• Radio Canada Des tests de paternité vendus au Canada qui identifiaient le mauvais père D’après des renseignements fournis par Jorge Barrera, de CBC News

    « [Nos tests de paternité prénataux] n’étaient pas si fiables », admet à la caméra cachée le propriétaire de la compagnie Viaguard Accu-Metrics, de Toronto, qui a vendu de tels tests d’ADN en ligne pour 800 $ à 1000 $ de 2014 à 2020, selon une enquête de CBC.

    Harvey Tenenbaum, qui dirige toujours le laboratoire de Toronto à l’âge de 91 ans, a confié à la caméra cachée d’un journaliste de CBC qui se faisait passer pour un client, qu’il se « méfie de ce test maintenant ».

    Grâce à un kit maison visant à prélever quelques gouttes de sang de la femme enceinte et un échantillon buccal d’ADN de l’homme, le test devait permettre de confirmer l’identité du père avant la naissance de l’enfant.


    À la caméra cachée, M. Tenenbaum admet toutefois que le test a produit des résultats erronés au fil des années.

    C’est arrivé. Un père blanc se fait tester et le bébé est noir.
    Une citation de Harvey Tenenbaum, propriétaire du laboratoire

    À la caméra cachée, M. Tenenbaum se dit conscient des conséquences possibles d’une erreur : “Si on identifie le mauvais père, la mère peut avoir un avortement.”

    Questionné par CBC, il assure publiquement que les tests étaient, au contraire, « précis » et « parfaits ». Il a cessé de les vendre, ajoute-t-il, parce que l’un des éléments était devenu trop coûteux.

    La vie chamboulée d’une mère
    “Je hais le nom Viaguard”, lance Corale Mayer, 22 ans, de North Bay, en Ontario.

    Lorsqu’elle est tombée enceinte en 2019, à l’âge de 19 ans, elle n’était pas sûre de qui était le père et a commandé un test de Viaguard, renvoyant ensuite les échantillons demandés par la poste.

    Un premier test erroné de la compagnie, raconte-t-elle, lui a fait croire que le père n’était pas l’homme avec qui elle était. Un deuxième test, lui aussi erroné a-t-elle appris après la naissance de sa fille, indiquait que le père était plutôt un autre homme, qui ne voulait rien savoir d’avoir un enfant.

    Ça a été extrêmement traumatisant.
    Une citation de Corale Mayer, mère

    Elle a lancé un groupe dans les médias sociaux qui compte des dizaines d’autres personnes qui soutiennent que leur vie a aussi été chamboulée par des tests de paternité erronés de Viaguard.

    La faute du test ?
    Sika Richot a travaillé comme réceptionniste pour Viaguard durant près de trois mois en 2019.

    Elle soutient que le laboratoire lui demandait de questionner les femmes qui commandaient un test de paternité sur leur cycle menstruel et sur les dates auxquelles elles avaient eu des relations sexuelles avec les différents pères possibles, des questions qui n’ont rien à voir avec un test d’ADN.

    Le personnel compilait ensuite ces renseignements dans un cycle d’ovulation pour réduire le nombre de pères potentiels, affirme Mme Richot. “[Tenenbaum] allait toujours dire : ’’Celui-ci est le père biologique, c’est certain’’”, soutient-elle.

    https://i.cbc.ca/1.7167663.1712622642!/fileImage/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/original_780/harvey-tenenbaum.jpg

    M. Tenenbaum laisse entendre, lui, que les clients sont responsables des résultats erronés, en raison d’une mauvaise collecte des échantillons. “On a fait des milliers de tests et la moitié des erreurs venaient de la collecte”, dit-il.

    Le Dr Mohammad Akbari, directeur de recherche au laboratoire de génétique moléculaire de l’Hôpital Women’s College, à Toronto, affirme que le genre de test que Viaguard disait utiliser est fiable normalement, mais qu’il faut plus que quelques gouttes de sang de la mère pour confirmer l’ADN du fœtus.

    Il faut au moins 10 ml de sang d’une veine de la mère pour un test adéquat.
    Une citation de Le Dr Mohammad Akbari, expert dans les tests d’ADN

    Dans certains cas, comme l’illustre une poursuite contre Viaguard en Californie, les clients devaient se rendre à un laboratoire pour le prélèvement de sang. Cette poursuite s’est conclue par un règlement à l’amiable.

    Santé Canada indique par courriel qu’elle ne réglemente pas les tests commerciaux d’ADN comme ceux de Viaguard.

    La compagnie n’offre plus de tests de paternité prénataux, mais continue à vendre des tests d’ADN postnataux, tout comme des tests pour déterminer la race des chiens, notamment.

    D’après des renseignements fournis par Jorge Barrera, de CBC News

    #ADN #Tests #identité #enfants #fœtus #laboratoires #maternité #paternité #femmes #hommes #famille #médecine #génétique

  • Aumento di arrivi alle Canarie. Dall’inizio dell’anno più di 1.000 le persone disperse

    La principale causa è la repressione delle proteste in Senegal.

    A partire dallo scorso maggio 2023 il collettivo spagnolo Caminando Fronteras ha registrato un nuovo importante aumento di sbarchi alle isole Canarie dovuto principalmente alla situazione politica in Senegal, da dove partono la maggior parte delle imbarcazioni. Come sempre accade, proporzionalmente all’aumento di approdi, aumenta anche il numero di morti e dispersi. La risposta del governo spagnolo è la promessa di maggiore controllo sulle coste africane di partenza, mentre le strutture di “accoglienza” sono al collasso e non forniscono le condizioni minime di igiene e abitabilità.

    Secondo le ricerche di Caminando Fronteras le persone scomparse sono già più di mille dall’inizio dell’anno. Solo nel mese di giugno sono scomparse 3 imbarcazioni con oltre 300 persone a bordo. La maggior parte delle imbarcazioni che stanno raggiungendo le Canarie in questi mesi partono dal Senegal, a causa di una situazione politica sempre più tesa, che vive ora una fase particolarmente acuta.

    Migliaia di persone stanno protestando per la stretta autoritaria messa in atto dall’attuale presidente Macky Sall in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno a febbraio 2024. Dalla fine di maggio in particolare, la situazione è peggiorata notevolmente e diverse organizzazioni senegalesi per la protezione dei diritti umani hanno denunciato arresti di massa che stanno colpendo anche un gran numero di adolescenti.

    La repressione è molto dura, attualmente si contano circa due mila arresti e 16 persone uccise durante le proteste. Tra le persone detenute si contano anche numerosi minori, motivo per cui negli ultimi due mesi, il numero di bambini e adolescenti che viaggiano sui cayucos è aumentato, rappresentando in alcuni casi fino al 40% delle persone che scelgono di partire a bordo di queste tradizionali imbarcazioni da pesca. Anche donne e intere famiglie stanno iniziando a imbarcarsi in misura sempre maggiore.

    Le autorità spagnole concentrano la loro azione sugli arrivi, ma non sulla pericolosa rotta che divide il Senegal dalle Canarie, attualmente quella che provoca più morti. Il viaggio da Kafountine, in Senegal, al Hierro, l’isola delle Canarie più vicina, può durare anche due settimane. Si tratta di un viaggio molto lungo, in cui le persone sono esposte alle forti correnti dell’oceano, alle condizioni meteorologiche avverse e alla possibilità di imprevisti o guasti al motore. Per queste ragioni la rotta verso le Canarie continua ad affermarsi come una delle più pericolose e con il più alto tasso di mortalità.

    L’azione statale rispetto al soccorso e alla ricerca dei dispersi presenta grosse falle, dal momento che non esiste nessun protocollo per la ricerca dei dispersi in mare e che le operazioni di salvataggio risultano attraversate e ostacolate dalle politiche razziste implementate dal governo spagnolo. Dal 2018 esiste infatti un protocollo specifico per il salvataggio delle persone che naufragano a bordo delle pateras, diverso dal protocollo di salvataggio per il resto delle persone che si trovano a rischio in mare.

    Questo protocollo è fortemente deficitario in termini di mezzi e di azione, ciò obbliga gli operatori e le operatrici di Salvamento marítimo a una differenziazione di tipo razzista nelle operazioni di salvataggio. Molte morti si sarebbero potute evitare, per esempio, se si fossero attivati i mezzi di soccorso nel momento dell’avvistamento delle imbarcazioni invece di aspettare che queste naufragassero. Queste gravi mancanze nel soccorso e nella ricerca dei dispersi non sono un caso, bensì una precisa strategia per tentare di invisibilizzare questa situazione nel discorso pubblico e il governo la mette in atto impunemente, sulla pelle di migliaia di persone che potevano invece essere salvate, la cui vita viene considerata niente più che una moneta di scambio per le proprie esigenze politiche.

    Anche una volta arrivate le persone continuano a essere oggetto di razzismo e maltrattamento istituzionale. A El Hierro, dove sta arrivando la maggior parte di persone in questi mesi, i mezzi per gestire l’accoglienza sono scarsi. Le persone vengono trattenute sulle darsene dei porti, in spazi sovraffollati e in cui le condizioni di vita sono ridotte al minimo. Anche i lavoratori e le lavoratrici delle ONG hanno denunciato la difficile situazione, soprattutto durante le ondate di caldo, in cui le persone sono state costrette a permanere diversi giorni sedute sul cemento in attesa di essere identificate e trasferite in altre isole.

    A tutta questa situazione il governo risponde attraverso la solita retorica del bisogno di un maggiore controllo migratorio. Le misure promesse dal ministro dell’interno Marlaska, riconfermato dopo le ultime elezioni, comprenderebbero anche un aereo della Guardia Civil che sorvoli costantemente le coste africane per identificare le partenze. Questo controllo non sarebbe funzionale ad attività di soccorso, come dimostrano i numerosi casi di omissione di soccorso da parte delle autorità spagnole denunciati da Caminando Fronteras, di cui uno documentato il 20 giugno scorso dall’emittente radio CadenaSER 1.

    Una volta in più assistiamo a come le politiche di controllo, non potendo fermare le migrazioni, siano solamente un dispositivo funzionale alla criminalizzazione e al confinamento delle persone migranti, e di come si rivelino uno strumento di violenza che provoca ogni anno la morte di migliaia di persone che potevano invece essere salvate. I tentativi di insabbiamento di queste morti da parte del governo spagnolo dimostrano la disumanità con cui vengono gestite le frontiere e l’opportunismo politico con cui i governi europei rigirano a proprio favore queste tragedie, di cui sono i responsabili, per mettere in campo nuovi strumenti per la persecuzione delle persone migranti.

    1. Está dentro de la zona SAR nuestra”: la SER accede a las grabaciones de Salvamento Marítimo del último naufragio en la ruta canaria, Cadenaser (22 giugno 2022): https://cadenaser.com/nacional/2023/06/22/esta-dentro-de-la-zona-sar-nuestra-la-ser-accede-a-las-grabaciones-de-sal

    https://www.meltingpot.org/2023/11/aumento-di-arrivi-alle-canarie-dallinizio-dellanno-sono-gia-piu-di-1-000

    J’avais loupé ce protocole raciste:

    Dal 2018 esiste infatti un protocollo specifico per il salvataggio delle persone che naufragano a bordo delle pateras, diverso dal protocollo di salvataggio per il resto delle persone che si trovano a rischio in mare.

    Questo protocollo è fortemente deficitario in termini di mezzi e di azione, ciò obbliga gli operatori e le operatrici di Salvamento marítimo a una differenziazione di tipo razzista nelle operazioni di salvataggio.

