• Les marabouts de la mobilité II
    http://carfree.fr/index.php/2024/03/29/les-marabouts-de-la-mobilite-ii

    Les marabouts ont du talent ! Non contents de réaliser des désenvoutements, de guérir l’impuissance sexuelle ou de faire revenir l’être aimé, les marabouts proposent leurs multiples services pour améliorer la Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #Transports_publics #Vélo #2000 #humour #mobilité #permis_de_conduire #publicité #urbain

  • A Amsterdam et à Edimbourg, de nouvelles règles pour limiter les échanges de maisons
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2023/12/24/a-amsterdam-et-a-edimbourg-de-nouvelles-regles-pour-limiter-les-echanges-de-

    Le système s’est développé jusque-là sans entraves. Mais aux #Pays-Bas et en Ecosse, les pouvoirs publics s’inquiètent de le voir se déployer hors de tout contrôle, craignant d’avoir affaire à un futur Airbnb. A la différence de la plate-forme américaine, #HomeExchange n’implique cependant pas d’échange d’argent : l’accueil de personnes chez soi permet de percevoir des points (des « guest points »). Une #monnaie virtuelle utilisable pour se rendre ensuite dans une maison ou un appartement.

    Mais la municipalité d’Amsterdam estime que cette forme de transaction place le système dans la case des #locations_touristiques. La plate-forme HomeExchange recense 2 000 logements disponibles dans la métropole hollandaise, ce qui en fait un acteur majeur en termes d’offre d’hébergement. « Sauf que les logements sont loin d’être libres tout le temps ! Ils sont prêtés deux ou trois semaines par an »_, rétorque Emmanuel Arnaud, le directeur de HomeExchange. Au total, cette année, 3 900 groupes ou familles sont venus à Amsterdam par HomeExchange, soit 71 000 « nuitées touristiques » (nombre total de nuits par personne).

    #Contrôles et#sanctions

    A partir du 1er mars 2024, la ville va appliquer des restrictions similaires à celles qui concernent Airbnb. Les utilisateurs de HomeExchange et d’autres sites d’échanges devront enregistrer leur logement sur le site de la municipalité, payer un #permis_annuel (43 euros), limiter le prêt de leur logement à trente jours par an, et signaler à la ville dès lors qu’ils recevront des personnes chez eux. La ville interdit aussi d’utiliser ce système avec une résidence secondaire, et restreint à quatre maximum le nombre de personnes accueillies par logement (sauf les familles avec plus de deux enfants). Des contrôles, avec sanctions associées, sont prévus à partir de 2025.

    « Amsterdam mène depuis de nombreuses années une politique visant à lutter contre les locations touristiques, car cela a des conséquences négatives sur la qualité de vie dans certains quartiers de la ville », explique Rory van den Bergh, porte-parole de la ville d’Amsterdam, qui a déployé diverses actions pour limiter l’impact du #tourisme_de_masse. En 2023, elle a par exemple lancé une campagne sur les réseaux sociaux (« Stay away ») pour décourager la venue de visiteurs nuisibles à la tranquillité des résidents, à savoir les groupes « d’hommes de 18 à 35 ans », Britanniques en particulier.

    #prêt #échange

    • L’article parle des points comme d’une monnaie virtuelle, mais il y a aussi l’échange réciproque sans point ! Pas mal d’utilisateurs précisent qu’ils ne veulent utiliser la plateforme qu’en échanges réciproques.

      Pour Amsterdam, HE représente donc 0.5% des nuitées touristiques, avec des profils ne collant pas aux « visiteurs nuisibles » et ne se rendant pas forcément dans les quartiers les plus touristiques. Je comprends pas trop la logique, comme de taxer dans toute l’Ecosse.

      Après, la plateforme est loin d’être vertueuse - elle est par exemple utilisée par certains multipropriétaires en complément d’airbnb.

      « 30% des maisons que nous proposons sur HomeExchange sont des résidences secondaires. Les trois quarts d’entre elles sont soit déjà proposées à la location, soit leurs propriétaires sont intéressés pour le faire », nous explique Emmanuel Arnaud, fondateur de [la nouvelle plateforme de locations saisonnières] WelcomeClub.

      https://www.tourmag.com/HomeExchange-lance-WelcomeClub-la-location-entre-particuliers-sur-invitatio

  • Permessi in mano straniera : il vero #business è rivenderli

    La crescita della domanda delle materie prime critiche ha rimesso le miniere al centro dell’agenda politica italiana. Ma sono compagnie extra-UE a fare da protagoniste in questa rinascita perché la chiusura delle miniere negli anni ’80 ha spento l’imprenditoria mineraria italiana.

    “Nelle #Valli_di_Lanzo l’attività mineraria risale al XVIII secolo, quando il cobalto era utilizzato per colorare di blu tessuti e ceramiche. Poi l’estrazione non era più conveniente e le miniere sono state chiuse negli anni ‘20” dice a IE Domenico Bertino, fondatore del museo minerario di Usseglio, Piemonte. Adesso, grazie a una società australiana, i minatori potrebbero tornare a ripopolare le vette alpine.

    Secondo Ispra quasi tutti i 3015 siti attivi in Italia dal 1870 sono dismessi o abbandonati. Ma la crescita della domanda di materie prime critiche (CRM) ha fatto tornare le miniere al centro dell’agenda politica.

    “Abbiamo 16 materie critiche in miniere che sono state chiuse oltre trent’anni fa. Era più facile far fare l’estrazione di cobalto in Congo, farlo lavorare in Cina e portarlo in Italia” ha detto a luglio il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso, ribadendo la volontà del governo di riaprire le miniere. Oltre al cobalto in Piemonte, ci sono progetti per la ricerca di piombo e zinco in Lombardia, di litio nel Lazio e di antimonio in Toscana.

    I protagonisti di questa “rinascita mineraria”, che dovrebbe rendere l’Italia meno dipendente da paesi terzi, sono compagnie canadesi e australiane. Dei 20 permessi di esplorazione attivi, solo uno è intestato a una società italiana (Enel Green Power).

    La ragione è che “le scelte politiche fatte negli anni ‘80 hanno portato alla chiusura delle miniere. E così la nostra imprenditoria mineraria si è spenta e la nuova generazione ha perso il know how” spiega Andrea Dini, ricercatore del CNR.

    La maggior parte sono junior miner, società quotate in borsa il cui obiettivo è ottenere i permessi e vendere l’eventuale scoperta del giacimento a una compagnia mineraria più grande. “Spesso quando la società mineraria dichiara di aver scoperto il deposito più grande del mondo, il più ricco, il più puro, cerca solo di attrarre investitori e far decollare il valore del titolo” spiega Alberto Valz Gris, geografo ed esperto di CRM del Politecnico di Torino, promotore di una carta interattiva (http://frontieredellatransizione.it) che raccoglie i permessi di ricerca mineraria per CRM in Italia.

    Tra le junior miner presenti in Italia spicca Altamin, società mineraria australiana che nel 2018 ha ottenuto i primi permessi di esplorazione (https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/Info/1760) per riaprire le miniere di cobalto di Usseglio e Balme, in Piemonte. “Finora sono state effettuate solo analisi in laboratorio per capire la qualità e quantità del cobalto” spiega Claudio Balagna, appassionato di mineralogia che ha accompagnato in alta quota gli esperti di Altamin. “Ma da allora non abbiamo saputo più nulla", dice a IE Giuseppe Bona, assessore all’ambiente di Usseglio, favorevole a una riapertura delle miniere che potrebbe creare lavoro e attirare giovani in una comunità sempre più spopolata.

    A Balme, invece, si teme che l’estrazione possa inquinare le falde acquifere. “Non c’è stato alcun dialogo con Altamin, quindi è difficile valutare quali possano essere i risvolti eventualmente positivi" lamenta Giovanni Castagneri, sindaco di Balme, comune che nel 2020 ha ribadito l’opposizione “a qualsiasi ricerca mineraria che interessi il suolo e il sottosuolo”.

    “Le comunità locali sono prive delle risorse tecniche ed economiche per far sentire la propria voce” spiega Alberto Valz Gris.

    Per il governo Meloni la corsa alla riapertura delle miniere è una priorità, con la produzione industriale italiana che dipende per €564 miliardi di euro (un terzo del PIL nel 2021) dall’importazione di materie critiche extra-UE. Tuttavia, a oggi, non c’è una sola miniera di CRM operativa in Italia.

    Nel riciclo dei rifiuti le aziende italiane sono già molto forti. L’idea è proprio di puntare sull’urban mining, l’estrazione di materie critiche dai rifiuti, soprattutto elettronici, ricchi di cobalto, rame e terra rare. Ma, in molti casi, la raccolta e il riciclo di queste materie è oggi ben al di sotto dell’1%. “Un tasso di raccolta molto basso, volumi ridotti e mancanza di tecnologie appropriate non hanno permesso lo sviluppo di una filiera del riciclaggio delle materie critiche”, dice Claudia Brunori, vicedirettrice per l’economia circolare di ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Oltre alla mancanza di fondi: nel PNRR non sono previsti investimenti per le materie prime critiche.

    Un’altra strategia è estrarre CRM dalle discariche minerarie. Il Dlgs 117/08 fornisce indicazioni sulla gestione dei rifiuti delle miniere attive, ma non fornisce riferimenti per gli scarti estrattivi abbandonati. Così “tali depositi sono ancora ritenuti rifiuti e non possono essere considerati nuovi giacimenti da cui riciclare le materie” denuncia l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che chiede una modifica normativa che consenta il recupero delle risorse minerarie.

    https://www.investigate-europe.eu/it/posts/permessi-in-mano-straniera-il-vero-business-rivenderli
    #extractivisme #Alpes #permis #mines #minières #Italie #terres_rares #matières_premières_critiques #transition_énergétique #Alberto_Valz_Gris #permis_d'exploration #Usseglio #Piémont #Adolfo_Urso #plomb #zinc #Lombardie #Latium #Toscane #antimoine #Enel_Green_Power #junior_miner #Altamin #Australie #Balme #urban_mining #recyclage #économie_circulaire #déchets

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • I nuovi DL sull’immigrazione: un incontro online per rispondere ad alcune domande
    https://www.meltingpot.org/2023/11/i-nuovi-dl-sullimmigrazione-un-incontro-online-per-rispondere-ad-alcune-

    Mercoledì 29 novembre 2023 alle 18.30, in diretta sulla pagina facebook del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose e sul canale YouTube, si terrà un incontro formativo sui nuovi decreti legge sull’immigrazione e le conseguenze alla regolarità di soggiorno e sull’accesso alla procedura. «Dalla richiesta di protezione al #Decreto_flussi, risponderemo ad alcune domande elaborate durante una consultazione tra operatori e avvocati e che riguardano il Decreto Flussi, la nuova Protezione Speciale (rinnovo e conversione), e quali rischi per chi reitera e per chi proviene da un paese terzo cosiddetto “sicuro”», spiegano gli organizzatori. Con la partecipazione di Noris (...)

    #Incontri_informativi_e_formativi #Diritto_di_asilo #DL_10_marzo_2023,n._20_Decreto_Cutro #Domanda_reiterata_di_asilo #Italia #Permesso_di_soggiorno_per_protezione_speciale_art._32,co._3,_del_D.lgs_n.25/2008

  • Mine de lithium dans l’Allier : le rapport qui dévoile une bombe toxique
    https://disclose.ngo/fr/article/mine-de-lithium-dans-lallier-le-rapport-qui-devoile-une-bombe-toxique

    Il y a un an, le gouvernement a annoncé l’ouverture, dans l’Allier, de la plus grande mine de lithium d’Europe. D’après un rapport inédit dévoilé par Disclose et Investigate Europe, le secteur, fortement contaminé à l’arsenic et au plomb, présente « un risque significatif pour l’environnement et la santé humaine ». Une véritable bombe à retardement passée sous silence par les autorités. Lire l’article

  • State of the Cryosphere Report 2023

    The State of the Cryosphere 2023 – Two Degrees is Too High report shows that all of the Earth’s frozen parts will experience irreversible damage at 2°C of global warming, with disastrous consequences for millions of people, societies, and nature. Confirming that just 2°C of global warming will trigger irreversible loss to Earth’s ice sheets, mountain glaciers and snow, sea ice, permafrost, and polar oceans, it updates the latest science and highlights the global impacts from cryosphere loss.

    Reviewed and supported by over 60 leading cryosphere scientists, this is the latest report in the State of the Cryosphere series, which takes the pulse of the cryosphere on an annual basis. The cryosphere is the name given to Earth’s snow and ice regions and ranges from ice sheets, glaciers, snow and permafrost to sea ice and the polar oceans – which are acidifying far more rapidly than warmer waters. The Report describes how a combination of melting polar ice sheets, vanishing glaciers, and thawing permafrost will have rapid, irreversible, and disastrous impacts worldwide.

    Excerpt from the Preface by President Gabriel Boric (Chile) and Prime Minister Katrín Jakobsdóttir (Iceland), the Founders and Co-Chairs of the Ambition on Melting Ice (AMI) High-level Group on Sea-level Rise and Mountain Water Resources:

    “At COP28, we need a frank Global Stocktake, and fresh urgency especially due to what we have learned about Cryosphere feedbacks, worsening for each additional tenth of a degree in temperature rise. We need tangible results, and a clear message about the urgency to phase out fossil fuels and for more robust financial mechanisms to finance climate action.

    We have time, but not much time. Past alerts are today’s shocking facts. Present warning will be tomorrow‘s cascading disasters, both within and from the global Cryosphere, if we do not accelerate climate action and implement systemic change.

    Change is hard, but change we must. Because of the Cryosphere, climate inaction is unacceptable.”

    https://iccinet.org/statecryo23

    –—

    Message from the Cryosphere :

    2°C will result in extensive, potentially rapid, irreversible sea-level rise from ice sheets.

    2°C will result in extensive, long-term, essentially irreversible ice loss from many glaciers

    2°C is far too high to prevent extensive sea ice loss at both poles, with severe feedbacks to global weather and climate.

    2°C is too high to prevent extensive permafrost thaw

    2°C will result in year-round, essentially permanent ocean acidification

    https://mastodon.green/@peterdutoit/111442147914717063

    #rapport #climat #changement_climatique #cryosphère #2_degrés #niveau_des_mers #glace #permafrost #acidification

  • Mon mensonge préféré
    https://www.climatefoundation.org


    Parole de capitaliste !
    Voici la traduction de la devise de la fondation d’Elon Musk nommée Climate Foundation.

    Nous avons trouvé que pour des bricoles nous pouvons attirer l’attention du grand public et des investisseurs naïfs en proposant des solutions bidons pour le problème que constitue notre classe. Nous allons tous gagner des thunes à max et arrêter la prolifération de l’espèce des pauvres afin de sauver le monde.

    Investissez avec nous ou périssez avec les autres sous-hommes !

    We Have Found That..
    the anthropocene is NOT inevitable or unsolvable.
    We have found that we have solutions.
    We have found that with the right help,
    we can stop the mass extinctions,
    We can lower the carbon,
    We can reverse climate change,
    ​​
    we can save the Earth.

    La bonne parole s’interprète en fonction de son auteur et de l’oeuvre de celui-ci. La devise de la Climate Foundation est un exemple quasi idéal de novlang où toute signification est inversée et modelée suivant les besoins des maîtres du monde.

    Je ne connais pas le montant de l’investissement de Musk dans cette fondation, mais il est évident que c’est encore un de ces projets dont la mégalomanie bat tout sauf le projet de combattre les nazis sur la lune. Le personnage, l’approche et la bonne parole sentent l’esprit d’Ayn Rand et son fascisme libéral appelé objectivisme .

    Ça ne vole pas haut mais nous avons déjà prouvé qu’il est possible possible d’entraîner des millions dans l’aventure éliminatoire de la conquête de l’Est avec des idées farfelus à la con.

    Les chef de mes grand parents ont essayé de sauver la race aryenne. Elon Musk et ses copains objectivistes essaient de sauver leur classe de super-bourgeois et quelques spécimens surdoués et serviables du reste de l’humanité.

    Pour eux nous, les êtres humains ordinaires de la terre, nous sommes les slaves et les juifs à sacrifier afin de créer les champs élisées post-apocalytiques pour l"élite objective.

    Acceptons le défi. La guerre est déclarée. Elle sera sans merci.

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    Untermensch
    https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Untermensch

    Ayn Rand Institute
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Ayn_Rand_Institute

    #permaculture_marine, #upwelling
    https://seenthis.net/messages/1027360

    #objectivisme #néolibéralisme #charité #climat #écologie #vie_marine #captalisme #startup #Anthropocène #Capitalocène

  • Algenfarmen gegen den Klimawandel : „Wir können die Erde retten“ – Wirklich ?
    https://www.freitag.de/autoren/svenja-beller-bnd/marine-permakultur-algenfarmen-sollen-erde-vor-klimawandel-retten


    Sauver le monde en se remplissant les poches d’argent - l’exploitation agricole des mers est le pays de cocagne des investisseurs verts. Les conséquences imprévisibles ... on verra bien.

    16.11.2023 von Svenja Beller
    ...
    Kurz bevor wir uns verabschieden erzählt Tubal dann aber fast beiläufig, dass die Climate Foundation in der Region auch mehrere Artificial-Upwelling-Projekte plant. Sie wolle sie nah an der Küste entlang von Riffen installieren, erzählt er. Auf erneutes Nachhaken räumen das dann auch Donohue und von Herzen ein. Artificial Upwelling lässt sich zu „Künstlicher Auftrieb“ übersetzen, von Herzen findet aber schon die Bezeichnung falsch: „Es ist nichts Künstliches daran, einen natürlichen Prozess auf regionaler Ebene wiederherzustellen.“ Das würden sie tun, indem sie mit hunderte Meter langen Rohren Wasser an die Oberfläche pumpen. Nur könnten sie damit mehr Schaden anrichten als helfen.

    Es sei falsch, die Komplexität natürlicher Auftriebsereignisse mit künstlichen gleichzusetzen, mahnt die Heinrich-Böll-Stiftung in einer Analyse. Tut man das, können die Folgen verheerend sein. „Der Ozean ist stark geschichtet und das ist gut so, weil er in der Tiefe unheimlich viel CO₂ speichert“, erklärt mir Andreas Oschlies, Leiter der Forschungseinheit Biogeochemische Modellierung des GEOMAR Helmholtz-Zentrums für Ozeanforschung Kiel, auch er hat im Videocall einen Meereshintergrund, nur ohne Algen. „Dieses CO₂ wollen wir eigentlich gar nicht nach oben bringen. Wenn wir in die Klimamodelle Artificial Upwelling reinbringen, zeigt sich aber, dass zusammen mit den Nährstoffen ganz viel CO₂ hochgepumpt wird.“

    Dieses gelangt dann an der Oberfläche zurück in die Atmosphäre und könnte den Gewinn an neu gespeichertem CO₂ zunichte machen. „Und alle Nährstoffe, die diese Algen aufnehmen, fehlen woanders“, fährt Oschlies fort. „Also hat man dann irgendwo einen Algenfarmer, der verdient prächtig Geld, aber nebenan oder vielleicht einen halben Kontinent weiter weg, fangen die Fischer plötzlich weniger, weil da wegen weniger Nährstoffen weniger Algen wachsen und dadurch weniger Fische da sind.“

    Bei allen Vorteilen könnte die Climate Foundation mit dem umstrittenen Artificial Upwelling mehr Schaden anrichten, als sie hilft.

