• France périphérique
    https://topophile.net/rendez-vous/france-peripherique

    Exposition photographique Un témoignage poignant sur la précarité et la pauvreté en France depuis 2015 par le photographe, Pierre Faure. Pierre Faure sera à la galerie FAIT & CAUSE les samedis 4 et 25 juin 2022 de 16h à 18h, pour vous servir de guide. " Le titre « France Périphérique » est emprunté à... Voir l’article

  • Film réalisé dans le cadre des 1ères Rencontres nationales YouTube & Littérature à Évry https://litteratube.net à partir d’un texte écrit il y a plusieurs années : Ce que la ville fait et ce qui la fait

    http://liminaire.fr/palimpseste/article/ce-que-la-ville-fait-et-ce-qui-la

    https://youtu.be/LBTRL1EfQcs

    Dans les images de la ville que je laisse patiemment se former en moi. Dans les brusques changements de lumière d’un ciel printanier. Dans un léger vertige, une rumeur constante. Je t’attends. Ce qui vient, ce qui finit toujours par arriver. Je suis dehors, envahi par la rumeur continue d’images intrusives, prises sur le vif, une voie à suivre. C’est toujours quelque chose d’étrange. Le souvenir comme un rêve lointain d’une ville qu’on a déjà visitée, qui se dévoile à nous, au rebours, revenir sur les lieux même d’un précédent séjour et retrouver le moindre souvenir dès qu’on commence à en sillonner l’espace, souvenir qui refait surface en se juxtaposant à l’espace qu’on parcourt, vivant et tactile. (...) #Evry, #Vidéo, #Écriture, #Langage, #Poésie, #Ville, #Photographie, #YouTube, #Création, #Art, #Cinéma, #Mémoire

  • Like a bird on the wire, de Leonard Cohen : Sur les pas de l’artiste dans son île d’Hydra en Grèce

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/like-a-bird-on-the-wire-de-leonard-cohen

    https://youtu.be/aDnOOItNMQo

    Leonard Cohen a 25 ans quand il quitte son Canada natal pour l’Angleterre en quête de nouvelles expériences et de reconnaissance internationale. Après une brève halte à Athènes, Leonard Cohen embarque sur la mer Egée à destination de l’île d’Hydra. Le 27 septembre 1960, six jours après son vingt-sixième anniversaire, il achète une maison à Hydra pour 1500 dollars, grâce à un legs de sa grand-mère récemment décédée. Une maison qu’il gardera quarante ans. L’ancien bâtiment blanchi à la chaux, avec ses cinq pièces sur plusieurs niveaux, était délabré et n’avait ni électricité, ni plomberie, ni eau courante. Pourtant, c’était un espace à lui où il pouvait travailler à sa guise, soit sur la grande terrasse grillagée, soit dans sa salle de musique au troisième étage. (...) #Musique, #Chanson, #Écriture, #Langage, #Poésie, #Ville, #Photographie, #Grèce, #LeonardCohen, #Création, #Art, #Hydra, #Île

  • Lieux, de Georges Perec : Parcours numérique d’une version augmentée du livre

    http://liminaire.fr/livre-lecture/article/lieux-de-georges-perec

    https://lieux-georges-perec.seuil.com

    Un inédit de Georges Perec, « Lieux », paraît aujourd’hui aux éditions du Seuil, 612 pages, une centaine d’illustrations couleur, accompagné par une version augmentée du livre accessible gratuitement en ligne. La conception numérique a été suivie sous le regard vigilant de Sylvia Richardson, aux Éditions du Seuil, par Fanny Villiers ; et, sous la direction de Caroline Scherb, par l’agence Créamars, avec Lionel Da Costa, Élodie Massa, Audrey Voydeville. (...) #Livre, #Lecture, #Écriture, #Langage, #Paris, #Ville, #Photographie, #Edition, #Numérique, #Création, #Art, #Perec

  • 5 questions à Roland Riachi. Comprendre la #dépendance_alimentaire du #monde_arabe

    Économiste et géographe, Roland Riachi s’est spécialisé dans l’économie politique, et plus particulièrement dans le domaine de l’écologie politique. Dans cet entretien, il décrypte pour nous la crise alimentaire qui touche le monde arabe en la posant comme une crise éminemment politique. Il nous invite à regarder au-delà de l’aspect agricole pour cerner les choix politiques et économiques qui sont à son origine.

    https://www.carep-paris.org/5-questions-a/5-questions-a-roland-riachi
    #agriculture #alimentation #colonialisme #céréales #autosuffisance_alimentaire #nationalisation #néolibéralisme #Egypte #Soudan #Liban #Syrie #exportation #Maghreb #crise #post-colonialisme #souveraineté_nationale #panarabisme #militarisme #paysannerie #subventions #cash_crop #devises #capitalisme #blé #valeur_ajoutée #avocats #mangues #mondialisation #globalisation #néolibéralisme_autoritaire #révolution_verte #ouverture_du_marché #programmes_d'ajustement_structurels #intensification #machinisation #exode_rural #monopole #intrants #industrie_agro-alimentaire #biotechnologie #phosphates #extractivisme #agriculture_intensive #paysans #propriété_foncière #foncier #terres #morcellement_foncier #pauvreté #marginalisation #monoculture #goût #goûts #blé_tendre #pain #couscous #aide_humanitaire #blé_dur #durum #libre-échange #nourriture #diète_néolibérale #diète_méditerranéenne #bléification #importation #santé_publique #diabète #obésité #surpoids #accaparement_des_terres #eau #MENA #FMI #banque_mondiale #projets_hydrauliques #crise_alimentaire #foreign_direct_investment #emploi #Russie #Ukraine #sécurité_alimentaire #souveraineté_alimentaire

    #ressources_pédagogiques

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  • Decolonize your eyes, Padova.. Pratiche visuali di decolonizzazione della città

    Introduzione
    Il saggio a tre voci è composto da testi e due video.[1]
    Mackda Ghebremariam Tesfau’ (L’Europa è indifendibile) apre con un una riflessione sulle tracce coloniali che permangono all’interno degli spazi urbani. Lungi dall’essere neutre vestigia del passato, questi segni sono tracce di una storia contesa, che si situa contemporaneamente al cuore e ai margini invisibili della rappresentazione di sé dell’occidente. La dislocazione continua del fatto coloniale nella memoria storica informa il discorso che è oggi possibile sul tema delle migrazioni, del loro governo e dei rapporti tra Nord e Sud Globale. La stessa Europa di cui Césaire dichiarava “l’indifendibilità” è ora una “fortezza” che presidia i suoi confini dal movimento di ritorno postcoloniale.
    Annalisa Frisina (Pratiche visuali di decolonizzazione della città) prosegue con il racconto del percorso didattico e di ricerca Decolonizzare la città. Dialoghi visuali a Padova, realizzato nell’autunno del 2020. Questa esperienza mostra come sia possibile performare la decolonizzazzione negli spazi pubblici e attivare contro-politiche della memoria a livello urbano. Le pratiche visuali di decolonizzazione sono utili non solo per fare vacillare statue e nomi di vie, ma soprattutto per mettere in discussione le visioni del mondo e le gerarchie sociali che hanno reso possibile celebrare/dimenticare la violenza razzista e sessista del colonialismo. Le vie coloniali di Padova sono state riappropriate dai corpi, dalle voci e dagli sguardi di sei cittadine/i italiane/i afrodiscendenti, facendo uscire dall’insignificanza le tracce coloniali urbane e risignificandole in modo creativo.
    Infine, Salvatore Frisina (L’esperienza del A.S.D. Quadrato Meticcio) conclude il saggio soffermandosi sui due eventi urbani Decolonize your eyes (giugno e ottobre 2020), promossi dall’associazione Quadrato Meticcio, che ha saputo coinvolgere in un movimento decoloniale attori sociali molto eterogenei. Da quasi dieci anni questa associazione di sport popolare, radicata nel rione Palestro di Padova, favorisce la formazione di reti sociali auto-gestite e contribuisce alla lotta contro discriminazioni multiple (di classe, “razza” e genere). La sfida aperta dai movimenti antirazzisti decoloniali è infatti quella di mettere insieme processi simbolici e materiali.