    –-> deepl translation:

    « En effet, depuis 2018, il existe un protocole spécifique pour le sauvetage des naufragés à bord des pateras, qui diffère du protocole de sauvetage du reste des personnes en danger en mer.

    Ce protocole est gravement déficient en termes de moyens et d’action, ce qui oblige les opérateurs du Salvamento marítimo à une #différenciation_raciale dans les opérations de sauvetage. »

    #route_atlantique #asile #migrations #réfugiés #Canaries #îles_Canaries #statistiques #chiffres #Sénégal #répression #Caminando_Fronteras #Macky_Sall #cayucos #Kafountine #Hierro #mourir_en_mer #frontières #morts #décès #mortalité #secours #pateras #Salvamento_marítimo #racisme #sauvetage_différencié #contrôles_frontaliers

  • Existe-t-il des #terrains_hostiles aux #chercheuses ?

    Les chercheuses font face à de véritables problématiques de terrain dans le cadre de leurs recherches. Du monde militaire en passant par le monde politique, quelles stratégies doivent-elles adopter pour mener au mieux leurs études en dépit des #risques encourus sur le terrain ?

    Avec

    – Marielle Debos Chercheuse à l’Institut des Sciences sociales du Politique et maître de conférences en sciences politiques à Paris-Nanterre
    – Ioulia Shukan Spécialiste de l’Ukraine, maîtresse de conférences en études slaves à l’Université Paris Nanterre et chercheuse à l’Institut des Sciences sociales du Politique et associée au Centre d’études des mondes russe, caucasien et centre-européen
    - Camille Abescat Doctorante en sciences-politique au sein du Centre de recherches internationale de Sciences Po

    C’est un post sur un réseau social qui nous a alerté la semaine dernière sur la publication dans la revue « Critique internationale » d’un vade-mecum intitulé « Genre, sécurité et éthique. Vade-mecum pour l’enquête de terrain. » (https://www.cairn.info/revue-critique-internationale-2023-3-page-59.htm) Son autrice, #Marielle_Debos, spécialiste de politique en Afrique, l’avait tout d’abord destiné à ses étudiantes. Elle s’interroge sur les risques que prennent les chercheuses sur le terrain et la #responsabilité que ces dernières ont vis-à-vis de leurs interviewées.

    Notre deuxième invitée, Camille Abescat, rend sa thèse sur les députés jordaniens cette semaine. Enfin, Ioulia Shukan, spécialiste de l’Ukraine et la Biélorussie, évoquera le changement de nature de son terrain devenu lieu de guerre, qui, comme toutes les chercheuses spécialisées de cette région, a été énormément sollicitée par les médias tout en ayant de plus en plus de difficultés à enquêter pour renouveler ses approches.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/le-temps-du-debat/existe-t-il-des-terrains-hostiles-aux-chercheuses-6589647

    #podcast #audio #terrain_de_recherche #recherche_de_terrain #terrain #recherche #femmes

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    • #Genre, #sécurité et #éthique. Vade-mecum pour l’enquête de terrain

      Les questions concrètes et matérielles que l’on se pose sur le terrain ne sont pas détachées des questions théoriques, méthodologiques et éthiques. L’article est composé de deux parties : la première est une introduction sur le genre, la sécurité et l’éthique dans les relations d’enquête, la seconde est un vade-mecum qui donne des conseils pour se protéger et protéger les enquêté·es, en mettant l’accent sur les #violences_sexistes et sexuelles. Je défends l’idée que les chercheuses peuvent réinventer une manière de penser et de faire du terrain, entre injonctions paternalistes à la #prudence et déni des difficultés rencontrées. La sécurité, en particulier celle des femmes et des #minorités, sur le terrain et à l’université suppose aussi une réflexion sur les effets de la #précarité et la persistance de #normes (sexisme, #fétichisation des terrains à risques, idéalisation de l’#immersion_ethnographique) qui peuvent les mettre en danger.

      https://www.cairn.info/revue-critique-internationale-2023-3-page-59.htm
      #vademecum #vade-mecum #violences_sexuelles #VSS #paternalisme

    • #BADASSES : Blog d’Auto-Défense contre les Agressions Sexistes et Sexuelles dans l’Enquête en Sciences sociales

      Manifeste

      « Les anthropologues ne se font pas violer ou harceler, les femmes si » (1)
      Moreno, 1995

      C’est ce qu’écrivait Eva Moreno dans un article témoignant du viol qu’elle a subi lors d’une enquête de terrain vingt ans auparavant. Ne nous méprenons pas : la date n’explique rien. Aujourd’hui encore, les violences sexistes et sexuelles s’immiscent dans la relation d’enquête. Sans grande surprise, la fonction de chercheureuse ne nous protège pas. C’est parce que femme, ou minorité de genre, qu’on est harcelé·e, agressé·e, violé·e ; et en tant que chercheureuse et sur notre espace de travail que cela arrive.

      Loin d’être anecdotiques, les violences sexistes et sexuelles dans l’enquête, tout comme dans l’ESR, sont pourtant invisibilisées : à l’Université, c’est le silence qui règne. Alors que les théories féministes et les études de genre ont largement travaillé sur les violences sexistes et sexuelles, que la sociologie regorge d’outils pour analyser les relations de domination, que la réflexivité dans l’enquête s’est imposée dans les sciences sociales, on ne peut que constater l’absence de la prise en compte de ces violences au sein de nos formations. À l’exception de quelques initiatives personnelles, souvent sous forme de séminaires ou de conseils informels aux jeunes chercheureuses, rares sont les TD de méthodologie où l’on discute de ces problématiques, des ressources dont les étudiant·e·s pourraient se saisir pour mieux penser les méthodes d’enquête, se protéger sur le terrain, et acquérir les outils permettant d’analyser et d’objectiver ces violences.

      Ce constat est le résultat d’un manque de considération certain quant au genre de l’enquête. L’enseignement méthodologique se fait le plus souvent à partir de la condition masculine, le devoir de réflexivité s’imposant alors aux seules femmes et minorités de genre – ce qu’illustre d’ailleurs l’importance qui lui est accordée dans les études de genre et de la sexualité. Telle qu’enseignée aujourd’hui, la démarche de l’enquête tend à valoriser les prises de risques. Au nom d’un imaginaire ancré du·de la chercheureuse aventurier·e, du dépassement de soi et de l’injonction à un terrain spectaculaire, les enquêteurices peuvent être poussé·e·s à se mettre en danger, davantage que dans leur vie quotidienne. Les chercheureuses sont encouragé·e·s à privilégier une forme d’intimité avec leurs enquêté·e·s, ainsi qu’à multiplier les relations et les espaces d’observation informel·le·s. En somme, à “tout prendre” pour collecter de “meilleures” données et ce, sans nécessairement avoir la formation indispensable aux pratiques ethnographiques. Fréquemment, la peur de “gâcher son terrain” ou de “se fermer des portes” redouble les risques encourus. Peut-être devrions-nous rappeler que l’abnégation de soi ne fait pas un bon terrain. Il est impératif de déconstruire ces mythes, qui comme toujours exposent davantage les femmes et minorités de genre. Qui plus est, la précarité systémique dans l’ESR – dont les jeunes chercheureuses sont les premières victimes – accentue voire favorise les prises de risques (conditions d’hébergement, de transport…).

      En tant qu’institution, l’Université se doit de visibiliser ces sujets et d’en faire de véritables enjeux. Il est pour cela nécessaire de (re)donner des moyens aux universités, la baisse drastique des financements et des recrutements empêchant la mise en place de véritables formations méthodologiques – qui nous semblent pourtant être un instrument de lutte contre les violences sexistes et sexuelles, mais aussi plus généralement contre toute forme de violence dans l’enquête. Au-delà des moyens financiers, les universitaires se doivent aussi de prendre à cœur et à corps ces enjeux pour mettre fin au tabou qui entoure le sujet des violences sexistes et sexistes dans l’enquête. Mais leur seule prise en charge par les institutions en retirerait la charge politique et épistémologique. Il ne s’agit pas non plus d’être dépossédé·e·s d’espaces autonomes, d’auto-défense, pour se former, échanger, construire ensemble nos savoirs et créer des solidarités dans un champ académique qui, toujours plus compétitif et précarisé, freinent la mise en place d’initiatives collectives. En complément aux espaces déjà existants dans certaines universités ou collectifs de recherche, ce blog se veut donc être un espace dématérialisé, pour créer du lien, mutualiser les ressources, faire circuler discussions et outils, les rendre accessibles au plus grand nombre et en conserver les traces. Si l’approche par le genre est au cœur de ce blog, celui-ci a aussi vocation à visibiliser les violences racistes, validistes, classistes et, dans une perspective intersectionnelle, voir comment elles s’articulent avec les violences sexistes et sexuelles.

      (1) Si la citation de l’autrice se limite aux femmes, notons que notre réflexion et notre travail incluent de fait les minorités de genre.

      https://badasses.hypotheses.org

  • #Casey sur la #colère

    "Si tu es en colère, c’est que tu n’es pas capable de raisonner logiquement puisque, en tout cas en Occident, la colère c’est l’ennemi de la #réflexion. Ça, c’est un truc paternaliste. C’est une façon de dire, en gros tu es #primitif, tu ne sais pas organiser ta pensée. Ça, c’est une façon de te disqualifier, une façon de disqualifier le #discours et c’est une façon aussi de s’assurer d’un certain #confort, c’est-à-dire : ’Je veux bien t’entendre, mais dis-le moi gentiment, que ça ne soit pas inconfortable’. Non, des fois c’est un crachat dans ta gueule que j’ai envie d’envoyer pour que tu comprennes. Ça, c’est réel, c’est aussi une envie de confort, c’est-à-dire que ton interlocuteur, dans sa toute puissance, dans sa grande #impunité, ce qu’il demande à l’oppressé c’est lui raconter son #oppression et sa #souffrance, mais vraiment en des termes qu’il puisse entendre, à savoir avec la douceur, l’amour et la gentillesse et la tendresse nécessaires.

    https://www.facebook.com/chloe.fraissebonnaud/posts/pfbid0bgHLuUR9PpFcx3wWVDkQUV35qoPYWt3YHAx3eB8MCXzuyuHDaUu6bwTQ74WG5Wmul
    (je ne trouve pas cette vidéo ailleurs que sur FB)

    #logique #paternalisme #disqualification #gentillesse #décolonial

    ping @cede @karine4 @_kg_

  • Les #mines, une histoire du #paternalisme

    Sous l’impulsion des compagnies privées qui se partageaient l’exploitation des gisements de #charbon en #France, une population de #mineurs s’est stabilisée à un endroit et pour plusieurs générations.

    C’est une longue histoire de l’#exploitation qui commence il y a plus de deux siècles, quand des #compagnies_minières embauchent des centaines, des milliers d’hommes, de femmes et d’enfants, tout un peuple minier, qu’on installe près des puits de mines de charbon. En possédant les logements, les écoles, les clubs sportifs ou encore les églises, ces compagnies privées organisent la vie quotidienne et le destin des mineurs, avec sa #morale, son #éducation et sa #religion.

    « Être mineur, c’était la garantie d’un salaire, d’un logement, du chauffage en hiver, de l’éducation pour les enfants et de l’accès à la coopérative minière pour les achats ». L’historienne Marion Fontaine explique d’ailleurs : “Si l’on ne prend pas en compte la dangerosité du métier, en termes de vie quotidienne, dans les années 1870-1880, il vaut mieux être un mineur qu’un ouvrier du textile. Mais cette protection a un coût. Elle a un prix énorme, car elle rend les ouvriers extrêmement dépendants de ces largesses patronales”.

