• Radio Parleur recherche sa·son réalisateur·ice sonore
    https://radioparleur.net/2025/07/17/radio-parleur-recherche-sa%c2%b7son-realisateur%c2%b7ice-sonore

    L’association la porte à côté, éditrice du média Radio Parleur et porteuse de projets sonores d’éducation populaire, est à la recherche d’un·e réalisateur·ice sonore ! Cette personne aura pour missions principales : Ateliers de créations sonores et d’éducation aux médias – Appui technique et co-animation des ateliers de créations sonores et/ou d’éducation aux médias, en […] L’article Radio Parleur recherche sa·son réalisateur·ice sonore est apparu en premier sur Radio Parleur.

    #Non_classé #Une_du_site

  • La pauvreté et les inégalités au plus haut depuis trente ans
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2025/07/07/la-pauvrete-et-les-inegalites-au-plus-haut-depuis-trente-ans_6619650_3224.ht


    L’entrée du centre d’accueil de jour et de mise à l’abri du Secours islamique France, à Massy (Essone), le 4 juillet 2025. SAMUEL GRATACAP POUR « LE MONDE »

    L’Insee a publié, lundi 7 juillet, ses données pour l’année 2023 : le taux de pauvreté atteint 15,4 %, son plus haut niveau depuis le début du décompte en 1996. L’écart entre les 20 % plus riches et les 20 % plus pauvres s’est creusé, proche de celui du début des années 1970.

    Six cent cinquante mille personnes ont basculé dans la pauvreté en l’espace d’une année (...)

    Comment expliquer ces constats ? « Le niveau de vie, soutenu par une conjoncture favorable de l’emploi, a augmenté plus vite que l’inflation, sauf pour les plus modestes », résume M. Duée. Le niveau de vie médian a atteint 2 150 euros mensuels pour une personne seule, une hausse plus forte (5,9 %), que l’inflation ( + 4,9 % en moyenne annuelle), soit une augmentation en euros constants de 0,9 %. Mais les évolutions à chaque extrémité du spectre des revenus ont été très différentes : le niveau de vie des 10 % les plus riches a progressé de 2,1 % en euros constants, « porté par les rendements des produits financiers », souligne M. Duée. Tandis que les 30 % d’habitants les plus modestes ont connu une baisse de leur niveau de vie, particulièrement marquée pour les 10 % les plus pauvres (− 0,9 % en euros constants).

    https://archive.ph/AyYnT

    edit Alternatives économiques https://archive.ph/6uMTR

    #pauvreté #taux_de_pauvreté #inflation

  • Stanza dell’ascolto all’Ospedale Sant’Anna di Torino chiuderà : accolto il ricorso al TAR
    https://radioblackout.org/2025/07/stanza-dellascolto-allospedale-santanna-di-torino-chiudera-accolto-il

    A settembre scorso la mobilitazione lanciata da #non_una_di_meno aveva raccolto un’importante partecipazione per protestare contro l’apertura della “stanza dell’ascolto” all’interno dell’Ospedale Sant’Anna di Torino: quella giornata aveva visto l’occupazione del cortile interno dell’ospedale con l’obiettivo di chiudere la stanzetta. Oggi il TAR ha accolto il ricorso presentato da CGIL Torino e SNOQ […]

    #L'informazione_di_Blackout #194 #antiabortisti #movimento_provita #stanza_dell'ascolto
    https://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/Vittoria-stanza-dellascolto-2025_07_03_2025.07.03-09.00.00-escopo

  • #Ussita. Deviazioni inedite raccontate dagli abitanti

    Ussita, nel parco nazionale dei monti sibillini, è mobile come il territorio che racconta: dal movimento della terra scossa dal terremoto a una comunità in movimento, che guida il viaggiatore alla scoperta di se stessa attraverso una narrazione “sismica”, in cui testi e immagini parlano al contempo di vecchio, nuovo e immaginario.

    La guida di Ussita, ideata da Sineglossa e composta dalle narrazioni degli abitanti, è impreziosita dalle incursioni degli artisti che hanno incontrato il paese, i paesaggi, i materiali d’archivio: gli scrittori Wu Ming 2 e Alessandro Chiappanuvoli, i fotografi Mauro Pennacchietti e Antonio di Cecco, l’illustratore Giacomo Giovanetti e la giornalista Sara Sartori.

    Attraverso percorsi tematici, arricchiti dai podcast del canale Loquis dedicato, chi viaggia da nonturista potrà fare esperienza diretta e intima del posto, entrando in contatto con gli abitanti e i loro luoghi dell’anima

    https://www.ediciclo.it/it/libri/dettaglio/ussita-ne
    #Apennins #montagne #tourisme #non-tourisme #guide #alternative #communauté #monti_sibillini (https://fr.wikipedia.org/wiki/Monts_Sibyllins) #parc_national #monts_Sibyllins #Italie #Ombrie #Marches #territoire #tremblement_de_terre #imaginaire

    • Ussita - Un dialogo sulla ricostruzione

      L’audio che stai per ascoltare nasce da un periodo di residenza di Sara Sartori a Ussita (MC), nel #Parco_Nazionale_dei_Monti_Sibillini, nella primavera-estate del 2023. In questa storia prodotta in anteprima per Loquis, un abitante e un proprietario di una seconda casa di Ussita dialogano sul futuro del paese e raccontano, a 7 anni di distanza dal sisma, l’immobilismo della burocrazia, l’attesa della ricostruzione e l’abusivismo edilizio. Contributo audio di Sara Sartori, prodotto da Sineglossa e C.A.S.A. Cosa Accade Se Abitiamo, all’interno del progetto EIT Community New European Bauhaus Frontignano podcast, sostenuto dall’European Institute of Innovation and Technology (EIT), un organismo dell’Unione Europea. “Funded by the European Union. Views and opinions expressed are however those of the author(s) only and do not necessarily reflect those of the European Union. Neither the European Union nor the granting authority can be held responsible for them.”

      https://www.loquis.com/it/loquis/3030311/Ussita+Un+dialogo+sulla+ricostruzione
      #podcast #reconstruction #audio

    • Una guida per conoscere da dentro i Sibillini sconvolti dai terremoti del 2016

      La comunità di Ussita, nell’Appennino marchigiano, ha immaginato una serie di itinerari per scoprire il territorio ai piedi del Monte Bove. Un modello di turismo responsabile e a basso impatto, che diventa anche spazio di incontro e condivisione, facilitato dall’associazione C.A.S.A. (Cosa Accade Se Abitiamo)

      Prima dei terremoti dell’agosto e dell’ottobre 2016 a Frontignano di Ussita, sui Monti Sibillini in provincia di Macerata, non viveva nessuno. Quassù, a 1.350 metri sul livello del mare, c’erano seconde case, residence ed hotel: era (solo) una stazione sciistica, edificata a partire dalla fine degli anni Cinquanta su quelli che fino ad allora erano stati pascoli e campi coltivati a grano.

      Oggi a Frontignano c’è una piccola comunità di sette residenti: se “Cosa Accade Se Abitiamo” fosse una domanda, e non il nome dell’associazione (l’acronimo è C.A.S.A.) che tra le abitazioni in località Pian dell’Arco ha aperto un “porto di montagna“, residenza artistica e spazio culturale, la risposta sarebbe: saremmo capaci di costruire comunità, anche affrontando le condizioni più avverse.

      È possibile capirlo camminando per mezza giornata, guidati da Chiara e Marta di C.A.S.A., seguendo uno degli itinerari descritti nella guida “Ussita. Deviazioni inedite raccontate dagli abitanti”, uscita per Ediciclo editore nella collana Nonturismo, curata da Sineglossa e Riverrun. È sufficiente ascoltare i “testimoni” del passato, del presente e del futuro di Frontignano: osservando camminare nel bosco una bambina di nome Viola, che a 11 anni si è trasferita quassù con mamma Federica e papà Marco, direttore dell’ufficio postale giù ad Ussita; ascoltando i ricordi di Peppe, che è nato più di sessant’anni fa a San Placido, un borgo sotto Frontignano, e quassù veniva da piccolo a portar l’acqua ai mietitori, a togliere i sassi dai campi di grano perché le falci non si rompessero.

      Non ci sono bar né alimentari, a Frontignano, ma non è colpa del terremoto: all’ombra del massiccio del Monte Bove, nella “nostra Innsbruck a due passi da Macerata” (così un articolo del 1987, firmato da Maurizio Costanzo per Il Messaggero) una “comunità” non c’era mai stata. Oggi, invece, di fronte ai ruderi del residence Ambassador (all’inizio degli anni Ottanta “fu inaugurato con un evento chiamato Cristallo di Neve, al quale parteciparano molti personaggi noti […]. Un residence da moquette rossa e corridoi lunghi”, si legge nella guida) una comunità c’è, è capace di far arrivare persone da tutta Italia per partecipare a una camminata e chiede che l’ecomostro non venga ricostruito dov’era e com’era perché oggi, dopo un terremoto distruttivo e a fronte dei ritardi della ricostruzione, quel modello di insediamento, un alveare con 100 appartamenti, non dovrebbe più appartenere a questa montagna.

