• Il corpo del Teatro, riflesso del reale
    https://resistenzeincirenaica.com/2024/04/20/il-corpo-del-teatro-riflesso-del-reale

    Opera MundiRigoletto Experientia Un #Film_Musicale di Paolo Fiore AngeliniCon #Raffaele_Abete, #Scilla_Cristiano, #Vladimir_Stoyanov Martedì 23 aprile 2024, ore 21, #CINEMA Jollyvia G. Marconi 14, BolognaAlla presenza del regista e del cast #Opera_Mundi prende spunto dalla messa in scena del Rigoletto di Giuseppe Verdi al Comunale di #Bologna per narrare la vita del... Continua a leggere

    #Annessioni_e_connessioni #Barbara_Francesca_Serofilli #Cristian_Poli #Lavinia_Turra #Paolo_Fiore_Angelini #Teatro_Comunale_di_Bologna


    https://1.gravatar.com/avatar/a58008e2faff908bf3bce3deda6cae65d83f56b910f14098523ef4fc18c7427a?s=96&d=

  • Il reste encore demain

    https://www.youtube.com/watch?v=GqaSLCDN7ZQ

    Mariée à Ivano, Delia, mère de trois enfants, vit à Rome dans la seconde moitié des années 40. La ville est alors partagée entre l’espoir né de la Libération et les difficultés matérielles engendrées par la guerre qui vient à peine de s’achever. Face à son mari autoritaire et violent, Delia ne trouve du réconfort qu’auprès de son amie Marisa avec qui elle partage des moments de légèreté et des confidences intimes. Leur routine morose prend fin au printemps, lorsque toute la famille en émoi s’apprête à célébrer les fiançailles imminentes de leur fille aînée, Marcella. Mais l’arrivée d’une lettre mystérieuse va tout bouleverser et pousser Delia à trouver le courage d’imaginer un avenir meilleur, et pas seulement pour elle-même.

    https://www.imdb.com/title/tt21800162/?ref_=fn_al_tt_1

    #film #patriarcat #violences_domestiques #Italie #Paola_Cortellesi

    • https://www.youtube.com/watch?v=GFoTT0cpzx4

      Racconta Stefano Massini:

      “L’uomo nel lampo” è un dialogo in musica. C’è un padre morto giovanissimo in un incidente sul lavoro, uno di quelli che funestano le nostre cronache, senza far notizia al punto tale che neppure destano più scandalo perché il lavoro è diventato un far west e i diritti sono un lusso. L’assuefazione alle cosiddette morti bianche è ormai un dato di fatto, e con questo brano di teatro-canzone tentiamo di sollevare il velo della narcosi. La canzone è un piccolo ritratto di vita, drammatica perchè cristallizza un dialogo impossibile: da quella fotografia appesa in salotto, il padre non smette mai di parlare al figlio, che nel frattempo cresce nella leggenda di quel papà “morto dentro un lampo”. È un nuovo capitolo della collaborazione che da anni mi lega a Paolo Jannacci, e che dal 2020 ci ha visti nei teatri di tutta Italia con le repliche di “Storie” del Piccolo Teatro di Milano. Questa collaborazione mi rende ancora più fiero dal momento che si inscrive nella scia di un impegno civile, quello sulle morti cosiddette “bianche”, che tante volte ho denunciato anche per ragioni familiari.

      Aggiunge Paolo Jannacci:

      “Riuscire a tutelare e tutelarsi nel mondo del lavoro ci sottrae dalla meschinità che spesso ci domina. “L’uomo nel lampo” è un piccolo contributo in chiave poetica, per non dimenticare chi è morto sul lavoro e per mantenersi sempre in guardia, perché ne va della nostra vita. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma spesso ce ne dimentichiamo. Altro non posso dire perché sono solo un saltimbanco… Ma si sa: i saltimbanchi, da sempre, raccontano amare verità”.

      –---

      Ehi, ehi Michè,
      Sono io Michè, questa voce lontana
      Dicono, sai la vita è strana
      Ma più che strana è proprio bastarda
      Ed io lo so perché mi riguarda

      Da quando il mio filo si è rotto
      Sono una foto appesa in salotto
      E in quella foto oltretutto...
      Ma dai Michè son così brutto:
      Occhi chiusi, viso scuro...
      Che se mi avessero detto giuro
      «Questa foto resterà di te»
      Accidenti Michè, mi sarei messo in posa
      1,2,3, flash, perfetto
      Sono io, sì,
      sono l’uomo di cui ti hanno detto
      Che un lampo mi portò via
      E di me non resta, che una fotografia

      C’era una volta un uomo che vide come un lampo
      sorrise e alzò le mani come per abbracciarlo
      L’uomo nel lampo che non è più tornato
      Lo videro in quel lampo e lì si è addormentato
      Proprio quel lampo che portò via mio padre
      e che da quel momento è musica nel vento

      Sai Michè,
      non è che sono solo in questo posto
      C’è più folla che a Rimini ad agosto
      Tutti come me finiti fuori pista
      Tutti fuori dalla lista
      Tutti con il marchio addosso di questo paradosso
      Che il lavoro porta sotto terra
      e l’operaio muore come in guerra

      Ma io Michè, io che ridevo anche dei guai
      io, che la battuta non mi mancava mai,
      Quando mi dicono: «la fabbrica è una miniera»
      Rispondo «No, piuttosto è una galera»
      Perché loro si fanno l’ora d’aria
      e pure noi, nel senso che saltiamo in aria
      E nelle fiamme di sei metri e via..
      Passi da uomo a fotografia.

      C’era una volta un uomo che vide come un lampo
      sorrise e alzò le mani come per fermarlo
      L’uomo nel lampo che non è più tornato
      Lo videro in quel lampo

      Questo lampo non ha odore ne colore
      Il lampo uccide ma senza far rumore
      Poi ti guardi ad uno specchio
      E lì vorresti perdonare

      E vabbè, basta dai...
      Da questa foto mi guardo intorno
      E non ho smesso un solo giorno
      in silenzio fotografato e muto di dirti:
      «Ciao Michè, sono il padre che non hai conosciuto»

      #accidents_de_travail #travail #mourir_au_travail #musique #chanson #musique_et_politique #Stefano_Massini #Paolo_Jannacci #morts_blanches

  • Un anno di osservazione sul CPR di Via Corelli, Milano

    Il report-denuncia di Naga e Rete Mai più Lager - No ai CPR

    «Al di là di quella porta. Un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano» è il titolo del report 1 realizzato dall’associazione Naga e della Rete Mai Più Lager – No ai CPR (di qui in avanti “Rete”).

    Il risultato di un monitoraggio multi livello 2 durato un anno che tuttavia, lascia l’impressione di aver giusto sbirciato “dal buco della serratura” di quel CPR.

    La diversità di fonti e metodi riflette infatti la difficoltà che si riscontra quando si vuole rompere il muro di oscurità che avvolge via Corelli e tutti gli altri centri d’Italia. La maggior parte delle informazioni raccolte sono infatti il frutto delle segnalazioni arrivate al centralino telefonico “SOS CPR Naga” o alle pagine social di Naga e Rete dai cellulari personali dei trattenuti.

    Un monitoraggio che solleva l’angosciante interrogativo su quanto accade negli altri Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) d’Italia.

    Il CPR di Milano infatti è l’unico, insieme a quello di Gradisca d’Isonzo, in cui, grazie a una sentenza sul ricorso ASGI del 20213, i trattenuti possono detenere i propri telefoni cellulari. Questa possibilità, a garanzia del diritto alla libera corrispondenza di fatto negata negli altri CPR, ha plausibilmente l’effetto di limitare gli abusi da parte di forze dell’”ordine” e operatorə del centro, consapevoli inoltre della presenza di associazioni e reti di solidali ben radicate sul territorio.

    Se le atrocità osservate a Milano sono il frutto di un relativo contegno che le autorità si impongono in Via Corelli, qual è invece la realtà quotidiana degli altri CPR, esclusi da un accorto e costante monitoraggio? Il titolo infatti rende perfettamente idea di quanto è nascosto agli occhi quando si cerca di osservare la totalità di una stanza dal piccolo spiraglio della serratura.
    “Accedere al CPR: una lunga storia”

    Naga accede regolarmente alle carceri ordinarie, mentre nei Centri di permanenza per i rimpatri la Prefettura nega l’autorizzazione in modo quasi sistematico e spesso senza neanche fornire una motivazione dettagliata. Eppure la possibilità di accesso è formalmente prevista dalla Direttiva Lamorgese e spesso viene fatta valere solo in seguito a un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. Non prima, dunque, di spendere tempo, energie e risorse per fare ricorso contro il diniego.

    “La battaglia per visitare il CPR è durata oltre un anno, ha visto impegnati due avvocati e una decina tra attiviste e attivisti. Istanze, memorie, accessi agli atti, un’ordinanza e una sentenza” 4. Tutta questa fatica per due ore di sopralluogo all’interno del centro, in cui la delegazione è stata accompagnata – o, per meglio dire, scortata – lungo tutto il tragitto.
    Gli accessi civici agli atti e i dati quantitativi del report

    Un intero capitolo del dossier è dedicato a dettagliare le richieste di accesso civico generalizzato agli atti 5 che hanno spesso ottenuto dinieghi, risposte glissate, parziali, contraddittorie 6, a volte nessuna risposta affatto. Dalle risposte ottenute il rapporto riesce a ricostruire qualche dato quantitativo.

    In un anno sono state deportate da via Corelli verso il paese d’origine 7 238 persone, ovvero il 44% dei trattenuti (dove la media nazionale si attesta tra il 49 e il 50%).

    “L’82% dei rimpatriati proviene dal nord Africa. Del resto, il 65% dei trattenimenti ha riguardato persone provenienti da Egitto, Marocco e Tunisia. I dati della Prefettura confermano che sono soprattutto tunisini a popolare il CPR.” (Naga, 2023, p.137)

    In assenza di dati ufficiali sui motivi di rilascio diversi dalla deportazione nel paese di origine, Naga e Rete riportano a tal proposito i dati in loro possesso. Dei 24 casi di rilasci ottenuti grazie all’assistenza legale Naga, la maggior parte erano motivati dalle condizioni di salute dei trattenuti.

    Secondo l’ATS (Agenzia di Tutela della Salute), dal 1°marzo 2022 al 28 marzo 2023 sono stati emessi 203 codici STP. (Naga, 2023, p.167).

    A tutti i trattenuti però dovrebbe essere assegnato un codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) al momento dell’ingresso. Considerando che il numero di trattenuti per lo stesso periodo è di 544, lo scarto è di ben 341 codici. Sul perché a questi individui non sia stato assegnato alcun codice STP non è dato avere spiegazione.

    Sul numero di trattenuti sottoposti a Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), l’ATS non ha fornito alcuna risposta. La Prefettura sostiene di non avere tale informazione e, anche avendola, non la comunicherebbe in quanto relativa a dati “sensibilissimi”. Invece il Comune di Milano, che sotto la firma del suo Sindaco Giuseppe Sala dispone i TSO, ha riferito che nel periodo di riferimento dell’istanza ci sono stati due TSO sullo stesso cittadino. Risulta poi che questi trattamenti si riferiscono a due distinti periodi di trattenimento in CPR: questo significa, ancora una volta, che nonostante i gravi problemi psichiatrici è stato dichiarato idoneo al trattenimento ed è finito poi per subire un ulteriore TSO.
    La visita d’idoneità

    Una visita medica deve accertare l’idoneità alla vita in comunità ristretta entro le 48h dall’ingresso della persona in un CPR. Secondo la normativa, la visita d’idoneità deve svolgersi all’esterno del Centro e dev’essere obiettiva. Secondo le raccomandazioni del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (di qui in avanti abbreviato “Garante Nazionale”), per essere obiettiva la visita dev’essere svolta da medici del Servizio Sanitario Pubblico in una struttura pubblica.

    Invece, sin dalla sua apertura e con l’eccezione di una sola breve parentesi, le visite di idoneità per l’ingresso nel CPR di Via Corelli sono state svolte sempre dagli stessi due medici. Non si tratta di dipendenti dell’ASL, ma di medici in libera professione vincitori di concorsi che sembrano istituiti ad-hoc per affidare loro le visite d’idoneità. Inoltre, nel primo anno di apertura del centro, questi due medici lavoravano anche privatamente per l’ente gestore dell’epoca, la R.T.I. Luna S.c.s. – Versoprobo S.c.s. (oggi a gestire il Centro di Via Corelli è Martinina S.r.l.) in evidente conflitto d’interesse.

    Alcuni trattenuti riferiscono di non essere mai stati visitati al di fuori del centro o di aver svolto la visita in Questura. Tutti ad ogni modo sono stati visitati in presenza di agenti di polizia e le visite consistono nella compilazione di un modulo a crocette, nella somministrazione di un test COVID, nella dichiarazione di assenza di sintomi da Tubercolosi, ma senza disponibilità di strumenti diagnostici né la previsione di esami di approfondimento. Dunque si è idonei solo se si è ritenuti approssimativamente e a vista d’occhio “sani”.

    “Nel periodo tra maggio 2022 e marzo 2023 sono pervenute al centralino SOS CPR del Naga diverse segnalazioni di problematiche sanitarie che potrebbero porre qualche dubbio sulle idoneità rilasciate. Ricordiamo almeno 4 casi di trattenuti affetti da epilessia, 8 con gravi problemi psichiatrici e psicologici, diverse decine di persone che praticavano autolesionismo, 9 portatori di malattie croniche, gravi o comunque difficilmente compatibili con le modalità di trattenimento (sempre che queste si possano considerare compatibili con qualsiasi essere umano)” – Naga, 2023 (p. 84)
    “Il battesimo d’ingresso”

    Una volta all’interno del CPR, i trattenuti sono sottoposti a una seconda “visita”, quella di presa in carico 8. I neo arrivati vengono portati in infermeria, denudati integralmente di fronte a medici e, anche qui, ad agenti di polizia e obbligati a fare flessioni per espellere eventuali oggetti nascosti nell’ano.

    “Un trattamento umiliante dalla dubbia utilità pratica, stigmatizzato in infinite occasioni dai tribunali perché riservato, per legge, ai soggetti più pericolosi solo in caso di estrema necessità. Questo trattamento viene risparmiato solo ai soggetti provenienti direttamente dal carcere, quindi “puliti” in ragione della loro provenienza. A volte neanche a loro.” – Naga, 2023 (p.26)

    Al termine di questa visita viene refertata una scheda medica di ingresso, senza data e con la sezione “anamnesi” quasi sempre barrata. Nessun accertamento dettagliato sulla salute psichica dei trattenuti, seppur previsto dall’offerta tecnica con la quale Martinina S.r.l. vince l’appalto.

    Finita questa umiliante prassi di sottomissione, i trattenuti vengono spogliati anche della loro stessa umanità e identità personale. Viene loro consegnato un cartellino identificativo con un codice numerico progressivo (arrivato il 28 luglio 2023 al numero 1566) che di lì in avanti sostituirà il loro nome nelle interazioni con il personale all’interno del centro.

    Uno spettro agghiacciante dei metodi nazisti, in cui la deumanizzazione degli internati era funzionale al loro soggiogamento e all’annientamento di ogni guizzo di resistenza attiva alle ingiustizie e violenze subite.
    La vita nei blocchi: squallore e “zombizzazione”

    Secondo il monitoraggio di Naga e Rete, nel CPR di Via Corelli risultano agibili solo due moduli abitativi – spesso definiti “blocchi” dai trattenuti – ciascuno per 28 persone.

    “Per ogni trattenuto il gestore percepisce, come da appalto, un compenso di 40,16 euro al giorno. A loro disposizione un “kit di ingresso” (per il quale il gestore percepisce un compenso a parte) miserrimo e un cambio di vestiti (biancheria intima compresa) già usati da altri, che nella maggioranza dei casi vengono rifiutati.” – Naga, 2023 (p. 26)

    Le squallide condizioni di vita all’interno dei CPR sono ormai largamente documentate. Le pagine social della Rete pubblicano quasi quotidianamente foto e video inviati dai trattenuti raffiguranti locali non idonei, sporcizia, degrado, sangue, violenze e sofferenza diffusa.

    Uno scenario post-apocalittico all’interno del quale gli avvocati e le avvocate Naga raccontano di una veloce degenerazione psicofisica dei loro clienti, che colloquio dopo colloquio, vedono progressivamente diventare come zombie.

    “Giovani sani e forti si trasformano in poche settimane in zombie scoloriti e disorientati dagli psicofarmaci, drogati di e per disperazione, o più semplicemente per mantenere l’ordine all’interno del centro senza alcun dispendio di forze, energie e personale: sedandoli” – Naga, 2023 (p.28)
    Mai più distante dalla realtà: il capitolato d’appalto di Martinina S.r.l. tra servizi non erogati e protocolli falsi

    Nel CPR di Milano, come negli altri CPR d’Italia, i trattenuti non hanno la possibilità di svolgere alcuna attività ricreativa. Eppure Martinina S.r.l. avrebbe ottenuto in gestione via Corelli – con un appalto di 1,2 milioni di euro! – sulla base delle “proposte migliorative” dell’offerta tecnica.

    Il rapporto di Naga e Rete documenta dettagliatamente come quanto formalmente previsto dal capitolato non corrisponde a un servizio effettivo e/o di qualità 9. Ma ancor più grave è quanto emerso dalla recente inchiesta di Luca Rondi e Lorenzo Figoni per Altraeconomia: «Inchiesta sul gestore del Cpr di Milano: tra falsi protocolli e servizi non erogati».

    Interpellando le associazioni e Ong iscritte negli accordi che Martinina S.r.l. ha presentato in gara d’appalto hanno scoperto che questi protocolli d’intesa sono falsi. Altri ancora sono siglati con soggetti che non risultano da nessuna parte online, di cui di fatto non è possibile verificare la veridicità. Un accordo è addirittura firmato dal solo ente gestore, Martinina S.r.l. Tra questi le società che dovrebbero provvedere alla realizzazioni di attività ricreative e migliorative del tempo trascorso dai trattenuti all’interno del Centro.

    i trattenuti nei CPR non hanno nemmeno la possibilità di tenersi carta e penna. La giustificazione? La prima perché infiammabile e la seconda perché passibile di uso improprio. Il divieto di circolazione di carta tra i detenuti però inficia gravemente anche sul loro diritto all’informazione legale e di reclamo diretto al Garante Nazionale.

    Secondo l’offerta tecnica, Martinina S.r.l. fornisce consulenti legali interni che dovrebbero consegnare una “carta dei diritti dei trattenuti”, che però non può circolare nel CPR perché, appunto, di carta. Senza carta e penna é inoltre inverosimile che i trattenuti possano scrivere reclami diretti al Garante Nazionale. In occasione dell’accesso fisico la delegazione Naga ha potuto constatare inoltre che il vademecum che dovrebbe informarli sulle modalità di invio riporta informazioni errate: istruiscono per l’invio di reclami al Garante territoriale, che a Milano manca. Esiste un Garante Comunale che tuttavia non segue il CPR di Via Corelli per mancanze di risorse e personale e che consiglia di riferirsi alla Procura della Repubblica o al Garante Nazionale, per cui le modalità d’invio, tuttavia, richiedono procedure differenti. A queste mancanze cercano di sopperire Naga e Rete mandando costanti segnalazioni al Garante. Nel rapporto forniscono qualche dato sulle segnalazioni inviate.

    “Quale difesa?”

    Ai trattenuti viene sistematicamente limitato il diritto alla difesa. La nomina di unə avvocatə di fiducia è condizionata alle risorse economiche disponibili: quando sono scarse o ormai esaurite, non resta che l’avvocatə di ufficio. I detenuti dovrebbero poterne scegliere unə da una lista fornita dall’ente gestore. Questa, in quanto cartacea, non può circolare all’interno del CPR e quindi di fatto l’assegnazione avviene in maniera casuale. Anche quando un detenuto è assistito da unə avvocatə di fiducia, questə viene convocatə in ore serali, tarde o non viene convocatə affatto.

    Lə rappresentante legale spesso non conosce il caso, non ha avuto accesso al fascicolo, non ha nemmeno mai visto o parlato con il trattenuto. Se d’ufficio, poi, il suo incarico si limita a una singola udienza. Le udienze durano in media 6 minuti e sono svolte online: oltre alla pessima connessione internet, l’avvocatə deve decidere se presenziare di fronte al giudice o collegarsi online con la persona assistita, con ulteriori gravi implicazioni sulla qualità della difesa.

    L’impedimento al diritto di difesa viene esercitato anche in occasione dei colloqui individuali. A differenza del carcere ordinario, nei CPR questi avvengono alla presenza degli agenti di polizia. Il rapporto riporta un episodio particolarmente grave del 3 agosto 2023, in cui all’avv. Simona Stefanelli e all’interprete di fiducia che l’accompagnava, é stato inizialmente negato negato l’accesso al CPR, nonostante regolare nomina di incarico per diversi assistiti. È stato poi concesso alla sola avvocata di parlare con un solo assistito e per 30 minuti, dopodiché è stata fatta uscire sul pretesto che ci sarebbero stati altri appuntamenti per i quali doveva essere lasciata libera la stanza. Il direttore avrebbe inoltre sequestrato alcuni documenti dell’assistito impedendole di fatto di preparare un’adeguata difesa.
    L’interprete

    Fino a giugno 2022 l’interprete di fiducia poteva accedere al CPR, previa comunicazione del nominativo all’ente gestore, come anche presenziare alle udienze presso il Giudice di pace. Ora invece serve l’autorizzazione della Prefettura, che oppone dinieghi ostinati e strumentali anche in presenza di professionistə competenti e qualificatə.

    All’interprete che accompagnava l’avv. Stefanelli è stato opposto un diniego perché non aveva presentato documentazione atta a dimostrare la sua qualifica di mediatrice culturale. Quando questa è stata presentata, le si è opposto che la qualifica di per sé non fosse sufficiente, ma doveva dimostrare di svolgere “ordinariamente attività come traduttrice o mediatrice culturale a supporto di studi legali, o comunque in contesti peculiari come quello dei CPR” 10. Nel diniego si aggiungeva inoltre che l’interprete di fiducia risultava superfluo data la presenza di personale di mediazione professionista garantita dall’ente gestore.