    Ainsi, en contrepartie, les mineurs doivent #respect et #obéissance aux #patrons. Un véritable système de #paternalisme_patronal que nous raconte le géographe Simon Edelblutte : “L’industriel va subvenir aux besoins des ouvriers, il les paye et leur assure le logement, ainsi que certains loisirs, l’éducation des enfants, et cetera. Mais si vous aviez des problèmes au travail, si vous vous syndiquiez, et que le patron n’était pas content, non seulement vous pouviez perdre votre travail, mais vous pouviez perdre votre logement aussi, c’était donc une manière de vous contrôler.”

    Mais face à cette omniprésence des compagnies, la #solidarité minière s’organise peu à peu et résiste.

    Du porion à l’ingénieur, des gardes des mines au grand bureau, la #surveillance et le contrôle de la main d’œuvre est plus ou moins stricte selon les zones.

    C’est dans le Nord Pas de Calais que l’on fait ici notre immersion.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/les-mines-une-histoire-du-paternalisme-5306611
    #contrôle #patronat #résistance
    #audio #podcast

  • La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
    #spéculation #terres #énergie #transition_énergétique #compétition #agriculture #photovoltaïque #énergie_solaire #panneaux_solaires #sol #agrivoltaico #fermes_solaires #ferme_solaire

    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • Un exemple à généraliser :

    Les vendeuses d’#Inditex (#Zara) […] viennent d’obtenir une #augmentation_de_salaire de 20 % en moyenne (jusqu’à 40 % parfois), à l’issue de plusieurs semaines d’un mouvement de #grèves et de mobilisation inédit dans un groupe plutôt connu pour sa tranquillité sociale. […]

    C’est une victoire de celles qu’au sein du #groupe_Inditex, on appelle souvent, avec une sorte de #paternalisme affectueux, « #Las_niñas », les gamines. Une terme qui désigne les vendeuses comme d’éternelles mineures, la dernière roue du carrosse Inditex, le groupe espagnol qui avait été lancé dans les années 1960 par #Amancio_Ortega - un autodidacte visionnaire devenu aujourd’hui l’un des hommes les plus riches du monde.

    Le mouvement de protestation qui avait démarré en #Galice, la région d’origine d’Inditex, à la pointe ouest de l’#Espagne, a donc remporté la manche. Il avait été fortement poussé par le syndicat local #CIG, qui pointait à la fois les salaires et la précarité des contrats parmi le personnel de magasin, très largement féminin et moins bien considéré au sein du groupe que les collègues de secteurs plus masculinisés.

    (Les Échos)

    #prêt-à-porter #lutte_de_classe

    • Zara : une mobilisation victorieuse http://www.lutte-ouvriere.org/breves/zara-une-mobilisation-victorieuse-499803.html

      En Espagne, la direction d’Inditex a accordé des augmentations de salaire de l’ordre de 20 % en moyenne selon les régions. Inditex est le géant du prêt-à-porter qui possède Zara, entre autres marques. Le groupe emploie plus de 165 000 travailleurs dans le monde dont 46 000 en Espagne.

      Les travailleuses, en majorité des vendeuses, se mobilisaient depuis des mois, multipliant les journées de grèves et les manifestations devant les magasins. Leurs salaires sont particulièrement bas. Beaucoup de vendeuses gagnent moins de 1 400 € par mois et la hausse des prix, officiellement à plus 8 % sur l’année, a fait dégringoler leur niveau de vie. Cette lutte des travailleuses de Zara est un exemple à suivre !

  • Le système prostitutionnel, pourquoi il faut renforcer la loi 6/10/22
    https://radiogalere.org/?playlist=2022-10-25-02alcazarinviteessp6_2_22

    6 ans après la loi du 13 avril 2016 visant à renforcer la lutte contre le système prostitutionnel et à accompagner les personnes prostituées, où en est-on aujourd’hui ?

    Les associations Osez-le-féminisme-13, Femmes Solidaires-Marseille, l’Assemblée des Femmes et L’Amicale du Nid- 13, ont organisé une conférence afin de présenter la loi du 13 avril 2016, d’apporter les éléments d’évaluation de sa mise en œuvre, et de proposer les améliorations nécessaires en réunissant des personnalités et expertes féministes abolitionnistes qui à divers titres ont élaboré, travaillé, soutenu et mis en œuvre la loi de 2016, de lutte contre le système prostitutionnel. 154 personnes étaient présentes !

    Daniela Levy “Soirée exceptionnelle où nous avons pu présenter l’intérêt de la loi du 13 avril 2016 et expliquer pourquoi, en tant que féministe, nous devons défendre l’abolition du système prostitueur, l’abolition du système pédocriminel et du système pornocriminel”

    Nathalie Teisser “un cocktail exceptionnel de femmes féministes, de mémoire sur l’histoire du féminisme et de ses batailles , des témoignages poignants des survivantes rapportés… l’humour intelligent et décapant de Laurence Rossignol, " Elles vont s’attaquer à quoi après la prostitution ? Au porno !! Et ben oui ! Et à plusieurs et au Sénat..allez lire le rapport sur la pornocriminalité sur le site du Sénat !"

    Table Ronde Un grand merci à nos invitées :

    Marie-Hélène FRANJOU, présidente de l’Amicale du nid,

    Maud Olivier , ancienne députée de l’Essonne, et rapporteure de la loi du 13 avril 2016,

    Célia MISTRE, directrice de l’Amicale du Nid-13,

    Anna Lafouge, éducatrice spécialisée de l’Amicale du nid-13.

    Claudine LEGARDINIER, autrice, journaliste et militante de l’abolitionnisme,

     : Laurence Rossignol , présidente de l’Assemblée des Femmes, sénatrice de l’Oise et ancienne ministre des droits des femmes et des familles sur la question de la Pornographie (delegation droit des femmes rapport du senat

    ressources

    Porno : “L’enfer du décor”
    La prostitution, un "métier" comme un autre ? video passée au début de l’intervention de Daniela Levy

    https://podcasts.google.com/feed/aHR0cHM6Ly9mZWVkLmF1c2hhLmNvL2IyMTluaXd2Z3hSMA?sa=X&ved=0CAMQ4aUDah

    #féminisme #radio #prostitution #culture_du_viol #viol #porno

  • Le « #grand_dessein_africain » d’ENI. L’Italie et l’Afrique entre néo-impérialisme, indépendance énergétique et mémoire sélective.

    En #Italie, on parle peu de l’Afrique. Et quand on en parle, c’est pour lui attribuer la source de tous les maux du pays : l’immigration. Un phénomène instrumentalisé par une certaine rhétorique (de droite, mais de plus en plus répandue) pour désigner la cause de la criminalité, du chômage, du terrorisme, de la perte des valeurs et des traditions, entre autres.

    Il suffit de comparer les grands titres de la presse italienne et celle des autres pays européens pour s’apercevoir qu’en Italie, on parle peu de l’Afrique. En conséquence, les Italiens ignorent tout de ce continent si proche, de son présent comme de son passé. Ce que les Italiens ne savent pas, ne veulent pas savoir ou ne veulent pas que l’on sache, c’est avant tout la relation étroite qui lie historiquement leur pays au continent africain. Et nul n’est besoin de convoquer les temps anciens l’Empire romain ou les conquêtes coloniales extravagantes et cruelles du Royaume d’Italie pour mettre cette relation en lumière. Dans les années 60, du fait des luttes de libération, des intérêts économiques qui y étaient associés et du tiers-mondisme communiste et catholique, l’Afrique était une présence à l’horizon populaire de notre pays. Aujourd’hui, nous sommes passés de la fascination orientaliste et du désir de conquête à la peur, et l’Afrique a disparu de la carte géographique et mentale des Italiens. Pourtant, selon une étude de l’OCDE (l’Organisation de coopération et de développement économiques), l’Italie s’est classée au troisième rang des investisseurs mondiaux dans le continent, derrière la Chine et les Emirats arabes unis, sur la période 2015-2016.

    Pour ma recherche de doctorat en études urbaines à l’université de Bâle, je me suis fixé pour objectif de rattacher les fils de ces multiples relations à partir de la fin des #conquêtes_coloniales proprement dites. Mon projet s’intéresse en particulier au « grand dessein africain » de la société nationale d’hydrocarbures (l’ente nazionale idrocarburi) ou ENI, autrement dit, à la pénétration systématique du continent pour conquérir de nouvelles #ressources et de nouveaux marchés potentiels. Le « grand dessein » n’avait ni la précision ni la finesse de détail d’un véritable projet ; il s’agissait plutôt une vision expansionniste fondée sur des stratégies diplomatiques, politiques, économiques, propagandistes et infrastructurelles.

    La « pénétration » de l’ENI a été favorisée par la situation géopolitique instable qui prévalait autour de 1960, dite l’Année de l’Afrique, qui vit la dissolution des empires coloniaux et la formation ultérieure de nouveaux Etats-nations luttant pour leur indépendance politique et énergétique. Au cours de ces années, l’entreprise d’Etat italienne a réussi à se transformer en multinationale pétrolière et à rivaliser avec les majors du secteur, à la faveur de contrats plus avantageux pour les Etats hôtes (la fameuse « formule Mattei ») et une attitude paternaliste de soutien aux nouveaux dirigeants africains et à leurs revendications. Une situation rendue possible par les financements de l’Etat italien qui, un peu comme c’est le cas aujourd’hui pour les entreprises chinoises qui opèrent en Afrique, était en mesure de fournir des prêts à long terme assortis de faibles taux d’intérêt, surclassant les offres des sociétés privées.

    Pour concrétiser leurs visions de développement, les dirigeants africains d’alors ont su profiter de la guerre froide en obtenant des soutiens financiers et technologiques des deux blocs, hors de tout discours idéologique. Dans le cadre de ce scénario, ENI a su tenir, de façon magistrale (et ambiguë), le rôle de compagnie pétrolière multinationale et celui d’entreprise d’Etat menant une politique énergétique bénévole à l’égard des pays en voie de développement et sans préjugés, indépendamment des règles imposées par le cartel des multinationales pétrolières et des limites imposées par l’appartenance de l’Italie au bloc occidental.

    En quelques années, ENI et ses sociétés filiales, parmi lesquelles Agip, la plus connue et la plus visible puisqu’elle assure la vente de carburant au détail, ont réussi à pénétrer le marché et le territoire de plus de 20 nouveaux pays africains, de l’Afrique du Nord (Egypte, Maroc et Tunisie) et des anciennes colonies italiennes (Libye, Ethiopie, Erythrée) jusqu’à l’Afrique subsaharienne (Ghana, Congo, Nigeria et Tanzanie, pour n’en citer que quelques-uns).

    Ma thèse de doctorat étudie en particulier l’aspect matériel, spatial et propagandiste du dessein africain qui a permis au célèbre chien à six pattes, « l’ami fidèle de l’homme à quatre roues » comme disait le slogan d’Agip, de se dresser le long des routes d’une grande partie du continent. Les infrastructures pétrolières, des raffineries aux stations-service, ont joué un rôle fondamental dans cette pénétration, en liant de manière indissoluble le destin des nouveaux pays africains à l’entreprise italienne.

    Par un changement de perspectives et un renversement de la vision italo-centrée de l’entreprise d’Etat et de ses filiales, cette recherche se concentre sur l’Afrique et s’efforce de comprendre quelle a été son influence – matérielle et culturelle – sur ENI et sur l’Italie de l’après-guerre.