      La comunità è, infine, quel soggetto che può aiutare chi arriva in un luogo, turista o viaggiatore, a scalfire il proprio pregiudizio. È successo anche a chi scrive: seguendo il navigatore verso la sede di C.A.S.A., in un piazzale all’imbocco di uno dei sentieri verso il Monte Bove, la presenza di un baracchino che prometteva “fritti e specialità abruzzesi” aveva fatto storcere il naso. Nei giorni precedenti, in giro per i Sibillini terremotati, con quasi tutti i rifugi ancora chiusi e inagibili, era frequente la presenza di ristori volanti, con improbabili cartocci di olive ascolane offerti ai 1.550 metri sul livello del mare di Forca di Presta, valico stradale dell’Appennino umbro-marchigiano, ai piedi del monte Vettore. Davanti a quel baracchino, però, l’itinerario della “deviazione inedita” prevede un sosta, per incontrarne i gestori, Gianfranco e Franca. Hanno un’ottantina d’anni e ne hanno dedicati oltre cinquanta, insieme, a Frontignano. Raccontano la loro storia: cominciarono gestendo un rifugio del CAI, quello che aveva ospitato il pranzo del loro matrimonio, e quello alle nostre spalle è il loro hotel “Felycita”, l’ingresso sbarrato.

      Felicita è il nome della figlia, che con il genero Antonio oggi li aiuta a gestire il baracchino, in attesa di poter riaprire una struttura ricettiva. In pochi metri quadri preparano i piatti della tradizione, come le lenticchie in umido. Alla fine della passeggiata, così, è qui che si torna a bere una birra, seduti ai tavoli di plastica. Brindando a una comunità nata sulle macerie di un terremoto e capace di aiutare chi lo desidera ad aprire gli occhi su ciò che accade in Centro Italia.

      https://altreconomia.it/cosa-accade-se-abitiamo-frontignano-di-ussita

    • lo spirito del luogo

      #GENIUS_LOCI

      elementi storici, tradizionali, folkloristici, ma anche naturalistici, che hanno contribuito a creare l’identità del luogo

      EMERGENZE

      ciò che è in superficie, che sta venendo a galla (in positivo e in negativo)

      VISIONI

      proiezioni più o meno utopiche di quello che sarà il territorio raccontato da qua a cinquant’anni


      https://nonturismo.org/ussita
      #visions

  • #1 – Incurables – pt.3
    https://www.grognon.org/2025/05/16/1-incurables-pt-3

    Pour le troisième numéro de la revue malade nous avons le plaisir de vous faire découvrir deux autres autrices incurables pour la qualité exceptionnelle de leur critiques et de leur provocations. Raquel Santana de Morais :J’ai rencontré Raquel il y a exactement 24 ans. Au cours de ces années, j’ai pu suivre son parcours situé […]

    #Non_classé #Numéro_1_-_Incurables

  • Il ne suffit pas de vouloir une #écologie_antiraciste : le #zéro_déchet, la #colonialité et moi

    On parle souvent des #écologies_décoloniales. On voit moins les #écologies_coloniales interroger leur propre colonialité. C’est ce qu’on va faire ici, en étudiant la colonialité dans le zéro déchet et les écologies de la #sobriété.

    #Colonial n’est pas un compliment. Et si j’étais du mauvais côté ? Si mon #écologie était une de ces écologies coloniales qui s’ignorent ? Plus j’y pense plus c’est crédible, plus je creuse plus ça devient évident. Dans ce billet, je tente de conscientiser la dimension coloniale du #zero_waste et des écologies similaires.

    Pour ça je vais dérouler les implicites du « point de vue zéro déchet » et montrer ce qu’ils ont de problématique. L’idée est de partir du #zéro_gaspillage et d’arriver à la #décolonialité. J’essaie de baliser un parcours qui aide mes camarades écologistes à voir en quoi iels sont concerné⋅es par la #critique_décoloniale, de tracer un chemin que d’autres pourraient emprunter, sans forcément connaître cette pensée en amont.

    Je pars du zéro #gaspillage parce que c’est là où je suis, ce que je connais le mieux, mais la colonialité que je découvre concerne l’écologie de façon beaucoup plus large.

    Des écueils et une méthode

    Mais il y a des écueils. En tant qu’européen blanc issu d’une famille de colons1 je suis mal placé pour comprendre les questions de colonialité et de #racisme. Bénéficier d’avantages dans un système de pouvoir produit de l’#ignorance chez les dominant·es, une incapacité à reconnaître des choses évidentes du point de vue des dominé⋅es2.

    À supposer que je surmonte cet obstacle, je ne suis toujours pas légitime. En abordant ces sujets, je risque d’invisibiliser la voix de personnes plus compétentes que moi et sur qui s’appuie ma réflexion. Même si j’identifie des limites réelles à l’approche zéro gaspillage, je ne suis pas expert en #décolonialité.

    Alors pourquoi parler du sujet ? D’abord parce qu’on n’avancera jamais si j’attends de me sentir à l’aise pour discuter de racisme et de colonialité. Mon écologie est d’une #blanchité aveuglante : étudier sa colonialité est une façon d’adresser une partie du problème. Ensuite, parce que je ne prétends pas produire un discours scientifique ou exhaustif. Je présente un témoignage, un parcours de conscientisation personnel, limité et imparfait.

    Dans les paragraphes qui suivent, j’aborde un à un des aspects du zéro déchet. Pour chaque aspect j’émets une critique, puis je la rattache à une facette de la colonialité. C’est cette dernière qui donne une unité aux défauts présentés ici.

    Un « nous » d’humanité générale

    Préserver « nos #ressources », changer « nos modes de productions », réduire « nos #déchets » : les discours zero waste utilisent régulièrement le possessif « #nos ». Ce n’est pas un usage fréquent, mais il n’est pas anecdotique. On peut même résumer l’approche zéro gaspillage à On peut même résumer l’approche zéro gaspillage à « ne pas faire de nos ressources des déchets3 » (je souligne).

    Mais qui est derrière ces possessifs ? À quel « #nous » renvoient ces expressions ? Je ne crois pas qu’ils ciblent un groupe limité de personnes physiques, des gens qu’on pourrait compter. C’est un « nous » général, qui désigne un ensemble plus abstrait. Selon moi, il englobe toute l’humanité.

    Puisque le zéro déchet pense à l’échelle mondiale, qu’il s’intéresse à l’#intérêt_commun et est anthropocentré, son horizon semble bien être celui de l’#humanité. J’en fais l’expérience dans mes propres textes, quand j’écris « nos besoins », « notre situation » ou « notre planète » dans les articles précédents.

    Un point de vue de nulle part

    Mais les écologistes qui tiennent ces discours en France ne représentent pas toute l’humanité. Ils et elles sont situées sur toute une série de plans : social, économique, géographique… Avec ce « nous », iels endossent un point de vue désitué et désincarné, qui ne correspond à personne. Ce faisant, iels invisibilisent leur propre situation d’énonciation concrète et oublient son impact sur leurs façons d’agir et leur rapport au monde.

    Dans un mouvement inverse, iels invisibilisent la pluralité des voix et la diversité des points de vue au sein des groupes humains. En prétendant que leur voix est universelle, capable d’exprimer celle de « l’humanité », ces écologistes minorent la place des #désaccords, des #conflits et des #hiérarchies entre êtres humains.

    Ce double mouvement n’est possible que pour des personnes habituées à être légitimes, écoutées, à bénéficier d’avantages au sein d’un #système_de_pouvoir. Elles ne perçoivent pas ce que leur position a de singulier et ne s’étonnent pas que leur voix puisse énoncer des normes valables partout. Cette attitude semble correspondre à une facette de la colonialité, qui véhicule un #universalisme, voire un #universalisme_blanc.

    L’illusion d’une #humanité_unie

    Tout se passe comme si l’appartenance à la même espèce créait un lien fort entre les humains, que de ce simple fait, chaque membre de l’espèce avait des intérêts communs ou convergents. De quoi toutes et tous « nous » réunir dans même groupe : l’humanité.

    Les êtres humains auraient collectivement un intérêt commun à maintenir un climat stable et biodiversité abondante. Chacun⋅e aurait une bonne raison, même indirecte ou lointaine, d’agir dans ce sens. Par exemple, si je ne veux pas souffrir d’une chaleur mortelle lors de canicules intenses et fréquentes. Ou si j’ai peur que des guerres pour les ressources en eau, en terres fertiles, en ressources énergétiques ou en métaux adviennent sur mon territoire.

    Mais est-ce vraiment ce qu’on constate ? Partout les #intérêts_divergent, y compris dans des petits groupes. Qui a vraiment les mêmes intérêts que sa famille, ses ami⋅es ou ses collègues ? Plus le collectif est large, moins on trouve d’unité, d’uniformité et d’intérêts partagés. Les liens qu’on y découvre sont faibles, indirects et peu structurants. Chercher des #intérêts_convergents et significatifs à l’échelle de l’humanité semble largement illusoire.

    D’autant que certains ne sont même pas d’accord sur les limites de ce groupe. Qui compte comme un être humain ? Quand certains déshumanisent leurs ennemis en prétendant qu’iels sont des vermines. Que leur génocide n’en est pas un, puisqu’iels ne sont même pas « humains ». Qu’on peut en faire des esclaves, les dominer et les tuer « comme des animaux », puisqu’iels ne sont ne sont pas comme « nous ».

    Une faiblesse militante

    Pour la géographe #Rachele_Borghi, croire que nous somme toustes « dans le même bateau » est un des symptômes de la colonialité (Décolonialité & privilège, p. 110). Et c’est bien de ça qu’il s’agit : les écologies de la sobriété semblent croire que nous partageons la même situation critique, toustes embarqués dans un seul bateau-planète.

