• Newly Identified Sulphide Zone - #Pian_Bracca

    Recent sampling, mapping and geological interpretation of a new zinc-lead mineralised zone confirms and upgrades the potential of Pian Bracca, within the #Gorno Project area.

    Ils expliquent dans cette vidéo qu’ils ont trouvé une nouvelle zone (sur la base aussi des documents historiques).

    Pian Bracca est ainsi devenu le principal « targer » du projet.

    Depuis janvier 2018 ils ont focalisé leur attention à Pian Bracca :


    Ils se sont concentrés sur cette zone car ils ont trouvé des documents historiques, des cartes et des analyses de forages de l’époque...

    https://vimeo.com/260642501


    #colonna_fontanone #Altamin #vidéo #Alta_zinc
    #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Energia_Minerals #zinc #Gorno_zinc_project

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  • Oltre il Colle, stop all’estrazione di zinco dalle miniere: “Lavorazione a #Zorzone non era prevista”

    Il sindaco Astori: «Vogliamo analizzare con calma e ponderazione pro e contro di questa variante». Venerdì nuovo consiglio straordinario, dove ci saranno anche i vertici della società #Energia_Minerals

    Un “no” per certi versi inatteso, che potrebbe mettere in discussione un progetto che da circa 10 anni la società italo-australiana Energia Minerals porta avanti nelle miniere di #Oltre_il_Colle, chiuse dal 1982.

    Il Comune guidato dal sindaco #Giuseppe_Astori ha infatti rimbalzato la richiesta di rinnovo della concessione mineraria finalizzata all’estrazione della #blenda, materia prima dalla quale, una volta lavorata, si ottiene lo zinco: troppo breve il tempo a disposizione per poter valutare l’ampia documentazione composta da migliaia di pagine arrivata in municipio a inizio dicembre, con l’inevitabile risultato di inviare parere negativo al Ministero della Transizione ecologica.

    Per gli studi, i sondaggi, le prove in loco, la riattivazione del sito minerario Energia Minerals ha già investito oltre 16 milioni di euro per un progetto che complessivamente prevede stanziamenti per 350 milioni e la creazione di 250 posti di lavoro.

    Progetto che, però, ha avuto una variazione rispetto a quanto preventivato anni fa: le 7 milioni di tonnellate che la società pensa di poter estrarre nel giro di 10 anni originariamente avrebbero dovuto essere lavorate nell’ex laveria di Riso di Gorno, mentre nei documenti arrivati in Comune si parla dei capannoni dell’ex Serbaplast di Zorzone di Oltre il Colle.

    Una modifica che ha fatto scattare il campanello d’allarme all’interno della giunta del sindaco Astori, che prima di dare il proprio benestare avrebbe voluto valutare con maggiore attenzione tutti gli aspetti di tale scelta, in ottica ambientale e di salute in primis.

    Ma lo stop al progetto ha suscitato reazioni immediate anche nei vicini di casa di Oneta.

    A sollevare la questione, in particolare, è stato Alex Airoldi, capogruppo di minoranza di Impegno Popolare per l’Italia, che in una nota ha espresso tutta la propria perplessità: “Il diniego parte dal fatto che prima la lavorazione che vedeva invece la disponibilità del comune di Oltre il Colle, sarebbe dovuta avvenire alla ex laveria di Riso, mentre invece oggi la società chiede che la stessa avvenga a Zorzone per risparmi di tempo ed economici – sottolinea – Andava bene estrarre se la lavorazione fosse avvenuta fuori dai propri confini comunali? Premettendo che la società avrebbe messo tutto in sicurezza e limitato ogni rumore della lavorazione, che benefici avrebbero avuto i residenti di Gorno ed Oneta, comuni cioè a ridosso della lavorazione? Riconoscendo certamente l’autonomia territoriale di ogni realtà, credo e ritengo che però, a fronte di scelte che intaccano ed interessano più paesi limitrofi, si dovrebbe avviare un tavolo comune di riflessione, ragionare certamente su ogni aspetto, ma cercare di coinvolgere tutti gli attori in carica. È doveroso capire meglio cosa possa comportare la lavorazione, cosa che mi sarei aspettato avvenisse anche se fosse rimasta la scelta di Riso, ma in un momento storico come il nostro, rifiutare 250 nuovi posti di lavoro non può essere scelta presa con facilità. È opportuno che vengano chiariti vantaggi e svantaggi del progetto, ma chiedo che per trasparenza e dialogo Oltre il Colle avvii un tavolo di confronto coi Comuni vicini Gorno ed Oneta, auspicando inoltre che in caso di autorizzazione, anche le altre realtà possano averne vantaggi economici e lavorativi”.

    Il tema è caldissimo e la partita non è di certo finita: su richiesta anche della minoranza venerdì 11 febbraio alle 20 è stato convocato a Oltre il Colle un altro consiglio comunale straordinario che avrà come ordine del giorno “Espressione parere in merito al rinnovo della concessione mineraria denominata ‘Monica’ richiesto da Energia Minerals Italia Srl”, i cui vertici saranno presenti alla seduta.

    “Faremo il punto della situazione, per evidenziare pro e contro dell’iniziativa legata a quella che a tutti gli effetti è una variante – spiega con precisione il sindaco Astori – Non siamo mai entrati nel merito del ‘miniera sì’ o ‘miniera no’, anche perchè quella è una questione antecedente il nostro arrivo. Qui si tratta di voler analizzare le cose con calma e ponderazione: poi chi di dovere darà le risposte che attendiamo. Niente vieta che, al termine delle necessarie verifiche, si possa anche arrivare a dare l’ok per la lavorazione a Zorzone, dove chiede la società. Il confronto coi Comuni vicini? Lo abbiamo avuto con Gorno, l’unico altro interessato dal progetto che, a quanto ci risulta, viaggerà tutto in sotterranea (dal sito di estrazione e lavorazione fino, appunto, a Gorno tramite dei tunnel ndr)”.

    https://www.bergamonews.it/2022/02/08/oltre-il-colle-stop-allestrazione-di-zinco-dalle-miniere-lavorazione-a-zorzone-non-era-prevista/493033

    #extractivisme #Italie #mines #zinc #Alpes #montagnes #Sphalérite #Serbaplast #Oneta #Alex_Airoldi #résistance #Gorno #Monica

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  • #Altamin

    MINING IN ITALY

    #Altamin_Limited is an ASX-listed mineral company focussed on base and battery metal exploration and brownfield mine development in Italy, with two 100% owned mineral projects and two under licence application.

    The Company’s #Gorno_Zinc_Project in the Lombardy region of northern Italy, is an advanced, historic mine with well-defined mineralisation. The #Gorno_Project benefits from strong local support, excellent metallurgy and established infrastructure. Up until 1980, the #Gorno underground #zinc was owned by #SAMIM (a state-owned company and part of #ENI) and then the unilateral decision was made to close all SAMIM owned metal mining in Italy to focus solely on oil and gas, despite there being defined mineral reserves remaining.

    The #Punta_Corna_Project in Piedmont, Italy, historically mined for cobalt, nickel, copper and silver, is an active exploration project with outcropping mineralisation, a historical bulk sample grading 0.6-0.7% Co, plus Ni, Cu, Ag and a drilling program outlined pending permit renewal Alta’s recent sampling has returned high-grade assays over >2km strike length from multiple sub-parallel veins, with good potential for further mineralised vein discovery and significant depth extension.

    In addition, Altamin has lodged applications over #Monte_Bianco and #Corchia, the two most significant copper, cobalt and manganese-rich historical mining districts in Italy.

    https://www.altamin.com.au
    #Australie #Italie #extractivisme #mine #cobalt #terres_rares #manganèse #cuivre

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    Sur le projet d’exploitation du cobalt d’Altamin à #Balme (#Barmes) dans le #Piémont :
    Alla ricerca del cobalto sulle Alpi
    https://seenthis.net/messages/1013263

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  • Alla ricerca del cobalto sulle Alpi

    È un elemento importante per la realizzazione delle batterie delle auto elettriche. Il cobalto viene estratto però soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, una realtà travolta dalla corruzione e instabile dal punto di vista militare e politico. Per “aggirare” la possibile penuria della fornitura di un componente essenziale dello sviluppo di una economia realizzata con fonti rinnovabili, le nazioni post-industriali e industrializzate cercano il Cobalto altrove, in territori guidati da governi più stabili e dove è più solida la certezza del diritto.

    Vecchie miniere di cobalto dismesse perché poco remunerative tornano improvvisamente interessanti. Una di queste è situata tra Torino e il confine con la Francia, ancora in territorio piemontese.

    Tra la necessità di tutelare l’ambiente e l’opportunità economica offerta, istituzioni e popolazione si interrogano sul presente e il futuro del territorio interessato dal possibile nuovo sviluppo minerario.

    https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Alla-ricerca-del-cobalto-sulle-Alpi-16169557.html?f=podcast-shows

    #extractivisme #Alpes #cobalt #Piémont #Italie #terres_rares #Balme #Altamin #Barmes #Punta_Corna #Valli_di_Lanzo #mines #exploitation #peur #résistance #Berceto #Sestri_Levante #lithium #souveraineté_extractive #green-washing #green_mining #extraction_verte #transition_énergétique #NIMBY #Usseglio #Ussel

    Le chercheur #Alberto_Valz_Gris (https://www.polito.it/en/staff?p=alberto.valzgris) parle de la stratégie de l’Union européenne pour les #matières_premières_critiques :
    #Matières_premières_critiques : garantir des #chaînes_d'approvisionnement sûres et durables pour l’avenir écologique et numérique de l’UE
    https://seenthis.net/messages/1013265

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    • Caccia al cobalto sulle Alpi piemontesi

      Viaggio in provincia di Torino dove una multinazionale ha nel mirino la creazione di una miniera destinata ad alimentare le nuove batterie per i veicoli elettrici.

