• #Pre-frontier_information_picture

    Je découvre dans un billet de blog que j’ai lu ce matin, cette info :

    From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “Pre-frontier information picture.”

    https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
    https://seenthis.net/messages/997841#message1014789

    ... et du coup, ce terme de « pre-frontier information picture ».

    ça me rappelle, évidemment, la carte de @reka de la #triple_frontière européenne (où une « pré-frontière » est dessinée au milieu du désert du Sahara) :


    https://visionscarto.net/mourir-aux-portes-de-l-europe

    Je découvre ainsi, en faisant un peu de recherches, qu’il y a un #projet_de_recherche financé par #Horizon_2020 dédié à cette #pré-frontière, #NESTOR :

    aN Enhanced pre-frontier intelligence picture to Safeguard The EurOpean boRders

    Un système intégré de #surveillance des #frontières de l’UE

    Les frontières de l’Europe sont soumises à une pression considérable en raison des flux migratoires, des conflits armés dans les territoires avoisinants, du trafic de biens et de personnes, et de la criminalité transnationale. Toutefois, certains obstacles géographiques, tels que les forêts denses, les hautes montagnes, les terrains accidentés ou les zones maritimes et fluviales entravent la surveillance des itinéraires empruntés par les réseaux criminels. Le projet NESTOR, financé par l’UE, fera la démonstration d’un #système_global_de_surveillance des frontières de nouvelle génération, entièrement fonctionnel et proposant des #informations sur la situation #en_amont des frontières et au-delà des frontières maritimes et terrestres. Ce système repose sur le concept de la gestion européenne intégrée des frontières et recourt à des #technologies d’analyse d’#images_optiques et du spectre de fréquences radio alimentées par un réseau de #capteurs_interopérables.

    Objectif

    For the past few years, Europe has experienced some major changes at its surrounding territories and in adjacent countries which provoked serious issues at different levels. The European Community faces a number of challenges both at a political and at a tactical level. Irregular migration flows exerting significant pressure to the relevant authorities and agencies that operate at border territories. Armed conflicts, climate pressure and unpredictable factors occurring at the EU external borders, have increased the number of the reported transnational crimes. Smuggling activity is a major concern for Eastern EU Borders particularly, as monitoring the routes used by smugglers is being hindered by mountainous, densely forested areas and rough lands aside with sea or river areas. Due to the severity and the abrupt emergence of events, the relevant authorities operate for a long-time interval, under harsh conditions, 24 hours a day. NESTOR aims to demonstrate a fully functional next generation holistic border surveillance system providing pre-frontier situational awareness beyond maritime and land border areas following the concept of the European Integrated Border Management. NESTOR long-range and wide area surveillance capabilities for detection, recognition classification and tracking of moving targets (e.g. persons, vessels, vehicles, drones etc.) is based on optical, thermal imaging and Radio Frequency (RF) spectrum analysis technologies fed by an interoperable sensors network including stationary installations and mobile manned or unmanned vehicles (aerial, ground, water, underwater) capable of functioning both as standalone, tethered and in swarms. NESTOR BC3i system will fuse in real-time border surveillance data combined with web and social media information, creating and sharing a pre-frontier intelligent picture to local, regional and national command centers in AR environment being interoperable with CISE and EUROSUR.

    https://cordis.europa.eu/project/id/101021851/fr

    Projet de 6 mio. d’euro et coordonné par la #police_grecque (#Grèce) :

    Les participants (#complexe_militaro-industriel) au projet :


    #business

    #données #technologie #interopérabilité #frontières #migrations #asile #réfugiés #surveillance_des_frontières #_Integrated_Border_Management #fréquence_radio #NESTOR_BC3i_system #CISE #EUROSUR

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

    #Frontex #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #justice #Lisa-Marie_Komp #OLAF #Sénégal #externalisation #Africa-Frontex_intelligence_community (#Afic) #Rac #Nigeria #Gambie #Niger #Ghana #Côte_d'Ivoire #Togo #Mauritanie #status_agreement #échange_de_données #working_arrangement #Serbie #Monténégro #Albanie #Moldavie #Macédoine_du_Nord #CJUE #cours_de_justice #renvois #expulsions

    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • #SARS-CoV-2 #transmission without symptoms | Science
    https://science.sciencemag.org/content/371/6535/1206.full

    Viral replication and symptom onset
    The titer of infectious severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) and the amount of viral RNA are generally lower in asymptomatic (A) than presymptomatic (Pre) #COVID-19. There is likely to be a threshold at which a person becomes contagious, but this is not known. In presymptomatic patients, symptoms usually begin when viral load peaks, so there is a period of infectiousness when a person has no symptoms.

    #asymptomatiques #pré-symptomatiques #contagiosité

  • Occurrence and #transmission potential of asymptomatic and presymptomatic #SARS-CoV-2 infections: A living systematic review and meta-analysis
    https://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.1003346

    Background

    There is disagreement about the level of asymptomatic severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) infection. We conducted a living systematic review and meta-analysis to address three questions: (1) Amongst people who become infected with SARS-CoV-2, what proportion does not experience symptoms at all during their infection? (2) Amongst people with SARS-CoV-2 infection who are asymptomatic when diagnosed, what proportion will develop symptoms later? (3) What proportion of SARS-CoV-2 transmission is accounted for by people who are either asymptomatic throughout infection or presymptomatic?

    Methods and findings
    [..,] We included a total of 94 studies. The overall estimate of the proportion of people who become infected with SARS-CoV-2 and remain asymptomatic throughout infection was 20 % (95% confidence interval [CI] 17–25) with a prediction interval of 3%–67% in 79 studies that addressed this review question. There was some evidence that biases in the selection of participants influence the estimate. In seven studies of defined populations screened for SARS-CoV-2 and then followed, 31% (95% CI 26%–37%, prediction interval 24%–38%) remained asymptomatic. The proportion of people that is presymptomatic could not be summarised, owing to heterogeneity. The secondary attack rate was lower in contacts of people with asymptomatic infection than those with symptomatic infection (relative risk 0.35, 95% CI 0.10–1.27). Modelling studies fit to data found a higher proportion of all SARS-CoV-2 infections resulting from transmission from presymptomatic individuals than from asymptomatic individuals . Limitations of the review include that most included studies were not designed to estimate the proportion of asymptomatic SARS-CoV-2 infections and were at risk of selection biases; we did not consider the possible impact of false negative RT-PCR results, which would underestimate the proportion of asymptomatic infections; and the database does not include all sources.

    Conclusions

    The findings of this living systematic review suggest that most people who become infected with SARS-CoV-2 will not remain asymptomatic throughout the course of the infection. The contribution of presymptomatic and asymptomatic infections to overall SARS-CoV-2 transmission means that combination prevention measures, with enhanced hand hygiene, masks, testing tracing, and isolation strategies and social distancing, will continue to be needed.

    #asymptomatiques #pré-symptomatiques

  • Part des formes asymptomatiques et transmission du #SARS-CoV-2 en phase pré-symptomatique. Synthèse rapide #COVID-19.
    https://www.santepubliquefrance.fr/import/part-des-formes-asymptomatiques-et-transmission-du-sars-cov-2-en

    Nous [...] établissons une distinction entre les personnes infectées ne développant jamais de symptômes après un suivi suffisant pour exclure leur survenue (forme #asymptomatique au sens strict), et les personnes sans symptômes au moment de leur confirmation biologique (incluant les formes #asymptomatiques et #pré-symptomatiques). Nous nous intéressons à la proportion de formes asymptomatiques et au potentiel de #transmission en phase #pré-symptomatique ou d’#incubation. Il en ressort que près d’un quart des infections par le SARS-CoV-2 restent asymptomatiques et que dans un contexte de recherche active des contacts, environ 50% des transmissions surviennent durant la phase pré-symptomatique du patient source. Nous n’avons pas trouvé d’élément pour caractériser le potentiel de transmission des formes complètement silencieuses de l’infection .

  • Border pre-screening centres part of new EU migration pact

    The European Commission’s long-awaited and long-delayed pact on migration will include new asylum centres along the outer rim of the European Union, EUobserver has been told.

    The idea is part of a German proposal, floated last year, that seeks to rapidly pre-screen asylum seekers before they enter European Union territory.

    Michael Spindelegger, director-general of the Vienna-based International Centre for Migration Policy Development (ICMPD) told EUobserver on Thursday (9 July) that the European Commission had in fact decided to include it into their upcoming migration pact.

    “I got some information that this will be part of these proposals from the European Commission. So this is what I can tell you. I think this really is something that could bring some movement in the whole debate,” he said.

    Spindelegger was Austria’s minister of foreign affairs and finance minister before taking over the ICMPD in 2016, where he has been outspoken in favour of such centres as a means to unblock disagreements among member states on the overhaul of the future EU-wide asylum system.

    The German non-paper published in November 2019 proposed a mandatory initial assessment of asylum applications at the external border.