    L’Europa è indifendibile
    L’Europa è indifendibile, scrive Césaire nel celebre passo iniziale del suo Discorso sul colonialismo (1950). Questa indifendibilità non è riferita tanto al fatto che l’Europa abbia commesso atti atroci quanto al fatto che questi siano stati scoperti. La “scopertura” è “svelamento”. Ciò che viene svelata è la natura stessa dell’impresa “Europa” e lo svelamento porta all’impossibilità di nascondere alla “coscienza” e alla “ragione” tali fatti: si tratta di un’indifendibilità “morale” e “spirituale”. A portare avanti questo svelamento, sottraendosi alla narrazione civilizzatrice che legittima – ovvero che difende – l’impresa coloniale sono, secondo Césaire, le masse popolari europee e i colonizzati che “dalle cave della schiavitù si ergono giudici”. Era il 1950.
    A più di sessant’anni di distanza, oggi l’Europa è tornata ad essere ben difesa, i suoi confini materiali e simbolici più che mai presidiati. Come in passato, tuttavia, uno svelamento della sua autentica natura potrebbe minarne le fondamenta. È quindi importante capire quale sia la narrazione che oggi sostiene la fortezza Europa.
    La scuola decoloniale ha mostrato come la colonialità sia un attributo del potere, la scuola postcoloniale come leggerne i segni all’interno della cultura materiale. Questa stessa cultura è stata interrogata, al fine di portarne alla luce gli impliciti. È successo ripetutamente alla statua di Montanelli, prima oggetto dell’azione di Non Una di Meno Milano, poi del movimento Black Lives Matter Italia. È successo alla fermata metro di Roma Amba Aradam. È successo anche alle vie coloniali di Padova. La reazione a queste azioni – reazione comune a diversi contesti internazionali – è particolarmente esplicativa della necessità, del Nord globale, di continuare a difendersi.
    Il fronte che si è aperto in contrapposizione alla cosiddetta cancel culture[2] si è battuto per la tutela del “passato” e della “Storia”, così facendo ribadendo un potere non affatto scontato, che è quello di decidere cosa sia “passato” e quale debba essere la Storia raccontata – oltre che il come debba essere raccontata. Le masse che si sono radunate sotto le statue abbattute, deturpate e sfidate, l’hanno fatto per liberare “passato” e “Storia” dal dominio bianco, maschile e coloniale che ha eretto questi monumenti a sua immagine e somiglianza. La posta in gioco è, ancora, uno svelamento, la presa di coscienza del fatto che queste non sono innocue reliquie di un passato disattivato, ma piuttosto la testimonianza silente di una Storia che lega indissolubilmente passato a presente, Nord globale e Sud globale, colonialismo e migrazioni. Riattivare questo collegamento serve a far crollare l’impalcatura ideologica sulla quale oggi si fonda la pretesa di sicurezza invocata e agita dall’Europa.
    Igiaba Scego e Rino Bianchi, in Roma Negata (2014), sono stati tra i primi a dedicare attenzione a queste rumorose reliquie in Italia. L’urgenza che li ha spinti a lavorare sui resti coloniali nella loro città è l’oblio nel quale il colonialismo italiano è stato relegato. Come numerosi autrici e autori postcoloniali hanno dimostrato, tuttavia, questo oblio è tutt’altro che improduttivo. La funzione che svolge è infatti letteralmente salvifica, ovvero ha lo scopo di salvare la narrazione nazionale dalle possibili incrinature prodotte dallo svelamento alla “barra della coscienza” (Césaire 1950) delle responsabilità coloniali e dei modi in cui si è stati partecipi e protagonisti della costruzione di un mondo profondamente diseguale. Al contempo, la presenza di questi monumenti permette, a livello inconscio, di continuare a godere del senso di superiorità imperiale di cui sono intrisi, di continuare cioè a pensarsi come parte dell’Europa e del Nord Globale, con ciò che questo comporta. Che cosa significa dunque puntarvi il dito? Che cosa succede quando la memoria viene riattivata in funzione del presente?
    La colonialità ha delle caratteristiche intrinseche, ovvero dei meccanismi che ne presiedono il funzionamento. Una di queste caratteristiche è la produzione costante di confini. Questa necessità è evidente sin dai suoi albori ed è rintracciabile anche in pagine storiche che non sono abitualmente lette attraverso una lente coloniale. Un esempio è la riflessione marxiana dei Dibattiti sulla legge contro i furti di legna[3], in cui il pensatore indaga il fenomeno delle enclosure, le recinzioni che tra ‘700 e ‘800 comparvero in tutta Europa al fine di rendere privati i fondi demaniali, usati consuetudinariamente dalla classe contadina come supporto alla sussistenza del proprio nucleo attraverso la caccia e la raccolta. Distinzione, definizione e confinamento sono processi materiali e simbolici centrali della colonialità. Per contro, connettere, comporre e sconfinare sono atti di resistenza al potere coloniale.
    Da tempo Gurminder K. Bhambra (2017) ha posto l’accento sull’importanza di questo lavoro di ricucitura storica e sociologica. Secondo l’autrice la stessa distinzione tra cittadino e migrante è frutto di una concettualizzazione statuale che fonda le sue categorie nel momento storico degli imperi. In questo senso per Bhambra tale distinzione poggia su di una lettura inadeguata della storia condivisa. Tale lettura ha l’effetto di materializzare l’uno – il cittadino – come un soggetto avente diritti, come un soggetto “al giusto posto”, e l’altro – il migrante – come un soggetto “fuori posto”, qualcuno che non appartiene allo stato nazione.
    Questo cortocircuito storico è reso evidente nella mappa coloniale che abbiamo deciso di “sfidare” nel video partecipativo. La raffigurazione dell’Impero Italiano presente in piazza delle Erbe a Padova raffigura Eritrea, Etiopia, Somalia, Libia, Albania e Italia in bianco, affinché risaltino sullo sfondo scuro della cartina. Su questo spazio bianco è possibile tracciare la rotta che oggi le persone migranti intraprendono per raggiungere la Libia da numerosi paesi subsahariani, tra cui la Somalia, l’Eritrea e l’Etiopia, la stessa Libia che è stata definita un grande carcere a cielo aperto. Dal 2008 infatti Italia e Libia sono legate da accordi bilaterali. Secondo questi accordi l’Italia si è impegnata a risarcire la Libia per l’occupazione coloniale, e in cambio la Libia ha assunto il ruolo di “guardiano” dei confini italiani, ruolo che agisce attraverso il contenimento delle persone migranti che raggiungono il paese per tentare la traversata mediterranea verso l’Europa. Risulta evidente come all’interno di questi accordi vi è una riattivazione del passato – il risarcimento coloniale – che risulta paradossalmente neocoloniale piuttosto che de o anti-coloniale.
    L’Italia è indifendibile, eppure si difende. Si difende anche grazie all’ombra in cui mantiene parti della sua storia, e si difende moltiplicando i confini coloniali tra cittadini e stranieri, tra passato e presente. Questo passato non è però tale, al contrario plasma il presente traducendo vecchie disuguaglianze sotto nuove vesti. Oggi la dimensione coloniale si è spostata sui corpi migranti, che si trovano ad essere marchiati da una differenza che produce esclusione nel quotidiano.
    I confini coloniali – quelli materiali come quelli simbolici – si ergono dunque a difesa dell’Italia e dell’Europa. Come nel 1950 però, questa difendibilità è possibile solo a patto che le masse popolari e subalterne accettino e condividano la narrazione coloniale, che è stata ieri quella della “missione civilizzatrice” ed è oggi quella della “sicurezza”. Al fine di decolonizzare il presente è dunque necessario uscire da queste narrazioni e riconnettere il passato alla contemporaneità al fine di svelare la natura coloniale del potere oggi. Così facendo la difesa dell’Europa potrà essere nuovamente scalfibile.
    Il video partecipativo realizzato a Padova va esattamente in questa direzione: cerca di ricucire storie e relazioni interrotte e nel farlo pone al centro il fatto coloniale nella sua continuità e contemporaneità.

    Pratiche visuali di decolonizzazione della città
    Il video con Mackda Ghebremariam Tesfau è nato all’interno del laboratorio di Visual Research Methods dell’Università di Padova. Da diversi anni, questo laboratorio è diventato un’occasione preziosa per fare didattica e ricerca in modo riflessivo e collaborativo, affrontando il tema del razzismo nella società italiana attraverso l’analisi critica della visualità legata alla modernità europea e attraverso la sperimentazione di pratiche contro-visuali (Mirzoeff 2011). Come docente, ho provato a fare i conti con “l’innocenza bianca” (Wekker 2016) e spingere le mie studentesse e i miei studenti oltre la memoria auto-assolutoria del colonialismo italiano coi suoi miti (“italiani brava gente”, “eravamo lì come migranti straccioni” ecc.). Per non restare intrappolate/i nella colonialità del potere, le/li/ci ho invitate/i a prendere consapevolezza di quale sia il nostro sguardo su noi stessi nel racconto che facciamo degli “altri” e delle “altre”, mettendo in evidenza il peso delle divisioni e delle gerarchie sociali. Come mi hanno detto alcune mie studentesse, si tratta di un lavoro faticoso e dal punto di vista emotivo a volte difficilmente sostenibile. Eppure, penso sia importante (far) riconoscere il proprio “disagio” in quanto europei/e “bianchi/e” e farci qualcosa collettivamente, perché il sentimento di colpa individuale è sterile, mentre la responsabilità è capacità di agire, rispondere insieme e prendere posizione di fronte ai conflitti sociali e alle disuguaglianze del presente.
    Nel 2020 la scommessa è stata quella di fare insieme a italiani/e afrodiscendenti un percorso di video partecipativo (Decolonizzare la città. Dialoghi visuali a Padova[4]) e di utilizzare il “walk about” (Frisina 2013) per fare passeggiate urbane con studentesse e studenti lasciandosi interpellare dalle tracce coloniali disseminate nella città di Padova, in particolare nel rione Palestro dove abito. La congiuntura temporale è stata cruciale.
    Da una parte, ci siamo ritrovate nell’onda del movimento Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd a Minneapolis. Come discusso altrove (Frisina & Ghebremariam Tesfau’ 2020, pp. 399-401), l’antirazzismo è (anche) una contro-politica della memoria e, specialmente nell’ultimo anno, a livello globale, diversi movimenti hanno messo in discussione il passato a partire da monumenti e da vie che simbolizzano l’eredità dello schiavismo e del colonialismo. Inevitabilmente, in un’Europa post-coloniale in cui i cittadini hanno le origini più diverse da generazioni e in cui l’attivismo degli afrodiscendenti diventa sempre più rilevante, si sono diffuse pratiche di risignificazione culturale attraverso le quali è impossibile continuare a vedere statue, monumenti, musei, vie intrise di storia coloniale in modo acritico; e dunque è sempre più difficile continuare a vedersi in modo innocente.
    D’altra parte, il protrarsi della crisi sanitaria legata al covid-19, con le difficoltà crescenti a fare didattica in presenza all’interno delle aule universitarie, ha costituito sia una notevole spinta per uscire in strada e sperimentare forme di apprendimento più incarnate e multisensoriali, sia un forte limite alla socialità che solitamente accompagna la ricerca qualitativa, portandoci ad accelerare i tempi del laboratorio visuale in modo da non restare bloccati da nuovi e incalzanti dpcm. Nel giro di soli due mesi (ottobre-novembre 2020), dunque, abbiamo realizzato il video con l’obiettivo di far uscire dall’insignificanza alcune tracce coloniali urbane, risignificandole in modo creativo.
    Il video è stato costruito attraverso pratiche visuali di decolonizzazione che hanno avuto come denominatore comune l’attivazione di contro-politiche della memoria, a partire da sguardi personali e familiari, intimamente politici. Le sei voci narranti mettono in discussione le gerarchie sociali che hanno reso possibile celebrare/dimenticare la violenza razzista e sessista del colonialismo e offrono visioni alternative della società, perché capaci di aspirare e rivendicare maggiore giustizia sociale, la libertà culturale di scegliersi le proprie appartenenze e anche il potere trasformativo della bellezza artistica.
    Nel video, oltre a Mackda Ghebremariam Tesfau’, ci sono Wissal Houbabi, Cadigia Hassan, Ilaria Zorzan, Emmanuel M’bayo Mertens e Viviana Zorzato, che si riappropriano delle tracce coloniali con la presenza dei loro corpi in città e la profondità dei loro sguardi.
    Wissal, artista “figlia della diaspora e del mare di mezzo”, “reincarnazione del passato rimosso”, si muove accompagnata dalla canzone di Amir Issa Non respiro (2020). Lascia la sua poesia disseminata tra Via Catania, via Cirenaica, via Enna e Via Libia.

    «Cerchiamo uno spiraglio per poter respirare, soffocati ben prima che ci tappassero la bocca e ci igienizzassero le mani, cerchiamo una soluzione per poter sopravvivere […]
    Non siamo sulla stessa barca e ci vuole classe a non farvelo pesare. E la mia classe sociale non ha più forza di provare rabbia o rancore.
    Il passato è qui, insidioso tra le nostre menti e il futuro è forse passato.
    Il passato è qui anche se lo dimentichi, anche se lo ignori, anche se fai di tutto per negare lo squallore di quel che è stato, lo Stato e che preserva lo status di frontiere e ius sanguinis.
    Se il mio popolo un giorno volesse la libertà, anche il destino dovrebbe piegarsi».

