• Alfred Brendel, le pianiste qui tutoyait Beethoven et Schubert, est mort

    Durant ses soixante ans de carrière, le musicien, qui fut aussi, à ses heures, peintre, poète et penseur, laisse en héritage ses interprétations de Mozart, Beethoven et surtout #Schubert, dont il fut le medium privilégié. Il est mort mardi 17 juin, à l’âge de 94 ans.
    https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2025/06/17/alfred-brendel-le-pianiste-qui-tutoyait-beethoven-et-schubert-est-mort_66139

    https://archive.ph/JTlLe

    Les Trois Dernières Sonates de Franz Schubert, Chantal Akerman
    https://www.youtube.com/watch?v=jLWOfQChxik

    #piano

  • Diffamazione e falsità contro le Ong in mare. La prima vittoria in tribunale per la #Louise_Michel

    Il Tribunale di Bologna ha condannato un giornalista del Quotidiano Nazionale per un articolo pubblicato in seguito al sequestro della nave due anni fa. È la prima di quindici cause promosse dalla Ong contro diversi media italiani, accusati di colpire l’organizzazione e la comandante #Pia_Klemp. “Pubblicare e diffondere informazioni false è un reato grave perché alimenta l’agenda dello Stato italiano contro la migrazione e le persone solidali”

    “Siamo andati in tribunale e abbiamo vinto”. Con queste parole pubblicate sui propri canali social l’organizzazione di ricerca e soccorso Louise Michel ha commentato la sentenza del Tribunale di Bologna, che a metà aprile ha condannato un giornalista del Quotidiano Nazionale per diffamazione.

    In occasione dell’udienza l’imputato ha ritirato l’opposizione, rendendo così definitiva la condanna. Si tratta della prima azione legale andata a sentenza tra le cause avviate dalla Ong nei confronti di 15 mezzi di informazione del nostro Paese.

    I processi si fondano su alcuni articoli pubblicati all’indomani del fermo della MV Louise Michel, avvenuto nel marzo del 2023. Due anni fa la nave di ricerca e soccorso, finanziata da Banksy, era stata sottoposta infatti a fermo amministrativo dalle autorità italiane nel porto di Lampedusa in seguito al salvataggio di 178 persone, portato a termine in quattro operazioni distinte. Il provvedimento è stato motivato dalla presunta violazione del cosiddetto “decreto Piantedosi”. Questo dispositivo regola le attività delle Ong impegnate nel soccorso nel Mediterraneo centrale e stabilisce che dopo un solo salvataggio deve essere effettuato lo sbarco immediato delle persone.

    In una nota la Ong ha spiegato che “in seguito a questo sequestro, diverse fonti giornalistiche italiane hanno pubblicato informazioni false sul progetto e su una delle sue fondatrici, Pia Klemp”.

    Al momento del fermo, infatti, la comandante tedesca non si trovava a bordo della nave, né in Italia e a suo carico non vi è alcuna denuncia, come erroneamente riportato dagli organi di stampa citati in giudizio dall’organizzazione. Tra il 2016 e il 2017, Pia Klemp, biologa e attivista per i diritti civili, è stata la comandante della nave Iuventa -supportata dalla Ong tedesca Jugend Rettet-, che contribuì a trarre in salvo circa 14.000 persone.

    Dal 2017 al 2024 l’organizzazione è stata indagata dalla Procura di Trapani in relazione a tre eventi di soccorso avvenuti nel settembre del 2016 e nel giugno del 2017. Secondo l’accusa la Iuventa avrebbe favorito l’ingresso illegale di persone migranti in Italia, sottraendole alle autorità competenti e agevolando l’attività dei trafficanti, agendo in modo “non neutrale” e al di fuori dei protocolli ufficiali. Nel 2021 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani ha archiviato le accuse nei confronti di quattro membri dell’equipaggio -tra cui Pia Klemp- stabilendo che “il fatto non costituiva reato e che le attività di salvataggio si erano svolte in conformità con il diritto del mare”.

    Inoltre il giudice ha rilevato che non vi era alcuna prova di collusione con i trafficanti. Il processo si è concluso definitivamente il 19 aprile 2024 con una sentenza di non luogo a procedere per tutti gli altri imputati, accogliendo la richiesta della stessa Procura, che smentendo il suo stesso impianto accusatorio aveva riconosciuto l’insussistenza delle prove a loro carico.

    Alla luce di questi fatti secondo Amnesty International questa indagine va inserita “nel quadro della criminalizzazione della solidarietà, che molti Stati europei hanno deliberatamente perseguito per ostacolare, anche attraverso l’uso del diritto penale, chi in questi anni ha prestato assistenza e offerto solidarietà a rifugiati e migranti”.

    Nel suo comunicato l’organizzazione Louise Michel ha quindi ribadito che “le indagini contro Klemp sono state archiviate nel 2021, due anni prima del fermo della nave e di tutti gli articoli che ne sono seguiti”, sottolineando anche come “i giornali coinvolti nell’azione legale hanno utilizzato il coinvolgimento di Klemp nel caso Iuventa per consolidare una narrazione razzista e misogina, creando un collegamento tra Ong e trafficanti”.

    Nel processo di Bologna, oggetto specifico della denuncia, era un articolo pubblicato dal Quotidiano Nazionale, accusato di aver riportato affermazioni false e di aver banalizzato l’impegno di Klemp, concentrandosi sul suo aspetto fisico, sulla sua età e sfruttando la sua immagine e il suo nome al fine di attirare l’attenzione del pubblico.

    Klemp ha accolto con soddisfazione la sentenza, definendo “la falsa informazione un metodo indegno con risultati catastrofici”. La comandante della Louise Michel, inoltre, ha richiamato i media al loro dovere di “informare il pubblico piuttosto che diffondere bugie e narrazioni razziste”, evidenziando come “la migrazione viene screditata come un accumulo infinito di crimini, con conseguenze mortali per migliaia di persone migranti”.

    A questo proposito, l’organizzazione ha evidenziato che “l’obiettivo di queste false narrazioni è quello di criminalizzare individui e Ong come strumento per criminalizzare la migrazione” e che pertanto “questo tipo di diffamazione non si limita a screditare chi offre sostegno, ma prende di mira i rifugiati e le persone migranti, con conseguenze letali per loro”.

    Le date delle prossime udienze contro le altre testate citate in giudizio non sono state ancora rese note ma la lotta della Ong prosegue con determinazione. Lo conferma Francesca Cancellaro, avvocata di Klemp e della Louise Michel. Commentando la sentenza del Tribunale di Bologna, le legale ha dichiarato che “pubblicare e diffondere informazioni false è un reato grave perché alimenta l’agenda dello Stato italiano contro la migrazione e le persone solidali. Siamo qui per opporci a questa prassi e per il diritto di tutti e di tutte a una corretta informazione su questa vicenda politica”.

    https://altreconomia.it/diffamazione-e-falsita-contro-le-ong-in-mare-la-prima-vittoria-in-tribu
    #victore #justice #migrations #sauvetage #mer #mer_Méditerranée #réfugiés #tribunal #journalisme #fake-news #médias

  • #Italie : fuite en avant répressive du gouvernement #Meloni

    La #loi_1660, approuvé par les députés italiens en septembre 2024, envoyait un message clair : #ordre et répression. Elle dévoile toute sa dimension anti-sociale. Prévoyant de sanctionner plus fermement les #contestations, elle durcit également les conditions imposées aux détenus dans les prisons – et ouvre la voie aux entreprises dans le système pénitentiaire. Par Carlotta Caciagli, traduction Letizia Freitas [1].
    Radicalisation de mesures pré-existantes

    De nombreuses larmes de crocodile ont été versées, de Marco Minniti [ancien ministre de l’Intérieur NDLR] et Maurizio Lupi [ancien ministre des Infrastructures et des Transports NDLR] jusqu’au dernier maire ayant mis en application le décret Daspo [qui interdit d’accès à un lieu déterminé pour des raisons d’ordre public NDLR]. Parmi les voix qui, aujourd’hui, s’indignent, de nombreuses ont soutenu des décrets répressifs ces quinze dernières années.

    De quelle manière le débat a-t-il pu se détériorer au point que la question des inégalités sociales et de la pauvreté puisse être traitée comme un simple problème d’ordre public ? Les mesures auparavant en vigueur étaient déjà inadaptées et, à bien des égards, anticonstitutionnelles. Une détérioration ultérieure était difficile à imaginer, mais le gouvernement italien y est parvenu. Comment ? Principalement par des modifications ad hoc et quelque peu artificielles du code de procédure pénale.

    Le projet de loi intervient essentiellement dans trois domaines : gestion des comportements individuels et collectifs dans l’espace public, conditions imposées aux détenus dans les prisons et prérogatives des forces de l’ordre. Si chacune des mesures se traduit par une réduction des droits sociaux et humains, elle sous-traite également à des acteurs privés des tâches autrefois assumées par les pouvoirs publics.

    En ce qui concerne l’espace public et urbain, des actions telles que « l’occupation arbitraire d’immeubles destinés à l’habitation d’autrui » sont qualifiées de criminelles. Une peine allant de deux à sept ans de réclusion est prévue pour toute personne qui occuperait des habitations ou des dépendances (garages, jardins, terrasses). Le projet ne prévoit pas de circonstances atténuantes pour l’occupant, mais uniquement des circonstances aggravantes fondées sur le profil du propriétaire dont le bien est occupé.

    Mais sur cette mesure comme sur d’autres, il faut bien reconnaître que Giorgia Meloni ne part pas de zéro. L’ancien ministre Maurizio Lupi n’avait-il pas ouvert la voie à l’actuelle réforme avec le Piano Casa, ce décret de 2014 visant à protéger le droit de propriété des immeubles contre les mouvements sociaux en faveur du droit au logement ?

    L’introduction d’une règle surnommée « anti-Gandhi » est plus digne d’attention encore. Elle vise à punir d’emprisonnement quiconque bloque une route ou une voie ferrée. Si les participants sont nombreux – c’est-à-dire si l’action prend une dimension politique – les peines sont durcies. Si, au cours de la manifestation, des dommages (de toute nature, y compris morale) sont causés à des agents publics, la peine est majorée. Tout comme elle l’est si « la violence ou la menace est commise dans le but d’empêcher la réalisation d’un ouvrage public ou d’une infrastructure stratégique ».

    Stratégique, comme le pont du détroit de Messine, comme la Tav [Treno ad alta velocità, TGV, NDLR] Turin-Lyon, et comme tous les incinérateurs, gazéificateurs et bases militaires que l’on tente régulièrement d’implanter sur le territoire. De plus, le Code pénal sera à son tour modifié afin de punir davantage les auteurs de délits commis à proximité des gares.
    Américanisation du système pénitentiaire ?

    En ce qui concerne la prison, le projet de loi intervient de deux manières. Tout d’abord, en tentant de réglementer les émeutes dans les établissements pénitentiaires – caractérisées comme des actes de violence, de menaces ou de résistance aux ordres – en introduisant le délit de « résistance passive ». Par « résistance passive », il faut entendre « les conduites qui, compte tenu du nombre de personnes impliquées et du contexte dans lequel opèrent les agents publics ou les chargés d’une mission de service public, empêchent l’accomplissement des actes nécessaires à la gestion de l’ordre et de la sécurité ». Sont ainsi visées les révoltes contre la malnutrition et les conditions dégradantes d’incarcération.

    Mais il y a plus : désormais, l’organisation du travail des détenus est révisée par décret. Les initiatives de promotion du travail entendent davantage impliquer… les entreprises privées. En somme, il s’agit de préparer une force de travail docile et peu chère à se mettre au service du privé.

    Limitations généralisée des droits ? Pas pour les forces de l’ordre. En plus de permettre aux policiers et aux gendarmes de porter leur arme en-dehors des heures de service, le projet introduit la possibilité, sans aucune contrainte, pour le personnel de police, de s’équiper de « dispositifs de vidéosurveillance portables adaptés à l’enregistrement de l’activité opérationnelle et de son déroulement ». Des appareils qui peuvent également être utilisés dans n’importe quel lieu où sont détenues des personnes soumises à une restriction de leur liberté personnelle.