    Die Liste der Probleme ist noch länger: Das Tiefenwasser kühle zwar sogar die Atmosphäre, verdränge gleichzeitig aber auch das warme Oberflächenwasser nach unten, das dort lebenden Pflanzen und Tieren schaden könne. Der Eingriff kann die Blüte unerwünschter giftiger Algen begünstigen, zu Sauerstoffarmut im Wasser führen und Meeresströmungen verändern, was wiederum Wettermuster beeinflussen kann. Und ein positiver Effekt kann den Algenwäldern auch zum Verhängnis werden: Weil sich Meerestiere in ihnen wohlfühlen, vermehren sie sich in ihrer Umgebung, das haben mehrere Studien bestätigt. Einige dieser Tiere bilden Kalziumkarbonatschalen, ein Prozess, bei dem CO₂ freigesetzt wird. „Das kann zehn bis dreißig Prozent der CO₂-Aufnahme der Algen wieder zunichte machen“, sagt Oschlies. Als Mitglied einer internationalen Expertengruppe, die die Vereinten Nationen berät, kam er zu dem Schluss: „Diese Methode hat [...] nur ein sehr begrenztes Potential zur Kohlenstoffbindung und das Risiko erheblicher Nebenwirkungen.“

    https://www.climatefoundation.org

    Permaculture marine
    https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Permaculture_marine

    #Philippines #climat #écologie #vie_marine #permaculture_marine #captalisme #startup #Anthropocène #Capitalocène

  • Thousands of Palestinian Workers Have Gone Missing in Israel

    Thousands of Palestinian day laborers from Gaza are stranded in Israel amid the explosion in #violence. Israel has revoked their work permits, and their families fear they may be imprisoned — or worse.

    There are few groups in history who have suffered as many waves of dispossession and displacement in such a short period as the Palestinian people. On May 15, 1948, over 700,000 Palestinians were driven out of their homeland and over 500 Palestinian villages were destroyed in what is known as the Nakba or “catastrophe.”

    The Nakba isn’t a fixed historical event but an ongoing phenomenon characterized by seventy-five years of occupation, colonial violence, and displacement. The Gaza Strip, one of the most densely populated places on earth, is home to many of these refugees — some still have the keys to their former homes. The past three weeks have been particularly difficult; over 8,000 Palestinians have been killed by Israeli bombardments on mosques, schools, hospitals, and residential buildings.

    Since 2007, Gaza has been economically suffocated by a siege that stops food, medicine, and construction materials from getting in. The unemployment rate stands at 47 percent. It’s why so many have jumped at the opportunity since October 2021 to access work permits to earn a living as day laborers in Israel. The process of applying for a work permit is arduous and unpredictable. Israel issues these permits through a quota system, and many applicants are denied. Those who secure permits face daily challenges, including long waits at border crossings, strict security checks, and grueling commutes. There are 19,000 Palestinians from Gaza in this position.

    Yasmin, a Palestinian trade union organizer, says these workers work the most undesirable, dangerous, and physically demanding jobs. “You go in, give your labor and go out. You are not considered part of the country. Permits are conditional on Palestinians working in specific industries where there is a lack of an Israeli workforce.”

    Those industries include construction, agriculture, and manufacturing. Serious injury rates are much higher than average, but the desperation to provide for your family means there is no luxury of choice.

    “It is intensive labor with high levels of precarity. There are many deaths in the construction sector. And there is an internal division of labor and power dynamic at play with Palestinian workers the lowest paid and most exploited.”
    Disappeared Workers

    When the latest wave of violence began three weeks ago, the Erez crossing into Gaza was completely closed off. Thousands of Palestinian laborers were stranded on the Israeli side, far from their families and with no source of income. Their work permits were revoked, leaving their lives in flux. It is a familiar pattern for Palestinians: displacement, dispossession, and uncertainty.

    “Some are missing, some are stranded, some have been arrested, and others have been deported to the West Bank,” explains Shaher Saed, general secretary of the Palestinian General Federation of Trade Unions (PGFTU). Saed and his colleagues in Ramallah have been attempting to support Palestinians from Gaza who have been estranged from their families, made homeless, and internally displaced yet again.

    Muhammad Aruri, head of legal affairs for the General Union of Palestinian Workers, tells us that Palestinian families are particularly worried about the condition of their loved ones who have gone missing. “There’s 5,000 that we don’t have any information about. We don’t know if they are dead or alive.”

    Locating these workers isn’t difficult for the Israeli state. As Yasmin explains, “The whole permit system is a surveillance system done in a specific kind of way to help the state locate people in these kinds of scenarios. The last report I heard is that there are 4,000 workers at the moment detained and being interrogated. The state is not letting these workers go back to their families. They are being detained and interrogated or are in the West Bank having to fend for themselves.”

    It is impossible to know how many Palestinian workers are in Israel and how many are detained, as Israeli authorities have failed to respond to enquiries by NGOs. It is estimated that at least 4,000 Palestinian workers from Gaza are currently held by Israeli authorities in undetermined locations, with little to no information about their condition, unclear legal status, and denied their right to legal representation.

    “In the middle of this horrible situation, the Israeli occupation army did not hesitate in inflicting all kinds of harm against the workers, especially those from Gaza who work in Israel,” says Saeed. “They were prevented from returning to their homes, expelled from their workplaces, and transferred to the West Bank without any shelters. This was done after they had been physically assaulted and had their personal belongings confiscated, such as their money, identity cards, and entry permits to Israel.”

    Saeed says the Palestinian General Federation of Trade Unions has received thousands of calls from concerned family members who have lost contact with relatives. “We were informed that many of the workers are under detention in Anatout military camp in northern occupied Jerusalem, under degrading and inhumane conditions. The PGFTU demands to release our workers and take steps to guarantee their safe return to their families. We appeal and call our colleagues and partners in the international trade unions for support and solidarity with the workers to eliminate injustice against them. We demand the Red Cross international make an immediate visit to Anatout detention to check on our workers’ conditions.”

    Some workers were allegedly dumped at West Bank checkpoints, went into nearby cities, and took shelter there. Many workers in Israel fled and sought to make their way to the West Bank, fearing for their safety.

    The detention of Palestinian workers could be unlawful, and Israeli human rights organizations such as Gisha have petitioned for further information on their location and condition.
    Economic Dependency

    In 2017, the Israeli government declassified thousands of pages of meeting transcripts from 1967. In the aftermath of the six-day war, where Israel captured the Gaza Strip, the Golan Heights, the Sinai Peninsula, and the West Bank, a great deal of discussion went on about what to do with these new territories. Using these documents, Dr Omri Shafer Raviv drew attention to how Israeli leaders sought to expand their control over newly occupied populations by bringing Palestinian workers into Israel.

    While the work permit system may provide temporary economic relief to Palestinians, it has created a cycle of dependency with which Israel can access a cheap supply of labor and exercise greater control over Palestinians. Coupled with a siege that prevents sustainable economic development, access to resources, and trade, Palestinians in Gaza are economically subjugated.

    The mobility of Palestinian workers is often restricted at checkpoints where they face frequent interrogation and are often late or miss shifts altogether, incurring significant financial loss. All Palestinian trade passes through Israeli borders and checkpoints. It means much higher logistics costs — crippling Palestinian businesses and forcing many to close.

    The small proportion of workers who are granted work permits have no legal recourse or medical cover and work in industries with a high risk of accidents. They are frequently mistreated by employers who are well aware that Palestinian workers are without the most basic rights and protections.

    The plight of these workers is emblematic of the broader challenges Palestinians face. The economic hardships, insecurity, and exploitation they endure serve as a stark reminder of the urgent need to end the siege on Gaza and the occupation more broadly.

    https://jacobin.com/2023/10/palestinian-workers-missing-detained-israel-occupation-gaza

    #disparus #travailleurs_palestiniens #Palestine #Israël #disparitions #7_octobre_2023 #travail #permis_de_travail

    • Ils sont devenus fou même la gendarmerie s’inquiète de cette nouvelle autorisation de tirer au LBD à bout portant. Ce lanceur de balles de défense crache des balles de caoutchouc à 250 km/h. Le ministère de l’Intérieur donne l’autorisation de tuer à ses supplétifs. C’était déjà le cas mais cette décision doit venir des multiples recours des précédentes victimes survivantes aux violences policières. La gueule ravagée de Hedi à Marseille ne leur a pas suffit. Ils auraient sans doute préféré qu’il soit mort. Voici la réponse de ce gouvernement de fou furieux à la condamnation des violences policières. Il change la loi. Si ça continu, la france va finir comme les states avec plus de flingues que d’habitants.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/271023/le-ministere-de-l-interieur-reduit-la-distance-de-tir-des-lbd-malgre-leur-

    • [Liberté de la police] Le ministère de l’intérieur réduit la distance de tir des LBD malgré leur dangerosité
      https://www.mediapart.fr/journal/france/271023/le-ministere-de-l-interieur-reduit-la-distance-de-tir-des-lbd-malgre-leur-

      Ces cinq dernières années, plus de 35 personnes ont été blessées et une tuée par des tirs de lanceur de balles de défense. Pourtant, dans ses instructions, le ministère de l’intérieur a abaissé la distance réglementaire. Une décision que la gendarmerie conseille de ne pas suivre.

      La liste des blessés ne cesse de s’allonger. Hedi à Marseille, Virgil à Nanterre, Nathaniel à Montreuil, Mehdi à Saint-Denis, Abdel à Angers : tous ont été grièvement touchés par un tir de lanceur de balles de défense après les révoltes suscitées par la mort de Nahel en juin dernier. Mediapart a cherché à savoir quelle était la distance minimum de sécurité que les policiers doivent respecter lorsqu’ils tirent au LBD.

      Le ministère de l’intérieur et la Direction générale de la police nationale ont mis un mois à nous répondre. Et pour cause, cette distance réglementaire a tout simplement été supprimée des récentes instructions, remplacée par une distance dite « opérationnelle » correspondant à celle du fabricant de munitions. Auparavant, pour tirer, un policier devait respecter une distance minimum de 10 mètres. Selon les informations collectées par Mediapart, elle est désormais passée à 3 mètres.

      Une décision dangereuse que la gendarmerie nationale déconseille de suivre.

      Gravement touché au cerveau par un tir de LBD dans la nuit du 1er au 2 juillet, à Marseille, Hedi, 22 ans, subit depuis de multiples interventions chirurgicales. C’est le cas encore en octobre, alors que la prochaine est prévue en novembre. À ce jour, déjà confronté à une potentielle paralysie, Hedi ne sait toujours pas s’il pourra conserver l’usage de son œil gauche.
      Il fait partie des nombreuses victimes du LBD, une arme utilisée par la police et les gendarmes depuis le début des années 2000 (en remplacement du #flashball, apparu à la fin des années 1990). Muni d’un canon de 40 millimètres, ce fusil tire des balles de caoutchouc à plus de 250 km/heure (plus de 73 m/seconde). Le ministère de l’intérieur qualifie le LBD_« d’arme de force intermédiaire », alors même qu’elle est classée « catégorie A2 », c’est-à-dire #matériel_de_guerre, aux côtés notamment des lance-roquettes. Une classification qui laisse peu de doute sur sa létalité.

      Des instructions ministérielles d’août 2017 précisent que « le tireur vise de façon privilégiée le torse ainsi que les membres inférieurs », cibler la tête étant interdit. Lorsqu’une personne est touchée, le policier doit s’assurer de son état de santé et la garder sous surveillance permanente.
      Comme le rappelle une note du ministère de l’intérieur adressée à l’ensemble des forces de l’ordre, en février 2019, les fonctionnaires habilités doivent faire usage du LBD, selon le cadre prévu par le Code pénal et celui de la sécurité intérieure,
      « dans le strict respect des principes de nécessité et de proportionnalité »_.

      Hormis en cas de légitime défense, c’est-à-dire lorsque l’agent, un de ses collègues ou une tierce personne est physiquement menacée, des sommations doivent précéder le tir, qui doit se faire à une distance réglementaire, en deçà de laquelle les risques de lésions sont irréversibles. Mais quelle est cette distance ?

      Une nouvelle munition pas moins dangereuse

      Notre enquête nous a conduits à compulser les instructions ministérielles que nous avons pu nous procurer. Il faut remonter à 2013 pour voir figurer que le LBD « ne doit pas être utilisé envers une personne se trouvant à moins de 10 mètres ».
      Depuis, dans les notes de 2017, 2018 ou 2019, nulle trace de recommandations concernant la distance minimum de sécurité. Seul le règlement de l’armement de dotation de la gendarmerie nationale, mis à jour le 1er septembre 2023, rappelle que « le tir en deçà de 10 mètres, uniquement possible en cas de légitime défense, peut générer des risques lésionnels importants ».
      Interrogée, la Direction générale de la police nationale (#DGPN) n’a pas su nous répondre sur la distance réglementaire, arguant que la doctrine d’emploi du LBD 40 faisait « actuellement l’objet d’une réécriture ». Seule précision, les unités de police utilisent une nouvelle munition, appelée la munition de défense unique (MDU), « moins impactante » que l’ancienne, nommée la Combined tactical systems (CTS).
      Certes, depuis 2019, la MDU, moins rigide et légèrement moins puissante, est majoritairement utilisée par les policiers. Pour autant, elle n’en reste pas moins dangereuse, comme l’attestent les graves blessures qu’elle a pu occasionner, notamment sur Hedi ou sur plusieurs jeunes qui ont perdu un œil lors des révoltes à la suite du décès de Nahel.

      Ce qui est dangereux, c’est que le ministère et la DGPN ont banalisé l’usage du LBD.
      Un commissaire de police

      C’est d’ailleurs la raison pour laquelle le Centre national d’entraînement des forces de gendarmerie (CNEFG) conseille de conserver, avec cette nouvelle munition, une distance minimum de 10 mètres. En effet, dans une note interne, datée du 12 septembre 2022, adressée à la Direction générale de la gendarmerie nationale (#DGGN), et que Mediapart a pu consulter, il est stipulé que « par principe de sécurité et de déontologie », il doit être rendu obligatoire pour les gendarmes de ne pas tirer au LBD à moins de 10 mètres.
      Selon un officier, « au sein de la gendarmerie, nous privilégions l’usage du LBD pour une distance de 30 mètres pour faire cesser une infraction s’il n’y a pas d’autres moyens de le faire. Lorsque le danger est plus près de nous, à quelques mètres, nous tentons de neutraliser l’individu autrement qu’en ayant recours au LBD ».
      Quand bien même la nouvelle munition représente une certaine avancée, étant « moins dure et donc susceptible de faire moins de blessures », « elle reste néanmoins puissante et dangereuse. Évidemment, d’autant plus si elle est tirée de près ».

      Un haut gradé de la gendarmerie spécialisé dans le #maintien_de_l’ordre insiste : « Cette nouvelle munition ne doit pas conduire à modifier la doctrine d’emploi du LBD, ni à un débridage dans les comportements. » Il rappelle que le LBD est « l’ultime recours avant l’usage du 9 mm. Son usage ne doit pas être la règle. Ce n’est pas une arme de dispersion dans les manifestations ».

      Information inexacte

      Nous avons donc recontacté la police nationale pour qu’elle nous transmette les dernières directives mentionnant la distance minimum qu’un policier doit respecter. Le cabinet du ministre a, lui, répondu qu’une « distance minimum de sécurité serait communiquée. Il n’y a pas de raison que ce soit différent des gendarmes ». Et pourtant...
      Après moult relances, la Direction générale de la police a déclaré qu’il fallait prendre en compte « la distance opérationnelle des munitions » et « qu’en deçà de 3 mètres, le risque lésionnel est important », assurant que « les doctrines en ce domaine sont communes pour les forces de sécurité intérieures, police nationale et gendarmerie nationale ».
      Une information inexacte puisque la gendarmerie interdit de tirer au-dessous de 10 mètres.

      « Ce qui est dangereux, explique auprès de Mediapart un commissaire de police, c’est que le ministère et la DGPN ont banalisé l’usage du LBD, qui devait initialement être utilisé en cas d’extrême danger, comme ultime recours avant l’usage de l’arme. »

      Un pas a été franchi pour légitimer des tirs de très près.
      Un commandant, spécialisé dans le maintien de l’ordre

      Depuis, après avoir été « expérimenté dans les banlieues, il a été utilisé, depuis 2016 [en fait, depuis le début des années 2000, ndc], dans les manifestations et les mobilisations contre la loi Travail [où la pratique s’est généralisée, ndc]. En enlevant toute notion de distance minimum de sécurité, le ministère gomme la dangerosité de cette arme et des blessures qu’elle cause ».
      Pour ce commissaire, « c’est un nouveau verrou qui saute. On peut toujours contester cette distance, qui était déjà peu respectée, mais elle introduisait néanmoins un garde-fou, aussi ténu soit-il ».
      Avec l’apparition des nouvelles munitions « présentées comme moins impactantes, un pas a été franchi pour légitimer des tirs de très près », nous explique un commandant spécialisé dans le maintien de l’ordre. Ainsi, dans les nouvelles instructions du ministère, « la distance minimum n’existe plus ». « Pire, poursuit ce commandant, on a vu apparaître les termes employés par le fabricant de la munition qui parle de “distance opérationnelle”. »
      En effet, dans une instruction relative à l’usage des armes de force intermédiaire, datée du 2 août 2017 et adressée à l’ensemble des fonctionnaires, sont précisées les « distances opérationnelles », allant de 10 à 50 mètres pour l’ancienne munition, et de 3 à 35 mètres pour la nouvelle. C’est sur cette instruction que s’appuie aujourd’hui la DGPN.
      Selon ce gradé, « même d’un point de vue purement opérationnel, c’est absurde. Car le point touché par le tireur est égal au point qu’il a visé à environ 25 mètres et pas en deçà. Donc il faudrait donner cette distance et non une fourchette ».
      « Avec une distance aussi courte que 3 mètres, c’est presque tirer à bout portant. Et c’est inviter, davantage qu’ils ne le faisaient déjà, les policiers à tirer de près avec des risques gravissimes de blessures. Non seulement les agents manquent de formation, mais avec ces directives, ils vont avoir tendance à sortir leur LBD comme une simple matraque et dans le plus grand flou », conclut-il, rappelant « le tir absolument injustifié de la BAC sur le jeune qui a eu le cerveau fracassé à Marseille [en référence à Hedi – ndlr] ».