    Cette vision explique en partie l’insistance du zéro gaspillage sur la #non-violence et la #coopération. Le mouvement pousse à voir ce qui rapproche les personnes, ce qu’elles ont à gagner en collaborant. Il regarde l’intérêt général, celui qui bénéficie à « tout le monde », sans considération de #race, de #classe, de #genre, et ainsi de suite. Il passe un peu vite ce que chaque groupe a à perdre. Il ignore trop facilement les inimitiés profondes, les conflits irréconciliables et les #rapports_de_force qui traversent les groupes humains.

    Cette attitude constitue une véritable faiblesse militante. Faute d’identifier les tensions et les rapports de force, on risque d’être démuni lorsqu’ils s’imposent face à nous. On est moins capable de les exploiter, de savoir en jouer pour faire avancer ses objectifs. Au contraire, on risque de les subir, en se demandant sincèrement pourquoi les parties prenantes refusent de coopérer.

    Le spectre de l’#accaparement_des_ressources

    Plus profondément, un tel point de vue active un risque d’accaparement des #ressources. Si on pense parler au nom de l’humanité et qu’on croît que tous les êtres humains ont objectivement des intérêts convergents, il n’y a plus de conflits sur les ressources. Où qu’elles soient sur Terre, les #ressources_naturelles sont « nos » ressources, elles « nous » appartiennent collectivement.

    En pensant un objet aussi large que « l’humanité », on évacue la possibilité de conflits de #propriété ou d’#usage sur les ressources naturelles. L’humanité est comme seule face à la planète : ses divisions internes n’ont plus de pertinence. Pour assurer sa survie, l’humanité pioche librement dans les ressources naturelles, qui sont au fond un patrimoine commun, quelque chose qui appartient à tout le monde.

    Dans cette perspective, je peux dire depuis la France que j’ai des droits4 sur la forêt amazonienne au Brésil, car elle produit un air que je respire et abrite d’une biodiversité dont j’ai besoin. Cette forêt n’appartient pas vraiment à celles et ceux qui vivent à proximité, qui y ont des titres de propriété, ou même à l’État brésilien. C’est un actif stratégique pour l’humanité entière, qui « nous » appartient à tous et toutes.

    Sauf que rien ne va là-dedans. À supposer qu’on ait tous et toutes des droits sur certains #biens_communs, ça ne veut pas dire qu’on ait des droits équivalents. La forêt amazonienne m’est peut-être utile, dans un grand calcul mondial très abstrait, mais ce que j’en tire est infime comparé à ce qu’elle apporte à une personne qui vit sur place, à son contact direct et régulier.

    Les ressources naturelles sont ancrées dans des territoires, elles font partie d’écosystèmes qui incluent les humains qui vivent près d’elles. « Tout le monde » n’est pas aussi légitime à discuter et décider de leur avenir. N’importe qui ne peut pas dire que ce sont « ses » ressources, sans jamais avoir été en contact avec.

    Une attitude de colon

    Croire l’inverse, c’est faire preuve d’une arrogance crasse, adopter l’attitude d’un colon, qui arrivant de nulle part dit partout « Ceci est à moi » sur des terrains exploités par d’autres. Il faut une assurance démesurée, un sentiment de légitimité total, pour dire « nos ressources » en parlant de celles qui sont littéralement à autrui.

    Les écologistes qui adoptent ce point de vue ne semblent pas conscient⋅es que leur vision fait écho à des #logiques_prédatrices qui elles aussi, se sont parées de discours positifs et altruistes à leurs époques. Après la mission civilisatrice, la #mission_écologique pourrait prendre le relais. On ne viendrait plus exploiter les richesses des colonies pour l’Europe, mais protéger les ressources naturelles pour l’humanité. Un risque d’autant moins théorique qu’on a déjà évoqué les ambiguïtés et l’utilitarisme du zéro déchet.

    L’#impensé_colonial se manifeste aussi par une absence d’inversion des rôles. On pense le monde comme plein de ressources pour « nous », mais on ne pense jamais « chez soi » comme une ressource pour les autres. Quand on parle de l’épuisement des ressources en sable, on n’imagine pas renoncer aux plages françaises pour satisfaire les besoins d’autres pays qui veulent fabriquer du béton.

    Le « nous » d’humanité générale éclate en morceaux : son caractère fictif devient manifeste. Mis face à une #prédation qui touche à des ressources situées sur notre #territoire, nous, Français⋅es, cessons de considérer que tout est un #bien_commun et que nos intérêts se rejoignent avec ceux du reste du monde. Les crises du climat, de la biodiversité et de l’eau n’ont pas disparues. Mais notre approche ne permet plus d’y pallier.

    Une approche individualiste et dépolitisante

    Un autre défaut de l’approche zéro gaspillage est son aspect individualiste. Le zero waste veut prendre en compte les intérêts de toutes les parties prenantes, mais sa méthode d’action consiste à ne pas consulter les personnes. On s’informe sur ce qui leur arrive, sur leurs conditions de vie et de travail, mais on n’entre pas en contact avec elles. On veut agir pour ces personnes, mais sans devoir leur parler.

    Je vois trois dimensions à cette attitude. D’abord, une telle discussion est matériellement impossible : il y a trop de parties prenantes dans la production mondiale. L’ambition de toutes les prendre en considération est vouée à l’échec. Ensuite, une écologie qui imagine prendre en compte l’intérêt de toute l’humanité n’a pas besoin de parler aux autres. Elle croit pouvoir se projeter dans leurs situations et connaître leurs intérêts. Enfin, un certain mépris de classe n’est pas à exclure. On n’a pas envie de parler à celles et ceux qu’on estime inférieur⋅es : les fréquenter rend visible la #domination et les #injustices dont on profite.

    Depuis ma situation individuelle, je tente d’agir pour les autres, mais sans construire de liens explicites, de relations bidirectionnelles. C’est tout l’inverse d’une approche collective et politique. Certes, la matière et le cycle de vie des objets créent un lien invisible entre les personnes, mais il en faut plus pour créer des solidarités concrètes – pas juste des relations économiques entre clients et fournisseurs.

    Alors que le zéro gaspillage est un projet politique, dont le concept central est intrinsèquement politique, j’ai l’impression qu’il a du mal à dépasser une approche individuelle, à construire de l’#action_collective et des #solidarités. Il reste en ça prisonnier d’une époque néolibérale où les modèles mentaux partent de l’individu, parfois y restent, et souvent y retournent.

    Un risque de #paternalisme

    L’approche zéro gaspillage comporte aussi un risque de paternalisme (https://plato.stanford.edu/entries/paternalism). Si on définit l’intérêt d’autrui sans échanger avec lui, sans écouter sa voix et ses revendications explicites, on va décider seul de ce qui est bon pour lui, de ce qui correspond à ses besoins. On va considérer comme dans son intérêt » des choix que la personne rejetterait, et rejeter des choix qu’elle jugerait positifs pour elle. C’est précisément ce qu’on appelle du paternalisme : agir « dans l’intérêt » d’une personne, contre la volonté explicite de cette personne elle-même.

    Pensez aux travailleurs et travailleuses de la décharge de déchets électroniques d’Agbogbloshie au Ghana (https://fr.wikipedia.org/wiki/Agbogbloshie), qui sont interviewés dans le documentaire Welcom to Sodom (https://www.welcome-to-sodom.com). Iels expliquent que travailler là est là meilleure situation qu’iels ont trouvé, que c’est pire ailleurs : pas sûr qu’iels soient enthousiastes à l’idée d’une réduction globale des déchets. Certes, leur environnement serait moins pollué, leur santé moins en danger, etc. mais leur source de revenu disparaîtrait. Une écologie qui minore les désaccords, la diversité des points de vue et les conflits possibles montre encore une fois ses limites.

    Ce risque de paternalisme rejoint la question de la colonialité. Les Européens et les Européennes ont une longue tradition de hiérarchisation des races, qui met les blancs en haut et les personnes colonisées non-blanches en bas. Les personnes qu’on envahit, domine et tue sont présentées comme incapables de savoir ce qui est bon pour elles. Mais le colonisateur « sait ». Il est prêt à « se sacrifier » pour l’intérêt de ces peuples, qui « ne lui rendent pourtant pas ». Un tel point de vue s’exprime notoirement dans le poème raciste et colonialiste de l’écrivain Rudyard Kipling, Le fardeau de l’homme blanc (https://fr.wikipedia.org/wiki/Le_Fardeau_de_l%27homme_blanc).

    Mais n’est-ce pas quelque chose de similaire qu’on entend, quand j’écris dans l’article précédent (https://blog.whoz.me/zerowaste/le-point-de-vue-zero-dechet) que le zéro gaspillage consiste à mettre son intérêt direct en retrait, au profit de celui d’une personne plus loin dans la chaîne de production ? Le mépris s’est (peut-être) effacé, mais le discours sur le sacrifice altruiste est toujours là.

    Une position centrale qui interroge

    Avec la sobriété, les écologistes occidentaux trouvent une narration qui leur donne une place centrale, positive et active dans la lutte contre les injustices climatiques. Ce sont elles et eux qui proposent d’engager les sociétés contemporaines vers un #futur_désirable. Iels produisent des idées et expérimentent des pratiques qu’iels appellent à devenir la norme (#réemploi, #réparation, etc.). À la fois innovantes, précurseures, bienveillantes, ces personnes n’ont presque rien à se reprocher et plus de raison de se sentir coupables.