    Non solo dal rapporto emerge come l’unico mediatore “professionista” di Martinina S.r.l. mai incontrato abbia candidamente ammesso di essere un autodidatta. In base ai protocolli presentati in gara d’appalto sarebbe Ala Milano Onlus a fornire servizi di mediazione linguistico-culturale nel CPR di Milano. Peccato che il suo presidente, intervistato da Luca Rondi e Lorenzo Figoni nell’ambito della già citata inchiesta su Altraeconomia, dichiara di non aver mai siglato quell’accordo.
    Il diritto alla salute e gli “scheletri nell’armadio”

    Il grosso del dossier riguarda i dati medici e parla di un vero e proprio ostruzionismo da parte di Prefettura ed ente gestore, vinto ancora una volta soltanto in sede di ricorso. L’ostruzionismo viene esercitato su voluti fraintendimenti tra le “cartelle cliniche” e i “diari clinici” dei trattenuti.

    Quando lə avvocatə chiede per iscritto “le cartelle cliniche” dell’assistito, l’ente gestore invia le cartelle cliniche refertate da ospedali qualora si siano verificati dei ricoveri, ma non quello che loro chiamano il “diario clinico”. Quest’ultimo è un fascicolo che l’ente gestore dovrebbe aggiornare lungo tutto il periodo di trattenimento, tra l’altro avvalendosi di un software gestionale online che comunicherebbe alla prefettura ogni aggiornamento su base quotidiana. Questo diario non viene rilasciato, come ricostruisce dettagliatamente il rapporto, neanche quando esplicitamente ordinato da sentenza del giudice su ricorso.

    Non è chiaro poi se questo software gestionale esista davvero: la documentazione ottenuta risulta scritta a mano, spesso in maniera illeggibile; inoltre anche il “registro degli eventi critici”, che da offerta tecnica dovrebbero essere registrati e comunicati informaticamente, è un quaderno da cartoleria ad anelli, “dal quale possono essere agilmente strappati fogli scomodi, non numerati né tanto meno vidimati” – Naga, 2023 (p.147)

    Quando si è riusciti ad ottenere la documentazione sanitaria di alcuni trattenuti sono emersi dei veri e propri “scheletri nell’armadio”. Ne è un esempio la storia di J.M., dettagliata nel rapporto.

    Lamentando gravi mal di testa, J.M. viene visitato in ospedale perché non era disponibile un medico nel centro; il suo referto medico viene sequestrato al rientro nel centro e il suo compagno di stanza chiama il centralino del Naga perché lo vede fortemente turbato. Lə attivistə di Naga e Rete riescono a risalire all’Ospedale dov’era stato ricoverato e scoprono che una TAC aveva rilevato una neoplasia cerebrale. Viene invece dimesso con diagnosi di crisi da verosimile astinenza da cocaina e riportato nel CPR come se nulla fosse. Il legale fa allora richiesta ufficiale della sua cartella clinica e soltanto allora J.M. viene rilasciato dal centro: più precisamente, viene abbandonato in mezzo alla strada, nonostante non fosse nemmeno in grado di camminare, e senza ricevere la sua cartella clinica.
    La non-assistenza psico-sociale in Via Corelli

    L’offerta tecnica di Martinina S.r.l prevede personale e locali adibiti ai colloqui psicologici, che però si svolgono in presenza degli agenti di polizia, in totale violazione della privacy necessaria. Nell’accesso fisico alla struttura, la delegazione Naga ha constatato che a tale servizio sarebbero incaricate due persone, di cui una si è presentata come coordinatrice del servizio. Interrogata su tecniche e modalità impiegate nel suo lavoro dimostrava gravi mancanze e ammetteva di non affiancarsi di personale di mediazione linguistico-culturale.

    Il suo nome é stato poi nominato da svariati trattenuti, che però la identificavano come l’operatrice che si occupa dei cartellini identificativi con il numero progressivo. Lə avvocatə che collaborano con Naga riportano inoltre che sarebbe sempre lei a rispondere alle email di nomina di legali di fiducia. Mansioni che non sembrano c’entrare nulla con l’incarico di psicologa.

    In assenza di un supporto psicologico adeguato la prassi è una diffusa somministrazione di psicofarmaci a fini sedativi 11, così che le condizioni psicofisiche dei trattenuti deteriorano progressivamente e velocemente. Uno non-luogo di abbandono e brutalizzazione costante.
    La storia di H.B.

    Nessuna legge vieta un ulteriore periodo di detenzione, rendendone i “termini massimi” stabiliti per legge meno effettivi. Dalle testimonianze delle persone che si sono rivolte al centralino “SOS CPR Naga”, è evidente poi che il trattenimento viene imposto e reiterato anche quando la deportazione non è attuabile, in completa violazione del Testo Unico Immigrazione 12. Inoltre, spesso vengono trasferite da un CPR a un altro in ottica punitiva e strumentale.

    Tutte queste dimensioni discriminanti possono verificarsi per una stessa persona con effetti devastanti, come esemplificato nella storia di H.B., dettagliata nel report di Naga e Rete.

    H.B. non è registrato all’anagrafe del paese di origine e dunque, poiché quest’ultimo non lo riconosce come proprio cittadino, non è deportabile. Per questo stesso motivo era stato rilasciato dal suo primo trattenimento nel CPT di Bologna, salvo poi venir messo dentro a Via Corelli a Milano. Da qui, salito sul tetto in atto di protesta contro la convocazione di un avvocato sconosciuto per la sua udienza 13, viene trasferito per punizione al CPR di Ponte Galeria a Roma, ma solo dopo due episodi di violenza da parte di almeno 6 agenti di polizia, che gli causano una ferita aperta in testa, perdite di sangue e siero da orecchie e bocca, vista offuscata e torsione del braccio.

    Perché a Ponte Galeria? Per recidere i suoi rapporti e contatti con lə attivistə di Milano, non potendo nel CPR di Roma tenere il suo cellulare personale. Invece lə avvocatə NAGA hanno continuato a seguirlo, e l’hanno poi fatto rilasciare da Ponte Galeria, proprio perché le gravi lesioni inflittegli in Via Corelli lo rendevano evidentemente inidoneo al trattenimento in CPR 14.

    Anche nel caso di H.B. il rilascio ha equivalso a un abbandono in mezzo alla strada. Lə attivistə NAGA perdono le sue tracce per un certo periodo e lo ritrovano nuovamente rinchiuso, questa volta al CPR di Gradisca d’Isonzo. Non sapendo che fare, era tornato a Bologna dove si era presentato in Questura per domandare protezione internazionale in ragione della sua apolidia. Qui non solo gli viene negato l’accesso alla domanda 15, ma nuovamente lo rinchiudono nel Centro nonostante l’ingessatura al braccio per la quale doveva risultare inidoneo. Nuovamente lə avvocatə NAGA ottengono il suo rilascio, questa volta sulla base del comprovato tentativo di domandare la protezione internazionale e presentano una denuncia per tortura, lesioni, omissione di soccorso e falso nei confronti di agenti, direttore e medico del CPR di Milano e Roma, di cui seguiamo con ansia gli esiti.
    Pratiche di deportazione, morti di Stato e morti invisibili

    Sulla base delle testimonianze di ex-trattenuti deportati e dell’ultima relazione del Garante Nazionale 16, le modalità di esecuzione delle deportazioni implicano regolarmente l’uso della violenza e dell’inganno.

    Le forze di polizia fanno irruzione nella stanza di notte, mentre tutti dormono; immobilizzano e prelevano di forza il deportando, se serve lo sedano contro la sua volontà o a sua insaputa. In alternativa usano la “trappola dell’infermeria” 17, la bugia del trasferimento in un altro centro, o ancora si fa loro credere che verranno portati dal console a cui in ultimo spetta la decisione, quando invece tutto è ormai definitivo.

    Lo stesso Garante Nazionale evidenzia gli abusi della forza da parte degli agenti, in media tre per ogni deportato: a prescindere dall’eventuale resistenza opposta dai deportandi, questi vengono immobilizzati con fascette di velcro o altri dispositivi “con modalità considerate eccezionali anche nell’ambito del regime penitenziario con il rischio di incidere fortemente sulla dignità delle persone straniere” (…) “In talune occasioni i monitor hanno constatato che i dispositivi non sono stati levati nemmeno per consentire la consumazione del pasto e durante la fruizione dei servizi igienici” 18.

    Di questo sistema di violenza e razzismo istituzionale, amministrativa e fisica le persone ci muoiono: nascosti negli impenetrabili CPR o lontano dagli occhi e dai confini territoriali.

    Naga ha domandato al Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che fa capo al Ministero dell’Interno, quante morti fossero avventue nei CPR d’Italia negli ultimi 5 anni: sono 14, età media di 33 anni.

    Vittime immolate in nome del culto dei confini, del razzismo, del profitto senza scrupoli che riduce le persone in corpi senza storia e senza identità, solo numeri.

    Numeri a cui Naga cerca di dare un nome, che qui riportiamo per rispetto della loro dignità, confidando che ci legge non ce ne vorrà se anche il resoconto del rapporto risulta molto lungo.

    • Donna – 46 anni – Ucraina – CPR di Ponte Galeria (Roma) il 13 novembre 2018. Di lei il Naga e la Rete Mai più Lager – No ai CPR non sanno nulla, nemmeno il suo nome.

    • Harry – 20 anni – Nigeria – CPR di Brindisi Restinco – 2 giugno 2019

    • Hossain Faisal – 31 anni – Bangladesh – CPR di Torino – 8 luglio 2019

    • Ayman Mekni – 33 anni – Tunisia – CPR di Pian del Lago – Caltanissetta – 12 gennaio 2020

    • Vakthange Enukidze – 39 anni – Georgia – CPR di Gradisca d’Isonzo – gennaio 2020

    • Orgest Turia – 29 anni – Albania – CPR di Gradisca d’Isonzo – 14 luglio 2020

    • Moussa Balde – 23 anni – Nuova Guinea – CPR di Torino – maggio 2021

    • Wissem Abdel Latif – 26 anni – Tunisia – CPR di Ponte Galeria – 28 novembre 2021

    • Ezzedine Anani – 41 anni – Marocco – CPR di Gradisca di Isonzo – 6 dicembre 2021

    • Uomo: – 36 anni – Nigeria – CPR di Brindisi Restinco – 4 agosto 2022.

    • Uomo – 34 anni – Bangladesh – CPR di Ponte Galeria – 22 agosto 2022.

    • Arshad Jahangir – 28 anni – Pakistan- CPR di Gradisca d’Isonzo – 31 agosto 2022

    • Uomo – 44 anni – Nigeria – CPR di Palazzo San Gervasio – 7 ottobre 2022.

    • Nome non trapelato – 38 anni – Marocco – CPR di Brindisi Restinco – 19 dicembre 2022 (Naga, 2023, pp.175-176)

    Di questi 14 morti di stato, 5 rimangono senza nome. Morti invisibili, o meglio invisibilizzate. Le loro morti come anche le loro vite: costrette, negate, taciute. Così nella depredazione dell’Occidente a danno dei paesi resi a basso reddito, ma in realtà di estremo valore estrattivo e umano; così nel Mar Mediterraneo, ormai stabilmente rotta migratoria più mortale sul pianeta; così anche sul territorio italiano, nei campi di sfruttamento, nelle carceri, nei CPR. E di quanti morti ancora non è dato sapere, una volta che queste persone vengono espulse e allontanate dagli occhi e dalla nostra coscienza.

    Vite di cui Naga, come le altre realtà sul territorio italiano, cercano di ricostruire l’identità, per rispetto, per dignità, ma anche per offrire un’occasione a eventuali familiari delle vittime di reclamare giustizia – se davvero così può essere chiamata – sistematicamente violata nel sistema CPR d’Italia.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/un-anno-di-osservazione-sul-cpr-di-via-corelli-milano

    #détention_administrative #rétention #asile #migrations #réfugiés #Italie #CPR #décès #morts #mourir_en_rétention #via_Corelli #Milan #rapport

    • Firme false e assistenza inesistente per i reclusi: la Procura indaga sul Cpr di Milano

      Il primo dicembre la Guardia di Finanza ha perquisito la struttura per acquisire documentazione. Il reato ipotizzato per l’ente gestore #Martinina è frode in atto pubblico. Un’inchiesta di Altreconomia aveva svelato le “false promesse” della società alla prefettura di Milano

      Servizi di mediazione e assistenza sanitaria “gravemente deficitari”, ausilio psicologico e psichiatrico “largamente insufficiente” e poi cibo “spesso maleodorante, avariato e scaduto”, mancanza di medicinali e informativa legale. Sono queste le basi su cui la Procura di Milano ha dato mandato alla Guardia di Finanza per l’ispezione dei locali del Cpr di via Corelli del primo dicembre. I reati ipotizzati per i rappresentanti della Martinina Srl, la società che si è aggiudicata l’appalto da 1,2 milioni di euro per la gestione del centro nell’ottobre 2022, sarebbero frode nelle pubbliche forniture e turbata libertà degli incanti. Le prime informazioni confermerebbero quanto emerso dalle inchieste di Altreconomia sulle presunte “false promesse” della società alla prefettura e sull’abuso di psicofarmaci.

      Sono due, infatti, i profili al vaglio degli inquirenti. Da un lato c’è la turbativa d’asta legata ai servizi promessi da Martina Srl e mai realizzati. Alessandro Forlenza, gestore del centro e Consiglia Caruso, amministratrice unica della società, avrebbero commesso “frode nell’esecuzione del contratto di appalto” ponendo in essere “espedienti maliziosi e ingannevoli idonei a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti”. Da un lato quindi i servizi, come detto, “gravemente deficitari” riguardanti mediazione culturale e assistenza sanitaria e informativa legale e poi, in sede di aggiudicazione dell’appalto pubblicato dalla prefettura di Milano, la presenza di protocolli falsi siglati da Consiglia Caruso, all’epoca rappresentante legale della società, con organizzazioni della società civile (ignare) per migliorare l’offerta tecnica al fine di vincere la gara.

      “In concorso con persone non identificate mediante la presentazione documentazione contraffatta e apocrifa turbava la gara d’appalto”, si legge nel decreto con cui il pubblico ministero ha chiesto la possibilità di ispezionare il Corelli. I protocolli, come raccontato anche su Altreconomia, sarebbero dieci in totale. Addirittura due riguarderebbero contratti d’acquisto per distributori di tabacchi e snack. “Servizi mai resi”, sempre secondo l’accusa. Protocolli forniti ovviamente in sede di gara ed esaminati dalla Commissione giudicatrice della prefettura, la quale, nella decisione di assegnare l’appalto alla società domiciliata in provincia di Salerno, sottolineava l’importanza del “valore delle proposte migliorative dell’offerta tecnica”.

      C’è poi il capitolo sanitario. Nell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” avevamo dato conto di un acquisto spropositato di psicofarmaci destinati al Cpr di Milano. Il pubblico ministero scrive di “visite di idoneità alla vita in comunità ristretta assolutamente carenti” con ospiti trattenuti affetti da “epatite, gravi patologie psichiatriche, tossicodipendenti, persone con tumori al cervello” a cui si aggiungono servizi di ausilio psichiatrico e psicologico “largamente insufficienti” con colloqui svolti senza i mediatori culturali. “Con le persone trattenute si capiva sulla base del feeling”, avrebbe spiegato la psicologa del centro. Sono state acquisite “copie delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria (attuali e passati)”.

      Martinina Srl ha attualmente altre due sedi attive: una a Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove è arrivata seconda nella gara di assegnazione della nuova gestione del Cpr precedentemente dalla Engel, vinto da Officine Solidali nel marzo 2023, un’altra a Taranto, per la gestione del Cas Mondelli che accoglie minori stranieri non accompagnati. L’ultimo bilancio disponibile è del 31 dicembre 2021 con importi ridottissimi: appena 2.327 euro di utili “portati a nuovo”. A quella data ancora non era attivo il Cpr di via Corelli. C’è un terzo soggetto, però, nella “sfera Martinina” con ben altri risultati: si tratta della Engel Family Srl nata nell’ottobre 2020 con in “dotazione” 250mila euro derivanti da Engel Srl. Paola Cianciulli è nuovamente amministratrice e socia unica della società che si occupa di “locazione immobiliare di beni propri o in leasing” che al 31 dicembre 2021 (l’ultimo disponibile) conta un valore della produzione complessivo di poco superiore a 372mila euro.

      Anche l’avvicendamento delle società gestite dall’imprenditore Alessandro Forlenza è rilevante. Lui, nel 2012 fonda la Engel Italia Srl, ex gestore del “Corelli” di Milano e del Cpr di Palazzo San Gervasio a Potenza: oggi quella società non esiste più perché il 20 ottobre 2023 è stata definitivamente “inglobata” nella Martinina Srl, a cui inizialmente era stato ceduto il ramo d’azienda che si occupava della detenzione amministrativa. La società è formalmente in mano a Paola Cianciulli, moglie di Forlenza, che è attualmente l’amministratrice unica dopo l’uscita di scena di Consiglia Caruso (la firmataria di tutti i protocolli d’intesa sopra citati), che il 31 agosto 2023 ha ceduto i mille euro di capitale sociale. A lei restano intestate due società con sede a Milano: l’Edil Coranimo Srl, che si occupa di costruzioni, e dal febbraio 2023 l’Allupo Srl che ha sede proprio in via Corelli, nel numero civico successivo al Centro per il rimpatrio. Una dinamica che desta interesse: l’oggetto sociale della Allupo Srl è molto diversificato e oltre alla ristorazione in diverse forme (da asporto o somministrazione diretta) è inclusa anche la possibilità di “gestione di case di riposo per anziani, case famiglia per minori, Cas, Sprar, Cara e Cpr”. Forse nel tentativo di togliere di mezzo il nome di Martinina per altri eventuali bandi.

      In questo quadro c’è poi il problematico ruolo giocato dalla prefettura. In una nota rilanciata da diverse agenzie di stampa, l’ufficio territoriale del Viminale ha fatto sapere che “aveva già avviato un procedimento amministrativo per la contestazione di condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali a seguito di alcune criticità gestionali emerse nei mesi scorsi” che si sarebbe concluso con “l’irrogazione della massima sanzione prevista”. Non è chiaro a quando risalgano queste contestazioni. Ma ci sono alcuni elementi noti. Secondo i dati consultati da Altreconomia il primo settembre 2023, tre mesi fa, quando l’indagine della Procura era presumibilmente già in corso, la stessa prefettura ha bonificato a Martinina 80mila euro come rimborso per la gestione della struttura di marzo 2023, una cifra in linea con quelle riconosciute per i mesi precedenti per un totale di quasi un milione di euro dall’inizio del contratto (943mila euro).

      Il 10 novembre poi, quattro giorni prima dell’uscita della nostra inchiesta su Martinina, la prefettura ha pubblicato tutta la documentazione relativa al contratto aggiudicato da Engel nel 2021, sempre per la gestione del Cpr, da cui emerge che già in quell’offerta alcuni dei protocolli d’intesa sono siglati con le stesse realtà che dichiarano di non aver mai avuto rapporti né con l’ente gestore né con il Cpr. Un eccesso di trasparenza -mai vista quando si tratta di Cpr (per ottenere l’attuale contratto d’appalto è stato necessario un ricorso al Tar da parte dell’associazione Naga)- che nei fatti si è tradotto in un’autodenuncia. “La prefettura ha provveduto a informare ‘immediatamente’ gli uffici della locale Procura sugli esiti della propria attività, ‘trasmettendole’ anche la relativa documentazione e fornendo la propria massima collaborazione”, hanno spiegato da corso Monforte.

      Dai verbali delle ispezioni prefettizie consultati da Altreconomia, però, non emergerebbe una verifica dettagliata di quanto avviene nella struttura. In uno di questi, per esempio, alla domanda “La fornitura degli effetti letterecci avviene regolarmente e secondo le tempistiche e modalità previste dallo Schema di Capitolato vigente?”, il funzionario della prefettura barra “Sì”. Ma nella nota integrativa sottostante, riportata in calce al verbale, si legge che “ai 25 trattenuti non viene richiesto di firmare la consegna/ritiro degli effetti letterecci”. Risultano perciò incomprensibili le basi su cui viene affermata l’effettiva consegna di questi oggetti. La condizione dei reclusi e l’assistenza inesistenti dell’ente gestore non sono certo una notizia di attualità, così come i protocolli falsi, chiusi nei cassetti della prefettura da più di un anno.

      https://altreconomia.it/firme-false-e-assistenza-inesistente-per-i-reclusi-la-procura-indaga-su
      #fraude #Alessandro_Forlenza #Consiglia_Caruso #Engel_Family #Engel #Paola_Cianciulli #Alessandro_Forlenza #Engel_Italia #business #Edil_Coranimo #Allupo

    • Il CPR di via Corelli a Milano sotto indagine della Procura

      Indagati gli amministratori di Martinina srl, Consiglia Caruso e Alessandro Forlenza

      La gestione del CPR di via Corelli è ufficialmente sotto inchiesta della Procura di Milano, che venerdì 1 dicembre ha disposto un’ispezione a sorpresa nel centro da parte degli agenti della Guardia di Finanza. Perquisita la documentazione dell’ente gestore all’interno della struttura e acquisite immagini e video delle condizioni del centro.

      Locali sporchi, “bagni in condizioni vergognose”, cibo “maleodorante, avariato, scaduto”. I servizi, pur previsti dal capitolato d’appalto con i quali la società si è aggiudicata ben 4,4 milioni di euro, risultano carenti o del tutto assenti. Mancate cure e visite specialistiche necessarie ai trattenuti “per il rifiuto del gestore di pagare”. Gli stessi dipendenti del centro hanno segnalato agli inquirenti mancati pagamenti del Tfr, dello stipendio e pagamenti tardivi. Visite di idoneità sommarie che hanno dichiarato idonei anche individui “affetti da epilessia, epatite, tumore al cervello, patologie psichiatriche, tossicodipendenti”. Assistenza psicologica inadeguata, assenza di informativa legale ai trattenuti, nessuna attività ricreativa né luoghi di culto.

      È quanto osservato dagli inquirenti e contenuto nel decreto di ispezione della Procura, che ipotizza i reati di frode nelle pubbliche forniture e turbativa d’asta. Tra gli indagati, oltre alla società stessa, Consiglia Caruso, firmataria di tutti i protocolli d’intesa scoperti falsi nell’inchiesta pubblicata da Altraeconomia 1, e il figlio, Alessandro Forlenza, gestore della struttura di via Corelli.