    The idea is to prevent irregular and economic migrants from adding to the administrative bottlenecks of bona-fide asylum seekers and refugees.

    “Manifestly unfounded or inadmissible applications shall be denied immediately at the external border, and the applicant must not be allowed to enter the EU,” stated the paper.

    EUobserver understands the new pact may also include a three-tiered approach.

    Abusive claims would be immediately dismissed and returned, those clearly in the need for protection would be relocated to an EU state, while the remainder would end up in some sort of facility.

    Spindelegger concedes the idea has its detractors - noting it will be also be tricky to find the legal framework to support it.

    “To give people, within some days, the right expectation is a good thing - so this is more or less a surprise that the European Commission took this initiative, because there are also some people who are totally against this,” he said.
    EU ’hotspots’ in Greece

    Among those is Oxfam International, an NGO that says people may end up in similar circumstances currently found in the so-called hotspots on the Greek islands.

    “We are very concerned that the Greek law and the hotspots on the islands are going to be the blueprint for the new asylum and migration pact and we have seen them failed in every criteria,” said Oxfam International’s Raphael Shilhav, an expert on migration.

    The hotspots were initially touted as a solution by the European Commission to facilitate and expedite asylum claims of people seeking international protection, who had disembarked from Turkey to the Greek islands.

    The zones on the islands quickly turned into overcrowded camps where people, including women and children, are forced to live amid filth and violence.

    Shilvav said some people at the hotspots who deserved asylum ended up falling through the cracks, noting new Greek laws effectively bar many people who do not have legal support from appealing an asylum rejection.

    EUobserver has previously spoken to one asylum seeker from the Congo who had spent almost three years living in a tent with others at the hotspot in Moria on Lesbos island.

    The new pact is a cornerstone policy of the Von der Leyen Commission and follows years of bickering among member states who failed to agree on a previous proposal to overhaul the existing EU-wide asylum rules.

    “Over the past few years, many member states simply refused to find a solution,” Germany’s interior minister Horst Seehofer said ahead of the current German EU presidency’s first debate on home affairs issues.

    The commission has so far refused to release any specific details of the plan - which has been delayed until September, following the eruption of the pandemic and on-going debates over the EU’s next long-term budget.

    “This proposal will be there to protect and defend the right to asylum and that includes the possibility to apply for asylum, that is a right for everybody to do so,” EU home affairs commissioner Ylva Johansson told MEPs earlier this week.

    For its part, the UN Refugee Agency (UNHCR) says the new pact needs to be common and workable.

    “This means establishing fair and fast asylum procedures to quickly determine who needs international protection and who does not,” a UNHCR spokeswoman said, in an emailed statement.

    She also noted that some 85 percent of the world’s refugees are currently hosted in neighbouring and developing countries and that more funds are needed for humanitarian and development support.

    https://euobserver.com/migration/148902
    #migration_pact #pacte_migratoire #Europe #identification #asile #migrations #réfugiés #frontières #pré-identification #centres_d'identification #hotspots #Grèce #contrôles_migratoires #contrôles_frontaliers #externalisation #EU #UE #frontières_extérieures #relocalisation #renvois #expulsions

    ping @isskein @karine4

  • The implications of silent #transmission for the control of #COVID-19 outbreaks | PNAS
    https://www.pnas.org/content/early/2020/07/02/2008373117

    We evaluate the contribution of presymptomatic and asymptomatic transmission based on recent individual-level data regarding infectiousness prior to symptom onset and the asymptomatic proportion among all infections. We found that the majority of incidences may be attributable to silent transmission from a combination of the presymptomatic stage and asymptomatic infections. Consequently, even if all symptomatic cases are isolated, a vast outbreak may nonetheless unfold. We further quantified the effect of isolating silent infections in addition to symptomatic cases, finding that over one-third of silent infections must be isolated to suppress a future outbreak below 1% of the population. Our results indicate that symptom-based isolation must be supplemented by rapid #contact tracing and testing that identifies asymptomatic and presymptomatic cases, in order to safely lift current restrictions and minimize the risk of resurgence.

    #sars_cov2 #asymptomatique #pré-symptomatique #tests #dépistages

  • Early Release - Clusters of #Coronavirus Disease in Communities, Japan, January–April 2020 - Volume 26, Number 9—September 2020 - Emerging Infectious Diseases journal - CDC
    https://wwwnc.cdc.gov/eid/article/26/9/20-2272_article

    The most frequently observed age groups among probable primary cases were 20–29 years (n = 6; u%) and 30–39 years (n = 5, 23%) (Figure 2, panel A). For 16 clusters, we determined the date of transmission from probable primary case-patients to other case-patients in a cluster and found 41% (9/22) of probable primary case-patients were presymptomatic or asymptomatic at the time of #transmission ; only 1 had a cough at the time of transmission (Figure 2, panel B).

    #asymptomatique #pré-symptomatique

  • Proportion de personnes #SARS-Cov2 positives #asymptomatiques (fil complémentaire : « #contagiosité et évolution des cas asymptomatiques et #pré-symptomatiques. »
    https://seenthis.net/messages/837283)

    (Il faudrait en rapprocher les formes légères de la maladie, où les personnes concernées vaquent normalement à leurs occupations généralement.)

    60% des marins positifs (1 sur 8) de l’USS Theodore Roosevelt sont asymptomatiques Coronavirus…
    https://seenthis.net/messages/844448
    ( Finalement 19.8% sont restés asymptomatiques .)

    #COVID-19 - virtual press conference - 01 April 2020
    https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/transcripts/who-audio-emergencies-coronavirus-press-conference-full-01apr2020-final.pdf?sfv

    ... from data that we’ve seen from China, in particular, we know that individuals who are identified, who are listed as asymptomatic, about 75% of those actually go on to develop symptoms. So when we look at our language and we look at what proportion of the reported cases are asymptomatic, it’s important to classify those as no symptoms and PCR positive, and then do not go on to develop symptoms.

  • #contagiosité et évolution des cas #asymptomatiques et #pré-symptomatiques.

    (Fil complémentaire : Proportion de personnes SARS-Cov2 positives asymptomatiques. https://seenthis.net/messages/844464)

    #COVID-19 #Transmission within a family cluster by presymptomatic infectors in China
    https://academic.oup.com/cid/advance-article/doi/10.1093/cid/ciaa316/5810900

    Étude concernant un foyer de 9 membres dont 8 ont été contaminés par deux sujets asymptomatiques venus leur rendre visite en même temps (dont l’un est devenu symptomatique par la suite et l’autre pas).

    Le cas non contaminé est un enfant de 6 ans (4 PCR à la suite, dont 3 sur prélèvement au niveau de la gorge et 1 au niveau rectal).

    #coronavirus

    Asymptomatic people without coronavirus symptoms might be driving the spread more than we realized - CNN
    https://www.cnn.com/2020/03/14/health/coronavirus-asymptomatic-spread/index.html

    #Coronavirus : au moins une contamination sur deux due à une personne sans symptômes
    http://www.allodocteurs.fr/maladies/maladies-infectieuses-et-tropicales/coronavirus/coronavirus-au-moins-une-contamination-sur-deux-due-a-une-personne-sans

  • Greece to extend border fence over migration surge

    Greece will extend its fence on the border with Turkey, a government source said Sunday (8 March), amid continuing efforts by migrants to break through in a surge enabled by Ankara.

    “We have decided to immediately extend the fence in three different areas,” the government source told AFP, adding that the new sections, to the south of the area now under pressure, would cover around 36 kilometres (22 miles).

    The current stretch of fence will also be upgraded, the official added.

    Tens of thousands of asylum-seekers have been trying to break through the land border from Turkey for a week after Ankara announced it would no longer prevent people from trying to cross into the European Union.

    A police source Sunday told AFP that riot police reinforcements from around the country had been sent to the border in recent days, in addition to drones and police dogs.

    There have been numerous exchanges of tear gas and stones between Greek riot police and migrants.

    Turkey has also bombarded Greek forces with tear gas at regular intervals, and Athens has accused Turkish police of handing out wire cutters to migrants to help them break through the border fence.

    The Greek government over the weekend also released footage which it said showed a Turkish armoured vehicle assisting efforts to bring down the fence.

    “Parts of the fence have been removed, both by the (Turkish) vehicle and with wire cutters, but they are constantly being repaired,” local police unionist Elias Akidis told Skai TV.

    Turkey has accused Greek border guards of using undue force against the migrants, injuring many and killing at least five.

    The government in Athens has consistently dismissed the claim as lies.

    https://www.euractiv.com/section/justice-home-affairs/news/greece-to-extend-border-fence-over-migration-surge
    #murs #Evros #barrières_frontalières #Grèce #Turquie #frontières #extension
    ping @fil @reka @albertocampiphoto

    • je suis tombé sur une vidéo YT d’un compte néo-nazi montrant une attaque du mur de l’Evros par des migrants. L’attaque y est présentée comme soutenue par la police turque, ce qui est vraiment beaucoup solliciter les images… les migrants sont noyés sous les lacrymos.