    Ces mesures pourront être financées grâce à une autorisation de dépenses pour les années 2024, 2025 et 2026. Pour promouvoir le travail en milieu carcéral, on y fait entrer les entreprises, tandis que pour les « body cam » des agents de la Police ferroviaire, l’addition sera payée par les contribuables…

    Face à une attaque aussi massive contre les droits individuels et sociaux, s’indigner et dénoncer les « mesures fascistes » ne suffira pas. Il est nécessaire de reconstruire des organisations professionnelles, des syndicats et des partis d’opposition. Un exercice face auquel l’opposition italienne bute depuis des décennies.

    Note :

    [1] Article initialement publié par notre partenaire Jacobin Italia sous le titre « La repressione è servita »,

    https://lvsl.fr/italie-fuite-en-avant-repressive-du-gouvernement-meloni
    #Giorgia_Meloni #répression #détention #conditions_de_détention #forces_de_l'ordre #police #privatisation #espace_public #criminalisation #occupation #Piano_Casa #Maurizi_Lupi #droit_de_propriété #droit_au_logement #anti-Gandhi #emprisonnement #blocage #américanisation #système_pénitentiaire #émeutes #résistance_passive #vidéosurveillance #Etat_policier

  • #baykar, l’azienda dei droni da #guerra di #Erdogan acquista #piaggio_aerospace
    https://radioblackout.org/2025/01/baykar-lazienda-dei-droni-da-guerra-di-erdogan-acquista-piaggio-aeros

    l governo italiano ha autorizzato l’acquisizione di Piaggio Aerospace da parte dell’azienda turca Baykar. Si tratta dell’azienda che produce i droni militari – in particolare il modello Bayraktar – utilizzati dall’esercito turco nelle guerre di occupazione in nord-Iraq e Siria, oltre a essere venduti dalla Baykar agli eserciti di mezzo mondo. Il “nulla osta” del […]

    #L'informazione_di_Blackout #droni_da_gierra #Turchia
    https://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/025-01-14-mazzeo-piaggio.mp3

  • Le nuove “zone rosse”
    https://radioblackout.org/2025/01/le-nuove-zone-rosse

    Il ministro dell’Interno, Matteo #piantedosi, ha inviato una direttiva ai prefetti per spingerli a individuare, con apposite ordinanze, aree urbane dove vietare la presenza di soggetti definiti “pericolosi con precedenti penali” e poterne quindi disporre l’allontanamento. Viene in tal modo esteso ad altre città questo strumento già sperimentato a Firenze e Bologna. Il ricorso alle cosiddette […]

    #L'informazione_di_Blackout #degrado #milano #zone_rosse
    https://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/zonerossemi.mp3

  • Compétences des adultes en 2023 : quelle maîtrise de la recherche et de l’utilisation des informations à l’ère du numérique ? | Note d’Information de la Depp
    https://www.education.gouv.fr/competences-des-adultes-en-2023-quelle-maitrise-de-la-recherche-et-de

    Selon #Piaac 2023, en France hors DROM, plus d’un adulte sur quatre manifeste une faible maîtrise des compétences permettant de bien utiliser l’information dans la vie quotidienne, quel que soit le domaine (28 % en #littératie, 27 % en #numératie et 30 % en résolution adaptative de problèmes). En littératie, les personnes faisant preuve d’une maîtrise faible sont généralement en mesure de comprendre le vocabulaire de base et d’identifier des informations élémentaires dans des textes courts, mais sont en difficulté dès que le texte est un peu long. En numératie, les personnes en situation de faible maîtrise parviennent généralement à effectuer des opérations arithmétiques de base, mais pas des opérations plus complexes. En résolution adaptative de problèmes, elles peuvent résoudre des exercices dont les éléments sont explicites, statiques, en nombre limité, et incluent peu d’informations non pertinentes. La majeure partie de la population française (64 %) jouit d’une maîtrise intermédiaire en littératie, c’est-à-dire qu’elle est en capacité de comprendre des textes denses, longs ou comptant plusieurs pages, et de répondre à des questions nécessitant de croiser plusieurs informations. En numératie, les personnes situées dans la catégorie intermédiaire (61 % de la population) peuvent manipuler des fractions ou des pourcentages. En résolution adaptative de problèmes, la maîtrise intermédiaire (66 %) implique de résoudre des problèmes dont les paramètres évoluent, ce qui demande une capacité d’adaptation. En littératie, 9 % des adultes témoignent d’une maîtrise élevée des compétences ; ils sont 12 % en numératie et 4 % en résolution adaptative de problèmes. Ils sont respectivement en capacité d’évaluer des argumentaires subtils, de comprendre des concepts mathématiques abstraits, de réaliser des déductions complexes à partir de sources multiples dont le contenu peut évoluer.

    [...]

    L’âge est un facteur central de différenciation. En 2023, en numératie, les personnes âgées de 55 à 65 ans sont deux fois plus souvent en situation de faible maîtrise que celles âgées de 16 à 24 ans ; en littératie et en résolution adaptative de problèmes, elles le sont trois fois plus souvent.

    Plusieurs facteurs peuvent expliquer ces moindres performances des plus âgés. Elles peuvent être dues, d’une part, à une évolution au cours de la vie des compétences dans la recherche et l’utilisation des informations (effet « cycle de vie »). Cette évolution pourrait, par exemple, traduire le déclin des capacités cognitives dû au #vieillissement. Les disparités constatées selon l’âge peuvent refléter, d’autre part, une évolution des compétences au fil des générations (effet « génération »), notamment avec l’élargissement de l’accès à l’éducation.

    [...]

    La dégradation, au cours de la vie, des compétences en littératie et en numératie est un constat récurrent des études sur ce sujet. Il se vérifie dans l’ensemble des pays de l’OCDE participant à Piaac. Les résultats français sont donc cohérents avec les attendus, même si la France apparaît comme l’un des pays où l’effet « cycle de vie » est le plus prononcé, notamment en littératie.

  • Giustizia per Simran Kumar. Contro le condizioni inumane di lavoro e istruzione
    https://radioblackout.org/2024/10/giustizia-per-simran-kumar-contro-le-condizioni-inumane-di-lavoro-e-i

    SCIOPERO STUDENTESCO E OPERAIO VENERDI 18 OTTOBRE! PER SIMRAN, PERCHÉ NESSUNO MUOIA MAI PIÙ PER ANDARE A #scuola, PER LA LIBERTÀ DI SCIOPERO! 🚩 📆 Venerdì 18 ottobre studenti e operai piacentini tornano in piazza, alle ore 9:00 davanti al liceo artistico (via Scalabrini)! 📢 Nel giorno dello sciopero nazionale dei sindacati di base, gli […]

    #L'informazione_di_Blackout #corteo #morte #piacenza #profitto
    https://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/CARLO.mp3

  • Via il Papa e Mattarella, a Trieste i migranti tornano a dormire all’addiaccio. E il prefetto scopre la Bora: “Moduli Onu inutili”

    Dopo anni di inerzia istituzionale e migliaia di richiedenti asilo all’addiaccio nonostante la legge imponga la loro accoglienza, lo scorso giungo era stata annunciata la soluzione. La 50a edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani si sarebbe tenuta a Trieste, dal 3 al 7 luglio, alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e di Papa Francesco, che aveva annunciato di voler incontrare i richiedenti accampati nel famigerato Silos, il fatiscente edificio accanto alla stazione cittadina, di proprietà della Coop, già magazzino portuale ai tempi dell’Impero austroungarico. Per evitare che il pontefice mostrasse al mondo il degrado che il Comune denunciava pur senza muovere un dito, il sindaco Roberto Dipiazza decise di firmare l’ordinanza di sgombero del Silos dove i migranti della rotta balcanica accampavano da anni tra fango, topi, freddo e immondizia. L’alternativa? L’ampliamento di una struttura esistente grazie ai moduli abitativi forniti dalle Nazioni Unite, da installare esternamente, e un “elevato turnover” con trasferimenti più assidui e costanti verso le altre regioni. La farsa – è già tempo di chiamarla così – è durata appena un mese. Già ad agosto, infatti, i trasferimenti sono tornati a diradarsi, mentre l’ampliamento dei posti tardava ad arrivare e, dopo l’iniziale trasferimento delle persone sgomberate dal Silos, i nuovi arrivati ricominciavano a finire sulla strada.

    Oggi, mercoledì 18 settembre, a Trieste ci sono 125 richiedenti asilo in mezzo alla strada, comprese famiglie con bambini piccolissimi. Per anni si sono accampati nel rudere del Silos, spesso restandoci per mesi. Il Comune lo ha sempre chiamato “degrado”, negando soluzioni che, a detta del sindaco, attirerebbero altri migranti. Il flusso in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica è in calo, in linea con i numeri dell’anno scorso. Costante anche la volontà di due terzi dei migranti di voler proseguire, per lo più verso altri Paesi europei, lasciando la città già a poche ore dall’arrivo. Secondo il rapporto “Vite abbandonate”, i numeri non possono considerarsi quelli di un’emergenza, vista la media di 5 richieste d’asilo presentate al giorno in una città di 200 mila abitanti. Complice il rallentamento dei trasferimenti dei richiedenti verso altre regioni, nel 2023 si sono contate anche 500 persone lasciate contemporaneamente all’addiaccio. Ma l’imminente visita di Mattarella e del Papa sblocca la situazione. Lo scetticismo non manca, visto che i nuovi posti in località Campo Sacro sono ancora tutti da realizzare e dal cilindro non è uscito che un pugno di container targati Onu. Si lascia passare luglio e intanto la piazza antistante la stazione, quella piazza della Libertà ribattezzata Piazza del mondo dai volontari presenti quotidianamente, si riempie di attivisti e scout venuti da ogni parte d’Italia per incontrare i migranti, richiedenti o transitanti che fossero. Poi il repentino calo delle temperature e le piogge di settembre, un doloroso bagno di realtà: i posti non ci sono e i richiedenti in strada sono di nuovo tanti, ora al freddo. Il punto lo ha fatto la prefettura di Trieste lunedì scorso, convocando sindaco, volontari e associazioni cittadine. E svelando finalmente il mistero dei container dell’Onu, arrivati già ai primi di luglio e mai installati. La ragione? Un evento imponderabile: le raffiche di Bora. Tanto che qualcuno tra i presenti alla riunione si è chiesto se non sia più sciocco chi i moduli li ha inviati o chi se li è fatti mandare per poi accorgersi, a mesi di distanza, che erano inservibili perché potevano ribaltarsi. Flop a parte, di soluzioni per i richiedenti nemmeno l’ombra. Anzi, prefettura e comune si sono limitati a chiederne ad associazioni e volontari. “Non è forse questa la vostra missione?”, è stato detto loro chiedendo di trovare soluzioni indipendenti e autogestite. In altre parole, senza contributi pubblici. Quanto ai transitanti, gli stranieri intenzionati a proseguire il viaggio, la linea è quella dura di sempre: non esistono.