    Cadigia, invece, condivide le fotografie della sua famiglia italo-somala e con una sua amica si reca in Via Somalia. Incontra una ragazza che abita lì e non ha mai capito la ragione del nome di quella via. Cadigia le offre un suo ricordo d’infanzia: passando da via Somalia con suo padre, da bambina, gli aveva chiesto perché si chiamasse così, senza ricevere risposta. E si era convinta che la Somalia dovesse essere importante. Crescendo, però, si era resa conto che la Somalia occupava solo un piccolo posto nella storia italiana. Per questo Cadigia è tornata in via Somalia: vuole lasciare traccia di sé, della sua storia familiare, degli intrecci storici e rendere visibili le importanti connessioni che esistono tra i due paesi. Via Somalia va fatta conoscere.
    Anche Ilaria si interroga sul passato coloniale attraverso l’archivio fotografico della sua famiglia italo-eritrea. Gli italiani in Eritrea si facevano spazio, costruendo strade, teleferiche, ferrovie, palazzi… E suo nonno lavorava come macchinista e trasportatore, mentre la nonna eritrea, prima di sposare il nonno, era stata la sua domestica. Ispirata dal lavoro dell’artista eritreo-canadese Dawit L. Petros, Ilaria fa scomparire il suo volto dietro fotografie in bianco e nero. In Via Asmara, però, lo scopre e si mostra, per vedersi finalmente allo specchio.
    Emmanuel è un attivista dell’associazione Arising Africans. Nel video lo vediamo condurre un tour nel centro storico di Padova, in Piazza Antenore, ex piazza 9 Maggio. Emmanuel cita la delibera con la quale il comune di Padova dedicò la piazza al giorno della “proclamazione dell’impero” da parte di Mussolini (1936). Secondo Emmanuel, il fascismo non è mai scomparso del tutto: ad esempio, l’idea dell’italianità “per sangue” è un retaggio razzista ancora presente nella legge sulla cittadinanza italiana. Ricorda che l’Italia è sempre stata multiculturale e che il mitico fondatore di Padova, Antenore, era un profugo, scappato da Troia in fiamme. Padova, così come l’Italia, è inestricabilmente legata alla storia delle migrazioni. Per questo Emmanuel decide di lasciare sull’edicola medioevale, che si dice contenga le spoglie di Antenore, una targa dedicata alle migrazioni, che ha i colori della bandiera italiana.
    Chiude il video Viviana, pittrice di origine eritrea. La sua casa, ricca di quadri ispirati all’iconografia etiope, si affaccia su Via Amba Aradam. Viviana racconta del “Ritratto di ne*ra”, che ha ridipinto numerose volte, per anni. Farlo ha significato prendersi cura di se stessa, donna italiana afrodiscendente. Riflettendo sulle vie coloniali che attraversa quotidianamente, sostiene che è importante conoscere la storia ma anche ricordare la bellezza. Amba Alagi o Amba Aradam non possono essere ridotte alla violenza coloniale, sono anche nomi di montagne e Viviana vuole uno sguardo libero, capace di bellezza. Come Giorgio Marincola, Viviana continuerà a “sentire la patria come una cultura” e non avrà bandiere dove piegare la testa. Secondo Viviana, viviamo in un periodo storico in cui è ormai necessario “decolonizzarsi”.

    Anche nel nostro percorso didattico e di ricerca la parola “decolonizzare” è stata interpretata in modi differenti. Secondo Bhambra, Gebrial e Nişancıoğlu (2018) per “decolonizzare” ci deve essere innanzitutto il riconoscimento che il colonialismo, l’imperialismo e il razzismo sono processi storici fondamentali per comprendere il mondo contemporaneo. Tuttavia, non c’è solo la volontà di costruire la conoscenza in modi alternativi e provincializzare l’Europa, ma anche l’impegno a intrecciare in modo nuovo movimenti anti-coloniali e anti-razzisti a livello globale, aprendo spazi inediti di dialogo e dando vita ad alleanze intersezionali.

    L’esperienza del A.S.D. Quadrato Meticcio
    Il video-partecipativo è solo uno degli strumenti messi in atto a Padova per intervenire sulla memoria coloniale. Con l’evento pubblico urbano chiamato Decolonize your Eyes (20 giugno 2020), seguito da un secondo evento omonimo (18 Ottobre 2020), attivisti/e afferenti a diversi gruppi e associazioni che lavorano nel sociale si incontrano a favore di uno scopo che, come poche volte precedentemente, consente loro di agire all’unisono. Il primo evento mette in scena il gesto simbolico di cambiare, senza danneggiare, i nomi di matrice coloniale di alcune vie del rione Palestro, popolare e meticcio. Il secondo agisce soprattutto all’interno di piazza Caduti della Resistenza (ex Toselli) per mezzo di eventi performativi, artistici e laboratoriali con l’intento di coinvolgere un pubblico ampio e riportare alla memoria le violenze coloniali italiane. Ai due eventi contribuiscono realtà come l’asd Quadrato Meticcio, la palestra popolare Chinatown, Non una di meno-Padova, il movimento ambientalista Fridays for future, il c.s.o. Pedro e l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (anpi).
    Si è trattato di un rapporto di collaborazione mutualistico. L’anpi «indispensabile sin dalle prime battute nell’organizzazione» – come racconta Camilla[5] del Quadrato Meticcio – ha contribuito anche ai dibattiti in piazza offrendo densi spunti storici sulla Resistenza. Fridays for future, impegnata nella lotta per l’ambiente, è intervenuta su via Lago Ascianghi, luogo in cui, durante la guerra d’Etiopia, l’utilizzo massiccio di armi chimiche da parte dell’esercito italiano ha causato danni irreversibili anche dal punto di vista della devastazione del territorio. Ha sottolineato poi come l’odierna attività imprenditoriale dell’eni riproduca lo stesso approccio prevaricatore colonialista. Non una di meno-Padova, concentrandosi sulle tematiche del trans-femminismo e della lotta di genere, ha proposto un dibattito intitolando l’attuale via Amba Aradam a Fatima, la bambina comprata da Montanelli secondo la pratica coloniale del madamato. Durante il secondo evento ha realizzato invece un laboratorio di cartografia con gli abitanti del quartiere di ogni età, proponendogli di tracciare su una mappa le rotte dal luogo d’origine a Padova: un gesto di sensibilizzazione sul rapporto tra memoria e territorio. Il c.s.o. Pedro ha invece offerto la strumentazione mobile e di amplificazione sonora che ha permesso a ogni intervento di diffondersi in tutto il quartiere.
    Rispetto alla presenza attiva nel quartiere, Il Quadrato Meticcio, il quale ha messo a disposizione gli spazi della propria sede come centrale operativa di entrambi gli eventi, merita un approfondimento specifico.
    Mattia, il fondatore dell’associazione, mi racconta che nel 2008 il “campetto” – così chiamato dagli abitanti del quartiere – situato proprio dietro la “piazzetta” (Piazza Caduti della Resistenza), sarebbe dovuto diventare un parcheggio, ma “l’intervento congiunto della comunità del quartiere lo ha preservato”. Quando gli chiedo come si inserisca l’esperienza dell’associazione in questo ricordo, risponde: “Ho navigato a vista dopo quell’occasione. Mi sono accorto che c’era l’esigenza di valorizzare il campo e che il gioco del calcio era un contesto di incontro importante per i ragazzi. La forma attuale si è consolidata nel tempo”. Adesso, la presenza costante di una vivace comunità “meticcia” – di età che varia dagli otto ai sedici anni – è una testimonianza visiva e frammentaria della cultura familiare che i ragazzi si portano dietro. Come si evince dalla testimonianza di Mattia: «Loro non smettono mai di giocare. Sono in strada tutto il giorno e passano la maggior parte del tempo con il pallone ai piedi. Il conflitto tra di loro riflette i conflitti che vivono in casa. Ognuno di loro appartiene a famiglie economicamente in difficoltà, che condividono scarsi accessi a opportunità finanziarie e sociali in generale. Una situazione che inevitabilmente si ripercuote sull’emotività dei ragazzi, giorno dopo giorno».

    L’esperienza dell’associazione si inserisce all’interno di una rete culturale profondamente complessa ed eterogenea. L’intento dell’associazione, come racconta Camilla, è quello di offrire una visione inclusiva e una maggiore consapevolezza dei processi coloniali e post-coloniali a cui tutti, direttamente o indirettamente, sono legati; un approccio simile a quello della palestra popolare Chinatown, che offre corsi di lotta frequentati spesso dagli stessi ragazzi che giocano nel Quadrato Meticcio. L’obiettivo della palestra è quello di educare al rispetto reciproco attraverso la simulazione controllata di situazioni conflittuali legate all’uso di stereotipi etno-razziali e di classe, gestendo creativamente le ambivalenze dell’intimità culturale (Herzfeld, 2003). Uber[6], fra i più attivi promotori di Decolonize your eyes e affiliato alla palestra, racconta che: «Fin tanto che sono ragazzini, può essere solo un gioco, e tra di loro possono darsi man forte ogni volta che si scontrano con il razzismo brutale che questa città offre senza sconti. Ma ho paura che presto per loro sarà uno shock scoprire quanto può far male il razzismo a livello politico, lavorativo, legale… su tutti i fronti. E ho paura soprattutto che non troveranno altro modo di gestire l’impatto se non abbandonandosi agli stereotipi che gli orbitano già attorno».

    La mobilitazione concertata del 2008 a favore della preservazione del “campetto”, ha molto in comune con il contesto dal quale è emerso Decolonize your eyes. È “quasi un miracolo” di partecipazione estesa, mi racconta Uber, considerando che storicamente le “realtà militanti” di Padova hanno sempre faticato ad allearsi e collaborare. Similmente, con una vena solenne ma scherzosa, Camilla definisce entrambi gli eventi “necessari”. Lei si è occupata di gestire anche la “chiamata” generale: “abbiamo fatto un appello aperto a tutti sui nostri social network e le risposte sono state immediate e numerose”. Uber mi fa presente che “già da alcune assemblee precedenti si poteva notare l’intenzione di mettere da parte le conflittualità”. Quando gli chiedo perché, risponde “perché non ne potevamo più [di andare l’uno contro l’altro]”. Camilla sottolinea come l’impegno da parte dell’anpi di colmare le distanze generazionali, nei concetti e nelle pratiche, sia stato particolarmente forte e significativo.