    • Evros: Greece to extend the fence on the borders with Turkey to 40km

      Greece will extend the fence to its Evros borders with Turkey to 40 km, government spokesman Stelios Petsas said on Friday morning. The additional fence will be installed in “sensitive” areas preferred for illegal entries by migrants and refugees.

      The fence currently covers 12.5 km.

      Speaking to ANT1 TV, Petsas noted that at the moment the most vulnerable border point is in the south.

      The current 12.5 km fence of land access points is installed north and south of Kastanies customs office, where thousands of migrants and refugees have amassed.

      According to the daily Kathimerini, the 40 kilometers new fence is planned to be partially installed either in areas where the Evros waters are low or in areas where the landscape favors illegla paasage.

      Sections such as Ormenio, Gardens, Feres, Tychero, Soufli, Dikaia, Dilofo, Marassia, Nea Vyssa and elsewhere have been designated as the areas where the new fence will installed by the Greek Army and support by the police.

      According to a report by daily Elftheros Typos, Greece’s Plan B aside from the fence extension is the presence of about 4,000 police officers and soldiers in parallel patrols, helicopters, unmanned aircraft, message broadcasting, cameras for audio-video.

      A Greek Army – Greek Police “joint operations center” is to be established in Nea Vryssa.

      According to the daily more than 1,000 soldiers, two commandos squads, 1,500 police and national guards are currently operating in the Evros area.

      Petsas underlined that the Greek government has changed its policy because there is a national security issue at the moment.

      He reiterated the new policy saying that “no one will cross the border.”

      https://www.keeptalkinggreece.com/2020/03/06/evros-greece-fence-borders-turkey-extension

    • Video 2 - Violences contre les exilé·es à la frontière gréco-turque

      Depuis le début du mois de mars 2020, des milliers d’exilé·es, incité·es voire poussé·es par les autorités turques, se sont précipité·es aux frontières terrestres et maritimes entre la Turquie et la Grèce. Ils et elles se sont heurté·es à la violence de la police et de l’armée grecque, ainsi que de groupe fascistes, mobilisés pour leur en interdire le franchissement, la suite : www.gisti.org/spip.php ?article6368

      https://indymotion.fr/videos/watch/e8938a1c-5456-46e8-a0cb-be0806c96051?start=1s

    • Greece shields Evros border with blades wire, 400 new border guards

      Greece is strengthening ifs defense and is preparing for a possible new wave of migrants at its Evros border. A fence of sharp blades wire (concertina wire) and 400 additional border guards are to shield the country for the case Turkey will open its borders again so that migrants can cross into Europe.

      According to daily ethnos (https://www.ethnos.gr/ellada/105936_ohyronetai-o-ebros-frahtis-me-lepidoforo-syrmatoplegma-kai-400-neoi-sy), Ankara has already been holding groups of migrants in warehouses near the border, while the Greek side is methodically being prepared for the possibility of a new attempt for waves of migrants to try to cross again the border.

      “At the bridgeheads of Peplos and Fera, at the land borders after the riverbed is aligned, and in other vulnerable areas along the border, kilometer-long of metal fence with sharp blades wire are being installed, the soil is being cleaned from wild vegetation and clearing of marsh lands.

      The fence in the northern part is being strengthened and expanded, and 11 additional border pylons, each one 50 meters high, will be installed along the river in the near future. Each pylon will be equipped with cameras and modern day and night surveillance systems, with a range of several kilometers and multiple telecommunications capabilities, the daily notes.

      Within the next few months, 400 newly recruited border guards will be on duty and will almost double the deterrent force and enhance the joint patrols of the Army and Police, ethnos adds.

      Big armored military vehicles destined for Libya and confiscated five years ago south of Crete have been made available to the Army in the area, the daily notes.

      One and a half month after the end of the “war without arms” at the Evros border from end of February till the end of March, sporadic movement on the Turkish side of the border has been observed.

      At least four shooting incidents have been reported in the past two weeks, with Turkish jandarmerie to have fired at Greek border guards and members of the Frontex.

      Greece’s security forces are on high alert.

      Just a few days ago, Turkish Foreign Minister Mevlut Cavusoglu reiterated that Ankara’s policy of “open borders” will continue for anyone wishing to cross into Europe.

      Speaking to nationalist Akit TV on Wednesday, Cavusoglu claimed that Greece used “inhumane” behavior towards the migrants who want to cross into the country.

      Also Interior Minister Suleyman Soylu had threatened that the migrants will be allowed to leave Turkey again once the pandemic was over.

      PS It could be a very hot summer, should Turkey attempt to send migrants to Europe by land through Evros and by sea with boats to the Aegean islands and at the same time, deploys a drilling ship off Crete in July, as it claimed a few days ago.

      https://www.keeptalkinggreece.com/2020/05/17/greece-shields-evros-border-blades-wire-400-border-guards

      #militarisation_des_frontières

    • Pour la bagatelle de 63 millions d’euro...

      Greece to extend fence on land border with Turkey to deter migrants

      Greece will proceed with plans to extend a cement and barbed-wire fence that it set up in 2012 along its northern border with Turkey to prevent migrants from entering the country, the government said on Monday.

      The conservative government made the decision this year, spokesman Stelios Petsas said, after tens of thousands of asylum seekers tried to enter EU member Greece in late February when Ankara said it would no longer prevent them from doing so.

      Greece, which is at odds with neighbouring Turkey over a range of issues, has been a gateway to Europe for people fleeing conflicts and poverty in the Middle East and beyond, with more than a million passing through the country in 2015-2016.

      The project led by four Greek construction companies will be completed within eight months at an estimated cost of 63 million euros, Petsas told a news briefing.

      The 12.5-kilometre fence was built eight years ago to stop migrants from crossing into Greece. It will be extended in areas indicated by Greek police and the army, Petsas said without elaborating. In March, he said it would be extended to 40 kilometres.

      Tensions between NATO allies Greece and Turkey, who disagree over where their continental shelves begin and end, have recently escalated further over hydrocarbon resources in the eastern Mediterranean region.

      https://kdal610.com/2020/08/24/greece-to-extend-fence-on-land-border-with-turkey-to-deter-migrants

    • Greece to extend fence on land border with Turkey to deter migrants

      Greece will proceed with plans to extend a cement and barbed-wire fence that it set up in 2012 along its northern border with Turkey to prevent migrants from entering the country, the government said on Monday.

      The conservative government made the decision this year, spokesman Stelios Petsas said, after tens of thousands of asylum seekers tried to enter EU member Greece in late February when Ankara said it would no longer prevent them from doing so.

      Greece, which is at odds with neighbouring Turkey over a range of issues, has been a gateway to Europe for people fleeing conflicts and poverty in the Middle East and beyond, with more than a million passing through the country in 2015-2016.

      The project led by four Greek construction companies will be completed within eight months at an estimated cost of 63 million euros, Petsas told a news briefing.

      The 12.5-kilometre fence was built eight years ago to stop migrants from crossing into Greece. It will be extended in areas indicated by Greek police and the army, Petsas said without elaborating. In March, he said it would be extended to 40 kilometres.

      Tensions between NATO allies Greece and Turkey, who disagree over where their continental shelves begin and end, have recently escalated further over hydrocarbon resources in the eastern Mediterranean region.

      https://uk.reuters.com/article/uk-greece-turkey-fence/greece-to-extend-fence-on-land-border-with-turkey-to-deter-migrants-idUK

    • Evros land border fence to be ready in eight months

      The construction of a new fence on northeastern Greece’s Evros land border with Turkey will be completed in eight months, according to Citizens’ Protection Minister Michalis Chrysochoidis, speaking in Parliament on Monday.

      The border fence project has a total budget of 62.9 million euros and has been undertaken by a consortium put together by four construction companies.

      It will have a total length of 27 kilometers and eight elevated observatories will be constructed to be used by the Hellenic Army.

      Moreover, the existing fence will be reinforced with a steel railing measuring 4.3 meters in height, instead of the current 3.5 meters.

      Damage to the existing fence during attempts by thousands of migrants to cross into Greece territory from Turkey, as well as bad weather, will be repaired – including a 400-meter stretch that collapsed as a result of flooding.

      https://www.ekathimerini.com/256184/article/ekathimerini/news/evros-land-border-fence-to-be-ready-in-eight-months

    • New Evros fence to be completed by April next year, PM says during on-site inspection

      Construction of a new fence designed to stop undocumented migrants from slipping into Greece along its northeastern border with Turkey, demarcated by the Evros River, is expected to be completed by April next year, Prime Minister Kyriakos Mitsotakis said during a visit at the area of Ferres on Saturday.

      “Building the Evros fence was the least we could do to secure the border and make the people of Evros feel more safe,” Mitsotakis said.