    Mais on devrait interroger une #narration qui vous donne la meilleure place, légitime vos choix et vos actions, sans jamais leur trouver d’aspects négatifs. Un tel #discours semble trop parfaitement bénéficier à celui ou celle qui s’y retrouve pour ne pas éveiller un soupçon.

    Je peine à ne pas voir dans la sobriété une sorte de version non-interventionniste du « #sauveur_blanc 5 ». Au lieu de prendre l’avion pour aller « aider » des enfants pauvres dans un pays du Sud, on « agit » à distance, par des effets indirects, incertains, et à moyen terme.

    On s’épargne l’aspect grossièrement raciste et paternaliste d’un « #tourisme_humanitaire » qui intervient sur place, perturbe les dynamiques locales, et laisse les conséquences à gérer à d’autres. Mais cet horizon d’agir de chez soi pour les dominés me semble prolonger des logiques similaires. On passe au sauveur « sans contact », qui sauve par un ruissellement de sobriété.

    On reste dans l’idée de porter secours aux « victimes » d’un système… dont on est l’un des principaux bénéficiaires. Un système construit par son pays, ses institutions, voire ses ancêtres… Et qui nous fabrique par notre éducation et nos socialisations.

    Des logiques d’#appropriation

    D’autant que les écologistes de la sobriété font preuve d’attitudes questionnables, qui tranchent avec leurs postures altruistes. Si j’ai les moyens d’acheter neuf, mais que je choisis l’occasion, je fais une excellente affaire, bien au-delà de l’intention écologique. On peut voir ça comme une façon pour un riche de récupérer des ressources peu chères, qui auraient sinon bénéficié à d’autres catégories sociales.

    En glanant Emmaüs et les #recycleries solidaires, les riches écolos s’introduisent dans des espaces qui ne leur étaient pas destinés au départ. Leur pouvoir économique peut même déstabiliser les dynamiques en place. Emmaüs s’alarme de la baisse de qualité des dons reçus, les objets de valeur étant détournés par des nouveaux #circuits_d’occasion orientés vers le profit ou la #spéculation (#Vinted, néo-friperies « #vintage », etc.).

    Par ailleurs, la façon dont les écologistes de la sobriété se réapproprient des pratiques antérieures questionne. Éviter le gaspillage, emprunter plutôt qu’acheter, composter, réparer, consigner : ces pratiques n’ont pas été inventées par le zéro déchet. L’approche zero waste leur donne surtout une nouvelle justification, une cohérence d’ensemble, et les repositionne au sein de la société.

    Des pratiques anciennement ringardes, honteuses, ou marginales deviennent soudainement à la mode, valorisées, et centrales quand des privilégié·es s’en emparent. L’histoire de ces usages est effacée, et les écolos les récupèrent comme marqueurs de leur groupe social. Une logique qui rappelle celle de l’#appropriation_culturelle, quand un groupe dominant récupère des éléments d’une culture infériorisée, les vide de leur signification initiale et en tire des bénéfices au détriment du groupe infériorisé.

    Une vision très abstraite

    Ma dernière critique porte sur le caractère très abstrait du zéro gaspillage. Les concepts centraux du mouvement présentent un fort niveau d’#abstraction. J’ai détaillé le cas du « gaspillage », mais on peut aussi évoquer les idées de « ressource » ou de « matière ».

    Une « #ressource » n’est pas vraiment une réalité concrète : le mot désigne la chose prise comme moyen d’un objectif, intégrée à un calcul utilitaire qui en fait une variable, un élément abstrait. La « #matière » elle-même relève d’une abstraction. Ce n’est pas un composé précis (de l’aluminium, de l’argile, etc.), mais la matière « en général », détachée de toutes les caractéristiques qui permettent d’identifier de quoi on parle exactement.

    Les dimensions géopolitiques, économiques et sociales liées à une « ressource » naturelle particulière, ancrée dans un territoire, sont impensées. Paradoxalement le zéro déchet insiste sur la matérialité du monde via des concepts qui mettent à distance le réel concret, la matière unique et spécifique.

    Le zéro déchet mobilise aussi ce que lea philosophe non-binaire #Timothy_Morton appelle des #hyperobjets : « l’humanité », la « planète », le « climat », les « générations futures »… Ces objets s’inscrivent dans un espace gigantesque et une temporalité qui dépasse la vie humaine. Ils sont impossibles à voir ou toucher. Quand on parle de « l’humanité » ou de « la planète », on cible des choses trop grosses pour être appréhendées par l’esprit humain. Ce sont des outils intellectuels inefficaces pour agir, qui mènent à une impasse politique.

    Cette fois-ci, le lien à la colonialité m’apparaît mois clairement. Je saisis qu’il y a un lien entre ces abstractions et la modernité intellectuelle, et que la #modernité est intimement liée à la colonisation. J’ai déjà parlé de la dimension calculatoire, optimisatrice et utilitariste du zéro déchet, mais la connexion précise avec la colonialité m’échappe6.

    Balayer devant sa porte

    Bien sûr, tout ce que je dis dans ce billet vaut aussi pour mon travail et les articles précédents. Mes critiques concernent autant le zéro déchet en général que la manière spécifique que j’ai de l’aborder. La colonialité que je reconnais dans le zero waste ne m’est pas extérieure.

    Et encore, ma position sociale et raciale font que je passe forcément à côté de certaines choses. Je sais que mes textes sont marqués de colonialité et de blanchité, par des aspects que je ne perçois pas, ou mal.

    Alors que la blanchité de l’écologie est le point de départ de ma réflexion, j’ai échoué à penser directement le lien entre suprématie blanche et sobriété. Cette réflexion sur la colonialité pourrait n’être qu’un détour, un moyen de ne pas aborder le problème, en en traitant un autre.

    Dans l’impasse

    Le système économique que le zéro gaspillage nous fait voir comme absurde a une histoire. Il est l’héritier de la colonisation du monde par l’Europe depuis le 15e siècle. Il naît d’un processus violent, d’exploitation et de #dépossession de personnes non-blanches par les européens. Son racisme n’est pas un aspect extérieur ou anecdotique.

    Une écologie qui veut sérieusement remettre en cause ce système ne peut pas être composée que de personnes blanches. Au-delà de ses « bonnes » intentions7, une #écologie_blanche est condamnée à reproduire des logiques de domination raciale et coloniale. En ne prenant pas en compte ces dominations, elle prolonge les façons de faire et de penser qui ont conduit à la crise climatique.

    Mais il ne suffit pas de vouloir une écologie décoloniale et antiraciste : il faut comprendre le problème avec l’écologie qui ne l’est pas. C’est ce j’ai tenté de faire dans cet article, malgré ma compréhension limitée de ces sujets. Le risque d’être imprécis, insuffisant, ou même erroné m’a semblé plus faible que celui ne pas en parler, ne pas ouvrir la discussion.

    Et pour qu’elle continue, je vous invite à vous intéresser à celles et ceux qui m’ont permis de recoller les morceaux du puzzle, de reconnaître un motif colonial dans le zéro gaspillage. Ils et elles ne parlent jamais de zéro déchet, rarement d’écologie, mais sans leurs apports, cet article n’existerait pas.

    En podcast

    Kiffe ta race (Rokhaya Diallo, Grace Ly)
    Le Paris noir (Kévi Donat)
    Code Noir (Vincent Hazard)
    Des Colonisations (Groupe de recherche sur les ordres coloniaux)
    Décolonial Voyage (Souroure)
    Décoloniser la ville (Chahut media)
    Isolation termique (Coordination Action Autonome Noire)
    Je ne suis pas raciste, mais (Donia Ismail)

    En livre & articles

    L’ignorance blanche (Charles W. Mills)
    Décolonialité & Privilège (Rachele Borghi)
    Amours silenciées (Christelle Murhula)
    La charge raciale (Douce Dibondo)
    La domination blanche (Solène Brun, Claire Cosquer)
    Le racisme est un problème de blancs (Reni Eddo-Lodge)
    Mécanique du privilège blanc (Estelle Depris)
    Voracisme (Nicolas Kayser-Bril)

    En vidéo

    Histoires crépues

    Notes

    Mes grands-parents et mon père naissent dans le Protectorat français de Tunisie. Ma famille quitte la Tunisie six ans après l’indépendance, lors de la crise de Bizerte. ↩︎
    J’hérite de cette idée générale de sa version spécifique proposée par Charles W. Mills dans son article L’ignorance blanche. ↩︎
    On retrouve cette idée dans Recyclage, le grand enfumage en 2020, même si la formulation de Flore Berligen (p. 15) est plus subtile. À l’inverse, cet article de 2015 reprend littéralement la formule. ↩︎
    Pas au sens de « droit » reconnu par un État ou une structure supra-nationale. C’est un droit au sens de revendication légitime, qui possède une valeur impersonnelle et qui mérite d’être prise en compte par tous et toutes, indépendamment de qui formule cette revendication. C’est un usage du mot « droit » qu’on retrouve en philosophie. ↩︎
    Toutes les personnes qui font du zéro déchet et prônent la sobriété ne sont évidemment pas blanches. Mais vu la quantité de blancs et de blanches dans le mouvement, on ne peut pas faire abstraction de cette dimension pour réfléchir à cette écologie. ↩︎
    Ma copine me souffle que le lien est simple : tout notre système intellectuel (politique, épistémologique, etc.) est produit par des colonisateurs. Il accompagne et légitime la colonisation. Même si je suis d’accord, c’est trop long à détailler à ce stade de l’article. ↩︎
    N’oubliez pas : le racisme n’est jamais une question d’intention. Ce sont les effets concrets et la domination qui constituent un acte comme raciste, pas l’intention de la personne qui le commet. ↩︎

    https://blog.whoz.me/zerowaste/il-ne-suffit-pas-de-vouloir-une-ecologie-antiraciste-le-zero-dechet-la-col
    #dépolitisation #individualisme #innovations #second_hand

  • Voilà une justice de classe qui se tient sage ! Mantes-la-Jolie : non-lieu dans l’enquête sur les conditions d’interpellations d’une centaine de lycéens en 2018
    https://www.lefigaro.fr/actualite-france/mantes-la-jolie-non-lieu-dans-l-enquete-sur-les-conditions-d-interpellation

    Dans une vidéo devenue virale, un policier les avait qualifiés de « classe qui se tient sage ». Un non-lieu a été ordonné dans l’enquête sur les conditions d’interpellation de quelque 150 lycéens à Mantes-la-Jolie (Yvelines) fin 2018, a appris l’AFP lundi 7 avril 2025 de source proche du dossier.