    Avere uno scopo comune sembra dunque essere una prima risorsa per incontrarsi. Ma è nel modo in cui le conflittualità vengono gestite quotidianamente che può emergere una spinta rivoluzionaria unitaria. In effetti, «[…] l’equilibrio di un gruppo non nasce per forza da uno stato di inerzia, ma spesso da una serie di conflitti interni controllati» (Mauss, 2002, p. 194).
    Nel frattempo il Quadrato Meticcio ha rinnovato il suo impegno nei confronti del quartiere dando vita a una nuova iniziativa, chiamata All you can care, basata sullo scambio mutualistico di beni di prima necessità. Contemporaneamente, i progetti per un nuovo Decolonize your eyes vanno avanti e, da ciò che racconta Camilla, qualcosa sembra muoversi:
    «Pochi giorni fa una signora ci ha fermati per chiederci di cambiare anche il nome della sua via – anch’essa di rimando coloniale. Stiamo avendo anche altre risposte positive, altre realtà vogliono partecipare ai prossimi eventi».
    L’esperienza di Decolonize your eyes è insomma una tappa di un lungo progetto di decolonizzazione dell’immaginario e dell’utilizzo dello spazio pubblico che coinvolge molte realtà locali le quali, finalmente, sembrano riconoscersi in una lotta comune.

    Note
    [1] Annalisa Frisina ha ideato la struttura del saggio e ha scritto il paragrafo “Pratiche visuali di decolonizzazione della città”; Mackda Ghebremariam Tesfau’ ha scritto il paragrafo “L’Europa è indifendibile” e Salvatore Frisina il paragrafo “L’esperienza del A.S.D. Quadrato Meticcio”.
    [2] Cancel culture è un termine, spesso utilizzato con un’accezione negativa, che è stato usato per indicare movimenti emersi negli ultimi anni che hanno fatto uso del digitale, come quello il #metoo femminista, e che è stato usato anche per indicare le azioni contro le vestigia coloniali e razziste che si sono date dal Sud Africa agli Stati Uniti all’Europa.
    [3] Archivio Marx-Engels
    [4] Ho ideato con Elisabetta Campagni il percorso di video partecipativo nella primavera del 2020, rispondendo alla call “Cinema Vivo” di ZaLab; il nostro progetto è rientrato tra i primi cinque votati e supportati dal crowfunding.
    [5] Da un’intervista realizzata dall’autore in data 10/12/2020 a Camilla Previati e Mattia Boscaro, il fondatore dell’associazione.
    [6] Da un’intervista realizzata con Uber Mancin dall’autore in data 9/12/2020.
    [7] Le parti introduttive e finali del video sono state realizzate con la gentile concessione dei materiali audiovisivi da parte di Uber Mancin (archivio privato).

    Bibliografia
    Bhambra, G., Nişancıoğlu, K. & Gebrial, D., Decolonising the University, Pluto Press, London, 2018.
    Bhambra, G. K., The current crisis of Europe: Refugees, colonialism, and the limits of cosmopolitanism, in: «European Law Journal», 23(5): 395-405. 2017.
    Césaire, A. (1950), Discorso sul colonialismo, Mellino, M. (a cura di), Ombre corte, Verona, 2010.
    Frisina, A., Ricerca visuale e trasformazioni socio-culturali, utet Università, Torino, 2013.
    Frisina, A. e Ghebremariam Tesfau’, M., Decolonizzare la città. L’antirazzismo come contro-politica della memoria. E poi?, «Studi Culturali», Anno XVII, n. 3, Dicembre, pp. 399-412. 2020.
    Herzfeld, M., & Nicolcencov, E., Intimità culturale: antropologia e nazionalismo, L’ancora del Mediterraneo, 2003.
    Mauss, M., Saggio sul dono: forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, G. Einaudi, Torino, 2002.
    Mirzoeff, N., The Right to Look: A Counterhistory of Visuality, Duke University Press, Durham e London, 2011.
    Scego, I., & Bianchi, R., Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Ediesse, Roma, 2014.
    Wekker, G., White Innocence: Paradoxes of Colonialism and Race, Duke University Press, Durham and London, 2016.

    https://www.roots-routes.org/decolonize-your-eyes-padova-pratiche-visuali-di-decolonizzazione-della
    #décolonisation #décolonial #colonialisme #traces_coloniales #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #statues #Padova #Padoue

    ping @cede (même si c’est en italien...)

  • Rapid Response : Decolonizing Italian Cities

    Anti-racism is a battle for memory. Enzo Traverso well underlined how statues brought down in the last year show “the contrast between the status of blacks and postcolonial subjects as stigmatised and brutalised minorities and the symbolic place given in the public space to their oppressors”.

    Material traces of colonialism are in almost every city in Italy, but finally streets, squares, monuments are giving us the chance to start a public debate on a silenced colonial history.

    Igiaba Scego, Italian writer and journalist of Somali origins, is well aware of the racist and sexist violence of Italian colonialism and she points out the lack of knowledge on colonial history.

    “No one tells Italian girls and boys about the squad massacres in Addis Ababa, the concentration camps in Somalia, the gases used by Mussolini against defenseless populations. There is no mention of Italian apartheid (…), segregation was applied in the cities under Italian control. In Asmara the inhabitants of the village of Beit Mekae, who occupied the highest hill of the city, were chased away to create the fenced field, or the first nucleus of the colonial city, an area off-limits to Eritreans. An area only for whites. How many know about Italian apartheid?” (Scego 2014, p. 105).

    In her book, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città (2014), she invites us to visually represent the historical connections between Europe and Africa, in creative ways; for instance, she worked with photographer Rino Bianchi to portray Afro-descendants in places marked by fascism such as Cinema Impero, Palazzo della Civiltà Italiana and Dogali’s stele in Rome.

    Inspired by her book, we decided to go further, giving life to ‘Decolonizing the city. Visual Dialogues in Padova’. Our goal was to question ourselves statues and street names in order to challenge the worldviews and social hierarchies that have made it possible to celebrate/forget the racist and sexist violence of colonialism. The colonial streets of Padova have been re-appropriated by the bodies, voices and gazes of six Italian Afro-descendants who took part in a participatory video, taking urban traces of colonialism out of insignificance and re-signifying them in a creative way.

    Wissal Houbabi, artist “daughter of the diaspora and the sea in between“, moves with the soundtrack by Amir Issa Non respiro (2020), leaving her poetry scattered between Via Cirenaica and Via Libia.

    “The past is here, insidious in our minds, and the future may have passed.

    The past is here, even if you forget it, even if you ignore it, even if you do everything to deny the squalor of what it was, the State that preserves the status of frontiers and jus sanguinis.

    If my people wanted to be free one day, even destiny would have to bend”.

    Cadigia Hassan shares the photos of her Italian-Somali family with a friend of hers and then goes to via Somalia, where she meets a resident living there who has never understood the reason behind the name of that street. That’s why Cadigia has returned to via Somalia: she wants to leave traces of herself, of her family history, of historical intertwining and to make visible the important connections that exist between the two countries.

    Ilaria Zorzan questions the colonial past through her Italo-Eritrean family photographic archive. The Italians in Eritrea made space, building roads, cableways, railways, buildings… And her grandfather worked as a driver and transporter, while her Eritrean grandmother, before marrying her grandfather, had been his maid. Ilaria conceals her face behind old photographs to reveal herself in Via Asmara through a mirror.

    Emmanuel M’bayo Mertens is an activist of the Arising Africans association. In the video we see him conducting a tour in the historic center of Padova, in Piazza Antenore, formerly Piazza 9 Maggio. Emmanuel cites the resolution by which the municipality of Padova dedicated the square to the day of the “proclamation of the empire” by Mussolini (1936). According to Emmanuel, fascism has never completely disappeared, as the Italian citizenship law mainly based on jus sanguinis shows in the racist idea of ​​Italianness transmitted ‘by blood’. Instead, Italy is built upon migration processes, as the story of Antenor, Padova’s legendary founder and refugee, clearly shows.

    Mackda Ghebremariam Tesfau’ questions the colonial map in Piazza delle Erbe where Libya, Albania, Ethiopia and Eritrea are marked as part of a white empire. She says that if people ignore this map it is because Italy’s colonial history is ignored. Moreover, today these same countries, marked in white on the map, are part of the Sub-saharan and Mediterranean migrant routes. Referring then to the bilateral agreements between Italy and Libya to prevent “irregular migrants” from reaching Europe, she argues that neocolonialism is alive. Quoting Aimé Césaire, she declares that “Europe is indefensible”.

    The video ends with Viviana Zorzato, a painter of Eritrean origin. Her house, full of paintings inspired by Ethiopian iconography, overlooks Via Amba Aradam. Viviana tells us about the ‘Portrait of a N-word Woman’, which she has repainted numerous times over the years. Doing so meant taking care of herself, an Afro-descendant Italian woman. Reflecting on the colonial streets she crosses daily, she argues that it is important to know the history but also to remember the beauty. Amba Alagi or Amba Aradam cannot be reduced to colonial violence, they are also names of mountains, and Viviana possesses a free gaze that sees beauty. Like Giorgio Marincola, Viviana will continue to “feel her homeland as a culture” and she will have no flags to bow her head to.

    The way in which Italy lost the colonies – that is with the fall of fascism instead of going through a formal decolonization process – prevented Italy from being aware of the role it played during colonialism. Alessandra Ferrini, in her ‘Negotiating amnesia‘,refers to an ideological collective amnesia: the sentiment of an unjust defeat fostered a sense of self-victimisation for Italians, removing the responsibility from them as they portrayed themselves as “brava gente” (good people). This fact, as scholars such as Nicola Labanca have explained, has erased the colonial period from the collective memory and public sphere, leaving colonial and racist culture in school textbooks, as the historian Gianluca Gabrielli (2015) has shown.

    This difficulty in coming to terms with the colonial past was clearly visible in the way several white journalists and politicians reacted to antiracist and feminist movements’ request to remove the statue of journalist Indro Montanelli in Milan throughout the BLM wave. During the African campaign, Montanelli bought the young 12-year-old-girl “Destà” under colonial concubinage (the so‑called madamato), boasting about it even after being accused by feminist Elvira Banotti of being a rapist. The issue of Montanelli’s highlights Italy’s need to think critically over not only colonial but also race and gender violence which are embedded in it.

    Despite this repressed colonial past, in the last decade Italy has witnessed a renewed interest stemming from bottom-up local movements dealing with colonial legacy in the urban space. Two examples are worth mentioning: Resistenze in Cirenaica (Resistances in Cyrenaica) in Bologna and the project “W Menilicchi!” (Long live Menilicchi) in Palermo. These instances, along with other contributions were collected in the Roots§Routes 2020 spring issue, “Even statues die”.