      Una “gestione familiare” (l’attuale amministratrice di via Corelli 28 è infatti Paola Cianciulli, moglie di Forlenza) già al centro delle denunce di giornalisti e associazioni presenti sul territorio, che adesso trovano seguito nelle verifiche della Procura.

      Quanto riportato dalla Procura descrive infatti lo stesso quadro dettagliato nel report-denuncia recentemente pubblicato dall’associazione Naga in collaborazione con la Rete Mai più lager – No ai CPR 2, che ha dedicato ampio spazio alle incongruenze tra capitolato d’appalto e servizi erogati, nonché alle grave mancanze del presidio sanitario. Contestualmente, tra la documentazione perquisita dagli inquirenti nel centro figurerebbero anche le cartelle cliniche dei trattenuti, che di fatto vengono sequestrate dall’ente gestore che rifiuta sistematicamente di consegnarle ai diretti interessati o ai loro rappresentanti legali.

      L’inchiesta della Procura sembra dunque una buona notizia, che ripaga almeno in parte gli sforzi, le energie e delle risorse impegnate in inchieste, impervie azioni di monitoraggio e denuncia. Che accende la speranza che responsabilità e colpe vengano finalmente stabilite e sanzionate, arginando l’impunità dilagante in cui si muovono gli enti gestori con beneplacito delle Prefetture.

      Come espresso dall’avvocato ASGI, Nicola Datena ai giornalisti di Altraeconomia, “Il monitoraggio da parte della società civile si conferma essere uno strumento fondamentale. Se quanto emerso verrà confermato nelle sedi opportune viene da chiedersi chi controlla i controllori”.

      La Prefettura di Milano, preso atto dell’ispezione nel centro da parte della Procura, ha tempestivamente emesso un comunicato per chiarire che “aveva avviato a carico dell’ente gestore un procedimento amministrativo per la contestazione di talune condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali”. Un tentativo di migliorare la propria posizione di fronte alle gravi irregolarità sulle quali non ha vegliato o ha soprasseduto. Irregolarità che poi si osservano da parte della Prefettura stessa, che, tra le altre, non ha ancora formalizzato alcuna proroga dell’incarico di gestione di Martinina s.r.l., nonostante l’appalto sia formalmente scaduto il 31 di ottobre.

      “Come Rete Mai più Lager – No ai CPR teniamo a ricordare che la situazione di Corelli non è isolata, e che questo tipo di controlli andrebbe fatto a tappeto in tutti i centri che purtroppo sono ancora aperti in Italia. Ma soprattutto, teniamo a ricordare che le responsabilità vanno ricercate a tutti i livelli. E quindi non solo nei disservizi causati dagli inadempimenti dei gestori, ma anche nelle Prefetture che selezionano i candidati vittoriosi dei bandi e dovrebbero monitorarne l’attività, come anche in chi, sapendo e vedendo, tace”, scrive la Rete in un comunicato pubblicato sulle sue pagine social 3.

      Quanto emerge dalle inchieste su via Corelli non può essere ridotto a un semplice caso di malagestione e oltre alle responsabilità penali vanno messe in luce anche quelle politiche. Perché non si tratta solo di illeciti amministrativi nelle gare d’appalto, ma di gravissime e sistematiche violazioni di diritti fondamentali e della dignità delle persone.

      Quanto emerge sulla gestione del CPR di Milano non riflette un caso isolato. É un esempio di quanto accade in tutti i luoghi di detenzione amministrativa in Italia, che oggi si vogliono rafforzare e ampliare sul territorio. In tutti i CPR d’Italia le persone si ammalano, si aggravano, soffrono, si intossicano, subiscono abusi e violenze indicibili. Nei CPR d’Italia le persone muoiono. Morti di Stato e morti invisibilizzate che rimangono senza giustizia.

      I CPR vanno chiusi non perché gestiti male, ma perché sono illegittime istituzioni totali che investono risorse pubbliche nella produzione di marginalizzazione, violenza e oppressione; perché sono incarnazione di una pericolosa sospensione di principi fondamentali, che mette a rischio diritti e libertà di tuttə; perché sono massima espressione di un razzismo istituzionale e di una necropolitica che si accanisce sulle persone straniere razzializzate, martoriandone corpo, spirito e dignità.
      Un sistema di violenza razziale inaccettabile, che va superato e che chiama in causa la responsabilità politica, sociale e storica dell’intera comunità.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/il-cpr-di-via-corelli-a-milano-sotto-indagine-della-procura

    • Milano: la vergogna del Cpr di via Corelli. Niente cure e cibo scaduto

      L’ispezione della Guardia di finanza al cpr di via Corelli a Milano nell’ambito dell’indagine per frode in pubblica fornitura. Sotto accusa la società salernitana La Martinina srl che gestisce il centro per conto della Prefettura di Milano e del ministero dell’Interno. L’inchiesta della Procura di Milano parte anche dalle segnalazioni dell’ex senatore De Falco che fece due ispezioni: «Il gestore del centro ha tutto l’interesse a trattenere il maggior numero di persone perché è pagato per quello. Se nessuno controlla può succedere qualsiasi cosa, e infatti succede»

      Ora si accende anche il faro della Procura sul Cpr di via Corelli a Milano. A far scattare l’indagine dei magistrati hanno contribuito le innumerevoli denunce pubbliche fatte in questi anni da attivisti antirazzisti, giornalisti e alcuni politici.

      Nelle carte infatti c’è tutto il corollario di cose dette in questi anni da coloro che si sono occupati dei centri di permanenza per il rimpatrio: trattamenti disumani, cibo scadente, abuso di farmaci, impossibilità di comunicare con l’esterno, assistenza sanitaria negata. I Cpr sono questo e ora su quello di Milano c’è anche la parola dei magistrati.

      NELL’INCHIESTA VIENE citata la visita effettuata dall’associazione Naga e dalla rete Mai Più Lager-No ai Cpr il 2 marzo 2023 e l’ispezione del 29 maggio 2022 dell’ex senatore del M5S Gregorio de Falco.

      L’indagine è dei pm Giovanna Cavalleri e Paolo Storari che ieri mattina hanno mandato i militari della Guardia di finanza a perquisire il centro. L’ipotesi di reato è frode in pubbliche forniture e turbativa d’asta nei confronti degli amministratore della società La Martinina srl che gestisce il Cpr per conto della Prefettura di Milano e del ministero dell’Interno. A ottobre 2022 la società aveva vinto la gara d’appalto da 4,4 milioni di euro per gestire il centro per un anno dopo alcuni passaggi societari sui cui i magistrati vogliono fare chiarezza.

      A settembre 2021 il bando era stato vinto dalla Engel Italia di Salerno, il 10 ottobre 2022 era passato alla Martinina di Pontecagnano, sempre con sede a Salerno. A novembre 2022 la Engel Italia finiva in concordato e si fondeva nella Martinina srl. Le quote delle due società fanno capo alla stessa persona, Paola Cianciulli, moglie del gestore del Cpr milanese Alessandro Forlenza, figlio dell’amministratrice della Martinina srl Consiglia Caruso.

      Dall’indagine emerge che la società vincitrice del bando aveva promesso di tutto per aggiudicarsi l’appalto: dal cibo biologico ai mediatori culturali, dall’assistenza sanitaria di qualità alle attività religiose, sociali e ricreative. E invece nulla di tutto ciò è stato fatto. Nell’assenza di controlli e di occhi indipendenti, in quei luoghi di segregazione può avvenire di tutto. E avviene.

      Da oggi però sappiamo che, almeno qui a Milano, le denunce pubbliche fatte da attivisti, associazioni e da quei pochi parlamentari che ispezionano i centri non sono cadute nel vuoto.

      SCRIVONO I PM che «il presidio sanitario con medici e infermieri era assolutamente inadeguato», mancavano medicinali e visite di idoneità alla vita nel centro per chi aveva «epilessia, epatite, tumore al cervello» e altre gravi patologie. Il supporto psicologico e psichiatrico era «largamente insufficiente e fornito da personale che non conosceva la lingua» degli immigrati trattenuti. Le camere erano «sporche», i bagni «in condizioni vergognose», il cibo «maleodorante, avariato e scaduto».

      La Martinina srl avrebbe anche prodotto documenti «contraffatti». Dagli esponenti della maggioranza di governo, che vorrebbe moltiplicare e esternalizzare oltre i confini nazionali i Cpr, non sono arrivati commenti.

      SI DIRÀ CHE QUESTI gestori di via Corelli sono delle mele marce e si proverà a difendere l’indifendibile. Dal centrosinistra in tanti hanno chiesto la chiusura del centro o la riconversione in struttura d’accoglienza, dal Pd, all’Alleanza Verdi Sinistra, a Rifondazione Comunista, al Patto Civico lombardo.

      «Da tempo chiedo la chiusura del Cpr di via Corelli, come peraltro ha fatto mesi fa il consiglio comunale di Milano» ha commentato il responsabile nazionale del Pd per le politiche migratorie Pierfrancesco Majorino.

      Quando era assessore al welfare a Milano Majorino era riuscito a convincere l’allora governo a convertire il Cpr in centro d’accoglienza. Per gli attivisti e le associazioni che si oppongono ai Cpr il problema è politico e riguarda tutte le strutture aperte in Italia.

      Dice Riccardo Tromba del Naga: «Ci aspettiamo che i magistrati abbiano trovato quello che denunciamo da tempo, in quel centro non c’era nulla di quanto promesso dal gestore. Noi ci opponiamo da sempre al trattenimento dei migranti, dal 1998 quando li istituì un governo di centrosinistra».

      Per la rete Mai Più Lager-No ai Cpr «la situazione di Corelli non è isolata, questo tipo di controlli andrebbero fatti a tappeto in tutti i centri che purtroppo sono ancora aperti in Italia. Le responsabilità vanno ricercate a tutti i livelli, quindi non solo nei disservizi causati dagli inadempimenti dei gestori, ma anche nelle prefetture che selezionano i candidati vittoriosi dei bandi e dovrebbero monitorarne l’attività, come anche in chi, sapendo e vedendo, tace».

      RESPINGE LE ACCUSE la Prefettura di Milano: «Nei mesi scorsi erano emerse criticità gestionali, era quindi stato avviato a carico dell’ente gestore un procedimento amministrativo ed era stata informata la Procura».

      De Falco: «Nel cpr vidi il degrado, colpa della gestione privata e dello Stato che nasconde»

      Gregorio De Falco, quando è stato senatore del M5S nel Cpr di via Corelli ha fatto due ispezioni. L’inchiesta della Procura di Milano parte anche dalle sue segnalazioni, cos’ha pensato questa mattina?

      Finalmente. Perché fin dall’esito della prima ispezione, quella del 5-6 giugno 2021, avendo fatto un esposto alla Procura della Repubblica mi aspettavo che qualcosa succedesse. Poi c’è stata la seconda ispezione, quella del 29 maggio 2022. Era chiara la condizione di assoluto abbandono nella quale vivevano e vivono tutt’ora le persone trattenute all’interno e mi aspettavo che qualcuno avviasse indagini. Oggi quindi dico: finalmente la giustizia si muove.

      Qual era l’obbiettivo delle sue ispezioni?

      Era quello di verificare le condizioni di vita dei trattenuti e quindi se lo Stato, attraverso le sue funzioni amministrative come la Prefettura, esercitasse il trattenimento con criteri minimi di dignità e umanità. Quello che abbiamo visto è stata invece una condizione diffusa di degrado. Le persone vengono trattenute in modo brutale perché senza aver commesso reati sono costrette a stare in un centro equivalente al carcere, ma a differenza dei carcerati a loro non è concesso il diritto di difesa, non possono fare nulla. Spesso le visite mediche sono fatte da operatori pagati dalle società di gestione, non va bene. Il gestore del centro ha tutto l’interesse a trattenere il maggior numero di persone perché è pagato per quello. Se nessuno controlla può succedere qualsiasi cosa, e infatti succede. Dal cibo avariato, all’abuso di farmaci, all’impedimento a comunicare con l’esterno. E lo Stato tiene nascosto tutto ciò.

      Il controllo del lavoro delle società che vincono gli appalti di gestione dei Cpr spetterebbe al ministero dell’Interno e alle prefetture. Avviene?

      Guardi, in quegli anni ho fatto interrogazioni parlamentari all’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e le risposte che ho avuto sono sempre state sconfortanti. Una volta avevo chiesto di entrare nel Cpr di Roma insieme a una mia collaboratrice. All’epoca il prefetto di Roma era Matteo Piantedosi. Bene, mi fu negato il permesso perché Piantedosi aveva fatto fare delle indagini sulla mia collaboratrice e non risultava essere la mia assistente legislativa parlamentare. Ma io avevo chiesto proprio a lei di accompagnarmi perché era una persona che parlava l’arabo e si occupava di immigrazione. E invece no, Piantedosi impiegò il suo tempo per fare indagini sulla mia collaboratrice e negarmi l’ingresso al Cpr.

      Oggi Piantedosi è ministro dell’Interno di un governo che i Cpr li vuole moltiplicare, persino fuori dai confini nazionali…

      Moltiplicare ed esternalizzare. Con l’idea di costruire Cpr fuori dal territorio nazionale vogliono evitare che i parlamentari possano esercitare la loro funzione di controllo su queste strutture. È gravissimo, ma penso che il piano del governo sia fallimentare perché ancora c’è una Costituzione che anche loro devono rispettare. Il livello di civiltà non può tornare indietro.

      https://www.osservatoriorepressione.info/milano-la-vergogna-del-cpr-via-corelli-niente-cure-cibo-sc

    • Condizioni disumane nel Cpr di Milano ma la Prefettura rinnova il contratto a Martinina

      La Procura di Milano ha chiesto il sequestro preventivo d’urgenza della struttura per il concreto rischio che i gravissimi reati ipotizzati continuino. L’ha fatto anche perché l’attuale gestore si era visto prolungare di un altro anno l’incarico dalla prefettura. Alle violazioni dei diritti umani si affianca l’opacità dell’impianto amministrativo

      “Era un vero e proprio lager, neanche i cani sono trattati così nei canili: gli psicofarmaci vengono dati come fossero caramelle, in alti dosaggi, con uno smodato uso di Rivotril. I medici erano razzisti: ‘meglio che muori, torna al tuo Paese’, dicevano. La pulizia? Erano posti pieni di piccioni, nutriti dagli stessi trattenuti e, com’è noto, i piccioni portano malattie. Vi era spazzatura ovunque, le stanze erano lorde, piene di mozziconi, le lenzuola erano sporche, fatte di tessuto non tessuto e non venivano ovviamente cambiate tutti i giorni. Durante l’estate poteva capitare che il sapone, pur presente, non veniva dato ai trattenuti per cui di fatto le docce non venivano fatte”.

      Questo era ed è il Cpr di via Corelli a Milano nelle parole di un lavoratore di Martinina Srl, società che gestisce la struttura dall’ottobre 2022 grazie a “promesse” false di servizi forniti ai reclusi, come anticipato nell’inchiesta di Altreconomia. Non è una dichiarazione isolata: leggere le 164 pagine con cui i sostituti procuratori Giovanna Cavalleri e Paolo Storari, il 13 dicembre 2023, hanno argomentato la richiesta di sequestro preventivo d’urgenza del ramo d’azienda che gestisce il centro, permette di ricostruire nel dettaglio l’orrore del “Corelli”. Sono gli stessi magistrati a scrivere che i reclusi “sono ridotti in condizioni che non pare esagerato definire disumane”.

      “Secondo te questi animali meritano una visita medica? Devono tornare alla giungla”. Lo avrebbe detto un medico del centro rivolgendosi a un operatore che accompagnava in ambulatorio un recluso. Il diritto alla salute sarebbe stato calpestato su più fronti. Per la necessità del gestore di risparmiare, Abdul, nome di fantasia, “non ha potuto effettuare una gastroscopia perché il gestore non pagava il ticket”; Amin, invece, pur avendo il piede fratturato non sarebbe stato visitato “per il rifiuto del gestore di pagare”.

      C’è poi, come abbiamo già raccontato, l’abuso di psicofarmaci. “Al centro ho visto dare quantità da 75 milligrammi a 300 milligrammi per tre volte al giorno di Lyrica, c’era una persona che assumeva circa 300 milligrammi di Lyrica per tre volte al giorno, cioè quasi un grammo, dose sostanzialmente fuori dosaggio”, racconta un’operatrice. “Vi era un uso smodato di Rivotril -racconta un’altra- Alcune volte venivano somministrati ad alcuni pazienti 100 gocce, io sono arrivata a diluire la boccetta con l’acqua per evitare effetti collaterali negativi”. “L’unico modo per gestire le criticità sanitarie era o lo psicofarmaco o la chiamata al 118”, ha dichiarato agli inquirenti Nicola Cocco, medico esperto di detenzione amministrativa.

      Nel centro c’erano persone che non avrebbero potuto esserci: gli inquirenti hanno ricostruito che le visite di idoneità alla comunità ristretta sono “assolutamente carenti”. Lo dimostrano la presenza all’interno del Centro di “ospiti affetti da epilessia, epatite, tumore al cervello, gravi patologie psichiatriche, tossicodipendenti” e, al momento della visita del primo dicembre, la presenza di una persona “cui sarebbe stata asportata la milza nel 2018”. “Vi erano numerosi malati psichiatrici all’interno”, racconta un’altra operatrice.

      Persone che vivevano in luoghi sudici. “Gli ambienti erano sporchi, c’erano anche dei topi all’interno delle diverse aree: le pulizie venivano svolte molto superficialmente, tanto che molti ospiti hanno avuto delle malattie epidermiche dovute alle scarse condizioni igieniche -racconta un dipendente-. Ci sono stati anche episodi di scabbia su più ospiti. Agli ospiti non è stato mai consegnato il kit per l’igiene personale, né saponi, né le lenzuola, dovevano arrangiarsi con quello che trovavano all’interno”. Ancora. “Gli ospiti vestivano sempre con la stessa tuta per l’intera giornata, sia di notte sia di giorno. Una volta a settimana avveniva il lavaggio della tuta e se qualcuno non aveva la possibilità di un cambio, restava seminudo fino a quando non venivano riconsegnata la tuta pulita”.

      E poi il cibo avariato: “Poiché erano avanzate delle vaschette di pasta, erano state offerte a noi dipendenti -si legge in una delle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti-. A me sembrava pasta con il gorgonzola, in quanto aveva un odore rancido, poi mi sono accorta invece che era pasta con le zucchine andata a male. Ho cercato di evitare che venisse mangiata dai trattenuti, ma non sono arrivata in tempo, 40 persone hanno avuto un’intossicazione alimentare. Quasi tutti i giorni il cibo era scaduto o avariato”.

      Questo è il quadro, questo è il Cpr di via Corelli. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha pubblicato la scorsa settimana un dettagliato report sulle lacune nella gestione del Cpr, evidenziando anche l’immobilismo della prefettura di Milano. “Dai verbali trasmessi all’Asgi a seguito di accesso civico generalizzato riguardante i verbali delle visite di controllo effettuate dalla prefettura non emerge tuttavia alcuna verifica sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone trattenute nel Cpr, né alcun rilievo da parte dell’amministrazione riguardo della corretta erogazione dei servizi previsti in offerta tecnica”, scrive l’associazione a margine del report. Un paradosso, a cui se ne aggiunge un altro.

      La richiesta dei Pm di sequestrare la struttura arrivata a sorpresa il 13 dicembre 2023 nasce da un motivo ben preciso. Il 17 novembre 2023 la società Martinina, gestita da Alessandro Forlenza (amministratore di fatto), accusato di frode insieme alla madre Consiglia Caruso (fino al 31 agosto amministratrice unica sostituita poi dalla moglie di Forlenza, Paola Cianciulli), si è vista rinnovare il contratto siglato con la prefettura di Milano per la gestione della struttura per un altro anno. La firma di Caruso sul rinnovo è del primo dicembre, il pomeriggio di quando la Gdf ha fatto l’accesso in struttura. Il “nuovo” contratto, pubblicato sul sito della Prefettura, ricalca quello precedente. Non si menziona nessuno dei problemi di gestione da parte di Martinina.

      Un paradosso. Anche perché, dall’ufficio territoriale del Viminale, in seguito alla perquisizione della Guardia di Finanza al centro del primo dicembre, avevano fatto sapere di aver “già avviato un procedimento amministrativo per la contestazione di condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali a seguito di alcune criticità gestionali emerse nei mesi scorsi” che si sarebbe concluso con “l’irrogazione della massima sanzione prevista”. Ma il contratto è stato rinnovato, come detto, come se tutto fosse normale.

      A quali criticità potrebbe riferirsi la Prefettura? “Il verbale dell’ispezione del 18 aprile 2023 -si legge però nel report di Asgi- non viene trasmesso sostenendo di non volere compromettere le verifiche tutt’ora in corso, essendo in corso istruttoria in merito alle spese sostenute per il personale”. Una presunta “massima sanzione” quindi che potrebbe essere riferita a questo specifico punto. Anche perché il 13 novembre il contratto è stato rinnovato. Ecco perché i procuratori Storari e Cavalleri hanno sequestrato la struttura. “Gli elementi testimoniano una situazione di frode non soltanto a oggi in atto ma destinata a proseguire nel prossimo futuro -scrivono- tale situazione di illegalità non potrà prevedibilmente che protrarsi almeno per un ulteriore intero anno”.

      C’è poi un’altra stranezza: dopo che l’Asgi ha inviato il report all’Autorità nazionale anticorruzione, il 10 novembre 2023 la prefettura ha pubblicato il contratto del precedente appalto di gestione del Cpr (all’epoca la società gestita di fatto da Forlenza era la Engel Italia). Le associazioni Dianova, BeFree, l’organizzazione “Musica e Teatro” vengono citate tra i firmatari dei protocolli di intesa presentati anche nell’offerta tecnica di Engel Srl formulata il 26 maggio 2021 per l’aggiudicazione del bando precedente a quello in essere.

      La richiesta della Procura è quella, come detto, del sequestro del ramo d’azienda che gestisce la struttura “senza però determinare la cessazione del Cpr, con l’immissione in possesso di un amministratore”. I magistrati non stanno quindi chiedendo la chiusura del Centro -almeno per ora- ma non è chiaro che cosa succederà e come verrà gestita la struttura. Nel frattempo, venerdì 15 dicembre, si è svolta l’udienza di fronte al giudice per le indagini preliminari per decidere se Martinina potrà in futuro partecipare a bandi pubblici.

