• Ecco quello che hanno fatto davvero gli italiani “brava gente”

    In un libro denso di testimonianze e documenti, #Eric_Gobetti con “I carnefici del duce” ripercorre attraverso alcune biografie i crimini dei militari fascisti in Libia, Etiopia e nei Balcani, smascherando una narrazione pubblica che ha distorto i fatti in una mistificazione imperdonabile e vigliacca. E denuncia l’incapacità nazionale di assumersi le proprie responsabilità storiche, perpetuata con il rosario delle “giornate della memoria”. Ci fu però chi disse No.

    “I carnefici del duce” è un testo che attraverso alcune emblematiche biografie è capace di restituire in modo molto preciso e puntigliosamente documentato le caratteristiche di un’epoca e di un sistema di potere. Di esso si indagano le pratiche e le conseguenze nella penisola balcanica ma si dimostra come esso affondi le radici criminali nei territori coloniali di Libia ed Etiopia, attingendo linfa da una temperie culturale precedente, dove gerarchia, autoritarismo, nazionalismo, militarismo, razzismo, patriarcalismo informavano di sé lo Stato liberale e il primo anteguerra mondiale.

    Alla luce di tali paradigmi culturali che il Ventennio ha acuito con il culto e la pratica endemica dell’arbitrio e della violenza, le pagine che raccontano le presunte prodezze italiche demoliscono definitivamente l’immagine stereotipa degli “italiani brava gente”, una mistificazione imperdonabile e vigliacca che legittima la falsa coscienza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti, tutte.

    Anche questo lavoro di Gobetti smaschera la scorciatoia autoassolutoria dell’Italia vittima dei propri feroci alleati, denuncia l’incapacità nazionale di assumere le proprie responsabilità storiche nella narrazione pubblica della memoria – anche attraverso il rosario delle “giornate della memoria” – e nell’ufficialità delle relazioni con i popoli violentati e avidamente occupati dall’Italia. Sì, perché l’imperialismo fascista, suggeriscono queste pagine, in modo diretto o indiretto, ha coinvolto tutta la popolazione del Paese, eccetto coloro che, nei modi più diversi, si sono consapevolmente opposti.

    Non si tratta di colpevolizzare le generazioni (soprattutto maschili) che ci hanno preceduto, afferma l’autore,­ ma di produrre verità: innanzitutto attraverso l’analisi storiografica, un’operazione ancora contestata, subissata da polemiche e a volte pure da minacce o punita con la preclusione da meritate carriere accademiche; poi assumendola come storia propria, riconoscendo responsabilità e chiedendo perdono, anche attraverso il ripudio netto di quel sistema di potere e dei suoi presunti valori. Diventando una democrazia matura.

    Invece, non solo persistono ambiguità, omissioni, false narrazioni ma l’ombra lunga di quella storia, attraverso tante biografie, si è proiettata nel secondo dopoguerra, decretandone non solo la radicale impunità ma l’affermarsi di carriere, attività e formazioni che hanno insanguinato le strade della penisola negli anni Settanta, minacciato e condizionato l’evolversi della nostra democrazia.

    Di un sistema di potere così organicamente strutturato – come quello che ha retto e alimentato l’imperialismo fascista – pervasivo nelle sue articolazioni sociali e culturali, il testo di Gobetti ­accanto alle voci dei criminali e a quelle delle loro vittime, fa emergere anche quelle di coloro che hanno detto no, scegliendo di opporsi e dimostra che, nonostante tutto, era comunque possibile fare una scelta, nelle forme e nelle modalità più diverse: dalla volontà di non congedarsi dal senso della pietà, al tentativo di rendere meno disumano il sopravvivere in un campo di concentramento; dalla denuncia degli abusi dei propri pari, alla scelta della Resistenza con gli internati di cui si era carcerieri, all’opzione netta per la lotta di Liberazione a fianco degli oppressi dal regime fascista, a qualunque latitudine si trovassero.

    È dunque possibile scegliere e fare la propria parte anche oggi, perché la comunità a cui apparteniamo si liberi dagli “elefanti nella stanza” – così li chiama Gobetti nell’introduzione al suo lavoro –­ cioè dai traumi irrisolti con cui ci si rifiuta di fare i conti, che impediscono di imparare dai propri sbagli e di diventare un popolo maturo, in grado di presentarsi con dignità di fronte alle altre nazioni, liberando dalla vergogna le generazioni che verranno e facendo in modo che esse non debbano più sperimentare le nefandezze e i crimini del fascismo, magari in abiti nuovi. È questo autentico amor di patria.

    “I carnefici del duce” – 192 pagine intense e scorrevolissime, nonostante il rigore della narrazione,­ è diviso in 6 capitoli, con un’introduzione che ben motiva questa nuova ricerca dell’autore, e un appassionato epilogo, che ne esprime l’alto significato civile.

    Le tappe che vengono scandite scoprono le radici storiche dell’ideologia e delle atrocità perpetrate nelle pratiche coloniali fasciste e pre-fasciste; illustrano la geopolitica italiana del Ventennio nei Balcani, l’occupazione fascista degli stessi fino a prospettarne le onde lunghe nelle guerre civili jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso; descrivono la teoria e la pratica della repressione totale attuata durante l’occupazione, circostanziandone norme e regime d’impunità; evidenziano la stretta relazione tra la filosofia del regime e la mentalità delle alte gerarchie militari.


    Raccontano le forme e le ragioni dell’indebita appropriazione delle risorse locali e le terribili conseguenze che ne derivarono per le popolazioni, fino a indagare l’inferno, il fenomeno delle decine e decine di campi d’internamento italiani, di cui è emblematico quello di Arbe. Ciascun capitolo è arricchito da una testimonianza documentaria, significativa di quanto appena esposto. Impreziosiscono il testo, oltre ad un’infinità di note che giustificano quasi ogni passaggio – a riprova che nel lavoro storiografico rigore scientifico e passione civile possono e anzi debbono convivere – una bibliografia e una filmografia ragionata che offrono strumenti per l’approfondimento delle questioni trattate.

    https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/ecco-quello-che-hanno-fatto-davvero-gli-italiani-brava-gente
    #Italiani_brava_gente #livre #Italie #colonialisme #fascisme #colonisation #Libye #Ethiopie #Balkans #contre-récit #mystification #responsabilité_historique #Italie_coloniale #colonialisme_italien #histoire #soldats #armée #nationalisme #racisme #autoritarisme #patriarcat #responsabilité_historique #mémoire #impérialisme #impérialisme_fasciste #vérité #résistance #choix #atrocités #idéologie #occupation #répression #impunité #camps_d'internement #Arbe

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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • I carnefici del Duce

      Non tutti gli italiani sono stati ‘brava gente’. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono ‘i volenterosi carnefici di Mussolini’? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni?
      In Italia i crimini di guerra commessi all’estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent’anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell’inferno. L’hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, ‘buoni italiani’, che scelsero l’orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858151396
      #patrie #patriotisme #Grèce #Yougoslavie #crimes_de_guerre #camps_de_concentration #armes_chimiques #violence #brutalité

  • ★ Sur le temps scolaire comme en dehors : non à la militarisation de la jeunesse ! – CNT-SO Educ

    Le 19 septembre, la secrétaire d’État chargée de la jeunesse et du Service national Universel l’a réaffirmé par voie médiatique : le SNU doit devenir « un passage républicain pour toute une génération ». La Macronie veut toujours généraliser le SNU !
    Derrière les phrases creuses de Prisca Thévenot, sur la supposée « perte des repères » de la jeunesse et la « cohésion nationale », pas d’annonces concrètes ni de calendrier de la future obligation. Pour l’instant, le SNU garder sa formule actuelle qui peine toujours autant à susciter l’adhésion de la jeunesse (moins de 50 000 volontaires sur 800 000 jeunes éligibles). Face à ce désintérêt, c’est bien par le biais de l’Éducation Nationale que le gouvernement cherche à imposer le dispositif !
    Laissons la jeunesse libre de ses engagements !
    Dès cette rentrée, le ministère lance les labels « classes et lycées engagés » avec des appels à candidature jusqu’au 20 octobre. Ce label sera attribué, après examen par des commissions académiques, à des classes de seconde et de première année de CAP. Le label « lycée engagé » pourra aussi être attribué à des établissements qui feront de l’engagement un axe central de leur projet d’établissement et comporteront au moins deux « classes engagées ». Les projets pourront être renouvelés sur 3 ans (...)

    🛑 #jeunesse #embrigadement #SNU #militarisme #nationalisme #patriotisme #autorité #domination #Étatisme... #antimilitarisme ... #NonauSNU !...

    https://educ.cnt-so.org/sur-le-temps-scolaire-comme-en-dehors-non-a-la-militarisation-de-la-jeu

  • ★ Marche au pas, marche droit, un tambour... - CNT-AIT - Toulouse | Anarchosyndicalisme !

    Ce n’est pas nouveau, l’État se méfie toujours de la jeunesse. À l’heure des replis nationalistes, des hymnes incessants, de l’hégémonie du tout-compétition versus coopération, des drapeaux patriotiques brandis de toutes parts, tout est bon pour embrigader, contrôler, maitriser et recruter. Et oui, au-delà du bruit patriotique républicain de gauche comme de droite et bien sûr d’extrême-droite, pour parfaire l’édifice, il faut recruter et rechercher l’adhésion du plus grand nombre…
    Alors, intéressons-nous à la jeunesse. Dès le collège, l’État, par la présence de la Police, de la Gendarmerie voir de l’Armée, en sus des instructions officielles et programmes, pénètre les jeunes têtes de nos collégiens et lycéens lors d’animations ou de sorties pédagogiques ou mieux encore de journées d’information et d’orientation. Et, l’on peut apprécier l’art du discours recruteur, très étudié pour une cohérence de façade si l’on ne prend pas le temps de le décortiquer. Rien de très nouveau, me direz-vous. Certes, mais intéressons-nous au contenu. C’est effarant : Le site, « Café pédagogique » publie un article le 27 mars 2023 : « Aux armes les enfants !
    On y apprend que l’association Prox’RaidAventure […] -sponsorisée notamment par les plus grandes fortunes françaises : Dassault, Bettencourt, Mulliez, Bouygues, et fondée par Bruno Pomart, ancien policier du Raid, chroniqueur aux Grandes gueules de l’info sur RMC-intervient dans les écoles et les collèges pour « rapprocher la police et la population ».[…] Maniement d’armes, menottage, palpations sont au menu des ateliers qui – étrangement – ont lieu dans des établissements accueillant majoritairement des élèves issus de milieux populaires. […]

    #Anarchisme #émancipation ⚡️ #jeunesse #embrigadement #SNU #militarisme #police #nationalisme #patriotisme #autorité #domination #étatisme...

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    ▶️ https://cntaittoulouse.lautre.net/spip.php?article1351
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  • ★ LA PATRIE... - Socialisme libertaire

    Depuis longtemps, depuis toujours peut-être, il existe sur terre un terrible fléau : la guerre.

    Que de flots de sang versés, que de forces perdues pour satisfaire l’orgueil et la vanité de quelques individus, ou étouffer dans l’œuf le germe des révolutions libératrices.

    Un monarque veut-il agrandir son territoire ? Rien de plus simple ; il provoque, et par mille incidents de frontière ou autre, et plusieurs peuples vont s’entre-tuer. Une fois ces peuples se sont pillés et entr’égorgés il se fait donner rançon par l’ennemi vaincu.

    Le peuple commence-t-il à sentir sa misère, fait-il mine de se révolter, vite la guerre sauveuse de bourgeois !…

    #patrie #patriotisme #guerre #militarisme #antimilitarisme #internationalisme #anarchisme #anarchocommunisme #Algérie #Henri_Zisly

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    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/12/la-patrie.html

  • CONTRE TOUTES LES PATRIES : LA FASCISTE, LA DÉMOCRATIQUE, LA SOVIÉTIQUE - Socialisme libertaire

    Bulletin de la Ligue des communistes internationalistes N°6 – An 4 – Juin 1935.

    « Lorsque Marx affirmait dans le Manifeste Communiste que "les prolétaires n’ont pas de patrie" il sous-entendait une incompatibilité fondamentale existant entre le prolétariat et la bourgeoisie, un antagonisme profond opposant la lutte des classes au drapeau de la formation historique du capitalisme. Le prolétariat ne peut vivre, lutter, vaincre qu’au travers d’une lutte des classes poussée jusqu’à ses conséquences les plus extrêmes ; la bourgeoisie s’oppose à cette lutte au nom de l’unité, de la défense de la patrie, patrimoine commun des exploités et des exploiteurs. Le prolétariat ne se constitue pas en Etat ouvrier pour perpétuer un privilège économique et le garantir par des compétitions inter-Etats, mais bien pour démolir internationalement toute exploitation de classe et, conformément au développement de la production, tout appareil de coercition étatique (...)

    #Etat #nationalisme #patriotisme #internationalisme #anticapitalisme #communisme #Marx #prolétariat #bourgeoisie #capitalisme #Staline #stalinisme #histoire

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    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/08/contre-toutes-les-patries-la-fasciste-la-democratique-la-sovie

  • Une révolution à l’échelle d’un continent (James Connolly, 15 août 1914)

    L’éclatement de la guerre sur le continent européen rend impossible cette semaine d’écrire pour Forward sur tout autre sujet. Je ne doute pas que pour la plupart de mes lecteurs l’Irlande a cessé d’être, pour parler familièrement, le centre du monde, et que leurs pensées se tournent avec gravité vers un examen de la position du mouvement socialiste européen face à cette crise.

    À l’heure où j’écris, à la lumière des développements récents, de telles considérations risquent d’être très loin d’apporter des réflexions satisfaisantes au penseur socialiste. Car quelle est la position du mouvement socialiste en Europe aujourd’hui ? Résumons-la brièvement.

    Pendant une génération au moins le mouvement socialiste de tous les pays impliqués maintenant a progressé par sauts et par bonds et, de façon plus satisfaisante encore, par une croissance et un développement lents et continus.

    Le nombre de suffrages pour les candidats socialistes a augmenté à une vitesse phénoménale, le nombre d’élus dans toutes les assemblées législatives est devenu de plus en plus un facteur de perturbation pour les calculs gouvernementaux. Journaux, magazines, pamphlets et littérature de toute sorte enseignant les idées socialistes ont été et sont diffusés par millions dans les masses ; en Europe, chaque armée, chaque marine a vu une proportion sans cesse croissante de socialistes parmi ses soldats et marins et l’organisation industrielle de la classe ouvrière a perfectionné son emprise sur la machinerie économique de la société, et l’a rendue de plus en plus réceptive à la conception socialiste de ses devoirs. Dans le même temps, la haine du militarisme s’est répandue dans toutes les couches de la société, recrutant partout, et suscitant l’aversion contre la guerre même chez ceux qui dans d’autres domaines acceptaient l’ordre des choses capitaliste. Les associations antimilitaristes et les campagnes antimilitaristes des associations et partis socialistes, et les résolutions antimilitaristes des conférences internationales socialistes et syndicalistes sont devenues des faits quotidiens et ne sont plus des phénomènes dont on s’étonne. Tout le #mouvement_ouvrier est impliqué dans le mot d’ordre de guerre à la guerre, impliqué à la hauteur de sa force et de son influence.

    Et maintenant, comme le proverbial tonnerre dans un ciel bleu, la guerre est sur nous, et la guerre entre les nations les plus importantes parce que les plus socialistes. Et nous sommes impuissants.

    Et qu’advient-il de toutes nos résolutions ; de toutes nos promesses de fraternisation ; de tout le système soigneusement construit d’internationalisme ; de tous nos espoirs pour le futur ? N’étaient-ils tous que bruit et fureur, sans signification ? Quand un artilleur allemand, un socialiste servant dans l’armée allemande d’invasion, envoie un obus dans les rangs de l’armée française, explosant les têtes, déchirant les entrailles et broyant les membres de douzaines de camarades socialistes de cette armée, le fait qu’il ait, avant de partir au front, manifesté contre la guerre a-t-il quelque valeur pour les veuves et les orphelins faits par l’obus qu’il a envoyé lors de sa mission meurtrière ? Ou quand un fusilier français vide son fusil meurtrier dans les rangs de la ligne d’attaque allemande, sera-t-il capable de tirer quelque réconfort de la possibilité que ses balles tuent ou blessent des camarades qui se sont unis dans de tonitruantes ovations à l’éloquent Jaurès, quand celui-ci a plaidé à Berlin pour la solidarité internationale ? Quand un socialiste enrôlé dans l’armée de l’empereur d’Autriche enfonce une longue et cruelle baïonnette dans le ventre d’un conscrit socialiste de l’armée du tsar de Russie, et qu’il la tourne de telle sorte que quand il la retire il entraîne les entrailles, est-ce que cet acte terrible perd de sa monstrueuse cruauté du fait de leur commune adhésion à une propagande antiguerre du temps de la paix ? Quand le soldat socialiste originaire des provinces baltes de la Russie est envoyé en Pologne prussienne bombarder villes et villages jusqu’à ce qu’une traînée de sang et de feu couvre les foyers des Polonais sujets malgré eux de la Prusse, sera-t-il à son tour soulagé à la pensée que le tsar qu’il sert a envoyé d’autres soldats quelques années auparavant porter les mêmes dévastation et meurtre dans ses foyers près de la Baltique, alors qu’il contemple les cadavres de ceux qu’il a massacrés et les foyers qu’il a détruits ?

    Mais pourquoi continuer ? N’est-il pas clair comme la vie que nulle insurrection de la classe ouvrière, nulle grève générale, nul soulèvement généralisé de la classe ouvrière européenne n’occasionnerait ou n’entraînerait un plus grand massacre de socialistes que ne le fera leur participation comme soldats aux campagnes des armées de leurs pays respectifs. Chaque obus qui explose au milieu d’un bataillon allemand tuera des socialistes ; chaque charge de cavalerie autrichienne laissera sur le sol les corps tordus d’agonie de socialistes serbes ou russes ; chaque navire russe, autrichien ou allemand envoyé par le fond ou explosé jusqu’au ciel signifie chagrin et deuil dans les foyers de camarades socialistes. Si ces hommes doivent mourir, ne vaudrait-il pas mieux qu’ils meurent dans leur pays en combattant pour la liberté de leur classe, et pour l’abolition de la guerre, que d’aller dans des pays étrangers mourir en massacrant et massacré par ses frères pour que puissent vivre des tyrans et des profiteurs ?

    On détruit la civilisation sous vos yeux. Les résultats de la propagande, du travail patient et héroïque, du sacrifice de générations de la classe ouvrière sont annihilés par les gueules d’une centaine de canons ; des milliers de camarades avec lesquels nous avons vécu une fraternelle communion sont condamnés à mort ; eux dont l’espoir était de se consacrer à la construction en commun de la parfaite société du futur sont conduits à un massacre fratricide dans des désastres où cet espoir sera enterré sous une mer de sang.

    Je n’écris pas dans un esprit de critique chicanière avec mes camarades du continent. Nous savons trop peu ce qui se passe sur le continent, et les événements ont évolué trop vite pour qu’aucun d’entre nous soit en position de critiquer quoi que ce soit. Mais, croyant comme je le fais que serait justifiée toute action qui mettrait un terme au crime colossal qui se perpétue, je me sens obligé d’exprimer l’espoir qu’avant longtemps nous lirons la nouvelle de la paralysie des transports sur le continent, même si cette paralysie nécessite l’érection de barricades socialistes, des actes de révolte de soldats et de marins comme il y en eut en Russie en 1905. Même l’échec d’une tentative de révolution socialiste par la force des armes, succédant à la paralysie de la vie économique du militarisme, serait moins désastreuse pour la cause du socialisme que le fait que des socialistes permettent qu’on les utilise pour le massacre de leurs frères de combat.

    Une grande insurrection de la classe ouvrière au niveau du continent arrêterait la guerre ; une protestation universelle dans des meetings n’épargnerait pas à une seule vie un massacre sans raison.

    Je ne fais pas la guerre au #patriotisme ; je ne l’ai jamais fait. Mais contre le patriotisme du capitalisme - le patriotisme qui fait de l’intérêt de la classe capitaliste la pierre de touche du devoir et du droit - je place le patriotisme de la classe ouvrière, qui juge tout acte public selon ses effets sur le sort de ceux qui produisent. Ce qui est bon pour la classe ouvrière, je le considère comme patriotique, mais le parti ou le mouvement qui œuvre avec le plus de succès pour la conquête par la classe ouvrière du contrôle des destinées du pays dans lequel elle travaille, est la plus parfaite incarnation de ce patriotisme.

    Pour moi, par conséquent, le socialiste d’un autre pays est un patriote ami, de même que le capitaliste de mon propre pays est un ennemi naturel. Je considère que chaque nation est propriétaire d’une certaine contribution à la richesse commune de la civilisation, et je considère la classe capitaliste comme l’ennemi logique et naturel de la culture nationale qui constitue cette contribution particulière.

    Par conséquent, plus mon affection pour la tradition nationale, la littérature, le langage, les solidarités nationales est forte, plus je suis enraciné dans mon opposition à cette classe capitaliste, qui dans son goût sans âme pour le pouvoir et l’or, broierait les nations comme dans un mortier.

    Raisonnant à partir de telles prémisses, cette guerre m’apparaît comme le crime le plus effrayant de tous les siècles. La classe ouvrière doit être sacrifiée pour qu’une petite clique de dirigeants et de fabricants d’armes puissent assouvir leur goût du pouvoir et leur avidité pour la richesse. Les nations doivent d’être effacées, le progrès arrêté, et les haines internationales érigées en divinités à vénérer.

    #nationalisme #internationalisme #lutte_de_classe #révolution_sociale #guerre #guerre_impérialiste #impérialisme

  • #internationalisme #antiétatisme #anticapitalisme #anarchisme

    #nationalisme #patriotisme #étatisme #communautarisme #exclusion

    ★ POUR EN FINIR AVEC LE NATIONALISME...

    "Les temps où face aux Etats et aux frontières, naissait le rêve de la fraternité de l’humanité entière et que « notre pays » était le monde entier, semblent désormais révolues. Aujourd’hui, face à un monde de changements rapides qui font peur, on assiste à une recrudescence de toutes les formes possibles de nationalismes. Mais comment définir ces formes, comment définir l’essence du nationalisme qui semble entraîner toujours plus de monde ?

    Tout nationalisme commence par une exclusion. Pour définir « une nation », il faut établir des critères pour déterminer qui n’en fait pas partie. Ça pourrait être la couleur de peau, l’endroit de naissance, l’identification avec des traditions culturelles, le langage. La nation se définit donc par des choses qui ne dépendent pas de la volonté de chaque individu, même si l’adhésion aux valeurs culturelles de la nation pourrait sembler indiquer le contraire. Dans un monde où personne n’est libre de donner soi-même forme à sa vie et où exprimer son individualité, son unicité, signifie la révolte, les nationalismes prétendent offrir un foyer à ceux qui se sentent perdus, à ceux qui ne s’estiment pas capables ou assez « forts » pour être (et devenir) simplement soi-même (...)"

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2021/02/pour-en-finir-avec-le-nationalisme.html

  • M.A.U.R.I.C.E.
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#maurice

    A la Halle aux grains de Blois (41), les 27 (à 20 h 30) et 28 janvier (à 18 heures), un spectacle risque de surprendre les amateurs de musique classique : « Opération M.A.U.R.I.C.E. », avec la violoniste Marie Salvat (site Internet) et la compagnie Ces gens-là. C’est quoi Maurice ? M.oment M.usical A.utour des U.topies R.évolutionnaires I.maginé par des C.hambristes E.xpérimentaux ! Il s’agit de rendre hommage à Maurice Ravel (trio pour piano)... mais pas que. Il sera également question du militant anarchiste Maurice Joyeux (biographie). En fait, il s’agit de traiter « de la question de l’engagement et du patriotisme autour de [ces] deux figures ». (...)

    #MarieSalvat #Maurice #MauriceJoyeux #MauriceRavel #patriotisme #engagement #anarchisme #libertaire

  • #Tolstoï #patriotisme #gouvernement #état #étatisme #antiétatisme #internationalisme

    ★ LÉON TOLSTOÏ : LE PATRIOTISME ET LE GOUVERNEMENT...

    « J’ai dû déjà plusieurs fois exprimer la pensée que le patriotisme n’est pas un sentiment naturel de nos jours, qu’il est déraisonnable, nuisible, et cause la plupart des calamités dont souffre l’humanité, et que par conséquent ce sentiment ne doit pas être développé comme on le fait aujourd’hui, — mais, au contraire, qu’il doit être étouffé et anéanti par toutes les mesures dépendant des hommes sensés. Mais, chose étonnante, malgré la relation incontestable et évidente entre ce sentiment et les armements universels et les guerres pernicieuses, qui ruinent les peuples, toutes mes raisons, prouvant que le patriotisme est une idée arriérée, inopportune et nuisible, ont été accueillies et le sont encore jusqu’à présent, par le silence ou par une non-compréhension voulue ; ou bien encore, toujours par la même objection bizarre, on dit que le mauvais patriotisme seulement, le jingoïsme, le chauvinisme sont nuisibles, mais que le vrai, le bon patriotisme est un sentiment très élevé et moral et qu’il est déraisonnable, criminel même, de le blâmer. Mais on ne dit point en quoi consiste ce vrai et bon patriotisme ; ou bien, au lieu d’une explication, on prononce des phrases ampoulées et prétentieuses, ou enfin on substitue à l’idée de patriotisme, quelque chose qui n’a rien de commun avec ce patriotisme que nous connaissons et dont nous souffrons tous si cruellement... »

    https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/12/leon-tolstoi-le-patriotisme-et-le-gouvernement.html

    ★ Léon Tolstoï, Le patriotisme et le gouvernement (1900). PRÉFACE DE L’ÉDITEUR "Avec cette brochure, nous commençons une série de publications, par lesquelles nous tâcherons de donner un exposé des idées qui sont déjà plus ou moins connues du monde civilisé,...

  • #Chine : le drame ouïghour

    La politique que mène la Chine au Xinjiang à l’égard de la population ouïghoure peut être considérée comme un #génocide : plus d’un million de personnes internées arbitrairement, travail forcé, tortures, stérilisations forcées, « rééducation » culturelle des enfants comme des adultes…
    Quel est le veritable objectif du parti communiste chinois ?

     
    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/64324

    #Ouïghours #Xinjiang #camps_d'internement #torture #stérilisation_forcée #camps_de_concentration #persécution #crimes_contre_l'humanité #silence #matières_premières #assimilation #islam #islamophobie #internement #gaz #coton #charbon #route_de_la_soie #pétrole #Xi_Jinping #séparatisme #extrémisme #terrorisme #Kunming #peur #état_policier #répression #rééducation #Radio_Free_Asia #disparition #emprisonnement_de_masse #images_satellites #droits_humains #zone_de_non-droit #propagande #torture_psychique #lavage_de_cerveau #faim #Xinjiang_papers #surveillance #surveillance_de_masse #biométrie #vidéo-surveillance #politique_de_prévention #surveillance_d'Etat #identité #nationalisme #minorités #destruction #génocide_culturel #Ilham_Tohti #manuels_d'école #langue #patriotisme #contrôle_démographique #contrôle_de_la_natalité #politique_de_l'enfant_unique #travail_forcé #multinationales #déplacements_forcés #économie #colonisation #Turkestan_oriental #autonomie #Mao_Zedong #révolution_culturelle #assimilation_forcée #Chen_Quanguo #cour_pénale_internationale (#CPI) #sanctions

    #film #film_documentaire #documentaire

  • « Malgré que ses analyses aient été balayées par les résultats du premier tour, #Bruno-Latour, qui avait soutenu Y. Jadot, continue à mener une opération de police sur l’écologie politique, avec des arguments plus que contestables. Quelques éléments en thread 👇 » Philippe Vion-Dury


    Dans un entretien à Mediapart, le philosophe dit ne pas croire qu’Emmanuel Macron l’ait lu et s’inspire de sa pensée, contrairement à ce que le président a récemment affirmé. L’auteur de « Où atterrir ? » réfléchit désormais à l’avenir possible de la « classe écologique » dont il prédisait l’hégémonie, après que le candidat pour lequel il avait appelé à voter a recueilli moins de 5 % des suffrages.
    https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/230422/macron-la-gauche-l-ecologie-les-lecons-presidentielles-de-bruno-latour

    Un entretien dans Médiapart carrément réactionnaire ! Quand on parle de #nation-écologique, c’est grave. Qu’il soit celui qui défende les choix stratégiques d’#EELV et en ces mots, en dit long...

    • « De l’itw où Macron le cite, Bruno Latour (BL) retient le concept de "nation écologique", voyant là l’occasion d’un concept. De tous les mots qui pourraient ressaisir l’idée de communauté au sens écologique, y en a-t-il un pire ?
      D’autant que la nation est précisément ce qui unit à partir d’une exclusion. Étrange de la part de BL qui dans son mémo propose une classe écologique en refusant tout antagonisme de classe (contre qui se définit-elle ?).

      On sent la référence implicite aux concepts d’#écologie-de-guerre et de #patriotisme-écologique lancés par Pierre Charbonnier pour lesquels j’ai émis quelques critiques par ailleurs : Il me semble qu’il y a de nombreux soucis dans cette analyse de Charbonnier sur l’"écologie de guerre" et le tournant que représenterait l’#Ukraine. Le concept me semble fébrile et passer à côté de plusieurs choses. https://legrandcontinent.eu/fr/2022/03/18/la-naissance-de-lecologie-de-guerre

      Concernant le résultat d’EELV, BL n’en démord pas, il faut recommencer. Et il faut le faire seul. Car #LFI, c’est pas l’écologie 🚔
      Le problème est que Jadot a été trop sérieux, pas que son programme était surnuméraire ou ses assises idéologiques introuvables. »

      "Mais là on arrive à quelque chose de tout à fait grave pour un intellectuel présenté comme la star de l’écologie : la méconnaissance totale de l’histoire de l’écologie politique. Je vous laisse découvrir ce passage"

      " La plupart des courants de l’écologie politique sont révolutionnaires. C’est un fait. Écologie sociale. Écosocialisme. Écologie anti-industrielle. L’écologie s’est en permanence hybridée avec l’anarchisme et le socialisme, entre autres, c’est archi documenté. La nuance est dans la conquête du pouvoir, peut être. Ça c’est plus récent. Mais c’est que de facto, l’écologie ne pouvait s’associer au communisme marxiste de l’après guerre, ultra dominant.