    Assente alla riunione nonostante le promesse, il sindaco Dipiazza è intanto ripartito con le accuse ai volontari che in piazza Libertà distribuiscono cibo, cure, coperte e sacchi a pelo a chi la Bora si prepara ad affrontarla in mezzo a una strada. Dipiazza è da sempre convinto che un pasto caldo e una coperta termica costituiscano un pull factor, cioè una calamita che spinge i migranti a mettersi in viaggio. Come se chi parte dalla Siria o dall’Afghanistan fosse mosso dalla prospettiva di un piatto di minestra offerto davanti alla stazione di Trieste. Così il primo cittadino si guarda bene dal fornire servizi igienici e chiude anche il sottopassaggio davanti alla stazione, unico riparo dalle intemperie. “La Regione Fvg ha elargito oltre un miliardo di contributi nell’ultimo assestamento di bilancio. Non un solo euro è andato per questo dramma che si svolge ogni giorno a Trieste. Invece di vergognarsi delle condizioni in cui queste persone sono costrette a vivere a Trieste – ha scritto il consigliere regionale di Open Sinistra Fvg Furio Honsell – si spendono soldi per sprangare sottopassaggi: restiamo umani”. Un appello che il meteo costringe a tradurre molto concretamente. L’associazione Linea d’Ombra, in piazza da anni per curare i piedi piagati dalla rotta balcanica e a volte le ferite inferte dalle polizie di confine, in queste ore chiede di contribuire con giubbotti e sacchi a pelo trasportabili. Sulla pagina Facebook di Lorena Fornasir, fondatrice dell’associazione, le immagini recenti assomigliano di nuovo a quelle degli anni passati. “Procedere, oltre che con i trasferimenti, con più posti a Campo Sacro, e facendo in modo che le associazioni non vadano più in quella piazza a portare loro di tutto e di più”, ha rilanciato il sindaco Dipiazza. Fornasir ribatte: “Indegne dichiarazioni di chi ha chiuso i due unici gabinetti, di chi abbandona in strada neonati, madri, famiglie transitanti, profughi già identificati che non riescono a entrare in accoglienza, profughi che la questura rimanda di giorno in giorno, di settimana in settimana. Questo è lo scandalo, la vergogna, l’indegnità. Abbiamo salvato delle vite. Curiamo i feriti, li ricopriamo a causa del freddo, li sfamiamo grazie a una rete di comunità, associazioni, persone solidali di tutta Italia. Trieste è stata la vetrina dello scandalo del Silos, continua ad esserlo per lo scandalo dell’abbandono in strada”.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/09/19/via-il-papa-e-mattarella-a-trieste-i-migranti-tornano-a-dormire-alladdiaccio-e-il-prefetto-scopre-la-bora-moduli-onu-inutili/7698412

    #Trieste #Italie #SDF #sans-abrisme #sans-abri

    –-

    Et un mot:
    #transitanti —> trasitants
    #mots #vocabulaire #terminologie

    –> ajouté à la métaliste sur les mots de la migration:
    https://seenthis.net/messages/414225

    –-

    Si lascia passare luglio e intanto la piazza antistante la stazione, quella #piazza_della_Libertà ribattezzata #Piazza_del_mondo dai volontari presenti quotidianamente, si riempie di attivisti e scout venuti da ogni parte d’Italia per incontrare i migranti, richiedenti o transitanti che fossero.

    #toponymie_migrante

  • Calendario Incivile
    https://resistenzeincirenaica.com/2024/02/13/calendario-incivile

    Ve lo avevamo anticipato, le iniziative correlate o tangenti al 19 febbraio – Yekatit 12 sono molte… Partiamo segnalandovi quella di Salò… Reset All, Circolo ARCI Zambarda, Collettivo Gardesano Autonomo, Casa dei Popoli Thomas Sankara, con il supporto della Federazione delle Resistenze e di quanti si vorranno aggiungere lungo il percorso, presentano: “Calendario incivile –... Continua a leggere

    #Antifascismo #Colonialismi #La_Federazione #alto_adriatico #Colonialismo #D'Annunzio #Gardaland_del_sovranismo #Giorno_del_ricordo #Impresa_di_Fiume #Mackda_Ghebremariam_Tesfau #marketing_territoriale #Merope #Mu.Sa #Piazza_della_Loggia #Salò #Sergio_Bresciani #Strage_di_Peteano #Vittoriale


    https://2.gravatar.com/avatar/23d8725e29be63f3a62790eb4565ea03f3a92a9974406a2d1b3243402663959c?s=96&d=

  • #Université, service public ou secteur productif ?

    L’#annonce d’une “vraie #révolution de l’Enseignement Supérieur et la Recherche” traduit le passage, organisé par un bloc hégémonique, d’un service public reposant sur des #carrières, des #programmes et des diplômes à l’imposition autoritaire d’un #modèle_productif, au détriment de la #profession.

    L’annonce d’une « #vraie_révolution » de l’Enseignement Supérieur et la Recherche (ESR) par Emmanuel Macron le 7 décembre, a pour objet, annonce-t-il, d’« ouvrir l’acte 2 de l’#autonomie et d’aller vers la #vraie_autonomie avec des vrais contrats pluriannuels où on a une #gouvernance qui est réformée » sans recours à la loi, avec un agenda sur dix-huit mois et sans modifications de la trajectoire budgétaire. Le président sera accompagné par un #Conseil_présidentiel_de_la_science, composé de scientifiques ayant tous les gages de reconnaissance, mais sans avoir de lien aux instances professionnelles élues des personnels concernés. Ce Conseil pilotera la mise en œuvre de cette « révolution », à savoir transformer les universités, en s’appuyant sur celles composant un bloc d’#excellence, et réduire le #CNRS en une #agence_de_moyen. Les composantes de cette grande transformation déjà engagée sont connues. Elle se fera sans, voire contre, la profession qui était auparavant centrale. Notre objet ici n’est ni de la commenter, ni d’en reprendre l’historique (Voir Charle 2021).

    Nous en proposons un éclairage mésoéconomique que ne perçoit ni la perspective macroéconomique qui pense à partir des agrégats, des valeurs d’ensemble ni l’analyse microéconomique qui part de l’agent et de son action individuelle. Penser en termes de mésoéconomie permet de qualifier d’autres logiques, d’autres organisations, et notamment de voir comment les dynamiques d’ensemble affectent sans déterminisme ce qui s’organise à l’échelle méso, et comment les actions d’acteurs structurent, elles aussi, les dynamiques méso.

    La transformation de la régulation administrée du #système_éducatif, dont nombre de règles perdurent, et l’émergence d’une #régulation_néolibérale de l’ESR, qui érode ces règles, procède par trois canaux : transformation du #travail et des modalités de construction des #carrières ; mise en #concurrence des établissements ; projection dans l’avenir du bloc hégémonique (i.e. les nouveaux managers). L’action de ces trois canaux forment une configuration nouvelle pour l’ESR qui devient un secteur de production, remodelant le système éducatif hier porté par l’État social. Il s’agissait de reproduire la population qualifiée sous l’égide de l’État. Aujourd’hui, nous sommes dans une nouvelle phase du #capitalisme, et cette reproduction est arrimée à l’accumulation du capital dans la perspective de #rentabilisation des #connaissances et de contrôle des professionnels qui l’assurent.

    Le couplage de l’évolution du système d’ESR avec la dynamique de l’#accumulation, constitue une nouvelle articulation avec le régime macro. Cela engendre toutefois des #contradictions majeures qui forment les conditions d’une #dégradation rapide de l’ESR.

    Co-construction historique du système éducatif français par les enseignants et l’État

    Depuis la Révolution française, le système éducatif français s’est déployé sur la base d’une régulation administrée, endogène, co-construite par le corps enseignant et l’État ; la profession en assumant de fait la charge déléguée par l’État (Musselin, 2022). Historiquement, elle a permis la croissance des niveaux d’éducation successifs par de la dépense publique (Michel, 2002). L’allongement historique de la scolarité (fig.1) a permis de façonner la force de travail, facteur décisif des gains de productivité au cœur de la croissance industrielle passée. L’éducation, et progressivement l’ESR, jouent un rôle structurant dans la reproduction de la force de travail et plus largement de la reproduction de la société - stratifications sociales incluses.

    À la fin des années 1960, l’expansion du secondaire se poursuit dans un contexte où la détention de diplômes devient un avantage pour s’insérer dans l’emploi. D’abord pour la bourgeoisie. La massification du supérieur intervient après les années 1980. C’est un phénomène décisif, visible dès les années 1970. Rapidement cela va télescoper une période d’austérité budgétaire. Au cours des années 2000, le pilotage de l’université, basé jusque-là sur l’ensemble du système éducatif et piloté par la profession (pour une version détaillée), s’est effacé au profit d’un pilotage pour et par la recherche, en lien étroit avec le régime d’accumulation financiarisé dans les pays de l’OCDE. Dans ce cadre, l’activité économique est orientée par l’extraction de la valeur financière, c’est à dire principalement par les marchés de capitaux et non par l’activité productive (Voir notamment Clévenot 2008).
    L’ESR : formation d’un secteur productif orienté par la recherche

    La #massification du supérieur rencontre rapidement plusieurs obstacles. Les effectifs étudiants progressent plus vite que ceux des encadrants (Piketty met à jour un graphique révélateur), ce qui entrave la qualité de la formation. La baisse du #taux_d’encadrement déclenche une phase de diminution de la dépense moyenne, car dans l’ESR le travail est un quasi-coût fixe ; avant que ce ne soit pour cette raison les statuts et donc la rémunération du travail qui soient visés. Ceci alors que pourtant il y a une corrélation étroite entre taux d’encadrement et #qualité_de_l’emploi. L’INSEE montre ainsi que le diplôme est un facteur d’amélioration de la productivité, alors que la productivité plonge en France (voir Aussilloux et al. (2020) et Guadalupe et al. 2022).

    Par ailleurs, la massification entraine une demande de différenciation de la part les classes dominantes qui perçoivent le #diplôme comme un des instruments de la reproduction stratifiée de la population. C’est ainsi qu’elles se détournent largement des filières et des établissements massifiés, qui n’assurent plus la fonction de « distinction » (voir le cas exemplaire des effectifs des #écoles_de_commerce et #grandes_écoles).

    Dans le même temps la dynamique de l’accumulation suppose une population formée par l’ESR (i.e. un niveau de diplomation croissant). Cela se traduit par l’insistance des entreprises à définir elles-mêmes les formations supérieures (i.e. à demander des salariés immédiatement aptes à une activité productive, spécialisés). En effet la connaissance, incorporée par les travailleurs, est devenue un actif stratégique majeur pour les entreprises.

    C’est là qu’apparaît une rupture dans l’ESR. Cette rupture est celle de la remise en cause d’un #service_public dont l’organisation est administrée, et dont le pouvoir sur les carrières des personnels, sur la définition des programmes et des diplômes, sur la direction des établissements etc. s’estompe, au profit d’une organisation qui revêt des formes d’un #secteur_productif.

    Depuis la #LRU (2007) puis la #LPR (2020) et la vague qui s’annonce, on peut identifier plusieurs lignes de #transformation, la #mise_en_concurrence conduisant à une adaptation des personnels et des établissements. Au premier titre se trouvent les instruments de #pilotage par la #performance et l’#évaluation. À cela s’ajoute la concurrence entre établissements pour l’#accès_aux_financements (type #Idex, #PIA etc.), aux meilleures candidatures étudiantes, aux #labels et la concurrence entre les personnels, pour l’accès aux #dotations (cf. agences de programmes, type #ANR, #ERC) et l’accès aux des postes de titulaires. Enfin le pouvoir accru des hiérarchies, s’exerce aux dépens de la #collégialité.

    La généralisation de l’évaluation et de la #sélection permanente s’opère au moyen d’#indicateurs permettant de classer. Gingras évoque une #Fièvre_de_l’évaluation, qui devient une référence définissant des #standards_de_qualité, utilisés pour distribuer des ressources réduites. Il y a là un instrument de #discipline agissant sur les #conduites_individuelles (voir Clémentine Gozlan). L’important mouvement de #fusion des universités est ainsi lié à la recherche d’un registre de performance déconnecté de l’activité courante de formation (être université de rang mondial ou d’université de recherche), cela condensé sous la menace du #classement_de_Shanghai, pourtant créé dans un tout autre but.

    La remise en question du caractère national des diplômes, revenant sur les compromis forgés dans le temps long entre les professions et l’État (Kouamé et al. 2023), quant à elle, assoit la mise en concurrence des établissements qui dépossède en retour la profession au profit des directions d’établissement.

    La dynamique de #mise_en_concurrence par les instruments transforme les carrières et la relation d’#emploi, qui reposaient sur une norme commune, administrée par des instances élues, non sans conflit. Cela fonctionne par des instruments, au sens de Lascoumes et Legalès, mais aussi parce que les acteurs les utilisent. Le discours du 7 décembre est éloquent à propos de la transformation des #statuts pour assurer le #pilotage_stratégique non par la profession mais par des directions d’établissements :

    "Et moi, je souhaite que les universités qui y sont prêtes et qui le veulent fassent des propositions les plus audacieuses et permettent de gérer la #ressource_humaine (…) la ministre m’a interdit de prononcer le mot statut. (…) Donc je n’ai pas dit qu’on allait réformer les statuts (…) moi, je vous invite très sincèrement, vous êtes beaucoup plus intelligents que moi, tous dans cette salle, à les changer vous-mêmes."