      Il boom delle auto elettriche trascina la ricerca mineraria in Europa. Noi siamo stati in Piemonte dove una società australiana spera di aprire una miniera di cobalto, uno dei metalli indispensabili per produrre le più moderne batterie. Il progetto è ancora in una fase preliminare. Non si vede nulla di concreto, per ora. Ma se siamo qui è perché quanto sta accadendo in questa terra alpina apre tutta una serie d’interrogativi su quella che – non senza contraddizioni – è stata definita “transizione ecologica”.

      Balme, alta #Val_d’Ala, Piemonte. Attorno a noi i boschi sono colorati dall’autunno mentre, più in alto, le tonalità del grigio tratteggiano le cime che si estendono fino in Francia. Un luogo magico, non toccato dal turismo di massa, ma apprezzato dagli appassionati di montagna. Tutto potrebbe però cambiare. Nelle viscere di queste rocce si nasconde un tesoro che potrebbe scombussolare questa bellezza: il cobalto. La società australiana Altamin vuole procedere a delle esplorazioni minerarie sui due versanti della Punta Corna. Obiettivo: sondare il sottosuolo in vista di aprire una miniera da cui estrarre questa materia prima sempre più strategica. Il cobalto è infatti un minerale indispensabile per la fabbricazione delle batterie destinate alle auto elettriche o ad immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Tecnologie dette verdi, ma che hanno un lato grigio: l’estrazione mineraria.

      Oggi, circa il 70% del cobalto mondiale proviene dalla Repubblica democratica del Congo (Rdc), dove la corsa a questo metallo, guidata dalla Cina, alimenta la corruzione e genera grossi problemi sociali e ambientali. Di recente, un po’ in tutta Europa, si sta sempre più sondando il terreno in cerca di nuovi filoni che potrebbero ridurre la dipendenza dall’estero di questo ed altri minerali classificati dall’Ue come “critici”. Ecco quindi che queste valli piemontesi sono diventate terreno di caccia di imprese che hanno fiutato il nuovo business. Siamo così partiti anche noi in questa regione. Alla ricerca del cobalto e all’ascolto delle voci da un territorio che – suo malgrado – si trova oggi al centro della nuova corsa mondiale all’accaparramento delle risorse.

      Balme dice no

      «Siamo totalmente contrari. In primis perché non siamo stati coinvolti in nessun tipo di dialogo. Siamo poi convinti che l’estrazione di minerali non sia l’attività adatta per lo sviluppo del nostro territorio». #Gianni_Castagneri è il sindaco di Balme, 110 abitanti, uno dei comuni su cui pende una domanda di ricerca da parte di Altamin. Il primo cittadino ci accoglie nella piccola casa comunale adiacente alla chiesa. È un appassionato di cultura e storia locale e autore di diversi libri. Con dovizia di particolari, ci spiega che anticamente queste erano terre di miniera: «Un po’ tutti i paesi della zona sono sorti grazie allo sfruttamento del ferro. Già nel Settecento, però, veniva estratto del cobalto, il cui pigmento blu era utilizzato per la colorazione di tessuti e ceramiche».

      Dopo quasi un secolo in cui l’attività mineraria è stata abbandonata, qualche anno fa è sbarcata Altamin che ha chiesto e ottenuto i permessi di esplorazione. Secondo le stime della società i giacimenti a ridosso della Punta Corna sarebbero comparabili a quello di Bou Azzer, in Marocco, uno dei più ricchi al mondo di cobalto. «Andando in porto l’intero progetto di Punta Corna si avrà una miniera europea senza precedenti» ha dichiarato un dirigente della società. Affermazione che, qui a Balme, ha suscitato molta preoccupazione.

      Siamo in un piccolo comune alpino, la cui unica attività industriale è l’imbottigliamento d’acqua minerale e un birrificio. Al nostro incontro si aggiungono anche i consiglieri comunali Guido Rocci e Tessiore Umbro. Entrambi sono uomini di montagna, attivi nel turismo. Entrambi sono preoccupati: «Siamo colti alla sprovvista, cerchiamo “cobalto” su Internet ed escono solo cose negative, ma abbiamo come l’impressione che la nostra voce non conti proprio nulla».

      Sul tavolo compare una delibera con cui il Comune ha dichiarato la propria contrarietà «a qualsiasi pratica di ricerca e coltivazione mineraria». Le amministrazioni degli ultimi anni hanno orientato lo sviluppo della valle soprattutto verso un turismo sostenibile, vietando ad esempio le attività di eliski: «Noi pensiamo ad un turismo lento – conclude il sindaco – la montagna che proponiamo è aspra, poco adatta allo sfruttamento sciistico in senso moderno. Questa nostra visione ha contribuito in positivo all’economia del villaggio e alla sua preservazione. Ci sembra anacronistico tornare al Medioevo con lo sfruttamento minerario delle nostre montagne».

      Australiani alla conquista

      «Lo sviluppo della mobilità elettrica ha spinto le richieste di permessi di ricerca in Piemonte» ci spiega al telefono un funzionario del settore Polizia mineraria, Cave e Miniere della regione Piemonte. Si tratta dell’ente che, a livello regionale, rilascia le prime autorizzazioni. L’uomo, che preferisce non essere citato, ci dice che per il momento è troppo presto per «creare allarmismi o entusiasmi», ma conferma che, in Piemonte, sono state richieste altre autorizzazioni: «Oltre a Punta Corna, si fanno ricerche in Valsesia e verso la Val d’Ossola» conclude il funzionario. Proprio in Valsesia un’altra società australiana, del gruppo Alligator Energy, ha comunicato di recente di avere iniziato i lavori per un nuovo sondaggio. La zona è definita dall’azienda «ad alto potenziale».

      L’argomento principale delle società minerarie è uno: la necessità di creare una catena di valore delle batterie in Europa: «Punta Corna è centrale per la strategia di Altamin […] e beneficerà della spinta dell’Ue per garantire fonti pulite e locali di metalli nonché degli investimenti industriali europei negli impianti di produzione di veicoli elettrici e batterie» si legge in un recente documento destinato agli azionisti. Altamin ricorda come, in prospettiva, l’operazione genererebbe una sinergia produttiva col progetto Italvolt dell’imprenditore svedese Lars Calstrom. L’uomo vuole costruire una nuova grande fabbrica di batterie ad alta capacità presso gli ex stabilimenti Olivetti nella vicina Ivrea.

      Altamin, così come altre società attive nel ramo, non è un gigante minerario. Si tratta di una giovane società capitalizzata alla borsa di Sidney che ha puntato sull’Italia per tentare il colpaccio. Ossia trovare un filone minerario potenzialmente sfruttabile e redditizio, considerato anche l’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto dei metalli da batteria. Oltre al progetto piemontese, l’azienda è attiva in altre zone d’Italia: in Lombardia ha un progetto di estrazione di zinco, mentre ha presentato domande anche in Liguria, Emilia-Romagna e Lazio. Qui, nell’antica caldera vulcanica del Lago di Bracciano, Altamin e un’altra società australiana, #Vulcan_Energy_Resources, hanno ottenuto delle licenze per cercare del litio, un altro metallo strategico. «L’idea che si sta portando avanti è quella di rivedere vecchi siti minerari anche alla luce delle nuove tecnologie e della risalita del prezzo dei metalli» spiegano da Altamin. Il tutto in uno scenario internazionale, in particolar modo europeo, in cui si cerca di ridurre la dipendenza delle importazioni dall’estero. Questo a loro dire avrebbe molti vantaggi: «Estrarre cobalto qui ridurrebbe al minimo i problemi etici e logistici che si riscontrano attualmente con la maggior parte delle forniture provenienti dalla Rdc». Ma non tutti la pensano così.

      Lo sguardo del geografo

      A Torino, il Politecnico ha sede presso il Castello del Valentino, antica residenza sabauda situata sulla riva del Po. Qui incontriamo il geografo e assegnista di ricerca Alberto Valz Gris che di recente ha messo in luce diverse ombre del progetto Punta Corna e, in generale, dell’impatto della corsa ai minerali critici sulle comunità locali. Per la sua tesi di dottorato, Valz Gris ha studiato le conseguenze socio-ambientali causate dall’estrazione del litio nella regione di Atacama tra Argentina e Cile. Rientrato dal Sudamerica, lo studioso è venuto a conoscenza del progetto minerario a Punta Corna, a due passi da casa, nel “giardino dei torinesi”. Il ricercatore ha così deciso di mettere in evidenza alcune contraddizioni di questa tanto decantata transizione ecologica: «Il cobalto o il litio sono associati a una retorica di sostenibilità in quanto indispensabili alle batterie. In realtà, per come è stata organizzata, questa transizione ecologica, continua a implicare un’estrazione massiva di risorse naturali non rinnovabili e, quindi, il moltiplicarsi di siti estrattivi altamente inquinanti. Ciò non mi sembra molto ecologico».