      Les déclarations faites à la juge d’instruction du policier Christophe I., auteur du tir de LBD, qui a grièvement blessé Hedi à la tête, en juillet, révèlent l’ampleur des conséquences de la banalisation d’une telle arme.
      Le policier explique que le soir des faits, « il n’y avait pas de consignes particulières sur l’utilisation des armes ». Que Hedi ait pu être atteint à la tête ne le surprend pas. Une erreur aux conséquences dramatiques qui ne semble pas lui poser problème : « J’ai tiré sur un individu en mouvement, dit-il. Le fait de viser le tronc, le temps que la munition arrive, c’est ce qui a pu expliquer qu’il soit touché à la tête. » En revanche, il nie que les blessures d’Hedi aient pu être occasionnées par le LBD, allant même jusqu’à avancer qu’elles peuvent « être liées à sa chute » au sol [moment ou des bouts du projectile se sont incrustés dans sa tête avant d’être découvert par le personnel soignant, obvisously, ndc]

      Dans d’autres enquêtes mettant en cause des tirs de LBD, les déclarations des policiers auteurs des tirs affichent à la fois la dangerosité de cette arme et la banalisation de son usage. L’augmentation du nombre de #manifestants blessés, en particulier lors des mobilisations des gilets jaunes, avait d’ailleurs conduit le Défenseur des droits, Jacques Toubon, à demander, en janvier 2019, la « suspension » du recours au LBD dans les manifestations.
      La France, un des rares pays européens à autoriser le LBD
      Depuis, plusieurs organisations non gouvernementales, parmi lesquelles le Syndicat des avocats de France, la Confédération générale du travail ou le Syndicat de la magistrature, ont saisi la justice pour en demander l’interdiction. En vain. Après avoir essuyé un refus du Conseil d’État de suspendre cette arme, les organisations syndicales ont vu leur requête jugée irrecevable par la Cour européenne des droits de l’homme en avril 2020, estimant que les « faits dénoncés ne relèvent aucune apparence de violation des droits et libertés garanties par la Convention et […] que les critères de recevabilité n’ont pas été satisfaits ».

      À l’annonce du refus du Conseil d’État d’interdire le LBD, le syndicat de police majoritaire, Alliance, avait salué « une sage décision ». Son secrétaire général adjoint, qui était alors Frédéric Lagache, avait précisé auprès de l’AFP que « si le Conseil d’État avait prononcé l’interdiction, il aurait fallu à nouveau changer de doctrine et revenir à un maintien de l’ordre avec une mise à distance ».
      Un discours bien différent de celui de ses homologues allemands, qui ont refusé d’avoir recours au LBD (utilisé dans deux Länder sur seize). En effet, comme le rappelle le politiste Sebastian Roché dans son livre La police contre la Rue, en 2012, le premier syndicat de police d’Allemagne, par la voix d’un de ses représentants, Frank Richter, s’était opposé à ce que les forces de l’ordre puissent avoir recours à cette arme : « Celui qui veut tirer des balles de caoutchouc [comme celles du LBD – ndlr] accepte consciemment que cela conduise à des morts et des blessés graves. Cela n’est pas tolérable dans une démocratie. »
      En Europe, la France est, avec la Grèce et la Pologne, l’un des rares pays à y avoir recours.

      #LBD #LBD_de_proximité #armes_de_la_police #Darmanin #à_bout_portant #terroriser #mutiler #police #impunité_policière #militarisation #permis de_mutiler #permis_de_tuer

    • Ni oubli, ni pardon
      https://piaille.fr/@LDH_Fr/111308175763689939

      Le 27 octobre 2005, Zyed & Bouna 17&15 ans meurent à l’issue d’une course poursuite avec des policiers qui seront relaxés. Ils font partie d’une liste trop longue des victimes d’une violence ordinaire dont les auteurs ne sont jamais poursuivis. Cette impunité doit cesser.

    • en 2012, le premier syndicat de police d’Allemagne, par la voix d’un de ses représentants, Frank Richter, s’était opposé à ce que les forces de l’ordre puissent avoir recours à cette arme : « Celui qui veut tirer des balles de caoutchouc [comme celles du LBD – ndlr] accepte consciemment que cela conduise à des morts et des blessés graves. Cela n’est pas tolérable dans une démocratie. »

      En Europe, la France est, avec la Grèce et la Pologne, l’un des rares pays à y avoir recours.

      La fin de l’article de Mediapart, dont est extrait le passage ci dessus, a part, dans son seen à elle : https://seenthis.net/messages/1023468

    • Quelques nuances de LBD
      https://lundi.am/Quelques-nuances-de-LBD

      Dans une enquête parue ce vendredi, Médiapart révèle que les policiers devaient jusqu’à présent respecter une distance de 10 à 15 mètres pour tirer sur un individu. Cette distance minimale aurait été supprimée des récentes instructions du ministère de l’Intérieur. Elle est désormais passée à seulement trois mètres. Laurent Thines, neurochirugien et poète engagé contre les armes (sub)létales, nous a transmis ces impressions.

    • @sombre je dirais bien #oupas moi aussi : la pratique récente du LBD en fRance semble indiquer que les policiers, préfets et le ministre ont bien lu la notice en détail et estimé que la couleur rouge était un indicateur de zones à viser en priorité, pour faire respecter l’ordre.

    • @PaulRocher10
      https://twitter.com/PaulRocher10/status/1721262476933706174

      Près de 12 000 tirs policiers sur la population civile en 2022, soit 33 tirs par jour. Voilà ce que montrent les derniers chiffres sur le recours aux armes « non létales ». Hormis les années des #giletsjaunes (2018/19), c’est un nouveau record.

      Au-delà du nombre élevé de tirs sur 1 année, la tendance est frappante. En 2022, les policiers ont tiré 80 fois plus qu’en 2009. Pourtant, ni les manifestants ni la population générale ne sont devenus plus violents. La hausse des violences est celle des #violencespolicières

      Ces données du min. de l’intérieur n’affichent pas les tirs de grenades (assourdissantes, lacrymogène) et ignorent les coups de matraque. Même pour les armes comptabilisées, on assiste à une sous-déclaration. Le niveau réel des #violencespolicières est donc encore plus élevé

      Souvent on entend que les armes non létales seraient une alternative douce aux armes à feu. Pourtant, les derniers chiffres confirment la tendance à la hausse des tirs à l’arme à feu. Pas d’effet de substitution, mais un effet d’amplification de la violence

      Ces derniers temps, on entend beaucoup parler de « décivilisation ». Si elle existe, ces chiffres montrent encore une fois qu’elle ne vient pas de la population . Les données disponibles (⬇️) attestent qu’elle se tient sage, contrairement à la police
      https://www.acatfrance.fr/rapport/lordre-a-quel-prix

  • Arbres à Feuilles Comestibles : Un Manuel Mondial
    https://perennialagricultureinstitute.files.wordpress.com/2023/10/arbres-a-feuilles-comestibles-single-page.pdf

    En 2020 le « Perennial Agriculture Institute (PAI) » a publié « Les légumes vivaces : Une ressource oubliée
    pour la biodiversité, le piégeage du carbone et l’alimentation » dans le bulletin revu par ses pairs « Plos
    One ». Nous avons fourni un inventaire de plus de 600 variétés cultivées partout à travers le monde et
    nous avons estimé leur potentiel de séquestration de carbone. Nous avons également évalué leur
    capacité à répondre aux déficiences nutritionnelles qui touchent plus de 2 milliards de personnes aussi
    bien dans l’hémisphère nord que dans l’hémisphère sud. Un groupe d’espèces cultivées est clairement
    sorti du lot pour ses performances nutritionnelles remarquables : les arbres et arbustes à feuillage
    comestible. Nous avons écrit ce document « Arbres et arbustes à feuillage comestible » pour mettre en
    avant ce groupe de plantes extraordinaire et largement négligé.
    Cette publication présente 102 espèces d’arbres, arbustes et cactées qui sont cultivées pour leurs feuilles
    et leurs pousses comestibles. A notre connaissance, cette information n’a jamais auparavant été
    regroupée en un seul document. (Des centaines d’espèces non cultivées méritent également notre
    attention, et peut-être que PAI entreprendra ce type d’inventaire dans une édition future…)
    Le chapitre 1 fournit une vue globale de ces arbres et arbustes « légumes ». D’où viennent-ils ? Quel
    impact peuvent-ils avoir sur les insuffisances nutritionnelles ? Quelle atténuation du changement
    climatique et quels bénéfices d’adaptation peuvent-ils offrir ? Quels autres bienfaits peuvent-ils fournir ?
    Le chapitre 2 donne une vue globale sur la culture de ces variétés. Malgré leur grande diversité et leurs
    origines disparates, toutes sont pratiquement cultivées en utilisant les mêmes techniques de base. Ici
    nous décrivons certaines pratiques et comment elles s’intègrent dans des systèmes agroforestiers
    complexes. Une information basique est aussi fournie sur le processus de multiplication et les soins à
    donner aux arbres et arbustes à feuillage comestible.
    Les chapitres qui suivent présentent les variétés cultivées. Chaque feuillet fournit la description, les détails
    sur l’adéquation au climat et au sol, les qualités nutritives, la multiplication et les systèmes de culture. Du
    fait que c’est un guide global, à chaque fois que c’est possible nous donnons les noms de chaque espèce
    dans les 20 langues les plus parlées à travers le monde : Anglais, Chinois simplifié, Hindi, Espagnol,
    Français, Arabe, Bengali, Russe, Portugais, Indonésien, Urdu, Allemand, Japonais, Swahili, Marathi, Telugu,
    Penjabi occidental, Chinois Wu, Tamoul, Turc. Les noms sont aussi donnés avec la langue locale de la
    région où la plante a été mise en culture à l’origine. Chaque culture a son nom en Anglais et dans la
    langue de son pays natal.
    Le chapitre 3 présente les variétés pour les climats froids, qui comprennent à la fois les régions tempérées
    et boréales. Le chapitre 4 se concentre sur les variétés pour les régions tropicales et subtropicales arides.
    Le chapitre 5 décrit les variétés pour les régions tropicales et subtropicales humides.

    Par Eric Toensmeier

    #permaculture #arbres

  • Les migrants et les vacanciers à la montagne

    Médecin à #Montgenèvre (05), j’assure la #permanence_médicale, pour les locaux, les #touristes de passage, mais également pour les #urgences_vitales. L’’hôpital est à 25 minutes (Briançon). J’assiste depuis quelques quelques années aux tentatives de passages de migrants de l’#Italie vers la #France, prêts à prendre tous les risques pour essayer de rejoindre des proches dans un pays européen.

    Durant cette saison estivale, il est étrange de voir cohabiter des touristes randonneurs/vététistes etc. et de plus en plus de migrants cherchant leur salut en fuyant leur pays, certainement pas par plaisir, mais pour de multiples raisons que vous connaissez mieux que moi.
    Lors de mes déplacements, je rencontre donc des touristes en balade et des migrants cherchant leur salut loin de chez eux.
    Cohabitation étrange, anachronique, et de plus en plus fréquente...
    La période est propice, les températures sont clémentes, le nombre de tentatives de passages est donc conséquent.
    Je rencontre également des gens en uniforme, PAF ou gendarmerie, en véhicules 4x4 l’été, en quad l’hiver, cherchant probablement à les intercepter.
    Ces migrants en quête d’un refuge se heurtent (après certainement beaucoup plus de déboires lors de leur long périple, sans cesse renouvelé) à cette #traque qui me choque, devant ces personnes potentiellement en danger.
    La présence des gendarmes incitent les migrants à s’éloigner du parcours le plus simple et à s’égarer vers les crêtes de la station ou dans la forêt avec un risque majoré.

    Début août, j’ai été appelé par le centre 15 pour les premiers soins auprès d’une femme migrante prête à accoucher durant sa marche trans-frontalière, nous avons pu nous en occuper, entourés par l’équipe du Samu arrivée en renfort, et des gendarmes sur les lieux... avant le Samu...
    Début août, un jeune migrant a été retrouvé décédé en haut des pistes de VTT/SKI.

    Comme lors des hivers précédents, ces personnes sont davantage mises en danger et se blessent voire se tuent (il y a des précédents les dernières années), en essayant de passer malgré tout.

    Je vous passe les détails des conditions de passage de nos cols en hiver, et de l’état dans lequel ils sont recueillis au Refuge à Briançon, -Association Refuges Solidaires, située à Briançon (Hautes-Alpes - créé par des bénévoles et du mécénat, afin de ne plus laisser dehors des hommes, femmes et enfants qui arrivent d’Italie et traversent nos cols).
    Ce fameux Refuge, rare lieu d’accueil ou toutes les nationalités, tous les âges, familles et enfants voire bébés parfois, se retrouvent accueillis, abrités, réchauffés et nourris.
    Avant de pouvoir être assistés pour organiser la suite de leur voyage, une fois reposés, et soignés, grâce à la #PASS - #Permanence_d'Accès_aux_soins - service mis en place par l’hôpital et en accord avec l’#ARS, afin d’apporter des #soins médicaux grâce à du personnel de l’hôpital.
    Ce #refuge_solidaire peut accueillir à ma connaissance entre 65 et 80 personnes en danger ou abîmées, dans de bonnes conditions.
    Il est actuellement plein à craquer, dépasse ses capacités d’accueil avec + de 200 migrants actuellement hébergés.
    Seules 2/3 personnes salariées œuvrent au mieux pour coordonner cet accueil.
    Et des dizaines de bénévoles s’épuisent à aider pour les repas, organiser l’hébergement, soulager, réconforter, etc.
    La #promiscuité du fait du surnombre mène à l’épuisement et au « burn out » des meilleures volontés.
    La situation devient extrêmement tendue, avec une cohabitation de plusieurs nationalités qui devient très difficile.

    A côté de cela, je ne vois de la part des pouvoirs publics que de l’entêtement à vouloir bloquer le passage à la frontière, ce qui est peine perdue pour des gens en détresse qui ré-essaieront sans cesse (regardons ce qui se passe sur nos côtes, et le nombres de vies déjà perdues).
    Entêtement de ceux qui nous gouvernent à mettre des moyens démesurés pour contrôler, en mettant en place des centaines de gendarmes (avec la logistique et le coût que cela représente..)

    A l’échelle de la petite ville de Briançon, c’est inédit, et cette situation commence à perdurer, faute d’une vision et réorganisation globale de l’accueil, au niveau français et européen.
    L’hôpital souffre d’un défaut de moyens (surtout en personnel), et l’on voit débarquer des dizaines de cars de gendarmes arrivant en renfort, très (trop) régulièrement...
    Des dépenses démesurées, des moyens inadaptés, pour une situation qui ne va qu’empirer, faute de choix responsables, qui ne peuvent être endossés par nos bénévoles et ceux qui essaient d’apporter un peu d’humanité à ce que l’on vit actuellement.
    Je ne suis missionné par personne, je n’ai aucun conflit d’intérêt.
    Juste choqué et heurté en tant que citoyen et médecin par notre manière d’apporter assistance...
    Avec l’envie de témoigner.
    Pierre-Michel Depinoy
    Médecin généraliste
    Montgenèvre

    https://blogs.mediapart.fr/pierre-michel-depinoy/blog/170823/les-migrants-et-les-vacanciers-la-montagne
    #cohabitation #tourisme #migrations #asile #réfugiés #frontière #santé #blessures #témoignage #médecin #mise_en_danger

  • Moi, agricultrice

    Des années d’après-guerre à aujourd’hui, des #pionnières agricultrices vont mener un long combat de l’ombre pour passer de l’#invisibilité_sociale, d’un métier subi, à la reconnaissance pleine et entière de leur statut. Trop longtemps considérées « #sans_profession », sous la #tutelle juridique et économique de leurs époux, ces militantes de la première heure livrent le récit intime d’une conquête restée dans l’oubli de l’histoire de l’#émancipation_des_femmes. La nouvelle génération, héritière de cette lente marche vers l’égalité des droits, témoigne également, bien décidée à garantir les acquis gagnés de haute lutte par leurs mères et leurs grands-mères.

    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/64524_0

    –—

    Anne-Maire Crolais (à partir de la min 40’09) :

    « Les places, ça se gagne. Est-ce qu’on veut, nous, les femmes, en gagner ou pas ? Il faut le savoir, c’est tout. C’est simple. Un homme ne laissera jamais sa place. (...) Si on veut le pouvoir, on y va. »

    #femmes #vocation #agriculture #reconnaissance #émancipation #injustice_sociale #luttes #cohabitation #travail #agricultrices #Jeunesse_agricole_catholique (#JAC) #profession #identité_professionnelle #existence_sociale #paysannerie #mai_68 #paysannes #paysans-travailleurs #permis_de_conduire #histoire #féminisme #indépendance_financière #statut #droits_sociaux #droits #congé_maternité #clandestinité_sociale #patriarcat #égalité_des_droits #sexisme_ordinaire
    #film #film_documentaire #documentaire

  • Le nombre de personnes tuées par un tir des #forces_de_l’ordre a doublé depuis 2020

    Année après année, la liste des tués par les forces de l’ordre ne cesse d’augmenter. Trop souvent, la thèse de la légitime défense ou du refus d’obtempérer ne supporte pas l’analyse des faits. Basta ! en tient le terrible mais nécessaire décompte.

    « Je vais te tirer une balle dans la tête », lance le « gardien de la paix », braquant son arme sur la vitre de la voiture à l’arrêt, avant que son collègue ne crie « Shoote- le ». Au volant, Nahel, un mineur de 17 ans qui conduit sans permis, démarre malgré tout. Le gardien de la paix met sa menace à exécution, tuant à bout portant l’adolescent. La scène se déroule ce 27 juin à Nanterre. Les agents ont plaidé la légitime défense arguant que le véhicule fonçait sur eux, ce que dément la vidéo de la scène. L’auteur du coup de feu mortel est placé en garde à vue. La famille de la victime s’apprête à déposer deux plaintes, l’une pour « homicide volontaire et complicité d’homicide », l’autre pour « faux en écriture publique ».

    Le drame déclenche la révolte des habitants du quartier d’où est originaire la victime. Deux semaines plus tôt c’est Alhoussein Camara qui est tué d’une balle dans le thorax par un policier, dans des conditions similaires près d’Angoulême. En 2022, on dénombrait treize morts lors de « refus d’obtempérer » par l’ouverture du feu des forces de l’ordre. Au delà des nouveaux drames de Nanterre et d’Angoulême, combien de personnes ont-elles été tuées par les forces de l’ordre, et dans quelles circonstances ?