      The 62.9-million-euro steel fence with barbed wire will be five meters high and have a total length of 27 kilometers. Eight elevated observatories will be constructed to be used by the Hellenic Army. The project, which is designed to also serve as anti-flood protection, has been undertaken by a consortium put together by four construction companies.

      During a meeting with local officials, Mitsotakis also confirmed the hiring of 400 guards to patrol the border.

      https://www.ekathimerini.com/258187/article/ekathimerini/news/new-evros-fence-to-be-completed-by-april-next-year-pm-says-during-on-s

    • To Vima: Evros wall will be ready in April, the Min. of Public
      Order said that ’labourers worked in the snow to finish the fence’.
      It also claims drones fly daily over the border - can anyone confirm? Only found older news saying they were to be deployed.

      https://twitter.com/lk2015r/status/1363625427307278340

      –—

      Εβρος : Ο φράκτης, τα drones και ο χιονιάς

      O καινούργιος φράκτης στα σύνορα με μήκος 27 χιλιόμετρα και με 13 χιλιόμετρα ο παλαιός, θα είναι απόλυτα έτοιμος τον Απρίλιο.

      Ούτε το χιόνι, ούτε οι λευκές νύχτες του Φεβρουαρίου, ούτε οι θερμοκρασίες κάτω από το μηδέν εμπόδισαν τα συνεργεία στις εργασίες τους για την κατασκευή του φράκτη στον Έβρο. Όπως μου είπε ο Μιχάλης Χρυσοχοΐδης « μηχανήματα και εργάτες δούλεψαν μέσα στα χιόνια για να ολοκληρώσουν τον φράκτη ». Μου αποκάλυψε μάλιστα ότι ο καινούργιος φράκτης στα σύνορα με μήκος 27 χιλιόμετρα και με 13 χιλιόμετρα ο παλαιός, θα είναι απόλυτα έτοιμος τον Απρίλιο. Και τούτο παρά το γεγονός ότι αυτές τις ημέρες το μόνον που δυσκολεύει τις εργασίες είναι τα πολλά νερά του ποταμού ο οποίος έχει υπερχειλίσει. Ωστόσο τα drones πετούν καθημερινά και συλλέγουν πληροφορίες, οι περιπολίες είναι συνεχείς και τα ηχοβολιστικά μηχανήματα έτοιμα, εάν χρειαστεί να δράσουν.

      https://www.tovima.gr/2021/02/19/opinions/evros-o-fraktis-ta-drones-kai-o-xionias

    • In post-pandemic Europe, migrants will face digital fortress

      As the world begins to travel again, Europe is sending migrants a loud message: Stay away!

      Greek border police are firing bursts of deafening noise from an armored truck over the frontier into Turkey. Mounted on the vehicle, the long-range acoustic device, or “sound cannon,” is the size of a small TV set but can match the volume of a jet engine.

      It’s part of a vast array of physical and experimental new digital barriers being installed and tested during the quiet months of the coronavirus pandemic at the 200-kilometer (125-mile) Greek border with Turkey to stop people entering the European Union illegally.

      A new steel wall, similar to recent construction on the US-Mexico border, blocks commonly-used crossing points along the Evros River that separates the two countries.

      Nearby observation towers are being fitted with long-range cameras, night vision, and multiple sensors. The data will be sent to control centers to flag suspicious movement using artificial intelligence analysis.

      “We will have a clear ‘pre-border’ picture of what’s happening,” Police Maj. Dimonsthenis Kamargios, head of the region’s border guard authority, told the Associated Press.

      The EU has poured 3 billion euros ($3.7 billion) into security tech research following the refugee crisis in 2015-16, when more than 1 million people – many escaping wars in Syria, Iraq and Afghanistan – fled to Greece and on to other EU countries.

      The automated surveillance network being built on the Greek-Turkish border is aimed at detecting migrants early and deterring them from crossing, with river and land patrols using searchlights and long-range acoustic devices.

      Key elements of the network will be launched by the end of the year, Kamargios said. “Our task is to prevent migrants from entering the country illegally. We need modern equipment and tools to do that.”

      Researchers at universities around Europe, working with private firms, have developed futuristic surveillance and verification technology, and tested more than a dozen projects at Greek borders.

      AI-powered lie detectors and virtual border-guard interview bots have been piloted, as well as efforts to integrate satellite data with footage from drones on land, air, sea and underwater. Palm scanners record the unique vein pattern in a person’s hand to use as a biometric identifier, and the makers of live camera reconstruction technology promise to erase foliage virtually, exposing people hiding near border areas.

      Testing has also been conducted in Hungary, Latvia and elsewhere along the eastern EU perimeter.

      The more aggressive migration strategy has been advanced by European policymakers over the past five years, funding deals with Mediterranean countries outside the bloc to hold migrants back and transforming the EU border protection agency, Frontex, from a coordination mechanism to a full-fledged multinational security force.

      But regional migration deals have left the EU exposed to political pressure from neighbors.

      Earlier this month, several thousand migrants crossed from Morocco into the Spanish enclave of Ceuta in a single day, prompting Spain to deploy the army. A similar crisis unfolded on the Greek-Turkish border and lasted three weeks last year.

      Greece is pressing the EU to let Frontex patrol outside its territorial waters to stop migrants reaching Lesbos and other Greek islands, the most common route in Europe for illegal crossing in recent years.

      Armed with new tech tools, European law enforcement authorities are leaning further outside borders.

      Not all the surveillance programs being tested will be included in the new detection system, but human rights groups say the emerging technology will make it even harder for refugees fleeing wars and extreme hardship to find safety.

      Patrick Breyer, a European lawmaker from Germany, has taken an EU research authority to court, demanding that details of the AI-powered lie detection program be made public.

      “What we are seeing at the borders, and in treating foreign nationals generally, is that it’s often a testing field for technologies that are later used on Europeans as well. And that’s why everybody should care, in their own self-interest,” Breyer of the German Pirates Party told the AP.

      He urged authorities to allow broad oversight of border surveillance methods to review ethical concerns and prevent the sale of the technology through private partners to authoritarian regimes outside the EU.

      Ella Jakubowska, of the digital rights group EDRi, argued that EU officials were adopting “techno-solutionism” to sideline moral considerations in dealing with the complex issue of migration.

      “It is deeply troubling that, time and again, EU funds are poured into expensive technologies which are used in ways that criminalize, experiment with and dehumanize people on the move,” she said.

      Migration flows have slowed in many parts of Europe during the pandemic, interrupting an increase recorded over years. In Greece, for example, the number of arrivals dropped from nearly 75,000 in 2019 to 15,700 in 2020, a 78% decrease.

      But the pressure is sure to return. Between 2000 and 2020, the world’s migrant population rose by more than 80% to reach 272 million, according to United Nations data, fast outpacing international population growth.

      At the Greek border village of Poros, the breakfast discussion at a cafe was about the recent crisis on the Spanish-Moroccan border.

      Many of the houses in the area are abandoned and in a gradual state of collapse, and life is adjusting to that reality.

      Cows use the steel wall as a barrier for the wind and rest nearby.

      Panagiotis Kyrgiannis, a Poros resident, says the wall and other preventive measures have brought migrant crossings to a dead stop.

      “We are used to seeing them cross over and come through the village in groups of 80 or a 100,” he said. “We were not afraid. … They don’t want to settle here. All of this that’s happening around us is not about us.”

      https://www.ekathimerini.com/news/1162084/in-post-pandemic-europe-migrants-will-face-digital-fortress

      #pandémie #covid-19 #coronavirus #barrière_digitale #mur_digital #pré-mur #technologie #complexe_militaro-industriel #AI #IA #intelligence_artificielle #détecteurs_de_mensonge #satellite #biométrie #Hongrie #Lettonie #Frontex #surveillance #privatisation #techno-solutionism #déshumanisation

    • Greece: EU Commission upgrades border surveillance – and criticises it at the same time

      The Greek border police are using a sound cannon and drones on a new border fence, and the EU Commission expresses its „concern“ about this. However, it is itself funding several similar research projects, including a semi-autonomous drone with stealth features for „effective surveillance of borders and migration flows“

      On Monday, the Associated Press (AP) news agency had reported (https://apnews.com/article/middle-east-europe-migration-technology-health-c23251bec65ba45205a0851fab07e) that police in Greece plan to deploy a long-range sound cannon at the external border with Turkey in the future. The device, mounted on a police tank, makes a deafening noise with the volume of a jet engine. It is part of a system of steel walls that is being installed and tested along with drones on the 200-kilometre border with Turkey for migration defence. The vehicle, made by the Canadian manufacturer #Streit, comes from a series of seized „#Typhoons“ (https://defencereview.gr/mrap-vehicles-hellenic-police) that were to be illegally exported to Libya via Dubai (https://www.cbc.ca/news/politics/streit-libya-un-1.3711776).

      After the AP report about the sound cannons went viral, Commission spokesman Adalbert Jahnz had clarified that it was not an EU project (https://twitter.com/Ad4EU/status/1400010786064437248).