      Modeste dans son attitude l’écologie politique ? Mais c’est effacer d’un trait le Larzac, les faucheurs, toutes les utopies locales, les luttes menées depuis la Guerre des demoiselles.... Table rase : l’écologie est devenu un sympathique concile social democrate.

      Et pour les jours heureux, on repassera. Je vous laisse lire :"

      « Non seulement là encore des pans entiers de l’écologie politique sont abattus (le buen vivir, l’abondance frugale, les liens qui libèrent, la sensibilité au vivant, etc), mais BL nous ramène dans une vision absolument austère, négative, privative, bref livre les armes à nos ennemis.

      Par ailleurs, le problème des Insoumis, c’est qu’ils veulent se servir de l’Etat pour changer la vie, alors que BL préférerait qu’on se contente d’en discuter en infra.
      On a besoin d’un État "apprenant". On est étonné que BL s’étonne que ses élèves finissent à #McKinsey. On attendant impatiemment là aussi la définition du concept.

      Pour être sûr de son coup, BL met un dernier coup de pelle dans la nuque de l’écologie politique... Qui ne doit en fait pas être politique mais "esthétique". Bon bah là on comprendre que trois entrechats à peine séparent les sociaux libéraux de gauche et de droite.

      L’écologie politique a toujours été qu’un certain mode d’organisation de la société détruit nos liens aux mondes dont nous sommes faits et dont nous dépendons. Donc il faut changer de mode d’organisation, autrement dit rompre avec le syst capitaliste, productiviste, industriel...

      Mais ce n’est pas étonnant que cela échappe à BL, puisque selon lui, le capitalisme... N’existe pas ! Même les plus ultraliberaux doivent se fendre la poire en lisant ça. »

      "Je suis passablement agacé, vous l’aurez compris, mais moins par les positions politiques de Latour ou par sa philosophie qui offre des prises intéressantes sur notre contemporanéité, mais par le manque de culture en philosophie politique et surtout en écologie politique.
      En réalité, je ne suis pas certain que Bruno Latour soit un écologiste. Je pense que c’est un épistémologue et un philosophe qui a raccroché les wagons au train en marche.
      A-t-il lu avec attention : Illich, Khor, Schumacher, Léopold, Charbonneau, Ellul, Naess, Gorz, et tous ceux que oublié de citer, les moins connus, les oubliées, les précurseurs, les anarchistes comme Reclus, Kropotkine, ceux qui annonçaient notre catastrophe ?
      S’est-il intéressé à ces trois siècles de luttes violentes menées pour protégés l’intégrité des mondes et leurs vivants ?"❞

      https://twitter.com/PhilGood_Inc/status/1517870292932116480?cxt=HHwWgICylam_x5AqAAAA

  • Exterminez toutes ces brutes (1/4). La troublante conviction de l’ignorance

    Dans une puissante méditation en images, Raoul Peck montre comment, du génocide des Indiens d’Amérique à la Shoah, l’impérialisme, le colonialisme et le suprémacisme blanc constituent un impensé toujours agissant dans l’histoire de l’Occident.

    « Civilisation, colonisation, extermination » : trois mots qui, selon Raoul Peck, « résument toute l’histoire de l’humanité ». Celui-ci revient sur l’origine coloniale des États-Unis d’Amérique pour montrer comment la notion inventée de race s’est institutionnalisée, puis incarnée dans la volonté nazie d’exterminer les Juifs d’Europe. Le même esprit prédateur et meurtrier a présidé au pillage de ce que l’on nommera un temps « tiers-monde ».

    Déshumanisation
    Avec ce voyage non chronologique dans le temps, raconté par sa propre voix, à laquelle il mêle celles des trois auteurs amis qui l’ont inspiré (l’Américaine Roxanne Dunbar-Ortiz, le Suédois Sven Lindqvist et Michel-Rolph Trouillot, haïtien comme lui), Raoul Peck revisite de manière radicale l’histoire de l’Occident à l’aune du suprémacisme blanc. Tissant avec une grande liberté de bouleversantes archives photo et vidéo avec ses propres images familiales, des extraits de sa filmographie mais aussi des séquences de fiction (incarnées notamment par l’acteur américain Josh Hartnett) ou encore d’animation, il fait apparaître un fil rouge occulté de prédation, de massacre et de racisme dont il analyse la récurrence, l’opposant aux valeurs humanistes et démocratiques dont l’Europe et les États-Unis se réclament. « Exterminez toutes ces brutes », phrase prononcée par un personnage du récit de Joseph Conrad Au cœur des ténèbres, et que Sven Lindqvist a choisie comme titre d’un essai, résume selon Raoul Peck ce qui relie dans un même mouvement historique l’esclavage, le génocide des Indiens d’Amérique, le colonialisme et la Shoah : déshumaniser l’autre pour le déposséder et l’anéantir. De l’Europe à l’Amérique, de l’Asie à l’Afrique, du XVIe siècle aux tribuns xénophobes de notre présent, il déconstruit ainsi la fabrication et les silences d’une histoire écrite par les vainqueurs pour confronter chacun de nous aux impensés de sa propre vision du passé.

    https://www.arte.tv/fr/videos/095727-001-A/exterminez-toutes-ces-brutes-1-4

    #film #documentaire #film_documentaire #peuples_autochtones #récit #contre-récit #récit_historique #histoire #Séminoles #extrême_droite #suprémacisme_blanc #racisme #Grand_Remplacement #invasion #colonialisme #puissance_coloniale #extermination #Tsenacommacah #confédération_Powhatan #Eglise #inquisition #pureté_du_sang #sang #esclavage #génocide #colonialisme_de_peuplement #violence #terre #caoutchouc #pillage

    –-> déjà signalé plusieurs fois sur seenthis (notamment ici : https://seenthis.net/messages/945988), je remets ici avec des mots-clé en plus

  • #Monténégro : à #Nikšić, les « #écopatriotes » s’attaquent enfin au ramassage des #déchets

    Depuis trente ans, le Monténégro se définit comme un « État écologique ». Pourtant, autour des villes, le long des routes, mais aussi des rivières comme au coeur des montagnes, les déchets s’accumulent. À Nikšić, un groupe de #volontaires a décidé de prendre les choses en main. Leur cri de ralliement ? « L’écopatriotisme ».

    https://www.courrierdesbalkans.fr/montenegro-niksic-ecopatriotes-ramassag-des-dechets
    #patriotisme #écologie #écopatriotisme #bénévolat #bénévoles

  • Variant Omicron : les Etats-Unis rouvriront le 31 décembre leurs frontières aux voyageurs de huit pays africains
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/12/24/variant-omicron-les-etats-unis-rouvriront-le-31-decembre-leurs-frontieres-au

    Variant Omicron : les Etats-Unis rouvriront le 31 décembre leurs frontières aux voyageurs de huit pays africains
    Depuis l’apparition de ce variant, l’arrivée sur le sol américain est interdite aux personnes venant d’Afrique du Sud, du Botswana, du Zimbabwe, de Namibie, du Lesotho, d’Eswatini, du Mozambique et du Malawi. Plus d’un mois après l’apparition du variant Omicron en Afrique australe, les Etats-Unis rouvrent leurs frontières. Les restrictions aux voyages pesant à l’égard de huit pays africains, qui avaient été imposées fin novembre pour tenter de ralentir la propagation de ce nouveau variant, vont être levées à partir du 31 décembre, a fait savoir, vendredi 24 décembre sur Twitter, un porte-parole de la Maison Blanche. L’arrivée sur le sol américain est actuellement interdite aux personnes venant d’Afrique du Sud, du Botswana, du Zimbabwe, de Namibie, du Lesotho, d’Eswatini, du Mozambique et du Malawi, une décision qui avait été annoncée le 26 novembre « par excès de précaution », a déclaré la Maison Blanche. Cette décision était intervenue alors que le président américain, Joe Biden, venait tout juste de rouvrir début novembre les frontières aux voyageurs du monde entier, à condition qu’ils soient vaccinés contre le Covid-19, après vingt mois de restrictions.
    L’exécutif américain assure vendredi, dans un communiqué transmis par un haut responsable de la Maison Blanche, que « deux raisons essentielles » l’ont décidé à lever les restrictions. D’abord, le constat que les « vaccins actuels protègent efficacement contre une forme grave [du Covid-19] liée à Omicron, surtout après une dose de rappel ». Ensuite, le fait que « des voyageurs internationaux venus de ces pays n’auront pas d’impact significatif sur le nombre de cas aux Etats-Unis », maintenant que le variant Omicron est largement présent dans le pays.Il a représenté 73,2 % des nouvelles infections au Covid-19 lors de la semaine qui s’est achevée le 18 décembre, contre seulement 12,6 % la semaine passée, selon des données des autorités sanitaires américaines. Il représente même jusqu’à 96,3 % des nouveaux cas dans trois Etats du nord-ouest des Etats-Unis (Oregon, Washington et Idaho). Alors que de nombreux Américains vont voyager à travers le pays en cette période de fêtes de fin d’année, M. Biden a mis en garde il y a quelques jours ceux qui ne sont pas entièrement vaccinés, déclarant qu’ils avaient « de bonnes raisons d’être inquiets » et qu’il était de leur « devoir patriotique » de se faire vacciner. « Ceux qui ont décidé de ne pas se faire vacciner sont responsables de leurs propres choix, mais ces choix sont alimentés par la désinformation à la télévision et sur les réseaux sociaux », a-t-il aussi regretté, lors d’une allocution le 21 décembre.
    « Nous ne sommes plus en mars 2020. Nous sommes prêts », a-t-il toutefois assuré, citant « trois grandes différences » avec le début de la pandémie : tout d’abord les vaccins, mais aussi l’abondance d’équipements de protection individuelle pour les soignants devant faire face à l’afflux de non-vaccinés dans les hôpitaux et enfin le savoir accumulé sur ce virus.

    #Covid-19#migrant#migration#etatsunis#afrique#sante#vaccination#circulation#frontiere#deplacementinterne#patriotismevaccinal

  • Le Monde selon #Modi, la nouvelle #puissance indienne

    « Aucune puissance au monde ne peut arrêter un pays de 1,3 milliard d’habitants. Le 21e siècle sera le siècle de l’Inde ».
    #Narendra_Modi, nationaliste de droite, à la tête de l’Inde depuis 2014, est le nouvel homme fort de la planète. 3ème personnalité la plus suivie sur Twitter, au centre de « l’Indopacifique », une nouvelle alliance contre la Chine. C’est l’histoire d’un tournant pour l’Inde et pour le monde.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/62159_1

    #film #film_documentaire #documentaire
    #Inde #Savarki #culte_de_la_personnalité #nationalisme #cachemire_indien #purge #militarisation #couvre-feu #RSS #patriotisme #religion #propagande_hindoue #colonialisme #impérialisme #BJP #parti_nationaliste_hindou #pogrom #islamophobie #Amit_Shah #Vibrant_Gujarat #hologramme #réseaux_sociaux #journée_internationale_du_yoga #yoga #soft_power #fierté_nationale #Alliance_indo-pacifique #Indo-Pacifique #armée #Routes_de_la_soie #route_de_la_soie #collier_de_perles #Chine #armes #commerce_d'armes #Ladakh #frontières #zones_disputées #disputes_frontalières #différends_frontaliers #litige_frontalier #zones_frontalières #zone-tampon #Israël #revanche_nationaliste #temple_Ajodhya #hindouisme #déchéance_de_nationalité #citizenship_amendment_act #citoyenneté #primauté_des_Hindous #résistance #milices_privées

  • La #Cravate

    Bastien a 20 ans et il milite depuis cinq ans dans le principal parti d’extrême-droite. Quand débute la #campagne_présidentielle, il est invité par son supérieur à s’engager davantage. Initié à l’art d’endosser le costume politicien, il se surprend à rêver d’une carrière, mais de vieux démons resurgissent qui risquent de briser son ambition.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/56940_1
    #film #film_documentaire #documentaire #France #extrême_droite #France #élection_présidentielle
    #dédiabolisation #skin #Front_national #témoignage #patriotisme #campagne_électorale #Amiens #Marine_Le_Pen #Le_Pen #France_d'avant #violence

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  • France : les dix-huit militaires signataires d’une tribune controversée vont être sanctionnés
    Publié le : 29/04/2021
    https://www.france24.com/fr/france/20210428-france-les-dix-huit-militaires-signataires-d-une-tribune-controve

    Dénonçant le « délitement » de la France et appelant à « soutenir les politiques » qui oeuvreront contre, les généraux signataires d’une tribune vont recevoir « des sanctions disciplinaires militaires » en fonction de leurs grades, a annoncé mercredi le chef d’état-major des armées.

    Après la vague de critiques et de consternation, place aux sanctions pour la tribune de généraux qui appellent à « soutenir les politiques » qui oeuvreront contre le « délitement » de la France. Le chef d’état-major des armées a décidé, mercredi 28 avril au soir, d’imposer « des sanctions disciplinaires militaires » aux dix-huit soldats signataires de la tribune publiée dans Valeurs Actuelles.

    Le général François Lecointre a précisé au quotidien Le Parisien que les sanctions seront « plus fortes pour les plus gradés ». « Je considère que plus les responsabilités sont élevées, plus l’obligation de neutralité et d’exemplarité est forte », a-t-il martelé.

    Les généraux en « deuxième section » signataires – proches de la retraite mais qui peuvent toujours être rappelés – risquent pour leur part « la radiation, donc la mise à la retraite d’office », a-t-il ajouté.

    « Ces officiers généraux vont passer chacun devant un conseil supérieur militaire. Au terme de cette procédure, c’est le président de la République qui signe un décret de radiation », a précisé le général Lecointre.

    « Je souhaite que leur mise à la retraite d’office soit décidée », a-t-il pour sa part relevé en évoquant « une procédure exceptionnelle », lancée à la demande de la ministre des Armées, Florence Parly qui avait jugé leurs « actions inacceptables » et « irresponsables ». (...)

  • « Pour un retour de l’#honneur de nos gouvernants » : 20 #généraux appellent Macron à défendre le #patriotisme

    (attention : toxique)

    À l’initiative de #Jean-Pierre_Fabre-Bernadac, officier de carrière et responsable du site Place Armes, une vingtaine de généraux, une centaine de hauts-gradés et plus d’un millier d’autres militaires ont signé un appel pour un retour de l’honneur et du #devoir au sein de la classe politique. Valeurs actuelles diffuse avec leur autorisation la lettre empreinte de conviction et d’engagement de ces hommes attachés à leur pays.

    Monsieur le Président,
    Mesdames, Messieurs du gouvernement,
    Mesdames, Messieurs les parlementaires,

    L’heure est grave, la #France est en #péril, plusieurs #dangers_mortels la menacent. Nous qui, même à la retraite, restons des soldats de France, ne pouvons, dans les circonstances actuelles, demeurer indifférents au sort de notre beau pays.

    Nos #drapeaux tricolores ne sont pas simplement un morceau d’étoffe, ils symbolisent la #tradition, à travers les âges, de ceux qui, quelles que soient leurs couleurs de peau ou leurs confessions, ont servi la France et ont donné leur vie pour elle. Sur ces drapeaux, nous trouvons en lettres d’or les mots « #Honneur_et_Patrie ». Or, notre honneur aujourd’hui tient dans la dénonciation du #délitement qui frappe notre #patrie.

    – Délitement qui, à travers un certain #antiracisme, s’affiche dans un seul but : créer sur notre sol un mal-être, voire une #haine entre les communautés. Aujourd’hui, certains parlent de #racialisme, d’#indigénisme et de #théories_décoloniales, mais à travers ces termes c’est la #guerre_raciale que veulent ces partisans haineux et fanatiques. Ils méprisent notre pays, ses traditions, sa #culture, et veulent le voir se dissoudre en lui arrachant son passé et son histoire. Ainsi s’en prennent-ils, par le biais de statues, à d’anciennes gloires militaires et civiles en analysant des propos vieux de plusieurs siècles.

    – Délitement qui, avec l’#islamisme et les #hordes_de_banlieue, entraîne le détachement de multiples parcelles de la nation pour les transformer en territoires soumis à des #dogmes contraires à notre #constitution. Or, chaque Français, quelle que soit sa croyance ou sa non-croyance, est partout chez lui dans l’Hexagone ; il ne peut et ne doit exister aucune ville, aucun quartier où les lois de la #République ne s’appliquent pas.

    – Délitement, car la haine prend le pas sur la #fraternité lors de manifestations où le pouvoir utilise les #forces_de_l’ordre comme agents supplétifs et boucs émissaires face à des Français en #gilets_jaunes exprimant leurs désespoirs. Ceci alors que des individus infiltrés et encagoulés saccagent des commerces et menacent ces mêmes forces de l’ordre. Pourtant, ces dernières ne font qu’appliquer les directives, parfois contradictoires, données par vous, gouvernants.

    Les #périls montent, la #violence s’accroît de jour en jour. Qui aurait prédit il y a dix ans qu’un professeur serait un jour décapité à la sortie de son collège ? Or, nous, serviteurs de la #Nation, qui avons toujours été prêts à mettre notre peau au bout de notre engagement – comme l’exigeait notre état militaire, ne pouvons être devant de tels agissements des spectateurs passifs.

    Aussi, ceux qui dirigent notre pays doivent impérativement trouver le courage nécessaire à l’#éradication de ces dangers. Pour cela, il suffit souvent d’appliquer sans faiblesse des lois qui existent déjà. N’oubliez pas que, comme nous, une grande majorité de nos concitoyens est excédée par vos louvoiements et vos #silences coupables.

    Comme le disait le #cardinal_Mercier, primat de Belgique : « Quand la #prudence est partout, le #courage n’est nulle part. » Alors, Mesdames, Messieurs, assez d’atermoiements, l’heure est grave, le travail est colossal ; ne perdez pas de temps et sachez que nous sommes disposés à soutenir les politiques qui prendront en considération la #sauvegarde_de_la_nation.

    Par contre, si rien n’est entrepris, le #laxisme continuera à se répandre inexorablement dans la société, provoquant au final une #explosion et l’intervention de nos camarades d’active dans une mission périlleuse de #protection de nos #valeurs_civilisationnelles et de sauvegarde de nos compatriotes sur le territoire national.

    On le voit, il n’est plus temps de tergiverser, sinon, demain la guerre civile mettra un terme à ce #chaos croissant, et les morts, dont vous porterez la #responsabilité, se compteront par milliers.

    Les généraux signataires :

    Général de Corps d’Armée (ER) Christian PIQUEMAL (Légion Étrangère), général de Corps d’Armée (2S) Gilles BARRIE (Infanterie), général de Division (2S) François GAUBERT ancien Gouverneur militaire de Lille, général de Division (2S) Emmanuel de RICHOUFFTZ (Infanterie), général de Division (2S) Michel JOSLIN DE NORAY (Troupes de Marine), général de Brigade (2S) André COUSTOU (Infanterie), général de Brigade (2S) Philippe DESROUSSEAUX de MEDRANO (Train), général de Brigade Aérienne (2S) Antoine MARTINEZ (Armée de l’air), général de Brigade Aérienne (2S) Daniel GROSMAIRE (Armée de l’air), général de Brigade (2S) Robert JEANNEROD (Cavalerie), général de Brigade (2S) Pierre Dominique AIGUEPERSE (Infanterie), général de Brigade (2S) Roland DUBOIS (Transmissions), général de Brigade (2S) Dominique DELAWARDE (Infanterie), général de Brigade (2S) Jean Claude GROLIER (Artillerie), général de Brigade (2S) Norbert de CACQUERAY (Direction Générale de l’Armement), général de Brigade (2S) Roger PRIGENT (ALAT), général de Brigade (2S) Alfred LEBRETON (CAT), médecin Général (2S) Guy DURAND (Service de Santé des Armées), contre-amiral (2S) Gérard BALASTRE (Marine Nationale).

    https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-un-retour-de-lhonneur-de-nos-gouvernants-20-generaux-appellen

    La une :

    #appel #généraux #valeurs_actuelles #lettre #lettre_ouverte #armée #soldats

    ping @isskein @karine4

    • 2022 : « l’étrange défaite » qui vient

      Pour Marc Bloch, auteur de L’Étrange défaite, la cause de la débâcle de juin 1940 n’était pas seulement militaire mais d’abord politique. De la même façon, le désastre annoncé de printemps 2022 n’est pas seulement de nature électorale. La débâcle de la démocratie se construit depuis des mois par une sorte de capitulation rampante et générale face à l’extrême droite.

      « Un jour viendra, tôt ou tard, où la France verra de nouveau s’épanouir la liberté de pensée et de jugement. Alors les dossiers cachés s’ouvriront ; les brumes, qu’autour du plus atroce effondrement de notre histoire commencent, dès maintenant, à accumuler tantôt l’ignorance et tantôt la mauvaise foi, se lèveront peu à peu . »

      Ainsi s’ouvre L’Étrange défaite écrite par Marc Bloch au lendemain de la capitulation de l’armée française en juin 1940. « À qui la faute ? », se demande-t-il. Quels mécanismes politiques ont conduit à ce désastre et à l’effondrement d’une République ? Si les militaires, et surtout l’état-major, sont aux premières loges des accusés, nul n’échappe à l’implacable regard de l’historien : ni les classes dirigeantes qui ont « préféré Hitler au Front Populaire », ni la presse mensongère, ni le pacifisme munichois, ni la gauche qui n’a pas eu besoin de ses adversaires pour ensevelir ce Front populaire qui fit si peur aux bourgeois.

      Les « brumes », l’aveuglement et la soumission passive aux récits des futurs vainqueurs ont conduit inexorablement à une #capitulation_anticipée. Comment ne pas y reconnaître la logique des moments sombres que nous vivons sidérés.

      La banalisation de la menace factieuse

      Sidérés, nous le sommes à coup sûr quand il faut attendre six jours pour qu’une menace de sédition militaire (http://www.regards.fr/politique/societe/article/lettre-des-generaux-un-texte-seditieux-qui-menace-la-republique) signée le 21 avril 2021 par une vingtaine de généraux en retraite, mais aussi par de nombreux officiers, commence à faire un peu réagir.

      Sidérés, nous le sommes par la légèreté de la réponse gouvernementale. Un tweet de la ministre des Armées (https://www.lemonde.fr/politique/article/2021/04/25/la-gauche-s-insurge-contre-une-tribune-de-militaires-dans-valeurs-actuelles-) ne parle que « d’#irresponsabilité » de « généraux en retraite ». Pour #Florence_Parly le soutien que leur apporte Marine Le Pen « reflète une méconnaissance grave de l’institution militaire, inquiétant pour quelqu’un qui veut devenir cheffe des armées ». N’y aurait-il à voir que de l’irresponsabilité militaire et de l’incompétence politique ?

      Il faut attendre le lundi 26 avril pour que Agnès Runacher secrétaire d’État auprès du ministre de l’Économie et des Finances s’avise (https://www.boursorama.com/actualite-economique/actualites/un-quarteron-de-generaux-en-charentaises-la-tribune-de-militaires-dans-v) que le texte a été publié jour pour jour 60 ans après l’appel des généraux d’Alger. En parlant de « quarteron de généraux en charentaises », elle semble considérer que la simple paraphrase d’une expression de l’allocution de De Gaulle, le 23 avril 1961 suffira à protéger la démocratie. Ce dernier, plus martial, en uniforme, parlait surtout de « putsch » et d’un « groupe d’officiers ambitieux et fanatiques ».

      Sidérés, nous le sommes par le #silence persistant, cinq jours après la publication du texte factieux, de l’essentiel les leaders de la droite, du centre, de la gauche et des écologistes.

      Sidérés, nous sommes encore de l’isolement de ceux qui appellent un chat un chat tels Éric Coquerel, Benoît Hamon ou Jean Luc Mélenchon. Ce dernier rappelle au passage que l’article 413-3 du code pénal prévoit cinq ans d’emprisonnement et 75.000 euros d’amende pour provocation à la désobéissance des militaires.

      Sidérés, nous le sommes enfin, pendant une semaine, de la #banalisation de l’événement par des médias pourtant prompts à se saisir du buzz des « polémiques ». Le 25 avril (https://rmc.bfmtv.com/emission/tribunes-de-militaires-les-gens-n-ont-pas-confiance-dans-les-politiques-m), RMC/BFM, dans les Grandes Gueules, n’hésite pas à présenter l’appel sur fond de Marseillaise, à moquer « la gauche indignée » en citant Jean Luc Mélenchon et Éric Coquerel, et à débattre longuement avec l’initiateur du texte, Jean-Pierre Fabre-Bernadac. Jack Dion, ancien journaliste de L’Humanité (1970-2004), n’hésite pas à écrire (https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/malgre-ses-relents-putschistes-la-tribune-des-ex-generaux-met-le-doigt-la-) dans Marianne le 28 avril : « Malgré ses relents putschistes, la tribune des ex généraux met le doigt là où ça fait mal. » Il faut croire donc que cet appel factieux et menaçant ne fait pas polémique après l’appel à l’insurrection de Philippe de Villiers dont on oublie qu’il est le frère aîné d’un autre général ambitieux, Pierre de son prénom, chef d’état-major des armées de 2010 à 2017.

      Qui sont donc les ennemis que ces militaires appellent à combattre pour sauver « la Patrie » ? Qui sont les agents du « délitement de la France » ? Le premier ennemi désigné reprend mot pour mot les termes de l’appel des universitaires publié le 1 novembre 2020 sous le titre de « #Manifeste_des_100 » (https://manifestedes90.wixsite.com/monsite) : « un certain antiracisme » qui veut « la guerre raciale » au travers du « racialisme », « l’indigénisme » et les « théories décoloniales ». Le second ennemi est « l’islamisme et les hordes de banlieue » qui veulent soumettre des territoires « à des dogmes contraires à notre constitution ». Le troisième ennemi est constitué par « ces individus infiltrés et encagoulés saccagent des commerces et menacent ces mêmes forces de l’ordre » dont ils veulent faire des « boucs émissaires ».

      Chacune et chacun reconnaîtra facilement les islamo-gauchistes, les séparatistes et les black blocs, ces épouvantails stigmatisés, dénoncés, combattus par le pouvoir comme par une partie de l’opposition. Ce texte a au moins une vertu : il identifie clairement la nature fascisante des diatribes de Jean-Michel Blanquer, Gérald Darmanin ou Frédérique Vidal. Il renvoie à leur responsabilité celles et ceux qui gardent le silence, organisent le débat public autour de ces thématiques sur la scène médiatique, s’abstiennent à l’Assemblée sur des textes de loi à la logique islamophobe – quand ils ne votent pas pour –, signent des tribunes universitaires pour réclamer une police de la pensée. Il renvoie à ses responsabilités le Bureau national du Parti socialiste qui, dans sa résolution du 27 avril (https://partisocialiste92.fr/2021/04/27/resolution-du-bureau-national-a-la-suite-dune-tribune-de-militaire), persiste à affirmer « qu’il serait absurde de chercher à nier ces sujets qui nous font face » comme « ces #minorités_agissantes » qui prônent la « #désaffiliation_républicaine ».

      Baromètre incontesté des dérives intellectuelles, l’omniprésent #Michel_Onfray, aujourd’hui obsédé par la décadence de la France, ne partage-t-il pas le diagnostic des factieux ? Sa sentence du 27 avril dans la matinale d’Europe 1 (https://www.europe1.fr/societe/sur-le-terrorisme-la-parole-presidentielle-est-totalement-devaluee-estime-on), « l’intérêt de l’#islamo-gauchisme est de détruire la nation, la souveraineté nationale, la France, l’histoire de France, tout ce qui constitue la France », est immédiatement reprise par Valeurs actuelles (https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-michel-onfray-linteret-de-lislamo-gauchisme-est-de-detruire-l). Quelques jours plus tôt, dans une envolée digne de Gérald Darmanin, il assénait au Point (https://www.lepoint.fr/debats/michel-onfray-on-a-un-seul-probleme-en-france-c-est-que-la-loi-n-est-pas-res) : « On a un seul problème en France, c’est que la loi n’est pas respectée ». Mais de quelle loi parle Michel Onfray quand il ajoute, à propos du verdict en appel du procès des jeunes de Viry-Châtillon : « Il y a des gens à qui on dit : […] peut-être que vous faites partie de ceux qui auraient pu tuer, mais la preuve n’est pas faite, on est pas sûr que c’est vous, allez, vous pouvez rentrer chez vous. L’affaire est terminée pour vous. » Pour Michel Onfray, le scandale n’est pas la mise en accusation délibérée d’innocents par une police en quête désespérée de coupables mais un principe de droit : la présomption d’innocence elle-même !

      La capitulation rampante

      Voilà où nous en sommes. Voilà pourquoi il est pour beaucoup si difficile de se scandaliser d’un appel factieux quand les ennemis désignés sont ceux-là même qui sont désignés à longueur d’antenne et de déclaration politique dans ce désastreux consensus « républicain » réunissant l’extrême droite, la droite et une partie de la gauche.

      Chacune et chacun y va de sa surenchère. #Anne_Hidalgo (https://www.nouvelobs.com/edito/20201125.OBS36577/derriere-la-gueguerre-entre-hidalgo-et-les-ecolos-la-pomme-de-discorde-de) enjoint les Verts « d’être au clair avec la République » à propos de la laïcité alors même que #Yannick_Jadot (https://www.lepoint.fr/politique/loi-contre-le-separatisme-la-gauche-denonce-un-texte-qui-ne-regle-rien-07-02) demande de « sortir de toute naïveté et de toute complaisance », pour « combattre l’islam politique », proposant de « contrôler les financements des associations » et de « renforcer tous les dispositifs sur le contrôle des réseaux sociaux ».