    Les décès dus à une ouverture du feu des forces de l’ordre ont considérablement augmenté, avec respectivement 18 et 26 personnes abattues en 2021 et 2022, soit plus du double que lors de la décennie précédente. Cette augmentation amplifie la tendance constatée depuis 2015, lorsque le nombre de tués par balle a franchi le seuil de la dizaine par an. À l’époque, le contexte lié aux attaques terroristes islamistes a évidemment pesé, avec cinq terroristes abattus en 2015 et 2016 par les forces de sécurité.

    Le risque terroriste n’explique cependant pas l’augmentation des décès par balle en 2021 et 2022. Un seul terroriste potentiel a été tué en 2021 – Jamel Gorchene, après avoir mortellement poignardé une fonctionnaire administrative de police devant le commissariat de Rambouillet (Yvelines), le 23 avril 2021, et dont l’adhésion à l’idéologie islamiste radicale serait « peu contestable » selon le procureur chargé de l’enquête. Aucun terroriste ne figure parmi les 26 tués de 2022. Dans quelles circonstances ces tirs ont-ils été déclenchés ?
    Tirs mortels face à des personnes munis d’armes à feu

    Sur les 44 personnes tuées par balles en deux ans, un peu plus de la moitié (26 personnes) étaient armées, dont dix d’une arme à feu. Parmi elles, sept l’ont utilisée, provoquant un tir de riposte ou de défense des forces de l’ordre. Plusieurs de ces échanges de tirs se sont déroulés avec des personnes « retranchées » à leur domicile. L’affaire la plus médiatisée implique Mathieu Darbon. Le 20 juillet 2022, dans l’Ain, ce jeune homme de 22 ans assassine à l’arme blanche son père, sa belle-mère, sa sœur, sa demi-sœur et son demi-frère. Le GIGN intervient, tente de négocier puis se résout à l’abattre. En janvier 2021, dans une petite station au-dessus de Chambéry, un homme souffrant de troubles psychiatriques s’enferme chez lui, armé d’un fusil, en compagnie de sa mère, après avoir menacé une voisine. Arrivé sur place, le GIGN essuie des tirs, et riposte. Scénario relativement similaire quelques mois plus tard dans les Hautes-Alpes, au-dessus de Gap. Après une nuit de négociation, le « forcené », Nicolas Chastan est tué par le GIGN après avoir « épaulé un fusil 22 LR [une carabine de chasse, ndlr] et pointé son arme en direction des gendarmes », selon le procureur. L’affaire est classée sans suite pour légitime défense.

    Au premier trimestre 2021, le GIGN a été sollicité deux à trois fois plus souvent que les années précédentes sur ce type d’intervention, sans forcément que cela se termine par un assaut ou des tirs, relevait TF1. Le GIGN n’intervient pas qu’en cas de « forcené » armé. Le 16 avril 2021, l’unité spéciale accompagne des gendarmes venus interpeller des suspects sur un terrain habité par des voyageurs. Un cinquantenaire qui, selon les gendarmes, aurait pointé son fusil dans leur direction est tué.
    Arme à feu contre suspects munis d’arme blanche

    Parmi les 44 personnes tuées par arme à feu en 2021 et 2022, 16 étaient munis d’une arme blanche (couteau, cutter, barre de fer). Une dizaine d’entre elles auraient menacé ou attaqué les agents avant d’être tuées. Au mois de mars 2021, un policier parisien tire sur un homme qui l’attaque au couteau, pendant qu’il surveillait les vélos de ses collègues.

    La mort d’un pompier de Colombes (Hauts-de-Seine) rend également perplexes ses voisins. En état d’ébriété, il jette une bouteille vers des agents en train de réaliser un contrôle, puis se serait approché d’eux, muni d’un couteau « en criant Allah Akbar ». Il est tué de cinq balles par les agents. L’affaire est classée sans suite, la riposte étant jugée « nécessaire et proportionnée ». L’été dernier à Dreux, une policière ouvre mortellement le feu sur un homme armé d’un sabre et jugé menaçant. L’homme était par ailleurs soupçonné de violence conjugale.

    Dans ces situations, la légitime défense est la plupart du temps invoquée par les autorités. Cela pose cependant question lorsque la « dangerosité » de la personne décédée apparaît équivoque, comme l’illustre le cas de David Sabot, tué par des gendarmes le 2 avril 2022. Ses parents, inquiets de l’agressivité de leur fils, alcoolisé, alertent la gendarmerie de Vizille (Isère). Les gendarmes interviennent et tirent neuf balles sur David. Selon les gendarmes, il se serait jeté sur eux. Selon ses parents, il marchait les bras ballants au moment des tirs. « On n’a pas appelé les gendarmes pour tuer notre enfant », s’indignent-ils dans Le Dauphiné.

    Juridiquement, le fait que la personne soit armée ne légitime pas forcément l’ouverture du feu par les forces de l’ordre. Selon l’Article 122-5 du Code pénal, une personne se défendant d’un danger n’est pas pénalement responsable si sa riposte réunit trois conditions : immédiateté, nécessité, proportionnalité. « La question va se poser, s’il n’y avait pas moyen de le neutraliser autrement », indique à Var Matin « une source proche du dossier », à propos du décès d’un sans-abri, Garry Régis-Luce, tué par des policiers au sein de l’aéroport de Roissy-Charles de Gaulle, en août dernier. Sur une vidéo de la scène publiée par Mediapart, le sans-abri armé d’un couteau fait face à cinq policiers qui reculent avant de lui tirer mortellement dans l’abdomen. Sa mère a porté plainte pour homicide volontaire.

    De plus en plus de profils en détresse psychologique

    Plusieurs affaires interrogent sur la manière de réagir face à des personnes en détresse psychologique, certes potentiellement dangereuses pour elle-même ou pour autrui, et sur la formation des policiers, souvent amenés à intervenir en premier sur ce type de situation [1].

    Le 21 avril 2022, à Blois, des policiers sont alertés pour un risque suicidaire d’un étudiant en école de commerce, Zakaria Mennouni, qui déambule dans la rue, pieds nus et couteau en main. Selon le procureur de Blois, l’homme se serait avancé avec son couteau vers les policiers avant que l’un d’eux tire au taser puis au LBD. Son collègue ouvre également le feu à quatre reprises. Touché de trois balles à l’estomac, Zakaria succombe à l’hôpital. La « légitime défense » est donc invoquée. « Comment sept policiers n’ont-ils pas réussi à maîtriser un jeune sans avoir recours à leur arme à feu », s’interroge la personne qui a alerté la police. Une plainte contre X est déposée par les proches de l’étudiant, de nationalité marocaine. Sur Twitter, leur avocat dénonce une « enquête enterrée ».

    Près de Saint-Étienne, en août 2021, des policiers interviennent dans un appartement où Lassise, sorti la veille d’un hôpital psychiatrique, mais visiblement en décompression, a été confiné par ses proches, avant que sa compagne n’appelle police secours. Ce bénévole dans une association humanitaire, d’origine togolaise, aurait tenté d’agresser les policiers avec un couteau de boucher, avant que l’un d’eux n’ouvre le feu.

    Pourquoi, dans ce genre de situation, les policiers interviennent-ils seuls, sans professionnels en psychiatrie ? Plusieurs études canadiennes démontrent le lien entre le désinvestissement dans les services de soins et la fréquence des interventions des forces de l’ordre auprès de profils atteintes de troubles psychiatriques. Une logique sécuritaire qui inquiète plusieurs soignants du secteur, notamment à la suite de l’homicide en mars dernier d’un patient par la police dans un hôpital belge.
    Le nombre de personnes non armées tuées par balles a triplé

    Le nombre de personnes sans arme tombées sous les balles des forces de l’ordre a lui aussi bondi en deux ans (5 en 2021, 13 en 2022). C’est plus du triple que la moyenne de la décennie précédente. Cette hausse est principalement liée à des tirs sur des véhicules en fuite beaucoup plus fréquents, comme l’illustre le nouveau drame, ce 27 juin à Nanterre où, un adolescent de 17 ans est tué par un policier lors d’un contrôle routier par un tir à bout portant d’un agent.

    Outre le drame de Nanterre ce 27 juin, l’une des précédentes affaires les plus médiatisées se déroule le 4 juin 2022 à Paris, dans le 18e arrondissement. Les fonctionnaires tirent neuf balles avec leur arme de service sur un véhicule qui aurait refusé de s’arrêter. La passagère, 18 ans, est atteinte d’une balle dans la tête, et tuée. Le conducteur, touché au thorax, est grièvement blessé. Dans divers témoignages, les deux autres personnes à bord du véhicule réfutent que la voiture ait foncé sur les forces de l’ordre. Le soir du second tour de l’élection présidentielle, le 24 avril, deux frères, Boubacar et Fadjigui sont tués en plein centre de Paris sur le Pont-Neuf. Selon la police, ces tirs auraient suivi le refus d’un contrôle. La voiture aurait alors « foncé » vers un membre des forces de l’ordre qui se serait écarté avant que son collègue, 24 ans et encore stagiaire, ne tire dix cartouches de HK G36, un fusil d’assaut.

    Comme nous le révélions il y a un an, les policiers ont tué quatre fois plus de personnes pour refus d’obtempérer en cinq ans que lors des vingt années précédentes. En cause : la loi de 2017 venue assouplir les règles d’ouverture de feu des policiers avec la création de l’article 435-1 du Code de la sécurité intérieure . « Avec cet article, les policiers se sont sentis davantage autorisés à faire usage de leur arme », estime un commandant de police interrogé par Mediapart en septembre dernier. À cela « vous rajoutez un niveau de recrutement qui est très bas et un manque de formation, et vous avez le résultat dramatique que l’on constate depuis quelques années : des policiers qui ne savent pas se retenir et qui ne sont pas suffisamment encadrés ou contrôlés. Certains policiers veulent en découdre sans aucun discernement. »

    « Jamais une poursuite ni une verbalisation ne justifieront de briser une vie »

    Au point que les gendarmes s’inquiètent très officiellement de la réponse adéquate à apporter face aux refus d’obtempérer, quitte à bannir le recours immédiat à l’ouverture du feu (voir ici). « L’interception immédiate, pouvant s’avérer accidentogène, n’est plus la règle, d’autant plus si les conditions de l’intervention et le cadre légal permettent une action différée, préparée et renforcée. Donc, on jalonne en sécurité, on lâche prise si ça devient dangereux, et surtout on renseigne. Tout refus d’obtempérer doit être enregistré avec un minimum de renseignements pour ensuite pouvoir s’attacher à retrouver l’auteur par une double enquête administrative et judiciaire », expliquait la commandante de gendarmerie Céline Morin. « Pour reprendre une phrase du directeur général de la gendarmerie : “Jamais une poursuite ni une verbalisation ne justifieront de briser une vie.” Il importe donc à chacun de nous de se préparer intellectuellement en amont à une tactique et à des actions alternatives face aux refus dangereux d’obtempérer. » On est loin du discours de surenchère tenu par certains syndicats de policiers.

    « Pas d’échappatoire » vs « personne n’était en danger »

    Pour justifier leur geste, les agents invoquent la dangerosité pour eux-mêmes ou pour autrui, considérant souvent le véhicule comme « arme par destination ». Hormis la neutralisation du conducteur du véhicule, ils n’auraient pour certains « pas d’échappatoire » comme l’affirmait le membre de la BAC qui a tué un jeune homme de 23 ans à Neuville-en-Ferrain (Nord), le 30 août 2022, qui aurait démarré son véhicule au moment où les agents ouvraient la portière.

    Des policiers qui se seraient « vus mourir » tirent sur Amine B, le 14 octobre, à Paris. Coincé dans une contre-allée, le conducteur aurait redémarré son véhicule en direction des fonctionnaires qui ont ouvert le feu. Plusieurs témoins affirment que ce ressortissant algérien, diplômé d’ingénierie civile, roulait « doucement » sans se diriger vers eux ni mettre personne en danger. Et Amine est mort d’une balle dans le dos. La famille a lancé un appel à témoins pour connaître les circonstances exactes du drame. Rares sont ces affaires où le récit policier n’est pas contredit par les éléments de l’enquête ou des témoins.

    Au nom de la légitime défense, des gendarmes de Haute-Savoie ont tiré neuf fois le 5 juillet 2021 sur un fuyard suspecté de vol. Le conducteur de la camionnette, Aziz, n’a pas survécu à la balle logée dans son torse. « Personne n’était en danger », affirme pour sa part un proche, présent sur lieux. D’après son témoignage recueilli par Le Média, les militaires « étaient à 4 ou 5 mètres » du fourgon. Une reconstitution des faits a été effectuée sans la présence de ce témoin, au grand dam de la famille qui a porté plainte pour « homicide volontaire ».

    Pour Zied B. le 7 septembre à Nice abattu par un policier adjoint, comme pour Jean-Paul Benjamin, tué par la BAC le 26 mars à Aulnay-sous-Bois alors que, en conflit avec son employeur (Amazon), il était parti avec l’un des véhicules de l’entreprise, ce sont les vidéos filmant la scène qui mettent à mal la version policière des faits [2]. Et dans le cas de Souheil El Khalfaoui, 19 ans, tué d’une balle dans le cœur à Marseille lors d’un contrôle routier (voir notre encadré plus haut), les images de vidéosurveillance filmant la scène, et en mesure de corroborer ou de contredire la version des policiers, n’ont toujours pas pu être visionnées par la famille qui a porté plainte. Près de deux ans après le drame...

    Si 2021 et 2022 ont été particulièrement marquées par les morts par balles lors d’interventions policières, qu’en sera-t-il en 2023 ? À notre connaissance, #Nahel est au moins la huitième personne abattue par des agents assermentés depuis janvier dernier.

    https://basta.media/Refus-d-obtemperer-le-nombre-de-personnes-tuees-par-un-tir-des-forces-de-l-

    #statistiques #chiffres #décès #violences_policières #légitime_défense #refus_d'obtempérer #Nanterre #armes_à_feu #tires_mortels #GIGN

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    signalé aussi par @fredlm
    https://seenthis.net/messages/1007961

    • #Sebastian_Roché : « Le problème des tirs mortels lors de refus d’obtempérer est systémique en France »

      Le débat émerge suite au décès du jeune Nahel en banlieue parisienne. Entretien avec Sebastian Roché, politologue spécialiste des questions de police

      Pour certains, la mort du jeune Nahel, tué mardi par un policier lors d’un #contrôle_routier en banlieue parisienne, est l’occasion de dire qu’il y a trop de refus d’obtempérer en France. Pour d’autres, c’est surtout le moment de condamner la manière qu’a la #police d’y fait face. A gauche on estime qu’« un refus d’obtempérer ne peut pas être une condamnation à mort ». A droite, on pense que ces drames sont dus au fait que « les refus d’obtempérer augmentent et mettent en danger nos forces de l’ordre ».

      En 2022, le nombre record de 13 décès a été enregistré après des refus d’obtempérer lors de contrôles routiers en France. En cause, une modification de la loi en 2017 assouplissant les conditions dans lesquelles les forces de l’ordre peuvent utiliser leur arme. Elles sont désormais autorisées à tirer quand les occupants d’un véhicule « sont susceptibles de perpétrer, dans leur fuite, des atteintes à leur vie ou à leur intégrité physique ou à celles d’autrui ». Des termes jugés trop flous par de nombreux juristes.

      Sebastian Roché, politologue spécialiste des questions de police qui enseigne à Sciences-Po Grenoble, est un spécialiste de la question. Nous avons demandé à ce directeur de Recherche au CNRS, auteur de La nation inachevée, la jeunesse face à l’école et la police (Grasset), ce qu’il pensait de ce débat.

      Le Temps : Vous avez fait des recherches sur le nombre de personnes tuées en France par des tirs de policiers visant des véhicules en mouvement. Quelles sont vos conclusions ?

      Sebastian Roché : Nous avons adopté une méthode de type expérimentale, comme celles utilisées en médecine pour déterminer si un traitement est efficace. Nous avons observé 5 années avant et après la loi de 2017, et nous avons observé comment avaient évolué les pratiques policières. Les résultats montrent qu’il y a eu une multiplication par 5 des tirs mortels entre avant et après la loi dans le cadre de véhicule en mouvement.

      En 2017, la loi a donné une latitude de tir plus grande aux policiers, avec une possibilité de tirer même hors de la légitime défense. C’est un texte très particulier et, derrière, il n’y a pas eu d’effort de formation proportionné face au défi que représente un changement aussi historique de réglementation.

      L’augmentation n’est-elle pas simplement liée à l’augmentation des refus d’obtempérer ?

      Nous avons regardé le détail des tirs mortels. Le sujet, ce n’est pas les refus d’obtempérer, qui sont une situation, ce sont les tirs mortels, qui interviennent dans cette situation. Les syndicats de police font tout pour faire passer le message que le problème ce sont les refus d’obtempérer qui augmentent. Mais le problème ce sont les tirs mortels, dont les refus d’obtempérer peuvent être une cause parmi d’autres. Et les refus d’obtempérer grave ont augmenté mais pas autant que ce que dit le ministère. D’autant que l’augmentation des tirs mortels n’est notable que chez la police nationale et non dans la Gendarmerie. Dans la police nationale, en 2021, il y a eu 2675 refus d’obtempérer graves, pas 30 000. Il y a une augmentation mais ce n’est pas du tout la submersion dont parlent certains. Ce n’est pas suffisant pour expliquer l’augmentation des tirs mortels. D’autant que la police nationale est auteur de ces homicides et pas la Gendarmerie alors que les refus d’obtempérer sont également répartis entre les deux. Si le refus d’obtempérer était une cause déterminante, elle aurait les mêmes conséquences en police et en gendarmerie.

      Comment cela s’explique-t-il ?

      Les gendarmes n’ont pas la même structure de commandement, pas la même stabilité de l’ancrage local et pas la même lecture de la loi de 2017. La police a une structure qui n’est pas militaire comme celle de la gendarmerie. Et l’encadrement de proximité y est plus faible, particulièrement en région parisienne que tous les policiers veulent quitter.

      Pour vous c’est ce qui explique le drame de cette semaine ?

      La vidéo est accablante donc les responsables politiques semblent prêts à sacrifier le policier qui pour eux a fait une erreur. Mais ce qui grave, c’est la structure des tirs mortels avant et après 2017, c’est-à-dire comment la loi a modifié les pratiques. Ce n’est pas le même policier qui a tué 16 personnes dans des véhicules depuis le 1er janvier 2022. Ce sont 16 policiers différents. Le problème est systémique.

      Avez-vous des comparaisons internationales à ce sujet ?

