• Poland passes law allowing migrants to be pushed back at border

    Poland’s parliament on Thursday (14 October) passed a legal amendment allowing migrants to be pushed back at the border and for asylum claims made by those who entered illegally to be ignored.

    Lawmakers also gave the green light to a government plan to build a wall to prevent migrants from crossing the border from Belarus, a project estimated to cost €353 million.

    Thousands of migrants, most of them from the Middle East, have sought in recent months to cross from Belarus into Poland or fellow EU member states Latvia and Lithuania.

    Under the newly amended law, a foreigner stopped after crossing the Polish border illegally will be obliged to leave Polish territory and will be temporarily banned from entering the country for a period ranging from “six months to three years”.

    The Polish authorities will also have the right “to leave unexamined” an asylum application filed by a foreigner who is stopped immediately after illegally entering, unless they have arrived from a country where their “life and freedom are threatened”.

    Rights groups have already accused Poland of stopping migrants at the border and pushing them back into Belarus.

    Numerous NGOs have criticised Poland for imposing a state of emergency at the border, which prevents humanitarian organisations from helping migrants and prohibits access to all non-residents, including journalists.

    The law change came two days after a landmark ruling from Poland’s Constitutional Court challenged the primacy of European Union law — a key tenet of EU membership — by declaring important articles in the EU treaties “incompatible” with the Polish constitution.

    The ruling on a case brought by Poland’s right-wing populist government could threaten EU funding for Poland and is being seen as a possible first step to Poland leaving the European Union.

    Earlier Thursday Polish police said that another migrant had been found dead on the border with Belarus, bringing the number of people who have died along the European Union’s eastern border in recent months to seven.

    The European Union accuses Belarus of deliberately orchestrating the influx in retaliation against EU sanctions over the Moscow-backed regime’s crackdown on dissent.

    Last month the UN refugee agency and the International Organization for Migration said they were “shocked and dismayed” by the migrant deaths.

    “Groups of people have become stranded for weeks, unable to access any form of assistance, asylum or basic services,” they said in a statement.

    In August Christine Goyer, UNHCR representative in Poland, reminded Warsaw that “according to the 1951 Refugee Convention, to which Poland is signatory, people seeking asylum should never be penalised, even for irregular border crossing”.

    Polish PM berates EU

    In the meantime, Polish Prime Minister Mateusz Morawiecki accused EU institutions on Thursday of infringing on the rights of member states, as he prepared to present Warsaw’s position in a row over the rule of law next week before the European Parliament.

    “We are at a crucial moment, you could say at a crossroads in the EU’s history,” Morawiecki told the Polish parliament. “Democracy is being tested – how far will European nations retreat before this usurpation by some EU institutions.”

    Polish government spokesman Piotr Muller said Morawiecki would attend the European Parliament session in Strasbourg next Tuesday to present Poland’s position in the rule of law dispute.

    https://www.euractiv.com/section/justice-home-affairs/news/poland-passes-law-allowing-migrants-to-be-pushed-back-at-border

    #Pologne #asile #migrations #réfugiés #frontières #refoulement #refoulements #push-backs #loi #amendement #Biélorussie #Mateusz_Morawiecki #Morawiecki

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    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • Et il y a eu ce weekend une chasse aux migrants autour de la ville de Guben (Allemagne).
      « La ville de Guben est située dans la région de Basse-Lusace ; elle est traversée par la rivière Neisse et c’est la partie allemande de la ville historique ; l’autre partie est polonaise (Gubin). »

  • Il #Politecnico_di_Torino a fianco di #Frontex. Sul rispetto dei diritti umani, intanto, cade il silenzio

    Un consorzio italiano si è aggiudicato un bando per la produzione di mappe e cartografie volte a “supportare le attività” dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne dell’Ue. Iniziative in alcuni casi contestate per il mancato rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo. Dal #PoliTo fanno sapere di non conoscere l’utilizzo finale dei servizi prodotti

    Il Politecnico di Torino è al fianco di Frontex nel controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. L’Università, in collaborazione con l’associazione-Srl #Ithaca, centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, si è aggiudicata nel luglio 2021 un bando da quattro milioni di euro per la produzione di mappe e infografiche necessarie “per supportare le attività” dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Attività che spesso si traducono -come denunciato da numerose inchieste giornalistiche- nella violazione sistematica del diritto d’asilo lungo i confini marittimi e terrestri europei. Nonostante questo, fonti del Politecnico fanno sapere di “non essere a conoscenza dell’utilizzo dei dati e dei servizi prodotti” e che non sono autorizzate a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

    È possibile analizzare in parte il contenuto dell’attività richiesta grazie al bando pubblicato nell’ottobre 2020 da Frontex (https://ted.europa.eu/udl?uri=TED:NOTICE:401800-2020:TEXT:EN:HTML). La produzione di servizi cartografici aggiornati è necessaria per sistematizzare i diversi tipi di informazioni utili a svolgere l’attività dell’Agenzia: “L’analisi dei rischi, la valutazione delle criticità e il monitoraggio della situazione alle frontiere esterne dell’Unione europea e nell’area pre-frontaliera che è costantemente tenuta sotto controllo e analizzata” si legge nei documenti di gara.

    L’appalto riguarda la produzione di diverse tipologie di cartografia. Circa 20 mappe di “riferimento” in formato A0 in cui vengono segnalati i confini amministrativi, i nomi dei luoghi e le principali caratteristiche fisiche come strade, ferrovie, linee costiere, fiumi e laghi a cui vengono aggiunte “caratteristiche topografiche, geologiche, di utilità e climatiche”. Mappe “tematiche” che mostrano una “variabilità spaziale di un tema o di un fenomeno, per esempio la migrazione, criminalità, nazionalità, operazioni, ricerca e soccorso, ecc” oltre che le informazioni geologiche e morfologiche del territorio. Infine, la produzione di infografiche che integrano dati e grafici con la mappa. L’obiettivo è quello di ottenere mappe ad alta risoluzione che possano essere utilizzate per “le analisi, la visualizzazione e la presentazione oltre che la proiezione a muro basata sui requisiti richiesti dell’utente e mirata a un pubblico specifico a sostegno di Frontex e dei suoi parti interessanti”. La durata del contratto è di due anni, con la possibilità di prorogarlo per un massimo di due volte, ognuna delle quali per un periodo di 12 mesi.

    Nei documenti di gara non è specificata la zona oggetto della produzione di mappe. Dopo la richiesta di chiarimenti da parte dei partecipanti, l’Agenzia ha indicato come “previsioni a grandi linee” che l’area di interesse potrebbe estendersi lungo il confine tra Polonia e Russia, nello specifico a Kaliningrad Oblast una cittadina russa che affaccia sul Baltico, per un totale di 2mila chilometri quadrati con la possibilità di mappe specifiche su punti di attraversamento del confine per una superficie di 0,25 chilometri quadrati. Non è dato sapere, però, se quella sia la zona reale oggetto della cartografia o meno. Si conoscono invece gli “intervalli” delle scale di grandezza delle mappe che vanno da un centimetro sulla carta a 50 metri in caso di strade cittadine, a uno su 250 chilometri con riferimento a una mappa di un intero Stato.

    Altreconomia ha richiesto a Frontex di visionare “tutti i documenti disponibili” presentati dal Politecnico di Torino e Ithaca srl per partecipare al bando. L’Agenzia ha risposto che “la loro divulgazione potrebbe minare la protezione degli interessi commerciali delle persone giuridiche compresa la proprietà intellettuale”. L’accesso alle informazioni è stato negato “perché nessun interesse pubblico preponderante che è oggettivo e generale e non indistinguibile da interessi individuali è accertabile nel caso di specie”. Per gli stessi motivi nemmeno un accesso parziale è possibile.

    Ithaca Srl ha risposto che “da contratto non è possibile rilasciare alcuna intervista” perché tutti i dettagli disponibili sono stati inseriti nel comunicato stampa “approvato dall’Agenzia”. Nel darne notizia sul sito di PoliFlash, il portale delle notizie di PoliTo, il direttore di Ithaca Piero Boccardo aveva dichiarato che “la fornitura di prodotti cartografici a Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali”; un’opportunità, secondo il professore, “per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio”. Ithaca Srl è una società interamente controllata dall’associazione senza scopo di lucro Ithaca che si occupa di “osservazione della terra a sostegno delle emergenze umanitarie”. Alla richiesta di chiarimenti sull’utilizzo finale dei prodotti forniti dal consorzio italiano, la risposta è stata che “non si è a conoscenza dell’utilizzo dei dati” e che per conoscere tale utilizzo era necessario rivolgersi direttamente a Frontex. Andrea Bocco, direttore del Dipartimento interateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist), che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e valuterà la qualità dei prodotti sottolinea come “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità”.

    Molto chiara è la strategia dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Nel braccio di ferro nel confine orientale, dove la Bielorussia “spinge” le persone in transito verso Polonia e Lituania, nonostante la morte di tre persone per ipotermia proprio sul confine polacco, Frontex ha elogiato la gestione della situazione da parte del governo di Varsavia, città in cui l’Agenzia ha la sua sede centrale.

    Sono numerose anche le denunce del coinvolgimento di agenti di Frontex nelle violazioni dei diritti di migranti e richiedenti asilo nel Mediterraneo centrale, nell’Egeo e nei Paesi balcanici. Non sono casi singoli. L’obiettivo di Frontex resta quello di allontanare le persone richiedenti asilo prima che arrivino sul territorio europeo. Come denunciato in un documento pubblicato nell’agosto di quest’anno da ventidue organizzazioni che chiedono il definanziamento dell’Agenzia, anno dopo anno, l’investimento economico si è concentrato in larga parte sulle risorse di terra e non su quelle marittime.

    Il Politecnico, nel comunicato, scrive che “le responsabilità di Frontex sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime”. Ma è così solo sulla carta. Dal 2016 al 2018 i Paesi europei hanno coperto il 100% del fabbisogno aereo di Frontex, con percentuali molto più basse rispetto alle navi richieste: il 48% nel 2016, il 73% nel 2017 e il 71% nel 2018. Nel 2019, complice l’aumento del potere d’acquisto dell’Agenzia le percentuali sono rimaste più basse ma continuano sulla stessa lunghezza d’onda: i singoli Stati hanno contribuito per l’11% sulle navi e il 37% sugli arei. Nonostante queste percentuali, dal 2015 Frontex ha investito 100 milioni di euro nel leasing e nell’acquisizione di mezzi aerei da impiegate nelle sue operazioni (charter, aerostati, droni di sorveglianza).

    Lo scorso 14 ottobre 2021 l’Agenzia ha dato notizia dell’utilizzo per la prima volta di un aerostato con l’obiettivo di “individuare attraversamenti illegali dei confini, supportare le operazioni di search and rescue e contrastare i crimini transfrontalieri”.

    Dal 2015 al 2021, però, non c’è stato nessun investimento per l’acquisizione o il leasing per beni marittimi. Una volta individuate le persone in difficoltà in mare, l’Agenzia non ha come obiettivo il salvataggio bensì il respingimento delle stesse verso i Paesi di partenza. Un’inchiesta pubblicata in aprile dal Der Spiegel lo ha dimostrato: dal quartier generale di Varsavia, in diverse operazioni di salvataggio, venivano contattate le milizie libiche. Il monitoraggio del territorio (e del mare) non ha come scopo solamente il “contrasto” alle reti di contrabbando ma anche l’individuazione delle persone, migranti e richiedenti asilo, che tentano di raggiungere l’Ue e vengono sistematicamente respinte utilizzando qualsiasi mezzo disponibile. Cartografia inclusa.

    https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-a-fianco-di-frontex-sul-rispetto-dei-diritti-u

    #université #recherche #complexe_militaro-industriel #frontières #migrations #contrôles_frontaliers #Turin #consortium #cartographie #géographie
    #Pologne #Russie #Kaliningrad_Oblast #Piero_Boccardo #Andrea_Bocco

    • Politecnico e Ithaca insieme per la produzione di cartografia per l’Agenzia Europea Frontex

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – dal 2004 impegnata nel controllo della migrazione e la gestione delle frontiere e le cui responsabilità sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime – ha affidato a un consorzio composto da Associazione Ithaca, DIST - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico e Ithaca Srl un importante contratto per la produzione di cartografia.

      L’incarico prevede la produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24 mesi, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Il professor Piero Boccardo, Presidente di Ithaca Srl, che curerà la produzione cartografica, riferisce che “la fornitura di prodotti cartografici all’Agenzia europea Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali. Una nuova opportunità per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio, come già peraltro testimoniato dai nove anni di attività 7/24/365 che Ithaca ha profuso nell’ambito del servizio Copernicus Emergency Management”. Il professor Stefano Corgnati, Vice Rettore alla Ricerca e Presidente dell’Associazione Ithaca, mandataria del consorzio, ricorda che “la collaborazione con Frontex rappresenta il primo esempio di come l’ecosistema del Politecnico di Torino, rappresentato dai suoi Dipartimenti e dal sistema delle società partecipate, possa essere funzionale alla piena integrazione tra le attività di ricerca e quelle di trasferimento tecnologico”.

      Il professor Andrea Bocco, Direttore del DIST, che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e che valuterà la qualità dei prodotti, ricorda che “questo progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità. Tale obiettivo è un elemento essenziale del progetto di Eccellenza del DIST, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che rafforza il carattere interdisciplinare della ricerca e la capacità di realizzare prodotti e servizi ad elevato contenuto di innovazione.”

      https://poliflash.polito.it/in_ateneo/politecnico_e_ithaca_insieme_per_la_produzione_di_cartografia_per_l

    • “Non a fianco di Frontex”. Chi si dissocia dall’accordo del Politecnico di Torino

      “Non si può lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”, denuncia il professor Michele Lancione. Una presa di posizione pubblica che rompe il silenzio interno al Politecnico di Torino dopo l’accordo con l’agenzia Frontex per la produzione di mappe e cartografie. C’è un altro modo di pensare e vivere l’accademia

      “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
      Hannah Arendt

      Sono un accademico del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino. Scrivo questo testo per dissociarmi pubblicamente dall’accordo siglato tra il mio Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.

      Come evidenzia l’articolo pubblicato da Altreconomia, l’accordo, che prevede la produzione di cartografia presso i laboratori del mio dipartimento su commissione di Frontex, è stato annunciato il giorno 14 luglio 2021, con comunicato stampa. Nel comunicato, si afferma che DIST e Ithaca saranno coinvolti nella “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”. A livello intellettuale e umano, non mi sento rappresentato dalla posizione dell’istituzione per cui lavoro, che ha scelto di definire l’accordo con Frontex come un progetto che “si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento”. La questione non è solo personale, ma politica.

      L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è stata accusata a più riprese -da Ong, attivisti e agenzie internazionali- di essere direttamente coinvolta nei violenti respingimenti di migranti alle frontiere europee. Il più noto è il caso greco, ora discusso presso la Corte europea di giustizia, dove non solo si ha la certezza dell’illegalità dei respingimenti forzati operati dell’Agenzia, ma anche del ruolo della stessa nel distruggere documenti che evidenziano l’uso illegale della forza per respingere i rifugiati verso la Turchia. Questo episodio è solo l’apice di una strategia operata dell’Unione europea, attraverso Frontex, per la gestione dei confini comunitari attraverso principi espulsivi, razzializzanti e letali per coloro che si spostano per cercare protezione nel continente.

      Come accademico critico e cittadino impegnato in primo piano, attraverso il privilegio della mia posizione, nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”, ho fatto tutto quello che era in mio potere per sottolineare la gravità di questo accordo tra un’università pubblica -il mio dipartimento- e Frontex. Con alcuni colleghi mi sono mobilitato, sin dal 14 luglio (giorno in cui sono venuto a conoscenza dell’accordo) per questionare quanto deciso. Abbiamo preso voce nel Consiglio di Dipartimento, in cui l’accordo è stato presentato, ponendo la gravità della decisone presa. Abbiamo poi lavorato per comprendere se fosse possibile annullare l’appalto. Abbiamo anche chiesto che tale attività non venisse svolta in nome di tutto il dipartimento, ma che i singoli coinvolti se ne prendessero il peso e la responsabilità. Su tutti i fronti, le risposte sono state negative: se non offerte di dialogo, discussione, bilanciamenti. Ma questo non basta.

      Il problema qui non è solo nel tipo di dato che Ithaca e il mio Dipartimento forniranno a Frontex. I ricercatori coinvolti nel progetto dicono che si tratti di dati open source, innocui. Posto che nessun dato è mai innocuo, la questione sta nel prestare il proprio nome -individuale e istituzionale- alla legittimazione dell’operato di una agenzia come Frontex. Perché quello si fa, quando si collabora: si aiuta l’apparato violento e espulsivo dell’Unione europea a legittimarsi, a rivestirsi di oggettività scientifica, a ridurre tutto a una questione tecnica che riproduce il suo male riducendolo a un passaggio di carte tra mani. In Europa la storia dovrebbe averci insegnato qualcosa in tal senso, ma chiaramente non abbiamo imparato nulla.

      Il dipartimento ha scelto di continuare l’accordo, invitando il sottoscritto e alcun* collegh* che hanno espresso riserve a contribuire al suo sviluppo evidenziando gli aspetti problematici dell’attività di Frontex. Ha inoltre deciso di non rappresentare pubblicamente il nostro dissenso, preferendo la linea del silenzio, che è anche quella del Politecnico.

      Io credo però non sia possibile lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide. Con questo testo mi dissocio dall’accordo e rinnovo allo stesso momento il mio impegno verso i miei student*, collegh* e partner che troveranno sempre, nel mio dipartimento e al Politecnico di Torino, strumenti e spazi per la critica, quella vera, che richiede un posizionamento chiaro: non a fianco di Frontex.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/non-a-fianco-di-frontex-chi-si-dissocia-dallaccordo-del-politecnico-di-

    • Mai con Frontex !

      Appello alle Università e ai centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea.

      MAI CON FRONTEX!

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e il consorzio italiano composto da Associazione Ithaca, DIST (Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio) del Politecnico di Torino e Ithaca Srl (società controllata dall’omonima associazione) hanno siglato, nel luglio 2021, “un importante contratto per la produzione di cartografia” a supporto delle attività di sorveglianza delle frontiere europee. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Fa parte del consorzio, l’associazione no-profit ITHACA, con sede a Torino, nata come centro di ricerca applicata con l’obiettivo di cooperare con il World Food Programme (WFP) – braccio di aiuto alimentare delle Nazioni Unite – per la distribuzione di prodotti e servizi legati alla tecnologia dell’informazione, “per migliorare la capacità della comunità umanitaria internazionale nel preallarme, nella valutazione dell’impatto precoce e in altre aree correlate alla gestione del rischio”.

      L’associazione e l’omonima s.r.l. passano dal supporto alle attività umanitarie al sostegno delle operazioni di controllo dei confini europei coinvolte in violazioni dei diritti dei migranti. Mentre va in porto questo accordo, una parte della società civile europea si leva contro Frontex. Da un lato chi chiede la fine del suo ruolo di gendarme d’Europa, affinché svolga una missione realmente volta alla protezione delle vite umane, dall’altro chi propone una campagna per lo smantellamento dell’Agenzia e “del complesso militare-industriale delle frontiere e per la costruzione di una società nella quale le persone possano spostarsi e vivere liberamente”.

      La notizia della collaborazione di una università pubblica per la “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”, è apparsa a luglio sul portale PoliFlash ed è stata oggetto di un’inchiesta di Altraeconomia, pubblicata il 20 ottobre. Secondo quanto riportato dal direttore del Dist, “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento” dell’università torinese. In risposta alle richieste da parte della testata giornalistica per avere chiarimenti su quali saranno i servizi offerti, fonti del Politecnico hanno fatto sapere di non essere a conoscenza di quale sarà l’utilizzo finale dei beni prodotti e di non essere autorizzati a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

      A rompere il silenzio giunge, invece, una decisa presa di posizione di Michele Lancione, docente ordinario del DIST, che, attraverso un testo pubblicato il 24 ottobre, dà voce a un gruppo di colleghi che intende dissociarsi pubblicamente dall’accordo siglato tra il Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex.

      Una presa di posizione “non solo personale, ma politica”, afferma Lancione, ritenendo impossibile “lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”. Il docente esprime il suo dissenso in quanto “accademico critico e cittadino impegnato in primo piano nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”.

      Riteniamo che questa sia una chiara e doverosa presa di posizione a garanzia della salvaguardia di un reale spazio per gli studi critici all’interno delle università e dei centri di ricerca italiani.

      Non possiamo non ricordare che Frontex è stata, e continua ad essere, oggetto di diverse inchieste giornalistiche e di accuse da parte di associazioni, ong, attivisti, per avere consentito o partecipato ad attività di respingimento illegittime e violente nelle zone di frontiera marittime e terrestri dell’UE.

      Una di queste accuse è arrivata fino alla Corte di Giustizia europea che dovrà discutere in merito a un ricorso riguardante gravissime violazioni dei diritti umani a danno di migranti vittime di respingimenti collettivi nel mar Egeo, mentre cercavano protezione nell’Ue, avvenute con la partecipazione di Frontex.

      Sono altrettanto note le accuse rivolte all’Agenzia europea in merito ai violenti respingimenti operati nella rotta balcanica e nel Mediterraneo centrale, i cui assetti aerei sono utilizzati per la sorveglianza utile all’intercettazione e al respingimento dei migranti partiti dalle coste nordafricane attuati dalla cosiddetta guardia costiera libica che, sistematicamente, li deporta nei centri di tortura e di detenzione dai quali fuggono.

      Nel corso del 2021, la stessa Agenzia è stata al centro di indagini da parte di diverse istituzioni europee.

      La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha creato un Gruppo di lavoro e di indagine sull’operato dell’Agenzia (il Frontex scrutinity working group), per via della scarsa trasparenza delle sue attività amministrative, e “per le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare svolta alle frontiere esterne dell’Unione Europea che non rispetta i diritti umani delle persone intercettate”.

      Anche l’Ufficio europeo anti-frode (Olaf) ha aperto un’indagine per fare luce sui suoi bilanci poco trasparenti. Alla fine del 2020 erano state rese note le spese “folli” per eventi di lusso e autocelebrativi, che tra il 2015 e il 2019 hanno ammontato a 2,1 milioni di euro. “Il budget per gli eventi di gala di una sola annata è molto più di quanto stanziato dall’agenzia per l’Ufficio dei diritti fondamentali per tutto il 2020”.

      Nel marzo 2021, la commissione di controllo del bilancio del Parlamento europeo ha votato per il rinvio dell’approvazione del bilancio finanziario di Frontex per l’anno 2019. Si è trattato di un gesto simbolico in risposta alla serie di accusa che hanno messo in discussione le attività dell’Agenzia.

      Nel giugno di quest’anno, la Corte dei conti europea ha pubblicato una relazione, secondo cui Frontex non ha attuato pienamente il mandato che ha ricevuto nel 2016 e la giudica non ancora pronta ad attuare efficacemente il nuovo ruolo operativo affidatole con il nuovo regolamento del 2019.

      Nonostante l’operato di Frontex sia costellato di contestazioni amministrative, contabili e per gravissime violazioni dei diritti umani, le sue risorse e il suo ruolo strategico continuano ad aumentare.

      Dal 2005 al 2021, il budget di Frontex è passato da 6,3 a 543 milioni di euro, ma è previsto un sostanziale aumento nel periodo 2021-2027 quando, secondo il nuovo regolamento entrato in vigore alla fine del 2019, oltre all’aumento dei poteri della “super agenzia”, anche la capacità di forza permanente sarà incrementata fino a raggiungere le 10mila unità da dispiegare dentro il territorio dell’Unione o all’esterno.

      Desta particolare preoccupazione il coinvolgimento di Frontex in operazioni di intelligence e in programmi e progetti per l’utilizzo di strumenti altamente tecnologici per la sorveglianza delle frontiere, per i quali sarà responsabile di garantire la sicurezza dei dati trasmessi e condivisi anche con i paesi terzi per favorire rimpatri e respingimenti.

      Alla luce di quanto descritto, ci chiediamo quali valutazioni politiche ed etiche, oltre a quelle di ordine finanziario, abbiano portato una Università pubblica a decidere di collaborare con un’agenzia europea il cui operato ha posto una serie di dubbi di legittimità.

      Quanti altri accordi di questo tipo sono stati siglati da università e centri di ricerca in collaborazione con questo violento sistema europeo di controllo, repressione ed espulsione “dell’altro”?

      Invitiamo le Università e i centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea, le cui politiche sono incentrate sull’ossessivo controllo delle frontiere a qualsiasi costo, attraverso l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, sulla costruzione di muri sempre più alti, tutto a dispetto del rispetto dei diritti delle persone in movimento e della dignità umana.

      Chiediamo a tutte le voci critiche di avere il coraggio di emergere.