      In questo senso il ritorno dell’estrazione mineraria su grande scala in Europa non è proprio una buona notizia: «L’estrattivismo non ha mai portato sviluppo e la materialità di questa dinamica investirà in particolare le aree di montagna. Per cui ho forti dubbi sulle promesse su cui si fondano tutti i progetti come quello di Punta Corna, e cioè che accettare il danno ecologico e paesaggistico portato dall’estrazione mineraria si traduca in sviluppo sociale ed economico per chi abita quei territori». Per Alberto Valz Gris, però, opporsi alle miniere europee non significa giustificare l’appropriazione di risorse in altri posti del mondo: «Dobbiamo immaginare alternative tecniche ed economiche che siano realmente al servizio dell’emergenza climatica, per esempio investendo nel riciclo delle risorse già in circolo nel sistema industriale in modo da ridurre al minimo la pressione antropica sugli ecosistemi». Il problema ruota attorno al fatto che «estrarre nuove materie prime dalle viscere della Terra è ad oggi molto meno costoso che non impegnarsi effettivamente nel riciclare quelle già in circolo»; questo vantaggio economico che «impedisce lo sviluppo di una vera economia circolare» è falsato poiché «non vengono mai calcolati i costi sociali e ambientali legati all’estrazione delle materie prime».

      Gli “sherpa” di Altamin

      Usseglio, alta Valle di Viù, Piemonte. Siamo di nuovo in quota, questa volta sul versante Sud della Punta Corna. Anche qui il territorio vive perlopiù di turismo e può contare su una centrale idroelettrica che capta l’acqua dal bacino artificiale più alto d’Europa. Su queste montagne, oltre i 2.500 metri, Altamin ha ottenuto di recente la possibilità di estendere i carotaggi in profondità. I lavori dovrebbero iniziare la primavera prossima. Ciò che non sembra preoccupare il sindaco Pier Mario Grosso: «Pare che ci sia una vena molto interessante, ma per capire se si potrà sfruttarla occorrono altri sondaggi».

      Il primo cittadino ci accoglie nel suo ufficio e ci mostra una cartina appesa alle pareti su cui si legge “miniere di cobalto”: «Erano le vecchie miniere poi abbandonate e su cui ora Altamin vuole fare delle ricerche perché il cobalto è il metallo del futuro». A Usseglio, l’approccio del comune è diverso rispetto a Balme. #Pier_Mario_Grosso è un imprenditore che vende tende e verande in piano. Per lui il progetto di Altamin potrebbe creare sviluppo in valle: «Questa attività porterà senz’altro benefici alla popolazione e aiuterà a combattere lo spopolamento. Sono quindi tendenzialmente favorevole al progetto, a patto che crei posti di lavoro e non sia dannoso per l’ambiente».

      Salutiamo il sindaco e saliamo fino alla frazione di #Margone dove abbiamo appuntamento per visitare un piccolo museo dei minerali. Qui incontriamo #Domenico_Bertino e #Claudio_Balagna, due appassionati mineralogisti che gestiscono questa bella realtà museale. Nelle bacheche scopriamo alcune perle delle #Alpi_Graie, come gli epidoti e la #Lavoisierite, un minerale unico al mondo scovato nella zona. Appese ai muri ci sono delle splendide mappe minerarie dell’800 trovate negli archivi di Stato di Torino. E poi c’è lui, il cobalto. Finalmente lo abbiamo trovato: «È in questa pietra che si chiama #Skutterudite e il cobalto sono questi triangolini di colore metallico, anche se in molti pensano che sia blu» ci spiegano i due ricercatori. Eccolo qui, il minerale strategico tanto agognato che oggi vale circa 52.000 dollari la tonnellata.

      Possiamo osservarlo nei minimi dettagli su un grande schermo collegato ad uno stereoscopio. Sul muro a lato un cartello sovrasta la nuova strumentazione: «Donazione da parte di Altamin». Tra il museo e la società vi è infatti un legame. Più volte, Domenico e Claudio hanno accompagnato in quota i geologi di Altamin a cercare gli ingressi delle vecchie miniere. Sherpa locali di una società che altrimenti non saprebbe muoversi tra gli alti valloni di queste montagne poco frequentate. Non c’è timore nell’ammetterlo e i due, uomini di roccia e legati nell’intimo a questo territorio, non sembrano allarmati: «Noi siamo una sorta di guardiani. Abbiamo ricevuto delle rassicurazioni e l’estrazione, se mai ci sarà, avverrà in galleria e sarà sottoposta a dei controlli. In passato abbiamo avuto le dighe che hanno portato lavoro, ma ora qui non c’è più nessuno e la miniera potrebbe essere una speranza di riportare vita in valle».

      Usseglio fuori stagione è affascinante, ma desolatamente vuota. Le poche persone che abbiamo incontrato in giro erano a un funerale. Il terzo nelle ultime settimane, il che ha fatto scendere il numero di abitanti sotto i duecento. Ma siamo sicuri che una miniera risolverà tutti i problemi di questa realtà montana? E se l’estrattivismo industriale farà planare anche qui la “maledizione delle risorse”? Torniamo a casa pieni di interrogativi a cui non riusciamo ancora a dare risposta. Nel 2023, dopo lo scioglimento delle nevi (sempre se nevicherà) Altamin inizierà i carotaggi in quota. Scopriremo allora se l’operazione Punta Corna avrà un seguito o se franerà nell’oblio. La certezza è che in Piemonte, come del resto in Europa e nel mondo, la caccia grossa a questi nuovi metalli critici continuerà.

      https://www.areaonline.ch/Caccia-al-cobalto-sulle-Alpi-piemontesi-2654a100

  • Pause #pipi (1/4)

    « Tu fais encore pipi au lit mais t’as déjà intériorisé qu’il y a des toilettes pour les filles et pour les garçons »

    « Ah si je pouvais faire pipi debout ! » Quelle personne dotée d’une vulve n’a pas eu, ce ne serait-ce qu’une seule, fois cette pensée traverser son esprit ? Position privilégiée ou imposée, dominante ou enfermante ? Et la lunette, levée ou baissée ? Geste anodin ou subi au quotidien ? Qu’est-ce qu’est-ce que ces positions aux toilettes déterminent de notre position dans la société ? C’est le début d’une enquête décalée et documentée. Pour commencer, remontons à la petite enfance. Tandis que les toilettes non mixtes et les urinoirs font leur entrée à l’école élémentaire, les codes genrés s’assimilent goutte après goutte...

    Pause pipi
    Chaque jour, nous évacuons en moyenne 1,5 à 2 litres d’urine - soit, dans une vie, l’équivalent d’un camion-citerne par personne ! Faire pipi, est si universel et quotidien, que nous en oublions de questionner ce qui se joue derrière chaque miction : un rapport à son propre corps, à son identité et au monde. Avec malice, Julie Auzou ausculte notre époque par la lunette (relevée ou non, là est la question) en mêlant témoignages de proches, d’une sociologue-géographe, d’un photographe et de personnes rencontrées au fil de ses recherches. Chez soi, dans son lit, à l’école, en manif, dans les bars ou en festival : de l’intimité la plus secrète aux mouvements les plus collectifs, qu’est-ce que l’acte d’uriner révèle de nos rapports de genre ? Une production ARTE Radio.

    https://www.arteradio.com/son/61678850/pause_pipi_1_4
    #podcast #audio #genre #filles #garçons #toilettes #intériorisation #pipi_debout #position #enfants

  • Piemonte, corsa alle nuove miniere : da #Usseglio al Pinerolese si cercano nichel, cobalto, grafite e litio

    Scatta la corsa alle terre rare: la Regione deve vagliare le richieste delle multinazionali su una decina di siti

    Nei prossimi anni il Piemonte potrebbe trasformarsi in una grande miniera per soddisfare le esigenze legate alla costruzione degli apparecchi digitali e all’automotive elettrico. È un futuro fatto di cobalto, titanio, litio, nichel, platino e associati. E non mancano nemmeno oro e argento. Un grande business, infatti oggi si parla di «forti interessi» di aziende estrattive nazionali e straniere. Anche perché la Commissione Europea ha stabilito che «almeno il 10% del consumo di materie prime strategiche fondamentali per la transizione green e per le nuove tecnologie dovrebbe essere estratto nell’Ue, il 15% del consumo annuo di ciascuna materia prima critica dovrebbe provenire dal riciclaggio e almeno il 40% dovrebbe essere raffinato in Europa». In questo contesto il Piemonte è considerato un territorio strategico. Anche perché l’anno scorso il mondo ha estratto 280mila tonnellate di terre rare, circa 32 volte di più rispetto alla metà degli anni 50. E la domanda non farà che aumentare: entro il 2040, stimano gli esperti, avremo bisogno di sette volte più terre rare rispetto a oggi. Quindi potrebbero essere necessarie più di 300 nuove miniere nel prossimo decennio per soddisfare la domanda di veicoli elettrici e batterie di accumulo di energia, secondo lo studio condotto da Benchmark Mineral Intelligence.

    «Al momento abbiamo nove permessi di ricerca in corso, ma si tratta di campionature in superficie o all’interno di galleria già esistenti, come è avvenuto a Punta Corna, sulle montagne di Usseglio – analizza Edoardo Guerrini, il responsabile del settore polizia mineraria, cave e miniere della Regione -. C’è poi in istruttoria di via al ministero dell’Ambiente un permesso per la ricerca di grafite nella zona della Val Chisone». Si tratta di un’area immensa di quasi 6500 ettari si estende sui comuni di Perrero, Pomaretto, San Germano Chisone, Perosa Argentina, Pinasca, Villar Perosa, Pramollo, Roure e Inverso Pinasca che interessa all’australiana Energia Minerals (ramo della multinazionale Altamin). E un’altra società creata da Altamin, la Strategic Minerals Italia, nella primavera prossima, sulle montagne di Usseglio, se non ci saranno intoppi, potrà partire con le operazioni per 32 carotaggi nel Vallone del Servin con una profondità variabile da 150 a 250 metri. Altri 25 sondaggi verranno invece effettuati nel sito di Santa Barbara, ma saranno meno profondi. E, ovviamente, ambientalisti e amanti della montagna, hanno già espresso tutti i loro timori perché temono uno stravolgimento del territorio. «Nelle settimane scorse ho anche ricevuto i rappresentati di una società svedese interessati ad avviare degli studi di valutazione in tutto il Piemonte con l’obiettivo di estrarre minerali – continua Guerrini – anche perché l’Unione Europea spinge per la ricerca di materie prime indispensabili per la conversione ecologica e quindi l’autosufficienza energetica».

