• Réadmission des migrants venant d’Europe : #Soueisssya, ciblée pour un centre de transit ?

    Mine de rien, les autorités mauritaniennes et européennes seraient avancées dans leur projet de « #partenariat_renforcé » dans la lutte contre l’immigration clandestine entre les deux rives. Malgré la levée du ton de l’Opposition, le projet commun est déjà -si l’on en croit des sources autorisées- bien lancé. Le dernier déplacement conjoint de la présidente de la commission européenne, Urusla Van Der Leyen, et du premier Ministre espagnol, Pedro Sanchez, attesterait de l’importance de la question pour les deux parties.
    Les discussions entre les deux parties, entamées de plus plusieurs mois, auraient même déjà identifiée la zone de Soueissiya, 60 km de notre capitale économique, sur la route de Nouakchott, pour élire le futur centre de rétention des immigrés interceptés en haute mer.
    Pour ce faire, un autre accord de statut pour les forces du Frontex devrait permettre aux gardes-frontières européens de patrouiller, avec les garde-côtes mauritaniens, pour intercepter les candidats à l’immigration clandestine.
    Ces derniers qui voient les filets se resserrer sur eux pourraient donc être interceptés et renvoyés vers ce centre de reflux où ils devraient être recueillis dans l’optique de les faire retourner chez eux. En plus de soutien sonnant et trébuchant, l’UE aurait également accéder à des demandes locales pour la construction de tronçons routiers entre Boulenouar, 98km, et Tmeimichatt, 319 km sur la voie ferrée. Le projet de centre en lui-même sera bien équipé et gardé. Rien n’a été donc jusqu’à présent scellé. La date butoir du 7 mars 2024 où séjournera une Haute délégation de l’UE à Nouakchott permettra d’entrevoir plus de transparence, peut-être, dans ce dossier qui fait couler beaucoup d’encre. Il aidera, en tout cas, à estomper les supputations qui vont bon train sur cette délicate question.
    Si officiellement on évoque l’enveloppe de 210 millions d’euros, d’ici la fin de l’année, l’investissement européen, pour convaincre la partie mauritanienne, est estimé à quelques 522 millions d’euros.
    Néanmoins, les autorités mauritaniennes dénient tout accord avec l’UE permettant de recaser sur leur territoire d’immigrés chassés d’Europe. La perspective de renvoi d’immigrés, en majorité africains, serait pour le moins imprudente au moment où la Mauritanie tient les brides de l’UA.

    https://ladepeche.mr/?p=8575
    #externalisation #migrations #asile #réfugiés #Mauritanie #accord #partenariat #Europe #UE #EU #centre_de_transit #centre_de_rétention #rétention #détention_administrative #Frontex

    • La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano

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      La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano
      Nagi Cheikh Ahmed
      6 Marzo 2024

      La Mauritania è un paese situato nell’angolo nord-occidentale del continente africano e affacciato sull’oceano Atlantico: questa sua posizione è strategica ed estremamente importante per le persone migranti che cercano di raggiungere il continente europeo e l’arcipelago spagnolo delle Canarie. Negli ultimi anni, infatti, il paese ha registrato un significativo aumento del numero di migranti che lo attraversano nel tentativo di raggiungere le isole spagnole e altri paesi dell’Unione Europea. Le stime indicano che questo aumento potrebbe essere il risultato del rafforzamento delle misure contro le migrazioni nei paesi limitrofi che portano a deviare le rotte verso nuovi percorsi, rendendo la Mauritania un luogo di transito sempre più “attraente” per raggiungere l’Europa.

      È in questo contesto che la Spagna e lo Stato africano stanno avanzando nella costruzione di una forte partnership per combattere l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini attraverso una serie di misure e azioni. Questi sforzi includono la cooperazione nello scambio di informazioni di intelligence, la formazione delle forze di sicurezza e della guardia nazionale, nonché il rafforzamento del controllo delle frontiere e un supporto operativo per lo sviluppo di capacità nell’affrontare tale fenomeno. Secondo i dati spagnoli, l’83% dei migranti che attualmente arrivano alle isole Canarie sono transitati dalla Mauritania.
      I migranti come strumento di pressione e ricatto

      Di fronte alle crescenti tensioni attorno le questioni migratorie, i Paesi europei cercano di trovare “soluzioni” che garantiscano una riduzione del flusso di migranti verso i loro confini. È quella che viene definita la politica di esternalizzazione delle frontiere, ossia una politica di “estensione” dei confini per impedire ai migranti di raggiungere o avvicinarsi al loro territorio, attraverso accordi con diversi Paesi africani considerati punti di transito potenziali per i migranti africani. L’accordo contro l’immigrazione tra la Spagna e la Mauritania è un altro esempio evidente di come i Paesi europei sfruttino le necessità finanziarie dei paesi poveri. Questo accordo che si basa su sforzi congiunti per la lotta all’immigrazione, riflette chiaramente la dinamica tra la necessità di sicurezza europea e la necessità finanziaria dei paesi africani, sollevando controversie sul costo umano che viene pagato in questo processo.

      Nella politica internazionale contemporanea, l’immigrazione emerge come una delle questioni più controverse e complesse, specialmente quando viene utilizzata come strumento di pressione nelle negoziazioni politiche ed economiche. La Turchia, con la sua posizione geografica unica tra l’Europa e il Medio Oriente, ha utilizzato abilmente l’immigrazione nelle sue negoziazioni con l’Unione Europea. L’accordo del 2016 è stato un punto di svolta, in cui l’Unione Europea ha accettato di pagare miliardi di euro ad Ankara in cambio del controllo del flusso di rifugiati verso l’Europa. Questo accordo ha dimostrato come i paesi possano sfruttare le crisi migratorie per rafforzare le loro posizioni economiche e politiche.

      Come la Turchia, anche il Marocco ha sfruttato la sua posizione come principale porta d’accesso all’Europa per ottenere concessioni finanziarie e commerciali dalla Spagna e dall’Unione Europea, e persino posizioni politiche nel suo conflitto con il Fronte Polisario. Controllando i flussi migratori, il Marocco ha rafforzato la sua posizione come partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro l’immigrazione irregolare, migliorando così le sue relazioni economiche e politiche con l’Europa.

      Oltre a Turchia e Marocco, il comportamento di Russia e Bielorussia emerge come un esempio evidente di sfruttamento delle questioni migratorie per il ricatto politico contro l’Unione Europea. Questi due paesi hanno facilitato l’accesso dei migranti ai confini orientali europei, creando una crisi migratoria artificiale mirata a esercitare pressione politica ed economica. La Bielorussia, sotto la guida di Alexander Lukashenko, ha utilizzato l’immigrazione come mezzo per rispondere alle sanzioni europee imposte contro di essa. Facilitando il passaggio dei migranti verso Lituania, Lettonia e Polonia, la Bielorussia ha cercato di creare problemi di sicurezza e umanitari all’Unione Europea, costringendola a rinegoziare i termini delle sanzioni e le relazioni diplomatiche.

      Anche la Mauritania vuole partecipare

      Considerati i numerosi accordi bilaterali sottoscritti negli ultimi anni, anche il governo mauritano cerca opportunità per trarre vantaggio da questa situazione ottenendo guadagni politici e finanziari. Pertanto, l’uso dei migranti come strumento di ricatto riflette una strategia che consente alla Mauritania di richiedere più supporto e assistenza dall’Unione Europea in cambio della sua cooperazione nella lotta contro l’immigrazione irregolare e l’arresto del flusso di migranti. La Mauritania, che trova difficoltà nel controllare i suoi vasti confini, potrebbe tollerare l’ingresso dei migranti nel suo territorio, al fine di accumularne un gran numero per dimostrare la sua necessità di fronte all’Europa e quindi ottenere supporto e assistenza finanziaria, ignorando tutti i rischi che tali politiche potrebbero comportare per un paese già fragile con una infrastruttura carente, trascurando i diritti di migliaia di migranti.

      Il governo nega, ma i documenti confermano

      L’accordo stipulato tra la Mauritania e l’Unione Europea per combattere il fenomeno dell’immigrazione irregolare ha sollevato polemiche a livello locale, considerato come un “accordo” tra le due parti per insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari, cosa che le autorità negano. Alcuni media indipendenti hanno riportato l’intenzione dell’Unione Europea di offrire subito 220 milioni di euro di aiuto alla Mauritania: questa proposta è emersa durante un incontro tenutosi giovedì 8 febbraio nella capitale Nouakchott, tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il presidente mauritano Mohamed Ould Ghazouani.

      Il Ministero dell’Interno mauritano ha negato ciò, affermando che la Mauritania “non sarà una patria alternativa per i migranti irregolari“, confermando al contempo di aver avviato negoziazioni preliminari con l’Unione Europea “su una bozza di dichiarazione congiunta relativa all’immigrazione, in linea con la roadmap discussa tra le parti a Bruxelles l’11 dicembre 2023“. Il ministero ha aggiunto in una dichiarazione che “le negoziazioni tra le parti rimarranno aperte, al fine di raggiungere un’intesa comune che serva gli interessi di entrambe le parti in materia di immigrazione legale e lotta contro l’immigrazione irregolare, tenendo conto delle sfide che la Mauritania affronta in questo campo, lontano da ciò che alcuni promuovono riguardo l’ipotesi di insediare i migranti irregolari in Mauritania”.

      Il ministero ha negato con enfasi qualsiasi ipotesi di accordo che punti a rendere la Mauritania un luogo dove insediare, accogliere o ospitare temporaneamente migranti stranieri irregolari, affermando che queste voci sono completamente infondate e che questo argomento non è stato affatto discusso, non è all’ordine del giorno e non è assolutamente contemplato. Il ministero ha dichiarato che gli incontri tra le parti hanno discusso la bozza del documento, allo scopo di “avvicinare i punti di vista riguardo ciò che stabilisce un accordo equilibrato e giusto che garantisca il rispetto della sovranità e degli interessi comuni di entrambe le parti, e sia in linea con le convenzioni e le leggi internazionali in materia di immigrazione“.

      Il ministero ha sottolineato che gli incontri continueranno a esaminare e analizzare i termini del documento, incluso ciò che sarà discusso durante l’incontro previsto tra la Mauritania e l’Unione Europea che si terrà nuovamente a Nouakchott giovedì 7 marzo. Tuttavia, il documento ottenuto dai media, relativo al verbale di discussione tra una delegazione mauritana e l’Unione Europea a Bruxelles il 9 febbraio 2024, mostra nei suoi termini l’accettazione della Mauritania di accogliere i rifugiati e i migranti espulsi dall’Europa, al fine di assisterli nella loro integrazione e “facilitare” la loro vita.

      Il documento non parla chiaramente dell’accoglimento da parte della Mauritania di re-insediare in modo permanente i migranti espulsi dagli Stati dell’Ue sul suo territorio, ma c’è un punto che rivela senza ambiguità la sua disponibilità ad accogliere i migranti espulsi dall’Europa, in assenza totale di qualsiasi meccanismo specifico per il successivo rimpatrio nei loro paesi d’origine.

      Questa estrema ambiguità getta diversi dubbi sulla serietà delle misure adottate, specialmente quando si considerano le enormi difficoltà che anche i paesi europei, con le loro vastissime risorse, incontrano nell’identificare i migranti che spesso sono senza documenti. Sembra che la soluzione europea si limiti a liberarsi del problema, rimpatriando i migranti in Mauritania senza considerare il loro destino successivo, il che significa che alla fine rimarranno in Mauritania a tempo indeterminato.

      Questo approccio ignora deliberatamente le cause profonde dell’immigrazione, come i cambiamenti climatici, i conflitti e le violazioni dei diritti umani, che spingono le persone a rischiare la vita in cerca di una loro sicurezza e di una possibilità di vita dignitosa. Concentrandosi esclusivamente sulla deportazione, l’Unione Europea dimostra una certa indifferenza verso la sofferenza delle persone più vulnerabili, ignorando così gli obblighi internazionali relativi alla protezione dei rifugiati e ai diritti umani, che garantiscono il diritto delle persone a presentare domande di protezione internazionale basate sulle loro storie personali e a dare loro tempo sufficiente per elaborare le richieste di protezione e asilo.

      D’altra parte, la firma di tali accordi con la Mauritania solleva serie domande sulla situazione della sicurezza e dei diritti umani nel paese. La disponibilità ad accettare questi migranti senza misure chiare per proteggerli o rispettare i loro diritti trascura gravemente l’assenza di tutele civili e sociali, a causa del pessimo record della Mauritania in materia di diritti umani.

      «Le relazioni internazionali sul Paese mettono in luce violazioni continue che includono schiavitù, discriminazione, detenzione arbitraria e repressione della libertà di espressione.»

      Ad esempio, lunedì 4 marzo 2024 in Mauritania è iniziato il processo contro due giovani. Una ragazza di 19 anni è stata arrestata lo scorso luglio e la pubblica accusa le ha imputato il “reato di derisione e insulto al Profeta Maometto“, chiedendo la sua incarcerazione. È inoltre accusata di utilizzare i social media per offendere l’Islam, reati per cui il codice penale mauritano prevede la pena di morte. L’altro giovane è un mauritano che aveva abbracciato il cristianesimo da tempo e viveva in Germania, dove aveva chiesto protezione, ma le autorità tedesche non hanno riconosciuto la sua richiesta e lo hanno deportato in Mauritania, dove è stato arrestato immediatamente all’arrivo in aeroporto ed è in carcere da mesi. In questo momento, c’è una grande carenza di informazioni sul loro stato di salute fisico e psicologico. Le autorità stanno facendo pressione per oscurare il processo e non parlare di queste vicende, il tutto si svolge in un’atmosfera cupa. Questi due casi sono anche esemplificativi dei seri dubbi sulla volontà della Mauritania di fornire protezione ai migranti e ai rifugiati rimpatriati.

      Inoltre, l’assenza di legislazione specifica per regolare lo status di rifugiati e migranti in Mauritania complica la possibilità di garantire efficacemente i diritti di queste categorie. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

      Il fatto che l’Europa firmi tali accordi ignorando la realtà in Mauritania costituisce una chiara violazione dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Questo accordo, per gli esperti del diritto, contraddice esplicitamente perfino gli approcci di sicurezza adottati dall’Europa nel settembre 2015, quando la Commissione Europea ha proposto un progetto per creare una lista comune dei “paesi di origine e transito sicuri“, dove i richiedenti asilo che passano attraverso il paese indicato potrebbero essere rimpatriati. Paesi considerati appunto “sicuri” in quanto le procedure relative alle loro richieste di asilo dovrebbero essere in linea con gli standard del diritto internazionale ed europeo sui rifugiati. Tuttavia, l’Unione Europea non ha incluso la Mauritania in questa lista dei paesi sicuri. Quindi, come può l’Europa firmare tali accordi con un paese che non considera sicuro?
      Verso un nuovo orizzonte

      L’incontro congiunto di giovedì 7 marzo nella capitale Nouakchott deve essere considerato come un momento cruciale che richiede una profonda riflessione e una revisione delle basi e dei principi su cui si fondano tali accordi. Entrambe le parti dovrebbero guardare con occhi critici alle esperienze passate, valutando i risultati e gli impatti reali delle politiche adottate sui diritti umani e sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

      C’è un bisogno urgente di adottare un approccio più inclusivo e umano nel trattare le questioni dell’immigrazione, un approccio che vada oltre le misure di sicurezza e restrittive per includere le dimensioni sociali e umane. Questo approccio dovrebbe concentrarsi sul diritto e sulla libertà dell’individuo di muoversi e migrare, piuttosto che limitarsi alla semplice gestione dei flussi migratori o tutt’al più a deviare i tragitti da un paese all’altro.

      È anche essenziale rafforzare i meccanismi di trasparenza e responsabilità nell’attuazione e nel monitoraggio degli accordi. L’Unione Europea e la Mauritania devono garantire che le politiche sull’immigrazione siano conformi agli obblighi internazionali e rispettino i diritti umani e la dignità di tutte le persone. La cooperazione internazionale in materia di immigrazione non dovrebbe portare a minare questi diritti o ignorare le difficili condizioni umane affrontate da migranti e rifugiati.

      È richiesto inoltre che la Mauritania lavori per migliorare il suo approccio sui diritti umani e rafforzare la protezione per migranti e rifugiati sul suo territorio. Ciò dovrebbe includere la riforma delle leggi e delle pratiche che permettono l’arresto arbitrario e la discriminazione, e fornire meccanismi efficaci per il ricorso e la protezione legale degli individui.

      Dall’altro lato, spetta all’Unione Europea non solo fornire supporto finanziario e tecnico, ma anche lavorare con la Mauritania e altri paesi partner per sviluppare politiche sull’immigrazione giuste ed eque, che rispettino i diritti e la dignità umana di tutte le persone, indipendentemente dal loro status migratorio.

      La sfida che l’Unione Europea e la Mauritania devono affrontare non è solo rinnovare questi accordi, ma reinventarli in modo che realizzino sicurezza e stabilità e, allo stesso tempo, rispettino i diritti umani e promuovano lo sviluppo sostenibile e inclusivo.

      Questo incontro congiunto a Nouakchott dovrebbe essere un’opportunità per presentare una nuova visione della cooperazione in materia di immigrazione, una visione basata sulla responsabilità condivisa, solidarietà e rispetto reciproco. Infine, l’obiettivo dovrebbe essere costruire un futuro in cui le persone possano vivere con dignità e sicurezza nei loro paesi, o scegliere di migrare come un diritto e non come una necessità imposta dalla disperazione.

      https://www.meltingpot.org/2024/03/la-mauritania-diventera-un-centro-di-accoglienza-per-i-migranti-espulsi-

    • Migration : petit à petit, l’UE verrouille des accords fragiles avec les pays tiers

      Ce jeudi, la secrétaire d’Etat de Moor, accompagne la commissaire européenne aux Affaires intérieures à Nouakchott pour signer un mémorandum d’accord migratoire avec la Mauritanie. Après la Turquie, la Libye, et la Tunisie récemment, ces accords se multiplient autant que les critiques qui les entourent.

      Ce dimanche, partis de Mauritanie, six migrants voulant rallier l’Europe ont péri dans leur traversée. 65 autres personnes, également à bord de leur pirogue, sont toujours portées disparues. En 2023, plus de 40.000 personnes ont risqué leur vie dans l’Atlantique – près de 1.000 en sont mortes – en voulant rejoindre l’Espagne via les îles Canaries au départ de l’Afrique de l’Ouest. Une hausse sans précédent (+ 160 % par rapport à 2022) que les autorités locales ont du mal à gérer. C’est dans ce contexte que la commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson, le ministre de l’Intérieur espagnol Fernando Grande-Marlaska et notre secrétaire d’Etat à l’Asile et la Migration Nicole de Moor se rendent à Nouakchott ce jeudi afin de signer un mémorandum d’accord avec la Mauritanie.

      Ce protocole d’accord s’inscrit dans la lignée de celui, polémique, conclu en juillet dernier avec la Tunisie. Avec ces « partenariats stratégiques mutuellement bénéficiaires », la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen entend « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des pays partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants embarquent ou prennent la route pour l’UE. L’idée est que les pays de départ ou de transit bloquent l’arrivée de migrants vers les côtes européennes et réadmettent leurs citoyens en séjour illégal dans l’UE en échange d’investissements ou de coups de pouce économiques. Contacté, il est question, pour l’exécutif européen, de passer d’autres « partenariats sur mesure » similaires avec l’Egypte, prochainement. Voire avec le Maroc ? Bref, petit à petit, la Commission complète sa carte du pourtour méditerranéen.

      Stratégie électoraliste

      « Ce type d’accord n’est pas nouveau », avance Eleonora Frasca, chercheuse doctorante sur la coopération entre l’UE et les pays africains en matière d’immigration (UCLouvain). « Il y a notamment celui passé avec la Libye ou encore avec la Turquie. Mais le deal passé avec Ankara, aussi critiqué soit-il, avait le mérite de prévoir des fonds pour l’accueil et l’accompagnement des exilés sur le sol turc. Ce qui a disparu des accords qui ont suivi et qui se concentrent sur les aspects sécuritaires. »

      Certes, la coopération migratoire n’est pas neuve. Ce qui l’est davantage, c’est la stratégie de communication de l’UE autour de ce type de deal, pointe Eleonora Frasca : « On déplace des membres de la Commission pour en faire un événement majeur. » Florian Trauner, doyen de la Brussels School of Governance (VUB) et spécialiste de la politique migratoire de l’UE, y lit une stratégie électoraliste. « Ces accords symbolisent une politique migratoire plus restrictive. En année électorale, les dirigeants européens envoient un signal à la population : “Regardez, on empêche les migrants d’arriver en Europe.” » Pour lui, cela montre aussi que les Etats membres s’accordent plus facilement sur une politique d’externalisation des frontières plutôt que sur une réponse solidaire. « La négociation du nouveau pacte sur la migration et l’asile l’illustre très bien. »

      Ces annonces et ces signatures en grande pompe contrastent avec l’opacité des négociations. « Les pourparlers avec la Tunisie hier, la Mauritanie aujourd’hui et l’Egypte demain en sont les parfaits exemples. Il est très difficile, voire impossible, de suivre les discussions. On assiste à un processus “d’informalisation ou de déformalisation” du droit international auquel l’UE contribue de manière significative, ainsi qu’à la multiplication d’instruments de droit non contraignant », regrette la chercheuse de l’UCLouvain. Pour son collègue de la VUB, ces accords informels sont par définition plus flexibles, moins contraignants juridiquement et politiquement. « Ce qui arrange les deux parties. Ils permettent, pour les pays tiers, de mettre hors du débat public ces arrangements souvent contestés par la population locale. »

      Le « chantage » aux migrants

      Et puis ces accords reposent sur le bon vouloir des régimes en place. En témoignent les soubresauts dans l’application de l’accord tunisien, décrié puis accepté… par le même président qui l’avait signé. « L’exemple récent du Niger est criant », ajoute Eleonora Frasca. « Depuis le coup d’Etat de juillet dernier et l’abrogation d’une loi réprimant le trafic illicite de migrants, l’UE est très préoccupée. »

      Florian Trauner soulève un autre « danger » : le « chantage » aux migrants. « Sachant l’Europe divisée, sensible et fragile quand il s’agit d’immigration, les pays tiers en jouent pour négocier, notamment de l’argent. Ce n’est pas pour rien qu’autant de migrants sont arrivés à Lampedusa depuis la Tunisie cet été… » Et le doyen de la Brussels School of Governance de citer les pressions d’Erdogan en 2020 afin que l’Europe appuie ses initiatives en Syrie ou encore le jeu du Maroc avec l’Espagne sur la question du Sahara occidental. Par ailleurs, pointent nos deux experts, ces accords sont passés avec des pays loin d’être des exemples en termes de respect des droits fondamentaux. L’exemple tunisien est encore une fois parlant : la situation déplorable des migrants en Tunisie ne s’est pas améliorée depuis la signature, dénoncent les ONG.

      Mais ces arrangements sont-ils « efficaces » ? S’il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées grâce aux accords, Florian Trauner les a étudiés sur dix ans, entre 2008 et 2018. « Hormis l’accord passé avec la Turquie qui a montré des résultats dans la prise en charge par Ankara des réfugiés syriens, ces accords ont un bilan modeste. Les pays des Balkans jouent le jeu, mais les pays africains peu ou pas du tout », constate-t-il. « A court terme, ces arrangements peuvent paraître efficaces parce qu’ils font écho à une réduction des entrées irrégulières », explique Eleonora Frasca. « On a dans un premier temps diminué les flux au départ de la Libye, ils se sont alors dirigés vers la Tunisie. Raison pour laquelle on a passé un accord avec Tunis, dont on voit timidement les résultats… Mais les migrations s’adaptent et se réorganisent. Ça ne sert à rien de passer des accords avec tous les pays africains, cela rend juste les routes de plus en plus dangereuses. »

      https://www.lesoir.be/572896/article/2024-03-06/migration-petit-petit-lue-verrouille-des-accords-fragiles-avec-les-pays-tiers

    • La Mauritanie, nouvelle voie d’entrée de migrants vers l’Union européenne... qui réagit

      L’Union européenne a initié jeudi un nouveau partenariat en matière de migration avec la Mauritanie, État d’Afrique du Nord-Ouest par où transitent des migrants vers les îles Canaries (Espagne). La route des îles Canaries, passant par une dangereuse traversée dans l’Atlantique, est davantage fréquentée ces derniers temps. Plus de 12.000 personnes l’ont empruntée sur les deux premiers mois de cette année, soit plus de six fois plus que sur la même période l’an dernier.

