• Viaggio nelle serre della Fascia trasformata, dove anche i minori sono costretti a lavorare

    Nelle serre del ragusano più di 28mila lavoratori vivono in gravi condizioni di sfruttamento. Tra questi anche i figli dei braccianti, spesso costretti a lavorare già a 10 anni. A Marina di Acate, però, alcune realtà tentano di dare loro la possibilità di costruirsi un futuro diverso. Il nostro reportage.

    Ai bordi della strada provinciale 31 che collega Scoglitti (Ragusa) a Gela (Caltanissetta), il paesaggio si ripete immutato per chilometri: una lunga distesa di serre con bianchi teloni di plastica che ne nascondono l’interno. Tutto sembra fermo, immobile. Solo in pochi casi, dai piccoli squarci nelle coperture, si può intravedere la coltura o qualcuno al lavoro.

    È il paradosso di questa fascia costiera, tutt’altro che ferma, che si estende da Ispica ad Acate per oltre 20 chilometri di larghezza e 80 di lunghezza e vede più di 5.200 aziende agricole attive tutto l’anno con almeno 28mila lavoratori coinvolti. Anche tanti minori. “Questa mattina una ragazza, avrà avuto 13 anni, mi ha guardato dicendomi ‘Io, qui, vedo solo plastica’. In quella frase, c’è un orizzonte che diventa un muro, un confine verso il futuro che non è poroso perché tutto sembra immutabile”, sospira Alessandro Di Benedetto, psicoterapeuta che lavora con Emergency, che incontriamo a fine luglio a Marina di Acate (RG).

    Il centro “Orizzonti a colori” è nato a gennaio 2022 ed è un’oasi felice a Marina di Acate che interrompe bruscamente il ripetersi delle serre nella cosiddetta Fascia trasformata, soprannominata così perché le dune di sabbia sono state sostituite, anno dopo anno, dalla plastica delle serre. Un grande cancello “nasconde” un prato su cui si affaccia una grande struttura di colore giallo con un arcobaleno che taglia a metà la facciata. La struttura, in realtà, è già da dieci anni attiva come presidio stabile nato dalla volontà della Caritas di Ragusa che voleva a tutti i costi creare un punto di riferimento nella zona.

    “Appena arrivati avevamo difficoltà addirittura a far conoscere che era nato un centro in cui poter ricevere assistenza materiale, legale e sanitaria -racconta Vincenzo La Monica, responsabile dell’associazione I tetti colorati, braccio operativo del presidio locale di Caritas italiana-. Le serre sono terreni privati, non potevamo accedervi direttamente, così abbiamo preparato dei volantini in diverse lingue facendone una specie di aeroplanini di carta che lanciavamo oltre i muri delle aziende agricole”.

    Il disperato tentativo di far uscire le persone e farle entrare in contatto con i servizi fotografa efficacemente quello che, quotidianamente, succede lungo tutta la Fascia trasformata. Persone senza documenti che spesso comprano residenze fittizie pagando circa 700 euro per sei mesi in cittadine anche a cento chilometri di distanza. E così le famiglie “spariscono” formalmente da quel territorio. E non solo uomini adulti. “In questa zona per la prima volta è stata data la possibilità ai lavoratori di portare la propria famiglia in loco -spiega Alessia Campo, collega di La Monica-. Così, all’interno di queste serre è cominciato anche ad aumentare anche il numero di donne e soprattutto di minori”. Difficile dire quanti siano.

    L’ultimo rapporto di Save the children “Piccoli schiavi invisibili”, pubblicato a fine luglio e dedicato proprio alla condizione dei figli dei braccianti, evidenzia che “molti rminori sono impiegati nell’azienda di famiglia già a partire dai dieci anni, anche se non tutti i giorni […]; altri invece supponiamo che lavorino quotidianamente nell’azienda di famiglia”.

    Per questo motivo nel centro “Orizzonti a colori” i più giovani sono diventati la priorità individuano nell’accesso alla scuola uno dei pilastri su cui lavorare. “Prima di arrivare all’emersione di un’eventuale condizione di sfruttamento -spiega Valeria Bisignano di Save the children, coordinatrice del progetto ‘Liberi dall’invisibilità’- tentiamo di agganciarli attraverso l’accompagnamento scolastico. Sono ragazzi che devono scegliere tra il lavoro, lo studio, e a volte hanno la responsabilità dei fratelli più piccoli”.

    Così circa 60 ragazzi durante l’anno si recano al Centro per essere accompagnati nel percorso scolastico. Un percorso tortuoso, anche per motivi strettamente “logistici”. Le scuole più vicine a Marina di Acate distano 12 chilometri -ad Acate (RG)- oppure più di 20 dal limitrofo comune di Vittoria (RG). Per Acate il costo è di due euro al giorno per bambino, per Vittoria lo scuolabus esiste ed è gratuito, ma è assicurato solo per elementari e medie, non c’è per le scuole dell’infanzia e per la secondaria di secondo grado. Anche i due euro a viaggio sono spesso troppo per chi per una giornata di lavoro dovrebbe guadagnare circa 60 euro -“Molto meno nella realtà, circa 35/40”, racconta La Monica- e per cui, tra l’altro, l’assenza dell’aiuto del figlio pesa sulla capacità di soddisfare le richieste del datore di lavoro.