    È la storia che ritorna anche perché il Piemonte è stata sempre una terra di estrazione. Basti pensare che, solo nel Torinese, la cavi attive «normali» sono 66. E ora, a parte Usseglio e il Pinerolese, ci sono richieste per cercare nichel in Valle Anzasca, rame, platino e affini nel Verbano Cusio Ossola, dove esiste ancora una concessione non utilizzata per cercare oro a Ceppo Morelli nella Val d’Ossola (anche se il giacimento più sfruttato per l’oro è sempre stato quello del massiccio del Rosa) e la richiesta di poter coltivare il boro nella zona di Ormea. E pensare che, dal 2013 al 2022, le aziende che si occupano di estrazione di minerali da cave e miniere in Piemonte sono scese da 265 a 195. «Il settore estrattivo continua a essere fonte di occupazione – riflette l’assessore regionale Andrea Tronzano -. Con il piano regionale in via di definizione vogliamo dare certezze agli imprenditori e migliorare l’attuale regolamentazione in modo che ci siano certezze ambientali e più facilità nel lavorare. Le miniere su materie prime critiche sono oggetto di grande attenzione e noi vorremmo riattivare le nostre potenzialità come ci chiede la Ue. Ci stiamo lavorando con rispetto per tutti, anche perché qui non siamo nè in Cina nè in Congo. Vedremo le aziende che hanno chiesto di fare i carotaggi che cosa decideranno. Noi le ascolteremo».

    https://www.lastampa.it/torino/2023/08/06/news/piemonte_nuove_miniere_usseglio_nichel_cobalto-12984408

    #extractivisme #Italie #mines #nickel #cobalt #graphite #lithium #Alpes #montagnes #Piémont #Pinerolo #terres_rares #multinationales #transition_énergétique #Punta_Corna #Val_Chisone #Energia_Minerals #Altamin #Strategic_Minerals_Italia #Vallone_del_Servin #Santa_Barbara #Valle_Anzasca #Verbano_Cusio_Ossola #cuivre #platine #Ceppo_Morelli #Val_d'Ossola #or #Ormea

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  • Atlas der Abwesenheit
    Kameruns Kulturerbe in Deutschland

    Une somme énorme de savoir sur les pillages allemands, les cruelles expéditions punitives et les « butins », etc...

    Le livre en format livre est enfin arrivé en Norvège, 520 pages en format 25 x 25. C’est en Allemand, et je sais qu’il y a des germanophones ici qui seront peut-être intéressés, j’en ai deux copies en plus que j’offre très volontiers à celles et ceux qui le demanderont ! (les premièr·es arrivés seront les premiers servis) !

  • La #géographie, c’est de droite ?

    En pleine torpeur estivale, les géographes #Aurélien_Delpirou et #Martin_Vanier publient une tribune dans Le Monde pour rappeler à l’ordre #Thomas_Piketty. Sur son blog, celui-ci aurait commis de coupables approximations dans un billet sur les inégalités territoriales. Hypothèse : la querelle de chiffres soulève surtout la question du rôle des sciences sociales. (Manouk Borzakian)

    Il y a des noms qu’il ne faut pas prononcer à la légère, comme Beetlejuice. Plus dangereux encore, l’usage des mots espace, spatialité et territoire : les dégainer dans le cyberespace public nécessite de soigneusement peser le pour et le contre. Au risque de voir surgir, tel un esprit maléfique réveillé par mégarde dans une vieille maison hantée, pour les plus chanceux un tweet ironique ou, pour les âmes maudites, une tribune dans Libération ou Le Monde signée Michel Lussault et/ou Jacques Lévy, gardiens du temple de la vraie géographie qui pense et se pense.

    Inconscient de ces dangers, Thomas Piketty s’est fendu, le 11 juillet, d’un billet de blog sur les #inégalités_territoriales (https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2023/07/11/la-france-et-ses-fractures-territoriales). L’économiste médiatique y défend deux idées. Premièrement, les inégalités territoriales se sont creusées en #France depuis une génération, phénomène paradoxalement (?) renforcé par les mécanismes de #redistribution. Deuxièmement, les #banlieues qui s’embrasent depuis la mort de Nahel Merzouk ont beaucoup en commun avec les #petites_villes et #villages souffrant de #relégation_sociospatiale – même si les défis à relever varient selon les contextes. De ces deux prémisses découle une conclusion importante : il incombe à la #gauche de rassembler politiquement ces deux ensembles, dont les raisons objectives de s’allier l’emportent sur les différences.

    À l’appui de son raisonnement, le fondateur de l’École d’économie de Paris apporte quelques données macroéconomiques : le PIB par habitant à l’échelle départementale, les prix de l’immobilier à l’échelle des communes et, au niveau communal encore, le revenu moyen. C’est un peu court, mais c’est un billet de blog de quelques centaines de mots, pas une thèse de doctorat.

    Sus aux #amalgames

    Quelques jours après la publication de ce billet, Le Monde publie une tribune assassine signée Aurélien Delpirou et Martin Vanier, respectivement Maître de conférences et Professeur à l’École d’urbanisme de Paris – et membre, pour le second, d’ACADIE, cabinet de conseil qui se propose d’« écrire les territoires » et de « dessiner la chose publique ». Point important, les deux géographes n’attaquent pas leur collègue économiste, au nom de leur expertise disciplinaire, sur sa supposée ignorance des questions territoriales. Ils lui reprochent le manque de rigueur de sa démonstration.

    Principale faiblesse dénoncée, les #données, trop superficielles, ne permettraient pas de conclusions claires ni assurées. Voire, elles mèneraient à des contresens. 1) Thomas Piketty s’arrête sur les valeurs extrêmes – les plus riches et les plus pauvres – et ignore les cas intermédiaires. 2) Il mélange inégalités productives (le #PIB) et sociales (le #revenu). 3) Il ne propose pas de comparaison internationale, occultant que la France est « l’un des pays de l’OCDE où les contrastes régionaux sont le moins prononcés » (si c’est pire ailleurs, c’est que ce n’est pas si mal chez nous).

    Plus grave, les géographes accusent l’économiste de pratiquer des amalgames hâtifs, sa « vue d’avion » effaçant les subtilités et la diversité des #inégalités_sociospatiales. Il s’agit, c’est le principal angle d’attaque, de disqualifier le propos de #Piketty au nom de la #complexité du réel. Et d’affirmer : les choses sont moins simples qu’il n’y paraît, les exceptions abondent et toute tentative de catégoriser le réel flirte avec la #simplification abusive.

    La droite applaudit bruyamment, par le biais de ses brigades de twittos partageant l’article à tour de bras et annonçant l’exécution scientifique de l’économiste star. Mais alors, la géographie serait-elle de droite ? Étudier l’espace serait-il gage de tendances réactionnaires, comme l’ont laissé entendre plusieurs générations d’historiens et, moins directement mais sans pitié, un sociologue célèbre et lui aussi très médiatisé ?

    Pensée bourgeoise et pensée critique

    D’abord, on comprend les deux géographes redresseurs de torts. Il y a mille et une raisons, à commencer par le mode de fonctionnement de la télévision (format, durée des débats, modalité de sélection des personnalités invitées sur les plateaux, etc.), de clouer au pilori les scientifiques surmédiatisés, qui donnent à qui veut l’entendre leur avis sur tout et n’importe quoi, sans se soucier de sortir de leur champ de compétence. On pourrait même imaginer une mesure de salubrité publique : à partir d’un certain nombre de passages à la télévision, disons trois par an, tout économiste, philosophe, politologue ou autre spécialiste des sciences cognitives devrait se soumettre à une cérémonie publique de passage au goudron et aux plumes pour expier son attitude narcissique et, partant, en contradiction flagrante avec les règles de base de la production scientifique.

    Mais cette charge contre le texte de Thomas Piketty – au-delà d’un débat chiffré impossible à trancher ici – donne surtout le sentiment de relever d’une certaine vision de la #recherche. Aurélien Delpirou et Martin Vanier invoquent la rigueur intellectuelle – indispensable, aucun doute, même si la tentation est grande de les accuser de couper les cheveux en quatre – pour reléguer les #sciences_sociales à leur supposée #neutralité. Géographes, économistes ou sociologues seraient là pour fournir des données, éventuellement quelques théories, le cas échéant pour prodiguer des conseils techniques à la puissance publique. Mais, au nom de leur nécessaire neutralité, pas pour intervenir dans le débat politique – au sens où la politique ne se résume pas à des choix stratégiques, d’aménagement par exemple.

    Cette posture ne va pas de soi. En 1937, #Max_Horkheimer propose, dans un article clé, une distinction entre « #théorie_traditionnelle » et « #théorie_critique ». Le fondateur, avec #Theodor_Adorno, de l’#École_de_Francfort, y récuse l’idée cartésienne d’une science sociale détachée de son contexte et fermée sur elle-même. Contre cette « fausse conscience » du « savant bourgeois de l’ère libérale », le philosophe allemand défend une science sociale « critique », c’est-à-dire un outil au service de la transformation sociale et de l’émancipation humaine. L’une et l’autre passent par la #critique de l’ordre établi, dont il faut sans cesse rappeler la contingence : d’autres formes de société, guidées par la #raison, sont souhaitables et possibles.

