• A Milano più #smog in periferia che in centro, tassi di decesso doppi

    La concentrazione di inquinamento è maggiore in confronto al passato in periferia rispetto al centro e questo sta comportando anche un aumento considerevole dei decessi tra i residenti, visto che i quartieri limitrofi a quelli centrali sono in media anche quelli più popolati soprattutto tra gli over 65.

    I tassi di decesso nelle aree periferiche sono in particolare raddoppiati, con Milano caso esemplare dei grandi centri urbani italiani dove in media sono più alti fino al 60% nei quartieri lontani dal centro con meno verde, ad alta densità di traffico di traffico e di abitanti over 65.

    A determinare questa nuova tendenza sono il mix smog-condizioni socio-economiche più sfavorevoli, che inducono stili di vita peggiori come fumo, obesità e minore attività fisica con effetto moltiplicativo della mortalità, rispetto alle aree più centrali delle città. Questa l’allerta lanciata dai circa 200 scienziati da tutto il mondo, riuniti a Milano nella conferenza ’RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health 2024’, co-organizzata dalla Fondazione Menarini in collaborazione con Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, e dall’Imperial College di Londra. E gli esperti studiano il modello londinese. La capitale britannica ha deciso di estendere il divieto di circolazione dei veicoli più inquinanti a tutta l’area metropolitana (suscitando non poche polemiche).
    L’allerta arriva a pochi giorni dal varo della nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria e alla luce dei dati di una indagine condotta dall’Agenzia per la tutela della salute di Milano (Ats-Mi) recentemente pubblicata sulla rivista Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia. La ricerca dimostra che nei quartieri di periferia dove passano le tangenziali, con meno verde e più densamente abitate, con molti cittadini over 65, il tasso di decessi attribuibile a biossido di azoto e polveri sottili può aumentare molto rispetto a quello registrato nelle aree limitrofe al centro, meno urbanizzate o più ricche di verde e nei quartieri centrali dove il traffico è solitamente soggetto a limitazioni.

    Con una popolazione di quasi 1,4 milioni di abitanti, ricorda la ricerca, Milano è la seconda città metropolitana d’Italia, storicamente afflitta dal problema dello smog sia per le numerose fonti di emissione che la accomunano alla Pianura Padana (industriali, residenziali, da traffico e da allevamenti intensivi) che, aggiunte al ristagno dell’alta pressione e alle particolari condizioni orografiche, non favoriscono la dispersione degli inquinanti atmosferici. Per valutare gli effetti sanitari a lungo termine sulla popolazione, l’Agenzia per la Tutela della Salute di Milano (Ats-Mi) ha condotto uno studio con cui ha stimato i livelli di concentrazione media degli inquinanti (No2, Pm10 e Pm2.5) per il 2019 con una risoluzione spaziale senza precedenti, pari a 25 metri quadrati. I dati sono stati poi incrociati con le informazioni sanitarie e anagrafiche. «I risultati - dichiara Sergio Harari, co-presidente del congresso, della Divisione di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Divisione di Medicina Interna dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica IRCSS e dell’Università di Milano - permettono di definire una vera e propria mappa dell’inquinamento e dei suoi effetti, quartiere per quartiere e rivelano, per la prima volta, che biossido di azoto e polveri sottili hanno tassi di decesso per 100.000 abitanti che possono arrivare fino al 60% in più in alcune zone della periferia milanese rispetto al centro città». Tra i vari inquinanti l’impatto maggiore nel capoluogo lombardo lo ha avuto «il Pm2,5, responsabile del 13% delle morti per cause naturali (160 su 100mila abitanti) e del 18% dei decessi per tumore al polmone - ha spiegato Pier Mannuccio Mannucci, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico -. Per quanto riguarda Le conseguenze più pesanti si hanno in zone periferiche come Mecenate, Lorenteggio e Bande Nere dove i tassi di decesso superano i 200 per 100mila abitanti, mentre in pieno centro i tassi si assestano attorno a 130». A ’salvare’ le zone centrali, secondo la ricerca, sono le zone a traffico limitato (Ztl) che giocano un ruolo molto importante nel ridurre inquinanti ed effetti deleteri sulla salute.

    https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2024/03/01/piu-smog-in-periferia-che-in-centro-tassi-di-decesso-doppi_88aa7f71-0797-48cc-9
    #pollution #pollution_de_l'air #air #Milan #Italie #rapport #étude #santé #centre-ville #périphérie #mortalité

    • https://www.youtube.com/watch?v=GnmyyZqrU8w&t=5s

      Quando discende la notte
      sui tetti sperduti di periferia
      tra qualche prato tenace
      due fossi e una strada di periferia

      Ti puoi permettere di passeggiare
      di respirare quel filo d’aria
      che vien dal povero prato sfinito
      dalla sua lotta contro l’asfalto
      ed ascoltare se ancor ci riesci
      i vecchi grilli dimenticati
      e puoi scordarti che a cento passi
      ci son le luci e corrono i tram.

      Quando discende la notte
      sui tetti sperduti qui in periferia
      ti puoi illudere ancora
      di avere una strada ed un prato per te.

      Quando discende la notte
      sui tetti sperduti di periferia
      tra qualche prato tenace
      due fossi e una strada di periferia

      Ti puoi permettere di passeggiare
      di respirare quel filo d’aria
      che vien dal povero prato sfinito
      dalla sua lotta contro l’asfalto
      ed ascoltare se ancor ci riesci
      i vecchi grilli dimenticati
      e puoi scordarti che a cento passi
      ci son le luci e corrono i tram.

      Quando discende la notte
      sui tetti sperduti qui in periferia
      ti puoi illudere ancora
      di avere una strada ed un prato per te.

      #périphérie #chanson #musique

  • Mieux comprendre l’urbain depuis la périphérie
    https://metropolitiques.eu/Mieux-comprendre-l-urbain-depuis-la-peripherie.html

    À partir de ses recherches sur #Buenos_Aires et #La_Plata, l’anthropologue argentin Ramiro Segura invite à un double décentrement : regarder l’urbain depuis ses périphéries et s’affranchir de théories urbaines largement produites à partir de quelques grandes villes du Nord. Entretien réalisé par Eleonora Elguezabal et Clément Rivière. Ramiro Segura a conduit de nombreuses enquêtes de terrain portant sur les dynamiques de ségrégation, les mobilités et les expériences urbaines dans les agglomérations de #Entretiens

    / #anthropologie_urbaine, #anthropologie, #études_urbaines, #périphérie, Buenos Aires, #Argentine, La (...)

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-entretiensegura.pdf

  • France périphérique
    https://topophile.net/rendez-vous/france-peripherique

    Exposition photographique Un témoignage poignant sur la précarité et la pauvreté en France depuis 2015 par le photographe, Pierre Faure. Pierre Faure sera à la galerie FAIT & CAUSE les samedis 4 et 25 juin 2022 de 16h à 18h, pour vous servir de guide. " Le titre « France Périphérique » est emprunté à... Voir l’article

    • Hypermarchés, la chute de l’empire

      Menacés par les géants du numérique et de nouveaux usages, les acteurs historiques de la grande distribution luttent sans merci pour assurer la pérennité de leur modèle. Une enquête fouillée, menée par le journaliste d’investigation Rémi Delescluse.

      Le modèle de l’hypermarché a-t-il fait son temps ? Ce concept révolutionnaire du « tout sous le même toit », popularisé en 1963 par Carrefour, a conquis le monde entier. Aujourd’hui pourtant, le pionnier français, comme ses concurrents, a un genou à terre. En cause notamment, la crise du gigantisme, associé à une déshumanisation du commerce et à la surconsommation, pointée du doigt à l’heure des grands défis écologiques. Selon les experts, la toute-puissance de certains groupes serait menacée d’ici dix ans. Désormais, tout le secteur cherche à sauver ce qui peut l’être, quitte à verser dans des pratiques à la limite de la légalité. Pour obtenir des prix toujours plus bas, sans lesquels elles seraient désertées, les grandes enseignes mettent les fournisseurs sous pression au cours de renégociations annuelles réputées difficiles : entretiens dans des box minuscules à la température trafiquée, chaises bancales sabotées pour l’inconfort, discriminations sexistes, violence verbale... Comme le formule le directeur d’un grand groupe, dont les propos sont rapportés dans le documentaire, « ce qui est important, c’est de briser les jambes des fournisseurs. Une fois au sol, on commence à négocier ». Sans compter les contrats qui gardent captifs les franchisés ou les nouvelles alliances européennes de centrales d’achats, particulièrement opaques, qui facturent aux fournisseurs des services qualifiés par certains de « fictifs ».

      La loi du plus fort
      La peur de disparaître pousse les grandes enseignes à toujours plus d’agressivité. Dans leur ligne de mire, les plates-formes d’e-commerce, qui pourraient bientôt précipiter leur ruine. Trois ans à peine après avoir racheté pour 13 milliards de dollars Whole Foods, Amazon a déjà lancé sa propre enseigne, Amazon Fresh : des magasins dans lesquels les Caddies connectés améliorent l’expérience de clients fidélisés par abonnement et dont les moindres données sont collectées. Plongeant au cœur des sombres pratiques de la grande distribution, le documentaire de Rémi Delescluse propose un état des lieux mondial du secteur, soumis à la loi du plus fort, et s’interroge sur son futur. Certains prédisent la domination prochaine des nouveaux venus, de l’approvisionnement à la distribution, comme c’est le cas en Chine. En France, Amazon détient déjà 10 % du marché des produits de grande consommation…

      https://www.arte.tv/fr/videos/095178-000-A/hypermarches-la-chute-de-l-empire
      signalé ici aussi:
      https://seenthis.net/messages/933247

    • À Verrières-en-Anjou, juste à la sortie d’Angers, les plateformes logistiques poussent comme des champignons en automne. Et ce n’est pas fini. Après la plateforme géante d’Action et celle d’InVivo (Jardiland, Gamm Vert, Delbard…), à qui le tour ?

      Afin de répondre aux demandes des entreprises, et pas seulement celles de logistique, Angers Loire Métropole a besoin de très grands terrains. Pour créer un nouveau parc d’activités, l’Agglomération a jeté son dévolu sur ceux qui se trouvent au sud de Saint-Sylvain-d’Anjou, dans un triangle dessiné par l’autoroute A 11 et les départementales 323 et 115. Son nom : « Nouvelle Océane ».

      Le périmètre d’étude porte sur 125 ha, mais le chiffre définitif, qui sera connu l’an prochain, devrait passer sous la barre des 100 ha.

      Ça fait encore beaucoup. Plusieurs agriculteurs et habitants qui travaillent et vivent dans ce périmètre sont très directement concernés par la concertation préalable qui a débuté, et au terme de laquelle sera défini le périmètre précis de la zone d’aménagement concerté. Des terres agricoles et des maisons sont en effet condamnées à disparaître.
      Plusieurs projets « sous compromis »

      Une première permanence est prévue le mardi 23 novembre de 15 heures à 18 heures à la mairie de Verrières. Des techniciens d’Alter Public, l’entreprise publique locale chargée de mener à bien le projet, seront présents...
      Près d’Angers. Près de 100 hectares pris à l’agriculture pour accueillir des entreprises

      https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/angers-49000/pres-d-angers-pres-de-100-ha-pris-a-l-agriculture-pour-accueillir-des-e #paywall

  • #Bamako. De la ville à l’agglomération

    Longtemps perçue comme un gros village, réceptacle des migrations rurales, la capitale du Mali est devenue une métropole illustrant remarquablement la #croissance_démographique et l’#étalement spatial des grandes agglomérations ouest-africaines. Avec trois décennies de recul, ce livre-atlas met en lumière ces enjeux et les processus de renouvellement de la population bamakoise : le poids désormais décisif des #jeunes ; l’impact de #flux_résidentiels redistribuant familles et demandes de #logement au-delà du district urbain ; le déplacement des fortes #inégalités d’accès au #sol vers les #périphéries de l’agglomération.

    S’appuyant sur une combinaison de données censitaires, d’enquêtes quantitatives et d’observations recueillies jusqu’à la fin des années 2010, l’ouvrage montre comment les pratiques des habitants en matière de #logement, de migration et de #mobilité_urbaine impriment des #discriminations croissantes dans ce cadre expansif. La trajectoire de la ville se lit au fil de plusieurs générations qui ont marqué l’histoire des quartiers, densifié les lignées de propriétaires, forgé de nouveaux besoins dans les plus récents fronts de peuplement.

    Prendre le pouls de la #transition_urbaine oblige à déconstruire les visions simplistes, opposant émigration et immigration, #croissance_spontanée et #urbanisme_réglementaire, une ville « prédatrice » et une campagne « spoliée », sans pour autant négliger leurs échos dans les représentations locales et les modèles globalisés de #gouvernance_urbaine. Véritable manuel d’investigation, ce livre rappelle donc la nécessité d’une connaissance précise des cycles d’expansion urbaine et des acteurs de cette double fabrique, sociale et territoriale. Il donne à voir l’agglomération de Bamako à la fois dans sa dimension régionale et dans l’intimité de ses #quartiers.

    https://www.editions.ird.fr/produit/632/9782709928908/bamako
    #ville #géographie_urbaine #TRUST #master_TRUST #urban_matter #livre #villes #Mali #ressources_pédagogiques

  • Vers un #tournant_rural en #France ?