      Qui trovi il testo dell’appello in inglese

      Aderiscono:
      ADIF – Associazione Diritti e Frontiere
      Campagna LasciateCIEntrare
      Rete antirazzista catanese
      Progetto Melting Pot Europa
      Legalteam Italia
      Campagna Abolish Frontex
      Carovane migranti
      Michele Lancione docente politecnico di Torino
      Melitea
      Gruppo di ricerca SLANG – Slanting Gaze on Social Control, Labour, Racism and Migrations, Università di Padova (https://www.slang-unipd.it) (Claudia Mantovan, Annalisa Frisina, Francesca Vianello, Francesca Alice Vianello, Devi Sacchetto)
      Linea d’Ombra ODV
      Gennaro Avallone (docente Università di Salerno)
      Redazione di Ultima Voce
      Rete femminista No muri No recinti
      Valentina Pazé (docente Università di Torino)
      Cornelia Isabelle Toelgyes
      Mari D’Agostino, P.O. dell’Università di Palermo
      Redazione di Comune-info.net
      Redazione di Benvenuti Ovunque
      associazione Small Axe odv
      Collettivo artistico e politico Eutopia-Democrazia Rivoluzionaria
      Pietro Saitta, docente Università di Messina
      Pietro Deandrea, professore associato, Università di Torino
      Centro Studi Sereno Regis di Torino
      Caterina Peroni, IRPPS-CNR, Roma
      Enrico Gargiulo, Università di Bologna
      Gruppo di Mediterranea Torino
      Francesca Governa, Politecnico di Torino
      Gruppo ON BORDERS ( https://onborders.altervista.org)
      Angela Dogliotti, Centro Studi Sereno Regis, Torino
      Antonello Petrillo, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Iain Chambers, Università di Napoli, Orientale
      Carmelo Buscema, Università della Calabria
      Fridays for Future Cagliari
      Statewatch
      Stefania Ferraro, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Viola Castellano, ricercatrice e professoressa a contratto dell’Università di Bologna
      Giuseppe Mosconi, Università di Padova
      Mariafrancesca D’Agostino, Università della Calabria
      Francesco Biagi, Facoltà di architettura dell’Università di Lisbona
      Maurizio Memoli, Ordinario di Geografia politica ed economica, Università di Cagliari
      Antonio Ciniero, università del Salento
      Gianfranco Ragona, Università di Torino
      Onofrio Romano, Associate Professor of Sociology, Department of Political Sciences, University of Bari “A. Moro”
      Giulia Giraudo, dottoranda dell’università di Torino ( dottorato in mutamento sociale e politico).
      Valeria Cappellato, università di Torino
      Paola Gandolfi, Università di Bergamo
      Silvia Aru, ricercatrice Politecnico di Torino
      Ugo Rossi, professore universitario, Gran Sasso Science Institute
      Daniela Leonardi, ricercatrice post-doc, Università di Parma
      Augusto Borsi – Prato
      Giuliana Commisso, Università della Calabria – Rende (CS) IT
      Laura Ferrero, Docente a contratto, Università di Torino
      Bruno Montesano, studente del Phd in Mutamento sociale e politico (UniTo/UniFi)
      Paola Sacchi, Università di Torino
      Silvia Cirillo, dottoranda in Global Studies presso Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
      Maria Rosaria Marella, Università di Perugia
      Daniela Morpurgo, Post-doc fellow, Polytechnic of Turin, DIST – Interuniversity Department of Regional and Urban Studies, Part of “Inhabiting Radical Housing” ERC research team
      Silvia Di Meo, dottoranda Università di Genova
      Paola Minoia, University of Helsinki e Università di Torino
      Chiara Maritato, Università di Torino
      Lorenzo Delfino, Sapienza, Roma
      Francesca Della Santa, Università di Bologna
      Marika Giati, Università di Bologna
      Camilla De Ambroggi, Università di Bologna
      Clemente Parisi, Università di Bologna
      Jacopo Bonasera, Università di Bologna
      Annalisa Cananzi, Università di Bologna
      Margherita Cisani, Università di Padova, Assegnista di Ricerca, Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità (DiSSGeA)
      Sara Caramaschi, Postdoctoral Researcher in Urban Studies, Gran Sasso Science Institute
      Leonardo Ravaioli, Università di Roma Tre
      Dana Portaleone, Università di Bologna
      Magda Bolzoni, Università di Torino
      Giacomo Pettenati, Università di Torino
      Luca Cobbe – Università La Sapienza Roma
      International Support – Human Rights (https://supportuganda.wordpress.com)
      Claudia Ortu, Università degli studi di Cagliari
      Giulia Marroccoli, Università di Torino.
      Associazione Accoglienza ControVento
      Giada Coleandro dottoranda Università di Bologna
      Alida Sangrigoli, dottoranda Politecnico di Torino
      Lorenzo Mauloni, dottorando Politecnico di Torino
      Riccardo Putti, docente di Antropologia Visiva, DIPOC – Università degli Studi di Siena
      Gaja Maestri, Aston University (Birmingham), Regno Unito
      Matilde Ciolli, Università di Milano
      Matteo Rossi, Università di Torino
      Emanuele Frixa, Università di Bologna

      Per adesioni scrivere a: info@lasciatecientrare.it

      https://www.lasciatecientrare.it/non-a-fianco-di-frontex

      #appel #résistance

    • Torino: Fuori Frontex dal Politecnico!

      Ieri si è tenuto, nell’aula 1, un incontro sul contratto tra il Dipartimento del DIST del Politecnico di Torino e Frontex, la controversa e indagata agenzia europea per il controllo delle frontiere

      Sono intervenuti:
      – Prof. Michele Lancione (PoliTo): introduzione Frontex/Ithaca e Politecnico
      – Luca Rondi (Giornalista di Altreconomia): inchiesta Frontex e Politecnico
      – Raffaele Cucuzza (Senatore Accademico PoliTo) e Bruno Codispoti (Rappresentante degli Studenti in CDA PoliTo): questione Frontex all’interno del Senato Accademico e del CDA
      – Prof. Fulvio Vassallo (Associazione Diritti e Frontiere): agenzia Frontex, funzioni, rapporti tra stati e criticità
      – Yasmine Accardo (lasciateCIEntrare): rapporto tra Frontex e Industrie
      – Avv. Gianluca Vitale (lasciateCIEntrare): Frontex/CPR/protezione legale dei richiedenti asilo
      – Avv. Giovanni Papotti: testimonianze migranti

      Il Tender (bando di gara internazionale) che vede coinvolti Frontex e il Politecnico di Torino, riguarderebbe la fornitura di dati cartografici da parte dell’Ateneo all’Agenzia Europea.

      Nel bando non sarebbe specificato l’uso e la natura delle mappe cartografiche che il Politecnico dovrebbe fornire. La natura di Frontex, il cambiamento, avvenuto in pochi anni da organo di salvataggio a vera e propria polizia di frontiera a guardia dei confini esterni dell’Europa, è il motivo della decisa opposizione. Il Prof. Michele Lancione, ordinario di Geografia Politico-Economica, è stato il primo a sollevare la questione all’interno dell’Ateneo.

      Sono state ampiamente chiarite tutte le motivazioni per le quali non viene ritenuta opportuna la collaborazione da parte del Politecnico di Torino, realtà d’eccellenza in Italia, con Frontex.

      E’ stato descritto come le infografiche dell’Agenzia attengano ad una divulgazione sostanzialmente ideologica dell’immigrazione, volta a delegittimare i flussi amplificandoli ad arte, flussi che, e stato evidenziato, sono determinati da persone in gran parte aventi diritto di asilo. Questa disinformazione è funzionale a comunicare l’immigrazione come un invasione, identificando l’immigrato come un pericolo.

      E’ stato sottolineato che Frontex esercita il monitoraggio delle frontiere tramite una notevole attività aerea (palloni aerostatici, droni, aeroplani con pilota), attività svolta anche all’esterno delle frontiere grazie ad accordi bilaterali con Stati confinanti con l’UE.

      E’ stato denunciato che i criteri di respingimento utilizzati dall’Agenzia sono contrari ai Diritti Umani: qualsiasi persona può lasciare il proprio Stato di origine ed ha diritto di chiedere asilo: ove il respingimento avvenga prima della richiesta c’è una violazione dell’Ordinamento Internazionale che garantisce il diritto alla richiesta di protezione internazionale, violazione di cui Frontex è stata accusata da molti intervenuti.

      E’ stato evidenziato, le indagini che coinvolgono Frontex ne sono la prova, che i respingimenti avvengono anche in modo violento e non rispondente alla normativa internazionale. E’ quindi rilevante il sospetto che una cartografia, in particolare ad alta risoluzione, possa essere utilizzata dai droni per un più efficace controllo dei passaggi migratori di frontiera e di come ciò possa ulteriormente favorire i respingimenti illegali.

      E’ stato ricordato che, proprio a causa dell’attività di monitoraggio aereo dell’Agenzia, circa il 50% delle persone migranti in viaggio nel Mediterraneo è stata consegnata alla Guardia Costiera libica, di cui ricordiamo che il comandante è Abd al-Rahman al-Milad, noto anche come al-Bija, condannato dall’ONU per violazione dei diritti umani. A fronte della condanna sono stati trasmessi gli atti all’Interpol.

      Sono state quindi respinte e consegnate ai libici persone indipendentemente dalla loro nazionalità, si parla anche di persone, famiglie, di origine tunisina che sono ora detenute nei lager libici.

      Sono state ricordate le molte violenze, a tutti gli effetti violazioni dell’Ordinanento Internazionale, che vengono quotidianamente commesse alle frontiere interne ed esterne dell’UE ai danni delle persone migranti.

      Dagli interventi degli esponenti del Senato Accademico e del CDA del Politecnico, è emerso chiaramente il vespaio che la questione ha destato, il Senato avrebbe in ipotesi un “congelamento” del contratto fino a risoluzione delle indagini pendenti su Frontex, ipotesi bollata di ipocrisia in alcuni interventi che hanno dichiarato necessaria una cancellazione dell’accordo.

      E stato anche denunciato che in Senato Accademico non c’è unanimità. Questo secondo alcuni interventi dipenderebbe da Direttori di Dipartimento che intravvederebbero un pericoloso precedente etico che potrebbe influire sulle loro attività presenti e future.

      E’ stato sottolineato che le norme universitarie esistono e che in presenza di aspetti eticamente sensibili l’accordo sarebbe dovuto essere stato preventivamente sottoposto agli organi competenti dell’Ateneo.

      Bruno Codispoti ha argomentato a sostegno di questa tesi: data la natura del committente, il contratto doveva essere preventivamente sottoposto al CDA, che ha prerogative decisionali sulla natura delle fonti di finanziamento dell’Ateneo.

      E’ stata redatta una lettera aperta indirizzata al Rettore e agli organi di governance dell’Ateneo con una puntuale disamina di tutte le criticità relative a Frontex, motivi per i quali il Politecnico dovrebbe recedere dall’accordo.

      Il tutto è rimandato al 14 dicembre prossimo, data di riunione straordinaria del Senato Accademico.

      L’etica attinente alla ricerca è un argomento estremamente rilevante, dagli interventi appare chiaro che il Politecnico di Torino su questa questione, gravemente imbarazzante, si stia giocando la faccia.

      https://www.youtube.com/watch?v=F-kx5hW8FEU&feature=emb_logo

      https://www.pressenza.com/it/2021/12/torino-fuori-frontex-dal-politecnico

    • Frontex-Politecnico di Torino, ecco il contratto. E la “clausola” sui diritti umani non c’è ancora

      L’accordo stipulato nel giugno 2021 dà “carta bianca” all’Agenzia che sorveglia le frontiere sull’utilizzo dei prodotti della cartografia. Intanto l’Ateneo fa sapere che, a due mesi dalla decisione del Senato accademico, la clausola sul rispetto dei diritti umani è ancora “in fase di finalizzazione”

      La “clausola vincolante” di rispetto dei diritti umani deliberata dal Senato accademico del Politecnico di Torino a metà dicembre 2021 per “salvare” il contratto con Frontex non è ancora pronta. Dopo aver ottenuto copia dell’accordo sottoscritto tra l’Ateneo e l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, Altreconomia ha chiesto conto dello stato di avanzamento dei lavori al rettorato che il 15 febbraio 2022 ha fatto sapere che “la clausola è in fase di finalizzazione”. Dal contratto, intanto, emergono ulteriori elementi che riducono l’effettiva possibilità di monitorare l’utilizzo dei prodotti della ricerca: Frontex ha infatti carta bianca nel modificare e fornire a terzi la cartografia realizzata dall’Ateneo.

      Un passo indietro. Il 14 dicembre 2021 il Senato accademico del Politecnico di Torino, chiamato a pronunciarsi sull’accordo da quattro milioni di euro con Frontex per la produzione di mappe aggiornate, aveva votato con ampia maggioranza di “procedere alla sottoscrizione dell’accordo introducendo una clausola vincolante, allo scopo di specificare nel Consortium agreement l’impegno tanto del personale docente e di ricerca coinvolto quanto del committente ad agire in osservanza del rispetto dei diritti umani e fondamentali delle persone”. Nessun comunicato stampa ufficiale era seguito a questa decisione confermando quantomeno la stranezza di tale richiesta. Altreconomia ha così chiesto a Frontex “una copia della clausola inclusa nel contratto firmato” e in caso di impossibilità nell’accedere a questo documento “qualsiasi informazione che possa essere utile per ricostruire il contenuto della clausola”.

      L’Agenzia il 4 febbraio 2022 ha fornito copia integrale del “contratto quadro” (framework contract, ndr) da cui è possibile ricostruire che questo è stato siglato il 7 giugno 2021 a Torino e controfirmato dieci giorni dopo a Varsavia: data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dalle parti, l’accordo è entrato in vigore. Non ci sono riferimenti al Consortium agreement che, solitamente, è un contratto che regola i rapporti tra le diverse parti che in cordata si aggiudicano una committenza -in questo caso il Dipartimento inter-ateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist) e Ithaca, centro di ricerca avanzato e vincitore del bando- ma esclude la stazione appaltante, in questo caso Frontex. Dall’Ateneo fanno sapere che il “Consortium agreement sarà oggetto di prossima stipula” e la clausola che verrà inserita è “in fase di finalizzazione”.

      Dal contratto è possibile ricostruire più precisamente i contorni dell’attività del consorzio italiano. Già nell’ottobre 2021, su richiesta di Altreconomia, il Politecnico di Torino aveva risposto che “non era a conoscenza dell’utilizzo finale dei prodotti”. È proprio così. Al punto I.10 del contratto si trova infatti una “lista dettagliata” delle possibilità di utilizzo dei risultati dell’opera fornita che diventa di “proprietà dell’Unione europea” che potrà, tra le altre cose, “renderla disponibile a Frontex; renderla fruibile a persone ed enti che lavorano per l’Agenzia o collaborano con essa, inclusi contraenti, sub-contraenti che siano persone legali o fisiche; fornirla ad altre istituzioni Ue, agenzie, istituzioni degli Stati membri”. Non solo.

      Al punto “e” dello stesso articolo si legge poi che tutte le modifiche che l’amministrazione aggiudicatrice (Frontex, ndr) o un terzo a nome della stessa possono apportare ai risultati della ricerca. “Riduzione; riassunto; modifica del contenuto; delle dimensioni; apportare modifiche tecniche al contenuto, aggiungere nuove parti o funzionalità; fornire a terzi informazioni aggiuntive riguardanti il risultato (ad esempio, il codice sorgente) al fine di apportare modifiche; l’aggiunta di nuovi elementi, paragrafi, titoli, legenda […]; estrazione di una parte o divisione in parti; incorporare, anche mediante ritaglio e taglio, i risultati o parti di essi in altre opere, come su siti web e pagine web”. Da un lato quindi l’impossibilità di sapere da chi e come verrà utilizzata la mappa, dall’altro la possibilità di Frontex di modificare a proprio piacimento -salvo ovviamente tutti i diritti legati alla proprietà intellettuale e al mero prodotto della mappa- il risultato.

      Nel documento si sottolinea come il contratto quadro “non comporta alcun impegno diretto e non impone ordini di per sé ma stabilisce le disposizioni finanziarie, tecniche e amministrative che regolano il rapporto tra Frontex e il contraente durante il periodo di validità”. La fornitura della cartografia è quindi regolata da contratti specifici con cui, di volta in volta, l’Agenzia chiederà a Ithaca e al Politecnico di Torino i servizi di cui necessita. Secondo l’allegato 1 del contratto Frontex invierà “moduli d’ordine” su base “mensile o trimestrale specificando la quantità massima di mappe che sarà richiesta durante il periodo di tempo indicato”. Non è chiaro perché da giugno a oggi non sia stato commissionato nessun servizio. Altreconomia aveva chiesto conto a metà novembre 2021, agli uffici del Politecnico, del “numero dei servizi prodotti dal 14 luglio al 15 novembre 2021” ma non ha mai ricevuto risposta.

      Per quanto riguarda la penale prevista in caso di rescissione del contratto -una delle tesi più accreditate internamente all’Ateneo durante i mesi di discussione precedenti al Senato accademico del 14 dicembre 2021- il testo dell’accordo ricostruisce diverse possibilità. Si specifica che “entrambe le parti possono rescindere il contratto quadro e i moduli d’ordine inviando una notifica formale all’altra parte con un mese di preavviso scritto”. Si sottolinea che “il contraente è responsabile dei danni subiti dall’amministrazione aggiudicatrice in seguito alla risoluzione del contratto quadro o di un contratto specifico, compresi i costi aggiuntivi per nominare e incaricare un altro contraente di fornire o completare i servizi”. I danni sono esclusi in alcuni casi specifici, tra cui quello di “forza maggiore” quando “la ripresa dell’esecuzione è impossibile o le necessarie modifiche del contratto quadro o di uno specifico che ne derivano significherebbe che il capitolato d’oneri non è più non sono più soddisfatte o comportano una disparità di trattamento degli offerenti o dei contraenti”. Con forza maggiore è da intendersi “qualsiasi situazione o evento imprevedibile, eccezionale e fuori dal controllo delle parti che impedisce loro di adempiere agli obblighi” tra queste non rientrano “vertenze sindacali, scioperi” salvo che “non derivino direttamente da un caso di forza maggiore rilevante”. Anche su questo punto, Altreconomia aveva chiesto al Politecnico l’esistenza di tale clausola e una stima dell’entità senza ricevere risposta. L’unico riferimento specifico presente nel contratto rispetto a una possibile “entità” del danno riguarda la responsabilità per qualsiasi perdita o danno causato “dalla mancata implementazione del contratto quadro” che prevede una penale di importo “non superiore a tre volte l’importo totale del relativo contratto operativo”.

      Il contratto stabilisce infine che le modifiche contrattuali devono essere “comunicate per iscritto e rispettare gli obblighi contrattuali” ma soprattutto che “una modifica su un contratto specifico non costituisce un emendamento del contratto quadro” e in ogni caso tali modifiche non possono “alterare le condizioni iniziali della procedura d’appalto”. In attesa di ricevere dall’Ateneo copia della clausola inserita nel Consortium agreement lo spazio per “solide” clausole vincolanti sul rispetto dei diritti umani sembra ridursi sempre di più.

      https://altreconomia.it/frontex-politecnico-di-torino-ecco-il-contratto-e-la-clausola-sui-dirit
      #Dist #Consortium_agreement

    • Accordo Politecnico - Frontex. E i diritti umani?

      È nel luglio del 2021 che le distanze geografiche tra Torino e la Rotta Balcanica, la stessa percorsa da Nur per arrivare dal Pakistan in Europa, si contraggono di colpo. Il Politecnico di Torino sigla un accordo con Frontex, l’Agenzia europea che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione europea. Il contratto da quattro milioni di euro, che richiede al Politecnico di produrre cartografie aggiornate per l’Agenzia Frontex, genera dissenso all’interno dell’Ateneo. Frontex è il simbolo di politiche europee di esclusione e rifiuto per chi arriva in Europa fuggendo da conflitti e povertà. Nonostante le proteste, il Politecnico sceglie di proseguire la collaborazione con l’Agenzia. Che cosa racconta questo accordo della città di Torino? Che succede quando il limbo vissuto dagli altri ci riguarda da vicino?“Limbo - Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Silvia Baldetti e Luca Rondi. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia nell’ambito di SEMI - Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People. I contenuti non riflettono necessariamente le posizioni dell’Unione Europea e di chi è intervenuto nel podcast come ospite. Hanno collaborato Francesca Prandi e Daniela Pizzuto. Il montaggio è a cura di Border Radio con la collaborazione di Silvia Baldetti. La sigla è di Federico Sgarzi.

      https://open.spotify.com/episode/39EAxfRb8MAAJPhbffsUdt
      #droits_humains #cartographie

    • L’Università di Torino si schiera contro l’accordo tra Frontex e il Politecnico

      A fine ottobre il Consiglio di amministrazione di Unito ha formalizzato la sua “totale contrarietà” alla collaborazione in essere tra l’Ateneo e l’Agenzia europea al centro di polemiche per la copertura di gravi violazioni dei diritti umani lungo le frontiere. La richiesta è quella di rescindere il contratto milionario per la produzione di mappe

      Il Consiglio di amministrazione dell’Università di Torino si schiera contro l’accordo per la produzione di mappe tra il Politecnico di Torino e Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee. Nella seduta del 27 ottobre di quest’anno i membri del Cda di Unito, che con il Politecnico “condivide” la gestione del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa “incriminata”- hanno infatti approvato una mozione in cui si dichiara la “totale contrarietà alla collaborazione in atto”, chiedendo ai competenti organi del PoliTo di procedere alla “sospensione di ogni attività con l’Agenzia”. La delibera arriva poche settimane dopo la pubblicazione del rapporto dell’Ufficio antifrode europeo (Olaf) che ha “certificato” come Frontex abbia coperto gravi violazioni dei diritti umani alle frontiere europee. Un documento che ha portato il Parlamento europeo a votare contro la procedura di “discarico” del bilancio, ovvero il “via libera” alle spese sostenute nel 2020. “Non ci sono più scuse. È arrivato il momento che il Politecnico di Torino faccia un passo indietro”, spiega Michele Lancione, professore Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist).

      Proprio Lancione, a seguito dell’inchiesta di Altreconomia che dava conto nel settembre 2021 dell’accordo tra Frontex e il Dist, il citato dipartimento a cavallo tra Unito e Politecnico, aveva preso pubblicamente posizione dichiarando la sua contrarietà al contratto. Una commessa da quattro milioni di euro, della durata di due anni, per la produzione di cartografia aggiornata. Nonostante altre voci all’interno del Dipartimento avessero chiesto un passo indietro da parte dell’Ateneo -tra cui Francesca Governa, che ha raccontato nel podcast Limbo la sua contrarietà all’accordo- nulla è cambiato. Nel dicembre 2021, peraltro, il Senato accademico del Politecnico aveva votato a favore dell’inserimento di una clausola vincolante di rispetto dei diritti umani per l’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano (Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, il Dist, e la Fondazione Links) che si sono aggiudicati la commessa. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”. Una clausola, quindi, che non poteva affatto vincolare anche l’Agenzia.

      È anche per questo motivo che il Cda di Unito ha chiesto al Politecnico di “valutare la gravità della situazione e il danno che la prosecuzione della fornitura di servizi può arrecare agli Atenei torinesi”. Una mozione -di cui Altreconomia ha preso visione- che arriva dopo l’audizione del vice-direttore del Dist chiamato ad aggiornare, il 20 ottobre, gli organi di Unito sullo stato di avanzamento dell’accordo con Frontex. Il cda sottolinea le “grandi inadempienze nel funzionamento dell’Agenzia e la sua colpevole inefficacia nell’affrontare il tema delle migrazioni” che vede il “fulcro delle denunce [rivolte all’Agenzia] nel rapporto Olaf e nel recentissimo rifiuto dei parlamentari europei del 18 ottobre 2022 a votare il cosiddetto scarico del bilancio dell’Agenzia 2020”.

      “Se ai tempi della sottoscrizione di questo contratto ci si poteva nascondere dietro un’ingiustificabile scarsa conoscenza delle problematicità di Frontex ora non è più possibile -sottolinea Lancione-. Le inchieste giornalistiche e i report di enti europei hanno messo in luce lo scarso funzionamento, i mancati meccanismi di controllo interno e ulteriori esempi di coinvolgimento in violazione dei diritti umani delle persone in transito”. Il rapporto Olaf, infatti, descrive anche l’inefficienza degli strumenti “interni” all’Agenzia utili per monitorare le attività sui confini europei. Problemi tutt’altro che risolti nonostante, dopo la pubblicazione del rapporto, dal board dell’Agenzia si siano affrettati a dichiarare che “queste pratiche appartengono al passato” così come la Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson che si è definita “scioccata” ma “sicura che il consiglio di amministrazione si è assunto pienamente le proprie responsabilità”. “L’Agenzia ha problemi strutturali –ci ha detto Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo della migrazione presso l’Università di Barcellona-. Finché non si risolvono è difficile che il suo mandato possa rispettare il diritto internazionale e quello dell’Unione europea. E l’unico passo possibile in questa direzione è una sentenza della Corte di giustizia che ristabilisca i confini del suo operato. Olaf segna un punto di svolta perché l’illegalità è finalmente certificata da un corpo dell’Ue ma resta un ente amministrativo, non una Corte”.

      Per Lancione resta in gioco la “vera libertà intellettuale”: “Recedere dal contratto non significa fare un passo indietro rispetto alle missioni di un Ateneo impegnato in contratti internazionali e nella ricerca ma farne uno in avanti. La rescissione è un segnale importante coerente con una visione etica della libertà intellettuale di cui giustamente l’Ateneo si fa vanto: libertà significa poter rivalutare le decisioni prese e cambiare direzione nel caso in cui il contesto sia cambiato. Questo è il momento di farlo”.

      https://altreconomia.it/luniversita-di-torino-si-schiera-contro-laccordo-tra-frontex-e-il-polit

    • Il Politecnico di Torino conferma l’accordo con Frontex. Ignorate le richieste di tornare indietro

      Il 6 dicembre il Senato accademico ha deciso di mantenere intatto l’accordo con l’Agenzia. La richiesta di rescissione giunta anche dell’Università di Torino, che con l’Ateneo condivide il Dipartimento che si è aggiudicato la commessa, è rimasta inascoltata. Così come le denunce di violazioni dei diritti umani in capo a Frontex

      Il Politecnico di Torino conferma una seconda volta il proseguimento nella collaborazione con l’Agenzia Frontex. Il Senato accademico dell’Ateneo si è riunito martedì 6 dicembre mettendo nuovamente ai voti l’opportunità di proseguire l’accordo con l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, accusata da più fronti, istituzionali e non, del mancato rispetto dei diritti umani delle persone in transito. Dopo la votazione del dicembre 2021, in cui si era deciso di proseguire con l’accordo, una larga maggioranza (19 voti su 29) ha votato nuovamente per mantenere in vita il contratto “scartando” le opzioni di risoluzione o congelamento dello stesso. “Una battaglia persa perché da questo voto non si tornerà più indietro -osserva Michele Lancione, professore del Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist)-. L’unica spiegazione che resta a fronte delle denunce arrivate a Frontex per la sua attività anche da organi istituzionali è che il Politecnico di Torino ha deciso di continuare questo accordo perché ha paura che rescindere voglia dire prendere seriamente la questione etica e questo possa generare criticità su altri accordi esistenti. Penso a Leonardo e ad altre aziende dell’universo militare”.