      Ce partenariat doit ouvrir la voie à un financement européen afin de soutenir la gestion des migrations - notamment la lutte contre le trafic de migrants -, ainsi que la sécurité et la stabilité, l’aide humanitaire en faveur des réfugiés et le soutien aux communautés d’accueil.

      Une déclaration en ce sens a été signée à Nouakchott par la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson, et le ministre mauritanien de l’Intérieur, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, en présence de son homologue espagnol, Fernando Grande-Marlaska, et de la secrétaire d’État belge à l’Asile et à la Migration, Nicole de Moor, au nom de la présidence belge du Conseil. « Nous avons besoin de partenariats avec ces pays d’Afrique du Nord pour prévenir les départs irréguliers et les pertes de vies humaines. Une gestion efficace des migrations constitue un défi européen nécessitant une réponse collective », a déclaré Mme de Moor.

      Le partenariat vise entre autres à renforcer les capacités des garde-frontières mauritaniens, en accroissant la coopération avec Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, pour ce qui est de la formation et des équipements. La coopération sur les opérations de recherche et de sauvetage sera aussi intensifiée. L’UE veut également appuyer les efforts de la Mauritanie dans ses capacités d’accueil, en particulier des plus vulnérables. Dans le pays résident quelque 150.000 réfugiés du Mali. Des enquêtes conjointes doivent aussi aider à prévenir la migration irrégulière.

      La coopération sera renforcée en matière de retour et de réadmission en ce qui concerne les Mauritaniens en séjour irrégulier dans l’UE, « dans le respect de leurs droits et de leur dignité », assure la Commission dans un communiqué. Comme c’est le cas pour d’autres accords en gestation, ou pour l’accord controversé avec la Tunisie, l’UE vise un partenariat large. Il visera donc aussi la création de perspectives d’emploi (accès à la formation professionnelle et au financement pour les entreprises), mais aussi la promotion de la migration légale (mobilité des étudiants, chercheurs et entrepreneurs). Le mois dernier, la présidente de la Commission Ursula von der Leyen avait annoncé, lors d’un déplacement en Mauritanie, la mobilisation de 210 millions d’euros en faveur de ce pays.

      L’UE cherche encore à nouer un autre partenariat stratégique de ce type avec l’Égypte, qui est non seulement un pays de transit, mais aussi de départ et de destination. « Des Égyptiens quittent leur pays, qui est le cinquième pays d’entrée dans l’UE, tandis que de nombreuses autres personnes fuient vers l’Égypte. Un partenariat solide est plus que nécessaire pour ne pas les laisser seuls dans cette tâche difficile », selon Mme de Moor.

      https://www.rtbf.be/article/la-mauritanie-nouvelle-voie-d-entree-de-migrants-vers-l-union-europeenne-qui-re

  • Comment l’Europe sous-traite à l’#Afrique le contrôle des #migrations (1/4) : « #Frontex menace la #dignité_humaine et l’#identité_africaine »

    Pour freiner l’immigration, l’Union européenne étend ses pouvoirs aux pays d’origine des migrants à travers des partenariats avec des pays africains, parfois au mépris des droits humains. Exemple au Sénégal, où le journaliste Andrei Popoviciu a enquêté.

    Cette enquête en quatre épisodes, publiée initialement en anglais dans le magazine américain In These Times (https://inthesetimes.com/article/europe-militarize-africa-senegal-borders-anti-migration-surveillance), a été soutenue par une bourse du Leonard C. Goodman Center for Investigative Reporting.

    Par une brûlante journée de février, Cornelia Ernst et sa délégation arrivent au poste-frontière de Rosso. Autour, le marché d’artisanat bouillonne de vie, une épaisse fumée s’élève depuis les camions qui attendent pour passer en Mauritanie, des pirogues hautes en couleur dansent sur le fleuve Sénégal. Mais l’attention se focalise sur une fine mallette noire posée sur une table, face au chef du poste-frontière. Celui-ci l’ouvre fièrement, dévoilant des dizaines de câbles méticuleusement rangés à côté d’une tablette tactile. La délégation en a le souffle coupé.

    Le « Universal Forensics Extraction Device » (UFED) est un outil d’extraction de données capable de récupérer les historiques d’appels, photos, positions GPS et messages WhatsApp de n’importe quel téléphone portable. Fabriqué par la société israélienne Cellebrite, dont il a fait la réputation, l’UFED est commercialisé auprès des services de police du monde entier, notamment du FBI, pour lutter contre le terrorisme et le trafic de drogues. Néanmoins, ces dernières années, le Nigeria et le Bahreïn s’en sont servis pour voler les données de dissidents politiques, de militants des droits humains et de journalistes, suscitant un tollé.

    Toujours est-il qu’aujourd’hui, une de ces machines se trouve au poste-frontière entre Rosso-Sénégal et Rosso-Mauritanie, deux villes du même nom construites de part et d’autre du fleuve qui sépare les deux pays. Rosso est une étape clé sur la route migratoire qui mène jusqu’en Afrique du Nord. Ici, cependant, cette technologie ne sert pas à arrêter les trafiquants de drogue ou les terroristes, mais à suivre les Ouest-Africains qui veulent migrer vers l’Europe. Et cet UFED n’est qu’un outil parmi d’autres du troublant arsenal de technologies de pointe déployé pour contrôler les déplacements dans la région – un arsenal qui est arrivé là, Cornelia Ernst le sait, grâce aux technocrates de l’Union européenne (UE) avec qui elle travaille.

    Cette eurodéputée allemande se trouve ici, avec son homologue néerlandaise Tineke Strik et une équipe d’assistants, pour mener une mission d’enquête en Afrique de l’Ouest. Respectivement membres du Groupe de la gauche (GUE/NGL) et du Groupe des Verts (Verts/ALE) au Parlement européen, les deux femmes font partie d’une petite minorité de députés à s’inquiéter des conséquences de la politique migratoire européenne sur les valeurs fondamentales de l’UE – à savoir les droits humains –, tant à l’intérieur qu’à l’extérieur de l’Europe.

    Le poste-frontière de Rosso fait partie intégrante de la politique migratoire européenne. Il accueille en effet une nouvelle antenne de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT), fruit d’un « partenariat opérationnel conjoint » entre le Sénégal et l’UE visant à former et équiper la police des frontières sénégalaise et à dissuader les migrants de gagner l’Europe avant même qu’ils ne s’en approchent. Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la DNLT. Ces sites sont équipés d’un luxe de technologies de surveillance intrusive : outre la petite mallette noire, ce sont des logiciels d’identification biométrique des empreintes digitales et de reconnaissance faciale, des drones, des serveurs numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore…

    Dans un communiqué, un porte-parole de la Commission européenne affirme pourtant que les antennes régionales de la DNLT ont été créées par le Sénégal et que l’UE se borne à financer les équipements et les formations.

    « Frontex militarise la Méditerranée »

    Cornelia Ernst redoute que ces outils ne portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes en déplacement. Les responsables sénégalais, note-t-elle, semblent « très enthousiasmés par les équipements qu’ils reçoivent et par leur utilité pour suivre les personnes ». Cornelia Ernst et Tineke Strik s’inquiètent également de la nouvelle politique, controversée, que mène la Commission européenne depuis l’été 2022 : l’Europe a entamé des négociations avec le Sénégal et la Mauritanie pour qu’ils l’autorisent à envoyer du personnel de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, patrouiller aux frontières terrestres et maritimes des deux pays. Objectif avoué : freiner l’immigration africaine.

    Avec un budget de 754 millions d’euros, Frontex est l’agence la mieux dotée financièrement de toute l’UE. Ces cinq dernières années, un certain nombre d’enquêtes – de l’UE, des Nations unies, de journalistes et d’organisations à but non lucratif – ont montré que Frontex a violé les droits et la sécurité des migrants qui traversent la Méditerranée, notamment en aidant les garde-côtes libyens, financés par l’UE, à renvoyer des centaines de milliers de migrants en Libye, un pays dans lequel certains sont détenus, torturés ou exploités comme esclaves sexuels. En 2022, le directeur de l’agence, Fabrice Leggeri, a même été contraint de démissionner à la suite d’une cascade de scandales. Il lui a notamment été reproché d’avoir dissimulé des « pushbacks » : des refoulements illégaux de migrants avant même qu’ils ne puissent déposer une demande d’asile.

    Cela fait longtemps que Frontex est présente de façon informelle au Sénégal, en Mauritanie et dans six autres pays d’Afrique de l’Ouest, contribuant au transfert de données migratoires de ces pays vers l’UE. Mais jamais auparavant l’agence n’avait déployé de gardes permanents à l’extérieur de l’UE. Or à présent, Bruxelles compte bien étendre les activités de Frontex au-delà de son territoire, sur le sol de pays africains souverains, anciennes colonies européennes qui plus est, et ce en l’absence de tout mécanisme de surveillance. Pour couronner le tout, initialement, l’UE avait même envisagé d’accorder l’immunité au personnel de Frontex posté en Afrique de l’Ouest.

    D’évidence, les programmes européens ne sont pas sans poser problème. La veille de leur arrivée à Rosso, Cornelia Ernst et Tineke Strik séjournent à Dakar, où plusieurs groupes de la société civile les mettent en garde. « Frontex menace la dignité humaine et l’identité africaine », martèle Fatou Faye, de la Fondation Rosa Luxemburg, une ONG allemande. « Frontex militarise la Méditerranée », renchérit Saliou Diouf, fondateur de l’association de défense des migrants Boza Fii. Si Frontex poste ses gardes aux frontières africaines, ajoute-t-il, « c’est la fin ».

    Ces programmes s’inscrivent dans une vaste stratégie d’« externalisation des frontières », selon le jargon européen en vigueur. L’idée ? Sous-traiter de plus en plus le contrôle des frontières européennes en créant des partenariats avec des gouvernements africains – autrement dit, étendre les pouvoirs de l’UE aux pays d’origine des migrants. Concrètement, cette stratégie aux multiples facettes consiste à distribuer des équipements de surveillance de pointe, à former les forces de police et à mettre en place des programmes de développement qui prétendent s’attaquer à la racine des migrations.

    Des cobayes pour l’Europe

    En 2016, l’UE a désigné le Sénégal, qui est à la fois un pays d’origine et de transit des migrants, comme l’un de ses cinq principaux pays partenaires pour gérer les migrations africaines. Mais au total, ce sont pas moins de 26 pays africains qui reçoivent de l’argent des contribuables européens pour endiguer les vagues de migration, dans le cadre de 400 projets distincts. Entre 2015 et 2021, l’UE a investi 5 milliards d’euros dans ces projets, 80 % des fonds étant puisés dans les budgets d’aide humanitaire et au développement. Selon des données de la Fondation Heinrich Böll, rien qu’au Sénégal, l’Europe a investi au moins 200 milliards de francs CFA (environ 305 millions d’euros) depuis 2005.

    Ces investissements présentent des risques considérables. Il s’avère que la Commission européenne omet parfois de procéder à des études d’évaluation d’impact sur les droits humains avant de distribuer ses fonds. Or, comme le souligne Tineke Strik, les pays qu’elle finance manquent souvent de garde-fous pour protéger la démocratie et garantir que les technologies et les stratégies de maintien de l’ordre ne seront pas utilisées à mauvais escient. En réalité, avec ces mesures, l’UE mène de dangereuses expériences technico-politiques : elle équipe des gouvernements autoritaires d’outils répressifs qui peuvent être utilisés contre les migrants, mais contre bien d’autres personnes aussi.

    « Si la police dispose de ces technologies pour tracer les migrants, rien ne garantit qu’elle ne s’en servira pas contre d’autres individus, comme des membres de la société civile et des acteurs politiques », explique Ousmane Diallo, chercheur au bureau d’Afrique de l’Ouest d’Amnesty International.

    En 2022, j’ai voulu mesurer l’impact au Sénégal des investissements réalisés par l’UE dans le cadre de sa politique migratoire. Je me suis rendu dans plusieurs villes frontalières, j’ai discuté avec des dizaines de personnes et j’ai consulté des centaines de documents publics ou qui avaient fuité. Cette enquête a mis au jour un complexe réseau d’initiatives qui ne s’attaquent guère aux problèmes qui poussent les gens à émigrer. En revanche, elles portent un rude coup aux droits fondamentaux, à la souveraineté nationale du Sénégal et d’autres pays d’Afrique, ainsi qu’aux économies locales de ces pays, qui sont devenus des cobayes pour l’Europe.

    Des politiques « copiées-collées »

    Depuis la « crise migratoire » de 2015, l’UE déploie une énergie frénétique pour lutter contre l’immigration. A l’époque, plus d’un million de demandeurs d’asile originaires du Moyen-Orient et d’Afrique – fuyant les conflits, la violence et la pauvreté – ont débarqué sur les côtes européennes. Cette « crise migratoire » a provoqué une droitisation de l’Europe. Les leaders populistes surfant sur la peur des populations et présentant l’immigration comme une menace sécuritaire et identitaire, les partis nationalistes et xénophobes en ont fait leurs choux gras.

    Reste que le pic d’immigration en provenance d’Afrique de l’Ouest s’est produit bien avant 2015 : en 2006, plus de 31 700 migrants sont arrivés par bateau aux îles Canaries, un territoire espagnol situé à une centaine de kilomètres du Maroc. Cette vague a pris au dépourvu le gouvernement espagnol, qui s’est lancé dans une opération conjointe avec Frontex, baptisée « Hera », pour patrouiller le long des côtes africaines et intercepter les bateaux en direction de l’Europe.

    Cette opération « Hera », que l’ONG britannique de défense des libertés Statewatch qualifie d’« opaque », marque le premier déploiement de Frontex à l’extérieur du territoire européen. C’est aussi le premier signe d’externalisation des frontières européennes en Afrique depuis la fin du colonialisme au XXe siècle. En 2018, Frontex a quitté le Sénégal, mais la Guardia Civil espagnole y est restée jusqu’à ce jour : pour lutter contre l’immigration illégale, elle patrouille le long des côtes et effectue même des contrôles de passeports dans les aéroports.

    En 2015, en pleine « crise », les fonctionnaires de Bruxelles ont musclé leur stratégie : ils ont décidé de dédier des fonds à la lutte contre l’immigration à la source. Ils ont alors créé le Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique (EUTF). Officiellement, il s’agit de favoriser la stabilité et de remédier aux causes des migrations et des déplacements irréguliers des populations en Afrique.

    Malgré son nom prometteur, c’est la faute de l’EUTF si la mallette noire se trouve à présent au poste-frontière de Rosso – sans oublier les drones et les lunettes de vision nocturne. Outre ce matériel, le fonds d’urgence sert à envoyer des fonctionnaires et des consultants européens en Afrique, pour convaincre les gouvernements de mettre en place de nouvelles politiques migratoires – des politiques qui, comme me le confie un consultant anonyme de l’EUTF, sont souvent « copiées-collées d’un pays à l’autre », sans considération aucune des particularités nationales de chaque pays. « L’UE force le Sénégal à adopter des politiques qui n’ont rien à voir avec nous », explique la chercheuse sénégalaise Fatou Faye à Cornelia Ernst et Tineke Strik.

    Une mobilité régionale stigmatisée

    Les aides européennes constituent un puissant levier, note Leonie Jegen, chercheuse à l’université d’Amsterdam et spécialiste de l’influence de l’UE sur la politique migratoire sénégalaise. Ces aides, souligne-t-elle, ont poussé le Sénégal à réformer ses institutions et son cadre législatif en suivant des principes européens et en reproduisant des « catégories politiques eurocentrées » qui stigmatisent, voire criminalisent la mobilité régionale. Et ces réformes sont sous-tendues par l’idée que « le progrès et la modernité » sont des choses « apportées de l’extérieur » – idée qui n’est pas sans faire écho au passé colonial.

    Il y a des siècles, pour se partager l’Afrique et mieux piller ses ressources, les empires européens ont dessiné ces mêmes frontières que l’UE est aujourd’hui en train de fortifier. L’Allemagne a alors jeté son dévolu sur de grandes parties de l’Afrique de l’Ouest et de l’Afrique de l’Est ; les Pays-Bas ont mis la main sur l’Afrique du Sud ; les Britanniques ont décroché une grande bande de terre s’étendant du nord au sud de la partie orientale du continent ; la France a raflé des territoires allant du Maroc au Congo-Brazzaville, notamment l’actuel Sénégal, qui n’est indépendant que depuis soixante-trois ans.

    L’externalisation actuelle des frontières européennes n’est pas un cas totalement unique. Les trois derniers gouvernements américains ont abreuvé le Mexique de millions de dollars pour empêcher les réfugiés d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud d’atteindre la frontière américaine, et l’administration Biden a annoncé l’ouverture en Amérique latine de centres régionaux où il sera possible de déposer une demande d’asile, étendant ainsi de facto le contrôle de ses frontières à des milliers de kilomètres au-delà de son territoire.

    Cela dit, au chapitre externalisation des frontières, la politique européenne en Afrique est de loin la plus ambitieuse et la mieux financée au monde.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/06/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-1-4-fron

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    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (2/4) : « Nous avons besoin d’aide, pas d’outils sécuritaires »

      Au Sénégal, la création et l’équipement de postes-frontières constituent des éléments clés du partenariat avec l’Union européenne. Une stratégie pas toujours efficace, tandis que les services destinés aux migrants manquent cruellement de financements.

      Par une étouffante journée de mars, j’arrive au poste de contrôle poussiéreux du village sénégalais de #Moussala, à la frontière avec le #Mali. Des dizaines de camions et de motos attendent, en ligne, de traverser ce point de transit majeur. Après avoir demandé pendant des mois, en vain, la permission au gouvernement d’accéder au poste-frontière, j’espère que le chef du poste m’expliquera dans quelle mesure les financements européens influencent leurs opérations. Refusant d’entrer dans les détails, il me confirme que son équipe a récemment reçu de l’Union européenne (UE) des formations et des équipements dont elle se sert régulièrement. Pour preuve, un petit diplôme et un trophée, tous deux estampillés du drapeau européen, trônent sur son bureau.

      La création et l’équipement de postes-frontières comme celui de Moussala constituent des éléments clés du partenariat entre l’UE et l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM). Outre les technologies de surveillance fournies aux antennes de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), chaque poste-frontière est équipé de systèmes d’analyse des données migratoires et de systèmes biométriques de reconnaissance faciale et des empreintes digitales.

      Officiellement, l’objectif est de créer ce que les fonctionnaires européens appellent un système africain d’#IBM, à savoir « #Integrated_Border_Management » (en français, « gestion intégrée des frontières »). Dans un communiqué de 2017, le coordinateur du projet de l’OIM au Sénégal déclarait : « La gestion intégrée des frontières est plus qu’un simple concept, c’est une culture. » Il avait semble-t-il en tête un changement idéologique de toute l’Afrique, qui ne manquerait pas selon lui d’embrasser la vision européenne des migrations.

      Technologies de surveillance

      Concrètement, ce système IBM consiste à fusionner les #bases_de_données sénégalaises (qui contiennent des données biométriques sensibles) avec les données d’agences de police internationales (comme #Interpol et #Europol). Le but : permettre aux gouvernements de savoir qui franchit quelle frontière et quand. Un tel système, avertissent les experts, peut vite faciliter les expulsions illégales et autres abus.

      Le risque est tout sauf hypothétique. En 2022, un ancien agent des services espagnols de renseignement déclarait au journal El Confidencial que les autorités de plusieurs pays d’Afrique « utilisent les technologies fournies par l’Espagne pour persécuter et réprimer des groupes d’opposition, des militants et des citoyens critiques envers le pouvoir ». Et d’ajouter que le gouvernement espagnol en avait parfaitement conscience.

      D’après un porte-parole de la Commission européenne, « tous les projets qui touchent à la sécurité et sont financés par l’UE comportent un volet de formation et de renforcement des capacités en matière de droits humains ». Selon cette même personne, l’UE effectue des études d’impact sur les droits humains avant et pendant la mise en œuvre de ces projets. Mais lorsque, il y a quelques mois, l’eurodéputée néerlandaise Tineke Strik a demandé à voir ces études d’impact, trois différents services de la Commission lui ont envoyé des réponses officielles disant qu’ils ne les avaient pas. En outre, selon un de ces services, « il n’existe pas d’obligation réglementaire d’en faire ».

      Au Sénégal, les libertés civiles sont de plus en plus menacées et ces technologies de surveillance risquent d’autant plus d’être utilisées à mauvais escient. Rappelons qu’en 2021, les forces de sécurité sénégalaises ont tué quatorze personnes qui manifestaient contre le gouvernement ; au cours des deux dernières années, plusieurs figures de l’opposition et journalistes sénégalais ont été emprisonnés pour avoir critiqué le gouvernement, abordé des questions politiques sensibles ou avoir « diffusé des fausses nouvelles ». En juin, après qu’Ousmane Sonko, principal opposant au président Macky Sall, a été condamné à deux ans d’emprisonnement pour « corruption de la jeunesse », de vives protestations ont fait 23 morts.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi »

      Alors que j’allais renoncer à discuter avec la police locale, à Tambacounda, autre grand point de transit non loin des frontières avec le Mali et la Guinée, un policier de l’immigration en civil a accepté de me parler sous couvert d’anonymat. C’est de la région de #Tambacounda, qui compte parmi les plus pauvres du Sénégal, que proviennent la plupart des candidats à l’immigration. Là-bas, tout le monde, y compris le policier, connaît au moins une personne qui a tenté de mettre les voiles pour l’Europe.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi », me confie-t-il par l’entremise d’un interprète, après s’être éloigné à la hâte du poste-frontière. Les investissements de l’UE « n’ont rien changé du tout », poursuit-il, notant qu’il voit régulièrement des personnes en provenance de Guinée passer par le Sénégal et entrer au Mali dans le but de gagner l’Europe.

      Depuis son indépendance en 1960, le Sénégal est salué comme un modèle de démocratie et de stabilité, tandis que nombre de ses voisins sont en proie aux dissensions politiques et aux coups d’Etat. Quoi qu’il en soit, plus d’un tiers de la population vit sous le seuil de pauvreté et l’absence de perspectives pousse la population à migrer, notamment vers la France et l’Espagne. Aujourd’hui, les envois de fonds de la diaspora représentent près de 10 % du PIB sénégalais. A noter par ailleurs que, le Sénégal étant le pays le plus à l’ouest de l’Afrique, de nombreux Ouest-Africains s’y retrouvent lorsqu’ils fuient les problèmes économiques et les violences des ramifications régionales d’Al-Qaida et de l’Etat islamique (EI), qui ont jusqu’à présent contraint près de 4 millions de personnes à partir de chez elles.

      « L’UE ne peut pas résoudre les problèmes en construisant des murs et en distribuant de l’argent, me dit le policier. Elle pourra financer tout ce qu’elle veut, ce n’est pas comme ça qu’elle mettra fin à l’immigration. » Les sommes qu’elle dépense pour renforcer la police et les frontières, dit-il, ne servent guère plus qu’à acheter des voitures climatisées aux policiers des villes frontalières.