      Al di là dell’esito giudiziario della vicenda, si ha un’altra prova dell’orrore di quello che succede nel Corelli, come denunciano da anni diverse associazioni, dalla rete Mai più lager – No ai Cpr al Naga. E non solo. “Emerge il fallimento del sistema Cpr, incluso il caso di Milano -spiega Giulia Vicini, avvocata Asgi-. Si tratta di un fallimento che non riguarda solo le ormai croniche e documentate violazioni dei diritti fondamentali e l’inefficienza, ma anche l’opacità dell’impianto burocratico-amministrativo che concede in appalto la vita delle persone a società private”. “Si entra come persona -ha raccontato un’operatrice agli inquirenti-. Poi viene assegnato un tesserino di riconoscimento con un numero, e a quel punto si diventa numeri e si esce da zombie imbottiti di psicofarmaci”.

      https://altreconomia.it/la-disumanita-nel-cpr-di-milano-e-la-prefettura-rinnova-il-contratto-a-

    • Freddo, cibo scadente e nuovi ingressi. Al Cpr di Milano nulla è cambiato

      Da fine dicembre il centro di via Corelli è gestito da un amministratore giudiziario dopo l’inchiesta della Procura sui mancati servizi erogati dalla Martinina Srl. Un mese dopo manca un direttore e la condizione dei reclusi resta precaria. I nuovi ingressi, inoltre, non si fermano. Un appello chiede ai sanitari coinvolti di prendere posizione

      Riscaldamento rotto, mancanza di coperte, lenzuola di carta velina, cibo ancora scadente: il Cpr di Milano sembra essere lo stesso di sempre a un mese dalla nomina dell’amministratore giudiziario subentrato alla Martinina Srl, l’ente gestore sotto indagine della Procura per aver “promesso” servizi non erogati. “Ho constatato in prima persona che la società resta di fatto ancora alla guida della struttura -spiega Paolo Romano, consigliere regionale del Partito democratico che ha fatto visita al ‘Corelli’ il 17 gennaio- nonostante le accuse relative alla scarsa qualità del cibo, alla mancanza dei servizi psicologici e delle visite mediche. L’unica soluzione a questo punto è la chiusura”.

      Secondo diverse testimonianze raccolte da Altreconomia la situazione sarebbe ancora peggiore di prima. Gli stessi funzionari di polizia non saprebbero a chi rivolgersi quando ci sono problematiche nella struttura anche perché, fino al 17 gennaio, non era ancora stato nominato un direttore. I dipendenti operativi nella struttura sarebbero invece gli stessi. Inoltre, Martinina Srl non avrebbe liquidità per garantire i servizi basilari per le persone ristrette.

      Questa situazione non fermerebbe però i nuovi ingressi: anche perché, per le “regole di appalto”, al di sotto di un certo numero di ospiti, la gestione del centro è in perdita. Un settore della struttura rimane chiuso e di conseguenza la capienza massima è ridotta: una gestione che non vada in perdita taglierà là dove è possibile farlo. “L’affidamento del Cpr al ribasso a soggetti privati fa sì che si perdano anche i pochi servizi che dovrebbero essere garantiti e si aggravino così le violazioni dei diritti umani”, riprende il consigliere Romano.

      Il 29 dicembre 2023 la prefettura di Milano vista “l’assoluta urgenza ed ineluttabilità dell’intervento connesso alle esigenza di sicurezza ed igiene del Centro di accoglienza” ha affidato alla Sfhera Srl, azienda di Milano, lavori per più di 30mila euro destinati a “servizi di manutenzione ordinaria e obbligatoria della centrale termica, degli impianti di raffrescamento e dei presidi antincendio” per garantire “l’efficienza della struttura”. Un’urgenza tale che i lavori vengono affidati “anche nelle more dell’accreditamento dei fondi”. Ma le persone sarebbero ancora al freddo.

      Nel frattempo, l’azienda guidata dall’imprenditore Alessandro Forlenza ha fatto ricorso a inizio gennaio 2024 contro la decisione del Giudice per le indagini preliminari di metà dicembre 2023 di commissariare il Cpr, dandolo in gestione al commercialista Giovanni Falconieri e impedire così alla “sua” Martinina Srl di partecipare a bandi pubblici per un anno. Un provvedimento che si è reso necessario perché, nonostante le indagini e le gravi accuse rivolte alla “gestione” del centro, l’azienda si era vista rinnovare di un anno il contratto da parte della prefettura di Milano il 17 novembre 2023. A quel punto i pubblici ministeri titolari dell’indagine, Paolo Storari e Giovanna Cavalleri, avevano chiesto il sequestro preventivo d’urgenza, poi accolto dal gip Livio Cristofano, perché “gli elementi testimoniano una situazione di frode non soltanto a oggi in atto ma destinata a proseguire nel prossimo futuro -scrivevano- tale situazione di illegalità non potrà prevedibilmente che protrarsi almeno per un ulteriore intero anno”.

      Tra il 2021 e il 2022 in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole)

      Il Cpr nelle parole delle persone sentite dalla Procura di Milano è stato descritto come “un vero e proprio lager” in cui “gli psicofarmaci vengono dati “come fossero caramelle, in alti dosaggi, con uno smodato uso di Rivotril”, come già documentato da Altreconomia nell’aprile 2023. E proprio il tema della salute resta un elemento centrale. Anche per questo motivo, a metà gennaio 2024 la Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), “Mai più lager – No ai Cpr” e l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) hanno rivolto a tutto il personale sanitario un appello per una “presa di coscienza sulle condizioni e sui rischi per la salute delle persone migranti sottoposte a detenzione amministrativa”. Soprattutto per quanto riguarda la valutazione dell’idoneità a fare ingresso nel centro: un “compito” che spetterebbe ai medici del Servizio sanitario nazionale, con diversi profili problematici.

      Da un lato, si chiede ai medici “di attestare in pochi minuti lo stato di salute di persone di cui non conoscono la vita né il percorso migratorio, per l’invio in luoghi che non conoscono, in cui la salute è gestita da enti privati e che molteplici fonti attendibili hanno ormai certificato essere patogeni e rischiosi per la salute delle persone che vi vengono detenute”. Ma non solo. Entra in gioco anche il rispetto del codice di deontologia medica rispetto su diversi profili, tra cui l’obbligo per il medico di “protezione del soggetto vulnerabile” quando ritiene che l’ambiente in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute, dignità e qualità di vita “come di fatto si può configurare il contesto dei Cpr”.

      “I Cpr rinchiudono senza diritti e senza motivazioni persone che non hanno commesso un reato con il solo risultato di togliere loro dignità e renderle vere e proprie bombe sociali. E l’attuale situazione di Milano è insostenibile” – Paolo Romano

      “Secondo te questi animali meritano una visita medica? Devono tornare alla giungla”. Lo avrebbe detto un medico del Cpr di Milano rivolgendosi a un operatore che accompagnava in ambulatorio un recluso. Il diritto alla salute sarebbe stato calpestato su più fronti. Per la necessità del gestore di risparmiare -sempre secondo le ricostruzioni delle persone sentite dalla Procura di Milano- un recluso “non ha potuto effettuare una gastroscopia perché il gestore non pagava il ticket”; un altro, invece, pur avendo il piede fratturato non sarebbe stato visitato “per il rifiuto del gestore di pagare”. Un contesto da tenere conto nel momento in cui si dà l’idoneità alla persona per far ingresso nel Cpr.

      Nel caso di Milano, come denunciato dalla rete “Mai più lager – No ai Cpr” a inizio gennaio di quest’anno, le visite sarebbero svolte da due medici che nel 2021 “comparivano non solo a libro paga di Ats ma anche operanti in questura e soprattutto collaboratori a partita Iva del gestore del Cpr”. Un altro cortocircuito. E con delibera del 29 dicembre 2023, denuncia sempre la rete di attivisti e attiviste, l’Ats di Milano ha nuovamente incaricato i due dottori fino a febbraio con un compenso di 30 euro all’ora. “Se redatta come superficiale nulla osta potrebbe essere contestata e il medico che l’ha firmato coinvolto in sede giudiziaria”, scrivono le organizzazioni nell’appello rivolto agli operatori sanitari. “In coscienza e con cognizione di causa -sottolineano- tenendo presenti i principi fondamentali dell’ordinamento e della deontologia professionale medica, nessuno può essere considerato idoneo ad esservi rinchiuso”. Invece al “Corelli” di Milano si continua ad entrare. Come se niente fosse.

      Il 29 dicembre 2023 la Prefettura di Milano ha saldato un pagamento di 170mila euro alla Martinina Srl che comprende anche un “acconto per l’amministratore giudiziario”. Non è però specificato a quanti e quali mesi di gestione si riferiscono e quindi è impossibile, ricostruire a quanto ammonta la “massima sanzione” che l’ufficio milanese del Viminale, a inizio dicembre, ha dichiarato di aver applicato per la “malagestione” del Cpr. “Va chiuso, lo ribadisco -conclude il consigliere Romano-. I Cpr rinchiudono senza diritti e senza motivazioni persone che non hanno commesso un reato con il solo risultato di togliere loro dignità e renderle vere e proprie bombe sociali. E l’attuale situazione di Milano è insostenibile”.

      https://altreconomia.it/freddo-cibo-scadente-e-nuovi-ingressi-al-cpr-di-milano-nulla-e-cambiato

    • Milano: Ancora violenze poliziesche nel cpr di via Corelli

      Ancora violenze di polizia contro i migranti reclusi nel Cpr di via Corelli, il centro permanenza e rimpatri finito sotto sequestro dopo un’inchiesta della procura di Milano che aveva certificato le condizioni disumane dei migranti all’interno. Nella serata di sabato una protesta contro le condizioni di reclusione, che nonostante il commissariamento avviato dopo l’azione della Procura non sono migliorate, ha preso vita nel cortile del centro, dove due persone si sono spogliate.

      Una volta rientrate nelle stanze è giunta la rappresaglia da parte di alcuni agenti della guardia di finanza che in assetto antisommossa, hanno punito a suon di manganellate i due migranti protagonisti della protesta che sono poi stati portati in infermeria: “uno con una gamba visibilmente rotta e l’altro, il più giovane, quasi esanime , in braccio”, afferma pubblicando un video la rete “Mai più lager – No ai Cpr” (https://www.facebook.com/watch/?v=1114485583309953). I due sono stati anche denunciati per resistenza a pubblico ufficiale.

      https://www.osservatoriorepressione.info/milano-ancora-violenze-poliziesche-nel-cpr-via-corelli

  • Inchiesta sul gestore del #Cpr di Milano: tra falsi protocolli e servizi non erogati

    Altreconomia ha potuto visionare l’offerta tecnica presentata dalla società Martinina Srl alla prefettura di Milano per aggiudicarsi l’appalto da oltre 1,2 milioni di euro per la gestione della struttura in #via_Corelli: alcuni degli accordi stretti con associazioni e Ong “esterne” per migliorare la vita dei trattenuti non sarebbero autentici

    Lenzuola non distribuite, raro utilizzo dei mediatori culturali, tutela legale inesistente, assistenza sanitaria carente. Ma soprattutto falsi protocolli d’intesa “siglati” per svolgere servizi e attività all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano.

    Altreconomia ha potuto visionare l’offerta tecnica presentata dalla società Martinina Srl alla prefettura di Milano per aggiudicarsi l’appalto da oltre 1,2 milioni di euro per la gestione della struttura: oltre alla discordanza tra quanto scritto nei documenti e la realtà nella struttura di reclusione, alcuni degli accordi stretti con associazioni e Ong “esterne” per migliorare la vita dei trattenuti sarebbero falsi.

    Altri invece sarebbero stati siglati con soggetti di cui non è stato possibile trovare alcuna traccia online. “Viene da chiedersi in che cosa consista il controllo effettuato dalla prefettura, essendo risultata evidente l’assenza di servizi all’interno del centro oltre che palesi le incongruenze negli atti e nei documenti versati nella gara di appalto”, osserva l’avvocato Nicola Datena dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che ha visionato la documentazione insieme a chi scrive.

    Alcuni snodi temporali. Martinina Srl nell’ottobre 2022 si è aggiudicata l’appalto per un anno (scadenza il 31 ottobre 2023, rinnovabile di un anno in assenza di nuove gare pubbliche) indetto dalla prefettura di Milano presentando un’offerta in cui garantiva, tra le altre cose, la collaborazione con diverse associazioni e società profit, finalizzata ad assicurare l’erogazione di “servizi” da integrare nella gestione del Cpr.

    L’offerta tecnica consiste nella documentazione da presentare in sede di gara d’appalto che descrive come l’impresa intende eseguire il lavoro per l’ente che richiede la prestazione, ovvero il piano di lavoro, le fasi e le risorse impiegate, la durata e le ore di lavoro previste, eventuali migliorie richieste o proposte

    Protocolli forniti in sede di gara ed esaminati dalla Commissione giudicatrice, la quale, nella decisione di assegnare l’appalto alla società domiciliata in provincia di Salerno, sottolinea l’importanza del “valore delle proposte migliorative dell’offerta tecnica”. Un “dettaglio” sfugge però ai funzionari della prefettura: almeno otto sarebbero falsi. Eccoli.

    Secondo la documentazione contrattuale, il Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), una delle più importanti organizzazioni del Terzo settore del nostro Paese, avrebbe firmato un protocollo con Martinina l’8 agosto 2022 volto alla formazione del personale del Cpr. Il nome del responsabile legale non corrisponde però ad alcun referente dell’organizzazione: “Ribadiamo l’assoluta estraneità del Vis e l’assenza di qualsiasi tipo di contatto o accordo, passato e presente, relativo alla gestione del Cpr di via Corelli. E ci tengo a precisare che come Ong salesiana abbiamo una visione della migrazione fondata sui diritti umani, distante dall’approccio applicato nei Cpr, con cui in ogni caso le nostre policy ci impedirebbero di collaborare”, spiega ad Altreconomia Michela Vallarino, presidente del Vis.

    Sono 59 invece le pagine dell’accordo tra Martinina e la cooperativa sociale BeFree, uno dei più importanti enti antitratta italiani con sede a Roma, per la realizzazione del progetto “Inter/rotte” per l’assistenza per vittime di tratta e violenza. “Non avremmo mai potuto firmare un simile protocollo -spiega Francesca De Masi (qui la sua presa di posizione integrale)- perché siamo fortemente critiche nei confronti della stessa esistenza dei Cpr”. Il presunto protocollo è talmente grossolano che il nome del legale rappresentante è sbagliato e di conseguenza anche il codice fiscale generato.

    Ala Milano Onlus secondo l’accordo dovrebbe invece garantire “prestazioni di natura di mediazione linguistica/culturale”. Il presidente, contattato da Altreconomia, dichiara però di non aver mai siglato quel protocollo. Così come Don Stefano Venturini, l’allora parroco della comunità pastorale delle parrocchie di San Martino in Lambrate e SS Nome di Maria, che si sarebbe impegnato, secondo le carte consultate, “a orientare, aiutare gli ospiti prestando attenzione specifica a quanto le persone esprimono”. “Ho incontrato una volta chi gestisce la struttura ma non ho mai siglato un protocollo”, spiega Venturini ad Altreconomia, aggiungendo, tra l’altro, come sia di competenza della curia diocesana un eventuale accordo formale. Nell’offerta inviata alla prefettura, Martinina ha allegato il decreto di nomina di Venturini emesso dall’arcivescovo Mario Enrico Delpini. “Non so come abbiano fatto ad averlo”, spiega ancora l’interessato.

    L’accordo con la società sportiva Scarioni 1925 risulta stipulato il 24 agosto 2022 dall’ex presidente, che però è morto nel febbraio 2020: un post sulla pagina Facebook della società stessa, datato 31 marzo 2020, porge le condoglianze alla famiglia per la sua scomparsa. Il Centro islamico di Milano e Lombardia avrebbe siglato un accordo con Martinina per garantire il sostegno spirituale all’interno del centro. “La carta intestata è di un centro di Roma, la firma del protocollo di un centro di Cologno Monzese -spiega il presidente Ali Abu Shwaima-. Noi non abbiamo mai visto quel protocollo”. L’associazione Dianova Onlus garantirebbe assistenza per i trattenuti con tossicodipendenza: la prefettura sembra non essersi accorta però che il protocollo risulta firmato nell’agosto 2022 solo da Martinina Srl. “Non ho mai sentito questa società -spiega il presidente Pierangelo Buzzo, a cui è intestato l’accordo- e tra l’altro dal febbraio 2021 siamo cooperativa sociale, non più associazione. Il protocollo è falso”.

    Diverso è il caso della Associazione di Volontariato “Il Paniere Alimentare”, dell’Organizzazione “Musica e Teatro” e dell’Associazione “Fiore di Donna”, dei quali non solo non è stato possibile riscontrare alcun riferimento online, ma di cui i codici fiscali inseriti nei protocolli risultano inesistenti, così come gli indirizzi mail di riferimento. La “Bondon grocery” dovrebbe riconoscere “agli ospiti del Cas e agli operatori della Martinina Srl che acquistano per conto delle persone trattenute nel Cpr uno sconto del 5% sulla spesa effettuata”: il protocollo firmato nell’agosto 2022 reca in intestazione la denominazione della società, che ha però cessato l’attività il primo luglio 2021.

    Dianova, BeFree, l’Organizzazione “Musica e Teatro” vengono citati tra i protocolli di intesa presentati anche nell’offerta tecnica presentata da Engel Srl il 26 maggio 2021 per l’aggiudicazione del bando precedente a quello in essere. La prefettura di Milano ha pubblicato i documenti integrali -contratto siglato dalla società e offerta tecnica- il 10 novembre 2023.

    Tornando ai protocolli siglati da Martinina Srl, questi danno uno spaccato della vita nel centro che appare molto distante della realtà. Attività ludico-ricreative, per “impegnare le giornate degli ospiti e rendere più piacevole il trascorrere del tempo”, cineforum, laboratori di teatro, musicali, sport. Addirittura “campagne di prevenzione della salute”. Ma niente di tutto questo si sarebbe mai verificato nella struttura. Sia per i numerosi report prodotti nel tempo da diversi soggetti, dall’Asgi al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, fino agli stessi verbali delle visite di monitoraggio redatti proprio dalla prefettura.

    Così l’accesso ai servizi di mediazione linguistica-culturale, previsto nell’offerta, non si riscontra affatto nella realtà: in questo caso è l’Asgi, durante una delle visite d’accesso, a non incontrare alcun mediatore e dal Naga, che ha recentemente pubblicato un dettagliato report sulla situazione all’interno del centro. Oppure l’orientamento legale, anche questo assicurato sulla carta da Martinina Srl, addirittura con la “diffusione di materiale informativo tradotto nelle principali lingue parlate dagli stranieri presenti nel centro” ma che non trova riscontri. È il Garante, questa volta, a scrivere nel febbraio 2023 che l’informativa cartacea “non viene consegnata alle persone trattenute”. Problematico anche l’accesso ai servizi sanitari: nell’offerta tecnica si assicura “al ricorrere delle esigenze la somministrazione di farmaci e altre spese mediche” ma al di fuori degli psicofarmaci -che, come raccontato da Altreconomia nell’inchiesta “Rinchiusi e sedati”, su cinque mesi di spesa rappresentano il 60% degli acquisti in farmaci- sempre il Garante scrive che “l’assistenza sanitaria in caso di bisogno si limita alla distribuzione della tachipirina”. E c’è uno scarso accesso alle visite specialistiche. Emergono poi acquisti di distributori di tabacchi non presenti nel centro, colloqui con lo psicologo non documentati, addirittura la fornitura di “cestini da viaggio” in caso di trasferimenti da un Cpr all’altro, discrepanze anche relative alla qualità del cibo distribuito.

    All’impatto sulla vita delle persone se ne aggiunge uno di natura economica. Secondo dati inediti consultati Altreconomia, infatti, la prefettura di Milano avrebbe già versato a Martinina Srl oltre 943mila euro per la gestione della struttura di via Corelli. Ed è rilevante anche l’avvicendamento delle società gestite dall’imprenditore Alessandro Forlenza. Lui, nel 2012 fonda la Engel Italia Srl, ex gestore del “Corelli” di Milano e del Cpr di Palazzo San Gervasio a Potenza: oggi quella società non esiste più perché il 20 ottobre 2023 è stata definitivamente “inglobata” nella Martinina Srl, a cui inizialmente era stato ceduto il ramo d’azienda che si occupava della detenzione amministrativa. La società è formalmente in mano a Paola Cianciulli, moglie di Forlenza, che è attualmente l’amministratrice unica dopo l’uscita di scena di Consiglia Caruso (la firmataria di tutti i protocolli d’intesa sopra citati), che il 31 agosto 2023 ha ceduto i mille euro di capitale sociale. A lei restano intestate due società con sede a Milano: l’Edil Coranimo Srl, che si occupa di costruzioni, e dal febbraio 2023 l’Allupo Srl che ha sede proprio in via Corelli, nel numero civico successivo al Centro per il rimpatrio. Una dinamica che desta interesse: l’oggetto sociale della Allupo Srl è molto diversificato e oltre alla ristorazione in diverse forme (da asporto o somministrazione diretta) è inclusa anche la possibilità di “gestione di case di riposo per anziani, case famiglia per minori, Cas, Sprar, Cara e Cpr”.

    La Martinina Srl ha altre due sedi attive: una a Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove è arrivata seconda nella gara di assegnazione della nuova gestione del Cpr precedentemente dalla Engel, vinto da Officine Solidali nel marzo 2023, un’altra a Taranto, per la gestione del Cas Mondelli che accoglie minori stranieri non accompagnati. L’ultimo bilancio disponibile è del 31 dicembre 2021 con importi ridottissimi: appena 2.327 euro di utili “portati a nuovo”. A quella data ancora non era attivo il Cpr di via Corelli. C’è un terzo soggetto, però, nella “sfera Martinina” con ben altri risultati: si tratta della Engel Family Srl nata nell’ottobre 2020 con in “dotazione” 250mila euro derivanti da Engel Srl. Paola Cianciulli è nuovamente amministratrice e socia unica della società che si occupa di “locazione immobiliare di beni propri o in leasing” che al 31 dicembre 2021 (l’ultimo disponibile) conta un valore della produzione complessivo di poco superiore a 372mila euro.