    Quarante ans plus tard, #David_Harvey adopte une posture similaire. Lors d’une conférence donnée en 1978 – Nicolas Vieillecazes l’évoque dans sa préface à Géographie de la domination –, le géographe britannique se démarque de la géographie « bourgeoise ». Il reproche à cette dernière de ne pas relier les parties (les cas particuliers étudiés) au tout (le fonctionnement de la société capitaliste) ; et de nier que la position sociohistorique d’un chercheur ou d’une chercheuse informe inévitablement sa pensée, nécessitant un effort constant d’auto-questionnement. Ouf, ce n’est donc pas la géographie qui est de droite, pas plus que la chimie ou la pétanque.

    Neutralité vs #objectivité

    Il y a un pas, qu’on ne franchira pas, avant de voir en Thomas Piketty un héritier de l’École de Francfort. Mais son texte a le mérite d’assumer l’entrelacement du scientifique – tenter de mesurer les inégalités et objectiver leur potentielle creusement – et du politique – relever collectivement le défi de ces injustices, en particulier sur le plan de la #stratégie_politique.

    S’il est évident que la discussion sur les bonnes et les mauvaises manières de mesurer les #inégalités, territoriales ou autres, doit avoir lieu en confrontant des données aussi fines et rigoureuses que possible, ce n’est pas manquer d’objectivité que de revendiquer un agenda politique. On peut même, avec Boaventura de Sousa Santos, opposer neutralité et objectivité. Le sociologue portugais, pour des raisons proches de celles d’Horkheimer, voit dans la neutralité en sciences sociales une #illusion – une illusion dangereuse, car être conscient de ses biais éventuels reste le seul moyen de les limiter. Mais cela n’empêche en rien l’objectivité, c’est-à-dire l’application scrupuleuse de #méthodes_scientifiques à un objet de recherche – dans le recueil des données, leur traitement et leur interprétation.

    En reprochant à Thomas Piketty sa #superficialité, en parlant d’un débat pris « en otage », en dénonçant une prétendue « bien-pensance de l’indignation », Aurélien Delpirou et Martin Vanier désignent l’arbre de la #rigueur_intellectuelle pour ne pas voir la forêt des problèmes – socioéconomiques, mais aussi urbanistiques – menant à l’embrasement de banlieues cumulant relégation et stigmatisation depuis un demi-siècle. Ils figent la pensée, en font une matière inerte dans laquelle pourront piocher quelques technocrates pour justifier leurs décisions, tout au plus.

    Qu’ils le veuillent ou non – et c’est certainement à leur corps défendant – c’est bien la frange réactionnaire de la twittosphère, en lutte contre le « socialisme », le « wokisme » et la « culture de l’excuse », qui se repait de leur mise au point.

    https://blogs.mediapart.fr/geographies-en-mouvement/blog/010823/la-geographie-cest-de-droite

  • Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

    • L’ultimo kiwi. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      Il lavoro stagionale nel distretto frutticolo di Saluzzo, tradizionalmente, si chiude con la raccolta dei kiwi nella seconda metà di novembre. Sei mesi sono trascorsi da quando i mirtilli, colorandosi di blu, avevano dato avvio alla stagione 2023.

      In realtà la produzione locale è notevolmente diminuita negli ultimi anni a causa della batteriosi e della cosiddetta “morìa” che hanno falcidiato ettari di frutteti, poi sostituiti da mirtilli e mele invernali ma anche in relazione a scelte imprenditoriali che hanno portato alla delocalizzazione delle piantagioni, verso il distretto di Latina in particolare. La raccolta, quindi, si concentra in poche giornate dai ritmi di lavoro massacranti, una corsa contro il tempo per sfruttare le ore di luce giornaliera che vanno diminuendo e anticipare le gelate precoci nella pianura ai piedi del Monviso.

      “L’Italia, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro, è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo nel mondo dopo Cina e Nuova Zelanda. – informa una accurata inchiesta condotta da IRPI Media pubblicata a marzo di quest’anno – La prima regione del nostro paese dove si coltiva la “bacca verde” è il Lazio. Globalmente, un terzo di tutti i kiwi commerciati nella grande distribuzione viene dalla multinazionale Zespri. Nata in Nuova Zelanda, oggi è leader nel settore e presente in sei paesi. Dalla provincia di Latina, arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri (il 10,5%). Un mercato gigantesco, che solo in Italia conta quasi tremila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti.” 4

      Anche sugli scaffali dei supermercati saluzzesi le varietà di kiwi sono vendute quasi tutte con il marchio Zespri: Green Premium, origine Italia confezionato in Lombardia, Sun Gold origine Nuova Zelanda e Hayward origine Grecia confezionati chissà dove.

      Alcune aziende locali producono in provincia di Latina i loro kiwi a polpa gialla (i Sun Gold) di cui Zespri detiene il brevetto e l’esclusiva della commercializzazione.

      Un colosso a livello internazionale è il Gruppo Rivoira che controlla Kiwi Uno S.p.A. con sede a Verzuolo, pochi chilometri da Saluzzo: “Da sempre in stretta relazione con il Cile, oggi grazie all’integrazione tra produzione italiana e cilena, abbiamo modo di essere sui mercati europei e d’oltre mare per dodici mesi all’anno” si legge sul sito dell’azienda. Rivoira controlla, tra le altre, anche un’azienda con sede a Cisterna di Latina, la capitale del kiwi italico, che vanta 110 ettari coltivati a kiwi, varietà hi-tech che hanno conquistato una loro nicchia di mercato.

      Ma restiamo a Saluzzo… Nell’annata in cui i lavoratori delle campagne non hanno più fatto notizia, scomparsi dalle cronache locali e nazionali, non più oggetto di studi eruditi in relazione a presunte emergenze ma sempre ben presenti in carne, ossa e muscoli tra i filari a reggere l’economia di questo angolo benestante di nord-ovest, la stagione del lavoro bracciantile si è chiusa mestamente nell’aula di un tribunale. A Cuneo il 23 novembre scorso, infatti, si è svolta l’udienza preliminare del processo a carico del datore di lavoro di Moussa Dembele, maliano, deceduto a Revello il 10 luglio 2022.

      Moussa lavorava in nero (“senza regolare contratto” secondo la fredda dicitura burocratica) presso un’azienda agricola dedita all’allevamento dei bovini.

      L’allevamento di bovini e suini è l’altro grande business della provincia di Cuneo da cui deriva la coltivazione intensiva del mais che, insieme a frutteti e capannoni di cemento, domina il paesaggio della pianura saluzzese.

      Nel settore zootecnico le condizioni di lavoro riescono ad essere forse persino peggiori che in agricoltura. Così almeno sostengono alcuni ex-lavoratori, i quali, stando a quanto ci dicono, ricordano il mestiere con un certo orrore. «Se lo fai troppo a lungo», ci racconta Ousmane, «diventi un vitello anche tu! È massacrante, fisicamente ma soprattutto mentalmente: lavori tutti i giorni, a orario spezzato, da solo, nell’aria pesante che puzza di animale e di merda. Per una paga nemmeno buona devi completamente rinunciare a farti una tua vita personale, eppure il padrone non è mai, mai contento…» Nell’invisibilità garantita dalle stalle diffuse nel profondo della campagna industrializzata il rapporto di forza tra l’azienda e il dipendente, che spesso lavora individualmente, è tutto a favore della prima.

      Quella domenica Moussa trasportava pesanti vasche di plastica colme di mangime insilato per l’alimentazione delle mucche, riempite di volta in volta al cassone di un inquietante macchinario denominato “desilatore portato”, attrezzatura agricola attaccata alla forza motrice di un trattore. Nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Cuneo, tale attrezzatura viene definita “non idonea ai fini della sicurezza”, priva cioè delle necessarie protezioni, modificata per facilitare le operazioni.

      Giunto ormai al termine del lavoro affidatogli, il manovale si è sporto oltre la sponda del cassone per spingere con una scopa i resti dell’insilato verso la coclea, rimanendo incastrato e schiacciato da un componente del macchinario in funzione. Questa la ricostruzione ufficiale. Moussa è deceduto per “arresto cardiorespiratorio a causa di shock midollare e ipovolemico”, in pratica è morto sul colpo con l’osso del collo fracassato nell’impatto.

      La storia di Moussa è simile a quella di tanti lavoratori e lavoratrici delle campagne, che accettano di lavorare in nero perché non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno alternative oppure per integrare i contratti a chiamata che non garantiscono un salario sufficiente per sé e per poter aiutare le proprie famiglie nei paesi d’origine.

      «Si trovava in Italia dal 2013 e pare che lavorasse nell’azienda da circa sei mesi. Da più di un anno stava aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno… Oltre alla moglie e alle due figlie, Moussa ha lasciato il fratello Makan, di due anni più giovane, che vive a Gambasca e lavora per un’azienda agricola del paese. I due erano arrivati in Italia in momenti diversi. E’ stato lui ad accompagnare la salma in Mali». (L’eco del Chisone, agosto 2023)

      Alla notizia della morte di Moussa un pugno di braccianti aveva manifestato spontaneamente dolore e rabbia per le strade di Saluzzo.

      In generale si dice che a Saluzzo, “a differenza del Sud” – il Sud preso come termine di paragone sempre negativo, il Sud diverso e lontano, il Sud selvaggio e criminale, il Sud che nel Piemonte profondo non ha mai smesso di venire razzializzato – il lavoro nero in agricoltura sia tutto sommato poco diffuso, un’eccezione e non la regola. Come abbiamo scritto qui, la cifra costitutiva degli attuali rapporti lavorativi locali è in effetti il lavoro ‘grigio’, cioè lavoro ‘nero a metà’ per dirla con un grande cantore del Meridione quale Pino Daniele. Tuttavia, a ben vedere, specialmente durante i picchi della raccolta, non sono affatto pochi i raccoglitori non contrattualizzati impiegati anche nel saluzzese.