    Resistenze in Cirenaica has been working in the Cyrenaica neighbourhood, named so in the past due to the high presence of colonial roads. In the aftermath of the second world war the city council decided unanimously to rename the roads carrying fascist and colonial street signs (except for via Libya, left as a memorial marker) with partisans’ names, honouring the city at the centre of the resistance movement during the fascist and Nazi occupation. Since 2015, the collective has made this place the centre of an ongoing laboratory including urban walks, readings and storytelling aiming to “deprovincialize resistances”, considering the battles in the ex-colonies as well as in Europe, against the nazi-fascist forces, as antiracist struggles. The publishing of Quaderni di Cirene (Cyrene’s notebooks) brought together local and overseas stories of people who resisted fascist and colonial occupation, with the fourth book addressing the lives of fighter and partisan women through a gender lens.

    In October 2018, thanks to the confluence of Wu Ming 2, writer and storyteller from Resistenze in Cirenaica, and the Sicilian Fare Ala collective, a public urban walk across several parts of the city was organized, with the name “Viva Menilicchi!”. The itinerary (19 kms long) reached several spots carrying names of Italian colonial figures and battles, explaining them through short readings and theatrical sketches, adding road signs including stories of those who have been marginalized and exploited. Significantly, W Menilicchi! refers to Palermitan socialists and communists’ battle cry supporting king Menelik II who defeated the Italian troops in Aduwa in 1896, thus establishing a transnational bond among people subjected to Italian invasion (as Jane Schneider explores in Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, South Italy underwent a socio-economic occupation driven by imperial/colonial logics by the north-based Kingdom of Italy) . Furthermore, the urban walk drew attention to the linkage of racist violence perpetrated by Italians during colonialism with the killings of African migrants in the streets of Palermo, denouncing the white superiority on which Italy thrived since its birth (which run parallel with the invasion of Africa).

    These experiences of “odonomastic guerrillas” (street-name activists) have found creative ways of decolonising Italian history inscribed in cities, being aware that a structural change requires not only time but also a wide bottom-up involvement of inhabitants willing to deal with the past. New alliances are developing as different groups network and coordinate in view of several upcoming dates, such as February 19th, which marks the anniversary of the massacre of Addis Ababa which occurred in 1937 at the hands of Italian viceroy Rodolfo Graziani.

    References:
    Gabrielli G. (2015), Il curriculo “razziale”: la costruzione dell’alterità di “razza” e coloniale nella scuola italiana (1860-1950), Macerata: Edizioni Università di Macerata.
    Labanca, N. (2002) Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna: Il Mulino.
    Scego, I. (2014) Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Roma: Ediesse.
    Schneider J (ed.) (1998) Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, London: Routledge.

    https://archive.discoversociety.org/2021/02/06/rapid-response-decolonizing-italian-cities

    #décolonisation #décolonial #colonialisme #traces_coloniales #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #statues #Padova #Padoue #afro-descendants #Cadigia_Hassan #via_Somalia #Ilaria_Zorzan #Emmanuel_M’bayo_Mertens #Mackda_Ghebremariam_Tesfau #Piazza_delle_erbe #Viviana_Zorzato #Via_Amba_Aradam #Giorgio_Marincola #Alessandra_Ferrini

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    –—

    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale :
    https://seenthis.net/messages/871953

    • #Negotiating_Amnesia

      Negotiating Amnesia is an essay film based on research conducted at the Alinari Archive and the National Library in Florence. It focuses on the Ethiopian War of 1935-36 and the legacy of the fascist, imperial drive in Italy. Through interviews, archival images and the analysis of high-school textbooks employed in Italy since 1946, the film shifts through different historical and personal anecdotes, modes and technologies of representation.

      https://vimeo.com/429591146?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=3319920



      https://www.alessandraferrini.info/negotiating-amnesia

      En un coup d’oeil, l’expansion coloniale italienne :

      #amnésie #film #fascisme #impérialisme #Mussolini #Benito_Mussolini #déni #héritage #mémoire #guerre #guerre_d'Ethiopie #violence #Istrie #photographie #askaris #askari #campagna_d'Africa #Tito_Pittana #Mariano_Pittana #mémoire #prostitution #madamato #madamisme #monuments #Romano_Romanelli #commémoration #mémoriel #Siracusa #Syracuse #nostalgie #célébration #Axum #obélisque #Nuovo_Impero_Romano #Affile #Rodolfo_Graziani #Pietro_Badoglio #Uomo_Nuovo #manuels_scolaires #un_posto_al_sole #colonialismo_straccione #italiani_brava_gente #armes_chimiques #armes_bactériologiques #idéologie

    • My Heritage ?

      My Heritage? (2020) is a site-specific intervention within the vestibule of the former Casa d’Italia in Marseille, inaugurated in 1935 and now housing the Italian Cultural Institute. The installation focuses on the historical and ideological context that the building incarnates: the intensification of Fascist imperial aspirations that culminated in the fascistization of the Italian diaspora and the establishment of the Empire in 1936, as a result of the occupation of Ethiopia. As the League of Nations failed to intervene in a war involving two of its members, the so-called Abyssinian Crisis gave rise to a series of conflicts that eventually led to the WW2: a ‘cascade effect’. On the other hand, the attack on the ‘black man’s last citadel’ (Ras Makonnen), together with the brutality of Italian warfare, caused widespread protests and support to the Ethiopian resistance, especially from Pan-African movements.

      Placed by the entrance of the exhibition Rue d’Alger, it includes a prominent and inescapable sound piece featuring collaged extracts from texts by members of the London-based Pan-African association International African Friends of Ethiopia - CLR James, Ras Makonnen, Amy Ashwood Garvey - intertwined with those of British suffragette Sylvia Pankhurst and Italian anarchist Silvio Corio, founders of the newspaper New Times and Ethiopian News in London.

      Through handwritten notes and the use of my own voice, the installation is a personal musing on heritage as historical responsibility, based on a self-reflective process. My voice is used to highlight such personal process, its arbitrary choice of sources (related to my position as Italian migrant in London), almost appropriated here as an act of thinking aloud and thinking with these militant voices. Heritage is therefore intended as a choice, questioning its nationalist uses and the everlasting and catastrophic effects of Fascist foreign politics. With its loudness and placement, it wishes to affect the visitors, confronting them with the systemic violence that this Fascist architecture outside Italy embodies and to inhibit the possibility of being seduced by its aesthetic.



      https://www.alessandraferrini.info/my-heritage

      #héritage

    • "Decolonizziamo le città": il progetto per una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana

      Un video dal basso in cui ogni partecipante produce una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana

      Via Eritrea, Viale Somalia, Via Amba Aradam, via Tembien, via Adua, via Agordat. Sono nomi di strade presenti in molte città italiane che rimandano al colonialismo italiano nel Corno d’Africa. Ci passiamo davanti molto spesso senza sapere il significato di quei nomi.

      A Padova è nato un progetto che vuole «decolonizzare la città». L’idea è quella di realizzare un video partecipativo in cui ogni partecipante produca una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. Saranno coinvolti gli studenti del laboratorio “Visual Research Methods”, nel corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale” dell’Università di Padova e artisti e attivisti afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      «Stavamo preparando questo laboratorio da marzo», racconta Elisabetta Campagni, che si è laureata in Sociologia a marzo 2020 e sta organizzando il progetto insieme alla sua ex relatrice del corso di Sociologia Visuale Annalisa Frisina, «già molto prima che il movimento Black Lives Matter riportasse l’attenzione su questi temi».

      Riscrivere la storia insieme

      «Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole», si legge nella presentazione del laboratorio, che sarà realizzato a partire dall’autunno 2020. «C’è una rimozione grandissima nella nostra storia di quello che ricordano questi nomi, battaglie, persone che hanno partecipato a massacri nelle ex colonie italiane. Pochi lo sanno. Ma per le persone che arrivano da questi paesi questi nomi sono offensivi».

      Da qui l’idea di riscrivere una storia negata, di «rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati», affermano le organizzatrici.

      Le strade «rinarrate»

      I luoghi del video a Padova saranno soprattutto nella zona del quartiere Palestro, dove c’è una grande concentrazione di strade con nomi che rimandano al colonialismo. Si andrà in via Amba Aradam, il cui nome riporta all’altipiano etiope dove nel febbraio 1936 venne combattuta una battaglia coloniale dove gli etiopi vennero massacrati e in via Amba Alagi.

      Una tappa sarà nell’ex piazza Pietro Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia. In Italia il dibattito si è concentrato sulla statua a Indro Montanelli, ma la toponomastica che ricorda il colonialismo è molta e varia. Oltre alle strade, sarà oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, ma che passa spesso inosservata.

      Da un’idea di Igiaba Scego

      Come ci spiega Elisabetta Campagni, l’idea nasce da un libro di Igiaba Scego che anni fa ha pubblicato alcune foto con afrodiscendenti che posano davanti ai luoghi che celebrano il colonialismo a Roma come la stele di Dogali, vicino alla stazione Termini, in viale Luigi Einaudi.

      Non è il primo progetto di questo tipo: il collettivo Wu Ming ha lanciato la guerriglia odonomastica, con azioni e performance per reintitolare dal basso vie e piazze delle città o aggiungere informazioni ai loro nomi per cambiare senso all’intitolazione. La guerriglia è iniziata a Bologna nel quartiere della Cirenaica e il progetto è stato poi realizzato anche a Palermo. Un esempio per il laboratorio «Decolonizzare la città» è stato anche «Berlin post colonial», l’iniziativa nata da anni per rititolare le strade e creare percorsi di turismo consapevole.

      Il progetto «Decolonizzare la città» sta raccogliendo i voti sulla piattaforma Zaalab (https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova), con l’obiettivo di raccogliere fondi per la realizzazione del laboratorio.

      https://it.mashable.com/cultura/3588/decolonizziamo-le-citta-il-progetto-per-una-riflessione-collettiva-sull

      #histoire_niée #storia_negata #récit #contre-récit

    • Decolonizzare la città. Dialoghi Visuali a Padova

      Descrizione

      Via Amba Alagi, via Tembien, via Adua, via Agordat. Via Eritrea, via Libia, via Bengasi, via Tripoli, Via Somalia, piazza Toselli… via Amba Aradam. Diversi sono i nomi di luoghi, eventi e personaggi storici del colonialismo italiano in città attraversate in modo distratto, senza prestare attenzione alle tracce di un passato che in realtà non è ancora del tutto passato. Che cosa significa la loro presenza oggi, nello spazio postcoloniale urbano? Se la loro origine affonda le radici in un misto di celebrazione coloniale e nazionalismo, per capire il significato della loro permanenza si deve guardare alla società contemporanea e alle metamorfosi del razzismo.

      Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole. L’esistenza di scritti, memorie biografiche e racconti, pur presente in Italia, non ha cambiato la narrazione dominante del colonialismo italiano nell’immaginario pubblico, dipinto come una breve parentesi storica che ha portato civiltà e miglioramenti nei territori occupati (“italiani brava gente”). Tale passato, però, è iscritto nella toponomastica delle città italiane e ciò ci spinge a confrontarci con il significato di tali vie e con la loro indiscussa presenza. Per questo vogliamo partire da questi luoghi, e in particolare da alcune strade, per costruire una narrazione dal basso che sia frutto di una ricerca partecipata e condivisa, per decolonizzare la città, per reclamare una lettura diversa e critica dello spazio urbano e resistere alle politiche che riproducono strutture (neo)coloniali di razzializzazione degli “altri”.

      Il progetto allora intende sviluppare una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana, il razzismo, l’antirazzismo, la resistenza di ieri e di oggi attraverso la realizzazione di un video partecipativo.

      Esso è organizzato in forma laboratoriale e vuole coinvolgere studenti/studentesse del laboratorio “Visual Research Methods” (corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale”) dell’Università di Padova e gli/le artisti/e ed attivisti/e afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      Il progetto si propone di creare una narrazione visuale partecipata, in cui progettazione, riprese e contenuti siano discussi in maniera orizzontale e collaborativa tra i e le partecipanti. Gli/Le attivisti/e e artisti/e afrodiscendenti con i/le quali studenti e studentesse svolgeranno le riprese provengono in parte da diverse città italiane e in parte vivono a Padova, proprio nel quartiere in questione. Ognuno/a di loro produrrà insieme agli studenti e alle studentesse una riflessione attraverso forme artistiche differenti (come l’arte figurativa, la slam poetry…), interrogando tali luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. I partecipanti intrecciano così le loro storie personali e familiari, la storia passata dell’Italia e il loro attivismo quotidiano, espresso con l’associazionismo o con diverse espressioni artistiche (Mackda Ghebremariam Tesfaù, Wissal Houbabi, Theophilus Marboah, Cadigia Hassan, Enrico e Viviana Zorzato, Ilaria Zorzan, Ada Ugo Abara ed Emanuel M’bayo Mertens di Arising Africans). I processi di discussione, scrittura, ripresa, selezione e montaggio verranno documentati attraverso l’utilizzo di foto e filmati volti a mostrare la meta-ricerca, il processo attraverso cui viene realizzato il video finale, e le scelte, di contenuto e stilistiche, negoziate tra i diversi attori. Questi materiali verranno condivisi attraverso i canali online, con il fine di portare a tutti coloro che sostengono il progetto una prima piccola restituzione che renda conto dello svolgimento del lavoro.

      Le strade sono un punto focale della narrazione: oggetto dei discorsi propagandistici di Benito Mussolini, fulcro ed emblema del presunto e mitologico progetto di civilizzazione italiana in Africa, sono proprio le strade dedicate a luoghi e alle battaglie dove si sono consumate le atrocità italiane che sono oggi presenze fisiche e allo stesso tempo continuano ad essere invisibilizzate; e i nomi che portano sono oggi largamente dei riferimenti sconosciuti. Ripercorrere questi luoghi fisici dando vita a dialoghi visuali significa riappropriarsi di una storia negata, rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati.

      La narrazione visuale partirà da alcuni luoghi – come via Amba Aradam e via lago Ascianghi – della città di Padova intitolati alla storia coloniale italiana, in cui i protagonisti e le protagoniste del progetto daranno vita a racconti e performances artistiche finalizzate a decostruire la storia egemonica coloniale, troppo spesso edulcorata e minimizzata. L’obiettivo è quello di favorire il prodursi di narrazioni dal basso, provenienti dalle soggettività in passato rese marginali e che oggi mettono in scena nuove narrazioni resistenti. La riappropriazione di tali luoghi, fisica e simbolica, è volta ad aprire una riflessione dapprima all’interno del gruppo e successivamente ad un pubblico esterno, al fine di coinvolgere enti, come scuole, associazioni e altre realtà che si occupano di questi temi sul territorio nazionale. Oltre alle strade, saranno oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, e l’ex piazza Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia.

      Rinarrare la storia passata è un impegno civile e politico verso la società contemporanea. Se anche oggi il razzismo ha assunto nuove forme, esso affonda le sue radici nella storia nazionale e coloniale italiana. Questa storia va rielaborata criticamente per costruire nuove alleanze antirazziste e anticolonialiste.

      Il video partecipativo, ispirato al progetto “Roma Negata” della scrittrice Igiaba Scego e di Rino Bianchi, ha l’obiettivo di mostrare questi luoghi attraverso narrazioni visuali contro-egemoniche, per mettere in discussione una storia ufficiale, modi di dire e falsi miti, per contribuire a dare vita ad una memoria critica del colonialismo italiano e costruire insieme percorsi riflessivi nuovi. Se, come sostiene Scego, occupare uno spazio è un grido di esistenza, con il nostro progetto vogliamo affermare che lo spazio può essere rinarrato, riletto e riattraversato.

      Il progetto vuole porsi in continuità con quanto avvenuto sabato 20 giugno, quando a Padova, nel quartiere Palestro, si è tenuta una manifestazione organizzata dall’associazione Quadrato Meticcio a cui hanno aderito diverse realtà locali, randunatesi per affermare la necessita’ di decolonizzare il nostro sguardo. Gli interventi che si sono susseguiti hanno voluto riflettere sulla toponomastica coloniale del quartiere Palestro, problematizzandone la presenza e invitando tutti e tutte a proporre alternative possibili.

      https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova

      https://www.youtube.com/watch?v=axEa6By9PIA&t=156s

  • Mary Beth Meehan on How a Single Photo Can Spark New Conversations – The Hawks’ Herald
    https://rwuhawksherald.com/7862/arts-and-culture/mary-beth-meehan-on-how-a-single-photo-can-spark-new-conversations

    Meehan is an independent photographer, writer and editor whose work has been featured in The New York Times and other publications as well as in internationally prestigious collections. She describes herself as a public art activist, someone who uses art as representational justice that allows others to see across race, gender and religion by sparking conversations about who and what is seen, and by whom. In her lecture, she explained the path of her career and the way she came to understand exactly how an image can spark a new conversation.

    “People want to tell you what their lives are like, if you care,” Meehan said.

    Her first photography installation was put up outside her parents’ house and featured many people from the Brockton community. This public installation prompted many of those featured in her photos to show up and start having conversations with each other and her family, all thanks to a situation that they otherwise never would have been a part of. It was here that Meehan got the idea that the point of her work was to get people to see things differently.

    As she went on to explain, it was following this first installation that she displayed her work in downtown Brockton as part of her “City of Champions” series. This was when her work first started getting widespread attention. Volunteers started to give walking tours of Meehan’s pictures, and one woman even went around and interviewed people about what they thought the photos meant. When one observer got very vocally upset about the pictures, Meehan was able to converse with her about why, that was when she realized just how powerful an image could be.

    However, her most impactful work came about in Newnan, Georgia. As someone who grew up in New England, she explained, her work here became about grappling with her own stereotypes of the South. She visited and revisited Newnan over the course of two years, conducting interviews and witnessing moments that illustrated the community’s identity. However, when her installation “Seeing Newnan,” which featured less-seen members of Newnan’s community, was put on display, it received very vocal online backlash from members of the community. These people even went so far as to complain about and harass Meehan herself. However, the community as a whole fought back against these outliers, showing that the group did not represent everyone’s views.

    “People aren’t rude,” Meehan said after her presentation concluded. “They’re amazing, like heart-to-heart. This stuff isn’t about me. I’m just the lightning rod; the communities and people come out and do the rest.”

    Le seul livre de photos de Mary Beth Meehan en français est :
    Visages de la Silicon Valley

    #Mary_Beth_Meehan #Photographie #Brockton #Newnan

  • 命預けます | INOCHI AZUKEMASU | JE TE CONFIE MA VIE
    https://chloe-jafe.format.com/i-give-you-my-life

    En 2013, Chloé Jafé s’installe à Tokyo avec l’ambition de rencontrer les femmes de Yakuza. Mais personne n’entre au sein de cette mafia, l’une des plus légendaires au monde, sans y avoir été invité. Après avoir passé une année à parfaire son japonais, s’imprégner des codes d’une culture aux antipodes de la sienne, avoir été hôtesse dans un bar et ratissé les quartiers chauds de la ville, le verrou finit par céder. Au hasard d’une rencontre et par témérité. Intronisée par un chef de syndicat, elle a pu approcher ces clans cadenassés, leurs rituels et rassemblements officiels, les récits tabous et tatoués que leurs kimonos camouflent, et à travers eux, leurs épouses, filles et maîtresses.

    Des femmes tapies dans l’ombre des hommes auxquels elles ont voué leur existence, marquées à l’épiderme par cette offrande qui d’office les exclut de la société.

    Le « don sa vie », Inochi Azukemasu en japonais, constitue le premier volet de sa trilogie.


    photo Chloé Jafé
    #photographie #japon

  • #Vomir #Canada : D’ici 2028, les vaches laitières devraient pouvoir mettre bas sans être enchaînées Julie Vaillancourt - Radio Canada
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1871152/vaches-laitieres-enchainees-agriculture

    Au Canada, la majorité des vaches laitières sont élevées en stabulation entravée, ce qui implique qu’elles mettent souvent bas, enchaînées, dans des stalles trop petites pour elles. Ça pourrait changer : les experts recommandent maintenant de leur donner plus de liberté de mouvement pour améliorer leur bien-être.


    Il manque d’espace dans les stalles régulières pour que les vaches mettent bas à leur aise. Photo : Radio-Canada

    La scène est désolante aux yeux du profane : une vache, la chaîne au cou, qui met bas dans sa stalle, souvent trop petite pour lui permettre de se mouvoir avec agilité. L’animal tente de se retourner pour voir son veau, mais son carcan métallique l’entrave partiellement ; le producteur laitier doit apporter le nouveau-né en face de sa mangeoire pour que la vache puisse enfin le lécher.

    Une action plus fréquente au Québec qu’ailleurs au Canada, car c’est dans la province qu’on retrouve le plus de fermes en stabulation entravée, un système où chaque vache garde toute sa vie une place fixe dans l’étable, enchaînée à une barre d’attache.