      Yesterday, AP reported again on this (https://apnews.com/article/middle-east-europe-migration-government-and-politics-2cec83ae0d8544a719a885a). According to Jahnz, the Commission has „noted with concern“ the installation of the technology and is requesting information on its use. Methods used in EU member states would have to comply with European fundamental rights, including the „right to dignity“. The right to asylum and the principle of non-refoulement in states where refugees face persecution must also be respected.

      The Commission’s outrage is anything but credible. After Turkish President Recep Tayyip Erdoğan used refugees to storm the Turkish-Greek border in March 2020, Commission President Ursula von der Leyen travelled to the border river Evros before the start of a Frontex mission and declared her solidarity there. Literally, the former German Defence Minister said (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_20_380): „I thank Greece for being our European shield“.

      Commission funds research on border surveillance

      Also yesterday, the Commission-funded #ROBORDER project (https://cordis.europa.eu/project/id/740593/de) said in a statement (https://roborder.eu/2021/06/03/new-collaboration-with-borderuas-project) that it is now cooperating with the #BorderUAS project (https://cordis.europa.eu/project/id/883272/de). Both are about the use of drones. The police in Greece are involved and the applications are to be tested there.

      The acronym ROBORDER stands for „#Autonomous_Swarm_of_Heterogeneous_Robots_for_Border_Surveillance“. It works with drones on water, on land and in the air. In Greece, for example, a drone is to be used to detect „unauthorised sea border crossing“ (https://roborder.eu/the-project/demonstrators), as well as an aircraft from the #Fraunhofer-Gesellschaft with a surveillance test platform, #radar systems and thermal imaging cameras.

      All drones in ROBORDER are supposed to be able to operate in swarms. They are controlled via a mobile control centre from the German company #Elettronica. This „#Multipurpose_Mission_Support_Vehicle“ (#MUROS) is used to collect all recorded data (https://www.elettronica.de/de/produkte/oeffentliche-sicherheit-integration). The project, which will soon come to an end, will cost around nine million euros, of which the EU Commission will pay the largest share.

      High-resolution cameras on lighter-than-air drones

      The acronym BorderUAS means „#Semi-Autonomous_Border_Surveillance_Platform_with_a_High-Resolution_Multi-Sensor_Surveillance_Payload“. Border authorities, police forces as well as companies and institutes mainly from Eastern Europe and Greece want to use it to investigate so-called lighter-than-air drones.

      These can be small zeppelins or balloons that are propelled by alternative propulsion systems and have a multitude of sensors and cameras. The participating company #HiperSfera (https://hipersfera.hr) from Croatia markets such systems for border surveillance, for example.

      The project aims to prevent migration on the so-called Eastern Mediterranean route, the Western Balkan route and across the EU’s eastern external land border. According to the project description, these account for 58 percent of all detected irregular border crossings. BorderUAS ends in 2023, and the technology will be tested by police forces in Greece, Ukraine and Belarus until then. The Commission is funding the entire budget with around seven million euros.

      Civilian and military drone research

      For border surveillance, the EU Defence Agency and the Commission are funding numerous civilian and military drone projects in Greece. These include the €35 million #OCEAN2020 project (https://ocean2020.eu), which conducts research on the integration of drones and unmanned submarines into fleet formations. #ARESIBO, which costs around seven million euros (https://cordis.europa.eu/project/id/833805/de) and on which the Greek, Portuguese and Romanian Ministries of Defence and the #NATO Research Centre are working on drone technology, will end in 2022. With another five million euros, the Commission is supporting an „#Information_Exchange_for_Command_Control_and_Coordination_Systems_at_the_Borders“ (#ANDROMEDA) (https://cordis.europa.eu/project/id/833881/de). This also involves drones used by navies, coast guards and the police forces of the member states.

      In #CAMELOT (https://cordis.europa.eu/project/id/740736/de) are flying various drones from Israel and Portugal, and as in ROBORDER, a single ground station is to be used for this purpose. A scenario „illegal activity, illegal immigration persons“ is being tested with various surveillance equipment at the Evros river. The Commission is contributing eight million euros of the total sum. This year, results from #FOLDOUT (https://cordis.europa.eu/project/rcn/214861/factsheet/de) will also be tried out on the Greek-Turkish border river Evros, involving satellites, high-flying platforms and drones with technology for „through-foliage detection“ (https://foldout.eu/wp-content/uploads/2018/12/Flyer_v1_Foldout_EN_v2_Print.pdf) in the „outermost regions of the EU„. The Commission is allocating eight million euros for this as well.

      Also with EU funding, predominantly Greek partners, including drone manufacturers #ALTUS and #Intracom_Defense, as well as the Air Force, are developing a drone under the acronym LOTUS with „autonomy functions“ and stealth features for surveillance. The project manager promotes the system as suitable for „effective surveillance of borders and migration flows“ (https://www.intracomdefense.com/ide-leader-in-european-defense-programs).

      https://digit.site36.net/2021/06/04/greece-eu-commission-upgrades-border-surveillance-and-criticises-it-at

      #drones #Canada #complexe_militaro-industriel

    • La Grèce construit un mur sur sa frontière avec la Turquie

      22 août - 13h : La Grèce a annoncé vendredi avoir achevé une clôture de 40 km à sa frontière avec la Turquie et mis en place un nouveau système de #surveillance pour empêcher d’éventuels demandeurs d’asile d’essayer d’atteindre l’Europe après la prise de contrôle de l’Afghanistan par les talibans.

      La crise afghane a créé « des possibilités de flux de migrants », a déclaré le ministre de la Protection des citoyens Michalis Chrysochoidis après s’être rendu vendredi dans la région d’Evros avec le ministre de la Défense et le chef des forces armées. « Nous ne pouvons pas attendre passivement l’impact possible », a-t-il affirmé. « Nos frontières resteront sûres et inviolables. »

      https://www.courrierdesbalkans.fr/refugies-balkans-les-dernieres-infos

  • UN DÉCRET AUTORISE LE FICHAGE D’OPINIONS POLITIQUES, LES ORIENTATIONS SEXUELLES, PHILOSOPHIQUES, RELIGIEUSES, ETC…

    « #Gendnotes » : une mesure liberticide imposée discrètement par décret

    Un nouveau palier autoritaire est franchi dans l’indifférence générale. L’Etat va encore plus loin dans la création d’ennemis de l’intérieur en se donnant les moyens de ficher et de transmettre des informations telles que les #opinions_politiques, l’#appartenance_syndicale, les #orientations_sexuelles, l’#état_de_santé, etc… Il s’agit du dispositif « Gendnotes » qui est censé moderniser les prises de notes des gendarmes, et accroît considérablement les possibilités de contrôles en portant gravement atteinte aux libertés les plus fondamentales.

    Les destinataires de ces #informations_personnelles dites de “#pré-renseignement” pourront être les #maires des communes concernées par les individus, les préfets (cf. art. 4) ou les #autorités_judiciaires (cf. art. 1). Ces #données pourront être collectées « à l’occasion d’actions de #prévention, d’investigations ou d’interventions nécessaires à l’exercice des missions de polices judiciaire et administrative ».

    Alors que des fichages infâmes tels que l’#origine_raciale existent déjà dans les dossiers de police, ce décret ira encore plus loin, et va généraliser de telles pratiques. On aimerait croire à la fakenews mais non.

    Dans le décret n° 2020-151 du 20 février 2020 (https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000041615919&categorieLien=id, Le ministre de l’intérieur est autorisé à mettre en œuvre ce #traitement_automatisé de données à caractère personnel dénommé GendNotes au sein de la Gendarmerie. Le principe d’un décret, c’est qu’il passe en force, sans débat, en catimini.

    L’article 2 explique qu’en cas « d’#absolue_nécessité » il sera possible de faire rentrer des informations « relatives à la prétendue origine raciale ou ethnique, aux opinions politiques, philosophiques ou religieuses, à l’appartenance syndicale, à la santé ou à la #vie_sexuelle ou l’orientation sexuelle ».

    Qu’entendre par une notion aussi floue qu’« absolue nécessité » sachant que dans les enquêtes visant des écologistes, les militants, les Gilets Jaunes et plus généralement tout opposant politique, cela fait déjà longtemps que les moyens de l’antiterrorisme sont appliqués !

    Récemment, le gouvernement semblait scandalisé par l’atteinte à la vie privée de Benjamin Griveaux mais son indignation est sélective. L’atteinte à la vie privée d’une population entière ne semble lui poser aucun problème !