      Abbiamo persino sentito dire che ci sono datori di lavoro che in quei momenti quando ci si gioca il raccolto di un anno intero, incuranti di un pericolo evidentemente non così temibile, cercano lavoratori disponibili a lavorare in nero, “perché per così pochi giorni, ma che senso ha fare un contratto?” Mera noia burocratica o cosciente risparmio sul costo del lavoro? Chissà, intanto il bracciante ha qualche giorno in meno per il calcolo della disoccupazione agricola e zero tutele dei propri diritti… Agli unici lavoratori che in un certo senso conviene, per il paradossale effetto della violenza strutturale sancita dalla legge Bossi-Fini, sono le persone, come Moussa, sprovviste di regolare permesso di soggiorno a causa delle estenuanti lungaggini burocratiche.

      Per una drammatica coincidenza, ma per chi conosce bene le condizioni di vita dei braccianti non è affatto una sorpresa, poco distante dal luogo del decesso di Moussa, nelle campagne di Revello, grosso comune agricolo dove lavorano centinaia di stagionali e di cui si parla spesso in quanto l’unico del distretto della frutta a non aver aderito al protocollo di accoglienza della Prefettura, nella primavera di quest’anno è morto Dahaba, 40 anni, anche lui maliano. Ma la notizia è passata praticamente sotto silenzio.

      L’uomo ha perso la vita la notte di Pasqua a causa delle esalazioni del monossido di carbonio: per riscaldarsi aveva acceso, nella sua stanza, un braciere ricavato da un secchio di metallo. Ad aprile fa ancora freddo da queste parti, i camini delle cascine fumano e le gelate notturne rischiano di compromettere i raccolti, è questa la preoccupazione maggiore.

      Dahaba era arrivato da Rosarno dove aveva raccolto le arance e si era appena recato in Questura a ritirare il suo permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, il documento che viene rilasciato quando il titolare di un permesso per lavoro subordinato ne richiede il rinnovo ma non ha, al momento, un contratto e delle buste paga da esibire. A Revello abitava in un alloggio messo a disposizione dal suo datore di lavoro, a quanto pare non riscaldato adeguatamente. Il martedì seguente il giorno di pasquetta, lo stesso datore di lavoro, non vedendolo arrivare, è andato a cercarlo e ha trovato il cadavere.

      L’uomo era poco conosciuto nella numerosa comunità maliana che vive nel saluzzese.

      L’episodio dovrebbe suscitare una riflessione seria sulle condizioni di vita dei braccianti africani, sul pendolarismo forzato nelle campagne d’Italia alla ricerca di un lavoro, sulla precarietà esistenziale estrema, sulla solitudine di un corpo senza vita rinvenuto solo perché non si è presentato sul posto di lavoro.

      Per non parlare del problema della casa o della tanto invocata accoglienza in azienda, in questi anni considerata la panacea di tutti i mali ma niente affatto sinonimo di dignitosa qualità di vita. L’accoglienza in cascina, anche quando fatta nel migliore dei modi – e non è certo sempre il caso – è infatti problematica sotto molteplici punti di vista: rappresenta un ulteriore ricatto per il lavoratore, il cui datore di lavoro e il padrone di casa sono la stessa persona; è un fattore di isolamento spaziale che ha forti ripercussioni sulla socialità; impedisce una chiara separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro; e molto altro. Nel peggiore dei casi, si può dire che rievochi l’organizzazione sociale totale della piantagione coloniale…

      Moussa e Dakar chiedono di non essere dimenticati, di non essere considerati soltanto le note stonate di una narrazione dei fatti appiattita sul paternalismo padronale, ossessionata dal decoro urbano e dalla qualità delle eccellenze del territorio agricolo circostante. La morte che spesso attende in agguato chi lavora, in campagna e altrove, non è una tragica fatalità ma l’espressione più estrema di una condizione di ‘normale’ sfruttamento, che sistematicamente, a gradi variabili, produce sofferenza e afflizioni, fisiche e mentali.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/lultimo-kiwi-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

      #kiwi #kiwis

  • Le Chancre du Niger, petit livre de 1939 – jamais réédité
    https://www.cairn.info/revue-roman2050-2006-4-page-17.htm

    Le Chancre du Niger n’a pas eu la fortune du Rôdeur, de L’Âge d’or ou de La Ligne de force. Ce livre de 1939 n’a jamais été réédité. « Ce petit livre », préfacé par Gide, s’inscrit dans une collection, Les Tracts de la NRF, où Gide a publié deux textes retentissants : Retour de l’U.R.S.S. (1936) et Retouches à mon « Retour de l’U.R.S.S. » (1937). Herbart, lui, s’attaque à l’Office du #Niger, un établissement public fondé en 1932 pour irriguer, « coloniser, mettre en valeur et exploiter », aux frais de l’AOF, la vallée du Niger dans ce qui était, à cette époque, le Soudan français et qui s’appelle aujourd’hui le Mali. Fidèle à l’esprit de la collection, #Pierre_Herbart y dénonce en 124 pages « la malfaisance […] d’un système » . Le Chancre du Niger ne se présente pourtant pas comme un pamphlet, mais comme une « étude », une « enquête » qui veut prouver à l’aide de documents et de chiffres. Ce texte tire sa force de la solidité de son information, et aussi, ce que je voudrais montrer, de sa mise en œuvre littéraire. [...]

    #colonisation # exploitation #impérialisme_français #curious_about

  • Inflation : « le pic est passé »... La Première ministre Élisabeth Borne prédit un « ralentissement » de la hausse des prix à la rentrée - ladepeche.fr
    https://www.ladepeche.fr/2023/07/26/inflation-le-pic-est-passe-la-premiere-ministre-elisabeth-borne-predit-un-

    Des fournitures qui vont voir leurs tarifs augmenter de 4 à 5%, la Direction générale de la Concurrence, de la Consommation et de la Répression des fraudes (DGCCRF) chargée d’enquêter sur certaines hausses de prix... mais malgré tout, Élisabeth Borne se veut rassurante. Invitée sur BFMTV ce mercredi 26 juillet, la Première ministre a même anticipé un « ralentissement » de l’inflation d’ici la rentrée. « Je voudrais rassurer les Français sur le fait que sans doute le pic de l’inflation est derrière nous », a estimé la cheffe du gouvernement.

    #lol #pic

  • La piscine tournesol - Pour tous ceux qui, lorsqu’il s’agit de dire leur âge, sont dans les 4 ou les 5, ça signifiera sans faille la réminiscence des souvenirs d’enfance ; on y a tous été ! Les cours à l’école pour apprendre à nager, le mardi soir avec maman ou du genre, tout ça en vrac. D’ailleurs c’était un peu nul, mais on se marrait quand même bien à pousser les copains dans l’eau. Cette putré de flotte trop froide, peuchère on se gelait en février !

    Le documentaire complet est disponible ici : https://tchorski.fr

    Les piscines tournesol ont toutes été bâties vite-fait, grasse mélodie plastifiée des années 70. A l’époque, les huiles politicardes avaient la volonté d’augmenter drastiquement le nombre de piscines en France, pour une dépense faible. Du coup, la Tournesol est un objet industriel préfabriqué. Elles sont toutes les mêmes, sauf quelques détails : la couleur de la coque, quelques détails de fenêtres, etc... Mais donc oui, un objet identiquement conçu à l’arrache, qu’on monte vite : charpente-métal copié-collé et plastique à tout va, de l’eau là-dedans, des tickets d’entrée et plouf-basta !

    L’histoire est belle, mais ça barde directement. Il en est attendu 1000, seules 250 seront montées en quatre ans, toutes un peu à l’extérieur de villes moyennes. Les dysfonctionnements apparaissent aussi vite que des mouches grasses sur une bouse de vache, paf ! Matériaux plastique : on crève de froid l’hiver, sans isolation ça migre vite sur la débâcle du pétrole à tout va pour chauffer le bassin. Les matériaux crament sous le soleil estival, ça se dégrade – surface du plastique comme poudreuse – infiltrations aux premières pluies venues ; les bassins sont petits, la population en vient graduellement à s’en désintéresser. Le plastique c’est fantastique, sauf que les rénovations / adaptations sont impossibles ou seulement à très haut coût. Bon et bien voilà la fin de l’histoire : faillite systémique : clap de fin la Tournesol est cuite.

    Celle que nous visitons ne fait pas exception. Elle sera démolie. Peut-être même à l’heure de ces lignes, c’est déjà le cas. Il sera construit le siège social d’une grosse société à la place, pour des gros légumes administratifs qui cracheront du papier inutile à longueur de journée. Plus que jamais, nos photos tiennent lieu d’une volonté de préservation de la mémoire, à la limite on pourrait dire du patrimoine, puisque cela représente après tout un petit morceau de nos histoires collectives, à nous tous j’en suis convaincu.

    J’ai eu un mal de chien à entrer dedans, ils referment très régulièrement. Fallait pas être gros si l’on puis dire ! Et comme je ne casse rien, j’ai joué le jeu, expiration max et hop-hop faut que ça passe (comme papa dans maman diraient certains). Bon un peu la petite souris qui passe dans la fente sous la porte... Dedans, chaleur énorme, une serre ! C’est le jeu. C’était bien chouette en tout cas.