    Ce processus permet de voir comment les ressources extraites en Afrique et au Moyen-Orient sont devenues (avec les financements du plan Marshal) la matière première du boom industriel et économique de l’Italie d’après-guerre et montre comment l’expansion post-coloniale d’ENI a contribué à créer l’image d’un pays moderne et technologiquement avancé.

    Ce qui s’est véritablement matérialisé à partir du « grand dessein » initial est donc le résultat positif de négociations et de tractations, en dépit de multiples échecs, changements de caps et renoncements. Le projet entrepris dans les années 1950, que l’on peut considérer comme encore en cours, constitue la base de la présence actuelle d’ENI dans le continent africain. En effet, avec plus de 8 milliards d’euros investis, ENI est aujourd’hui le troisième investisseur privé sur le continent. Et même si bien des choses ont changé au cours de 60 dernières années, sa présence dans des pays comme le Nigeria et la Libye ne s’est jamais interrompue.

    Etudier le parcours complexe et ambigu d’ENI permet de comprendre l’histoire de l’Italie d’après-guerre et de faire la lumière sur certains aspects, trop souvent ignorés, de sa relation embrouillée et complexe avec le continent africain.

    Image : propagande d’ENI représentant l’enseigne d’une station-service Agip avec le mont Kilimandjaro en toile de fond ; tirée de l’article « Dal Mediterraneo al Kilimanjaro », publié en 1976 dans le journal d’entreprise d’ENI, « Ecos. ».

    https://blogs.letemps.ch/istituto-svizzero/2020/12/16/le-grand-dessein-africain-deni-litalie-et-lafrique-entre-neo-imperiali

    #Italie #ENI #histoire #Enrico_Mattei #grande_disegno_africano #néo-colonialisme #formula_Mattei #paternalisme #post-colonialisme #Agip #colonialisme_italien #expansionnisme #multinationale #pétrole #Giulia_Scotto

  • #Taïwan, #Ouïghours : les dérives nationalistes de la #Chine de #Xi_Jinping

    Xi Jinping se prépare à un troisième mandat de cinq ans et à une démonstration de force au cours du 20e #congrès_du_Parti_communiste_chinois. Alors que son nationalisme exacerbé se traduit à la fois à l’intérieur des frontières, avec la répression des Ouïghours, et dans son environnement proche, en #Mer_de_Chine_du_sud, avec une pression accrue sur Taïwan, nous analysons les enjeux de ce congrès avec nos invité·es, Laurence Defranoux, journaliste et autrice des Ouïghours, histoire d’un peuple sacrifié, Noé Hirsch, spécialiste de la Chine, Maya Kandel, historienne spécialiste des États-Unis, et Inès Cavalli, chercheuse en études chinoises.

    https://www.youtube.com/watch?v=U4wiIwCaSY8


    #nationalisme #constitution #révision_constitutionnelle #pensée_Xi_Jinping #paternalisme #colonialisme #Xinjiang #colonialisme_Han #déplacements_de_population #exploitation_économique #limitation_des_libertés #enfermement #rééducation_politique #emprisonnement #répression #Nouvelles_Routes_de_la_soie #ressources #ressources_naturelles #Tibet #surveillance #surveillance_de_masse #terreur #camps_de_rééducation #folklore #assimilation #folklorisation #ethnonationalisme #supériorité_de_la_race #Han #culture #camps_de_concentration #réforme_par_le_travail #réforme_par_la_culture #travail_forcé #peuples_autochtones #usines #industrie #industrie_textile #programmes_de_lutte_contre_la_pauvreté #exploitation #paramilitaires #endoctrinement #économie #économie_chinoise #crimes_contre_l'humanité #torture

  • #Déclarations sur les migrants : #Gianni_Infantino est un “profiteur déguisé en missionnaire”

    L’instance dirigeante du #football mondial et son président sont dans la tourmente après avoir suggéré qu’une #Coupe_du_monde tous les deux ans donnerait de “l’#espoir” aux Africains et les dissuaderait de traverser la Méditerranée. La presse internationale décrit une organisation prête à tout pour amasser les billets, quitte à feindre l’humanisme.

    Des propos au mieux "lunaires", au pire "scandaleux", versant même dans le "racisme". Le président de la Fédération internationale de football association (FIFA), Gianni Infantino, a créé la #polémique après sa prise de parole devant le Conseil de l’Europe à Strasbourg, mercredi 26 janvier.

    L’Italo-Suisse présentait son projet pour le "#futur_du_football" dont le point central est l’organisation de la Coupe du monde tous les deux ans - l’événement sportif phare se tient actuellement tous les quatre ans. À la fin d’un discours d’une quinzaine de minutes, le patron du football mondial a suggéré qu’une telle réforme donnerait de "l’espoir" aux Africains, et les découragerait de traverser la Méditerranée.

    Nous devons trouver des solutions pour impliquer le monde entier. Nous devons donner de l’espoir aux Africains pour qu’ils ne soient plus obligés de traverser la Méditerranée pour trouver, peut-être, une meilleure vie ou, plus probablement, la mort en mer. Nous devons offrir des #opportunités et de la #dignité."

    Le caractère scabreux de cet argument n’a pas échappé à la presse africaine. "En quoi jouer la Coupe du monde tous les deux ans inciterait les enfants de l’Afrique à rester sur leur continent ??", interroge le site algérien spécialisé La Gazette du Fennec, avançant que Gianni Infantino déguise sa recherche du profit sous un vernis philanthropique.

    Pour promouvoir une Coupe du monde tous les deux ans, Gianni Infantino, président de la #FIFA, est capable de tout. Jusqu’à lâcher des arguments lunaires qu’on peut référer aux temps des empereurs qui pensaient qu’organiser des jeux suffisait pour distraire Rome. Ainsi, pour le patron de la FIFA, un mondial biennal résoudrait les problèmes en #Afrique. Rien que ça."

    Un raisonnement aussi décalé a suscité les moqueries du quotidien britannique I. "Que ferions-nous sans grands maîtres du #sport blancs et dans la force de l’âge nous dispensant leur sagesse de comptoir ?? La solution aux problèmes du monde ?? Mais c’est davantage de #foot, bien sûr ?!" Poursuivant sur un ton ironique, le journaliste se demande si la FIFA serait prête à organiser les prochaines coupes du monde dans des zones de guerre, et même à déplacer son siège à Juba au Soudan du Sud ou à Tripoli en Libye. En conclusion, le titre invite à "laisser le soin de réfléchir à des gens sérieux, pas à des profiteurs déguisés en missionnaires".

    Du côté du site espagnol Público, le faux pas de Gianni Infantino prête plus à la colère qu’à l’ironie. Dans un texte particulièrement acerbe, l’auteur évoque un état d’esprit caractéristique du #complexe_de_supériorité européen hérité de l’histoire. "Le #paternalisme aux relents colonialistes et racistes d’Infantino reflète ce qu’est l’Europe, ni plus, ni moins. La façon dont le Vieux continent s’arroge le rôle de tuteur de l’Afrique alors que tout ce qu’il veut en réalité, c’est l’exploiter et la saigner jusqu’à la dernière goutte, est intolérable."

    Conscient de l’indignation générée par les propos de son patron, la FIFA a communiqué via ses réseaux sociaux, affirmant que ceux-ci avaient été mal interprétés et sortis de leur contexte. "S’il y avait davantage d’#opportunités disponibles, y compris en Afrique mais pas seulement, cela permettrait aux gens d’en profiter dans leur propre pays. Il s’agissait d’un commentaire généraliste qui n’était pas directement lié à la possibilité d’organiser une Coupe du monde tous les deux ans."

    https://www.courrierinternational.com/revue-de-presse/football-declarations-sur-les-migrants-gianni-infantino-est-u

    #dissuasion #migrations #asile #réfugiés #racisme

    ping @isskein @cede @karine4

  • #paywall #Nobel #ARN_messager #Paternité

    Viol intellectuel au Salk Institute - Heidi.news
    https://www.heidi.news/explorations/arn-messager-la-revanche-des-outsiders/viol-intellectuel-au-salk-institute

    Certes, l’arbre généalogique de cette technologie a de nombreuses branches. Il est évident qu’elle s’est construite sur des décennies de recherches fondamentales et une multitude de progrès collectifs. Toutefois, la littérature scientifique le démontre : Robert Malone a bien co-signé, en août 1989, le premier article exposant une recherche montrant la possibilité d’amener de l’ARN messager protégé par une petite boule de graisse (un liposome) dans des cellules de culture, pour qu’il puisse délivrer là les informations nécessaires à la fabrication de protéines.
    L’article fondateur

    C’est donc à ce moment précis, en 1989, que la science de l’ARN (voir le prologue) commence à devenir une technologie. Le principe à l’origine des vaccins à ARN messager de Pfizer-BioNTech et de Moderna, qui ont reçu en novembre 2020 l’autorisation d’être injectés à des centaines de millions de gens, remonte bien à cet article et ses trois signataires (Robert Malone étant le principal). Entre cette publication dans la revue Proceedings of the National Academy of Sciences et le moment, en 2020, en pleine pandémie, où des vaccins basés sur ces recherches vont jouer les quasi sauveurs de l’humanité, trois décennies se sont écoulées. Que s’est-il passé en 30 ans ?

    Jusqu’à maintenant, la technologie d’ARN messager n’avait jamais réussi à obtenir le sésame de l’industrie pharmaceutique : une autorisation de mise sur le marché. Alors qu’il est désormais probable que l’incroyable succès de cette technologie soit un jour couronné par un prix Nobel . Cela promet une belle bataille en paternité, qui ne sera au fond que le reflet de l’histoire mouvementée de l’ARN messager.

    • Coronavirus : Pourquoi il est difficile de qualifier Robert Malone d’« inventeur des vaccins à ARN »
      https://www.20minutes.fr/societe/3204215-20211224-coronavirus-pourquoi-difficile-qualifier-robert-malone-in

      Si Robert Malone a bien joué un rôle dans la connaissance de l’ARN messager, ses travaux s’inscrivent dans une lignée scientifique, comme le décrit le journaliste Fabrice Delaye dans son livre La Révolution de l’ARN Messager, vaccins et nouvelles thérapies *. Il est à ce titre difficile de le qualifier « d’inventeur des vaccins à ARN ».

      « Ce sont des dizaines et des dizaines de chercheurs qui ont contribué » au développement des techniques d’utilisation de l’ARN messager, souligne auprès de 20 Minutes le journaliste scientifique. Avant Robert Malone et ses travaux à la fin des années 1980, il y a déjà près de trois décennies que des scientifiques se penchent sur cet ARN messager. En 1961, des chercheurs de l’Institut Pasteur émettent l’hypothèse de l’ARN messager, puis, un an plus tard, des expériences viennent la confirmer. Si cette découverte est d’importance, c’est parce qu’« on tient alors la molécule qui fait le lien entre l’ADN et les protéines », rappelle Fabrice Delaye dans son ouvrage.
      Amener de l’ARN messager dans les cellules

      Lorsque Robert Malone commence ses travaux, les chercheurs tentent à l’époque de savoir comment amener de l’ARN messager dans des cellules pour produire des protéines. Quelques années auparavant, en 1978 en Grande-Bretagne, un chercheur utilise des liposomes, une vésicule avec des lipides, pour introduire de l’ARN messager dans ces cellules de souris.