    « Essayez la dictature et vous verrez »

    (Emmanuel Macron. 23/01/2020)

    https://www.nantes-revoltee.com/%E2%9A%AB-un-decret-autorise-le-fichage-dopinions-politiques-les-or

    #décret #fichage #autoritarisme #surveillance #gendarmerie #mairie #préfecture #investigation #police_judiciaire #police_administrative #France #macronisme

    ping @etraces @davduf @fil

  • [Des singes en hiver] # 8 : ’ Évaluation radicalisée ? ’
    http://www.radiopanik.org/emissions/des-singes-en-hiver/-8-evaluation-radicalisee-

    Enregistré le mardi 28 janvier 2020, à La Maison du livre, St-Gilles. Dans les prisons françaises, il existe des quartiers spécifiques destinés à évaluer les détenus « radicalisés » : les QER. S’y retrouve tout détenu inculpé pour des faits de #terrorisme mais aussi tout détenu dont l’administration estime qu’ils sont radicalisés. Pendant 4 mois, tous leurs faits et gestes, leurs lectures, leur correspondance, les entretiens avec leur visiteurs sont examinés à la loupe, disséqués et rapportés afin d’évaluer leur dangerosité. A l’issue de ces 4 mois, sur base de cette #évaluation, il est décidé de leur régime de détention. Dans l’énorme majorité des cas, ils sont envoyés en quartiers d’isolement, ou dans des unités pour détenus violents. Personne n’échappe au label « détenu dangereux ».

    Alors, à quoi bon évaluer ?

    Qui (...)

    #radicalité #questionnaires #pré-crime #terrorisme,radicalité,questionnaires,pré-crime,évaluation
    http://www.radiopanik.org/media/sounds/des-singes-en-hiver/-8-evaluation-radicalisee-_08090__1.mp3

  • Non #Gabriel_Matzneff, la pédophilie n’est pas un « style de vie » | Slate.fr

    Rappel : article et Renaudot de 2013 (c’était hier...) et bien peu s’en sont ému. Trois jours après l’Apostrophe de 1990 dans lequel il est dénoncé par Denis Bombardier, dans Le Monde, Philippe Sollers la traitait de "connasse", et 30 ans plus tard, Josianne Savigneau de "purge" [ La Presse écrit "merde" mais le twitt de Savigneau dit "purge"]...

    L’intervention de Denise Bombardier, faite sous les yeux d’un jeune Alexandre Jardin bouche bée, avait notamment valu à l’auteure québécoise de se faire traiter de « connasse » par Philippe Sollers. Josyane Savigneau, ancienne directrice du Monde des livres, en a rajouté le 23 décembre dernier, disant sur Twitter avoir toujours détesté ce qu’écrit et dit Denise Bombardier avant de conclure son message en la traitant ni plus ni moins de « merde ».

    Source : ci-dessous.

    –---
    C’est qu’il y avait déjà du niveau, au Monde à cette époque.
    –---

    http://www.slate.fr/culture/80167/matzneff

    «Les petits garçons de onze ou douze ans que je mets ici dans mon lit sont un piment rare.»

    #grand_homme

    –—
    Affaire Matzneff : les droits des enfants avant la littérature

    https://www.lapresse.ca/arts/litterature/201912/26/01-5255046-affaire-matzneff-les-droits-des-enfants-avant-la-litterature.php

    « C’est incroyable. On prend position dans la vie et on peut changer le cours des choses », constate Denise Bombardier, « ravie » de voir que Vanessa Springora prend la parole à son tour. Même après tout ce temps. « Elle n’était pas prête », dit-elle. Denise Bombardier est aussi heureuse de constater que ses propos, qui ont été tellement critiqués à l’époque, ont fait œuvre utile.

    Son intervention n’avait rien du coup de gueule impulsif. Elle avait lu le livre de Gabriel Matzneff. Elle savait qu’elle avait une tribune. Qu’elle devait l’utiliser. Son éditeur l’avait d’ailleurs prévenue qu’elle risquait de se mettre à dos une frange importante – et puissante – de l’institution littéraire française. « Je lui ai dit : “Je ne peux pas laisser passer ça”, raconte-t-elle aujourd’hui. “Je ne peux pas ne pas intervenir.” »

    –---

    Quand le prix Renaudot Essai est attribué à Gabriel Matzneff, défenseur de la pédophilie - le Plus
    http://leplus.nouvelobs.com/contribution/968288-quand-le-prix-renaudot-essai-est-attribue-a-gabriel-matznef

    Voici ce qu’il écrit dans « Les moins de seize ans » :

    « Ce qui me captive, c’est moins un sexe déterminé que l’extrême jeunesse, celle qui s’étend de la dixième à la seizième année et qui me semble être – bien plus que ce que l’on entend d’ordinaire par cette formule – le véritable troisième sexe. Seize ans n’est toutefois pas un chiffre fatidique pour les femmes qui restent souvent désirables au-delà de cet âge. (..) En revanche, je ne m’imagine pas ayant une relation sensuelle avec un garçon qui aurait franchi le cap de sa dix-septième année. (...) Appelez-moi bisexuel ou, comme disaient les Anciens, ambidextre, je n’y vois pas d’inconvénient. Mais franchement je ne crois pas l’être. À mes yeux l’extrême jeunesse forme à soi seule un sexe particulier, unique. »

    Gabriel Matzneff se qualifie lui-même d’amant des enfants, païen imprégné d’orthodoxie, végétarien qui aime la viande, pédéraste qui aime les femmes, et esprit libre qui n’irriterait que les sots.

    Sensible ? mon cul oui.

    • excellent cet article :

      Surtout, je voudrais comprendre cet argument selon lequel « l’art n’a rien à voir avec la morale ». Qui dit le contraire aujourd’hui ? Qui dit qu’une œuvre, pour être belle, devrait être conforme à une idéologie ? Personne ne dit : Polanski a été accusé d’abus sexuel sur mineur, donc Le Pianiste est un film horrible. Cantat a été condamné pour homicide involontaire, ses chansons sont devenues affreuses

      .

    • L’écrivain Gabriel Matzneff rattrapé par son passé
      https://www.la-croix.com/Culture/Lecrivain-Gabriel-Matzneff-rattrape-passe-2019-12-25-1201068455

      Denise Bombardier, sur le plateau d’« Apostrophes », dénonce, avec une rage froide et implacable, ses agissements qui tombent sous le coup de la loi. Dès le lendemain, l’auteure et journaliste québécoise est brocardée et ostracisée par le milieu intellectuel.

      Ami de Matzneff, Philippe Sollers la qualifie publiquement de « mal baisée ». Dans Le Monde, Josyane Savigneau pourfend sa « sottise » et défend avec ardeur « l’homme qui aime l’amour ». Sur Twitter, ces jours-ci, elle le glorifie encore.

      Dans VSD, Jacques Lanzmann s’étonne que Matzneff n’ait pas « aligné la Bombardier d’une grande baffe en pleine figure ». À son retour au Québec, elle reçoit des lettres anonymes, des appels menaçants, sa maison est taguée, ses vitres cassées, ainsi qu’elle le raconte dans son autobiographie parue en février dernier (2). « Rétrospectivement, écrit Vanessa Springora, je m’aperçois du courage qu’il a fallu à cette auteure canadienne pour s’insurger, seule, contre la complaisance de toute une époque. »

    • Je lis un peu ce qui s’écrit sur cette affaire et je vois passer des noms qui ont, à plusieurs reprise, et qui pour certaines continuent de le faire, encensé Matzneff, qui l’ont défendu en niant ses crimes pédophiles.

      Yann Moix
      Richard Millet
      Philippe Sollers
      Josianne Savigneau
      Bernard Henry Levy
      Jean d’Ormesson
      Alain Finkielkraut
      Bernard Pivot (qui rigole presque en écoutant Daniel Cohn Bendit expliquer qu’il aime se faire désahbiller par une petite fille de 5 ans, et qui plus récemment délire sur les petites suédoises - la vieillesse dans son cas est un naufrage)
      Jean-François Kahn (grand spécialsite du troussage de domestique apparement et défenseur de Dominique Strauss-Kahn)
      Simone de Beauvoir
      Jacques Lanzmann
      Michel Foucault
      André Glucksmann
      Bernard Kouchner

      Il y en a d’autres, mais juste ceux là, de penser qu’ils (et hélas un peu elles) « régissent » une grande partie la vie intellectuelle française me donne une sorte de grand vertige rétrospectif.

    • L’écrivain Gabriel Matzneff rattrapé par son passé

      Ce passé qui ne ressurgit que maintenant parce que le livre de Vanessa Springora sortira début 2020 ou parce qu’il y a une certaine omerta dans le milieu « intellectuel » parisien ?
      Je ne connaissais pas ce Matzneff mais Sollers est définitivement grillé à mes yeux. Je l’ai toujours trouvé plus que douteux.
      #le_bal_des_pourris

    • Alors pour ce qui concerne les prix littéraires, les membres du jury du Renaudot 2013 ont vraiment fait très fort : Yann Moix et Gabriel Matzneff dans la catégorie Essai.

      Un néonazi et un pédophile, Ce qu’il fallait pour renforcer la crédibilité des prix ...

      Parmi les membres du jury du prix :

      Franz-Olivier Giesbert
      Georges-Olivier Châteaureynaud
      Jean-Marie Le Clézio
      Patrick Besson
      Jérôme Garcin
      Frédéric Beigbeder

      La suite du grand vertige ...