    En France, la seconde moitié du XXe siècle marque une accélération : c’est durant cette période que la population urbaine progresse le plus fortement pour devenir bien plus importante que la population rurale. À l’équilibre jusqu’à l’après-guerre, la part des urbains explose durant les « trente glorieuses » (1945-1973).

    Dans les analyses de l’occupation humaine du territoire national, l’#exode_rural – ce phénomène qui désigne l’abandon des campagnes au profit des centres urbains – a marqué l’histoire de France et de ses territoires. En témoigne nombre de récits et d’études, à l’image des travaux de Pierre Merlin dans les années 1970 et, plus proches de nous, ceux de Bertrand Hervieu.

    Ce long déclin des campagnes est documenté, pointé, par moment combattu. Mais depuis 1975, et surtout après 1990, des phénomènes migratoires nouveaux marquent un renversement. Le #rural redevient accueillant. La #périurbanisation, puis la #rurbanisation ont enclenché le processus.

    La période actuelle marquée par un contexte sanitaire inédit questionne encore plus largement. N’assisterait-on pas à un #renversement_spatial ? La crise en cours semble en tous cas accélérer le phénomène et faire émerger une « #transition_rurale ».

    Si cette hypothèse peut être débattue au niveau démographique, politique, économique et culturel, elle nous pousse surtout à faire émerger un nouveau référentiel d’analyse, non plus pensé depuis l’#urbanité, mais depuis la #ruralité.


    https://twitter.com/afpfr/status/1078546339133353989

    De l’exode rural…

    Dans la mythologie moderne française, l’exode rural a une place reconnue. Les #campagnes, qui accueillent jusque dans les années 1930 une majorité de Français, apparaissent comme le réservoir de main-d’œuvre dont l’industrie, majoritairement présente dans les villes a alors cruellement besoin. Il faut ainsi se rappeler qu’à cette époque, la pluriactivité est répandue et que les manufactures ne font pas toujours le plein à l’heure de l’embauche en période de travaux dans les champs.

    Il faudra attendre l’après-Seconde Guerre mondiale, alors que le mouvement se généralise, pour que la sociologie rurale s’en empare et prenne la mesure sociale des conséquences, jusqu’à proclamer, en 1967 avec #Henri_Mendras, « la #fin_des_paysans ».

    L’#urbanisation constitue le pendant de ce phénomène et structure depuis la géographie nationale. Dans ce contexte, la concentration des populations à l’œuvre avait déjà alerté, comme en témoigne le retentissement de l’ouvrage de Jean‑François Gravier Paris et le désert français (1947). Quelques années plus tard, une politique d’#aménagement_du_territoire redistributive sera impulsée ; elle propose une #délocalisation volontaire des emplois de l’#Ile-de-France vers la « #province », mais sans véritablement peser sur l’avenir des campagnes. Le temps était alors surtout aux métropoles d’équilibre et aux grands aménagements (ville nouvelle – TGV – création portuaire).

    https://www.youtube.com/watch?v=JEC0rgDjpeE&feature=emb_logo

    Pour la France des campagnes, l’exode rural se traduisit par un déplacement massif de population, mais aussi, et surtout, par une perte d’#identité_culturelle et une remise en cause de ses fondements et de ses #valeurs.

    Le virage de la #modernité, avec sa recherche de rationalité, de productivité et d’efficacité, ne fut pas négocié de la même manière. Les campagnes reculées, où se pratique une agriculture peu mécanisable, subirent de plein fouet le « progrès » ; tandis que d’autres milieux agricoles du centre et de l’ouest de la France s’en tirèrent mieux. L’#exploitant_agricole remplace désormais le #paysan ; des industries de transformation, notamment agroalimentaires, émergent. Mais globalement, le rural quitta sa dominante agricole et avec elle ses spécificités. La campagne, c’était la ville en moins bien.

    Ce référentiel, subi par les populations « restantes », structurait la #vision_nationale et avec elle les logiques d’action de l’État. Cette histoire se poursuivit, comme en témoignent les politiques actuelles de soutien à la #métropolisation, heureusement questionnées par quelques-uns.

    … à l’exode urbain !

    Le recensement de 1975 marque un basculement. Pour la première fois, la population rurale se stabilise et des migrations de la ville vers ses #périphéries sont à l’œuvre.

    Le mouvement qualifié de « périurbanisation » puis de « rurbanisation » marquait une continuité, toujours relative et fixée par rapport à la ville. La « périurbanisation » exprimait les migrations en périphéries, un desserrement urbain. La « rurbanisation », la généralisation du mode de vie urbain, même loin d’elle. Le processus n’est pas homogène et il explique pour une grande part la #fragmentation contemporaine de l’#espace_rural en y conférant des fonctions résidentielles ou récréatives, sur fond d’emplois agricoles devenus minoritaires. Ainsi, la banlieue lyonnaise, l’arrière-pays vauclusien et la campagne picarde offrent différents visages de la ruralité contemporaine.

    Parallèlement, dans les territoires les plus délaissés (en Ardèche, dans l’Ariège, dans les Alpes-de-Haute-Provence par exemple), un « #retour_à_la_terre » s’opère. Si le grand public connaît ces nouveaux résidents sous l’appellation de « #néo-ruraux », des moments successifs peuvent être distingués.

    La chercheuse Catherine Rouvière s’intéressa à ce phénomène en Ardèche ; elle le décrypte en 5 moments.

    Les premiers, avec les « #hippies » (1969-1973), marquèrent culturellement le mouvement, mais peu l’espace, à l’inverse des « néo-ruraux proprement dits » (1975-1985) qui réussirent plus largement leur installation. Plus tard, les « #travailleurs_à_la_campagne » (1985-1995) furent les premiers à faire le choix d’exercer leur métier ailleurs qu’en ville. Enfin, les politiques néolibérales engagèrent dans ce mouvement les « personnes fragiles fuyant la ville » (1995-2005) et mirent en action les « #altermondialistes » (2005-2010). Le départ de la ville est donc ancien.

    https://www.youtube.com/watch?v=NcOiHbvsoA0&feature=emb_logo

    Jean‑Paul Guérin, voit déjà en 1983 dans ce phénomène d’exode urbain une opportunité pour les territoires déshérités de retrouver une élite. Ce qu’on qualifie aujourd’hui d’émigration massive avait ainsi été repéré depuis près de 30 ans, même si l’Insee l’a toujours méthodiquement minoré.

    Vers une transition rurale ?

    Présenter ainsi l’histoire contemporaine des migrations françaises de manière symétrique et binaire est pourtant trompeur.

    Tout comme l’exode rural est à nuancer, l’exode urbain engagé il y a des décennies mérite de l’être aussi. Les relations ville-campagne sont bien connues, la ruralité se décline dorénavant au pluriel et de nouveaux équilibres sont souvent recherchés. Malgré cela, la période actuelle nous oblige à poser un regard différent sur cette histoire géographique au long cours. La crise de la #Covid-19 marque une accélération des mouvements.

    Aujourd’hui, quelques auteurs s’interrogent et proposent des ajustements. En appelant à une Plouc Pride, une marche des fiertés des campagnes, Valérie Jousseaume nous invite ainsi collectivement à nous questionner sur la nouvelle place de la ruralité.

    https://www.youtube.com/watch?v=agAuOcgcOUQ&feature=emb_logo

    Et si, au fond, cette tendance témoignait d’un basculement, d’une transition, d’un tournant rural, démographique, mais aussi et surtout culturel ?

    La période rend en effet visible « des #exilés_de_l’urbain » qui s’inscrivent clairement dans un autre référentiel de valeurs, dans la continuité de ce qui fut appelé les migrations d’agrément. Celles-ci, repérées initialement en Amérique du Nord dans les années 1980 puis en France dans les années 2000, fonctionnent sur une logique de rapprochement des individus à leurs lieux de loisirs et non plus de travail.

    L’enjeu pour ces personnes consiste à renoncer à la ville et non plus de continuer à en dépendre. Dans la ruralité, de nombreux territoires conscients de ce changement tentent de s’affirmer, comme la Bretagne ou le Pays basque.

    Pourtant ils versent souvent, à l’image des métropoles, dans les politiques classiques de #compétitivité et d’#attractivité (#marketing_territorial, politique culturelle, territoire écologique, créatif, innovant visant à attirer entrepreneurs urbains et classes supérieures) et peu s’autorisent des politiques non conventionnelles. Ce phénomène mimétique nous semble d’autant plus risqué que dès 1978, Michel Marié et Jean Viard nous alertaient en affirmant que « les villes n’ont pas les concepts qu’il faut pour penser le monde rural ». Mais alors, comment penser depuis la ruralité ?

    https://www.youtube.com/watch?v=YOEyqkK2hTQ&feature=emb_logo

    Il s’agit d’ouvrir un autre référentiel qui pourrait à son tour servir à relire les dynamiques contemporaines. Le référentiel urbain moderne a construit un monde essentiellement social, prédictif et rangé. Ses formes spatiales correspondent à des zonages, des voies de circulation rapides et de l’empilement. Ici, l’#artificialité se conjugue avec la #densité.

    Le rural accueille, en coprésence, une diversité de réalités. Ainsi, la #naturalité se vit dans la #proximité. Ce phénomène n’est pas exclusif aux territoires peu denses, la naturalisation des villes est d’ailleurs largement engagée. Mais l’enjeu de l’intégration de nouveaux habitants dans le rural est d’autant plus fort, qu’en plus de toucher la vie des communautés locales, il se doit de concerner ici plus encore qu’ailleurs les milieux écologiques.

    Le trait n’est plus alors celui qui sépare (la #frontière), mais devient celui qui fait #lien (la #connexion). La carte, objet du géographe, doit aussi s’adapter à ce nouvel horizon. Et la période qui s’ouvre accélère tous ces questionnements !

    L’histoire de la civilisation humaine est née dans les campagnes, premiers lieux défrichés pour faire exister le monde. La ville n’est venue que plus tard. Son efficacité a par contre repoussé la limite jusqu’à dissoudre la campagne prise entre urbanité diffuse et espace naturel. Mais face aux changements en cours, à un nouvel âge de la #dispersion, la question qui se pose apparaît de plus en plus : pour quoi a-t-on encore besoin des villes ?

    https://theconversation.com/vers-un-tournant-rural-en-france-151490
    #villes #campagne #démographie #coronavirus #pandémie

    –—

    ajouté à la métaliste « #géographie (et notamment #géographie_politique) et #coronavirus » :
    https://seenthis.net/messages/852722

  • #Urbanisme. Dans les #villes sud-africaines, les fantômes de l’#apartheid

    Jusque dans leur #architecture et leur organisation, les villes sud-africaines ont été pensées pour diviser #Noirs et #Blancs. Vingt ans après la fin de l’apartheid, des activistes se battent pour qu’elles soient enfin repensées.

    Lors de la dernière nuit que Sophie Rubins a passée dans son taudis de tôle rouillée, au début du mois de septembre, la première pluie du printemps s’est abattue sur son toit. De son lit, elle l’a regardée s’infiltrer dans les interstices des parois. Les fentes étaient si grandes qu’on pouvait « voir les étoiles », dit-elle, et en entrant, l’eau faisait des flaques sur le sol, comme à chaque fois qu’il avait plu durant les trente dernières années.

    Mme Rubins avait passé la majeure partie de sa vie dans ce « zozo » - une bicoque en tôle - situé dans une arrière-cour d’Eldorado Park. Ce #township de la banlieue sud de #Johannesburg avait été construit pour abriter un ensemble de minorités ethniques désigné dans la hiérarchie raciale de l’apartheid sous le nom de « communauté de couleur ». Les emplois et les services publics y étaient rares. La plupart des postes à pourvoir se trouvaient dans les secteurs « blancs » de la ville, où l’on parvenait après un long trajet en bus.

    Mais cette nuit était la dernière qu’elle y passait, car, le lendemain matin, elle déménageait de l’autre côté de la ville, dans un appartement qui lui avait été cédé par le gouvernement. Cela faisait vingt-quatre ans qu’elle figurait sur une liste d’attente.

    Je pensais avoir ce logement pour y élever mes enfants, soupire-t-elle, mais je suis quand même contente car j’aurai un bel endroit pour mourir."

    Construits pour diviser

    Quand la #ségrégation a officiellement pris fin en Afrique du Sud au milieu des années 1990, les urbanistes ont été confrontés à une question existentielle : comment réunir les communautés dans des villes qui avaient été construites pour les séparer ?? Pendant des décennies, ils l’avaient esquivée pour se concentrer sur une question plus vaste encore : comment fournir un #logement décent à des gens entassés dans des quartiers pauvres, isolés et dépourvus de services publics ?? Depuis la fin de l’apartheid, le gouvernement a construit des logements pour des millions de personnes comme Mme Rubins.

    Mais la plupart sont situés en #périphérie, dans des quartiers dont l’#isolement contribue à accroître les #inégalités au lieu de les réduire. Ces dernières années, des militants ont commencé à faire pression sur les municipalités pour qu’elles inversent la tendance et construisent des #logements_sociaux près des #centres-villes, à proximité des emplois et des écoles. D’après eux, même s’ils ne sont pas gratuits, ces logements à loyer modéré sont un premier pas vers l’intégration de la classe populaire dans des secteurs de la ville d’où elle était exclue.