    La démarche est caractéristique du #new_management_public : une norme centrale formulée sur le registre non discutable d’une prétérition qui renvoie aux personnes concernées, celles-là même qui la refuse, l’injonction de s’amputer (Bechtold-Rognon & Lamarche, 2011).

    Une des clés est le transfert de gestion des personnels aux établissements alors autonomes : les carrières, mais aussi la #gouvernance, échappent progressivement aux instances professionnelles élues. Il y a un processus de mise aux normes du travail de recherche, chercheurs/chercheuses constituant une main d’œuvre qui est atypique en termes de formation, de types de production fortement marqués par l’incertitude, de difficulté à en évaluer la productivité en particulier à court terme. Ce processus est un marqueur de la transformation qui opère, à savoir, un processus de transformation en un secteur. La #pénurie de moyen public est un puissant levier pour que les directions d’établissement acceptent les #règles_dérogatoires (cf. nouveaux contrats de non titulaires ainsi que les rapports qui ont proposé de spécialiser voire de moduler des services).

    On a pu observer depuis la LRU et de façon active depuis la LPR, à la #destruction régulière du #compromis_social noué entre l’État social et le monde enseignant. La perte spectaculaire de #pouvoir_d’achat des universitaires, qui remonte plus loin historiquement, en est l’un des signaux de fond. Il sera progressivement articulé avec l’éclatement de la relation d’emploi (diminution de la part de l’emploi sous statut, #dévalorisation_du_travail etc.).

    Arrimer l’ESR au #régime_d’accumulation, une visée utilitariste

    L’État est un acteur essentiel dans l’émergence de la production de connaissance, hier comme commun, désormais comme résultat, ou produit, d’un secteur productif. En dérégulant l’ESR, le principal appareil de cette production, l’État délaisse la priorité accordée à la montée de la qualification de la population active, au profit d’un #pilotage_par_la_recherche. Ce faisant, il radicalise des dualités anciennes entre système éducatif pour l’élite et pour la masse, entre recherche utile à l’industrie et recherche vue comme activité intellectuelle (cf. la place des SHS), etc.

    La croissance des effectifs étudiants sur une période assez longue, s’est faite à moyens constants avec des effectifs titulaires qui ne permettent pas de maintenir la qualité du travail de formation (cf. figure 2). L’existence de gisements de productivité supposés, à savoir d’une partie de temps de travail des enseignants-chercheurs inutilisé, a conduit à une pénurie de poste et à une recomposition de l’emploi : alourdissement des tâches des personnels statutaires pour un #temps_de_travail identique et développement de l’#emploi_hors_statut. Carpentier & Picard ont récemment montré, qu’en France comme ailleurs, le recours au #précariat s’est généralisé, participant par ce fait même à l’effritement du #corps_professionnel qui n’a plus été à même d’assurer ni sa reproduction ni ses missions de formation.

    C’est le résultat de l’évolution longue. L’#enseignement est la part délaissée, et les étudiants et étudiantes ne sont plus au cœur des #politiques_universitaires : ni par la #dotation accordée par étudiant, ni pour ce qui structure la carrière des universitaires (rythmée par des enjeux de recherche), et encore moins pour les dotations complémentaires (associées à une excellence en recherche). Ce mouvement se met toutefois en œuvre en dehors de la formation des élites qui passent en France majoritairement par les grandes écoles (Charle et Soulié, 2015). Dès lors que les étudiants cessaient d’être le principe organisateur de l’ESR dans les universités, la #recherche pouvait s’y substituer. Cela intervient avec une nouvelle convention de qualité de la recherche. La mise en œuvre de ce principe concurrentiel, initialement limité au financement sur projets, a été élargie à la régulation des carrières.

    La connaissance, et de façon concrète le niveau de diplôme des salariés, est devenu une clé de la compétitivité, voire, pour les gouvernements, de la perspective de croissance. Alors que le travail de recherche tend à devenir une compétence générale du travail qualifié, son rôle croissant dans le régime d’accumulation pousse à la transformation du rapport social de travail de l’ESR.

    C’est à partir du système d’#innovation, en ce que la recherche permet de produire des actifs de production, que l’appariement entre recherche et profit participe d’une dynamique nouvelle du régime d’accumulation.

    Cette dynamique est pilotée par l’évolution jointe du #capitalisme_financiarisé (primauté du profit actionnarial sur le profit industriel) et du capitalisme intensif en connaissance. Les profits futurs des entreprises, incertains, sont liés d’une part aux investissements présents, dont le coût élevé repose sur la financiarisation tout en l’accélérant, et d’autre part au travail de recherche, dont le contrôle échappe au régime historique de croissance de la productivité. La diffusion des compétences du travail de recherche, avec la montée des qualifications des travailleurs, et l’accumulation de connaissances sur lequel il repose, deviennent primordiaux, faisant surgir la transformation du contenu du travail par l’élévation de sa qualité dans une division du travail qui vise pourtant à l’économiser. Cela engendre une forte tension sur la production des savoirs et les systèmes de transmission du savoir qui les traduisent en connaissances et compétences.

    Le travail de recherche devenant une compétence stratégique du travail dans tous les secteurs d’activité, les questions posées au secteur de recherche en termes de mesure de l’#efficacité deviennent des questions générales. L’enjeu en est l’adoption d’une norme d’évaluation que les marchés soient capables de faire circuler parmi les secteurs et les activités consommatrices de connaissances.

    Un régime face à ses contradictions

    Cette transformation de la recherche en un secteur, arrimé au régime d’accumulation, suppose un nouveau compromis institutionnalisé. Mais, menée par une politique néolibérale, elle se heurte à plusieurs contradictions majeures qui détruisent les conditions de sa stabilisation sans que les principes d’une régulation propre ne parviennent à émerger.

    Quand la normalisation du travail de recherche dévalorise l’activité et les personnels

    Durant la longue période de régulation administrée, le travail de recherche a associé le principe de #liberté_académique à l’emploi à statut. L’accomplissement de ce travail a été considéré comme incompatible avec une prise en charge par le marché, ce dernier n’étant pas estimé en capacité de former un signal prix sur les services attachés à ce type de travail. Ainsi, la production de connaissance est un travail entre pairs, rattachés à des collectifs productifs. Son caractère incertain, la possibilité de l’erreur sont inscrits dans le statut ainsi que la définition de la mission (produire des connaissances pour la société, même si son accaparement privé par la bourgeoisie est structurel). La qualité de l’emploi, notamment via les statuts, a été la clé de la #régulation_professionnelle. Avec la #mise_en_concurrence_généralisée (entre établissements, entre laboratoires, entre Universités et grandes écoles, entre les personnels), le compromis productif entre les individus et les collectifs de travail est rompu, car la concurrence fait émerger la figure du #chercheur_entrepreneur, concerné par la #rentabilisation des résultats de sa recherche, via la #valorisation sous forme de #propriété_intellectuelle, voire la création de #start-up devenu objectifs de nombre d’université et du CNRS.

    La réponse publique à la #dévalorisation_salariale évoquée plus haut, passe par une construction différenciée de la #rémunération, qui rompt le compromis incarné par les emplois à statut. Le gel des rémunérations s’accompagne d’une individualisation croissante des salaires, l’accès aux ressources étant largement subordonné à l’adhésion aux dispositifs de mise en concurrence. La grille des rémunérations statutaires perd ainsi progressivement tout pouvoir organisationnel du travail. Le rétrécissement de la possibilité de travailler hors financements sur projet est indissociable du recours à du #travail_précaire. La profession a été dépossédée de sa capacité à défendre son statut et l’évolution des rémunérations, elle est inopérante à faire face à son dépècement par le bloc minoritaire.

    La contradiction intervient avec les dispositifs de concurrence qui tirent les instruments de la régulation professionnelle vers une mise aux normes marchandes pour une partie de la communauté par une autre. Ce mouvement est rendu possible par le décrochage de la rémunération du travail : le niveau de rémunération d’entrée dans la carrière pour les maîtres de conférences est ainsi passé de 2,4 SMIC dans les années 1980 à 1,24 aujourd’hui.

    Là où le statut exprimait l’impossibilité d’attacher une valeur au travail de recherche hors reconnaissance collective, il tend à devenir un travail individualisable dont le prix sélectionne les usages et les contenus. Cette transformation du travail affecte durablement ce que produit l’université.

    Produire de l’innovation et non de la connaissance comme communs

    Durant la période administrée, c’est sous l’égide de la profession que la recherche était conduite. Définissant la valeur de la connaissance, l’action collective des personnels, ratifiée par l’action publique, pose le caractère non rival de l’activité. La possibilité pour un résultat de recherche d’être utilisé par d’autres sans coût de production supplémentaire était un gage d’efficacité. Les passerelles entre recherche et innovation étaient nombreuses, accordant des droits d’exploitation, notamment à l’industrie. Dans ce cadre, le lien recherche-profit ou recherche-utilité économique, sans être ignoré, ne primait pas. Ainsi, la communauté professionnelle et les conditions de sa mise au travail correspondait à la nature de ce qui était alors produit, à savoir les connaissances comme commun. Le financement public de la recherche concordait alors avec la nature non rivale et l’incertitude radicale de (l’utilité de) ce qui est produit.

    La connaissance étant devenue un actif stratégique, sa valorisation par le marché s’est imposée comme instrument d’orientation de la recherche. Finalement dans un régime d’apparence libérale, la conduite politique est forte, c’est d’ailleurs propre d’un régime néolibéral tel que décrit notamment par Amable & Palombarini (2018). Les #appels_à_projet sélectionnent les recherches susceptibles de #valorisation_économique. Là où la #publication fait circuler les connaissances et valide le caractère non rival du produit, les classements des publications ont pour objet de trier les résultats. La priorité donnée à la protection du résultat par la propriété intellectuelle achève le processus de signalement de la bonne recherche, rompant son caractère non rival. La #rivalité exacerbe l’effectivité de l’exclusion par les prix, dont le niveau est en rapport avec les profits anticipés.

    Dans ce contexte, le positionnement des entreprises au plus près des chercheurs publics conduit à une adaptation de l’appareil de production de l’ESR, en créant des lieux (#incubateurs) qui établissent et affinent l’appariement recherche / entreprise et la #transférabilité à la #valorisation_marchande. La hiérarchisation des domaines de recherche, des communautés entre elles et en leur sein est alors inévitable. Dans ce processus, le #financement_public, qui continue d’endosser les coûts irrécouvrables de l’incertitude, opère comme un instrument de sélection et d’orientation qui autorise la mise sous contrôle de la sphère publique. L’ESR est ainsi mobilisée par l’accumulation, en voyant son autonomie (sa capacité à se réguler, à orienter les recherches) se réduire. L’incitation à la propriété intellectuelle sur les résultats de la recherche à des fins de mise en marché est un dispositif qui assure cet arrimage à l’accumulation.

    Le caractère appropriable de la recherche, devenant essentiel pour la légitimation de l’activité, internalise une forme de consentement de la communauté à la perte du contrôle des connaissances scientifiques, forme de garantie de sa circulation. Cette rupture de la non-rivalité constitue un coût collectif pour la société que les communautés scientifiques ne parviennent pas à rendre visible. De la même manière, le partage des connaissances comme principe d’efficacité par les externalités positives qu’il génère n’est pas perçu comme un principe alternatif d’efficacité. Chemin faisant, une recherche à caractère universel, régulée par des communautés, disparait au profit d’un appareil sous doté, orienté vers une utilité de court terme, relayé par la puissance publique elle-même.

    Un bloc hégémonique réduit, contre la collégialité universitaire

    En tant que mode de gouvernance, la collégialité universitaire a garanti la participation, et de fait la mobilisation des personnels, car ce n’est pas la stimulation des rémunérations qui a produit l’#engagement. Les collectifs de travail s’étaient dotés d’objectifs communs et s’étaient accordés sur la #transmission_des_savoirs et les critères de la #validation_scientifique. La #collégialité_universitaire en lien à la définition des savoirs légitimes a été la clé de la gouvernance publique. Il est indispensable de rappeler la continuité régulatrice entre liberté académique et organisation professionnelle qui rend possible le travail de recherche et en même temps le contrôle des usages de ses produits.