    Les trois policiers, témoins assistés dans ce dossier, faisaient face lors de ces interpellations, dans un contexte de manifestations houleuses contre certaines réformes, à des « circonstances exceptionnelles » du fait du nombre de personnes interpellées et du « déficit de matériel et de policiers », a estimé le juge dans l’ordonnance de non-lieu que l’AFP a consultée. « Dans de telles circonstances, le maintien des personnes interpellées, à genoux puis assis, dans l’attente du transport (...) poursuivait un but légitime (...) et était nécessaire et proportionné », poursuit ce document.

  • Loi « simplification » : stop au boom des data centers !
    https://www.laquadrature.net/2025/04/09/loi-simplification-stop-au-boom-des-data-centers

    Aujourd’hui à l’Assemblée nationale débute l’examen en séance du projet de loi relatif à la simplification de la vie économique. Une loi d’apparence technique, aux enjeux obscurs, mais qui marque un nouveau coup de force au…

    #Non_classé

  • « Le viol n’est pas une pénétration non consentie, mais imposée », Emmanuelle Piet, Ernestine Ronai
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2025/04/01/le-viol-n-est-pas-une-penetration-non-consentie-mais-imposee_6589446_3232.ht

    Alors que l’Assemblée nationale s’apprête à débattre d’une nouvelle définition légale du #viol, un détail sémantique d’apparence anodine s’avère en réalité décisif. La proposition actuelle définit le viol comme une « pénétration non consentie ». Nous demandons qu’elle soit remplacée par une définition plus juste et juridiquement efficace : « Le viol est une pénétration imposée. »

    Pourquoi ce changement est-il crucial ? Parce qu’il recentre la loi sur la réalité du crime et sur son auteur. Le viol n’est pas un problème de consentement flou, soumis à des interprétations douteuses, mais un acte de domination, une violence imposée. En l’état actuel, la formulation proposée place le projecteur sur la victime et son #consentement – ou son absence de consentement – plutôt que sur l’acte commis par l’agresseur.

    Dans les tribunaux, cela a des conséquences dramatiques. Aujourd’hui déjà, des victimes doivent prouver qu’elles ont résisté, qu’elles ont dit non avec suffisamment de force, qu’elles ne se sont pas laissé faire. Le consentement devient une arme retournée contre elles.

    L’agresseur, lui, peut se contenter d’affirmer qu’il n’a pas compris, qu’il pensait que c’était « ambigu ». Une défense qui fonctionne trop souvent et qui permet à des violeurs d’échapper à la justice. Si la charge de la preuve reste la même, les victimes seront toujours, demain, obligées de prouver qu’elles n’ont pas consenti et qu’il en était conscient.

    Mettre fin à une logique perverse

    Or, ce qui fait un viol, ce n’est pas l’absence d’un « oui » foncièrement enthousiaste, ce n’est pas la subjectivité de la victime (et comment le prouver ?), c’est la présence d’une contrainte, d’une menace, d’un abus de pouvoir ou d’une ruse pour parvenir à imposer l’acte sexuel. C’est cela, la stratégie de l’agresseur. C’est cela qu’il faut regarder, ce sont ces preuves-là qu’il faut chercher, c’est cela qu’il faut graver dans le droit. Cette conviction profonde vient de nos quarante années passées auprès des victimes de viols et de violences sexuelles.

    Changer cette simple phrase de la proposition de loi, ce n’est pas qu’une question de mots. C’est mettre fin à une logique perverse qui pèse sur les victimes. C’est dire clairement que le viol est un acte de l’agresseur, et non un défaut de réaction de la victime. C’est aligner notre droit sur la réalité de la #violence_sexuelle en renforçant la portée de la violence, de la menace, de la contrainte et de la surprise.

    Les législateurs ont une responsabilité historique. Si la France veut être à la hauteur de son ambition féministe, elle doit inscrire dans sa loi une définition du viol qui protège véritablement les victimes et empêche les prédateurs de se cacher derrière des faux-semblants.

    Nous appelons donc les députés à voter cette modification essentielle. Pour que le droit dise enfin ce qu’il doit dire : le viol est une pénétration imposée à une victime. Elle n’y est pour rien. Il n’avait pas le droit.

    Emmanuelle Piet est présidente du Collectif féministe contre le viol ; Ernestine Ronai est présidente de l’Observatoire des violences envers les femmes du département de la Seine-Saint-Denis et coordinatrice de la Mission interministérielle pour la protection des femmes contre les violences et la lutte contre la traite des êtres humains.

    « Inscrire le non-consentement dans la loi sur la définition du viol est au mieux inutile, au pire contre-productif » (17 février 2025)
    https://archive.ph/q8xAd#selection-2039.0-2039.117

    Introduire le consentement dans la définition du viol : piège ou avancée ? (14 octobre 2024)
    https://archive.ph/gBg5X#selection-1999.0-1999.74

    #féminisme #renversement

  • Mobilisation pour un moratoire sur les gros data centers !
    https://www.laquadrature.net/2025/04/01/mobilisation-pour-un-moratoire-sur-les-gros-data-centers

    Du 8 au 11 avril, les député·es examineront en séance publique le projet de loi de « simplification de la vie économique ». Cette loi fourre-tout, conçue sur mesure pour répondre aux demandes des industriels, contient un…

    #Non_classé

  • La Cour suprême italienne annule la condamnation du Suisse Stephan Schmidheiny dans le dossier de l’amiante RTS - Julie Liardet avec ats

    La Cour de cassation italienne a annulé vendredi la condamnation de Stephan Schmidheiny pour homicide involontaire dans le dossier des victimes de l’amiante. Les avocats de l’homme d’affaires estiment qu’un nouveau procès en appel est peu probable, le cas atteignant la limite de la prescription le 25 avril 2025.

    Le milliardaire suisse avait été condamné en première instance à quatre ans de prison, une peine réduite à un an et huit mois de prison en appel. Il était poursuivi pour la mort d’un employé de la fabrique de Cavagnolo (Piémont) du groupe italien Eternit S.p.a. L’homme était décédé en 2008 d’une maladie liée, selon l’accusation, à une exposition à l’amiante pendant 27 ans.
    . . . . .


    Le groupe Eternit SEG, dirigé par Stephan Schmidheiny, avait été le plus grand actionnaire puis l’actionnaire principal de l’entreprise Eternit Italia de 1973 à la faillite du groupe transalpin en 1986. La défense de Stephan Schmidheiny assure que l’industriel n’a jamais siégé au conseil d’administration de l’entreprise italienne et n’a jamais eu de responsabilité directe dans la gestion de la société.

    C’est la troisième fois que la plus haute instance judiciaire italienne annule une condamnation de Stephan Schmidheiny, ajoutent les avocats. Un procès en appel est actuellement encore en cours à Turin pour la mort d’employés dans l’usine de Casale Monferrato, près de la cité piémontaise.

    #amiante #Stephan_Schmidheiny #Schmidheiny #santé #cancer #pollution #toxiques #environnement #eternit #chimie #déchets #poison #esthétique #pierre_serpentinite #enquéte #non-lieu non #justice #impunité #Andeva #AVA

    Source : https://www.rts.ch/info/monde/2025/article/amiante-la-cour-supreme-italienne-annule-la-condamnation-de-schmidheiny-28830163

  • Loi « simplification » : un déni de démocratie pour mieux imposer les data centers
    https://www.laquadrature.net/2025/03/21/loi-simplification-un-deni-de-democratie-pour-mieux-imposer-les-data-c

    L’Assemblée nationale a débuté l’examen du projet de loi relatif à la simplification de la vie économique. À son article 15, ce projet de loi « simplification » (ou PLS) prévoit d’accélérer la construction d’immenses data centers…

    #Non_classé

  • La guerre à l’#accès_aux_droits des étrangers

    Pour les avocats spécialisés en #droit_des_étrangers, la tâche est ardue. Ils occupent une position dominée dans leur champ, les lois évoluent très vite, et une nouvelle forme de #violence se fait jour, y compris contre les magistrats : des campagnes diffamatoires par des médias d’extrême droite – jusqu’à rendre publics les noms des « coupables de l’invasion migratoire ».
    Le gouvernement Bayrou, dans une continuité incrémentale avec l’orientation répressive déjà actée par les gouvernements Attal puis Barnier, est entré dans une #guerre ouverte contre les étrangers.