    Le 31 août, un tribunal du Cap a donné gain de cause à ces militants en décrétant que la ville devait annuler la vente d’un bien immobilier qu’elle possédait près du quartier des affaires et y construire des logements sociaux. « Si de sérieux efforts ne sont pas faits par les autorités pour redresser la situation, stipule le jugement, l’#apartheid_spatial perdurera. » Selon des experts, cette décision de justice pourrait induire une réaction en chaîne en contraignant d’autres villes sud-africaines à chercher à rééquilibrer un statu quo très inégalitaire.

    Ce jugement est important car c’est la première fois qu’un tribunal estime qu’un logement abordable et bien placé n’est pas quelque chose qu’il est bon d’avoir, mais qu’il faut avoir", observe Nobukhosi Ngwenya, qui poursuit des recherches sur les inégalités de logements à l’African Centre for Cities [un centre de recherches sur l’urbanisation] du Cap.

    Près de la décharge

    Cet avis va à contre-courant de l’histoire mais aussi du présent. L’appartement dans lequel Mme Rubins a emménagé au début de septembre dans la banlieue ouest de Johannesburg a été construit dans le cadre du #Programme_de_reconstruction_et_de_développement (#PRD), un chantier herculéen lancé par le gouvernement dans les années 1990 pour mettre fin à des décennies - voire des siècles en certains endroits - de ségrégation et d’#expropriation des Noirs. Fondé sur l’obligation inscrite dans la Constitution sud-africaine d’"assurer de bonnes conditions de logement" à chaque citoyen, ce programme s’engageait à fournir un logement gratuit à des millions de Sud-Africains privés des services essentiels et de conditions de vie correctes par le gouvernement blanc.

    Le PRD a été dans une certaine mesure une réussite. En 2018, le gouvernement avait déjà livré quelque 3,2 millions de logements et continuait d’en construire. Mais pour réduire les coûts, la quasi-totalité de ces habitations ont été bâties en périphérie des villes, dans les secteurs où Noirs, Asiatiques et métis étaient naguère cantonnés par la loi.

    Le nouvel appartement de Mme Rubins, par exemple, jouxte la décharge d’une mine, dans un quartier d’usines et d’entrepôts construits de manière anarchique. Le trajet jusqu’au centre-ville coûte 2 dollars, soit plus que le salaire horaire minimum.

    Cet #éloignement du centre est aussi un symbole d’#injustice. Sous l’apartheid, on ne pouvait accéder à ces #banlieues qu’avec une autorisation de la municipalité, et il fallait souvent quitter les lieux avant le coucher du soleil.

    « Il y a eu beaucoup de luttes pour l’accès à la terre dans les villes sud-africaines et elles ont été salutaires », souligne Mandisa Shandu, directrice de Ndifuna Ukwazi, l’association de défense des droits au logement qui a lancé l’action en #justice au Cap pour que la vente immobilière de la municipalité soit annulée. « Ce que nous avons fait, c’est réclamer que l’#accès mais aussi l’#emplacement soient pris en considération. »

    Au début de 2016, l’association a appris que la municipalité du Cap avait vendu une propriété située dans le #centre-ville, [l’école] Tafelberg, à une école privée locale. Alors que l’opération avait déjà eu lieu, l’association a porté l’affaire devant les tribunaux en faisant valoir que ce bien n’était pas vendable car la ville était tenue d’affecter toutes ses ressources à la fourniture de #logements_sociaux.

    Après quatre ans de procédure, le tribunal a décidé d’invalider la vente. Les autorités ont jusqu’à la fin de mai 2021 pour présenter un plan de logements sociaux dans le centre du Cap. « Je pense que ce jugement aura une influence majeure au-delà du Cap, estime Edgar Pieterse, directeur de l’African Centre for Cities. Il redynamisera le programme de logements sociaux dans tout le pays. »

    Fin de « l’#urbanisme_ségrégationniste »

    Cependant, même avec cette nouvelle impulsion, le programme ne répondra qu’à une partie du problème. Selon M. Pieterse, le gouvernement doit trouver des moyens pour construire des #logements_gratuits ou à #loyer_modéré pour faire des villes sud-africaines des endroits plus égalitaires.

    Ainsi, à Johannesburg, la municipalité a passé ces dernières années à améliorer le réseau des #transports_publics et à promouvoir la construction le long de liaisons qui avaient été établies pour faciliter les déplacements entre des quartiers coupés du centre-ville par un urbanisme ségrégationniste.

    Quand Mme Rubins a emménagé dans son nouvel appartement, elle ne pensait pas à tout cela. Pendant que l’équipe de déménageurs en salopette rouge des services publics déposait ses étagères et ses armoires, dont les pieds en bois étaient gauchis et gonflés par trente ans de pluies torrentielles, elle a jeté un coup d’oeil par la fenêtre de sa nouvelle chambre, qui donnait sur un terrain jonché de détritus.

    Sa nièce, June, qui avait emménagé à l’étage au-dessus une semaine plus tôt, l’aidait à trier les sacs et les cartons. Mme Rubins s’est demandé à haute voix s’il y avait de bonnes écoles publiques dans le coin et si les usines embauchaient. Elle l’espérait, car le centre-ville était à trente minutes en voiture.

    Si tu es désespérée et que Dieu pense à toi, tu ne dois pas te plaindre. Tu dois juste dire merci", lui a soufflé June.

    https://www.courrierinternational.com/article/urbanisme-dans-les-villes-sud-africaines-les-fantomes-de-lapa
    #Afrique_du_Sud #division #séparation #Segregated_By_Design #TRUST #master_TRUST

    ping @cede

  • GÉOGRAPHIES DE LA #COLÈRE. #Ronds-points et prés carrés

    Ce numéro de Géographie et cultures ambitionne de questionner les traductions spatiales de ces colères. À la faveur d’un mouvement inédit en France difficile à comprendre et à décrypter avec des grilles classiques des sciences humaines et sociales, les différents articles analysant les logiques spatiales des #Gilets_jaunes traduisent un besoin de renouvellement des cadres de compréhension : les ronds-points périphériques deviennent des pôles de #luttes et parfois de #violences_policières, la #cartographie devient participative en demeurant un outil de combat, le #périurbain n’est (toujours) pas une #périphérie homogène. Des échos sont clairement identifiables dans d’autres colères issues de l’injustice de traitement : l’accès aux services publics, la violence faite aux femmes, aux Noirs (aux États-Unis).

    https://www.editions-harmattan.fr/index.asp?navig=catalogue&obj=numero&no=67957&no_revue=17&razSqlC
    #revue #géographie #France #émotions #géographie_des_émotions

  • Le droit d’asile à l’épreuve de l’externalisation des politiques migratoires

    Le traitement des #demandes_d’asile s’opère de plus en plus en #périphérie et même en dehors des territoires européens. #Hotspots, missions de l’#Ofpra en #Afrique, #accord_UE-Turquie : telles sont quelques-unes des formes que prend la volonté de mise à distance des demandeurs d’asile et réfugiés qui caractérise la politique de l’Union européenne depuis deux décennies.

    Pour rendre compte de ce processus d’#externalisation, les auteur·es de ce nouvel opus de la collection « Penser l’immigration autrement » sont partis d’exemples concrets pour proposer une analyse critique de ces nouvelles pratiques ainsi que de leurs conséquences sur les migrants et le droit d’asile. Ce volume prolonge la journée d’étude organisée par le #Gisti et l’Institut de recherche en droit international et européen (Iredies) de la Sorbonne, le 18 janvier 2019, sur ce thème.

    Sommaire :

    Introduction
    I. Les logiques de l’externalisation

    – Externalisation de l’asile : concept, évolution, mécanismes, Claire Rodier

    - La #réinstallation des réfugiés, aspects historiques et contemporains, Marion Tissier-Raffin

    – Accueil des Syriens : une « stratification de procédures résultant de décisions chaotiques », entretien avec Jean-Jacques Brot

    - #Dublin, un mécanisme d’externalisation intra-européenne, Ségolène Barbou des Places

    II. Les lieux de l’externalisation

    - L’accord Union européenne - Turquie, un modèle ? Claudia Charles

    – La #Libye, arrière-cour de l’Europe, entretien avec Jérôme Tubiana

    - L’#Italie aux avant-postes, entretien avec Sara Prestianni

    - Le cas archétypique du #Niger, Pascaline Chappart

    #Etats-Unis- #Mexique : même obsession, mêmes conséquences, María Dolores París Pombo

    III. Les effets induits de l’externalisation

    – Une externalisation invisible : les #camps, Laurence Dubin

    - #Relocalisation depuis la #Grèce : l’illusion de la solidarité, Estelle d’Halluin et Émilie Lenain

    - Table ronde : l’asile hors les murs ? L’Ofpra au service de l’externalisation

    https://www.gisti.org/publication_pres.php?id_article=5383
    #procédures_d'asile #asile #migrations #réfugiés #rapport #USA

    ping @karine4 @isskein @rhoumour @_kg_

  • En France, neuf personnes sur dix vivent dans l’aire d’attraction d’une ville - Insee Focus - 211

    https://www.insee.fr/fr/statistiques/4806694

    En France, neuf personnes sur dix vivent dans l’aire d’attraction d’une ville

    Marie-Pierre de Bellefon, Pascal Eusebio, Jocelyn Forest, Olivier Pégaz-Blanc, Raymond Warnod (Insee)

    L’aire d’attraction d’une ville définit l’étendue de son influence sur les communes environnantes. En France, les 699 aires d’attraction des villes regroupent plus de neuf personnes sur dix : 51 % de la population française habite dans les pôles et 43 % dans les couronnes. Une personne sur cinq vit dans l’aire d’attraction de Paris.

    Entre 2007 et 2017, la population augmente nettement dans les aires d’attraction de 700 000 habitants ou plus. Depuis 2012, la population est stable dans les aires de moins de 50 000 habitants et dans les communes hors attraction des villes. Au sein des aires, la croissance de la population est plus faible dans les communes-centres que dans les couronnes.

    #france #urban_matter #aires_attraction #géographie #Cartographie #centralité #périphérie #bide #plein

  • Une place à soi

    – Madame… on a besoin de votre aide.

    Cela a commencé comme ça. Un petit groupe de six filles, à la fin d’un cours. J’ai mon sac prêt pour aller remplir ma bouteille d’eau et chercher un café, dans les dix minutes de récréation qu’il reste. Je leur dis avec un sourire que, s’il s’agit d’astuces pour leur devoir de physique-chimie, c’est pas gagné mais que je ferai mon maximum. Elles sourient. Trois autres filles, déjà parties dans le couloir, reviennent dans la salle.

    L’une d’elle regarde ses camarades et commence à m’expliquer en choisissant bien ses mots. Depuis plusieurs semaines, certaines d’entre elles subissent des « remarques ». Des « moqueries ». Des « blagues ». J’écoute, hoche la tête. Vous avez vu comme cela va vite ? Elles ont 14 ans au mieux et elles ont déjà si bien intégré comment, dans le langage, édulcorer la réalité. Car ceux qui ont subi « blagues », « moqueries » et « remarques » savent de quelle réalité ces mots sont lourds.

    Mais l’élève porte-parole tourne autour du pot : je lui dit que j’ai besoin d’exemples concrets pour comprendre ce dont il s’agit, ce qui se joue ici, et surtout clarifier ce qu’elles ne savent pas ou n’osent pas, plutôt, nommer. Elles dansent d’un pied sur l’autre, hésitent, l’une d’entre elles réajuste son sac sur l’épaule et se tournant vers la porte esquisse un « Nan mais c’est rien Madame, et puis vous n’avez pas le temps ».

    Je pose mon sac et ma bouteille.

    Je pose mes clefs de salle.

    Je pose ma voix.

    – J’ai tout mon temps. Et vous aussi.

    Alors, une des élèves me tend son téléphone : les captures d’écran de conversation sur une plateforme de chat, et me dit « Et encore, là, c’est rien. Remontez… ». « Là, c’est rien » : rien que ces mots, cette manière de minimiser ce qu’elle pense être suffisamment problématique pour en parler à une prof, est un indice : elle a déjà accepté que dans sa vie, elle devrait passer outre les micro-agressions, les accepter comme incontournables et les faire passer d’un geste de la main. Parce que « dans la vie, il faut avancer » et qu’« il y a des choses plus graves ». Nier les blessures, les contourner, les cloisonner, cliver. Tout simplement. Elles savent déjà faire.

    Je lis les phrases échangées entre plusieurs garçons et filles de la classe. Les répliques de ces dernières ne laissent aucun doute : « Mais oh comment tu parles ! », « Tu te crois où ? », « Mais on parle pas du physique des gens, ça va pas ? », et autres « Tu lui parles pas comme ça ! » et « Non je ne crois pas que c’était une blague ! ».

    – J’admire votre solidarité.

    Ancrer le collectif. Car il est ô combien nécessaire, et encore plus à 14 ans.