      Pendant ce temps, les services destinés aux personnes expulsées – comme les centres de protection et d’accueil – manquent cruellement de financements. Au poste-frontière de Rosso, des centaines de personnes sont expulsées chaque semaine de Mauritanie. Mbaye Diop travaille avec une poignée de bénévoles du centre que la Croix-Rouge a installé du côté sénégalais pour accueillir ces personnes expulsées : des hommes, des femmes et des enfants qui présentent parfois des blessures aux poignets, causées par des menottes, et ailleurs sur le corps, laissées par les coups de la police mauritanienne. Mais Mbaye Diop n’a pas de ressources pour les aider. L’approche n’est pas du tout la bonne, souffle-t-il : « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires. »

      La méthode de la carotte

      Pour freiner l’immigration, l’UE teste également la méthode de la carotte : elle propose des subventions aux entreprises locales et des formations professionnelles à ceux qui restent ou rentrent chez eux. La route qui mène à Tambacounda est ponctuée de dizaines et de dizaines de panneaux publicitaires vantant les projets européens.

      Dans la réalité, les offres ne sont pas aussi belles que l’annonce l’UE. Binta Ly, 40 ans, en sait quelque chose. A Tambacounda, elle tient une petite boutique de jus de fruits locaux et d’articles de toilette. Elle a fait une année de droit à l’université, mais le coût de la vie à Dakar l’a contrainte à abandonner ses études et à partir chercher du travail au Maroc. Après avoir vécu sept ans à Casablanca et Marrakech, elle est rentrée au Sénégal, où elle a récemment inauguré son magasin.

      En 2022, Binta Ly a déposé une demande de subvention au Bureau d’accueil, d’orientation et de suivi (BAOS) qui avait ouvert la même année à Tambacounda, au sein de l’antenne locale de l’Agence régionale de développement (ARD). Financés par l’UE, les BAOS proposent des subventions aux petites entreprises sénégalaises dans le but de dissuader la population d’émigrer. Binta Ly ambitionnait d’ouvrir un service d’impression, de copie et de plastification dans sa boutique, idéalement située à côté d’une école primaire. Elle a obtenu une subvention de 500 000 francs CFA (762 euros) – soit un quart du budget qu’elle avait demandé –, mais peu importe, elle était très enthousiaste. Sauf qu’un an plus tard, elle n’avait toujours pas touché un seul franc.

      Dans l’ensemble du Sénégal, les BAOS ont obtenu une enveloppe totale de 1 milliard de francs CFA (1,5 million d’euros) de l’UE pour financer ces subventions. Mais l’antenne de Tambacounda n’a perçu que 60 millions de francs CFA (91 470 euros), explique Abdoul Aziz Tandia, directeur du bureau local de l’ARD. A peine de quoi financer 84 entreprises dans une région de plus d’un demi-million d’habitants. Selon un porte-parole de la Commission européenne, la distribution des subventions a effectivement commencé en avril. Le fait est que Binta Ly a reçu une imprimante et une plastifieuse, mais pas d’ordinateur pour aller avec. « Je suis contente d’avoir ces aides, dit-elle. Le problème, c’est qu’elles mettent très longtemps à venir et que ces retards chamboulent tout mon business plan. »

      Retour « volontaire »

      Abdoul Aziz Tandia admet que les BAOS ne répondent pas à la demande. C’est en partie la faute de la bureaucratie, poursuit-il : Dakar doit approuver l’ensemble des projets et les intermédiaires sont des ONG et des agences étrangères, ce qui signifie que les autorités locales et les bénéficiaires n’exercent aucun contrôle sur ces fonds, alors qu’ils sont les mieux placés pour savoir comment les utiliser. Par ailleurs, reconnaît-il, de nombreuses régions du pays n’ayant accès ni à l’eau propre, ni à l’électricité ni aux soins médicaux, ces microsubventions ne suffisent pas à empêcher les populations d’émigrer. « Sur le moyen et le long termes, ces investissements n’ont pas de sens », juge Abdoul Aziz Tandia.

      Autre exemple : aujourd’hui âgé de 30 ans, Omar Diaw a passé au moins cinq années de sa vie à tenter de rejoindre l’Europe. Traversant les impitoyables déserts du Mali et du Niger, il est parvenu jusqu’en Algérie. Là, à son arrivée, il s’est aussitôt fait expulser vers le Niger, où il n’existe aucun service d’accueil. Il est alors resté coincé des semaines entières dans le désert. Finalement, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) l’a renvoyé en avion au Sénégal, qualifiant son retour de « volontaire ».

      Lorsqu’il est rentré chez lui, à Tambacounda, l’OIM l’a inscrit à une formation de marketing numérique qui devait durer plusieurs semaines et s’accompagner d’une allocation de 30 000 francs CFA (46 euros). Mais il n’a jamais touché l’allocation et la formation qu’il a suivie est quasiment inutile dans sa situation : à Tambacounda, la demande en marketing numérique n’est pas au rendez-vous. Résultat : il a recommencé à mettre de l’argent de côté pour tenter de nouveau de gagner l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/07/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-2-4-nous
      #OIM #retour_volontaire

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (3/4) : « Il est presque impossible de comprendre à quoi sert l’argent »

      A coups de centaines de millions d’euros, l’UE finance des projets dans des pays africains pour réduire les migrations. Mais leur impact est difficile à mesurer et leurs effets pervers rarement pris en considération.

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      Au chapitre migrations, rares sont les projets de l’Union européenne (UE) qui semblent adaptés aux réalités africaines. Mais il n’est pas sans risques de le dire tout haut. C’est ce que Boubacar Sèye, chercheur dans le domaine, a appris à ses dépens.

      Né au Sénégal, il vit aujourd’hui en Espagne. Ce migrant a quitté la Côte d’Ivoire, où il travaillait comme professeur de mathématiques, quand les violences ont ravagé le pays au lendemain de l’élection présidentielle de 2000. Après de brefs séjours en France et en Italie, Boubacar Sèye s’est établi en Espagne, où il a fini par obtenir la citoyenneté et fondé une famille avec son épouse espagnole. Choqué par le bilan de la vague de migration aux Canaries en 2006, il a créé l’ONG Horizons sans frontières pour aider les migrants africains en Espagne. Aujourd’hui, il mène des recherches et défend les droits des personnes en déplacement, notamment celles en provenance d’Afrique et plus particulièrement du Sénégal.

      En 2019, Boubacar Sèye s’est procuré un document détaillant comment les fonds des politiques migratoires de l’UE sont dépensés au Sénégal. Il a été sidéré par le montant vertigineux des sommes investies pour juguler l’immigration, alors que des milliers de candidats à l’asile se noient chaque année sur certaines des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Lors d’entretiens publiés dans la presse et d’événements publics, il a ouvertement demandé aux autorités sénégalaises d’être plus transparentes sur ce qu’elles avaient fait des centaines de millions d’euros de l’Europe, qualifiant ces projets de véritable échec.

      Puis, au début de l’année 2021, il a été arrêté à l’aéroport de Dakar pour « diffusion de fausses informations ». Il a ensuite passé deux semaines en prison. Sa santé se dégradant rapidement sous l’effet du stress, il a fait une crise cardiaque. « Ce séjour en prison était inhumain, humiliant, et il m’a causé des problèmes de santé qui durent jusqu’à aujourd’hui, s’indigne le chercheur. J’ai juste posé une question : “Où est passé l’argent ?” »

      Ses intuitions n’étaient pas mauvaises. Les financements de la politique anti-immigration de l’UE sont notoirement opaques et difficiles à tracer. Les demandes déposées dans le cadre de la liberté d’information mettent des mois, voire des années à être traitées, alors que la délégation de l’UE au Sénégal, la Commission européenne et les autorités sénégalaises ignorent ou déclinent les demandes d’interviews.

      La Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), la police des frontières, le ministère de l’intérieur et le ministère des affaires étrangères – lesquels ont tous bénéficié des fonds migratoires européens – n’ont pas répondu aux demandes répétées d’entretien pour réaliser cette enquête.
      « Nos rapports doivent être positifs »

      Les rapports d’évaluation de l’UE ne donnent pas de vision complète de l’impact des programmes. A dessein ? Plusieurs consultants qui ont travaillé sur des rapports d’évaluation d’impact non publiés de projets du #Fonds_fiduciaire_d’urgence_de_l’UE_pour_l’Afrique (#EUTF), et qui s’expriment anonymement en raison de leur obligation de confidentialité, tirent la sonnette d’alarme : les effets pervers de plusieurs projets du fonds sont peu pris en considération.

      Au #Niger, par exemple, l’UE a contribué à élaborer une loi qui criminalise presque tous les déplacements, rendant de fait illégale la mobilité dans la région. Alors que le nombre de migrants irréguliers qui empruntent certaines routes migratoires a reculé, les politiques européennes rendent les routes plus dangereuses, augmentent les prix qu’exigent les trafiquants et criminalisent les chauffeurs de bus et les sociétés de transport locales. Conséquence : de nombreuses personnes ont perdu leur travail du jour au lendemain.

      La difficulté à évaluer l’impact de ces projets tient notamment à des problèmes de méthode et à un manque de ressources, mais aussi au simple fait que l’UE ne semble guère s’intéresser à la question. Un consultant d’une société de contrôle et d’évaluation financée par l’UE confie : « Quel est l’impact de ces projets ? Leurs effets pervers ? Nous n’avons pas les moyens de répondre à ces questions. Nous évaluons les projets uniquement à partir des informations fournies par des organisations chargées de leur mise en œuvre. Notre cabinet de conseil ne réalise pas d’évaluation véritablement indépendante. »

      Selon un document interne que j’ai pu me procurer, « rares sont les projets qui nous ont fourni les données nécessaires pour évaluer les progrès accomplis en direction des objectifs généraux de l’EUTF (promouvoir la stabilité et limiter les déplacements forcés et les migrations illégales) ». Selon un autre consultant, seuls les rapports positifs semblent les bienvenus : « Il est implicite que nos rapports doivent être positifs si nous voulons à l’avenir obtenir d’autres projets. »

      En 2018, la Cour des comptes européenne, institution indépendante, a émis des critiques sur l’EUTF : ses procédures de sélection de projets manquent de cohérence et de clarté. De même, une étude commanditée par le Parlement européen qualifie ses procédures d’« opaques ». « Le contrôle du Parlement est malheureusement très limité, ce qui constitue un problème majeur pour contraindre la Commission à rendre des comptes, regrette l’eurodéputée allemande Cornelia Ernst. Même pour une personne très au fait des politiques de l’UE, il est presque impossible de comprendre où va l’argent et à quoi il sert. »

      Le #fonds_d’urgence pour l’Afrique a notamment financé la création d’unités de police des frontières d’élite dans six pays d’Afrique de l’Ouest, et ce dans le but de lutter contre les groupes de djihadistes et les trafics en tous genres. Or ce projet, qui aurait permis de détourner au moins 12 millions d’euros, fait actuellement l’objet d’une enquête pour fraude.
      Aucune étude d’impact sur les droits humains

      En 2020, deux projets de modernisation des #registres_civils du Sénégal et de la Côte d’Ivoire ont suscité de vives inquiétudes des populations. Selon certaines sources, ces projets financés par l’EUTF auraient en effet eu pour objectif de créer des bases de #données_biométriques nationales. Les défenseurs des libertés redoutaient qu’on collecte et stocke les empreintes digitales et images faciales des citoyens des deux pays.

      Quand Ilia Siatitsa, de l’ONG britannique Privacy International, a demandé à la Commission européenne de lui fournir des documents sur ces projets, elle a découvert que celle-ci n’avait réalisé aucune étude d’impact sur les droits humains. En Europe, aucun pays ne possède de base de données comprenant autant d’informations biométriques.

      D’après un porte-parole de la Commission, jamais le fonds d’urgence n’a financé de registre biométrique, et ces deux projets consistent exclusivement à numériser des documents et prévenir les fraudes. Or la dimension biométrique des registres apparaît clairement dans les documents de l’EUTF qu’Ilia Siatitsa s’est procurés : il y est écrit noir sur blanc que le but est de créer « une base de données d’identification biométrique pour la population, connectée à un système d’état civil fiable ».

      Ilia Siatitsa en a déduit que le véritable objectif des deux projets était vraisemblablement de faciliter l’expulsion des migrants africains d’Europe. D’ailleurs, certains documents indiquent explicitement que la base de données ivoirienne doit servir à identifier et expulser les Ivoiriens qui résident illégalement sur le sol européen. L’un d’eux explique même que l’objectif du projet est de « faciliter l’identification des personnes qui sont véritablement de nationalité ivoirienne et l’organisation de leur retour ».

      Quand Cheikh Fall, militant sénégalais pour le droit à la vie privée, a appris l’existence de cette base de données, il s’est tourné vers la Commission de protection des données personnelles (CDP), qui, légalement, aurait dû donner son aval à un tel projet. Mais l’institution sénégalaise n’a été informée de l’existence du projet qu’après que le gouvernement l’a approuvé.

      En novembre 2021, Ilia Siatitsa a déposé une plainte auprès du médiateur de l’UE. En décembre 2022, après une enquête indépendante, le médiateur a rendu ses conclusions : la Commission n’a pas pris en considération l’impact sur la vie privée des populations africaines de ce projet et d’autres projets que finance l’UE dans le cadre de sa politique migratoire.

      Selon plusieurs sources avec lesquelles j’ai discuté, ainsi que la présentation interne du comité de direction du projet – que j’ai pu me procurer –, il apparaît que depuis, le projet a perdu sa composante biométrique. Cela dit, selon Ilia Siatitsa, cette affaire illustre bien le fait que l’UE effectue en Afrique des expériences sur des technologies interdites chez elle.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/08/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-3-4-il-e

  • Immigration : après la #Tunisie, l’Union européenne viserait des #partenariats_migratoires avec l’#Egypte et le #Maroc

    L’#Union_européenne souhaite négocier avec l’Égypte et le Maroc des partenariats similaires à celui qu’elle vient de conclure avec la Tunisie, portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière.

    L’UE et la Tunisie ont signé ce dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « #partenariat_stratégique », qui concerne aussi le développement économique du pays et les énergies renouvelables.

    Sur le volet migratoire, il prévoit une aide européenne de 105 millions d’euros destinée à empêcher les départs de bateaux de migrants vers l’UE depuis les côtes tunisiennes et lutter contre les passeurs.

    Mais aussi à faciliter les retours dans ce pays de Tunisiens qui sont en situation irrégulière dans l’UE, ainsi que les retours depuis la Tunisie vers leurs pays d’origine de migrants d’Afrique subsaharienne.

    La présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen a dit souhaiter que ce partenariat soit un #modèle pour de futurs #accords avec les pays de la région.

    L’Égypte et le Maroc sont deux pays qui pourraient être concernés, a indiqué un haut responsable européen s’exprimant sous couvert de l’anonymat, soulignant les bénéfices de ce type de partenariat pour les deux rives de la Méditerranée.

    Mais cet accord avec Tunis a aussi suscité des critiques en raison du traitement des migrants d’Afrique sub-saharienne dans ce pays du Maghreb. Des centaines de migrants ont été arrêtés en Tunisie puis « déportés » par la police, selon les ONG, vers des zones inhospitalières aux frontières avec Algérie et Libye.

    https://information.tv5monde.com/afrique/immigration-apres-la-tunisie-lunion-europeenne-viserait-des-pa

    #externalisation #migrations #asile #réfugiés #frontières #partenariat #modèle_tunisien

    –—

    ajouté à la métaliste sur le #memorandum_of_understanding avec la Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

    ping @_kg_

  • En exportant des armes, la France et l’Allemagne alimentent le conflit entre la Grèce et la Turquie [mars 2022]
    https://www.investigate-europe.eu/fr/2022/exportations-armes-france-allemagne-conflit-grece-turquie

    En 2021, au cœur de la récession provoquée par la pandémie, la #Grèce a consacré 3,8% de son PIB à la #défense. En relatif, le budget le plus élevé de tous les États membres de l’Otan… Le petit État du sud de l’Europe, a dépensé davantage que les États-Unis - 3,5% de leur PIB. « Nous ne sommes pas un grand pays, nous n’avons pas non plus la plus grande économie d’Europe », expliquait ainsi le ministre grec des affaires étrangères, en janvier dernier. « Pourtant, nous avons plus de chars d’assaut que l’Allemagne et la France réunies. Nous avons l’une des plus grandes, sinon la plus grande, force aérienne de l’UE. Nous avons plus de 250 avions de combat ».

    [...] Au cours des 40 dernières années, les États-Unis, l’Allemagne et la France ont été les principaux exportateurs d’#armes vers la Grèce et la #Turquie. [...] La France, elle, a souvent choisi le camp de la Grèce, quant à l’Allemagne, elle a plutôt préféré celui de la Turquie. Au fil des années, les deux grandes alliées de l’UE, ont alimenté une course à l’armement qui semble sans limite.

    [...] En septembre 2021, c’est au tour de la France de soutenir la Grèce, avec la signature d’une clause d’assistance mutuelle en matière de défense. Cet accord, poussé par la diplomatie grecque depuis des années, stipule que la France viendra en aide à la Grèce si elle est attaquée par un autre pays, y compris… la Turquie. La protection française s’est monnayée chère, le “partenariat stratégique” inclut l’achat de 24 avions Rafale et d’ « au minimum trois frégates Belharra », le ministre grec de la défense laissant entendre qu’il serait prêt à monter jusqu’à 40 Rafales.

  • De nouvelles formes de partenariat public-privé ?
    https://metropolitiques.eu/De-nouvelles-formes-de-partenariat-public-prive.html

    Face à l’austérité budgétaire, la Ville de #Grenoble se donne un nouveau rôle de maîtrise d’ouvrage publique en recourant aux APUI. À la fois garante, propriétaire et facilitatrice, elle réinvente l’usage d’un foncier sous-exploité tout en préservant l’intérêt général. Les appels à projets urbains innovants (APUI) ont suscité beaucoup de débats entre 2016 et 2019. Pour rappel, ces dispositifs consistent à « adapter les modalités publiques de cession foncière à des enjeux d’innovation. Les sites sont mis à #Terrains

    / Grenoble, #patrimoine, partenariat public-privé, #aménagement, #projet_urbain

    #partenariat_public-privé
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_gatta-etal.pdf

  • Le Nigéria et la Suisse : célébrer pour mieux renvoyer ?

    La Conseillère fédérale Karin Keller-Sutter était présente le 23 mars à Abuja afin de fêter les 10 ans du #partenariat_migratoire qui lie la Suisse et le Nigéria. Le Département fédéral de justice et police (DFJP) évoque ce partenariat comme étant un « modèle de réussite ». En échange de « projets de développements » tels que des programmes de formations ou d’aide au retour, le Nigéria collabore « dans l’amélioration de la gestion et de la gouvernance de la migration », félicite de son côté sur son blog l’expert Étienne Piguet.

    Dans une interview accordée à l’émission Forum (RTS, 23 mars 2021 : https://www.rts.ch/play/tv/forum-video/video/partenariat-migratoire-avec-le-nigeria-pas-equitable-selon-veronica-almedom?urn=), la ministre suisse évoque une approche globale, bilatérale, où les deux pays auraient scellé des #intérêts_équilibrés : https://www.rts.ch/info/suisse/12068289-succes-et-faiblesses-du-partenariat-migratoire-entre-la-suisse-et-le-ni. Elle conclut avec cette affirmation : « On parle de gens qui sont déboutés en Suisse, qui ne peuvent pas rester ». Mais cela, personne ne l’a questionné. Or, n’est-il pas primordial de se demander pourquoi un partenariat migratoire se focalise sur le retour alors que la situation sécuritaire du pays est loin d’être sereine ?

    Quid de l’insurrection islamiste Boko Haram dans le nord-est, qui a déplacé plus de deux millions de personnes et créé une crise humanitaire massive ? De la répression du militantisme des peuples Ogonis et Ijaw contre l’exploitation pétrolifère dans le delta du Niger ? De la violence croissante entre éleveurs et communautés agricoles qui s’étend de la ceinture centrale vers le sud ? Du conflit au Biafra dans le sud du pays ? L’extermination de près de 30’000 Igbos (une ethnie locale) en septembre 1966 continue de peser sur la situation actuelle dans la région selon un rapport du gouvernement britannique. Quelle reconnaissance, enfin, pour les jeunes femmes victimes de traître des êtres humains qui ne peuvent trouver de protection dans leur pays ?

    En 10 ans parmi les 14’970 ressortisant·es du Nigéria qui ont demandé l’asile en Suisse, seules 18 personnes ont obtenu un permis B réfugié. N’avaient-elles vraiment pas besoin d’être protégées ? Les autorités suisses se sont-elles souciées du sort de celles qui ont été renvoyées au Nigéria ?

    Avant de parler de « modèle » ou de « réussite », il importe de rappeler ce contexte sécuritaire et de questionner la pratique suisse constante à l’égard du Nigéria, comme l’a fait la revue Vivre Ensemble dans sa dernière édition (VE 181 / février 2021).

    https://asile.ch/2021/03/30/humeur-le-nigeria-et-la-suisse-celebrer-pour-mieux-renvoyer

    #Nigeria #Suisse #développement #renvois #expulsions #asile #migrations #aide_au_développement #coopération_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #partenariats_migratoires

  • L’#UE et le #Niger signent un nouvel accord pour lutter contre les trafiquants d’êtres humains

    Depuis 2015, le Niger a mis en place une politique de #dissuasion, en #coopération avec l’#Union_européenne, pour réduire l’#attractivité de son territoire devenu terre de transit pour les migrants, qui cherchent à rejoindre l’Europe via la Libye. Un nouvel #accord a été signé vendredi pour amplifier la #lutte_contre_l'immigration_clandestine, en protégeant mieux les frontières et en offrant des alternatives à ceux qui vivent de la migration dans le pays.

    D’après la #Commission_européenne, la coopération avec le Niger « passe à la vitesse supérieure » grâce à la signature d’un #partenariat_opérationnel pour combattre le trafic vendredi 15 juillet avec l’Union européenne (UE) doit permettre au Niger d’augmenter l’impact de l’équipe d’enquête conjointe qui a été établie dans le cadre de la #mission_civile_européenne (#EUCAP) #Sahel-Niger.

    Selon #Hamadou_Adamou_Souley, ministre nigérien de l’Intérieur, ce nouvel accord de coopération permettra à la fois de protéger les frontières et les migrants : « Tout ce que ces migrants demandent, c’est de vivre dignement, d’être traité comme des êtres humains. C’est ce que le Niger essaie de leur offrir comme opportunité. C’est pour cela que nous ouvrons nos frontières à ces migrants et nous essayons de les accompagner. »

    Pour Hamadou Adamou Souley, l’important est désormais de concrétiser les nouveaux projets évoqués par la Commissaire européenne aux Affaires intérieures lors de sa visite à Agadez, à savoir des projets de #développement_économique qui permettront de donner de nouvelles activités à ceux qui vivaient autrefois de la migration.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/41962/lue-et-le-niger-signent-un-nouvel-accord-pour-lutter-contre-les-trafiq
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Niger #externalisation_des_frontières #EU #Europe #coopération_au_développement #conditionnalité_de_l'aide_au_développement

    ping @rhoumour @karine4

    –-

    ajouté à la #métaliste autour de #migrations et #développement :
    https://seenthis.net/messages/733358

    et notamment sur la conditionnalité de l’aide au développement à la fermeture des frontières :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    • Joint press release: Strengthening cooperation in the fight against migrant smuggling: the European Union and Niger launch operational partnership to tackle migrant smuggling

      Today, the European Union and Niger are strengthening their cooperation with the launch of an operational partnership to tackle migrant smuggling. Joint efforts under this partnership will help to save lives, disrupt the business model used by criminal networks, prevent migrants from becoming victims of violence and exploitation and protect their fundamental rights.