      La stessa Commissione istituita nel dicembre 2021 dal rettore Guido Saracco per valutare l’accordo -che aveva già concluso che vi fosse un rischio “medio-alto” per l’utilizzo improprio dei dati forniti dalla ricerca suggerendo di rescindere dal contratto o inserire una clausola sul rispetto dei diritti umani- ha nuovamente individuato due strade percorribili: il congelamento dell’accordo fino a nuove pronunce del Parlamento europeo sull’Agenzia o la risoluzione del contratto valutando la richiesta di risarcimenti danni presumibilmente per il danno di immagine recato all’Ateneo. A questa si è aggiunta la “terza” ovvero lasciare tutto com’è. Dopo una prima votazione è stata scartata l’opzione della risoluzione e nel secondo turno la maggioranza dei senatori ha optato per la terza via: resterà così in vigore fino al termine inizialmente previsto il contratto da quattro milioni di euro, della durata di due anni, siglato nel settembre 2021 dal Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist), a cavallo tra Politecnico e Università di Torino, in cordata con Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali” e la Fondazione Links. Nonostante un quadro desolante.

      Nell’ottobre 2022 il rapporto dell’Ufficio europeo antifrode ha “certificato” le pratiche illegali dell’Agenzia: in 123 pagine viene ricostruito minuziosamente il malfunzionamento della “macchina” guidata dall’allora direttore Fabrice Leggeri. Storture che si traducono in concreto nella violazione dei diritti umani delle persone in transito. Proprio quel rapporto che ha portato alle dimissioni del direttore, da luglio 2022 sostituito temporaneamente da Aija Kalnaja, e ha spinto il Parlamento europeo ad approvare una risoluzione (con 345 voti favorevoli, 284 contrari e otto astenuti) contro la cosiddetta “procedura di discarico” del bilancio dell’Agenzia, ovvero una valutazione ex post che ha l’obiettivo di monitorarne l’attività degli anni precedenti (in questo caso del 2020). L’Olaf non è il primo organo istituzionale ad accusare Frontex: all’attivo risultano già due “denunce” da parte del Garante europeo per la protezione dei dati personali (Gepd), legata alla gestione della privacy, e del Difensore civico rispetto alle inefficienze dell’Agenzia sotto il profilo dei meccanismi di denuncia e di monitoraggio sulle violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle sue operazioni. Denunce che si aggiungono alle numerose inchieste svolte da diversi giornalisti e Ong indipendenti e che hanno spinto anche l’Università di Torino, titolare del Dipartimento coinvolto nell’accordo, a chiedere ai “colleghi” del Politecnico di recedere dall’accordo.

      Il 27 ottobre scorso il Consiglio di amministrazione di Unito aveva dichiarato la “totale contrarietà alla collaborazione in atto” e chiesto la “sospensione di attività con l’Agenzia”. In altri termini, rescindere il contratto. Una richiesta precisa perché nel dicembre 2021 la prima decisione del Senato accademico del Politecnico aveva votato l’inserimento di una clausola di salvaguardia sul rispetto dei diritti umani per controllare l’utilizzo dei prodotti della ricerca dell’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”: una clausola, quindi, che non può affatto vincolare anche l’Agenzia. La sospensione delle attività richiesta dall’Università di Torino restava dunque l’unica via “affidabile” in termini di controllo dell’operato di Frontex.

      Ma il Senato accademico ha deciso di proseguire lasciando l’accordo così com’è. Restano inascoltate quindi la voce di Unito -su cui ricade la decisione di oggi del Senato del Politecnico- che si era aggiunta a quelle “interne” al Dipartimento che dall’inizio della vicenda chiedono pubblicamente di rescindere dal contratto. Da Michele Lancione, alla professoressa Francesca Governa. “Bisogna essere consapevoli che un accordo, passatemi la semplificazione, non particolarmente rilevante è però una spia di un modo di intendere il migrante, le politiche migratorie, l’Unione europea molto più condivisa di quanto pensiamo -racconta la docente nel podcast Limbo-. Anche negli Atenei e questo per me è un problema perché ho sempre pensato il sapere avesse il compito e la responsabilità di saper ‘discernere’. Evidentemente così non è”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich

    • “Politecnico, mi vergogno”. La lettera all’Ateneo dopo la conferma del patto con Frontex

      “Non è più possibile parlare di ‘etica’. Nessun discorso roboante sull’eccellenza della ricerca. Siamo complici: questa è la ‘scienza’ in questo momento in Europa”, denuncia il professor Michele Lancione. Pubblichiamo la sua lettera in risposta alla decisione dell’Ateneo di proseguire nel contratto con l’Agenzia europea

      Martedì 6 dicembre il Senato del Politecnico di Torino ha nuovamente confermato la sua volontà di proseguire nella produzione di mappe per Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, ignorando la richiesta di rescindere il contratto da parte dell’Università di Torino, co-titolare del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa da quattro milioni di euro. Pubblichiamo la nota scritta dal professor Michele Lancione, ordinario di Geografia politico-economica, che fin dall’inizio si è opposto all’accordo tra il suo Ateneo e l’Agenzia (lr).

      La relazione dell’Organismo anti-frode Europeo (Olaf) su Frontex è chiara. L’Agenzia ignora i diritti umani delle persone in transito nel Mediterraneo e nei Balcani. Ci sono prove di come gli aerei e i droni di Frontex abbiano assistito all’annegamento di migranti in alto mare tra la Libia e l’Italia, senza intervenire. Questa non è solo una violazione dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (diritto di asilo) ma anche, più semplicemente e fondamentalmente, dell’articolo 2 (diritto alla vita) e di numerose convenzioni marittime internazionali che impongono a chiunque assista a situazioni di pericolo in alto mare di intervenire o di allertare organismi in grado di farlo. Frontex ha sistematicamente evitato qualsiasi tipo di intervento di proposito, in diverse occasioni, violando il diritto fondamentale alla vita delle persone in situazioni di pericolo su quelle imbarcazioni. L’Agenzia stessa lo ha riconosciuto, almeno implicitamente, quando il suo direttore si è dimesso sette mesi fa a seguito delle prime rivelazioni del rapporto di Olaf (all’epoca non divulgato).

      Come è noto, il mio Dipartimento al Politecnico di Torino, dove sono professore ordinario di Geografia politica ed economica, fornisce servizi di cartografia a Frontex. Questa associazione tra le due istituzioni è problematica non solo perché non c’è modo di sapere come Frontex utilizzerà le mappe (potenzialmente, per perseguire l’ulteriore violazione dei diritti umani), ma anche perché, per procura, tutti i membri del mio Dipartimento, me compreso, sono ora relazionabili con le attività dell’Agenzia. Non si tratta solo di un problema di immagine ma di una seria questione etica: come posso svolgere un lavoro di ricerca “etico”, se la mia istituzione ha a che fare con una terza parte coinvolta nella violazione sistematica dei diritti umani?

      Da un anno alcuni di noi si battono con forza contro questo accordo. In uno degli ultimi capitoli di questa storia, poche settimane fa, con una mossa senza precedenti, l’Università di Torino ha chiesto ufficialmente al Politecnico di prendere una posizione attiva contro questo accordo con l’Agenzia. Eppure, non bastano le prove schiaccianti del rapporto Olaf, né le prese di posizione di ricercatori e studenti torinesi, perché il mio datore di lavoro riconsideri la sua insostenibile posizione. A seguito della richiesta dell’Università, a inizio dicembre il Senato del Politecnico di Torino è stato nuovamente chiamato a votare sull’opportunità di mantenere la collaborazione tra il mio Dipartimento e Frontex e, con 19 voti su 29, ha confermato il mantenimento dell’accordo. Come se nulla importasse. Come se il Mediterraneo e i suoi corpi fossero su un altro piano di esistenza. Come se la collaborazione con Frontex fosse solo una questione tecnica: qualcosa di avulso rispetto alle violazioni dei diritti umani portate avanti da quella stessa Agenzia.

      Se questa è scienza, come scienziato, mi vergogno. Sono frustrato, furioso. È inaccettabile che un’università pubblica come il Politecnico si rifiuti di confrontarsi con l’enorme quantità di prove contro Frontex. È inaccettabile che questo non sia diventato un grande punto di preoccupazione etica: un punto in cui la prassi del lavoro accademico può acquisire o perdere completamente il suo senso. Per me, con quel voto, il Politecnico ha perso la poca credibilità che gli era rimasta. Non è più possibile parlare di “etica”. Nessun discorso roboante sull’”eccellenza della ricerca”. Siamo complici: questa è la “scienza” in questo momento in Europa. Per gli studenti e per i pochissimi ricercatori che ancora vedono le cose in modo diverso, continueremo a lavorare affinché questa non sia la fine.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia Politico-Economica, Politecnico di Torino (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/politecnico-mi-vergogno-la-lettera-allateneo-dopo-la-conferma-del-patto

      #complicité #honte #éthique

    • Frontex off Campus! An Interview with Professor Michele Lancione

      Michele Lancione works as a Professor of Economic and Political Geography at the Polytechnic University of Turin. In July 2021, he discovered that his university had agreed to produce maps and infographics for Frontex in order ‘to support the activities’ of the agency. Since the foundation of the border agency in 2004, these ‘activities’ have been pivotal in securitising and militarising EU borders. Many have argued – including myself – that they have also relentlessly produced the ‘migration crises’ Frontex claims to combat.

      Over recent years, Frontex has faced a series of investigations into its activities, not least for the agency’s implication in serious human rights violations at the EU’s external borders. When Professor Lancione approached the university after learning of the cooperation and asked to end its contract with the agency, he was told that the project was simply producing ‘harmless data’. In this interview, we speak about his struggle to get Frontex off campus.

      https://blogs.law.ox.ac.uk/blog-post/2023/04/frontex-campus-interview-professor-michele-lancione

    • Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex fino a giugno 2024

      Il contratto tra l’Ateneo e la contestata Agenzia che sorveglia le frontiere europee proseguirà per un altro anno. La conferma arriva da Varsavia e smentisce quanto riferito dal PoliTo secondo cui non era stata presa alcuna decisione. Intanto a Torino nasce “#Certo”, un coordinamento di docenti nato proprio a partire dal “caso Frontex”

      Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex per la produzione di mappe aggiornate. Nonostante i gravi fatti di cui si è resa responsabile l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, l’Ateneo prosegue per altri dodici mesi con il contratto per la produzione di cartografia che si sarebbe dovuto concludere il 17 giugno 2023 . La conferma è arrivata ad Altreconomia direttamente da Frontex smentendo l’università che a metà maggio aveva fatto sapere di “non aver assunto decisioni in merito”.

      Torniamo al 17 giugno 2021, quando il consorzio italiano formato da #Ithaca Srl, centro di ricerca avanzata con sede a Torino e il Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del territorio, “condiviso” tra Politecnico e Università di Torino, sigla il contratto con Frontex per la produzione di cartografia aggiornata per un periodo di 24 mesi rinnovabile automaticamente due volte per dodici mesi ciascuna. Un rinnovo che il contratto, ottenuto da Altreconomia a inizio 2022, regola così: entro tre mesi dalla scadenza, le parti devono comunicare l’eventuale volontà di recedere dall’accordo altrimenti è rinnovo tacito. Considerando la scadenza del contratto prevista per metà giugno 2023, il termine utile per fermare la collaborazione era il 17 marzo. Così a inizio aprile abbiamo richiesto all’Ateneo chiarimenti rispetto a eventuali comunicazioni rivolte all’Agenzia. Solo a metà maggio ci è stato risposto che “non erano state assunte decisioni al momento (rispetto al rinnovo tacito, ndr)” e che non vi erano state “ulteriori deliberazioni successivamente alla seduta del senato del dicembre 2022”.

      Una seduta in cui (come raccontato qui: https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich) il senato accademico aveva scelto di restare a fianco di Frontex nonostante le critiche rivolte all’Ateneo a causa dei “malfunzionamenti” dell’Agenzia e della collaborazione nei respingimenti lungo i confini europei e la richiesta del consiglio di amministrazione dell’Università di Torino. Ma l’assenza di “decisioni assunte” rispetto a un rinnovo tacito, significa di fatto il proseguimento nell’accordo. Lo ha confermato Frontex che ad Altreconomia ha dichiarato che “l’autorità contraente non ha emesso né ricevuto alcuna notifica formale sul mancato rinnovo del contratto”. Insomma, si va avanti per un altro anno. Non cambia neanche il valore della commessa: i quattro milioni di euro previsti inizialmente dal bando, infatti, sono “l’importo massimo che copre tutti i possibili rinnovi del contratto, quattro anni in totale”.

      Dal quartier generale di Varsavia l’Agenzia ha fatto sapere inoltre che, in totale, sono state prodotte dall’inizio dell’accordo ben 107 mappe (al 16 maggio) “richieste e consegnate alle unità e ai team interni di Frontex”. Più di una mappa alla settimana, quindi, che potrebbe essere utilizzata anche nelle attività di controllo dei confini: l’Agenzia non ha ancora risposto su questo specifico punto ma è noto che le “unità” e i “team interni” comprendono anche le squadre di agenti che svolgono quell’attività, la più discussa di tutte. L’ufficio europeo antifrode (Olaf) ha infatti ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -ha spiegato Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona sul numero di aprile di Altreconomia-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Così anche la guida del nuovo direttore di Frontex Hans Leijtens, non ha fino ad oggi portato grandi novità: il confine più problematico, quello tra Grecia e Turchia, continua a vedere la presenza delle divise blu nonostante le ripetute violazioni denunciate da avvocati, attivisti e media. L’ultima in ordine di tempo è quella pubblicata a metà maggio dal New York Times che ha mostrato i video di un respingimento forzato di 12 persone (donne, minori e anche un neonato) che, una volta arrivate a Lesbo, in Grecia, a inizio aprile 2023 sono state caricate a forza su una nave della Guardia costiera greca e poi abbandonate alla deriva verso le coste turche. Una “pratica” illegale (già denunciata in passato) di cui Frontex era a conoscenza e rispetto alla quale tanto l’ex direttore esecutivo Leggeri quanto quello attuale non hanno mai preso una posizione netta. Proprio su quanto accade su quel confine, aveva spinto gli autori del rapporto Olaf a chiedere il ritiro degli agenti di Frontex dalla Grecia. Non è ancora avvenuto.

      Scene drammatiche, quelle dei respingimenti dalla Grecia verso la Turchia che avevano spinto a novembre 2022 il consiglio di amministrazione di Unito, basandosi proprio sulle conclusioni dell’Olaf, a chiedere ai colleghi del Politecnico di recedere dal contratto. Ma da Corso Duca degli Abruzzi i senatori avevano optato per mantenere in vita il contratto rivendicando la presenza della “clausola di rispetto dei diritti umani”. Una clausola che nella realtà obbliga esclusivamente i contraenti italiani di cui Frontex non è a conoscenza e soprattutto rispetto a cui non è chiaro come sia possibile monitorare l’utilizzo dei “prodotti” realizzati dall’Ateneo. Di fatto -lo specifica il contratto- una volta nelle mani dell’Agenzia, le mappe possono essere utilizzate senza dover rendere conto a chi le ha prodotte della loro destinazione d’uso.

      Intanto a Torino, proprio a partire dal “caso Frontex” un gruppo di docenti, ricercatori e studenti di entrambi gli Atenei (Unito e PoliTo) ha dato vita al gruppo “#Coordinamento_per_l’etica_nella_ricerca (Certo)” che si pone come obiettivo quello di “informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società” e “creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca”. “L’esperienza di Frontex ci ha dimostrato la necessità di creare spazi di dibattito sia all’interno della società sia dell’università sugli obiettivi della ricerca -spiega Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino-. Con l’obiettivo di renderla effettivamente libera e impedire che avvenga in settori o per obiettivi distanti o contrastanti con gli oggetti e i fini che devono connotare la ricerca pubblica. Quando ragioniamo di etica della ricerca pensiamo alla sua libertà, al suo pluralismo, ad un’ etica che non risponde a una qualsivoglia morale ma ai valori costituzionali del nostro Paese”.

      Il primo appuntamento organizzato da Certo dal titolo “Intorno al caso Frontex, l’università alle frontiere dell’etica”, a cui parteciperà anche Altreconomia, si svolgerà mercoledì 24 maggio alle 17 al Campus Luigi Einaudi di Torino. “Gli interessi universitari, legittimi, non possono tradursi in violazioni di diritti umani, come nel caso di Frontex -conclude Algostino-. Anche vista la direzione verso cui si muove il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che lega molto il tema della ricerca con la volontà di imprese e aziende serve individuare dei parametri chiari per monitorare quanto succede negli Atenei”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-ha-rinnovato-laccordo-con-frontex-fino-a-giugn

    • Cartografia e potere: l’accordo tra Politecnico di Torino e Frontex

      Parliamo con Michele Lancione, professore ordinario di geografia politico-economica presso il Politecnico di Torino che ha denunciato l’accordo per la produzione di mappe e cartografie siglato tra la sua università e Frontex.

      A seguire ci confrontiamo con un compagno sul coinvolgimento delle università italiane nei programmi militari-industriali partendo dal caso specifico dell’Università di Tor Vergata di Roma.

      https://www.ondarossa.info/redazionali/2023/06/cartografia-e-potere-laccordo
      #podcast #audio #Tor_Vergata #Itaca #DIST #cartographie #cartographie_digitale #cartographie_thématique

    • Nasce #CERTO : #Coordinamento_per_l’Etica_nella_Ricerca, Torino

      Negli scorsi mesi, un gruppo di docenti, ricercatori/ricercatrici, studenti/studentesse del Politecnico e Unito ha iniziato a discutere dei temi legati all’etica della ricerca, stimolati dal dibattito pubblico su Frontex e dalle scelte e responsabilità dei due Atenei.

      Questo gruppo si è in seguito strutturato come Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino (CERTO) e ha elaborato un manifesto che oggi presentiamo. Il manifesto nasce dall’esigenza di allargare la riflessione a tutt* coloro che possono essere interessati.

      Per sottoscrivere il manifesto potete scrivere ad Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      COORDINAMENTO PER L’ETICA NELLA RICERCA, TORINO

      POLITO-UNITO

      CERTO (Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino) è un gruppo composto da docenti, studenti/studentesse e da persone che a vario titolo fanno parte delle due comunità accademiche di Politecnico e Università di Torino. Il Coordinamento ha a cuore la riflessione e la pratica di una ricerca e di una Università capaci di misurarsi con i problemi etici che sollevano, producono, affrontano e restituiscono non solo in ambito accademico ma anche in tutte le possibili declinazioni sociali, politiche, economiche e culturali.

      CERTO intende discutere pubblicamente i problemi che coinvolgono le scelte singole tutte le volte che ci si confronta con i fondamenti e le conseguenze etiche (etica intesa come proiezione dei valori costituzionali) che ogni approccio disciplinare contiene e produce, così come la condotta interna ai nostri luoghi di lavoro. La prospettiva non è ovviamente la restrizione dello spazio della libertà di ricerca, ma un confronto sulla coerenza etica della ricerca, anche per tutelare la sua effettiva libertà.

      CERTO nasce dal dibattito che in questi anni si è sviluppato intorno al ruolo e alle responsabilità di Frontex sia perché si tratta di una questione che investe le politiche e le coscienze di chi vive nello spazio europeo di fronte alle sfide dei processi migratori sia perché riguarda concretamente le scelte che le nostre due università hanno compiuto e dovranno compiere su questo terreno.

      CERTO ha due obiettivi. Il primo è informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società, così che chiunque possa essere il più possibile consapevole delle implicazioni che le nostre attività comportano. Il secondo è creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca e che, allo stesso tempo, emergono costantemente come sfide intellettuali e concrete da affrontare.

      CERTO inizia dunque il suo percorso proponendo un primo seminario, aperto a tutte e tutti, dal titolo Intorno al caso Frontex: l’Università alle frontiere dell’etica il giorno 24 maggio alle ore 17 (luogo da definire). Nelle settimane che precedono il seminario, questo blog ospiterà alcuni interventi riguardanti la questione Frontex, i problemi etici che comporta e il racconto di ciò che le nostre università hanno deciso fino a questo momento.

      Chi fosse interessato/ a partecipare alle attività di CERTO e sottoscrivere il manifesto può contattare Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      Maria Chiara Acciarini (Università di Torino)

      Alessandra Algostino (Università di Torino)

      Patrizio Ansalone (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica – I.N.Ri.M.)

      Silvia Aru (Università di Torino)

      Alessandro Barge (Università di Torino)

      Danilo Bazzanella (Politecnico di Torino)

      Elisabetta Benigni (Università di Torino)

      Sandro Busso (Università di Torino)

      Elena Camino (Università di Torino)

      Alice Cauduro (Università di Torino)

      Marina Clerico (Politecnico di Torino)

      Alessandra Consolaro (Università di Torino)

      Cristina Cuneo (Politecnico di Torino)

      Pietro Deandrea (Università di Torino)

      Javier Gonzàlez Dìez (Università di Torino)

      Patrizia Ferrante (Università di Torino)

      Michele Lancione (Politecnico di Torino)

      Pietro Mandracci (Politecnico di Torino)

      Bruno Maida (Università di Torino)

      Beatrice Manetti (Università di Torino)

      Claudia Mantovan (Università di Padova)

      Chiara Maritato (Università di Torino)

      Aurelia Martelli (Università di Torino)

      Lorenzo Mauloni (Politecnico di Torino)

      Caterina Mele (Politecnico di Torino)

      Ivan Molineris (Università di Torino)

      Giuseppe Mosconi (Università di Padova)

      Chiara Occelli (Politecnico di Torino)

      Lia Pacelli (Università di Torino)

      Riccardo Palma (Politecnico di Torino)

      Norberto Patrignani (Politecnico di Torino)

      Silvia Pasqua (Università di Torino)

      Alessandro Pelizzola (Politecnico di Torino)

      Emilia Perassi (Università di Torino)

      Valeria Chiadò Piat (Politecnico di Torino)

      Raffaella Sesana (Politecnico di Torino)

      Massimo Zucchetti (Politecnico di Torino)

      https://coordinamentounito.wordpress.com/2023/04/26/nasce-certo-coordinamento-per-letica-nella-ricerca-tor

  • L’#Allemagne propose à la #Pologne des #patrouilles_conjointes

    L’Allemagne a proposé à la Pologne un renforcement des patrouilles conjointes à la frontière entre les deux pays. Cela pour faire face au nombre croissant de migrants qui y arrivent après être passés par le Bélarus.

    La présence des forces frontalières devrait être « sensiblement » accrue, a estimé le ministre allemand de l’Intérieur #Horst_Seehofer dans une lettre à son homologue polonais #Mariusz_Kaminski vue mardi par l’AFP.

    M. Seehofer s’est dit « préoccupé » par la hausse de l’afflux de migrants notamment en provenance « du Proche et du Moyen-Orient » passant par le #Bélarus et arrivant en Pologne puis en Allemagne.

    Le ministre allemand a proposé « d’accroître la proportion des forces de la police fédérale allemande » qui participent aux patrouilles conjointes, laissant aux forces polonaises le soin de gérer les migrants qui traversent la frontière directement en provenance du Bélarus.
    Frontex

    M. Seehofer a également proposé de faire appel à l’agence européenne de protection des frontières Frontex pour bénéficier de son aide.

    Selon des chiffres du ministère allemand de l’Intérieur rendus publics lundi, quelque 4500 personnes ont traversé depuis août la frontière entre la Pologne et l’Allemagne sans document les y autorisant.

    La Pologne a de son côté déployé 6000 soldats le long de la frontière avec le Bélarus pour tenter de stopper l’afflux de migrants, a déclaré mardi le ministre de la Défense Mariusz Blaszczak.
    Représailles de Minsk

    L’UE accuse le président du Bélarus Alexandre Loukachenko de faire venir des migrants du Moyen-Orient et d’Afrique à Minsk puis de leur faire passer les frontières de la Lituanie, de la Lettonie et de la Pologne en représailles des sanctions économiques et individuelles adoptées par l’UE.

    L’arrivée massive de migrants traversant illégalement la frontière orientale de l’UE avec le Bélarus a pris de court des pays qui ne sont pas habitués à gérer un afflux massif de clandestins.

    La Pologne a été accusée par les ONG humanitaires de pratiquer des refoulements de migrants à la frontière avec le Bélarus. M. Seehofer abordera ce sujet mercredi à une réunion du gouvernement.

    https://www.bluewin.ch/fr/infos/international/l-allemagne-propose-la-pologne-des-patrouilles-conjointes-930954.html

    #patrouilles_mixtes #asile #migrations #réfugiés #Balkans #frontières #contrôles_frontaliers #Biélorussie

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    ajouté à la métaliste sur les patrouilles mixtes :
    https://seenthis.net/messages/910352

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    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • à propos des refoulements à la frontière Polonaise, voir le message passé sur la newsletter d’octobre de Tous migrants :
      https://tousmigrants.weebly.com/octobre-20211.html

      Le même jour, nous recevons un appel de détresse sur Facebook d’un exilé coincé à la frontière entre la Biélorussie et la Pologne. Depuis plusieurs semaines, des personnes sont prises en étau dans la zone frontalière entre les deux pays, privés d’assistance et sans aucune issue[1]. L’Union européenne et la Pologne accusent Minsk d’orchestrer l’arrivée des personnes migrantes en réaction aux sanctions économiques infligées au pays au mois de juin. Cette instrumentalisation des flux migratoires menace la vie d’au moins 180 personnes, dont 26 enfants (selon l’ONG Watch the Med) et certaines sont déjà mortes. Comment l’Union européenne peut-elle tolérer que des humains meurent à sa frontière, sans agir ? Comment est-ce possible qu’un homme désespéré qui se trouve de l’autre côté de l’Europe à des milliers de kilomètres de nous, nous interpelle directement ?