      La discussion et le vote de la loi sur le « séparatisme », puis les débats hallucinants sur l’organisation de « réunions non mixtes » au sein du syndicat étudiant Unef nous en a fourni un florilège. Pour le communiste #Stéphane_Peu (http://www.le-chiffon-rouge-morlaix.fr/2021/02/separatisme-une-loi-equilibree-se-serait-attachee-a-renforc) comme pour le socialiste #Olivier_Faure (https://www.europe1.fr/politique/projet-de-loi-contre-les-separatismes-olivier-faure-craint-une-surenchere-40), la question n’est pas de combattre sur le fond la notion de « #séparatisme » mais de rester dans une « loi équilibrée » qui « renforce la #République » (Peu) et d’éviter « la surenchère » (Faure). L’un comme l’autre et comme nombre de députés de leurs groupes, s’abstiendront lors du vote à l’Assemblée nationale. Seule La France insoumise a sauvé l’honneur et dénoncé, notamment par la voix de #Clémentine_Autain (https://www.lepoint.fr/politique/loi-contre-le-separatisme-la-gauche-denonce-un-texte-qui-ne-regle-rien-07-02) dès le 16 février, une loi qui « ouvre la boîte de Pandore pour des idées qui stigmatisent et chassent les musulmans » et « nous tire vers l’agenda de l’extrême droite ».

      Si le débat parlementaire gomme un peu les aspérités, l’affaire des réunions « non mixtes » au sein de l’Unef est l’occasion d’un déferlement de sincérité imbécile. On n’en attendait pas moins de #Manuel_Valls (https://www.franceinter.fr/emissions/l-invite-de-8h20-le-grand-entretien/l-invite-de-8h20-le-grand-entretien-22-mars-2021) qui s’empresse de poser l’argument clef de la curée : « Les réunions "racialisées" légitiment le concept de race ». Le lendemain #Marine_Le_Pen (https://www.francetvinfo.fr/politique/marine-le-pen/video-il-faut-poursuivre-l-unef-un-syndicat-qui-commet-des-actes-racist) le prend au mot et réclame des poursuites contre ces actes racistes. Anne Hidalgo (https://www.europe1.fr/politique/reunions-non-mixtes-a-lunef-cest-tres-dangereux-juge-anne-hidalgo-4032954) apporte sa voix contre une pratique qu’elle considère comme « très dangereuse » au nom de « ses convictions républicaines ». Olivier Faure (https://www.youtube.com/watch?v=rifRSrm7lpU

      ), moins « équilibré » que sur la loi contre le « séparatisme » renchérit comme « une dérive incroyable ».

      Quelle « dérive » ? Tout simplement « l’idée que sont légitimes à parler du racisme les seules personnes qui en sont victimes », alors que « c’est l’inverse qu’il faut chercher ». Dominés restez à votre place, nous parlerons pour vous ! Aimé Césaire dans sa lettre à Maurice Thorez (https://lmsi.net/Lettre-a-Maurice-Thorez), dénonçait ce qu’il nommait le « #fraternalisme » : « Un grand frère qui, imbu de sa supériorité et sûr de son expérience, vous prend la main pour vous conduire sur la route où il sait se trouver la Raison et le Progrès. » Or, ajoutait-il, « c’est très exactement ce dont nous ne voulons plus » car « nous ne (pouvons) donner à personne délégation pour penser pour nous. »

      Olivier Faure revendique un « #universalisme » que ne renierait pas le candidat communiste à la présidentielle, #Fabien_Roussel pour qui « les réunions segmentées selon la couleur de sa peau, sa religion ou son sexe, ça divise le combat ». Le PCF (https://www.pcf.fr/actualite_derri_re_les_attaques_contre_l_unef_une_d_rive_autoritaire_et_antid_mo) n’hésite pas à défendre en théorie l’Unef tout en se joignant cœur réactionnaire des condamnations de ses pratiques.

      #Audrey_Pulvar (https://www.lci.fr/politique/demander-a-une-personne-blanche-de-se-taire-dans-une-reunion-non-mixte-pulvar-cr) cherchant peut-être un compromis dans la présence maintenue mais silencieuse d’un blanc dans une réunion de personnes racisées, se prend une volée de bois vert du chœur des bonnes âmes universalistes. La « dilution dans l’universel » est bien « une façon de se perdre » comme l’écrivait encore Aimé Césaire en 1956.

      Ce chœur hystérisé, rien ne le fera taire, ni le rappel élémentaire d’#Eric_Coquerel (https://www.facebook.com/watch/?v=773978356575699) que les #groupes_de_parole sont « vieux comme le monde, comme le mouvement féministe, comme les alcooliques anonymes », ni la prise du conscience de l’énormité morale, politique et juridique des positions prises ainsi dans une émotion révélatrice.

      Refuser de comprendre que la parole des dominées et dominés a besoin de se constituer à l’abri des dominants, c’est nier, de fait, la #domination. Ce déni de la domination, et de sa #violence, est une violence supplémentaire infligée à celles et ceux qui la subissent.

      Au passage, une partie de la gauche a par ailleurs perdu un repère simple en matière de liberté : la liberté de réunion est la liberté de réunion. Elle n’est plus une liberté si elle est sous condition de surveillance par une présence « hétérogène ». À quand les réunions de salariés avec présence obligatoire du patron ? Les réunions de femmes avec présence obligatoire d’un homme ? Les réunions d’étudiants avec présence obligatoire d’un professeur ? Les réunions de locataires avec présence obligatoire du bailleur ? Les réunions d’antiracistes avec présence obligatoire d’un raciste ?

      Ces héritiers et héritières d’une longue tradition politique liée aux luttes sociales révèle ainsi leur déconnexion avec les mobilisation d’aujourd’hui, celles qui de #MeToo à Black Lives Matter ébranlent le monde et nous interrogent sur quelle humanité nous voulons être au moment où notre survie est officiellement en question. Ces mouvements de fond martèlent, 74 ans après Aimé Césaire, que « l’heure de nous-mêmes a sonné. »

      Nul doute, hélas, que ce qui fait ainsi dériver des femmes et des hommes issus de la #gauche, c’est le poids pas toujours avoué, mais prégnant et souvent irrationnel, de l’#islamophobie. Cette adhésion générale à un complotisme d’État (https://blogs.mediapart.fr/alain-bertho/blog/041220/l-etat-t-il-le-monopole-du-complotisme-legitime) touche plus fortement les espaces partisans, voire universitaires, que le monde associatif. On a pu le constater lors de la dissolution du #Collectif_contre_l’islamophobie_en_France (#CCIF) fin 2020 quand la fermeté les protestations de la Ligue des droits de l’Homme (https://blogs.mediapart.fr/gabas/blog/031220/ldh-dissolution-politique-du-ccif) ou d’Amnesty international (https://www.amnesty.fr/presse/france-la-fermeture-dune-association-antiraciste-e) n’a eu d’égale que la discrétion de la gauche politique. La palme du mois d’avril revient sans conteste à #Caroline_Fourest (https://twitter.com/i/status/1384567288922259467) qui lors du lancement des États Généraux de la Laïcité a pu déclarer sans frémir que « ce mot islamophobie a tué les dessinateurs de Charlie Hebdo et il a tué le professeur Samuel Paty ».

      Oui voilà ou nous en sommes. La menace d’une victoire du #Rassemblement_national ne se lit pas que dans les sondages. Elle se lit dans les #renoncements. Elle s’enracine dans la banalisation voire le partage de ses thématiques disciplinaires, de ses émotions islamophobes, de son vocabulaire même.

      L’évitement politique du réel

      Il faut vraiment vivre dans une bulle, au rythme de réseaux sociaux hégémonisés par l’extrême droite, loin des réalités des quartiers populaires, pour considérer que l’islam et les réunions non mixtes sont les causes premières du délitement des relations collectives et politiques dans ce pays.

      Quelle République, quelle démocratie, quelle liberté défend-on ici avec ces passions tristes ? Depuis plus d’un an, la réponse gouvernementale à l’épreuve sanitaire les a réduites à l’état de fantômes. L’#état_d’urgence sanitaire est reconduit de vague en vague de contamination. Notre vie est bornée par des contrôles, des interdictions et des attestations. Les décisions qui la règlent sont prises par quelques-uns dans le secret délibératif d’un Conseil de défense. Nous vivons suspendus aux annonces du président et de quelques ministres et, de plus de plus en plus, du président seul, autoproclamé expert omniscient en gestion de pandémie. Nous n’avons plus prise sur notre vie sociale, sur nos horaires, sur notre agenda, sur notre avenir même très proche. Nous n’avons plus de lieu de délibération, ces lieux qui des clubs révolutionnaires de 1789 aux ronds-points des gilets jaunes, en passant par la Place Tahrir et la Puerta Del Sol en 2011 sont l’ADN de la #démocratie.

      La violence de la menace létale mondiale que font peser sur nous le Covid et ses variants successifs nous fait espérer que cette épreuve prendra fin, que la parenthèse se refermera. Comme dans une période de guerre (https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/070221/stephane-audoin-rouzeau-nous-traversons-l-experience-la-plus-tragique-depu), cet espoir toujours déçu se renouvelle sans fin à chaque annonce moins pessimiste, à chaque communication gouvernementale sur les terrasses jusqu’à la déception suivante. Cette #précarité sans fin est un obstacle collectif à la #résistance_démocratique, à la critique sociale, idéologique et opératoire de cette période qui s’ouvre et sera sans doute durable. C’est bien dans ce manque politique douloureux que s’engouffrent tous les complotismes de Q-Anon à l’islamophobie d’État.

      Depuis le printemps 2020 (www.regards.fr/politique/societe/article/covid-19-un-an-deja-chronique-d-une-democratie-desarticulee), les partis d’opposition ont cessé d’être dans l’élaboration et la proposition politique en lien avec la situation sanitaire. Le monologue du pouvoir ne provoque plus sporadiquement que des réactions, jamais d’alternative stratégique ni sur la réponse hospitalière, ni sur la stratégie vaccinale, ni sur l’agenda des restrictions sociales. Même l’absence de publication, des semaines durant début 2021, des avis du Conseil scientifique n’émeut pas des politiques beaucoup plus préoccupés par les réunions non mixtes à l’Unef.

      Attac (https://france.attac.org/spip.php?page=recherche&recherche=covid) n’est pas beaucoup plus proactif malgré la publication sur son site en novembre 2020 d’un texte tout à fait pertinent de Jacques Testard sur la #démocratie_sanitaire. En général les think tanks sont plutôt discrets. L’Institut Montaigne est silencieux sur la stratégie sanitaire tout comme la Fondation Copernic qui n’y voit pas l’occasion de « mettre à l’endroit ce que le libéralisme fait fonctionner à l’envers ». Si le think tank Économie Santé des Échos déplore le manque de vision stratégique sanitaire, seule Terra Nova semble avoir engagé un véritable travail : une cinquantaine de contributions (https://tnova.fr/ckeditor_assets/attachments/218/terra-nova_dossier-de-presse_cycle-coronavirus-regards-sur-une-crise_2020.pdf), des propositions (https://tnova.fr/revues/covid-19-le-think-tank-terra-nova-fait-des-propositions-pour-limiter-les-conta) sur l’organisation de la rentrée scolaire du 26 avril 2021, des propositions sur la stratégie vaccinale…

      Pourquoi cette #inertie_collective sur les choix stratégiques ? Ce ne sont pas les sujets qui manquent tant la stratégie gouvernementale ressemble à tout sauf à une stratégie sanitaire. Sur le fond, aucun débat n’est ouvert sur le choix entre stratégie de cohabitation avec la maladie ou d’éradication virale. Ce débat aurait eu le mérite d’éclairer les incohérences gouvernementales comme la communication sur le « tester/tracer/isoler » de 2020 qui n’a été suivie d’aucun moyen opérationnel et humain nécessaire à sa mise en œuvre. Il aurait permis de discuter une stratégie vaccinale entièrement fondée sur l’âge (et donc la pression hospitalière) et non sur la circulation active du virus et la protection des métiers à risque. Cette stratégie a fait battre des records vaccinaux dans des territoires aux risques faibles et laissé à l’abandon les territoires les plus touchés par la surmortalité comme la Seine-Saint-Denis.

      Pourquoi cette inertie collective sur la démocratie sanitaire ? Les appels dans ce sens n’ont pourtant pas manqué à commencé par les recommandations du Conseil Scientifique dès mars 2020 : le texte de Jacques Testard (https://france.attac.org/nos-publications/les-possibles/numero-25-automne-2020/debats/article/la-covid-la-science-et-le-citoyen), un article de The Conversation (https://theconversation.com/debat-quelles-lecons-de-democratie-tirer-de-la-pandemie-140157) au mois de juin 2020, l’excellent « tract » de #Barbara_Stiegler, De la démocratie en pandémie, paru chez Gallimard en janvier 2021 et assez bien relayé. Des propositions, voire des expérimentations, en termes de délibération et de construction collective des mesures sanitaires territorialisées, des contre expertises nationales basées sur des avis scientifiques et une mobilisation populaire auraient sans doute mobilisé de façon positive la polyphonie des exaspérations. On a préféré laisser réprimer la mobilisation lycéenne (https://blogs.mediapart.fr/alain-bertho/blog/181120/sommes-nous-aux-portes-de-la-nuit) pour de vraies mesures sanitaires en novembre 2020.

      Bref la construction de masse d’une alternative à l’incapacité autoritaire du pouvoir aurait pu, pourrait encore donner corps et usage à la démocratie, aujourd’hui désarticulée (https://blogs.mediapart.fr/alain-bertho/blog/160321/covid-un-deja-chronique-d-une-democratie-desarticulee), qu’il nous faut essayer de défendre, pourrait incarner la République dans des exigences sociales et une puissance populaire sans lesquelles elle risque toujours de n’être qu’un discours de domination.

      Une autre élection est-elle encore possible ?

      Entre cet étouffement démocratique de masse et l’immensité des choix de société suggérés au quotidien par la crise sanitaire, le grain à moudre ne manque pas pour des courants politiques héritiers d’une tradition émancipatrice. Leur responsabilité est immense quand l’humanité est mise au pied du mur de sa survie et de l’idée qu’elle se fait d’elle-même. Mais ces partis préfèrent eux aussi considérer la situation sanitaire comme une simple parenthèse à refermer, se projetant sur les échéances de 2022 comme pour oublier 2020 et 2021. Il est ahurissant de penser que, après 14 mois de pandémie, la politique sanitaire ne soit pas au centre des élections territoriales de ce printemps, sinon pour une question d’agenda.

      En « rêvant d’une autre élection » comme d’autres ont rêvé d’un autre monde, la gauche permet tout simplement au président en exercice de s’exonérer de son bilan dramatique : un système de santé et des soignantes et soignants mis en surchauffe des mois durant, une mise en suspens de milliers de soins parfois urgents, des dizaines de milliers de Covid longs, plus de 100.000 morts, des territoires et des populations délibérément sacrifiés, des inégalités devant la mort et la maladie largement calquées sur les inégalités sociales et les discriminations, une vie sociale dévastée, une démocratie en miettes, une faillite biopolitique structurelle.

      Comment lui en faire porter la responsabilité si on ne peut lui opposer aucune alternative ? Le pouvoir s’en réjouit d’avance et, renversant la charge de la preuve, semaine après semaine, somme chacune et chacun de présenter un bilan sur l’agenda qu’il déroule sans rencontrer beaucoup de résistance : les politiques sécuritaires et l’islamophobie d’État. Or, ce concours électoraliste du prix de la « laïcité », de la condamnation de l’islamisme, de la condamnation des formes contemporaines de lutte contre les discriminations, nous savons qui en sera la championne incontestée : elle en maîtrise à merveille les thématiques, le vocabulaire comme la véhémence.

      Voici ce que les sondages, jour après jour, mesurent et nous rappellent. Dans ces conditions, l’absence de dynamique unitaire à gauche n’est pas la cause de la défaite annoncée, elle est déjà le résultat d’une perte majoritaire de boussole politique, le résultat d’une sorte d’évitement du réel, le résultat d’un abandon.

      « L’étrange défaite » de juin 1940 a pris racine dans le ralliement des classes dirigeantes à la nécessité d’un pouvoir policier et discriminatoire. Nous y sommes. « L’étrange défaite » s’est nourrie de la pusillanimité d’une gauche désertant les vrais combats pour la démocratie, de la défense de l’Espagne républicaine au barrage contre un racisme aussi déchaîné qu’expiatoire. Nous y sommes sur les enjeux de notre temps. « L’étrange défaite » a été la fille du consensus munichois et de la capitulation anticipée. Nous y sommes. « L’étrange défaite » a été suivie de la mort d’une République. L’appel militaire du 21 avril en fait planer la menace.

      À l’exceptionnalité de la période traumatique qui bouleverse depuis 14 mois en profondeur nos repères politiques, sociaux et vitaux, s’ajoute l’exceptionnalité de l’échéance institutionnelle du printemps 2022. Il est dérisoire d’y voir la énième occasion de porter un message minoritaire, dérisoire de donner le spectacle d’une querelle d’egos, dérisoire de jouer à qui sera responsable de la défaite. Le salut ne sera pas dans un compromis défensif sans principe mais dans un sursaut collectif d’ambition.

      Il est temps de prendre la mesure du temps que nous vivons, car il est toujours temps de résister. Comme concluait Marc Bloch en septembre 1940, « peut-être est-ce une bonne chose d’être ainsi contraints de travailler dans la rage », car « est-ce à des soldats qu’il faut, sur un champ de bataille, conseiller la peur de l’aventure ? » Il ajoutait que « notre peuple mérite qu’on se fie à lui et qu’on le mette dans la confidence ».

      http://www.regards.fr/idees-culture/article/2022-l-etrange-defaite-qui-vient
      #non-mixité

  • Qui est complice de qui ? Les #libertés_académiques en péril

    Professeur, me voici aujourd’hui menacé de décapitation. L’offensive contre les musulmans se prolonge par des attaques contre la #pensée_critique, taxée d’islamo-gauchisme. Celles-ci se répandent, des réseaux sociaux au ministre de l’Éducation, des magazines au Président de la République, pour déboucher aujourd’hui sur une remise en cause des libertés académiques… au nom de la #liberté_d’expression !

    Je suis professeur. Le 16 octobre, un professeur est décapité. Le lendemain, je reçois cette menace sur Twitter : « Je vous ai mis sur ma liste des connards à décapiter pour le jour où ça pétera. Cette liste est longue mais patience : vous y passerez. »

    C’est en réponse à mon tweet (https://twitter.com/EricFassin/status/1317246862093680640) reprenant un billet de blog publié après les attentats de novembre 2015 (https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/161115/nous-ne-saurions-vouloir-ce-que-veulent-nos-ennemis) : « Pour combattre le #terrorisme, il ne suffit pas (même s’il est nécessaire) de lutter contre les terroristes. Il faut surtout démontrer que leurs actes sont inefficaces, et donc qu’ils ne parviennent pas à nous imposer une politique en réaction. » Bref, « nous ne saurions vouloir ce que veulent nos ennemis » : si les terroristes cherchent à provoquer un « conflit des civilisations », nous devons à tout prix éviter de tomber dans leur piège.

    Ce n’est pas la première fois que je reçois des #menaces_de_mort. Sur les réseaux sociaux, depuis des années, des trolls me harcèlent : les #insultes sont quotidiennes ; les menaces, occasionnelles. En 2013, pour Noël, j’ai reçu chez moi une #lettre_anonyme. Elle recopiait des articles islamophobes accusant la gauche de « trahison » et reproduisaient un tract de la Résistance ; sous une potence, ces mots : « où qu’ils soient, quoi qu’ils fassent, les traîtres seront châtiés. » Je l’analysais dans Libération (https://www.liberation.fr/societe/2014/01/17/le-nom-et-l-adresse_973667) : « Voilà ce que me signifie le courrier reçu à la maison : on sait où tu habites et, le moment venu, on saura te trouver. » J’ajoutais toutefois : « l’#extrême_droite continue d’avancer masquée, elle n’ose pas encore dire son nom. » Or ce n’est plus le cas. Aujourd’hui, les menaces sont signées d’une figure connue de la mouvance néonazie. J’ai donc porté #plainte. C’est en tant qu’#universitaire que je suis visé ; mon #université m’accorde d’ailleurs la #protection_fonctionnelle.

    Ainsi, les extrêmes droites s’enhardissent. Le 29 octobre, l’#Action_française déploie impunément une banderole place de la Concorde : « Décapitons la République ! »

    C’est quelques heures après un nouvel attentat islamiste à Nice, mais aussi après une tentative néofasciste avortée en Avignon. Avant d’être abattu, l’homme a menacé d’une arme de poing un commerçant maghrébin. Il se réclamait de #Génération_identitaire, dont il portait la veste avec le logo « #Defend_Europe », justifiant les actions du groupe en Méditerranée ou à la frontière franco-italienne ; un témoin a même parlé de #salut_nazi (https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/vaucluse/avignon/avignon-homme-arme-couteau-abattu-policiers-1889172.htm). Le procureur de la République se veut pourtant rassurant : « c’est un Français, né en France, qui n’a rien à voir avec la religion musulmane ». Et de conclure : « nous avons plus affaire à un #déséquilibré, qui semble proche de l’extrême droite et a fait des séjours en psychiatrie. Il n’y a pas de revendication ». « Comme dans le cas de l’attentat de la mosquée de Bayonne perpétré par un ancien candidat FN en octobre 2019 » (https://www.mediapart.fr/journal/france/281019/attentat-bayonne-l-ex-candidat-fn-en-garde-vue?onglet=full), note Mediapart, « le parquet national antiterroriste n’a pas voulu se saisir de l’affaire ». Ce fasciste était un fou, nous dit-on, pas un terroriste islamiste : l’attaque d’Avignon est donc passée presque inaperçue.

    Si les #Identitaires se pensent aux portes du pouvoir, c’est aussi que certains médias ont préparé le terrain. En une, l’#islamophobie y alterne avec la dénonciation des universitaires antiracistes (j’y suis régulièrement pointé du doigt) (https://www.lepoint.fr/politique/ces-ideologues-qui-poussent-a-la-guerre-civile-29-11-2018-2275275_20.php). Plus grave encore, l’extrême droite se sent encouragée par nos gouvernants. Le président de la République lui-même, qui a choisi il y a un an de parler #communautarisme, #islam et #immigration dans #Valeurs_actuelles, s’inspire des réseaux sociaux et des magazines. « Le monde universitaire a été coupable. Il a encouragé l’#ethnicisation de la question sociale en pensant que c’était un bon filon. Or, le débouché ne peut être que sécessionniste. » Selon Le Monde du 10 juin 2020, Emmanuel Macron vise ici les « discours racisés (sic) ou sur l’intersectionnalité. » Dans Les Inrocks (https://www.lesinrocks.com/2020/06/12/idees/idees/eric-fassin-le-president-de-la-republique-attise-lanti-intellectualisme), je m’inquiétais alors de cet #anti-intellectualisme : « Des sophistes qui corrompent la jeunesse : à quand la ciguë ? » Nous y sommes peut-être.

    Car du #séparatisme, on passe aujourd’hui au #terrorisme. En effet, c’est au tour du ministre de l’Éducation nationale de s’attaquer le 22 octobre, sur Europe 1, à « l’islamo-gauchisme » qui « fait des ravages à l’Université » : il dénonce « les #complices_intellectuels du terrorisme. » « Qui visez-vous ? », l’interroge Le JDD (https://www.lejdd.fr/Politique/hommage-a-samuel-paty-lutte-contre-lislamisme-blanquer-precise-au-jdd-ses-mesu). Pour le ministre, « il y a un combat à mener contre une matrice intellectuelle venue des universités américaines et des #thèses_intersectionnelles, qui veulent essentialiser les communautés et les identités, aux antipodes de notre #modèle_républicain ». Cette idéologie aurait « gangrené une partie non négligeable des #sciences_sociales françaises » : « certains font ça consciemment, d’autres sont les idiots utiles de cette cause. » En réalité, l’intersectionnalité permet d’analyser, dans leur pluralité, des logiques discriminatoires qui contredisent la rhétorique universaliste. La critique de cette assignation à des places racialisées est donc fondée sur un principe d’#égalité. Or, à en croire le ministre, il s’agirait « d’une vision du monde qui converge avec les intérêts des islamistes. » Ce qui produit le séparatisme, ce serait donc, non la #ségrégation, mais sa dénonciation…

    Si #Jean-Michel_Blanquer juge « complices » celles et ceux qui, avec le concept d’intersectionnalité, analysent la #racialisation de notre société pour mieux la combattre, les néofascistes parlent plutôt de « #collabos » ; mais les trolls qui me harcèlent commencent à emprunter son mot. En France, si le ministre de l’Intérieur prend systématiquement le parti des policiers, celui de l’Éducation nationale fait de la politique aux dépens des universitaires. #Marion_Maréchal peut s’en féliciter : ce dernier « reprend notre analyse sur le danger des idéologies “intersectionnelles” de gauche à l’Université. »


    https://twitter.com/MarionMarechal/status/1321008502291255300
    D’ailleurs, « l’islamo-gauchisme » n’est autre que la version actuelle du « #judéo-bolchévisme » agité par l’extrême droite entre les deux guerres. On ne connaît pourtant aucun lien entre #Abdelhakim_Sefrioui, mis en examen pour « complicité d’assassinat » dans l’enquête sur l’attentat de #Conflans, et la gauche. En revanche, le ministre ne dit pas un mot sur l’extrême droite, malgré les révélations de La Horde (https://lahorde.samizdat.net/2020/10/20/a-propos-dabdelhakim-sefrioui-et-du-collectif-cheikh-yassine) et de Mediapart (https://www.mediapart.fr/journal/france/221020/attentat-de-conflans-revelations-sur-l-imam-sefrioui?onglet=full) sur les liens de l’imam avec des proches de #Marine_Le_Pen. Dans le débat public, jamais il n’est question d’#islamo-lepénisme, alors même que l’extrême droite et les islamistes ont en commun une politique du « #conflit_des_civilisations ».

    Sans doute, pour nos gouvernants, attaquer des universitaires est-il le moyen de détourner l’attention de leurs propres manquements : un professeur est mort, et on en fait porter la #responsabilité à d’autres professeurs… De plus, c’est l’occasion d’affaiblir les résistances contre une Loi de programmation de la recherche qui précarise davantage l’Université. D’ailleurs, le 28 octobre, le Sénat vient d’adopter un amendement à son article premier (https://www.senat.fr/amendements/2020-2021/52/Amdt_234.html) : « Les libertés académiques s’exercent dans le respect des #valeurs_de_la_République », « au premier rang desquelles la #laïcité ». Autrement dit, ce n’est plus seulement le code pénal qui définirait les limites de la liberté d’expression des universitaires. Des collègues, désireux de régler ainsi des différends scientifiques et politiques, appuient cette offensive en réclamant dans Le Monde la création d’une « instance chargée de faire remonter directement les cas d’atteinte aux #principes _épublicains et à la liberté académique »… et c’est au nom de « la #liberté_de_parole » (https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/31/une-centaine-d-universitaires-alertent-sur-l-islamisme-ce-qui-nous-menace-c-) ! Bref, comme l’annonce sombrement le blog Academia (https://academia.hypotheses.org/27401), c’est « le début de la fin. » #Frédérique_Vidal, ministre de l’Enseignement supérieur et de la recherche, le confirme sans ambages : « Les #valeurs de la laïcité, de la République, ça ne se discute pas. »


    https://twitter.com/publicsenat/status/1322076232918487040
    Pourtant, en démocratie, débattre du sens qu’on veut donner à ces mots, n’est-ce pas l’enjeu politique par excellence ? Qui en imposera la définition ? Aura-t-on encore le droit de critiquer « les faux dévots de la laïcité » (https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/101217/les-faux-devots-de-la-laicite-islamophobie-et-racisme-anti-musulmans) ?

    Mais ce n’est pas tout. Pourquoi s’en prendre aux alliés blancs des minorités discriminées, sinon pour empêcher une solidarité qui dément les accusations de séparatisme ? C’est exactement ce que les terroristes recherchent : un monde binaire, en noir et blanc, sans « zone grise » (https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/260716/terrorisme-la-zone-grise-de-la-sexualite), où les musulmans feraient front avec les islamistes contre un bloc majoritaire islamophobe. Je l’écrivais dans ce texte qui m’a valu des menaces de décapitation : nos dirigeants « s’emploient à donner aux terroristes toutes les raisons de recommencer. » Le but de ces derniers, c’est en effet la #guerre_civile. Qui sont donc les « #complices_intellectuels » du terrorisme islamiste ? Et qui sont les « idiots utiles » du #néofascisme ?

    En France, aujourd’hui, les #droits_des_minorités, religieuses ou pas, des réfugiés et des manifestants sont régulièrement bafoués ; et quand des ministres s’attaquent, en même temps qu’à une association de lutte contre l’islamophobie, à des universitaires, mais aussi à l’Unef (après SUD Éducation), à La France Insoumise et à son leader, ou bien à Mediapart et à son directeur, tous coupables de s’engager « pour les musulmans », il faut bien se rendre à l’évidence : la #démocratie est amputée de ses #libertés_fondamentales. Paradoxalement, la France républicaine d’Emmanuel #Macron ressemble de plus en plus, en dépit des gesticulations, à la Turquie islamiste de Recep Tayyip Erdogan, qui persécute, en même temps que la minorité kurde, des universitaires, des syndicalistes, des médias libres et des partis d’opposition.

    Pour revendiquer la liberté d’expression, il ne suffit pas d’afficher des caricatures ; l’esprit critique doit pouvoir se faire entendre dans les médias et dans la rue, et partout dans la société. Sinon, l’hommage à #Samuel_Paty serait pure #hypocrisie. Il faut se battre pour la #liberté_de_la_pensée, de l’engagement et de la recherche. Il importe donc de défendre les libertés académiques, à la fois contre les menaces des réseaux sociaux et contre l’#intimidation_gouvernementale. À l’heure où nos dirigeants répondent à la terreur par une #politique_de_la_peur, il y a de quoi trembler pour la démocratie.

    https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/011120/qui-est-complice-de-qui-les-libertes-academiques-en-peril
    #Eric_Fassin #intersectionnalité #SHS #universalisme #Blanquer #complicité

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    Pour compléter le fil de discussion commencé par @gonzo autour de :
    Jean-François Bayart : « Que le terme plaise ou non, il y a bien une islamophobie d’Etat en France »
    https://seenthis.net/messages/883974

    ping @isskein @karine4 @cede

    • Une centaine d’universitaires alertent : « Sur l’islamisme, ce qui nous menace, c’est la persistance du déni »

      Dans une tribune au « Monde », des professeurs et des chercheurs de diverses sensibilités dénoncent les frilosités de nombre de leurs pairs sur l’islamisme et les « idéologies indigénistes, racialistes et décoloniales », soutenant les propos de Jean-Michel Blanquer sur « l’islamo-gauchisme ».