      As highlighted in the new EU Pact on Migration and Asylum, combatting migrant smuggling is a shared challenge that requires robust cooperation and coordination with key partner countries along migration routes, in line with the EU’s overarching approach to migration. Located at the heart of the Sahel, Niger has for decades been at the crossroads of migration flows to North and West Africa and to the EU, as well as a destination country for migrants. The country has made considerable efforts to tackle migrant smuggling, helping to evacuate individuals affected from Libya and ensuring a dignified return home for irregular migrants. Niger and the European Union have worked together as trusted partners in the Sahel region and have been involved in several joint initiatives addressing wider migration and security issues, including the challenges of irregular migration, and focusing in particular on efforts to tackle criminal groups operating in the region in the pursuit of profit.

      Now, the constructive cooperation between Niger and the European Union and the strong mutual commitment to stepping up joint efforts to address migration and security risks and the consequences of irregular migration are moving up a gear, from both an operational and a political point of view. The operational partnership to tackle migrant smuggling is a response to shared needs and sets out to achieve common objectives, based on the renewed EU #Action_Plan_against_Migrant_Smuggling (2021-2025).

      Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, said: ‘We are taking a crucial step in efforts to combat migrant smuggling and are making progress towards achieving the objectives set out in the New Pact on Migration and Asylum. Niger has long been a key partner in terms of addressing security challenges and managing migration and I am delighted that today we are jointly launching an operational partnership to tackle migrant smuggling in order to consolidate and ramp up our efforts. Together, we will do all we can to save migrants’ lives and prevent violations of their rights, strengthen the management and security of borders, dismantle the criminal networks that are responsible for smuggling and offer genuine economic alternatives to people seeking a better life in Niger.’

      Niger’s Minister for the Interior, Hamadou Adamou Souley, said: ‘Implementing this operational partnership to tackle migrant smuggling aligns perfectly with the actions and activities under programmes II and III of the action plan set out in our National Migration Policy. This will allow us to work together to better protect migrants, secure our borders and achieve our ultimate aim, which is to improve living conditions for migrants and their host communities.’

      Content of the operational partnership to tackle migrant smuggling

      Part of the EU’s wider efforts with Niger on migration, the Operational Partnership comprises a number of actions that could be expanded to ensure that the Partnership can adapt as the context surrounding migration and the phenomenon itself evolve.

      This will boost the success of the #Joint_Investigation_Team (#JIT) in Niger, where, with EU funding, officers from services in EU Member States and Niger are working side by side to disrupt the business model of people smugglers and criminal networks. Since 2017, over 700 criminals have been arrested and over 400 judicial proceedings have been launched. The Operational Partnership will maximise the impact of the JIT and strengthen links with other operational activities in the region to address migrant smuggling.

      New information and awareness-raising campaigns will also be launched, explaining the risks of irregular migration and migrant smuggling, as well as setting out possible alternatives. By challenging the narratives put forward by people smugglers, the campaigns set out to inform migrants and influence their decisions to migrate.

      The working arrangement between #Frontex and Niger, currently under discussion, will support the Nigerien authorities with regard to integrated border management by strengthening risk management and assessment capabilities with a view to facilitating legitimate border crossings and tackling irregular migration and cross-border crime.

      The #European_Union_Capacity_Building_Mission (EUCAP) Sahel Niger has been working with partners in Niger for nearly ten years to tackle terrorism, organised crime and criminal people-smuggling networks operating in the region. This work is part of the European Union’s commitment to security and defence efforts in the Sahel region under the responsibility of the High Representative of the EU for Foreign Affairs and Security Policy, #Josep-Borrell. The signing of a working arrangement between Frontex and the EUCAP Sahel Niger will support the joint commitment by the European Union and Niger to improve border-management structures in Niger and crack down on people traffickers and smugglers and those who seek to profit from the distress of migrant men, women and children. The working arrangement will facilitate and enhance efforts to exchange information, offer targeted training activities, share best practices and advise the Nigerien authorities.

      The #Coordination_Platform_on_Migration, which is part of the office of Niger’s Minister for the Interior, working in close cooperation with the EU Delegation to Niger, will operate as a coordination and monitoring mechanism for implementing the Operational Partnership to ensure consistency across activities and coordination of stakeholders, in line with Niger’s National Migration Policy (2020-2035), the European Union’s overarching approach to migration and its work with partner countries under the New Pact on Migration and Asylum.

      The Operational Partnership will work in tandem with the two Team Europe initiatives on the Central Mediterranean route and the Atlantic and Western Mediterranean route. Projects carried out under these two initiatives will help to implement the Operational Partnership and strengthen efforts by the European Union and the Member States to tackle irregular migration and forced displacement. At the same time, EU support under the #NDICI - Global Europe instrument in terms of human development, governance and sustainable and inclusive economic growth, including through EUR 195 million in budget support, will help Niger in its efforts to implement key reforms and address security and socio-economic challenges as well as challenges related to migration management. The Operational Partnership will be complemented by projects seeking to promote economic development and improve the availability of and access to high-quality public social services for communities in Niger, particularly in the #Agadez region.

      https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_4536

    • Actions sur les questions migratoires : L’ICMPD annonce la signature d’un accord de coopération avec les autorités nigériennes

      Le #Centre_International_pour_le_Développement_des_Politiques_Migratoires (#ICMPD, en anglais), a organisé, hier mardi 12 juillet 2022 à Niamey, un déjeuner de travail, avec les différents acteurs intervenant sur les questions migratoires. C’était une occasion pour informer les autorités, les organisations internationales et leur présenter ledit centre mais aussi pour annoncer la signature d’un accord de coopération, sur la migration, le jeudi 14 juillet prochain, avec les autorités nigériennes.

      Selon M. Vincent Marchadier, Chef de Projet au Bureau ICMPD pour l’Afrique de l’Ouest, le Niger est un pays clé tant au niveau du Sahel, qu’au niveau de la CEDEAO, confronté aux flux migratoires, qui passe de pays de transit à un pays de destination, avec les migrants irréguliers, qui ont tendance à s’installer, de plus en plus au Niger et cela pour plusieurs raisons. « D’où l’importance de rencontrer les autorités politiques et les autres structures œuvrant dans la lutte contre la migration irrégulière, pour les appuyer dans ce combat et cela à travers plusieurs projets et actions communes », a indiqué M. Marchadier. Le Niger, a-t-il précisé a été retenu, au regard de la volonté et de la disponibilité des autorités à combattre cette migration irrégulière, qui par ailleurs cause de nombreux problèmes (violence, divers trafics, insécurité, etc.). Il a ajouté que sur toutes ces questions l’ICMPD peut apporter son expertise, pour contribuer à les résoudre, que d’autres structures n’ont pas pu apporter. « Cet accord a pour but de définir le cadre de relation entre l’ICMPD et le gouvernement du Niger, afin de travailler à résoudre les difficultés qui sont posées par le phénomène migratoire, au niveau du territoire nigérien », a-t-il déclaré. Quant au Directeur Général de l’ICMPD, M. Mickael Spindelegger, il a indiqué que : « Nous allons rencontrer le Premier ministre du Niger, pour qu’il nous décline quels sont les domaines dans lesquels il veut que nous intervenions dans le domaine de cette coopération ». Selon M. Spindelegger, cet accord de siège permettra au ICMPD d’être reconnu comme organisation internationale intervenant dans le domaine migratoire, et par la même d’être capable de développer ses activités d’aide et de coopération au niveau national. « Cet accord nous permettra de développer des projets importants et porteurs pour la lutte contre la migration irrégulière mais aussi pour le développement de ce vaste pays, qui a une réelle volonté de bien s’impliquer dans le combat contre ce type de migration, en dépit de nombreux défis auxquels il fait face », a-t-il ajouté.

      « Nous allons d’abord nous renseigner sur l’état de la situation sur toutes les questions migratoires concernant le Niger et ensuite en coopération avec les autorités nationales, définir les axes d’interventions, les projets pertinents et adaptés qu’il faut mettre en œuvre en fonction de la situation. Nous comptons travailler sur un projet, qui nous tient à cœur concernant le Niger et le Nigeria, pour que ces deux pays travaillent, le plus étroitement possible sur les questions migratoires. L’ouverture d’esprit des autorités nigériennes et leur esprit coopératif, nous permettront, sans nul doute d’atteindre des bons résultats, suite à la prochaine signature de l’accord de siège », a précisé M. Spindelegger.

      Notons que l’ICMPD est une organisation internationale dont les opérations sont réparties dans 90 pays à travers le monde. Il a été créé par l’Autriche et la Suisse en 1993 et compte 19 États membres en 2022.

      https://www.lesahel.org/actions-sur-les-questions-migratoires-licmpd-annonce-la-signature-dun-accor

  • #Maroc. À #Nador, les morts sont africains, l’argent européen

    Le 24 juin 2022, au moins 23 migrants sont morts à la frontière entre le Maroc et l’Espagne, et il y a eu plus d’une centaine de blessés des deux côtés. L’ONU et l’Union africaine exigent une enquête indépendante. La coopération migratoire entre le Maroc et l’#Espagne est de nouveau pointée du doigt. Reportage à Nador.

    Il est 14 h à Nador, nous sommes le samedi 25 juin 2022, le lendemain des tragiques incidents sur la frontière entre le Maroc et #Melilla, enclave sous occupation espagnole. Un silence de mort règne dans cette ville rifaine. Chez les officiels locaux, l’omerta règne. Les portes sont closes. « Revenez lundi », nous dit-on sur place. Aucune information ne filtre sur le nombre exact des morts, des blessés et des personnes refoulées vers d’autres villes marocaines. Un homme s’active pour informer le monde sur ce qui se passe ; il s’appelle Omar Naji.

    L’odeur de la mort

    Ce militant de l’Association marocaine des droits de l’homme (AMDH) à Nador alerte l’opinion publique et les autorités sur ce drame écrit d’avance depuis une décennie. « Les acteurs de ce drame sont les politiques européennes d’#externalisation des frontières, le Maroc qui agit en tant qu’exécutant et des organisations internationales faiblement impliquées pour protéger les migrants et les réfugiés », accuse-t-il, sans détour. Faute d’une enquête judiciaire, Omar Naji tente dès les premières heures de la tragédie de récolter quelques pièces à conviction.

    Nous rencontrons Omar à la sortie de la morgue de Nador où se trouvent les corps des migrants morts sur la frontière. Ce militant sent l’odeur de la mort. « Les scènes que je viens de voir sont insoutenables. Des corps jonchent le sol depuis 24 heures. Les dépouilles baignent dans leur sang. Les installations de la morgue sont débordées », lâche-t-il, encore sous le coup de l’émotion.

    Deuxième étape dans cette quête d’indices pour reconstituer le puzzle de drame du 24 juin. À la permanence, les policiers ont passé une nuit blanche à réaliser les procès-verbaux des 68 migrants qui allaient être présentés le lundi 27 juin au parquet. La police a rassemblé les bâtons et les quelques objets tranchants utilisés par les migrants lors de la tentative de franchissement de la barrière. Pour la police judiciaire, ce sont les « pièces à conviction » qui ont permis au procureur de demander des poursuites judiciaires contre les migrants aujourd’hui en détention provisoire.

    Troisième étape dans cette contre-enquête de Omar Naji, la récolte de témoignages de personnes en migration. Nous nous rendons sur le mont Gourougou, où les migrants sont dans des campements de fortune. La voiture du militant démarre, nous sommes pris en filature par des membres de services de sécurité. Sur la route de la rocade méditerranéenne, nous passons devant les murs de Nador-Melilla. Ce dispositif est composé de 3 clôtures de 6 mètres de haut et 12 kilomètres de long. Les lames tranchantes, responsables de graves blessures parmi les migrants durant des années, ont été remplacées par des obstacles anti-grimpe et une haute technologie de surveillance, le tout financé par l’Union européenne (UE). « Le Maroc creuse une deuxième tranchée pour compliquer le passage des migrants. Le pays joue son rôle de gendarme, surtout depuis la reprise de la coopération sécuritaire et migratoire avec l’Espagne en mars 2022 », estime Naji. Une semaine avant les incidents, les ministères de l’intérieur des deux pays se sont engagés à « poursuivre leur #coopération_sécuritaire ». Le 6 mai dernier, le groupe migratoire mixte permanent maroco-espagnol avait fixé l’agenda sécuritaire de coopération entre les deux pays.

    Chasse aux migrants ou lutte contre « les réseaux » ?

    À #Barrio_Chino, point frontalier où s’est déroulée une partie des événements, des vêtements de migrants sont encore accrochés aux grillages. Canon à eau et forces d’intervention sont stationnés sur place pour faire face à de nouveaux assauts. Nous continuons notre chemin à la recherche de campements de migrants. Tout au long de l’année, les forces de l’ordre marocaines mènent des opérations pour chasser les migrants sous l’argument du « démantèlement de réseaux de trafic des êtres humains ». Pour Ali Zoubeidi, chercheur spécialiste en migrations, « il y a des réseaux de trafic présents dans d’autres endroits du Maroc, mais pas vers Melilla », observe-t-il, dans une déclaration à Infomigrants. La #Boza par Melilla est gratuite, c’est la route empruntée par les migrants sans moyens. Dans les faits, les #ratissages visent à disperser les migrants le plus loin possible de la frontière avec Melilla.

    Dans un communiqué, 102 organisations africaines et européennes dénoncent les violations systématiques des #droits_humains à Nador : « Depuis plus d’un an et demi, les personnes en migration sont privées d’accès aux médicaments, aux soins, voient leurs campements brûlés et leurs biens spoliés ».

    En 2021, l’AMDH Nador avait recensé 37 opérations de ratissage. Un chiffre en nette baisse en raison du Covid-19 et du confinement. En 2019, les opérations avaient atteint le chiffre record de 134 interventions. « Cette route a été réalisée spécialement pour permettre aux engins des forces de l’ordre d’accéder à la forêt », rappelle Naji, dont le téléphone ne cesse de recevoir des appels de journalistes d’un peu partout dans le monde. En pleine forêt, nous passons devant un campement des #Forces_auxiliaires, corps de sécurité géré directement par le ministère de l’intérieur. Ce camp, avec ses bâtisses en dur et plusieurs tentes, a été construit spécialement pour permettre des interventions rapides dans les #campements.

    Après une heure de route, Naji arrive à la conclusion suivante : « Les opérations menées par les forces de l’ordre ont poussé les migrants à fuir la forêt et toute la ville de Nador ». Nous quittons la forêt et nous croisons sur notre chemin les hauts responsables sécuritaires de la région, venus à bord de deux véhicules militaires, des #Humvee, pour inspecter les lieux. Les seuls migrants présents dans cette ville sont soit morts, soit à l’hôpital, soit emprisonnés. Les migrants ont été dispersés vers plusieurs villes du centre du Maroc (Béni Mellal et Kelaat Sraghna). Cette situation dramatique, au retentissement international, est la conséquence d’une #coopération_sécuritaire entre le Maroc et l’Espagne, avec un financement européen.

    L’UE, cynique bailleur de fonds

    Depuis 2007, l’UE a versé au Maroc 270 millions d’euros pour financer les différents volets sécuritaires de la politique migratoire marocaine. Ce financement se fait directement ou via des instances européennes et espagnoles (Fondation internationale et ibéro-américaine pour l’administration et les politiques publiques, International, Center for Migration Policy Development, etc.). Des montants que le Maroc considère « insuffisants au regard des efforts déployés par le pays pour la gestion des frontières ».

    Depuis 2013, cette coopération s’inscrit dans le cadre du #Partenariat_pour_la_mobilité. Le financement européen en matière d’immigration aussi passe par le #Fonds_fiduciaire_d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique ou des agences souvent espagnoles chargées d’acquérir des équipements sécuritaires pour le royaume chérifien (drones, radars, quads, bus, véhicules tout-terrain…). La Commission européenne (CE) présente ce financement avec des éléments de langage connus : « développer le système marocain de gestion des frontières, et de lutter de manière plus efficace contre le trafic d’êtres humains ». L’UE soutient aussi la #Stratégie_nationale_pour_l’immigration_et_l’asile adoptée par le Maroc en 2014. Cette politique est désormais en stand-by, avec un retour en force d’une vision sécuritaire.

    Dans ses négociations avec la CE, le Maroc compte un allié de taille, l’Espagne. Le royaume fait valoir de son côté « une reprise de la pression migratoire sur le Maroc », comme aime le rappeler #Khalid_Zerouali, directeur de l’immigration et de la surveillance des frontières au ministère de l’intérieur marocain, dans ses sorties médiatiques adressées à ses partenaires européens. Le Maroc se positionne comme partenaire fiable de l’UE et invite son partenaire européen à « la #responsabilité_partagée ». Les routes migratoires marocaines sont les premières portes d’entrée vers l’Europe depuis 2019. L’Intérieur brandit ses chiffres de 2021 : 63 121 migrants arrêtés, 256 réseaux criminels démantelés et 14 000 migrants secourus en mer, en majorité des Marocains.

    Chantages et pressions

    Dans ce contexte, un #chantage est exercé de part et d’autre. L’UE veut amener le Maroc à héberger des centres de débarquement de migrants (#hotspots) et signer avec le royaume un #accord_de_réadmission globale Maroc-UE. Sur ces deux sujets, Rabat continue d’afficher une fin de non-recevoir à ces demandes. Sur le plan bilatéral, la France fait un chantage aux #visas pour pousser le Maroc à rapatrier ses immigrants irréguliers. De son côté, le Maroc a fait de la gestion de l’immigration irrégulière une carte diplomatique, comme l’ont montré les évènements de Ceuta en mai 2021.

    La migration devient ainsi un moyen de pression pour obtenir des gains sur le dossier du Sahara. Un sujet sensible qui a été le cœur d’un gel diplomatique entre le Maroc et l’Espagne durant plus d’un an. La reprise des relations entre les deux pays en mars 2022 a réactivé la coopération sécuritaire entre les deux pays voisins. Pour les 102 organisations des deux continents, ce retour de la coopération est à la source du drame de Nador. « La mort de ces jeunes Africains sur les frontières alerte sur la nature mortifère de la coopération sécuritaire en matière d’immigration entre le Maroc et l’Espagne », peut-on lire dans ce document.

    Mehdi Alioua, sociologue et professeur à l’Université internationale de Rabat, accuse en premier l’UE et sa politique migratoire : « Ces frontières sont celles de la honte parce qu’elles sont totalement absurdes et hypocrites. Ces frontières sont incohérentes, elles sont là pour mettre en scène la “#frontiérisation”. […] La #responsabilité des Européens est directe. La responsabilité du Maroc de ce point de vue est indirecte », déclare-t-il dans une interview pour Medias24
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    Des migrants criminalisés et des corps à la morgue

    Nador, avec ses deux frontières maritime et terrestre avec l’Europe, est pris au piège de ces frontières. Les migrants payent le prix fort. L’an dernier 81 personnes sont mortes à Nador, noyées ou sur les grillages. Face au tollé mondial suscité par ces événements, le gouvernement marocain est sur la défensive. L’exécutif tente de présenter sa version des faits. Signe des temps, cette stratégie de damage control a été sous-traitée par des universitaires, des ONG ou des médias proches de l’État. Ils accusent tous… l’Algérie. Le chef du gouvernement espagnol accuse les “mafias” qui seraient responsables de ce drame tout en “saluant le Maroc pour son professionnalisme”.

    Loin de cette bataille des récits, les militants sur le terrain continuent à panser les blessures des migrants, rechercher les noms des disparus et leurs nationalités, tenter de mobiliser les avocats pour la défense des migrants poursuivis à Nador. Ce procès, qui a démarré le 27 juin, s’annonce comme le plus grand procès des personnes en migration au Maroc. Vingt-huit migrants sont poursuivis avec de lourdes charges pénales. Un deuxième groupe de 37 migrants, dont un mineur, est poursuivi pour des délits. Pendant ce temps, les corps des migrants morts sont toujours à la morgue, sans autopsie ni enquête judiciaire pour établir les circonstances de leurs décès.

    https://orientxxi.info/magazine/maroc-a-nador-les-morts-sont-africains-l-argent-europeen,5734
    #décès #morts #migrations #asile #réfugiés #mourir_en_Europe #frontières #mourir_aux_frontières

  • The power of private philanthropy in international development

    In 1959, the Ford and Rockefeller Foundations pledged seven million US$ to establish the International Rice Research Institute (IRRI) at Los Baños in the Philippines. They planted technologies originating in the US into the Philippines landscape, along with new institutions, infrastructures, and attitudes. Yet this intervention was far from unique, nor was it spectacular relative to other philanthropic ‘missions’ from the 20th century.

    How did philanthropic foundations come to wield such influence over how we think about and do development, despite being so far removed from the poor and their poverty in the Global South?

    In a recent paper published in the journal Economy and Society, we suggest that metaphors – bridge, leapfrog, platform, satellite, interdigitate – are useful for thinking about the machinations of philanthropic foundations. In the Philippines, for example, the Ford and Rockefeller foundations were trying to bridge what they saw as a developmental lag. In endowing new scientific institutions such as IRRI that juxtaposed spaces of modernity and underdevelopment, they saw themselves bringing so-called third world countries into present–day modernity from elsewhere by leapfrogging historical time. In so doing, they purposively bypassed actors that might otherwise have been central: such as post–colonial governments, trade unions, and peasantry, along with their respective interests and demands, while providing platforms for other – preferred – ideas, institutions, and interests to dominate.

    We offer examples, below, from three developmental epochs.

    Scientific development (1940s – 70s)

    From the 1920s, the ‘big three’ US foundations (Ford, Rockefeller, Carnegie) moved away from traditional notions of charity towards a more systematic approach to grant-making that involved diagnosing and attacking the ‘root causes’ of poverty. These foundations went on to prescribe the transfer of models of science and development that had evolved within a US context – but were nevertheless considered universally applicable – to solve problems in diverse and distant lands. In public health, for example, ‘success against hookworm in the United States helped inspire the belief that such programs could be replicated in other parts of the world, and were indeed expanded to include malaria and yellow fever, among others’. Similarly, the Tennessee Valley Authority’s model of river–basin integrated regional development was replicated in India, Laos, Vietnam, Egypt, Lebanon, Tanzania, and Brazil.

    The chosen strategy of institutional replication can be understood as the development of satellites––as new scientific institutions invested with a distinct local/regional identity remained, nonetheless, within the orbit of the ‘metropolis’. US foundations’ preference for satellite creation was exemplified by the ‘Green Revolution’—an ambitious programme of agricultural modernization in South and Southeast Asia spearheaded by the Rockefeller and Ford Foundations and implemented through international institutions for whom IRRI was the template.

    Such large-scale funding was justified as essential in the fight against communism.

    The Green Revolution offered a technocratic solution to the problem of food shortage in South and Southeast Asia—the frontier of the Cold War. Meanwhile, for developmentalist regimes that, in the Philippines as elsewhere, had superseded post-independence socialist governments, these programmes provided a welcome diversion from redistributive politics. In this context, institutions like IRRI and their ‘miracle seeds’ were showcased as investments in and symbols of modernity and development. Meanwhile, an increasingly transnational agribusiness sector expanded into new markets for seeds, agrichemicals, machinery, and, ultimately, land.

    The turn to partnerships (1970s – 2000s)

    By the 1970s, the era of large–scale investment in technical assistance to developing country governments and public bureaucracies was coming to an end. The Ford Foundation led the way in pioneering a new approach through its population programmes in South Asia. This new ‘partnership’ mode of intervention was a more arms-length form of satellite creation which emphasised the value of local experience. Rather than obstacles to progress, local communities were reimagined as ‘potential reservoirs of entrepreneurship’ that could be mobilized for economic development.

    In Bangladesh, for example, the Ford Foundation partnered with NGOs such as the Bangladesh Rural Advancement Committee (BRAC) and Concerned Women for Family Planning (CWFP) to mainstream ‘economic empowerment’ programmes that co-opted local NGOs into service provision to citizens-as-consumers. This approach was epitomised by the rise of microfinance, which merged women’s empowerment with hard-headed pragmatism that saw women as reliable borrowers and opened up new areas of social life to marketization.