      En Allemagne, il y a eu un tir mortel en dix ans pour refus d’obtempérer, contre 16 en France depuis un an et demi. On a un écart très marqué avec nos voisins. On a en France un modèle de police assez agressif, qui doit faire peur, davantage que dans les autres pays d’Europe mais moins qu’aux Etats-Unis. Et cette loi déroge à des règles de la Cour européenne des droits de l’homme. C’est une singularité française.

      Cette loi avait été mise en place suite à des attaques terroristes, notamment contre des policiers ?

      Oui, c’est dans ce climat-là qu’elle est née, mise en place par un gouvernement socialiste. Il y avait aussi eu d’autres attaques qui n’avaient rien à voir. Mais le climat général était celui de la lutte antiterroriste, et plus largement l’idée d’une police désarmée face à une société de plus en plus violente. L’idée était donc de réarmer la police. Cette loi arrange la relation du gouvernement actuel avec les syndicats policiers, je ne pense donc pas qu’ils reviendront dessus. Mais il y a des policiers qui vont aller en prison. On leur a dit vous pouvez tirer et, là, un juge va leur dire le contraire. Ce n’est bon pour personne cette incertitude juridique. Il faut abroger la partie de la loi qui dit que l’on peut tirer si on pense que le suspect va peut-être commettre une infraction dans le futur. La loi française fonctionnait précédemment sous le régime de la légitime défense, c’est-à-dire qu’il fallait une menace immédiate pour répondre. Comment voulez-vous que les policiers sachent ce que les gens vont faire dans le futur.

      https://www.letemps.ch/monde/le-probleme-des-tirs-mortels-lors-de-refus-d-obtemperer-est-systemique-en-fr

    • « Refus d’obtempérer »  : depuis 2017, une inflation létale

      Depuis la création en 2017 par la loi sécurité publique d’un article élargissant les conditions d’usage de leur arme, les tirs des policiers contre des automobilistes ont fortement augmenté. Ils sont aussi plus mortels.

      Depuis plus d’un an, chaque mois en moyenne, un automobiliste est tué par la police. Dans la plupart des cas, la première version des faits qui émerge du côté des forces de l’ordre responsabilise le conducteur. Il lui est reproché d’avoir commis un refus d’obtempérer, voire d’avoir attenté à la vie des fonctionnaires, justifiant ainsi leurs tirs. Il arrive que cette affirmation soit ensuite mise à mal par les enquêtes judiciaires : cela a été le cas pour le double meurtre policier du Pont-Neuf, à Paris en avril 2022, celui d’Amine Leknoun, en août à Neuville-en-Ferrain (Nord), ou celui de Zyed Bensaid, en septembre à Nice. En ira-t-il de même, concernant le conducteur de 17 ans tué mardi à Nanterre (Hauts-de-Seine) ? Les investigations pour « homicide volontaire par personne dépositaire de l’autorité publique » ont été confiées à l’Inspection générale de la police nationale (IGPN). Deux autres enquêtes ont été ouvertes depuis le début de l’année pour des tirs mortels dans le cadre de refus d’obtempérer en Charente et en Guadeloupe.

      Cette inflation mortelle s’est accélérée depuis le début de l’année 2022, mais elle commence en 2017. Ainsi, d’après les chiffres publiés annuellement par l’IGPN et compilés par Libération, entre la période 2012-2016 d’une part, et 2017-2021 d’autre part, l’usage des armes par les policiers a augmenté de 26 % ; et les usages de l’arme contre un véhicule ont augmenté de 39 %. Une croissance largement supérieure à celle observée chez les gendarmes entre ces deux périodes (+10 % d’usage de l’arme, toutes situations confondues).
      Doublement faux

      Mercredi, lors des questions au gouvernement, Gérald Darmanin a affirmé que « depuis la loi de 2017, il y a eu moins de tirs, et moins de cas mortels qu’avant 2017 ». C’est doublement faux : depuis cette année-là, les tirs des policiers contre des véhicules sont non seulement plus nombreux, mais ils sont aussi plus mortels. C’est la conclusion de travaux prépubliés l’année dernière, et en cours de soumission à une revue scientifique, de Sebastian Roché (CNRS), Paul Le Derff (université de Lille) et Simon Varaine (université Grenoble-Alpes).

      Les chercheurs établissent que le nombre de tués par des tirs policiers visant des personnes se trouvant dans des véhicules a été multiplié par cinq, entre avant et après le vote de la loi « sécurité publique » de février 2017. D’autant qu’entre les mêmes périodes, le nombre de personnes tuées par les autres tirs policiers diminue légèrement. « A partir d’une analyse statistique rigoureuse du nombre mensuel de victimes des tirs, malheureusement, il est très probable » que ce texte soit « la cause du plus grand nombre constaté d’homicides commis par des policiers », expliquent Roché, Le Derff et Varaine.

      La loi sécurité publique a créé l’article 435-1 du code de la sécurité intérieure (CSI), qui s’est depuis trouvé (et se trouve encore) au cœur de plusieurs dossiers judiciaires impliquant des policiers ayant tué des automobilistes. Cet article complète celui de la légitime défense (122-5 du code pénal) dont tout citoyen peut se prévaloir, en créant un cadre spécifique et commun aux forces de l’ordre pour utiliser leur arme.
      Un texte plusieurs fois remanié

      L’article 435-1 du CSI dispose que « dans l’exercice de leurs fonctions et revêtus de leur uniforme ou des insignes extérieurs et apparents de leur qualité », les policiers peuvent utiliser leur arme « en cas d’absolue nécessité et de manière strictement proportionnée », notamment dans la situation suivante : « Lorsqu’ils ne peuvent immobiliser, autrement que par l’usage des armes, des véhicules, embarcations ou autres moyens de transport, dont les conducteurs n’obtempèrent pas à l’ordre d’arrêt et dont les occupants sont susceptibles de perpétrer, dans leur fuite, des atteintes à leur vie ou à leur intégrité physique ou à celles d’autrui. » Avant d’arriver à cette formulation, le texte a été plusieurs fois remanié, au fil de son parcours législatif, dans le sens de l’assouplissement. Par exemple : les atteintes devaient être « imminentes », selon la version initiale ; dans la mouture finale elles n’ont plus besoin que d’être « susceptibles » de se produire, pour justifier le tir.

      La direction générale de la police nationale l’a rapidement relevé. Ainsi, dans une note de mars 2017 expliquant le texte à ses fonctionnaires, on pouvait lire : « L’article L.435-1 va au-delà de la simple légitime défense », en ce qu’il « renforce la capacité opérationnelle des policiers en leur permettant d’agir plus efficacement, tout en bénéficiant d’une plus grande sécurité juridique et physique ». Tout en rappelant qu’« il ne saurait être question de faire usage de l’arme pour contraindre un véhicule à s’arrêter en l’absence de toute dangerosité de ses occupants ».

      https://www.youtube.com/watch?v=Dz5QcVZXEN4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.liberation.fr%2


      https://www.liberation.fr/societe/police-justice/refus-dobtemperer-depuis-2017-une-inflation-letale-20230627_C7BVZUJXLVFJBOWMDXJG2N7DDI/?redirected=1&redirected=1

    • Mort de Nahel : chronique d’un drame annoncé

      Au moment de l’adoption, sous pression des policiers, de la #loi de 2017 modifiant les conditions d’usage des armes à feu par les forces de l’ordre, la Commission nationale consultative des droits de l’homme, le Défenseur des droits et la société civile avaient alerté sur l’inévitable explosion du nombre de victimes à venir.

      #Bernard_Cazeneuve se trouve, depuis la mort de Nahel, au centre de la polémique sur l’#usage_des_armes_à_feu par les policiers. La gauche, notamment, ne cesse de rappeler que l’ex-dirigeant socialiste est le concepteur de la loi dite « #sécurité_publique » qui, en février 2017, a institué le #cadre_légal actuel en la matière. C’est en effet lui qui en a assuré l’élaboration en tant que ministre de l’intérieur, puis qui l’a promulguée alors qu’il était premier ministre.

      À deux reprises, Bernard #Cazeneuve s’est justifié dans la presse. Le 29 juin tout d’abord, dans Le Monde (https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/06/29/adolescent-tue-par-un-policier-a-nanterre-emmanuel-macron-sur-une-ligne-de-c), il affirme qu’« il n’est pas honnête d’imputer au texte ce qu’il n’a pas souhaité enclencher » et explique que cette loi avait été votée dans un « contexte de tueries de masse après les attentats ».

      Le lendemain, dans un entretien au Point (https://www.lepoint.fr/societe/bernard-cazeneuve-non-il-n-y-a-pas-en-france-de-permis-de-tuer-30-06-2023-25), l’ancien premier ministre de #François_Hollande développe la défense de son texte. « Il n’y a pas, en France, de #permis_de_tuer, simplement la reconnaissance pour les forces de l’ordre de la possibilité de protéger leurs vies ou la vie d’autrui, dans le cadre de la #légitime_défense », affirme-t-il.

      Bernard Cazeneuve évoque encore un « contexte particulier » ayant justifié ce texte, « celui des périples meurtriers terroristes et de la tragédie qu’a constituée l’attentat de Nice, le 14 juillet 2016, qui a vu un policier municipal neutraliser le conducteur d’un camion-bélier ayant tué 86 personnes et blessé plusieurs centaines d’autres, sur la promenade des Anglais ».

      Cette invocation d’une justification terroriste à l’adoption de la loi « sécurité publique » paraît étonnante à la lecture de l’exposé des motifs (https://www.legifrance.gouv.fr/dossierlegislatif/JORFDOLE000033664388/?detailType=EXPOSE_MOTIFS&detailId=) et de l’étude d’impact (https://www.senat.fr/leg/etudes-impact/pjl16-263-ei/pjl16-263-ei.pdf) du texte. À aucun moment un quelconque attentat n’est mentionné pour justifier les dispositions de l’article premier, celui modifiant le cadre légal de l’usage des armes à feu par les policiers.

      À l’ouverture de l’examen du texte en séance publique par les député·es, le mardi 7 février (https://www.assemblee-nationale.fr/14/cri/2016-2017/20170112.asp#P970364), le ministre de l’intérieur Bruno Leroux parle bien d’un attentat, celui du Carrousel du Louvre (https://fr.wikipedia.org/wiki/Attaque_contre_des_militaires_au_Carrousel_du_Louvre) durant lequel un homme a attaqué deux militaires à la machette. Mais cette attaque s’est déroulée le 3 février, soit bien après l’écriture du texte, et concerne des soldats de l’opération Sentinelle, donc non concernés par la réforme.

      La loi « sécurité publique » a pourtant bien été fortement influencée par l’actualité, mais par un autre drame. Le #8_octobre_2016, une vingtaine de personnes attaquent deux voitures de police dans un quartier de #Viry-Châtillon (Essonne) à coups de pierres et de cocktails Molotov. Deux policiers sont grièvement brûlés (https://fr.wikipedia.org/wiki/Affaire_des_policiers_br%C3%BBl%C3%A9s_%C3%A0_Viry-Ch%C3%A2tillon).

      Les images des agents entourés de flammes indignent toute la classe politique et provoquent un vaste mouvement de contestation au sein de forces de l’ordre. Cela génèrera un immense scandale judiciaire puisque des policiers feront emprisonner des innocents en toute connaissance de cause (https://www.mediapart.fr/journal/france/160521/affaire-de-viry-chatillon-comment-la-police-fabrique-de-faux-coupables). Mais à l’époque, les syndicats de policiers réclament par ailleurs une modification de la législation.

      « C’était une période de fin de règne de François #Hollande, avec des policiers à bout après avoir été sur-sollicités pour les manifestations contre la loi Travail, pour les opérations antiterroristes, se souvient Magali Lafourcade, secrétaire générale de la Commission nationale consultative des droits de l’homme (CNCDH). Et, surtout, il y a eu l’attaque de policiers de Viry-Châtillon. Leur mouvement de colère avait été accompagné par des manifestations à la limite de la légalité, avec des policiers armés, masqués et sans encadrement syndical, car il s’agissait d’un mouvement spontané. Je pense que cela a fait très peur au gouvernement. »

      La loi « sécurité publique » est l’une des réponses du gouvernement à cette fronde des policiers. Ceux-ci étaient alors régis par le droit commun de la légitime défense. Désormais, ils bénéficient d’un #régime_spécifique, copié sur celui des gendarmes et inscrit dans le nouvel #article_435-1 du #Code_de_la_sécurité_intérieure (https://www.legifrance.gouv.fr/codes/article_lc/LEGIARTI000034107970).

      Celui-ci dispose notamment que les policiers sont autorisés à faire usage de leur arme pour immobiliser des véhicules dont les occupants refusent de s’arrêter et « sont susceptibles de perpétrer, dans leur fuite, des atteintes à leur vie ou à leur intégrité physique ou à celles d’autrui ».

      On ne peut donc que s’étonner lorsque Bernard Cazeneuve assure, dans Le Point, que la loi « sécurité publique » « ne modifie en rien le cadre de la légitime défense ». « Je dirais même, enchérit-il, qu’elle en précise les conditions de déclenchement, en rendant impossible l’ouverture du feu hors de ce cadre. »

      Pourtant, comme l’a montré Mediapart (https://www.mediapart.fr/journal/france/280623/refus-d-obtemperer-l-alarmante-augmentation-des-tirs-policiers-mortels), le nombre de déclarations d’emploi d’une arme contre un véhicule a bondi entre 2016 et 2017, passant de 137 à 202, avant de se stabiliser à un niveau supérieur à celui d’avant l’adoption du texte, par exemple 157 en 2021.

      De plus, lorsque l’on relit les nombreux avertissements qui avaient été faits à l’époque au gouvernement, il semble difficile de soutenir que cette augmentation du recours aux armes à feu et du nombre de victimes n’était pas prévisible.

      « De telles dispositions risquent en effet d’entraîner une augmentation des pertes humaines à l’occasion de l’engagement desdits services dans des opérations sur la voie publique », prédisait ainsi la CNCDH dans un avis rendu le 23 février 2017 (https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000034104875).

      Celui-ci s’inquiétait notamment du #flou de certaines formulations, comme l’alinéa autorisant l’usage des armes à feu contre les personnes « susceptibles de perpétrer, dans leur fuite, des atteintes à leur vie ou à leur intégrité physique ou à celle d’autrui ».

      « Il est à craindre que de telles dispositions ne conduisent à l’utilisation des armes à feu dans des situations relativement fréquentes de #courses-poursuites en zone urbaine, avertissait encore la commission, les fonctionnaires de police venant à considérer que le véhicule pourchassé crée, par la dangerosité de sa conduite, un risque pour l’intégrité des autres usagers de la route et des passants ».

      « Rien ne justifiait cet alignement du régime des #gendarmes sur celui des policiers, réaffirme aujourd’hui Magali Lafourcade. Les gendarmes sont formés au maniement des armes et, surtout, ils opèrent en zone rurale. » La secrétaire générale de la CNCDH pointe également un problème de formation des policiers qui s’est depuis aggravé.

      « Le niveau de recrutement des policiers s’est effondré, souligne-t-elle. Les jeunes sont massivement envoyés dans les zones difficiles dès leur sortie de l’école. Ils ne reçoivent aucun enseignement sur les biais cognitifs. Un jeune venant d’une zone rurale dans laquelle il n’aura quasiment jamais croisé de personne racisée peut donc très bien être envoyé dans un quartier dont il n’a pas les codes, la culture, la manière de parler et donc de s’adresser à des adolescents. Et l’#encadrement_intermédiaire est très insuffisant. Les jeunes policiers sont bien peu accompagnés dans des prises de fonction particulièrement difficiles. »

      Le Défenseur des droits avait lui aussi alerté, dans un avis publié le 23 janvier 2017 (https://juridique.defenseurdesdroits.fr/doc_num.php?explnum_id=18573), sur l’#instabilité_juridique créée par cette #réforme. « Le projet de loi complexifie le régime juridique de l’usage des armes, en donnant le sentiment d’une plus grande liberté pour les forces de l’ordre, au risque d’augmenter leur utilisation, alors que les cas prévus sont déjà couverts par le régime général de la légitime défense et de l’état de nécessité », écrivait-il.

      Ces différents dangers avaient également été pointés par la quasi-totalité de la société civile, que ce soient les syndicats ou les associations de défense des libertés. « Les services de police et de gendarmerie se considéreront légitimes à user de leurs armes – et potentiellement tuer – dans des conditions absolument disproportionnées », prédisait ainsi le Syndicat de la magistrature (SM) (https://www.syndicat-magistrature.fr/notre-action/justice-penale/1214-projet-de-loi-securite-publique--refusez-ce-debat-expedie). « Il est en effet dangereux de laisser penser que les forces de l’ordre pourront faire un usage plus large de leurs armes », abondait l’Union syndicale des magistrats (USM) (https://www.union-syndicale-magistrats.org/web2/themes/fr/userfiles/fichier/publication/2017/securite_publique.pdf).

      Du côté des avocats, le projet de loi avait rencontré l’opposition du Syndicat des avocats de France (SAF) (https://lesaf.org/wp-content/uploads/2017/04/11-penal-GT.pdf), ainsi que du barreau de Paris et de la Conférence des bâtonniers, qui affirmaient, dans un communiqué commun (https://www.avocatparis.org/actualites/projet-de-loi-relatif-la-securite-publique-le-barreau-de-paris-et-la-co) : « La réponse au mal-être policier ne peut être le seul motif d’examen de ce projet de loi et il importe que les conditions de la légitime défense ne soient pas modifiées. »

      « Ce projet de loi autorise les forces de l’ordre à ouvrir le feu dans des conditions qui vont augmenter le risque de #bavures sans pour autant assurer la sécurité juridique des forces de l’ordre », avertissait encore la Ligue des droits de l’homme (https://www.ldh-france.org/police-anonyme-autorisee-tirer).

      Désormais, les policiers eux-mêmes semblent regretter cette réforme, ou en tout cas reconnaître l’#incertitude_juridique qu’elle fait peser sur eux, en raison de sa formulation trop vague.

      Dans un article publié samedi 1er juillet, Le Monde (https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/01/syndicats-de-police-un-tract-incendiaire-d-alliance-et-d-unsa-police-revelat) rapporte en effet que, parmi les forces de l’ordre, circule un modèle de demande de #droit_de_retrait dans lequel l’agent annonce rendre son arme, en raison des « diverses appréciations » qui peuvent être faites de l’article 435-1 du Code de la sécurité intérieure, lesquelles sont susceptibles de « donner lieu à des poursuites pénales ».

      Dans ce document, le policer y annonce mettre son pistolet à l’armurerie et qu’il y restera « jusqu’à ce que [s]a formation continue [lui] permette de mieux appréhender les dispositions de cet article afin de ne pas être poursuivi pénalement dans l’éventualité où [il] devrai[t] faire feu ».