  • Dolphin abandons efforts to bring emulator to Steam
    https://www.gamedeveloper.com/business/dolphin-abandons-efforts-to-bring-emulator-to-steam

    Developer Dolphin has announced that it’s given up on trying to bring its titular emulator to Steam. On its blog, the company gave an update to months long controversy that saw its emulation software delisted from Valve’s storefront after a DMCA takedown. 

    Dolphin was quick to clarify that Nintendo didn’t file the original takedown, as initially believed. It revealed that Valve’s legal team contacted Nintendo, after which a lawyer from Nintendo of America asked Valve to delist the product.

    The only way to avoid delisting, according to the blog, was to come to an agreement with the Japanese developer. But Dolphin acknowledged Nintendo’s often litigious view on emulation and considered “Valve’s requirement for us to get approval from Nintendo for a Steam release to be impossible.”

    “Considering the strong legal wording at the start of the document and the citation of DMCA law, we took the letter very seriously,” wrote Dolphin. It added that its original statement post-takedown was “fairly frantic” and “as we understood it at the time, which turned out to only fuel the fires of speculation.”

    #jeux_vidéo #jeu_vidéo #émulation #émulateur_dolphin #nintendo #valve #dmca #droit_d_auteur #copyright #piratage

  • Pierre Guillaume a existé

    Rivarol n°3575 du 19/7/2023 (Papier)

    IL EST UN HOMME qui fut extrêmement courageux dans ce domaine et dont nous avons appris la triste disparition il y a quelques jours seulement. C’est l’éditeur et militant #Pierre_Guillaume (22 décembre 1940-11 juillet 2023) qui nous a quittés à quelques mois de ses 83 ans. Sans lui, sans la bravoure tranquille qu’il a manifestée, jamais le révisionnisme historique n’aurait percé aussi tôt. C’est lui, et lui seul, qui, en tant que responsable de la Vieille Taupe, a accepté d’éditer le Professeur, en pleine tempête politico-médiatique. En effet, fin 1980, Pierre Guillaume a publié Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire. En 1980 également, Guillaume publie le livre de Serge Thion Vérité historique ou vérité politique ? Le dossier de l’affaire Faurisson, la question des chambres à gaz. En 1995, toujours à la Vieille Taupe, Pierre Guillaume publie Les Mythes fondateurs de la politique israélienne [de Roger Garaudy], un livre qui aura un grand succès, notamment dans le monde arabo-musulman. Pierre Guillaume s’est intéressé au révisionnisme grâce à Paul Rassinier et à son ouvrage fondamental, ancêtre du révisionnisme (avec celui de Bardèche sur Nuremberg), Le Mensonge d’Ulysse. Rassinier était un homme de gauche, un socialiste pacifiste, tout comme Pierre Guillaume (...)

    #négationnisme #antisémitisme

    • Pierre Guillaume découvre [après Mai 68] dans un numéro de La Révolution prolétarienne l’ouvrage de Paul Rassinier (1906-1967) Le Mensonge d’Ulysse (1949), qu’il considère comme extrêmement éclairant. En novembre 1969, Guillaume et Baynac se séparent, qui demande aux membres ou sympathisants fondateurs de La Vieille Taupe d’en faire autant. L’appel de Baynac est largement suivi.

      Les ouvrages de Rassinier sont mis en vente à La Vieille Taupe dès 19703 et occupent dès lors une place prépondérante dans l’activité de la librairie. Guillaume est conforté dans sa position par la découverte d’un texte attribué à un ancien dirigeant communiste italien, Amadeo Bordiga, Auschwitz ou le grand alibi, et fait alors sienne l’idée selon laquelle l’antifascisme est en fait au service du capitalisme au détriment de l’élan révolutionnaire et des aspirations du prolétariat et l’idée (qui n’est pas présente dans le texte) selon laquelle la lutte contre l’antifascisme passe par la négation [du génocide des juifs par les nazis].

      [...]

      [En 1978] Pierre Guillaume prend contact avec [Faurisson]. Son premier engagement public pour les thèses de Faurisson est un article publié dans Libération du 7 mars 1979 et intitulé « Que savent les Français des massacres de Sétif », où il établit un parallèle entre Auschwitz et les répressions coloniales à Sétif en 1945 ou à Madagascar en 1947. Il dénonce également l’antinazisme sans nazis et s’en prend au feuilleton télévisé Holocauste, réalisée par Marvin J. Chomsky, cousin de Noam Chomsky, récemment diffusé sur Antenne 2 et affirme que les Juifs « sont morts de faim et de froid selon [une] mécanique inexorable et involontaire… » Ce texte a été rédigé en collaboration avec Faurisson7.

      En décembre 1980, les éditions La Vieille Taupe, créées par Guillaume en 1979, publient le Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire. La question des chambres à gaz, de Faurisson, avec en guise de préface un texte de l’américain Noam Chomsky. En 1979-1980, Guillaume s’est employé à mobiliser nombre de ses anciens compagnons idéologiques dans son combat aux côtés de Faurisson. C’est #Serge_Thion qui obtiendra la lettre de Chomsky et produira un certain nombre de textes signés par des anciens militants de l’ultragauche comme Vérité historique ou _Vérité politique ? Le dossier de l’affaire Faurisson. La question des chambres à gaz publié par La Vieille Taupe au printemps 1980. Il obtient aussi l’appui (provisoire) de Gabriel Cohn-Bendit et de Serge July et Guy Hocquenghem qui l’invitent au comité de rédaction de Libération, au nom de la liberté d’expression de Faurisson.

      Sans appuis politiques, Pierre Guillaume se tourne alors vers l’extrême droite. En 1985, il collabore avec le militant néonazi Michel Caignet à la traduction du livre Le Mythe d’Auschwitz. À partir de 1992, il participe chaque année à la fête du Front national ; il est présent aux obsèques de Maurice Bardèche en 1998, et il écrit également dans diverses revues d’extrême droite : par exemple dans National-Hebdo en 2001, dans Rivarol en 2002.

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Pierre_Guillaume_(militant)

    • La gangrène
      https://fr.theanarchistlibrary.org/library/jacques-baynac-la-gangrene

      Qu’elles qu’en soient les causes, individuelles et/ou collectives, pathologiques, le fait est là : une petite partie de ce qui fut l’ultragauche d’après 68 est pourrie. Trois jours après l’attentat de la rue Copernic, les groupes ou publications suivants : les Amis du Potlach, le Groupe Commune de Cronstadt, le Groupe des travailleurs pour l’autonomie ouvrière, ainsi que Pour une intervention communiste et des « révolutionnaires communistes sans sigle », Le Frondeur, La Guerre sociale et La Jeune taupe ont cru devoir publier un tract intitulé « Notre royaume est une prison » qui affirme en substance que fascisme et antifascisme sont semblables en ce qu’ils n’ont d’autre objectif réel que de sauver l’Etat en évacuant les « oppositions sociales réelles » et en « pervertissant » les idéaux prolétariens et socialistes.

      Voilà déjà un débat engagé en termes discutables mais qui deviennent franchement inadmissibles dès lors que les auteurs de ce texte se croient autorisés à banaliser le nazisme. Pour eux, « ce n’est pas la volonté de ses dirigeants qui a rendu le fascisme meurtrier (…) il était pris dans la guerre et (comme ses adversaires) il voulait la gagner par tous les moyens ». C’est faire bon marché de la vérité historique que d’affirmer cela. Car, qui a commencé à tuer communistes et Juifs allemands avant même que n’ait éclaté la guerre ?

      Et puis, peut-on écrire sans tomber dans une absurdité coupable que « la déportation et la concentration de millions d’hommes ne se réduisent pas à une idée infernale des nazis, c’est avant tout le manque de main-d’œuvre nécessaire à l’industrie allemande qui en a fait un besoin ». Si telle était la réalité, pourquoi avoir déporté les enfants, les malades, les vieillards juifs et tsiganes ?

  • #Marie_Goldsmith
    https://www.partage-noir.fr/marie-goldsmith

    En novembre 1891, un étudiant, blanquiste et très révolutionnaire, Jules-Louis Breton, qui plus tard entra au Parlement, fit distribuer un manifeste pour appeler la jeunesse des écoles à fonder un groupe socialiste. On se réunit d’abord chez Breton, puis dans une bibliothèque fouriériste de la rue Mouffetard. Grâce à l’énergie du roumain, Georges Diamandy, le groupe se déclara internationaliste, ce qui écarta de lui un tas de jeunes radicaillons, vaguement socialisants et trop férus de politicaillerie. Grâce à la ténacité de Breton on ajouta au titre l’étiquette révolutionnaire. Et ainsi fut créé, en décembre 1891, le premier groupe socialiste d’étudiants, celui des étudiants socialistes révolutionnaires internationalistes de Paris (ESRI). #Plus_Loin_n°95_-_Mars_1933

    / Marie Goldsmith, Archives Autonomies , (...)