      Tribune. Quelques jours après l’assassinat de Samuel Paty, la principale réaction de l’institution qui est censée représenter les universités françaises, la Conférence des présidents d’université (CPU), est de « faire part de l’émotion suscitée » par des propos de Jean-Michel Blanquer sur Europe 1 et au Sénat le 22 octobre. Le ministre de l’éducation nationale avait constaté sur Europe 1 que « l’islamo-gauchisme fait des ravages à l’université », notamment « quand une organisation comme l’UNEF cède à ce type de choses ». Il dénonçait une « idéologie qui mène au pire », notant que l’assassin a été « conditionné par des gens qui encouragent cette #radicalité_intellectuelle ». Ce sont des « idées qui souvent viennent d’ailleurs », le #communautarisme, qui sont responsables : « Le poisson pourrit par la tête. » Et au Sénat, le même jour, Jean-Michel Blanquer confirmait qu’il y a « des courants islamo-gauchistes très puissants dans les secteurs de l’#enseignement_supérieur qui commettent des dégâts sur les esprits. Et cela conduit à certains problèmes, que vous êtes en train de constater ».

      Nous, universitaires et chercheurs, ne pouvons que nous accorder avec ce constat de Jean-Michel Blanquer. Qui pourrait nier la gravité de la situation aujourd’hui en France, surtout après le récent attentat de Nice – une situation qui, quoi que prétendent certains, n’épargne pas nos universités ? Les idéologies indigéniste, racialiste et « décoloniale » (transférées des campus nord-américains) y sont bien présentes, nourrissant une haine des « Blancs » et de la France ; et un #militantisme parfois violent s’en prend à ceux qui osent encore braver la #doxa_antioccidentale et le prêchi-prêcha multiculturaliste. #Houria_Bouteldja a ainsi pu se féliciter début octobre que son parti décolonial, le #Parti_des_indigènes_de_la_République [dont elle est la porte-parole], « rayonne dans toutes les universités ».

      La réticence de la plupart des universités et des associations de spécialistes universitaires à désigner l’islamisme comme responsable de l’assassinat de Samuel Paty en est une illustration : il n’est question dans leurs communiqués que d’« #obscurantisme » ou de « #fanatisme ». Alors que le port du #voile – parmi d’autres symptômes – se multiplie ces dernières années, il serait temps de nommer les choses et aussi de prendre conscience de la responsabilité, dans la situation actuelle, d’idéologies qui ont pris naissance et se diffusent dans l’université et au-delà. L’importation des idéologies communautaristes anglo-saxonnes, le #conformisme_intellectuel, la #peur et le #politiquement_correct sont une véritable menace pour nos universités. La liberté de parole tend à s’y restreindre de manière drastique, comme en ont témoigné récemment nombre d’affaires de #censure exercée par des groupes de pression.

      « Nous demandons à la ministre de prendre clairement position contre les idéologies qui sous-tendent les #dérives_islamistes »

      Ce qui nous menace, ce ne sont pas les propos de Jean-Michel Blanquer, qu’il faut au contraire féliciter d’avoir pris conscience de la gravité de la situation : c’est la persistance du #déni. La CPU affirme dans son communiqué que « la recherche n’est pas responsable des maux de la société, elle les analyse ». Nous n’en sommes pas d’accord : les idées ont des conséquences et les universités ont aussi un rôle essentiel à jouer dans la lutte pour la défense de la laïcité et de la liberté d’expression. Aussi nous étonnons-nous du long silence de Frédérique Vidal, la ministre de l’enseignement supérieur, de la recherche et de l’innovation, qui n’est intervenue le 26 octobre que pour nous assurer que tout allait bien dans les universités. Mais nous ne sommes pas pour autant rassurés.

      Nous demandons donc à la ministre de mettre en place des mesures de #détection des #dérives_islamistes, de prendre clairement position contre les idéologies qui les sous-tendent, et d’engager nos universités dans ce combat pour la laïcité et la République en créant une instance chargée de faire remonter directement les cas d’atteinte aux principes républicains et à la liberté académique. Et d’élaborer un guide de réponses adaptées, comme cela a été fait pour l’éducation nationale.

      Premiers signataires : Laurent Bouvet, politiste, professeur des universités ; Jean-François Braunstein, philosophe, professeur des universités ; Jeanne Favret-Saada, anthropologue, directrice d’études honoraire à l’Ecole pratique des hautes études ; Luc Ferry, ancien ministre de l’éducation nationale (2002-2004) ; Renée Fregosi, politiste, maîtresse de conférences HDR en science politique ; Marcel Gauchet, philosophe, directeur d’études émérite à l’Ecole des hautes études en sciences sociales ; Nathalie Heinich, sociologue, directrice de recherche au CNRS ; Gilles Kepel, politiste, professeur des universités ; Catherine Kintzler, philosophe, professeure honoraire des universités ; Pierre Nora, historien, membre de l’Académie française ; Pascal Perrineau, politiste professeur des universités ; Pierre-André Taguieff, historien des idées, directeur de recherche au CNRS ; Pierre Vermeren, historien, professeur des universités

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      Liste complète des signataires :

      Signataires

      Daniel Aberdam, directeur de recherches à l’INSERM – Francis Affergan, professeur émérite des Universités – Alya Aglan, professeur des Universités – Jean-François Agnèse, directeur de recherches IRD – Joëlle Allouche-Benayoun, chargée de recherche au CNRS – Éric Anceau, maître de conférences HDR – Julie d’Andurain, professeur des Universités – Sophie Archambault de Beaune, professeur des Universités – Mathieu Arnold, professeur des Universités – Roland Assaraf, chargé de recherche au CNRS – Philippe Avril, professeur émérite des Universités – Isabelle Barbéris, maître de conférences HDR – Clarisse Bardiot, maître de conférences HDR – Patrick Barrau, maître de conférences honoraire – Christian Bassac, professeur honoraire des Universités – Myriam Benarroch, maître de conférences – Martine Benoit, professeur des Universités – Wladimir Berelowitsch, directeur d’études à l’EHESS – Florence Bergeaud-Blackler, chargée de recherche au CNRS – Maurice Berger, ancien professeur associé des Universités – Marc Bied-Charrenton, professeur émérite des Universités – Andreas Bikfalvi, professeur des Universités – Jacques Billard, maître de conférences honoraire – Jean-Cassien Billier, maître de conférences – Alain Blanchet, professeur émérite des Universités – Guillaume Bonnet, professeur des Universités – ​Laurent Bouvet, professeur des Universités – Rémi Brague, professeur des Universités – Joaquim Brandão de Carvalho, professeur des Universités – Jean-François Braunstein, professeur des Universités – Christian Brechot, professeur émérite des Universités – Stéphane Breton, directeur d’études à l’EHESS – Jean-Marie Brohm, professeur émérite des Universités – Michelle-Irène Brudny, professeur honoraire des Universités – Patrick Cabanel, directeur d’études, École pratique des hautes études – Christian Cambillau, directeur de recherches émérite au CNRS – Belinda Cannone, maître de conférences – Dominique Casajus, directeur de recherches émérite au CNRS – Sylvie Catellin, maître de conférences – Brigitte Chapelain, maître de conférences – Jean-François Chappuit, maître de conférences – Patrick Charaudeau, professeur émérite des Universités – Blandine Chelini-Pon, professeur des Universités – François Cochet, professeur émérite des Universités – Geneviève Cohen-Cheminet, professeur des Universités – Jacqueline Costa-Lascoux, directrice de recherche au CNRS – Cécile Cottenceau, PRAG Université – Philippe Crignon, maître de conférences – David Cumin, maître de conférences HDR – Jean-Claude Daumas, professeur émérite des Universités – Daniel Dayan, directeur de recherches au CNRS – Chantal Delsol, membre de l’Académie des sciences morales et politiques – Gilles Denis, maître de conférences HDR – Geneviève Dermenjian, maître de conférences HDR – Albert Doja, professeur des Universités – Michel Dreyfus, directeur de recherche au CNRS – Philippe Dupichot, professeur des Universités – Alain Ehrenberg, directeur émérite de recherche au CNRS – Marie-Claude Esposito, professeur émérite des Universités – Jean-Louis Fabiani, directeur d’études à l’EHES – Jeanne Favret-Saada, directrice d’études honoraire à l’EPHE – Laurent Fedi, maître de conférences – Rémi Ferrand, maître de conférences – Luc Ferry, ancien ministre de l’Éducation nationale – Michel Fichant, professeur émérite des Universités – Dominique Folscheid, professeur émérite des Universités – Nicole Fouché, chercheuse CNRS-EHESS - Annie Fourcaut, professeur des Universités – Renée Fregosi, maître de conférences HDR retraitée – Pierre Fresnault-Deruelle, professeur émérite des Universités – Marc Fryd, maître de conférences HDR – Alexandre Gady, professeur des Universités – Jean-Claude Galey, directeur d’études à l’EHESS – Marcel Gauchet, directeur d’études à l’EHESS – Christian Gilain, professeur émérite des Universités – Jacques-Alain Gilbert, professeur des Universités – Gabriel Gras, chargé de recherche au CEA – Yana Grinshpun, maître de conférences – Patrice Gueniffey, directeur d’études à l’EHESS – Éric Guichard, maître de conférences HDR – Jean-Marc Guislin, professeur émérite des Universités – Charles Guittard, professeur des Universités – Philippe Gumplowicz, professeur des Universités – Claude Habib, professeur émérite des Universités – François Heilbronn, professeur des Universités associé à Sciences-Po – Nathalie Heinich, directrice de recherche au CNRS – Marc Hersant, professeur des Universités – Philippe d’Iribarne, directeur de recherche au CNRS – François Jost, professeur émérite des Universités – Olivier Jouanjan, professeur des Universités – Pierre Jourde, professeur émérite des Universités – Gilles Kepel, professeur des Universités – Catherine Kintzler, professeur honoraire des Universités – Marcel Kuntz, directeur de recherche au CNRS – Bernard Labatut, maître de conférence HDR – Monique Lambert, professeur des Universités – Frédérique de La Morena, maître de conférences – Philippe de Lara, maître de conférences HDR – Philippe Larralde, PRAG Université – Dominique Legallois, professeur des Universités – Anne Lemonde, maître de conférences – Anne-Marie Le Pourhiet, professeur des Universités – Andrée Lerousseau, maître de conférences – Franck Lessay, professeur émérite des Universités – Marc Levilly, maître de conférences associé – Carlos Levy, professeur émérite des Universités – Roger Lewandowski, professeur des Universités – Philippe Liger-Belair, maître de conférences – Laurent Loty, chargé de recherche au CNRS – Catherine Louveau, professeur émérite des Universités – Danièle Manesse, professeur émérite des Universités – Jean-Louis Margolin, maître de conférences – Joseph Martinetti, maître de conférences – Céline Masson, professeur des Universités – Jean-Yves Masson, professeur des Universités – Eric Maulin, professeur des Universités – Samuel Mayol, maître de conférences – Isabelle de Mecquenem, PRAG Université – Ferdinand Mélin-Soucramanien, professeur des Universités – Marc Michel, professeur émérite des Universités –​ Jean-Baptiste Minnaert, professeur des Universités – Nathalie Mourgues, professeur émérite des Universités – Lion Murard, chercheur associé au CERMES – Franck Neveu, professeur des Universités – Jean-Pierre Nioche, professeur émérite à HEC – Pierre Nora, membre de l’Académie française – Jean-Max Noyer, professeur émérite des Universités – Dominique Ottavi, professeur émérite des Universités – Bruno Ollivier, professeur des Universités, chercheur associé au CNRS – Gilles Pages, directeur de recherche à l’INSERM – Marc Perelman, professeur des Universités – Pascal Perrineau, professeur des Universités – Laetitia Petit, maître de conférences des Universités – Jean Petitot, directeur d’études à l’EHESS – Béatrice Picon-Vallin, directrice de recherches au CNRS – René Pommier, maître de conférences – Dominique Pradelle, professeur des Universités – André Quaderi, professeur des Universités – Gérard Rabinovitch, chercheur associé au CNRS-CRPMS – Charles Ramond, professeur des Universités – Jean-Jacques Rassial, professeur émérite des Universités – François Rastier, directeur de recherche au CNRS – Philippe Raynaud, professeur émérite des Universités – Dominique Reynié, professeur des Universités – Isabelle Rivoal, directrice de recherches au CNRS – Jean-Jacques Roche, professeur des Universités – Pierre Rochette, professeur des Universités – Marc Rolland, professeur des Universités – Danièle Rosenfeld-Katz, maître de conférences – Bernard Rougier, professeur des Universités – Andrée Rousseau, maîtresse de conférences – Jean-Michel Roy, professeur des Universités – François de Saint-Chéron, maître de conférences HDR – Jacques de Saint-Victor, professeur des Universités – Xavier-Laurent Salvador, maître de conférences HDR – Jean-Baptiste Santamaria, maître de conférences – Yves Santamaria, maître de conférences – Georges-Elia Sarfati, professeur des Universités – Jean-Pierre Schandeler, chargé de recherche au CNRS – Pierre Schapira, professeur émérite des Universités – Martine Segalen, professeur émérite des Universités – Perrine Simon-Nahum, directrice de recherche au CNRS – Antoine Spire, professeur associé à l’Université – Claire Squires, maître de conférences – Marcel Staroswiecki, professeur honoraire des Universités – Wiktor Stoczkowski, directeur d’études à l’EHESS – Jean Szlamowicz, professeur des Universités – Pierre-André Taguieff, directeur de recherche au CNRS – Jean-Christophe Tainturier, PRAG Université – Jacques Tarnero, chercheur à la Cité des sciences et de l’industrie – Michèle Tauber, maître de conférences HDR – Pierre-Henri Tavoillot, maître de conférences HDR – Alain Tedgui, directeur de recherches émérite à l’INSERM – ​Thibault Tellier, professeur des Universités – Françoise Thom, maître de conférences HDR – André Tiran, professeur émérite des Universités – Antoine Triller, directeur de recherches émérite à l’INSERM – Frédéric Tristram, maître de conférences HDR – Sylvie Toscer-Angot, maître de conférences – Vincent Tournier, maître de conférences – Christophe Tournu, professeur des Universités – Serge Valdinoci, maître de conférences – Raymonde Vatinet, professeur des Universités – Gisèle Venet, professeur émérite des Universités – François Vergne, maître de conférences – Gilles Vergnon, maître de conférences HDR – Pierre Vermeren, professeur des Universités – Nicolas Weill-Parot, directeur d’études à l’EPHE – Yves Charles Zarka, professeur émérite des Universités – Paul Zawadzki, maître de conférences HDR – Françoise Zonabend, directrice d’études à l’EHESS

      https://manifestedes90.wixsite.com/monsite

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/31/une-centaine-d-universitaires-alertent-sur-l-islamisme-ce-qui-nous-menace-c-
      #manifeste_des_cents #manifeste_des_100 #décolonial #ESR #enseignement_supérieur

    • De la liberté d’expression des « voix musulmanes » en France

      Le traumatisme né de l’assassinat de l’enseignant Samuel Paty à Conflans-Sainte-Honorine le 16 octobre 2020 impose une réflexion collective profonde, aussi sereine que possible. L’enjeu est fondamental pour la société française qui, d’attentat revendiqué par une organisation constituée en attentat mené par un « loup solitaire », de débat sur le voile en débat sur Charlie, et de loi antiterroriste en loi contre le « séparatisme » s’enferre depuis plusieurs décennies dans une polarisation extrêmement inquiétante autour des questions liées à l’islam.

      Le constat de la diffusion, au sein des composantes se déclarant musulmanes en France, de lectures « radicales » et qui survalorisent la violence est incontestable. L’idéologie dite « djihadiste » demeure certes marginale, mais possède une capacité d’adaptation manifeste, liant les enjeux propres au monde musulman avec des problématiques françaises. Internet lui offre une caisse de résonance particulière auprès des plus jeunes, générant du ressentiment, mais aussi des frustrations. La #prison et la #délinquance, sans doute autant que certaines mosquées et associations cultuelles, constituent d’autres espaces de #socialisation à cette vision mortifère du monde.

      En revanche, les interprétations des racines de cette diffusion divergent, donnant lieu à des #controverses_scientifiques et médiatiques qui n’honorent pas toujours les personnes concernées. Il est manifeste que face à un problème complexe, l’analyse ne saurait être monocausale et ne se pencher que sur une seule variable. L’obsession pour la part purement religieuse du phénomène que légitiment certains chercheurs et qui est au cœur des récentes politiques du gouvernement français fonctionne comme un #écran_de_fumée.

      S’attaquer par des politiques publiques aux « #prêcheurs_de_haine » ou exiger la réforme d’un Islam « malade » sans autre forme de réflexion ou d’action ignore la dimension relationnelle de la #violence et des tensions qui déchirent la France.

      Quand les « islamo-gauchistes » doivent rendre des comptes

      Cette perspective revient à négliger l’importance de la #contextualisation, oubliant d’expliquer pourquoi une interprétation particulière de l’islam a pu acquérir, via sa déclinaison politique la plus fermée, une capacité à incarner un rejet de la société dominante. En somme cette lecture méconnaît comment et pourquoi une interprétation radicale du #référent_islamique trouve depuis quelques années une pertinence particulière aux yeux de certains, et pourquoi ce serait davantage le cas en #France qu’ailleurs en Europe. Elle revient surtout à oublier la nature circulaire des dynamiques qui permet à un contexte et à une idéologie de s’alimenter mutuellement, désignant alors de façon simpliste celui qui « aurait commencé » ainsi que — et c’est là une funeste nouveauté des derniers mois — ses « collabos » affublés du label « islamo-gauchiste » et qui devraient rendre des comptes.

      Beaucoup a ainsi été écrit et dit, parfois trop rapidement. En tant que chercheur et citoyen, je ressens autant de la lassitude que de la tristesse, mesurant combien mon champ professionnel développe de façon croissante une sorte d’incommunicabilité, entrainant des haines tenaces et donnant de plus en plus souvent lieu à de la diffamation entre ses membres. Il m’apparait que la perspective faisant toute sa place à la #complexité des phénomènes politiques et sociaux a, d’une certaine manière, perdu la partie. Marginalisée dans les médias, elle devient manifestement de plus en plus inaudible auprès d’institutions publiques en quête de solutions rapides et brutales, faisant souvent fi du droit. L’approche nuancée des sciences sociales se trouve reléguée dans des espaces d’expression caractérisés par l’entre-soi politique, scientifique ou, il faut le reconnaitre, communautaire (ce dernier parfois prompt à tordre le discours et à le simplifier pour se rassurer).

      « Liberté d’expression », mais pas pour tout le monde

      Cette mécanique de parole complexe reléguée ne concerne pas uniquement les chercheurs. Ma frustration de « perdant » n’a au fond que peu d’importance. Elle renvoie toutefois à un enjeu beaucoup plus fondamental qui concerne l’espace de représentation et d’expression des musulmans français. Dans un contexte de fortes tensions autour de la question musulmane, il s’agit là d’un blocage récurrent dont les pouvoirs publics et une grande partie des médias se refusent à percevoir la centralité. La faiblesse des espaces offerts aux voix qui se revendiquent musulmanes et sont reconnues comme légitimes par leurs coreligionnaires constitue un angle mort que les tenants de la « liberté d’expression » auraient tout intérêt à aborder. Autant que le contrôle policier et la surveillance des appels à la haine sur Internet et dans les mosquées, c’est là un levier nécessaire pour contenir la violence et lutter contre elle.

      La liberté d’expression n’a jamais été totale, et certains tabous légitimes demeurent ou évoluent avec le temps. Pensons à la pédocriminalité dans les années 1970, ou aux caricatures sur les juifs et l’argent dans les années 1930. Parmi les tenants d’une laïcité intégrale, qui a déjà discuté avec une femme voilée ? Partons tout d’abord du principe que l’ignorance de l’Autre et de sa propre histoire constitue une racine de la #polarisation grave de la société française. Admettons ensuite qu’il est important pour chacun d’avoir une perception juste de ses concitoyens et aussi, en démocratie, de se sentir correctement et dignement représenté à une variété d’échelons.

      La figure de #Hassen_Chalghoumi, imam d’origine tunisienne d’une mosquée en Seine–Saint-Denis très fréquemment mobilisé dans les grands médias, symbolise un dysfonctionnement patent de ce mécanisme de #représentation. Sa propension à soutenir des positions politiques à rebours de ses « ouailles » supposées, en particulier sur la Palestine, mais surtout son incapacité à s’exprimer correctement en français ou même à avoir un fond de culture générale partagée ne constitue aucunement des caractéristiques rédhibitoires pour faire appel à lui quand un sujet en lien avec l’islam émerge. Pire, il semblerait même parfois que ce soit exactement le contraire comme quand Valeurs actuelles, alors accusé d’avoir caricaturé la députée Danièle Obono en esclave, a fait appel à lui pour défendre la liberté d’expression et l’a placé, détail sans doute potache, mais tellement symptomatique de mépris affiché, devant une plaque émaillée « Licence IV » (autrefois utilisée pour désigner les débits de boissons alcoolisées).

      Pour les millions de Français d’origine musulmane dont l’élocution française est parfaite et qui partagent les mêmes références culturelles populaires que la majorité des Français, reconnaissons qu’il est parfaitement humiliant d’avoir l’impression que les médias n’ont pas d’autre « modèle » à mobiliser ou à valoriser pour entendre une voix décrite comme musulmane. Comment dès lors ne pas comprendre la défiance envers les médias ou la société dans son ensemble ?

      L’ère du #soupçon

      Certes, il revient aux musulmans au premier chef de s’organiser et de faire émerger des figures représentatives, dépassant ainsi la fragmentation qui est celle de leur culte, ainsi que la mainmise exercée par les États d’origine, Maroc, Algérie et Turquie en tête. Les luttes internes sont elles-mêmes d’une grande violence, souvent fondées sur le « narcissisme des petites différences » de Sigmund Freud. Toutefois, reconnaissons que l’expérience démontre que les restrictions ne sont pas seulement internes à la « communauté ». Il y a plus de vingt ans déjà, le sociologue #Michel_Wieviorka avait pointé du doigt l’incapacité de la société française à accueillir les voix se revendiquant comme musulmanes :

      "Plutôt que d’être perçus comme des acteurs qui inventent et renouvellent la #vie_collective — avec ses tensions, ses conflits, ses négociations —, les associations susceptibles de passer pour « ethniques » ou religieuses […] sont couramment ignorées, soupçonnées de couvrir les pires horreurs ou traitées avec hostilité par les pouvoirs publics. […] À force de rejeter une association sous prétexte qu’elle serait intégriste et fermée sur elle-même, à force de lui refuser toute écoute et tout soutien, on finit par la constituer comme telle."

      De la chanteuse #Mennel (candidate d’origine syrienne à une émission sur TF1 et qui alors portait le foulard) à #Tariq_Ramadan (certes de nationalité suisse) en passant par l’humoriste #Yassine_Belattar et le #Comité_contre_l’islamophobie_en_France (CCIF), les occasions d’exclure les voix endogènes qui revendiquent une part d’#islamité dans leur discours et sont à même de servir de référence tant cultuelle que politique et culturelle ont été nombreuses. Parfois pleinement légitimes lorsque des accusations de viols ont été proférées, des dispositifs de contrôle imposent de « montrer patte blanche » au-delà de ce qui devrait légitimement être attendu. Non limités à l’évaluation de la probité, ils rendent en plus toute critique adressée à la société française et ses failles (en politique étrangère par exemple) extrêmement périlleuses, donnant le sentiment d’un traitement différencié pour les voix dites musulmanes, promptes à se voir si facilement criminalisées. Dès lors, certaines positions, pourtant parfaitement raisonnables, deviennent indicibles.

      Revendiquer la nécessité de la #lutte_contre_l’islamophobie, dont l’existence ne devrait pas faire débat par exemple quand une femme portant le foulard se fait cracher dessus par des passants fait ainsi de manière totalement absurde partie de cette liste de tabous, établie sans doute de manière inconsciente par des années d’#injonctions et de #stigmatisations, héritées de la période coloniale.

      Une telle mécanique vient enfin légitimer les logiques d’#exclusion propres au processus de #radicalisation. Elle s’avère dès lors contreproductive et donc dangereuse. Par exemple, dissoudre le CCIF dont l’action principale est d’engager des médiations et de se tourner vers les institutions publiques est à même de constituer, en acte aux yeux de certains, la démonstration de l’inutilité des #associations et donc l’impossibilité de s’appuyer sur les institutions légales. C’est une fois encore renvoyer vers les fonds invisibles de l’Internet les #espaces_d’expression et de représentation, c’est ainsi creuser des fossés qui génèrent l’#incompréhension et la violence.

      Il devient impérieux d’apprendre à s’écouter les uns les autres. Il demeure aussi nécessaire de reconnaitre que, comme l’entreprise a besoin de syndicats attentifs et représentatifs, la société dans son ensemble, diverse comme elle est, a tout à gagner à offrir des cadres d’expression sereins et ouverts à ses minorités, permettant aussi à celles-ci de revendiquer, quitte à ne pas faire plaisir à moi-même, à la majorité, ou au patron.

      https://orientxxi.info/magazine/de-la-liberte-d-expression-des-voix-musulmanes-en-france,4227
      #religion

    • « La pensée “décoloniale” renforce le narcissisme des #petites_différences »

      80 psychanalystes s’insurgent contre l’assaut des « #identitaristes » dans le champ du savoir et du social

      « Les intellectuels ont une mentalité plus totalitaire que les gens du commun » écrivait Georges Orwell (1903-1950), dans Essais, Articles et Lettres.

      Des militants, obsédés par l’#identité, réduite à l’#identitarisme, et sous couvert d’antiracisme et de défense du bien, imposent des #idéologies_racistes par des #procédés_rhétoriques qui consistent à pervertir l’usage de la langue et le sens des mots, en détournant la pensée de certains auteurs engagés dans la lutte contre le racisme qu’ils citent abondamment comme #Fanon ou #Glissant qui, au contraire, reconnaissent l’#altérité et prônent un nouvel #universalisme.

      Parmi ces militants, le Parti des indigènes de la République -dit le #PIR- qui s’inscrit dans la mouvance « décoloniale ».

      La pensée dite « décoloniale » s’insinue à l’Université et menace les sciences humaines et sociales sans épargner la psychanalyse. Ce phénomène se répand de manière inquiétante et nous n’hésitons pas à parler d’un #phénomène_d’emprise qui distille subrepticement des idées propagandistes. Ils véhiculent une idéologie aux relents totalitaires.

      Réintroduire la « #race » et stigmatiser des populations dites « blanches » ou de couleur comme coupables ou victimes, c’est dénier la #complexité_psychique, ce n’est pas reconnaître l’histoire trop souvent méconnue des peuples colonisés et les traumatismes qui empêchent la transmission.

      Une idéologie qui nie ce qui fait la singularité de l’individu, nie les processus toujours singuliers de #subjectivation pour rabattre la question de l’identité sur une affaire de #déterminisme culturel et social.

      Une idéologie qui secondarise, voire ignore la primauté du vécu personnel, qui sacrifie les logiques de l’#identification à celle de l’identité unique ou radicalisée, dénie ce qui fait la spécificité de l’humain.

      Le livre de Houria Bouteldja, porte-parole du PIR, intitulé Les Blancs, les Juifs et nous. Vers une politique de l’amour révolutionnaire (La Fabrique, 2016), soutenu par des universitaires et des chercheurs du CNRS, prétend défendre les #victimes - les « indigènes » - alors qu’il nous paraît en réalité raciste, antisémite, sexiste et homophobe et soutient un islamisme politique. L’ensemble du livre tourne autour de l’idée que les descendants d’immigrés maghrébins en France, du fait de leurs origines, seraient victimes d’un “#racisme_institutionnel” - voire un #racisme_d’Etat-, lequel aboutirait à véritablement constituer des “#rapports_sociaux_racistes”.

      L’auteure s’adresse aux « Juifs » : « Vous, les Juifs » : des gens qui pour une part seraient étrangers à la « blanchité », étrangers à la « race » qui, depuis 1492, dominerait le monde (raison pour laquelle elle distingue les « Juifs » des « Blancs »), mais qui pour une autre part sont pires que les « Blancs », parce qu’ils en seraient les valets criminels.

      Fanon, auquel les décoloniaux se réfèrent, ne disait-il pas : « Quand vous entendez dire du mal des Juifs, dressez l’oreille, on parle de vous ».

      Le #racialisme pousse à la #position_victimaire, au #sectarisme, à l’#exclusion, et finalement au #mépris ou à la #détestation du différent, et à son exclusion de fait. Il s’appuie sur une réécriture fallacieuse de l’histoire qui nie les notions de #progrès de #civilisation mais aussi des racismes et des rivalités tout aussi ancrés que le #racisme_colonialiste.

      C’est par le « #retournement_du_stigmate » que s’opère la transformation d’une #identité_subie en une #identité_revendiquée et valorisée qui ne permet pas de dépasser la « race.

      Il s’agit là, « d’#identités_meurtrières » (#Amin_Maalouf) qui prétendent se bâtir sur le meurtre de l’autre.

      Ne nous leurrons pas, ces revendications identitaires sont des revendications totalitaires, et ces #dérives_sectaires, communautaristes menacent nos #valeurs_démocratiques et républicaines en essentialisant les individus, en valorisant de manière obsessionnelle les #particularités_culturelles et en remettant à l’affiche une imagerie exotique méprisante que les puissances coloniales se sont évertuées à célébrer.

      Cette idéologie s’appuie sur ce courant multiculturaliste états-unien qu’est l’#intersectionnalité en vogue actuellement dans les départements des sciences humaines et sociales. Ce terme a été proposé par l’universitaire féministe américaine #Kimberlé_Crenshaw en 1989 afin de spécifier l’intersection entre le #sexisme et le #racisme subi par les femmes afro-américaines. La mouvance décoloniale peut s’associer aux « #postcolonial_studies » afin d’obtenir une légitimité académique et propager leur idéologie. Là où l’on croit lutter contre le racisme et l’oppression socio-économique, on favorise le #populisme et les #haines_identitaires. Ainsi, la #lutte_des_classes est devenue une #lutte_des_races.