      Magali Lafourcade insiste de son côté sur les dégâts que cette réforme a pu causer dans une partie de la jeunesse. « L’expérience de la citoyenneté, du sentiment d’appartenir à une communauté nationale, du respect des principes républicains est une expérience avant tout sensible, affirme-t-elle. Elle passe par les interactions éprouvées avec les représentants de l’État. Plus les enfants de ces quartiers feront l’expérience de la #brutalité_policière, plus ça les enfermera dans la #défiance qu’ils ont déjà vis-à-vis de nos institutions. »

      https://www.mediapart.fr/journal/france/010723/mort-de-nahel-chronique-d-un-drame-annonce

  • À Carnac, 39 menhirs détruits pour installer un magasin Mr. Bricolage
    https://www.bfmtv.com/societe/a-carnac-39-menhirs-detruits-pour-installer-un-magasin-mr-bricolage_AN-202306

    Le maire de Carnac, défenseur du classement de mégalithe au patrimoine de l’Unesco, assure qu’il ne savait pas qu’un site classé se trouvait sur ce terrain lorsqu’il a délivré le permis de construire.
    Des vestiges millénaires sens dessus dessous. 39 menhirs ont été détruits dans le cadre de travaux pour installer un magasin de bricolage de l’enseigne Mr. Bricolage à Carnac, dans le Morbihan. Ces alignements de pierres datant de la période néolithique (entre 6000 et 2200 avant notre ère) étaient pourtant signalés comme un site archéologique mais le maire dit ne pas en avoir eu connaissance, révèle Ouest-France.

    Le site concerné consiste en deux alignements de pierres sous forme de murets de moins de deux mètres de haut. Le signalement est venu de Christian Obeltz, un chercheur en archéologie basé à Carnac et spécialiste du néolitique, qui a publié une note de blog critiquant des « aménagements brutaux » jouxtant les alignements de menhirs et « dénaturant ce site mondialement connu ». Il estime que la destruction de ces alignements est « illégale ».

    « Toute destruction d’un site archéologique est passible d’une lourde amende », assure-t-il à Ouest-France.

    chaque jour, plusieurs fois par jour, des infos cauchemardesques.

    #site_archéologique #menhirs #commerce #permis_de_construire

    • centrée sur un menhir d’allure anthropomorphe, la photo était belle, mais

      « Il y avait quelques pierres dont d’ailleurs les archéologues n’étaient pas certains qu’il s’agissait de menhirs », précise Olivier Lepick [maire de Carnac].

      Selon la municipalité qui a délivré le permis de construire, cette zone ne faisait pas l’objet d’une protection archéologique. « C’est donc une tempête dans un verre d’eau », s’insurge le maire qui parle d’un mauvais procès. « C’est toujours dommage, évidemment de détruire des sites archéologiques. Mais, je peux vous dire en tant que président de Paysages de mégalithes (l’association qui porte le dossier d’inscription au patrimoine mondial de l’Unesco de l’ensemble des mégalithes du Morbihan), que je suis particulièrement attentif à leur protection. » [lorsqu’ils présentent un intérêt touristique manifeste, ndc]

      https://www.francebleu.fr/infos/culture-loisirs/carnac-des-menhirs-au-coeur-d-une-polemique-8093607

      Vanter « La France éternelle, ce peuple de bâtisseurs. » (E.M., Mont Saint Michel 5/6/2023), c’est s’affirmer conservateur en même temps que célébrer des sites bankables.

      CAPACITE GLOBALE D’HEBERGEMENT DE LA POPULATION NON PERMANENTE 50443
      67 Restaurants, 1 Casino, 1 Thalassothérapie, 36 sites d’activités de loisirs

      https://www.ot-carnac.fr/content/uploads/2020/04/chiffres-cle-carnac-2019.pdf

      pour 4 244 habitants en 2023

      Sur les RS, toute l’extrême droite dit, indignée, son amour du patrimoine. La palme : « En déplacement en Bretagne, j’ai voulu aller à Carnac là où des menhirs vieux de 7500 ans sont en train d’être massacrés. Ce que cette époque détruit, nous le reconstruirons. » (E. Z.)

      #tourisme

    • qui veut d’une résidence secondaire sans magasin de bricolage à proximité ? entre les problèmes de « zones humides » (non mais ho ! ici c’est mer, hein), les vestiges, la durée des fouilles préventives, comment voulez vous loger du monde et fournir des services !

      En 2019 on recensait 8 681 logements à Carnac. Carnac étant un lieu de villégiature très prisé, une forte proportion des logements étaient des #résidences_secondaires puisqu’on en dénombrait 6 202 (71,4 %) contre 2 276 résidences principales (26,2 %)

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Carnac

      #bétonisation #artificialisation_des_sols

    • #corruption #destruction_culturelle #mémoires #capitalisme

      Pour faire un parking, en Bretagne j’avais vu aussi à LocTudy, Finistère Sud, la destruction complète d’un cimetière entourant, comme souvent, une église. C’est l’époque où les petits bateaux partaient aussi à la casse.
      #violences_politiques

      Et le cynisme de récupération, l’entreprise s’appelle SAS Au marché des Druides

      Je ne suis pas archéologue, je ne connais pas les menhirs ; des murets, il y en existe partout.

      Hé bien justement, foutez la paix aux murets !

    • Pour être complet sur son positionnement, il a rallié Horizons d’Édouard Philippe, envisage certainement d’autres fonctions politiques, sachant que la circonscription législative concernée comprend La-Trinité-sur-Mer pour laquelle, l’année dernière, avait plané un peu de suspense : la petite-fille, ralliée zemmourienne, irait-elle marcher sur les traces du grand-père, 40 ans après.

      Quand Jean-Marie Le Pen se présentait à une élection législative à Auray, en 1983 - Auray – actualités et informations locales en direct | Le Télégramme
      https://www.letelegramme.fr/morbihan/auray-56400/quand-jean-marie-le-pen-se-presentait-a-une-election-legislative-a-aura

      Des rumeurs font état d’une possible candidature de Marion Maréchal dans la circonscription d’Auray en juin prochain : elle ne serait pas la première de la famille Le Pen, puisque son grand-père Jean-Marie s’y était présenté en décembre 1983.

      Circonstance propice au renforcement d’une posture de barrage contre l’extrême-droite (cf. événement récent ayant mis Carnac en avant dans la presse nationale).

      Lors de ses vœux le maire, à Carnac, le 21 janvier 2023 ; …
      https://media.ouest-france.fr/v1/pictures/MjAyMzAxODliOWFmMjU0YTVhMTRiZTFjM2ZiYzIyZDE3MDkzZjg
      Ouest-France

      … évoquait :

      Le futur déménagement du Mr.Bricolage permettra de créer un poumon vert en prolongement du parc de l’office de tourisme. Un accord est trouvé avec M. Doriel, propriétaire des murs, annonce le maire.

      Carnac. De nombreux projets dans une commune qui « se porte bien »
      https://www.ouest-france.fr/bretagne/carnac-56340/carnac-de-nombreux-projets-dans-une-commune-qui-se-porte-bien-cc0f358e-

    • le communiqué de la DRAC

      qui avait donc prescrit une fouille archéologique préventive sur 2000 m2 en juillet 2015 ; fouille qui n’a pas eu lieu, le PC ayant été refusé pour d’autres raisons

      Fouille préventive qui n’a pas été jugée utile ou nécessaire pour ce nouveau PC.

      Ajoutons que le maire est président de l’association Paysages de mégalithes porteuse du projet d’inscription au Patrimoine mondial de l’Unesco. Délicat de plaider, oups !

      Selon [la mairie], chaque dossier est « étudié extrêmement minutieusement ». « Malheureusement, il a échappé aux documents d’urbanisme sur lesquels le service instructeur a fondé son analyse, se défend la commune.

      et encore plus minable, oh ben, c’est pas le premier, ça sera pas le dernier !

      Mais, reprend la ville, « des sites détruits car ils n’ont pas été repérés, il y en a des listes, et il y en aura encore ».

      citations extraites de l’article de Libération

      Carnac : ce que l’on sait de la destruction de menhirs pour construire un Mr Bricolage – Libération
      https://www.liberation.fr/economie/carnac-ce-que-lon-sait-sur-la-destruction-de-menhirs-pour-construire-un-m

    • Menhirs détruits à Carnac : les raisons d’un emballement médiatique et politique
      https://www.ouest-france.fr/culture/patrimoine/menhirs-detruits-a-carnac-les-raisons-dun-emballement-54eae768-0602-11e


      Une partie des monolithes du site de Montauban, à Carnac, avant sa destruction.
      CHRISTIAN OBELTZ

      En moins de 24 heures, la destruction d’un site regroupant des menhirs et petits monolithes à Carnac (Morbihan) a reçu un écho médiatique et politique hors du commun. Une affaire chargée de symboles, qui ont fini par évacuer totalement sa complexité.

      L’occasion politique était trop belle. Il l’a saisie. Mercredi, profitant d’une séance de dédicaces calée à Pluneret, dans le Morbihan, Éric Zemmour a fait un saut jusqu’à Carnac, pour s’y montrer dans une courte vidéo sur le site où des menhirs et des monolithes ont été détruits par des travaux de construction. « Ici, un élu n’a pas hésité à sacrifier cette trace d’un passé fort lointain pour tout détruire et pour mettre à la place un magasin de bricolage. C’est un peu à l’image de l’époque : on détruit le passé et on bricole par-dessus ».

      L’exercice, lapidaire et sans nuance, dit aussi quelque chose de l’époque. Cette affaire – qui pose de vraies questions par ailleurs – convoquait trop de totems et de grands symboles pour ne pas devenir une polémique nationale à peu de frais.

      Une histoire qui coche toutes les cases
      Histoire, patrimoine, mais aussi environnement, artificialisation des sols, consommation et matérialisme, l’histoire cochait toutes les cases. À gauche, les réactions politiques ont aussi été nombreuses. Comme la députée écologiste Sandrine Rousseau sur le réseau social Twitter : « Détruire des menhirs multimillénaires pour un magasin, quelle meilleure illustration de notre folie ? ». Même argumentaire pour le journaliste Hugo Clément.

      Peu importe si le débat – qui ne pourra jamais être totalement tranché, et c’est le principal problème – reste entier sur la valeur archéologique de ce site et de ces petits menhirs et monolithes. Peu importe que la bourde – car ç’en est une et elle fait tache dans la perspective d’un classement de ces mégalithes au patrimoine mondial de l’Unesco – ne soit pas intentionnelle et qu’aucun protagoniste de ce dossier n’ait évidemment souhaité ce scénario.

      Pour ne rien arranger, plusieurs médias et comptes très suivis sur les réseaux sociaux ont diffusé des photos et vidéos des alignements de menhirs tels que le grand public les imagine ou les connaît. Un choix qui a alimenté un peu plus la machine à fantasmes et à surréaction. Selon la plateforme de veille Tagaday, 328 articles, sons et reportages ont évoqué le sujet depuis le 6 juin, date de publication du sujet dans Ouest-France.

      Le résultat : une déferlante d’approximations, de haine, et de commentaires orduriers sur les réseaux sociaux. Olivier Lepick, maire (Horizons) de Carnac – que nous n’avons pas réussi à joindre – a fini par saluer ironiquement sur Facebook « tous ceux qui ont sali, jugé, exécuté, accusé » et « ceux qui ont agressé mon épouse et mes enfants sur les réseaux sociaux », au moment de s’appuyer sur un communiqué de la Drac qui minimise les dégâts. L’extrême droite, elle, a décidé de pas lâcher l’affaire. Reconquête appelle à une manifestation à Carnac ce vendredi.

    • Menhirs de Carnac : « On n’a pas détruit la Joconde » [Vidéo] - Carnac – actualités et informations locales en direct | Le Télégramme
      https://www.letelegramme.fr/morbihan/carnac-56340/menhirs-de-carnac-on-na-pas-detruit-la-joconde-video-6365174.php

      Ce genre d’affaires arrive 10 fois par an.

      Au minimum, sa légitimité et sa crédibilité à la tête de Paysages de mégalithes ne devrait pas s’en relever. Mais il est vrai qu’aujourd’hui, il n’y a plus grand chose qui perturbe nos élites. Et de taper sur les gens qui sont assis devant leur clavier

    • Menhirs détruits à Carnac. Reconquête en petit comité devant la mairie
      https://www.ouest-france.fr/culture/patrimoine/menhirs-detruits-a-carnac-reconquete-en-petit-comite-devant-la-mairie-d


      Ce vendredi 9 juin 2023, 22 adhérents du parti Reconquête étaient rassemblés devant la mairie de Carnac (Morbihan). Deux d’entre eux ont été reçus mais sont « mécontents » du manque de réponses à leurs questions.
      OUEST-FRANCE

      Ce vendredi 9 juin 2023, le parti d’Eric Zemmour, Reconquête appelait à un rassemblement devant la mairie de Carnac (Morbihan), au sujet du dossier sensible de la destruction d’un site de menhirs. 22 adhérents étaient présents.

      Depuis mercredi 7 juin 2023, la destruction d’un site de menhirs à Carnac (Morbihan), où est aménagé un magasin de bricolage, reçoit un gigantesque écho médiatique. Les réactions politiques s’enchaînent, qu’il s’agisse des Républicains ou du Rassemblement national qui demandent notamment une enquête sur les responsabilités de chacun. Le Parti breton fait de même, signifiant que « l’État doit transférer les compétences patrimoniales à la région. »

      Ce vendredi 9 juin, à l’appel de l’instance départementale, vingt-deux adhérents de Reconquête (sur 1 622 à jour de cotisation dans le Morbihan), se sont rassemblées devant la mairie carnacoise.

      « Nous repartons bredouilles »
      Le responsable régional, Franck Chevrel du parti d’Eric Zemmour, laissant aux journalistes « l’appréciation » de l’ampleur du mouvement, décidé du jour au lendemain, après que leur leader publie une vidéo sur place, sur le site de Montauban, fustigeant de façon lapidaire l’action municipale.

      Souhaitant des réponses, deux personnes de Reconquête ont été reçues en mairie par la cheffe de cabinet et l’adjoint Loïc Houdoy, où a été rappelé le process d’instruction des permis de construire. « Nous repartons bredouilles, estime, mécontent, Franck Chevrel. S’il est reconnu que quelque chose dysfonctionne, personne n’est capable de nous expliquer à qui revient la responsabilité des faits. Comment faire pour que cela ne se reproduise pas ? Pas de réponse non plus. »

      rappel (cf. plus haut) : Reconquête a tout intérêt à déligitimer un probable adversaire d’une prochaine élection.

    • Menhirs détruits : le maire de Carnac affirme avoir reçu des menaces et être sous protection policière
      https://www.francetvinfo.fr/france/bretagne/morbihan/menhirs-detruits-a-carnac-le-maire-de-la-ville-affirme-etre-sous-la-pro

      La gendarmerie effectue des rondes régulières aux abords de son domicile, comme pour le maire de Saint-Brevin-les-Pins après l’incendie à son domicile, explique Olivier Lepick à l’agence de presse.

      Je conçois que ce soit difficile à vivre, mais il y a des comparaisons qu’il pourrait éviter. Yannick Morez n’a pas bénéficié d’une protection policière malgré les alertes qu’il a transmises.

    • À Carnac, la destruction des menhirs et « un tsunami de haine » invités du conseil - Actualité de la Bretagne en direct - L’information de votre région en continu | Le Télégramme
      https://www.letelegramme.fr/bretagne/a-carnac-la-destruction-des-menhirs-et-un-tsunami-de-haine-invites-du-c


      Olivier Lepick, maire de Carnac, a fait allusion à la polémique concernant la destruction des menhirs. Il déplore le déferlement de haine dont sa famille est victime depuis plusieurs jours.
      Le Télégramme / Mooréa Lahalle

      Olivier Lepick, le maire de Carnac, a rapidement coupé court à la « polémique » autour de la destruction des menhirs, lors du conseil municipal de ce vendredi 9 juin, devant une question de l’opposition. « Monsieur Pierre Léon Luneau (élu de l’opposition), je ne répondrai pas à votre question sur le sujet, car le délai des 48 heures n’a pas été respecté et je précise que je ne répondrai à aucune autre question sur le sujet ».

      " La haine s’exprime massivement "
      Le maire a poursuivi : " Mon épouse dort dans une maison surveillée par la gendarmerie. On va attendre le prochain conseil avant d’avoir un débat. Mais pas aujourd’hui, car la situation est compliquée ". Olivier Lepick a évoqué un " tsunami de haine " adressé à son épouse et à ses filles. " On peut débattre de tout, a-t-il poursuivi, on peut faire des erreurs, ce qui n’est pas le cas de nos servies dans cette affaire, ce sera attesté plus tard. Mais tant que la poussière n’est pas retombée et que la haine s’exprime massivement, même si ce n’est pas moi qu’elle dérange… Quand on a des patrouilles de gendarmerie, des gens qui vous menacent de mettre le feu chez vous, qu’on vous dit qu’on a trouvé votre adresse… On en parlera donc la prochaine fois, même si l’idéal eût été d’en parler ce soir. "

      " La situation n’est pas simple "
      Et de conclure, à l’adresse de l’élu d’opposition Pierre-Léon Juneau : " La situation n’est pas simple. Vous n’avez peut-être ni femme ni enfant, mais pour mon épouse, qui reçoit des insultes et des menaces, ce n’est pas évident. On en parlera quand la situation sera plus simple. "

      Reconquête 56 à Carnac
      Le même jour, le parti d’Éric Zemmour, Reconquête, avait donné rendez-vous à Carnac pour demander en mairie des explications sur la destruction des menhirs du chemin de Montauban. Une démarche menée par le représentant breton de Reconquête, Franck Chevrel, entouré de 22 personnes ayant répondu à son appel. Deux représentants du rassemblement ont été reçus en mairie par la cheffe de cabinet du maire et un adjoint. Un rendez-vous duquel ils estimaient être repartis " bredouille ".

      deux remarques :
      • le délai de 48h (pour l’inscription à l’ordre du jour) ne s’applique pas vraiment pour les #questions_diverses qui ont un statut un peu particulier, voire pas vraiment de statut et qui ne doivent porter que sur des questions " mineures ".
      Régime juridique des questions diverses
      https://www.senat.fr/questions/base/2015/qSEQ150114439.html
      (08/01/2015)
      • les conseils municipaux du 9 juin étaient particuliers car ils étaient convoqués à la demande du préfet pour l’élection des délégués aux élections sénatoriales. La préfecture recommande vivement qu’il n’y ait pas d’autres points à l’ordre du jour.