    By the late-1990s private sector actors had begun to overshadow civil society organizations in the constitution of development partnerships, where state intervention was necessary to support the market if it was to deliver desirable outcomes. Foundations’ efforts were redirected towards brokering increasingly complex public-private partnerships (PPPs). This mode of philanthropy was exemplified by the Rockefeller Foundation’s role in establishing product development partnerships as the institutional blueprint for global vaccine development. Through a combination of interdigitating (embedding itself in the partnership) and platforming (ensuring its preferred model became the global standard), it enabled the Foundation to continue to wield ‘influence in the health sphere, despite its relative decline in assets’.

    Philanthrocapitalism (2000s – present)

    In the lead up to the 2015 UN Conference at which the Sustainable Development Goals (SDGs) were agreed, a consensus formed that private development financing was both desirable and necessary if the ‘trillions’ needed to close the ‘financing gap’ were to be found. For DAC donor countries, the privatization of aid was a way to maintain commitments while implementing economic austerity at home in the wake of the global finance crisis. Philanthrocapitalism emerged to transform philanthropic giving into a ‘profit–oriented investment process’, as grant-making gave way to impact investing.

    The idea of impact investing was hardly new, however. The term had been coined as far back as 2007 at a meeting hosted by the Rockefeller Foundation at its Bellagio Centre. Since then, the mainstreaming of impact investing has occurred in stages, beginning with the aforementioned normalisation of PPPs along with their close relative, blended finance. These strategies served as transit platforms for the formation of networks shaped by financial logics. The final step came with the shift from blended finance as a strategy to impact investing ‘as an asset class’.

    A foundation that embodies the 21st c. transition to philanthrocapitalism is the Omidyar Network, created by eBay founder Pierre Omidyar in 2004. The Network is structured both as a non–profit organization and for–profit venture that ‘invests in entities with a broad social mission’. It has successfully interdigitated with ODA agencies to further align development financing with the financial sector. In 2013, for example, the United States Agency for International Development (USAID) and UK’s Department for International Development (DFID) launched Global Development Innovation Ventures (GDIV), ‘a global investment platform, with Omidyar Network as a founding member’.

    Conclusion

    US foundations have achieved their power by forging development technoscapes centred in purportedly scale–neutral technologies and techniques – from vaccines to ‘miracle seeds’ to management’s ‘one best way’. They have become increasingly sophisticated in their development of ideational and institutional platforms from which to influence, not only how their assets are deployed, but how, when and where public funds are channelled and towards what ends. This is accompanied by strategies for creating dense, interdigitate connections between key actors and imaginaries of the respective epoch. In the process, foundations have been able to influence debates about development financing itself; presenting its own ‘success stories’ as evidence for preferred financing mechanisms, allocating respective roles of public and private sector actors, and representing the most cost–effective way to resource development.

    Whether US foundations maintain their hegemony or are eclipsed by models of elite philanthropy in East Asia and Latin America, remains to be seen. Indications are that emerging philanthropists in these regions may be well placed to leapfrog over transitioning philanthropic sectors in Western countries by ‘aligning their philanthropic giving with the new financialized paradigm’ from the outset.

    Using ‘simple’ metaphors, we have explored their potential and power to map, analyse, theorize, and interpret philanthropic organizations’ disproportionate influence in development. These provide us with a conceptual language that connects with earlier and emergent critiques of philanthropy working both within and somehow above the ‘field’ of development. Use of metaphors in this way is revealing not just of developmental inclusions but also its exclusions: ideascast aside, routes not pursued, and actors excluded.

    https://developingeconomics.org/2021/05/10/the-power-of-private-philanthropy-in-international-development

    #philanthropie #philanthrocapitalisme #développement #coopération_au_développement #aide_au_développement #privatisation #influence #Ford #Rockefeller #Carnegie #soft_power #charité #root_causes #causes_profondes #pauvreté #science #tranfert #technologie #ressources_pédagogiques #réplique #modernisation #fondations #guerre_froide #green_revolution #révolution_verte #développementalisme #modernité #industrie_agro-alimentaire #partnerships #micro-finance #entrepreneuriat #entreprenariat #partenariat_public-privé (#PPP) #privatisation_de_l'aide #histoire #Omidyar_Network #Pierre_Omidyar

  • Suisse : Accord de #partenariat_économique avec l’Indonésie

    Le 7 mars 2021, les citoyennes et les citoyens suisses vont s’exprimer sur l’Accord de partenariat économique avec l’Indonésie.

    L’explication officielle :
    https://www.youtube.com/watch?v=bHPqiRx8vwo&feature=emb_logo

    L’objet en bref

    La Suisse accède aux marchés étrangers grâce à une série d’accords qui facilitent les échanges et les relations économiques, ce qui garantit la prospérité de notre pays. Récemment, elle a négocié un accord avec l’Indonésie, pays en pleine croissance, le quatrième le plus peuplé du monde (271 millions d’habitants) : l’objectif est de réduire les droits de douane et les obstacles au commerce en facilitant les échanges import/export entre les deux pays.

    Un référendum a été lancé contre cet accord. La pomme de discorde est la réduction prévue des droits de douane sur l’huile de palme. Le comité référendaire est d’avis que les contrôles et les sanctions prévus seront inefficaces. Il estime qu’on ne peut pas se fier au gouvernement indonésien et que l’huile de palme produite à bas coût est dommageable pour l’écosystème indonésien, sans compter qu’elle fait concurrence aux produits suisses que sont l’huile de colza, l’huile de tournesol ou le beurre.

    Le Conseil fédéral et le Parlement sont en revanche d’avis que l’accord avec l’Indonésie, y compris pour ce qui est de l’huile de palme, sert non seulement les intérêts économiques des deux pays, mais contribue encore de manière importante au développement durable. Il n’y aura en effet aucune réduction des #droits_de_douane pour l’huile de palme indonesienne si les droits de l’homme et de strictes exigences relatives à l’environnement ne sont pas respectés. À cette fin, il est obligatoire de présenter des preuves correspondantes.

    https://www.admin.ch/gov/fr/accueil/documentation/votations/20210307/accord-de-partenariat-economique-avec-l-indonesie.html

    #accord_de_libre-échange #libre-échange #Suisse #Indonésie #votation #huile_de_palme #commerce #référendum #déforestation #arguments

  • Comment l’Europe contrôle ses frontières en #Tunisie ?

    Entre les multiples programmes de coopération, les accords bilatéraux, les #équipements fournis aux #gardes-côtes, les pays européens et l’Union européenne investissent des millions d’euros en Tunisie pour la migration. Sous couvert de coopération mutuelle et de “#promotion_de_la mobilité”, la priorité des programmes migratoires européens est avant tout l’externalisation des frontières. En clair.

    À la fois pays de transit et pays de départ, nœud dans la région méditerranéenne, la Tunisie est un partenaire privilégié de l’Europe dans le cadre de ses #politiques_migratoires. L’Union européenne ou les États qui la composent -Allemagne, France, Italie, Belgique, etc.- interviennent de multiples manières en Tunisie pour servir leurs intérêts de protéger leurs frontières et lutter contre l’immigration irrégulière.

    Depuis des années, de multiples accords pour réadmettre les Tunisien·nes expulsé·es d’Europe ou encore financer du matériel aux #gardes-côtes_tunisiens sont ainsi signés, notamment avec l’#Italie ou encore avec la #Belgique. En plus de ces #partenariats_bilatéraux, l’#Union_européenne utilise ses fonds dédiés à la migration pour financer de nombreux programmes en Tunisie dans le cadre du “#partenariat_pour_la_mobilité”. Dans les faits, ces programmes servent avant tout à empêcher les gens de partir et les pousser à rester chez eux.

    L’ensemble de ces programmes mis en place avec les États européens et l’UE sont nombreux et difficiles à retracer. Dans d’autres pays, notamment au Nigeria, des journalistes ont essayé de compiler l’ensemble de ces flux financiers européens pour la migration. Dans leur article, Ils et elle soulignent la difficulté, voire l’impossibilité de véritablement comprendre tous les fonds, programmes et acteurs de ces financements.

    “C’est profondément préoccupant”, écrivent Maite Vermeulen, Ajibola Amzat et Giacomo Zandonini. “Bien que l’Europe maintienne un semblant de transparence, il est pratiquement impossible dans les faits de tenir l’UE et ses États membres responsables de leurs dépenses pour la migration, et encore moins d’évaluer leur efficacité.”

    En Tunisie, où les investissements restent moins importants que dans d’autres pays de la région comme en Libye, il a été possible d’obtenir un résumé, fourni par la Délégation de l’Union européenne, des programmes financés par l’UE et liés à la migration. Depuis 2016, cela se traduit par l’investissement de près de 58 millions d’euros à travers trois différents fonds : le #FFU (#Fonds_Fiduciaire_d’Urgence) de la Valette, l’#AMIF (Asylum, Migration and Integration Fund) et l’Instrument européen de voisinage (enveloppe régionale).

    Mais il est à noter que ces informations ne prennent pas en compte les autres investissements d’#aide_au_développement ou de soutien à la #lutte_antiterroriste dont les programmes peuvent également concerner la migration. Depuis 2011, au niveau bilatéral, l’Union européenne a ainsi investi 2,5 billions d’euros en Tunisie, toutes thématiques confondues.

    L’écrasante majorité de ces financements de l’UE - 54 200 000 euros - proviennent du #Fond_fiduciaire_d'urgence_pour_l'Afrique. Lancé en 2015, lors du #sommet_de_la_Valette, ce FFU a été créé “en faveur de la stabilité et de la lutte contre les #causes_profondes de la migration irrégulière et du phénomène des personnes déplacées en Afrique” à hauteur de 2 milliards d’euros pour toute la région.

    Ce financement a été pointé du doigt par des associations de droits humains comme Oxfam qui souligne “qu’une partie considérable de ses fonds est investie dans des mesures de #sécurité et de #gestion_des_frontières.”

    “Ces résultats montrent que l’approche des bailleurs de fonds européens vis-à-vis de la gestion des migrations est bien plus axée sur des objectifs de #confinement et de #contrôle. Cette approche est loin de l’engagement qu’ils ont pris (...) de ‘promouvoir des canaux réguliers de migration et de mobilité au départ des pays d’Europe et d’Afrique et entre ceux-ci’ (...) ou de ‘Faciliter la migration et la mobilité de façon ordonnée, sans danger, régulière et responsable’”, détaille plus loin le rapport.

    Surveiller les frontières

    Parmi la vingtaine de projets financés par l’UE, la sécurité des frontières occupe une place prépondérante. Le “#Programme_de_gestion_des_frontières_au_Maghreb” (#BMP_Maghreb) est, de loin, le plus coûteux. Pour fournir de l’équipement et des formations aux gardes-côtes tunisiens, l’UE investit 20 millions d’euros, près d’un tiers du budget en question.

    Le projet BMP Maghreb a un objectif clairement défini : protéger, surveiller et contrôler les #frontières_maritimes dans le but de réduire l’immigration irrégulière. Par exemple, trois chambres d’opération ainsi qu’un système pilote de #surveillance_maritime (#ISmariS) ont été fournis à la garde nationale tunisienne. En collaboration avec le ministère de l’Intérieur et ses différents corps - garde nationale, douane, etc. -, ce programme est géré par l’#ICMPD (#Centre_international_pour_le_développement_des_politiques_migratoires).

    “Le BMP Maghreb est mis en place au #Maroc et en Tunisie. C’est essentiellement de l’acquisition de matériel : matériel informatique, de transmission demandé par l’Etat tunisien”, détaille Donya Smida de l’ICMPD. “On a fait d’abord une première analyse des besoins, qui est complétée ensuite par les autorités tunisiennes”.

    Cette fourniture de matériel s’ajoute à des #formations dispensées par des #experts_techniques, encore une fois coordonnées par l’ICMPD. Cette organisation internationale se présente comme spécialisée dans le “renforcement de capacités” dans le domaine de la politique migratoire, “loin des débat émotionnels et politisés”.

    "Cette posture est symptomatique d’un glissement sémantique plus général. Traiter la migration comme un sujet politique serait dangereux, alors on préfère la “gérer” comme un sujet purement technique. In fine, la ’gestionnaliser’ revient surtout à dépolitiser la question migratoire", commente #Camille_Cassarini, chercheur sur les migrations subsahariennes en Tunisie. “L’ICMPD, ce sont des ‘techniciens’ de la gestion des frontières. Ils dispensent des formations aux États grâce à un réseau d’experts avec un maître-mot : #neutralité politique et idéologique et #soutien_technique."

    En plus de ce programme, la Tunisie bénéficie d’autres fonds et reçoit aussi du matériel pour veiller à la sécurité des frontières. Certains s’inscrivent dans d’autres projets financés par l’UE, comme dans le cadre de la #lutte_antiterroriste.

    Il faut aussi ajouter à cela les équipements fournis individuellement par les pays européens dans le cadre de leurs #accords_bilatéraux. En ce qui concerne la protection des frontières, on peut citer l’exemple de l’Italie qui a fourni une douzaine de bateaux à la Tunisie en 2011. En 2017, l’Italie a également soutenu la Tunisie à travers un projet de modernisation de bateaux de patrouille fournis à la garde nationale tunisienne pour environ 12 millions d’euros.

    L’#Allemagne est aussi un investisseur de plus en plus important, surtout en ce qui concerne les frontières terrestres. Entre 2015 et 2016, elle a contribué à la création d’un centre régional pour la garde nationale et la police des frontières. A la frontière tuniso-libyenne, elle fournit aussi des outils de surveillance électronique tels que des caméras thermiques, des paires de jumelles nocturnes, etc…

    L’opacité des #accords_bilatéraux

    De nombreux pays européens - Allemagne, Italie, #France, Belgique, #Autriche, etc. - coopèrent ainsi avec la Tunisie en concluant de nombreux accords sur la migration. Une grande partie de cette coopération concerne la #réadmission des expulsé·es tunisien·nes. Avec l’Italie, quatre accords ont ainsi été signés en ce sens entre 1998 et 2011. D’après le FTDES* (Forum tunisien des droits économiques et sociaux), c’est dans le cadre de ce dernier accord que la Tunisie accueillerait deux avions par semaine à l’aéroport d’Enfidha de Tunisien·nes expulsé·es depuis Palerme.

    “Ces accords jouent beaucoup sur le caractère réciproque mais dans les faits, il y a un rapport inégal et asymétrique. En termes de réadmission, il est évident que la majorité des #expulsions concernent les Tunisiens en Europe”, commente Jean-Pierre Cassarino, chercheur et spécialiste des systèmes de réadmission.

    En pratique, la Tunisie ne montre pas toujours une volonté politique d’appliquer les accords en question. Plusieurs pays européens se plaignent de la lenteur des procédures de réadmissions de l’Etat tunisien avec qui “les intérêts ne sont pas vraiment convergents”.

    Malgré cela, du côté tunisien, signer ces accords est un moyen de consolider des #alliances. “C’est un moyen d’apparaître comme un partenaire fiable et stable notamment dans la lutte contre l’extrémisme religieux, l’immigration irrégulière ou encore la protection extérieure des frontières européennes, devenus des thèmes prioritaires depuis environ la moitié des années 2000”, explique Jean-Pierre Cassarino.

    Toujours selon les chercheurs, depuis les années 90, ces accords bilatéraux seraient devenus de plus en plus informels pour éviter de longues ratifications au niveau bilatéral les rendant par conséquent, plus opaques.

    Le #soft_power : nouvel outil d’externalisation

    Tous ces exemples montrent à quel point la question de la protection des frontières et de la #lutte_contre_l’immigration_irrégulière sont au cœur des politiques européennes. Une étude de la direction générale des politiques externes du Parlement européen élaborée en 2016 souligne comment l’UE “a tendance à appuyer ses propres intérêts dans les accords, comme c’est le cas pour les sujets liés à l’immigration.” en Tunisie.

    Le rapport pointe du doigt la contradiction entre le discours de l’UE qui, depuis 2011, insiste sur sa volonté de soutenir la Tunisie dans sa #transition_démocratique, notamment dans le domaine migratoire, tandis qu’en pratique, elle reste focalisée sur le volet sécuritaire.

    “La coopération en matière de sécurité demeure fortement centrée sur le contrôle des flux de migration et la lutte contre le terrorisme” alors même que “la rhétorique de l’UE en matière de questions de sécurité (...) a évolué en un discours plus large sur l’importance de la consolidation de l’État de droit et de la garantie de la protection des droits et des libertés acquis grâce à la révolution.”, détaille le rapport.

    Mais même si ces projets ont moins de poids en termes financiers, l’UE met en place de nombreux programmes visant à “développer des initiatives socio-économiques au niveau local”, “ mobiliser la diaspora” ou encore “sensibiliser sur les risques liés à la migration irrégulière”. La priorité est de dissuader en amont les potentiel·les candidat·es à l’immigration irrégulière, au travers de l’appui institutionnel, des #campagnes de #sensibilisation...

    L’#appui_institutionnel, présenté comme une priorité par l’UE, constitue ainsi le deuxième domaine d’investissement avec près de 15% des fonds.

    Houda Ben Jeddou, responsable de la coopération internationale en matière de migration à la DGCIM du ministère des Affaires sociales, explique que le projet #ProgreSMigration, créé en 2016 avec un financement à hauteur de 12,8 millions d’euros, permet de mettre en place “ des ateliers de formations”, “des dispositifs d’aides au retour” ou encore “des enquêtes statistiques sur la migration en Tunisie”.

    Ce projet est en partenariat avec des acteurs étatiques tunisiens comme le ministère des Affaires Sociales, l’observatoire national des migrations (ONM) ou encore l’Institut national de statistiques (INS). L’un des volets prioritaires est de “soutenir la #Stratégie_nationale_migratoire_tunisienne”. Pour autant, ce type de projet ne constitue pas une priorité pour les autorités tunisiennes et cette stratégie n’a toujours pas vu le jour.

    Houda Ben Jeddou explique avoir déposé un projet à la présidence en 2018, attendant qu’elle soit validée. "Il n’y a pas de volonté politique de mettre ce dossier en priorité”, reconnaît-elle.

    Pour Camille Cassarini, ce blocage est assez révélateur de l’absence d’une politique cohérente en Tunisie. “Cela en dit long sur les stratégies de contournement que met en place l’État tunisien en refusant de faire avancer le sujet d’un point de vue politique. Malgré les investissements européens pour pousser la Tunisie à avoir une politique migratoire correspondant à ses standards, on voit que les agendas ne sont pas les mêmes à ce niveau”.

    Changer la vision des migrations

    Pour mettre en place tous ces programmes, en plus des partenariats étatiques avec la Tunisie, l’Europe travaille en étroite collaboration avec les organisations internationales telles que l’#OIM (Organisation internationale pour les migrations), l’ICMPD et le #UNHCR (Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés), les agences de développement européennes implantées sur le territoire - #GiZ, #Expertise_France, #AfD - ainsi que la société civile tunisienne.

    Dans ses travaux, Camille Cassarini montre que les acteurs sécuritaires sont progressivement assistés par des acteurs humanitaires qui s’occupent de mener une politique gestionnaire de la migration, cohérente avec les stratégies sécuritaires. “Le rôle de ces organisations internationales, type OIM, ICMPD, etc., c’est principalement d’effectuer un transfert de normes et pratiques qui correspondent à des dispositifs de #contrôle_migratoire que les Etats européens ne peuvent pas mettre directement en oeuvre”, explique-t-il.

    Contactée à plusieurs reprises par Inkyfada, la Délégation de l’Union européenne en Tunisie a répondu en fournissant le document détaillant leurs projets dans le cadre de leur partenariat de mobilité avec la Tunisie. Elle n’a pas souhaité donner suite aux demandes d’entretiens.

    En finançant ces organisations, les Etats européens ont d’autant plus de poids dans leur orientation politique, affirme encore le chercheur en donnant l’exemple de l’OIM, une des principales organisations actives en Tunisie dans ce domaine. “De par leurs réseaux, ces organisations sont devenues des acteurs incontournables. En Tunisie, elles occupent un espace organisationnel qui n’est pas occupé par l’Etat tunisien. Ça arrange plus ou moins tout le monde : les Etats européens ont des acteurs qui véhiculent leur vision des migrations et l’État tunisien a un acteur qui s’en occupe à sa place”.

    “Dans notre langage académique, on les appelle des #acteurs_épistémologiques”, ajoute Jean-Pierre Cassarino. A travers leur langage et l’étendue de leur réseau, ces organisations arrivent à imposer une certaine vision de la gestion des migrations en Tunisie. “Il n’y a qu’à voir le #lexique de la migration publié sur le site de l’Observatoire national [tunisien] des migrations : c’est une copie de celui de l’OIM”, continue-t-il.

    Contactée également par Inkyfada, l’OIM n’a pas donné suite à nos demandes d’entretien.

    Camille Cassarini donne aussi l’exemple des “#retours_volontaires”. L’OIM ou encore l’Office français de l’immigration (OFII) affirment que ces programmes permettent “la réinsertion sociale et économique des migrants de retour de façon à garantir la #dignité des personnes”. “Dans la réalité, la plupart des retours sont très mal ou pas suivis. On les renvoie au pays sans ressource et on renforce par là leur #précarité_économique et leur #vulnérabilité", affirme-t-il. “Et tous ces mots-clés euphémisent la réalité d’une coopération et de programmes avant tout basé sur le contrôle migratoire”.

    Bien que l’OIM existe depuis près de 20 ans en Tunisie, Camille Cassarini explique que ce système s’est surtout mis en place après la Révolution, notamment avec la société civile. “La singularité de la Tunisie, c’est sa transition démocratique : l’UE a dû adapter sa politique migratoire à ce changement politique et cela est passé notamment par la promotion de la société civile”.

    Dans leur ouvrage à paraître “Externaliser la gouvernance migratoire à travers la société tunisienne : le cas de la Tunisie” [Externalising Migration Governance through Civil Society : Tunisia as a Case Study], Sabine Didi et Caterina Giusa expliquent comment les programmes européens et les #organisations_internationales ont été implantées à travers la #société_civile.

    “Dans le cas des projets liés à la migration, le rôle déterminant de la société civile apparaît au niveau micro, en tant qu’intermédiaire entre les organisations chargées de la mise en œuvre et les différents publics catégorisés et identifiés comme des ‘#migrants_de_retour’, ‘membres de la diaspora’, ou ‘candidats potentiels à la migration irrégulière’", explique Caterina Giusa dans cet ouvrage, “L’intérêt d’inclure et et de travailler avec la société civile est de ‘faire avaler la pilule’ [aux populations locales]”.

    “Pour résumer, tous ces projets ont pour but de faire en sorte que les acteurs tunisiens aient une grille de lecture du phénomène migratoire qui correspondent aux intérêts de l’Union européenne. Et concrètement, ce qui se dessine derrière cette vision “gestionnaire”, c’est surtout une #injonction_à_l’immobilité”, termine Camille Cassarini.

    https://inkyfada.com/fr/2020/03/20/financements-ue-tunisie-migration
    #externalisation #asile #migrations #frontières #Tunisie #EU #UE #Europe #contrôles_frontaliers #politique_de_voisinage #dissuasion #IOM #HCR #immobilité

    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765330

    Et celle sur la conditionnalité de l’aide au développement :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    ping @karine4 @isskein @_kg_

  • L’UE veut multiplier les « #partenariats » avec les pays africains

    L’UE cherche à placer une série de « partenariats » de diverses thématiques politiques au cœur de sa #stratégie_UE-Afrique, qui sera officiellement lancée début mars, selon un document confidentiel.

    22 commissaires européens sur 27 doivent se retrouver jeudi à Addis Abeba en Ethiopie, pour le sommet de l’Union africaine. Le continent, dont la présidente de la commission a fait une priorité, doit faire l’objet d’une stratégie ad hoc. Dans une première version qu’Euractiv a pu consulter, la Commission assure qu’il faut « changer de discours et regarder l’Afrique sous l’angle de son devenir : la terre de la plus jeune population mondiale, la plus grande région commerciale depuis la création de l’OMC, un appétit pour l’intégration régionale, l’autonomisation des femmes, et tout ça créant d’immenses #opportunités_économiques. »

    L’ébauche de stratégie énonce aussi les domaines que l’UE couvrirait. Elle souhaite ainsi créer des partenariats pour la #croissance_durable et l’#emploi, pour une #transition_écologique, pour une #transformation_numérique, pour la #paix, la #sécurité, la #gouvernance et la #résilience, mais aussi pour la #migration et la #mobilité et enfin, le #multilatéralisme.