    #Archives_Autonomies_ #Plus_loin #ESRI #Pierre_Kropotkine #Jean_Grave #Les_Temps_nouveaux #Paul_Delesalle
    https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k817808
    https://archive.org/details/lindividuetlecom00grou/page/n1/mode/2up


    https://mariegoldsmith.uk
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/plusloin-n095.pdf

  • Le « père » de l’anarchisme
    https://www.partage-noir.fr/le-pere-de-l-anarchisme

    Le Capital, l’Etat, Dieu... Proudhon s’acharne à déboulonner les idoles de l’autoritarisme. Après avoir nié, il construit sa philosophie sur la base du contrat accepté par tous et réciproque afin d’associer le socialisme et la liberté. #Itinéraire_-_Une_vie,_une_pensée n°7 : « #Pierre-Joseph_Proudhon »

    / Pierre-Joseph Proudhon, Itinéraire - Une vie, une pensée

    #Itinéraire_-_Une_vie,une_pensée_n°7:« _Pierre-Joseph_Proudhon »

  • Kropotkine - 1789-1793 : La Grande révolution
    https://www.partage-noir.fr/kropotkine-1789-1793-la-grande-revolution

    On a peine à évaluer l’apport de Kropotkine à la connaissance de la Grande Révolution. Comment un spé­cialiste de sciences naturelles et de géo­graphie, militant politique par ailleurs, et russe de surcroît aurait trouvé le temps et la capacité d’étudier la princi­pale révolution française ? Pourtant les faits sont là, La Grande Révolution est un ouvrage essentiel, salué à sa sor­tie en 1909 et qui reste largement vala­ble. Itinéraire - Une vie, une pensée n°3 : « Kropotkine »

    / #Pierre_Kropotkine, Révolution Française (1789)

    #Itinéraire_-_Une_vie,une_pensée_n°3:« _Kropotkine » #Révolution_Française_1789_
    https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k82693k/f2.item
    https://cartoliste.ficedl.info/article917.html
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/itineraire_kropotkine2.pdf

  • « Prends-moi un Yop » : l’absurde au cœur des émeutes
    https://theconversation.com/prends-moi-un-yop-labsurde-au-coeur-des-emeutes-208958

    Les révoltes de juin 2023 sont en train de faire l’histoire, une histoire supplémentaire de rupture avec les pouvoirs. Elles frappent par leur intensité, la rapidité de leur propagation, l’ampleur des destructions, et chose nouvelle par rapport à 2005, celle des pillages.

    La circulation des vidéos sur les réseaux sociaux ajoute à la stupéfaction. Ces émeutes sont des révoltes politiques quand bien même elles ne se traduisent pas, dans le présent de la situation, par des slogans ou des revendications. Ce qui domine dans l’émeute, ce n’est pas la parole mais plutôt l’acte.

    Elle confronte la société dans ce qu’elle sait déjà mais qu’elle dénie ou qu’elle se refuse d’affronter sérieusement depuis des décennies autrement que par une gestion technique du « maintien de l’ordre public ». Ces vies écrasées et méprisées se redressent et débordent. Elles font effraction dans ce qui leur est habituellement soustrait : la parole et l’audition politiques.

    « Dingueries »

    Au côté de la gravité de la situation et de ses déterminations politiques, une chose étonne : au milieu des affrontements, entre les tirs de mortiers, de feu d’artifice, des dizaines de vidéos montrent aussi des émeutiers hilares, amusés de leurs propres gestes et narquois.

    Ils donnent le sentiment de jouir du moment présent. Ils développent un sens évident de la mise en absurdité de leurs propres gestes. On y croise des « fous » qui font toute sorte de « dingueries » c’est-à-dire des êtres qui osent des gestes transgressifs que le commun s’interdit d’accomplir par crainte ou par honte. Le temps d’un instant, au cours d’une nuit ou d’une marche blanche, certains en oublient les sentiments tristes qui les ont conduits dans la rue.

    C’est un fait assez commun aux émeutes : elles sont un condensé d’affects et de sensations hétérogènes et souvent contradictoires. L’absurde côtoie la colère. L’humour se confond avec la violence des gestes. La joie se mêle aux larmes de la famille endeuillée de Nahel.

    Les gestes nihilistes de saccage se mélangent aux plaintes dirigées sans équivocité à l’endroit des forces de l’ordre et de l’état. Rationalités politiques et gestes absurdes sont le propre des pratiques émeutières.

    #révolte #pillages #émeutes

    • LE VERTIGE DE L’ÉMEUTE, entretien avec Romain Huët
      https://lundi.am/Le-vertige-de-l-emeute

      Ce #livre est parti d’une idée assez simple. Il est né en 2016 pendant la Loi Travail. Ce qu’on appelait alors le cortège de tête était intense. Les affrontements étaient nombreux. Et je constatais bien autour de moi, qu’au lieu de susciter de la répulsion, ce cortège attirait toujours plus de personnes. Vraisemblablement, des gens ordinaires le rejoignaient « parce qu’il se passait vraiment quelque chose ». Plus encore, je constatais de la joie, une ambiance festive, une quasi-effervescence collective. Cette atmosphère légère et rieuse contraste avec l’idée que je me faisais de la révolte et de l’épreuve de la rue. La colère, les demandes de justice, le refus du « monde tel qu’il est » sont des épreuves tristes et graves. Elles sont le signe d’une impuissance, d’un monde subi, de vies obligées à être contrites. Et je découvrais assez naïvement que la révolte n’est pas que l’expression du refus devant la vie écrasée. Elle est une « puissance de vie » comme disait Albert Camus (L’homme révolté).

      J’ai voulu comprendre ce qui suscitaient ces passions joyeuses chez les participants à une émeute. Et ce fait n’est pas réductible à tel ou tel mouvement social. Lors de la dernière réforme des retraites, j’étais assez saisi de voir l’enthousiasme qui gagnait les manifestants lorsque les dispositifs de la préfecture étaient débordés. Beaucoup expérimentaient leurs premières manifestations. Et je crois bien qu’ils en garderont un souvenir brulant. Ils ont participé à un moment ponctuel et très localisé de mise en déroute du pouvoir. Aux impuissances auxquelles nous sommes bien habitués, les manifestations sauvages donnent cette singulière impression d’inverser les registres de la puissance, de fragiliser les ordres policiers comme si le monde se fendait provisoirement.

      La thèse que j’essaye de défendre est assez simple. On a tendance à occulter la qualité affective de l’épreuve que la vie fait d’elle- même au cours de la réalisation d’une émeute. Cette occultation est tout à fait problématique car l’essentiel du sens d’une émeute ne réside pas dans les rationalités qui président au choix de la violence comme moyen politique. Toute la puissance performative de l’émeute et son attrait résident plutôt dans le fait qu’elle éveille des dispositions subjectives particulières tant au cours de l’instant de la violence que dans les sociabilités que les émeutiers nouent les uns avec les autres. Pour s’éviter ce genre d’approximation, il nous faut parler de l’expérience elle-même et de la réalité des émotions qu’elle contient. La scène qu’ouvre l’émeute est sans commun rapport avec nos vies ordinaires enfoncées dans leurs petites contingences, leurs petits riens qui les rendent ternes et sans éclats. L’émeute est le contraire. Elle est exubérance, intensité, et sentiment que le monde est « affecté » par le geste accompli.

      #expérience #intensité #joie

  • Pillages.

    Yesterday I published an article in @unherd arguing that the situation leading up to the French riots is being driven by high food prices and low consumption. I presented INSEE data showing a 17% drawdown in food consumption, totally unprecedented in recent history. Chart 👇

    https://threadreaderapp.com/thread/1676121242531774465.html

    Emeutes urbaines : les commerces confrontés à une nouvelle crise après dégradations et pillages
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2023/07/04/emeutes-urbaines-les-commerces-confrontes-a-une-nouvelle-crise-apres-degrada

    une dizaine [de centres commerciaux ont été fortement dégradés et plusieurs dizaines ont fait l’objet de tentatives d’intrusion

    La Française des jeux dénombre 400 points de vente dégradés. La Fédération du commerce et de la distribution, plus de 200 moyennes et grandes surfaces, dont 40 supermarchés Aldi, cette enseigne très présente dans les zones à faible pouvoir d’achat. De Nike à Lacoste en passant par JD Sports, Adidas et Foot Locker, 150 magasins d’articles de sport ont aussi été visés
    De la vingtaine de restaurants McDonald’s pris pour cible, quatre sont totalement détruits.

    Le bilan ministériel fait pour sa part état de 2 508 incendies ou dégradations de bâtiments, dont 273 appartiennent aux forces de l’ordre nationales, à la #gendarmerie ou à la #police municipale.

    #auotréductions #pillages #commerce #consommation #révolte #émeutes

  • 🛑 Milices d’extrême-droite « anti-casseurs » : de quoi parle-t-on ? - Rapports de Force

    Depuis le début des révoltes causées par la mort de Nahel, des militants d’extrême-droite se rêvent en milice « anti-casseurs ». Entre réelle force para-policière et simple coup de communication, décryptage d’une situation plus complexe qu’il n’y paraît.
    Ce dimanche 2 juillet à Lyon, aux alentours de 21h, entre 80 et 100 militants d’extrême-droite se réunissent aux abords de La Traboule, locaux de feu Génération identitaire. Après une brève déambulation, ils atteignent les marches de l’Hôtel de ville, entonnent un « on est chez nous », et lancent le slogan favori des identitaires lyonnais : « avant, avant, Lyon le melhor ». La scène dure quelques minutes. Les jeunes hommes, cagoulés ou capuchés, reçoivent rapidement une pluie de palets lacrymogènes et se dispersent. « La police les a peut-être pris pour des jeunes des quartiers », sourit Raphaël Arnault, porte-parole du collectif antifasciste la Jeune Garde, peu habitué à voir les « fafs » (acronyme de « France au Français » utilisé pour désigner les militants d’extrême-droite) visés par la police. Un comble, puisque cette milice autoproclamée se targue justement de mettre fin aux mouvements de révolte* menés par les habitants des quartiers populaires (...)

    #extrêmedroite #néofascisme #racisme #milice... #révolte #jeunes #banlieue

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    ▶️ https://rapportsdeforce.fr/pouvoir-et-contre-pouvoir/milices-dextreme-droite-anti-casseurs-de-quoi-parle-t-on-070518674