      Des universitaires, des chercheurs, des intellectuels, des psychanalystes s’y sont ralliés en pensant ainsi lutter contre les #discriminations. C’est au contraire les exacerber.

      #Isabelle_de_Mecquenem, professeure agrégée de philosophie, a raison de rappeler que « emprise » a l’avantage de faire écho à l’article L. 141-6 du #code_de_l'éducation. Cet article dispose que « le service public de l’enseignement supérieur est laïque et indépendant de toute emprise politique, économique, religieuse ou idéologique (…) ». Rappelons que l’affaire Dorin à l’Université de Limoges relève d’une action sectaire (propagande envers les étudiants avec exclusion de toute critique).

      Il est impérieux que tout citoyen démocrate soit informé de la dangerosité de telles thèses afin de ne pas perdre de vue la tension irréductible entre le singulier et l’universel pour le sujet parlant. La #constitution_psychique pour Freud n’est en aucun cas un particularisme ou un communautarisme.

      Nous appelons à un effort de mémoire et de pensée critique tous ceux qui ne supportent plus ces logiques communautaristes et discriminatoires, ces processus d’#assignation_identitaire qui rattachent des individus à des catégories ethno-raciales ou de religion.

      La psychanalyse s’oppose aux idéologies qui homogénéisent et massifient.

      La psychanalyse est un universalisme, un humanisme. Elle ne saurait supporter d’enrichir tout « narcissisme des petites différences ». Au contraire, elle vise une parole vraie au profit de la singularité du sujet et de son émancipation.
      Signataires
      Céline Masson, Patrick Chemla, Rhadija Lamrani Tissot, Laurence Croix, Patricia Cotti, Laurent Le Vaguerèse, Claude Maillard, Alain Vanier, Judith Cohen-Solal, Régine Waintrater, Jean-Jacques Moscovitz, Patrick Landman, Jean-Jacques Rassial, Anne Brun, Fabienne Ankaoua, Olivier Douville, Thierry Delcourt, Patrick Belamich, Pascale Hassoun , Frédéric Rousseau, Eric Ghozlan, Danièle Rosenfeld-Katz, Catherine Saladin, Alain Abelhauser, Guy Sapriel, Silke Schauder, Kathy Saada, Marie-José Del Volgo, Angélique Gozlan, Patrick Martin-Mattera, Suzanne Ferrières-Pestureau, Patricia Attigui, Paolo Lollo, Robert Lévy, Benjamin Lévy, Houria Abdelouahed, Mohammed Ham, Patrick Guyomard, Monique Zerbib, Françoise Nielsen, Claude Guy, Simone Molina, Rachel Frouard-Guy, Françoise Neau, Yacine Amhis, Délia Kohen, Jean-Pierre Winter, Liliane Irzenski, Jean Michel Delaroche , Sarah Colin, Béatrice Chemama-Steiner, Francis Drossart, Cristina Lindenmeyer, Eric Bidaud, Eric Drouet, Marie-Frédérique Bacqué, Roland Gori, Bernard Ferry, Marie-Christine Pheulpin, Jacques Barbier, Robert Samacher, Faika Medjahed, Pierre Daviot, Laetitia Petit, David Frank Allen, Daniel Oppenheim, Marie-Claude Fourment-Aptekman, Michel Hessel, Marthe Moudiki Dubreuil, Isabelle Floch, Pierre Marie, Okba Natahi, Hélène Oppenheim-Gluckman, Daniel Sibony, Jean-Luc Gaspard, Eva Talineau, Paul Alerini, Eliane Baumfelder-Bloch, Jean-Luc Houbron, Emile Rafowicz, Louis Sciara , Fethi Benslama, Marielle David, Michelle Moreau Ricaud, Jean Baptiste Legouis, Anna Angelopoulos, Jean-François Chiantaretto , Françoise Hermon, Thierry Lamote, Sylvette Gendre-Dusuzeau, Xavier Gassmann, Guy Dana, Wladi Mamane, Graciela Prieto, Olivier Goujat, Jacques JEDWAB, Brigitte FROSIO-SIMON , Catherine Guillaume, Esther Joly , Jeanne Claire ADIDA , Christian Pierre, Jean Mirguet, Jean-Baptiste BEAUFILS, Stéphanie Gagné, Manuel Perianez, Alain Amar, Olivier Querouil, Jennifer Biget, Emmanuelle Boetsch, Michèle Péchabrier, Isabel Szpacenkopf, Madeleine Lewensztain Gagna, Michèle Péchabrier, Maria Landau, Dominique Méloni, Sylvie Quesemand Zucca

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/09/25/la-pensee-decoloniale-renforce-le-narcissisme-des-petites-differences_601292

      #pensée_décoloniale #psychanalyse #totalitarisme

    • Les sciences sociales contre la République ?

      Un collectif de revues de sciences humaines et sociales (SHS) met au défi le ministre de l’éducation nationale de trouver dans ses publications des textes permettant de dire que l’intersectionnalité inspire le terrorisme islamiste.

      Dans le JDD du 25 octobre, le ministre de l’éducation nationale déclarait qu’il y avait, dans les universités, un combat à mener. Contre l’appauvrissement de l’enseignement supérieur ? Contre la précarité étudiante ? Contre les difficultés croissantes que rencontrent tous les personnels, précaires et titulaires, enseignants et administratifs, à remplir leurs missions ? Contre la loi de programmation pluriannuelle de la recherche (LPPR), qui va amplifier ces difficultés ? Non : contre « une partie non négligeable des sciences sociales françaises ». Et le ministre, téméraire : face à cette « #gangrène », il faut cesser la « #lâcheté ».

      On reste abasourdi qu’un ministre de l’#éducation_nationale s’en prenne ainsi à celles et ceux qui font fonctionner les universités. Mais pour aberrants qu’ils soient, ces propos n’étonnent pas tout à fait : déjà tenus, sur Europe 1 et au Sénat, ils prolongent ceux d’Emmanuel Macron, en juin 2020, dans Le Monde, qui accusait les universitaires d’ethniciser la question sociale et de « casser la République en deux ». Plutôt que de se porter garant des libertés académiques, attaquées de toutes parts, notamment dans le cadre du débat parlementaire actuel, Jean-Michel Blanquer se saisit de l’assassinat d’un professeur d’histoire et géographie pour déclarer la guerre aux sciences sociales, qui défendraient des thèses autorisant les violences islamistes ! Sa conviction est faite : ce qui pourrit les universités françaises, ce sont les « thèses intersectionnelles », venues des « universités américaines » et qui « veulent essentialiser » les communautés.

      Ignorance ministérielle

      Le ministre « défie quiconque » de le contredire. Puisque les revues scientifiques sont, avec les laboratoires et les universités, les lieux d’élaboration des sciences sociales, de leurs controverses, de la diffusion de leurs résultats, c’est à ce titre que nous souhaitons mener cette contradiction, ses propos révélant son ignorance de nos disciplines, de leurs débats et de leurs méthodes.

      La démarche scientifique vise à décrire, analyser, comprendre la société et non à décréter ce qu’elle doit être. Les méthodes des sciences sociales, depuis leur émergence avec Emile Durkheim dans le contexte républicain français, s’accordent à expliquer les faits sociaux par le social, précisément contre les explications par la nature ou l’essence des choses. A ce titre, elles amènent aussi à rendre visibles des divisions, des discriminations, des inégalités, même si elles contrarient. Les approches intersectionnelles ne sont pas hégémoniques dans les sciences sociales : avec d’autres approches, que, dans leur précieuse liberté, les revues font dialoguer, elles sont précisément l’un des outils critiques de la #désessentialisation du monde social. Néologisme proposé par la juriste états-unienne Kimberlé Crenshaw à la fin des années 1980, le terme « intersectionnalité » désigne en outre, dans le langage actuel des sciences sociales, un ensemble de démarches qui en réalité remontent au XIXe siècle : il s’agit d’analyser la réalité sociale en observant que les #identités_sociales se chevauchent et que les logiques de #domination sont plurielles.

      Dès 1866, Julie-Victoire Daubié, dans La Femme pauvre au XIXe siècle, montre la particularité de la situation des ouvrières, domestiques et prostituées obligées de travailler pour survivre, faisant des femmes pauvres une catégorie d’analyse pour le champ de la connaissance et de la politique, alors que lorsqu’on parlait des pauvres, on pensait surtout aux hommes ; et que lorsqu’on parlait des femmes, on pensait avant tout aux bourgeoises.

      Une politique répressive de la pensée

      Plus près de nous, l’équipe EpiCov (pour « Epidémiologie et conditions de vie »), coordonnée par la sociologue Nathalie Bajos et le démographe François Héran, vient de publier des données concernant l’exposition au Covid-19 à partir de critères multiples parmi lesquels la classe sociale, le sexe, le lieu de naissance. Une première lecture de ces données indique que les classes populaires travaillant dans la maintenance (plutôt des hommes) et dans le soin (plutôt des femmes) ont été surexposées, et que, parmi elles, on compte une surreprésentation de personnes nées hors d’Europe. Une analyse intersectionnelle cherchera à corréler ces données, entre elles et avec d’autres disponibles, pour mieux comprendre comment les #discriminations s’entrelacent dans la vie des personnes. Où sont l’essentialisation, l’encouragement au communautarisme ? Pour les chercheurs et chercheuses en sciences sociales, il s’agit simplement, à partir de données vérifiées par des méthodes scientifiques, validées entre pairs et ouvertes à la discussion, de faire leur travail.

      L’anathème que le ministre lance traduit une politique répressive de la pensée. Nous mettons M. Blanquer au défi de trouver un seul texte publié dans la bibliothèque ouverte et vivante de nos revues qui permette de dire que l’intersectionnalité inspire le #terrorisme_islamiste. Se saisir d’un mot, « intersectionnalité », pour partir en guerre contre les sciences sociales et, plus généralement, contre la liberté de penser et de comprendre la société, est une manœuvre grossière. Si elle prend, nos universités devront troquer la liberté de chercher (qui est aussi la liberté de se tromper) pour rien moins qu’une science aux ordres, un obscurantisme ministériel. On voit mal comment la République pourrait en sortir grandie.

      Le collectif des revues en lutte, constitué en janvier 2020 autour de l’opposition aux projets de LPPR et de réforme des retraites, rassemble aujourd’hui 157 revues francophones, pour l’essentiel issues des sciences humaines et sociales.

      https://www.lemonde.fr/sciences/article/2020/11/02/les-sciences-sociales-contre-la-republique_6058195_1650684.html

    • Academic freedom in the context of France’s new approach to ’separatism’

      From now on, academic freedom will be exercised within the limits of the values ​​of the Republic. Or not.

      For months, France has been severely weakened by a deepening economic crisis, violent social tensions, and a health crisis out of control. The barbaric assassination of history professor Samuel Paty on October 16 in a Paris suburb and the murder of Vincent Loquès, Simone Barreto Silva, Nadine Devillers in the Notre-Dame basilica in Nice on October 29 have now plunged the country into terror.

      Anger, bewilderment, fear and a need for protection took over French society. French people should have the right to remain united, to understand, to stay sharp, do everything possible not to fall into the trap set by terrorists who have only one objective: to divide them. It is up to politics to lead the effort of collective elaboration of the mourning, to ensure the unity of the country. But that’s not what is happening. Politics instead tries to silence any attempt at reflection tying itself in knots to point the finger at the culprit, or, better yet, the culprits.

      In the narrative of the French government, there are two direct or indirect sources responsible for the resurgence of terrorism: abroad, the foreign powers which finance mosques and organizations promoting the separatism of Islamic communities, and consequently - as is only logical on the perpetually slippery slope of Macronist propaganda - terrorism; at home, it is the academics.

      It is true that the October attacks coincided with tensions which have been increasing for months between France and Turkey on different fronts: Syria, Libya, Nagorno-Karabakh, and above all the Eastern Mediterranean. And it is also true that the relationship between international tensions and the resurgence of terrorism needs to be explored. However, the allusion to the relationship between the role of academics and these attacks is simply outrageous and instrumental, aimed only at discrediting the category of academics engaged in recent weeks in a desperate struggle to prevent the passing of a Research programming law, which violently redefines the methods of funding and management of research projects, the status, the prerogatives as well as the academic freedom of university professors.
      Regaining control?

      “A teacher died and other teachers are being blamed for it" wrote the sociologist Eric Fassin, alluding to a long series of attacks that have been reiterated in recent months on the French university community – a community guilty, according to Macron and his collaborators, of excessive indulgence in the face of “immigration, Islam and integration”.

      “I must regain control of these subjects”, said Emmanuel Macron a year ago to the extreme right-wing magazine Valeurs Actuelles. A few months later, in the midst of a worldwide struggle against racism and police violence, Macron, scandalized by the winds of revolt – rather than by racism and police violence in themselves – explained to Le Monde that "The academic world has been guilty. It has encouraged the ethnicization of social issues, thinking that this was a good path to go down. But the outcome can only be secessionist.” The Minister of National Education Jean-Michel Blanquer, presenting in June 2020 to the Senate’s commission of inquiry on Islamist radicalization, had evoked for his part, “the permeability of the academic world with theories that are at the antipodes of the values of the Republic and secularism”, citing specifically “the indigenist theories”.

      A few days after the homicide of Samuel Paty, in an interview with Europe 1, the minister accused academics of “intellectual complicity with terrorism”, adding that “Islamo-leftism wreaks havoc in the University”… “favoring an ideology that only spells trouble”. Explaining himself further in Le Journal Du Dimanche, on October 24, Blanquer reiterated these accusations, specifying: "There is a fight to be waged against an intellectual matrix coming from American universities and intersectional theses that want to essentialize communities and identities, at the antipodes of the Republican model, which postulates the equality between human beings, independently of their characteristics of origin, sex, religion. It is the breeding ground for a fragmentation of societies that converges with the Islamic model”.
      A Darwinian law

      Such accusations and interferences have provoked many reactions of indignation, including that of the Conférence of University Presidents. However, nothing was sufficient to see the attack off. On Friday evening, after the launch of a fast-track procedure that effectively muzzled the debate, the Senate approved the research programming law. In many respects, this is the umpteenth banal neo-liberal, or, more exactly, admittedly Darwinian, reform of the French university: precarisation of the work of teachers, concentration of the funds on a limited number of “excellent” poles and individuals, promotion of competition between individuals, institutions and countries, strengthening of the managerial management of research, weakening of national guarantee structures and, more generally, weakening of self-governance bodies.

      But this law also contains a clear and astounding plan to redefine the respective roles of science and politics. The article of the law currently in force, which very effectively and elegantly defined the meaning of academic freedom:

      “Teacher and researchers enjoy full independence and complete freedom of expression in the exercise of their teaching functions and their research activities, subject to the reservations imposed on them, in accordance with university traditions and the provisions of this code, the principles of tolerance and objectivity”, has been amended by the addition of this sentence:

      “Academic freedoms are exercised with respect for the values ​​of the Republic”

      This addition which is in itself an outrage against the principles of the separation of powers and academic freedom has been joined by an explicit reference to the events of these days:

      “The terrible tragedy in Conflans-Sainte-Honorine shows more than ever the need to preserve, within the Republic, the freedom to teach freely and to educate the citizens of tomorrow”, states the explanatory memorandum. "The purpose of this provision is to enshrine this in law so that these values, foremost among which is secularism, constitute the foundation on which academic freedoms are based and the framework in which they are expressed.”

      The emotion engendered by the murder of innocent people was therefore well and truly exploited in an ignoble manner to serve the anti-democratic objective of limiting academic freedoms and setting the choices of the subjects to be studied, as well as the “intellettual matrix” to be adopted under the surveillance today of the presidential majority and tomorrow, who knows?

      To confirm this reading of the priorities of the majority and the fears it arouses, on Sunday November 1, Thierry Coulhon, adviser to the President of the Republic was appointed, through a “Blitzkrieg”, head of the Haut Council for the Evaluation of Research and Higher Education (Hceres), the national body responsible for the evaluation of research.

      A few details of this law, including the amendment on the limits of research freedom, may still change in the joint committee to be held on November 9. But the support of academics, individuals, organizations, scholarly journals, for the Solemn appeal for the protection of academic freedom and the right to study is now more urgent and necessary than ever.

      https://www.opendemocracy.net/en/can-europe-make-it/academic-freedom-in-the-context-of-frances-new-approach-to-separatism

    • Les sciences sociales contre la République ?

      Le 2 novembre 2020, l’AG des Revues en Lutte a répondu dans Le Monde au ministre J.-M. Blanquer qui entend combattre « une partie non négligeable des sciences sociales françaises », au prétexte de la lutte anti-terroriste.

      Cette tribune, que nous reproduisons ci-dessous, rejoint de très nombreuses prises de position récentes, contre l’intervention de J.-M. Blanquer, mais aussi contre E. Macron qui accuse les universitaires de « casser la République en deux » et contre deux amendements ajoutés à la LPPR (déjà parfaitement délétère) au Sénat : « les libertés académiques s’exercent dans le respect des valeurs de la République » et « les trouble-fête iront en prison ».

      Voici quelques-unes de ces prises de position :

      - Appel solennel pour la protection des libertés académiques et du droit d’étudier, sur Academia : https://academia.hypotheses.org/27287
      - Libertés académiques : des amendements à la loi sur la recherche rejetés par des sociétés savantes, dans Le Monde : https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/11/02/libertes-academiques-des-amendements-a-la-loi-sur-la-recherche-rejetes-par-d
      – Lettre ouverte aux Parlementaires, par Facs et labos en lutte, RogueESR, Sauvons l’Université et Université Ouverte : rogueesr.fr/lettre-ouverte-lpr/
      - Communiqué de presse : retrait de 3 amendements sénatoriaux à la LPR, par le collectif des sociétés savantes académiques : https://societes-savantes.fr/communique-de-presse-retrait-de-3-amendements-senatoriaux-a-la-lpr
      – « Cette attaque contre la liberté académique est une attaque contre l’État de droit démocratique », dans Le Monde : https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/11/02/cette-attaque-contre-la-liberte-academique-est-une-attaque-contre-l-etat-de-
      - Communique de presse national, par Facs et labos en lutte, RogueESR, Sauvons l’Université et Université Ouverte : rogueesr.fr/communique_suspendre_lpr/
      - Intersectionnalité : Blanquer joue avec le feu, par Rose-Marie Lagrave : https://www.liberation.fr/debats/2020/11/03/intersectionnalite-blanquer-joue-avec-le-feu_1804309
      - Qui est complice de qui ? Les libertés académiques en péril, par Eric Fassin : https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/011120/qui-est-complice-de-qui-les-libertes-academiques-en-peril
      - Les miliciens de la pensée et la causalité diabolique, par Seloua Luste Boulbina : https://blogs.mediapart.fr/seloua-luste-boulbina/blog/021120/les-miliciens-de-la-pensee-et-la-causalite-diabolique
      - L’islamo-gauchisme : comment (ne) naît (pas) une idéologie, par Samuel Hayat : https://www.nouvelobs.com/idees/20201027.OBS35262/l-islamo-gauchisme-comment-ne-nait-pas-une-ideologie.html
      – Après Conflans : gare aux mots de la démocratie, par Olivier Compagnon : https://universiteouverte.org/2020/10/27/apres-conflans-gare-aux-mots-de-la-democratie
      – Toi qui m’appelles islamo-gauchiste, laisse-moi te dire pourquoi le lâche, c’est toi, par Alexis Dayon : https://blogs.mediapart.fr/alexis-dayon/blog/221020/toi-qui-mappelles-islamo-gauchiste-laisse-moi-te-dire-pourquoi-le-la
      - « Que le terme plaise ou non, il y a bien une islamophobie d’État en France », par Jean-François Bayart : https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/31/jean-francois-bayart-que-le-terme-plaise-ou-non-il-y-a-bien-une-islamophobie

      On peut également mentionner les nombreux numéros de revues académiques, récents ou à venir, portant sur l’intersectionnalité, cœur de l’attaque du gouvernement. Les Revues en Lutte en citent plusieurs dans un superbe fil Twitter (https://twitter.com/RevuesEnLutte/status/1321861736165711874?s=20).

      Un collectif de revues de sciences humaines et sociales (SHS) met au défi le ministre de l’éducation nationale de trouver dans ses publications des textes permettant de dire que l’intersectionnalité inspire le terrorisme islamiste.

      Tribune

      Dans le JDD du 25 octobre, le ministre de l’éducation nationale déclarait qu’il y avait, dans les universités, un combat à mener. Contre l’appauvrissement de l’enseignement supérieur ? Contre la précarité étudiante ? Contre les difficultés croissantes que rencontrent tous les personnels, précaires et titulaires, enseignants et administratifs, à remplir leurs missions ? Contre la loi de programmation pluriannuelle de la recherche (LPPR), qui va amplifier ces difficultés ? Non : contre « une partie non négligeable des sciences sociales françaises ». Et le ministre, téméraire : face à cette « gangrène », il faut cesser la « lâcheté ».

      On reste abasourdi qu’un ministre de l’éducation nationale s’en prenne ainsi à celles et ceux qui font fonctionner les universités. Mais pour aberrants qu’ils soient, ces propos n’étonnent pas tout à fait : déjà tenus, sur Europe 1 et au Sénat, ils prolongent ceux d’Emmanuel Macron, en juin 2020, dans Le Monde, qui accusait les universitaires d’ethniciser la question sociale et de « casser la République en deux ». Plutôt que de se porter garant des libertés académiques, attaquées de toutes parts, notamment dans le cadre du débat parlementaire actuel, Jean-Michel Blanquer se saisit de l’assassinat d’un professeur d’histoire et géographie pour déclarer la guerre aux sciences sociales, qui défendraient des thèses autorisant les violences islamistes ! Sa conviction est faite : ce qui pourrit les universités françaises, ce sont les « thèses intersectionnelles », venues des « universités américaines » et qui « veulent essentialiser » les communautés.
      Ignorance ministérielle

      Le ministre « défie quiconque » de le contredire. Puisque les revues scientifiques sont, avec les laboratoires et les universités, les lieux d’élaboration des sciences sociales, de leurs controverses, de la diffusion de leurs résultats, c’est à ce titre que nous souhaitons mener cette contradiction, ses propos révélant son ignorance de nos disciplines, de leurs débats et de leurs méthodes.

      La démarche scientifique vise à décrire, analyser, comprendre la société et non à décréter ce qu’elle doit être. Les méthodes des sciences sociales, depuis leur émergence avec Emile Durkheim dans le contexte républicain français, s’accordent à expliquer les faits sociaux par le social, précisément contre les explications par la nature ou l’essence des choses. A ce titre, elles amènent aussi à rendre visibles des divisions, des discriminations, des inégalités, même si elles contrarient. Les approches intersectionnelles ne sont pas hégémoniques dans les sciences sociales : avec d’autres approches, que, dans leur précieuse liberté, les revues font dialoguer, elles sont précisément l’un des outils critiques de la désessentialisation du monde social. Néologisme proposé par la juriste états-unienne Kimberlé Crenshaw à la fin des années 1980, le terme « intersectionnalité » désigne en outre, dans le langage actuel des sciences sociales, un ensemble de démarches qui en réalité remontent au XIXe siècle : il s’agit d’analyser la réalité sociale en observant que les identités sociales se chevauchent et que les logiques de domination sont plurielles.

      Dès 1866, Julie-Victoire Daubié, dans La Femme pauvre au XIXe siècle, montre la particularité de la situation des ouvrières, domestiques et prostituées obligées de travailler pour survivre, faisant des femmes pauvres une catégorie d’analyse pour le champ de la connaissance et de la politique, alors que lorsqu’on parlait des pauvres, on pensait surtout aux hommes ; et que lorsqu’on parlait des femmes, on pensait avant tout aux bourgeoises.
      Une politique répressive de la pensée

      Plus près de nous, l’équipe EpiCov (pour « Epidémiologie et conditions de vie »), coordonnée par la sociologue Nathalie Bajos et l’épidémiologiste Josiane Warszawski, vient de publier des données concernant l’exposition au Covid-19 à partir de critères multiples parmi lesquels la classe sociale, le sexe, le lieu de naissance. Une première lecture de ces données indique que les classes populaires travaillant dans la maintenance (plutôt des hommes) et dans le soin (plutôt des femmes) ont été surexposées, et que, parmi elles, on compte une surreprésentation de personnes nées hors d’Europe. Une analyse intersectionnelle cherchera à corréler ces données, entre elles et avec d’autres disponibles, pour mieux comprendre comment les discriminations s’entrelacent dans la vie des personnes. Où sont l’essentialisation, l’encouragement au communautarisme ? Pour les chercheurs et chercheuses en sciences sociales, il s’agit simplement, à partir de données vérifiées par des méthodes scientifiques, validées entre pairs et ouvertes à la discussion, de faire leur travail.

      L’anathème que le ministre lance traduit une politique répressive de la pensée. Nous mettons M. Blanquer au défi de trouver un seul texte publié dans la bibliothèque ouverte et vivante de nos revues qui permette de dire que l’intersectionnalité inspire le terrorisme islamiste. Se saisir d’un mot, « intersectionnalité », pour partir en guerre contre les sciences sociales et, plus généralement, contre la liberté de penser et de comprendre la société, est une manœuvre grossière. Si elle prend, nos universités devront troquer la liberté de chercher (qui est aussi la liberté de se tromper) pour rien moins qu’une science aux ordres, un obscurantisme ministériel. On voit mal comment la République pourrait en sortir grandie.

      https://universiteouverte.org/2020/11/03/les-sciences-sociales-contre-la-republique

    • Islamisme : où est le déni des universitaires   ?

      Dans une tribune publiée par « le Monde », une centaine de professeurs et de chercheurs dénoncent les « idéologies indigénistes, racialistes et décoloniales » de leurs pairs, lesquelles mèneraient au terrorisme. Les auteurs rejouent ainsi la rengaine du choc des cultures qui ne peut servir que l’extrême droite identitaire.

      Comment peut-on prétendre alerter sur les dangers, réels, cela va sans dire, de l’islamisme en se référant aux propos confus et injurieux de Jean-Michel Blanquer ? Or, une récente tribune du Monde (https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/31/une-centaine-d-universitaires-alertent-sur-l-islamisme-ce-qui-nous-menace-c-), au lieu de contribuer à une nécessaire clarification, n’a pas d’autre fonction que de soutenir un ministre qui, loin de pouvoir se prévaloir d’une quelconque expertise sur les radicalités contemporaines, mène en outre une politique régressive pour l’école, c’est-à-dire indifférente à la reproduction des inégalités socio-culturelles dont s’accommode l’idéologie méritocratique. Faire oublier cette politique en détournant l’attention, d’autres que lui l’ont fait. Il convient seulement de ne pas être dupe.

      Car que disent les auteurs (certains d’entre eux, fort estimables, ont probablement oublié de relire) ? Que « l’islamo-gauchisme », ni défini ni corrélé au moindre auteur, est l’idéologie « qui mène au pire », soit au terrorisme. Ceux qui la propagent dans nos universités, « très puissants dans l’enseignement supérieur », commettraient d’irréparables dégâts. Et l’on invoque pêle-mêle l’indigénisme, le racialisme et le décolonialisme, sans le moindre souci de complexification, ni même de définition, souci non utile tant le symptôme de la supposée gangrène serait aisément repérable : le port du voile.

      Plus de trente ans après l’affaire de Creil, et quantité de travaux sociologiques, on n’hésite donc toujours pas à nier l’équivocité de ce signe d’appartenance pour le réduire à un outil de propagande. Chercher à comprendre, au lieu de condamner, serait une manifestation de l’esprit munichois. Que la Conférence des présidents d’université (CPU) proteste contre les déclarations du ministre, en rappelant utilement la fonction des chercheurs, passe par pertes et profits, l’instance que l’on ne peut soupçonner d’un quelconque gauchisme étant probablement noyautée par des islamistes dissimulés !

      Cette tribune rejoue, une fois encore, une vieille rengaine, celle du #choc_des_civilisations : « haine des Blancs », « doxa antioccidentale », « #multiculturalisme » (!), voilà les ennemis dont les universitaires se réclameraient, ou qu’ils laisseraient prospérer, jusqu’à saper ce qui fait le prix de notre mode de vie. Au demeurant, les signataires de la présente tribune sont profondément attachés aux principes de la République et, en l’espèce, à la liberté de conscience et d’expression. C’est au nom de celle-ci qu’ils se proposent de dénoncer les approximations de leurs collègues.

      Choisir le #débat plutôt que l’#invective

      Concernant l’#indigénisme, sa principale incarnation, le Parti des indigènes de la République (PIR) a totalement échoué dans sa volonté d’être audible dans nos enceintes universitaires. Chacun sait bien que l’écho des thèses racistes, antisémites et homophobes d’#Houria_Bouteldja est voisin de zéro. Quant au #décolonialisme, auquel l’indigénisme se rattache mais qui recouvre quantités d’autres thématiques, il représente bien un corpus structuré. Néanmoins, les études sur son influence dans nos campus concluent le plus souvent à un rôle marginal. Et, quoi qu’il en soit, ses propositions méritent débat parce qu’elles se fondent sur une réalité indiscutable : celle de l’existence d’injustices « épistémiques », c’est-à-dire d’#injustices qui se caractérisent par les #inégalités d’accès, selon l’appartenance raciale ou de genre, aux positions académiques d’autorité.

      D’une façon générale, il ne fait aucun doute que la communauté scientifique a, dans le passé, largement légitimé l’idée de la supériorité des hommes sur les femmes, des Blancs sur les Noirs, des « Occidentaux » sur les autochtones, etc. Mais, à partir de ce constat, les décoloniaux refusent la possibilité d’un point de vue universaliste et objectif au profit d’une épistémologie qui aurait « une couleur et une sexualité ». Ce faisant, ils oublient #Fanon dont pourtant ils revendiquent l’héritage : « Chaque fois qu’un homme a fait triompher la dignité de l’esprit, chaque fois qu’un homme a dit non à une tentative d’asservissement de son semblable, je me suis senti solidaire de son acte. En aucune façon je ne dois tirer du passé des peuples de couleur ma vocation originelle. […] Ce n’est pas le monde noir qui me dicte ma conduite. Ma peau noire n’est pas dépositaire de valeurs spécifiques. » Nous devons choisir le débat plutôt que l’invective.