      Robert Malone, alors jeune chercheur au Salk Institute, va d’abord le faire in vitro. Il choisit lui de prendre un ARN messager de synthèse, une technique qui permet de reproduire plus facilement de l’ARN messager, ainsi que des lipides chargés positivement. La cellule de culture va produire ensuite des protéines. « Entre 1987 et 1990, Robert Malone a participé à des recherches qu’il a même un peu initiées sur la transfection, détaille Fabrice Delaye. La transfection est la technique qui permet de synthétiser un ARN qui va coder une certaine protéine. »
      Des publications dans des revues prestigieuses

      Cette avancée est décrite dans un article paru en 1989 dans la revue de référence Pnas et cosigné avec deux autres chercheurs. La même année, Robert Malone répète l’expérience, cette fois-ci avec des embryons de grenouilles. Il fera ensuite l’expérience avec des muscles de souris, ce qui fera l’objet d’une parution dans la prestigieuse revenue Nature.

      Ce passage réussi d’une expérience in vitro, d’une cellule de culture, à une expérience in vivo, dans un organisme, « est la contribution » de Robert Malone au développement de futures technologies utilisant l’ARN messager, développe Fabrice Delaye auprès de 20 Minutes.
      Utiliser l’ARN messager comme un traitement ?

      Robert Malone perçoit alors que l’ARN messager pourrait être utilisé comme un « traitement », rappelleNature dans un article paru en septembre 2021. Une vision qui n’est pas une évidence à l’époque, où les recherches vont plutôt vers l’ADN et où l’ARN messager est perçu comme trop « instable » par les investisseurs. De plus, la fabrication à grande échelle d’ARN messager, nécessaire pour un traitement, est encore mal maîtrisée.

      Veuillez fermer la vidéo flottante pour reprendre la lecture ici.

      Finalement, Robert Malone va quitter à la fin des années 1980 le Salk Institute autour d’une histoire de brevet. Il continue ensuite la recherche, comme en atteste sa page Google scholar, mais se réoriente vers l’ADN et d’autres champs de recherche.

      Plus de trente ans se sont écoulés entre la publication des travaux de Robert Malone et l’approbation des vaccins à ARN messager de Moderna et Pfizer/BioNTech pour lutter contre le Covid-19. Des décennies pendant lesquelles la recherche a encore progressé. Si les travaux de Robert Malone ont ouvert une porte, ce sont bien les essais développés par des « dizaines de chercheurs » qui ont abouti à la technologie utilisée actuellement pour vacciner.

    • Vaccins contre le Covid : les héros méconnus de l’ARN messager - L’Express
      https://www.lexpress.fr/actualite/sciences/vaccins-contre-le-covid-les-heros-meconnus-de-l-arn-messager_2160116.html

      L’histoire de Katalin Karikó et de Drew Weissman est désormais bien connue. Sans l’obstination, pour ne pas dire l’obsession, de ces deux chercheurs pour l’ARN messager, les vaccins qui nous protègent aujourd’hui contre le Covid n’auraient certainement jamais vu le jour. Nobélisables, même si le célèbre prix leur a échappé cette année, ils ont découvert les premiers comment modifier de l’ARN messager de synthèse pour le rendre inoffensif pour l’organisme et utilisable en thérapeutique. Le brevet déposé sur leurs travaux par leur université, UPenn (l’université de Pennsylvanie aux Etats-Unis), a été licencié aussi bien par Moderna que par BioNtech. Mais, comme toujours, leurs intuitions s’inscrivent dans la continuité de recherches d’autres scientifiques qui ont aussi apporté à un moment ou à un autre leur pierre à l’édifice, comme le raconte le journaliste scientifique suisse Fabrice Delaye dans un ouvrage passionnant (1).

      Tout commence avec François Jacob, Jacques Monod et Sydney Brenner, à l’origine de la découverte de l’existence même de l’ARN messager, au tournant des années 1960. Ils seront couronnés d’un Nobel, tout comme les Américains Philip Sharp et Tom Cech, qui vont montrer une vingtaine d’années plus tard comment les ARN issus de l’ADN parviennent à se spécialiser pour donner naissance à une diversité de protéines indispensables au fonctionnement de notre corps.

      Et puis il y a les grands oubliés de l’histoire, à l’instar de Robert Malone. Un autre Américain qui le premier a réussi, en 1989, à amener de l’ARN messager protégé par une boule de graisse dans des cellules de culture pour les faire produire des protéines. Il travaille avec un biochimiste, Philip Felgner : celui-ci s’inspire de la membrane lipidique utilisée par... les virus respiratoires comme le Sras pour s’introduire dans les cellules. Un collègue de son équipe synthétise un liposome qui, mélangé à de l’ADN, permet de le transporter dans les cellules. Robert Malone utilisera la technique, en remplaçant l’ADN par de l’ARN. Mais les responsables du Salk institute où travaille à l’époque ce jeune chercheur - il n’a alors même pas 30 ans - ne croient pas au potentiel de sa découverte. Il parvient à publier un article, mais ne pourra pas déposer de brevet. « Plombé, Malone renonce même à terminer son doctorat », raconte Fabrice Delaye. Les deux hommes continueront par la suite à travailler ensemble, mais orienteront leurs travaux vers l’ADN plutôt que l’ARN. Mauvaise pioche...

  • La pauvreté en Suisse : histoire et évolution
    https://www.letemps.ch/video/societe/pauvrete-suisse-histoire-evolution

    La Suisse, pays prospère par excellence, reste aussi la championne des inégalités. Si la misère a changé de visage en 50 ans, elle n’a pas disparu pour autant. Retour en archives sur une histoire méconnue

    https://www.youtube.com/watch?time_continue=280&v=Chv2A4o4t9s

    #Suisse #pauvreté #inégalités #misère #économie #précarité #richesse #pauvres #paternalisme #politique #racisme #vidéo

  • Docteur Semmelweis : podcast et réécoute sur France Culture
    https://www.franceculture.fr/emissions/docteur-semmelweis/saison-05-07-2021-30-08-2021

    Voici l’incroyable histoire d’un jeune médecin hongrois qui voulait sauver la vie des #femmes.

    Alors que des vagues de fièvre puerpérale s’abattent dans toutes les maternités, Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865) fait une découverte fracassante : les mains des médecins transmettent la mort. Esprit libre et rationnel, Semmelweis tente alors d’imposer un geste simple d’une saisissante actualité : se laver les mains. Rompant avec les croyances de son époque, Semmelweis est rejeté par ses pairs et meurt oublié dans un asile psychiatrique de Vienne. Était-il lucide, génial, visionnaire ou fou ? Médecins, écrivains, historiens et artistes se penchent sur cette figure exceptionnelle et tragique de l’histoire de la médecine.

    #hygiène #paternalisme #accouchement

  • Portrait d’un homme violent, par @EllenAgreaux

    comprenez ce qu’est un mec violent. il est pas devenu ça du jour au lendemain. il a établi un pouvoir total sur son petit monde. il a toujours été « colérique » il a toujours été « autoritaire », « directif » au moins, il a TOUJOURS OBTENU CE QU IL VOULAIT de force ou à l’usure.

    c’est toujours un pervers manipulateur qui utilise TOUT ce qu’il peut trouver pour parvenir à ses fins et imposer sa volonté à tout le monde.
    infatigable, déterminé, il a usé ses parents, sa fratrie, ses collègues, ses voisins, ses potes. personne ne s’oppose plus jamais à lui.

    c’est un homme charmant, drôle, charismatique, il peut même être généreux (peu, lol)...tant qu’il a ce qu’il désire de qui le demande au moment où il le demande.
    tout son petit univers a compris cette règle.

    il est parfait. sisi, tout le monde te le dira, parce que faudrait pas dire du mal de lui si ça jamais ça remonte à ses oreilles tu vas prendre cher. et il tend l’oreille partout en permanence, c’est un paranoïaque.
    parfait tant qu’il a ce qu’il veut. tout le monde la ferme.

    sa position est liée à son rang de naissance. il est brutus mal dégrossi qui a posé sa domination aux poings dans certains milieux, maître chanteur à pouvoir financier dans d’autres, en général il finit par utiliser les deux possibilités.
    son trip c’est la toute puissance.

    pour le plaquer il faut tout perdre, à moins que ça il te détruira. pas une once de ce qu’il estime être à lui, maison, meubles, GENS, amis, relations, territoire géographique, ne doit lui échapper.
    c’est ça son trip. toute puissance totale. contrôle total. pouvoir total.

    un ENFANT lorsqu’il lui est confié même juste en simple visite, est sous son pouvoir à 100%. c’est la personne la plus faible du monde celle qui n’a aucun moyen d’échapper ou de tenter de résister. un jouet pour lui. une souris dans les griffes d’un chat.

    il n’y a aucun recours pour un enfant dans ce contexte. les adultes autour ont renoncé avant lui. il ne trouvera pas de soutien. il trouvera au contraire des trahisons, des gens qui soutiendront son père, il se prendra des engueulades publiques qui tourneront au procès d’assises.

    tout sera utilisé contre lui et les adultes autour de son père le valideront, l’enfant le sait. mon ex FILME le gosse de dos décrète qu’il BOITE ou qu’il est TORDU, ensuite il passe la vidéo en boucle jusqu’à ce que tout le monde acquiesce et affirme que c’est le cas.

    il embraye en déclarant que c’est un problème médical que je n’ai pas pris en charge (parce que je suis insère tout et rien). TOUS LES ADULTES PRESENTS confirment leur accord. l’enfant est alors interrogé. « tu es mal soigné hein ? » et il DOIT confirmer à son tour.

    ensuite il prend son téléphone (toujours avec son public il aime le public c’est un narcissique avant tout...le pouvoir ne prend sens que quand il est applaudi) et m’appelle. je suis loin et je sors de mon lit ou de ma balade. je me fais hurler dessus. je DOIS soigner ça.

    « ça » n’existe PAS. il n’y a pas davantage de problème médical que de problème scolaire. c’est une invention. une démonstration de pouvoir. ça n’existe pas, mais ça se met à exister par sa bouche. au commencement était le verbe.
    et maintenant : cela est. et je dois remédier.

    l’enfant est dans l’incapacité de se défendre. il a 8 ans, 12 ans...on lui a inventé une boiterie. une maladie génétique qui existe. une déformation. il est anormal. la faute à sa mère. c’est ce qu’il entend depuis toujours. voilà une anomalie de plus. les adultes valident.

    il faut voir l’effet du délire. tous les présents attestant, preuve vidéo mille fois repassée à l’appui, ralentis, arrêts sur images (un procès)...qu’il y a boiterie, il se passe un truc : l’enfant, 100% concentré sur sa marche tentant de contrôler le moindre pas, se met à boiter.

    la prophétie se réalise. et là, je ne peux plus me défendre. quand j’arrive chez mon toubib, l’enfant manifeste réellement une boiterie. légère mais.
    –vous ne l’aviez pas remarqué avant ? (mère indigne)
    –non (0 possibilité de défense)
    –radio des hanches
    –bah ouais

    –> ya RIEN.

    bien sûr que ya rien. y’a jamais rien eu. il délire. et à force, il persuade. en maltraitant l’enfant qui doit être ce qu’il lui dit d’être alors quand il faut être boiteux ON BOITE.
    quand il faut être soi disant nul en classe on tombe de 2 points.
    quand il faut être obèse...