    Un des principes les plus importants, pour le vétérinaire Edwin Quigley, est que les vaches doivent faire le plus possible d’exercice. Photo : Radio-Canada

    Pour le vétérinaire Edwin Quigley, qui pratique dans la région de Chaudière-Appalaches, le fait que 72 % des vaches de la province vivent ainsi (contrairement à la moyenne canadienne de 44 %) est consternant. “Des vaches attachées dans un espace de quatre pieds par six à l’année longue et qui ne changent pas de place, il manque quelque chose.”

    Ce “quelque chose”, c’est la liberté de mouvement, beaucoup plus présente en stabulation libre, une façon d’élever les bovins laitiers dans des espaces à aire ouverte. Avec ce modèle, les vaches disposent de logettes individuelles où elles vont manger ou se reposer à leur guise, sans jamais être immobilisées de force.

    Les chiffres parlent d’eux-mêmes : en stabulation entravée, la prévalence de blessures aux jarrets chez l’animal est de 56 % comparativement à 47 % en stabulation libre, de 43 % pour les blessures aux genoux comparativement à 24 % en stabulation libre.

    Conséquence, entre autres, d’une surface de couchage souvent trop abrasive en comparaison avec la litière de plus de 15 centimètres d’épaisseur qu’on retrouve régulièrement dans les étables en stabulation libre.

    Quant aux 33 % de blessures au cou en stabulation entravée, elles trouvent évidemment leur source dans le port constant de la chaîne.


    Au Canada, les vaches qui passent leur vie dans des stalles entravées ont plus de blessures qu’avec d’autres systèmes d’élevage. Photo : Radio-Canada

    Le “Code de pratique pour le soin et la manipulation des bovins laitiers”, un outil de référence à l’intention des producteurs laitiers canadiens, est actuellement en révision, puisque la dernière mouture date de 2009.

    Nous avons obtenu la version préliminaire du nouveau code, dont l’élaboration sera terminée d’ici la fin de l’année. Elle propose dorénavant de loger les vaches laitières au pâturage ou en stabulation libre afin qu’elles aient la possibilité de se mouvoir davantage. Quant au vêlage, les producteurs devraient obligatoirement permettre aux vaches de mettre bas en stabulation libre d’ici 2028, s’il n’en tient qu’aux experts canadiens qui se penchent présentement sur la question.

    https://fr.scribd.com/document/566235947/Code-de-pratique-pour-le-soin-et-la-manipulation-des-bovins-laitiers#down

    Ce serait la moindre des choses aux yeux d’Edwin Quigley, qui supervise présentement l’agrandissement de l’étable d’un de ses clients, Dave Kelly, un producteur laitier de Saint-Nazaire-de-Dorchester, dans la région de Chaudière-Appalaches.


    Dave Kelly, producteur laitier, veut améliorer le bien-être de ses vaches et collabore avec son vétérinaire pour changer les choses. Photo : Radio-Canada

    M. Kelly tente d’améliorer le bien-être de ses vaches à la mesure de ses moyens. “Il y a des gens qui pensent qu’on utilise les vaches comme des machines, moi, je ne suis pas d’accord avec ça, mais il faut qu’elles soient bien dans ce qu’elles ont à faire, c’est important.”

    Au programme chez lui, des travaux de construction pour bâtir une section où ses vaches pourront mettre bas en stabulation libre : un enclos de groupe où les vaches auront le loisir de bouger à leur guise pendant le vêlage sans être gênées par l’étroitesse de leurs stalles ou, pire encore, leurs chaînes.


    En stabulation, la litière disposée sur le sol rend la surface plus confortable et aide à éviter l’abrasion. Photo : Radio-Canada

    Un virage pris par de plus en plus de producteurs laitiers du Québec qui, massivement, convertissent leurs troupeaux à l’élevage en stabulation libre pour l’ensemble de leurs opérations, et non uniquement le vêlage. “On fait du rattrapage, soutient Daniel Gobeil, président des Producteurs de lait du Québec.”

    “Des vaches attachées toute leur vie, on tend à éliminer ces pratiques-là. On est à la croisée des chemins en termes de bien-être animal”, conclut-il.

    #chaînes #beurk #boycott #alimentation #sirop_d'érable #assiette #malbouffe #agriculture #élevage #élevage #alimentation #vaches #viande #agrobusiness #lait #agro-industrie #quelle_agriculture_pour_demain_ #violence #torture #capitalisme

    • Monsieur trudeau, vous êtes une honte pour la démocratie ! Veuillez nous épargner votre présence Christine Anderson, députée européenne (Allemande) au Parlement européen

      Après parlé avec des parlementaires européens lors de sa visite officielle de deux jours à Bruxelles, la parole a été donnée à la députée allemande Christine Anderson qui a interpellé le Premier ministre canadien, disant qu’il ne devrait pas pouvoir s’exprimer au Parlement européen.

      Anderson a accusé Trudeau d’admirer ouvertement la dictature de base chinoise et a appelé le Premier ministre pour avoir piétiné “les droits fondamentaux en persécutant et en criminalisant ses propres citoyens en tant terroristes simplement parce qu’ils osent s’opposer à son concept pervers de démocratie”.

      le Canada est passé du statut de symbole du monde moderne à celui de « symbole de la violation des droits civils » sous la « chaussure semi-libérale » de Trudeau.

      Elle a terminé son discours en disant à Trudeau qu’il était « une honte pour toute démocratie. Veuillez nous épargner votre présence.
      https://www.youtube.com/watch?v=vtnfcVAZB6I


      Le député croate Mislav Kolakusic a également dénoncé Trudeau pour avoir violé les droits civils des Canadiens qui ont participé aux manifestations du « Freedom Convoy ». Lors de son propre discours cinglant devant ses collègues parlementaires européens, Kolakusic a déclaré à Trudeau que ses actions en promulguant la loi sur les urgences étaient « une dictature de la pire espèce ».
      Trudeau s’est assis et a écouté Kolakusic informer le premier ministre que de nombreux Européens l’ont vu « piétiner des femmes avec des chevaux » et bloquer « les comptes bancaires de parents célibataires ».
      L’eurodéputé roumain Christian Terhes a également refusé d’assister au discours de Trudeau aux autres membres de l’UE.

      Source :
      https://thecanadian.news/vous-etes-une-honte-un-depute-allemand-interpelle-trudeau-en-face-lors
      https://twitter.com/lemairejeancha2/status/1507033759278940161
      https://vk.com/wall551774088_43985?z=video640533946_456239116%2Fa7ea5429d710b84557%2Fpl_post_55

      NDR Cette députée allemande est de droite, mais la vérité ne fait pas de politique.

       #canada #justin_trudeau #trudeau la #violence #contrôle_social #police #dictature #violences_policières #violence_policière #répression #violence #maintien_de_l'ordre #brutalité_policière #manifestation #violences_policieres

    • Salaire mirobolant et logement de fonction : le train de vie princier du directeur du Fresnoy à Tourcoing Pierre Leibovici
      https://www.mediacites.fr/lu-pour-vous/lille/2022/03/24/salaire-mirobolant-et-logement-de-fonction-le-train-de-vie-princier-du-di

      Les angles morts, Quelques obscurcissements, Prolongations… Le titre de ces romans signés Alain Fleischer était-il prémonitoire ? Il résonne en tout cas avec le rapport publié, vendredi 18 mars, par la Chambre régionale des comptes des Hauts-de-France sur l’association Le Fresnoy — Studio national des arts contemporains, dont il est le directeur.


      Ouvert au public en 1997, l’imposant bâtiment du Fresnoy, situé dans le quartier du Blanc Seau à Tourcoing, abrite une école supérieure d’art ainsi qu’un lieu de représentation et de production (cinéma, danse, photo, arts numériques). L’établissement, imaginé dès 1987 par l’artiste Alain Fleischer à la demande du ministère de la Culture, est aujourd’hui mondialement reconnu. Trente-cinq ans plus tard, et malgré son âge de 78 ans, il n’a toujours pas lâché le bébé.

      Un salaire brut de 91 000 euros
      « Le cinéaste », « l’auteur », « le photographe, le plasticien » : le parcours d’Alain Fleischer est fièrement détaillé sur le site Internet du Fresnoy, qui lui consacre une page entière. « L’ambassadeur du Fresnoy », ajoute la Chambre régionale des comptes dans son rapport : « il en est pilote stratégique, notamment pour l’évolution vers le projet de StudioLab international [un programme de collaboration entre artistes et scientifiques], il initie les grands partenariats et exerce les fonctions de responsable pédagogique ».

      « Le montant de sa rémunération ne s’appuie pas sur son contrat de travail »
      Pour remplir ces missions, Alain Fleischer bénéficie d’un confortable salaire de 91 000 euros bruts par an, soit 7 600 euros bruts par mois. Un montant stable sur la période allant de 2016 à 2019, sur laquelle se sont penchés les magistrats financiers, mais qui interroge : « le montant de sa rémunération ne s’appuie sur aucun élément présent dans son contrat de travail qui date de plus de 30 ans, pas plus que des avenants ultérieurs dont le dernier date, en tout état de cause, de 2002 ». La Chambre demande donc instamment une révision du contrat de travail du directeur et sa validation par le conseil d’administration de l’association.

      Un immeuble pour logement de fonction
      Dans la suite de leur rapport, les magistrats recommandent aussi que le conseil d’administration valide la mise à disposition d’un logement de fonction pour Alain Fleischer. Ou plutôt d’un « immeuble d’habitation », peut-on lire sans plus de précisions. Ce bâtiment, ainsi qu’un autre d’une surface de 11 000 m2, est la propriété de la région Hauts-de-France, principal financeur du Fresnoy.

      Quelle est la valeur de l’avantage en nature consenti à l’association et à son directeur ? Difficile à dire : la dernière évaluation, réalisée en 2002, tablait sur un coût de 455 823 euros par an. Un montant sans doute bien plus élevé vingt ans plus tard, d’autant que la région prend à sa charge les travaux et la majeure partie de l’entretien des bâtiments. « Une réévaluation de la valeur de ces biens immobiliers qui figurent dans les comptes de l’association serait nécessaire », acte la Chambre régionale des comptes.

      Gouvernance à clarifier
      Autre recommandation adressée au studio d’art contemporain : la clarification de la gouvernance de l’association. À l’heure actuelle, un conseil d’administration cohabite avec une assemblée générale. Mais les deux instances, dont les missions diffèrent, sont composées des mêmes membres : 10 membres de droit et 14 personnalités qualifiées. Pour mettre fin à cette « confusion », les magistrats appellent donc l’association à revoir ses statuts.