    La conversation navigue entre cours, devoirs, clips musicaux et blagues. Celles-ci émanent de tous, mais les blagues proférées par les garçons reviennent toujours aux capacités supposées des filles et à leur physique, cela n’y coupe pas. On sent une mélodie bien connue, un automatisme. Et les filles réagissent à chaque fois, la destinatrice puis les autres accourues à son secours, car les « remarques pour rire » d’un garçon sont appuyées par les « Haha ! » des autres venus confirmer le propos, et surtout, surtout, face aux réactions outrées des filles, pour minimiser le contenu et son impact. Edulcorer donc, voire se moquer de la réaction outrée. Toute cette mécanique bien huilée de la vanne balancée « comme ça », de la bande de copains qui rapplique quand la vanne va un peu trop loin avec comme mission plus ou moins inconsciente de minimiser l’insulte et de faire passer les filles légitimement en colère et demandant des excuses pour des pisse-froid. En un mot : des hystériques [j’emploie évidemment ce mot lourdement connoté à dessein].

    Je lis des « blagues » dirigées vers l’une ou l’autre, mentionnant leurs formes, seins et fesses, devenues objets dont on peut deviser publiquement, et reliées à leur intelligence et à leur réussite. J’écoute aussi les cours où les filles refusent d’aller au tableau parce que ce simple déplacement expose, EXPOSE !, le corps au regard du groupe de garçons gouailleurs de la classe qui en feront des gorges chaudes ensuite.

    Je réfléchis.

    Des ados. Des ados qui jouent aux petits mecs, des ados que j’affectionne et dont je sais qu’un par un ils seraient les premiers à dire que, tout ça, « ça ne se fait pas ». Il n’en reste pas moins que le nombre les a fait se sentir suffisamment en sécurité pour instaurer cette domination, palpable dans la crainte, la peur, évoquée par les filles. Peur qui se traduit par le coup de grâce final : « Non, mais on ne va quand même pas en parler au principal… Nan mais c’est pas si grave, on va s’en sortir, et puis… il y aurait des conséquences ! ».

    Elles ont 14 ans et on en est déjà là.

    Impressionnant, n’est-ce pas ?

    Alors je leur explique ce qui va se passer, parce que désormais ma responsabilité est engagée : alerter la direction de l’établissement qui réagira je le sais, le professeur principal et l’équipe. Et ça, ce n’est pas négociable. Mais aussi les informer, leur transmettre des astuces et des techniques pour recadrer rapidement ce type de situations et se protéger : je n’y suis pas du tout formée, j’ai seulement lu, écouté et vécu et en gros, j’y vais au feeling. Comme d’habitude dans ce métier.

    Leur apprendre à conserver des traces, et à en laisser en mettant les garants du respect du règlement, du droit, de la loi face à leur responsabilité et en leur demandant des comptes. Leur apprendre à ne transiger sur rien et les renforcer dans le sentiment d’être dans leur droit. Ne pas s’investir d’un sentiment de culpabilité inopportun et désigner clairement les responsables sans sourciller : « Il l’a dit ? il l’a écrit ? Il est assez grand pour formuler ça, c’est donc qu’il est assez grand pour en assumer les conséquences ».

    Je les laisse parler entre elles. Je les laisse éprouver leur solidarité et leur complémentarité, je les laisse apprendre à se protéger les unes les autres.

    Pendant ce temps, je regarde ma salle.

    Moi, à mon échelle, qu’est-ce que ce que je peux faire concrètement ? Ce sont des élèves que je connais bien, et je sais que le discours moralisateur sera un blabla de plus sans impact. Quels leviers infimes puis-je faire fonctionner pour que, au moins dans mes cours, un équilibre soit rétabli, que la domination et le sentiment d’impunité à l’exercer disparaissent… qu’est-ce que je peux pirater dans nos habitudes pour que…

    Les chaises, les tables, les murs, je revois un cours se dérouler et…

    J’ai dit aux filles de sortir et que dès le lendemain, j’allais modifier quelques petites choses. Minimes. Des détails. Sans en dire plus, je leur ai seulement demandé d’observer attentivement.

    J’ai commencé ce fameux cours par déplacer, comme je le fais régulièrement pour les travaux de groupes ou l’équilibre de la classe, des élèves. Telle fille par là, tel garçon par ici. Je fais surtout bien en sorte de ne rien laisser paraître de mon intention. Durant l’année, le plan de classe a évolué : totalement libre au début, je le recompose au gré de la participation, des bavardages ou des explosions. Et avec cette classe, au fur et à mesure des mois, une configuration qui désormais me saute aux yeux s’était mise en place involontairement : toutes les places périphériques sont occupées par les garçons, sur les côtés et au fond de la classe, c’est-à-dire avec un mur qui rassure et permet une assise stable. Les filles, elles, sont au centre : sans assise, sans appui, exposées de toutes part. Sous le regard de. Et ça, il en va de ma responsabilité : voir la classe comme un agrégat de personnes aux compétences variées, aux degrés de bavardage divers, et comme un système de dominations possibles. Au final, en peu de changements, j’arrive à un plan de classe tout à fait inédit : les filles en périphérie, encadrant les garçons assis au centre.

    Le cours commence et avec lui, je m’impose une nouvelle technique de calcul mental : 2 = 1. C’est une classe dont, dès le début de l’année, j’avais perçu qu’il me faudrait être attentive aux rapports de forces car composée aux deux tiers de garçons, et donc nécessairement le déficit de filles crée un déséquilibre à un âge de différenciation forte. Les garçons de cette classe sont dynamiques, prennent la parole sans attendre qu’on la leur donne, assez souvent à bon escient ; les filles, excellentes pour la plupart, ont une posture très scolaire parce qu’elles jouent parfaitement le jeu des codes scolaires et sociaux. Elles attendent d’obtenir la parole, elles se laissent couper la parole, elles se rebiffent peu.

    Donc, comme elles composent un tiers de classe, temporairement l’intervention d’un garçon impliquera deux interventions de filles. Sans le dire, et sans céder. Mains levées ou pas, chaque intervention compte et je persiste en relançant les filles : « Une idée ? », « Tu peux continuer sur la proposition de ta camarade ? ». Et elles s’en donnent à cœur joie, et tous profite des analyses pertinentes souvent dites à voix fluette.

    A la fin de ce cours, une atmosphère étrange flottait dans la classe. Les garçons à l’habitude exubérants, continuant de bavarder bien après la sonnerie en petit groupe au fond de ma salle, sont gênés. L’inconfort est palpable : il s’est passé un truc mais ils ne savent pas quoi. Les filles, elles, se regardent les unes les autres. Trois d’entre elles ont un large sourire.

    Elles ont compris. Elles n’ont pas besoin de dominer.

    Elles sont puissantes.

    Une semaine plus tard, au détour d’un chapitre, j’ai diffusé une vidéo sur le harcèlement de rue. Les garçons étaient scandalisés et dénonçaient les réflexions faites aux femmes dans la rue, sur leur morphologie, leurs vêtements, leur sexualité supposée. Ils étaient réellement sincères, mais à quel point se conformaient-ils au discours qu’ils savent attendu à l’école, à quel point avaient-ils compris comme on peut, facilement, basculer dans l’esprit de meute ? A une de leur question, savoir si on le vivait toutes, je leur ai raconté qu’à partir de leur âge, aller au tableau avait impliqué de me lever en tirant mon T-shirt le plus bas possible sur des jeans larges pour que mes formes soient imperceptibles. Que j’avais tellement bien intégré les réflexions sur les autres filles et sur moi que j’avais exclu vêtements moulants et robes. Qu’il m’avait fallu 20 ans pour m’en remettre et oser en porter, parce que désormais capable de faire front face à un mec dont les jambes écartées prennent deux places dans le métro, ou un autre qui ne change pas de trajectoire sur un trottoir parce que l’espace public est masculin. Eux qui me voyaient chaque jour en robe, dont un regard contient plus (je crois) d’autorité qu’une grande gueulante, ont ouvert de grands yeux.

    Ce groupe d’ados grandira et progresser sans aucun doute possible, chacun à son rythme. Je ne les fragiliserai pas en leur faisant subir une autre domination, mais je contribuerai à déstabiliser toutes ces certitudes qui s’installent si rapidement dans une classe : la certitude qu’avoir « de bonnes notes » c’est être « meilleur », la certitude qui, parce que l’on a un pénis, enjoint de croire que tout est dû et acceptable, la certitude qu’un système qui vous fait intégrer que vous êtes vulnérable parce que femme est légitime et ne peut être piraté.

    Et ces filles ? Elles ont fait du bruit. Elles ont pris de la place. Elles ont parlé fort et elles ont coupé la parole, elles ont fait des captures d’écran, elles sont montées au créneau, elles ont osé parler aux adultes et demandé de l’aide. Elles ont fait ce pas, gigantesque, à recommencer chaque fois et toujours aussi gigantesque, de surseoir au sentiment de honte, au sentiment de culpabilité et d’EXPOSER le problème et son auteur.

    Il faut beaucoup de courage pour cela.

    Elles sont admirables.

    http://www.chouyosworld.com/2020/07/23/une-place-a-soi

    #responsabilité #harcèlement #corps #école #filles #femmes #moqueries #mots #domination #impunité #configuration_de_la_classe #agencement #plan_de_classe #centre #périphérie #géographie #tour_de_parole #classe #déstabilisation #espace #honte #silence #culpabilité #éducation #sexisme #spatialité

    La partie sur l’#agencement de la classe :

    J’ai commencé ce fameux cours par déplacer, comme je le fais régulièrement pour les travaux de groupes ou l’équilibre de la classe, des élèves. Telle fille par là, tel garçon par ici. Je fais surtout bien en sorte de ne rien laisser paraître de mon intention. Durant l’année, le plan de classe a évolué : totalement libre au début, je le recompose au gré de la participation, des bavardages ou des explosions. Et avec cette classe, au fur et à mesure des mois, une configuration qui désormais me saute aux yeux s’était mise en place involontairement : toutes les places périphériques sont occupées par les garçons, sur les côtés et au fond de la classe, c’est-à-dire avec un mur qui rassure et permet une assise stable. Les filles, elles, sont au centre : sans assise, sans appui, exposées de toutes part. Sous le regard de. Et ça, il en va de ma responsabilité : voir la classe comme un agrégat de personnes aux compétences variées, aux degrés de bavardage divers, et comme un système de dominations possibles. Au final, en peu de changements, j’arrive à un plan de classe tout à fait inédit : les filles en périphérie, encadrant les garçons assis au centre.

    Ce billet a déjà été signalé sur seenthis, je le remets ici (car 3 fois vaut mieux que 2) et aussi parce que j’y ai ajouté des tags...
    https://seenthis.net/messages/872907
    https://seenthis.net/messages/868847

    ping @isskein

  • Revision : Periphery as a Place - Announcements - e-flux
    https://www.e-flux.com/announcements/315940/revision-periphery-as-a-place

    Une exposition qui a l’air très bien

    The exhibition Periphery as a Place - The Hellersdorf Project, organised by Ulrich Domröse (departing curator for photography at the Berlinische Galerie), was first shown at the nGbK in Kreuzberg over 20 years ago. Now nGbK will present two of the photo series from that exhibition—urban landscapes by Ulrich Wüst and portraits of young people by Helga Paris—at its satelite location, the station urbaner kulturen in Hellersdorf. This revision will afford a new discussion about the work and will be complimented by additional works by both photographers.

    For the exhibition in 1999 commissioned by the Wohnungsbaugesellschaft (housing association) Hellersdorf (WoGeHe), Ulrich Domröse invited the renowned artists Helga Paris and Ulrich Wüst, as well as Jens Rötzsch and Max Baumann, to explore the large Hellersdorf housing estate and to materialise their observations in photographic series.

    #photographie #berlin #périphérie

  • L’#écologie_municipale, ou la ville face à son histoire

    Les verts élus dans les grandes #villes doivent faire un #choix : se focaliser sur la qualité de vie de leurs administrés au risque de renforcer la #fracture entre #centres urbains et #périphéries, ou au contraire renouer avec les #territoires_fantômes que les #métropoles consomment et consument.

    Après le succès des candidatures et alliances écologistes dans certaines des plus grandes villes de France dimanche, une chose a très peu retenu l’attention des commentateurs politiques. C’est le paradoxe, au moins en apparence, d’une #métropolisation de l’écologie politique – le fait que les valeurs vertes semblent trouver dans les grands centres urbains leur principal lieu d’élection. Au lieu de s’interroger sur les motivations et les idéaux des personnes qui peuplent ces villes pour essayer d’y lire l’avenir, peut-être faut-il alors renverser la perspective et regarder l’objet même que constitue la #ville, sa réalité indissociablement écologique et politique.

    Au regard de l’#histoire, cette #urbanisation des #valeurs_vertes ne va pas du tout de soi. La ville a souvent été définie, en Europe au moins, par l’enveloppe protectrice des remparts qui tenait à distance les ennemis humains et non humains (animaux, maladies), et qui matérialisait la différence entre l’espace de la cité et son pourtour agraire et sauvage. En rassemblant les fonctions politiques, symboliques, sacerdotales, les villes engendrent des formes de socialité qui ont fasciné les grands penseurs de la modernisation. Saint-Simon, par exemple, voyait dans la commune médiévale italienne l’origine du développement matériel et moral propre à la #modernité. Durkheim, plus tard, faisait de la ville le prototype du milieu fait par et pour l’humain, le seul espace où pouvait se concrétiser le projet d’#autonomie.