    L’arsenal lexical et juridique déployé en témoigne : de la #rhétorique de la « #submersion » à l’enterrement du #droit_du_sol à #Mayotte, en passant par la restriction drastique des conditions pour l’#admission_exceptionnelle_auséjour, l’attitude belliqueuse de l’exécutif et de ses alliés dans l’hémicycle n’a de cesse de s’affirmer et de s’assumer, quitte à remettre en cause l’#État_de_droit qui, selon Bruno Retailleau, ne serait désormais ni « intangible, ni sacré ».

    Il faut dire aussi que le vent xénophobe qui souffle sur l’Europe ne fait qu’encourager ces choix nationaux décomplexés : le Nouveau Pacte européen sur l’asile et l’immigration, adopté au printemps 2024 et dont le Plan français de mise en œuvre n’a pas été rendu public malgré les diverses sollicitations associatives, a déjà entériné le renforcement des contrôles aux frontières extérieures, la banalisation de l’#enfermement et du #fichage des étrangers[1],dans un souci de résister « aux situations de #crise et de #force_majeure ».

    C’est donc dans ce contexte politique hostile, caractérisé entre autres par une effervescence législative remarquable qui les oblige à se former constamment, que les avocats exercent leur métier. Ainsi, défendre les droits des personnes étrangères est difficile, d’abord et avant tout parce qu’ils en ont de moins en moins.

    Deuxièmement, les conditions pour exercer le métier afin de défendre ce qui reste de ces #droits peuvent être difficiles, notamment à cause des contraintes multiples d’ordre économique, symbolique ou encore procédural. Tout d’abord, ces professionnels savent qu’ils pratiquent un droit doublement « des pauvres » : d’une part, cette matière est plutôt dépréciée par une grande partie des collègues et magistrats, car souvent perçue comme un droit politique et de second rang, donnant lieu à des contentieux « de masse » répétitifs et donc inintéressants (on aurait plutôt envie de dire « déshumanisants ») ; d’autre part, ces mêmes clients ont souvent réellement des difficultés financières, ce qui explique que la rémunération de leur avocat passe fréquemment par l’#Aide_Juridictionnelle (AJ), dont le montant est loin d’évoluer suivant le taux d’inflation.

    Concernant les obstacles d’ordre procédural, la liste est longue. Que ce soit pour contester une décision d’éloignement du territoire ou une expulsion de terrain devenu lieu de vie informel, le travail de l’avocat doit se faire vite. Souvent, il ne peut être réalisé dans les temps que grâce aux collaborations avec des bénévoles associatifs déjà débordés et à bout de souffle, mais proches des situations de terrain, et donc seuls à même de collecter les nombreuses pièces à déposer pour la demande de l’AJ ou encore pour apporter les preuves des violences subies par les justiciables lors d’évacuations ou d’interpellations musclées. Pour gagner ? Pas autant de fois qu’espéré : les décisions de #justice décevantes sont légion, soit parce qu’elles interviennent ex post, lorsque la #réparation du tort n’est plus possible, soit parce qu’elles entérinent l’#impunité des responsables d’abus, soit parce que, même lorsqu’elles donnent raison aux plaignants, elles ne sont pas exécutées par les préfectures, ou encore elles ont peu de pouvoir dissuasif sur des pratiques policières ou administratives récidivantes.

    Enfin, même lorsque des droits des étrangers existent toujours sur le papier, en faire jouir les titulaires est un parcours du combattant : l’exemple de la #dématérialisation des services publics est un exemple flagrant. Assurément, Franz Kafka en aurait été très inspiré : toutes les démarches liées au #droit_au_séjour des étrangers doivent désormais se faire en ligne, alors que dans certaines préfectures l’impossibilité de prendre un rendez-vous en des temps compatibles avec le renouvellement du #titre_de_séjour fait plonger dans l’#irrégularité beaucoup de personnes parfois durablement installées et insérées professionnellement en France.

    Même la Défenseure des droits, dans un rapport rendu public le 11 décembre 2024, a épinglé l’#Administration_numérique_des_étrangers_en_France (#ANEF) en pointant du doigt sa #responsabilité en matière d’« #atteintes_massives » aux droits des usagers. Parmi ces derniers, les étrangers sont de plus en plus nombreux à faire appel à des avocats censés demander justice en cas de risque ou de perte du droit au séjour à la suite des couacs divers en #préfecture, dans sa version numérique ou non, comme dans le cas des « #refus_de_guichet ». Et encore une fois, pour les avocats il s’agit d’intenter des #procédures_d’urgence (les #référés), qui engorgent la #justice_administrative à cause de dysfonctionnements généralisés dont les responsables sont pourtant les guichets de ce qui reste du #service_public.

    Ces dysfonctionnements sont au cœur d’une stratégie sournoise et très efficace de #fabrication_de_sans-papiers, et les craintes des personnes étrangères sont d’ailleurs bien fondées : avec l’entrée en vigueur de la nouvelle #loi_immigration, dite Darmanin, les refus ou pertes de titre de séjours sont assorties d’obligations de quitter le territoire français (#OQTF), avec, à la clé, le risque d’enfermement en #Centre_de_Rétention_Administrative (#CRA) et d’#éloignement_du_territoire.

    Au vu du nombre grandissant d’étrangers déjà en situation irrégulière ou craignant de le devenir, des nouvelles entreprises privées y ont vu un marché lucratif : elles vendent en effet à ces clients potentiels des démarches censées faciliter leur #régularisation ou encore l’accès à la nationalité française. À coup de pubs sur les réseaux sociaux et dans le métro, puis de slogans aguicheurs (« Devenez citoyen français et démarrez une nouvelle vie ! ») et de visuels bleu-blanc-rouges, ces entreprises facturent des prestations de préparation de dossier à plusieurs centaines voire milliers d’euros, sans toutefois vérifier systématiquement l’éligibilité de la personne au titre demandé et donc sans même garantir le dépôt effectif du dossier[2].Qui sont donc ces magiciens autoproclamés des procédures, qui se font payer à prix d’or ? Les équipes sont présentées sur les sites de ces entreprises comme étant composées d’« experts spécialisés en démarches administratives », et encore de « conseillers dévoués ». Si l’accompagnement d’un avocat est nécessaire ou souhaité, mieux vaut aller voir ailleurs avant d’avoir signé le premier chèque…

    Les temps sont donc troubles. Et ils le sont aussi parce que les vrais professionnels du droit, celles et ceux qui ne cessent de se mettre à jour des derniers changements législatifs ou procéduraux, et de travailler en essayant de tenir les délais de plus en plus serrés de la justice (au rabais) des étrangers, sont ouvertement menacés.

    Le cas du hors-série n° 1 du magazine Frontières est exemplaire d’une attitude fascisante et décomplexée, déterminée à jeter le discrédit sur les avocats, les #magistrats et les #auxiliaires_de_justice (accompagnés bien sûr des ONG, associations, et universitaires « woke »), coupables de défendre les droits de celles et ceux que la fachosphère voudrait bien rayer de la catégorie de justiciables : les #étrangers. Discrédit qui devient #menace et #mise_en_danger, lorsque les noms, les prénoms, la fonction et le lieu d’exercice de ces maîtres à abattre sont rendus publics : en effet, ces supposés coupables du « #chaos_migratoire » sont explicitement identifiés dans ces pages. Plus précisément, plusieurs dizaines d’« #avocats_militants », profitant des dossiers de l’aide juridictionnelle pour « passer des vacances au soleil toute l’année », sont nommément pris à parti. Les magistrats ne sont pas épargnés dans cette cabale, et le magazine les épingle également.

    Plusieurs sonnettes d’alarme ont été tirées, du Conseil des barreaux européens (CCBE) au Conseil supérieur des tribunaux administratifs et des cours administratives d’appel (CSTA) : cette dernière instance relevant du Conseil d’État, généralement très discrète, s’est exprimée publiquement le 11 février dernier pour dénoncer sans ambiguïté les injures et menaces proférées nominativement à l’encontre d’avocats et #juges, ainsi que la mise en cause de l’#indépendance et de l’#impartialité de la justice administrative, estimant que « toutes les suites pénales susceptibles d’être engagées doivent l’être ». La matière pour le faire ne semble pas manquer, et des #plaintes avec constitution de partie civile ont déjà été déposées par le passé par des magistrats, donnant lieu à des contentieux pénaux dont certains sont encore en cours. Mais face à la montée des récriminations violentes contre les juges « rouges », plusieurs juridictions s’organisent pour attribuer la #protection_fonctionnelle à leur personnel.
    Et ce n’est pas bon signe.

    Malgré le soutien de #Gérald_Darmanin aux magistrats menacés, dans ses nouvelles fonctions de Ministre de la Justice, son homologue de l’Intérieur a repris un vieux cheval de bataille qui revient à fustiger la supposée « #confiscation_du_pouvoir_normatif » par les juridictions européennes ou nationales : en défendant la légitimité du #non-respect_du_droit lorsqu’il est considéré incompatible avec les principes nationaux, une brèche de plus a été ouverte par #Bruno_Retailleau pour qui « on doit changer la loi. Aujourd’hui, on a quantité de règles juridiques qui ne protègent pas la société française ».