    à la fin ya pas rien. ya un enfant violenté psychiquement, et ya des DOSSIERS sur LA MERE. parce que c’est la mère qui recoure derrière. c’est elle qui demandait l’analyse d’une boiterie. c’est elle qui fait du sport avec le gosse en surpoids, c’est elle qui fait faire les maths.

    c’est elle qui a la garde c’est elle qu’on voit partout c’est elle qui est en charge c’est la mère qui DOIT...gérer soigner éduquer nourrir trier les chaussettes...et c’est chez elle que ce qui n’existe PAS, ce qui est RIEN, devient quelque chose et se met à exister.

    ainsi il n’y avait aucune boiterie aucune déformation de hanche, rien, mais il y a maintenant quelque chose : une mère chez qui on a fait une vérification inutile de quelque chose qui n’existe pas la preuve on n’a rien trouvé. c’est donc elle qui est : folle/poule/mauvaise.

    ya RIEN, il fait naître quelque chose, DE FORCE, il fait attester son monde sur lequel il règne en maître incontesté, il FORCE l’enfant à se conformer à ce quelque chose, témoins à l’appui, tu boites on te dit...et c’est à MOI de résoudre le délire DONC je finis coupable.

    je n’ai pas le choix, pour défendre l’enfant, je DOIS démolir le délire, et pour faire ça ma parole ne suffira pas il me faut entrer dans le jeu et faire le poids face à papa et ses soi disant témoins, il me faut un avis professionnel extérieur incontestable.

    moi ça va, ça me fait chier je passe pour ci ça et pire encore, mais je suis une grande personne ça me dérange pas je ne dépends pas de l’opinion du radiologue du coin me concernant, jmen fous.
    en revanche, l’enfant, quand il est solo là bas...

    comprenez que ya 0 recours pour un gosse dans ce contexte. le papa tout puissant ne laissera PERSONNE ne contrarier, même pas un toubib, mon ex a déjà été capable de recourir abusivement aux urgences et de hurler 2h dans son tel sur ma gueule dans le box en présence du médecin.

    même un toubib il va le faire chier assez pour qu’il le valide. comme ça le gosse rentre avec un courrier pour un autre toubib. qui, lui, va pouvoir dire que non ya RIEN. bien sûr puisque là c’est chez moi avec moi, moi je braille pas 2h dans ton service.

    faut bien comprendre la mécanique, bien cerner le personnage et son jeu, et tu vas conclure comme moi : la meilleure chose à faire pour protéger le gosse, c’est ce qui se rapproche le plus de RIEN. rester le plus possible proche du néant, ne pas donner la moindre bille.

    si tu veux rendre service au petit, dis qu’il est PARFAIT. on sait qu’il l’est pas, personne ne l’est, et son père va bien sûr pouvoir contester et inventer un truc, mais il le fera TOUJOURS autant que ça soit PAS TA FAUTE pas TON IDEE ton initiative.

    si tu veux rendre service plus que ça et faire péter le système de papa tout puissant, c’est PAS à lui qu’il faudra parler. c’est à un flic, un juge, un psy, les trois, qu’il faudra dire tout ça et tu n’auras pas beaucoup de poids. en face ya le petit monde où monsieur règne.

    et ce qui arrivera, au meilleur des cas, si quelqu’un accepte d’entendre ta version, c’est qu’on mettra l’ENFANT au milieu du tribunal et on lui demandera de parler.
    la petite souris la plus dépourvue de défenses et de moyens de survie sera chargée de dire qui est le chat.

    la petite souris à qui on invente une réalité, qu’on force à être ce que le chat veut au moment où il le veut, l’enfant qui n’a jamais pu trouver un adulte pour contrarier son père, sera la boussole de la justice, persuadée de lui venir en aide et d’agir pour son bien.

    les enfants qui se sont retrouvés dans cette situation ont très rarement réussi à en tirer profit. la plupart du temps, la terreur des conséquences leur fait adopter la même stratégie qu’ils ont toujours eue : papa a raison, c’est un bon papa, j’aime mon papa.

    ça aboutit plus facilement à la perte de leur dernier soutien adulte, maman, qu’à autre chose. c’est pas leur faute, ils ne pouvaient rien répondre d’autre ces gosses. ils ne pouvaient pas parier aussi gros, au risque de tomber sur le même résultat mais en ayant contrarié papa.

    tu sais comment je le sais ? comme les autres femmes dans cette situation, je le sais parce que ça m’est arrivé aussi, à moi, de craindre les conséquences si fort que j’ai soutenu ce mec, publiquement, moi même. on l’a toutes fait.

    en tant qu’adultes on a vécu la position dans laquelle la justice prétend que nos enfants pourraient être sauvés. il y a dans chaque histoire de couple avec un violent un chapitre où on a été prise à partie, posée au milieu, où il a fallu se ranger du côté de notre agresseur.

    c’est exactement comme ça qu’il prend le pouvoir sur tout le monde. chaque personne autour de ce mec a été un jour dans cette position centrale où quelqu’un lui demandait d’attester, d’avouer, de dire oui c’est un connard il m’a escroqué ci ça fait subir ci ça...

    et chaque personne, à ce moment là, a eu PEUR de revivre en pire toutes les manifestations de pouvoir précédentes, chaque personne à ce moment précis a été emmenée dans ses souvenirs, brutalement, des souvenirs qu’on essaie d’oublier, de nier, chaque minute, pour pouvoir TENIR...

    et chaque personne à ce moment là, quand tous les yeux se braquaient sur elle, attendant que sortent ces souvenirs, tous, là, d’un bloc, vas y parle bordel de merde...a été tétanisée coincée dans sa mémoire assaillie de peur, a rangé la boite des souvenirs et soutenu l’agresseur.

    alors qu’on est adulte, hein. on n’a pas de problème à parler, théoriquement. on craint pas une engueulade. certains ont largement assez d’assise financière pour ne rien risquer, même. mais la violence accumulée de ce mec...le souvenir de ce dont il est capable pour MOINS QUE CA

    suffisent amplement à peser rapidement le pour et le contre et conclure que c’est vraiment pas le moment, pas le truc à faire, que ce sera juste pire, que si jamais les gens autour changent le fusil d’épaule on joue trop gros...
    alors imagine un gosse.

    et il le sait, l’autre salaud. il s’en sert. il tient ses appuis. il va t’en reparler, de ce jour où tu as été D ACCORD avec lui, de ce jour où tu as pris sa défense face à un employé, un prestataire, devant le directeur de l’école, dans une dispute avec un ami...

    c’est comme ça qu’il tient un par un, chacun par son fil, tout son entourage. et dans cet entourage à la fin chacun a une bonne raison d’en vouloir à l’autre. parce qu’il y a eu pour chacun ce moment là. la trahison. le présumé allié qui finalement n’est pas allé au bout.

    c’est comme ça qu’il ISOLE chacune de ses petites souris-jouets dans sa petite cage personnelle où elle se retrouve contrainte quasiment par elle même de satisfaire monsieur tout puissant. parce qu’elle l’a fait UNE FOIS. cela vaut allégeance à vie.

    chaque faiblesse, chaque opportunité de prendre en tenaille, de mettre en déséquilibre, d’abuser, chaque possibilité d’utiliser une situation random, il s’en sert. la caissière s’est trompée d’un euro il hurle fait un esclandre fait adhérer 4 personnes dont toi.

    elle était juste dans une mauvaise journée ça aurait pu se résoudre autrement il aurait pu s’asseoir sur son euro on s’en fout, ça ne se passe JAMAIS comme ça avec ces mecs là. il a vu qu’elle était dans une mauvaise journée, ça va lui servir, il va la pousser, l’utiliser.

    d’une erreur banale il fera un drame et d’une personne fatiguée il fera son agresseur, contraignant les témoins présents à le valider qu’on en finisse et qu’on puisse payer son yaourt nom de dieu. il s’en servira encore 10 ans plus tard.

    c’est comme ça pour tout et rien, sa vie est sa scène il écrit son théâtre, son psychodrame permanent, les autres sont ses marionnettes. c’est très fatiguant. tout le monde cède tôt ou tard. ça le sert. il s’en sert.
    les enfants là dedans...n’ont aucune chance de s’en tirer.

    il ne faut pas le nourrir, il ne faut pas tenter quoi que ce soit, tout sera aggravant, chaque personne soumise à son pouvoir ne peut que souffrir davantage, la seule solution c’est la fuite, quand on est enfant on n’en a pas le droit.

    les choses ne vont moins mal que si on obéit. si on se soumet. bonjour, sourire, oui monsieur, oui chéri, oui papa, compliments, déclarations d’amour, validations permanentes, rampage...et là il a des moments de calme (mais c’est JAMAIS permanent non, plus sinon tu vas oublier).

    tu MEURS psychiquement. tu te suicides toi même à l’intérieur. tu butes toi même par avance tout ce qui est toi et qui a une chance de déclencher une merde. sinon même payer un yaourt à carrouf peut devenir une merde géante.
    imagine vivre ça enfant.

    le jaf qui a tamponné mon « amiable » avec connard savait ça et voyant la tronche du planning de dvh que monsieur avait exigé m’a dit « attention. des gamins qui vivent ça j’en retrouve 15 ans plus tard dans l’autre bureau. ça finit en schizophrénie. »
    je sais merci.

  • Eritrea, la ferita del colonialismo e quei figli dimenticati dall’Italia

    Negata la cittadinanza ai discendenti delle donne vittime di una delle pagine più buie del Paese: «Vogliamo ridare dignità alla nostra storia»

    https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2021/03/14/news/eritrea-la-ferita-del-colonialismo-e-quei-figli-dimenticati-dall-italia-1.4

    #Erythrée #Italie #colonialisme #histoire_coloniale #colonisation #femmes #paternité #citoyenneté #descendants #descendance #enfants #fils
    #paywall

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale:
    https://seenthis.net/messages/871953

  • Quand parler d’inceste était intolérable : l’affaire Violette Nozière
    https://www.franceculture.fr/emissions/le-journal-de-lhistoire/quand-parler-dinceste-etait-intolerable-laffaire-violette-noziere


    Les révélations de victimes d’#inceste font régulièrement la une des journaux. Ce phénomène nouveau témoigne de l’évolution sociétale du regard porté sur un tabou. L’histoire de #Violette_Nozière, dans les années 30, nous rappelle comment étaient alors considérées les #victimes de ces #crimes.

    #paternalisme #tabou #violences_sexuelles

    • tous les regards sont pointés vers l’agresseur dans cette affiche et ces regards semblent le plaindre. Quand au visage de la victime, il se perd ou se confond avec la chaussure de l’agresseur.

    • bah y a la meuf qui le plaint. Derrière ça condamne avec tristesse et effroi. (bon en fait ah bien y regardé, elle a l’air de le regarder avec dégoût (et je crois que je vais pas m’en sortir là)).

    • Une étape a peut-être été franchie dans l’évolution du seuil de tolérance avec la parution attendue du livre de Camille Kouchner qui en accuse son beau-père Olivier Duhamel. La presse en parle avec attention et bienveillance pour les victimes, et Olivier Duhamel a immédiatement démissionné de toutes ses fonctions refusant tout commentaire. Le témoignage a valeur de condamnation unanime de principe avant même la parution du livre

    • Ce matin sur FC

      Pour répondre à ces questions, nous recevons Fabienne Giuliani, historienne, spécialiste de l’inceste rattachée à l’agence nationale de recherche Dervi et autrice de Les liaisons interdites, histoire de l’inceste au XIXe siècle (pub. de la Sorbonne), ainsi que Rodolphe Costantino, avocat au Barreau de Paris, spécialiste des maltraitances sur enfants.

      https://www.franceculture.fr/emissions/linvitee-des-matins/des-origines-de-linceste-a-la-liberation-de-la-parole

    • La seconde partie avec Rodolphe Costantino est désespérante. A part si tu peu sortir un bouquin il n’y a aucune chance que la justice s’intéresse à des affaires d’inceste. La justice ignore les affaires d’inceste pour sa propre sauvegarde tellement les cas sont nombreux. La parole des mères a encore moins de valeur que celle des enfants et les pères sont jugés bien sous tous rapports si ils ne portent pas directement sur le visage les stigmates du vice.