    Alors que l’université doit faire face à une masse d’étudiants, elle est évaluée et ses dotations sont accordées sur la base d’une activité de recherche, ce qui produit une contradiction majeure qui affecte les universités, mais pas toutes. Il s’effectue un processus de #différenciation_territoriale, avec une masse d’établissements en souffrance et un petit nombre qui a été retenu pour former l’élite. Les travaux de géographes sur les #inégalités_territoriales montrent la très forte concentration sur quelques pôles laissant des déserts en matière de recherche. Ainsi se renforce une dualité entre des universités portées vers des stratégies d’#élite et d’autres conduites à accepter une #secondarisation_du_supérieur. Une forme de hiatus entre les besoins technologiques et scientifiques massifs et le #décrochage_éducatif commence à être diagnostiquée.

    La sectorisation de l’ESR, et le pouvoir pris par un bloc hégémonique réduit auquel participent certaines universités dans l’espoir de ne pas être reléguées, ont procédé par l’appropriation de prérogatives de plus en plus larges sur les carrières, sur la valorisation de la recherche et la propriété intellectuelle, de ce qui était un commun de la recherche. En cela, les dispositifs d’excellence ont joué un rôle marquant d’affectation de moyens par une partie étroite de la profession. De cette manière, ce bloc capte des prébendes, assoit son pouvoir par la formation des normes concurrentielles qu’il contrôle et développe un rôle asymétrique sur les carrières par son rôle dominant dans l’affectation de reconnaissance professionnelle individualisée, en contournant les instances professionnelles. Il y a là création de nouveaux périmètres par la norme, et la profession dans son ensemble n’a plus grande prise, elle est mise à distance des critères qui servent à son nouveau fonctionnement et à la mesure de la performance.

    Les dispositifs mis en place au nom de l’#excellence_scientifique sont des instruments pour ceux qui peuvent s’en emparer et définissant les critères de sélection selon leur représentation, exercent une domination concurrentielle en sélectionnant les élites futures. Il est alors essentiel d’intégrer les Clubs qui en seront issus. Il y a là une #sociologie_des_élites à préciser sur la construction d’#UDICE, club des 10 universités dites d’excellence. L’évaluation de la performance détermine gagnants et perdants, via des labels, qui couronnent des processus de sélection, et assoit le pouvoir oligopolistique et les élites qui l’ont porté, souvent contre la masse de la profession (Musselin, 2017).

    Le jeu des acteurs dominants, en lien étroit avec le pouvoir politique qui les reconnait et les renforce dans cette position, au moyen d’instruments de #rationalisation de l’allocation de moyens pénuriques permet de définir un nouvel espace pour ceux-ci, ségrégué du reste de l’ESR, démarche qui est justifié par son arrimage au régime d’accumulation. Ce processus s’achève avec une forme de séparatisme du nouveau bloc hégémonique composé par ces managers de l’ESR, composante minoritaire qui correspond d’une certaine mesure au bloc bourgeois. Celles- et ceux-là même qui applaudissent le discours présidentiel annonçant la révolution dont un petit fragment tirera du feu peu de marrons, mais qui seront sans doute pour eux très lucratifs. Toutefois le scénario ainsi décrit dans sa tendance contradictoire pour ne pas dire délétère ne doit pas faire oublier que les communautés scientifiques perdurent, même si elles souffrent. La trajectoire choisie de sectorisation déstabilise l’ESR sans ouvrir d’espace pour un compromis ni avec les personnels ni pour la formation. En l’état, les conditions d’émergence d’un nouveau régime pour l’ESR, reliant son fonctionnement et sa visée pour la société ne sont pas réunies, en particulier parce que la #rupture se fait contre la profession et que c’est pourtant elle qui reste au cœur de la production.

    https://laviedesidees.fr/Universite-service-public-ou-secteur-productif
    #ESR #facs #souffrance

  • Ecole inclusive : le Conseil constitutionnel censure une réforme introduite par l’éducation nationale dans le projet de loi de finances
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/12/29/ecole-inclusive-le-conseil-constitutionnel-censure-une-reforme-introduite-pa

    Ce dernier prévoyait la transformation des pôles inclusifs d’accompagnement localisés (#Pial) en pôles d’appui à la scolarité (PAS) d’ici 2026. Les Pial, créés lors du premier quinquennat du chef de l’Etat, Emmanuel Macron, par la loi pour une #école de la confiance de 2019, sont surtout un outil de mutualisation et de répartition des 124 000 accompagnants d’élèves en situation de handicap (AESH) entre les établissements d’un territoire.

    Leur remplacement par des PAS – dont 100 devaient être créés en septembre 2024, dotés chacun d’un enseignant spécialisé – induisait un changement dépassant largement la seule dénomination. Il s’agissait de repenser l’organisation de l’#inclusion_scolaire et la répartition des compétences entre l’#éducation_nationale et les maisons départementales des personnes handicapées (MDPH), sur lesquelles repose la reconnaissance du #handicap ainsi que la définition des modalités de scolarisation des élèves.

    « Réponse plus rapide et qualitative »

    Les PAS ont été pensés comme une interface entre les équipes éducatives, le secteur médico-social et les familles d’enfants handicapés mais aussi d’#élèves dits « à besoins éducatifs particuliers » – ceux qui n’ont pas de reconnaissance de handicap mais requièrent néanmoins des adaptations. Le PLF prévoyait que les PAS « expertisent les besoins de l’élève », et, surtout, « définissent » et « assurent » une réponse dite « de premier niveau ». Le texte rendait ainsi possible, sans passer par les MDPH, la « mise à disposition de matériel pédagogique adapté », « l’intervention de personnels de l’éducation nationale en renfort » ou encore « de professionnels des établissements et services médico-sociaux ». « Le dispositif offrira une réponse plus rapide et plus qualitative », a défendu le ministre de l’éducation, Gabriel Attal, lors de l’examen du texte.

    La reconnaissance du handicap et l’ouverture du droit à un accompagnement humain restaient toutefois possibles et entièrement du ressort des MDPH. En revanche, et c’était là un bouleversement profond de l’organisation qui prévaut depuis l’instauration de l’école inclusive en 2005, la création des PAS retirait aux #MDPH le pouvoir de définir les modalités de mise en œuvre de l’aide et, notamment, le nombre d’heures durant lesquelles un élève doit bénéficier d’un #AESH en classe. Ces compétences revenaient aux PAS et, donc, à l’Etat.

    https://archive.is/5hxLs

    #loi_de_finances #management #travail

    • Tant qu’il n’y aura pas de coordinateur au #PIAL de Linselles, les parents d’Hugo ne pourront lancer aucune démarche. « A priori plusieurs dizaines d’enfants sont concernés sur notre secteur », relate Nicolas Karasiewicz, le père d’Hugo.

      Un recours en justice si la situation ne s’améliore pas

      Une situation qui s’est rapidement fait sentir sur les résultats du jeune garçon, qui présente une vraie fatigue visuelle, et des notes en baisse.

      « J’aimerais qu’on puisse concrètement avoir une date, savoir quand le coordinateur du PIAL va arriver pour lancer les recrutements, s’exclame le père qui ne décolère pas. Il faut informer les familles, faire en sorte que la situation revienne à la normale, que des recrutements soient effectués en urgence pour apprivoiser les examens sereinement : il faut que ça bouge ! »

      Le manque d’AESH n’étant pas propre au territoire, Nicolas a pu s’entretenir avec des parents faisant face à la même difficulté que lui : « certains parents recrutent eux mêmes les AESH, mais à leurs frais. C’est loin d’être une solution et loin d’être satisfaisant », gronde-t-il.

      Lassé de voir cette situation stagner, le père du jeune garçon se dit « prêt à poursuivre cette affaire en justice s’il le faut ».

      Contactés à plusieurs reprises, le département du Nord et le rectorat n’ont pas donné suite à nos sollicitations.

      À lire aussi
      #Handicap intellectuel. Près de 8000 personnes sans solution dans le Nord : « On est invisibles »

      #élève #école #école_inclusive (elle se revendique telle...) #AESH

    • Il me semble que c’est pour partie différent, @sombre. De fait, l"école inclusive" est un thème introduit dans la loi de 2013. Ça vient sanctionner le fait que l’on dit privilègier désormais la « situation de handicap » et les manières de compenser celle-ci plus que « le » handicap. Il n’y jamais eu assez de personnel (AVS, puis AESH) pour doter les élèves qui se voient notifier un accompagnement par les MDP. Mais le dispositif, loin d’être en déshérence, monte en charge (132 000 AESH actuellement). Le plus souvent sans formation initiale, voire continue, des personnels, et avec des salaires de merde (de nombreuses luttes ont eu lieu à ce sujet ces dernières années). Ce qui n’est pas pour rien dans le difficultés rencontrées pour recruter.
      Une des solutions employées, dans le cas de Paris, c’est d’av voir ouvert le recrutement effectué par le Recorat et les PIAL (pôle inclusif d’accompagnement localisés, sic) aux animateurs périscolaires (payés par la Ville). Vu la cherté des loyers, il faut bien deux salaires de ce genre...
      Le « taux de couverture » des notifiés #MDPH, à savoir celleux qui disposent effectivement d’une AESH, varie très fortement selon les régions (de 30 à... 65%, à #Paris).

      Ils flexibilisé la chose à fond en créant des « AESH mutualisés » (en théorie jusqu’à 8 élèves en même temps...). Quant dire que l’intérêt de l’élève n’est pas prioritaire. Il s’agit de produire un bilan comportant un taux de couverture « en progression ». Ils en sont même au point de prévoir, pour s’affranchir de cette contrainte, de vouloir s’approprier une prérogative des MDPH, fixer le nombre d’heure d’attribution d’une AESH aux élèves concernés.

      Cela reste un secteur d’emploi en pleine croissance, ce qui rend difficile de mettre sous le tapis ses aspects contradictoires. C’est un des seuls domaines où il y a des luttes dans l’éducation nationale. Et des avancées susceptibles de faire tache d’huile. Ainsi le rectorat de Paris a, pour la première fois cette année, mis en place une semaine de formation initiale par laquelle passe les vagues incessantes de recrutés, formation suivie d’une formation continuée sur l’année, dont des groupes de travail axés sur les pratiques professionnelles qui peuvent permettent à des AESH de partager leurs difficultés. Un cadre d’échange collectif avec supervision, comme il devrait en exister partout et continûment (ce qui n’est pas le ca ici non plus) dans les métiers de la relation.

      de la doc
      https://www.sudeducation75.org/?s=aesh

      #emploi_précaire #salaire #formation

    • Pas tout à fait. Il s’agit de faire mine de répondre (c’est un effet réelle) à ce qui désormais considéré comme un besoin social en dépensant le moins possible. Là c’est 135 000 salaires, et ça va augmenter. D’où cette « recherche de productivité » où l’employeur peut dire « 8 heures c’est 8 heures » (d’attribution d’AESH) à propos d’heures où une AESH accompagne 4 élèves à la fois (une intensification du travail destructrice).
      C’est des mécanismes très contradictoires. Il y a par exemple des collèges où l’on met tous les élèves avec notifications MDPH dans les mêmes classes (école inclusive on vous dit) afin de ne aps avoir à réclamer des AESH au rectorat, au risque de ne pas les avoir.

      Tout cela va bouger (vers une tendance à l’abandon sous couvert d’accompagnement) avec cette saloperies de classe de niveau, où se retrouveront la très grande majorité des élèves en situation de handicap.

    • Intensification destructrice du travail de l’employé·e qui aura pour conséquence une dégradation de la prestation de service public, à savoir l’inclusion et l’instruction des élèves en situation de handicap.
      On est bien dans le cas d’une réduction des moyens en affamant la bête service public, tout comme lorsqu’on fait des économies sur l’entretien du réseau ferroviaire, on dégrade la prestation de service public de transport en commun en mettant la vie des usagers en danger.