    • L’ouvrage de Madame Springora casse la baraque en torpillant l’argument du « consentement », toujours utilisé pour silencier les victimes et disculper les coupables de crimes qui cessent d’en être sous les spots de la télé.

    • Pour Finkielkraut je voudrais documenté son soutiens à Matzneff et ses interventions de l’époque sur sa fiche, puisqu’il se permet de faire des appels au viol ca me semble pas mal de réunir les infos là bas. J’arrive pas à trouvé une source explicite mais @reka tu semble l’avoir vu mentionné dans une de tes sources, est ce que tu pourrais me retrouvé d’ou ca viens stp ?
      https://seenthis.net/messages/811204

      Pour Simone de Beauvoir, je croyait avoir deja fait un poste pour elle mais en fait je l’ai juste mentionné dans mon premier poste sur les #grand_homme à partir du Dalaï Lama
      https://seenthis.net/messages/413241#message425819

      Je fait faire un poste sur elle et sa relation au sujet.
      Aussi, dans ces listes de pedophilophiles et violophiles d’enfants on trouve beaucoup des grands penseurs de « french théory » - En plus de Beauvoir, il y a Foucault, Derrida, Quaratti, Deleuze et le #féminicide #Althusser et peut être d’autres dans les ...
      Il me semble que Quaratti s’était illustré dans la misogynie crasse autour des questions de féminisation de la langue avec Levi_strauss mais je ne retrouve pas, possible que je confonde avec quelqu’un d’autre - je vais vérifié.

      Les femmes sont peu nombreuses mais je tag #grande_femme pour #Dolto et #Beauvoir

      Poste sur Dolto = https://seenthis.net/messages/688632
      Poste sur Beauvoir = https://seenthis.net/messages/817770

      Il me semble aussi que la discutions de 2015 sur #lolita et la manière dont les gens ont pris le point de vue d’Humbert Humbert contre Dolorès Haze
      https://seenthis.net/messages/399841

    • 2018, c’était hier @reka et les années 80 avant-hier, voire hier 3/4.
      Gabriel Matzneff est né en 1936, en juillet. Ma mère en décembre, ce monsieur a l’âge d’être mon père. A t-il des enfants ?
      J’ai regardé vite fait sa fiche wikipédia ou il y a des extraits de ses bouquins et son site matzneff.com à son image (vert de gris).
      et ceci en bas de page : Fous d’enfance : qui a peur des pédophiles ? (avec plusieurs cosignataires dont Luc Rosenzweig, Gilbert Villerot, Jean-Luc Hennig, René Schérer, Bernard Faucon et Guy Hocquenghem), Éditions Recherches, 1979
      https://seenthis.net/messages/505807
      Il a aussi écrit sur le suicide et ça ne m’étonnerais pas qu’il passe à l’acte comme Hamilton. Je trouve ça beau, un vieux qui se suicide mais ça dépend pourquoi. Dans son cas c’est irrecevable, sa cause est indéfendable, une ordure de 84 ans.

    • Pour Hamilton je suis tombé il y a 2 semaines sur un « débat » anti #metoo dans lequel il avait encore de farouches défenseuses. L’argument était que son suicide était la preuve que #metoo tue des innocents.
      https://seenthis.net/messages/814755

      Sinon dans les tactiques de l’agresseur je relève que Matzneff demande à étre appelé « philopéde » et non pédocriminel comme le violeur de Dolorès Haze se fait appelé « nympholepte » dans le roman de Nobokov.
      #vocabulaire #euphémisme

      Pour la pétition de 1977 wikipédia donne la liste complète

      Le Monde publie le 23 mai 1977 sous le titre « Un appel pour la révision du code pénal à propos des relations mineurs-adultes » des extraits d’une « Lettre ouverte à la Commission de révision du code pénal pour la révision de certains textes régissant les rapports entre adultes et mineurs »7 envoyée par 80 personnalités et intellectuels au Parlement français8,9. Cet appel réclame une réécriture des dispositions du code pénal concernant les relations sexuelles entre adultes et mineurs de quinze ans afin de les rendre moins strictes8,7.

      Le Monde reproduit les signatures de Louis Althusser, Jean-Paul Aron, Roland Barthes, André Baudry, Simone de Beauvoir, Jean-Claude Besret, Jean-Louis Bory, Bertrand Boulin, François Chatelet, Patrice Chéreau, Copi, Alain Cuny, Gilles Deleuze, Jacques Derrida, Françoise Dolto, Michel Foucault, Félix Guattari, Michel Leiris, Gabriel Matzneff, Bernard Muldworf, Christiane Rochefort, Alain Robbe-Grillet, Jean-Paul Sartre, le docteur Pierre Simon et Philippe Sollers8.

      La lettre a également été signée par Dennis Altman (en), Claude Bardos, le pasteur G. Berner, Christian Bourgeois, Christine Buci-Glucksmann, Jean-Pierre Colin, Dominique Desanti, Jean-Toussaint Desanti, Bernard Dort, Françoise d’Eaubonne, Philippe Gavi, André Glucksmann, Renaud Goyon, Daniel Guérin, Pierre Hahn, Jean-Luc Hennig, Christian Hennion, Guy Hocquenghem, Roland Jaccard, Pierre Klossowski, Anne Laborit, Madeleine Laïk, Georges Lapassade, Dominique Lecourt, Jacques Lefort, Michel Lobrot, Jean-François Lyotard, Michel Mardore, Dionys Mascolo, Gérard Molina, Vincent Monteil, Nicole Nicolas, Marc Pierret, Jacques Rancière, Claude et Olivier Revault d’Allonnes, Jean Ristat, Gilles Sandier, René Schérer, Victoria Thérame, Hélène Védrine et les Drs Frits Bernard, Boegner, Cabrol, Challou, Maurice Eme, Pierrette Garreau, R. Gentis, Michel Meignant, Jean Nicolas, Séguier, Torrubia7.

      https://fr.wikipedia.org/wiki/P%C3%A9titions_en_France_concernant_la_majorit%C3%A9_sexuelle
      –—
      Pour Christiane Rochefort est ce que c’est celle de « sortir les couteaux » ? ...
      http://1libertaire.free.fr/Rochefort01.html
      il semble que oui :(

      –—

      Entretiens avec Denis Bombardier

      Un copinage dont elle dit avoir fait les frais. « Mon éditeur, Claude Cherki, m’avait prévenue. “Écoute Denise, je ne pense pas que tu te rends compte du pouvoir qu’ont ces gens dans la vie littéraire parisienne. Ça va nuire à ton livre [Tremblement de coeur] et à tous les livres que tu publieras par la suite.” » Il avait raison. « J’ai été boycottée par tous ces milieux durant trente ans. »

      #historicisation #invisibilisation_des_femmes #fraternité #boys_club #pré-carré

  • Monitoring « secondary movements » and « hotspots » : Frontex is now an internal surveillance agency

    The EU’s border agency, Frontex, now has powers to gather data on “secondary movements” and the “hotspots” within the EU. The intention is to ensure “#situational_awareness” and produce risk analyses on the migratory situation within the EU, in order to inform possible operational action by national authorities. This brings with it increased risks for the fundamental rights of both non-EU nationals and ethnic minority EU citizens.

    http://www.statewatch.org/news/2019/dec/eu-frontex-int-surv.htm
    #surveillance #mouvements_secondaires #asile #migrations #réfugiés #frontières #Frontex #hotspot #hotspots #risques #analyse_de_risques

    –---------

    Dans ce rapport de Statewatch, on peut lire :

    Previously, the agency’s surveillance role has been restricted to the external borders and the “pre-frontier area” – for example, the high seas or “selected third-country ports.”2 New legal provisions mean it will now be able to gather data on the movement of people within the EU.

    Ce qui n’est pas sans rappeler la carte de @reka sur les 3 frontières européennes :
    #pré-frontière
    #frontière
    #post-frontière


    https://visionscarto.net/la-mediterranee-plus-loin

    Pour une version plus récente de cette carte...


    https://asile.ch/2016/12/13/regard-dune-geographe-murs-frontieres-fantasme-controle-migratoire

    ping @etraces @karine4 @reka @isskein

  • Meli email client, pre-alpha release (https://meli.delivery/posts/2...
    https://diasp.eu/p/9329781

    Meli email client, pre-alpha release

    HN Discussion: https://news.ycombinator.com/item?id=20378657 Posted by UkiahSmith (karma: 3232) Post stats: Points: 129 - Comments: 70 - 2019-07-07T23:20:31Z

    #HackerNews #client #email #meli #pre-alpha #release HackerNewsBot debug: Calculated post rank: 109 - Loop: 170 - Rank min: 100 - Author rank: 69

  • Stock Tokenization — A new way to Invest in the Lucrative Pre-IPO Market
    https://hackernoon.com/stock-tokenization-a-new-way-to-invest-in-the-lucrative-pre-ipo-market-8

    image source: depositphotos.comJust a few days before Alibaba issued an IPO, its shares were selling below $60 per share. On the first day of trading, the price skyrocketed to over $90 giving the Pre-IPO investors a return on investment of at least 48% percent.Likewise, Facebook is known to have made a fortune for its pre-IPO investors when it finally decided to go public. According to a report by SecondMarket, Facebook shares were selling at $3.50 each, six years before the public sale. Just before the company filed for an IPO in April 2014, the price per share jumped to $42.72.Without a doubt, the high growth rate of private companies preparing to go public presents the best capital gains opportunity for investors. But even so, these opportunities are not open to everyone and also (...)