  • #En_découdre - paroles ouvrières en roannais

    Après la deuxième guerre mondiale, l’industrie textile emploie des milliers d’ouvrières sur le territoire Roannais. Elles produisent des vêtements de luxe dont la qualité est reconnue dans la France entière. A travers une série d’entretiens, ce film retrace l’histoire de ces femmes rentrant souvent jeunes à l’usine. Elles y découvrent des conditions de travail difficiles, le paternalisme patronal, mais également la solidarité ouvrière. Relatant les inégalités qui se jouent entre ouvriers et ouvrières, elles décrivent surtout la rencontre avec la culture syndicale et leur volonté d’en découdre avec l’exploitation. Des promesses d’émancipation de « mai 1968 » jusqu’aux combats contre la fermeture des usines et les destructions de leurs emplois à partir des années 1980, ces paroles ouvrières livrent une mémoire à la fois personnelle et politique des grandes mutations du monde contemporain.

    https://vimeo.com/330751537


    #ouvrières #femmes #industrie #femmes_ouvrières #France #industrie #histoire #industrie_textile #textile #témoignages #histoire_ouvrière #CGT #syndicat #syndicalisme #usines #bruit #paternalisme
    #film #film_documentaire #salaires #sainte_Catherine #cadeaux #droit_de_cuissage #inégalités_salariales #émancipation #premier_salaire #désindustrialisation #métallurgie #conditions_de_travail #horaire #horaire_libre #grève #occupation #Rhônes-Alpes #délocalisation #toilettes #incendies #chantage #treizième_salaire #plans_sociaux #outils_de_travail #Comité_national_de_la_Résistance (#CNR) #chronométrage #maladie_du_travail #prêt-à-porter #minutage #primes #prime_au_rendement #solidarité #compétition #rendement_personnel #esprit_de_camaraderie #luttes #mai_68 #1968 #licenciement #ARCT #financiarisation #industrie_textile

  • Violences dans le judo : « Un papa ne devrait pas avoir à entendre des choses aussi effroyables »

    https://www.leparisien.fr/sports/violences-dans-le-judo-un-papa-ne-devrait-pas-avoir-a-entendre-des-choses
    Quel "drôle" de titre ! le pbl c’est pas que la gosse ai subit des violences sexuelles, le pbl c’est qu’un papa ai entendu des choses efforyables....

    Une belle illustration de comment on apprend aux survivantes de l’inceste à se taire.
    Ou peut-être une nuit 2/6 : « Apprendre à se taire »
    https://www.youtube.com/watch?v=DjasrY1UvJk

  • Une femme transgenre ne peut pas être reconnue mère de sa fille, tranche la Cour de cassation - Le Point
    https://www.lepoint.fr/societe/une-femme-transgenre-ne-peut-pas-etre-reconnue-mere-de-sa-fille-tranche-la-c

    En 2011, Claire a officiellement été reconnue comme femme sur son état civil. Elle a ensuite eu une fille naturellement avec son épouse en 2014, car elle n’avait pas encore été opérée et possédait donc ses organes reproducteurs masculins.

    Elle réclame depuis d’être reconnue comme mère de sa fille, ce qui lui a toujours été refusé : en tant que géniteur, on lui proposait le statut de père, ou bien d’adopter sa propre fille en tant que seconde mère.

    #transgenre #maternité #paternité #crétins_abyssaux

  • Comment les microagressions instillent en #France un #racisme #inconscient, mais ravageur
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/07/20/comment-les-micro-agressions-instillent-en-france-un-racisme-inconscient-mai

    Relancé dans le sillage de la mort de George Floyd, aux Etats-Unis, et de l’affaire Adama Traoré, le débat français sur le racisme met en lumière la diversité des registres dans lesquels se manifestent les préjugés. A côté d’un noyau dur (violence, injure, incitation à la haine), réprimé par la loi, existe toute une gamme d’expressions plus diffuses, moins explicites et donc plus difficiles à cerner et à combattre, mais largement plus courantes. Les microagressions en question sont une manifestation de ce racisme implicite, voilé, souvent inconscient mais ravageur.

    Cette réalité n’est pas neuve. Décrite dès la fin des années 1960 aux Etats-Unis, elle a ensuite été largement documentée et analysée. Dénommée « racisme #systémique, #structurel ou #institutionnel, [elle] repose sur des modalités de discrimination qui n’ont pas besoin d’être portées par des individus explicitement racistes », rappelle le sociologue Michel Wieviorka, spécialiste du racisme et directeur d’études à l’Ecole des hautes études en sciences sociales, dans Pour une démocratie de combat.

    • « Vous venez de quel pays ? » « Tu dois aimer quand il fait chaud ! », « Comme vous parlez bien français ! » Ces petites #remarques_anodines se veulent souvent bienveillantes. En réalité, elles pétrifient les français d’origine africaine. Signe d’#ethnocentrisme_blanc, ignorance ou #racisme_euphémisé, ces expressions assénées « sans penser à mal » mais ressenties douloureusement sont partie intégrante d’une #expérience_de_vie que seules connaissent les personnes appartenant aux #minorités_visibles, mais qu’il n’est pas interdit aux autres de chercher à comprendre, voire à combattre.
      « Ce sont des microagressions, si petites que les auteurs ne les perçoivent jamais, mais qui blessent »
      « C’est comme le supplice de la goutte d’eau. Une fois, cela n’a rien de grave, mais un million de fois, c’est insupportable »
      #Paternalisme, #héritage_colonial, #assignation_à_identité… Les explications possibles dépassent le cadre d’un attrait pour la différence ou du simple quiproquo : elles relèvent d’une #essentialisation de la couleur de la peau, du soupçon d’#extranéité. « Etre français, c’est encore être blanc ; être non-blanc, c’est être d’ailleurs », analyse Pap Ndiaye. Ainsi, les microagressions révéleraient notre difficulté à « penser le fait d’être français indépendamment de la #couleur_de_la_peau ».
      Le débat français sur le racisme met en lumière la diversité des registres dans lesquels se manifestent les #préjugés. A côté d’un noyau dur (violence, injure, incitation à la haine), réprimé par la loi, existe toute une gamme d’expressions plus diffuses, moins explicites et donc plus difficiles à cerner et à combattre, mais largement plus courantes. Les microagressions en question sont une manifestation de ce #racisme_implicite, voilé, souvent inconscient mais ravageur.
      (...)
      Les critiques de cette prolifération de microagressions « à l’américaine » pointent non seulement l’aseptisation des rapports sociaux mais aussi la tendance à figer les individus dans des #identités, sans considération pour les multiples strates des personnalités. Est aussi mis en lumière l’imposition d’un schéma opposant des dominants involontaires à d’éternelles victimes. (...)
      La norme sociale rejette le racisme, constate Pap Ndiaye, en référence au sondage annuel de la Commission nationale consultative des droits de l’homme qui reflète un rejet massif des Français à l’égard des manifestations explicites d’hostilité ou de haine raciale. Il reste à sensibiliser l’opinion à l’imperceptible, au latéral, et aussi à l’éduquer : on ne demande pas d’emblée aux gens de quel pays ils viennent. » Mais ce travail de #sensibilisation a un préalable : reconnaître la réalité de #blessures_invisibles."

      #microagressions #racisme_ordinaire #racisme_inconscient

      #racisme_systémique #racisme_structurel #racisme_institutionnel #bienveillance

      ping @isskein @karine4

    • Et le résultat : #minority_fatigue.

      Le coût mental du racisme – Binge Audio
      https://www.binge.audio/le-cout-mental-du-racisme

      Stress, anxiété, dépression… Les propos et actes racistes éprouvés au quotidien ont des conséquences sur la qualité de vie et la santé mentale. En quoi le racisme peut-il être un facteur aggravant des problèmes psychologiques ? Quelles sont les barrières culturelles et de classe qui limitent l’accès aux divans pour les personnes racisé·e·s ? En quoi un stéréotype, même s’il est positif, est toujours violent ?

      Grace Ly et Rokhaya Diallo reçoivent Racky Ka, psychologue et docteure en psychologie sociale, qui a pour patientèle des femmes noires entre 20 et 50 ans, majoritairement en situation de burn-out lié à du racisme sur leur lieu de travail.

  • Comment #René_Gardi a façonné le regard des Suisses sur l’Afrique

    Avec « #African_Mirror », le réalisateur #Mischa_Hedinger revient sur le parcours du photographe et cinéaste René Gardi dans le #Cameroun colonisé des années 1950. Ce documentaire montre que l’approche paternaliste, voire raciste, de René Gardi en dit plus sur la Suisse de l’époque que sur l’Afrique qu’il fantasmait.

    « J’ai toujours évité de présenter une vision biaisée de la réalité à travers mes images. » René Gardi n’a jamais douté de la dimension documentaire de son œuvre, comme il l’explique en 1985 dans une lettre envoyée à un centre d’études africaines de Californie, au soir de sa vie.

    Une profession de foi que le jeune réalisateur Mischa Hedinger, également bernois, déconstruit avec son documentaire « African Mirror », à l’affiche actuellement en Suisse alémanique et le printemps prochain en Suisse romande.

    Mais pourquoi sortir de l’oubli un tel personnage ? « Quand la génération des baby-boomers pense à l’Afrique, les films de René Gardi émergent », écrit le quotidien bernois Der Bund dans un article consacré à « African Mirror ». Une notoriété confinée essentiellement à la Suisse alémanique où René Gardi fut très présent par ses livres, ses conférences et ses interventions dans les médias, même s’il toucha une audience plus large avec notamment « Mandara », un film tourné au Cameroun qui a obtenu en 1960 une mention spéciale au 10ᵉ festival international du film de Berlin dans la catégorie « Meilleur film documentaire adapté aux jeunes.
    Sexe et colonies

    Les jeunes, René Gardi les appréciait à sa manière puisqu’il fut condamné en 1944 pour violences sexuelles à l’encontre de certains de ses élèves, alors qu’il était enseignant en Suisse. Cette pédophilie passée sous silence jusqu’à aujourd’hui, Mischa Hedinger a tenu à l’exhumer dans son documentaire en la couplant aux corps nus de jeunes Camerounais filmés par René Gardi.

    « African Mirror » n’est pas pour autant un réquisitoire contre René Gardi, mais bien un questionnement sur les représentations de l’Afrique que René Gardi a contribué à façonner. Or la sexualité souvent prédatrice est au cœur de l’imaginaire colonial, relève pour swissinfo.ch Mischa Hedinger, faisant écho à « Sexe, race et colonies », un ouvrage monumental publié l’année dernière à Paris qui a fait grand bruit. Un imaginaire qui perdure pourtant, si l’on songe au tourisme sexuel qui continue de prospérer.

    Il en va de même avec la vision des peuples africains que René Gardi a développé dans ses œuvres. « Quand je regarde les photos que j’ai prises dans les années précédentes, je ressens souvent une grande tristesse. Les splendides artisans avec toutes leurs peines, leurs besoins, leurs joies et leurs obstinations, ces gens qui sont des artistes-artisans sans le savoir, et toutes les mères merveilleuses dans les tentes et les villages, qui acceptent leur destin avec tant de calme et de courage, ne vivront bientôt que dans la mémoire de ceux qui les ont connus », écrit René Gardi dans la lettre citée plus haut.