  • Thelonious Monk (1917–1982), la nique au silence
    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/une-vie-une-oeuvre/thelonious-monk-1917-1982-la-nique-au-silence-7960847

    Personne ne l’avait vu venir, Monk, avec ses airs d’ours bourru, gourmand et solitaire, qui assène ses certitudes d’autodidacte à coups de griffes, autant de mélodies insolites et d’accords bizarres. Personne ne l’avait entendu venir à cause de son incapacité à dire les choses. Ainsi lorsqu’on lui demanda le titre du tout premier morceau qu’il venait de graver, il répondit d’un dubitatif grognement sourd, sa façon à lui de s’exprimer, qu’un assistant polyglotte décryptera comme « Humph », tel est resté le titre mystérieux du morceau. Autant dire que cet homme-là ne parlait déjà pas tout à fait le langage admis.

    Un vrai seen pour l’émission mise par @vanderling l’autre jour https://seenthis.net/messages/995312#message1030172

    #musique #Thelonious_Monk #jazz #piano #radio #audio #France_Culture

  • La grande scommessa: migrazioni e (im)mobilità globale (con #Milena_Belloni)

    Il governo Meloni in questi giorni sta discutendo di un “#piano_Africa” per “aiutarli a casa loro” che include esperti di comunicazione che informino gli aspiranti migranti dei rischi che corrono. È questo il punto, non sanno cosa rischiano?
    Ha senso parlare del “Viaggio” dei migranti come di una scommessa (evocata anche nel titolo del tuo libro)?
    Per una persona che arriva ce ne sono decine che partono. Per una persona che parte, ce ne sono migliaia che restano. È davvero una scelta del singolo imbarcarsi nel “Viaggio”?
    Succede a chiunque, in continuazione, di cominciare qualcosa senza avere un’idea precisa delle conseguenze. Nel nostro quotidiano spesso ci si può fermare in itinere, ribilanciare costi e benefici. È così anche per un migrante che intraprende “il Viaggio”?
    Che differenza fa in tutto questo essere maschio o femmina?
    Tu sei stata sul campo: Eritrea, Etiopia, Sudan, Italia. Cosa ti ha colpito di più?

    https://www.spreaker.com/user/15530479/ep-6-la-grande-scommessa-con-milena-belloni

    #migrations #risque #réfugiés #asile #risques #itinéraire_migratoire #migrerrance #immobilité #stratégie_familiale #pari
    #podcast #audio

    • The Big Gamble. The Migration of Eritreans to Europe

      Tens of thousands of Eritreans make perilous voyages across Africa and the Mediterranean Sea every year. Why do they risk their lives to reach European countries where so many more hardships await them? By visiting family homes in Eritrea and living with refugees in camps and urban peripheries across Ethiopia, Sudan, and Italy, Milena Belloni untangles the reasons behind one of the most under-researched refugee populations today. Balancing encounters with refugees and their families, smugglers, and visa officers, The Big Gamble contributes to ongoing debates about blurred boundaries between forced and voluntary migration, the complications of transnational marriages, the social matrix of smuggling, and the role of family expectations, emotions, and values in migrants’ choices of destinations.

      https://www.ucpress.edu/book/9780520298705/the-big-gamble

      #réfugiés_érythréens #livre

  • Rotta balcanica, Piantedosi lancia le brigate antimigranti

    A margine del trilaterale a Trieste il 2 novembre scorso, il ministro snocciola i numeri dei respingimenti dopo la sospensione di Schengen. E annuncia: quando i controlli alle frontiere finiranno, il governo vuole istituire “brigate miste” (di polizia). Dove? Con chi? E con quale mandato?

    Nell’edizione del 20 ottobre dell’Unità avevo esaminato la misura di ripristino dei controlli alle frontiere interne deciso dall’Italia al confine italo-sloveno mettendo in rilievo come tale decisione fosse in contrasto con quanto disposto dal Codice Schengen. Su questo il Codice prevede la possibilità di un temporaneo ripristino dei controlli alle frontiere interne solo come extrema ratio in caso di minaccia all’ordine pubblico e che “la migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna” (Codice Schengen, considerando 26). Ben presto le dichiarazioni del Governo italiano hanno reso evidente come dietro questo ripristino, inutile e quanto mai problematico per la vita sociale ed economica del Friuli Venezia Giulia, ci sia una sola finalità ovvero quella di ostacolare l’ingresso nell’Unione Europea, ad iniziare dal confine esterno tra la Croazia e la Bosnia, a coloro che sono in cerca di protezione e che, per il diritto dell’Unione, hanno invece diritto, alle frontiere e nel territorio degli Stati dell’Unione, di chiedere asilo (Direttiva 2013/32/UE art. 3) e gli Stati hanno il dovere assoluto di non respingerli.

    Le affermazioni rese dal ministro Piantedosi nella conferenza stampa tenutasi a Trieste il 2 novembre 2023, a conclusione dell’incontro trilaterale con gli omologhi sloveno e croato, sono state tanto esplicite quanto sconcertanti. Il ministro ha reso noto che nei primi dieci giorni di vigenza dei controlli alla frontiera sono stati effettuati 220 respingimenti. Non sono state fornite ulteriori informazioni, né il ministro, come ha fatto invece in passato, ha rivendicato la possibilità che vengano respinti o riammessi informalmente anche coloro che al confine italiano chiedono asilo. Sulla radicale illegittimità delle riammissioni informali attuate dall’Italia verso la Slovenia nei confronti di richiedenti asilo si era già espresso con estrema chiarezza il Tribunale ordinario di Roma con due distinte ordinanze, nel gennaio 2021 e nel maggio 2023. Non sappiamo se i dati forniti da Piantedosi riguardino cittadini stranieri che sono stati illegittimamente respinti dopo che è stato loro impedito di chiedere asilo in Italia e se, come impone la normativa a tutti coloro che sono fermati venga “assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale” (T.U. Immigrazione art. 10.3).

    Infine non sappiamo se nei confronti degli stranieri respinti sia stato emesso un provvedimento amministrativo scritto e motivato in fatto e in diritto, notificato al soggetto interessato e impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria, o se di tali provvedimenti non c’è traccia. Neppure sappiamo se tali respingimenti sono stati realmente tali o se si è trattato di operazioni di impedimento all’ingresso in Italia attuati in territorio sloveno con la collaborazione della polizia italiana. Sono questioni dirimenti sulle quali il ministro dovrà fornire al più presto le necessarie informazioni. Lo stesso Piantedosi ha altresì annunciato che, non appena i controlli alle frontiere cesseranno (al momento sono prorogati fino al 20 novembre), è intenzione del Governo prevedere l’istituzione di “brigate miste” (di polizia) da “rendere stabili nel tempo”. Il termine utilizzato – brigate – è già piuttosto militaresco, ma, soprattutto, tali brigate miste come sarebbero composte, con quale mandato e con quali garanzie opererebbero al di fuori del territorio italiano? Anche sul confine sloveno-croato e su quello croato-bosniaco?

    Un’espressione in particolare, tra quelle usate da Piantedosi, risulta inquietante: il ministro ha affermato che le operazioni di respingimento finora attuate vanno considerate solo come i “primi segnali di una filiera della deterrenza da proseguire con i colleghi”. Il termine deterrenza è sempre associato a una funzione intimidatrice (nel diritto penale ci si è sempre interrogati se la minaccia della sanzione funga o meno da deterrenza). Nel linguaggio politico la deterrenza è rivolta verso un nemico ovvero verso colui che rappresenta un grave pericolo e nei cui confronti, all’occorrenza, si può usare violenza. A chi è diretta la funzione di deterrenza cui si riferisce Piantedosi? Agli stranieri che sono in fuga dai loro paesi affinché non lo facciano? A chi intende chiedere asilo affinché comprenda con metodi convincenti che ciò è inutile? Le parole usate dal ministro sono gravi perché le normative internazionali ed europee e il diritto interno dispongono che l’operato della polizia di frontiera non sia finalizzato ad attuare alcuna deterrenza bensì sia esclusivamente rivolto all’esecuzione di legittimi compiti di controllo dell’attraversamento dei confini; le guardie di frontiera sono tenute infatti ad operare nello stretto ambito delle funzioni attribuite loro dalla legge, e nei confronti di chi viene controllato “devono essere garantiti i diritti fondamentali sanciti nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo e nella Carta sui diritti fondamentali dell’Unione europea. I controlli di frontiera devono rispettare pienamente i divieti di infliggere trattamenti inumani o degradanti e di agire in maniera discriminatoria” (Manuale per le guardie di frontiera a cura della Commissione Europea 6.11.2006 punto 1.2).

    Inoltre “a tutti i cittadini di paese terzo che lo desiderano deve essere data la possibilità di chiedere asilo/protezione internazionale alla frontiera (anche nelle zone di transito aeroportuali e portuali). A tal fine, le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire” (Manuale punto 10.2). La rotta balcanica e i confini tra i diversi Stati, da sempre, ma in particolare dal 2018, sono segnati da inenarrabili violenze, illegalità e soprusi condotti dalle polizie dei diversi Stati coinvolti (a volte si tratta di uomini in divisa, altre volte mascherati, ma comunque operanti sempre all’interno di un preciso mandato). I rapporti su queste violenze sono scioccanti e sono così numerosi da riempire un’intera biblioteca; si tratta di violenze ed illegalità avvenute sia ai confini interni dell’Unione Europea che ai confini esterni della stessa. Una situazione che rappresenta, insieme alle violenze attuate sul confine polacco-bielorusso, una delle pagine più oscure dell’Europa. Uno dei luoghi caratterizzati da maggiori violenze è il confine della Croazia con la Bosnia dove i respingimenti arbitrari, uniti ad efferate violenze non sono mai cessati. Secondo il rapporto Trattati come animali – Respingimenti di persone in cerca di protezione dalla Croazia in Bosnia Erzegovina, edito nel maggio 2023 a cura di Human Rights Watch (H.C.R.) una delle più autorevoli organizzazioni di tutela dei diritti umani a livello internazionale, i respingimenti illegittimi e le violenze, anche efferate, da parte della polizia croata, solo nel 2022, hanno riguardato quasi 30.000 persone, e sono proseguiti nel 2023.

    Il Rapporto evidenzia che “Le forze di polizia conducono spesso i respingimenti in modo violento, rendendosi responsabili di lesioni fisiche e umiliazioni deliberate”. Inoltre “secondo la maggior parte delle testimonianze raccolte da HRW, i poliziotti croati indossano le uniformi, guidano mezzi della polizia e si identificano come agenti per non lasciare alcun dubbio sull’ufficialità del loro ruolo”. Si tratta dunque di una pratica di esplicita deterrenza condotta verso persone inermi che stanno esclusivamente tentando di esercitare il loro diritto a chiedere asilo. “Molti bambini hanno dovuto assistere mentre i loro padri, fratelli maggiori o parenti venivano picchiati, o manganellati o presi a spintoni”, prosegue il Rapporto. La Slovenia non sfugge alla censura operata dalla citata organizzazione internazionale giacché il Rapporto osserva come “in base all’accordo di riammissione tra Slovenia e Croazia, la polizia slovena invia sommariamente i migranti irregolari che sono entrati nel paese passando dalla Croazia, indipendentemente dal fatto che abbiano chiesto asilo in Slovenia. A loro volta le autorità croate generalmente si affrettano a trasferirli in Bosnia o Serbia”.