    Ai milioni di euro per la gestione se ne aggiungono altri (ne hanno parlato anche ActionAid e l’Università degli studi di Bari nel recente dettagliato rapporto “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri”) se si prende in considerazione, documenti ottenuti da Altreconomia alla mano, anche l’esborso dovuto alla costante manutenzione che si rende necessaria anche a causa delle ricorrenti proteste dei trattenuti. Da inizio 2020 al marzo 2023 in totale sono stati spesi più di 3,3 milioni di euro di cui il 58% è stato impiegato per lavori di adeguamento della struttura, manutenzione o interventi di ripristino dei luoghi danneggiati. Anche perché, spesso, le strutture già in partenza sono spesso fatiscenti: il 15 settembre 2021 Invitalia, l’Agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia (già attiva nel campo delle migrazioni sul “fronte libico”), ha pubblicato un bando da 11,3 milioni di euro su mandato del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, proprio per la manutenzione straordinaria dei Centri di permanenza per il rimpatrio di tutta Italia. Ad aggiudicarsi i lavori del Cpr di Milano in via Corelli -di cui abbiamo inserito le foto inserite nel progetto di ristrutturazione- è stata la Tek Infrastructure, società con sede a Palermo da 1,6 milioni di euro di fatturato nel 2021, con un ribasso del 20%. Ma tra i pagamenti effettuati dalla prefettura fino al marzo 2023 a fare da “padrona” sulle manutenzioni è la Masteri Srl -non è possibile escludere perciò un subappalto- con quasi 620mila euro ricevuti in tre anni.

    Fiumi di denaro pubblico che richiederebbero controlli estremamente approfonditi. Dai verbali delle ispezioni prefettizie, però, non emerge una verifica dettagliata di quanto avviene nella struttura. In uno dei verbali, infatti, alla domanda “La fornitura degli effetti letterecci avviene regolarmente e secondo le tempistiche e modalità previste dallo Schema di Capitolato vigente?”, il funzionario della prefettura barra “Sì”. Ma nella nota integrativa sottostante, riportata in calce al verbale, si legge che “ai 25 trattenuti non viene richiesto di firmare la consegna/ritiro degli effetti letterecci”. Risultano perciò incomprensibili le basi su cui viene affermata l’effettiva consegna di questi oggetti.

    Assente qualsiasi considerazione sul rispetto dei diritti fondamentali e sulla corretta esecuzione dei servizi presenti nell’offerta tecnica. “Il monitoraggio da parte della società civile si conferma essere uno strumento fondamentale. Se quanto emerso verrà confermato nelle sedi opportune viene da chiedersi chi controlla i controllori”, conclude l’avvocato Datena. Intanto, le claudicanti promesse di Martinina Srl hanno potuto circolare a piede libero, a differenza dei reclusi. Con il rischio che alla sofferenza si sia aggiunta la beffa del racconto di una quotidianità inesistente.

    https://altreconomia.it/inchiesta-sul-gestore-del-cpr-di-milano-tra-falsi-protocolli-e-servizi-
    #détention_administrative #rétention #Italie #Milan #privatisation #Martinina #via_corelli #business #Volontariato_internazionale_per_lo_sviluppo (#Vis) #BeFree #Inter/rotte #Ala_Milano #società_sportiva_Scarioni_1925 #Centro_islamico_di_Milano_e_Lombardia #Dianova #Il_Paniere_Alimentare #Musica_e_Teatro #Fiore_di_donna #Bondon_grocery #Engel #Alessandro_Forlenza #Paola_Cianciulli #Consiglia_Caruso #Edil_Coranimo #Allupo #Tek_Infrastructure #Masteri

  • La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
    #spéculation #terres #énergie #transition_énergétique #compétition #agriculture #photovoltaïque #énergie_solaire #panneaux_solaires #sol #agrivoltaico #fermes_solaires #ferme_solaire

    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • First refugees arrive in tiny Catalan villages under repopulation plan

    Orwa Skafe, who fled Syria seven years ago, is among those given jobs and a home in attempt to revive rural areas.

    It’s been a long journey since Orwa Skafe fled the war in Syria seven years ago but thanks to an innovative resettlement scheme he’s found peace in a tiny village 900 metres (3,000ft) up in the Pyrenees. He is one of the first to benefit from a Catalan government programme to relocate refugees in depopulated villages.

    The programme, called Operation 500 because it involves villages with fewer than 500 inhabitants, is being run jointly by the regional employment agency, the equality commission and the Association of Micro-villages.

    The scheme, which runs for one year, provides participants with a home and a salary of €19,434 (£16,700) paid via the local authority, which also organises work for them. The programme is open to refugees, asylum seekers and immigrants who are legal residents.

    So far, 30 families have been accommodated, 24 of them refugees.

    “Up till now the system of dealing with refugees has been very centralised and focused on major cities,” said Oriol López Plana, a facilitator at the Association of Micro-villages, which helps participants integrate, learn the language and become independent.

    “The programme aims to integrate people in villages where there’s a social network and then, if they want to move to the city, they can.

    “There’s a similar system in France. The difference here is we create a social fabric, we run mentoring and communitarian programmes, in both the work and social spheres.”

    Skafe, who comes from the coastal town of Latakia where he worked as an English teacher, left Syria in 2015 and went to Haiti because, he says, it was the only place he could go to legally.

    “It turned out that Haiti is even more dangerous than Syria,” he said, so he made his way to Spain and arrived in Barcelona in January this year. A month later he was granted asylum.

    He now lives in Tírvia, a remote, mountaintop village of 130 souls close to the border with France, although Skafe says in reality the population is more like 50. He’s employed by the local authority doing maintenance and cleaning.

    “I’m very happy here,” he said, freely mixing Spanish and English. “What I want most of all is peace. I like Barcelona but there are too many people. I love nature, which is why I wanted to join this programme.

    “I’m learning Catalan, poc a poc [little by little]. Everyone in the village is Catalan. I’m the only foreigner. I don’t understand much but I’m patient and I’m not afraid to learn new languages.

    “People are very welcoming, everyone talks to me, they offer me help or to do my shopping. That’s the case for 90%. Of course, there are always people who don’t like strangers.”

    He hopes that his wife and child, who are still in Syria, will be able to join him once he obtains a residency permit, but sees no prospect of returning to Syria.

    “I want to stay in the village when the programme ends and I want my family to live here with me. I’m going to work hard to stay here.”

    https://www.theguardian.com/world/2022/dec/11/catalan-villages-refugees-repopulation-plan

    #repeuplement #réfugiés #Espagne #asile #migrations #accueil #rural #Tírvia #montagne #Tirvia #Pyrénées #Catalogne #Operation_500 #plan_repeuplement

    • #Oportunitat500 - Vols optar a una plaça de tècnic?

      Acollida de persones migrades i refugiades per aconseguir el seu l’establiment sostenible i arrelament progressiu. Participa en l’acollida omplint el formulari que trobaràs a la notícia.

      L’objectiu del projecte Oportunitat500 és que els micropobles de Catalunya donin resposta a l’acollida de persones migrades i refugiades per aconseguir el seu l’establiment sostenible i arrelament progressiu. Per assolir aquest objectiu, aquest projecte s’estructura en tres línies estratègiques: participació dels micropobles, participació de les persones migrades, i comunicació.
      La participació dels micropobles és una línia estratègica perquè aquest projecte busca garantir i fomentar la sobirania del territori. Per aconseguir aquest objectiu específic s’han dissenyat una sèrie de processos participatius on els micropobles podran dissenyar i implementar estratègies locals per implementar el projecte.
      Les persones migrades han de prendre la decisió conscient de voler-se desplaçar a un micropoble. S’ha dissenyat un procés d’acompanyament a les persones migrades i refugiades per tal que optin pels micropobles com una opció de vida. Aquest acompanyament passa per tallers de treball de l’imaginari on s’explica què és Catalunya i com són els micropobles d’una manera vivencial, unes visites als municipis, un acompanyament per prendre la decisió conscient de voler-se desplaçar al micropoble, un seguiment en el desplaçament, i un enllaç amb el teixit social del territori.
      Al ser un projecte amb un fort component d’innovació, Oportunitat500 ha creat un pla de comunicació per tenir una veu pròpia que situï els micropobles i el mon rural de Catalunya en una posició de rellevància en l’acollida de persones migrades i refugiades.

      https://www.youtube.com/watch?v=JXlhnPro0n4


      https://www.micropobles.cat/actualitat/5625/oportunitat500---vols-optar-a-una-placa-de-tecnic

      #micro-pobles #Oportunitat_500

    • Programa de suport a la implementació de les PAO en municipis de menys de 500 habitants de Catalunya (SOC – MICROMUNICIPIS)

      El Programa de suport a la implementació de les #Polítiques_Actives_d'Ocupació (#PAO) en municipis de menys de 500 habitants de Catalunya es tracta d’una política de foment de l’ocupació que, mitjançant els projectes de millora de l’ocupabilitat de les persones treballadores en situació d’atur i les persones treballadores, permet adquirir experiència laboral en un entorn real de treball, i que obtinguin la qualificació o les capacitats necessàries, per a la seva inserció laboral.

      Els ajuntaments dels municipis de menys de 500 habitants solen estar agrupats territorialment, singularitat que afavoreix la seva sinergia de treball mancomunat i de treballar en conjunt en programes col·lectius per donar resposta a necessitats i problemàtiques concretes.

      L’objectiu d’aquest Programa és implementar les polítiques actives d’ocupació en municipis de menys de 500 habitants de Catalunya. Aquests municipis per la seva mida i capacitat tècnica i econòmica tenen menys recursos per presentar-se a les convocatòries anuals del SOC en l’àmbit del foment de l’ocupació i el desenvolupament econòmic local.

      Les actuacions subvencionables són les següents:

      - Actuació de contractació laboral.
      - Actuació de formació.
      - Actuació d’acompanyament.

      https://serveiocupacio.gencat.cat/ca/entitats/subvencions-desenvolupament-local/programa-de-suport-a-la-implementacio-de-les-pao-en-municipis

  • On veille, on pense à tout à rien
    On écrit des vers, de la prose
    On doit trafiquer quelque chos’
    En attendant le jour qui vient

    Presentazione del libro di Paolo Virno « Dell’impotenza. La vita nell’epoca della sua paralisi frenetica » (Bollati Boringhieri) (21.03.2022) - Radio Radicale
    https://www.radioradicale.it/scheda/663613/presentazione-del-libro-di-paolo-virno-dellimpotenza-la-vita-nellepoca

    De l’impuissance - La vie à l’époque de sa paralysie frénétique
    http://www.lyber-eclat.net/livres/de-limpuissance

    Les formes de vie contemporaines sont marquées par l’impuissance, hôte importun de nos journées infinies. Que ce soit en amour ou dans la lutte contre le travail précaire, l’amitié ou la politique, une paralysie frénétique saisit l’action ou le discours quand il s’agit de faire ou de dire ce qu’il conviendrait de dire et faire. Mais, paradoxalement, cette impuissance semble due non pas à un déficit de nos compétences, mais plutôt à un excès désordonné de puissance, à l’accumulation oppressante de capacités que la société contemporaine arbore comme autant de trophées de chasse accrochés aux murs de ses antichambres. Virno poursuit ici son étude systématique du langage contemporain où s’exprime toute la complexité de notre modernité et qui témoigne de cette inversion des sens qui attribue la puissance au renoncement, ou la détermination au fait de taire ce qu’il nous faudrait dire. Livre sur le langage, De l’impuissance indique de loin les formes possibles d’un antidote, d’une voie de salut, qui nous ferait « renoncer à renoncer », et « effacer l’effacement de notre propre dignité ».

    LA PUISSANCE SANS ACTE, Stefano Oliva
    https://lundi.am/La-puissance-sans-acte

    À parcourir l’œuvre singulière de Paolo Virno (...), on a l’impression qu’il a suivi deux chemins distincts, depuis ses premiers écrits des années 80, au sortir des années de préventive passées dans la cellule 11 du secteur des « politiques » de la prison de Rebibbia, sous le chef d’inculpation d’« association subversive » et « constitution de bande armée », jusqu’aux récents volumes, plus concentrés sur les questions du langage. Mais à s’y pencher de plus près, une fois qu’on l’a suivi sur l’un et l’autre chemin, il semble évident que, comme dit l’autre, « le chemin est un seul et le même ».

    De l’impuissance. La vie à l’époque de sa paralysie frénétique, traduit de l’italien par Jean-Christophe Weber, qui vient de paraître aux éditions de l’éclat, rend bien compte à la fois de ces deux chemins et du moment où ils se confondent. En témoigne peut-être, sous la forme d’une étonnante confession, cette phrase du troisième chapitre : « À partir de là, que la fête commence, en même temps que la question la plus difficile, à savoir un de ces casse-tête qui exaspèrent et fascinent ceux qui, après l’échec de la première et unique tentative de révolution communiste au sein du capitalisme pleinement développé, n’ont rien trouvé de mieux à faire pour tuer le temps. » Paru en italien sur le site fatamorganaweb.it, voici la traduction d’un compte rendu de Stefano Oliva, philosophe et guitariste, actuellement chercheur à l’Université romaine Guglielmo Marconi, sur ce livre important qui décrit cet état d’impuissance par « excès de puissance » et de renoncement généralisé dans lequel nous nous trouvons, et auquel Virno suggère de répondre par un « renoncement au renoncement », qui ouvrirait la voie à un mode d’action non frénétique.

    #Paolo_Virno #livre #travail_précaire #précariat #general_intellect #langage #capitalisme

  • Mattarella et le passé opprimé, Paolo Virno
    https://lundi.am/Mattarella-et-le-passe-opprime

    Cet article, qui fut proposé sans succès au quotidien Il Manifesto et a finalement paru sur le site de la revue en ligne Machina, est un exercice sarcastique sur le discours que Sergio Mattarella, Président de la république italienne, a tenu le 9 mai 2021, pour rappeler l’anniversaire de l’assassinat d’Aldo Moro, président de la Démocratie chrétienne, par les Brigades Rouges, perpétré le 9 mai 1978.

    Tout en affirmant que « la contestation de 1968 a représenté une forte stimulation pour le développement de modèles de vie aspirant à plus de justice et de cohésion sociale » (sic) et que « jamais la République [italienne] n’a identifié dans le conflit des opinions et leur confrontation un danger ou un ennemi » (re-sic), Mattarella a profité de l’occasion pour condamner les révoltes de masse des années 70, et leur intransigeance quelquefois violente, sans manquer de remercier le président Macron qui, quelques jours plus tôt, venait de lui offrir et d’offrir à son nouveau président du conseil et premier-de-la-‘classe’, Mario Draghi, l’extradition de Giovanni Alimonti, Luigi Bergamin, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli, Maurizio Di Marzo, Narciso Manenti, Marina Petrella, Giorgio Pietrostefani, Raffaelle Venura et Sergio Tornaghi réfugiés en France depuis quarante ans. Il a parlé d’une « guerre asymétrique », c’est-à-dire unilatérale, contre l’État démocratique.

    Cet article imagine – non sans quelque ironie sarcastique, justement – le discours que le Président Mattarella aurait pu et dû tenir en rappelant les innombrables victimes des balles ‘démocratiques’. Dans la seconde partie, il reconstruit à grands traits l’enjeu des luttes des années 70 : la première et unique tentative de révolution communiste au sein d’un capitalisme pleinement développé. Tentative manquée, mais qu’on ne peut nullement comparer à l’histoire d’un fou racontée par un poivrot.

    #autonomie #histoire #Italie #Paolo_Virno

  • Dans les recoins de la double page (Paged.js à la maison, saison 2) | Polylogue
    https://polylogue.org/apres-la-page-la-double-page

    XML est très intéressant, mais s’articule avec des outils d’écriture (traitement de texte, notamment). Or on ne peut faire abstraction de l’aspiration à sortir des traitements de texte, de la multiplication d’outils alternatifs. Inspiré par le html et aussi par les langages de balisage léger, comme Markdown (qui permet de constituer une structure simple de html standard sans avoir à subir visuellement le code, et a été créé pour faciliter l’écriture, ce qu’on appelle le flow, d’un blogueur), je me suis demandé si on ne pourrait pas utiliser le flux html + css pour faire le livre, mais également, pour proposer des modalités d’écriture et d’inclusion de l’auteur et du designer dans un processus éditorial.

    Il ne s’agit pas d’automatiser la mise en page, c’est un point sur lequel j’insiste, car les flux html + css ont tendance à faire fantasmer certains éditeurs qui se disent qu’ils vont pouvoir automatiser d’avantage, voire se passer de compositeur. À eux je souhaite bonne chance, surtout s’ils sont un minimum exigeants sur la qualité de composition. Non, c’est une autre manière de composer, tout comme markdown offre une autre manière d’écrire que Word, l’idée restant de fournir au compositeur une palette suffisamment complète pour lui permettre de bien travailler. Les gens, leurs savoir-faire ont toute leur place, et il s’agit plutôt de leur proposer une palette alternative suffisamment complète pour qu’ils et elles puissent s’exprimer.

  • Et toujours le même constat : un type qui se revendique « catholique extrémiste » et qui semble totalement correspondre aux stéréotypes de l’extrême-droite survivaliste tue 3 gendarmes, mais parmi les dizaines et dizaines d’articles répertoriés sur la page de Google Niouzes, il y en a un seul qui indique dans son titre qu’il était un extrémiste chrétien, et aucun qui suggère qu’il était d’extreme-droite. (LCI trouve même le moyen de le qualifier de « tireur sportif ».)

    On en est déjà à évoquer ses antécédents psychiatriques. Comme pour le type abattu à Avignon fin octobre, qui se revendiquait de Génération identitaire.

    • « tireur sportif » ça laisse aussi entendre qu’il fréquentait les flics (et pas que) au stand de tir. Finalement c’est peut être ça qui en dit le plus. Mais les vrais qualificatifs sont éludés, c’est vrai.

    • Tireur sportif, ça veut juste dire qu’il avait le droit aux armes de guerre, au delà du fusil de chasse, en gros. Ce qui explique probablement le carnage, mais c’est difficile à dire, les infos étant effectivement lacunaires.

    • Un Famas c’est de l’A2, donc effectivement interdit. Par contre, un FM en mode semi-auto semble possible pour le tir sportif c’est de l’A1 avec dérogation.
      Mais bon, comme il s’agit pas de terrorisme islamique, on a pas beaucoup d’infos.

    • Selon Libération, c’est un AR15 (version civile du M16). Libération le qualifie d’ailleurs de survivaliste chrétien d’extrême droite. Autant de morts qu’à Nice, 10 fois moins d’echo.

    • Ok il était ancien #militaire, catholique traditionaliste, survivaliste d’extrême droite, mais c’est pas autre chose a priori qu’un #féminicide manqué qui s’est transformé en un accrochage meurtrier avec les gendarmes suivi d’un suicide. Certes, la presse insiste pas sur le côté faf (dédiabolisation partout) mais cet accident du travail de police n’a rien à voir avec le terrorisme. (Ou alors il faut appeler terrorisme, les féminicides, et ça demande des développements, voire la menace latente ou manifeste subie par les femmes de la part des hommes).
      Ce qui est emmerdant dans l’affaire c’est la manière dont le gouvernement utilise la mort de ces gendarmes pour nous raconter que les femmes sont protégées des hommes. (j’entends à cette occasion que la gendarmerie à elle seule interviendrait toutes les 4 minutes sur des « différents familiaux », situation parmi les plus dangereuses pour les forces de police).

    • Effectivement, c’est pas du terrorisme. Mais ça fait autant de morts, ça transforme le lieu d’une arrestation en zone de guerre et l’effet de sideration devrait être le même. Sauf que non.
      Quand a savoir lequel du feminicide ou du carton de flics est le pretexte de l’autre, difficile à dire à ce stade de l’enquête. Ce qui est clair, c’est que si feminicide il y aurait du avoir, il aurait eu lieu vu la facilité deconcertante avec laquelle il a buté les flics- flinguer son ex aurait été une formalité . Donc, oui, il y a peut etre terrorisme latent.

    • (Ou alors il faut appeler terrorisme, les féminicides, et ça demande des développements, voire la menace latente ou manifeste subie par les femmes de la part des hommes).

      La menace latente et manifeste subie par les femmes de la part des hommes est bien du terrorisme. Du terrorisme sexuel https://seenthis.net/messages/892656 ici des attaques en meute place Tahrir en 2014.
      Et si « cet accident du travail de police » n’a rien à voir avec le terrorisme. Il semble avéré quand même que ce n’est pas un accident mais un guet-apens. Si le tueur n’a pas supprimé sa compagne, il s’était préparé à l’intervention de la gendarmerie (400 flics en tout). Il en a buté trois et blessé un autre, le bilan aurait pu être bien plus lourd.

    • Il a tué quatre gendarmes juste après l’arrivée des premiers renforts. C’est ensuite, lorsqu’il était en fuite, que 400 gendarmes ont été mobilisés, avant qu’il ne se suicide.
      Il n’y a pas de guet-apens. Il cogne sa compagne, des gendarmes alertés arrivent, distinguent une arme, appellent des renforts, et là, ce type met en route ce pour quoi il s’était programmé : utiliser son équipement de fana mili survivaliste.

    • Perso, la question de savoir si c’est du terrorisme ou pas m’importe peu. Ce qui m’intéresse, c’est la différence de traitement.

      Corlporteur, tu écris :

      ce type met en route ce pour quoi il s’était programmé : utiliser son équipement de fana mili survivaliste

      Si un type isolé, totalement déséquilibré, se « programme » pour commettre un attentat - dont l’issue suicidaire est évidemment connue - en tuant des juifs et/ou en criant Allah Akhbar, les titres des journaux n’hésiteront pas à tous titrer sur le terrorisme islamique.

      Je suppose que c’est ce que veut dire aussi Lefayot avec l’expression « terrorisme latent ». Le fond de commerce idéologique/religieux/masculiniste… du gars mène assez logiquement à ça. Et je pense que pour un autre fond de commerce idéologico-religieux tout aussi masculiniste, la question du terrorisme ferait déjà la Une.