      L’obsession antimulticulturaliste

      Quant à l’obsession antimulticulturaliste (« #prêchi-prêcha », écrivent-ils), elle est ignorante de ce qu’est vraiment ce courant intellectuel. A de nombreux égards, ce dernier propose une conception de l’#intégration différente de celle cherchant à assimiler pour égaliser. Il est donc infondé de le confondre avec une vision ethno-culturelle du lien politique. Restituer à l’égal sa différence, tel est le projet du multiculturalisme, destiné en définitive à aller plus loin dans l’instauration de l’#égalité que n’était parvenue à le faire la solution républicaine classique. Le meilleur de ce projet, mais non nécessairement sa pente naturelle, est sa contribution à ce que l’un de nous nomme la « #décolonisation_des_identités » (Alain Renaut), conciliation que les crimes de la #colonisation avaient rendue extrêmement difficile. Bref, nous sommes très éloignés du « prêchi-prêcha ».

      Enfin, un mot sur la « #haine_des_Blancs ». Cette accusation est non seulement stupéfiante si elle veut rendre compte des travaux universitaires, mais elle contribue à l’#essentialisation « racialiste » qu’elle dénonce. En effet, elle donne une consistance théorique à l’apparition d’un nouveau groupe, les Blancs, qui auparavant n’était pas reconnu, et ne se reconnaissait pas, comme tel. Dès lors, en présupposant l’existence d’une idéologie racialiste anti-française, anti-blanche, on inverse les termes victimaires en faisant de la culture dominante une culture assiégée. Ce tour de passe-passe idéologique ne peut servir que l’extrême droite identitaire.

      Toutes nos remarques critiques montrent qu’au lieu d’amorcer un nécessaire débat, la tribune ici analysée témoigne du déni dont pourtant des intellectuels non clairement identifiés sont accusés. Comment interpréter ce « manifeste » autrement que comme un appel à censurer ?

      https://www.liberation.fr/debats/2020/11/04/islamisme-ou-est-le-deni-des-universitaires_1804439

    • « Les libertés sont précisément foulées aux pieds lorsqu’on en appelle à la dénonciation d’études et de pensée »

      Environ deux mille chercheurs et chercheuses dénoncent, dans une tribune au « Monde », l’appel à la police de la pensée dans les universités signé par une centaine d’universitaires en soutien aux propos de Jean-Michel Blanquer sur « l’islamo-gauchisme ».

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/11/04/les-libertes-sont-precisement-foulees-aux-pieds-lorsqu-on-en-appelle-a-la-de

    • Open Letter: the threat of academic authoritarianism – international solidarity with antiracist academics in France

      A critical response to the Manifesto signed by over 100 French academics and published in the newspaper Le Monde on 2 November 2020, after the assassination of the school teacher, Samuel Paty.

      At a time of mounting racism, white supremacism, antisemitism and violent far-right extremism, academic freedom has come under attack. The freedom to teach and research the roots and trajectories of race and racism are being perversely blamed for the very phenomena they seek to better understand. Such is the contention of a manifesto signed by over 100 French academics and published in the newspaper Le Monde on 2 November 2020. Its signatories state their agreement with French Minister of Education, Jean-Michel Blanquer, that ‘indigenist, racialist, and “decolonial” ideologies,’ imported from North America, were responsible for ‘conditioning’ the violent extremist who assassinated school teacher, Samuel Paty, on 16 October 2020.

      This claim is deeply disingenuous, and in a context where academics associated with critical race and decolonial research have recently received death threats, it is also profoundly dangerous. The scholars involved in this manifesto have readily sacrificed their credibility in order to further a manifestly false conflation between the study of racism in France and a politics of ‘Islamism’ and ‘anti-white hate’. They have launched it in a context where academic freedom in France is subject to open political interference, following a Senate amendment that redefines and limits it to being ‘exercised with respect for the values of the Republic’.

      The manifesto proposes nothing short of a McCarthyist process to be led by the French Ministry for Higher Education, Research and Innovation to weed out ‘Islamist currents’ within universities, to take a clear position on the ‘ideologies that underpin them’, and to ‘engage universities in a struggle for secularism and the Republic’ by establishing a body responsible for dealing with cases that oppose ‘Republican principles and academic freedom’. The ‘Islamogauchiste’ tag (which conflates the words ‘Islam’ and ‘leftists’) is now widely used by members of the government, large sections of the media and hostile academics. It is reminiscent of the antisemitic ‘Judeo-Bolshevism’ accusation in the 1930s which blamed the spread of communism on Jews. The ‘Islamogauchiste’ notion is particularly pernicious as it voluntarily confuses Islam (and Muslims) with Jihadist Islamists. In other words, academics who point out racism against the Muslim minority in France are branded allies of Islamist terrorists and enemies of the nation.

      This is not the only contradiction that shapes this manifesto. Its signatories appear oblivious to how its feverish tone is redolent of the antisemitic witch-hunts against so-called ‘Cultural Marxists’ that portrayed Jewish intellectuals as enemies of the state. Today’s enemies are Muslims, political antiracists, and decolonial thinkers, as well as anyone who stands with them against rampant state racism and Islamophobia.

      Further, when seen in a global context, the question of who is in fact ‘importing’ ideas from North America is worth considering. The manifesto comes on the back of the Trump administration’s executive order ‘on Combating Race and Sex Stereotyping’ which effectively bans federal government contractors or subcontractors from engaging what are characterised as ideologies that portray the United States as ‘fundamentally racist or sexist’. Quick on Trump’s heels, the British Conservative Party moved to malign Critical Race Theory as a separatist ideology that, if taught in schools, would be ‘breaking the law’.

      We are concerned about the clear double standards regarding academic freedom in the attack on critical race and decolonial scholarship mounted by the manifesto. In opposition to the actual tenets of academic freedom, the demands it makes portray any teaching and research into the history or sociology of French colonialism and institutionalised racism as an attack on academic freedom. In contrast, falsely and dangerously linking these scholarly endeavours to Islamic extremism and holding scholars responsible for brutal acts of murder, as do the signatories of the Manifesto, is presented as consistent with academic freedom.

      This is part of a global trend in which racism is protected as freedom of speech, while to express antiracist views is regarded as a violation of it. For the signatories of the manifesto – as for Donald Trump – only sanitised accounts of national histories that omit the truth about colonialism, slavery, and genocide can be antiracist. In this perverse and ahistorical vision, to engage in critical research and teaching in the interests of learning from past injustices is to engage in ‘anti-white racism’, a view that reduces racism to the thoughts of individuals, disconnecting it from the actions, laws and policies of states and institutions in societies in which racial socioeconomic inequality remains rife.

      In such an atmosphere, intellectual debate is made impossible, as any critical questioning of the role played by France in colonialism or in the current geopolitics of the Middle East or Africa, not to mention domestic state racism, is dismissed as a legitimation of Islamist violence and ‘separatism’. Under these terms, the role of political and economic elites in perpetuating racism both locally and on a global scale remains unquestioned, while those who suffer are teachers and activists attempting to improve conditions for ordinary people on the ground.

      In the interests of a real freedom, of speech and of conscience, we stand with French educators under threat from this ideologically-driven attack by politicians, commentators and select academics. It is grounded in the whitewashing of the history of race and colonialism and an Islamophobic worldview that conflates all Muslims with violence and all their defenders with so-called ‘leftist Islamism’. True academic freedom must include the right to critique the national past in the interests of securing a common future. At a time of deep polarization, spurred by elites in thrall to white supremacism, defending this freedom is more vital than ever.

      https://www.opendemocracy.net/en/can-europe-make-it/open-letter-the-threat-of-academic-authoritarianism-international-sol

    • Qui pour soutenir les « coupables de dérives intellectuelles idéologiques dans les universités » ?

      Mercredi 25 novembre 2020 : deux députés demandent la « création d’une mission d’information sur les dérives intellectuelles idéologiques dans les milieux universitaires », et le font publiquement savoir par un communiqué de presse.

      Ni la ministre de l’Enseignement supérieur, de la Recherche et de l’Innovation, ni la Conférence des présidents d’université, ni l’Udice, l’association autoproclamée des dix plus grandes « universités de recherche » françaises, ne bougent le petit doigt.

      Jeudi 26 novembre 2020 : l’un des deux députés précédents, un certain Julien Aubert, se sentant pousser des ailes, décide d’aller plus loin, et dresse une liste de sept universitaires, dont un président d’université, qui ont en commun d’avoir dit sur les réseaux sociaux le dégoût que leur inspire l’idée même de « dérives intellectuelles idéologiques ». Publiant leurs photos de profils et leurs comptes Twitter personnels, le député jubile, avec le message suivant :

      « Les coupables s’autodésignent. Alors que la privation du débat, l’ostracisation et la censure est constatée par nombre de professeurs, étudiants ou intellectuels, certains se drapent dans des accusations de fascisme et de maccarthysme. »

      La ministre de l’Enseignement supérieur, de la Recherche et de l’Innovation, la Conférence des présidents d’université et l’Udice ne bougent pas davantage le petit doigt.

      Vendredi 27 novembre 2020 : L’Auref, l’Alliance des universités de recherche et de formation, qui regroupe rien de moins que 35 universités, décide de sortir du bois, et il faut la saluer. Il faut dire, aussi, que l’un de ses membres, le président de l’université de Bordeaux Montaigne, figure par les « coupables » désigné par le député Aubert. Le communiqué choisit de rester tout en rondeur : il « appelle à plus de calme et de retenue dans les propos, de dignité et de respect de l’autre dans le légitime débat public, de mobilisation sur les vrais enjeux de la France et de son université ». Mais il a le mérite, lui, d’exister.

      L’université de Rennes 2, de son côté, annonce se réserver « le droit de donner une suite juridique à cette dérive grave ». C’est en effet une vraie question, à tout le moins sur le terrain de la diffamation.

      Du côté de la ministre de l’Enseignement supérieur, de la Recherche et de l’Innovation, de la Conférence des présidents d’université et de l’Udice, en revanche, rien. Toujours rien. Désespérément rien.

      Ils bougeront un jour, c’est sûr, il le faudra bien, comme ils avaient bougé après les propos de Jean-Michel Blanquer sur l’islamo-gauchisme. Mais bouger comme ils le font, à la vitesse d’escargots réticents, ce n’est pas un soutien résolu et indéfectible dans la défense des libertés académiques. Ces gens ne sont tout simplement pas à la hauteur de l’Université.

      https://academia.hypotheses.org/29081

    • Chasse aux sorcières. Un député contre-attaque

      Loi recherche, libertés académiques et furie parlementaire..
      Comme elles venaient cette fois de députés, j’ai demandé au Président de l’@AssembleeNat de se saisir des attaques personnelles contre des personnels de l’enseignement supérieur et de la recherche.
      Rien ne va plus.

      https://twitter.com/Sebastien_Nadot/status/1332350483437150209


      https://academia.hypotheses.org/29133

      #Sébastien_Nadot

    • La liste des coupables s’allonge. Au tour des universités ?

      Au Journal officiel de ce 3 décembre 2020, on trouve le décret portant dissolution d’un « #groupement_de_fait », l’« Association de défense des droits de l’homme – #Collectif_contre_l’islamophobie_en_France » (https://www.legifrance.gouv.fr/download/pdf?id=-nWvo0jS6QqmBjWn9EPe_u_AvWkqbw3aGTWSBldcbDg=). Cette association était plus connue sous le nom de « #CCIF ».

      Ce décret de #dissolution inhabituellement long – trois pages – a déjà largement été commenté et dénoncé1. Academia se permet néanmoins d’insister sur un point : il est important de lire avec attention l’argumentation de ce décret — ce qu’en droit, on nomme les motifs — et d’observer par quels sautillements logiques le gouvernement en arrive aux pires conclusions. C’est même crucial pour la communauté de l’ESR, dans un contexte bien particulier d’attaques contre les libertés académiques. Certes, ce n’est pas la même artillerie qui est déployée contre le CCIF, d’un côté, et contre les universités et les scientifiques, de l’autre ; mais les petits bonds logiques qui y conduisent présentent de très fortes ressemblances.

      Prenons le premier des motifs du décret :

      « En qualifiant d’islamophobes des mesures prises dans le but de prévenir des actions terroristes et de prévenir ou combattre des actes punis par la loi, [le CCIF] doit être regardé comme partageant, cautionnant et contribuant à propager de telles idées, au risque de susciter, en retour, des actes de haine, de violence ou de discrimination ou de créer le terrain d’actions violentes chez certains de ses sympathisants ».

      Et voyons à quelle conclusion ce motif conduit :

      « Considérant que par suite, [le CCIF] doit être regardé comme provoquant à la haine, à la discrimination et à la violence en raison de l’origine, de l’appartenance à une ethnie, à une race ou à une religion déterminée et comme propageant des idées ou théories tendant à justifier ou encourager cette discrimination, cette haine ou cette violence ».

      Voilà donc un raisonnement qui se déploie de manière très décomplexée. Voir de l’islamophobie dans certaines évolutions arbitraires et discriminatoires de l’action anti-terroriste, c’est, première conséquence, prendre le « risque » de susciter du terrorisme ; et dans tous les cas, cela doit, seconde conséquence, être regardé comme une provocation à la haine, à la discrimination et à la violence en raison de l’origine, de l’appartenance à une ethnie, à une race ou à une religion déterminée et comme une propagation des idées ou théories tendant à justifier ou encourager cette discrimination, cette haine ou cette violence.

      Ce mode bien particulier de raisonnement appelle deux remarques.

      La première remarque a trait au choix bien précis des mots qui sont employés dans le décret de dissolution du 2 décembre 2020. Ce décret fait référence, en réalité, à deux infractions pénales :

      - Il suggère d’abord l’infraction de provocation directe à des actes de terrorisme. Au terme de l’article 421-2-5 du code pénal, en effet, « le fait de provoquer directement à des actes de terrorisme ou de faire publiquement l’apologie de ces actes est puni de cinq ans d’emprisonnement et de 75 000€ d’amende ».
      - Il suggère ensuite l’infraction d’incitation à la haine, à la violence ou à la discrimination raciale. Au terme de l’article 24 de la loi du 29 juillet 1881 sur la liberté de la presse, en effet, « ceux qui auront provoqué à la discrimination, à la haine ou à la violence à l’égard d’une personne ou d’un groupe de personnes à raison de leur origine ou de leur appartenance ou de leur non-appartenance à une ethnie, une nation, une race ou une religion déterminée, seront punis d’un an d’emprisonnement et de 45 000 euros d’amende ou de l’une de ces deux peines seulement ».

      Mais le décret ne fait que suggérer ces infractions : il en reprend des formules, mais il ne dit pas qu’elles ont été commises par le CCIF. Il ne le dit pas parce que ces infractions n’ont pas été commises. Si elles l’avaient été, des poursuites pénales auraient immédiatement été engagées. Les outils de la police administrative — ici la dissolution d’une association — viennent donc suppléer les outils de la répression pénale, en singeant ces derniers : puisque le CCIF n’était pas sérieusement attaquable devant le juge pénal, le pouvoir exécutif choisit de l’attaquer par la voie administrative, et pour cela, il mime le vocabulaire pénal, tout en s’affranchissant, évidemment, de toutes les garanties qui caractérisent le procès pénal.

      La seconde remarque est, pour les universités, la plus importante. La dissolution du CCIF est largement justifiée par des propos tenus par l’association et ses dirigeants, au titre de leur liberté d’expression et sans qu’aucune infraction pénale n’ait été commise. La Ligue des droits de l’homme l’a bien identifié dans son communiqué : avec ce décret « le gouvernement s’engage sur la voie du délit d’opinion », un délit qui, précisément, n’existe pas. Un des motifs retenus dans le décret est, de ce point de vue, significatif :

      « sous couvert de dénoncer les actes de discriminations commis contre les musulmans, [le CCIF] défend et promeut une notion d’islamophobie particulièrement large, n’hésitant pas à comptabiliser au titre des ‘actes islamophobes‘ des mesures de police administrative, voire des décisions judiciaires, prises dans le cadre de la lutte contre le terrorisme ».

      Ainsi donc, qualifier des pans de la lutte contre le terrorisme d’actes « islamophobes » est désormais interdit. Ce n’est pas interdit sur le plan pénal ; mais c’est sanctionné par le pouvoir exécutif, qui use pour cela de ses outils de police administrative.
      Quels enseignements pour l’enseignement supérieur et la recherche ?

      Ces petits bonds logiques grâce auxquels Emmanuel Macron, Jean Castex et Gérald Darmanin, les trois signataires du décret, justifient des atteintes à la libre expression sont évidemment inquiétants quant à l’état général des droits et libertés en France. Or, on observe quelques tressaillements du même ordre du côté de l’enseignement supérieur et de la recherche, et c’est sur ce point que nous aimerions insister à présent. Bien sûr, la situation du CCIF et celle de l’ESR restent incomparables, dans la mesure où, du côté de l’ESR, la grande machinerie de la police administrative n’a pas été mise en branle comme elle l’a été pour le CCIF. En revanche, des petits bonds logiques du même ordre que ceux dont le CCIF a été victime se multiplient jusqu’au sein des plus prestigieux établissements d’enseignement supérieur et de recherche. Plus inquiétant encore, ils se diffusent dans des cercles de plus en plus officiels au parlement et au gouvernement.

      L’établissement de relations entre des recherches scientifiques, d’un côté, et des qualifications pénales, de l’autre, sans pour autant que le moindre début de délit ne puisse être établi, se retrouve désormais couramment sous la plume de certain·es universitaires. Nathalie Heinich, directrice de recherche CNRS (classe exceptionnelle), membre du Centre de recherches sur les arts et le langage (CNRS/ EHESS), s’y prête allègrement par exemple : comme elle l’a récemment déclaré au Times Higher Education2, « les affirmations des universitaires sur le ‘racisme systématique’ et le ‘racisme d’État’ sont un encouragement direct au terrorisme ». Un encouragement direct au terrorisme, dit-elle : la référence à l’article 421-2-5 du code pénal, évoqué plus haut, est à nouveau explicite. À l’instar de ce que fait le pouvoir exécutif dans le décret de dissolution du CCIF, le vocabulaire du droit pénal est appelé à la rescousse pour attaquer certaines formes d’expression, sans, pour autant, qu’aucun début d’infraction pénale ne puisse être mobilisé.

      Ces références mal contrôlées au droit pénal auxquelles se livrent certain·es universitaires ne sont pas sans effets. Elles sont désormais reprises non sans opportunisme par certaines des plus hautes autorités de l’État. C’est le cas du député Julien Aubert qui, après avoir appelé avec le président du groupe des Républicains de l’Assemblée nationale à la mise en place d’une « mission d’information sur les dérives intellectuelles idéologiques dans les milieux universitaires », dresse des listes d’universitaires qu’il désigne comme « coupables ». C’est le cas, aussi, du ministre de l’Éducation nationale Jean-Michel Blanquer lorsqu’il parle, à propos des universités, de « complicité intellectuelle du terrrorisme ».

      Quand un parlementaire et un ministre, l’un et l’autre de premier plan, décident de mobiliser du vocabulaire pénal et de parler de « culpabilité » et de « complicité » à propos d’universitaires, il y a lieu d’être inquiet·es. Pour Jean-Michel Blanquer, agrégé de droit public, ces références pénales se font en toute connaissance de cause, d’ailleurs, si l’on veut bien se souvenir que, dans son autre vie, il a publié des travaux très sérieux au sujet des relations entre responsabilité pénale et responsabilité politique. Notons que l’un de ses ouvrages s’appelait La responsabilité des gouvernants, ce qui, c’est le moins qu’on puisse dire, est un titre qui résonne aujourd’hui étrangement concernant le ministre Blanquer.

      Dans un tel contexte, le décret de dissolution du CCIF est riche d’enseignements et justifie ce long billet d’Academia. Résumons les choses : si le CCIF a été dissout, ce n’est pas sur la base d’infractions pénales, puisqu’il n’était pas sérieusement possible d’actionner ces infractions, alors même qu’on n’a cessé d’en étendre le champ depuis vingt ans. Si le CCIF a été dissout, c’est par des références abusives à des infractions pénales, sur la base de quoi des mesures de police administrative ont été actionnées par le pouvoir exécutif, dont les motifs, nous l’avons vu, se situent d’abord et avant tout sur le terrain de la liberté d’expression.

      Que peut-on dans ces conditions craindre pour l’enseignement supérieur et la recherche ? Dès lors que l’on observe, aujourd’hui, que des collègues et du personnel politique de premier plan singent eux aussi des infractions pénales pour critiquer des recherches scientifiques, on peut légitimement craindre qu’un mouvement de terrain du même ordre que celui dont le CCIF a été la victime se réalise s’agissant des universités. Tout y mène.

      L’exclusion du champ académique

      Ce risque ne viendra sans doute pas du droit pénal lui-même, en tout cas pas dans un premier temps. Certes, on se souvient que la loi de programmation de la recherche a déjà étendu brusquement le champ du droit pénal universitaire, avec le nouveau délit d’atteinte au bon ordre et à la tranquillité des établissements. Mais on peut espérer que ce délit ne sorte pas sans dommage du contrôle du Conseil constitutionnel ; surtout, il ne suffira pas pour attaquer les recherches qui représentent « un encouragement direct au terrorisme », pas plus que la législation pénale anti-terroriste n’a suffi pour s’attaquer aux propos du CCIF. C’est donc vers de nouvelles formes juridiques de contraintes, autres que celles que propose le droit pénal, que le débat est en train de se déplacer plus ou moins consciemment, comme il s’est déplacé pour le CCIF. La voie la plus simple, pour cela, consiste à inventer de nouvelles limites à la libre expression des enseignant·es et des chercheur·ses, afin d’exclure du champ académique, et donc du champ des libertés académiques, certains propos et certain·es collègues.

      Cette démarche d’exclusion hors du champ des libertés académiques, dont les fondements épistémologiques ne sont pas neufs3, a pris une dimension professionnelle particulière depuis quelques années. Épistémologiquement, il s’agit de « faire coupure » entre ce qui est bonne science et mauvaise science, selon un principe médical de l’amputation pour éviter la propagation de la gangrène au corps entier : certain·es rappellent ainsi régulièrement que les sciences sociales critiques ne sont pas des sciences militantes, l’invocation du « militantisme » disqualifiant la légitimité épistémologique des travaux menés par des hommes et des femmes engagé∙es. Olivier Beaud, voix écoutée et reconnue de l’association Qualité de la science française, s’exprimait ainsi dans Le Monde du 2 décembre :

      « Je refuse l’inquisition politique mais je refuse aussi le silence qui serait de la lâcheté intellectuelle et reviendrait à cautionner des universitaires dont la pratique serait de surdéterminer leurs recherches censément scientifiques (donc objectives) par des considérations lourdement idéologiques, fût-ce au motif de défendre telle ou telle minorité ».

      L’article du Monde précise ensuite les propos d’Olivier Beaud : selon lui, des universitaires « radicaux » auraient délaissé la distinction opérée par Max Weber entre le « jugement de fait », qui fonde leurs recherches, et le « jugement de valeur », qui fonde leurs opinions.

      En se référant ainsi à la « neutralité axiologique » de Max Weber, Olivier Beaud tord la pensée d’un homme profondément engagé dans la construction de l’État prussien par les sciences économiques et sociales. Par chance pour notre démonstration, la traduction commandée à Julien Freund par Raymond Aron et parue en 1963 dans un contexte de guerre froide, a fait récemment l’objet de plusieurs éditions critiques qui retraduisent en français le texte original Du métier de savant (Wissenschaft als Beruf, 1917)4. Pour celles et ceux qui ont eu accès au texte de Weber par la seule traduction française, la lecture de cette traduction révisée est très éclairante : l’universitaire, pour faire science, a besoin d’une « inspiration », qui donne un sens à son travail, notamment ses tâches calculatoires ; cette inspiration a partie liée avec une question éthique, intime et indispensable : « quelle est la vocation de la science pour l’ensemble de la vie de l’humanité ? Quelle en est la valeur ? ».

      De nos jours, il est fréquent que l’on parle d’une « sciences sans présupposés, écrit Max Weber. Une telle science existe-t-elle ? Tout dépend ce que l’on entend par là. Tout travail scientifique présuppose la validité des règles de la logique et de la méthode, ces fondements universels de notre orientation dans le monde. Ces présupposés-là sont les moins problématiques du moins pour la question particulière qui nous occupe. Mais on présuppose aussi que le résultat du travail scientifique est important au sens où il mérite d’être connu. Et c’est de là que découlent, à l’évidence, tous nos problèmes. Car ce présupposé, à son tour, ne peut être démontré par les moyens de la science. On ne peut qu’en interpréter le sens ultime, et il faut le refuser ou l’accepter selon les positions ultimes que l’on adopte à l’égard de la vie
      — Weber, 1917 [2005], p. 36

      Les problèmes que Max Weber5 repérait hier sont les nôtres aujourd’hui : certains ou certaines disqualifient le travail scientifique de leurs collègues, non à l’aune de leur qualité scientifique intrinsèque, reposant sur la qualité de la réflexion, de la documentation, de l’analyse, mais par les présupposés qui ont initié la recherche.

      Ces derniers mois, les choses sont devenues très claires de ce point de vue : il y a des recherches dont certain·es ne veulent plus.

      C’est leur scientificité même qui est déniée : ces recherches sont renvoyées à de la pure « idéologie », sans qu’aucune explication précise ne soit jamais donnée, si ce n’est la référence à une autre idéologie, qu’il s’agisse des « valeurs de la République » ou de « l’unité de la nation ». « L’unité de la nation », c’est ce à quoi renvoyait l’association Qualité de la science française dans un récent communiqué : « il fait peu de doute que se développent dans certains secteurs de l’université des mouvances différentialistes plus ou moins agressives, qui mettent en cause l’unité de la nation, et dont l’attitude envers les fondamentalismes est ambiguë ». La comparaison sémantique avec les textes académiques prônant le maccarthysme est à ce titre très éclairante, même si leur rédaction doit être replacée dans le contexte de la guerre froide6 : le caractère scandaleux de toute opération de « chasse aux sorcières » se mesure, considère-t-on alors, à l’aune des risques encourus par la nation.

      Quelle va être la suite ? Va-t-on exclure ces savant∙es contemporain∙es de l’université, qui repose pourtant sur le principe de la pluralité et du dissensus ? Va-t-on les exclure en leur déniant tout travail de production et de transmission des connaissances scientifiques, pour les rejeter du côté de la simple expression des opinions ? Le risque, derrière ce feu qu’allument certain∙es universitaires, est connu : c’est évidemment que le pouvoir politique s’en saisisse, pour en tirer des conséquences juridiques.

      Nous nous trouvons très précisément au seuil d’un mouvement de ce type aujourd’hui en France. On y a échappé de peu lors des débats sur la loi de programmation de la recherche, avec l’amendement subordonnant les libertés académiques au respect des valeurs de la République auquel la ministre Vidal avait donné, on ne le rappellera jamais assez, un « avis extrêmement favorable ».

      Dans un contexte aussi pesant, c’est avec beaucoup d’appréhension, désormais, que l’on attend, du côté de la rédaction d’Academia, l’examen du « projet de loi renforçant les principes républicains » (plus connu sous le nom de « projet de loi Séparatismes »). Plusieurs collègues ont en particulier alerté Academia sur le fait qu’un collectif dénommé Vigilance Universités échange à propos de ce projet de loi avec la ministre déléguée auprès du ministre de l’Intérieur, chargée de la Citoyenneté, pour introduire les universités dans le champ de celui-ci. Nous craignons le pire. Cela fait plusieurs années maintenant que ces mêmes collègues propagent le sentiment d’une immense insécurité physique et de grands dangers intellectuels dans les universités, sans vouloir reconnaître qu’en conséquence de leurs propos, des personnalités politiques de premier rang, à droite et à l’extrême droite, appellent désormais à combattre les « dérives intellectuelles idéologiques » et dresse des listes de « coupables ».

      Peut-être est-il temps maintenant, pour elles et eux, de prendre conscience de leur responsabilité historique dans le mouvement de rétraction des libertés académiques en cours, à défaut d’avoir accepté de prendre la moindre position critique, lors des débats sur la loi de programmation de la recherche, sur la pénalisation des universités à laquelle ils et elles ont directement contribué par leurs propos et leurs actions.

      Il est surtout temps que l’ensemble des collègues prennent la juste mesure du danger. Il est temps que nous prenions, collectivement et clairement, position sur ce que défendre l’université veut dire.

      https://academia.hypotheses.org/29291

    • Antiracisme : la guerre des facs n’aura pas lieu

      Depuis la fin de l’automne 2018, par poussées de fièvre belliqueuse, surgissent périodiquement les tribunes, appels, articles qui mettent en garde contre un nouvel ennemi de la République : les « décoloniaux », qui « mènent la guerre des facs », écrit par exemple Étienne Girard dans Marianne, le 12 avril 2019. Des dizaines d’autres intellectuels, journalistes, personnalités publiques, ont pris la plume pour dénoncer « les obsédés de la race à la Sorbonne » (Charlie Hebdo 23 janvier 2019), les « énervés de la race » qui « martèlent leurs fameuses théories sur la race » (Le Canard Enchaîné, 24 juin 2020). Ils mettent en accusation la « stratégie hégémonique » du « décolonialisme » (Le Point, 28 novembre 2018) qui se lance « à l’assaut de l’université » (Le Nouvel Obs, 30 novembre 2018), qui « menace la liberté académique » (Le Monde, 12 avril 2019) et qui, « nouveau terrorisme intellectuel », « infiltre les universités » (La Revue des deux Mondes, 18 avril 2019) par une « grande offensive médiatique et institutionnelle » (L’Express, 26 décembre 2019), traduisant « une stratégie décoloniale de radicalité » (Le Monde, blog, 06 juillet 2020) en même temps qu’une « quête de respectabilité académique » (L’Express, 26 décembre 2019).