    “Per questo motivo, nell’ultimo anno, abbiamo deciso di creare delle borse di studio per chi veniva nel Centro e continuava gli studi. Dovevamo ‘monetizzare’ il loro tempo speso qua”, continua Alessia Campo di Caritas, sottolineando come siano bambini che vivono completamente isolati dalla realtà e che spesso non incontrano nessuno se non la loro famiglia. “Non mi scorderò mai di quando un giorno un ragazzo mi ha chiesto: ‘Come si fa a fare amicizia?’”. Da quella domanda è nato il laboratorio “Prendersi cura” che insegna ai ragazzi a riconoscere le proprie emozioni e a relazionarsi con esse. E anche i laboratori teatrali, un filo rosso che lega gli anni di vita di questo luogo, prima presidio e poi centro “Orizzonti a colori”, aiutano i più giovani a prendersi quella parola e quegli spazi che spesso gli sono negati. “Il primo anno abbiamo organizzato uno spettacolo teatrale con 18 partecipanti che inscenavano una ‘Cenerentola’ rivisitata in cui il principe azzurro portava i ragazzi a scuola”, ricorda La Monica. A giugno, uno spettacolo finale del laboratorio curato da Tetti colorati nell’ambito del progetto di Save the children ha visto oltre 160 spettatori adulti partecipare: circa metà e metà tra italiani e stranieri.

    Già perché nella Fascia trasformata lo sfruttamento non riguarda solamente gli stranieri. “Chi non ha un permesso di soggiorno è sicuramente più vulnerabile e ricattabile -spiega Giorgio Abbate, responsabile del progetto Diagrammi per la Flai-Cgil- ma le terribili condizioni di lavoro riguardano anche le persone italiane”.

    Sedici, diciassette ore di lavoro a circa cinque euro all’ora. E nei giorni in cui la Sicilia brucia e le temperature toccano record mai raggiunti, nelle serre il lavoro non si è fermato. “Siamo riusciti a concordare che si lavorasse solo in fasce orarie più tarde ma, per esempio, chi lavora nei magazzini ha continuato a fare turni di lavoro ‘normali’ con temperature che raggiungevano i 40 gradi all’interno dei capannoni”, spiega Abbate. Mancano i controlli -anche perché c’è un solo ispettore del lavoro per tutta la provincia di Ragusa- e manca soprattutto un sistema economico capace di premiare chi è onesto.

    “Ci sono datori di lavoro che nonostante enormi margini di guadagno continuano a sfruttare i lavoratori, altri sono vittime loro stessi: i prezzi della concorrenza sono troppo bassi per potere garantire salari adeguati, e il costo del lavoro è il primo su cui tagliare per sopravvivere”, osserva Abbate. Un contesto difficile e spesso omertoso: non si sa ancora nulla della morte di Daouda Diane, giovane di origine ivoriana, operatore e mediatore di un Centro di accoglienza di Acate, che è scomparso nel nulla il 2 luglio 2022 nel tragitto tra la sua casa di Acate e la sede del cementificio Sgv Calcestruzzi, dove stava lavorando temporaneamente. Il giorno della sua scomparsa aveva girato due video nel cantiere nei quali denunciava le condizioni di insicurezza in cui lavorava; in uno dice: “Qui si muore”. E il procuratore di Ragusa Fabio D’Anna ha invitato più volte i cittadini di Acate a collaborare mentre cinque appartenenti alla società Sgv Calcestruzzi sono stati iscritti nel registro degli indagati nel fascicolo aperto per omicidio volontario e occultamento di cadavere.

    Non molti “braccianti” sono disposti a denunciare le condizioni di lavoro. Per molti la vita nelle serre è un passaggio. Due, tre anni di lavoro per poi riuscire a trovare un altro impiego. Per chi ha meno strumenti, invece, questa condizione rischia di occupare un tempo di vita molto più lungo. “E questo genera grande sofferenza -spiega Alessandro Di Benedetto di Emergency-. Spesso si generano delle dipendenze, soprattutto di alcol, perché ogni giorno il lavoro nelle serre ricorda il fallimento di un percorso migratorio non concluso come si sperava”.

    Ma la denuncia, spesso, non è una soluzione adeguata per chi ha comunque bisogno di ricevere un salario per sopravvivere o aiutare le famiglie nel Paese d’origine. Sono coperte dal silenzio, spesso, anche le violenze subite dalle donne che vivono una condizione di maggior vulnerabilità. “Abbiamo aperto degli sportelli di ascolto a loro dedicati -spiega La Monica-. Ascoltiamo storie di violenza domestica nella maggior parte dei casi, ma a volte anche da parte dei datori di lavoro. Ci hanno raccontato che i bagni delle serre sono trasparenti e i caporali le osservano mentre vanno ai servizi, piuttosto che mentre lavorano e magari, per il caldo, indossano vestiti scollati”.

    Al centro “Orizzonti a colori” il difficile contesto non scoraggia gli operatori. “Noi continuiamo a fare il nostro, ma non possiamo sostituirci alle istituzioni, che stiamo quindi cercando di coinvolgere”, sottolinea Bisignano di Save the Children. “I lavoratori sono invisibili, ma le serre no. Quello che succede qui è tutto alla luce del sole”, gli fa eco il referente della Cgil Abbate. Così, sono le singole storie a dare un significato al lavoro di tutti i giorni. Come quella di Adina (nome di fantasia), figlia di braccianti, che a inizio agosto ha cominciato uno stage in un importante albergo di Roma dopo aver concluso le scuole superiori. Una storia di riscatto cresciuta nel mare bianco delle serre della Fascia trasformata.

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