    • Oui je pensais justement à ça c.a.d aux mass murders en série aux USA. Et ça commence à devenir du terrorisme revendiqué comme tel par les auteurs (en fait, ça l’est depuis un moment). Le cinglé du puy de dome était amha dans ce cas là. A deux doigts de franchir le pas qu’il a franchi quand les flics se sont pointés. Mais je pense qu’il rêvait de faire un carton depuis un moment (en plus les flics c’est la milice de l’etat profond, tout bénef)

    • Vous vous souvenez que les meurtriers de masse ne tuent pas souvent des policiers ou des gendarmes mais bien plutôt des civils désarmés (et souvent les plus désarmés possible, scolarisés pour l’essentiel, ou femmes pour un exemple québécois, etc). Pour terroriser, l’idéal est de s’en prendre à des « innocents » que ni les policiers ni les gendarmes ne sont puisqu’il sont potentiellement des meurtriers avec l’aval de la société qui les arme.

      Ici, on est dans un contexte militaire, sans victime civiles. Notons à ce propos de ce passage à l’acte là que ce gars a vite perdu (dans quelles circonstances ?) le cadre contenant (l’armée) qu’il s’était choisi...

      Il me semble qu’il faut distinguer ses actes (le contexte et les hypothèses qui peuvent l’expliquer) d’un traitement médiatique qui je le répète « dédiabolise » aussi souvent que possible l’extrême droite bien au delà de ce que le FN avait entrepris pour son compte (tout comme le fait de réhabiliter Pétain dans le débat public n’est plus une spécificité de Zemmour, Sarkozy et Macron étant entée dans le game). C’est aussi comme ça que le rôle du faf indic Hermant dans la fourniture d’armes au gang Coulibaly est passé crème (procédure judiciaire dissociée de celle d’autres comparses survivants).
      Bref, les comparaisons sont pas aisées. Cette affaire me parait assez singulière bien qu’elle se rapproche d’autres histoire de forcenés qui refusant de se rendre s’en prennent aux forces de l’ordre. Avec ce fond particulier, fana mili survivaliste facho (mascu dans ces cas là c’est ordinaire, en effet).

    • Au contraire je croi que c’est très important de bien nommer les choses. A mon avis c’est significatif que le terrorisme adressé aux femmes soient nié, invisibilisé et que ca ne soit même pas considéré comme une chose importante dont on pourrait discuté. Bien sur que les féminicides sont des terroristes. Les terroristes qu’ils soient islamistes ou d’extrême droite ce qui les unis c’est leur profonde misogynie. C’est un sujet que j’avais largement documenté sous le tag #male_entitlement
      La culture du viol est aussi du terrorisme. Le controle des armes par les hommes est un des moyens que s’arrogent les hommes pour terroriser les femmes. ( cf #paola_tabet )

      Par l’étude des auteurs de violences interfamiliales on sait que les agresseurs sont très souvent aussi des maltraiteurs de tout ce qui respire, pour ceci voire les émissions sur l’inceste que j’avais partagé ici ; https://seenthis.net/messages/878720
      Les agresseurs de femmes sont aussi des agresseurs d’hommes, d’enfants, d’animaux non humains, hommes qu’on laisse agir en « bon pères de famille ».

      Pour cette idée du terrorisme ciblant les femmes invisibilisé voire aussi Francis Dupuis-Déri qui explique cela
      https://www.youtube.com/watch?v=ndXqR_aWHcU

      #culture_du_viol #inceste #déni #invisibilisation

    • Je trouve inapproprié et dangereux d’employer le terme terroriste à tout bout de champ.

      On se souvient, par exemple, qu’il y a eu (il y a, il y aura) plein de meurtres racistes dans ce pays qui n’étaient pas du terrorisme.

      Pour ce qui est des femmes, oui, la culture du viol, la violence machiste, la crainte ou la terreur causé par des conjoints, patrons, collègues, proches, dans la rue existent. Mais je ne me souviens pas d’autre cas d’attentat contre des femmes visant à les tuer sans distinction pour ce qu’elles sont qu’un exemple québécois. La terreur exercée sur les femmes fonctionne selon d’autres modalités, en général, au moins à cette heure.

      Pour ce qui est de ces gendarmes, si on met un instant de côté la violence machiste dans cette affaire, cela fait partie du boulot des gens d’armes que de risquer de tomber sur des personnes lourdement armées, entrainées et décider à ne pas se rendre. On aurait pu avoir le même bilan sur un braquage, une évasion, bien que les voyous essayent plutôt de limiter les dégâts (de faire peur, quitte à tirer en rafale, pour arriver à fuir) lorsqu’ils sont confrontés à la police. Tout le monde sait que moins de spectacle, de scandale, de blessés, de morts, ça contribue à limiter l’ampleur des moyens déployés ensuite par la police, et celles des peines.

      On nous dit qu’il était lourdement armé, à part la pléthore de couteaux, et la lunette de visée nocturne (fana mili jusqu’au bout), il était armé comme bon nombre de gens qui savent risquer d’avoir à faire face à la police, une arme de poing et arme longue (d’aucuns ont aussi une ou des grenades défensives). Et il a pas utilisé d’explosif ou de lance roquette comme c’est le cas lors d’attaques moins meurtrières (par exemple des transports de fonds).

      Si ce type avait voulu tuer des femmes, des Arabes, des Musulmans, des Juifs, un max de passants, d’écoliers, des habitants d’un quartier, si ce type avait faut sauter une gare bondée ou posé une bombe sur un marché, etc, on pourrait parler de terrorisme (même en l’absence de morts en cas d’échec). C’est pas de ça qu’il s’agit. Et c’est grave de relayer cette propension à coller partout du « terrorisme ». Ça participe directement de la banalisation et de la généralisation d’un droit d’exception dont l’abus est déjà constant.

      À part ses compagnes, qui donc a-t-il terrorisé ? Des collègues trouffions ? des voisins ? des subalternes ? On ne passe pas comme ça de relations tyranniques et violentes effectivement terrorisantes au « terrorisme ».

      Le survivalisme c’est pas une politique de terreur, c’est, un culte, la glorification de la force ; s’en sortir quelque soit les circonstances. Oui, ça peut s’associer à du terrorisme, en particulier raciste, et à tout le moins à des violences racistes. Oui, ça peut s’associer à des formes de violence sociale (flic, militaire, vigile, nervis). Dans cette histoire, close par le suicide du type (ce qui n’est pas non la même chose que de contraindre la police à la mise à mort, les djihadistes ne se suicident guère ; et ici, la police tient assez peu à les arrêter, le meurtrier de Paty a été tué désarmé au prétexte qu’il aurait pu porter des explosifs), jusqu’à plus ample informé, cela n’a pas été le cas.

      Tous les crimes d’allure un tant soit peu exceptionnelle ne sont pas du terrorisme.

    • L’ex-épouse de Frédérik Limol est sortie de son silence dans une interview au quotidien Le Dauphine Libéré ce vendredi.
      https://www.francebleu.fr/infos/faits-divers-justice/j-ai-alerte-qu-il-etait-dangereux-l-ex-epouse-du-tueur-des-trois-gendarme

      « J’avais lancé des alertes, des dizaines ! Je savais qu’il était dangereux, » affirme-t-elle au sujet du tueur des trois gendarmes d’Ambert.

      Elle raconte que son ex-mari était violent avec elle, « il a essayé de m’étrangler, j’ai pu me sauver », qu’il la menaçait de mort, « je croyais qu’il nous tuerait tous ». Elle explique avoir alerté la police, les gendarmes et l’aide à l’enfance : « J’ai même écrit à Marlène Schiappa [alors secrétaire d’Etat en chargé de l’égalité entre les femmes et les hommes]. Rien n’a été fait. On m’a dit à chaque fois qu’il allait certainement se calmer. »

      Dans la nuit de mardi de mercredi des policiers sont venus à son domicile de Privas, en Ardèche, où elle vit avec son nouveau compagnon, leurs enfants et celui qu’elle a eu avec Frédérik Limol : « Ils sont venus nous mettre en sécurité, je les remercie. »

      Elle explique que Frédérik Limol a soudainement changé en 2012, devenant violent et survivaliste. « Quand j’ai accouché, il m’a donné une radio militaire, pour que l’on puisse communiquer en cas de fin du monde, » se souvient-elle.

      Je ne pensais pas que des innocents allaient mourir

      Très « en colère » contre les institutions qui sont restées sourdes à ses appels à l’aide, elle dit aujourd’hui se sentir « coupable » : « Aujourd’hui, il y a quatre orphelins, si j’avais pu me faire entendre, on n’en serait pas là. J’ai tout essayé. »

    • Je trouve inapproprié et dangereux d’employer le terme terroriste à tout bout de champ.

      @colporteur Je ne parle pas d’employé ce mot à tout bout de champ. Il est question de comprendre pourquoi les tueurs de masse isolé sont désigné « terroristes » lorsqu’ils sont racisés et « tueurs fous/isolés » lorsqu’ils sont blancs.
      Dans les liens que j’ai fournis il y a de nombreux exemples de tueurs de masse se revendiquant des Incels et Brevik théorise largement le contrôle des femmes, ainsi que l’histoire du « grand remplacement ». Le tueur de Polytechnique est simplement le seul pour qui le motif masculiniste n’est pas invisibilisé contrairement aux autres tueurs de ce type.
      Je ne dit pas que tous les féminicides sont des terroristes, les liens que j’ai fournis parlent des tueurs de masse , ceux qu’on appelait aussi Amok et c’est de ceux là que je veux parlé.
      L’Amok est une forme de violence typiquement masculiniste dans laquelle un homme « pète un plomb » et dans sa violence sois disant aveugle, emporte avec lui des quidam (proches, passants, flics...) en tuant sur son passage jusqu’à etre abattu lui même, dans une forme de suicide terroriste.

      Ce sont des hommes qui réclament leur « due » (male entitlement), ce qui aurait due leur être donné de fait car ils sont des hommes et il méritent des privilèges (c’est à dire une ou des femmes, des enfants, de la propriété terrienne).

      Pour le survivaliste dont il est question ici, je remarque que les violences subit par sa compagne ont commencé lors de son accouchement - or c’est le moment particulier que choisissent les hommes pour activer leurs violences contre leurs compagnes - je remarque aussi qu’il à construit un discours d’assiégé qui crain pour son due, c’est à dire SES BIENS agricoles A LUI que lui volerait des citadins (on à ici un clivage paysan/citadins différent de celui du grand remplacement ou de l’islamiste mais ca reviens en fait au même). A cela s’ajoute le fait qu’il ai un accès aux armes, ce qui fait que sa capacité de nuisance est déculpée. Par là je veux faire référence aux tueurs de masse de Chine qui s’attaquent à des écoles maternelles car ils n’ont pas leur progéniture qui leur serait due, que mentionnent la documentation que j’ai fourni. Ils n’ont pas le même impact car ils ne disposent « que » de couteau et non de Famas, paceque le PCC contrôle drastiquement les armes contrairement aux US ou à la France.

      Pour moi ce qui unit tous ces tueurs d’extreme droite, qu’ils soient musulmans, chretiens, survivalistes, c’est ce culte, cette glorification de la force que tu identifie toi même tout en etant completement aveugle au fait que c’est la base même du masculinisme.

    • J’ai bien connu Fred, le forcené du Puy de Dôme, Emmanuelle Strub @EmmanuelleMdM
      https://twitter.com/EmmanuelleMdM/status/1343119438061694977

      J’essairai d’écrire quelque chose de plus long, plus tard et dans un autre format, mais là, j’ai juste un ou deux trucs à dire, je vais faire court. Et ne m’en voulez pas si je ne dis pas ce que vous pensiez.

      Je connaissais Fred depuis 25 ans et ne le voyais plus depuis son mariage et la naissance de sa fille, moment où il est devenu violent avec sa femme. J’ai dû accepter que mon pote Fred était aussi un type minable, niant sa violence, se victimisant en permanence,

      incapable d’admettre que le problème de son couple c’était lui, incapable de se faire aider, incapable d’être à la hauteur de l’enfant dont il était si fier. Un gros gros naze agressif, qui, en plus, commençait à perdre pied avec le réel. Bref. Je l’ai perdu à cette période.

      L’année dernière il a relancé une charge judiciaire (multiple et sur tous les fronts) contre son ex femme pour obtenir la garde de l’enfant. Je n’avais plus de contact mais on m’avait dit qu’il était devenu « un survivaliste fan de Jésus » quelque part au milieu de la France.

      Nos amis communs avaient eux aussi perdu le contact depuis quelques années. J’ai fait une attestation pour le JAF dans laquelle j’écrivais, entre autres "pour moi il est malade, violent, paranoïaque, une bombe à retardement" .

      J’avais compris qu’il était passé à un stade supérieur encore dans la violence et j’étais vraiment très inquiète pour son ex femme et sa fille. Je suis dévastée par ce qu’il a fait mais pas surprise. Pas plus que son ex femme.

      Elle n’a pas été entendue et je n’ai pas été entendue non plus par certains de mes proches. Si la remise en question de la société sur les violences faites aux femmes va au même rythme que dans mon entourage, on n’est pas sortis des ronces.

      Alors c’est sûr dans le cas de Fred il y a un double problème, la violence sur ses compagnes et la décompensation psychique (l’enquête le dira mais c’est mon hypothèse)

      Je ne sais pas ce qu’on aurait pu faire pour éviter ce drame mais je sais comment on aurait dû croire son ex femme quand elle disait qu’il était dangereux pour elle et sa fille.

      [...]

    • Gendarmes tués à Saint-Just (Puy-de-Dôme) : le forcené est passé par le 15e régiment du Train à Limoges
      https://www.lamontagne.fr/limoges-87000/actualites/gendarmes-tues-a-saint-just-puy-de-dome-le-forcene-est-passe-par-le-15e-r

      Xavier* écoute la radio quand il apprend la tuerie de Saint-Just. En entendant le nom du forcené, « Frédérik Limol », une lumière s’allume tout de suite dans son esprit. Ce nom ne lui est pas étranger. Si elle remonte à loin, sa rencontre avec le dénommé Limol l’a marquée. Et elle n’éveille pas en lui de bons souvenirs… Loin s’en faut.

      A cheval sur les armes

      C’était en août 1995, à Limoges, à la caserne Marceau. « Je faisais mes classes au 15e régiment de Train. Appelé du contingent, comme on dit, se remémore Xavier. Frédérik Limol était mon chef de peloton. Il était lieutenant aspirant. Il était très antipathique, c’est le moins que l’on puisse dire. Toujours dans la brimade, à montrer qu’il était le chef ».

      Xavier se souvient d’un trait caractéristique de son ancien chef de peloton. « Il était très à cheval pour tout ce qui concerne les armes : la sécurité notamment, c’est normal, mais aussi le nettoyage… Cela n’allait jamais. Pour lui, l’arme n’était jamais assez propre. Dans ce domaine-là, il faisait vraiment valoir son autorité. »

      Intransigeant et antipathique

      Si sa rencontre avec Frédérik Limol date de 25 ans, son souvenir est intact dans la mémoire de Xavier. « Je me souviens très bien de son visage. Il était originaire des Antilles. Je m’en souviens d’autant plus qu’on avait exactement le même âge. À la caserne, on essayait de créer un lien. Il y avait des instructeurs dans leur rôle pendant les missions mais qui, pendant les moments de détente, venaient boire un coup ou discuter avec nous. Lui, c’était impossible. Il était intransigeant et ne faisait rien pour attirer la sympathie. Il n’était pas du tout chaleureux, voire même à la limite du respect.

    • Un survivaliste ultra-violent et surarmé : Frederik Limol, itinéraire d’une radicalisation
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/01/02/frederik-limol-itineraire-d-une-radicalisation_6065002_3224.html

      Le meurtre de trois gendarmes à Saint-Just, le 22 décembre, après une tentative de féminicide, est l’issue d’un engrenage complexe que les autorités n’ont pas su détecter, malgré les signaux d’alerte. Par Samuel Laurent et Lorraine de Foucher

      Il faisait très sombre dans le hameau de Saint-Just (Puy-de-Dôme), le soir du 22 décembre 2020, lorsque les deux premiers gendarmes sont tombés, l’un mort, l’autre blessé, sans comprendre ce qui leur arrivait. A peine auraient-ils entendu le bruit des balles tirées par Frederik Limol. Probablement allongé dans les fourrés, celui-ci les a ciblés à travers la lunette à vision nocturne de son AR-15, la version commerciale du M-16, le fusil d’assaut de l’armée américaine, qu’il a équipé d’un silencieux.
      « L’expertise devra encore préciser la scène de crime, mais avec les bruits de la nature, je pense qu’ils n’ont rien entendu. Le gendarme blessé lui a demandé de se calmer, et il a vu une silhouette paisible, déterminée, se mouvoir. C’est un tireur d’élite, qui tire pour tuer, ça ressemble aux tueries de masse aux Etats-Unis », décrit Eric Maillaud, le procureur de Clermont-Ferrand. Au fond, la grange puis la maison brûlent. Les flammes éblouissent les militaires, qui mettent du temps à comprendre que « quatre d’entre eux sont au tapis », selon les mots du magistrat. « Ce n’est que le lendemain, une fois le jour levé, qu’ils m’ont dit avoir saisi que la maison était en plein milieu d’un hameau », poursuit-il.

      Avec la lumière de l’aube, le Groupe d’intervention de la gendarmerie nationale (GIGN) arrivé en renfort retrouve, à 1,5 kilomètre de là, le 4 x 4 de Frederik Limol accidenté, et son corps à proximité, non loin d’un pistolet Glock et d’un fusil AR-15. Il semble s’être tiré une balle dans la tête. Le coffre est rempli à ras bord de cartons : à l’intérieur, un an de denrées alimentaires, des boîtes de conserve ou de nourriture lyophilisée. Ce néosurvivaliste croyait la fin du monde proche et se déplaçait souvent avec des quantités de rations.

      « Connards en costard »
      L’enquête commence seulement pour tenter de déterminer les différentes strates d’une affaire complexe, entre tentative de féminicide, « radicalisation politique » et décompensation psychique. Avant de tuer trois gendarmes, cet informaticien de 48 ans, diplômé d’une grande école d’ingénieurs et fils de militaire, avait basculé peu à peu dans une paranoïa brutale. Avec pour premières victimes ses deux compagnes successives, Catherine A. et Sandrine, en butte des années durant à sa violence.

      Sandrine, sa dernière compagne, a connu Frederik Limol sur son lieu de travail avant qu’il ne soit marié à Catherine A. Elle est cadre dans une grande entreprise de ressources humaines parisienne, il est consultant en informatique. Ils nouent en 2009 une relation amoureuse de quelques mois. Elle est en pleine quête spirituelle. Lui est très pratiquant et l’encourage dans sa foi catholique. Il est aussi violent. Lors d’une balade dans un parc, il l’agresse : « Eloigne-toi ou je te plante le couteau que j’ai dans la poche. » Sandrine prend ses distances, mais ils conservent une relation autour de la religion. Frederik Limol devient son parrain de confirmation en 2010.

      En 2011, alors qu’il est toujours consultant en informatique, mais installé dans le sud de la France, il rencontre et épouse Catherine A. Un mariage qui ne dure que quelques jours, avant qu’il ne tente de l’étrangler. Elle est alors enceinte. Ils se séparent avant la naissance de leur enfant, il se montre de plus en plus paranoïaque. Converti aux thèses collapsologistes, il lui offre une radio militaire en cas d’effondrement de la planète. Il est défiant envers la société. « Il a un discours antisystème, parle des “connards en costard”, ne se présente pas au divorce », raconte l’avocat de Catherine A., Me Wissam Bayeh. Le jugement du divorce, rendu le 13 avril 2015, fait état de sa détention d’armes à feu, de ses menaces de mort, de ses intimidations et de son refus de scolariser, de donner des médicaments et de vacciner sa fille.

      Autant d’éléments qui ne sont pas pris en compte lorsque Frederik Limol s’inscrit, en 2013, à un club de tir sportif de Salon-de-Provence (Bouches-du-Rhône). « Il venait régulièrement, plus d’une fois par mois, il n’a jamais fait état de quelque signe d’agressivité ou de quoi que ce soit », assure son président, Claude Cunin, qui parle d’un homme « convivial, très abordable ». En 2017, il obtient sans problème de son club l’autorisation nécessaire pour constituer un dossier qui doit lui permettre d’acquérir des armes de catégorie B, parmi lesquelles trois pistolets Glock et deux fusils de type AR-15.

      Caméras de surveillance
      Sandrine retrouve Frederik Limol à l’été 2017. Depuis son divorce, il est très endetté, a subi un redressement fiscal, qu’il estime indu. Il vit à découvert et aux crochets de sa nouvelle compagne. De l’extérieur au moins, leur couple semble être une « idylle », selon Gérald Pandelon, l’avocat du triple meurtrier.
      Catherine A., son ex-femme et mère de sa fille, continue, elle, de vivre un enfer. Frederik Limol ne cesse de réclamer de voir son enfant, souvent brutalement. Elle porte plainte contre lui le 29 juin 2017, pour menaces de mort et violences – c’est en tout cas la première plainte dont le parquet de Clermont-Ferrand retrouve la trace ; elle assure en avoir déposé auparavant. Elle se rend à la gendarmerie et raconte des coups de poing contre les murs, « le bris du contenu de l’appartement, et qu’il aurait suspendu leur enfant par les pieds au-dessus du vide », précise Eric Maillaud.

      En 2018, Sandrine et Frederik Limol emménagent dans la bâtisse en pierre de Saint-Just, petit village niché dans les collines du Puy-de-Dôme. Elle a envie de partir de la région parisienne, lui d’un retour à la nature, ils se lancent dans le travail du bois et l’apiculture. Elle est propriétaire de tout (la maison, les voitures et certaines des armes). « Elle n’a jamais touché une arme avant de le rencontrer », précise Pierre de Combles de Nayves, l’avocat de Sandrine. Frederik Limol est plus convaincu encore de l’apocalypse à venir. Dans la presse locale, ses voisins racontent qu’il a équipé sa maison de caméras de surveillance. Ils entendent régulièrement des coups de feu retentir autour de sa propriété. Là-bas, Sandrine est plus isolée et les violences s’abattent sur elle.