      « Bonjour ! Nous vous écrivons via ce canal car nous sommes en situations de détresses. Nous sommes plus de 4000 migrant présentement coincés dans la frontière de la Pologne sans issu. Nous sommes sans secours, abandonnés à notre propre sort, en pleine forêt, sans nourriture, et sans aide d’aucune forme. Nous comptons déjà des morts dans nos rangs. Sans aucune aide nous allons tous périr. De grâce portez notre message de désespoir plus haut afin que l’union européenne soit au courant de ce qui se passe ici. Les journalistes n’ont pas accès, ni les médias et ONG. Les militaires polonais récupèrent nos téléphones et nous rejettent à la zone neutre sans secours et en pleine nuit sous le froid. Svp aidez-nous nous périssons à petit feu. »

      #Pologne #Frontex #Biélorussie

  • Poland : 4 people found dead on border with Belarus

    Four were found dead on the Poland-Belarus border, three Iraqi men in Poland and one Iraqi woman in Belarus. The Polish prime minister spoke of “dramatic events and Belarusian provocations.”

    Polish officials said Sunday the bodies of three men, believed to be Iraqi nationals, were found on the Polish side of the Poland-Belarus border while Belarusian authorities announced an Iraqi woman was found within a meter of the border.

    The Polish Prime Minister Mateusz Morawiecki said on Facebook that he was in contact with the interior minister as well as the head of the border guards. Morawiecki said links between these “dramatic events and Belarusian provocations” would be investigated.

    Poland’s border guards said on Twitter they are opening an investigation into the deaths.

    State of emergency on Poland-Belarus border

    EU member-states Poland, Lithuania and Latvia, which border Belarus, have come under increasing pressure as Belarusian strongman Alexander Lukashenko has opened a backdoor route for migrants into the EU.

    Poland, Lithuania and Latvia have labeled the recent influx of migrants a “hybrid attack” carried out by Belarusian President Alexander Lukashenko with the aim of destabilizing Europe and the EU.

    Poland and Lithuania are building razor wire fences and increasing border patrols. Both have declared a state of emergency along the border areas in an effort to halt, but more likely will only stymie migrant flows.

    One week ago, Poland declared a state of emergency along the border, barring any non-residents of the area access to the border zone. It was the first time such measures were imposed since the communism period in Poland ended in 1989.

    Soaring numbers of migrants crossing from the east

    Anna Michalska, a spokeswoman for the Polish border guards, said there were over 3,800 attempts at illegal crossings from Belarus in September and over 320 just on Saturday alone.

    Michalska told Polish media of a separate incident on Saturday where eight migrants, three women and five men, were stuck in the swamps near Poland’s border with Belarus.

    That group was rescued by the joint efforts of Poland’s border guards, police, firefighters, military and airborne ambulance service.
    Lukashenko retaliates for sanctions

    Western governments slapped sanctions on the government of Alexander Lukashenko for a brutal crackdown on civil society following last year’s disputed election that brought hundreds of thousands out into the streets in protest.

    EU officials and German Chancellor Angela Merkel have condemned this latest crisis brought on by a leader described as Europe’s last dictator.

    https://www.dw.com/en/poland-4-people-found-dead-on-border-with-belarus/a-59234536
    #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #Pologne #Biélorussie #frontières

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    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

  • Etrange accident à la fin de l’A19 à Ypres : les deux conducteurs prennent la fuite Flandreinfo.be

    L’accident s’est produit vers 21h30 hier soir, juste avant la fin de l’autoroute A19 à Ypres. Un petit camion et une Ford Fiesta, tous les deux immatriculés en Pologne se sont percutés et ont ensuite heurté la berme centrale. Le petit camion s’est renversé, bloquant les deux voies de circulation. La voiture polonaise s’est arrêtée sur la bande d’arrêt d’urgence un peu plus loin. Un panneau de signalisation indiquant une limitation de vitesse de 90 km/h a également été brisé.

    L’autoroute étant complètement bloquée, la police et les pompiers ont dû mettre en place une déviation.

    La police et les pompiers ont dirigé la circulation à la sortie « Ieper centrum » de l’autoroute jusqu’après les travaux de remorquage. Quelques dizaines de véhicules bloqués ont dû attendre après 23 heures avant de pouvoir reprendre la route.

     #travail #travailleurs_détachés #union_européenne #en_vedette #exploitation #ue #Belgique #Pologne #esclavage #dumping_social #europe #migrations #fraude ? #revue_de_presse

    • Dans la capitale de l’union européenne, pendant ce temps là :
      Des mineurs de plus en plus jeunes et de plus en plus nombreux vivent dans la rue, à Bruxelles
      https://www.rtbf.be/info/regions/bruxelles/detail_des-mineurs-de-plus-en-plus-jeunes-et-de-plus-en-plus-nombreux-vivent-da

      Les associations « Médecins sans frontières », « Médecins du monde », « SOS jeunes », et la « plateforme citoyenne » lancent ensemble un cri d’alarme. Elles s’inquiètent de la situation des mineurs étrangers non accompagnés (MENA). Depuis des mois, leur situation s’aggrave, disent ces associations. Leur nombre ne fait qu’augmenter. Et leur prise en charge est inadaptée. Au point que de plus en plus d’enfants vivent dans les rues de Bruxelles.

      Des enfants de 9 ans
      « On voit de plus en plus de ces jeunes que ce soit sur les maraudes, lors des visites de squats ou sur les réponses d’hébergements d’urgence, explique Julien Buha Collette, chef de mission pour Médecins Sans Frontières Belgique. Quand on parle de ces jeunes, ça va jusqu’à 9 ans. Ce sont des enfants qui sont dans la rue et confrontés aux violences de la rue. Parfois avec des parcours migratoires assez violents. Ils se retrouvent dans ces situations avec aucun endroit pour se poser ».

      Combien sont-ils ?
      Impossible d’évaluer leur nombre. En 2020, l’administration de tutelle recensait entre 600 et 700 MENA, mais les organisations de terrain pensent que le chiffre est sous-estimé car beaucoup sont invisibles. Pour avoir une idée de l’ampleur de la situation, un exemple est assez éloquent : au mois de juin, 25 places d’hébergement ont été ouvertes par ces associations pour répondre à l’urgence. Dans les 6 semaines qui ont suivi, expliquent-elles, 163 demandes ont dû être refusées.

      Ils dorment dans des squats, parfois même dans la rue, aux abords de la gare du Nord et de la gare du Midi. Certains d’entre eux sont arrivés du Maghreb, souvent déjà marginalisés. D’autres sont plutôt des migrants de passage venus d’Érythrée, du Soudan, d’Éthiopie. Cela explique en partie pourquoi beaucoup préfèrent rester dans l’ombre. Julien Buha Collette insiste : « Ce sont des enfants. Arriver en Belgique et être mis à la rue après avoir fait tout ce parcours-là, je trouve assez troublant ».

      Les associations réclament un accueil inconditionnel
      Les associations de terrain aujourd’hui se sentent démunies. Elles dénoncent une prise en charge insuffisante et inadaptée de ces enfants : « Les MENA que nous rencontrons souhaitent simplement pouvoir avoir un toit pour la nuit, de la nourriture, l’accès à une douche, à des vêtements et des soins  » explique Maité Montuir, chargée du projet Médibus de Médecins du Monde. Aujourd’hui, les quatre associations réclament deux choses : des logements adaptés pour les mineurs. Et un accueil sans conditions.

  • Pologne : une rentrée scolaire marquée par plus de 200 fausses alertes à la bombe
    https://www.rtbf.be/info/monde/detail_pologne-une-rentree-scolaire-marquee-par-plus-de-200-fausses-alertes-a-l

    Les pompiers sont intervenus plus de 200 fois dans les écoles polonaises mercredi, jour de la rentrée, pour de fausses alertes à la bombe « peu crédibles », a indiqué à l’AFP leur porte-parole.

    « Cela arrive quelques fois dans l’année qu’on reçoive une alerte à la bombe, mais aujourd’hui nous sommes intervenus 225 fois », a déclaré à l’AFP Karol Kierzkowski un porte-parole des pompiers.

    « A chaque fois nous avons assisté la police qui, parfois, évacuait l’école le temps de fouiller le bâtiment ».

    « Cela créait plus d’ennuis que de réels dangers. Les fausses alertes étaient peu crédibles et ne se sont jamais confirmées », a-t-il ajouté.

    « Avec le 1er septembre et la rentrée scolaire, le fléau annuel des fausses alertes à la bombe est de retour dans nos établissements d’enseignement », a déclaré le maire de l’arrondissement de Wola de la capitale polonaise dans un communiqué.

    « C’est particulièrement difficile pour les plus jeunes élèves qui commencent leur cursus scolaire et c’est pour eux très, très stressant », a ajouté Krzysztof Strzalkowski.

    « Ce genre d’alertes arrive lorsqu’il y a un jour important dans les écoles. La dernière fois c’était en mai, juin », lorsque les élèves revenaient en classes après le confinement, a encore indiqué le porte-parole des pompiers.

    Toutes les alertes à la bombe sont vérifiées par la police, qui en recherche l’auteur. Une fausse alerte est passible en Pologne d’une peine de prison allant jusqu’à huit ans.
    #Pologne #Ecole

  • La #Pologne érigera une clôture en barbelés à sa frontière avec le #Bélarus

    La Pologne a annoncé lundi qu’elle allait ériger une « solide #clôture » de barbelés, haute de 2,5 mètres, à la frontière polono-bélarusse et y augmenter ses effectifs militaires pour empêcher les migrants de pénétrer sur son sol.

    La Pologne a annoncé lundi qu’elle allait ériger une « solide clôture » de barbelés, haute de 2,5 mètres, à la frontière polono-bélarusse et y augmenter ses effectifs militaires pour empêcher les migrants de pénétrer sur son sol.

    Varsovie et les trois pays baltes (la Lituanie, la Lettonie et l’Estonie) dénoncent ensemble une « attaque hybride » organisée par le Bélarus qui, selon eux, encourage les migrants à passer illégalement sur le territoire de l’Union européenne.

    Le ministre polonais de la Défense, Mariusz Blaszczak, a précisé lundi qu’une nouvelle clôture « à l’instar de celle qui a fait ses preuves à la frontière serbo-hongroise », composée de quelques spirales superposées de fils barbelés, doublerait la première barrière à fil unique qui s’étend déjà sur environ 130 kilomètres, soit sur près d’un tiers de la longueur de la frontière entre les deux pays.

    « Les travaux commenceront dès la semaine prochaine », a déclaré M. Blaszczak à la presse.

    Le ministre a annoncé que les effectifs militaires à la frontière allaient prochainement doubler, pour atteindre environ 2.000 soldats dépêchés sur place afin de soutenir la police des frontières.

    « Nous nous opposerons à la naissance d’une nouvelle voie de trafic d’immigrés, via le territoire polonais », a-t-il insisté.

    Les quatre pays de la partie orientale de l’Union européenne ont exhorté lundi l’Organisation des Nations unies à prendre des mesures à l’encontre du Bélarus.

    Les Premiers ministres d’Estonie, de Lettonie, de Lituanie et de Pologne ont assuré dans une déclaration commune que l’afflux des migrants avait été « planifié et systématiquement organisé par le régime d’Alexandre Loukachenko ».

    Des milliers de migrants, pour la plupart originaires du Moyen-Orient, ont franchi la frontière bélarusso-européenne ces derniers mois, ce que l’Union européenne considère comme une forme de représailles du régime bélarusse face aux sanctions de plus en plus sévères que l’UE lui impose.

    « Il est grand temps de porter la question du mauvais traitement infligé aux migrants sur le territoire bélarusse à l’attention des Nations unies, notamment du Conseil de sécurité des Nations unies », peut-on lire dans la déclaration.

    Les quatre pays affirment qu’ils accorderont toute la protection nécessaire aux réfugiés traversant la frontière, conformément au droit international, mais ils demandent également d’« éventuelles nouvelles mesures restrictives de la part de l’UE pour empêcher toute nouvelle immigration illégale organisée par l’Etat bélarusse ».

    Dans de nombreux cas, les autorités de Minsk repoussent les migrants vers la frontière de l’UE, ce qui a déjà conduit à des situations inextricables.

    Un groupe de migrants afghans reste ainsi bloqué depuis deux semaines sur une section de la frontière entre la Pologne et le Bélarus.

    Des organisations polonaises des droits de l’Homme et l’opposition libérale accusent le gouvernement nationaliste-conservateur polonais de refuser de secourir les personnes ayant besoin d’aide et d’ainsi violer le droit international.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/230821/la-pologne-erigera-une-cloture-en-barbeles-sa-frontiere-avec-le-belarus

    #frontières #murs #barrières_frontalières #asile #migrations #réfugiés #Biélorussie #militarisation_de_la_frontière

    –-
    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • On the EU’s eastern border, Poland builds a fence to stop migrants

      Polish soldiers were building a fence on the border with Belarus on Thursday, as the European Union’s largest eastern member takes steps to curb illegal border crossings despite criticism that some migrants are being treated inhumanely.

      Brussels has accused Belarusian President Alexander Lukashenko of using migrants as part of a “hybrid war” designed to put pressure on the bloc over sanctions it has imposed, and building the wall is part of Poland’s efforts to beef up border security on the EU’s eastern flank.

      “Almost 3 km of fencing has been erected since yesterday,” Defence Minister Mariusz Blaszczak said on Twitter, adding that almost 1,800 soldiers were supporting the border guard.

      Blaszczak said on Monday that a new 2.5 metre high solid fence would be built, modelled on the one built by Prime Minister Viktor Orban on Hungary’s border with Serbia.

      On Thursday Reuters saw soldiers next the frontier stringing wire through barbed wire to hook it to posts.

      Poland has received sharp criticism over its treatment of a group of migrants who have been stuck on the Belarus border for over two weeks, living in the open air with little food and water and no access to sanitary facilities.

      On Wednesday refugee charity the Ocalenie Foundation said 12 out of 32 migrants stuck on the border were seriously ill and one was close to death.

      “No fence or wire anywhere in the world has stopped any people fleeing war and persecution,” said Marianna Wartecka from the foundation who was at the border on Thursday.

      Poland says responsibility for the migrants lies with Belarus. The prime minister said this week that a convoy of humanitarian offered by Poland had been refused by Minsk.

      Surveys show that most Poles are against accepting migrants, and Poland’s ruling nationalists Law and Justice (PiS) made a refusal to accept refugee quotas a key plank of its election campaign when it swept to power in 2015.

      An IBRiS poll for private broadcaster Polsat on Wednesday showed that almost 55% of respondents were against accepting migrants and refugees, while over 47% were in favour of a border wall.

      “Our country cannot allow such a large group of people to break our laws,” said Emilia Krystopowicz, a 19-year-old physiotherapy student, in Krynki, a village next the border.

      Belarusian President Alexander Lukashenko has accused Poland and Lithuania of fuelling the migrant issue on the borders.

      https://www.reuters.com/world/europe/eus-eastern-border-poland-builds-fence-stop-migrants-2021-08-26

    • Poland to build anti-refugee wall on Belarus border

      Poland has become the latest European country to start building an anti-refugee wall, with a new fence on its border with Belarus.

      The 2.5-metre high wall would be modelled on one built by Hungary on its border with Serbia in 2015, Polish defence minister Mariusz Blaszczak said.

      “We are dealing with an attack on Poland. It is an attempt to trigger a migration crisis,” he told press at a briefing near the Belarus frontier on Monday (23 August).

      “It is [also] necessary to increase the number of soldiers [on the border] ... We will soon double the number of soldiers to 2,000,” he added.

      “We will not allow the creation of a route for the transfer of migrants via Poland to the European Union,” he said.

      The minister shared photos of a 100-km razor-wire barrier, which Poland already erected in recent weeks.

      Some 2,100 people from the Middle East and Africa tried to enter Poland via Belarus in the past few months in what Blaszczak called “a dirty game of [Belarus president Alexander] Lukashenko and the Kremlin” to hit back at EU sanctions.

      “These are not refugees, they are economic migrants brought in by the Belarusian government,” deputy foreign minister Marcin Przydacz also said on Monday.

      Some people were pushed over the border by armed Belarusian police who fired in the air behind them, according to Polish NGO Minority Rights Group.

      Others were pushed back by Polish soldiers, who should have let them file asylum claims, while another 30-or-so people have been stuck in no man’s land without food or shelter.

      “People were asking the [Polish] border guards for protection and the border guards were pushing them back,” Piotr Bystrianin from the Ocalenie Foundation, another Polish NGO, told the Reuters news agency.

      “That means they were in contact and that means they should give them the possibility to apply for protection ... It’s very simple,” he said.

      “We have been very concerned by ... people being stranded for days,” Shabia Mantoo, a spokeswoman for the UN refugee agency, the UNHCR, also said.

      But for its part, the Polish government had little time for moral niceties.

      “The statements and behaviour of a significant number of Polish politicians, journalists, and NGO activists show that a scenario in which a foreign country carrying out such an attack against Poland will receive support from allies in our country is very real,” Polish deputy foreign minister Paweł Jabłoński said.

      Belarus has also been pushing refugees into Lithuania and Latvia, with more than 4,000 people recently crossing into Lithuania.

      “Using immigrants to destabilise neighbouring countries constitutes a clear breach of international law and qualifies as a hybrid attack against ... Latvia, Lithuania, Poland, and thus against the entire European Union,” the Baltic states and Poland said in a joint statement on Monday.

      Lithuania is building a 3-metre high, 508-km wall on its Belarus border in a €152m project for which it wants EU money.

      The wall would be completed by September 2022, Lithuanian prime minister Ingrida Simonyte said on Monday.

      “The physical barrier is vital for us to repel this hybrid attack,” she said.
      Fortress Europe

      The latest upsurge in wall-building began with Greece, which said last week it had completed a 40-km fence on its border with Turkey to keep out potential Afghan refugees.

      And Turkey has started building a 3-metre high concrete barrier on its 241-km border with Iran for the same reason.

      “The Afghan crisis is creating new facts in the geopolitical sphere and at the same time it is creating possibilities for migrant flows,” Greece’s citizens’ protection minister Michalis Chrisochoidis said.

      Turkey would not become Europe’s “refugee warehouse”, Turkish president Recep Tayyip Erdoğan said.

      https://euobserver.com/world/152711

    • Comme la Lituanie, la Pologne veut sa barrière anti-migrants à la frontière biélorusse

      Varsovie et Vilnius veulent construire des barrières contre les migrants qui transitent par le Bélarus, tandis que la situation humanitaire continue de se détériorer à la frontière orientale de l’Union européenne.

      La pression augmente pour faire de l’Union une forteresse. Vendredi 8 octobre, douze pays, dont la Pologne et la Lituanie, ont réclamé d’une seule voix que l’Union européenne finance la construction de barrières à ses frontières externes. Il s’agit de l’Autriche, la Bulgarie, Chypre, la République tchèque, le Danemark, l’Estonie, la Grèce, la Hongrie, la Lituanie, la Lettonie, la Pologne et la Slovaquie.

      « Je ne suis pas contre », a répondu la commissaire aux Affaires intérieures Ylva Johansson. « Mais quant à savoir si on devrait utiliser les fonds européens qui sont limités, pour financer la construction de clôtures à la place d’autres choses tout aussi importantes, c’est une autre question ».

      La question migratoire agite particulièrement en Pologne, soumise à une pression inédite sur sa frontière orientale, avec le Bélarus. Le 7 octobre, le vice-Premier ministre Jarosław Kaczyński, qui préside aussi la commission des affaires de sécurité nationale et de défense, a confirmé la construction d’une barrière permanente le long de la frontière polono-biélorusse. Lors d’une conférence de presse tenue au siège de l’unité des gardes-frontières de Podlachie, frontalière avec la Biélorussie, il a expliqué : « Nous avons discuté des décisions déjà prises, y compris dans le domaine financier, pour construire une barrière très sérieuse. Le genre de barrière qu’il est très difficile de franchir. L’expérience européenne, l’expérience de plusieurs pays, par exemple la Hongrie et la Grèce, montre que c’est la seule méthode efficace ».

      La Pologne a débuté les travaux en août dernier et des barbelés ont déjà été tirés sur des sections sensibles de la frontière polono-biélorusse. Lorsqu’elle aura atteint son terme, la barrière fera 180 kilomètres de long et plus de deux mètres de haut.

      La Lituanie, autre pays frontalier de la Biélorussie, a elle aussi déroulé les barbelés et alloué 152 millions d’euros pour la construction d’une barrière de quatre mètres de haut, sur cinq cents kilomètres, qui doit être prête en septembre 2022.

      Le gouvernement national-conservateur du Droit et Justice (PiS) a réagi par la manière forte à la pression migratoire inédite sur ses frontières. Plusieurs milliers de soldats ont été déployés pour prêter main-forte aux gardes-frontières.

      Le Sénat a adopté le 8 octobre un amendement qui autorise l’expulsion immédiate des étrangers interpellés après avoir franchi la frontière irrégulièrement, sans examiner leur demande de protection internationale. En clair, il s’agit de passer un vernis de légalité sur la pratique dit de « pushback » qui contrevient aux règles internationales, mais utilisées ailleurs sur la frontière de l’UE, parfois très violemment, comme en témoigne la diffusion récente de vidéos à la frontière de la Croatie.
      Loukachenko accusé de trafic d’êtres humains

      Varsovie et Vilnius accusent de concert le président autocrate du Bélarus, Alexandre Loukachenko, de chercher à ouvrir une nouvelle route migratoire vers l’Europe, dans le but de se venger de leur soutien actif à l’opposition bélarusse en exil et des sanctions européennes consécutives aux élections frauduleuses d’août 2020.

      « Ce sont les immigrants économiques qui arrivent. Ils sont amenés dans le cadre d’une opération organisée par les autorités biélorusses avec l’assentiment clair de la Fédération de Russie. Les agences de sécurité biélorusses le tolèrent totalement et y sont présentes », a noté Jarosław Kaczyński. « Ces personnes sont conduites vers des endroits où elles auront une chance de traverser la frontière. Parfois, des officiers biélorusses participent personnellement au franchissement des barrières et à la coupure des fils », a-t-il ajouté.

      « Des centaines de milliers de personnes seront acheminées à notre frontière orientale », a avancé le ministre polonais de l’Intérieur Mariusz Kamiński, au mois de septembre.
      Soutien de la Commission européenne

      La Commission européenne dénonce, elle aussi, « un trafic de migrants parrainé par l’État [biélorusse] ». Le 5 octobre, Ylva Johansson, commissaire européenne chargée des affaires intérieures, a déclaré que « le régime utilise des êtres humains d’une manière sans précédent, pour faire pression sur l’Union européenne. […] Ils attirent les gens à Minsk. Qui sont ensuite transportés vers la frontière. Dans des mini-fourgonnettes banalisées. ».

      C’est aussi une manne économique pour Minsk, a détaillé Ylva Johansson. « Les gens viennent en voyages organisés par l’entreprise touristique d’État Centrkurort. Ils séjournent dans des hôtels agréés par l’état. Ils paient des dépôts de plusieurs milliers de dollars, qu’ils ne récupèrent jamais ».
      La situation humanitaire se dégrade

      L’hiver approche et les températures sont passées sous zéro degré les nuits dernières en Podlachie, la région du nord-est de la Pologne, frontalière avec la Biélorussie. Des groupes d’immigrants qui tentent de se frayer un chemin vers l’Union européenne errent dans les forêts de part et d’autre de la frontière qui est aussi celle de l’Union. « Ce [samedi] soir il fait -2 degrés en Podlachie. Des enfants dorment à même le sol, quelque part dans nos forêts. Des enfants déportés vers ces forêts sur ordre des autorités polonaises », affirme le Groupe frontalier (Grupa Granica).

      Une collecte a été lancée pour permettre à une quarantaine de médecins volontaires d’apporter des soins de première urgence aux migrants victimes d’hypothermie, de blessures, d’infections ou encore de maladies chroniques. Avec les trente mille euros levés dès la première journée (près de soixante mille euros à ce jour), trois équipes ont débuté leurs opérations de sauvetage. « Nous voulons seulement aider et empêcher les gens à la frontière de souffrir et de mourir », explique le docteur Jakub Sieczko à la radio TOK FM. Mais le ministère de l’Intérieur leur refuse l’accès à la zone où a été décrété un état d’urgence au début du mois de septembre, tenant éloignés journalistes et humanitaires de la tragédie en cours.

      Quatre personnes ont été retrouvées mortes – vraisemblablement d’hypothermie – dans l’espace frontalier, le 19 septembre, puis un adolescent irakien cinq jours plus tard. La fondation pour le Salut (Ocalenie) a accusé les gardes-frontières polonais d’avoir repoussé en Biélorussie le jeune homme en très mauvaise santé et sa famille quelques heures plus tôt.

      A ce jour, ce flux migratoire n’est en rien comparable à celui de l’année 2015 via la « Route des Balkans », mais il est dix fois supérieur aux années précédentes. Samedi, 739 tentatives de franchissement illégal de la frontière ont été empêchées par les gardes-frontières polonais, qui ont enregistré plus de 3 000 tentatives d’entrée irrégulière au mois d’août, et près de 5 000 en septembre.

      https://courrierdeuropecentrale.fr/comme-la-lituanie-la-pologne-veut-aussi-sa-barriere-anti-mig

    • EU’s job is not to build external border barriers, says Commission vice president

      Yes to security coordination and technology; no to ‘cement and stones,’ says Margaritis Schinas.