    Le #mythe du #bon_sauvage

    Ce mythe du bon sauvage sans vrai conscience de lui-même était largement partagé au milieu du siècle dernier, sans pour autant disparaitre totalement aujourd’hui, comme l’a illustré en 2007 le discours choc prononcé à Dakar par Nicolas Sarkozy, dans lequel le président français assurait que « le problème de l’Afrique, c’est qu’elle vit trop le présent dans la nostalgie du paradis perdu de l’enfance. » Des propos abondamment critiqués par de nombres personnalité comme l’écrivain camerounais Achille Mbembe.

    René Gardi, lui, faisait aussi le parallèle entre les tribus visitées au Cameroun et les montagnards vivant dans les Alpes suisses. Il alla même jusqu’à s’exclamer : « Parfois, j’aimerais que nous aussi, les Suisses, nous ayons une colonie. »

    Un propos qui n’a rien d’anodin pour Mischa Hedinger : « Gardi exprime ainsi le désir de grandeur de la petite Suisse. Et l’image qu’il a créée de l’Afrique était elle-même une sorte de colonie pour la Suisse : un pays imaginaire appartenant aux Suisses. »

    Si la Suisse n’a jamais eu d’empire colonial (même si l’idée a circulé dans les élites dès la fin du XIXème), l’agence de coopération du gouvernement (DDC) n’a pas échappé aux visions portées par Gardi, en particulier au #Rwanda, cette « Suisse de l’Afrique », dans laquelle les coopérants suisses se sont fortement impliqués jusqu’au sommet de l’Etat, avant que le génocide de 1994 n’y mette fin.

    https://www.swissinfo.ch/fre/documentaire-_comment-ren%C3%A9-gardi-a-fa%C3%A7onn%C3%A9-le-regard-des-suisses-sur-l-afrique/45397302
    #cinéma #Suisse #Afrique #paternalisme #racisme #film #film_documentaire #documentaire #stéréotypes

    ping @cede @albertocampiphoto

  • Macron : l’insupportable comédie du 1er Mai - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/010520/macron-l-insupportable-comedie-du-1er-mai

    Emmanuel Macron cajole les travailleurs qu’il n’a cessé de rabrouer jusque-là. Il veut retrouver « les 1er Mai joyeux, chamailleurs parfois », omettant les violences policières des derniers défilés.

    À certains moments, on en viendrait même à se demander si tout cela n’est pas une vaste plaisanterie. C’est le cas lorsqu’Emmanuel Macron apparaît, au matin du vendredi 1er mai, dans une courte vidéo postée sur son compte Twitter, pour saluer « les travailleuses et les travailleurs de notre pays », regretter que ce jour « ne ressemble à aucun autre » et promettre, en insistant par un silence, parce qu’il faut toujours bien scander son propos, que « nous les retrouverons, ces 1er Mai heureux, ensemble, unis ».

    Comme il le fait chaque année, le président de la République a profité de la journée internationale des travailleurs pour adresser « une pensée » à tous ceux qu’il écoute à peine le reste du temps. Les organisations syndicales, d’abord, « qui ne peuvent tenir les traditionnels défilés ». Les soignants, les agriculteurs, les fonctionnaires, les salariés, les indépendants, ensuite. Bref, tous ceux grâce auxquels « la Nation tient », comme le chef de l’État semble en avoir brutalement pris conscience à la lumière de la crise sanitaire.

    Depuis le début de l’épidémie, il n’en finit plus de les remercier, usant et abusant d’une mystérieuse ardoise magique censée effacer tout ce qu’il s’est passé durant les trois premières années de son quinquennat. « Il nous faudra nous rappeler aussi que notre pays, aujourd’hui, tient tout entier sur des femmes et des hommes que nos économies reconnaissent et rémunèrent si mal », lançait-il le 13 avril, comme si de rien n’était. Sur les réseaux sociaux, il retweete régulièrement des particuliers pour applaudir les pompiers, les responsables associatifs, les éboueurs…

    Cette communication sous forme de rédemption politique ne trompe personne. Car depuis trois ans, ce sont les mêmes travailleurs qui défilent dans les rues pour dénoncer les réformes néolibérales qu’on leur impose. Les mêmes qui sont victimes d’un maintien de l’ordre devenu répression. « C’est bien grâce au travail, célébré ce jour, que la Nation tient », se félicite pourtant Emmanuel Macron dans sa courte allocution, oubliant au passage que le 1er Mai, on ne célèbre pas le travail, mais les luttes des travailleurs et des travailleuses.

    Bien qu’il n’ait pas grand-chose à voir avec ce qu’il appelle « l’esprit du 1er Mai », le président de la République tente toutefois de s’y incruster en utilisant le « nous ». « Privés des rituels de cette journée, nous en éprouvons aujourd’hui toute la valeur, tout le sens. Avec cette volonté forte : retrouver dès que possible les 1er Mai joyeux, chamailleurs parfois, qui font notre Nation », dit-il. « Les 1er Mai joyeux, chamailleurs parfois » ? « Chamailleurs » ? Mais de quoi le chef de l’État parle-t-il exactement en employant des mots aussi infantilisants ?

    Du 1er Mai 2018, jour où Alexandre Benalla, alors toujours en poste à l’Élysée, était filmé place de la Contrescarpe à Paris, en train de frapper un jeune homme ? Ou bien du 1er Mai 2019, où des manifestants avaient été contraints de se réfugier au pied des immeubles de l’hôpital de la Pitié-Salpêtrière pour échapper aux lacrymogènes et aux charges policières ? Voilà des années que les 1er Mai ne sont plus « joyeux ». Des années que les organisations syndicales dénoncent un maintien de l’ordre « scandaleux et inadmissible dans notre démocratie ».

    Des années durant lesquelles les libertés publiques, à commencer par celle de manifester, n’ont cessé d’être bafouées par des violences policières dont le pouvoir continue de nier le caractère systémique. « Ne parlez pas de “répression” ou de “violences policières”, ces mots sont inacceptables dans un État de droit », avait tranché Emmanuel Macron, en mars 2019, quand le recours disproportionné de la France au lanceur de balles de défense (LBD) inquiétait déjà sur la scène internationale, de l’ONU au Conseil de l’Europe.

    La communication présidentielle atteint ici les limites du supportable. Entendre le chef de l’État rendre grâce au « dévouement » des personnels soignants, alors qu’il tançait, en avril 2018, une infirmière du CHU de Rouen qui réclamait des moyens supplémentaires, est exaspérant. L’écouter vanter « l’esprit du 1er Mai », un an tout juste après que son ministre de l’intérieur Christophe Castaner a inventé une « attaque » à l’hôpital de la Pitié-Salpêtrière, l’est tout autant.

    Depuis le début du confinement, Emmanuel Macron remercie comme des enfants les Françaises et les Français pour « l’effort » qu’il leur « demande » et la « solidarité » dont ils font preuve dans cette crise sanitaire. Dans le même temps, les « témoignages de jeunes hommes disant faire l’objet d’amendes en grand nombre et de manière abusive » se multiplient, comme le notait dans cet entretien Aline Daillère, juriste de formation et spécialiste des droits humains. Des policiers débarquent à domicile pour des banderoles au balcon. D’autres sont même pris en flagrant délit de racisme. Et ce, sans même parler des mensonges répétés de l’exécutif sur les masques qui continuent de manquer cruellement.

    Le récit du pouvoir, qui reste vertical tout en prônant une héroïsation artificielle des travailleurs, se fracasse aujourd’hui sur le réel. Les principaux concernés ne s’en laissent d’ailleurs pas conter : « Arrêtez de nous qualifier de héros. Un héros se sacrifie pour une cause. Je ne veux pas me sacrifier : en tout état de cause, c’est VOUS qui me sacrifiez », écrivait fin mars une infirmière sur sa page Facebook. « Vous pouvez compter sur moi, l’inverse reste à prouver… », lançait également un médecin au président de la République, fin février. Face à une telle défiance, les mots placebos ne suffisent plus. Pire encore : ils aggravent la situation.

    #mépris #1er_mai

  • Vers des jours heureux... | Le Club de Mediapart

    https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/280420/vers-des-jours-heureux

    Un virus inconnu circule autour de la planète depuis le début de l’année. Péril mortel et invisible, nous obligeant à nous écarter les uns des autres comme si nous étions dangereux les uns pour les autres, il a retourné les tréfonds des sociétés comme on retourne un gant et il a mis au grand jour ce que l’on tentait jusqu’ici de masquer. Sans doute provoque-t-il un nombre important de morts et met-il sous une lumière crue les limites des systèmes de santé des pays développés, y compris les plus riches d’entre eux. Sans doute, ailleurs, expose-t-il les populations de pays plus pauvres à un extrême danger, les contraignant pour se protéger à accomplir une obligation impossible, le confinement. Mais ceci n’est que la surface des choses.

    Le gant retourné donne à voir la voie périlleuse dans laquelle le monde se trouve engagé depuis des décennies. En mettant les services hospitaliers sous contrainte budgétaire, là où ils étaient développés, et en les négligeant là où ils sont insuffisants, les responsables politiques affolés se sont trouvés pris de court devant l’arrivée de la pandémie. En France, l’impréparation criante à ce type d’évènements, la liquidation coupable de la réserve de masques, la délocalisation de l’industrie pharmaceutique avec pour seule raison la recherche de profits plus grands, la faiblesse des moyens de la recherche scientifique, mettent le gouvernement en situation d’improvisation. En prenant le chemin du confinement dont il ne sait comment sortir, il s’est engagé dans la voie d’une mise en cause radicale des libertés publiques. S’étant privé des autres moyens de protection de la population, il bénéficie d’un acquiescement forcé de cette dernière. Pour le cas où cet acquiescement manquerait, un discours moralisateur et culpabilisant se déploie. Et pourtant, partout, d’innombrables initiatives contredisent l’individualisme entretenu par le modèle économique et social et témoignent de la permanence de la fraternité entre les humains.

    Mais le gant retourné fait apparaître aussi, au moins aux yeux les plus lucides, que la réponse aux enjeux auxquels l’humanité dans son ensemble est en ce moment confrontée, ne saurait être une addition de politiques nationales, encore moins si ces politiques tentent de se mener en vase clos. Il y manquera toujours une part, celle de la communauté des humains qui ne peut refuser plus longtemps de se voir pour ce qu’elle est : une communauté de destin, ce qu’Hannah Arendt nommait une association politique d’hommes libres.

    Ainsi, derrière la crise sanitaire qui est au premier plan, avec la crise économique qui s’amorce et la catastrophe écologique en cours, c’est une crise de civilisation qui émerge enfin. Le monde entièrement dominé par le système capitaliste qui ne cesse de creuser les inégalités et de détruire la nature, est aujourd’hui un bateau ivre qui n’a d’autre horizon que son naufrage à travers des violences insoupçonnées.

    S’il est encore temps de reprendre les commandes, alors ce séisme inédit est l’occasion que le monde doit saisir pour rompre enfin avec sa destruction largement amorcée et inventer une société entièrement différente. Ainsi, ayant conjuré la terreur de l’inconnu, les peuples danseront de joie sur les décombres du vieux monde qui menaçait de les emporter.

    Pour cela, il faut :

    – ne pas tricher avec les constats qu’il y a lieu de faire ;
    – mesurer les risques d’une sortie de crise orientée à un retour à la situation antérieure ou à d’autres dérives ;
    – saisir cette opportunité pour poser les fondements radicalement différents d’une société mondiale juste et viable.

    #covid-19 #le_monde_d_après