    L’accent mis sur les « partenariats » plutôt que sur le « #développement » y est clair. Il avait aussi marqué les premiers mois de la Commission #Von_der_Leyen.

    Le document de la Commission contient peu de substance sur les politiques mais montre la direction de la politique EU-Afrique dans l’un des documents clés donnant les orientations de la Commission « géopolitique » d’#Ursula_von_der_Leyen. Il devrait être dévoilé par l’exécutif le 4 mars sous la forme d’une communication, mais il est peu probable qu’il devienne une politique officielle avant le sommet UE/Union africaine en octobre à Bruxelles.

    Le processus d’ébauche de la #stratégie a débuté avec une réunion des ministres européens du Développement le 13 février dernier. Ces derniers doivent maintenant adopter des conclusions lors d’un Conseil Affaires étrangères en avril ou mai, puis lors du sommet européen des 18 et 19 juin.

    La #politique_africaine est aussi portée par le gouvernement finlandais, qui détient la présidence tournante de l’UE jusqu’en juillet.

    « La #Finlande prépare aussi sa propre stratégie pour l’Afrique. Les deux stratégies visent à renforcer un #partenariat_stratégique entre égaux entre l’UE et l’Afrique, et à stimuler leurs relations commerciales et politiques », commente la ministre finlandaise du Développement, Ville Skinnari.

    La stratégie se concentrera probablement sur les manières d’accroître les #opportunités_commerciales et l’#investissement entre les deux continents. Elle promet aussi davantage de soutien de l’UE pour l’accord établissant la #zone_de_libre-échange continentale africaine, qui entrera en vigueur plus tard dans l’année.

    Il risque néanmoins d’être éclipsé par les lentes tractations autour du successeur de l’#accord_de_Cotonou, qui couvre les relations politiques et commerciales entre l’UE et l’Afrique, les Caraïbes et le Pacifique. L’accord de Cotonou expire en mars et pour l’instant pas l’ombre d’un nouvel accord à l’horizon.

    L’exécutif européen assure qu’il est sur la bonne voie pour verser les 44 milliards d’euros d’investissements dans le #secteur_privé promis dans le cadre du #Plan_extérieur_d’investissement lancé par la Commission Juncker. Reste à savoir si la nouvelle « stratégie » comprendra de nouveaux investissements ou outils d’investissement.

    La note confidentielle souligne seulement que la Commission se concentrera sur « la mobilisation de tous les moyens : l’#engagement_politique, l’#aide_publique_au_développement, la #sécurité, la mobilisation des #ressources_domestiques, le secteur privé, etc. »

    L’UE est loin d’être le seul acteur international en lice pour développer davantage de relations économiques et politiques avec l’Afrique. Le #Royaume-Uni, l’#Inde, la #Turquie, la #Russie et la #France ont organisé ou organisent des conférences sur l’investissement axées sur l’Afrique en 2020.

    L’administration américaine de Donald Trump a également commencé à étoffer sa nouvelle offre de #commerce et d’investissement aux dirigeants africains.

    Le secrétaire d’État américain, Mike Pompeo, s’est rendu au Sénégal, en Éthiopie et en Angola pour une tournée express du continent la semaine dernière. Il s’agissait de son premier voyage en Afrique subsaharienne depuis sa prise de fonction il y a deux ans.

    L’administration Trump a entamé des pourparlers sur un accord de libre-échange avec le #Kenya ce mois-ci. Selon elle, c’est le premier d’une série d’#accords_commerciaux_bilatéraux avec les nations africaines dans le cadre de sa nouvelle stratégie commerciale « #Prosper_Africa ».

    Dans le même temps, Washington veut que sa nouvelle #Société_internationale_financière_pour_le_développement rivalise avec les investissements chinois sur le continent africain.

    https://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/partnerships-to-be-at-heart-of-eu-africa-strategy-leaked-paper-reveals
    #Afrique #accords #UE #EU #libre_échange #USA #Etats-Unis

    • A record number of College members travel to Addis Ababa for the 10th European Union-African Union Commission-to-Commission meeting

      The President of the European Commission, Ursula von der Leyen, travels tomorrow to Addis Ababa, Ethiopia, for the 10th Commission-to-Commission meeting between the European Union and the African Union, accompanied by 20 Commissioners and the EU High Representative for Foreign Affairs and Security Policy. Discussions will focus on key issues such as growth, jobs, green transition, digital, peace, security and governance, and mobility and migration.

      Before departing Brussels, President von der Leyen, said: “Europe and Africa are natural partners. We have a historic bond and we share many of today’s challenges. One of our main objectives is to turn the green and digital transformation of our economies into opportunities for our youth.”

      This 10th Commission-to-Commission meeting marks a record participation on the EU side, a testament of the priority relations which Africa represents for the new European Commission and its aspiration to take them to a new level.

      Besides High Representative/Vice-President of the Commission Josep Borrell, Vice-Presidents for the European Green Deal, Frans Timmermans, for a Europe fit for the Digital Age, Margrethe Vestager, for an Economy that works for people, Valdis Dombrovskis, for Inter-institutional Relations and Foresight, Maroš Šefčovič, for Values and Transparency, Věra Jourová, for Democracy and Demography, Dubravka Šuica, as well as Vice-President for Promoting our European way of life, Margaritis Schinas, will accompany the President.

      Commissioners for International Partnerships, Jutta Urpilainen, for Trade, Phil Hogan, for Innovation and Youth, Mariya Gabriel, for Jobs and Social Rights, Nicolas Schmit, for Economy, Paolo Gentiloni, for Agriculture, Janusz Wojciechowski, for Cohesion and Reforms, Elisa Ferreira, for Justice, Didier Reynders, for Equality, Helena Dalli, for Home Affairs, Ylva Johansson, for Crisis Management, Janez Lenarčič, as well as Commissioners for Transport, Adina Ioana Vălean, for Energy, Kadri Simson and for Environment, Oceans and Fisheries, Virginijus Sinkevičius, will also travel to Addis Ababa.

      The EU and the African Union (AU) will discuss how to take foward their cooperation to address key challenges both Europe and Africa are facing such as the need to promote sustainable growth and jobs, green transition, digital transformation, peace, security and good governance, mobility and migration.

      The meeting will also be an opportunity for the EU side to consult its African partners on the upcoming comprehensive Africa Strategy which President von der Leyen promised to deliver in her first 100 days in office and is due to be presented in early March.

      The presentation of this important document will kick-start a wider consultation process that will lead up to the EU-AU Ministerial meeting in May 2020 in Kigali, Rwanda, and the upcoming EU-AU Summit in October in Brussels, where both sides will agree a joint approach on shared priorities.

      Background

      The EU and the AU have progressively built a solid strategic and political partnership that is anchored on reciprocal commitments. This partnership is based on shared values and interests, enshrined in the Joint Africa-EU Strategy adopted in 2007 in the Summit in Lisbon.

      Political dialogue between the EU and the AU takes place regularly at different levels. Commission-to-Commission and ministerial meetings take place every year, whilst EU-AU Summits at Heads of State level are held every three years. At the 5th AU-EU Summit in 2017, African and European leaders identified economic opportunities for the youth, peace and security, mobility and migration and cooperation on governance as the strategic priorities for 2018-2020 and committed to tackle them jointly.

      The EU also presented in the Summit in 2017 in Abidjan, Côte d’Ivoire, its new External Investment Plan with the objective to create 10 million new jobs by 2023, in particular for women and young people. The Plan hopes to trigger €47 billion in public and private investments.

      In the last Commission-to-Commission meeting in May 2018 in Brussels, the EU and the AU signed a Memorandum of Understanding to reinforce their cooperation in the area of peace and security.

      The two Commissions are committed to being active players and driving forces to implement the EU-AU Partnership, which is today more relevant than ever in a fast evolving global environment.

      https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_20_317

    • Questions et réponses : vers une #stratégie_globale_avec_l'Afrique

      1. Pourquoi l’UE a-t-elle besoin d’une nouvelle #stratégie ?

      L’Afrique est le voisin le plus proche de l’Europe. En raison de l’histoire, de la proximité et des intérêts partagés, les liens qui unissent l’Afrique à l’Union européenne (UE) sont vastes et profonds. Il est temps de faire passer cette relation à un niveau supérieur.

      Pour les relations entre l’Afrique et l’UE, 2020 sera une année charnière pour concrétiser l’ambition de développer un #partenariat encore plus solide.

      Le nouvel #accord de partenariat entre l’UE et le groupe des États d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique devrait être conclu et le prochain sommet UE-Union africaine aura lieu à Bruxelles en octobre 2020 en vue de définir un #programme_commun_de_partenariat.

      L’Afrique comme l’Europe sont confrontées à un nombre croissant de défis communs, notamment les effets du changement climatique et la transformation numérique.

      L’Europe doit donc coopérer avec l’Afrique pour relever avec elle les défis communs du 21e siècle. C’est la raison pour laquelle cette communication propose de nouvelles voies de coopération entre les deux continents qui visent à renforcer l’alliance stratégique de l’UE avec l’Afrique.

      2. Qu’y a-t-il de nouveau dans cette proposition de nouvelle stratégie ?

      La communication conjointe de la Commission et du haut représentant est une contribution à une nouvelle stratégie avec l’Afrique. Elle expose des idées pour intensifier la coopération dans tous les aspects du partenariat UE-Afrique. Elle propose un cadre global pour le futur partenariat afin de permettre aux deux parties d’atteindre leurs objectifs communs et de relever les défis mondiaux.

      En réponse aux nouvelles réalités changeantes, la proposition de stratégie met l’accent sur la #transition_écologique et la #transformation_numérique, qui constituent les principaux domaines cibles de la #coopération future.

      Surtout, l’UE insiste tout au long de la communication conjointe sur la nécessité de prendre pleinement en considération les #jeunes et les #femmes ainsi que leur potentiel en tant que vecteurs de changement. En répondant à leurs aspirations, nous déterminerons l’avenir du continent.

      La proposition de nouvelle stratégie constitue un point de départ pour faire passer le partenariat à un niveau supérieur fondé sur une compréhension claire de nos intérêts et responsabilités mutuels et respectifs. Elle vise à rendre compte de l’exhaustivité et de la maturité de notre relation, dans laquelle les intérêts et les valeurs des deux parties sont rassemblés pour promouvoir une coopération commune dans des domaines d’intérêt commun.

      Il s’agit notamment de développer un modèle de #croissance_verte, d’améliorer l’environnement des entreprises et le climat d’#investissement, d’encourager l’#éducation, la #recherche, l’#innovation et la création d’#emplois_décents grâce à des investissements durables, de maximiser les bienfaits de l’#intégration_économique_régionale et des #échanges_commerciaux, de lutter contre le #changement_climatique, de garantir l’accès à l’#énergie_durable, de protéger la #biodiversité et les #ressources_naturelles, ainsi que de promouvoir la #paix et la #sécurité, de garantir la bonne gestion de la #migration et de la #mobilité et d’œuvrer ensemble au renforcement d’un ordre multilatéral fondé sur des règles qui promeut les valeurs universelles, les #droits_de_l'homme, la #démocratie et l’égalité entre les hommes et les femmes. Une coopération renforcée sur les questions mondiales et multilatérales doit être au cœur de notre action commune.

      L’UE et ses États membres doivent adapter leur dialogue avec l’Afrique en veillant à ce que leur positionnement soit conforme à nos intérêts mutuels et accorder plus d’importance aux valeurs, aux principes clés et aux bonnes pratiques réglementaires, compte tenu de l’intérêt accru affiché par de nombreux acteurs pour le potentiel de l’Afrique.

      3. Quels sont les principaux défis et domaines de coopération à venir ?

      La stratégie recense cinq domaines clés de la future coopération approfondie entre l’Europe et l’Afrique.

      Il s’agit des domaines suivants : (1) transition écologique et accès à l’énergie, (2) transformation numérique, (3) croissance et emplois durables, (4) paix et #gouvernance, (5) migration et mobilité.

      Dans chacun de ces domaines, la proposition de nouvelle stratégie définit des moyens de réaliser des objectifs communs.

      En outre, le développement d’une coopération politique renforcée sur les questions mondiales et multilatérales sera au cœur de notre action commune.

      4. L’UE a-t-elle noué des contacts avec les parties prenantes pour élaborer cette stratégie ?

      La Commission et le haut représentant ont présenté aujourd’hui les premiers éléments de la stratégie. Des contacts préliminaires avaient eu lieu auparavant. Outre un dialogue interne avec les États membres de l’UE et les députés du Parlement européen ainsi que la société civile au niveau formel et informel, l’UE a noué des contacts avec des partenaires africains, notamment lors de la 10e rencontre de « Commission à Commission », qui s’est tenue le 27 février 2020 à Addis-Abeba.

      Les propositions s’inscrivent également dans le prolongement du programme arrêté d’un commun accord lors du sommet Union africaine-UE de 2017 à Abidjan et des récents échanges qui ont eu lieu au niveau politique.

      La communication conjointe de ce jour présente des propositions destinées à alimenter le dialogue en cours avec les États membres de l’UE, les partenaires africains, ainsi que le secteur privé, la société civile et les groupes de réflexion, et il sera donné suite à ces propositions dans la perspective du prochain sommet UE-Union africaine qui se tiendra à Bruxelles en octobre 2020.

      La réunion ministérielle Union africaine-UE qui se tiendra les 4 et 5 mai à Kigali sera une autre occasion de débattre en profondeur de la communication à un niveau plus formel avec la partie africaine.

      Le sommet UE-Union africaine d’octobre 2020 devrait être le point culminant au cours duquel nous espérons nous accorder sur une approche commune avec nos partenaires africains pour s’attaquer aux priorités communes, ce qui est notre objectif.

      5. La nouvelle stratégie va-t-elle remplacer la stratégie commune Afrique-UE définie en 2007 ?

      La stratégie commune Afrique-UE de 2007 a marqué une étape importante dans la relation entre l’UE et l’Afrique. Toutefois, à cette période, le monde était différent et la réalité de notre partenariat avec l’Afrique s’inscrivait dans un autre contexte mondial. En 2020, soit 13 ans plus tard, de nouvelles opportunités et de nouveaux défis se présentent, tels le changement climatique, la transformation numérique, les inégalités, les pressions démographiques et la gouvernance mondiale. L’Afrique est un continent en plein essor, qui a vu ces dernières années certains de ses pays afficher les taux de croissances les plus rapides au niveau mondial, et elle attire l’attention de plusieurs autres acteurs. Nous vivons dans un environnement mondial concurrentiel dans lequel les biens publics mondiaux sont menacés. Nous devons nous adapter à ces nouvelles réalités et renouveler notre partenariat avec l’Afrique.

      Aujourd’hui, l’UE propose les priorités envisageables pour ce nouveau partenariat. L’UE continuera de dialoguer avec les partenaires africains en vue de définir avec eux nos priorités stratégiques communes pour les années à venir.

      6. En quoi cette stratégie est-elle compatible avec les objectifs plus larges de la Commission européenne, tels que le pacte vert pour l’Europe et la priorité accordée au numérique ?

      La Commission européenne entend conduire la transition vers une planète saine et un nouveau monde numérique. Le dialogue de l’UE avec l’Afrique prend en compte ces ambitions dans ces deux domaines.

      Pour atteindre les objectifs de développement durable, l’UE et l’Afrique doivent choisir un avenir à faible intensité de carbone, efficace dans l’utilisation des ressources et résilient face au changement climatique, conformément à l’accord de Paris.

      La Commission européenne est déterminée à faire de l’Europe le premier continent neutre sur le plan climatique au monde ; dans le cadre de son action extérieure, elle propose de coopérer avec l’Afrique afin de maximiser les bienfaits de la transition écologique et de réduire autant que possible les menaces pesant sur l’environnement. Cela englobera chaque aspect de l’économie circulaire et de chaînes de valeur et de systèmes alimentaires durables, à travers la promotion des énergies renouvelables, la réduction des émissions, la protection de la biodiversité et des écosystèmes et une progression vers des modèles d’urbanisation verts et durables.

      Les pays africains sont particulièrement vulnérables face au changement climatique, car celui-ci risque de compromettre les progrès en cours en matière de développement durable.

      De même, la Commission européenne s’est engagée à créer une Europe adaptée à l’ère numérique ; dans le cadre de son action extérieure, elle propose de coopérer avec l’Afrique afin de promouvoir et de valoriser la transformation numérique en Afrique et de garantir l’accès à des services numériques sûrs et abordables.

      Selon les estimations, une augmentation de 10 % de la couverture numérique pourrait augmenter le PIB de l’Afrique de plus de 1 %. Avec les investissements, les infrastructures et le cadre réglementaire appropriés, le passage au numérique a le pouvoir de transformer les économies et les sociétés en Afrique. En outre, l’interdépendance des deux continents sous-tend que le dialogue de l’UE avec l’Afrique est dicté tant par ses valeurs que par ses intérêts.

      7. Quels liens économiques existent entre l’Europe et l’Afrique ?

      L’UE est le principal partenaire de l’Afrique en matière d’échanges et d’investissements, et le principal soutien de la zone de libre-échange continentale africaine (ZLECA), avec la mobilisation prévue de 72,5 millions d’euros d’ici la fin de 2020.

      En 2018, le total des échanges de biens entre les 27 États membres de l’UE et l’Afrique s’élevait à 235 milliards d’euros, soit 32 % des échanges totaux de l’Afrique. À titre de comparaison, ce total s’élève à 125 milliards d’euros pour la Chine (17 %) et à 46 milliards d’euros pour les États-Unis (6 %).

      En 2017, le stock d’investissements directs étrangers des 27 États membres de l’UE en Afrique s’élevait à 222 milliards d’euros, soit plus de cinq fois les stocks des États-Unis (42 milliards d’euros) ou de la Chine (38 milliards d’euros).

      8. Quelle est l’ampleur de l’aide humanitaire et de l’aide au développement fournies par l’UE en Afrique ?

      L’UE et ses États membres sont le principal fournisseur d’aide publique au développement (APD) en faveur de l’Afrique. En 2018, l’UE et ses 27 États membres ont octroyé 19,6 milliards d’euros, soit 46 % du total reçu par l’Afrique.

      En outre, l’UE, conjointement avec ses États membres, est le principal donateur d’aide humanitaire en Afrique. Depuis 2014, la Commission européenne a elle-même alloué plus de 3,5 milliards d’euros à l’aide humanitaire déployée en Afrique.

      L’UE négocie actuellement son futur budget à long terme. Selon les propositions de la Commission européenne, le nouvel instrument de financement extérieur de l’UE pour la période 2021-2027 aura une portée mondiale, mais plus de 60 % des fonds disponibles profiteront à l’Afrique.

      9. Que fait l’UE pour stimuler les investissements et la création d’emplois en Afrique ?

      L’Afrique est un continent où les possibilités de croissance sont de plus en plus nombreuses, avec une main-d’œuvre jeune et innovante et des niveaux de croissance économique élevés. L’UE est le plus grand partenaire commercial et d’investissement de l’Afrique.

      Nous entendons coopérer avec l’Afrique afin de :

      – stimuler les échanges commerciaux et les investissements durables en Afrique ;

      – promouvoir des réformes qui améliorent l’environnement des entreprises et le climat d’investissement ;

      – améliorer l’accès à une éducation de qualité, aux compétences, à la recherche, à l’innovation, à la santé et aux droits sociaux ;

      – favoriser l’intégration économique régionale et continentale.

      Il est possible d’y parvenir en s’appuyant sur les travaux menés dans le cadre de l’Alliance Afrique-Europe pour un investissement et des emplois durables, lancée en 2018 dans le but de créer 10 millions d’emplois en cinq ans, de stimuler l’investissement et de promouvoir le développement durable. Avec le plan d’investissement extérieur de l’UE, qui est un élément clé de l’Alliance, l’UE a déjà alloué 4,6 milliards d’euros de fonds pour des financements mixtes et des garanties depuis 2018. Ces fonds devraient permettre de mobiliser 47 milliards d’euros d’investissements publics et privés. En outre, depuis 2018, l’UE a également fourni près de 1,4 milliard d’euros à l’Afrique pour qu’elle renforce l’environnement des entreprises et le climat d’investissement.

      L’UE propose de faire de l’Alliance un pilier central des relations économiques entre les deux continents.

      10. L’UE accordera-t-elle la priorité aux échanges commerciaux, aux investissements et à la croissance économique aux dépens des droits de l’homme ? Comment la stratégie va-t-elle promouvoir le respect des droits de l’homme ?

      Le respect des droits de l’homme demeure au cœur de la coopération au développement de l’UE et occupe donc une place fondamentale dans la proposition de nouvelle stratégie.

      Le respect des droits de l’homme universels - politiques, civils, économiques, sociaux ou culturels - restera une caractéristique essentielle de notre partenariat.

      Dans le cadre du partenariat pour la paix et la gouvernance, l’UE s’emploiera à unir ses forces à celles des partenaires africains afin de promouvoir le plein respect des droits de l’homme, en agissant à tous les niveaux. Par exemple, l’UE continuera de soutenir les défenseurs des droits de l’homme et les initiatives visant à renforcer les organisations de la société civile. Une approche plus stratégique et structurée des dialogues politiques sur les droits de l’homme menés avec les pays africains sera également adoptée, en complémentarité avec les consultations régulières avec les organisations régionales africaines et le dialogue bien établi sur les droits de l’homme entre l’UE et l’UA.

      Le développement, c’est-à-dire la croissance économique, ne peut être durable que s’il repose sur les fondements du respect des droits de l’homme.

      11. Que fait l’UE pour promouvoir la paix et la stabilité en Afrique ?

      La paix et la sécurité ne sont pas seulement un besoin fondamental pour tous, elles constituent également une condition préalable au développement économique et social.

      La paix, la sécurité, la bonne gouvernance et la prospérité économique en Afrique sont également essentielles pour la propre sécurité et prospérité de l’UE.

      L’UE est déjà active dans ce domaine en Afrique. Elle fournit actuellement des conseils et des formations à plus de 30 000 membres des personnels militaires, policiers et judiciaires africains dans le cadre de 10 missions relevant de la politique de sécurité et de défense commune. En outre, l’UE a fourni 3,5 milliards d’euros par l’intermédiaire de la facilité de soutien à la paix pour l’Afrique depuis sa création en 2004, dont 2,4 milliards d’euros depuis 2014, afin de contribuer aux opérations militaires et de paix menées par l’Union africaine.

      Par ailleurs, plus d’un million de personnes en Afrique subsaharienne ont bénéficié depuis 2014 de programmes soutenus par l’UE en faveur de la consolidation de la paix après un conflit et de la prévention des conflits.

      Dans le cadre des propositions formulées dans la stratégie, l’UE adaptera et approfondira son soutien aux efforts de paix africains au moyen d’une coopération plus structurée et stratégique, en mettant particulièrement l’accent sur les régions connaissant les tensions et les vulnérabilités les plus fortes. L’UE propose de soutenir les capacités africaines en matière de défense et de sécurité, notamment au moyen de la facilité européenne pour la paix et de ses missions de la PSDC, et de se concentrer sur une approche intégrée des conflits et des crises, en agissant à tous les stades du cycle des conflits. Cela suppose de déployer des efforts de prévention, de résolution et de stabilisation au moyen d’actions bien ciblées sur le plan humanitaire, du développement, de la paix et de la sécurité.