      The European Commission is ready to support member countries in strengthening the bloc’s external borders against the “hybrid threat” posed by international migrant flows but doesn’t want to pay for the construction of physical border barriers, Commission Vice President Margaritis Schinas said Thursday.

      Rather than defending borders with “cement and stones,” Schinas said in an interview at POLITICO’s Health Care Summit, the EU can usefully provide support in the form of security coordination and technology.

      Highlighting how divisive the issue is of the use of EU funds for physical barriers, which EU leaders discussed at length at a summit last Friday morning, Schinas’ line is different from the one expressed by his party in the European Parliament, the center-right EPP, and by his own country, Greece.

      He was responding to comments by Manfred Weber, chairman of the European Parliament’s EPP group, in support of a letter, first reported by POLITICO’s Playbook, by 12 member countries, including countries like Greece, Denmark and Hungary, to finance a physical barrier with EU money.

      Commission President Ursula von der Leyen said after last week’s Council summit that no EU money would be spent to build “barbed wire and walls.”

      “The Commission position is very clear. We are facing a new kind of threat on our external border. This is a hybrid threat,” said Schinas. “The obvious thing for the European Union to do is to make sure that those who seek to attack Europe by weaponizing human misery know that we will defend the border … I think that, so far, we have managed to do it.”

      “At the same time we do have resources that will allow us to help member states to organize their defences — not of course by financing the cement and the stones and the physical obstacles of walls,” he added.

      “But we have the capacity to assist and finance member states for the broader ecosystem of border management at the European Union external border,” said Schinas, referring to setting up command centers and deploying equipment such as thermal cameras. “This is how we will do it. If there is one lesson that this situation has taught us [it] is that migration is a common problem. It cannot be delegated to our member states.”

      Eastern member states have accused authoritarian leader Alexander Lukashenko of flying thousands of people into Belarus and then sending them on hazardous journeys into EU territory. Polish lawmakers approved €350 million in spending last week to build a wall along the country’s border with Belarus.

      https://www.politico.eu/article/eus-job-is-not-to-build-external-border-barriers-says-commission-vice-presi

    • Poland Begins Constructing Border Walls To Deter Asylum-Seeking Refugees

      Poland has begun the construction of a new border wall, estimated to cost $400 million and likely to be completed by June 2022. The wall will stand 5.5 meters high (six yards) and will have a final length of 186 km (115 miles).

      “Our intention is for the damage to be as small as possible,” border guard spokeswoman Anna Michalska assured Poland’s PAP news agency on January 25th. “Tree felling will be limited to the minimum required. The wall itself will be built along the border road.”

      While the Polish border forces are taking extra precautions not to disrupt the nature surrounding the border, there have been concerns about the human rights of asylum-seeking refugees. Over the past decade, there has been a rise in Middle Eastern and African refugees entering European Union countries, primarily through Eastern European territories. Standards set by the United Nations state that it is not illegal to seek refugee status in another country if an individual is in danger within their home country; however, Poland has sent numerous troops to its borders to deter asylum seekers trying to enter the nation on foot from Belarus. Poland has accused Belarus of encouraging asylum seekers to use the state as a passage into E.U. countries that may be a more favorable residency. The Belarusian government has denied these accusations, stating that Poland’s current attempts to restrict the number of refugees allowed in its country are inhumane and a human rights issue. Poland has since claimed that the “easy journey” allowed by Belarus’s government, and potentially supported by its ally Russia, is a non-militant attack against not only Poland, but the rest of the E.U.

      As the two countries continue in their conflict, the asylum seekers – individuals from around the world in need of safety and shelter – are being caught in the crossfire.

      Over the past months, Poland has increased border security, built a razor-wire fence along a large majority of the border, closed off border territories from the media and advocacy groups, and approved a new law allowing the border guard to force asylum seekers back into Belarus. Due to the recent changes, the number of refugees entering Poland has decreased, but this does not mean that the number of asylum seekers in need of aid from E.U. countries has decreased. Numerous groups still try to cross the treacherous border; the Polish border guard estimates that there are seventeen crossings just in the span of 24 hours. Al Jazeera reported on the 25th that Polish border security caught a group of fourteen asylum seekers, the majority of them fleeing Middle Eastern countries, cutting through a portion of the wire fence. These individuals, like many asylum seekers discovered along the border, have been “detained” until the Polish government decides whether to grant them refugee status or force them to return to Belarus.

      While Poland’s frustration with the uneven distribution of asylum seekers entering their country compared to others within the E.U. is understandable, its poor treatment of those in need of aid and protection is unacceptable. Rather than raising arms and security, Poland and the European Union must explore options of refugee resettlement that appease Polish desires for an equal dispersal of refugees throughout Europe without turning away people who need real government assistance. No matter its attitude towards Belarus, Poland must not turn its punishment towards those in need of refuge.

      https://theowp.org/poland-begins-constructing-border-walls-to-deter-asylum-seeking-refugees

    • "The Iron Forest" - building the walls to scar the nature

      If I could bring one thing from my hometown, it would be the fresh air of the conifers from “my” forest. This is the statement my friends have heard me say many times, in particular when I feel nostalgic about my hometown.

      Augustów, where I am from, lies in the midst of Augustów Primeval Forest, in the North-East of Poland — a region referred to as the “green lungs” of Poland. It is an enormous virgin forest complex stretching across the border with Lithuania and connecting with other forests in the region.

      When I was 10, I went on a school trip to a neighbouring Bialowieza forest — a UNESCO heritage site with its largest European bison population. I still remember the tranquillity and magnificence of its landscape including stoic bison. I never would have thought that some years later, the serenity of this place will face being destroyed by the wall built on the Polish and Belarusian border, following the recent events of the refugee crisis.

      Today, I am a mental health scientist with a background in Psychology and Psychological Medicine. I am also a Pole from the North-East of Poland. Embracing both identities, in this blog, I would like to talk about “building walls” and what it means from a psychological perspective.
      Building Walls and Social Identity

      Following the humanitarian crisis which recently took place on the border between Belarus and Poland, we are now witnessing Poland building a wall which would prevent asylum seekers from Syria, Iraqi Kurdistan and Afghanistan, to cross the border.

      The concept of building a wall to separate nations isn’t new. I am sure you have heard about the Berlin wall separating East and West Germany, the Israeli West Bank Barrier between Israel and Palestine, or more recently the wall between Mexico and the US. In fact, according to Elisabeth Vallet, a professor at the University of Quebec-Montreal, since World War II the number of border walls jumped from 7 to at least 70! So, how can we explain this need to separate?

      In her article for the New Yorker on “Do walls change how we think”, Jessica Wapner talks about the three main purposes of the walls which are “establishing peace, preventing smuggling, and terrorism”. It is based on the premises of keeping “the others” away, the others that are threatening to “us”, our safety, integrity and identity. These motivations form the basis for the political agenda of nationalism.

      Using the words of the famous psychologist, Elliot Aronson, humans are social animals, and we all have the need to belong to a group. This has been well described by the Social Identity Theory which claims that positive evaluation of the group we belong to helps us to maintain positive self-image and self-esteem. Negative evaluation of the “the other,” or the outgroup, further reaffirms the positive image of your own group — the intergroup bias. As such, strong social identity helps us feel safe and secure psychologically, which is handy in difficult times such as perceived threat posed by another nation or any other crisis. However, it often creates a “psychological illusion” as in attempt to seek that comfort, we distort the reality placing ourselves and our group in a more favourable light. This, in turn, only worsens the crisis, as described by Vamik Volkan, a psychiatrist and the president of the International Society of Political Psychology, in the article by Jessica Wapner.

      The disillusionment of walls

      In reality, history shows consistently that building walls have only, and many, negative consequences. The positive ones, well, are an illusion: based on the false sense of psychological protection.

      In 1973, a German psychiatrist #Dietfried_Müller-Hegemann, published a book, “#Wall_disease”, in which he talked about the surge of mental illness in people living “in the shadow” of the wall. Those who lived in the proximity of the Berlin wall showed higher rates of paranoia, psychosis, depression, alcoholism and other mental health difficulties. And the psychological consequences of the Iron Curtain lingered long after the actual wall was gone: in 2005, a group of scientists were interested in the mental representation of the distances between the cities in Germany among the German population. They demonstrated systematic overestimations of distances between German cities that were situated across the former Iron Curtain, compared with the estimated difference between cities all within the East or the West Germany. For example, people overestimated the distance between Dusseldorf and Magdeburg, but not between Dusseldorf and Hannover, or between Magdeburg and Leipzig.

      What was even more interesting is that this discrepancy was stronger in those who had a negative attitude towards the reintegration! These findings show that even when the physical separation is no longer present, the psychological distance persists.

      Building walls is a perfect strategy to prevent dialogue and cooperation and to turn the blind eye to what is happening on the other side — if I can’t see it, it doesn’t exist.

      It embodies two different ideologies that could not find the way to compromise and resorted to “sweeping the problem under the carpet”. From a psychoanalytical point of view, it refers to denial — a defence mechanism individuals experience and apply when struggling to cope with the demands of reality. It is important and comes to the rescue when we truly struggle, but, inevitably, it needs to be addressed for recovery to be possible. Perhaps this analogy applies to societies too.

      It goes without saying that the atmosphere created by putting the walls up is that of fear of “the other” and hostility. Jessica Wapner describes it very well in her article for the New Yorker, as she talks about the dystopian atmosphere of the looming surveillance and the mental illness that goes with it.

      And lastly, I wouldn’t want to miss a very important point related to the wall of interest in this blog — the Poland-Belarus wall. In this particular case, we will not only deal with the partition between people, but also between animals and within the ecosystem of the forest, which is likely to have a devastating effect on the environment and the local society.

      Bringing this blog to conclusion, I hope that we can take a step back and reflect on what history and psychology tell us about the needs and motivations to “build walls”, both physically and metaphorically, and the disillusionment and devastating consequences it might have: for people, for society, and for nature.

      https://www.inspirethemind.org/blog/the-iron-forest-building-the-walls-to-scar-the-nature
      #santé_mentale

    • Poland’s border wall to cut through Europe’s last old-growth forest

      Work has begun on a 116-mile long fence on the Polish-Belarusian border. Scientists call it an environmental “disaster.”

      The border between Poland and Belarus is a land of forests, rolling hills, river valleys, and wetlands. But this once peaceful countryside has become a militarized zone. Prompted by concerns about an influx of primarily Middle Eastern migrants from Belarus, the Polish government has begun construction on a massive wall across its eastern border.

      Human rights organizations and conservation groups have decried the move. The wall will be up to 18 feet tall (5.5 meters) and stretch for 116 miles (186 kilometers) along Poland’s eastern border, according to the Polish Border Guard, despite laws in place that the barrier seems to violate. It’s slated to plow through fragile ecosystems, including Białowieża Forest, the continent’s last lowland old-growth woodland.

      If completed within the next few months as planned, the wall would block migration routes for many animal species, such as wolves, lynx, red deer, recovering populations of brown bears, and the largest remaining population of European bison, says Katarzyna Nowak, a researcher at the Białowieża Geobotanical Station, part of the University of Warsaw. This could have wide-ranging impacts, since the Polish-Belarus border is one of the most important corridors for wildlife movement between Eastern Europe and Eurasia, and animal species depend on connected populations to stay genetically healthy.

      Border fences are rising around the world, the U.S.-Mexico wall being one of the most infamous. A tragic irony of such walls is that while they do reliably stop the movement of wildlife, they do not entirely prevent human migration; they generally only delay or reroute it. And they don’t address its root causes. Migrants often find ways to breach walls, by going over, under, or through them.

      Nevertheless, time after time, the specter of migrants crossing borders has caused governments to ignore laws meant to protect the environment, says John Linnell, a biologist with the Norwegian Institute for Nature Research.

      Polish border wall construction will entail heavy traffic, noise, and light in pristine borderland forests, and the work could also include logging and road building.

      “In my opinion, this is a disaster,” says Bogdan Jaroszewicz, director of the Białowieża Geobotanical Station.
      Fomenting a crisis

      The humanitarian crisis at the border began in summer 2021, as thousands of migrants began entering Belarus, often with promises by the Belarusian government of assistance in reaching other locations within Europe. But upon arrival in Belarus, many were not granted legal entry, and thousands have tried to cross into Poland, Latvia, and Lithuania. Migrants have often been intercepted by Polish authorities and forced back to Belarus. At least a dozen migrants have died of hypothermia, malnourishment, or other causes.

      Conflict between Belarus and the EU flared when Alexander Lukashenko claimed victory in the August 2020 presidential election, despite documented claims the election results were falsified. Mass protests and crackdowns followed, along with several rounds of EU sanctions. Poland and other governments have accused Belarus of fomenting the current border crisis as a sort of punishment for the sanctions.

      In response, the Polish government declared a state of emergency on the second of September, which remains in place. Many Polish border towns near the Belarusian border are only open to citizens and travel is severely restricted; tourists, aid workers, journalists, and anybody who doesn’t live or permanently work in the area cannot generally visit or even move through.

      That has made life difficult for the diverse array of people who live in this multi-ethnic, historic border region. Hotels and inns have gone out of business. Researchers trying to do work in the forest have been approached by soldiers at gunpoint demanding to know what they are doing there, says Michał Żmihorski, an ecologist who directs the Mammal Research Institute, part of the Polish Academy of Sciences, based in Białowieża.

      The Polish government has already built a razor-wire fence, about seven feet tall, along the border through the Białowieża Forest and much of the surrounding border areas. Reports suggest this fence has already entrapped and killed animals, including bison and moose. The new wall will start at the north edge of the Polish-Belarusian border, abutting Lithuania, and stretch south to the Bug River, the banks of which are already lined with a razor-wire fence.

      “I assume that it already has had a negative impact on many animals,” Żmihorski says. Further wall construction would “more or less cut the forest in half.”

      Some scientists are circulating an open letter to the European Commission, the executive branch of the EU, to try to halt the wall’s construction.

      Primeval forest

      Much of the Białowieża Forest has been protected since the 1400s, and the area contains the last large expanse of virgin lowland forest, of the kind that once covered Europe from the Ural Mountains to the Atlantic Ocean. “It’s the crown jewel of Europe,” Nowak says.

      Oaks, ash, and linden trees, hundreds of years old, tower over a dense, unmanaged understory—where trees fall and rot undisturbed, explains Eunice Blavascunas, an anthropologist who wrote a book about the region. The forest is home to a wide diversity of fungi and invertebrates—over 16,000 species, between the two groups—in addition to 59 mammalian and 250 bird species.

      In the Polish side of the forest, around 700 European bison can be found grazing in low valleys and forest clearings, a precious population that took a century to replenish. There are also wolves, otters, red deer, and an imperiled population of about a dozen lynx. Normally these animals move back and forth across the border with Belarus. In 2021, a brown bear was reported to have crossed over from Belarus.

      Reports suggest the Polish government may enlarge a clearing through Białowieża and other borderland forests. Besides the impact on wildlife, researchers worry about noise and light pollution, and that the construction could introduce invasive plants that would wreak havoc, fast-growing weedy species such as goldenrod and golden root, Jaroszewicz adds.

      But it’s not just about this forest. Blocking the eastern border of Poland will isolate European wildlife populations from the wider expanse of Eurasia. It’s a problem of continental scale, Linnell says, “a critical issue that this [border] is going to be walled off.”

      Walls cause severe habitat fragmentation; prevent animals from finding mates, food, and water; and in the long term can lead to regional extinctions by severing gene flow, Linnell says.
      Against the law?

      The wall construction runs afoul of several national environment laws, but also important binding international agreements, legal experts say.

      For one, Białowieża Forest is a UNESCO World Heritage site, a rare designation that draws international prestige and tourists. As part of the deal, Poland is supposed to abide by the strictures of the World Heritage Convention—which oblige the country to protect species such as bison—and to avoid harming the environment of the Belarusian part of the forest, explains Arie Trouwborst, an expert in environmental law at Tilburg University in the Netherlands.

      It’s conceivable that construction of the wall could lead UNESCO to revoke the forest’s World Heritage status, which would be a huge blow to the country and the region, Trouwborst adds; A natural heritage site has only been removed from the UNESCO list once in history.

      The Polish part of the Białowieża site has also been designated a Natura 2000 protected area under the European Union Habitats Directive, as are a handful of other borderlands forests. The new wall would “seem to sit uneasily with Poland’s obligations under EU law in this regard, which require it to avoid and remedy activities and projects that may be harmful for the species for which the site was designated, [including] European bison, lynx, and wolf,” Trouwborst says.

      EU law is binding, and it can be enforced within Poland or by the EU Court of Justice, which can impose heavy fines, Trouwborst says. A reasonable interpretation of the law suggests that the Polish government, by building a razor-wire fence through Białowieża Forest, is already in breach of the Habitats Directive. The law dictates that potentially harmful projects may in principle only be authorized “where no reasonable scientific doubt remains as to the absence” of adverse impacts. And further wall construction carries obvious environmental harms.

      “One way or another, building a fence or wall along the border without making it permeable to protected wildlife would seem to be against the law,” Trouwborst says.

      The EU Court of Justice has already shown itself capable of ruling on activity in the Białowieża Forest. The Polish government logged parts of the forest from 2016 to 2018 to remove trees infected by bark beetles. But in April 2018, the Court of Justice ruled that the logging was illegal, and the government stopped cutting down trees. Nevertheless, the Polish government this year resumed logging in the outskirts of Białowieża.
      Walls going up

      Poland is not alone. The global trend toward more border walls threatens to undo decades of progress in environmental protections, especially in transboundary, cooperative approaches to conservation, Linnell says.

      Some of the more prominent areas where walls have recently been constructed include the U.S.-Mexico border; the Slovenian-Croatian boundary; and the entire circumference of Mongolia. Much of the European Union is now fenced off as well, Linnell adds. (Learn more: An endangered wolf went in search of a mate. The border wall blocked him.)

      The large uptick in wall-building seems to have taken many conservationists by surprise, after nearly a century of progress in building connections and cooperation between countries—something especially important in Europe, for example, where no country is big enough to achieve all its conservation goals by itself, since populations of plants and animals stretch across borders.

      This rush to build such walls represents “an unprecedented degree of habitat fragmentation,” Linnell says. It also reveals “a breakdown in international cooperation. You see this return to nationalism, countries trying to fix problems internally... without thought to the environmental cost,” he adds.

      “It shows that external forces can threaten to undo the progress we’ve made in conservation... and how fragile our gains have been.”

      https://www.nationalgeographic.com/environment/article/polish-belarusian-border-wall-environmental-disaster
      #nature #faune #forêt #flore

      –-
      voir aussi ce fil de discussion sur les effets sur la faune de la construction de barrières frontalières :
      https://seenthis.net/messages/515608

    • Le spectre d’une nouvelle #crise_humanitaire et migratoire à la frontière entre la Pologne et la Biélorussie

      La #clôture construite par la Pologne en réponse à l’afflux de migrants en 2021, n’empêche pas la Russie de continuer à user de l’immigration comme d’une arme pour déstabiliser l’Europe.


      #Minkowce est une bourgade polonaise d’une centaine d’âmes, accolée à la frontière biélorusse, où les rues non goudronnées, les anciennes maisons de bois et leurs vieilles granges donnent l’impression que le temps s’y est arrêté. « On se croirait en Amérique à la frontière avec le Mexique ! », s’amuse pourtant Tadeusz Sloma, un agriculteur à la retraite. Car si dans cette région forestière, l’automne est humide et resplendit de couleurs vives en cette fin d’octobre, une imposante clôture d’acier de 5,5 mètres de hauteur, rappelant celle du Texas, s’élève depuis peu à proximité immédiate du hameau.

      « On finit par s’y habituer et on ne la regarde même plus », relativise M. Sloma, dont le jardin débouche sur la clôture. Ici, le souvenir de l’afflux migratoire de l’automne 2021 et de ses dizaines de milliers de réfugiés reste vif. « Nous jetions de la nourriture aux migrants au-dessus des barbelés, des sacs de couchage, des habits, se rappelle le retraité. Ils nous répondaient : “Thank you ! We love you !” Des femmes enceintes, des enfants… cela faisait mal au cœur. » Mais désormais, dit-il, tous les autochtones approuvent le mur et les mesures sécuritaires. « C’est une situation qui ne pouvait pas durer. On se sent davantage en sécurité. Ça ne se répétera pas. »

      Le long de ce qui était il y a encore peu une des frontières les plus paisibles et les plus sauvages de l’Union européenne (UE), chemine désormais un serpent d’acier, de béton et de barbelés de 186 kilomètres de long. Beaucoup plus imposante que les infrastructures similaires dans les pays Baltes, la clôture traverse la #forêt de #Bialowieza, la dernière forêt primaire d’Europe et ses pâturages de bisons, classée au patrimoine de l’Unesco. Les ONG et les scientifiques dénoncent une catastrophe écologique provoquée par la construction de l’infrastructure, qui traverse des zones où la biodiversité était préservée depuis près de douze mille ans.

      « Guerre hybride »

      Depuis que le régime biélorusse a fait de l’organisation de filières migratoires du Moyen-Orient une arme contre le Vieux Continent, le gouvernement national conservateur polonais a répondu avec la plus grande fermeté, au grand dam des défenseurs des droits humains.

      Pour lutter contre ce qui a été qualifié par les institutions européennes de « #guerre_hybride », la raison d’Etat a pris le dessus sur bien des considérations liées aux libertés civiques, au respect du droit d’asile où à la protection du patrimoine naturel. La guerre en Ukraine n’a pas arrangé les choses, même si le nombre de soldats dans la région est passé de 15 000 au pic de la crise migratoire à 1 600 aujourd’hui.

      Grâce à la lutte contre les filières depuis les pays d’origine, l’arrivée de migrants a considérablement baissé, mais ne s’est jamais tarie : 11 000 tentatives de passages ont été recensées depuis le début de l’année, dont 1 600 au mois octobre. Elles étaient 17 000 en octobre 2021. La clôture, opérationnelle depuis juin, est sur le point d’être équipée de systèmes de surveillance électronique dernier cri, avec lesquels les autorités espèrent la rendre « 100 % étanche. » Il restera néanmoins 230 km de frontière le long du Boug occidental, un cours d’eau difficile à surveiller.

      « Ce qui est frappant, c’est que le profil des migrants a radicalement changé , souligne Katarzyna Zdanowicz, porte-parole des gardes-frontières de la région de Podlachie, au nord-est de la Pologne. L’immense majorité provient désormais d’Afrique subsaharienne et de pays jamais recensés auparavant : Nigeria, Soudan, Congo, Togo, Bénin, Madagascar, Côte d’Ivoire, Kenya, Erythrée. » Autre différence : les migrants ne transitent désormais plus directement par Minsk mais d’abord par Moscou. « Il est clair que la Russie leur facilite la tâche. Les visas russes sont tous récents », ajoute-t-elle.

      Possible hausse des tensions

      A une moindre échelle, l’effroyable industrie migratoire pilotée par Minsk et Moscou continue, et les épaisses forêts marécageuses, surnommées par les migrants « la jungle », voient errer des centaines de personnes par semaine. Les soldats biélorusses jouent les passeurs et s’occupent de la logistique. Ils aident les migrants à franchir le mur, fournissent des échelles, des outils, de quoi creuser des tunnels.

      « Grâce au mur, il y a moins d’incidents , insiste Katarzyna Zdanowicz. Avant, les heurts violents étaient fréquents. Les Biélorusses diffusaient dans des haut-parleurs des pleurs d’enfants pour nous faire craquer. » Le temps où les gardes polonais et biélorusses organisaient chaque année, en bonne camaraderie, des compétitions de kayaks le long de la frontière, paraît aujourd’hui bien loin.

      D’autres signes laissent présager une possible hausse des tensions : la Russie a ouvert, début octobre, l’aéroport de Kaliningrad, l’enclave russe située entre la Pologne et la Lituanie, aux vols internationaux. Les médias russes rapportent que les autorités aéroportuaires ont annoncé leur intention d’ouvrir des liaisons avec les Emirats arabes unis, l’Egypte, l’Ethiopie ou encore la Turquie. Un moyen supplémentaire de pression sur l’UE. Pour l’heure, les autorités polonaises assurent toutefois ne constater « aucun phénomène préoccupant » sur la frontière avec Kaliningrad, pourtant particulièrement difficile à protéger.

      Plus au sud, le village de #Bialowieza vit toujours au rythme des interventions des activistes bénévoles, qui portent assistance en forêt aux réfugiés retrouvés dans des états critiques après des journées d’#errance. Au quartier général de l’organisation « #Grupa_Granica » (« Groupe Frontière »), dans un lieu tenu secret, on recense toujours entre 50 et 120 interventions par semaine, sur une zone relativement restreinte. « Grâce au mur, si l’on peut dire, nous n’avons presque plus de femmes ou d’enfants, c’est une différence par rapport à l’année dernière, confie Oliwia, une activiste qui souhaite rester anonyme. Mais nous avons davantage de jambes et de bras cassés, de blessés graves par les barbelés. »

      « Nous avons vu trop d’horreurs »

      Autre différence, la #répression des activistes par les services spéciaux s’est considérablement accrue. « L’aide est de plus en plus criminalisée. On essaye de nous assimiler à des passeurs, alors que nous n’enfreignons pas la loi. Nous sommes surveillés en permanence. » Chacun des militants a un numéro de téléphone écrit au marqueur indélébile sur l’avant-bras : le contact d’un avocat. Les #arrestations_violentes sont devenues monnaie courante. Il y a peu, le local d’une organisation partenaire, le Club de l’intelligentsia catholique (KIK), a été perquisitionné, des membres ont été arrêtés et du matériel confisqué.