    Aspirations urbaines

    Mais les villes sont également devenues, avec le processus d’#industrialisation, de gigantesques métabolismes matériels. L’explosion démographique des métropoles industrielles au XIXe siècle va de pair avec la concentration du travail, de l’énergie, et plus largement des flux de matière qui irriguent l’économie globale. Au cœur des transformations de la vie sociale, la ville est aussi au cœur de ses transformations matérielles : elle aspire d’immenses quantités de ressources, pour les relancer ensuite dans le commerce sous forme de marchandises. En laissant au passage les corps épuisés des travailleurs et des travailleuses, ainsi que des montagnes de déchets visibles ou invisibles, résidus non valorisés du processus productif.

    Ainsi la ville irradie le monde moderne de son prestige symbolique et culturel, mais elle tend aussi à déchirer le tissu des circularités écologiques. L’un ne va pas sans l’autre. Chaque ville, par définition, est tributaire de circuits d’approvisionnement qui alimentent ses fonctions productives, ou simplement qui la nourrissent et la débarrassent des contraintes spatiales. Chaque ville est entourée d’une périphérie fantôme qui l’accompagne comme son ombre, et qui est faite des #banlieues où vivent les exclus du #rêve_métropolitain, des champs cultivés et des sous-sols exploités. Chaque urbain mobilise malgré lui un espace où il ne vit pas, mais dont il vit.

    L’une des sources de la #sensibilité_écologique contemporaine se trouve justement dans la critique de l’avant-garde urbaine. Dans l’Angleterre victorienne, William Morris ou John Ruskin retournent à la #campagne pour démontrer qu’une relation organique au #sol est susceptible de régénérer la civilisation, sans pour autant compromettre les idéaux d’émancipation. Mais ils luttaient contre une tendance historique dont l’extraordinaire inertie a rapidement provoqué la disqualification de ces expériences. Surtout pour le #mouvement_ouvrier, qui avait en quelque sorte besoin des formes spécifiquement urbaines d’#aliénation pour construire la #solidarité_sociale en réponse.

    Si l’on replace dans cette séquence d’événements le phénomène d’urbanisation des attentes écologiques actuelles alors il y a de quoi s’interroger sur l’avenir. Deux trajectoires possibles peuvent s’esquisser, qui ont cela d’intéressant qu’elles sont à la fois absolument irréconciliables sur un plan idéologique et matériel, et quasiment impossibles à distinguer l’une de l’autre dans le discours des nouveaux édiles de la cité verte.

    Faire atterrir le #métabolisme_urbain

    D’un côté, on trouve le scénario d’une consolidation des #inégalités_sociales et spatiales à partir des valeurs vertes. Pour le dire de façon schématique, les grands pôles urbains poussent la #désindustrialisation jusqu’à son terme en éliminant les dernières nuisances et toxicités propres à la #ville_productive : elles se dotent de parcs, limitent les transports internes et créent des #aménités_paysagères (comme la réouverture de la Bièvre à Paris). C’est ce que la sociologie appelle la #gentrification_verte, dont #San_Francisco est le prototype parfois mis en avant par les prétendants écologistes aux grandes mairies. Au nom d’une amélioration difficilement critiquable de la qualité de vie, la ville des #parcs et #jardins, des boutiques bio, des #mobilités_douces et des loyers élevés court le risque d’accroître le #fossé qui la sépare des périphéries proches et lointaines, condamnées à supporter le #coût_écologique et social de ce mode de développement. #Paris est de ce point de vue caractéristique, puisque l’artifice administratif qui tient la commune à l’écart de sa banlieue est matérialisé par la plus spectaculaire infrastructure inégalitaire du pays, à savoir le #boulevard_périphérique.

    Mais si le vert peut conduire à consolider la #frontière entre l’intérieur et l’extérieur, et donc à faire de la qualité de vie un bien symbolique inégalement distribué, il peut aussi proposer de l’abolir – ou du moins de l’adoucir. Une réflexion s’est en effet engagée dans certaines municipalités sur le pacte qui lie les centres-villes aux espaces fantômes qu’elles consomment et consument. La #renégociation de la #complémentarité entre #ville et #campagne par la construction de #circuits_courts et de qualité, l’investissement dans des infrastructures de #transport_collectif sobres et égalitaires, le blocage de l’#artificialisation_des_sols et des grands projets immobiliers, tout cela peut contribuer à faire atterrir le #métabolisme_urbain. L’équation est évidemment très difficile à résoudre, car l’autorité municipale ne dispose pas entre ses mains de tous les leviers de décision. Mais il s’agit là d’un mouvement tout à fait singulier au regard de l’histoire, dans la mesure où il ne contribue plus à accroître la concentration du capital matériel et symbolique à l’intérieur de la cité par des dispositifs de #clôture et de #distinction, mais au contraire à alléger son emprise sur les #flux_écologiques.

    Le défi auquel font face les nouvelles villes vertes, ou qui prétendent l’être, peut donc se résumer assez simplement. Sont-elles en train de se confiner dans un espace déconnecté de son milieu au bénéfice d’une population qui fermera les yeux sur le sort de ses voisins, ou ont-elles engagé un processus de #décloisonnement_social et écologique ? L’enjeu est important pour notre avenir politique, car dans un cas on risque le divorce entre les aspirations vertes des centres-villes et la voix des différentes périphéries, des #ronds-points, des lointains extractifs, alors que dans l’autre, une fenêtre s’ouvre pour que convergent les intérêts de différents groupes sociaux dans leur recherche d’un #milieu_commun.

    https://www.liberation.fr/debats/2020/06/30/l-ecologie-municipale-ou-la-ville-face-a-son-histoire_1792880

    #verts #élections_municipales #France #inégalités_spatiales #mobilité_douce #coût_social ##décloisonnement_écologique

    via @isskein
    ping @reka @karine4

  • Tous au vert ? Scénario rétro-prospectif d’un #exode_urbain

    Dès le début de la pandémie de #Covid-19, la #densité_de_population est apparue comme un facteur déterminant de la #propagation_du_virus. Cette corrélation entre #pandémie et #densité est aujourd’hui remise en cause par les scientifiques, notamment au regard de la multifactorialité de l’#épidémie. L’âge, la qualité des services de soin, le type de métier, le mode de cohabitation des ménages, les habitudes culturelles… sont autant d’éléments qui contribuent à accentuer ou non la pandémie.

    Pour autant, les postures critiques vis-à-vis de la ville et de ce qu’elle nous révèle de nos modèles socio-économiques ne faiblissent pas. Si cette pensée radicale n’est pas nouvelle, elle réémerge en période de crise et nous invite à poser la question de l’urbain au regard de la propagation virale et de la #distanciation_sociale au moment du #déconfinement, mais aussi en tant que reflet de la société.

    Creuset de tous les maux, la #ville est mise au banc des accusés et les disparités de densité révèlent d’autres inégalités, à la fois sociales, culturelles économiques.

    Dans ce contexte, certains experts et décideurs s’enthousiasment autour de l’idée d’une possible revanche des #campagnes. De nombreux auteurs et journalistes voient dans la #migration_massive des #Franciliens vers leurs #résidences_secondaires pendant le confinement le signe annonciateur d’un futur #exode_urbain.

    L’observation des dynamiques démographiques sur un temps long montre que les #espaces_ruraux, y compris loin des villes, se repeuplent en effet depuis les années 2000, ce qui participe à la revitalisation des campagnes, sans nécessairement affaiblir pour autant les villes.

    Si aucune accélération du phénomène n’est enregistrée, on peut tout de même se demander à quoi ressemblerait cette France post-exode-urbain, qui se serait reconnectée à sa ruralité et aurait retrouvé une équidensité de peuplement. Quelles seraient les conséquences de cette dé-densification massive des villes ?

    Quand la France était « équidense »

    Cette géographie idéalisée a en réalité déjà existé. Elle correspond à la France de la fin du XIXe siècle, au tout début de la révolution industrielle. En 1876, la population française est répartie de façon beaucoup plus homogène dans l’espace qu’elle ne l’est aujourd’hui.

    La France métropolitaine compte alors 38 millions d’habitants, une densité moyenne de 70 habitants au km2 et plus de la moitié de la population habite dans ce que nous appellerions aujourd’hui le rural.

    Cette répartition spatialement équitable traduit le fait que les hommes habitent au plus près de leur force de travail, laquelle est essentiellement liée à la terre. En 2017, la France métropolitaine recense plus de 64 millions d’habitants, une densité de 119 habitants au km2 et moins d’un quart de la population vit dans une commune de moins de 2 000 habitants.

    En 150 ans, la population a donc presque doublé, entre autres parce que l’espérance de vie est passée de 43 à 86 ans. Il est vrai que cette croissance démographique s’est fortement polarisée dans l’espace, puisque les trois quarts de la hausse de population enregistrée s’est concentrée sur seulement 5 % de la superficie du pays, ce qui nous conduit aux densités actuelles tant décriées.

    Si l’on projette un scénario de dé-densification massive des espaces urbaines pour revenir à cette géographie en apparence plus égalitaire, quelles seraient les variations de population et les conséquences pour les territoires ?

    Des populations qui tripleraient à la #montagne

    À partir des données historiques disponibles, il est possible d’imaginer une #France_néo-rurale pour en tirer quelques leçons contemporaines. Pour cela, la population de 2017 est répartie entre les communes, au prorata du poids qu’elles occupaient en 1876.

    Retrouver la répartition de population du XIXe siècle impliquerait une réduction massive de la population urbaine, ville-centre et proche périphérie, au profit des campagnes et des montagnes. Le littoral méditerranéen et son arrière-pays proche, ainsi que les zones touristiques et attractives de la côte atlantique devraient aussi se dépeupler.

    Sans la réalité des chiffres, on pourrait presque penser que le modèle est soutenable. Mais si l’on précise un peu les dynamiques observées, on se rend compte qu’il faudrait doubler la population rurale.

    Pour retrouver la géographie du XIXe siècle, la ville de Bagnères-de-Bigorre dans les Hautes-Pyrénées passerait ainsi de 7 200 habitants à 16 100. Celle de Charolles, en Saône-et-Loire, de 2 700 à 6 200, et la commune de Murat, dans le Cantal, verrait sa population bondir de 1 880 habitants à près de 5 900.

    Avec une surface moyenne des appartements située à 32 m2 par personne en France, il faudrait construire plus de 130 000 m2 à Murat, soit 1 900 logements de 70 m2 ou bien encore près de 40 immeubles de 8 étages pour assurer cette transition néo-rurale.

    Certains espaces de montagne verraient tripler leur population résidente, c’est le cas globalement des Pyrénées, ou dans une moindre mesure du Massif central. Les Alpes, en revanche, n’enregistreraient qu’une faible hausse de 15 % et le Jura resterait stable puisqu’il pèse, en 2017, un poids équivalent à celui de 1876.
    Des villes pas forcément moins denses

    À l’inverse, certaines villes apparaissent proportionnellement moins peuplées en 2017 qu’en 1876. La capitale française, par exemple, devrait accroître sa population de 54 % et atteindre ainsi les 3,3 millions d’habitants pour retrouver son poids dans la population française.

    En 1876, 5,2 % de celle-ci vivait à Paris pour 3,2 % aujourd’hui. Bordeaux devrait voir sa population progresser de près de 50 % et dépasser les 370 000 habitants. Lyon, Lille et Saint-Étienne enregistreraient des hausses démographiques de 15 à 30 %.

    Outre ces quelques exceptions, l’ensemble des villes françaises devraient globalement se dépeupler et se dédensifier. Les villes moyennes, qui ont enregistré les plus fortes progressions de population au cours des deux derniers siècles, pourraient donc subir aussi ces mouvements d’exode urbain. Si l’on se fonde sur la géographie du XIXe siècle, Romans-sur-Isère ou Albi perdraient plus de 10 000 habitants et Colmar plus de 30 000.
    Le risque d’une gentrification rurale

    À partir de ce scénario rétro-prospectif, il est possible de discuter des conséquences des aspirations ou des appels à la dé-densification massive des villes. Pour dédensifier sérieusement les villes, il faut songer à urbaniser les campagnes, artificialiser de nombreux espaces fragiles et protégés.

    Pour garantir un accès à l’emploi, à la santé, à l’éducation dans un modèle d’habitat dispersé, il faut prévoir de développer les réseaux numériques, énergétiques, routiers afin d’assurer la connexion de ces espaces. Les déplacements motorisés augmenteraient, les prix dans ces espaces nouvellement convoités sans doute aussi, provoquant une forme de gentrification rurale, qui peut déjà s’exprimer dans les campagnes les plus attractives. Le corollaire de ce déménagement territorial pourrait même se traduire finalement par un nouvel engouement pour les villes.