      La résilience devrait en particulier être au cœur des efforts consentis par l’Afrique et l’UE pour faire face aux conflits et fragilités qui perdurent, sachant que la résilience, la paix, la sécurité et la gouvernance sont étroitement liées. L’UE propose, dans la stratégie, de soutenir les efforts déployés par nos partenaires africains pour s’attaquer à l’ensemble des défis et accroître leur résilience globale.

      12. Comment l’UE coopérera-t-elle avec l’Afrique en matière de migration et de mobilité ?

      L’évolution démographique, l’aspiration à bénéficier d’opportunités économiques, les conflits et crises actuels et l’impact du changement climatique auront pour conséquence que les niveaux de migration et de déplacement forcé continueront d’engendrer des défis et des opportunités aussi bien pour l’Europe que pour l’Afrique.

      La migration restera l’une des priorités de notre partenariat. Une migration et une mobilité bien maîtrisées peuvent avoir un effet positif sur les pays d’origine, de transit et de destination et profiter aux sociétés de nos deux continents.

      Depuis 2015, les pays de l’UE et les pays africains ont mis en place, dans le cadre du dialogue et de la coopération relevant des processus de La Valette, de Rabat et de Khartoum, une approche commune de la gestion des aspects extérieurs de la migration et de la mobilité, qui a démontré qu’ensemble nous pouvons sauver et protéger des vies, venir en aide aux personnes dans le besoin et démanteler le terrible modèle économique des passeurs et des trafiquants.

      L’UE coopérera avec l’Afrique sur une approche équilibrée, cohérente et globale de la migration et de la mobilité, guidée par les principes de solidarité, de partenariat et de responsabilité partagée et fondée sur le respect des droits de l’homme et du droit international. Tant les possibilités de migration légale que l’amélioration de la coopération en matière de retour et de réadmission feront l’objet des discussions sur l’approche à suivre.

      L’UE promeut le dialogue entre les continents sur la mobilité et la migration et continuera à renforcer la coopération trilatérale entre l’Union africaine, les Nations unies et l’UE.

      13. Comment les négociations avec les pays d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique seront-elles prises en compte ?

      L’UE et le groupe des États d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique (ACP) devraient conclure un nouvel accord de partenariat pour remplacer l’accord de Cotonou, qui expirera à la fin de 2020. Le futur accord ACP-UE englobe un accord de base commun, ainsi que trois partenariats spécifiques adaptés à chaque région, dont un pour les relations de l’UE avec les pays d’Afrique subsaharienne qui sont parties au groupe des États ACP. Cela permettra de créer un nouveau cadre juridique pour les relations entre l’UE et les pays ACP.

      L’UE a également conclu des accords d’association distincts avec quatre pays d’Afrique du Nord.

      Les relations globales entre l’UE et l’UA sont définies par les sommets conjoints, qui ont lieu tous les trois ans, et par les réunions ministérielles régulières, qui donnent une direction politique à la relation entre les deux continents.

      https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/QANDA_20_375

  • Le Contrat Social de Decidim : vers des logiciels libres « à mission » ? | Calimaq
    https://scinfolex.com/2019/05/09/le-contrat-social-de-decidim-vers-des-logiciels-libres-a-mission

    On a beaucoup parlé ces dernières années de Decidim (« Nous décidons » en catalan), une plateforme de démocratie participative mise en place par la municipalité de Barcelone depuis 2017. Comme l’explique Yochai Benkler, le projet Decidim constitue un remarquable exemple de Partenariat Public-Commun dans lequel un acteur public a choisi de développer une ressource dans un esprit de réciprocité afin que d’autres entités, qu’il s’agisse de collectivités ou d’organisations de la société civile, puissent s’en saisir, se l’approprier et participer à son développement : Source : : : S.I.Lex : :

  • Dans le #business de l’#humanitaire : doit-on tirer #profit des #réfugiés ?

    Depuis la crise économique de 2008 et la multiplication des conflits dans le monde, l’insuffisance des fonds alloués au secteur humanitaire n’a jamais été aussi importante. En effet seulement 59 % des besoins en la matière ont été financés en 2018.

    Pour l’une des crises humanitaires les plus médiatisées, celle des réfugiés, les chiffres sont plus alarmants encore. Le Haut-commissariat pour les Réfugiés (HCR) estime que pour l’année 2019 tout juste 14 % de l’aide nécessaire a été financée pour venir en aide aux 68,5 millions de réfugiés, demandeurs d’asile, personnes déplacées et apatrides.
    L’échec du système d’asile

    Bien que garanti par le droit international l’accueil de ces populations vulnérables reste globalement infime. En moyenne, seulement 1 % des réfugiés sont référés par le HCR pour être réinstallés dans des pays d’accueil chaque année. Le cantonnement en camps ou les installations plus ou moins précaires dans les pays limitrophes des zones de conflits deviennent les seules alternatives pour la grande majorité des réfugiés, pour qui la durée moyenne d’exil est d’environ 26 ans.

    Victimes des politiques d’asile de plus en plus restrictives des pays occidentaux plus de 85 % vivent dans des pays « en développement », dont les services élémentaires sont déjà sous pression.

    Le privé à la rescousse

    Pour pallier ces tensions, les capacités financières et innovatrices du secteur privé semblent aujourd’hui s’imposer comme une solution. Le HCR reconnaît en effet que le monde commercial joue un rôle central pour fournir des opportunités aux réfugiés et les soutenir.

    Le Pacte mondial sur les réfugiés adopté par 181 membres de l’ONU en décembre 2018 a lui aussi souligné le rôle primordial du secteur privé pour contrer les failles du système humanitaire.

    Que ce soit en termes d’emploi, d’opportunités commerciales ou de fourniture de biens et de services essentiels par l’intermédiaire de partenariats public-privé, ou encore en aidant les agences non gouvernementales ou gouvernementales à innover pour améliorer la qualité et la provision de l’aide, le monde du business semble désormais indissociable du monde humanitaire.

    Mais normaliser la condition du réfugié dans la logique économique de marché, n’est pas un artifice idéologique servant de plus en plus les intérêts corporatifs ? Et ces derniers ne passeront-ils pas avant ceux des réfugiés dans ce business désormais très rentable – fort de ses 20 milliards de dollars par an- qu’est devenu l’humanitaire ?
    De nombreuses plates-formes impliquées

    Le secteur commercial est impliqué à de nombreux niveaux du système d’asile. Par exemple, via des forums consultatifs comme la branche UNHCR Innovation du HCR créée en 2012 et financée par la fondation IKEA. Ce forum cherche à développer des moyens créatifs d’engager les entreprises et leurs ressources technologiques.

    D’autres plates-formes comme l’initiative #Connecting_Business ou encore #The_Solutions_Alliance tendent à impliquer le secteur privé dans les solutions en déplacement et en mesurer l’impact.

    Ou encore des organismes comme #Talent_beyond_boundaries ou la plate-forme française #Action_emploi_réfugiés élaborent des #bases_de_données regroupant des réfugiés et leurs #compétences techniques et académiques afin de les connecter à des employeurs potentiels dans les pays les autorisant à travailler.

    Afin de coordonner et de conseiller les actions et réponses du monde du profit, d’autres acteurs comme les consultants #Philanthropy_Advisors ont vu le jour pour promouvoir le développement de la collaboration philanthropique stratégique entre les #entreprises et le monde humanitaire, et les aider à projeter leur retour sur #investissement.

    Les marchés prospèrent

    Ainsi les partenariats public-privé avec le HCR et les ONG se multiplient, tant pour les prestations de service que l’expertise du secteur privé dans l’innovation.

    De gigantesques salons commerciaux réunissent régulièrement les grandes agences onusiennes, des ONG et des sociétés privées de toute taille afin d’essayer de prendre les marchés de l’humanitaire. Au salon DIHAD de Dubai par exemple, des stands de vendeurs de drones, de lampes photovoltaïques ou encore de kits alimentaires côtoient ceux des sociétés de services financiers comme MasterCard Worldwide ou des grands cabinets d’audit et de réduction des coûts en entreprise, comme Accenture et Deloitte.

    Cette concurrence grandissante des marchés de l’humanitaire semble suggérer que le système d’asile s’inscrit lui aussi progressivement dans un modèle néolibéral, appliquant la logique économique de marché jusque dans la sphère humanitaire.
    Abus et philanthropie des bailleurs de fonds

    Ce monde humanitaire qui pratique une logique propre à celle du monde des affaires soulève de multiples questions éthiques et pragmatiques.

    Au niveau philanthropique par exemple, les partenaires majeurs du HCR incluent des multinationales comme #Nike, #Merck, #BP, #Nestlé, #IKEA ou encore #Microsoft.

    Or, bien que l’apport financier de ces corporations soit essentiel pour contrer le manque de fonds du système d’asile, la crédibilité et la légitimité de certains partenaires a été contestée.

    Pour cause, les exploitations et abus déjà recensés à l’encontre de ces corporations. Nestlé a récemment été accusé d’esclavagisme en Thaïlande ; Nike et BP ont eux aussi été régulièrement critiqués pour leur modèle économique peu regardant des droits du travail ; ou encore Microsoft, récemment accusé d’exploitation d’enfants dans les mines de cobalt en République Démocratique du Congo. L’entreprise IKEA, bailleur majeur du HCR à quant à elle été inculpée dans un scandale d’évasion fiscale, accusée d’échapper ainsi aux taxes dans les états qui entre autres, financent le HCR.
    Des employeurs douteux

    En tant qu’employeur, le secteur privé embauche et rémunère des réfugiés dans des contextes légaux comme clandestins.

    Par exemple, 20 % de la main d’œuvre de la compagnie #Chobani, spécialiste du yaourt à la grecque implantée aux États-Unis est réfugiée. Son PDG estime que dans le monde actuel le secteur privé est l ‘agent de changement le plus efficace et a ainsi créé la fondation #Partenariat_Tent, afin de sensibiliser le monde commercial à l’importance du secteur privé dans la cause réfugiée.

    Par l’intermédiaire de cette plate-forme, plus de 20 entreprises dont #Microsoft, #Ikea, #H&M et #Hilton ont annoncé des initiatives d’#emploi destinées à contrer la crise des déplacements.

    Cependant, puisque souvent sans droit de travail dans les pays d’accueil de la majorité des réfugiés, ceux-ci sont souvent prêts à accepter n’importe quelle opportunité, et s’exposent à toute sorte de mécanisme d’exploitation, des multinationales aux petites entreprises, légalement ou dans l’économie informelle.

    Des enfants réfugiés Rohingya au Bangladesh aux Syriens en Turquie, Irak, Jordanie ou au Liban exploités dans diverses industries, les exemples d’abus par des entreprises de toutes tailles sont souvent recensés et vaguement relayés dans la presse. Parfois, les entreprises inculpées ne sont autres que des géants comme #Zara, #Mango, #Marks_and_Spencer, qui ne sont pas légalement réprimandés car il n’existe ni mécanisme de coercition ni cadre de sanction pour les multinationales.

    L’ambiguïté des sous-traitants

    Par ailleurs, les gouvernements, le #HCR et les #ONG sous-traitent progressivement l’assistance et la protection des réfugiés à divers partenaires commerciaux afin d’améliorer les conditions de vie dans des secteurs aussi divers que la finance, la provision de service, le conseil, la construction, la santé, la technologie ou encore l’éducation.

    Si de tels projets sont souvent très positifs, d’autres se font complices ou tirent profit de politiques publiques allant à l’encontre de la protection des droits humains. La multinationale espagnole #Ferrovial, un entrepreneur indépendant contracté par l’état australien pour gérer son système carcéral des demandeurs d’asile offshore, a été accusée de mauvais traitements chroniques envers les réfugiés dans des centres de détention extraterritoriaux administrés par l’Australie. Cette dernière est elle-même accusée de crimes contre l’humanité pour son traitement des demandeurs d’asile arrivés par bateau.

    Amnesty International a aussi dénoncé des actes de torture par la compagnie Australienne #Wilson_Security, sous-traitant de la filiale australienne de Ferrovial, #Broadspectrum.

    La compagnie britannique de sécurité #G4S a elle aussi fait l’objet d’une multitude d’allégations concernant des violences physiques perpétrées par ses employés dans des camps contre des réfugiés, par exemple à Daddab au Kenya, et sans conséquence pour G4S.

    Des compagnies comme #European_Homecare ou #ORS spécialisées dans la provision de service aux migrants et réfugiés ont été accusées de #maltraitance dans les milieux carcéraux envers les gardes et les réfugiés.

    Ainsi, selon un rapport de L’Internationale des services publics, la privatisation des services aux réfugiés et aux demandeurs d’asile a un impact direct sur leur qualité et aboutit à des services inappropriés, caractérisés par un manque d’empathie, et ne respectant souvent pas les droits humains.

    Le business de la catastrophe

    Par soucis d’efficacité, en privatisant de plus en plus leurs services et en laissant le monde du profit infiltrer celui de l’humanitaire, le HCR et les ONG prennent le risque de créer des conditions d’exploitation échappant aux mécanismes légaux de responsabilité.

    Aux vues de nombreuses questions éthiques, le monde commercial peut-il réellement contrer les failles étatiques et organisationnelles du monde humanitaire ? L’intégration du secteur privé dans le système de protection et d’assistance aux réfugiés, est-ce aussi en soi justifier le désengagement des États de leurs obligations en matière de protection des personnes les plus vulnérables ?

    Comment ainsi éviter que cette source d’opportunité commerciale pour les entreprises, et les opportunités d’émancipation que cela engendre pour les réfugiés, n’entraîne leur marchandisation et exploitation, dans un contexte où les cadres juridiques en matière de business et droits humains ne sont visiblement pas assez strictes ?

    https://theconversation.com/dans-le-business-de-lhumanitaire-doit-on-tirer-profit-des-refugies-
    #privatisation #partenariats_public-privé #PPP #asile #migrations #philanthropie #travail #salons_commerciaux #salons #DIHAD #néolibéralisme #sous-traitance

  • How Public-Private Partnerships Are Killing Us - WhoWhatWhy
    https://whowhatwhy.org/2019/03/22/how-public-private-partnerships-are-killing-us

    The FAA’s decision allowing Boeing to do its own safety assessments — while the company president told President Trump that all was fine with the 737 Max — raises serious questions about the effectiveness of regulatory agencies charged with protecting our health and safety.

    In another critical public health area, the government has virtually partnered with the pharmaceutical industry to deal with the opioid crisis. It’s a lot like asking the arsonist to help put out the fire he started.

    According to Jonathan H. Marks, a bioethicist at the Penn State University, and our guest on this week’s WhoWhatWhy podcast, this is a troubling and dangerous trend that’s become more pronounced in recent years.

    He reminds us of how and why the government was so slow to respond to the faulty ignition switches in many GM cars, why exploding gas tanks went unrepaired, why tobacco deaths went unchecked for so long, and why government fails to take climate change seriously.

    The reason in each case: The government’s regulatory agencies felt the need to work with business in public-private partnerships. This has cost the lives of thousands.

    Marks says much of this was based on the misguided idea that we needed less conflict between the public and private sectors, and that by working together, more could be accomplished. Marks contends nothing could be further from the truth.

    #partenariat_public_privé #danger

  • #Naval_Group va créer une coentreprise en #Arabie_saoudite
    https://www.latribune.fr/entreprises-finance/industrie/aeronautique-defense/naval-group-va-creer-une-coentreprise-en-arabie-saoudite-807804.html

    Le groupe industriel français a signé un protocole d’accord en vue de créer une entreprise commune avec les Industries militaires d’Etat d’Arabie saoudite (Sami), selon un communiqué publié par Sami. Naval Group n’a pas souhaité commenter cette information. Le texte ne précise pas quels types de navires et d’équipements seront susceptibles d’être construits par cette société commune.

    Les Industries militaires d’Etat d’Arabie saoudite (#Sami) et le groupe industriel français Naval Group ont signé, ce dimanche 17 février, un protocole d’accord en vue de créer une entreprise commune qui produirait et développerait en Arabie saoudite des systèmes navals, selon un communiqué publié par Sami.

    Ce protocole d’accord a été conclu en marge d’un salon international de la défense (Idex) qui se tient tous les ans à Abou Dhabi (Émirats Arabes Unis). Sollicitée par l’AFP, une représentante de Naval Group sur place a refusé de commenter l’information.

    Côté saoudien, on insiste sur l’objectif de « localiser les compétences et les capacités industrielles », ainsi que sur la création d’emplois « hautement qualifiés ».

    Le texte ne mentionne pas le type de navires et d’équipements susceptibles d’être construits dans le royaume par cette société commune.

    Celle-ci serait « à la tête des programmes des Forces navales royales saoudiennes » et appuierait « les besoins existants et futurs », indique simplement le communiqué.

    Selon le patron de Sami, Andreas Schwer, cité dans le texte, le protocole d’accord avec Naval Group pose les fondations d’un « #partenariat_stratégique » qui permettra au royaume saoudien d’être plus autonome en matière de défense navale.

    Des ONG et des parlementaires français ont appelé à plusieurs reprises à la suspension des fournitures militaires à l’Arabie saoudite en liaison avec son intervention au Yémen et à l’assassinat en octobre par des agents saoudiens de l’éditorialiste Jamal Khashoggi.

    #transfert_de_technologie

  • ICMR’s tie-up with Pfizer on antibiotic abuse raises eyebrows | India News - Times of India
    https://timesofindia.indiatimes.com/india/icmrs-tie-up-with-pfizer-on-antibiotic-abuse-raises-eyebrows/articleshow/67985211.cms

    A collaboration between the Indian Council for Medical Research (ICMR) and Pfizer, a drug multinational that sells antibiotics, for the council’s Anti-Microbial Resistance (AMR) project has sparked widespread criticism and charges of conflict of interest.

    #pharma #conflit_d'intérêt#partenariat_public_privé#Inde

  • Conclusions du #Conseil_européen du #28_juin_2018 sur les migrations

    La prophétie s’auto-réalise. A force de parler de crise des migrations et réfugiés, les gouvernants européens et la technocratie de l’Union ont bien produit une crise de l’Europe (voir L’espace Schengen : crise et méta-crise et Quelle crise des réfugiés ?) à l’égard des migrants dont il est reconnu pourtant dès le § 1 des conclusions que l’arrivée a baissé de 95 % par rapport à 2015.

    Le mot d’ordre des conclusions – qui parlent abusivement d’une « #politique_migratoire_européenne » alors que tout repose sur une série d’actions volontaires des Etats qui, précisément, ne veulent pas se charger de la question, préférant l’approfondir – est clair. Il s’agit de poursuivre et renforcer la #fermeture_des_frontières en limitant les entrées et en favorisant les #retours. Pour cela, l’« approche globale » annoncée est en réalité un patchwork de petites solutions pour la plupart déjà existantes ou sinon irréalisables.

    Ainsi en appelle-t-on comme par rituel magique à l’application de solutions et instruments qui existent déjà et ne fonctionnent pas (comme les accords de réadmission ou la déclaration UE-Turquie) ou à la réalisation de projets que les Etats n’ont jamais vraiment voulus (#solidarité avec les Etats européens d’entrée) ou très mal conçus (partenariats avec les Etats d’origine ou de transit des migrants ; destruction du modèle économique des #passeurs, distinction des « migrants » et des « réfugiés », rôle de #Frontex). Et que dire du « #partenariat_avec_l’Afrique » pendant que l’Europe négocie de nouveaux accords commerciaux avec les Etats africains dont la logique est orthogonale à toute idée de partenariat et de coopération et ne peut qu’alimenter les migrations dites économiques ? En attendant les « réformes » prévues dont tout le monde sait l’échec programmé, il convient donc de verser de l’argent à divers budgets non coordonnés.

    Parmi les nouvelles solutions irréalisables, on songe bien sûr à l’appel très médiatisé pour des centres établis volontairement par les Etats membres alors que tout le monde sait pertinemment qu’aucun ne veut instituer de tels centres sur son territoire ainsi qu’aux « #plateformes_régionales_de_débarquement » qui, outre qu’elles seraient illégales, sont d’ores et déjà rejetées par les voisins de l’Europe.

    On ne peut être qu’être marqué, non pas étonné, par la généralité et donc la vacuité du contenu de l’accord. Rien de précis n’est annoncé au profit d’une accumulation de slogans répétés à l’envi depuis des années, tels des mantras dont on devine qu’ils s’adressent à certains électorats internes et ont pour objet d’entretenir une peur obsessionnelle qui constitue la seule crise empiriquement observable (car on a peine à imputer à l’immigration actuelle une quelconque trace d’invasion, d’insécurisation, de destruction de l’économie ou de fin de civilisation).

    L’Europe s’abîme à tel point qu’il faut d’urgence décentrer le regard sur les questions migratoires et, tout en continuant à s’intéresser aux politiques d’immigration, se concentrer sur les politiques d’émigration des Etats d’origine dont la vacuité n’a rien à envier aux premières et surtout aux causes profondes des migrations et à une appréciation plus fine de leur caractère positif ou négatif tant pour les Etats d’origine, de transit et de destination que pour les individus.

    https://migrationsansfrontieres.com/2018/07/01/conclusions-du-conseil-europeen-du-28-juin-2018-sur-les-mig
    #migrations #politique_migratoire #migrations #asile #réfugiés #UE #EU #renvois #expulsions #tri #catégorisation #externalisation #business_as_usual

    Commentaire de @jean, que je remercie.

    Plus sur les #disembarkation_platforms :
    https://seenthis.net/messages/703288

  • Les liaisons à risques du #CICR

    Les relations du Comité international de la Croix-Rouge avec le secteur privé et la double casquette de son président, #Peter_Maurer, également membre du conseil de fondation du #World_Economic_Forum, font courir le risque que le CICR soit perçu comme partial. La sécurité des délégués sur le terrain est en jeu.

    C’était le 9 octobre 2017. Sans tambour ni trompette, le Comité international de la Croix-Rouge (CICR) déclarait mettre fin avec effet immédiat au partenariat qu’il entretenait avec la multinationale LafargeHolcim. Cette dernière était l’une des douze sociétés appartenant au Corporate Support Group du CICR, un groupe de partenaires stratégiques du secteur privé. Motif : LafargeHolcim (LH), entreprise née de la fusion entre la société suisse Holcim et le français Lafarge lancée en 2014 et effective en 2015, est accusée d’avoir financé des groupes djihadistes en Syrie, dont l’organisation Etat islamique, à travers sa filiale Lafarge Cement Syria (LCS) et la cimenterie de Jalabiya.

    La justice française a depuis mis en examen sept cadres de la société soupçonnés de « financement du terrorisme ». Dans sa communication de l’automne dernier, le CICR est explicite : il « n’a pas travaillé avec LH ou avec Lafarge en Syrie, et n’a aucune connexion avec la situation complexe dans laquelle se trouve LH actuellement. »
    L’affaire LafargeHolcim

    L’exemple soulève la question des rapports du CICR avec ses partenaires privés. Pour l’organisation, fondée en 1863 par Henri Dunant et dont la mission est de rendre visite aux détenus, de fournir protection, assistance et aide humanitaire aux victimes de conflits armés et de promouvoir le respect du droit international humanitaire, l’alerte est chaude. Elle l’est d’autant plus que le CICR met du temps à réagir. Le Monde publie sa première enquête le 21 juin 2016 sous le titre : « Comment le cimentier Lafarge a travaillé avec l’Etat islamique en Syrie. »

    Face à ces révélations, le CICR réévalue ses procédures. Mais pas de remise en question immédiate du partenariat avec #LafargeHolcim. Selon un document interne envoyé au même moment aux délégations et que Le Temps s’est procuré, le CICR avance que « bien qu’à ce stade, la probabilité que les médias approchent le CICR au sujet du soutien qu’il reçoit de LH soit très faible, les lignes ci-dessous devraient aider à gérer de telles demandes ». Les collaborateurs sont censés mentionner des projets développés en commun par LH et le CICR, notamment au Nigeria. Le siège continue à relativiser : « Les accusations contre LH au sujet du comportement de son équipe en Syrie doivent encore être prouvées. »

    A Genève, on ne prend pas la mesure de l’urgence : le président du CICR Peter Maurer et le chef de la délégation du CICR au Nigeria signent le 21 octobre 2016 à Lagos un protocole d’accord avec Lafarge Africa Plc. Le partenariat prévoit notamment de « renforcer la position de Lafarge sur le marché du ciment dans le nord-est du Nigeria ». Une phrase qui provoque une vive discussion à l’interne. Quatre jours plus tard, pourtant, la rupture avec LH est annoncée : « La révision [du partenariat] a révélé que la controverse […] avait le potentiel d’impacter négativement les opérations, la réputation et la crédibilité du CICR avec des acteurs clés, y compris sur le terrain. » En dépit de la volte-face, le malaise persiste. Etait-il opportun d’avoir un partenariat avec Holcim, dont le président du conseil d’administration jusqu’en mai 2014 (après la fusion avec Lafarge), Rolf Soiron, siégeait dans le même temps au Conseil de l’Assemblée, l’organe suprême du CICR ?
    Les risques de conflit d’intérêts

    Le partenariat avec LafargeHolcim n’étant plus d’actualité, l’affaire pourrait s’arrêter là. C’est compter sans un groupe de 25 membres honoraires, d’anciens dirigeants, chefs des opérations et de délégation du CICR. Dans un document qu’ils envoient au siège du CICR en décembre 2017 intitulé « L’indépendance et la neutralité du CICR en péril », ils affirment vouloir nourrir un débat qu’ils jugent « existentiel ». Leur intention, précisent-ils au Temps, n’est pas de « casser » une organisation qu’ils continuent d’aimer.

