relatives for money over the phone, and held in atrocious conditions for months.

      With much of the country in the grip of civil war, such gangs can operate there with impunity.

      In an effort to curb the number of migrants making for southern Europe by boat, thousands of whom have drowned on the way, coast guards trained by the European Union (EU) try and stop or intercept often flimsy vessels.

      Those on board are then taken to detention centres, where they are exposed to squalid, hugely overcrowded conditions and sometimes beatings and forced hard labour.
      Legal resettlement offers

      In November 2017, the EU funded a special programme to evacuate the most vulnerable refugees in centres like these.

      Under this scheme, which is run by the UN’s refugee agency (UNHCR), a little more than 2,200 people have since been flown to the comparative safety of neighbouring Niger.

      There, in a compound in the capital, Niamey, they wait for the chance to be resettled in a European country, including the UK, as well as Canada and the US.

      So far just under 1,000 have been resettled and 264 accepted for resettlement.

      The rest await news of their fate.

      https://www.bbc.com/news/world-africa-46802548
      #cartographie

      Commentaire de Alizée Daouchy via la mailing-list Migreurop:

      Rien de très nouveau dans cet article, il traite des routes migratoires dans le Sahara mais ne s’intéresse qu’au cas d’Agadez.
      L’auteur qualifie les « flux » dans le Sahara de « migration in reverse ». Alors qu’avant l’adoption de la loi contre le trafic de migrants (2015), 340 000 personnes traversaient le désert du Sahara vers la Libye (sans préciser pour quelle(s) année(s)), en 2018, 16 000 personnes ont été ’retournées’ dans leur pays d’origine par l’#OIM.

      Pour autant, des ’trafiquants’ continuent leurs activités en empruntant des routes plus dangereuses pour éviter les forces de l’ordre. A ce sujet la représentante de l’UNHCR au Niger rappelle que : la communauté internationale ("we, the international Community, the UNHCR") considère que pour chaque mort en Méditerranée, il y en aurait au moins deux dans le désert". Mais toujours pas de sources concernant ces chiffres.

      #migrations_inversées #migrations_inverses

    • After crackdown, what do people employed in migration market do?

      Thousands in Niger were employed as middlemen until the government, aided by the EU, targeted undocumented migration.

      A group of women are squeezed into a modest room, ready to take their class in a popular district of Agadez, the largest city in central Niger.

      A blackboard hangs on the wall and Mahaman Alkassoum, chalk in hand, is ready to begin.

      A former people smuggler, he is an unusual professor.

      His round face and shy expression clash with the image of the ruthless trafficker.

      “We’re here to help you organise your savings, so that your activities will become profitable,” Alkassoum tells the women, before drawing a timeline to illustrate the different stages of starting a business.

      Until mid-2016, both he and the women in the room were employed in Agadez’s huge migration market, which offered economic opportunities for thousands of people in an immense desert region, bordering with Algeria, Libya and Chad.

      Alkassoum used to pack his pick-up truck with up to 25 migrants at once, driving them across the Sahara from Agadez to the southern Libyan city of Sebha, earning up to 1,500 euros ($1,706) a month - five times the salary of a local policeman.

      All of us suffered with the end of migration in Agadez. We’re toasting peanuts every day and thinking of new ways to earn something.

      Habi Amaloze, former cook for migrants

      The women, his current students, were employed as cooks in the ghettos and yards where migrants were hosted during their stay in town.

      At times, they fed 100 people a day and earned about 200 euros ($227) a month.

      For decades, the passage of western African migrants heading to Libya, and eventually to Italian shores, happened in daylight, in full view - and in most cases with the complicity of Niger security forces.

      According to a 2016 study by the International Organization for Migration (IOM), migrants in transit had injected about 100 million euros ($113.8m) into the local economy,

      But the “golden age” of migration through Agadez ended abruptly in the summer of 2016 when the government of Niger launched a crackdown on people smuggling.

      More than 300 drivers, middlemen and managers of ghettos, have been arrested since then, convincing other colleagues - like Alkassoum and his students - to abandon their activity.

      The driver’s new career as a community organiser began right after, when most locals involved in the smuggling business realised they had to somehow reinvent their lives.

      At first, a few hundred men, former drivers or managers of ghettos, decided to set up an informal association, with the idea of raising funds between members to launch small commercial activities.

      But the project didn’t really work, Alkassoum recounts. In early 2018, the leader of the group, a renowned smuggler, disappeared with some of the funds.

      Alkassoum, at the time the association’s secretary, got discouraged.

      That was the moment when their female colleagues showed up.

      Most of them were wives or sisters of smugglers, who were cooking for the migrants inside ghettos and, all of a sudden, had also seen their source of income disappear.

      Resorting to an old experience as a youth leader, Alkassoum decided to help them launch new businesses, through lessons on community participation and bookkeeping.

      As of mid-2018, more than 70 women had joined.

      “At first we met to share our common suffering after losing our jobs, but soon we realised we needed to do more,” says Fatoumata Adiguini at the end of the class.

      They decided to launch small businesses, dividing themselves into subgroups, each one developing a specific idea.

      Habi Amaloze, a thin Tuareg woman, heads one of the groups: 17 women that called themselves “banda badantchi” - meaning “no difference” in Hausa - to share their common situation.

      The banda badantchi started with the cheapest possible activity, shelling and toasting peanuts to sell on the streets.

      Other groups collected small sums to buy a sheep, chicks or a sewing machine.

      “We started with what we had, which was almost nothing, but we dream to be able one day to open up a restaurant or a small farming activity,” explains Amaloze.

      While most men left Agadez to find opportunities elsewhere, the women never stopped meeting and built relations of trust.