      Les 280 pages de leurs conversations WhatsApp, dont Le Monde a pu consulter des extraits, sont remplies d’insultes (« merde », « pute », « connasse ») qu’il lui inflige, mais aussi de messages plus amoureux. Il la rabaisse souvent, reconnaît qu’elle est son « souffre-douleur ». Elle a listé les violences qu’il lui a fait subir : décembre 2018, il l’attrape par les cheveux, la projette au sol, la menace avec un couteau. Février 2019, c’est un coup de tête sur la terrasse. Elle s’est prise en photo : son visage est maculé du sang qui coule de son crâne. Une autre fois, il lui tord tellement le poignet qu’elle se rend à l’hôpital, mais préfère mentir et dire être tombée. Quelque temps après, il lui appuie si fort le canon d’un revolver sur le front qu’elle en garde la marque pendant trois jours. Et puis il lui tire dessus dans le jardin, la rate, maltraite le chien, casse les portes.

      Pourquoi ne porte-t-elle pas plainte contre lui ? Sandrine est terrorisée et sous emprise, coincée dans l’ambivalence classique de ces relations de prédation, liée à un agresseur capable aussi d’être charismatique et intelligent, qui la convainc qu’elle est responsable de son comportement.
      Cet engrenage, Catherine A., l’ancienne épouse, le documente devant la justice. En 2019, elle porte à nouveau plainte contre Frederik Limol, et parle dans son audition des menaces de mort et des armes. Dans un mail, il lui écrit : « Je vais te buter, toi et ta fille. »

      La gendarmerie d’Ambert, dont trois membres mourront sous ses balles, se décide enfin à enquêter sur ce qu’elle comprend à tort comme un divorce houleux et un différend autour de la garde d’une enfant. Les violences post-séparation, de celles qu’on impose à une ex-compagne pour continuer à la contrôler, sont en réalité un vrai marqueur de dangerosité tout court. Frederik Limol est entendu, il nie tout, les menaces, les coups, explique qu’il aime sa fille plus que tout et porte à son tour plainte contre Catherine A. pour non-représentation d’enfant. Il vient parfois à l’improviste, accompagné d’un huissier. A une occasion, il s’accroche avec le nouveau mari de Catherine A., un « voyou » selon Me Pandelon.

      Vidéos complotistes
      Aux témoignages de son ex-femme, Frederik Limol oppose les siens. Convoqué pour les violences, il déclare en rentrant de son audition que « le gendarme est de [s]on côté ». Effectivement, tout est classé sans suite, aucune vérification n’est faite sur les armes, aucune saisie ou révocation d’autorisation n’est envisagée, alors que le tout nouvel article 56 du code de procédure pénale, adopté le 30 juillet 2020, le permet sans même une décision de justice.

      Alors que deux plaintes pour violences et menaces de mort ont été déposées contre lui, Frederik Limol voit même ses autorisations de détention d’armes de catégorie B renouvelées par la préfecture du Puy-de-Dôme, en octobre. Sollicitée par Le Monde à ce sujet, la préfecture a répondu ne pas faire de commentaire pour « ne pas entraver l’enquête judiciaire ». Côté parquet, Eric Maillaud reconnaît que l’enquête sur l’autorisation de détention d’armes n’a peut-être pas été assez poussée, mais justifie « qu’il y en a une telle masse qu’on clique sur trois fichiers, et basta ».

      A l’automne, Frederik Limol passe des heures sur YouTube, à s’abreuver de vidéos complotistes sur le coronavirus ou sur les théories trumpistes d’une élection américaine « volée ». Il considère la police et la gendarmerie comme des milices « aux ordres d’un pouvoir corrompu », s’emporte contre les francs-maçons, prononce souvent des phrases homophobes ou violemment sexistes. « Il a un profil de trumpiste à la française », décrit Me Pierre de Combles de Nayves. « Il me fait penser à ces électeurs de Trump ultra-armés, à un radicalisé d’extrême droite », corrobore Eric Maillaud.

      Comment un profil aussi violent a-t-il pu passer sous les radars ? « Quand on refait l’histoire, on se dit qu’un individu comme ça, avec un tel arsenal et de telles idées, aurait pu être surveillé. Mais il n’a allumé aucun voyant du côté des services de renseignement, débordés par le djihadisme et l’ultragauche », poursuit le procureur de Clermont-Ferrand.

      Nicolas Hénin, consultant en prévention de la radicalisation, s’étonne qu’il ait fallu attendre la mort de trois gendarmes pour découvrir la dangerosité de Frederik Limol. « La France est le seul pays occidental à ne traiter la radicalisation que d’un point de vue islamiste. Alors qu’on est typiquement sur une personne radicalisée : il est enfermé dans son extrémisme, et produit un passage à l’acte violent. Par ailleurs, les violences conjugales étaient un signal d’alerte important de sa radicalisation. »
      Le 22 décembre, Frederik Limol se réveille énervé. Selon le récit de sa compagne, vers 19 h 30, il descend au sous-sol, casse des objets, parle de l’apocalypse et crie : « Je vais tous vous tuer. » Sandrine se réfugie dans sa douche. Quand elle en sort, il a un Glock à la main et lui ordonne de sortir l’AR-15 du coffre de leur chambre. Elle déclenche l’enregistreur de son téléphone. Pendant quarante minutes, c’est un déferlement de violence. Sandrine envoie au père de Frederik Limol et à une amie en région parisienne, dont le compagnon est policier, la photo de son visage ensanglanté. Elle profite d’un moment de répit pour récupérer son ordinateur, son sac à main, et s’échappe par la fenêtre de la salle de bain, qu’elle referme. Sur le toit, elle parvient à entrer en contact avec les gendarmes, les prévient de la tentative de féminicide en cours et les guide jusqu’à la maison.

      Lire aussi Gendarmes tués dans le Puy-de-Dôme : « Je vais être un killeur de keufs »

      Entre-temps, Frederik Limol est allé boire un dernier verre chez son voisin, son AR-15 à la main. Le voisin remarque bien les gyrophares bleus des gendarmes éclairant la nuit de Saint-Just. Il pense à une ambulance. Selon lui, Frederik Limol l’aurait pris dans ses bras, pleurant, lui disant adieu. De son toit, Sandrine voit son compagnon allumer le feu de la grange, mettre des affaires dans le coffre de la voiture. Elle entend ses pas sur le gravier, puis des voix d’homme et des coups de feu. Le 4 x 4 de Frederik Limol démarre. Sandrine descend du toit, elle suffoque avec la fumée. Au sol, le lieutenant Cyrille Morel, l’adjudant Rémi Dupuis et le brigadier Arno Mavel viennent de mourir.

  • Les formations transformatrices – Quelles capacités viser ? Quels exemples ?

    L’#université_internationale_Terre_Citoyenne développe une « pédagogie de la résilience et du changement” qui s’appuie sur différents apports, démarches : des méthodes d’éducation populaire, la pédagogie de l’opprimé de #Paolo_Freire, la #Théorie_U d’#Otto_Sharmer, l’#Art_of_Hosting, l’approche des situations conflictuelles et complexes d’#Adam_Kahane, l’#Approche_et_la_Transformation_Constructives_des_Conflits (#ATCC) d’#Hervé_Ott et #Karl_Heinz_Bitll, le #Community_Organizing de #Saul_Alinsky, le #Process-Work/#Démocrati_ Profonde d’#Arnold_Mindell

    L’#UITC avec ses organisations associées cherchent à former de nouveaux #leaders_citoyens et sociaux mais aussi des #étudiants, des responsables locaux ou nationaux capables d’accompagner les changements profonds et systémiques et de transformer des situations difficiles. En ce sens, certaines capacités nous apparaissent centrales à acquèrir : celles de faire face aux situations complexes, interculturelles, celles aussi de pouvoir transformer de manière constructive les #conflits au niveau individuel et collectif.

    A partir de situations et de problématiques concrètes et variées, les organisations associées UITC et l’ensemble UITC cherchent à développer, en particulier, les capacités individuelles et collectives suivantes :

    - Développer de la #résilience dans des situations de #crise/ d’#effondrement

    – Créer des conditions de #dialogues générateurs de #changement

    – Créer une #confiance_collective

    – Créer des conditions pour favoriser l’émergence de l’intention personnelle ou collective

    – » #Relier toujours relier » des évènements, des idées, des symboles, des actions, des personnes, des organisations…

    – Créer des conditions favorables afin de pouvoir percevoir le futur en émergence dans une situation complexe et difficile

    - Prendre conscience des différents rôles dans les conflits (victime, agresseur, garant) et de la phase du conflit dans laquelle nous nous trouvons.

    - Transformer de manière constructive des conflits

    - Savoir agir dans des situations qui impliquent des acteurs qui sont en conflits (processus multi acteurs)

    #Agir pour se donner confiance et créer de la #connaissance

    – Sentir dans un moment de vie, de processus, les différentes situations (polarités, émotions,Identifier les limites et les passages de frontières, les ambiances qui agissent sur le groupe…)

    - Sentir les processus de diffusion des émotions, de rang, de désirs mimétiques, de bouc émissaire……..

    - Savoir agir de manière pragmatique (lier la main, le coeur et l’esprit dans un même mouvement) lorsque l’on découvre une nouvelle vision, un nouveau projet

    - Savoir sentir le tout, suivre son intention « traverser la rivière » et « sentir chaque pierre avec ses pieds »

    – Savoir prototyper, tester, modifier et retester, remodifier

    - Savoir déployer individuellement ou collectivement son action.

    Si vous souhaitez connaitre les expériences de formations transformatrices reliées ou impliquées dans le réseau UITC veuillez les contacter directement (voir la liste et des contacts ci-joints) . Si vous voulez participer participer à une session de formation, contactez les personnes indiquées ou le secrétariat de l’UItC. Si vous êtes intéressées de monter des formations, faites de même. Contactez -nous !

    Dans le réseau de l’Université Internationale terre Citoyenne (UITC), nous nous appuyons sur un groupe d’expériences de formation qui, pour nous, ont un caractère transformateur des personnes impliquées mais aussi des réalités auxquelles ces personnes sont confrontées. Quand nous parlons de caractère transformateur, nous pensons au fait que les personnes sortent de ces formations avec une vision du monde différente, transformée, avec des capacités qui leur permettent d’agir avec plus de pertinence et d’efficacité afin de faire face aux situations chaotiques et conflictuelles, aux crises, aux effondrements possibles. Ces compétences doivent leur permettre d’affronter ces réalités mais aussi de tenter de les transformer dans le sens de sociétés plus durables.

    En 2015, nous avions édité un catalogue de 47 formations réalisées par des organisations associées UITC https://issuu.com/almedio/docs/maqueta_catalogo_18sept15

    Aujourd’hui, nous mettons en lumière une liste d’une quinzaine de formations qui ont pour nous un caractère transformateur et avec lesquelles nous sommes engagés dans une processus de valorisation, d’échanges à distance (visioconférences) . Elles sont aussi partie prenante pour une partie d’entre elles à une recherche/ action autour des démarches, des méthodes transformatrices des personnes, des situations, des sociétés. (Pédagogie de la résilience et du changement)

    https://uitc.earth/les-formations-transformatrices

    #transformativité #formation #éducation #transformation #formations_transformatrices

  • Un artiste menacé après avoir voulu diffuser des visages de policiers
    https://www.mediapart.fr/journal/france/131020/un-artiste-menace-apres-avoir-voulu-diffuser-des-visages-de-policiers?user

    L’artiste Paolo Cirio, dont l’exposition de l’œuvre Capture a été annulée, voulait dénoncer la reconnaissance faciale en exposant des visages de policiers trouvés sur internet et en appelant à les identifier, provoquant la colère des syndicats de policiers et de Darmanin. Il a quitté la France. « Je ne me sens plus en sécurité dans ce pays », lâche, amer, l’artiste et hacktiviste Paolo Cirio qui a quitté précipitamment la France la semaine dernière après avoir reçu plusieurs menaces par mails. L’exposition (...)

    #algorithme #CCTV #biométrie #police #censure #facial #reconnaissance #art

  • L’#artiste #Paolo_Cirio affiche des visages de policiers dans Paris pour dénoncer la reconnaissance faciale
    https://information.tv5monde.com/info/l-artiste-paolo-cirio-affiche-des-visages-de-policiers-dans-pa

    La #pétition pour « bannir la #reconnaissance_faciale en Europe » a recueilli près de 14 000 signatures. Le #hacker militant et artiste Paolo Cirio y participe grâce à une performance bien particulière, en placardant à travers la capitale française des centaines d’affiches de visages de policiers récupérés sur Internet. Entretien.
    Paolo Cirio est très connu dans le milieu des défenseurs de la vie privée sur Internet. Il l’est moins du grand public, ce qui pourrait changer après sa performance artistique urbaine nommée "Capture "et lancée ce premier octobre 2020.

    https://www.laquadrature.net/2020/09/22/nous-soutenons-la-petition-pour-bannir-la-reconnaissance-faciale-en-eu

    pétition :
    https://ban-facial-recognition.wesign.it/droitshumains/bannissons-la-reconnaissance-faciale-en-europe#sign

  • qui sont les communistes ? Blind date, Paolo Virno

    1. Substance de choses espérées

    On a intitulé cette session : « Qui sont les communistes ? » À première vue, la question semble délicate et même embarrassante et son objectif est de se focaliser sur un type humain, une disposition psychologique, une tension éthique. À la suite de ce que vient de dire Toni, je voudrais tenter de répondre à cette question fatale sans le moindre embarras ni la moindre délicatesse. Les matérialistes pauvres d’esprit, toujours gênés par les dispositions psychologiques et les types humains, s’intéressent plutôt à une localisation objective, aussi impersonnelle qu’un croisement routier, sur la carte topographique de notre présent. La curiosité de savoir « qui sont les communistes » ne peut être satisfaite que par la description du lieu mental et matériel dans lequel, fût-ce non délibérément, ceux-ci finissent par planter leurs tentes.

    Communistes, aujourd’hui, ce sont les très jeunes garçons et filles et ceux que le temps a consumés qui ont intériorisé la transformation d’une rupture irréversible avec la gauche, avec sa doctrine risible et sa pratique aussi bienfaisante qu’un gaz urticant. Celui qui est communiste, comme l’était déjà alors celui qui s’est servi du laboratoire marxien pour comprendre les formes de vie contemporaines, n’a rien à voir avec l’adoration de l’État, l’exaltation du travail salarié, l’idée d’une égalité que la gauche a arborée en guise de pièce d’identité pendant un siècle tout entier. Communiste, donc pas de gauche : voici une inférence aussi calmement prononcée qu’irréfutable. Depuis le vote en faveur des crédits de guerre en 1914, jusqu’à la « politique des sacrifices » de Berlinguer dans les années soixante-dix, la gauche n’a pas été une version timide et conciliante de l’instance communiste, mais sa négation radicale, avec une tendance non retenue au pogrom. Se dire communiste, aujourd’hui, signifie déposer sur l’étal du fripier l’album de famille qui prétend nous assimiler à des progressistes et des réformateurs toujours prêts à s’indigner de l’illégalité d’un sabotage ouvrier et à la dénoncer.

    « Substance des choses espérées » est une des expressions les plus émouvantes du Paradis de Dante. Reprenons-la à notre compte sans le moindre scrupule : personne n’en pâtira, j’espère. Substance des choses espérées des communistes est, aujourd’hui, plus que jamais, l’abolition du travail salarié. Marx disait qu’il ne doit pas être libéré, puisque dans tous les pays modernes il est déjà libre du point de vue juridique, mais supprimé comme un intolérable préjudice. En plus de constituer d’emblée une calamité, le travail salarié est devenu aussi, au cours des dernières décennies, un coût social excessif. C’est quelque chose de superflu, et même de parasite, dans la prestation pour un patron alors que la pensée et le langage montrent qu’ils constituent la ressource publique, à savoir le bien commun, qui est la plus à même de satisfaire les besoins et les désirs. Et pour ceux qui seraient friands de petites phrases marxiennes : il y a quelque chose de parasite dans le travail salarié alors que le processus de reproduction de la vie est confié au general intellect , à l’intellect général d’une multitude.

    #communistes #gauche #travail_salarié #intellect_général #Paolo_Virno

    • Quelle bouillie ! Non, les communistes, aujourd’hui, sont ceux qui militent pour une révolution prolétarienne mondiale. Ceux qui s’engagent au quotidien pour armer politiquement et moralement la classe ouvrière, la seule classe qui pourra s’emparer des moyens de production et les mettre en œuvre au service de l’humanité (et non plus pour les profits d’une classe devenue parasite). Une dimension à laquelle cet auteur, en dépit des allusions qui constituent son papier, semble étranger. .

  • Ivan Illich et la déscolarisation de la société 1/2
    https://topophile.net/savoir/ivan-illich-et-la-descolarisation-de-la-societe-1-2

    La pensée d’Ivan Illich (1926-2002), figure inclassable et incontournable de la critique de la société industrielle, se révèle toujours aussi stimulante et pertinente. Elle a nourri et continue de nourrir nombre de mouvements écologistes ainsi que cette humble revue. Illich démontre que les institutions passées un certain seuil deviennent contre-productives, c’est-à-dire se retournent contre leur... Voir l’article

    • Contessa , une traduction moins brute pour _ Il Nuovo Canzoniere italiano, la chanson sociale et « le mouvement » - Cesare Bermani
      http://ordadoro.info/?q=content/cesare-bermani-il-nuovo-canzoniere-italiano-la-chanson-sociale-et-«-le-mo

      _Quelle affaire, Comtesse, dans l’usine d’Aldo
      ils ont fait la grève, cette poignée d’ignorants
      ils voulaient que leurs salaires soient augmentés
      ils criaient, figurez-vous, qu’ils étaient exploités.
      Et quand la police est arrivée
      ces quatre va-nu-pieds ont crié plus fort
      ils ont sali de leur sang la cour et les portes
      qui sait combien de temps il faudra pour nettoyer. »

      Camarades des campagnes et des ateliers
      prenez la faucille, brandissez le marteau
      descendons dans la rue et utilisons-les pour frapper
      descendons dans la rue et enterrons le système.
      Vous, les gens comme il faut, qui désirez la paix
      la paix pour faire tout ce que vous voulez
      mais si c’est le prix à payer, nous voulons la guerre
      nous voulons vous voir finir sous la terre.
      Mais si c’est le prix, nous l’avons payé
      plus personne au monde ne doit être exploité.

      « Si vous saviez, Comtesse, ce que m’a dit
      un proche parent au sujet de l’occupation
      que cette racaille enfermée là-dedans
      faisait profession d’amour libre.
      Du reste, ma chère, de quoi s’étonne-t-on ?
      Même l’ouvrier veut que son fils soit docteur
      pensez au climat que cela peut générer
      il n’y a plus de morale, Comtesse. »

      Si le vent sifflait, à présent il siffle plus fort
      les idées de révolte ne sont jamais mortes
      si quelqu’un l’affirme, ne l’écoutez pas
      celui-là ne cherche qu’à trahir.
      Si quelqu’un l’affirme, crachez-lui dessus
      celui-là a jeté le drapeau rouge au fossé.
      Vous, les gens comme il faut, qui désirez la paix
      la paix pour faire tout ce que vous voulez
      mais si c’est le prix à payer, nous voulons la guerre
      nous voulons vous voir finir sous la terre.
      Mais si c’est le prix, nous l’avons payé
      plus personne au monde ne doit être exploité.

      Extraits du chapitre précité

      ...[L’]hymne de 1968 fut indubitablement Contessa, de Paolo Pietrangeli. Pietrangeli était un étudiant communiste, lecteur de classe operaia et d’Ouvriers et Capital. Il l’écrivit en une nuit, en mai 1966, pendant l’occupation de l’Université de Rome, après l’assassinat par les fascistes de l’étudiant Paolo Rossi. Le texte s’inspire des discours que tenait la vieille bourgeoisie à propos de l’occupation et des supposées orgies sexuelles qu’elle abritait, ainsi que du récit d’une grève dans une petite usine romaine au cours de laquelle le patron, un certain Aldo, avait requis les forces de police contre les ouvriers qui faisaient le piquet. [..]

      Des chansons comme Contessa, Il vestito di Rossini ou Valle Giulia 38 de Paolo Pietrangeli (sorties en 45 tours en mars 1968), ou Cara moglie d’Ivan della Mea (énormément chantée pendant l’Automne chaud, mais qui était sortie en 45 tours dès octobre 1966) se vendirent la première année à 2500 exemplaires environ, ce qui est peu. Et pourtant, comme le remarquait Paolo Pietrangeli : « Il n’y a pas de musique de 68 si ce n’est la nôtre, nous qui n’étions même pas de vrais musiciens 39. » Car à ce moment-là, c’était le « mouvement » qui, par la communication orale, faisait bouger les choses et transformait les chansons en fonction des échos, des correspondances qu’il y entendait : il les utilisait et les modifiait selon ses besoins. De fait, beaucoup des questions qui étaient débattues pendant ces années de mouvement de masse avaient déjà été chantées par le Nuovo Canzoniere italiano. Et l’on peut sans doute affirmer que les spectacles, qui continuèrent bon an mal an entre 1963 et 1967, exercèrent une influence non négligeable sur nombre de ceux qui allaient devenir les contestataires de 68, en les amenant à prendre conscience que la réalité n’était pas exactement celle que propageaient les médias ou les organisations officielles de la gauche.