    En réalité, Gérald Darmanin doit en partager le raisonnement, puisque, lorsqu’il était lui-même à l’Intérieur, il avait osé autoriser l’expulsion d’un ressortissant Ouzbèke soupçonné de radicalisation malgré la décision contraire de la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH), pour ensuite être débouté par le juge des référés du Conseil d’État qui avait enjoint sa réadmission. Ce #contrôle_juridictionnel est considéré par un nombre croissant d’élus, et d’internautes violents, comme excessif et nuisible à l’efficacité du maintien de l’ordre. De là à traiter les avocats et magistrats « fautifs » de trop brider les ambitions sécuritaires du gouvernement comme des ennemis intérieurs, il n’y a qu’un pas.

    Les plus optimistes pourront toujours considérer le #Conseil_Constitutionnel comme le dernier rempart vis-à-vis des risques d’ingérence de l’exécutif sur le judiciaire. Mais que peut-on attendre de cette institution et de son #impartialité, lorsque l’on sait que les « Sages » sont souvent d’anciens professionnels de la politique, peu ou pas formés au droit, dont #Richard_Ferrand, à peine nommé, est un exemple parfait ?

    L’histoire nous le dira. En attendant, il serait opportun de penser à faire front.

    https://aoc.media/analyse/2025/03/16/la-guerre-a-lacces-aux-droits-des-etrangers
    #mots #vocabulaire #terminologie #Etat_de_droit #xénophobie #contrôles_frontaliers #avocats #juges_rouges
    ping @reka @isskein @karine4

  • #8_marzo blocchiamo l’industria della #guerra
    https://radioblackout.org/2025/03/8-marzo-blocchiamo-lindustria-della-guerra

    Lo #sciopero transfemminista è uno sciopero contro la guerra in quanto massima espressione della violenza patriarcale. Approfondiamo insieme a #non_una_di_meno Torino questa iniziativa che si iscrive all’interno della giornata di sciopero e mobilitazione di sabato 8 marzo, l’appuntamento a Torino è previsto alle ore 13 in piazza Massaua per dirigersi verso l’industria […]

    #L'informazione_di_Blackout
    https://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/Nudm-8-marzo-leonardo-2025_03_06_2025.03.06-09.00.00-escopost.mp3

  • Expérimentation VSA : le gouvernement sur le point d’obtenir trois ans de rab
    https://www.laquadrature.net/2025/03/05/experimentation-vsa-le-gouvernement-sur-le-point-dobtenir-trois-ans-de

    Demain jeudi, au Parlement, se tiendra la commission mixte paritaire en vue de l’adoption de la proposition de loi relative à la sécurité dans les transports. C’est le vecteur choisi par le gouvernement Bayrou mi-février…

    #Non_classé

  • Contributo dell’assemblea #sororas: l’importanza della giornata di mobilitazione del 8 marzo dall’Italia all’America latina
    https://radioblackout.org/2025/02/contributo-dellassemblea-sororas-limportanza-della-giornata-di-mobili

    Insieme a quattro compagne dell’assemblea Sororas di Torino ci parlano della loro prospettiva sullo sciopero dell’otto marzo, sui temi che porteranno in piazza. Grazie al loro contributo riflettiamo anche sulle situazione in Argentina e Peru da una prospettiva transfemminista.

    #L'informazione_di_Blackout #femminismo #non_una_di_meno #otto_marzo

    • Par un arrêt rendu le 10 décembre 2024, la chambre criminelle de la Cour de cassation a jugé que l’ouverture d’une boîte aux lettres sans la présence de l’occupant de l’appartement y étant associé ne s’analyse pas comme une perquisition, mais comme de « simples constatations initiales ». Ce faisant, elle apporte une nouvelle pierre à l’édifice des « non-perquisitions », dont les implications pratiques restent incertaines et dont l’opportunité est discutable.

      Alertés par le comportement d’un individu, des policiers l’avaient interpellé et saisi sur lui la clé d’une boîte aux lettres. Ouvrant cette boîte une première fois les enquêteurs ont ensuite interpellé l’occupante de l’appartement qui y était associé, avant de retourner perquisitionner la boîte en sa présence. Toute la question était donc de savoir si l’ouverture préalable de la boîte, en dehors de la présence de l’occupante, était régulière. Selon les demandeurs au pourvoi, cette ouverture s’apparentait à une perquisition en enquête de #flagrance, qui nécessitait, en vertu de l’article 57 du Code de procédure pénale (CPP), la présence de la personne occupant le domicile. Toutefois, la Cour de cassation rejette le pourvoi et approuve la chambre d’instruction en ce qu’elle avait jugé que la première ouverture de la boîte aux lettres s’analysait comme de « simples #constatations_initiales » (n° 11). Elle ajoute qu’il appartenait à l’officier de police judiciaire agissant en flagrance de « veiller à la conservation des indices susceptibles de disparaître et de tout autre élément utile à la manifestation de la vérité en procédant aux vérifications et constatations susvisées » (n° 12). La chambre criminelle conclut que les règles relatives à la perquisition n’étaient pas applicables, ce qui rend inopérant le moyen soulevé par le pourvoi (n° 13).

      Le raisonnement de la Cour de cassation, qui repose en grande partie sur la notion inédite de « simples constatations initiales »3, suscite plusieurs interrogations. Une première question est de savoir si cette notion annonce l’autonomisation d’une nouvelle forme de « non-perquisition » (I), une seconde si, le cas échéant, une telle autonomie est opportune (II).

      #police #justice #droit #perquisitions #non-perquisitions #jurisprudence

  • « Je ne me soumettrai jamais, soyez-en assurés » : une amende de 500 euros pour des parents qui font l’instruction en famille
    https://www.ladepeche.fr/2025/02/20/je-ne-me-soumettrai-jamais-soyez-en-assures-une-amende-de-500-euros-pour-d

    Le torchon la dépêche te fait un encadré sur « Que dit la loi sur le séparatisme » parce qu’en fait, c’est bien de cela depuis macron dont il est question. Restreindre les droits sous le prétexte de combattre le terrorisme : le droit à s’habiller comme on veut ou à élever son enfant sans le scolariser par exemple. Et donc les babas cools avec leur gamin de 8 ans tombent sous la loi séparatisme .

    #en_marche_dedans

    • D’accord sur le séparatisme, mais c’est pas vraiment des babacools, le gars a monté une école à 5200 euros l’année à Paris et porte un « projet d’excellence » en faisant en sorte que l’école colle le plus possible à la société comme elle évolue loin de toute rigidité inefficiente.

      Raison pour laquelle ce diplômé de Centrale et de Cornell (États-Unis), qui a conseillé les instances dirigeantes de Lafarge et EDF, a fondé l’École dynamique à Paris, avant de s’installer en Ariège. « Mon profil, c’est celui d’une personne dévouée à servir la société, à encourager le système éducatif à se diversifier et à accueillir toute une série d’innovations pédagogiques, desquelles je suis un grand contributeur dans ce pays. »

      Le trentenaire se tient sans trembler devant la cour, cheveux lustrés et barbe noire, air déterminé, dans ses vêtements de couleur sombre. « Je fais partie des figures en France qui promeuvent toutes les types d’éducation », avance-t-il, citant une conférence Ted Talk avec 500 000 vues au compteur. Sa voix s’élève d’un ton : « Cette nouvelle loi qui a été votée me met dans l’impossibilité de mener mon projet, non seulement en tant que père de famille, mais aussi en tant que personne qui promeut un autre type d’éducation. »

    • @lyco Le terme de babas cool était surtout pour souligner l’espoir bienveillant et l’aspect marginal de ces recherches novatrices dans l’éducation des enfants et de ces tentatives en dehors des carcans imposés par l’Etat. J’aurai pu dire wokistes :) Je cotoie pas mal de #nonscos qui se retrouvent maintenant encore plus isolé·es et attaquées qu’iels ne l’étaient dans leur grande diversité et iels tentent de se regrouper pour créer ensemble un autrement. Ça n’empêche pas les critiques mais ça permet de voir à quels points tout ce qui gêne l’ordre conservateur est qualifié des pires accusations.

      Sinon, en regardant sur le net, l’école dynamique de Paris montée en 2016 a été fermée après inspection de l’EN. Pas très étonnant. Ça fait des années que je pousse les jeunes à quitter la france, un pays qui nie quand il ne les soutient pas toutes les formes de violences qu’il exerce (raciales, sexistes, éducatives, coloniales, sociales …) et ou créativité est avant tout un terme publicitaire.

      L’École Dynamique, une école démocratique – Magazine Les Plumes par LAIA
      https://magazinelesplumes.com/lecole-dynamique-une-ecole-democratique

      Sudbury Valley School
      Fondée en 1968 dans le Massachusetts, États-Unis, la Sudbury Valley School accueille des étudiants de la maternelle au lycée. Elle leur permet d’user de leur temps à leur guise et leur donne la responsabilité de choisir leur voie tout au long de leur enfance jusqu’à l’âge adulte. Elle permet la délivrance du high school diploma (équivalent du baccalauréat). Beaucoup de ses étudiants, qu’ils aient ou non postulé pour ce diplôme, ont ensuite poursuivi leurs études à l’université ou bien sont entrés dans la vie active dans des domaines divers (commerce, affaires, art, techniques). Il existe actuellement une cinquantaine d’écoles fondées sur le modèle SVS dans le monde.