    Al drammatico Rapporto di H.R.W. si aggiungono i dati diffusi dal Centro per la Pace di Zagabria che da anni svolge un attento lavoro di monitoraggio della situazione del rispetto della legalità in Croazia, secondo cui nel solo mese di luglio 2023 sono stati respinti illegalmente dalla Croazia alla Bosnia 673 persone, tra cui 43 bambini. 369 di essi erano afgani, con tutta evidenza rifugiati. Il 95% delle persone respinte ha subito trattamenti inumani e degradanti tassativamente proibiti dall’art. 3 della CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo) mentre l’81% ha subito il furto dei propri averi e la distruzione delle proprie cose. E’ in questi cupi contesti che il ministro Piantedosi vorrebbe organizzare le “brigate”? Vuole forse trascinare la polizia italiana in inaccettabili contesti di violenza di cui essere spettatore inerme oppure complice? Confida nella collaborazione della piccola Slovenia, paese cuscinetto, nel realizzare una più respingimenti a catena? Un monitoraggio su quanto rischia di accadere al nostro tormentato confine orientale, da parte di enti di tutela ed organizzazioni internazionali, nonché da parte del Parlamento, è divenuto indispensabile ed urgente.

    https://www.unita.it/2023/11/07/rotta-balcanica-piantedosi-lancia-le-brigate-antimigranti
    #Balkans #route_des_Balkans #asile #migrations #réfugiés #Piantedosi #brigades_mixtes #contrôles_frontaliers #refoulements #push-backs #Slovénie #frontière_sud-alpine #contrôles_systématiques_aux_frontières #chiffres #statistiques #patrouilles_mixtes #dissuasion

    –-

    ajouté au fil de discussion sur la réintroduction des contrôles systématiques à la frontière entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/1021994

    et à la métaliste sur les patrouilles mixtes :
    https://seenthis.net/messages/910352

  • Vu hier soir en avant première ce magnifique docu animé sur la très triste histoire de Tenorio Junior, ce pianiste de jazz prodigieux que TOUS les musiciens brésiliens considéraient comme le meilleur, et qui était une personne très gentille et drôle apparemment, un peu dans sa bulle de musique… et qui fut kidnappé, torturé, et disparu, par la dictature argentine pendant la continentale opération Condor. Avec les vraies interviews d’une tonne de musiciens brésiliens dont les légendes encore vivantes. Par les auteurs du non moins magnifique (et non moins triste !) Chico et Rita. Sortie en janvier 2024.

    They shot the piano player
    https://www.youtube.com/watch?v=OWm-HEyRyzc

    À écouter bien sûr :

    TENORIO JR. - EMBALO
    https://www.youtube.com/watch?v=IYYpbiqDwp4&list=PLbkLV7jiZi_MuznJWkRibYXqt8-BtF-il

    #musique #jazz #samba #Brésil #MPB #Tenorio_Junior #piano #documentaire #cinéma #film #film_d'animation #Fernando_Trueba #Javier_Mariscal

  • Le gouvernement Meloni à l’épreuve du procès de l’attentat de Bologne


    Sur les lieux de l’attentat à la gare de Bologne (Italie) le 2 août 1980. © Photo Farabola / Leemage via AFP

    La condamnation récente à perpétuité de deux néofascistes dans l’affaire de l’attentat de la gare de Bologne en 1980 provoque l’embarras de l’équipe de Giorgia Meloni qui voudrait réécrire l’histoire. Un ministre et une députée Fratelli d’Italia gravitent dans l’entourage des ex-terroristes.
    Karl Laske
    16 octobre 2023


    LeLe 27 septembre 2023, Gilberto Cavallini, dit « Gigi » ou « Il Nero », ne s’est pas présenté devant les juges. Le #néofasciste, ex-membre des Nuclei Armati Rivoluzionari (#NAR), auteur et coauteur de plusieurs assassinats – notamment ceux du policier Francesco Evangelista et du procureur Mario Amato, en 1980 –, a été condamné en appel à perpétuité pour sa participation à l’attentat commis gare de Bologne le 2 août 1980, qui avait fait 85 morts et 200 blessés . Arrêté en 1983, et déjà condamné pour différents crimes et association de malfaiteurs, l’ancien terroriste de 71 ans est en semi-liberté.
    Il y a peu, les enquêtes journalistiques de La Repubblica et de la Rai ont dévoilé ses réseaux et ses liens avec un membre du gouvernement, le sous-secrétaire d’État à l’environnement et à la sécurité énergétique, Claudio Barbaro. La condamnation en appel d’« Il Nero », et l’incarcération, en juin, d’un autre néofasciste, ex-membre d’#Avanguardia_Nazionale (AN), Paolo Bellini, 70 ans, condamné à perpétuité, en avril 2022, comme le coauteur du même attentat de Bologne, ont clarifié les responsabilités, et embarrassé le gouvernement de Giorgia Meloni, qui n’a jamais admis la mise en cause des néofascistes dans cet attentat.

    La « matrice néofasciste »
    Longues de 1 724 pages, les motivations de la sentence condamnant Bellini relèvent en particulier « la preuve éclatante » du financement de l’attentat par le haut dignitaire de la #loge_P2 (Propaganda Due), le financier d’extrême droite Licio Gelli, décédé en 2015. Preuve de la « #stratégie_de_la_tension » mise en œuvre par des réseaux clandestins au sein de l’#État et les #forces_armées. Sur une comptabilité manuscrite qu’il avait intitulée « Bologna » (un mot que les premiers enquêteurs n’avaient pas retranscrit), apparaissent une provision de 5 millions de dollars et un versement d’un million en espèces (20 %) peu avant l’attentat.

    La sentence souligne aussi les capacités de manipulation des groupes néofascistes par Licio Gelli et Federico Umberto D’#Amato, l’ancien chef du Bureau des affaires réservées du ministère de l’intérieur, également décédé, tous deux mis en cause lors d’un premier procès pour des manœuvres visant à désorienter l’enquête.
    La « coopération opérationnelle » des groupuscules Nuclei Armati Rivoluzionari et Avanguardia Nazionale a été par ailleurs établie par la justice : hold-up communs, faux papiers, caches d’armes partagées… La sentence relève au passage que l’une de ces caches se trouvait dans le local romain du journal Confidentiel, la couverture d’un réseau international impliquant d’anciens dirigeants du groupuscule français Ordre nouveau.
    En dépit de ces investigations, la présidente du Conseil Giorgia Meloni n’a cessé de contester, sur son compte Twitter (aujourd’hui « X »), les décisions de la justice concernant l’attentat de Bologne, réclamant « la vérité ». Et alors que le président de la République Sergio Mattarella a solennellement souligné, en août, « la matrice néofasciste » de l’attentat, Giorgia Meloni a, cette année encore, provoqué une vive polémique, le 2 août, parlant dans un message d’un des « coups féroces infligés » par « le terrorisme » à l’Italie, sans préciser lequel, et en signalant une nouvelle fois qu’il fallait « parvenir à la vérité » sur les attentats. Une façon à peine voilée de contredire l’institution judiciaire.

    Or la « matrice néofasciste » ne concerne pas que l’attentat de la gare de Bologne, mais toutes les « stragi », c’est-à-dire les #massacres, à commencer par l’attentat de #piazza_Fontana, à Milan, le 12 décembre 1969 (16 morts et 88 blessés), ou celui de la piazza della Loggia à #Brescia le 28 mai 1974 (8 morts et 102 blessés), dont les procès se sont conclus par la condamnation de membres du groupuscule néofasciste #Ordine_nuovo et de responsables opérationnels de sa cellule en Vénétie.
    Concernant #Bologne, la « vérité alternative » avancée par l’équipe Meloni tient en une « piste palestinienne » liée à l’incarcération d’un militant palestinien pour trafic d’armes en 1979, une piste explorée mais fermement écartée par la justice vu l’implication matérielle des néofascistes, et par ailleurs les preuves d’un dialogue entre Italiens et Palestiniens au sujet de cet épisode.
    Cette piste internationale avait fait partie des contre-feux ouverts par Licio Gelli lui-même, aux débuts de l’enquête. En 2019, huit députés Fratelli d’Italia ont tenté de la rouvrir par une demande de création d’une commission d’enquête parlementaire, faisant délibérément l’impasse sur les enquêtes judiciaires et les condamnations définitives, en 2007, de trois premiers auteurs de l’attentat, ex-membres des Nuclei Armati Rivoluzionari, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro et Luigi Ciavardini.

    Cet été, l’un de ces députés, Federico Mollicone, a encore demandé la « levée du secret » sur d’éventuels documents concernant la piste palestinienne. « Ces documents n’existent pas, c’est le énième rideau de fumée lancé sur le 2 août », a commenté Paolo Bolognesi, le président de l’Association des familles de victimes de l’#attentat_de_Bologne.
    En février, c’est le ministre de la justice, Carlo Nordio, qui a soutenu devant le Sénat la validité des arguments des avocats de Cavallini visant à annuler la condamnation du néofasciste – en s’appuyant sur une jurisprudence inexistante concernant la limite d’âge des juges populaires. « Il a fourni une assistance aux terroristes », s’est indigné encore Bolognesi dans La Stampa.

    Un soutien matériel aux condamnés
    « La strage de 1980 est la plus contestée dans ses résultats judiciaires parce que les enquêtes et les sentences ont touché des points sensibles d’un système encore actif », a commenté l’un des anciens juges de Bologne Leonardo Grassi au Fatto Quotidiano.
    « Il est normal qu’aujourd’hui on revienne à la piste palestinienne, c’est la manière dont la partie politique qui se sent impliquée, et qui est au gouvernement, cherche une voie de sortie, poursuit-il. Parce que le parti de Giorgia Meloni revendique sa continuité avec le Movimento Sociale Italiano (#MSI), et celui-ci est proche du monde d’où proviennent les exécuteurs des stragi. »
    Un monde plus que proche. Comme l’a montré l’enquête de la Rai et de La Repubblica sur l’étrange coopérative Essegi 2012.
    Cette société est justement dirigée par l’un des premiers condamnés dans l’attentat de Bologne, Luigi Ciavardini, 61 ans. Et elle a permis à « Il Nero » Cavallini de décrocher un emploi et la semi-liberté.
    Condamné à treize et dix ans de prison pour les meurtres d’Evangelista et d’Amato, et à trente ans pour l’attentat de Bologne, Ciavardini, dit « Gengis Khan », a fait tourner sa coopérative, dédiée à l’accueil des détenus en semi-liberté, à coups de subventions publiques (plusieurs millions d’euros) de municipalités et collectivités locales amies – jusqu’à la perte de son agrément en juin dernier.
    Ces deux condamnés pour l’attentat de Bologne ont tous deux bénéficié du soutien du sous-secrétaire d’État à l’environnement de #Giorgia_Meloni, Claudio Barbaro, ancien élu du Movimento Sociale Italiano (MSI). Ciavardini a obtenu sa propre semi-liberté grâce à l’emploi que lui a offert Barbaro au sein de l’Alliance sportive italienne (ASI) qu’il a présidée pendant vingt-sept ans. Et le ministre a « contribué à payer » les frais judiciaires de Cavallini, selon un témoin cité par La Repubblica.

    Mais le ministre n’est pas le seul à soutenir les ex-terroristes des NAR. La députée (Fratelli d’Italia) Chiara Colosimo, une proche de Meloni, a ainsi rendu visite à Ciavardini à la prison de Rebibbia en 2014. L’émission « Report » de la Rai a dévoilé une photo de l’élue accrochée à son bras à cette occasion (voir ci-dessous).
    Malgré cette relation à l’évidence amicale, Chiara Colosimo a été élue en mai dernier présidente de la commission antimafia par le Parlement, provoquant une levée de boucliers parmi les familles des victimes des attentats, et un appel solennel de leur part, en vain.

    Cette nomination à la tête de la commission antimafia est d’autant plus problématique que Luigi Ciavardini a été aussi sous investigation pour ses contacts avec la #Camorra, la mafia napolitaine dans le cadre de l’enquête « Mafia Capitale ». L’ancien terroriste avait détenu un restaurant à Rome, Il Tulipano, en association avec le comptable du clan, Massimiliano Colagrande, alias « Small », condamné définitivement en février 2020, à 30 ans de prison.

    Début août, les néofascistes condamnés ont reçu un autre soutien, plus modeste, celui du responsable de la communication institutionnelle de la région du Lazio, Marcello De Angelis, un ancien parlementaire d’extrême droite, lui-même issu du groupuscule Terza Posizione, auquel avaient appartenu les trois premiers condamnés de l’attentat de Bologne avant de rejoindre les NAR, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro et Luigi Ciavardini – ce dernier n’est autre que son beau-frère.
    Sur Facebook, De Angelis a assuré que ses trois camarades, condamnés définitifs, n’avaient « rien à voir avec le massacre de Bologne ». Son post a immédiatement été « liké » par Claudio Barbaro. Le communicant a démissionné fin août des services de la région après la découverte sur son compte de posts antisémites, ou encore célébrant Himmler. On relève au passage que l’ancien activiste dialogue sur Facebook avec un proche de Marine Le Pen, l’ex-chef du GUD #Frédéric_Chatillon installé à Rome depuis ses ennuis judiciaires.