    Le réflexe pourrait être de voir dans cette mobilisation un combat d’arrière-garde entre des anciens, dépassés, et des nouveaux, progressistes. Or l’inquiétude dépasse largement ce cercle et provient aussi des délégués actifs sur le terrain. Elle ne porte pas tant sur la collaboration avec le secteur privé que sur les conditions dans lesquelles celle-ci se matérialise. Cette inquiétude est exacerbée par plusieurs facteurs : face aux multiples crises humanitaires et à leur complexité croissante, face à l’irrespect crasse du droit international humanitaire, le CICR évolue dans un contexte extraordinairement difficile. Il est présent dans 86 pays et emploie 18 000 collaborateurs. Son travail, remarquable, est reconnu.

    Si nombre d’entreprises privées ont régulièrement soutenu l’auguste institution, elles l’ont surtout fait sous une forme philanthropique. « Aujourd’hui, c’est davantage du donnant-donnant », explique Marguerite Contat, ex-cheffe de délégation qui craint que l’indépendance et l’impartialité du CICR ne soient remises en question. Un vocabulaire qui fait écho au slogan « win-win » familier du World Economic Forum (#WEF), mais qui s’inscrit aussi dans la transformation en partie entamée à l’ONU au début des années 2000 par Kofi Annan sous le nom de « #Global_Compact », un concept de promotion du #partenariat_public-privé. Le document rédigé par le groupe des 25 met en garde : « L’institution ne peut se permettre de mettre en péril le formidable capital de confiance qu’elle a accumulé au cours de son siècle et demi d’existence […]. Il ne suffit pas, pour le CICR, de se proclamer neutre et indépendant, encore faut-il qu’il soit reconnu comme tel par toutes les parties concernées. »

    On l’aura compris : les craintes exprimées touchent à un aspect central de l’action du CICR : la perception qu’ont de lui les acteurs locaux, qu’il s’agisse de groupes armés non étatiques, d’Etats ou de groupes terroristes. Les principes ne sont pas gravés dans le marbre une fois pour toutes, déclarait pourtant Peter Maurer lors d’un symposium consacré en 2015 aux « principes fondamentaux dans une perspective historique critique ». Ils sont fonction de l’époque.

    Sous la présidence de Jakob Kellenberger (2000-2012), le CICR a institué un partenariat stratégique avec douze sociétés réunies dans ce qu’il appelle le Corporate Support Group (CSG). L’apport de chacune est d’un demi-million par an sur six ans. Leur contribution financière est marginale, soit moins de 4% du financement assuré par les Etats contributeurs. Mais pour le CICR, appelé à répondre à des besoins humanitaires qui explosent, ce soutien est nécessaire. Dans cette logique, le récent partenariat conclu avec la société danoise Novo Nordisk a du sens. Peter Maurer le justifiait récemment devant l’Association des correspondants du Palais des Nations (Acanu) : « Non, ce n’est pas de la philanthropie. Nous n’obtenons pas les médicaments [anti-diabète] de Novo Nordisk gratuitement. Mais ceux-ci peuvent être fournis à des populations vulnérables à des prix plus favorables. »
    Perception du CICR, un acquis fragile

    Difficile par ailleurs de demander au contribuable d’en faire davantage, la Confédération appuyant le CICR déjà à hauteur de 148 millions de francs (2017). Le financement par les Etats soulève aussi son lot de questions. Un ancien haut responsable de l’institution le souligne : « Les contributions versées par certains Etats relèvent plus de la stratégie de communication que d’un réel engagement humanitaire. » Un autre observateur ajoute : « Les Etats-Unis sont les premiers contributeurs étatiques du CICR. Or ils ont orchestré de la torture en Irak à partir de 2003. »

    Au CICR, on le martèle : le monde a changé. Gérer simplement l’urgence humanitaire ne suffit plus. Il faut « inscrire l’urgence dans la durée », dans le développement durable d’un Etat, d’une communauté. Le savoir-faire du secteur privé peut s’avérer utile pour améliorer des situations humanitaires catastrophiques lorsque les services de l’Etat se sont effondrés. Mais qu’obtiennent en contrepartie les entreprises stratégiques du CSG, hormis la possibilité d’utiliser le logo du CICR ? Membre du CSG depuis 2008, Credit Suisse y trouve son compte. Son porte-parole Jean-Paul Darbellay s’en explique : « Grâce à ce partenariat, nous bénéficions de nombreux échanges de connaissances et partageons notre expertise dans de plusieurs domaines d’activité : marketing, ressources humaines, collectes de fonds. »

    Credit Suisse apporte aussi son expertise au « WEF Humanitarian System Global Future Council présidé par Peter Maurer ». En aidant le CICR, la fondation néerlandaise Philips, membre du CSG, n’a pas d’objectifs commerciaux. Elle a développé avec lui un kit d’instruments pour la détection précoce des grossesses à haut risque dans des communautés fragiles ayant un accès limité à des services de santé. La société Roche n’attend pour sa part aucun « retour matériel sur investissement ».
    Un rôle flou

    « Notre intérêt, explique au Temps Yves Daccord, directeur général du CICR, réside surtout dans l’échange de compétences avec le secteur privé. Avec Swiss Re, nous avons un intérêt à coopérer avec le secteur de la réassurance. En Syrie, si on laisse le système s’effondrer, cela aura un énorme impact humanitaire. » Les critiques estiment toutefois que le CICR en fait trop en aidant ses partenaires à développer des activités économiques là où il est présent. Yves Daccord s’en défend : « Il est exclu que le CICR fournisse des renseignements situationnels à ses partenaires. Ce serait de la folie. » Devant l’Acanu, Peter Maurer précise : « Nous ne sommes pas impliqués dans la reconstruction. » Mais le président du CICR n’hésite pas à sensibiliser les partenaires stratégiques en les amenant sur le terrain. Lors d’une visite en Colombie en janvier 2017, lors de laquelle il rencontra le président Juan Manuel Santos, il avait « dans ses bagages » l’Avina Stiftung, Holcim Colombia ou encore Nespresso.

    Professeur émérite de l’Université du Nebraska et auteur du livre ICRC : A Unique Humanitarian Protagonist, David Forsythe connaît bien l’institution et salue son travail de terrain. Il questionne toutefois le rôle flou du CICR avec ses partenaires : « Personne ne remet en question la nécessité de travailler avec le secteur privé. Mais si cette coopération devait permettre aux entreprises partenaires de faire de l’argent, cela poserait un problème sérieux au vu de la mission strictement humanitaire du CICR. Et certaines multinationales pourraient chercher à redorer leur image en soutenant une telle organisation humanitaire. Il en va de même pour le choix par cooptation des membres de l’Assemblée du CICR. Il faut s’assurer qu’ils soient irréprochables et qu’ils ne soient pas sujets à des conflits d’intérêts. »
    La proximité avec le WEF critiquée

    L’autre aspect qui fait débat aussi bien à l’extérieur qu’à l’intérieur du CICR, c’est la double casquette de Peter Maurer, président du CICR depuis 2012 et membre du conseil de fondation du World Economic Forum (WEF) depuis novembre 2014. Cette double appartenance interpelle même les actuels collaborateurs. Après un message envoyé le 12 avril 2017 par le siège pour sonder les délégations et que Le Temps a pu consulter, l’une de ces dernières relève que la double casquette « met automatiquement le CICR du côté des puissants et des riches ». Les délégués sur le terrain pourraient en subir les conséquences.

    Or, explique une seconde délégation, le CICR est une institution « qui se présente comme ontologiquement proche des victimes ». Une autre délégation déplore l’association formelle au WEF alors que « le CICR a déployé d’énormes efforts durant la dernière décennie pour se débarrasser de son étiquette occidentale ». Elle se pose une question rhétorique : que se passerait-il si les FARC, le mouvement révolutionnaire colombien d’obédience marxiste, négociant avec le CICR, apprenait que le président du CICR était aussi au conseil de fondation du WEF, une organisation qui défend le libéralisme économique ? Le sondage semble avoir eu peu d’effet. Le mandat de Peter Maurer au WEF a été renouvelé sans problème en 2017. « On ne tient pas compte de nos remarques, explique un responsable encore en fonction. Nous sommes mis devant un fait accompli. » La direction élude le débat. Le sujet est devenu tabou.

    Le double mandat de Peter Maurer peut cependant prêter à confusion. Le 11 mai 2017, le président du CICR se rend à Kigali pour une réunion du WEF Afrique. Il y est invité par la ministre rwandaise des Affaires étrangères. Après quelques hésitations, Peter Maurer accepte l’invitation. La délégation du CICR à Kigali essaie de lui arranger un rendez-vous avec le président du Rwanda. En vain. Il faudra l’appel de Klaus Schwab, président du WEF, pour inciter Paul Kagame à rencontrer le patron du CICR. « Pendant seize minutes, tous deux ne parlent que du CICR, explique au Temps une personne qui était sur place. Pour Paul Kagame, il n’y avait pas de confusion possible : Peter Maurer parlait au nom du CICR. »

    Jugeant le WEF complaisant à l’égard des Emirats arabes unis et de l’Arabie saoudite, un ex-haut responsable du CICR en convient : « Cela n’a pas eu d’effet mesurable pour l’instant. Mais un accident n’est pas exclu. Je rappelle qu’au Yémen, le CICR est la seule organisation capable de parler à tous les acteurs. » Or ce sont les deux pays précités qui ont orchestré le blocus économique du Yémen, aggravant la situation humanitaire. Par ailleurs, être formellement associé au WEF est « risqué pour les délégués, notamment en Syrie, poursuit-il. Au WEF, plusieurs acteurs ont expliqué comment éliminer l’Etat islamique. » Le professeur David Forsythe avertit : « Si des acteurs locaux venaient à apprendre le mandat de Peter Maurer au WEF, cela pourrait devenir un sérieux problème. »
    L’exemple douloureux du Biafra

    La question de sa perception n’est pas anodine pour une organisation qui souhaite avoir accès à tous les belligérants. Car son image est parfois fragile. Le CICR en a fait l’expérience au moment de la crise du Biafra à la fin des années 1960, quand des gardes en uniforme du président de la Guinée équatoriale montèrent avec leurs motos à bord d’avions de la Croix-Rouge suédoise marqués du sigle générique de la Croix-Rouge. La scène aurait été filmée par un Hollandais.

    En Afrique, il faudra des années au CICR pour se débarrasser de cette fausse nouvelle selon laquelle il aurait participé à un trafic d’armes… Or c’était il y a près de cinquante ans. Aujourd’hui, à l’heure des réseaux sociaux, le risque de dégât d’image est décuplé. Peter Maurer le reconnaît lui-même : « Mon organisation ne bénéficie pas d’une neutralité garantie. C’est quelque chose que vous obtenez en établissant des relations de confiance avec les parties au conflit. Gagner leur confiance est un combat quotidien. » A propos de la tragique mort récente d’un collaborateur du CICR au Yémen, des délégués le déplorent sur le réseau Alumni Networks du CICR. Il aurait été abattu « parce qu’il était du CICR ». Etait-ce déjà une question de perception de l’organisation ?

    Yves Daccord comprend les arguments critiques par rapport au WEF, mais les conteste. « Notre choix stratégique ne consiste pas à observer, mais à faire partie de la discussion. Depuis huit ans, notre engagement a considérablement augmenté. Nous avons désormais une présence diplomatique dans les capitales des cinq membres permanents du Conseil de sécurité de l’ONU. Nous poursuivons une stratégie d’influence croisée pour renforcer notre discours humanitaire. » Dans cette logique, le WEF est une plateforme très utile où sont présents bon nombre d’acteurs (multi-stakeholders) auprès desquels le CICR peut exercer son influence pour renforcer son message humanitaire. « Quand le président chinois Xi Jinping est à Davos, qu’il rencontre le conseil de fondation du WEF et qu’il voit Peter Maurer, c’est important. Cela permet au CICR d’établir rapidement un lien avec le dirigeant chinois. Il faut nous juger sur nos objectifs, non sur une image arrêtée de la situation. »
    Changement de culture

    Au CICR, le choc des cultures est une réalité. Le monde a changé et l’institution genevoise aussi. Peter Maurer est beaucoup sur le terrain : en Libye, au Yémen, en Syrie. On reconnaît à cet ex-ambassadeur de Suisse auprès de l’ONU à New York un grand talent diplomatique qui lui a valu de rencontrer les grands de la planète : Xi Jinping, Vladimir Poutine, Barack Obama. En termes de budget, l’organisation atteint désormais les 2 milliards. Pour les uns, c’est une course à la croissance effrénée par laquelle le CICR s’éloigne de sa mission spécifique de protection des civils pour embrasser toute une série d’activités de développement propres à une « agence para-onusienne ».

    Pour d’autres, c’est le génie de Peter Maurer qui a su réaliser qu’il fallait voir l’humanitaire dans une dimension plus large. Yves Daccord l’admet : « Oui, la culture de la maison a changé. » Le professeur David Forsythe met toutefois en garde : « Attention au style de management vertical propre à une grande multinationale. Malgré son excellente image et sa réputation, voyons si le CICR est toujours capable, au vu de ce management, d’attirer des délégués aussi engagés, dont il ne faut pas oublier qu’ils risquent leur vie sur le terrain. » Le CICR, semble-t-il sous-entendre, ne peut être soumis à une culture managériale identique à celle d’une multinationale, car en fin de compte, ce sont les gens du terrain qui sont sa raison d’être.

    https://www.letemps.ch/monde/liaisons-risques-cicr
    https://www.letemps.ch/monde/liaisons-risques-cicr
    #Lafarge #Syrie #conflit_d'intérêts #Lafarge #Holcim

  • La #dette de la #SNCF fait peser une lourde menace sur le gouvernement
    https://www.mediapart.fr/journal/france/090318/la-dette-de-la-sncf-fait-peser-une-lourde-menace-sur-le-gouvernement

    © Reuters L’État a depuis des années imposé la politique hors de prix du tout #TGV, au détriment du reste du #réseau_ferroviaire. Aujourd’hui, #Sncf_réseau, chargé des infrastructures ferroviaires, croule sous près de 50 milliards d’euros de dettes. Il suffirait de presque rien pour que l’État, sous la contrainte des règles européennes, soit obligé de reprendre cette dette. La réforme de la SNCF n’écarte en rien cette menace pour les finances publiques.

    #France #Economie #Partenariat_public_privé #RFF

    • Et voilà la source:
      PRAHDA, quand la finance s’empare du social

      La loi asile et immigration doit être présentée en février au Conseil des ministres. Elle accélérera considérablement les procédures de demandes d’asile. Pour les organisations qui défendent les réfugiés, le message du gouvernement est clair : il faut expulser plus, et plus vite, notamment les dublinés. Parmi les outils dont dispose déjà l’État, il y en a un, pas très couture, nommé PRAHDA. Soit Programme d’Accueil et d’Hébergement pour les demandeurs d’asiles. Dans les faits, il permet surtout de contrôler les réfugiés et de les assigner à résidence, grâce à un ingénieux système de « #partenariat_public-privé » (#PPP) d’un nouveau genre.

      https://www.radioparleur.net/single-post/2018/01/29/PRAHDA-finance-social

      cc @daphne @marty @albertocampiphoto

    • Spéculer sur l’insertion des demandeurs d’asile en France, un nouvel investissement rentable pour les financiers

      L’accueil des demandeurs d’asile s’ouvre aux marchés financiers. C’est ce que prévoit le nouveau modèle de gestion des centres « Pradha », chargés de l’hébergement des personnes demandant l’asile. Ces centres – d’anciens hôtels bas de gamme – seront gérés au quotidien par une filiale de la #Caisse_des_dépôts sous contrôle du ministère de l’Intérieur, et sont en partie financés par le privé, grâce à un #fonds_d’investissement dédié. Côté accueil, accompagnement, insertion et encadrement, les coûts sont réduits au minimum, mais les partenaires du fonds – la #BNP, #Aviva, la #CNP assurances ou la #Maif – espèrent en tirer des bénéfices. Bienvenue dans l’« action sociale » du XXIe siècle.

      Pour financer le Prahda, la Caisse des dépôts et consignations (CDC), via sa filiale CDC-Habitat [1] a donc lancé un fonds d’investissement, baptisé « #Hémisphère ». Premier fonds à impact social d’une telle envergure en France, avec une capacité de 200 millions d’euros, Hémisphère est abondé pour moitié par un prêt de la Banque de développement du Conseil de l’Europe, tandis que six investisseurs institutionnels apportent les 100 millions restants : Aviva France, BNP Paribas #Cardif, la CDC, #CNP_Assurances, la Maif, et #Pro_BTP.

      http://multinationales.org/Speculer-sur-l-insertion-des-demandeurs-d-asile-en-France-un-nouvel
      #spéculation #intégration #CDC-Habitat #Appoigny #BNP_Paribas #finance #privatisation

  • #Global_Skill_Partnerships: a proposal for technical training in a mobile world

    Skilled workers emigrate from developing countries in rising numbers, raising fears of a drain on the human and financial resources of the countries they leave. This paper critiques existing policy proposals to address the development effects of skilled migration. It then proposes a new kind of ex ante public-private agreement to link skill formation and skilled migration for the mutual benefit of origin countries, destination countries, and migrants: ‘Global Skill Partnerships’. The paper describes how such an agreement might work in one profession (nursing) and one region (North Africa), and offers design lessons from related initiatives around the world.

    https://izajolp.springeropen.com/articles/10.1186/s40173-014-0028-z
    #développement #migrations #partenariat_public-privé #compétences #formation

    • Si même le WEF le dit...
      Migrants will keep coming. We should give them the skills they need to thrive

      Here is one innovation that could help, among many that we need. A Global Skill Partnership is a bilateral agreement designed to sensibly share the benefits and costs of skilled migration between the migrant-destination countries and migrant-origin countries. Employers and governments in migrant-destination countries support technical training for migrants in their country of origin, before they move, with cross-subsidies to train non-migrants.

      Done right, a Global Skill Partnership can benefit all involved. Young people looking to work abroad can pursue enormous opportunities for themselves and their families. The countries of destination get migrants with precisely the skills they need to contribute the most and integrate fast. The countries of origin get finance and technology transfer to support the training of both migrants and non-migrants – an engine of finance and human capital creation, not a drain.

      The economic heart of a Global Skill Partnership is a dual arbitrage opportunity. The first is that workers like nurses, hospitality workers and mechanics can be hundreds of percent more valuable, in strictly economic terms, providing their services in a rich country rather than in a poor country. The second is that training those workers can be done in a poor country at a small fraction of the cost in a rich country. These mean that a Global Skill Partnership doesn’t mean taking away from some to give to others. Like all arbitrage opportunities, it is a chance to add value, to increase the size of the pie for shared benefit.

      https://www.weforum.org/agenda/2017/11/migrants-will-keep-coming-we-should-train-them-first-skills-to-thrive
      #apprentissage

  • JO 2024 à Paris : pourquoi le rêve olympique peut se terminer en cauchemar financier
    http://multinationales.org/JO-2024-a-Paris-pourquoi-le-reve-olympique-peut-se-terminer-en-cauc

    Comme attendu, Paris organisera en 2024 les Jeux Olympiques d’été, qu’elle veut plus écolo que jamais. Mais derrière un discours de façade très écologique, la réalité économique risque de ne pas être beaucoup plus verte qu’ailleurs, avec de monstrueux dépassements de budget. Tour d’horizon des principaux motifs d’inquiétude, qui continuent d’interroger sur la pertinence de tels événements sportifs. C’était le secret le moins bien gardé de l’Histoire du sport : ce mercredi 13 septembre, Paris a officiellement (...)

    #Enquêtes

    / #France, #Greenwashing, Comité international olympique (CIO), #changement_climatique, fiscalité, #infrastructures, partenariat (...)

    #Comité_international_olympique_CIO_ #fiscalité #partenariat_public-privé
    « http://www.leparisien.fr/paris-75/paris-75005/jo-2024-anne-hidalgo-pose-ses-conditions-a-hollande-15-03-2015-4605935.ph »
    « http://www.lejdd.fr/JDD-Paris/JO-Paris-2024-Anne-Hidalgo-annonce-une-grande-consultation-en-2016-726728 »
    « http://nonjo2024aparis.neowordpress.fr »
    « http://svplanete.blogspot.fr »
    « http://paris2024.org/medias/presse/170313_document_strategie_durabilite_paris_2024_pour_impression.pdf »
    « https://www.alternatives-economiques.fr/societe/jeux-olympiques-la-malediction-du-vainqueur-201506110600-00 »
    « http://www.lemonde.fr/economie/article/2017/09/11/jeux-olympiques-de-paris-en-2024-une-bonne-affaire_5183988_3234.html »
    « http://www.capital.fr/entreprises-marches/le-stade-de-france-creuse-encore-sa-perte-sans-certitude-sur-l-avenir-123901 »
    « http://paris2024.org/medias/presse/170311_document_bilan_carbone_-_acv_paris_2024_-_pour_impression.pdf »
    « https://www.bastamag.net/Euro-2016-des-retombees-economiques-surestimees-les-benefices-de-l-UEFA »
    « http://www.lemonde.fr/sport/article/2017/08/14/jo-2024-los-angeles-un-renoncement-a-prix-d-or_5172306_3242.html »

  • Les habits neuf du #colonialisme : les accords de partenariat économique entre l’UE et l’Afrique
    https://www.grain.org/article/entries/5778-les-habits-neuf-du-colonialisme-les-accords-de-partenariat-economique-en

    Depuis 2002, les pays d’#Afrique, des #Caraïbes et du #Pacifique (ACP) négocient un accord réciproque de #libre-échange connu sous le nom d’accord de #partenariat_économique (#APE) avec l’#Union_européenne (UE). Vendu comme la solution miracle qui devait entraîner l’#industrialisation et le #développement des pays ACP, l’APE est en réalité d’une grande injustice et relève d’un procédé colonial.

    Même si on en parle peu, l’APE suscite une #opposition constante de la part des pays #ACP, en raison notamment de ses effets dévastateurs sur les petits producteurs. Les cas des pays africains présentés ici illustrent la manière dont les communautés se battent pour reprendre le contrôle de leurs #ressources et empêcher leurs marchés d’être noyés sous les denrées industrielles bon marché en provenance de l’#Europe, en les protégeant en même temps de l’afflux des #pesticides et des organismes génétiquement modifiés.

    #agriculture #agro-industrie