      « Nous ne sommes plus en crise migratoire, ajoute Oliwia. Les gardes et l’armée devraient être plus contenus, faire respecter les procédures. Mais ils sont au contraire plus agressifs. La crise humanitaire, elle, est toujours là, et elle va s’accroître avec l’hiver. »

      En #Podlachie, l’aide aux migrants repose principalement sur les épaules des militants bénévoles et de certains autochtones. Elle est financée par des campagnes de dons, et les moyens tendent à se tarir. Nombreux sont ceux qui déplorent l’absence de soutien des grandes organisations humanitaires internationales.

      L’année tumultueuse qui s’est écoulée a laissé des traces dans les mentalités des populations locales, empreintes d’un ras-le-bol généralisé, d’une atmosphère d’extrême méfiance de l’étranger et d’omerta sur les sujets sensibles. « Après plus d’une année à agir, nous sommes tous exténués physiquement et psychiquement , conclut Olivia. Nous avons vu trop d’horreurs. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2022/10/29/a-la-frontiere-entre-la-pologne-et-la-bielorussie-le-spectre-d-une-nouvelle-
      #criminalisation_de_l'aide #criminalisation_de_la_solidarité

    • Polonia tra accoglienza e nuovi muri, ‘solidarnosc’ a lettura politica

      Un nuovo muro anti migranti clandestini tra Polonia e Bielorussia costato quasi mezzo miliardo di Euro che frena ma non ferma. Non bastano il muro e l’inverno, in quelle foreste particolarmente crudele. La spinta dei migranti clandestini usata anche come arma politica, analizza Marsonet. Sulla Polonia e altrove. Chi la favorisce e chi la ferma per ragioni opposte ma eguali: per interesse politico o per puro guadagno.
      Per rimanere su quel confine interpretato spesso come fronte con la Russia, tra le persone che lo attraversano o muoiono tentando di farlo, si contano circa 80 nazionalità e luoghi di origine, segnalano Croce rossa e Mezzaluna rossa.
      Il migrante come arma o come guadagno

      Vi sono pochi dubbi sul fatto che Putin e il suo alleato Lukashenko stiano utilizzando il problema dei migranti per mettere in difficoltà l’Unione Europea. Del resto, è noto che anche Erdogan sta praticando la stessa strategia. L’unica differenza è che il “sultano” si fa profumatamente pagare per impedire che i disperati lascino il suolo turco e si dirigano verso l’Ue, lasciando però scoperti varchi attraverso i quali la fuga può essere tentata.
      Nessuna richiesta di denaro invece, da Mosca e Minsk. Federazione Russa e Bielorussia vogliono solo accrescere le difficoltà di Bruxelles, magari usando i migranti per cercare di ammorbidire le sanzioni emanate dopo l’invasione dell’Ucraina.
      Europa in ordine sparso e scaricabarile

      Purtroppo occorre constatare che le varie nazioni europee affrontano il problema (anzi: il dramma) in ordine sparso. Non c’è alcuna strategia comune che l’Unione abbia adottato. E, se anche vi fosse, vien fatto di pensare che non verrebbe accettata da tutti.
      La reazione più comune consiste nel costruire muri sempre più alti, con grandi quantità di filo spinato e dotati di sensori elettronici in grado di dare l’allarme in caso di sconfinamento. Tali muri danno, ai Paesi che li erigono, un notevole senso di sicurezza.
      I muri muraglia senza imparare dalla storia

      E’ lecito chiedersi, tuttavia, se tale senso di sicurezza sia giustificato, o se si tratta piuttosto di una sicurezza fasulla. I fenomeni migratori sono una costante della storia, e non solo di quella occidentale. Gli imperatori cinesi costruirono la Grande Muraglia, che resta tuttora una meraviglia architettonica.
      Però non riuscì affatto a fermare i popoli delle steppe dell’Asia centrale, che la superarono senza eccessivi problemi penetrando quindi nei territori dell’Impero Celeste, mischiandosi ai cinesi e imponendo addirittura dinastie estranee agli “han”, la componente etnica maggioritaria della Cina.
      L’inganno delle trincee indifendibili

      Ci si chiede, quindi, perché mai nella nostra epoca i muri che vengono costruiti a ritmo accelerato nell’Europa dell’Est dovrebbero riuscire a bloccare le ondate di disperati che vogliono penetrare nelle nazioni più ricche, alla ricerca di un’esistenza migliore.
      Il caso emblematico è quello della Polonia, ormai trasformata in una sorta di “fortezza” protetta dai muri anzidetti. Senza scordare che non tutti i confini sono fortificabili in questo modo. Per esempio, tra Polonia e Bielorussia esistono vaste aree con grandi foreste e acquitrini che rendono in pratica impossibile la costruzione di muri di quel tipo.
      ‘Solidarnosc’ solo con Kiev

      Ora si apprende che Varsavia intende erigere un muro anche al confine con l’enclave russa di Kaliningrad, peraltro irta di missili che Mosca vi ha piazzato per far pesare la sua presenza militare. Il governo polacco è allarmato per l’aumento dei voli dall’Africa a Kaliningrad, e accusa quello russo di voler incoraggiare anche qui il passaggio di migranti.
      Sottolineando ancora una vota le responsabilità di Mosca (e di Minsk) che usa i migranti come “arma politica”, è tuttavia lecito chiedersi se una nazione vasta come la Polonia può davvero trasformarsi in fortezza inespugnabile con questi metodi. Dopo tutto è il Paese in cui Lech Walesa fondò il movimento sindacale “Solidarnosc” (che significa “solidarietà”).

      https://www.remocontro.it/2022/12/20/polonia-solo-per-lucraina-altri-muri-per-i-migranti-sgraditi

    • Refugees seriously injured on razor-wire fence UK helped build to keep asylum seekers out of EU

      Government accused of backing ‘inhumane’ policies as 16 people are badly hurt by barrier blocking entry via Poland from Belarus

      Refugees and asylum seekers have been seriously injured by a “dangerous” razor-wire fence that the UK helped to build to keep asylum seekers out of Europe.

      At least 16 people have been gravely hurt, some hospitalised, when recently attempting to reach Europe by crossing a 5.5m-high barrier the British military helped to construct on Poland’s border with Belarus.

      Humanitarian groups last night called for an inquiry into why the government had aided “inhumane anti-migration measures” and demanded answers from ministers over Britain’s “role in the harm and misery inflicted upon vulnerable people”.

      The Ministry of Defence confirmed it sent Royal Engineers personnel to Poland between December 2021 and August 2022 to provide “border infrastructure support” in response to “pressures from irregular migration”.

      The Polish defence minister stated British soldiers would work on a fence on the Belarusian border.

      Now the medical charity Médecins Sans Frontières (MSF) has revealed it has been treating a series of grave injuries sustained at the barrier.

      During the month up to 24 April, at least 16 people, mainly from Syria, Iraqi Kurdistan and Afghanistan, were treated for blunt injuries, sprains, cuts, and suspected fractures – some requiring urgent hospitalisation – as a “direct result” of trying to cross the razor-wire border wall stretching 116 miles along its frontier with Belarus.

      The types of injury led MSF medics to conclude that the border fence, completed last June, was “dangerous.”

      Sophie McCann, advocacy adviser at MSF UK, said: “MSF medical teams have seen the injuries and suffering caused by abusive treatment at Europe’s borders of refugees, people seeking asylum and other migrants.

      “It is therefore deeply alarming that the UK government is actively and directly supporting these inhumane anti-migration measures.

      “Given the government sent personnel to help construct fences in response to ‘irregular migration’, ministers have serious questions to answer about their role in the harm and misery inflicted upon vulnerable people searching for sanctuary.”

      A defence source said the UK had become involved after Belarus began forcing migrants towards Poland, a Nato ally, in an apparent attempt to undermine EU security.

      “Belarus’s deliberate policy to use migrants as weapons has sadly led to many being forced across secure border fences. The UK government condemns such use,” said the source.

      The developments come as the UK government refuses to say what anti-migrant and border security support it has given to Hungary, whose nationalist prime minister, Viktor Orbán, previously described asylum seekers entering Europe as “a poison”.

      Since January 2021, MSF teams at the border have treated 498 patients for physical injuries, allegedly because of physical assaults by Hungary’s border police and army, or due to a steel fence built on the border with Serbia to keep out migrants.

      The charity said it was investigating recent reports of children locked up in shipping containers and teargassed in Hungary.

      Another country accused of serious abuses towards refugees is Greece. The UK government has, in the past, been transparent about helping Athens with anti-migrant measures but now appears to have adopted a policy of secrecy, not answering queries from the Observer or sharing details following Freedom of Information requests.

      “The excessive secrecy around the provision of assistance to other states’ harsh migration policies is deeply alarming,” said McCann.

      This month the New York Times published video showing asylum seekers taken to sea and abandoned on a raft by the Greek coastguard – despite the country claiming it does not ditch migrants at sea.

      McCann added: “We have seen the horrendous human cost of policies such as violent pushbacks – where people arriving in Greece are aggressively forced back out to sea and abandoned. Yet the Home Office is refusing to share even minimal information about what support it provides to border forces in Greece or Hungary – two states where many of the worst abuses happen.

      “It is completely unacceptable that the UK government continues to support this approach while seeking to cover up the evidence of its support at every turn.”

      A Ministry of Defence spokesperson said: “Between December 2021 and August 2022, personnel from the Royal Engineers were deployed to Poland to help secure its border.

      “Personnel supported Polish troops with specific engineering tasks along the border including infrastructure support and repairing access roads, as well as planning support.”

      The Home Office referred queries to the Foreign Office who said the issue was one for the Home Office.

      https://www.theguardian.com/uk-news/2023/may/27/refugees-hurt-dangerous-fence-uk-built-keep-asylum-seekers-out-of-eu-po

  • Pologne : des arrivées de migrants records à la frontière biélorusse

    Ce week-end, les autorités polonaises ont arrêté 349 migrants à la frontière avec la Biélorussie. Un chiffre en hausse qui pousse la Pologne à demander de l’aide à l’Union européenne. Selon Varsovie, cette situation est « une réaction à l’asile accordé [par la Pologne] à la sprinteuse biélorusse » Krystsina Tsimanouskaya, qui, menacée par le régime biélorusse, avait refusé de rentrer chez elle après les JO de Tokyo.

    C’est un chiffre record. En trois jours, du 6 au 8 août, les autorités polonaises ont intercepté 349 migrants qui tentaient de traverser la frontière avec la Biélorussie. Le groupe le plus important, composé de 85 personnes, a été arrêté samedi par des agents du poste de #Kuznica. D’après les garde-frontières, la majorité de ces personnes vient « probablement d’Irak et d’Afghanistan », ont-ils affirmé dans un communiqué.

    La semaine dernière déjà, les douanes polonaises ont indiqué avoir arrêté 71 migrants dans la nuit de mercredi à jeudi, après un autre groupe de 62 exilés, principalement des Irakiens, dans la journée. Le mois dernier, 242 migrants au total ont été interceptés dans la région.

    Depuis le début de l’année, la Podlasie, région polonaise à la frontière avec la Biélorussie, a arrêté 871 immigrants illégaux, contre 122 pour toute l’année 2020.
    Une athlète biélorusse au cœur de la polémique

    Pour le ministre adjoint de l’Intérieur, Maciej Wasik, la cause de cet afflux est à chercher de l’autre côté de la frontière, en Biélorussie. « Minsk mène une guerre hybride avec l’Union européenne, avec l’aide de migrants illégaux », a-t-il assuré au groupe audiovisuel numérique Telewizja wPolsce. Selon lui, cette situation est « une réaction à l’asile accordé à la sprinteuse biélorusse ».

    Lundi 2 août, la Pologne a accordé un visa humanitaire à l’athlète biélorusse Krystsina Tsimanouskaya, qui, menacée par le régime et inquiète pour sa sécurité, avait refusé de rentrer chez elle après les Jeux olympiques de Tokyo. La décision polonaise n’aurait pas plu au dirigeant Alexandre Loukachenko, qui, en représailles, laisserait passer les migrants à sa frontière.

    Cette thèse, celle des migrants utilisés comme arme diplomatique, est également avancée pour expliquer les arrivées de plus en plus régulières en Lituanie. La Biélorussie, sanctionnée par Bruxelles après l’arrestation fin mai du journaliste et dissident Roman Protassevitch alors que celui-ci se trouvait à bord d’un avion de ligne, se servirait là aussi des exilés pour faire pression sur l’Union européenne et la forcer à revenir sur ses sanctions.

    « (Les sanctions) peuvent avoir l’effet inverse, comme le montre la réalité des événements d’aujourd’hui sur les frontières biélorusse-polonaise, biélorusse-ukrainienne, biélorusse-lituanienne et biélorusse-lettone », a d’ailleurs déclaré, lundi, Alexandre Loukachenko lors d’une conférence de presse.
    Un appel à l’aide commun de la Pologne et de la Lituanie

    Vendredi le Premier ministre polonais Mateusz Morawiecki et la Première ministre lituanienne Ingrida Simonyte ont condamné « la militarisation de la migration irrégulière par le régime de Loukachenko dans le but d’exercer une pression politique sur l’UE et ses États membres ».

    Dans une déclaration commune, les deux ministres ont appelé la Commission européenne, Frontex, le Bureau européen d’appui en matière d’asile (EASO), d’autres États membres de l’UE et des partenaires extérieurs à un soutien politique et pratique, ainsi qu’un renforcement de la politique de migration et d’asile de l’Union. « Nous sommes fermement convaincus que la protection des frontières extérieures de Schengen n’est pas seulement le devoir des États membres individuels mais aussi la responsabilité commune de l’UE », indique le communiqué.

    La Slovénie, qui assure la présidence tournante de l’UE, a déclaré que des pourparlers auraient lieu par vidéoconférence le 18 août, pour répondre à la crise. Ils auront lieu en présence des ministres de l’intérieur des 27 États membres et des représentants de Frontex, de l’EASO et d’Europol.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/34207/pologne-des-arrivees-de-migrants-records-a-la-frontiere-bielorusse
    #frontières #migrations #asile #réfugiés #Pologne #Biélorussie #réfugiés_afghans #réfugiés_irakiens

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    En 2017 la Pologne durcissait les passages à la frontière...
    https://seenthis.net/messages/574155

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    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • Belarus: border crisis with Poland loses sight of the people trapped in the middle

      Tensions at the border between Poland and Belarus continue to rise, with thousands of vulnerable migrants stranded in a standoff between the two countries and the geopolitical blocs to which they belong. About 4,000 men, women and children are caught along the border between the two countries, having been reportedly escorted to the border by Belarusian guards.

      Many of these people have been trying to get through border defences into Poland where security forces are attempting to prevent them from crossing. According to some reports, they are “migrants”, to others, “refugees”. The BBC, for example, reports that Poland fears that Belarus “may try to provoke an incident with hundreds of migrants seeking to cross into the EU”. In the same article, the Belarusian border agency is reported saying “that ‘refugees’ were heading for the EU ‘where they want to apply for protection’.”

      Two observations follow: the people stranded at the border are “migrants” for Poland and “refugees” for Belarus. By applying the quotation marks in reporting Belarus’s position, the BBC is implicitly aligning itself with the Polish and EU narrative.

      This argument over terminology, as research on the 2015-16 Mediterranean border crisis has demonstrated. As I wrote at the time the way we label, categorise and, in turn, differentiate between those on the move – for example those who crossed the Mediterranean on unseaworthy boats – has had enormous implications on the kind of legal and moral obligations receiving states and societies feel towards them.

      But there are other important lessons we learned from the situation in the Mediterranean. For example, how countries are prepared to use displaced people as leverage on the geopolitical chessboard. Many observers have pointed out at Belarus “orchestrating the crisis” as retaliation for sanctions imposed on the government of Alexander Lukashenko by the US, UK and EU.

      Some commentators have also suggested that Belarus is acting on behalf of its powerful sponsor Russia, hinting that the agenda behind the current crisis may be more far-reaching.
      Weaponising refugees

      During the 2015-16 Mediterranean border crisis, Turkey and Russia were, at different points accused of weaponising refugees to destabilise the EU. Turkey was accused of playing politics with its border policy with Syrian refugees, until it eventually negotiated a financially and politically advantageous deal with the EU in December 2015, which led in just a few weeks to the flow of Syrians into Lesbos drying up. Russia was accused of using its airstrikes in Syrian border regions to push displaced people to cross the border and move west.

      But, in truth, this was nothing new either. States have used displaced people as political leverage and human shields, to create chaos, instability, or retaliate against other countries for a long time. This, arguably, was one reason why the 1951 Refugee Convention and the UN High Commissioner for Refugees were established after the second world war to protect people caught between battling states.

      And, while understanding the geopolitics behind the current border crisis is useful and relevant, the protection of vulnerable people stranded at the EU border and their humanitarian needs should remain paramount, as well as their right to claim asylum.

      It is important also to remember that while Belarus and Russia may be acting behind the scene to orchestrate the crisis, the situation at the border between Belarus and Poland is not the full story. People at the border began their journeys weeks – sometimes months – earlier. Many are coming from Taliban-controlled Afghanistan, others from Iraq, a country on the verge of a new civil war, or from Kurdistan. We don’t know.

      And we won’t, until people are no longer treated like parcels, pushed back and forth between posturing military forces. If they are victims of persecution and human rights abuses, they must be allowed to tell their stories and apply for asylum in a safe country.

      We should also remember that since the Mediterranean border crisis the EU has invested a huge amount of resources in securing and – as far as has been possible – closing down Mediterranean sea routes. So the opening of new land routes should not come as a surprise. In truth, land routes had long been in use for unauthorised migration until the significant increase in the use of fences, barbed wire, walls and other border technologies made them harder and more hazardous for migrants.
      Wider dangers

      Another angle of this unfolding border standoff, is to understand how the fraught relationship between the EU and Poland will play out. Given its fraught relationship with the EU, Poland calling on the bloc for help, as Italy did on multiple occasions during the Mediterranean crisis, is not straightforward. Requesting Nato’s help may be easier for Poland at the moment, but this requires the militarisation of the narrative.

      From the EU perspective, the crisis presents many dangers. It is well aware that how this crisis is handled may have repercussions on a potential “Polexit” if the border crisis pushes broadly pro-EU Polish public opinion towards the government, which is increasingly hostile to the EU. This would be a major strategic victory for Russia.

      There’s also a parallel with Brexit. Many will remember Nigel Farage posing in front of a billboard portraying a long queue of refugees, hinting at a possible invasion of Britain and accusing the EU of failing to “protect our borders”. Similar images of vulnerable migrants paraded by Belarus military forces pressing at the border have shocked the Polish public – and no doubt anti-EU politicians in Poland and elsewhere are more than ready to use them to achieve their goal.

      In the middle of all this, thousands of people are experiencing hunger, freezing temperatures, violence and fear, kicked back and forth like footballs, between two military forces.

      https://theconversation.com/belarus-border-crisis-with-poland-loses-sight-of-the-people-trapped

  • Déception pour les salariés de l’usine fermée de Knorr en Alsace
    https://www.lefigaro.fr/social/deception-pour-les-salaries-de-l-usine-fermee-de-knorr-en-alsace-20210810

    Les syndicats de l’usine de Duppigheim ont signé lundi le Plan de Sauvegarde de l’Emploi (PSE) proposé par la direction, qui délocalise partiellement l’activité en Pologne et en Roumanie.


    Déception pour les 261 salariés de l’usine Knorr de Duppigheim, dans le Bas-Rhin, qui fabrique des soupes industrielles. Les négociations engagées en avril avec les directeurs du site ont mené à un accord : un plan de sauvegarde de l’emploi (PSE) a été signé par les syndicats, dans un climat de tension. Après avoir cherché en vain un repreneur, les représentants du personnel obtiennent une enveloppe d’indemnisation bien inférieure à ce qu’ils réclamaient.
    . . . . . . .

    Duppigheim, les chaînes de production continueront à tourner au ralenti jusqu’à fin septembre, avant leur arrêt définitif. Sur les 261 salariés, 70 salariés pourront être reclassés dans d’autres usines françaises à Saint-Dizier, en Haute-Marne, Compiègne et Le Meux, dans l’Oise ou Chevigny en Côte-d’Or. Mais les travailleurs de l’usine, dont 80% ont plus de 55 ans, sont aussi « assez peu qualifiés », selon Martial Schwartz : ils craignent donc de ne pas retrouver d’emploi.

    Une baisse « structurelle des ventes » invoquée
    Pour justifier la fermeture de l’usine alsacienne, Unilever, propriétaire de la marque Knorr, évoquait fin mars « la baisse structurelle des ventes depuis dix ans et qui s’accélère depuis cinq ans, les consommateurs privilégiant de plus en plus le fait maison ». Le marché français des soupes a connu une baisse particulièrement marquée entre 2012 et 2019, de l’ordre de 26% des ventes en volume.

    La production de Duppigheim sera désormais assurée par un sous-traitant en Bretagne et par deux usines du groupe, en Roumanie et Pologne. Une décision qui rappelle celle de Nestlé : le géant de l’agroalimentaire avait également arrêté la production de bouillons, soupes et préparations culinaires Maggi à Itancourt, dans l’Aisne, en janvier 2020, pour la transférer en République tchèque et en Pologne. 158 salariés étaient alors menacés de perdre leur emploi.

    #pologne #roumanie #chômage #tchequie #ue en marche #union_européenne #en_marche #multinationale #soupe le #mépris #camions en plus sur la route Le #scociétal, c’est ça aussi, et en #France

    • Il va sans dire que ce déménagement d’emplois sera financé par les fonds européens.

      Ils servent à ça.

      #Knorr, une société qui s’est fait des couilles en or, en vendant de la soupe en sachet aux troupes allemandes en Russie.

  • La Pologne fait un pas décisif vers un « Polexit juridique »

    En pleine bataille avec l’Union européenne sur la question de l’Etat de droit, le Tribunal constitutionnel polonais, proche du pouvoir, refuse de se soumettre aux décisions de la Cour de justice de l’UE.

    La Pologne et l’Union européenne se sont livrées à un bras de fer par tribunaux interposés, ce mercredi, sur la question de l’Etat de droit, qui empoisonne les relations entre Varsovie et la Commission depuis l’arrivée au pouvoir de Droit et Justice, le parti ultraconservateur dirigé par Jaroslaw Kaczynski, en 2015.

    C’est la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE), qui a tiré la première. Vers 15h, la juridiction suprême de l’UE, à Luxembourg, a demandé la suspension immédiate de la Chambre disciplinaire de la Cour suprême polonaise, institution qui n’est pas conforme au droit de l’Union. Une heure plus tard, à Varsovie, le Tribunal constitutionnel, après une courte journée de débats houleux, jugeait que les décisions de la CJUE sur la Chambre disciplinaire étaient incompatibles avec la Constitution polonaise.

    Autrement dit, le Tribunal constitutionnel ne reconnaît plus l’autorité judiciaire de l’Union européenne en matière d’Etat de droit, qui est pourtant l’élément fondateur des traités européens, analyse Laurent Pech, professeur de droit constitutionnel à l’Université de Middlesex à Londres, et spécialiste de la Pologne. Autrement dit, le Tribunal constitutionnel polonais, avec ses pseudo-juges, vient de créer les conditions d’un non-respect systématique du droit de l’Union, c’est un Polexit juridique. »
    . . . . . . . .

    La suite gratuite : https://www.letemps.ch/monde/pologne-un-decisif-vers-un-polexit-juridique

    #pologne #Polexit #CJUE #ue #union_européenne #lois #indépendance_judiciaire

  • L’Église catholique polonaise fait état de centaines de plaintes pour agressions sexuelles

    L’Église catholique polonaise a révélé lundi 28 juin avoir reçu, depuis 2018, plusieurs centaines de nouvelles plaintes pour des agressions sexuelles sur mineurs commis par des membres du clergé. Le rapport intervient au moment où l’Église, politiquement très influente en Pologne, est confrontée à une série d’accusations, très médiatisées, de pédocriminalité et de dissimulations, un sujet tabou il n’y a pas longtemps encore, dans ce pays jugé très attaché à la foi catholique.

    « Ce qui est frappant... c’est que depuis la dernière enquête, nous avons une vague de révélations », a déclaré Adam Zak, jésuite et coordinateur au sein de l’épiscopat polonais, responsable pour la protection des enfants. « Il y a certainement encore beaucoup de cas cachés qui continuent probablement à être signalés », a-t-il estimé lors d’une présentation en ligne des résultats de l’étude.

    De juillet 2018 à la fin de l’année dernière, 368 cas d’agressions sexuelles, commises entre 1958 et l’année dernière, ont été signalés à l’Église. Selon l’Église catholique polonaise, 39% des plaintes se sont avérées fondées. Des enquêtes se poursuivent sur un peu moins de 51% des autres cas alors que 10% des plaintes ont été rejetées pour des raisons telles que le manque de crédibilité. La moitié des victimes avaient moins de 15 ans, l’âge du consentement en Pologne. Les agressions étaient réparties de manière égale entre les sexes. Certaines de ces atteintes ont duré plus de dix ans. Selon Adam Zak le nombre de cas récents n’était « pas du tout faible ».

    4 évêques sanctionnés, deux démissions
    Un précédent rapport de l’Église faisait état de près de 400 membres du clergé qui avaient agressé sexuellement des enfants et des mineurs entre 1990 et 2018. Une longue série d’accusations d’atteintes sexuelles a secoué l’Église polonaise ces dernières années, notamment après la sortie du documentaire viral « Ne le dis à personne » du journaliste Tomasz Sekielski.

    Depuis l’année dernière, le Vatican a sanctionné quatre évêques polonais pour avoir couvert des actes de pédophilie commis par des membres du clergé, et a annoncé la démission de deux autres évêques, dont celle de l’évêque Zbigniew Kiernikowski, lundi, accusés des faits semblables.