      Valle Giulia - Paolo Pietrangeli
      https://www.youtube.com/watch?v=dnuoNGgpEO4

      « Cette fois, on ne s’est pas enfuis » : la bataille de Valle Giulia
      http://ordadoro.info/?q=content/«-cette-fois-ne-s’est-pas-enfuis-»-la-bataille-de-valle-giulia

      Place d’Espagne splendide journée
      la circulation bloquée, la ville engorgée
      et tous ces gens, combien y en avait-il ?
      les pancartes brandies bien haut et tous on criait :
      « non à l’école des patrons
      le gouvernement dehors, démission » eeh

      Et toi tu me regardais avec des yeux fatigués
      pendant qu’on était encore là devant
      et tes sourires paraissaient éteints
      mais il y avait des choses bien plus importantes
      « non à l’école des patrons
      le gouvernement dehors, démission » eeh

      Onze heures et quart, tous à la fac d’architecture
      on n’avait pas encore de raison d’avoir peur
      et on était vraiment très très nombreux
      et les policiers face aux étudiants
      « non à l’école des patrons
      le gouvernement dehors, démission » eeh

      Ont empoigné leurs matraques
      et ils ont cogné comme ils le font toujours
      et alors tout à coup il s’est passé
      quelque chose de nouveau, quelque chose de nouveau, quelque chose de nouveau
      cette fois on ne s’est pas enfuis
      cette fois on ne s’est pas enfuis

      Le premier mars si je m’en souviens
      on devait bien être mille cinq cents
      et la police nous tombait dessus
      mais les étudiants la faisaient reculer
      « non à l’école des patrons
      le gouvernement dehors, démission » eeh

      Et toi tu me regardais avec des yeux fatigués
      – mais il y avait des choses bien plus importantes
      mais qu’est-ce que tu fais ici mais ne reste pas là
      tu ne vois pas que la police nous tombe dessus ?
      « non à l’école des patrons
      dehors le gouvernement, démission » eeh

      Les camionnettes les brigades mobiles
      nous ont dispersés, arrêtés en masse et puis ils nous ont frappés
      mais que ce soit bien clair, et ça on le savait
      c’était sûr, on n’en resterait pas là
      cette fois on ne s’est pas enfuis
      cette fois on ne s’est pas enfuis

      Le premier mars si je m’en souviens
      on devait bien être mille cinq cents
      et la police nous tombait dessus
      mais les étudiants la faisaient reculer
      « non à l’école des patrons
      le gouvernement dehors, démission » eeh
      « Non à la classe des patrons
      il n’y aura pas de conditions », non !

      http://ordadoro.info
      #Livre_en_ligne #autonomie #culture_populaire #police #salaire #chanson_sociale #chant_révolutionnaire #La_Horde_d'Or

  • Notes sur le jour où je suis devenue une vieille personne | Alisa del Re
    https://acta.zone/notes-sur-le-jour-ou-je-suis-devenue-une-vieille-personne

    Dans ce texte qui relève à la fois de l’expression subjective personnelle et des considérations stratégiques, Alisa del Re, figure de l’opéraïsme et du féminisme italien, s’interroge sur la construction de la vulnérabilité des personnes âgées durant l’épidémie de Covid-19 et ses conséquences. Ce faisant, elle rappelle la nécessité de replacer la question des corps et de la reproduction sociale au centre de la réflexion politique, et plaide pour une réorganisation sociale qui permette à chacun·e, sans considération pour sa classe d’âge, de bénéficier d’une santé et d’une vie décentes. Source : Il Manifesto via Acta

    • Nous sommes aujourd’hui scandalisé·e·s par ce massacre des personnes âgées, par ce manque de soins pour les corps faibles, qui a montré toutes ses limites parce qu’il n’est pas au centre de l’attention politique, parce qu’il est marginalisé et qu’il est géré suivant les logiques du profit. Face à la pandémie, on découvre, comme si cela était une nouveauté, que nous sommes tou·te·s dépendant·e·s des soins, que nous devons tou·te·s être reproduit·e·s par quelqu’un, que chacun·e d’entre nous porte la faiblesse du vivant en lui ou en elle, que seul·e·s, nous ne pouvons pas grand chose. Nous ne sommes pas des machines disponibles au travail sans conditions, les travailleur·se·s ont été les premier·e·s à faire grève pour que leur santé soit protégée avant le profit, avant même les salaires.

      Au contraire, c’est précisément cette situation exceptionnellement dramatique et sans précédent qui a mis les corps et leur reproduction au premier plan, en soulignant l’étroite relation entre la reproduction, les revenus et les services sociaux – étroite relation qui doit nous servir de programme pour la phase à venir. Même le pape a saisi cette nécessité dans son discours du dimanche de Pâques : « Vous, les travailleurs précaires, les indépendants, le secteur informel ou l’économie populaire, n’avez pas de salaire stable pour supporter ce moment… et la quarantaine est insupportable. Peut-être le moment est-il venu de penser à une forme de salaire universel de base qui reconnaisse et donne de la dignité aux tâches nobles et irremplaçables que vous accomplissez ; un salaire capable de garantir et de réaliser ce slogan humain et chrétien : « pas de travailleur sans droits » ».

      #soin #corps #santé #reproduction_sociale #travailleurs_précaires #indépendants #salaire #revenu_garanti

    • Et #pape. Je ne comprends pas du tout comment son propos sur les droits liés au travail et devant assurer la continuité du revenu dans des situations comme celles-ci (et d’autres : chômage, vieillesse) peut être entendu comme la demande d’un revenu sans contrepartie. C’est bien de droits dérivés du travail qu’il est question.

    • @antonin1, aie l’amabilité s’il te plait de pardonner cette réponse embrouillée et digressive, ses fôtes, erreurs terminologiques et conceptuelles, élisions impossibles et répétitions. Sache qu’elle n’est pas non plus suffisamment mienne à mon goût (je reviendrais peut-être sur ces notes, là, j’en ai marre.).

      Ce revenu là est sans contrepartie car le travail vient avant lui (renversement politique de la logique capitaliste du salaire, payé après la prestation de travail, contrairement au loyer, payable d’avance). C’est reconnaître le caractère social de la production, sans la passer au tamis des perspectives gestionnaires actuellement dominantes à un degré... inusité, bien qu’il s’agisse d’un conflit central. "Chamaillerie" séculaire du conflit de classe prolongé, revisité (quelle classe ? que "sujet" ?) : Qui commande ? Ce point vue selon lequel la contrepartie est par avance déjà assurée, remet en cause le commandement sur le travail (non exclusivement dans l’emploi et l’entreprise) provient pour partie de la lecture politique des luttes sur le salaire, dans l’usine taylorisée, le travail à la chaine, qui ont combattu l’intenable mesure des contributions productives à l’échelon individuel (salaire aux pièces, à la tâche) en exigeant que soit reconnu le caractère collectif de la production avec la revendication durante les années soixante et ensuite d’augmentations de salaire égales pour tous (idem en Corée du Sud, dans l’industrie taylorienne des années 80, ou depuis un moment déjà avec les luttes ouvrières du bassin industriel de la Rivière des Perles chinoise), et pas en pourcentage (ou les ouvriers luttent pour le plus grand bénéfice des « adres », qui accroît la hiérarchie des salaires), ce à quoi on est souvent retourné avec l’individualisation des salaires des années 80, sous l’égide d’une valeur morale, le mérite. Comment peut-on attribuer une "valeur" individuelle à une activité qui est entièrement tributaire de formes de coopération, y compris auto-organisée, mais essentiellement placée y compris dans ces cas "exceptionnels", sous contrainte capitaliste, directe ou indirecte ?

      La est le coup de force sans cesse répété auquel s’oppose tout processus de libération, dans et contre le travail. Avoir ou pas pour finalité LA Révolution, événement qui met fin à l’histoire et en fait naître une autre, qu’on la considère comme peu probable, retardée ou dangereuse - hubris du pouvoir révolutionnaire qui se renverse en domination, à l’exemple de la "soviétique" qui a assuré le "développement" du capitalisme en Russie, entre violence de l’accumulation primitive, bureaucratie, police et archipel pénal, ou faillite, épuisement de la politisation populaire-, ne modifie ça que relativement (et c’est beaucoup, c’est l’inconnu : reprise des perspectives communalistes, mais à quelle échelle ? apologie de la révolution dans la vie quotidienne, de la désertion, de la fragmentation, perte de capacité à imaginer comment la coopération sociale, la production, la circulation, les échanges, la recherche, etc. pourraient être coordonnées autant que de besoin), avoir ou pas La révolution à la façon du Grand soir pour perspective ne supprime pas ce qui fonde des processus de libération, ces contradictions sociales, politiques, existentielles (chez tous, spécialement les femmes et les « colorés » pour employer une désignation étasunnienne, faute de mieux, car réticent au sociologique « racisés »), l’immanence de tensions agissantes, ou seulement potentielles (la menace est toujours là, bien qu’elle ne suffise en rien à elle seule, confère par exemple l’époque ou, actualisée ou rémanente, l’ivresse mondiale du socialisme pouvait partout potentialiser la conflictualité sociale). Ne pas en rester aux « alternatives » de la politique gestionnaire, impose de s’appuyer sur des avancées pratiques seules en mesures de relancer cet enjeu de lutte... Il y aurait sans doute à le faire aujourd’hui à partir du #chômage_partiel provisoirement concédé sous les auspices de la crise sanitaire à plus de la moitié des salaires du privé et d’autres phénomènes, massifs ou plus ténus. Être dans la pandémie réintroduit une étrange forme de communauté, et à quelle échelle ! Quels agencements collectifs d’énonciation se nicheraient là depuis lesquels pourraient être brisée la chape de la domination et dépassée le fragmentaire, sans dévaster des singularités encore si rares (si on excepte les pratiques comme champ propice à l’invention de mondes, si l’on excepte les vivants non bipèdes dont nous avons à attendre une réinvention de notre capacité d’attention), ça reste à découvrir.

      Nos tenants du revenu d’existence ou de base s’appuient d’ailleurs sur ces contradictions, latentes ou visibles (le scandale de la misère, d’une rareté organisée , ce en quoi je ne peux qu’être d’accord au cube) et déclarées, pour promettre de les résorber peu ou prou. Comme on parlait du "socialisme à visage humain" après Staline, la mort du Mouvement ouvrier, et non des luttes ouvrières, fait promettre une consolation impossible, un capitalisme à visage humain, ce qu’on retrouve chez les actuels enchantés actuels l’après qui sera pas comme avant qui refusent d’envisager qu’il s’agit de force à constituer et à mettre en oeuvre, contre la violence du capital, ne serait- ce que pour modestement, mais quelle ambition !, la contenir (sans jamais tabler outre mesure sur le coût d’arrêt écologique). Pourtant, il n’y a aucun espace pour le "réformisme » sans tension révolutionnaire, sans conflit, ouvert ou larvé, qui remette en cause avec force le business as usal.

      Je digresse à profusion, mauvais pli. Le travail déjà là qui « justifie » (que de problèmes inabordés avec l’emploi de ce terme) le revenu garanti, doit se lire au delà de l’usine et de toute entreprise : l’élevage des enfants, le travail des femmes, la scolarisation et la formation, l’emploi aléatoire et discontinu, le travail invisible(ils sont plusieurs, dont une part décisive des pratique du soin), la retraite (qu’elle a déjà bien assez travaillée avant d’avoir lieu, les comptables pourraient servir à quelque chose si on les collait pas partout où ils n’ont rien à faire que nuire), les périodes de latence elles-mêmes, et donc la santé (pas tant la "bonne santé" que la santé soignée, défaillante et « réparée », soutenue) prérequis à l’existence de la première des forces productives (souvent réduites au capital fixe et à la science) le travail vivant, d’autant que c’est toujours davantage la vie même qui est mise au travail (jusqu’aux moindres manifestations d’existence et échanges : data), ici le revenu garanti est une politique des besoins radicaux autant qu’il signe une acceptation de l’égalité. C’est du moins comme cela que je veux le voir (bien des seenthissiens sont en désaccord avec divers points évoqués ici, et avec une telle caractérisation de la portée révolutionnaire du revenu garanti, qui fait par ailleurs l’objet de nombreuses critiques se prévalant de l’émancipation, de la révolution, etc.).

      Antériorité du travail vivant sur le rapport de capital donc. L’économie venant recouvrir cela, si l’on veut bien en cela "suivre" Marx sans renoncer à une rupture des et d’avec les rapports sociaux capitalistes (modalités diverses : intellectuelles, lutte, Révolution, révolutions..) - compris dans ses versions marxistes (décadence objectiviste et économiciste de la critique de l’économie politique alors que ce type d’approche ne peut aller sans poser la question du pouvoir, du commandement capitaliste (micro, méso, macro, global).
      L’approche d’Alisa del Re, l’intro à son texte le rappelle, a partie liée avec un courant théorico-politique né dans l’Italie au début des années 60, l’opéraïsme, un marxisme hérétique et une pratique de pensée paradoxale.
      [Voilà comment j’ai relevé ce jour les occurrences de La Horde d’or pour leur coller tous le # La_Horde_d’or, (parfois, je ne disposais pas d’un post perso où ajouter ce #, s’cusez), livre en ligne http://ordadoro.info où on trouve de quoi satisfaire en partie la curiosité sur ce courant et ces histoires, par recherche internet sur le site dédié ou en employant l’index].

      La revendication d’un revenu garanti, d’une généralisation égalitaire des "droits sociaux" qui soit substantielle, (niveau élevé, absence de conditionnalité, de familialisation comme mécanisme de base, ce qui ne veut pas dire qu’il ne faille pas tenir compte positivement de l’ampleur du ménage, des enfants, etc. ) peut (a pu, pourra ?) mettre crise la politique du capital (une vie soumise à la mesure du temps de travail, une disponibilité productive gouvernée, cf. chômage) et entrouvrir à un autre développement que le "développement" capitaliste, de faire que la "libre activité" actuellement interdite, bridée, exploitée et toujours capturée -ce qui limite singulièrement la définition des prolos et précaires comme surnuméraires , même si celle-ci décrit quelque chose de l’idéologie agissante de l’adversaire, qui n’est pas un rapport social sans agents agissants, ni une simple oligarchie sans assise sociale réelle, mais bien l’organisation de fait de militants de l’économie fabriqués en série dans les écoles faites pour ça, et pas seulement la télé -, que la libre activité ou la "pulsion" à oeuvrer, transformer, inventer (présente sous le travail qui est nécessité économique avant tout) absorbe comme n voudra capturée pour le profit puisse relever de satisfaction des besoins)

      Travail, revenu et communisme t’intriguent. Si ce qui précède ne te refroidit pas, il y a ici même des # utilisables pour un parcours, petites promenades ou randonnée sans fin : revenu_garanti refus_du_travail general_intellect opéraïsme salaire_social salaire_garanti Mario_Tronti Toni_Negri Silvia_Federici Paolo_Virno Nanni_Ballestrini ... labyrinthe étendu lorsque s’y ajoute dess # trouvé dans les textes abordés ou la colonne de droite du site.

    • Pardon @colporteur mais ça fait vingt ans que j’entends virevolter les abeilles de YMB, traducteur de tout ce beau monde, et je ne comprends toujours pas comment dans le cadre où nous sommes, une société capitaliste libérale, une revendication de revenu garanti peut ne pas être une mesure libérale. Dans une société idéale, peut-être, sans accumulation, sans marché du travail, où nous sommes plus proches des bases matérielles de nos vies, où le travail fait donc sens et s’impose sans être imposé... Mais pour l’instant, je ne vois pas comment on peut sortir de la condition surnuméraire par la magie d’un revenu sans fonction sociale. Serait-ce le plus beau métier du monde, tellement beau que les mecs se battent pour l’exercer, justement la fête des mères se rapproche.

    • [Les # du post précédent ne s’enregistrant pas, j’essaie ici] il y a ici même des # utilisables pour un parcours, petites promenades ou randonnée sans fin : #revenu_garanti #refus_du_travail #general_intellect #opéraïsme #salaire_social #salaire_garanti #Mario_Tronti #Toni_Negri #Silvia_Federici #Paolo_Virno #Nanni_Balestrini ... labyrinthe étendu lorsque s’y ajoute des # trouvés dans les textes abordés ou/et dans la colonne de droite du site.

  • La girandola di conti nelle banche svizzere

    È l’ottobre del 2012 quando B.F., operatore finanziario con base a Rio de Janeiro, scrive alla #Pkb di Lugano: «(…) il cliente ha deciso di fare una diversificazione bancaria del suo patrimonio (…) ha aperto due nuovi conti in Svizzera (…) non vuole avere un’unica banca depositaria di tutto il suo patrimonio. Non vuole tutte le uova nello stesso paniere». B.F. chiede di trasferire 2,3 milioni di franchi da un conto Pkb a uno alla #Hsbc. Entrambi appartengono a #Paolo_Costa, all’epoca direttore della #Petrobras, colui dal cui arresto e dalle cui confessioni partirà l’inchiesta #Lava_Jato.
    Sette anni dopo, B.F. sarà la prima persona ad essere giudicata in Svizzera per il suo ruolo nello scandalo brasiliano. L’uomo, per cui vale la presunzione d’innocenza, è accusato di corruzione e riciclaggio. Di recente il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) ha promosso al Tribunale penale federale un atto d’accusa con rito abbreviato: ciò che significa che l’imputato ha ammesso i fatti e ha quindi collaborato con le indagini. Una cooperazione che potrebbe creare un certo imbarazzo alle varie banche elvetiche con cui B.F. aveva una relazione. La sua probabile condanna potrebbe in effetti mettere in luce i meccanismi che hanno permesso ai funzionari corrotti della Petrobras di trasferire i loro soldi in Svizzera.
    Ma chi è B.F.? Ex dipendente di Credit Suisse in Brasile, un giorno ha deciso di mettersi in proprio. Dal suo ufficio di Rio, offriva i suoi servizi ai ricchi brasiliani che volevano nascondere i loro denari dalla dubbia origine. È quello che viene definito un «doleiros», una sorta - per l’accusa - di riciclatore professionista. L’uomo era ben introdotto nel mondo bancario elvetico, dal quale era definito «agente d’affari». Negli anni, B.F. ha aperto e amministrato decine di conti in Svizzera per i clienti brasiliani. Via email ordinava i trasferimenti e dialogava con le alte sfere. È lui che è intervenuto per favorire l’apertura dei conti di Costa alla Julius Bär e alla Hsbc di Ginevra: quando il direttore della Petrobras era stato identificato come cliente ad alto rischio era bastato l’intervento di B.F. per risolvere la situazione. Anche alla Pkb di Lugano, dove aveva un proprio conto personale, B.F. era l’agente che aveva portato il cliente Costa. B.F ha incontrato i dirigenti della banca, sia in Brasile che a Ginevra dove, secondo quanto risulterebbe, ci sarebbe stato un incontro tra l’intermediario, il direttore della Petrobras e un alto dirigente dell’istituto. Per mostrare il potere di B.F. sui conti di Costa, gli inquirenti brasiliani hanno proprio utilizzato la citata mail inviata alla Pkb: "L’email è molto interessante - si legge in un documento - perché conferma la dichiarazione di Costa sulla «professionalità» di B.F. nel riciclaggio dei suoi capitali". Oltre che alla Pkb, B.F. ha fatto aprire un conto in una seconda banca di Lugano, la Cramer, a Pedro Barusco, un altro dirigente della Petrobras.
    Nel 2015, quando il nome di B.F. appare sulla stampa, l’operatore si è già rifugiato a Ginevra. Gli inquirenti brasiliani lanciano allora un mandato di ricerca internazionale. Senza successo. Di nazionalità svizzera, l’uomo non può essere estradato. Il Brasile chiede così alla Svizzera, che nel frattempo aveva aperto una sua indagine, di proseguire l’inchiesta. L’Mpc avrebbe identificato più di 40 relazioni bancarie sospette controllate da B.F. in Svizzera. Il totale della somma bloccata ammonterebbe a 30 milioni di franchi.


    http://www.caffe.ch/stories/cronaca/64206_la_girandola_di_conti_nelle_banche_svizzere
    #Suisse #banques #Brésil #corruption #blanchissement_d'argent #justice #finance

    Article de Federico Franchini, journaliste membre de @wereport

  • Newsletter Mai 2019
    http://www.acsr.be/newsletter-mai-2019

    Le son du mois CHOISIR ET APRÈS | #Dimitri_Merchie | 41min41 | 2019 En 2010, un an après la naissance de mon deuxième enfant, je me suis fait vasectomiser. Comme mon frère avant moi et notre père avant nous, mais sans concertation. Une coïncidence. Et un sujet de conversation comme un autre, si bien[...]

    #Ecoutes_collectives #Podcast #Production #Anna_Raimondo #Antonin_Wyss #C.C._Jacques_Franck #Cabiria_Chomel #Cercle_des_Voyageurs #Claire_Gatineau #Daniel_Capeille #Festival_Millénium #Festival_MUE #Leslie_Doumerc #Magnéto #Marie-Laurence_Rancourt #Paola_Stevenne #Toison_d'Or #Verbiguié-Soum

  • #Libambos

    La cupidigia dell’essere umano non ha limiti, che sia un singolo o una nazione. In Africa la maggior risorsa è la terra agricola e per questa c’è una corsa all’accaparramento. A litigarsela sono programmi internazionali, aziende private, piccoli proprietari terrieri, e nel piccolo, famiglie. Quando le lotte sono aspre e ci scappa il morto, tutti si additano perorando la propria causa. Per una volta si scomoda persino l’Interpol per un omicidio locale.


    https://www.elmisworld.com/libro/libambos

    #roman de #Paolo_Groppo
    #livre #land_grabbing #accaparement_des_terres #Afrique #ProSavana #Pro-Savana

    • Commentaire de Paolo Groppo par rapport à cette approche (extrait d’un long message qu’il m’a envoyé par email) :

      Comunque, dopo parecchio tempo riuscimmo a far passare il principio del “territorio” della comunità e non più delle terre in produzione. A quel punto si arrivava alla domanda chiave: come identificare i limiti di un territorio comunitario. La risposta nostra è stata di fare una delimitazione partecipativa (http://www.fao.org/3/a-ak546e.pdf) che, a differenza di quello che facevano tante ONG (ed anche questa fondazione) prevedeva la partecipazione nella fase finale, cioè quando si identificano e geolocalizzano i punti del confine, dei vicini, siano essi comunità, piccoli agricoltori o altri privati. In questo modo il “limes” viene controfirmato da tutti, lire comunitari ma anche i vicini, il tutto in presenza di tecnici dell’amministrazione fondiaria, così che il lavoro di accatastamento risulti più veloce e sicuro.

      Un’attenzione particolare è stata portata anche a differenziare i gruppi maschili e femminili perché la conoscenza territoriale non è sempre la stessa e siccome le donne parlano poco in presenza degli uomini, facendo un lavoro di gruppo separato, si arrivava a una prima sketch map fatta sulla base delle loro conoscenze. Lo stesso era fatto con i maschi e poi si mettevano assieme i due gruppi per discutere e mettersi d’accordo su una unica sketch map, che sarebbe servita di base per il lavoro di terreno finale. Lavoro paziente, che richiedeva tempo ma che permetteva di far conoscere anche alle comunità vicine come farlo e, soprattutto, che quel “confine” non era una esclusione, ma che semplicemente se qualcuno avesse voluto venire a prendersi le loro terre, adesso esisteva un pezzo di carta che diceva chiaramente che su quel territorio c’erano dei diritti. Il lavoro terminava quando veniva emesso un certificato (diritto di uso di durata perpetua) che, con una cerimonia pubblica, veniva dato ai lire comunitari.