    • Menhirs détruits : « Je ne vais pas me laisser intimider par les tribunaux digitaux de la haine », affirme le maire de Carnac après avoir reçu des menaces de mort
      https://www.francetvinfo.fr/culture/patrimoine/archeologie/menhirs-detruits-je-ne-vais-pas-me-laisser-intimider-par-les-tribunaux-

      […]
      Qu’est-ce qui s’est passé réellement ? 
      On est dans une zone commerciale et artisanale, à trois kilomètres des alignements, ce ne sont pas 39 menhirs mais quatre pierres qui pouvaient éventuellement être des menhirs, qui ont été effectivement, et c’est très malheureux, détruites.

    • Je ne sais pas si les parcelles concernées par le PC de 2022 sont les mêmes que celles de 2015, mais si c’est le cas, le maire prend un gros risque en affirmant des contrevérités manifestes.
      EDIT : au vu des éléments du cadastre, il semblerait qu’il ait raison

      p. 26 du rapport de diagnostic de l’INRAP de 2015
      https://www.sitesetmonuments.org/IMG/pdf/rapport_inrap_2015_diagnostic_chemin_de_montauban.pdf

      EDIT : de fait, en consultant le PLU de la ville et en comparant avec le schéma, la zone construite est localisée dans les parcelles AI 9, 10, 11 et 157. Les trois premières sont celles du coin Nord-Est du périmètre soumis à diagnostic, la 157 est celle située immédiatement à l’Est, non diagnostiquée (mais évoquée dans le billet qui a mis le feu aux poudres).
      La tranchée n° 8 située dans la parcelle a effectivement été infructueuse.


      (extrait du billet de Ch. Obeltz)

    • À Erdeven, la rencontre autour des mégalithes est annulée | Le Télégramme
      https://www.letelegramme.fr/morbihan/erdeven-56410/a-erdeven-la-rencontre-autour-des-megalithes-est-annulee-6372453.php
      https://media.letelegramme.fr/api/v1/images/view/6489b91168d06648e5306687/web_golden_xxl/6489b91168d06648e5306687.1

      Ce jeudi 15 juin avait été annoncée une rencontre autour du patrimoine mégalithique d’Erdeven dans le cadre de la candidature des sites mégalithiques de l’arc Sud Morbihan au patrimoine mondial de l’Unesco. Mais compte tenu du contexte suite aux événements de Carnac, Paysage de Mégalithes préfère annuler cette réunion publique qui était organisée en partenariat avec la mairie. Aucune date de report éventuel n’est indiquée à ce jour.

      La première, sans doute pas la dernière…

      (full disclosure : jeudi prochain, je dois participer à une autre réunion de Paysages de mégalithes, à Carnac. ¡veremos !…)

    • Menhirs de Carnac détruits. Le Parquet de Lorient ouvre une enquête suite à la plainte d’une association
      https://france3-regions.francetvinfo.fr/bretagne/morbihan/vannes/menhirs-de-carnac-detruits-le-parquet-de-lorient-ouvre-

      Le procureur de Lorient a ouvert une enquête contre X suite à la plainte déposée par l’association Koun Breizh qui dénonce la « destruction volontaire de patrimoine archéologique ». Elle a été confiée à la brigade de recherches de la gendarmerie de Lorient.

      L’affaire de la destruction de menhirs à Carnac sur le chantier de construction d’un magasin de bricolage, n’a pas fini de faire parler d’elle.

      Selon l’AFP, le parquet de Lorient vient, en effet, d’ouvrir une enquête contre X, après la plainte déposée par l’association Koun Breizh. Celle-ci dénonce « une destruction volontaire de patrimoine archéologique ».

      "Violation de la prescription de fouille du site mégalithique"
      L’association Sites & Monuments, qui défend le patrimoine, s’est associée à l’association Koun Breizh pour demander "la création d’une mission d’inspection relative à la violation de la prescription de fouille du site mégalithique du « chemin de Montauban » à Carnac".

      Ces deux structures expliquent, dans un communiqué de presse commun, que le préfet du Morbihan et la mairie de Carnac, ont délivré un permis de construire en dépit d’un arrêté du préfet de Région, datant du 31 juillet 2015, qui " prescrivait une fouille préventive avant tout aménagement de la parcelle en raison de la présence de monolithes dressés « qui pourraient tout à fait correspondre aux vestiges d’un ouvrage mégalithique de type alignement » ".

      Les associations précisent qu’elles condamnent fermement les menaces dont le maire de Carnac a été victime mais « estiment que toute la lumière doit être faite pour identifier les failles qui ont conduit à la destruction des monolithes et établir les responsabilités de chacun. »

    • Manifestation à Carnac samedi 17 juin contre la destruction des menhirs | Le Télégramme
      https://www.letelegramme.fr/morbihan/auray-56400/manifestation-a-carnac-samedi-17-juin-contre-la-destruction-des-menhirs

      Le parti indépendantiste breton Douar ha frankiz appelle à un rassemblement devant la mairie de Carnac à 14 heures, samedi 17 juin, pour protester contre la destruction de menhirs, objet de polémique depuis une semaine.

      La polémique autour de l’affaire des menhirs de Carnac ne désenfle pas. Le parti indépendantiste breton Douar ha frankiz (« Terre et liberté » en français), appelle à se rassembler samedi 17 juin à 14 heures devant la mairie de Carnac « pour exprimer notre colère face au saccage de notre patrimoine par les autorités qui sont censées le protéger, et pour dire : plus jamais ça ! ».

      Le parti « libertaire et écologiste », qui dénonce les ravages de « la bétonisation et [du] profit à tout prix », appelle à manifester alors que la mairie de Carnac est sous le feu de la critique depuis une semaine pour avoir autorisé la construction d’un magasin de bricolage sur un site archéologique qui hébergeait des menhirs. L’affaire, montée en épingle par différentes personnalités politiques, a provoqué l’ire des réseaux sociaux jusqu’à la profération de menaces à l’encontre du maire de la ville, Olivier Lepick.

    • Menhirs détruits à Carnac : le dessous des cartes d’un vrai scandale
      https://www.lefigaro.fr/vox/culture/menhirs-detruits-a-carnac-le-dessous-des-cartes-d-un-vrai-scandale-20230616

      FIGAROVOX/TRIBUNE - Julien Lacaze, président de Sites & Monuments, une association engagée pour la protection de l’environnement, revient en détail sur l’affaire des menhirs détruits à Carnac (Morbihan). Si nombre d’élus et de médias prétendent que le dossier, sur le fond, ne vaudrait rien, les faits montrent l’inverse, explique-t-il.

      Julien Lacaze est président de Sites & Monuments, association nationale reconnue d’utilité publique agréée pour la protection de l’environnement

      Menhirs passés au broyeur pour établir un magasin de bricolage, gradins disgracieux aménagés au ras des célèbres Alignements, cortège de 500 potelets en plastique disposés le long du site, projet d’antenne-relais gigantesque… La course au classement Patrimoine mondial de l’Unesco - dont le dossier de candidature définitif doit être remis fin septembre 2023 au ministère de la Culture - enivre les élus locaux, anticipant des retombées économiques sans souci de cohérence avec les servitudes qu’implique cette reconnaissance internationale pour les monuments préhistoriques les plus anciens d’Europe (7000 ans).

      Parmi cette série d’aménagements disgracieux - soulignés dans un article mis en ligne par notre association le 2 juin-, la construction d’un Mr Bricolage, occasionnant la destruction de menhirs, suscita un emballement médiatique dont il existe peu…

      #paywall :-(

    • le même, sur le site de l’association :

      Carnac : minimiser ou réagir - Sites & Monuments
      https://www.sitesetmonuments.org/carnac-minimiser-ou-reagir


      Carnac, site du « Chemin de Montauban », mégalithe B7 de la file 2 (probablement déplacé) - Aujourd’hui détruit.


      Carnac, site du « Chemin de Montauban », mégalithe B2 de la file 1 (probablement en place) - Aujourd’hui détruit.

      Menhirs passés au broyeur pour établir un magasin de bricolage, gradins disgracieux aménagés au ras des célèbres Alignements, cortège de 500 potelets en plastique disposés le long du site, projet d’antenne-relais gigantesque… La course au classement Patrimoine mondial de l’Unesco - dont le dossier de candidature définitif doit être remis fin septembre 2023 au ministère de la Culture - enivre les élus locaux.

      Parmi cette série d’aménagements disgracieux - soulignés dans un article mis en ligne par notre association le 2 juin -, la construction d’une grande surface de bricolage, occasionnant la destruction de menhirs, suscita un emballement médiatique dont il existe peu de précédents en archéologie. La politique s’empara ensuite du dossier, d’Éric Zemmour à Sandrine Rousseau. Cet excès de médiatisation en suscita un plus grave, celui de l’absence de condamnation des destructions par le ministère de la Culture, aubaine pour les aménageurs et pour certains élus placés sur la sellette.


      Carnac, site du "Chemin de Montauban", file n°2 de mégalithes probablement déplacés (aujourd’hui détruite).

      Le maire de Carnac, président de l’association « Paysages de Mégalithes », portant le dossier de candidature UNESCO, a ainsi délivré en août 2022 un permis de construire pour l’installation d’un magasin « Mr Bricolage ». Le site concerné, situé aux abords d’une zone artisanale, n’en demeurait pas moins préservé, avec une source et une zone dense de taillis. Il figurait depuis 2017, pour sa richesse archéologique, sur la liste des sites proposés au classement au Patrimoine Mondial communiquée au ministère de la Culture. Il y a été maintenu jusqu’à aujourd’hui, malgré la réduction ultérieure du nombre des sites proposés.

      Cet alignement inédit de petits menhirs du « Chemin de Montauban » (culminant tout de même à un mètre pour les plus grands), implanté sur une parcelle dénommée « Men Guen Bihan » (les petites pierres banches), appartenait sans doute aux plus anciens monuments de la commune de Carnac. En effet, les mégalithes tout proches de la « ZAC de Montauban », associés à des structures de combustion, ont été datés en 2010 par le Carbone 14 entre 5480 - 5320 avant J.-C., leur conférant le statut de plus anciens menhirs de l’ouest de la France ! Les monolithes détruits appartenaient ainsi probablement au Mésolithique, époque des chasseurs-cueilleurs, les mégalithes dressés étant ordinairement apparus au Néolithique, époque des agriculteurs-éleveurs. D’où l’enjeu archéologique particulier dans cette zone.

      Un grand hangar de sept mètres de haut prend la place des menhirs passés au broyeur par l’aménageur, sous l’œil médusé d’archéologues de passage. Le site détruit n’est pourtant qu’à un kilomètre des Alignements de Carnac (Kermario) et du célèbre tumulus Saint-Michel où un matériel archéologique superbe (haches polies en jade alpin et colliers en variscite andalouse) a été découvert !

      En réponse aux approximations de certains médias, illustrant les mégalithes détruits par des photos de menhirs de plusieurs mètres de haut, les « fake news » de l’administration et des élus se sont multipliées. Ainsi, les critiques proviendraient du « blog » d’un « archéologue amateur » (en réalité site d’une association reconnue d’utilité public consultant les meilleurs spécialistes) ; le permis serait conforme au Plan local d’Urbanisme (ce que personne ne conteste) ; il ne s’agirait pas de mégalithes, mais de simples murets ; seuls quatre monolithes pourraient prétendre au statut de menhir, etc…

      Nos informations provenaient pourtant d’un rapport officiel de l’Institut national de recherches archéologiques préventives (INRAP), établi à la demande de la Direction régionale des affaires culturelles (DRAC dépendant du préfet de Région), au terme d’une procédure régie par le code du patrimoine. Mais encore fallait-il se donner la peine de lire les cinquante pages de ce rapport - mis en ligne sur notre site internet le 7 juin - commandité après la délivrance d’un premier permis (en définitive retiré).

      Ainsi, un diagnostic archéologique a été prescrit le 22 décembre 2014 par arrêté du préfet de Région en raison de la localisation du chantier, « non seulement au sein d’un contexte archéologique dense […], mais à proximité et dans le prolongement du site de la ZAC de Montauban » dont nous avons dit l’intérêt. Un diagnostic archéologique n’est pas une fouille, mais consiste à en évaluer la nécessité. Ainsi, seulement 6% du terrain a été sommairement exploré en l’espace de trois jours par les archéologues. Le rapport de diagnostic qui en résulte - seule étude dont nous disposons aujourd’hui sur le site détruit - concluait à la nécessité de poursuivre l’exploration par une fouille en bonne et due forme.

      Le rapport fait ainsi état de l’identification de deux files sécantes de mégalithes, précisant qu’ils n’existent pas à l’état natif sur le site et ont dont nécessairement été transportés. La première file était composée de 24 blocs, dont 12 encore dressés. L’INRAP indique que, « sur au moins quatre d’entre eux, les sommets présentent des stigmates d’érosion liée à la météorisation » (traces orientées caractéristiques laissés sur les menhirs du Néolithique par sept millénaires d’intempéries), avant de conclure, « qu’à moins d’un hasard qui aurait conduit les bâtisseurs du muret à intégrer et repositionner dans le même sens d’anciens mégalithes, tout porte à croire que les blocs de la file 1 correspondent bien à un alignement en place, qui a, dans un second temps servi d’ancrage à une limite de parcelle » (comme cela a souvent été observé dans la région). En revanche, la seconde file de 14 blocs a, « de toute évidence, été déplacée ». Les archéologues précisent qu’« une étude fine des surfaces des blocs permettrait sans doute de reconnaitre leur position primaires si toutefois ils correspondent bien à d’anciennes stèles d’un monument mégalithique démantelé » et recommandent de « ne pas négliger » ces monolithes, « apparemment en position secondaire », qui, « même déplacés, sont porteurs d’information ».

      Et le rapport de conclure que « c’est donc un minimum de trente-huit monolithes qui sont identifiés sur le site, mais il en existe sans doute d’autres dans la partie non débroussaillée de la file principale et dans les parcelles situées à l’est de la file 2 ». Bref, « seule une fouille permettrait de certifier l’origine néolithique de cet ensemble, qui pourrait, au final, s’inscrire en bonne place dans la cartographie des monuments mégalithiques locaux ». Les archéologues entendaient également réfléchir aux liens éventuels des vestiges avec la source présente sur le site, contexte ayant permis, en d’autres lieux, la découverte de haches en jade.

      L’INRAP anticipait même la conservation des mégalithes découverts : « À l’issue d’une éventuelle opération archéologique, se poserait la question du devenir des stèles dans le cadre du projet d’aménagement. Intégration du monument dans le projet, déplacement du "site" pour une restitution aux abords du projet, dépôts des stèles dans un autre lieu... »

      A la suite de ce rapport, le préfet de Région prescrivit des fouilles par un arrêté du 31 juillet 2015, ce qui n’a lieu que dans 20% des cas de diagnostics.

      C’est pourquoi l’appréciation finale du communiqué de la DRAC du 7 juin 2023 est pour le moins contestable : « Du fait du caractère encore incertain et dans tous les cas non majeur des vestiges tels que révélés par le diagnostic, l’atteinte à un site ayant une valeur archéologique n’est pas établie ». En outre, pas un mot pour condamner la violation de son arrêté de prescription de fouilles, destruction illicite d’un site archéologique pourtant punissable de sept ans d’emprisonnement et 100 000 euros d’amende. Quelle aubaine pour les actionnaires de la « SCI des menhirs » et de la « SAS bricodolmen » (cela ne s’invente pas), bénéficiaires du permis de construire ! Mais quelle tristesse pour les défenseurs du patrimoine, accusés d’être des désinformateurs, et pour l’archéologie, ainsi bafouée !

      La directrice régionale des affaires culturelles de Bretagne, interviewée par Ouest France le 9 juin, après avoir affirmé « qu’on parle de quatre blocs de pierre dans une zone qui est en train de devenir une zone commerciale », travestissant ainsi le diagnostic qui lui avait été remis, nous apprit cependant que « l’arrêté de prescription de fouille a été envoyé en 2015 au propriétaire du terrain et à la mairie », avant de poursuivre : « Huit ans plus tard, on constate que les fouilles n’ont pas été faites par le propriétaire [qui devait les financer], malgré la prescription. » La directrice ajoute même : « On peut considérer qu’il s’agit d’une faute ou d’un oubli, ce n’est pas à nous de nous prononcer sur ce terrain-là ».

      Mais pourquoi la DRAC n’a-t-elle pas fait exécuter son arrêté de fouille ? Car notre terrain - pourtant situé « dans un secteur sensible, au sein d’un environnement archéologique dense » (arrêté de la DRAC prescrivant le diagnostic de décembre 2014) - n’a pas été inclus dans la Zone de présomption de prescription archéologique (ZPPA) arrêtée par cette même direction régionale le 16 avril 2015 ! Le second permis de construire ne lui a donc pas été transmis automatiquement...
      Cependant, comment le maire, le préfet du Morbihan et le propriétaire - qui avaient tous reçu notification en 2015 de l’arrêté de prescription de fouilles d’un site inscrit sur la Carte archéologique nationale - ont-ils pu, le premier délivrer, le second contrôler la légalité et le troisième exécuter le permis d’août 2022 sans en avertir à la DRAC, comme le prévoit pourtant le code du patrimoine, l’arrêté du 16 avril 2015 et le permis lui-même ?

      On s’étonne aussi de l’absence totale de réaction de l’association « Paysages de Mégalithes », qui porte le dossier de classement à l’UNESCO incluant le site détruit, et dont le maire de Carnac est président.

      Bref, les acteurs de ce dossier semblent bien négligeants, d’où leur intérêt commun à minimiser l’importance du site détruit.

      Désormais, que faire, puisque les destructions sont consommées ? Le ministère de la Culture a, tout d’abord, le devoir de comprendre, en diligentant une mission d’inspection, mais aussi de défendre ses prescriptions de fouille en saisissant le Procureur de la République. Il n’est pas admissible d’entendre l’Etat justifier les destructions intervenues au motif que son diagnostic - pourtant positif - n’aurait pas mis en évidence un « site majeur » ! Après de telles déclarations, tournant le dos au code du patrimoine, comment faire respecter nos sites archéologiques ?

      Nos administrations s’honoreraient en outre à remédier aux aménagements particulièrement disgracieux, mais heureusement réversibles, pointés dans notre article du 2 juin :

      • Supprimer les 506 potelets routiers installés sans consultation de l’Architecte des Bâtiments de France sur la RD 196, le long des Alignements du Menec. Ces improbables files en plastique blanc sont un pied de nez aux menhirs qui les jouxtent ;
      • Reprendre la conception des 650 m2 de gradins horizontaux mis en place en 2022 par le Centre des Monuments Nationaux (CMN) au Menec, qui luttent avec la verticalité des menhirs et dont l’effet est prégnant dans le paysage ;
      • Renoncer au projet d’implantation à Kerogile d’une antenne-relais de 52 m de haut aux abords de dix sites mégalithiques de la zone UNESCO, dont trois classés Monument historique ;
      • Renoncer à l’extension d’un supermarché à 550 m du Menec ou à un parking jouxtant son cromlech (cercle de menhirs).