    La « Primula nera »
    L’incarcération surprise de Paolo Bellini, en juin dernier, alors qu’il était dans l’attente de son procès en appel, a été décidée dans l’urgence pour des raisons de sécurité. Placé sur écoute, l’ancien membre d’Avanguardia Nazionale condamné à perpétuité a proféré des « menaces alarmantes » contre son ex-femme et un juge.
    Il a fait savoir qu’il préparait « quelque chose d’apocalyptique » pour « clore la carrière du président de la cour d’assises de Bologne » qui l’a condamné, et qu’il avait découvert que le magistrat avait un fils diplomate au Brésil. Il annonçait aussi avoir « tout juste fini de payer 50 000 euros » pour « descendre » son ex-femme qui a trop parlé lors de son procès. Des mesures de protection ont été prises.
    Quarante ans après les faits, Paolo Bellini a été confondu par l’exploitation d’une série d’images extraites d’un film super-8 tourné par un touriste suisse dans la gare de Bologne, quelques minutes après l’explosion de la bombe, le 2 août 1980. Un homme en tee-shirt bleu, cheveux frisés hirsutes, passe devant la caméra sur le quai numéro un de la gare. C’est lui.

    L’enquête est rouverte. Des photos anciennes sont saisies, analysées et comparées par des moyens techniques aux images en super-8. C’est positif. Le film est présenté à son ex-femme. Placée sur écoute, elle déclare à son fils reconnaître son ex-mari, formellement. Elle avoue alors aux juges que l’alibi qu’elle lui a fourni pendant la première enquête était inventé.
    Les menaces de Bellini sont prises au sérieux, car sa vie a été émaillée d’assassinats et de cavales qui lui ont valu le surnom de « Primula nera », le « Fantôme noir ». Après quelques années au MSI, un premier meurtre commis en 1975, il prend la fuite au Paraguay, aidé par le chef d’Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, l’homme lige de l’internationale fasciste.
    De retour en Italie sous une fausse identité brésilienne, il obtient des facilités de circulation et un port d’armes par des contacts au sein des #services spéciaux, et devient pilote d’avion privé. L’un des portraits-robots établis après l’attentat de Bologne fait émerger son vrai nom et son visage parmi ceux des suspects, mais la « Primula » demeure dans l’ombre.
    Interpellé en 1981, il échappe aux poursuites dans l’affaire de Bologne, mais reste incarcéré jusqu’en 1986 pour d’autres épisodes criminels qui avaient conduit à son départ en cavale. Il se rapproche alors de la #’Ndrangheta, la mafia calabraise, pour laquelle il commet au moins six assassinats entre 1990 et 1992, puis trois autres entre 1998 et 1999. Grâce à des aveux négociés, il bénéficie du statut de « collaborateur de justice » et de remises de peine.

    La mort de juge Falcone
    En 2019, les images de la gare de Bologne permettent aux juges de reconstituer l’histoire de son implication dans l’attentat, en rassemblant les éléments épars, qui s’avèrent accablants.
    Selon un témoin, son frère, Guido, décédé en 1983, avait expliqué à un proche son rôle dans l’attentat, et révélé la présence sur place de Stefano Delle Chiaie avec Gaetano Orlando, un néofasciste connu au Paraguay. D’après Guido, Paolo avait amené « le matériel » utilisé pour l’attentat dans « un sac de sport ou une valise », et était allé chercher Delle Chiaie pour l’accompagner à la gare avec trois complices.
    Selon Guido, Paolo avait reçu 100 000 millions de lires (environ 50 000 dollars) pour l’opération. Les juges relèvent des liens avérés avec Gilberto Cavallini, récemment condamné, et exhument aussi une écoute significative d’un néofasciste, ex-chef de la cellule vénitienne d’Ordine nuovo, Carlo Maria Maggi, condamné définitif pour l’attentat de la piazza della Loggia à Brescia en 1974. Maggi confirme à son interlocuteur l’implication des « NAR », Mambro et Fioravanti, et raconte que c’est « l’aviateur » (Paolo Bellini, donc) qui a apporté la bombe à la gare.
    Bellini, réincarcéré, n’a pas livré tous ses secrets, loin de là. Il est soupçonné dans l’affaire de l’attentat de Capaci qui a tué le juge Giovanni Falcone avec sa femme et son escorte, le 23 mai 1992.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/161023/le-gouvernement-meloni-l-epreuve-du-proces-de-l-attentat-de-bologne

    edit : l’article omet de signaler que Piazza fontana (1969) a immédiatement été attribué à l’extrême gauche

    #Italie #État #extrême_droite #attentat_massacre (s)

  • Gorno Project Latest Update (avril 2018)

    #Alexander_Burns, de Alta Zinc, explique qu’ils ont fait de nouvelles études sur des nouveaux dépôts dans la région.

    Il explique qu’ils ont aussi réhabilité de vieilles infrastructures, déjà présentes. Et l’étude de nouvelles infrastructures, dont une voie ferrée pour connecter des lieux qui seront utilisés pour l’activité minière.
    Il explique aussi qu’il n’y a pas de problèmes de permis car ces infrastructures sont mentionnées dans la #licence qu’ils ont obtenu.

    "En attendant de démarrer la production, nous avons créé des emplois locaux ("local jobs") et un « economic boost » pour l’#économie locale. Et établi une très bonne #réputation dans la zone et avec les autorités régionales."

    https://vimeo.com/266830728


    #Altamin #vidéo #Alta_zinc
    #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Energia_Minerals #zinc #Gorno_zinc_project
    #Riso-Parina #Riso_Parina #Pian_Bracca #colonna_fontanone

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    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
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  • Newly Identified Sulphide Zone - #Pian_Bracca

    Recent sampling, mapping and geological interpretation of a new zinc-lead mineralised zone confirms and upgrades the potential of Pian Bracca, within the #Gorno Project area.

    Ils expliquent dans cette vidéo qu’ils ont trouvé une nouvelle zone (sur la base aussi des documents historiques).

    Pian Bracca est ainsi devenu le principal « targer » du projet.

    Depuis janvier 2018 ils ont focalisé leur attention à Pian Bracca :


    Ils se sont concentrés sur cette zone car ils ont trouvé des documents historiques, des cartes et des analyses de forages de l’époque...

    https://vimeo.com/260642501


    #colonna_fontanone #Altamin #vidéo #Alta_zinc
    #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Energia_Minerals #zinc #Gorno_zinc_project

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  • Oltre il Colle, stop all’estrazione di zinco dalle miniere: “Lavorazione a #Zorzone non era prevista”

    Il sindaco Astori: «Vogliamo analizzare con calma e ponderazione pro e contro di questa variante». Venerdì nuovo consiglio straordinario, dove ci saranno anche i vertici della società #Energia_Minerals

    Un “no” per certi versi inatteso, che potrebbe mettere in discussione un progetto che da circa 10 anni la società italo-australiana Energia Minerals porta avanti nelle miniere di #Oltre_il_Colle, chiuse dal 1982.

    Il Comune guidato dal sindaco #Giuseppe_Astori ha infatti rimbalzato la richiesta di rinnovo della concessione mineraria finalizzata all’estrazione della #blenda, materia prima dalla quale, una volta lavorata, si ottiene lo zinco: troppo breve il tempo a disposizione per poter valutare l’ampia documentazione composta da migliaia di pagine arrivata in municipio a inizio dicembre, con l’inevitabile risultato di inviare parere negativo al Ministero della Transizione ecologica.

    Per gli studi, i sondaggi, le prove in loco, la riattivazione del sito minerario Energia Minerals ha già investito oltre 16 milioni di euro per un progetto che complessivamente prevede stanziamenti per 350 milioni e la creazione di 250 posti di lavoro.

    Progetto che, però, ha avuto una variazione rispetto a quanto preventivato anni fa: le 7 milioni di tonnellate che la società pensa di poter estrarre nel giro di 10 anni originariamente avrebbero dovuto essere lavorate nell’ex laveria di Riso di Gorno, mentre nei documenti arrivati in Comune si parla dei capannoni dell’ex Serbaplast di Zorzone di Oltre il Colle.

    Una modifica che ha fatto scattare il campanello d’allarme all’interno della giunta del sindaco Astori, che prima di dare il proprio benestare avrebbe voluto valutare con maggiore attenzione tutti gli aspetti di tale scelta, in ottica ambientale e di salute in primis.

    Ma lo stop al progetto ha suscitato reazioni immediate anche nei vicini di casa di Oneta.

    A sollevare la questione, in particolare, è stato Alex Airoldi, capogruppo di minoranza di Impegno Popolare per l’Italia, che in una nota ha espresso tutta la propria perplessità: “Il diniego parte dal fatto che prima la lavorazione che vedeva invece la disponibilità del comune di Oltre il Colle, sarebbe dovuta avvenire alla ex laveria di Riso, mentre invece oggi la società chiede che la stessa avvenga a Zorzone per risparmi di tempo ed economici – sottolinea – Andava bene estrarre se la lavorazione fosse avvenuta fuori dai propri confini comunali? Premettendo che la società avrebbe messo tutto in sicurezza e limitato ogni rumore della lavorazione, che benefici avrebbero avuto i residenti di Gorno ed Oneta, comuni cioè a ridosso della lavorazione? Riconoscendo certamente l’autonomia territoriale di ogni realtà, credo e ritengo che però, a fronte di scelte che intaccano ed interessano più paesi limitrofi, si dovrebbe avviare un tavolo comune di riflessione, ragionare certamente su ogni aspetto, ma cercare di coinvolgere tutti gli attori in carica. È doveroso capire meglio cosa possa comportare la lavorazione, cosa che mi sarei aspettato avvenisse anche se fosse rimasta la scelta di Riso, ma in un momento storico come il nostro, rifiutare 250 nuovi posti di lavoro non può essere scelta presa con facilità. È opportuno che vengano chiariti vantaggi e svantaggi del progetto, ma chiedo che per trasparenza e dialogo Oltre il Colle avvii un tavolo di confronto coi Comuni vicini Gorno ed Oneta, auspicando inoltre che in caso di autorizzazione, anche le altre realtà possano averne vantaggi economici e lavorativi”.

    Il tema è caldissimo e la partita non è di certo finita: su richiesta anche della minoranza venerdì 11 febbraio alle 20 è stato convocato a Oltre il Colle un altro consiglio comunale straordinario che avrà come ordine del giorno “Espressione parere in merito al rinnovo della concessione mineraria denominata ‘Monica’ richiesto da Energia Minerals Italia Srl”, i cui vertici saranno presenti alla seduta.

    “Faremo il punto della situazione, per evidenziare pro e contro dell’iniziativa legata a quella che a tutti gli effetti è una variante – spiega con precisione il sindaco Astori – Non siamo mai entrati nel merito del ‘miniera sì’ o ‘miniera no’, anche perchè quella è una questione antecedente il nostro arrivo. Qui si tratta di voler analizzare le cose con calma e ponderazione: poi chi di dovere darà le risposte che attendiamo. Niente vieta che, al termine delle necessarie verifiche, si possa anche arrivare a dare l’ok per la lavorazione a Zorzone, dove chiede la società. Il confronto coi Comuni vicini? Lo abbiamo avuto con Gorno, l’unico altro interessato dal progetto che, a quanto ci risulta, viaggerà tutto in sotterranea (dal sito di estrazione e lavorazione fino, appunto, a Gorno tramite dei tunnel ndr)”.

    https://www.bergamonews.it/2022/02/08/oltre-il-colle-stop-allestrazione-di-zinco-dalle-miniere-lavorazione-a-zorzone-non-era-prevista/493033

    #extractivisme #Italie #mines #zinc #Alpes #montagnes #Sphalérite #Serbaplast #Oneta #Alex_Airoldi #résistance #Gorno #Monica

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