    Finalement, cette projection nous montre surtout à quel point ville et campagne sont profondément reliées et constituent en réalité les deux facettes d’un même modèle territorial. Si en ces temps anxiogènes, la ville repoussoir trouve son pendant dans la campagne refuge, cela ne remet pas en cause la nécessité de travailler à l’amélioration des interactions spatiales, plutôt que d’appeler à soutenir de nouvelles fractures.
    Au-delà de l’opposition entre ville et campagne

    Le rapport affectif que les Français entretiennent avec le monde rural est un ciment important pour la cohésion territoriale. L’attractivité retrouvée de certaines campagnes depuis 20 ans, n’a jusque-là pas remis en cause la dynamique urbaine dont nous avons aussi besoin.

    L’urbanisation a bien sûr ses limites, mais il me semble que les enjeux pour l’action ne sont pas tant liés à la densité des villes, qu’à la qualité des espaces. Cela passe par une déminéralisation des espaces pour redonner une place à la nature, favoriser la biodiversité, réduire les îlots de chaleur.

    Il y a également un enjeu très fort autour de la reconnexion des espaces fonctionnels de vie, de travail, de loisir pour réduire les mobilités et accroître le bien-être des populations. Sur ce dernier point, les villes moyennes ont une opportunité à saisir en offrant dans la proximité à la fois des ressources résidentielles, productives et récréatives.

    Dans tous les cas, les approches clivantes de l’espace, opposant ville et campagne, #centre et #périphérie, ne nous font avancer. Au contraire, s’il doit y avoir un nouveau modèle de résilience à l’issue de la crise, c’est sur l’exceptionnel maillage de l’#espace_géographique de la France et sur le couple ville-campagne hérité de notre histoire, qu’il doit se construire.

    https://theconversation.com/tous-au-vert-scenario-retro-prospectif-dun-exode-urbain-137800
    #néo-ruralité #géographie #cartographie #visualisation

  • Danas prijem prvih migranata u novi kamp Lipa

    Iako je Gradsko vijeće #Bihać prihvatilo Lipu kao novu lokaciju za smještaj migranata još u studenom prošle godine, vlasti u Bosni i Hercegovini su svoju suglasnost dale tek nakon proglašenja pandemije koronavirusa u BiH, kako bi se sa ulica krajiških gradova izmjestilo nekoliko tisuća migranata.

    Iako je prvo izmještanje migranata najavljeno još u ožujku, ipak do toga nije došlo. Prema zvaničnim najavama, danas se očekuje prijem prvih migranata u novi kamp Lipa, tako da se intenzivno radi na osposobljavanju kampa. Na ovoj lokaciji je postavljeno 50 šatora u koje bi trebalo biti smješteno 1000 migranata.

    ŠUHRET FAZLIĆ, gradonačelnik Bihaća

    “Odvija se projekat koji je sigurno na prostoru Balkana možda najveći građevinski poduhvat. Ko nije bio gore ne može znati šta se dešava. Gore je milionska investicij. Prije 15 dana gore je bila samo livada, sada gore se stvaraju kapaciteti za smještaj skoro 1000 migranata”, rekao je Fazlić.

    S obzirom na to da vlasti ne žele da se ponovi slika sa Vučjaka, otvaranje kampa Lipa kasni. Riješeno je pitanje struje, vode i odvodnje, još se čeka zeleno svjetlo od zdravstvenog sektora.

    Iz kantonalnog Zavoda za javno zdravstvo ističu da svaki dan dobijaju izvještaje od DRC-a i IOM-a o zdravstvenom stanju migranata koji se nalaze u prihvatnim centrima. Na ulazu u Lipu će se raditi trijaža migranata, a bit će osposobljen i karantin.

    Epidemiolog ZARINA MULABDIĆ, direktorica Zavoda za javno zdravstvo

    “Zadovoljni smo sa onim zatečenim gore. Samo treba da se još to do kraja provede, nešto u vezi infrastrukture što se treba nadopuniti. To će biti jedno sjajno rješenje, ni nalik na Vučjak, na koji sam ja dala negativno mišljenje kao epidemiolog”, kazala je Mulabdić.

    Lipa je prvenstveno namijenjena za prihvat migranata koji se nalaze na ulicama Bihaća i nemaju osnovne uvjete za život dostojan čovjeka.

    MUSTAFA RUŽNIĆ, premijer USK

    “Kapacitet je za sada 1000 migranata. Vidjet ćemo kako će se razvijati situacija. Vidjeli ste, to je jedan mali grad po svim standardima”, istakao je Ružnić.

    Еpidemiolog ZARINA MULABDIĆ, direktorica Zavoda za javno zdravstvo

    Cilj nam je da ovo što nam je na ulici stavimo na Lipu tako da imamo nadzor, dodala je Mulabdić.

    Iz Ministarstva unutrašnjih poslova Unsko-sanskog kantona kažu da su spremni za izmještanje migranata, kako onih s ulica Bihaća, tako i onih koji privremeni krov nad glavom nalaze u napuštenim objektima.

    NERMIN KLjAJIĆ, ministar unutrašnjih poslova USK

    “Na taj način ćemo ispoštovati odluku Vijeća ministara o apsolutnoj zabrani kretanja. Smatram da se nekih 400 do 500 migranata u ovoj sedmici može premjestiti gore na tu lokaciju, objasnio je Kljajić.

    Građani Bihaća su u samoizolaciji dok migranti čekajući svoje premještanje slobodno šetaju gradskim ulicama. Bez osnovnih higijenskih i zdravstvenih uvjeta, otvorena su prijetnja za širene pandemije koronavirusa.

    https://bhrt.ba/1134278/danas-prijem-prvih-migranata-u-novi-kamp-lipa

    #Bosnie #asile #migrations #réfugiés #camps #route_des_Balkans #Balkans

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    Commentaire via la mailing-list Inicijativa Dobrodosli, mail du 29.04.2020:

    Most of the funds used to finance the construction were awarded by the EU, while the camp will be run by the #IOM and the #DRC. The camp is situated 22km from the city of Bihać, without a connecting road, which would mean it is, in essence, isolated peripheral accommodation. In addition, there is no wastewater infrastructure, which in time will certainly begin to create certain problems for people living there.

    For a long while, BH has not been a good place for refugees and other migrants – as confirmed by this week’s news about the protest in #Bira (https://www.facebook.com/groups/144469886266984/permalink/548667525847216) and the letter signed by 70 persons from #Miral (https://www.facebook.com/transbalkanskasolidarnost/photos/a.121803256103331/130375228579467/?type=3&theater). These are reactions of people on the move to the hardships they have to suffer every day, and which are becoming unbearable. Meanwhile, police violence on the borders is not ceasing, continuing with equal levels of brutality and injustice (reprezent.ba/video-zivot-na-divlje-u-divljim-kampovima-velike-kladuse).

    #Danish_Refugee_Council #OIM #violences_policières #violence #isolement #périphérie #hébergement

  • Espaço e Economia: Revista Brasileira de Geografia Econômica dedica esta edição especial à primeira parte do Dossiê Coronavírus.

    A geopolítica do COVID-19 [Texto integral]
    La #géopolitique du COVID-19
    The geopolitics of COVID-19
    La geopolítica de COVID-19

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    Denis Castilho
    Um vírus com DNA da globalização: o espectro da perversidade [Texto integral]
    Un virus avec le DNA de la #mondialisation : le spectre de la perversité
    Un virus con ADN de la globalización: el espectro de la perversidad
    A virus with DNA from globalization: or the specter of perversity
    #globalisation

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    Roberto Montemerli
    Os desafios da Itália na emergência do coronavírus [Texto integral]
    Os desafios da Itália na emergência do Coronavírus
    Il sfide il Italia in emergenza di coronavirus
    Los desafíos de Italia en la emergencia del coronavirus
    Italy’s challenges in the emergence of the Coronavirus
    Les défis italiens face à l’émérgence de la Covid-19
    #Italie

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    Miriam Hermi Zaar e Manuel-Blas García Ávila
    El Covid-19 en España y sus primeras consecuencias [Texto integral]
    O Covid-19 na Espanha e suas primeiras consequências
    La Covid-19 en Espagne: premiers conséquences
    The Covid-19 in Spain and its first consequences

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    Maricarmen Tapia e Jerónimo Bouza.
    Lo que la pandemia deja al descubierto. El COVID-19 en España [Texto integral]
    Lo que la pandemia deja al descubierto. El COVID-19 en España
    O que a pandemia revela. El COVID-19 na Espanha.
    What the pandemic reveals. The COVID-19 in Spain.
    Révélations de la pandémie. La #Covid-19 en #Espagne

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    Lucas Pacheco Campos e Tuíla Lins
    Pandemia à Portuguesa: um relato sobre o Covid-19 em Portugal [Texto integral]
    Pandémie à portugaise: témoignage sur le Covid-19
    Pandemia à portuguesa: un informe sobre Covid-19 en Portugal
    Portuguese Pandemic: an account of Covid-19 in #Portugal

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    Gaudêncio Frigotto
    Empresários mais ricos do Brasil: a ignorância, o cinismo e a ganância que matam [Texto integral]
    Empresários mais ricos do Brasil: a ignorância, o cinismo e a ganância que matam
    Los empresarios más ricos de Brasil: ignorancia, el cinismo y la avaricia que matan
    Les entrepreneurs les plus riches du #Brésil : l’#ignorance, le #cynisme et l’#avidité qui tuent
    Richest businessmen in Brazil: ignorance, cynicism and greed that kill.

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    Jorge Luiz Barbosa
    Por uma quarentena de direitos para as favelas e as periferias! [Texto integral]
    Pour une #quarantaine de droits pour les #bidonvilles et les #périphéries !
    ¡Por una cuarentena de derechos para los barrios bajos y las periferias!
    For a quarantine of rights for the slums and the peripheries!

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    Oséias Teixeira da Silva
    O salto ainda mais mortal que o da mercadoria e a pandemia do coronavírus. [Texto integral]
    El salto aún más mortal que el de la mercancía y la pandemia de coronavirus.
    Le saut encore plus mortel que celui de la marchandise et la pandémie de la Covid-19
    The leap even more deadly than that of merchandise and the coronavirus pandemic

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    Heitor Soares de Farias
    O avanço da Covid-19 e o isolamento social como estratégia para redução da vulnerabilidade [Texto integral]
    O avanço da Covid-19 e o isolamento social como estratégia para redução da vulnerabilidade
    L’avancement du Covid-19 et l’#isolement_social en tant que stratégie pour la réduction de la #vulnérabilité
    El avance de Covid-19 y el aislamiento social como estrategia para reducir la vulnerabilidad.
    The advancement of Covid-19 and social isolation as a strategy to reduce vulnerability

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    Cláudio Luiz Zanotelli e Ednelson Mariano Dota
    A questão da desigualdade territorial municipal no Espírito Santo face à pandemia do coronavirus e a importância da existência de um Estado de bem estar social em defesa da sociedade. [Texto integral]
    La question de l’#inégalité_territoriale des communes de l’état de l’#Espírito_Santo au Brésil face à la pandémie de coronavirus et l’importance d’un État social en défense de la société.
    The issue of municipal territorial inequality in Espírito Santo in the face of the coronavírus pandemic and the importance of the existence of a welfare state in defense of society
    La cuestión de la desigualdad territorial municipal en Espírito Santo frente a la pandemia de coronavirus y la importancia de la existencia de un Estado de bienestar en defensa de la sociedad.

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    José Borzacchiello da Silva e Alexsandra Maria Vieira Muniz
    Pandemia do Coronavírus no Brasil: Impactos no Território Cearense [Texto integral]
    Conoravirus Pandemic in Brazil: Impacts in the Territory of Ceará
    Pandémie de Coronavirus au #Brésil : Répercussions chez le #Territoire_de_Ceará
    Pandemia de coronavirus en Brasil: impactos en el territorio Cearense

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    Eveline Algebaile e Floriano José Godinho de Oliveira
    A superação do capitalismo em questão: com que prática, em qual direção? [Texto integral]
    A superação do capitalismo em questão: com que prática, em qual direção?
    La superación del capitalismo en cuestión: ¿con qué prácticas, en qué dirección?
    Le dépassement du #capitalisme en question : avec quelles pratiques, et dans quelle direction ?
    Overcoming capitalism in question: with which practices, in which direction?


    https://journals.openedition.org/espacoeconomia/10071

    Il y a des revues qui sont rapides...

    #coronavirus #revue #covid-19

    ping @fil @simplicissimus

  • Exils - Le Monolecte
    https://blog.monolecte.fr/2020/02/02/exils

    Plus prosaïquement, lorsque tout le monde trouve parfaitement normal de réclamer l’équivalent d’un salaire minimum pour loger dans un deux-trois pièces exigu et pas forcément très bien placé, c’est le moment où je me dis qu’il y a quelque chose de bien pourri dans les soi-disant choix résidentiels dans ce pays.

    #logement #territoires #exclusion #politique #métropolisation

    • Bref, ce qui est particulièrement bien caché aux sociologues de centre-ville, c’est l’ampleur des #inégalités (il est vrai que le problème se généralise) et surtout la perte de « chances » dans tous les domaines, suite à la disparition des #services_publics (partagé aussi par les banlieues populaires).
      À cela s’ajoute l’éloignement qui augmente (disparition des transports périphériques, routes à 80 km/h, villes saturées et chères) qui interdit de fait toute ascension sociale (alors que le pauvre de #banlieue peut encore accéder aux services et aux salaires de centre-ville).