      Car le futur classement au titre du Patrimoine Mondial n’est pas un simple label, il nous oblige !

      Julien Lacaze, président de Sites & Monuments - SPPEF
      Christian Obeltz, correspondant du Laboratoire de Recherche Archéologie et Architecture de l’Université de Nantes ; membre du programme collectif de recherche « Corpus des signes gravés néolithiques »

    • Bal tragique à Carnac - 39 menhirs sous le tapis ! - la CGT Culture
      https://www.cgt-culture.fr/bal-tragique-a-carnac-39-menhirs-sous-le-tapis-21587

      A Carnac, l’aménagement d’un magasin de l’enseigne Monsieur Bricolage a détruit un site mis au jour par l’Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Inrap) dans le cadre d’une opération de diagnostic archéologique. Ce site méritait pourtant de figurer « en bonne place dans la cartographie des monuments mégalithiques locaux ».

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • Lancement de l’auto-école autogérée de St-é ! - Le Numéro Zéro
    https://lenumerozero.info/Lancement-de-l-auto-ecole-autogeree-de-St-e-6024

    Lancement de l’auto-école autogérée de St-é !

    On est une asso qui a pour but de permettre de conduire avec des potes sans dépenser trop de thune, et à la fin de passer l’exam en candidat libre. Pour des infos plus complètes, tu peux lire la brochure de la tauto de lyon.

    On a enfin tout ce qu’il faut pour rouler ! Alors si tu es intéressé-e par la conduite (pour apprendre ou pour former), c’est le moment de venir :)

    #autogestion #permis #conduire #voiture

  • #Alaska : des cours d’eau virent à l’orange, conséquence possible du réchauffement – Regard sur l’Arctique
    https://www.rcinet.ca/regard-sur-arctique/2022/12/19/alaska-des-cours-deau-virent-a-lorange-consequence-possible-du-rechauffement

    Lorsque le #pergélisol fond, les sédiments, qui peuvent contenir beaucoup de matière organique, mais aussi des minéraux et des métaux, dont du fer, entrent en contact avec l’eau et l’air environnant. Il se produit alors un phénomène d’oxydation. Le fer, lorsqu’oxydé, prend cette couleur orangée et est ensuite transporté par les cours d’eau. Les réactions chimiques entre l’eau et des minéraux contenus dans les sédiments peuvent aussi rendre les rivières plus acides.

    Alaska’s Arctic Waterways Are Turning a Foreboding Orange | WIRED
    https://www.wired.com/story/alaskas-arctic-waterways-are-turning-a-foreboding-orange

    For now, the researchers don’t know for sure whether the orange streams and rivers are an anomalous occurrence, coinciding with a handful of unseasonably warm seasons followed by high snow pack. And only time will tell how long it might continue.

    #permafrost

  • La permaculture, boîte à outils du biorégionalisme
    https://topophile.net/savoir/la-permaculture-boite-a-outils-du-bioregionalisme

    La permaculture et le biorégionalisme sont deux mouvements, deux concepts de plus en plus fréquemment cités et revendiqués par des publics très différents. Si la permaculture a d’ores et déjà envahi les librairies et les jardins, elle est aussi malmenée, réduite à des techniques de cultures agroécologiques et vidée de sa dimension politique. Tandis que... Voir l’article

  • Un homme tué et un autre grièvement blessé par des tirs de policiers après un refus d’obtempérer à #Vénissieux
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/08/19/un-homme-tue-et-un-autre-grievement-blesse-par-des-tirs-de-policiers-apres-u

    Deux enquêtes ont été ouvertes après cet incident (...)

    En visite en Corse, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a apporté son « soutien a priori » à « tous les policiers et gendarmes de France qui font face tous les jours à des refus d’obtempérer puisqu’il y en a un toutes les demi-heures dans notre pays ». Selon lui, il y a eu à Vénissieux « une agression claire manifestement contre ces policiers qui faisaient ce contrôle » et « ils ont donc ouvert le feu ».
    « Nous avons, depuis de nombreuses années (…), de plus en plus de refus d’obtempérer (…). La loi a été modifiée pour renforcer les pouvoirs des policiers et des gendarmes et condamner ces personnes. Je ne doute pas du travail de la police », a-t-il également déclaré.

    #police #violences_policières #tirs_policiers #permis_de_tuer

  • Ces écoles qui permettaient de sortir du placard

    Dans la seconde moitié du siècle dernier, de nombreux #enfants de #travailleurs_saisonniers n’ont pu être scolarisés que grâce au courage et à la passion de quelques personnes qui ont créé de véritables écoles clandestines – en toute illégalité.

    C’est à l’évidence un chapitre peu reluisant de l’histoire contemporaine de la Suisse qui est exposé au Musée d’histoireLien externe de La Chaux-de-Fonds, dans le canton de Neuchâtel.

    Intitulée « Enfants du placard ; à l’école de la clandestinité », l’exposition « veut donner une voix à ceux à qui la parole a été largement refusée », souligne le directeur du musée Francesco Garufo. C’est-à-dire à tous ces garçons et ces filles qui ont dû vivre clandestinement en Suisse (en se cachant dans le placard) parce que leurs parents avaient un permis de travail saisonnier.

    Le fameux permis A, aboli en 2002 avec l’entrée en vigueur de la libre circulation des personnes entre la Confédération et l’UE, ne permettait pas le regroupement familial. De nombreux parents qui venaient « faire la saison » en Suisse ont donc été contraints de laisser leurs enfants à la maison, où ils étaient pris en charge par d’autres membres de la famille. Mais souvent, la séparation était trop douloureuse et les travailleurs saisonniers, principalement originaires d’Italie, d’Espagne et du Portugal, emmenaient leurs enfants avec eux – en infraction avec la loi.
    Ne fais pas de bruit !

    Il n’existe pas de chiffres précis, justement en raison de la nature illégale du phénomène. On estime qu’il y avait au début des années 1970 jusqu’à 15’000 garçons et filles clandestins en Suisse. Ce n’est qu’une estimation, mais elle donne une idée du nombre d’enfants qui ont dû vivre dans l’ombre pendant cette période qui a duré, comme on l’a dit, jusqu’en 2002.

    Dans l’ombre justement, ou plutôt dans le placard, des injonctions que nous avons toutes et tous entendues étant enfant, comme « Fais attention ! », « Ne parle à personne ! », « Ne fais pas de bruit ! » prenait alors un sens tout particulier. Un grand panneau de l’exposition vient le rappeler. Car pour ces enfants-là, se faire prendre pouvait signifier l’expulsion.

    « Nous avions fait du bruit et quelqu’un nous avait dénoncés », se souvient Rafael, l’un des six « enfants du placard » qui ont accepté de témoigner pour l’exposition. Par chance, le policier chargé de l’inspection a montré beaucoup d’humanité. Lorsqu’il est entré dans l’appartement, il a posé bien fort la question aux parents de Rafael, qui s’était caché dans une pièce avec ses frères et sœurs : « Nous sommes bien d’accord pour dire qu’il n’y a pas d’enfants ici ?... »
    La difficulté de témoigner

    « Il n’est pas facile de trouver des personnes prêtes à témoigner », observe Sarah Kiani, qui mène à l’Université de Neuchâtel un projet de rechercheLien externe sur ces « enfants du placard », sous la direction de la professeure Kristina Schulz, et dont les premiers résultats ont trouvé place dans cette même exposition. « Nous avons eu beaucoup de refus, il y a un sentiment de honte qui persiste, même des années plus tard », poursuit-elle.

    Mais ce qui ressort des témoignages recueillis, ce ne sont pas seulement des tranches de vie triste ou difficile. « Il y a eu différentes manières de gérer cette situation de clandestinité et ce ne sont pas toujours des histoires sombres », note Sarah Kiani. « Cette exposition veut aussi vraiment transcrire la diversité des expériences », ajoute Francesco Garufo.
    L’importance de l’école

    S’il est un dénominateur commun à toutes ces expériences, c’est l’importance de l’école pour permettre à ces enfants de sortir du placard. Ce n’est pas un hasard si l’exposition consacre une large place à ce thème.

    Aujourd’hui, le droit au regroupement familial ou le droit de pouvoir accéder à l’éducation sont inscrits en toutes lettres dans la Convention des Nations unies relative aux droits de l’enfant. Cependant, ce traité est relativement récent (1989) et la Suisse ne l’a ratifié qu’en 1997, en émettant des réserves sur la question du regroupement familial, entre autres.

    En d’autres termes, pendant plusieurs décennies, l’école publique est restée un mirage pour les personnes vivant en Suisse sans autorisation.
    Des caisses en guise de pupitres

    Cependant, tout le monde n’est pas resté les bras croisés. La première « classe spéciale » pour enfants clandestins a vu le jour en 1971, à Renens, dans le canton de Vaud, à l’initiative des associations de migrants.

    L’année suivante, à Neuchâtel, deux amis créent une école clandestine qui sera active pendant deux ans. On utilise alors des caisses de l’usine de cigarettes Brunette pour en faire des pupitres, peut-on lire sur une affiche de l’exposition.

    Quelques années plus tard, au début des années 1980, à La Chaux-de-Fonds, l’enseignante Denyse Reymond crée une autre école, qui deviendra l’école Mosaïque et qui existe encore aujourd’hui.

    Dans une aile de l’exposition, le Musée d’histoire de La Chaux-de-Fonds a reconstitué une salle de classe de l’école Mosaïque, avec les cahiers des élèves qui la fréquentaient, leurs dessins…

    Les cours dispensés par Denyse Reymond sont alors ouverts à tous les enfants qui se trouvent en situation irrégulière. Et ils sont gratuits, ce qui n’est pas rien pour ces familles qui ne roulent certainement pas sur l’or. L’école est financée par des dons.

    >> « Ces enfants ne savaient pas où aller et quand j’ai fondé cette école avec ma fille, nous allions les chercher là où ils se cachaient », raconte Denyse Reymond dans cette archive de la RTS

    Clandestins… mais pas trop

    « En plus de leur tâche principale, qui est d’éduquer les enfants, ces écoles remplissaient également une autre fonction primordiale », souligne Sarah Kiani : « Elles étaient pour ces garçons et ces filles, ainsi que pour leurs familles, une porte d’accès à tout ce dont un enfant a besoin, c’est-à-dire des soins médicaux, des soins dentaires, des activités culturelles et sportives... ».

    Bien que l’existence de ces écoles ait été plus ou moins connue, les autorités municipales et cantonales - du moins à Neuchâtel et à Genève - ont tranquillement fermé les yeux. Une lettre de 1983 d’un enseignant de La Chaux-de-Fonds actif dans ces domaines montre que les autorités cantonales auraient même participé à son financement.

    Cette zone grise a perduré jusqu’en 1990, lorsque les deux cantons ont fait œuvre de pionniers en Suisse, en décidant que le droit à la scolarisation primait sur les règles régissant l’immigration en Suisse. Les écoles publiques ont donc officiellement ouvert leurs portes à des garçons et des filles qui n’étaient pas en situation régulière.
    Instruction pour tous

    Dans les années qui ont suivi, d’autres cantons ont fait de même, notamment parce que la Convention des Nations unies relative aux droits de l’enfant - ratifiée comme on l’a dit par la Suisse en 1997 - prévoit explicitement le droit à un enseignement primaire gratuit pour tous. Aujourd’hui, tout le monde peut fréquenter les écoles publiques.

    L’abrogation du statut de saisonnier en 2002 ne marque pas pour autant la fin de la clandestinité. Selon une estimation du Secrétariat d’État aux migrations, il y avait en 2015 entre 50’000 et 99’000 personnes vivant en Suisse sans statut de séjour légal. Parmi eux, on trouvait aussi beaucoup d’enfants.

    Si l’accès à l’éducation est désormais garanti, les incertitudes qui pèsent sur les enfants sans papiers et leurs familles persistent. Il y a tout juste quatre ans, une motion parlementaire déposée par la droite (et retirée depuis) demandait, entre autres, l’échange d’informations entre les organes de l’État sur les personnes sans statut de résidence valide, par exemple dans le domaine de l’éducation. Une mesure qui, selon certains, aurait pu inciter les parents sans papiers à ne pas envoyer leurs enfants à l’école.

    « Cette thématique a beaucoup évolué depuis les années 1970 et 1980, mais elle est toujours d’actualité », observe Francesco Garufo. « L’histoire des enfants du placard nous permet de réfléchir à l’importance de l’intégration et de l’éducation des jeunes migrants de nos jours ».

    https://www.swissinfo.ch/fre/ces-%C3%A9coles-qui-permettaient-de-sortir-du-placard/47744052
    #enfants_du_placard #enfant_du_placard #Suisse #saisonniers #migrations #scolarisation #histoire #musée #sans-papiers #permis_de_travail #permis_A #regroupement_familial #Italie #Espagne #Portugal #vivre_dans_l'ombre #bruit #classe_spéciale #école_clandestine #écoles_clandestines #résistance #Denyse_Reymond #école_mosaïque #droit_à_la_scolarisation #scolarisation #statut_de_saisonnier

    • ENFANTS DU PLACARD. À L’école de la #clandestinité

      Durant la seconde moitié du 20e siècle, des milliers d’enfants de travailleuses et de travailleurs saisonniers, pour lesquels le regroupement familial n’était pas autorisé, ont vécu clandestinement en Suisse. Le Musée d’histoire de La Chaux-de-Fonds vous invite à entendre leur voix et à découvrir leurs parcours, ainsi que les mobilisations en faveur de leurs droits. "Enfants du placard", une expression qui marque l’histoire suisse comme le revers de la médaille d’une success story, celle de l’immigration des "Trente Glorieuses". Un passé proche et difficile, qui ressurgit à travers les demandes de reconnaissance de ces enfants aujourd’hui devenus adultes.

      Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, une extraordinaire phase de prospérité prend son essor. Pour répondre aux besoins de l’économie, la Suisse développe une politique largement basée sur le recrutement de « travailleurs invités », qui ne sont pas destinés à s’installer durablement.
      C’est ainsi que va se développer un statut qui deviendra emblématique de l’immigration en Suisse : celui des saisonnières et des saisonniers, une condition qui exclut le regroupement familial et qui conduit dans certains cas les enfants des migrant.e.s à la clandestinité. Des milliers d’entre eux se trouvent par conséquent obligés de vivre cachés dans des logements souvent exigus, parfois pendant des années, privés d’une socialisation normale.
      C’est avant tout la voix de ces enfants aujourd’hui devenus adultes que l’exposition vous invite à entendre ; des témoignages qui permettent de donner la parole à celles et ceux qui en ont été privés, mais aussi de découvrir une histoire qui, par sa nature, n’a laissé que peu de traces, si ce n’est à travers les archives des « écoles clandestines ».
      Aujourd’hui, les « enfants du placard » sont devenus un sujet de recherche pour les historiennes et les historiens. Mais, pour les acteurs eux-mêmes, il s’agit avant tout d’un enjeu de mémoire, qui donne lieu à des échanges, parfois vifs, au sujet de la reconnaissance de ce phénomène et des situations tragiques qu’il a engendrées, voire des réparations qui pourraient être demandées. Le musée comme lieu d’échanges, de recherche et de conservation rend donc visible une histoire encore méconnue et cherche à susciter le débat autour de l’une des conséquences majeures de la politique migratoire suisse du 20e siècle. Il participe à un processus en cours, dans lequel l’exposition n’est pas une fin en soi mais plutôt une étape.

      https://www.chaux-de-fonds.ch/musees/mh/evenements/expositions/mh-temporaire/enfants-du-placard

    • Une socio-histoire des gens qui migrent Les « enfants du placard » (1946-2002)
      Description du projet

      La croissance économique des décennies de l’après-guerre en Suisse va de pair avec une demande importante de main-d’œuvre que les employeurs cherchent à satisfaire en embauchant des femmes et des hommes en provenance majoritairement du sud de l’Europe. Le statut de saisonnier – qui exclut le regroupement familial – est au cœur du régime migratoire suisse. L’exclusion explicite de ce droit donne lieu à des situations particulièrement précaires pour les familles et les enfants qui, se retrouvant illégalement en Suisse, ont parfois été « cachés » pendant des mois, voire des années, dans les logements. Ces situations sont au centre de ce projet de recherche. Malgré diverses estimations qui indiquent qu’un nombre important d’enfants ont été concernés, les connaissances restent très limitées sur les conditions de séjour, l’impact de la situation sur les trajectoires biographiques, les réactions des employeurs et des autorités, et encore davantage sur ce que ces anciens « enfants cachés » ont gardé en mémoire.

      La situation des « enfants du placard » éclaire sous un angle inédit l’histoire économique et sociale de la Suisse de la deuxième moitié du XXe siècle. En effet, observer la multiplicité des trajectoires et des situations de ces enfants nous permet de remettre en question une idée largement admise concernant les trente ans qui suivent la fin de la seconde guerre mondiale, qui considère cette période comme un moment de prospérité pour toutes et tous, offrant des possibilités de participation sociale et économique à des couches de plus en plus larges de la population.

      Le projet analyse des données tant qualitatives que quantitatives, en s’intéressant au point de vue des autorités suisses, à celui des associations et mouvements sociaux en faveur de la scolarisation des enfants et la sortie de la clandestinité, et à celui, encore très peu connu, des enfants eux-mêmes.

      Croisant une approche d’histoire des migrations avec une approche d’histoire sociale et économique et en prenant en compte des recherches récentes sur le placement d’enfants en Suisse, la recherche se base à la fois sur un travail d’archives étatiques (fédérales, cantonales, communales), l’analyse des récits et enquêtes psychologiques et sociologiques effectuées depuis les années 1970, l’exploitation d’archives des associations et activistes humanitaires mobilisés, ainsi que sur la méthodologie de l’histoire orale.

      https://www.unine.ch/histoire/home/recherche-1/une-socio-histoire-des-gens-qui.html

      –-

      voir aussi :


      https://www.unine.ch/shm/home.html

  • Base de données de plus de 7000 plantes, arbustes, arbres créee par des anglais...

    Une vraie mine d’or d’information, avec un moteur de recherche génial multicritères (résistance au gel, usage, médicinal, vitesse de croissance…,)

    « J’ai réactualisé la version anglaise pour prendre en compte la traduction automatique en français sous un environnement Firefox à jour. »

    Pour télécharger cette version francisée, c’est par ici : https://drive.google.com/file/d/19_NCjWofCCQMT17aNxhqlW_WThC0B5OL/view?usp=sharing

    À décompresser, puis lancer Permaflorea.exe.

    Nota : Version modifiée à partir de l’appli officielle : http://www.permaculture.eu.org/permaflorae

    Solution équivalente en ligne : https://pfaf.org/user/Default.aspx

    #permaculture #potager #verger #resilience #autosuffisance #permaflorae

    gotwit