      Besides raising their children, they have another motivation: working with migrants has freed them from marital control, something they are not willing or ready to lose.

      According to Rhissa Feltou, the mayor of Agadez, the crackdown on northbound migration responded to European requests more than to local needs.

      Since 2015, the European Union earmarked 230 million euros ($261.7m) from its Emergency Trust Fund of Africa for projects in Niger, making it the main beneficiary of a fund created to “address the root causes of migration”.

      Among the projects, the creation of a police investigative unit, where French and Spanish policemen helped their Nigerien counterparts to track and arrest smugglers.

      Another project, known under its acronym Paiera, aimed at relieving the effect of the migration crackdown in Agadez, included a compensation scheme for smugglers who left their old job. The eight million-euro ($9.2m) fund was managed by the High Authority for the Consolidation of Peace, a state office tasked with reducing conflicts in border areas.

      After endless negotiations between local authorities, EU representatives and a committee representing smugglers, a list of 6,550 smuggling actors operating in the region of Agadez, was finalised in 2017.

      But two years after the project’s launch, only 371 of them received small sums, about 2,300 euros ($2,616) per person, to start new activities.

      The High Authority for the Consolidation of Peace told Al Jazeera that an additional eight million-euro fund is available for a second phase of the project, to be launched in March 2019, allowing at least 600 more ex-smugglers to be funded.

      But Feltou, the city’s mayor, isn’t optimistic.

      “We waited too much and it’s still unclear when and how these new provisions will be delivered,” he explains.

      Finding viable job opportunities for thousands of drivers, managers of ghettos, middlemen, cooks or water can sellers, who lost their main source of income in a country the United Nations dubbed as the last in its human development index in 2018, is not an easy task.

      For the European Union, nonetheless, this cooperation has been a success. Northbound movements registered by the IOM along the main desert trail from Agadez to the Libyan border, dropped from 298,000 people a year in 2016 to about 50,000 in 2018.

      In a January 2019 report, the EU commission described such a cooperation with Niger as “constructive and fruitful”.

      Just like other women in her group, Habi Amaloze was disregarded by Brussels-funded programmes like Paiera.

      But the crackdown changed her life dramatically.

      Her brother, who helped her after her husband died years ago, was arrested in 2017, forcing the family to leave their rented house.

      With seven children, ranging from five to 13 years old, and a sick mother, they settled in a makeshift space used to store building material. Among piles of bricks, they built two shacks out of sticks, paperboard and plastic bags, to keep them safe from sand storms.

      “This is all we have now,” Amaloze says, pointing to a few burned pots and a mat.

      In seven years of work as a cook in her brother’s ghetto, she fed tens of thousands of migrants. Now she can hardly feed her family.

      “At that time I earned at least 35,000 [West African franc] a week [about $60], now it can be as low as 2,000 [$3.4], enough to cook macaroni once a day for the kids, but no sauce,” she says, her voice breaking.

      Only one of her children still attends school.

      Her experience is familiar among the women she meets weekly. “All of us suffered with the end of migration in Agadez,” she says.

      Through their groups, they found hope and solidarity. But their future is still uncertain.

      “We’re toasting peanuts every day and thinking of new ways to earn something,” Hamaloze says with a mix of bitterness and determination. “But, like all our former colleagues, we need real opportunities otherwise migration through Agadez and the Sahara will resume, in a more violent and painful way than before.”


      https://www.aljazeera.com/indepth/features/crackdown-people-employed-migration-market-190303114806258.html

  • Réaction de #Nicole_Lapierre au #Manifeste_contre_le nouvel_antisémitisme

    En tant que juive

    Or, ce manifeste est pernicieux.

    D’une part, parce qu’il enrôle le combat contre l’#antisémitisme dans une revendication nationaliste et une captation identitaire dont il n’a que faire. Et d’autre part, parce qu’il agite la vieille et dangereuse thématique de la « #concurrence_des_victimes », en opposant deux populations, au nom d’une hiérarchie des #préjudices. D’un côté la lutte contre l’#antisémitisme, juste, nécessaire, dans l’ombre portée de la #Shoah. De l’autre la dénonciation, jugée exagérée, voire injustifiée, de l’#islamophobie, qui « dissimule les #chiffres du ministère de l’Intérieur : les Français juifs ont 25 fois plus de risques d’être agressés que leurs concitoyens musulmans. »

    Las, « la bassesse électorale calcule que le vote musulman est dix fois supérieur au vote juif. » Selon cette comptabilité, cela pourrait empirer, d’où cet « avertissement solennel » selon lequel « La #France sans les Juifs, [ne serait] plus la France ». Et son envers subliminal, mais explicite chez quelques signataires de ce manifeste : la France submergée par le « #grand_remplacement » musulman, ne serait plus la France. Les uns enrichissent le pays, son histoire et sa culture, ce qui est indéniable et a été longtemps nié. Les autres l’envahissent, et cette symétrie inversée est infâme, niant qu’à leur tour ils l’enrichissent.

    Si le poids des chiffres ne suffit pas, on y ajoute le poids des #mots : il s’agit « d’une #épuration_ethnique à bas bruit au pays d’Émile Zola et de Clemenceau ». Bref, il y a de #vraies_victimes, juives, et de #fausses_victimes, musulmanes, parmi lesquelles se recrutent les bourreaux. Ce face à face mortifère ne peut qu’attiser les peurs et les haines en prétendant les combattre. Le #péril est là.

    https://blogs.mediapart.fr/nicole-lapierre/blog/240418/en-tant-que-juive
    #nationalisme #islam #judaïsme #manifeste