      #pauvreté #périphérie

    • Il semblerait que ce ne soit pas seulement un fantasme de bouseuse :

      Push – Chassés des villes

      Les grandes métropoles deviennent peu à peu le territoire exclusif des riches. Dans le sillage de Leilani Farha, rapporteuse spéciale de l’ONU sur le logement convenable, une enquête sur un phénomène mondial qui s’amplifie.

      De Londres à New York en passant par Berlin, Valparaíso ou Uppsala, de plus en plus d’habitants des grandes villes, locataires à faibles revenus ou petits commerçants, voient leur loyer flamber ou leurs baux résiliés. En cause, la gentrification galopante qui transforme en un tour de main des quartiers défavorisés en enclaves embourgeoisées, mais aussi – et surtout – la prédation des grands investisseurs. Rasant des immeubles vétustes, ces derniers font sortir de terre des ensembles de standing, que les anciens occupants n’ont plus les moyens d’habiter, tandis que ces opérations immobilières assurent à leurs promoteurs de juteux retours sur investissement.

      425 %
      Rapporteuse spéciale des Nations unies sur le logement convenable, Leilani Farha, que le cinéaste suédois Fredrik Gertten a suivie pour ce film, parcourt la planète afin d’enquêter – et d’alerter – sur cette crise à bas bruit qui met à mal le droit au logement. Cette avocate de formation, originaire d’Ottawa, souligne par exemple qu’en trente ans, dans le grand Toronto, les prix de l’immobilier ont grimpé de 425 % en moyenne, tandis que le revenu familial moyen n’a augmenté que de 133 %. Ce phénomène mondial, loin de connaître une pause, s’amplifie. Étayée aussi par les analyses de la sociologue Saskia Sassen, du prix Nobel d’économie Joseph Stiglitz et du romancier italien Roberto Saviano, une enquête alarmante sur la manière dont le système financier alimente l’explosion des loyers, responsable de l’expulsion de citadins modestes des grands centres urbains.

      Documentaire suédois de Fredrik Gertten de 90 min disponible du 03/02/2020 au 03/05/2020 sur Arte → https://www.arte.tv/fr/videos/084759-000-A/push-chasses-des-villes

      #gentrification #ville #urbain #film #vidéo #vod #documentaire

  • Nature et forme des mobilisations protestataires dans les régions périphériques du Liban : quelles enquêtes, quelles ressources ?
    Liban : même à Nabatieh, le mouvement de colère n’épargne pas le Hezbollah | Middle East Eye édition française
    https://www.middleeasteye.net/fr/reportages/liban-meme-nabatieh-le-mouvement-de-colere-nepargne-pas-le-hezbollah

    J’ai lu peu de reportages intéressants sur les mobilisations dans les villes des régions libanaises périphériques. Celui-ci, qui date de lundi matin, enregistre à la fois la baisse (en partie forcée) de la mobilisation à Nabatiyé tout en citant plusieurs témoignages de frustration et de rancœur dans la population locale.

    Le Hezbollah critiqué par la base chiite
    À Nabatieh, ils ne sont plus qu’une grosse centaine de manifestants à se rassembler devant le Sérail (siège du gouvernement) de la ville chaque après-midi. Les premiers jours de la contestation, ils étaient des milliers dans les rues, après avoir coupé le centre-ville de Nabatieh. 

    « Nous vivons dans la pauvreté avec six heures d’électricité par jour, alors que certains membres des partis paradent dans de belles voitures avec chauffeurs ou envoient leurs enfants faire des études à l’étranger »

    – Hussein, 50 ans

    « Un certain nombre d’électeurs du Hezbollah, qui portaient des revendications sociales depuis 2006, les ont pour la première fois exprimées publiquement, encouragés par un mouvement similaire dans tout le Liban. L’alliance électorale du Hezbollah avec l’autre parti chiite Amal a terni son image de probité », explique Chiara Calabrese, une spécialiste du Hezbollah, chercheuse à l’École des hautes études en sciences sociales (EHESS). Amal est en effet notoirement corrompu.

    Présent près du Sérail, un manifestant ne dit pas autre chose. « Toute notre famille a voté pour Amal et le Hezbollah aux dernières élections législatives. Ils m’avaient dit qu’ils feraient tout pour trouver un emploi pour mon fils, mais n’ont rien fait », affirme Hussein, 50 ans. 

    « Nous vivons dans la pauvreté avec six heures d’électricité par jour, alors que certains membres des partis paradent dans de belles voitures avec chauffeurs ou envoient leurs enfants faire des études à l’étranger. La direction du Hezbollah ne fait rien pour les rappeler à l’ordre. » 

    Une nouvelle génération 
    On retrouve aussi les mêmes griefs chez des plus jeunes chiites qui ne sont pas nécessairement des électeurs du Hezbollah. Ils se plaignent de ne pas être pris en considération. 

    « Ils n’aident que leurs militants à trouver un emploi via des wasta [piston], mais je cherche désespérément du travail, et personne ne m’a jamais donné un coup de main », râle Hussein, 21 ans, qui ne s’est pas déplacé aux élections législatives de 2018. Le jeune homme, qui fume la chicha, a effectué des études d’hôtellerie, mais « reste toute la journée à la maison ». 

    « Il existe toute une nouvelle génération de chiites nés entre 1995 et 2000 qui n’ont pas connu la libération du sud du Liban par Israël, ou qui étaient trop jeunes pour voir de leurs yeux les sacrifices du Hezbollah lors de la guerre de 2006 contre Israël », explique Aurélie Daher. 

    « Ils ne voient plus seulement un parti qui les protège d’Israël, mais attendent aussi de lui des services clientélistes, comme avec les autres partis confessionnels libanais. En conséquence, ils sont plus critiques. » 

    Le Hezbollah sonne la fin du mouvement dans le sud
    La mobilisation actuelle à Nabatieh n’est plus que l’ombre d’elle-même. Depuis quatre jours, la police municipale de la ville, sous la coupe du Hezbollah, a contraint les manifestants à dégager les voies d’accès principales.

    Elle a tabassé des dizaines de manifestants dont une quinzaine ont été blessés. « Trois membres du conseil municipal ont démissionné pour protester contre ces violences, mais depuis, les gens ont peur de venir manifester », souffle un homme dans une rue à l’écart de la foule. 

    « On est obligés de suivre les ordres du Hezbollah et d’Amal ici, on n’est pas libres de s’exprimer. »

    « Une partie des manifestants s’est détournée du mouvement après quelques jours, estimant que dans le reste du pays, elles étaient politisées, et récupérées par d’autres partis chrétiens libanais comme les Forces Libanaises [dont les ministres sont les seuls à avoir démissionné du gouvernement] », note Chiara Calabrese. 

    « De nombreuses rumeurs sur les réseaux sociaux ont également circulé sur une planification supposée des manifestations par les Israéliens », ajoute la spécialiste.

    Aussitôt après le discours de Nasrallah, des dizaines d’hommes en mobylettes dévalent en trombe dans l’artère principale de Nabatieh, brandissant haut et fort le drapeau jaune de la milice chiite dans un concert de klaxons.

    Séparés des motocyclettes par un cordon de soldats libanais, les manifestants ont pris soin d’étaler sur la route jouxtant le Sérail un large drapeau israélien et américain, que les voitures écrasent sur leur passage. 

    « Nous manifestons contre la corruption, mais nous n’oublions pas qu’Israël est notre principal ennemi et que c’est le Hezbollah qui nous a toujours protégés », rappelle une manifestante.

    Les aînés n’oublient pas que la milice chiite a libéré le sud du Liban d’Israël en 2000 et a défendu la ville contre les chars israéliens lors de la guerre de 2006, au prix du sang.

    Samir, un vendeur de vêtements de 26 ans, pourtant un irréductible des manifestations, pense désormais « rentrer à la maison ». 

    « Nasrallah a dit que ce mouvement pouvait être dangereux, et nous savons que le Sayyed [titre donné à Hassan Nasrallah] ne ment jamais. » 

    « À chaque fois que Hassan Nasrallah donne des consignes, elles sont toujours respectées sur le terrain. Il sait jouer de son aura auprès de sa communauté », assure Aurélie Daher.

    Des dizaines de personnes continuent pourtant chaque jour de rester au Sérail, pour la plupart des militants de gauche libanaise, essayant encore d’y croire, agitant leurs drapeaux à l’emblème du Cèdre, entonnant des chansons. 

    « C’était la première fois qu’il existait une révolution décentralisée dans le pays depuis 1944. Ce serait tellement triste que la mobilisation tourne au vinaigre », lâche l’un d’eux, amer.

    Alors que nous sommes saturés d’images et de reportages sur le centre-ville de Beyrouth, où effectivement la ferveur est très forte et où se donnent à voir les capacités militantes de nombreux groupes qui ont émergé ces dernières années, je suis à la recherche de toute analyse qui mettrait en évidence l’activité de tels réseaux militants, et non pas seulement les plaintes individuelles des habitants, ou les raves parties, aussi intéressantes que puissent être ces fêtes dans des villes conservatrices comme Tripoli. Je ne parle pas seulement de Nabatiyé et Sour, où l’implantation de ces réseaux est certainement plus difficile qu’ailleurs, mais aussi à Tripoli (voir néanmoins cet article de Laure Stéphan : https://www.lemonde.fr/international/article/2019/10/29/liban-tripoli-retrouve-sa-fierte-dans-la-contestation_6017306_3210.html), Zgharta, ou même Zahlé, complètement absente et où les blocages ont été d’après mes informations organisé essentiellement par les Forces libanaises. Je sais qu’à Saïda le groupe Lil Madina est actif et mène des actions comparables à ce que font Beirut Madinati ou Nahnoo, même si je n’ai rien lu sur cela ces jours ci. Mais ailleurs, comment s’est structuré le mouvement de protestation ?

    #Liban #protestations #périphéries #militants.

  • Is this the world map of the future?

    North America and Europe peripheral on China’s ’vertical world map’

    https://bigthink.com/strange-maps/future-world-map


    https://assets.rebelmouse.io/eyJhbGciOiJIUzI1NiIsInR5cCI6IkpXVCJ9.eyJpbWFnZSI6Imh0dHBzOi8vYXNzZXRzLnJibC5tcy8yMDU1Nzg1Ni85ODB4LmpwZyIsImV4cGlyZXNfYXQiOjE1Njc1OTE4NTR9.4_JJEoDogg88bjfk9MC4kRrlZoxfhzsVSNCdpTtbvwY/img.jpg

    Europe has dominated cartography for so long that its central place on the world map seems normal
    However, as the economic centre of gravity shifts east and the climate warms up, tomorrow’s map may be very different
    Focusing on both China and Arctic shipping lanes, this vertical representation could be the world map of the future

    #cartographie #visualisation #projection #centre_du_monde #contralité #périphérie #vision #visions_nationales

  • Revenus. Les quatre visages de la Bretagne - Richesse et fiscalité en Bretagne - LeTelegramme.fr
    https://www.letelegramme.fr/dossiers/richesse-et-fiscalite-en-bretagne/richesse-et-fiscalite-les-quatre-visages-de-la-bretagne-23-08-2019-1236

    (les cartes, à l’exception de la première, sont restées derrière le #paywall, on en entrevoit 2 des 3 autres sur l’illustration de l’article)

    Les retraités aisés le long des côtes, les actifs rassemblés autour des bassins d’emplois et un Centre-Bretagne en déclin, c’est ce que soulignent les déclarations de revenus faites en 2018 par les ménages bretons.

    Les retraités aisés vivent sur le littoral
    Le succès des côtes bretonnes ne se dément pas. Pour couler une retraite paisible au bord de la mer, de nombreux anciens actifs ont choisi les communes du littoral, où la part des pensions dans le revenu total est plus importante que la moyenne. De Cancale (35) à Crozon (29), et de Loctudy (29) au Golfe du Morbihan (56), les petites villes et villages peuplés en grande partie de retraités dessinent une frange côtière presque continue, surtout au sud de la Bretagne.
    Les chiffres sont particulièrement significatifs dans le Golfe du Morbihan et la Côte d’Émeraude. Dans les communes qui bordent le golfe, la part des retraites dans le revenu total dépasse les 60 % et grimpe même à 71 % à Arzon, à 70 % à Saint-Gildas-de-Rhuys et à Damgan, à laquelle s’ajoute un revenu annuel moyen par foyer fiscal plus élevé que la moyenne (au-delà de 30 000 euros). Dans certaines communes près de Dinard (22), cette part dépasse aussi les 60 %, comme à Saint-Jacut-de-la-Mer (64 %) et Saint-Cast-le-Guildo (63 %). Les principales zones touristiques de Bretagne sont donc aussi celles où la richesse est élevée et où les retraités aisés sont les plus nombreux.