  • No al #fondo_vita_nascente: #non_una_di_meno continua a mobilitarsi
    https://radioblackout.org/2025/02/no-al-fondo-vita-nascente-non-una-di-meno-continua-a-mobilitarsi

    Lo scorso martedì Non Una di Meno e la rete “Più di 194 voci” ha organizzato un presidio per contestare il nuovo finanziamento al Fondi Vita Nascente che prevede l’importo di 1 milione di euro. Il fondo è stato istituito nel 2022 dall’assessore di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone e assegna 940 mila euro a soggetti […]

    #L'informazione_di_Blackout #sanità_pubblica
    https://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/Nudm-fondo-vita-nascente-2025_02_20_2025.02.20-09.00.00-escopost.

  • Sommet de Paris sur l’IA : accélérer, quoi qu’il en coûte
    https://www.laquadrature.net/2025/02/14/sommet-de-paris-sur-lia-accelerer-quoi-quil-en-coute

    Le sommet de Paris sur l’intelligence artificielle (IA) organisé par la France s’est tenu les 10 et 11 février 2025. Il restera dans l’histoire comme un grand moment d’accélération. Emmanuel Macron l’affirmait encore lundi en…

    #Non_classé

  • Lancement de la coalition Hiatus, pour résister à l’IA et son monde !
    https://www.laquadrature.net/2025/02/07/lancement-de-la-coalition-hiatus-pour-resister-a-lia-et-son-monde

    Ce texte est le manifeste fondateur de « Hiatus », une coalition composée d’une diversité d’organisations de la société civile française qui entendent résister au déploiement massif et généralisé de l’intelligence artificielle (IA). À l’approche du sommet…

    #Non_classé

  • Les personnes à revenus modestes prises en tenaille - OCL
    https://oclibertaire.lautre.net/spip.php?article4352

    Les prestations sociales représentent près du tiers du PIB en France, c’est-à-dire de la richesse créée en une année. C’est dire les conséquences immédiates que peut avoir un budget d’austérité du type Barnier, Bayrou ou le suivant, pour une partie importante de la population. D’un autre côté, les dépenses contraintes, c’est-à-dire obligatoires au sens où on ne peut pas les moduler facilement (genre loyer, assurance, charges, internet…) sont de plus en plus importantes, et mangent en moyenne 30% du revenu. Leur augmentation rend les budgets modestes d’autant plus sensibles à l’inflation sur les biens qu’on achète quotidiennement. En effet, comme le rappellent beaucoup d’expressions populaires, une partie importante du revenu est dépensée avant même d’avoir fait le premier achat.

    Parmi les clichés habituels, certains ont un fonds de vérité. Effectivement, la France fait partie des pays qui ont une bonne protection sociale. Nous sommes un pays particulièrement inégalitaire en terme de revenus primaires, c’est-à-dire de salaires directs et de profits. Mais nous avons un système de redistribution qui corrige partiellement ces inégalités. En 2023 (cf. encadré), le niveau de vie moyen des 20% les plus riches était d’environ 6000 euros par mois, celui des 20% les plus pauvres d’un peu plus de 700 euros, soit 8,4 fois moins. Après redistribution (c’est-à-dire impôts et prestations sociales), on passe à 4800 euros contre 1100 euros. L’inégalité moyenne entre ces deux catégories a été divisée par deux. Si on prend les 10% les plus pauvres et les 10% les plus riches, l’amplitude passe de 22,3 à 6,5. (1)

    Le corollaire de tout ça, c’est que le revenu de la majorité de la population est très dépendant des dépenses sociales. On appelle revenus de transfert les prestations sociales (retraite, chômage, maladie, allocations familiales …) et l’assistance étatique (allocation handicapé, RSA…). Ils représentent plus de la moitié de son revenu pour le quart de la population le plus modeste. Le revenu ne diminue après impôts et prestations sociales que pour la moitié la plus aisée. Donc, quand Barnier annonce qu’il va falloir faire des efforts et qu’il faut couper dans les dépenses sociales, il annonce qu’il va diminuer le revenu de la moitié de la population la moins riche. Ça fait du monde quand même.

    [...]

    (...) D’après le Conseil Economique, Social et Environnemental, le taux de non-recours (2) aux prestations sociales oscille entre 30% et 40% en moyenne en France. C’est 50% pour le minimum vieillesse, 34% pour le RSA et 30% pour l’assurance-chômage.

    #austérité #prestations_sociales #dépenses_contraintes #protection_sociale #non-recours #dématérialisation #reste_à_vivre

  • Question de droits. La Caf lui réclame des trop-perçus sur des aides sociales
    https://www.ouest-france.fr/partenaires/defenseur-droits/question-de-droits-la-caf-lui-reclame-des-trop-percus-sur-des-aides-soc

    La Caisse d’allocations familiales lui demande de rembourser. Grâce au Défenseur des droits, elle a obtenu l’échelonnement de ses remboursements.

    Mère de famille, Jeanne s’est retrouvée en grande difficulté après une décision de la Caf. Elle témoigne.

    « Je suis maman de trois enfants et locataire d’un HLM (habitation à loyer modéré). Récemment, la Caisse d’allocations familiales (Caf) m’a informée que j’avais reçu trop d’aides sociales et que je devais rembourser ces sommes. Ne pouvant pas payer, ils ont suspendu mon aide au logement, ce qui a encore aggravé ma situation. Je ne pouvais plus payer mon loyer et mes dettes s’accumulaient.
    Je me sentais totalement démunie, surtout avec mes trois enfants à charge. J’avais entendu parler d’une permanence tenue par un délégué du Défenseur des droits près de chez moi. J’y suis allée pour demander de l’aide.

    « Un immense soulagement ! »

    Le délégué a contacté la Caf pour examiner ma situation. Grâce à son intervention, un échelonnement des remboursements a été négocié, et la #Caf a repris le versement de mon aide au logement. Ce fut un immense soulagement pour moi en tant que maman solo ! »

    Si vous aussi, vous avez des difficultés à faire valoir vos #droits auprès d’une administration ou d’un service public, contactez gratuitement un délégué du #Défenseur_des_droits sur www.defenseurdesdroits.fr, rubrique Demander de l’aide.

    #indu #trop-perçus

    • La langue de l’ennemi est une arme à double tranchant, à manier avec précautions. On n’enseigne pas ça à l’école ou ailleurs (sauf, dans ce champ, en fac de droit). Ici, la dame dit "aides sociales", expression qui implique le caractère facultatif de la prestation versée. Or il s’agit de droits.

      Le journal fait mine d’être au service des pauvres. Bien joué ! Là, c’est une publicité pour le défenseur des droits. Il a « obtenu » ce que tout allocataire peut obtenir sans lui : un échelonnement du remboursement de l’indu. Cela permet à l’allocataire de percevoir à nouveau son APL ou ALS, quitte à voir ses prestations réduites de 50 balles par mois pendant des années. Sauf que. Il n’est pas même question ici, pour en rester au « recours amiable », de demander à la CAF un dégrèvement total ou partiel. Et moins question encore de la possibilité pour les ayants droits de saisir la justice pour faire annuler tout ou partie de la dette « en raison de la situation de précarité ».

      Pour ce que j’en vois, c’est ainsi qu’agissent les délégués du défenseur des droits en matière de droit des pauvres : ils encouragent parmi ces justiciables le non recours au droit (ici : ester en justice) ce qui met de l’huile dans la brutalité des caisses sans la mettre aucunement en cause, en parfaite conformité avec une situation où seules 1% des décisions prises en la matière font l’objet d’un contentieux initié par les premières concernées.

      Fatum. Les mamans solo et les autres sont nés pour un petit pain. Le destin des simples n’a rien d’une tragédie https://seenthis.net/messages/1095408

      #dépossession #justice #droits_sociaux #non_recours #contentieux

    • PROCEDURE EN RECOUVREMENT D’INDUS CAF/MSA
      Quels sont les droits des personnes ?
      Note pratique1 - Avril 2021 - GISTI
      https://www.gisti.org/IMG/pdf/note_proce_dure_en_recouvrement_d_indus_caf_avril2021.pdf

      Le Conseil d’Etat, dans une décision du 10 juillet 2019 (n° 415427) précise que lorsque
      l’organisme concerné constate un indu sur une prestation (ici RSA, aide exceptionnelle de fin
      d’année ou APL) il :
      « doit prendre une décision de récupération d’indu, motivée et notifiée au bénéficiaire de l’allocation, qui lui réclame le remboursement de la somme due, et le cas échéant, l’informe des modalités selon lesquelles cet indu pourra être récupéré par retenues sur les prestations à venir ».
      [or si #notification il y a, elle est rarement motivée en fait et en droit, ndc]

      [...]

      Par le biais d’un #recours_contentieux :
      • Suite au recours amiable, si la Commission de recours amiable de la CAF/MSA maintient sa décision, la personne peut engager un recours auprès du tribunal (judiciaire ou administratif en fonction de la prestation concernée12) pour faire annuler la décision de la CAF/MSA de retenues, voire demander le versement de dommages et intérêts pour le préjudice subi. La personne peut être représentée par un avocat.e ou une personne mentionnée à l’article L. 142-9 du code de la sécurité sociale.
      ➢ Lien vers des jugements de tribunaux judiciaires qui annulent des indus suite au non-respect par la CAF/MSA des garanties légales :
      o TGI Paris, 18 novembre 2019, n°1805341
      o TJ Arras, 26 mai 2020, n°1900311
      o TJ Lyon, 19 juin 2020, n°1701416
      o TJ Bobigny, 22 juin 2020, n°1902700
      o TJ Rouen, 26 mars 2021, n° RG 20/00568