      La rhétorique est guerrière – et l’ennemi, puissant, organisé, déterminé, mobilisant des méthodes de guérilla, voire de « terrorisme », est déjà en passe de l’emporter, au point qu’il faut « appeler les autorités publiques, les responsables d’institutions culturelles, universitaires, scientifiques et de recherche, mais aussi la magistrature, au ressaisissement » (Le Point, 28 novembre 2018) et « sanctionner la promotion de l’idéologie coloniale » (Marianne, 26 juin 2020).

      Mais de quoi parle-t-on exactement ? Comme cela a déjà été souligné, si stratégie hégémonique il y a, elle est remarquablement peu efficace : aucun poste ni aucune chaire, dans aucun domaine de sciences humaines et sociales, n’a jamais été profilé « études postcoloniales ou décoloniales » à l’université ; pas de revue spécialisée, pas de maison d’édition ni même de collection de presses universitaires dans le domaine. Une analyse sociologique fine menée en termes de « correspondances multiples » sur plusieurs années et croisant plusieurs variables (publications, visibilité, lieux institutionnels, etc.) démontre que

      « les travaux sur la question minoritaire, la racialisation ou le postcolonial demeurent des domaines de niche […] bénéficiant d’une faible audience dans le champ académique comme dans l’espace public »
      — Inès Bouzelmat, « Le sous-champ de la question raciale dans les sciences sociales », Mouvements, 12 février 2019.

      Si guerre il y a, les deux camps en présence témoignent d’un « rapport de forces inégal » où la puissance, sinon l’hégémonie, est bien du côté du savoir contesté par « la mouvance post ou décoloniale » (L’Obs, 11 janvier 2020), qui fait figure de David contre le Goliath de l’universalisme républicain.

      De plus, il est remarquable que les combats de l’université, comme récemment contre la Loi de Programmation Pluriannuelle de la Recherche, dont le projet a été rendu public le 7 juin et qui est sur le point d’être adoptée en dépit de l’opposition explicite, massive et continue de la communauté universitaire, troublent généralement bien peu les penseurs institutionnels et les personnalités publiques. On compte sur les doigts d’une main les journalistes qui ont relayé les inquiétudes des universitaires : la vraie guerre est ailleurs. Pour les gardiens du temple, les « décoloniaux » menacent bien davantage l’université que la remise en cause des statuts des enseignants-chercheurs, la précarisation des personnels, la diminution accrue de financement récurrent et la mise en concurrence généralisée des institutions, des laboratoires et des individus. Ce n’est pas la disparition programmée du service public qui doit appeler « à la plus grande mobilisation » de la communauté universitaire (Marianne, 26 juin 2020), c’est la diffusion de « l’idéologie décoloniale ».

      C’est que cette guerre-là ne touche pas seulement l’université – sinon, qui s’en soucierait ? Comme l’a affirmé Emmanuel Macron dans des propos rapportés le 10 juin 2020 dans Le Monde, « le monde universitaire a été coupable », « il a encouragé l’ethnicisation de la question sociale en pensant que c’était un bon filon » et une telle stratégie « revient à casser la République en deux ». Voilà le véritable enjeu : les décoloniaux, par opportunisme et sens du « postcolonial business » (L’Express, 26 dec. 2019) ou par désir de promouvoir la haine et la division de la communauté politique, ou peut-être enfin par incompréhension et ignorance des vraies fractures sociales – par cynisme, par gauchisme ou par bêtise -, sont accusés de chercher à provoquer une « guerre des races » qui brisera la République. Ils sont ceux qui guident « les jeunes » dans les manifestations contre le racisme et les violences policières, ceux qui suscitent le déboulonnage des statues et les changements de noms des rues et places qui rendent hommage aux héros du colonialisme, ceux qui plaident pour l’introduction de statistiques ethniques afin de visibiliser les phénomènes de discrimination… C’est pourquoi, dans ces lignes de front qui se tracent, c’est bien eux qu’on prend à partie via ce « vous » populaire qu’ils incarnent comme une avant-garde : « J’exige de vous le respect. Sinon ce sera la guerre » (Marianne, 9 juillet 2020).
      Cette déclaration de guerre repose sur une confusion, un renversement et un double mensonge.

      La confusion est évidente : sont rassemblés sous une étiquette mal taillée des chercheurs et chercheuses aux positions épistémologiques précises et parfois en désaccord, qui travaillent depuis des années sur des objets dont l’importance n’est pas encore vraiment reconnue. Leur recherche, selon les règles d’usage de la discussion académique, exige de se confronter lors de séminaires, colloques et conférences où entrent en conversation les tenants de positions différentes avec les outils académiques de l’argumentation logique, de la distinction conceptuelle et de l’érudition textuelle. La « mouvance post ou décoloniale » n’existe pas. Et pour cause : les études décoloniales sont d’abord menées par des chercheuses et chercheurs latino-américains, parfois caribéens, qui diffèrent des courants postcoloniaux indiens ou, surtout, étasuniens, selon trois critères désormais bien établis : géopolitique, disciplinaire et généalogique1. Décoloniaux et postcoloniaux ne partagent ni les mêmes influences intellectuelles ni les mêmes contextes socio-économiques et culturels ; ils et elles mobilisent des outils méthodologiques différents pour poser des problèmes théoriques ou normatifs différents. Les désaccords scientifiques traversent aussi les disciplines, y compris entre celles et ceux qui sont persuadés de l’importance de s’intéresser au passé colonial pour comprendre le présent : historiens de l’esclavage et de la colonisation s’affrontent sur les aires géographiques pertinentes, sur les méthodologies de l’histoire globale ou locale, sur les sources archivistiques ou leur absence, etc. Bien loin de mettre en place des stratégies hégémoniques de domination académique, les universitaires échangent du savoir, de la connaissance, du raisonnement, avec humilité, rigueur et ténacité. Ils et elles travaillent et soumettent leurs hypothèses au test de l’évaluation par les pairs : ils font leur métier.

      Le renversement de perspective est tout aussi massif. Tout se passe comme si s’efforcer de mettre au jour les effets de domination historiquement fondés sur des rapports de race traduits dans l’organisation coloniale du monde, puis hérités de cet ordre sans être réellement déconstruits, revenait à créer ces effets de domination. Lorsque les chercheuses et chercheurs parlent de racialisation ou racisation, on leur oppose que le mot est « épouvantable » (Jean-Michel Blanquer, dans Libération, 21 novembre 2017). C’est un néologisme qui, selon la critique, ne permet pas de révéler une réalité sociale, mais qui produit, dans un geste performatif, la réalité qu’il prétend désigner.

      Or parler de groupe racisé consiste bien à nommer une réalité sociale : la catégorisation et la hiérarchisation de groupes sociaux, dans des contextes précis, en raison de facteurs visuels ou généalogiques réels ou fantasmés2. Il s’agit de chercher à expliquer, et non pas excuser, la construction, les mécanismes, les processus de reproduction de cette réalité. Parler de racialisation permet précisément de souligner que la race n’existe pas en tant que réalité biologique, de l’historiciser, la désessentialiser et la dénaturaliser. Il s’agit de produire de nouvelles ressources épistémiques pour dénoncer la hiérarchisation et l’inégalité raciales tout en évitant de reproduire les interprétations obsolètes et racistes du monde social.

      Sous la plume de ceux qui veulent « sanctionner » « l’idéologie coloniale », « supprimer les références racialistes », effacer la « nuée de concepts » qui traitent de la question raciale — non seulement dans la législation et la Constitution, mais aussi à l’université — une telle mise sous silence permettrait de supprimer le mal. Ces mots « réactivent l’idée de race » et « détournent des valeurs de liberté, égalité, fraternité qui fondent notre démocratie », affirment-ils (Le Point, 28 novembre 2018) : cessons d’utiliser ces mots abominables, et la « question sociale » sera enfin désethnicisée, la République réparée. Ils estiment sans doute qu’en France régnait l’égalité réelle jusqu’à ce que certains se mettent à dénoncer la domination raciale dont ils font l’expérience, et d’autres parviennent à admettre le privilège racial dont ils bénéficient.

      C’est là nier le travail des chercheuses et chercheurs qui, décrivant et évaluant les dominations raciales, s’efforçant de poser un diagnostic clair sur la nature et l’ampleur des inégalités qui traversent notre société, non seulement ne les créent pas, mais espèrent même contribuer à les faire disparaître. Vouloir les faire taire, c’est contribuer au racisme ordinaire en lui permettant d’avancer sous la « cape d’invisibilité » que procure l’étendard du républicanisme bafoué.

      Enfin le mensonge est double : d’une part, il consiste à faire semblant de croire qu’une poignée d’universitaires peut entraîner à elle seule les mouvements sociaux d’ampleur inédite qui ont vu le jour après le confinement pour dénoncer le racisme institutionnel et réclamer justice. C’est trop d’honneur. Trop de mépris, aussi, pour le travail de terrain des mouvements antiracistes et les associations de défense des droits qui mènent la lutte au quotidien auprès des victimes de stigmatisation et discrimination raciales. C’est enfin, surtout, être aveugle à la lame de fond qui nous emporte, à la transformation sociale massive que vit notre vieux modèle. Car d’autre part, le mensonge réside dans l’accusation selon laquelle les manifestant·es qui protestent contre le racisme et les discriminations, et réclament une participation égale et un statut paritaire dans le récit national, veulent « casse[r] la République en deux ». Or cela a été amplement souligné : les hommes et femmes, jeunes et moins jeunes, racisé·es ou non, qui défilaient pour condamner les violences policières racistes en juin dernier3 chantaient ensemble La Marseillaise ; celles et ceux qui proposent de déplacer les statues des héros de la colonisation pour les muséifier le font au nom d’un hommage que la république pourrait rendre, sur ses places publiques, à d’autres héroïnes et d’autres héros français oubliés ou trop longtemps traités en objets et non en sujets politiques. La république peut être inclusive et réparée ; l’universel peut être visé — un universel concret, construit à partir des particularités et non pas en négation de celles-ci. Ce sont les fondations d’un nouvel universalisme possible qui sont en train d’être posées. Le mensonge consiste à prétendre que Cassandre veut la guerre.
      Et si ce n’était pas une guerre, mais une révolution ?

      Ce à quoi on assiste, et qui provoque la panique morale des puissants, peut se comprendre, c’est l’hypothèse faite ici, à la fois comme une révolution scientifique et comme une révolution politique, parce que les deux sont indissociables dans les sciences humaines et sociales. C’est à la fois un tournant copernicien ou changement de paradigme4, une nouvelle manière de façonner les problèmes et les solutions dans un processus discontinu de production du savoir, et le mouvement du « passage de l’idée dans l’expérience historique », la « tentative pour modeler l’acte sur une idée, pour façonner le monde dans un cadre théorique »5.

      L’ancien modèle théorique s’essouffle : les énigmes se multiplient, les exceptions ou anomalies ne confirment plus la règle mais s’accumulent pour miner l’autorité du vieux cadre interprétatif colorblind de notre monde social. Trop d’injustices sociales débordent le modèle de la lutte des classes, les inégalités socio-économiques à elles seules n’expliquent pas toutes les différences de trajectoire collective ou individuelle, les différences culturelles se naturalisent, l’écart se creuse et se visibilise entre les idéaux de la république et la réalité sociologique de leur mise en œuvre – y compris institutionnelle. L’épaisseur de l’histoire esclavagiste et coloniale pèse sur le mythe du contrat social républicain établi entre des partenaires égaux consentant librement à « faire peuple », ensemble. Ce qui est requis, ce n’est donc pas simplement une nouvelle grille de lecture à appliquer sur des données par ailleurs bien connues : c’est la manière même de voir le monde qui change, ce sont de nouveaux positionnements, de nouvelles perspectives, de nouvelles perceptions, la mise au jour de nouvelles archives, les témoignages de nouvelles voix, qui produisent des données jusque là méconnues ou ignorées, et qui entraînent l’exigence de renouveler le paradigme.

      La résistance de la vieille garde est d’autant plus désespérée que les sujets producteurs de ces nouvelles connaissances sont aussi des agents usuellement dominés et discrédités dans les circonstances « normales » du discours public. Ce sont des agents dont les idées, les ressources théoriques, les productions cognitives, souffrent d’un déficit de crédibilité dû soit à des biais ou stéréotypes négatifs qui conduisent à mettre en doute leur capacité à produire un discours valide, rationnel et raisonnable, sur leurs expériences singulières, soit à un excès de crédibilité accordé à d’autres agents dissonants, au témoignage ou à l’analyse desquels on a tendance à accorder une confiance supérieure. Racialisation, discrimination systémique, privilège blanc, stigmatisation raciale, parmi d’autres, sont des concepts et des ressources épistémiques précieuses pour décrire des expériences sociales, les partager, les interpréter, les évaluer, et peut-être transformer le monde où elles ont cours. Le monde universitaire n’est pas une armée de terroristes qui infiltre les lieux de savoir et casse la République en deux : le monde universitaire est l’espace institutionnel inclusif où ces agents producteurs de connaissance inédits et inaudibles peuvent participer à la production de savoirs qui nous concernent tous parce que tous, nous sommes la république. La guerre des facs n’aura pas lieu, parce que le monde d’après est déjà là : les monstres, et leurs derniers gémissements, disparaissent avec le clair-obscur.

      https://academia.hypotheses.org/29341

    • Academic Freedom Under Attack in France

      For many years, in what now seems the distant past, France was known as the nation that welcomed refugees from authoritarian countries; revolutionary activists, artists, exiled politicians, dissident students, could find sustenance and support in the land of liberty, equality, and fraternity. It is also the country whose philosophers gave us many of the tools of critical thinking, including perhaps the very word critique. In recent years—at least since the bicentennial of the French Revolution in 1989—that image has been replaced by a more disturbing one: a nation unable to decently cope (and increasingly at war) with people of color from its former colonies (black, Arab, Muslim) as well as Roma; a nation whose leaders are condemning critical studies of racial discrimination and charges of “Islamophobia” in the name of “the values of the Republic.”

      The years since the bicentennial have seen a dramatic increase in discrimination against a number of groups, but Arab/Muslims, many of them citizens (according to the settlement that ended the Algerian War) have been singled out. The charge against them has been that they practice their religion publicly, in violation of laïcité, the French version of secularism, the separation of church and state. Enshrined in a 1905 law, laïcité calls for state neutrality in matters of religion and protects individual rights of private religious conscience. Although the state is extremely supportive of Catholic religious practices (state funds support churches as a matter of preserving the national heritage, and religious schools, the majority of them Catholic, in the name of freedom of educational choice; the former president, Nicolas Sarkozy has insisted that Catholicism is an integral aspect of laïcité), Islam has been deemed a threat to the “values” upon which national unity is based.

      National unity is a peculiar concept in France, at least from an American perspective. The nation “one and indivisible” is imagined as culturally homogeneous. Anything that suggests division is scrupulously avoided. Thus there is no exact calculation of the numbers of Muslims in the French population because no official statistics are kept on racial, ethnic, or religious difference. To make those very real differences visible is thought to introduce unacceptable divisions in the representation of the unity of the national body.

      The presence of an estimated 6 to 10 million Muslims (in a country of some 67 million) has become a potent political weapon. Initially claimed by the far Right National Front party (now renamed the Rally for the Republic), the “Muslim problem” has become a concern of parties across the spectrum (in differing degrees from Right to Left). In 2003, in the face of increasing electoral success on the far Right, the conservative government of Jacques Chirac commissioned a report that redefined laïcité for the twenty-first century’s “clash of civilizations.” Titled “The New Laïcité, “ it extended the demand for neutrality from the state to its individual citizens, forbidding any display of religious affiliation in public space. Although said to be universally applicable, everyone understood this to be a policy aimed at Muslims. Thus the hijab (the Islamic headscarf) is prohibited in public schools; women are fined for wearing the niqab (the full face covering) on the streets of their towns; veiled women are prevented from serving as witnesses at weddings conducted in city halls; burkini clad women were forced to undress on some beaches in the summer of 2016….the list goes on. Women were the target of these rules and regulations (for reasons I have analyzed in my The Politics of the Veil (2007), but men, too, experience economic and social discrimination, as well as violent police surveillance in their homes and on the streets.

      In the wake of a number of horrific terrorist attacks in the name of Islam in French cities—the assassinations of the Charlie Hebdo journalists and the murders at the Bataclan theater in 2015, and most recently, in 2020, the beheading of a school teacher, Samuel Paty—all Muslims are increasingly defined as a threat to the security of the nation. The Interior Minister, Gérald Darmanin, has effectively declared war, defining not religion but Islamist ideology as “an enemy within.” Despite this careful distinction, a wartime, ethno-nationalist mentality has identified Muslims as a dangerous class. Antipathy to Muslims has become evidence of patriotism; those who argue that not all Muslims are terrorists and that discrimination against them might contribute to their radicalization, have been met with denunciations and vehement attacks. University professors are among these groups, and they have faced particularly nasty accusations of treason. The campaigns being mounted against them don’t just target individuals; in their insistence that teaching cannot deviate from “the values of the Republic,” the charges amount to a sustained attack on academic freedom.

      The call to rally around the Republic has come not only from the expected quarters—politicians and publicists on the Right—but also from the current (neo-) liberal administration and from within the academy itself. Historians, sociologists, and anthropologists who work on the history of colonialism, on issues of ethnic and racial discrimination, and who seek to account, within the problematics of their disciplines, for the inequalities evident in French society, have been labelled “islamo-gauchistes” for their presumed support for or identification with Muslims. The term is used as an insult, and it is employed regularly by intellectuals such as the philosopher Elisabeth Badinter and the feminist writer Caroline Fourest, neither of whom are considered to be on the Right. In 2018, following a conference at the University of Paris, 7, on “Racism and racial discrimination in the university,” some 80 intellectuals signed a letter condemning as “ideological” the increasing number of “racialist” university events and they called upon “the authorities” to put an end to their “use against the Republic.”

      The “authorities” have responded. In 2020, the Minister of Education, Jean-Michel Blanquer declared that anti-racist intellectuals were “complicit” in Samuel Paty’s murder. He accused “islamo-gauchistes” of “wreaking havoc” in the university. Those employing ideas of “intersectionality,” he denounced as “intellectual accomplices of terrorism.” He deemed intersectionality a pernicious import from multicultural America that “essentializes communities and identities, the antithesis of our model of the Republic.” If Muslims were “separatists,” these intellectuals were too. President Emmanuel Macron charged that “The academy is guilty. It has encouraged the ethnicization of the social question, thinking it’s a good subject to study. But, the outcome can only be secessionist. It will rebound to split the Republic in two.” In October, a bill was proposed in the Senate stating that “academic freedom must respect the values of the Republic.” And Frédérique Vidal, the Minister of Higher Education and Research, whose portfolio most directly pertains to the academy, asserted that “the values of laïcité, of the Republic, are not open for debate.”

      Although no one has yet been fired from a university position, the warning signs are clear. If the nation is at war with Islam, those who struggle to find alternatives to this divisiveness are, ironically, accused of dividing the nation. When professor of sociology (University of Paris 8) Eric Fassin was threatened on Twitter with decapitation for his “islamo-gauchiste views” by a right-wing extremist, his university president offered support (as did academic collectives from Turkey to Brazil), but there was no comment from those higher up in the education ministries. [Fassin sued and won a ruling against the man, but the court treated him not as member of a domestic, neo-Nazi, terrorist network (which he is), but as a lone aberrant individual.] Calls to rein in teachers who address racism and discrimination are widespread, and the threats of disciplinary action are particularly severe against the still relatively rare academics of color, many of whom hold junior, therefore vulnerable positions. State surveillance of research can make it difficult for those studying discrimination, as well as aspects of Islamic culture, to get access to the archives and repositories of data that they need. And then there is the self-policing that inevitably accompanies state surveillance and disapproval.

      But the resistance is impressive. There is no national organization equivalent to the AAUP in France, yet faculty have nonetheless mobilized. Courses continue to be taught, books and articles published, and conferences held on race and discrimination, and these are rightly justified as realizing the values of the Republic—those that stand for liberty and equality above all. There is a site, Université Ouverte where information on protests and other activities can be found, as well as the blog Academia with in-depth critical analyses. In response to a denunciation of their work by 100 intellectuals as “racializing” (racialiste) because it allegedly taught students to “hate whites and France,” more than 2000 academics replied this way in Le Monde: “To call the approach that examines, among other things, the impact of social, sexist, and racist oppression, ‘racialist,’ is despicable. [Racialist] signifies racist thought and regimes based on a supposed hierarchy of race….[But our] sociological and critical approach to racial questions, as the intersectional approaches so often attacked, do the opposite by exposing oppression in order to combat it.” An international letter of support for these efforts was circulated in November, 2020. It makes the case very clear: an increasingly ethno-nationalist politics is posing a dire threat to French academic freedom.

      As I write this in early 2021, the old slogan from May ’68 in France sums up the state of things: La lutte continue (the struggle goes on).

      https://academeblog.org/2021/01/05/academic-freedom-under-attack-in-france
      #Joan_Scott

    • Comment les militants décoloniaux prennent le pouvoir dans les universités
      https://seenthis.net/messages/900839

      ... où on parle notamment de ce nouveau site web :
      L’#Observatoire_du_décolonialisme_et_des_idéologies_identitaires :

      Ce site propose un regard critique, tantôt profond et parfois humoristique, sur l’émergence d’une nouvelle tendance de l’Université et de la Recherche visant à « décoloniser » les sciences qui s’enseignent. Il dénonce la déconstruction revendiquée visant à présenter des Institutions (la langue, l’école, la République, la laïcité) comme les entraves des individus. Le lecteur trouvera outre une série d’analyses et de critiques, une base de données de textes décoloniaux interrogeable en ligne, un générateur de titre de thèses automatique à partir de formes de titres, des liens d’actualités et des données sur la question et un lexique humoristique des notions-clés.

      Cet observatoire n’a pas pour but de militer, ni de prendre des positions politiques. Il a pour but d’observer et d’aider à comprendre, à lire la production littéraire, scientifique et éditoriale des études en sciences humaines ou prétendument scientifiques orientées vers le décolonialisme. Il veut surtout aider à comprendre la limite entre science et propagande.

      L’équipe :


      http://decolonialisme.fr

    • La France contaminée par les idées venues des campus américains

      Entre l’Élysée et la presse outre-Atlantique, la controverse ne s’arrête plus : « Les idées américaines menacent-elles la cohésion française ?? » s’interroge le New York Times. Le prestigieux quotidien américain revient sur une série d’observations et de déclarations entendues en France à la suite du discours d’Emmanuel Macron contre les séparatismes le 2 octobre.

      Ce jour-là, le président français avait mis en garde les universités contre « certaines théories en sciences sociales totalement importées des États-Unis d’Amérique ». L’Hexagone, affirme le New York Times, se sentirait menacé par « les idées progressistes américaines - notamment sur la race, le genre, le post-colonialisme ». Certains « politiciens, d’éminents intellectuels et nombre de journalistes français » craignent qu’elles soient « en train de saper leur société ».

      Il y a eu les déclarations de Jean-Michel Blanquer, ministre de l’Éducation nationale, qui avait parlé d’un « combat à mener contre une #matrice_intellectuelle venue des universités américaines », et aussi le livre de deux éminents spécialistes des sciences sociales françaises, #Stéphane_Beaud et #Gérard_Noiriel, critiquant le principe d’#études_raciales. La virulence des réactions antiaméricaines étonne le NYT. Il note cependant :

      D’une certaine manière, c’est un combat par procuration autour de questions qui sont parmi les plus brûlantes au sein de la société française, celles notamment de l’#identité_nationale et du #partage_du_pouvoir."

      Car si, dans les universités françaises, la jeune génération de chercheurs n’est plus sur la même ligne que la précédente, la contestation de certains volets du #modèle_français est arrivée dans la société. Le journaliste américain cite plusieurs exemples, à commencer par les manifestations contre les violences policières suscitées par l’assassinat de George Floyd de juin 2020.

      [Celles-ci] remettaient en cause la non-reconnaissance institutionnelle de la race et le racisme systémique. Une génération #MeToo de féministes s’est dressée à la fois contre le pouvoir masculin et contre les féministes plus âgées. La répression qui a suivi une série d’attaques islamistes a soulevé des interrogations sur le modèle français de laïcité et l’intégration des immigrés des anciennes colonies de la France."

      Il se peut bien, estime le NYT en citant le chercheur français Éric Fassin, que derrière les attaques du gouvernement contre les universités américaines « se cachent les tensions d’une société où le pouvoir établi est bousculé ».

      https://www.courrierinternational.com/article/vu-des-etats-unis-la-france-contaminee-par-les-idees-venues-d

    • Will American Ideas Tear France Apart? Some of Its Leaders Think So

      Politicians and prominent intellectuals say social theories from the United States on race, gender and post-colonialism are a threat to French identity and the French republic.

      The threat is said to be existential. It fuels secessionism. Gnaws at national unity. Abets Islamism. Attacks France’s intellectual and cultural heritage.

      The threat? “Certain social science theories entirely imported from the United States,’’ said President Emmanuel Macron.

      French politicians, high-profile intellectuals and journalists are warning that progressive American ideas — specifically on race, gender, post-colonialism — are undermining their society. “There’s a battle to wage against an intellectual matrix from American universities,’’ warned Mr. Macron’s education minister.

      Emboldened by these comments, prominent intellectuals have banded together against what they regard as contamination by the out-of-control woke leftism of American campuses and its attendant cancel culture.

      Pitted against them is a younger, more diverse guard that considers these theories as tools to understanding the willful blind spots of an increasingly diverse nation that still recoils at the mention of race, has yet to come to terms with its colonial past and often waves away the concerns of minorities as identity politics.

      Disputes that would have otherwise attracted little attention are now blown up in the news and social media. The new director of the Paris Opera, who said on Monday he wants to diversify its staff and ban blackface, has been attacked by the far-right leader, Marine Le Pen, but also in Le Monde because, though German, he had worked in Toronto and had “soaked up American culture for 10 years.”

      The publication this month of a book critical of racial studies by two veteran social scientists, Stéphane Beaud and Gérard Noiriel, fueled criticism from younger scholars — and has received extensive news coverage. Mr. Noiriel has said that race had become a “bulldozer’’ crushing other subjects, adding, in an email, that its academic research in France was questionable because race is not recognized by the government and merely “subjective data.’’

      The fierce French debate over a handful of academic disciplines on U.S. campuses may surprise those who have witnessed the gradual decline of American influence in many corners of the world. In some ways, it is a proxy fight over some of the most combustible issues in French society, including national identity and the sharing of power. In a nation where intellectuals still hold sway, the stakes are high.

      With its echoes of the American culture wars, the battle began inside French universities but is being played out increasingly in the media. Politicians have been weighing in more and more, especially following a turbulent year during which a series of events called into question tenets of French society.

      Mass protests in France against police violence, inspired by the killing of George Floyd, challenged the official dismissal of race and systemic racism. A #MeToo generation of feminists confronted both male power and older feminists. A widespread crackdown following a series of Islamist attacks raised questions about France’s model of secularism and the integration of immigrants from its former colonies.

      Some saw the reach of American identity politics and social science theories. Some center-right lawmakers pressed for a parliamentary investigation into “ideological excesses’’ at universities and singled out “guilty’’ scholars on Twitter.

      Mr. Macron — who had shown little interest in these matters in the past but has been courting the right ahead of elections next year — jumped in last June, when he blamed universities for encouraging the “ethnicization of the social question’’ — amounting to “breaking the republic in two.’’

      “I was pleasantly astonished,’’ said Nathalie Heinich, a sociologist who last month helped create an organization against “decolonialism and identity politics.’’ Made up of established figures, many retired, the group has issued warnings about American-inspired social theories in major publications like Le Point and Le Figaro.

      For Ms. Heinich, last year’s developments came on top of activism that brought foreign disputes over cultural appropriation and blackface to French universities. At the Sorbonne, activists prevented the staging of a play by Aeschylus to protest the wearing of masks and dark makeup by white actors; elsewhere, some well-known speakers were disinvited following student pressure.

      “It was a series of incidents that was extremely traumatic to our community and that all fell under what is called cancel culture,’’ Ms. Heinich said.

      To others, the lashing out at perceived American influence revealed something else: a French establishment incapable of confronting a world in flux, especially at a time when the government’s mishandling of the coronavirus pandemic has deepened the sense of ineluctable decline of a once-great power.

      “It’s the sign of a small, frightened republic, declining, provincializing, but which in the past and to this day believes in its universal mission and which thus seeks those responsible for its decline,’’ said François Cusset, an expert on American civilization at Paris Nanterre University.

      France has long laid claim to a national identity, based on a common culture, fundamental rights and core values like equality and liberty, rejecting diversity and multiculturalism. The French often see the United States as a fractious society at war with itself.

      But far from being American, many of the leading thinkers behind theories on gender, race, post-colonialism and queer theory came from France — as well as the rest of Europe, South America, Africa and India, said Anne Garréta, a French writer who teaches literature at universities in France and at Duke.

      “It’s an entire global world of ideas that circulates,’’ she said. “It just happens that campuses that are the most cosmopolitan and most globalized at this point in history are the American ones.’’

      The French state does not compile racial statistics, which is illegal, describing it as part of its commitment to universalism and treating all citizens equally under the law. To many scholars on race, however, the reluctance is part of a long history of denying racism in France and the country’s slave-trading and colonial past.

      “What’s more French than the racial question in a country that was built around those questions?’’ said Mame-Fatou Niang, who divides her time between France and the United States, where she teaches French studies at Carnegie Mellon University.

      Ms. Niang has led a campaign to remove a fresco at France’s National Assembly, which shows two Black figures with fat red lips and bulging eyes. Her public views on race have made her a frequent target on social media, including of one of the lawmakers who pressed for an investigation into “ideological excesses’’ at universities.

      Pap Ndiaye, a historian who led efforts to establish Black studies in France, said it was no coincidence that the current wave of anti-American rhetoric began growing just as the first protests against racism and police violence took place last June.

      “There was the idea that we’re talking too much about racial questions in France,’’ he said. “That’s enough.’’

      Three Islamist attacks last fall served as a reminder that terrorism remains a threat in France. They also focused attention on another hot-button field of research: Islamophobia, which examines how hostility toward Islam in France, rooted in its colonial experience in the Muslim world, continues to shape the lives of French Muslims.