      Cette dernière recommandation vaut aussi pour la rémunération de certains membres du conseil d’administration. Car, d’après la Chambre régionale des comptes, « des membres du conseil d’administration, du fait de leurs fonctions et qualités professionnelles et artistiques, peuvent être amenés à remplir le rôle de commissaire de certaines expositions du Fresnoy ou à effectuer des missions de représentation, donnant lieu à versement d’émoluments ». Et de conclure, en des termes toujours policés, que l’association devrait réviser ses statuts « par souci de sécurité juridique ».

      Sollicité à l’issue de l’audit des magistrats financiers, le président de l’association, Bruno Racine, s’est engagé à suivre toutes leurs recommandations et à mettre à jour les statuts dans un délai de six mois. « Cette révision permettra de préciser les modalités de recrutement du directeur », a-t-il affirmé. Écrivain et haut-fonctionnaire, aujourd’hui âgé de 70 ans, Bruno Racine a toutes les raisons de prêter attention aux recommandations de la Chambre régionale des comptes : il a un temps été conseiller-maître à la Cour des comptes.

      #Fresnoy #Tourcoing #argent #fric #art #art_press #claude_leveque @legrandmix #art_contemporain pour #bobo #ruissèlement #ruissellement #photographie #guerre_aux_pauvres

    • Énergie : au Royaume-Uni, même les pommes de terre deviennent trop chères LePoint.fr
      https://www.msn.com/fr-fr/finance/other/%C3%A9nergie-au-royaume-uni-m%C3%AAme-les-pommes-de-terre-deviennent-trop-ch%C3%A8res/ar-AAVqibD?ocid=msedgdhp&pc=U531#

      Durant des siècles, les pommes de terre ont été, par excellence, l’aliment de base des populations pauvres. Faciles à cultiver, peu chères à l’achat et nourrissantes, elles étaient l’élément de base ? sinon le seul - de populations entières. À tel point qu’au XIXe siècle, l’apparition du mildiou en Irlande ? une maladie qui anéantit presque totalement la culture de la pomme de terre ? provoqua une famine ? et la mort de près d’un million de personnes.

      Par les temps qui courent, cependant, la pomme de terre semble perdre son avantage auprès des populations dans le besoin. En effet, selon The Guardian, https://www.theguardian.com/business/2022/mar/23/food-bank-users-declining-potatoes-as-cooking-costs-too-high-says-icela de plus en plus de personnes ayant recours aux banques alimentaires refusent les pommes de terre, ne pouvant se permettre la dépense énergétique nécessaire à la longue cuisson de ces dernières.

      Une inflation record en 30 ans
      « C’est incroyablement inquiétant », a expliqué le gérant d’une chaîne de supermarchés low cost sur la BBC. « Nous entendons parler de certains utilisateurs de banques alimentaires qui refusent des produits tels que les pommes de terre et d’autres légumes-racines parce qu’ils n’ont pas les moyens de les faire bouillir », détaille-t-il, parlant de « la crise du coût de la vie » comme du « plus important problème intérieur » au Royaume-Uni.

      Outre-Manche, le coût de la vie continue d’augmenter rapidement, rapporte The Guardian. L’inflation a atteint 6,2 % en février, selon les chiffres de l’Office for National Statistics, une première depuis trente ans. Elle est alimentée par la hausse du coût de l’essence et du diesel et d’un large éventail de produits de nourriture aux jouets et jeux. En 2021, l’inflation spécifique aux produits alimentaires a été de 5,1 % au Royaume-Uni.

      #pauvreté #prix de l’#énergie #spéculation #capitalisme #marché_libre-et_non_faussé #électricité #spéculation #alimentation #banques_alimentaires #pommes_de_terre

  • Life along the bloody border between India and Bangladesh: A photo essay - The Polis Project
    https://www.thepolisproject.com/read/life-along-the-bloody-border-between-india-and-bangladesh-a-photo-e

    In 2010, Human Rights Watch (HRW) published Trigger Happy: Excessive Use of Force by Indian Troops at the Bangladesh Border, a report on the border shared by West Bengal in India and Bangladesh. HRW documented the excessive use of force by the Indian Border Force (BSF) on the people of India and Bangladesh who live on both sides of the international border.

    The BSF is a paramilitary body under the Ministry of Home Affairs of India entrusted to maintain security in the border areas with neighboring countries. The agency is governed by an Act of 1968 which is directly. They have their own internal judiciary and civilian courts are not allowed to pass judgment of any member of BSF. This privilege has contributed to create a climate of impunity against the excesses of the agency members.

    The 2,216 kilometers Bangladesh-India border is one of the longest in the world; it densely populated and people who live along it are divided by country, but have much in common in terms of language and culture. There are 1,062 outposts along the border with smaller posts in between where border guards are on constant alert. These posts are mostly managed by non-Bengali speaking forces, who are unable to communicate with the locals thus often escalating tensions and confrontations. Some parts of the border are more porous and function as a trade route for terrorists, human trafficking and smuggling of weapons, cattle and drugs. In 2013, the Global Post defined this border the worst in the world.

  • Althoff (Zirkus)
    https://de.wikipedia.org/wiki/Althoff_(Zirkus)

    Elefant Tuffi: Am 21. Juli 1950 ließ Zirkus Althoff seinen halbwüchsigen Elefanten Tuffi zu Werbezwecken mit der Wuppertaler Schwebebahn fahren. Bereits nach wenigen Metern Fahrt brach das nervös gewordene Tier durch eine Seitenwand des Zuges aus und landete kaum verletzt in der Wupper. Souvenirs mit Tuffi-Motiven sind bis heute in Wuppertal erhältlich.

    Tuffi
    https://de.wikipedia.org/wiki/Tuffi

    Tuffi (* 1946 in Indien; † 1989 in Paris) war eine asiatische Elefantenkuh des Zirkus Althoff, die am 21. Juli 1950 im Alter von vier Jahren in Wuppertal aus der fahrenden Schwebebahn in die Wupper sprang.
    ...
    Obwohl der Waggon mit Journalisten besetzt und der Elefantentransport ein Medienereignis war, hatte in der allgemeinen Panik niemand den entscheidenden Moment fotografiert. Das bekannte Postkartenmotiv mit dem fallenden Elefanten ist eine Fotomontage.
    ...
    1968 löste sich der Zirkus Althoff auf. Tuffi wechselte mit einer Gruppe von Tieren zum Cirque Alexis Gruss, in deren Pariser Winterquartier sie 1989 verstarb. Anfang der 1990er Jahre kam es noch einmal zu einer Zirkuswerbung in der Schwebebahn, diesmal mit einem Alligator.

    #cirque #photographie #photomontage #animaux #histoire #Allemagne #Wuppertal

  • La #Loire telle qu’elle est
    https://metropolitiques.eu/La-Loire-telle-qu-elle-est.html

    Comment renouveler les représentations établies d’un territoire ? Peut-on montrer un fleuve tel qu’il est ? Dans l’exposition consacrée à son travail au long cours sur la Loire, le photographe Thibaut Cuisset (1958-2017) répond par l’image. Comment photographier la Loire en évitant la tentation du monumental, le piège du romantisme ou même celui de la simple référence iconographique tant la puissance iconique de ce fleuve est partout étincelante dans l’histoire de ses représentations ? Que reste-t-il #Commentaires

    / #paysage, #photographie, #Centre-Val_de_Loire, Loire, #exposition

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_marmiroli.pdf

  • Camping à la ville
    https://visionscarto.net/camping-a-la-ville

    Paris, Strasbourg Camping à la ville En France, « Toute personne sans abri en situation de détresse médicale, psychique ou sociale a accès, à tout moment, à un dispositif d’hébergement d’urgence » (article L 345-2-2 du Code de l’Action sociale et des familles). Voir « L’état du mal-logement » réalisé par la Fondation Abbé-Pierre. Photos : Nepthys Zwer, hiver 2021/2022. #photographie #France (...) #Regards_photographiques

  • UN ARCHIPEL DES SOLIDARITÉS

    « À ceux que les tempêtes politiques, qui menacent nos archipels, continuent de fracasser. À ceux qui ont la puissance solidaire d’affronter ces tempêtes. »
    Cet ouvrage est issu d’un travail de terrain mené en #Grèce entre juillet 2017 et janvier 2020 par la philosophe #Christiane_Vollaire et le photographe #Philippe_Bazin. Il associe #photographie documentaire critique et philosophie de terrain autour de la force vive des #solidarités.
    Un archipel des solidarités présente la puissance des réseaux de solidarité, face à des politiques globales destructrices. Il induit ainsi une réflexion sur « un autre possible politique » et une énergie du commun.

    http://www.editionsloco.com/UN-ARCHIPEL-DES-SOLIDARITES
    #livre #solidarité #commun

    ping @isskein @karine4

  • ImillaSkate: an indigenous Bolivian skateboard collective – photo essay
    https://www.theguardian.com/artanddesign/2022/feb/08/imillaskate-an-indigenous-bolivian-skateboard-collective-photo-essay

    Created by two friends in 2018, the female collective ImillaSkate wear the traditional Bolivia polleras dress associated with the indigenous women of the highland regions as a symbol of resistance


    photo Luisa Dörr
    #photographie #skate #bolivie

    • Et j’apprends que le tube pop Vamos a la playa (1983) correspondait tout à fait à ça…
      https://www.greenroom.fr/106143-vamos-a-la-playa-est-un-morceau-plus-engage-que-ce-que-tu-crois

      Au travers des paroles, le duo décrit une plage qui vient d’être atomisée « Allons à la plage / La bombe a explosé / Les radiations grillent / Et nuancent le bleu ». Moins envie de danser tout à coup. Les paroles continuent pour finir sur cette leçon : « Enfin la mer est propre / Plus de poissons dégoûtants / Sinon une eau fluorescente ». Le clip, malgré son coté kitsch, a l’intention visible de montrer cela avec un filtre légèrement fluo, certes de mauvais goûts, mais essentiel pour appuyer les paroles notamment en terme de radiation. Ce morceau est d’autant plus intéressant car il est sorti en juillet 1983, au moment où la « Guerre Froide » semblait se relancer de plus belle.

  • Liberty
    Universal Chronology of Black Protest
    https://www.omarvictor.com/liberty

    L’histoire des relations entre les sociétés africaines et les puissances occidentales a très tôt été marquée par des privations des libertés fondamentales des populations du continent.

    Celles-ci trouvaient leur justification dans le besoin éprouvé par les puissances dominatrices d’imposer des systèmes leur permettant de légitimer et d’organiser diverses formes d’exploitation du continent et de ses richesses.

    La destinée des sociétés africaines et subséquemment, celle de la diaspora, s’en est trouvé altérée a jamais.


    Trayvon Martin 2012, photo Omar Victor Diop
    #photographie