    Le Saint-Siège a également sanctionné le cardinal polonais de 97 ans, Henryk Gulbinowicz, mort depuis, à la suite d’une enquête dont la nature n’a pas été précisée et a accepté la démission de l’archevêque Slawoj Leszek Glodz à la suite d’accusations de harcèlement de prêtres et de manque de réaction face aux allégations d’agressions sexuelles. Le Vatican enquête aussi sur un très proche collaborateur du pape Jean-Paul II, le cardinal Stanislaw Dziwisz, pour des soupçons similaires.

    Source : https://www.lefigaro.fr/flash-actu/l-eglise-catholique-polonaise-fait-etat-de-centaines-de-plaintes-pour-agres

    #pédophilie #viol #culture_du_viol #enfants #catholicisme #pédocriminalité #viols #impunité #pedocriminalité #violences_sexuelles #pologne #pape #catholicisme #religion #religieux #évêques #archevêque #cardinaux

    • Bien d’accord avec toi @metroet_ se réclamé catholique c’est soutenir le droit des dominants à commettre toutes formes d’exactions en toute impunité. Quant illes disent « Le Seigneur est mon berger » il suffit de se rappeler de ce que fait réellement un berger, qu’il soit bon ou mauvais, qu’il aime ses ovins ou pas.

      Le bon berger sépare les brebis de leur petit·es,
      Il tue les agnelles et les agneaux pour vendre leur corps en morceaux,
      Il épargne quelques rare surviant·es parmi les plus exploitables,
      Il insémine de force les brebis avec le sperme des béliers les plus rentables,
      Il impose au troupeau la morsure de ses chiens, chiens qui sont eux mêmes retirés à leurs mères et soumis à sa volonté,
      Il vole le lait des femelles,
      Il prend la laine de toutes et tous,
      Il égorge les adultes une fois qu’il n’en obtiens plus de profit,
      Et il mange leur cadavre.
      Il n’y a pas de bon berger du point de vue des moutons.

  • Le juge, la nièce et les historiens
    https://laviedesidees.fr/Le-juge-la-niece-et-les-historiens.html

    Quand la nièce d’un maire impliqué dans la déportation des juifs polonais porte plainte contre des historiens, ces derniers se voient menacés ou censurés par le pouvoir, fort des nouvelles lois mémorielles protégeant la #Pologne contre toute mise en cause dans l’histoire de la #Shoah.

    #Histoire #nationalisme #antisémitisme #révisionnisme
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20210601_pologne.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20210601_pologne.pdf

  • Conseil consultatif de la Grève nationale des femmes : « Nous exigeons la suppression complète des dispositions limitant l’accès à l’avortement »

    Interview de Karo Abakal, Monika Frenkiel et Nadia Oleszczuk par Anita Karwowska et Waldemar Paś*

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2021/05/17/conseil-consultatif-de-la-greve-nationale-des-femmes-no

    #féminisme #ivg #pologne

  • Le Ghana et l’Afrique du Sud devant la France pour la liberté de la presse Philippe Rosenthal
    http://www.observateurcontinental.fr/?module=articles&action=view&id=2649

    Le #journalisme, « principal vaccin » contre la désinformation en pleine pandémie, est « totalement ou partiellement bloqué » dans plus de 130 pays, rapporte Reporters sans frontières (RSF), qui a publié ce mardi 20 avril l’édition 2021 de son classement mondial de la liberté de la presse.

    La #France absente de la zone blanche de la carte de la liberté de la presse. « Le journalisme, est totalement ou partiellement bloqué dans 73 % des pays évalués », écrit Reporters sans frontières (RSF). Tous les ans la situation sur la liberté de la presse dans 180 pays et territoires est scrutée par l’ organisation indépendante basée à Paris dotée d’un statut consultatif auprès de l’Organisation des Nations unies, de l’Unesco, du Conseil de l’Europe et de l’Organisation internationale de la Francophonie (OIF).

    Ce rapport annuel montre que « l’exercice du journalisme », ce que RSF nomme comme étant le « principal vaccin contre le virus de la désinformation, est gravement entravé dans 73 des 180 Etats du Classement établi » par l’association et « restreint dans 59 autres, soit au total 73 % des pays évalués ». Ces chiffres correspondent au nombre de pays classés rouge ou noir sur la carte mondiale de la liberté de la presse, c’est-à-dire ceux dans lesquels le journalisme est dans une « situation difficile », voire « très grave » et à ceux classés dans la zone orange, où l’exercice de la profession est considérée comme « problématique ».

    La France (34e), classée pourtant jaune, dans le groupe où la situation est plutôt bonne selon RSF, est cependant derrière l’#Espagne (29e), le #Royaume-Uni (33e) et devant la #Slovénie (36e), classée toujours jaune, qui est, elle, classifiée par RSF comme étant un pays qui bloque le journalisme en obligeant, par exemple, l’agence de presse STA à suivre la ligne politique du gouvernement au risque d’être privée de financement d’Etat. La France, pays des droits de l’homme par excellence n’est en tout cas pas dans la zone blanche de la carte de la liberté de la presse, qui indique une situation d’exercice du journalisme sinon optimale du moins très satisfaisante comme cela est le cas pour la #Norvège, la #Finlande, la #Suède, le #Danemark.

    Les #Etats-Unis et la France derrière des pays africains. La France, classée donc en jaune, se trouve, comme le montre RSF derrière des pays comme, la #Costa_Rica, la #Jamaïque, l’#Uruguay, le #Suriname, la #Namibie, le #Cap-Vert, le #Ghana et l’#Afrique_du_Sud. L’organisation indépendante, qui place curieusement le Royaume-Uni (33e) juste devant la France alors qu’il garde le journaliste d’investigation, Julian #Assange, dans la prison à haute sécurité de #Belmarsh, où sa santé physique et mentale continuent de se dégrader, met la Russie en rouge en indiquant que ce pays a « déployé son appareil répressif pour limiter la couverture médiatique des manifestations liées à l’opposant Alexeï #Navalny ».

    Le deux poids, deux mesures est, d’emblée visible dans ce rapport. En effet, pourquoi placer le Royaume-Uni en 33e position et la #Russie en 150e quand un reporter de renommé international ayant dénoncé les violations des droits de l’Homme et les meurtres de l’armée américaine est enfermé en prison à Londres ? Il semble que RSF prenne une défense arbitraire pour un pays occidental et porte un bandeau sur les yeux. Pourtant, RSF, souligne que le cas du fondateur de #Wikileaks est un « type de revers pour le journalisme ».

    Même si les Etats-Unis sont d’après RSF en 44e position et classée toujours en jaune bien loin derrière la France et le #Ghana, le problème a été, selon l’organisation, la dernière année du mandat de Donald Trump qui « s’est caractérisée par un nombre record d’agressions (près de 400) et d’arrestations de journalistes (130), selon le US Press Freedom Tracker, dont RSF est partenaire ».

    L’organisation Reporters sans frontières, qui même si elle prend une position favorable pour le Royaume-Uni alors que Julian Assange y est emprisonné, ne peut pas cacher le fait que la liberté de la presse est réellement en danger dans de nombreux pays occidentaux. Aussi, on peut vraiment écrire que la France, le Royaume-Uni et les Etats-Unis peuvent apprendre de pays africains comme le Ghana et l’Afrique du Sud. Cela prouve que de graves dérives non démocratiques ont actuellement lieu dans ces pays.

    Même si « l’Europe et l’Amérique (Nord et Sud) restent les continents les plus favorables à la liberté de la presse » et « même si la zone des Amériques enregistre cette année la plus grande dégradation des scores régionaux (+2,5 %) », RSF informe que « le continent européen accuse pour sa part une détérioration conséquente de son indicateur “#Exactions” » car « les actes de violence ont plus que doublé au sein de la zone Union européenne-Balkans, alors que cette dégradation est de 17 % au niveau mondial ».

    L’organisation indépendante et défenderesse de la presse https://rsf.org/fr/classement-mondial-de-la-liberte-de-la-presse-2021-le-journalisme-est-un-vaccin précise que « les agressions contre les journalistes et les interpellations abusives se sont notamment multipliées » en #Pologne (64e, -2), en #Grèce (70e, -5) , en #Serbie (93e) et en #Bulgarie (112e, -1) mais aussi en #Allemagne, en France (34e) et en #Italie (41e).

    • Classement mondial de la liberté de la presse 2021 : le journalisme est un vaccin contre la désinformation, bloqué dans plus de 130 pays
      https://rsf.org/fr/classement-mondial-de-la-liberte-de-la-presse-2021-le-journalisme-est-un-vaccin

      L’édition 2021 du Classement mondial de la liberté de la presse établi par Reporters sans frontières (RSF) démontre que le principal vaccin contre le virus de la désinformation, à savoir le journalisme, est totalement ou partiellement bloqué dans 73 % des pays évalués par RSF.

       ?

      Le Classement mondial de la liberté de la presse, qui évalue tous les ans la situation de la liberté de la presse dans 180 pays et territoires, montre que l’exercice du journalisme, principal vaccin contre le virus de la désinformation, est gravement entravé dans 73 des 180 Etats du Classement établi par RSF et restreint dans 59 autres, soit au total 73 % des pays évalués. Ces chiffres correspondent au nombre de pays classés rouge ou noir sur la carte mondiale de la liberté de la presse, c’est-à-dire ceux dans lesquels le journalisme est dans une “situation difficile”, voire “très grave” et à ceux classés dans la zone orange, où l’exercice de la profession est considérée comme “problématique”.

      Le blocage du journalisme est révélé par les données du Classement qui mesurent les restrictions d’accès et les entraves à la couverture de l’actualité. RSF a enregistré une dégradation flagrante de l’indicateur sur la question. Les journalistes sont confrontés à une “fermeture des accès” au terrain comme aux sources d’information, du fait ou au prétexte de la crise sanitaire. Seront-ils d’ailleurs rouverts après la fin de la pandémie ? L’étude montre une difficulté croissante pour les journalistes d’enquêter et de faire des révélations sur des sujets sensibles, en particulier en Asie et au Moyen-Orient, ainsi qu’en Europe.

      Le baromètre Edelman Trust 2021 révèle une défiance inquiétante du public envers les journalistes : 59 % des personnes interrogées dans 28 pays considèrent que les journalistes tentent délibérément d’induire le public en erreur en diffusant des informations dont il savent qu’elles sont fausses. Néanmoins, la rigueur et le pluralisme journalistiques permettent de contrer la désinformation et les “infodémies”, c’est-à-dire les manipulations et les rumeurs.

      Par exemple, face à la Covid-19, les présidents Bolsonaro au Brésil (111e, -4) et Maduro au Venezuela (148e, -1) ont fait la promotion de médicaments dont l’efficacité n’a jamais été prouvée par le monde médical : heureusement, des enquêtes comme celles de l’Agência Pública brésilienne ou des articles fouillés publiés par les derniers journaux indépendants vénézuéliens ont établi la vérité des faits. En Iran (174e, -1), les autorités ont renforcé leur contrôle sur l’information et multiplié les condamnations de journalistes pour mieux minimiser le nombre de décès liés à la Covid-19. En Egypte (166e), le pouvoir du président al-Sissi interdit tout simplement la publication de chiffres sur la pandémie autres que ceux du ministère de la Santé. Au Zimbabwe (130e, -4), le journaliste d’investigation Hopewell Chin’ono a été jeté en prison peu de temps après avoir révélé un scandale de détournement d’argent public dans l’acquisition de matériel destiné à lutter contre l’épidémie.

      Les principales évolutions au Classement mondial
      => https://rsf.org/fr/classement-mondial-de-la-liberte-de-la-presse-2021-le-journalisme-est-un-vaccin

  • Covid-19 dans le monde : l’Allemagne place les Pays-Bas en zone à haut risque
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/04/04/covid-19-dans-le-monde-le-pape-espere-une-renaissance-post-pandemique_607551

    L’institut Robert-Koch avait déjà procédé de même pour trois autres pays frontaliers dont la France. Les voyageurs devront présenter un test négatif et s’isoler entre cinq et dix jours.Des millions de personnes dans le monde se résignent à passer le dimanche de Pâques, le jour le plus important du calendrier liturgique chrétien, sous le signe des contraintes sanitaires pour la deuxième fois depuis le début de la pandémie de Covid-19. La pandémie a fait plus de 2 847 000 morts dans le monde depuis fin décembre 2019, selon un bilan établi par l’Agence France-Presse à partir de sources officielles, dimanche matin. Ces chiffres sont globalement sous-évalués. Ils se fondent sur les bilans quotidiens des autorités nationales de santé, sans inclure les réévaluations reposant sur des bases statistiques.
    L’Allemagne va placer les Pays-Bas en zone à haut risque en raison du nombre élevé de contaminations au SARS-CoV-2, a annoncé dimanche l’Institut Robert-Koch, qui a déjà procédé de même pour trois autres pays frontaliers dont la France. A partir de mardi à minuit, tout voyageur en provenance des Pays-Bas devra présenter un test de dépistage du virus négatif pour pouvoir entrer sur le territoire allemand, selon l’institut de veille sanitaire. Il devra en outre observer une période de quarantaine de dix jours avec la possibilité de l’interrompre au bout de cinq jours sur présentation d’un test négatif.Pour les personnes qui effectuent la navette entre les deux pays voisins pour des raisons professionnelles, des exceptions sont toutefois prévues. L’Allemagne, où l’inquiétude ne cesse de grandir face à la troisième vague épidémique, avait déjà décidé de classer en zone à haut risque la France, la République tchèque et la Pologne.
    Les Pays-Bas sont limitrophes de deux Etats régionaux allemands importants, la Basse-Saxe et surtout la Rhénanie du Nord-Westphalie, le Land le plus peuplé avec 18 millions d’habitants. Les restrictions mises en place pour lutter contre la pandémie, qui s’aggrave dans le royaume néerlandais, ont récemment été prolongées jusqu’au 20 avril.

    #Covid-19#migrant#migration#allemagne#paysbas#france#pologne#republiquetcheque#tauxincidence#sante#test#frontiere#circulation#zonearisque

  • #Frontex guards in Greece could be armed by summer

    The EU’s border agency Frontex is pressing to have its guards armed by the summer.

    The weapon-carrying border guards would be among the first deployment of armed EU officials to other member states.

    The Warsaw-based agency, which also bills itself as a law-enforcement force, has been at pains of getting the legal basis sorted for its new recruits to carry guns.

    It managed to reach an agreement with Poland to carry weapons on site - but has been at loggerheads to do the same elsewhere.

    But Frontex executive director Fabrice Leggeri on Tuesday (16 March) told MEPs that it had since reached a “bridging agreement” with Athens so that its guards can also carry guns on missions in Greece.

    “We are a fully-fledged EU agency, no doubt about that, but we are also more a fully-fledged European law enforcement force,” he added.

    Leggeri said background checks for criminal records of the future armed guards are currently being carried out.

    The recruits belong to a so-called ’category one’ staffing of EU officials, which are part of a future 10,000 standing corps under Frontex control.

    “We are in the process of vetting the category one staff so that we can deploy them with use of force,” he said.

    Leggeri said the plan is to get similar “bridging agreements” by the summer in place with other member states which currently host its missions.

    Aside from Greece, Frontex has operations in the Canary Islands, Cyprus, Italy and Spain. They also operate on the land border in Bulgaria, as well as in Albania and Montenegro.

    Frontex currently has some 500 mostly-trained category one staff. Others are currently in training in Italy and Spain.

    The agency is seeking to have at least 700 category one staff by the end of the year. Some 200 will be picked this month from a reserve list created at the end of 2019.

    Its biggest operation remains in Greece, where up to 800 Frontex officers are deployed at any one time.

    The move comes amid border tensions between Greece and Turkey.

    Earlier this month, reports emerged of Turkish soldiers firing shots into the air at the Greek land border at the Evros river.

    Ana Cristina Jorge, who heads Frontex’s operational response division, said one of its patrols had witnessed the shootings.

    “When it comes to the aggression of Frontex by Turkey, we have had them for a long time,” she said earlier this week.

    The issue of weapons was also the source of another spat between the European Commission and the agency. The two sides are indirectly blaming one another for the delays on clarifying the legal basis of arming the guards.

    Meanwhile, the agency remains under scrutiny from MEPs looking into its alleged role of violating the fundamental rights of would-be asylum seekers.

    Frontex was supposed to have hired some 40 fundamental right monitors four months ago. Currently it has none. But Leggeri said at least 15 should be hired by the end of the month or at the start of April.

    The commission has faulted Leggeri for the delays, also noting that the agency still needs to hire three deputy executive directors and a permanent fundamental rights officer.

    “It would have been better if all senior management staff that should have been in place would have been in place,” said EU home affairs commissioner, Ylva Johansson.

    https://euobserver.com/migration/151253
    #asile #migrations #réfugiés #frontières #militarisation_des_frontières #Grèce #gardes-frontière #armes #Pologne

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  • « Guerres culturelles » : les #sciences_sociales sont prises pour cibles du #Brésil à la #Pologne

    En Amérique du Sud ou en Europe, les universitaires qui travaillent dans des champs attaqués par les conservateurs, comme les #études_de_genre, se retrouvent en première ligne. Parmi eux, la Brésilienne #Marcia_Tiburi, exilée en France, qui juge, malgré tout, nécessaire « de construire une #culture_du_dialogue avec les différences ».

    Comment parler à un fasciste ? C’est le titre, surprenant à première vue, qu’a donné l’universitaire brésilienne Marcia Tiburi à l’un de ses nombreux ouvrages. Un titre bien optimiste puisque de #dialogue, il n’en a pas été question : à partir de la publication de ce livre en 2015, elle a été la cible d’une campagne de #dénigrement et de #violences menée par l’#extrême_droite.

    Cette artiste, universitaire, féministe, engagée en politique avec le Parti des travailleurs (PT) – et qui avait dénoncé le coup d’État contre Dilma Roussef en 2016 – a même dû quitter son pays en 2018, juste avant l’arrivée au pouvoir du funeste Jair #Bolsonaro.

    C’est qu’elle s’était lancée, quelques semaines avant, dans la campagne pour le poste de gouverneure de Rio de Janeiro, « avec l’espoir que tout allait changer ». « J’ai conduit un véhicule blindé pendant la campagne, mais quand le PT a perdu, il n’y avait plus moyen de continuer dans le pays, car il n’y avait plus d’espoir. »

    Elle a été harcelée à l’université, a subi des #accusations calomnieuses. « En 2018, j’ai été victime d’une #embuscade_médiatique dans une station de radio où je donnais une interview. Un groupe fasciste appelé #MBL [#Mouvement_Brésil_libre], financé par des hommes d’affaires nationaux et internationaux, a envahi l’espace où je donnais une interview avec des téléphones connectés pour filmer ma réaction. Je suis partie, mais le lendemain, une campagne de #diffamation, avec de fausses nouvelles, des vidéos et affiches numériques a été lancée contre moi et se poursuit jusqu’à aujourd’hui », explique-t-elle.

    Elle vit désormais en France. Elle a été accueillie par l’université Paris VIII et a obtenu une bourse dans le cadre du programme #Pause (#Programme_national_d’accueil_en_urgence_des_scientifiques_en_exil), après un passage par les États-Unis dans une institution protégeant les écrivains persécutés.

    Le Brésil peut être vu comme un laboratoire de malheur, la vitrine des dégâts que la #politique_de_haine mise en œuvre aujourd’hui par l’extrême droite et relayée par la puissance des réseaux sociaux et des médias de masse peut causer à l’un des piliers de la démocratie, la #liberté_académique (lire ici son analyse publiée par l’Iris).

    De l’expérience de Marcia Tiburi, on retient aussi que dans ces « #guerres_culturelles », les universitaires se retrouvent en première ligne. En particulier ceux qui, comme elle, travaillent dans les sciences sociales et dans des champs pris pour cibles par les conservateurs, en particulier les études de genre.

    « Il s’agit d’une #offensive_néolibérale, juge-t-elle. Le cas du Brésil montre clairement que le #fascisme a été déployé comme une #technologie_politique au service du #néolibéralisme. Bolsonaro n’est qu’un épouvantail dans la #plantation_coloniale (malheureusement, mon pays a encore toutes les caractéristiques d’une #colonie), son but et son rôle sont de maintenir les gens hypnotisés et effrayés. »

    À des milliers de kilomètres du Brésil (où le gouvernement coupe dans les fonds destinés à la philosophie pour les réorienter vers les sciences dures jugées plus « utiles »), le continent européen n’est pas épargné. En #Pologne, en #Hongrie ou en #Italie, des chercheuses et des chercheurs sont victimes de cette offensive contre la liberté académique de la part de pouvoirs qui cherchent à imposer leur vision des sciences.

    À #Vérone, petite ville italienne célèbre pour la pièce de Shakespeare Roméo et Juliette, #Massimo_Prearo, qui travaille sur la #sociologie politique du genre et de la #sexualité, s’est retrouvé dans une tempête médiatique et politique pour avoir voulu organiser en 2018 une journée d’études intitulée « Demandeurs d’asile, orientation sexuelle et identité de genre ».

    La Ligue du Nord de Matteo Salvini venait d’accéder au pouvoir dans un gouvernement de coalition avec le Mouvement Cinq Étoiles. « Il y a eu une réaction très forte de la droite et de l’extrême droite qui s’opposaient à ce que ce sujet soit abordé à l’université, nous accusant d’utiliser des arguments idéologiques et non universitaires, et de vouloir imposer la dictature des études de genre et des questions #LGBT », explique Massimo Prearo.

    Plus inquiétant encore, à l’époque, le président de l’université avait cédé à cette pression en décidant de suspendre le colloque, au motif qu’il existait des risques pour les participants. Finalement, la mobilisation, qui s’est traduite par des manifestations et une pétition internationale, a payé : le président est revenu sur sa décision.

    Depuis 2013, les études de genre sont en Italie dans le viseur du camp conservateur. Si cette année-là est un tournant, c’est que trois projets de loi présentés par le gouvernement de centre-gauche sont alors débattus au Parlement : un légalisant le mariage entre personnes de même sexe, un contre l’homophobie et un dernier ouvrant la voie au financement des études de genre à l’école.

    Tous trois déclenchent d’intenses débats dans la société italienne, qui mettent au premier plan les chercheurs dont ces sujets sont la spécialité.

    « En raison de la traduction politique du travail que nous effectuions depuis des années, nous avons été accusés par ceux qui s’opposaient à ces projets de loi de les avoir promus. Nous avons également été accusés de profiter de l’argent public pour promouvoir des lois qui divisent la société », témoigne Massimo Prearo.

    Bref, les concepts circulent, mais lorsqu’ils quittent l’espace académique pour la sphère publique, les chercheurs sont pris à partie et finissent par trinquer. On leur reproche de manquer d’#objectivité ou de verser dans l’#idéologie – l’idéologie étant le discours de l’autre lorsqu’il s’agit de le disqualifier. Avant les études de genre, ce sont les #études_féministes qui avaient dû subir ce type d’attaques dans les années 1990, explique Massimo Prearo.

    « Pas d’autre moyen que de construire une culture du dialogue avec les différences »

    Plus au nord, en Pologne, les études de genre ou les droits des LGBT+ sont également ciblés par le gouvernement du parti Droit et justice (PiS), qui cherche non seulement à imposer sa vision de l’histoire mais aussi, plus largement, à dicter ses vues sur les sciences sociales, au nom d’un #intégrisme_catholique. Comme l’explique un universitaire polonais qui a requis l’anonymat de peur des représailles, la chose s’est faite en deux temps : le pouvoir polonais a commencé par fusionner le ministère de l’éducation et celui des sciences et de l’enseignement supérieur.

    Puis, sous l’égide de ce super-ministère, un nouveau système d’évaluation scientifique des universitaires a été mis en place, reposant sur un système à points. Dans la liste des publications auxquelles seraient attribués des points, ont subitement surgi « plus de 70 nouvelles revues catholiques qui ne répondent pas aux normes des #revues universitaires » et auxquelles sont accordés « plus de points que de nombreuses autres revues réellement universitaires ». « Puisque nous vivons et travaillons dans le système “publier ou périr”, et que nous sommes évalués sur la base des points obtenus par les publications, la conclusion est évidente. Sur la base de cette évaluation, nous pouvons/ne pouvons pas être licenciés ou nous pouvons/ne pouvons pas être promus au rang de docteur ou de professeur. »

    Un « #agenda_catholique_fondamentaliste » est donc à l’ordre du jour, sous la houlette du super-ministre Przemysław #Czarnek. « Il a initié les changements dans les programmes et les livres scolaires, en effaçant les figures et les événements historiques qui ne correspondent pas à la “politique historique” promue par le ministère de la justice (c’est-à-dire en effaçant ou en diminuant le rôle de #Lech_Walesa dans le processus de rupture du système communiste en Pologne) », explique ce chercheur.

    Par ailleurs, les « #créationnistes », qui croient que leur Dieu est à l’origine de l’univers, ont porte ouverte et l’#éducation_sexuelle est interdite dans les écoles. Pour couronner le tout, à l’université, une nouvelle discipline scientifique a été introduite : la #science_de_la_famille !

    Pour ce chercheur polonais, l’objectif est tout simplement de « détruire ou de discréditer l’#élite_universitaire, les #intellectuels, qui représentent le groupe d’opposition le plus dangereux ».

    Alors que faire ? Dans son ouvrage de 2015 (Comment parler avec un fasciste ?, paru aux éditions Record en portugais, trois ans plus tard, en espagnol chez Akal, et qui paraîtra en anglais cet été), extrêmement stimulant pour ceux qui tentent de se débarrasser du spleen qui nous assaille, Marcia Tiburi plaide pour une #politique_de_l’amour face aux campagnes de #haine, relayées par les #réseaux_sociaux.