      Abdellali Hajjat, an expert on Islamophobia, said that it became increasingly difficult to focus on his subject after 2015, when devastating terror attacks hit Paris. Government funding for research dried up. Researchers on the subject were accused of being apologists for Islamists and even terrorists.

      Finding the atmosphere oppressive, Mr. Hajjat left two years ago to teach at the Free University of Brussels, in Belgium, where he said he found greater academic freedom.

      “On the question of Islamophobia, it’s only in France where there is such violent talk in rejecting the term,’’ he said.

      Mr. Macron’s education minister, Jean-Michel Blanquer, accused universities, under American influence, of being complicit with terrorists by providing the intellectual justification behind their acts.

      A group of 100 prominent scholars wrote an open letter supporting the minister and decrying theories “transferred from North American campuses” in Le Monde.

      A signatory, Gilles Kepel, an expert on Islam, said that American influence had led to “a sort of prohibition in universities to think about the phenomenon of political Islam in the name of a leftist ideology that considers it the religion of the underprivileged.’’

      Along with Islamophobia, it was through the “totally artificial importation’’ in France of the “American-style Black question” that some were trying to draw a false picture of a France guilty of “systemic racism’’ and “white privilege,’’ said Pierre-André Taguieff, a historian and a leading critic of the American influence.

      Mr. Taguieff said in an email that researchers of race, Islamophobia and post-colonialism were motivated by a “hatred of the West, as a white civilization.’’

      “The common agenda of these enemies of European civilization can be summed up in three words: decolonize, demasculate, de-Europeanize,’’ Mr. Taguieff said. “Straight white male — that’s the culprit to condemn and the enemy to eliminate.”

      Behind the attacks on American universities — led by aging white male intellectuals — lie the tensions in a society where power appears to be up for grabs, said Éric Fassin, a sociologist who was one of the first scholars to focus on race and racism in France, about 15 years ago.

      Back then, scholars on race tended to be white men like himself, he said. He said he has often been called a traitor and faced threats, most recently from a right-wing extremist who was given a four-month suspended prison sentence for threatening to decapitate him.

      But the emergence of young intellectuals — some Black or Muslim — has fueled the assault on what Mr. Fassin calls the “American boogeyman.’’

      “That’s what has turned things upside down,’’ he said. “They’re not just the objects we speak of, but they’re also the subjects who are talking.’’

      https://www.nytimes.com/2021/02/09/world/europe/france-threat-american-universities.html?searchResultPosition=5

    • Le manifeste des 100 repris par la tribune des généraux qui appellent Macron à défendre le #patriotisme...

      Qui sont donc les ennemis que ces militaires appellent à combattre pour sauver « la Patrie » ? Qui sont les agents du « délitement de la France » ? Le premier ennemi désigné reprend mot pour mot les termes de l’appel des universitaires publié le 1 novembre 2020 sous le titre de « Manifeste des 100 » : « un certain antiracisme » qui veut « la guerre raciale » au travers du « racialisme », « l’indigénisme » et les « théories décoloniales ». Le second ennemi est « l’islamisme et les hordes de banlieue » qui veulent soumettre des territoires « à des dogmes contraires à notre constitution ». Le troisième ennemi est constitué par « ces individus infiltrés et encagoulés saccagent des commerces et menacent ces mêmes forces de l’ordre » dont ils veulent faire des « boucs émissaires ».

      https://seenthis.net/messages/912643
      Et plus précisément : https://seenthis.net/messages/912643#message913950

    • « Islamo-gauchisme » à l’université : la ministre Frédérique Vidal accusée d’abus de pouvoir devant le Conseil d’Etat

      Six enseignants-chercheurs ont déposé en avril un #recours devant le #Conseil_d’Etat. La ministre de l’enseignement supérieur va devoir justifier sa décision d’ouvrir une enquête sur l’« islamo-gauchisme à l’université ».

      Qu’est devenue l’enquête sur l’ « islamo-gauchisme à l’université » voulue par la ministre de l’enseignement supérieur ? Le 14 février, Frédérique Vidal annonçait sur CNews qu’elle allait demander, « notamment au CNRS », de mener une enquête portant sur « l’ensemble des courants de recherche » en lien avec « l’islamo-gauchisme » à l’université. Deux jours plus tard, à l’Assemblée nationale, elle confirmait la mise en place d’ « un bilande l’ensemble des recherches » en vue de « distinguer ce qui relève de la recherche académique et ce qui relève du militantisme et de l’opinion .

      Quatre mois ont passé et c’est le silence complet. Sollicité par Le Monde à de multiples reprises, l’entourage de la ministre refuse d’indiquer si une enquête a été lancée et, le cas échéant, à qui a été confié le soin de la mener, le CNRS ayant décliné la demande.

      C’est désormais sur le terrain juridique que se joue l’affaire, six enseignants-chercheurs attaquant la ministre pour #abus_de_pouvoir. Une procédure de référé et un recours en annulation ont été introduits le 13 avril devant le Conseil d’Etat par les avocats William Bourdon et Vincent Brengarth. Les requérants demandent à Frédérique Vidal de renoncer officiellement et définitivement à cette enquête « qui bafoue les libertés académiques et menace de soumettre à un contrôle politique, au-delà des seules sciences sociales, la recherche dans son ensemble .

      Le 7 mai, le Conseil d’Etat qui a rejeté le référé a transmis la requête en annulation au ministère pour l’interroger sur sa position. « La ministre de l’enseignement supérieur dispose désormais de deux mois pour démontrer que sa décision ne constitue pas un détournement des pouvoirs et des attributions qui lui sont confiés », indiquent MM. Bourdon et Brengarth. « Info ou intox ? Les masques vont tomber. Quand on a suscité un tel émoi, il est essentiel que la ministre assume soit la décision, soit le rétropédalage », ajoute William Bourdon.

      « Police de la pensée »

      Si le Conseil d’Etat s’est déclaré incompétent, il demande au ministère des explications, souligne Fabien Jobard, l’un des requérants, chercheur au CNRS, spécialiste des questions pénales. « Il agit comme une commission d’accès aux documents administratifs en demandant à Mme Vidal de nous dire ce qu’il en est. Soit oui, une commission existe avec tel et tel membre, soit non c’est le plus probable , il n’y a pas de commission d’enquête », projette-t-il.

      Pour la requérante Fanny Gallot, maîtresse de conférences en histoire à l’université Paris-Est-Créteil, « ce recours marque le fait que les bornes ont été largement dépassées. Aujourd’hui, l’offensive est très forte et elle est autorisée par Frédérique Vidal . Ainsi, « mener des recherches sur les discriminations ethnoraciales quand on est soi-même racisé est d’emblée considéré comme se faire le porte-parole des minorités. Mener des recherches quand on est féministe, comme moi, peut être utilisé par certains pour remettre en question la scientificité de mes recherches », illustre-t-elle.

      Des étudiants de deuxième année de master qui voulaient s’inscrire en thèse hésitent à travailler sur certains sujets, notamment liés à l’intersectionnalité (qui consiste à croiser divers mécanismes de domination, liés au genre, à l’âge ou encore à la couleur de peau). « C’est une #intimidation, même s’il n’y a pas eu véritablement de commission d’enquête. Pour pouvoir assumer de parler de certains sujets, il faut être un enseignant en poste, sinon c’est trop risqué », confirme Caroline Ibos, maîtresse de conférences en science politique à l’université Rennes-II.

      Les effets sont donc « très concrets » et vont « dans le sens d’une #police_de_la_pensée », alors que sont en question des savoirs déjà marginalisés en France. « Il y a peu d’endroits où l’on peut se former en études de genre et un seul Paris-VIII qui décerne des doctorats en études de genre en France, décrit la chercheuse. Il n’y a pas de section au CNRS, ni au CNU [Conseil national des universités], c’est un champ particulièrement sous-financé et aujourd’hui le gouvernement décide de le livrer à la vindicte populaire ? »

      Fanny Gallot décrit « un climat d’angoisse » depuis les déclarations de la ministre. « Il y a des moments d’échanges académiques qui sont empêchés », comme lors d’une table ronde au mois de mars consacrée à l’intersectionnalité qui s’est déroulée dans une ambiance « électrique », rapporte-t-elle. « Je pense que je n’ai pas dit exactement ce que j’aurais dit si nous n’avions pas été trois semaines après les propos de Frédérique Vidal. Nous nous autocensurons dans une certaine mesure parce que nous avons #peur. Dans des conférences Zoom où on ne sait pas toujours qui est présent, on redoute des trolls. On ne sait plus ce que l’on peut dire en classe ou dans les séminaires », confie Fanny Gallot.

      Une #suspicion constante

      « Nous souhaitions mettre la ministre face à ses responsabilités, explique Nacira Guénif, professeure de sociologie à Paris-VIII, également requérante. On ne peut pas faire n’importe quelle déclaration sans que cela ait des implications. » Née en France de parents algériens, Nacira Guénif « travaille depuis longtemps dans ces conditions de suspicion.

      « J’ai eu un procès en imposture avant même d’avoir mon poste à l’université », narre-t-elle. Dans les années 1990, auprès de la direction des populations et des migrations, qui finançait une recherche obtenue par la jeune chercheuse après un appel d’offres, elle fait face à une « curée générale . « Je ne collais pas aux stéréotypes de la beurette, qui était précisément le sujet de ma thèse. On me reprochait de ne pas dire ce qu’on attendait de moi et cela s’est transformé en déloyauté de ma part », poursuit Nacira Guénif.

      Depuis, la suspicion de militance est constante, les promesses non tenues d’invitations dans des colloques se poursuivent et les prises à partie également. Dans la volonté de la ministre, Fabien Jobard voit « au mieux un doublon inutile et au pire, une volonté du gouvernement de substituer ou d’ajouter aux procédures scientifiques habituelles une procédure dérogatoire .

      Car, pour faire des enquêtes, il existe des commissions dans chacun des établissements, tel le comité national au CNRS, chargé d’évaluer les collègues et de recruter les nouveaux chercheurs. « C’est le principe de l’évaluation de l’action scientifique par les pairs, rappelle-t-il. Si un collègue au CNRS présente un projet visant à nous dire que le prolétariat nouveau est constitué d’islamistes et exige que le politique mette genou à terre devant lui, alors je suis suffisamment grand pour émettre un avis d’alerte sur ce collègue », illustre celui qui a siégé au comité national dans la section science politique entre 2004 et 2008.

      Lui aussi témoin d’effets concrets après l’annonce de Mme Vidal, Fabien Jobard cite le cas d’une collègue chargée de suivre plusieurs sujets pour le compte du gouvernement. « Dans le cadre de ses missions, elle travaille avec des militaires et, alors qu’elle voulait organiser un colloque, l’un d’eux s’est opposé à ce qu’il se tienne à La Sorbonne, "à cause des problèmes d’islamo-gauchisme" », relate Fabien Jobard, qui s’inquiète du discrédit jeté sur les travaux de recherche. « J’essaye de maintenir une crédibilité, mais si mes interlocuteurs habituels que sont les procureurs, les policiers et les gendarmes s’effraient de mon travail, ma relation en sera-t-elle grillée ? Vont-ils travailler uniquement avec des universités et organismes qui feront le voeu de ne pas être islamo-gauchistes ? »

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/06/10/islamo-gauchisme-a-l-universite-la-ministre-frederique-vidal-accusee-d-abus-

    • Ces attaques répétées contre le monde universitaire sont un chiffon rouge agité devant une opinion surchauffée par le #confusionnisme d’extrême droite qui se nourrit des frustrations sociales en les exacerbant « en même temps » avec des fantasmes identitaires et une volonté de renouer avec une certaine « grandeur » tout aussi fantasmée, lesquels fantasmes ont malheureusement contaminé une partie de la gauche nostalgique de « l’esprit des lumières » et d’une vision biaisée de la #laïcité. C’est une logique hégémonique de #reconquista pour conforter les « valeurs » mortifères héritées de l’occident gréco-romain puis chrétien. Cette logique hégémonique procède des mêmes intentions que le nazisme avec l’antisémitisme et le fantasme « judéo-bolchevique ». Quelques années après le deuxième conflit mondial, on a pu voir outre-atlantique se développer un anti-communisme propulsé par le sénateur Joseph McCarthy et plus récemment, cette logique était également à la manœuvre pendant le mandat de Trump avec pour conséquence la résurgence des mouvances issues du #suprémacisme_blanc.

      Make the Christian Occident great again ! ...

      #propagande_d'état

      (Mon propos est certainement synthétique mais c’est pourtant cela qu’évoquent les analyses d’ #Éric_Fassin)

    • #Caroline_Fourest sur LCP, 02.07.2021 :

      Journaliste : La société se racialise. A ce point-là ?
      Caroline Fourest : « En France, je peux vous dire, dans nos universités, à commencer par nos universités... regardez la façon dont les chercheurs ont réagi à une interpellation, certes peut-être trop directe et pas tout à fait bien choisie de la ministre de l’enseignement supérieur, mais il y a un corporatisme violent qui est en train de protéger le déni. D’abord, aujourd’hui quand on parle de questions qui fâchent ceux qui vous attaquent le plus violemment ce sont des chercheurs du CNRS. C’est un problème que l’alerte soit interdite. Que le fait de penser soit interdit de la part de gens qui sont des chercheurs du CNRS. Et puis il y a une très forte attraction du modèle américain qui passe évidemment par toutes les plateformes culturelles de ce modèle-là et aussi qui attire à l’université qui manque de moyen. »
      Journaliste : « Donc il y a vraiment une perméabilité »
      Caroline Fourest : « Tout le monde s’identitarise. »
      Journaliste : « Les combats idéologiques sont toujours menés par des minorités, mais est-ce que c’est toute la société ? »
      Caroline Fourest : « Toute la société s’identitarise. Version d’extrême droite évidemment ça peut donner des jeunes blancs déclassés qui vont désormais dire blancs au lieu de se dire pauvres et de se mettre ne mouvement pour essayer de lutter contre les inégalités. ça va donner des jeunes qu’au lieu de se dire ’On va lutter contre les inégalités’ se mettent à lutter par identité à l’extrême gauche »

      https://twitter.com/LCP/status/1411024030296064004

    • Un article d’avril 2021 :

      #Stéphane_Troussel : ’La République ne sait que faire des différences physiques ou des couleurs de peau multiples’

      Refusant l’affrontement qu’imposent la droite et l’extrême droite sur les réunions non mixtes, le président (PS) du conseil départemental de Seine-Saint-Denis appelle, dans une tribune au « Monde », la gauche à s’extraire d’une polémique stérile et dangereuse pour lutter véritablement contre les discriminations qui fracturent la société.

      La polémique est repartie, le brouhaha médiatique ne retombe pas. Après les outrances et les manipulations de la droite et de l’extrême droite, c’est maintenant au Sénat de surenchérir en adoptant un amendement à l’exposé des motifs caricatural au projet de loi dit « contre les #séparatismes » [celui-ci permettrait de dissoudre les associations qui organisent des réunions non mixtes racisées]. A en croire certains, sommant tous les autres de choisir leur camp, la République pourrait bien vaciller.

      Au fond, de quoi s’agit-il ? Des personnes se rassemblent pour échanger sur leurs expériences sociales douloureuses, les #discriminations vécues à partir d’un critère physique, d’une #orientation personnelle... Caractéristiques qui leur sont régulièrement renvoyées en pleine face comme une insulte : #sexisme, #racisme, #homophobie, etc. Il s’agit de paroles de victimes de racisme, de discrimination, d’inégalités. Il faut les prendre comme telles et, bien évidemment, je refuse que cela enferme les personnes concernées dans une « #victimisation » et que cela devienne une #parole_politique autrement que par son intégration unifiée contre toutes les formes de discrimination.

      Mais peu importe pour celles et ceux (Jean-Michel Blanquer, des députés et sénateurs LR, l’extrême droite...) qui ont lancé, puis alimenté la polémique. Toutes celles et tous ceux qui expriment, même avec nuance ou avec des réserves, une quelconque approbation de ces démarches, de ces expérimentations militantes, souvent transitoires, consistant à permettre de libérer la parole, sont accusés de « #dérive_séparatiste », « racialisante ».

      Artifices antiracistes

      Les gros mots sont de sortie. Les voilà lancés, jetés à une foule de commentateurs qui les voient comme un affront fait à une République censée être aveugle à la #couleur_de_peau, à la religion réelle ou supposée, au sexe... L’affrontement est en place, les camps bien délimités, chacun est sommé de choisir le sien et de laisser les nuances au vestiaire : les #racialistes d’une part, les #universalistes de l’autre. « Il faut choisir son camp, crient les repus de la haine », écrivait Albert Camus, dans son Pour une trêve civile, en 1956, en pleine guerre d’Algérie, condamnant à égalité les massacres de civils du FLN et les massacres répressifs de l’armée française.

      Cela semble ne poser de problème à personne que cette #polémique permette, à un an de la présidentielle, à la chef de l’extrême droite de se parer d’artifices antiracistes et de tenter de cohabiter, avec d’autres, dans le camp universaliste. Ici se situerait donc le débat politique de notre temps, la nouvelle #fracture : je m’y refuse. Je m’y refuse, parce que, si nous en sommes là, c’est que la gauche est tombée dans le piège tendu par la droite la plus réactionnaire et l’extrême droite qui, désormais, fixent les termes du débat et l’agenda politiques de notre pays.

      Je m’y refuse parce que, justement, la bonne question, celle qui devrait animer unanimement une gauche solidaire, droite dans ses bottes, fière de ses valeurs, cette question-là, la gauche française n’a pas su, ou pas suffisamment su, quelle réponse y apporter. Pourquoi, en France, les dispositifs républicains de lutte concrète contre les discriminations et les inégalités qui fracturent notre société piétinent ou ne s’imposent qu’au forceps (#loi_SRU [Solidarité et renouvellement urbain], #testing, #CV_anonyme, récépissé de contrôle d’identité, #droit_de_vote des étrangers aux élections locales, conventions ZEP-Sciences Po, mariage pour tous, droits des femmes...) ? Celles et ceux qui, à droite et à l’extrême droite, hurlent avec les loups ont combattu chacune de ces avancées.

      Pourtant, il n’y a qu’à se baisser pour constater le chemin qu’il reste à parcourir dans la lutte contre les #inégalités_femmes-hommes, le racisme, l’homophobie ou le #passé_colonial et ses conséquences pour les descendants des ex-pays colonisés.

      Il faudrait interdire les organisations qui reprendraient à leur compte des solutions avancées par la gauche libérale américaine, fondée sur le multiculturalisme et la valorisation des identités plurielles ? Ou bien faut-il se demander pourquoi n’opposer qu’un discours « il faut réduisons les inégalités socio-économiques pour que tout le monde ait sa chance » - ou qu’un slogan « la République, rien que la République » ? qui sonne de plus en plus creux aux oreilles de celles et ceux qui restent au bord du chemin, alors que les inégalités sociales et territoriales explosent dans notre société.

      L’#égalité_réelle

      Voilà mon explication. Oui, sans aucun doute, la République a un problème avec le #corps des individus, elle ne sait que faire de ces #différences_physiques, de ces #couleurs multiples, de ces orientations diverses, parce qu’elle a affirmé que pour traiter chacun et chacune également, elle devait être #aveugle.

      Mais, sans aucun doute également, d’autres dans la République ont détourné cette promesse d’une #égalité_républicaine, politique et donc sociale, pour exclure. Exclure les #femmes d’abord, les #pauvres ensuite, les #ouvriers, ces « classes laborieuses donc classes dangereuses », puis les #étrangers, la « #racaille » et ses « #sauvageons », venus d’ailleurs, emmenant leurs religions, leurs mémoires et leurs histoires. Et la gauche ne verrait pas cela. Elle passerait à côté de ce détournement, voire y inscrirait ses pas, au lieu de saisir le problème à bras-le-corps.

      Au lieu d’affirmer que dans ce pays, où a été défendue la République, puis la République sociale, il faut maintenant défendre la #République_citoyenne_et_universelle, la #République_métissée, la #République_de_l'égalité_réelle, en tentant de comprendre son passé, ses erreurs et ses oublis, pour regarder ensemble, tous et toutes ensemble, plus sereinement son avenir.

      Note(s) :

      Stéphane Troussel est président du conseil départemental de la Seine-Saint-Denis.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/04/07/stephane-troussel-la-republique-a-un-probleme-avec-le-corps-des-individus-el

      #non-mixité

  • #Maria_Uva
    Je découvre Maria Uva en lisant le #livre « #Sangue_giusto » de #Francesca_Melandri (en italien) :

    https://bur.rizzolilibri.it/libri/sangue-giusto-2

    sur le livre voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/904517
    –—

    Era nota col nomignolo di «l’#animatrice_di_Said». Maria era nata in Francia a Villeneuve, presso Lourdes, nella famiglia De Luca, d’origine piemontese. Suo marito, Pasquale Uva, era nato invece in Egitto da genitori pugliesi.

    Avendo intrapreso corsi da soprano, Maria Uva accompagnava le navi dei coloni italiani che passavano nel Canale di Suez per la guerra d’Etiopia del 1935-36 con inni patriottici.

    Ben presto la sua divenne una vera e propria organizzazione con la collaborazione del marito e del resto della comunità italiana in Egitto. La Uva e i «suoi» fornirono ai soldati italiani ogni genere di conforto sia economico che morale.

    Per questo la donna ebbe molto spesso problemi con la comunità inglese presente sul suolo e fu costretta a trasferirsi in Italia nel 1937.

    Finita la guerra, Maria Uva si trovò in una profonda crisi finanziaria che però ebbe termine grazie all’aiuto di un diplomatico francese che aiutò il marito a trovare un nuovo lavoro.

    Umberto II dall’esilio conferì a Maria Uva l’onorificenza di «Dama della Corona d’Italia».

    Maria Uva è morta all’età di 97 anni.

    https://it.m.wikipedia.org/wiki/Maria_Uva

    #musique #chansons #musique_et_politique #fascisme #colonialisme #histoire #patriotisme #guerre_d'Ethiopie #Italie #musique_et_fascisme #Canal_de_Suez #Port_Said #colonialisme_italien

    ping @sinehebdo @olivier_aubert

    • En fait, Maria Uva était une chanteuse qui chantait des chants patriotiques (et fascistes) au passage des soldats italiens à travers le canal de Suez... et qui rejoignaient l’Erythrée et l’Ethiopie...
      Mais j’ai pas trouvé des enregistrements d’elle... peut-être le lien est un peu faible ;-)

    • Et en voici une autre :
      #Africanina

      Tre conti son già stati regolati
      Con #Adua, #Macallè ed #Amba_Alagi
      Tra poco chiuderemo la partita
      Vincendo la gloriosa impresa ardita.

      Pupetta mora, africanina,
      Tu della libertà sarai regina
      Col legionario liberatore
      Imparerai ad amare il tricolore

      Due ottobre ricordatelo a memoria
      Nell’Africa Orientale avrà una storia
      Romana civiltà questa è missione
      Ed ha fiorito cento e una canzone

      Pupetta mora, africanina
      Saprai baciare alla garibaldina
      Col bel saluto alla romana
      Sarai così una giovane Italiana

      Avanti Italia nuova che sia gloria
      All’armi tu e volontà vittoria
      Vittoria contro i barbari abissini
      E contro i sanzionisti ginevrini

      Pupetta mora, africanina
      Piccolo fiore di orientalina
      Labbra carnose dolce pupilla
      Tutti i tuoi figli si chiameran #Balilla

      Labbra carnose dolce pupilla
      Tutti i tuoi figli si chiameran Balilla

      https://www.youtube.com/watch?v=jKM9TquhLlo

      #chansons_coloniales

    • Et encore une...
      #Fischia_il_sasso (#Inno_dei_balilla)

      Fischia il sasso, il nome squilla
      del ragazzo di Portoria,
      e l’intrepido #Balilla
      sta gigante nella storia.

      Era bronzo quel mortaio
      che nel fango sprofondò
      ma il ragazzo fu d’acciaio
      e la madre liberò.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso,
      agli amici tutto il cuor.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso
      agli amici tutto il cuor.

      Sono baldi aquilotti
      come sardi tamburini
      come siculi picciotti
      o gli eroi garibaldini.

      Vibra l’alma lì nel petto
      sitibonda di virtù,
      dell’Italia il gagliardetto
      e nei fremiti sei tu.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso,
      agli amici tutto il cuor.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso
      agli amici tutto il cuor.

      Siamo nembi di sementi,
      siamo fiamme di coraggio:
      per noi canta la sorgente,
      per noi brilla e ride maggio.

      Ma se un giorno la battaglia
      Alpi e mare incendierà,
      noi saremo la mitraglia
      della santa Libertà.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso,
      agli amici tutto il cuor.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso
      agli amici tutto il cuor.

      https://www.youtube.com/watch?v=cfo0sXxIcHE

      Igiaba Scego, dans le livre Roma negata , en parle ainsi :

      «Ci ho messo del tempo a capire che quella canzonetta (che confesso mi piaceva pure da piccoletta per la sua cadenza marziale un po’ zmpappà zumpappà) non era una ninna nanna, ma uno dei peggiori prodotti del fascismo più becero.»

      (p.102)

    • #Tripoli bel suol d’amore

      https://www.youtube.com/watch?v=yslUUVO2Rnc

      https://www.youtube.com/watch?v=BjoS5tfaDkU

      Sai dove s’annida più florido il suol?
      Sai dove sorride più magico il sol?
      Sul mar che ci lega con l’Africa d’or,
      la stella d’Italia ci addita un tesor.
      Ci addita un tesor!

      Tripoli, bel suol d’amore,
      ti giunga dolce questa mia canzon!
      Sventoli il tricolore
      sulle tue torri al rombo del cannon!
      Naviga, o corazzata:
      benigno è il vento e dolce la stagion.
      Tripoli, terra incantata,
      sarai italiana al rombo del cannon!

      A te, marinaro, sia l’onda sentier.
      Sia guida Fortuna per te, bersaglier.
      Và e spera, soldato, vittoria è colà,
      hai teco l’Italia che gridati:”Và!”

      Tripoli, bel suol d’amore,
      ti giunga dolce questa mia canzon!
      Sventoli il tricolore
      sulle tue torri al rombo del cannon!
      Naviga, o corazzata:
      benigno è il vento e dolce la stagion.
      Tripoli, terra incantata,
      sarai italiana al rombo del cannon!

      Al vento africano che Tripoli assal
      già squillan le trombe,
      la marcia real.
      A Tripoli i turchi non regnano più:
      già il nostro vessillo issato è lassù…

      Tripoli, bel suol d’amore,
      ti giunga dolce questa mia canzon!
      Sventoli il tricolore
      sulle tue torri al rombo del cannon!
      Naviga, o corazzata:
      benigno è il vento e dolce la stagion.
      Tripoli, terra incantata,
      sarai italiana al rombo del cannon!

  • Sanofi : « La colère du gouvernement est compréhensible sur le plan moral, mais un peu hypocrite »
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/05/14/sanofi-la-colere-du-gouvernement-est-comprehensible-sur-le-plan-moral-mais-u

    Vous avez aimé la bagarre entre pays, régions et villes luttant jusque sur le tarmac des aéroports pour arracher de précieuses cargaisons de masques et blouses ? Vous adorerez celle sur les vaccins. Mais attention, petits joueurs s’abstenir. On ne parle plus de protections en papier mais de molécules, d’usines et de dizaines de milliards de dollars. Paul Hudson, le PDG du laboratoire pharmaceutique français Sanofi a mis les pieds dans le plat ce mercredi 13 mai en confiant dans une interview à l’agence Bloomberg que si le vaccin qu’il développait avec des financements publics américains était agréé et produit dans ses cinq usines américaines, il servirait logiquement d’abord les Etats-Unis avant les autres pays du monde.

    Une logique qui visiblement échappe aux autorités françaises. « Pour nous, ce serait inacceptable qu’il y ait un accès privilégié de tel ou tel pays sous un prétexte qui serait pécuniaire », s’est insurgée ce jeudi 14 mai, la secrétaire d’Etat à l’économie Agnès Pannier-Runacher, en réaction aux propos de Paul Hudson. En fait, le patron britannique de Sanofi a sciemment fait cette déclaration afin d’alerter les Européens sur le retard qu’ils prenaient en la matière. L’accord conclu avec l’autorité américaine pour la rechercher et le développement biomédical, la Barda, un organisme spécialement chargé de financer des projets répondant à des crises sanitaires, date en effet de février dernier. La France et l’Europe, qui ne possèdent pas un tel outil public, n’avaient pas réagi. Sanofi s’empresse d’ailleurs d’ajouter avoir entamé des « discussions très constructives avec les instances de l’Union européenne ainsi qu’avec les gouvernements français et allemand entre autres ». Mieux vaut tard que jamais.

    La voix du multilatéralisme
    Car dans le domaine des vaccins, il faut agir très vite et massivement. C’est-à-dire commencer à construire des usines de production pendant la phase de recherche et donc avant même de savoir si le produit sera efficace. La firme garde encore le souvenir cuisant de ses 300 millions d’euros investis pour rénover son usine de Neuville-sur-Saône près de Lyon afin de produire un vaccin contre la dengue qui n’a pas tenu ses promesses. Dans le cas du Covid-19, les investissements seront bien plus importants.

    La colère du gouvernement est donc compréhensible sur le plan moral, mais un peu hypocrite. Les conditions pécuniaires comptent et le nationalisme aussi. La France l’a montré en réquisitionnant ses masques. Et d’ailleurs, les Etats-Unis ne sont pas les seuls à faire jouer la priorité nationale. Les Britanniques ont conclu un accord de ce type avec leur laboratoire Astra Zeneca, tandis que la Chine est à l’offensive. Sur la centaine de vaccins à l’état de recherche, une dizaine en est au stade des essais cliniques, dont quatre chinois. Pour l’empire du Milieu, il s’agit non seulement de protéger sa population mais aussi de démontrer à la face du monde sa supériorité technologique. L’enjeu est donc aussi géopolitique. Autre symbole, après l’affaire de l’équipementier télécoms Huawei, de la guerre froide qui s’installe entre la Chine et les Etats-Unis.

    #paywall