    Les classes moyennes supérieures s’installent autour des grandes villes
    C’est la carte des bassins d’emploi bretons, ceux de Rennes, Brest, Saint-Brieuc, Quimper, Lorient et Vannes. Les communes autour de ces villes drainent une majorité d’actifs aux revenus plus élevés que la moyenne, ceux qui ont choisi de travailler dans les centres urbains et de vivre dans les communes périphériques, attirés par des offres immobilières et un cadre de vie correspondant à leurs attentes.
    Par exemple, dans le bassin d’emploi brestois, la commune de Locmaria-Plouzané se démarque avec 70 % du revenu total assurés par les actifs et un revenu moyen par foyer fiscal atteignant 39 000 euros, le plus important de la zone. À Saint-Thonan, situé entre Brest et Landerneau, la part des salaires atteint 81 %, avec un revenu moyen de 32 000 euros. Dans la région lorientaise, le revenu moyen s’élève à 31 000 euros à Kervignac, où 73 % du revenu global sont assurés par les salaires. Les chiffres sont à peu près semblables dans les autres bassins d’emploi bretons, à l’exception de Rennes, où les revenus sont plus élevés. À Saint-Grégoire, il grimpe ainsi à 46 000 euros.

    Les travailleurs modestes contraints à l’éloignement
    C’est le deuxième cercle périurbain, avec des communes plus éloignées des bassins d’emploi, moins densément peuplées et absentes de la frange littorale. La part des salaires dans le revenu global est au moins supérieure à 60 %, mais le revenu moyen par foyer fiscal est moins important que dans les communes en périphérie des grandes villes. Autre constat, ces communes se situent pour une grande partie le long des deux principaux axes routiers bretons, la RN12 au nord et la RN165 au sud, garantissant aux actifs un accès relativement rapide aux bassins d’emploi.
    Parmi ces communes modestes, où les actifs pèsent plus que les retraités, figurent également quelques-unes des villes importantes de la région, comme Brest, Quimper, Lorient et Saint-Brieuc. À Brest, la part des salaires dans le revenu global s’élève à 68 %, avec un revenu moyen de 22 000 euros seulement, le plus faible de son bassin d’emploi. Tout comme à Saint-Brieuc, où la part des salaires est encore moins importante (61 %). Les richesses créées par les actifs ont quitté les centres, où la paupérisation de certains quartiers s’accentue.

    Les retraités modestes concentrés dans le Centre-Bretagne
    Population vieillissante, faible activité économique et enclavement, c’est le portrait d’une Bretagne en retrait. Les communes mises en évidence dans cette carte, au revenu moyen inférieur à 20 000 euros et à la part des retraites souvent supérieure à 50 %, montrent un Centre-Bretagne éloigné des bassins d’emploi et des principaux axes routiers, malgré la RN164 qui coupe cette zone en deux. D’autres territoires en difficulté apparaissent, notamment le Cap Sizun (29), l’intérieur du Trégor (22), le nord de l’Ille-et-Vilaine (35) et certaines îles (Ouessant, Molène, Groix).

    À l’exception de la périphérie carhaisienne et de quelques poches d’activité à Loudéac (22), Ploërmel (56) et Pontivy (56) notamment, tout le Centre-Bretagne est composé de communes modestes et peu actives. À Plouray par exemple, bourg d’à peine plus de 1 000 habitants dans le Morbihan, la part des retraites dans le revenu global atteint 52 % et le revenu annuel moyen s’établit à 18 000 euros. À Lanrivain, au cœur des Côtes-d’Armor, la part des retraites est plus élevée (53 %) et le revenu plus faible encore (17 000 euros).

    Méthodologie Pour établir ces quatre cartes, nous avons traité les données départementales et communales de l’impôt sur le revenu, mises à jour et disponibles sur le site du ministère des Finances. Nous avons choisi de retenir les revenus déclarés (revenus d’activité et pensions de retraite), et de les corréler au revenu moyen par foyer, qui s’établit à 24 500 euros en Bretagne. Nous avons relevé le seuil de la part des retraites dans le revenu global à 40 % pour plus de représentativité, sachant que la moyenne bretonne est de 35,8 %. Nous avons choisi de restreindre notre étude de ces données à la Bretagne administrative, sans prendre en compte la Loire-Atlantique, malgré l’influence de l’agglomération nantaise sur l’économie et la géographie bretonne.

  • La #banlieue, un projet social. Ambitions d’une #politique_urbaine, 1945-1975

    La France, au sortir de la Seconde Guerre mondiale, connaît une crise du #logement sans précédent, dont l’appel de l’#abbé_Pierre en 1954 marque le paroxysme. Une action forte s’avère indispensable. C’est dans ce contexte que l’État français a entrepris, dès 1945, l’une des plus formidables expériences sociales et architecturales du XXe siècle : transformer un pays essentiellement rural en une nation urbaine résolument moderne – cela en bâtissant massivement, en #périphérie des villes historiques. Si ces environnements suburbains d’après-guerre, hérissés de #tours, de #barres et de #mégastructures, sont souvent perçus comme le résultat anarchique d’un désintérêt politique, #Kenny_Cupers démontre que leur construction a, au contraire, été guidée par de ferventes #ambitions et #aspirations, notamment au sein de l’Administration. Synthèse très documentée d’une vaste révolution urbaine, des #bidonvilles de l’après-guerre jusqu’aux #villes_nouvelles, ce livre relate et analyse trois décennies d’#expérimentations au cœur desquelles était placé l’#habitat, nouvel enjeu du #modernisme, et établit une véritable généalogie de la banlieue française. Cette histoire détaillée des #projets_urbains de grande envergure menés par la France d’alors – et qui se sont révélés être une #spécificité_nationale – met au jour toute la complexité théorique, sociologique, administrative, etc., qui sous-tend la réalisation de ce « #projet_social ». Cet ouvrage, servi par une iconographie riche et évocatrice, s’appuie en outre sur de précieuses archives de première main.


    https://www.editionsparentheses.com/La-banlieue-un-projet-social
    #urban_matter #livre #histoire #France #géographie_urbaine

    • « l’État français a entrepris, dès 1945, l’une des plus formidables expériences sociales et architecturales du XXe siècle : transformer un pays essentiellement rural en une nation urbaine résolument moderne »



      La France avait comme principal problème un manque de main d’oeuvre pour une industrie en manque de modernisation.
      Un baisse de la natalité, depuis plus d’un siècle, avec aggravation lors de la guerre précédente.

      Par ailleurs, 20 % des logements avaient été détruits par les bombardements.
      A Paris, 10 % de la population vivait à l’hôtel, en meublés.

      Cette modernisation de l’habitat avait aussi été une demande du CNR, comme celui du plein emploi.
      Ce plein emploi a donné ce qui est communément appelé les 30 glorieuses.

  • #Briançon, capitale des #escartons (1343-1789)

    Signée en 1343, la « #Grande_Charte_des_Libertés » entérinait l’#autonomie du territoire des Escartons, entre #Piémont et #Briançonnais. 675 ans avant que des militants n’y accueillent des migrants, ces vallées transalpines défendaient déjà une organisation basée sur l’#entraide et la #solidarité.

    https://www.franceculture.fr/emissions/la-fabrique-de-lhistoire/une-histoire-des-micro-etats-44-briancon-capitale-des-escartons-1343-1


    #Les_Escartons #histoire #Hautes-Alpes #république_des_Escartons #élevage #commerce #passage #alphabétisme #alpage #biens_communs #communaux #communauté #forêt #propriété_collective #corvées #entretien_du_territoire #solidarité #escarton #répartition_des_impôts #Italie #France #périphérie #Dauphiné #Royaume_de_France #liberté #impôts #monnaie #justice #Traité_d'Utrecht #frontières #ligne_de_partage_des_eaux #frontières_nationales #frontières_nationales #rencontre #nostalgie

    Anne-Marie Granet-Abisset, minute 30’35 :

    « 1713 est une date capitale pour le fonctionnement de l’Escarton, parce que c’est une décision liée à un traité qui est prise très loin, à Utrecht, et qui va décider de ce qui apparaît comme une zone de périphérie, une zone des marges, et donc, dans les négociations, la France ce qui lui paraît important, c’est la #vallée_de_Barcelonnette, et laisse au Duc de Savoie, ce qu’on va appelé les #vallées_cédées, c’est-à-dire l’escarton de Valcluse, Pragelato, l’#escarton_de_Château-Dauphin, et l’#escarton_de_Oulx. C’est le début de ce qui va être une évolution qui démarre au 18ème, mais qui va s’accentuer au 19ème, où la frontière va se marquer. ça va casser ce qui faisait la force d’un territoire qui fonctionnait de façon presque autonome, en tout cas qui fonctionnait dans une organisation, ce qui ne veut pas dire qu’ils s’aimaient tous, mais en tout cas ils s’entendaient tous pour défendre leurs intérêts. C’est aussi le moment où les militaires arrivent et vont redessiner la frontière : on partage, on dessine, on installe des fortifications en un temps où la frontière va se marquer. »

    Colette Colomban :

    "Puisqu’on va pour la première fois, en Europe, penser les frontières à partir de limites géographiques. Donc on va placer la frontière sur la ligne de partage des eaux, ce qui correspond à la volonté du #Pré_Carré_de_Vauban, c’est-à-dire, délimiter le territoire, les frontières de la France, de façon la plus régulière possible afin qu’elle soit plus facile à défendre et éviter ainsi des bouts de territoires qui s’enfoncent trop en territoire ennemi et beaucoup plus difficiles à défendre. On va du coup border des frontières à des cours d’eau, à des limites de partage des eaux. Les cols qui jusqu’alors étaient vraiment des passages, là deviennent des portes, des fermetures, des frontières. Mongenèvre se ferme à ce moment-là. Il faut imaginer que ça a été vraiment vécu comme un traumatisme, ce traité d’Utrecht, avec vraiment une #coupure de #liens familiaux, de liens amicaux, de liens commerciaux.

    Anne-Marie Granet-Abisset, minute 39’35 :

    Il y a une redécouverte des Escartons, parce que la charte est revenue dans la mairie de Briançon en 1985. Et dans ce cadre-là, les Escartons ont servi de légitimité pour refonder à la fois une #mémoire et une histoire qui a commencé d’abord du point de vue patrimonial, on a mis une association sur les anciens escartons, et puis maintenant, d’or en avant, les escartons sont même les noms de la recréation du Grand briançonnais qui reprend le Queyra, le Briançonnais, mais qui adhèrent des territoires qui ne faisaient pas partie de des anciens escartons. On est en train de reconstituer, en utilisant ce qui a été une avance sur l’histoire... on re-fabrique, on re-bricole une histoire en mettant en avant ce qui était la tradition, c’est-à-dire l’habitude d’#autonomie, la façon de s’auto-administrer, la volonté de garder la maîtrise du territoire, en même temps avec véritablement l’idée de fonctionner avec les vallées qui étaient les anciennes Vallées cédées. Donc les Escartons vont devenir un élément qui caractérise et qui redonne une #fierté à ces territoires considérés, pendant longtemps et notamment au 19ème, comme des territoires enclavés, comme des territoires arcaïques. Ces territoires ont souffert de cette vision qu’ils ont d’ailleurs totalement intégrée et qui fait que, les Escartons étaient un moyen de réaffirmer leur avance sur l’histoire. Leur avance sur l’histoire c’est le fait de constituer un territoire transfrontalier, qui fonctionne comme une région des Alpes à l’intérieur d’une Europe qui serait une Europe des régions"

    Gérard Fromm, 46’20 :

    "Ici on a été une zone de passage, beaucoup d’Italiens sont venus, ont passé le col de Mongenèvre et sont venus s’installer en France à une période où la vie était difficile en Italie. Donc il y a beaucoup de familles qui sont d’origine italienne. On est ici une zone de passage depuis longtemps. On est une zone de migration, donc, naturellement, on a retrouvé un certain nombre de choses. Les Italiens de l’autre côté, beaucoup parlent français, et puis il y a une culture qui est identique : regardez les églises, les clochers ont la même forme, les peintures murales dans les églises ont les mêmes origines. On a vraiment une continuité. Ces éléments-là font qu’aujourd’hui on a d’ailleurs une proximité avec nos amis italiens. On ne se rend pas compte, on est un peu au bout du monde pour les Français, sauf que leur bout du monde il est beaucoup plus loin... les Italiens c’est la porte à côté. Des Briançonnais vont à Turin, Turin c’est à une heure et quart d’ici. Aujourd’hui on a d’ailleurs une proximité avec nos amis italiens dans le cadre des programmes européens, mais aujourd’hui aussi par exemple avec les problèmes des migrants, ce sont des problèmes qu’on partage avec les communes de l’autre côté. On travaille en permanence avec les Italiens.

    Elsa Giraud, guide conférencière et historienne, 49’13 :

    « C’est le milieu dans lequel on vit, qui peut être un milieu hostile, qui est un milieu qui nécessite des connaissances, une habitude. Et si les Escartons sont nés et ont perduré pendant des siècles, c’est parce que nous sommes dans un territoire de passage, parce que nous sommes dans un territoire où on a des populations et des ressources différentes d’un côté et de l’autre. Donc il fallait des passages, des migrations saisonnières pour vivre dans ces montagnes qui ne vous nourrissent pas l’hiver, pour aller en plaine, pour échanger les produits d’un versant et de l’autre de la montagne. Et le point commun c’est ce besoin de se déplacer, de migrer. La géographie et le climat font qu’on est obligé de s’entraider et venir au secours de celui qui est en pleine montagne. Ici, si on ne connaît pas la montagne, en plein hiver on ne passe pas, on y reste. »

    #hostile_environment #environnement_hostile #entraide

    #tur_tur

    #ressources_pédagogiques