    Prenant pour cible le fascisme qui revient, recyclé par un néolibéralisme aux abois, elle espère l’avènement d’un dialogue véritable, à l’opposé des débats de confrontation qui ont essaimé sur les écrans de médias hystérisés ; un dialogue véritable qui nous permette d’écouter l’autre, car, dit-elle, « le dialogue est une aventure dans l’inconnu ».

    « De la possibilité de perforer le blindage fasciste au moyen du dialogue dépend notre survie comme citoyen », explique-t-elle. Il est aussi beaucoup question, dans son ouvrage, des réseaux sociaux et des médias tels que Fox News qui se nourrissent du ressentiment et en ont fait un fonds de commerce.

    Alors, quelle n’a pas été sa stupeur lorsque Marcia Tiburi a vu dans son pays d’accueil les attaques menées contre l’université par des ministres français, celui de l’éducation nationale Jean-Michel #Blanquer et celle des universités Frédérique #Vidal. « J’ai vraiment #peur, dit-elle, parce que la France, où je suis accueillie et envers laquelle j’éprouve la plus profonde gratitude et le plus grand respect pour le monde universitaire, ne peut pas être victime de ce genre de #mystification et de #populisme. J’ai perçu [les attaques de Blanquer et Vidal] comme un manque total de #respect, une #violence_symbolique et un #abus_épistémologique contre les professeurs et toute la communauté académique. »

    Pour #Eric_Fassin, professeur à l’université Paris VIII au département de science politique et à celui des études de genre, même s’il faut se garder de généraliser en rapprochant des situations qui présentent des niveaux de gravité différents, « il n’y a plus d’un coté les pays où l’on est protégé et d’un autre côté ceux où l’on serait exposé ». Pointant « l’#anti-intellectualisme des régimes néolibéraux », il estime qu’« on n’est plus sûr de qui est à l’abri et pour combien de temps ». « C’est relativement nouveau », souligne-t-il, en jugeant indispensable « une #internationalisation_de_la_solidarité ».

    Depuis 2015, Marcia Tiburi a écrit trois autres essais sur le Brésil, dont Ridicule politique (2017) et Le Délire du pouvoir (2019). On l’interroge sur l’ironie de son titre Comment parler avec un fasciste ?, au vu de sa situation actuelle. « L’échec nous appartient à tous, répond-elle. Mais je ne vois pas d’autre moyen que de construire une culture du dialogue avec les différences. C’est la façon de soutenir les droits fondamentaux. »

    Dans un laboratoire, on mène toutes sortes d’expériences. Certaines réussissent, d’autres non. Dans celui du Brésil, il faut espérer que Jair Bolsonaro échoue. Et que Marcia Tiburi réussisse.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/130321/guerres-culturelles-les-sciences-sociales-sont-prises-pour-cibles-du-bresi
    #université #solidarité

    ping @isskein @karine4

  • La Croix-Rouge alerte sur le manque d’accès aux vaccins pour les migrants

    La course aux vaccins est-elle une affaire de pays riche ? Sans doute, si on regarde le quantité de doses reçues par les pays occidentaux. Mais les vaccins, c’est aussi une affaire de statut. Des millions de migrants sont aujourd’hui exclus des programmes de vaccination contre le Covid-19. À Genève, la Croix-Rouge rappelle que le virus continuera de circuler si tout le monde n’est pas vacciné. Peu importe qu’il ait des papiers ou non.

    Dans son rapport, la Croix-Rouge parle du « #mur_invisible » qui se dresse sur la route des migrants qui veulent se protéger de la pandémie. En particulier ceux qui n’ont aucun statut. C’est le cas en #Grèce, où 50 000 personnes qui n’ont pas de numéro de sécurité sociale n’ont pas accès à la vaccination.

    C’est le cas aussi en #Pologne et en #République_Dominicaine où les vaccins sont réservés aux résidents. Mais même dans les pays qui ont ouvert leur programme, d’autres #barrières, matérielles, existent. C’est ce que dit Tiziana Bonzon, responsable Migration à la Fédération internationale de la Croix-Rouge.

    « Nous vivons dans un monde qui est de plus en plus digitalisé et numérique, où même la prise de rendez-vous auprès du médecin se fait maintenant par internet. Eh bien quand vous avez juste l’argent pour vous payer à manger, vous n’avez pas forcément l’accès à internet et pas les moyens de prendre ces prises de rendez-vous. Ça devient compliqué. »

    L’étude menée par la Croix-Rouge montre qu’aux États-Unis et en #Grande-Bretagne, les migrants qui pourraient prétendre à la vaccination ne le font pas de peur d’être enregistrés par les autorités et expulsés.

    Mais des contre-exemples existent. La #Colombie a, par exemple, décidé d’inclure près de 2 millions de réfugiés vénézuéliens dans son programme de vaccination. Et en #Jordanie, les autorités ont déjà livré les premières doses de vaccins dans les camps de réfugiés syriens alors que le pays n’a pas encore sécurisé suffisamment de doses pour couvrir toute sa population.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/30725/la-croix-rouge-alerte-sur-le-manque-d-acces-aux-vaccins-pour-les-migra

    #vaccins #vaccinations #migrations #asile #inégalités #réfugiés #Etats-Unis #USA #covid-19 #coronavirus


    • C’est pas dans notre saine #démocratie que l’on verrait des choses pareilles  ! 🤔

      2020 fut une année de chaos juridique et informatif, une année de décisions contradictoires et controversées. De ce fait, à différents moments de la pandémie, les citoyens se sont sentis abandonnés. La première confusion est née de la position équivoque des dirigeants sur le port du masque. Alors que, fin février 2020, le ministre de la Santé assurait que les masques ne protégeaient pas du virus, le 16 avril, l’obligation de se couvrir le visage dans les lieux publics a été promulguée. Entre-temps, la population avait reçu un signal clair que les moyens de protection personnelle pouvaient être négligés. Si, derrière cette stratégie erronée, l’opinion publique a vu la volonté du gouvernement de cacher sciemment la pénurie de masques et l’impréparation des services publics à la pandémie, elle a surtout contribué à alimenter le discours des militants antimasques et autres « coronasceptiques ».

      Bien que la pandémie n’ait toujours pas reculé et que le système de santé polonais continue à peiner sérieusement – la Pologne a enregistré au mois d’octobre une surmortalité d’environ 40 % par rapport à la moyenne des années 2016-2019 –, les national-populistes avancent sans relâche et sans frein sur la voie autoritaire. Pour détourner l’attention de la population de la réalité pandémique, des défaillances du système de santé et des scandales de corruption liés à l’achat de masques et de respirateurs non conformes aux critères de qualité, à des entreprises suspectes, le pouvoir en place relance des débats sociétaux controversés, telle l’interdiction totale de l’IVG, la sortie de la Pologne de la Convention d’Istanbul sur la prévention et la lutte contre la violence à l’égard des femmes et la violence domestique ou la criminalisation de l’éducation sexuelle.

  • L’avortement en Pologne

    Entretien avec Marta Lempart, militante polonaise pour le droit à l’avortement

    L’Europe a abdiqué ses devoirs : elle se range du côté du gouvernement polonais et contre les droits des citoyens

    Mercredi dernier, le gouvernement du parti ultraconservateur Droit et Justice (PIS) au gouvernement a officiellement publié la mesure approuvée par le Tribunal constitutionnel de ce pays en octobre dernier, qui interdit l’avortement pour cause de malformation fœtale. L’une des trois options légales pour avorter, ce qui signifie une interdiction de facto de l’interruption de grossesse.

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2021/02/08/lavortement-en-pologne

    #féminisme #ivg #europe #pologne

  • „Hallo, Diktator“ - Orbán, die EU und die Rechtsstaatlichkeit - Die...
    https://diasp.eu/p/12332975

    „Hallo, Diktator“ - Orbán, die EU und die Rechtsstaatlichkeit - Die ganze Doku | ARTE

    „Hallo, Diktator“ | Orbán, die EU und die Rechtsstaatlichkeit

    Es ist ein Ringen um Macht und Milliarden: Seit Sommer 2020 kämpft die Mehrheit der EU-Staaten dafür, die Vergabe von EU-Mitteln an Bedingungen zu knüpfen. Nur wer sich an rechtsstaatliche Spielregeln hält, soll zukünftig Gelder bekommen. „Hallo, Diktator“ - Orbán, die EU und die Rechtsstaatlichkeit - Die ganze Doku | ARTE

    • https://www.arte.tv/fr/videos/099755-000-A/la-hongrie-orban-et-l-etat-de-droit

      Chronique de la crise qui oppose la #Hongrie de l’ultra-conservateur Viktor Orbán à l’#Union_européenne sur la question de l’État de #droit. | 1h, 08-01 jusqu’à 23-03-2021

      Depuis l’été 2020, la bataille fait rage au Parlement européen : alors que le futur plan de relance post-Covid, fruit d’âpres négociations entre les États membres, prévoit de conditionner l’attribution des aides européennes au respect des règles démocratiques, la Hongrie de Viktor Orbán a opposé un veto ferme à ce projet. Soutenu par le gouvernement polonais, le dirigeant ultraconservateur a précipité une crise politique de plusieurs mois, mettant en exergue les tensions à l’œuvre dans une Union qui achoppe sur la question des valeurs fondamentales et de l’État de droit. Face à l’obstruction d’Orbán, l’Allemagne, à la tête du Conseil de l’UE jusqu’à la fin de l’année 2020, s’est résolue à négocier un compromis, permettant la levée du veto polono-hongrois. L’Union cède-t-elle aux autocrates ? Michael Wech se lance dans un road-movie à travers l’Europe pour décrypter cette crise inédite.

      (pour l’instant il n’y a qu’une version en allemand)

      #EU #UE #Pologne
      #fascisme et #racisme du salon,

      #democratie_illibérale

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Illib%C3%A9ralisme

    • #Illibéralisme

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Illib%C3%A9ralisme#Discours_de_Viktor_Orb%C3%A1n

      [...]

      L’universitaire Didier Mineur souligne le caractère « inédit » du fait qu’un homme politique « revendique explicitement » le concept de démocratie illibérale, « et s’en fasse même le théoricien »6. L’universitaire Oana Andreea Macovei résume ainsi l’orientation du discours de #Viktor_Orbán, qu’elle considère comme « la source privilégiée pour esquisser les contours de l’illibéralisme » : « En tant qu’objectif pour répondre à un besoin de compétitivité économique à l’échelle internationale, l’État illibéral présente un nouveau pivot identitaire, la Nation, dont la protection des intérêts justifierait une limitation, voire un détachement par exemple des libertés fondamentales ou de l’État de droit »12. Didier Mineur relève que Viktor Orbán présente la démocratie illibérale « comme une autre forme de démocratie, ou plus exactement comme la « vraie » démocratie : la démocratie libérale est taxée de n’être qu’une oligarchie aux mains de technocrates animés par une idéologie mondialiste et multiculturaliste, tandis que la « démocratie illibérale » serait soutenue par le peuple réel, celui des laissés-pour-compte de la mondialisation attachés à leurs traditions et à leurs cultures. Au contraire de la démocratie libérale, où l’expression de la volonté populaire est encadrée par les garde-fous de l’État de droit, et où elle peut le cas échéant être contredite par des juges constitutionnels qui ne sont pas élus, la démocratie illibérale prétend lui donner libre cours et œuvre à s’affranchir des entraves de l’État de droit »6.

      Viktor Orbán s’inspire du sociologue hongrois Gyula Tellér (hu) — « un homme qui, comme lui, est passé d’une pensée libérale à une pensée conservatrice au cours des années 1990, et qui deviendra, à partir de 1998, l’un de ses principaux conseillers » —, et en particulier de sa « critique du libéralisme en Europe centrale à partir d’une perspective communautariste », selon laquelle « dans cette région, le système politique ne doit pas reposer sur la notion de liberté, mais sur les valeurs morales de la communauté »13. On retrouve à l’identique des éléments du discours de Viktor Orbán dans un texte publié par Gyula Tellér quatre mois plus tôt et envoyé à l’ensemble des députés du Fidesz, le parti de Viktor Orbán13. La journaliste Amélie Poinssot souligne qu’en Hongrie, la notion de démocratie illibérale repose sur « une double opposition » : d’une part, le rejet, « très populaire dans la société hongroise », des « "libéraux", autrement dit la gauche qui était au pouvoir entre 1994 et 1998, puis entre 2002 et 2010, et est considérée par beaucoup comme corrompue et responsable des cures d’austérité imposées au pays » ; et d’autre part, le rejet « des valeurs promues par les sociétés occidentales » : « éclatement du modèle traditionnel de la famille, sécularisation, immigration, mondialisation... »14

      Selon l’universitaire Jean-Paul Jacqué, la théorie développée par Viktor Orbán est « proche de la doctrine de Poutine de la verticale du pouvoir » et « n’est pas sans rapport avec les thèses de Carl Schmitt sur la primauté du politique par rapport à l’État de droit et aux droits fondamentaux. La souveraineté s’exprime dans la nation qui est la valeur suprême ce qui explique l’instauration pour la presse en 2011 d’un délit d’atteinte à l’intérêt public. [...] Il ne s’agit pas (de) supprimer les libertés fondamentales, mais de les soumettre à l’intérêt de la Nation seule juge du bien commun »15.

      Dans un nouveau discours prononcé au début de son nouveau mandat, lors de l’université d’été de Băile Tușnad de juillet 2018, Viktor Orbán promeut cette fois le concept de « démocratie chrétienne à l’ancienne » et déclare que « l’ère de la démocratie libérale touche à sa fin », estimant qu’« elle ne parvient pas à protéger la dignité humaine, est incapable d’offrir la liberté, ne peut pas garantir la sécurité et ne peut plus maintenir la culture chrétienne »16,17,6. Selon l’universitaire Didier Mineur, ce discours « constitue sans doute l’exposé doctrinal le plus complet de sa conception de la « démocratie illibérale » » : Viktor Orbán y présente la « démocratie chrétienne » comme « un modèle de la vie bonne », dont les valeurs ne sont « pas laissées au choix de l’individu, mais érigées au rang de valeurs communes » : sa critique « porte davantage contre la philosophie libérale que contre les démocraties libérales existantes », et sa pensée politique « s’apparente ainsi à la pensée conservatrice ou romantique, pour laquelle le moi, qu’il soit individuel ou collectif, découvre ce qu’il est plutôt qu’il ne se construit »6. Ce discours présente également certaines des valeurs promues par les démocraties libérales, telles que l’égalité des droits entre les femmes et les hommes, comme parties intégrantes de la civilisation chrétienne, conduisant Didier Mineur à considérer que « l’illibéralisme d’Orban ne consiste pas tant à détruire ou dénier les libertés qu’à les considérer comme un élément de la culture et de l’identité traditionnelles, soit dans le langage d’Orbán, « chrétiennes » »6. Avec la défense de ce nouveau concept de démocratie chrétienne, Le Courrier d’Europe centrale s’interroge sur une possible « reculade par rapport à l’« illibéralisme » qu’il a porté depuis 2014 », et qui a « permis à ce dirigeant d’un pays de dix millions d’habitants d’acquérir une renommée mondiale »16.

      [...]

  • #Pologne : Nora 219Ⓐ, une ZAD pour protéger la forêt et ses habitant-e-x-s
    https://fr.squat.net/2021/01/10/pologne-nora-219%e2%92%b6-une-zad-pour-proteger-la-foret-et-ses-habitant-e

    Occupée depuis le 3 janvier 2021 par Nora 219Ⓐ, un collectif de militant-e-x-s, Nora est le mot polonais pour “tanière de loup” et 219a est le numéro de la parcelle de la forêt vierge polonaise sur le point de se faire raser. À diffuser autour de nous ! Dans la région des Carpates, en Pologne, une […]

    #arbres #Gmina_Lutowiska #Nora_219a #Occupation

  • The German Data Diver Who Exposed China’s Muslim Crackdown
    https://www.wsj.com/articles/the-german-data-diver-who-exposed-chinas-muslim-crackdown-11558431005

    On ne sait pas exactement ce qui se passe au Xinjiang mais on sait que les #USA mènent une campagne contre ce qu’ils appellent des violations de droits humains dans cette région de la Chine. Il est évident qu’en général les gouvernements et ONGs étatsuniens se prononcent uniquement à propos de violations des droits de l’homme quand cela sert leurs intérêts. Ce n’est pas surprenant vu qu’ils sont souvent impliqués dans ces abus.

    Le Wall Street Journal nous informe que la source principale des accusations contre la Chine en matière du Xinjiang est un fanatique religieux (reborn christian) allemand, originaire de la province profonde. Je ne sais rien sur la véracité des informations fournies par Adrian Zenz, mais le contexte de ses publications dont l’enthousiasme des services étatsuniens me laissent dubitatif.

    Il y a des choses graves qui se passent au Xinjiang, mais préfère ne pas me laisser guider dans mon interprétation du peu que je sais par un fanatique et la CIA.

    May 21, 2019, by Josh Chin - Scholar digging online revealed scope of detentions; ‘I feel very clearly led by God to do this’

    KORNTAL, Germany—Research by a born-again Christian anthropologist working alone from a cramped desk in this German suburb thrust China and the West into one of their biggest clashes over human rights in decades.

    Doggedly hunting down data in obscure corners of the Chinese internet, Adrian Zenz revealed a security buildup in China’s remote Xinjiang region and illuminated the mass detention and policing of Turkic Muslims that followed. His research showed how China spent billions of dollars building internment camps and high-tech surveillance networks in Xinjiang, and recruited police officers to run them.

    His most influential work began in February 2018, after a Chinese diplomat denied reports about the camps and advised journalists to take Beijing at its word.

    En plus de son fanatisme religieux c’est un fervent anticommuniste.
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Adrian_Zenz

    Zenz wird von der US-amerikanischen Stiftung Victims of Communism Memorial Foundation als „Senior Fellow“ geführt.

    Ces gens sont connus pour l’absence totale de scrupules, la brutalité matérielle de leurs activités et le caractère systématiquement mensonger de leur discours.

    Quels sont précisément les crimes de ces gens ? On les commaît pour avoir été à l’origine des guerres de Corée, de Vietnam, du putsch au Chili et de nombreuses interventions sur le continent africain. Je suis personnellement touché par leurs activités en Allemagne de l’Ouest où ils ont détruit la vie de dizaines de milliers de personnes qui dans leurs yeux cultivaient la sympathie pour le socialisme. Des centaines de milliers d’Allemands ont souffert des conséquences de leurs activités sans en avoir été la cible directe. Les instigateurs du Berufsverbot font partie des inquisiteurs anticommunistes qui financent les activités de Zenz.

    Leurs buts ne sont pas secretes alors que beaucoup de leurs activités se passent dans l’obscurité. Pour le constater il suffit de s’intéresser aux réseaux anticommunistes transatlantiques. Essayons de comprendre le réseau qui alimente les activités de Zenz.

    Victims of Communism Memorial Foundation (USA)
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Victims_of_Communism_Memorial_Foundation

    It is a member of the European Union’s Platform of European Memory and Conscience.

    Platform of European Memory and Conscience
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Platform_of_European_Memory_and_Conscience
    Cette structure réunit des personnages particulièrement odieux et les instifutions à travers lesquelles ils requisitionnent des fonds publiques.

    The Platform of European Memory and Conscience was founded as an initiative of the Polish EU presidency in 2011, after the project had been promoted by the Czech EU presidency already in 2009 and by the Hungarian EU presidency in 2011.
    ...
    is an educational project of the European Union bringing together government institutions and NGOs from EU countries active in research, documentation, awareness raising and education about the crimes of totalitarian regimes. Its membership includes 62 government agencies and NGOs from 20 EU member states, non-EU European countries, as well as from the United States, such as the Institute of National Remembrance, the Berlin-Hohenschönhausen Memorial, the Stasi Records Agency and the Victims of Communism Memorial Foundation. The platform has offices in Prague and Brussels (formerly). The President of the platform is Łukasz Kamiński, former President of the Polish Institute of National Remembrance.

    Berlin-Hohenschönhausen Memorial
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Berlin-Hohensch%C3%B6nhausen_Memorial
    Dans l’entrée de langue anglaise Hubertus Knabe figure toujours comme directeur du lieu . Depuis l’an 2000 il l’a dirigé jusqu’en septembre 2018 quand le conseil administratif de la fondation l’a licencié pour cause de harcèlement répété de ses employé/es.

    Hubertus Knabe – Wikipedia
    https://de.wikipedia.org/wiki/Hubertus_Knabe#Kontroverse_zur_Entlassung

    Nach einer Sondersitzung am 25. November 2018 berief der Stiftungsrat Knabe mit sofortiger Wirkung als Vorstand und Direktor der Gedenkstätte ab. Man habe Rechtsverstöße, Pflichtverletzungen und eine „Zerrüttung des Vertrauensverhältnisses“ festgestellt, die eine weitere Amtsausübung Knabes ausschlössen. Gegen die einstweilige Verfügung habe man Widerspruch eingelegt. Am 26. November erschien Knabe in der Gedenkstätte und bezog erneut sein Büro. Mittags entschied das Landgericht Berlin jedoch, die einstweilige Verfügung vorerst auszusetzen, so dass Knabe das Büro wieder verlassen musste.

    Conclusion : Il existe un réseau d’anticommunistes qui s’étend des États-Unis jusqu’aux frontières à l’est de l’Union Européenne dont le but est d’enrichir ses membres et de corrompre chaque personne assez influente pour être utile aux projets des cercles anticommunistes étatsuniens.

    C’est une histoire connue depuis l’immédiat après-guerre mais il est utile de s’en souvenir de temps en temps. Dans chacque génération ces cercles adoptent de nouvelles recrues pour faire le sale boulot. Adrian Zenz semble faire partie de ces heureux .

    #Chine #Allemagne #USA #Pologne #Hongrie #fanatisme #religion #propagande #anticommunisme #paywall

  • Polish academics protest ‘fundamentalist’ education minister

    Activists dressed as security guards climbed onto a balcony of a Polish Education Ministry building early Wednesday and hung a banner protesting the appointment of a new minister whom they consider to be a religious fundamentalist and a danger to the nation’s youth and universities.

    Many university academics in Poland are protesting the conservative government’s appointment of #Przemyslaw_Czarnek, who has said that LGBT people aren’t equal to “normal people,” women were created to produce children and who has voiced support for corporal punishment.

    The banner that two activists hung said “Boycott #Czarnek. Homophobe. Xenophobe. Fundamentalist.” Security guards removed it quickly, before the minister arrived at work, and a large contingent of police officers showed up to question the two activists.

    Wearing orange security vests and hardhats, they used a long ladder to climb up to a balcony and hang the banner.

    Rafal Suszek, an assistant professor of physics at Warsaw University who was one of the two, told a police officer who questioned him afterwards that he believed a man with Czarnek’s “backward views” shouldn’t be allowed to have such a position of authority.

    Wearing a mask, Suszek added that Czarnek represents a “virus of hate” more dangerous than the coronavirus.

    Suszek later told The Associated Press that he and his fellow activist were charged with the illegal hanging of banners and not adhering to social distancing rules.

    Suszek is one of 2,700 professors and other academics to sign a petition vowing to #boycott Czarnek, a member of the ruling conservative party, Law and Justice, who was sworn in this week by President Andrzej Duda.

    In his role, Czarnek will oversee the nation’s system of schools and universities. He was named in a recent government reshuffle, but was sworn in two weeks after the other ministers as he recovered from COVID-19.

    Duda said that appointing Czarnek would help restore some ideological balance to academia, which he said has been dominated by left-wing views.

    “In recent years, people trying to achieve higher ranks in scientific development ... have been brutally attacked for not having a worldview that is politically correct, that is, liberal-leftist,” Duda said. He said university life would be made richer by having people with opposing views confront each other.

    The protesting academics, however, view Czarnek, who has also taken part in demonstrations organized by a far-right organization, the National Radical Camp, as an extremist and religious fundamentalist who risks damaging Poland’s educational system. They fear his hostility towards gays and lesbians means he won’t act to protect young sexual minorities, who sometimes suffer from depression and bullying, and that he could seek to suppress academic research into areas like gender studies.

    “Before our eyes a symbolic rape of Polish education and science is taking place,” says the petition.

    The academics’ petition calls on members of the academic community to boycott events that Czarnek takes part in and to refuse to participate in the work of any collegial bodies that could subvert humanistic values. However, they say they won’t take any steps that would hurt their institutions, such as not teaching their students.

    During this year’s summer presidential campaign that culminated in Duda’s reelection to a second term, Czarnek, who worked on that campaign, drew controversy for language against LGBT people.

    He said at the time: “Let’s protect ourselves against LGBT ideology and stop listening to idiocy about some human rights or some equality. These people are not equal to normal people.”

    After those words, broadcast on TV, caused a huge uproar, he insisted they were taken out of context and he later clarified his view, saying: “LGBT people are people, and LGBT ideology is ideology.”

    A professor of law at the Catholic University of Lublin, Czarnek had also called LGBT “deviants” and faced disciplinary proceedings at his university for his statements.

    The 43-year-old father of two has argued that parents — under certain conditions — have the constitutional right to inflict corporal punishment on their children.

    He has suggested that women’s key role is to have children and that they should start early.

    In a lecture last year during a scholarly conference, he argued that modern society’s message that women can first pursue a career “and then maybe a child … leads to dire consequences.”

    “The first child is not born at the age of 20-25, but at the age of 30. When the first child is born at the age of 30, how many of these children can be born? These are the consequences of explaining to a woman that she does not have to do what God has called her to do,” said Czarnek, whose own wife has a Ph.D. in biology and also teaches at his university.

    https://apnews.com/article/andrzej-duda-poland-07763f38fc44826de54104eb1b4169c3

    #éducation #ESR #Pologne #anti-LGBT #homophobie #université #xénophobie #liberté_académique #libertés_académiques #résistance #National_Radical_Camp #fondamentalisme_religieux #femmes #maternité #patriarcat #conservatisme