    #pre-ipo-market #lucrative-pre-ipo-market #startup #stock-tokenization #stock-tokenization-market

  • La science à portée de tous !

    #Jean-Claude_Marcourt poursuit la mise en place du #décret « Open Access » en Fédération #Wallonie-Bruxelles.

    Sur proposition de Jean-Claude MARCOURT, Vice-Président du Gouvernement et Ministre de l’enseignement supérieur et de la Recherche, le Gouvernement de la Fédération Wallonie-Bruxelles adopte, en dernière lecture, le projet de décret « Open Access », un texte fondateur visant l’établissement d’une politique de libre accès aux #publications_scientifiques.

    Le projet de décret vise clairement à intégrer les institutions de recherche et d’enseignement supérieur de la Fédération dans le mouvement de la « #science_ouverte » , c’est-à-dire un ensemble de pratiques de la recherche scientifique basées sur l’utilisation des outils de l’Internet ; archivage numérique, copie déverouillée sur le web, etc. Le décret « Open Access » et, in fine, l’#accès_libre aux résultats de la recherche ayant bénéficié d’un #financement_public, en est le premier pilier.

    Le texte voté par le gouvernement de ce mercredi 28 février 2018 est le fruit d’un dialogue constructif instauré avec l’ensemble des acteurs, que ce soit le milieu scientifique et académique ou encore les éditeurs belges. Des balises ont été adoptées afin de répondre aux préoccupations principales exprimées par ces derniers comme, par exemple, la limitation du champ d’application du décret aux articles scientifiques paraissant dans les périodiques et non aux ouvrages édités.

    Le Ministre MARCOURT tient à préciser : « La Fédération adopte un texte fondateur qui place les institutions de recherche et d’enseignement supérieur dans le peloton de tête des institutions mondiales actives dans la « science ouverte ». Et d’ajouter : « La Wallonie et Bruxelles s’engagent ainsi aux côtés d’acteurs de renommée mondiale tels que l’Université d’Harvard ou encore les universités Suisse telles que Zurich, Lausanne ou encore Genève . En favorisant le partage des résultats de la recherche ayant fait l’objet d’un financement public, le décret « Open Access » permet la libre circulation du savoir, la promotion de la science et de l’innovation ».

    Concrètement, le décret prévoit que les chercheurs déposent dans une archive numérique institutionnelle leurs publications scientifiques issues de leurs recherches réalisées sur fonds publics et recommande que lors de l’évaluation des publications, de prendre exclusivement en considération, les listes générées à partir de ces archives numériques institutionnelles.

    Pour conclure, le Ministre tient à rappeler que le décret Open Access renforce la visibilité des chercheurs, de leurs travaux et des institutions d’enseignement supérieur. « Le fruit de la recherche émanant de la Fédération Wallonie Bruxelles devient accessible partout dans le monde et, plus spécifiquement, auprès des chercheurs dont les institutions ne pouvaient jusqu’ici se permettre d’acheter ces publications scientifiques. » se réjouit le Ministre. « C’est une avancée sociétale fondamentale ».

    https://marcourt.cfwb.be/la-science-a-portee-de-tous
    #open_access #savoir #université #recherche #Belgique #édition_scientifique #résistance

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’éditions scientifique :
    https://seenthis.net/messages/1036396

    • L’Open Access adopté par le Gouvernement de la Fédération Wallonie-Bruxelles

      Ce mercredi 28 février, le Gouvernement de la Fédération Wallonie-Bruxelles a adopté en dernière lecture le projet de décret "Open Access" porté par le Ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche, Jean-Claude Marcourt.

      Le texte du décret stipule que tous les articles scientifiques subventionnés par des fonds publics devront être déposés dans un répertoire institutionnel (aussi appelé « archive ouverte »). Les insitutions devront également utiliser exclusivement les listes de publications provenant de ces répertoires pour l’évaluation des chercheurs.

      À l’Université de Liège, cette politique existe déjà depuis presque 10 ans et est mise en place via le répertoire ORBi.

      https://lib.uliege.be/en/news/l-open-access-adopte-par-le-gouvernement-de-la-federation-wallonie-bruxel

    • Attention :

      « La Wallonie et Bruxelles s’engagent ainsi aux côtés d’acteurs de renommée mondiale tels que l’Université d’Harvard ou encore les universités Suisse telles que Zurich, Lausanne ou encore Genève .

      En #Suisse, c’est le #golden_open_access qui est visé... ce qui n’est pas exactement dans la logique d’un accès gratuit aux résultats de recherche... mais c’est une manière de plus d’enrichir les éditeurs scientifiques prédateurs :
      https://seenthis.net/messages/651822
      #FNS

    • La #voie_verte

      La voie verte ou green open access est la voie de l’auto-archivage ou dépôt par l’auteur dans une #archive_ouverte.

      Une archive ouverte est un réservoir où sont déposées des publications issues de la recherche scientifique et de l’enseignement dont l’accès est libre et gratuit. Elle peut être institutionnelle (ex. OATAO de l’ Université de Toulouse), régionale (ex. OpenAIRE pour l’Europe), nationale (HAL pour la France) ou disciplinaire (ex. arXiv en Physique, RePEC en Economie).


      http://openaccess.couperin.org/la-voie-verte-2
      #green_open_access #archives_ouvertes #post-print #pre-print

    • ‘Big Deal’ Cancellations Gain Momentum

      An increasing number of universities are ending, or threatening to end, bundled journal subscriptions with major publishers.

      Florida State University recently announced plans to cancel its “big deal” with Elsevier, but it is far from the first university to do so.

      In recent years, there has been an uptick in the number of reports of libraries dropping their bundled journal deals with big publishers, which can cost upward of $1 million annually.

      Rather than subscribing to a large volume of journals in a publisher’s collection, often at a substantial discount off the individual list price, some institutions are choosing to pay only for the journals they determine they need the most.

      Rick Anderson, associate dean for collections and scholarly communications at the Marriott Library at the University of Utah, said that more cancellations are likely, but “how big the snowball is going to get” is an unanswered question.

      “Will big-deal cancellations continue to bubble along at a slow but steady pace? Will they peter out altogether as libraries and publishers work out new terms that allow the libraries to renew? Will more and more libraries cancel their big deals until publishers finally abandon them?” asked Anderson. “It’s impossible to say at this point; I think all three of those scenarios are possible, though I think the first two are more likely than the third.”

      Last year, Anderson published an article at The Scholarly Kitchen looking at big-deal cancellations by North American libraries. He identified 24 libraries that had canceled big deals, another four libraries that canceled but later resubscribed, and three libraries that announced cancellations but didn’t follow through.

      Also last year, #SPARC, an advocacy group for open access and open education, launched a resource tracking big-deal cancellations worldwide. Greg Tananbaum, a senior consultant at SPARC, said that there is a “growing momentum” toward cancellations.

      According to data from SPARC (which may not be comprehensive, said Tananbaum), in 2016 five U.S. and Canadian institutions announced cancellations with big publishers such as Springer Nature, Wiley, Taylor & Francis and Elsevier. In 2017, seven more North American institutions said they planned to cancel their big deals, including the University of North Carolina at Chapel Hill and Kansas State University, among others.

      Motivation for Cancellation

      Both Tananbaum and Anderson agree that one factor driving cancellations of big deals is that library budgets are not growing at the same rate as the cost of subscriptions. Given budget restrictions, “there’s just a reality that tough choices have to be made,” said Tananbaum. He added that in each of the cases documented in the SPARC tracking resource, the institutions ran “meticulous assessments” to determine the value of their current arrangements, and found that “the value was not positive.” Typically a bundled deal would allow an institution to subscribe to a couple of thousand titles for the same list price as a few hundred individual subscriptions.

      “What makes the big deal unsustainable isn’t the structure of the model, but the fact that it absorbs so much of a library’s materials budget, and the price rises steadily from year to year,” said Anderson. “That dynamic leads to an inevitable breaking point, at which the library can no longer afford to pay for it — or is forced to cancel other, equally desirable (or more desirable) subscriptions in order to keep paying for it.”

      Another factor driving cancellations is a desire among some librarians to “stick it to the publishers,” said Anderson. “There is a truly remarkable level of anger that many librarians feel towards the publishers who sell subscriptions under the big-deal model,” he said. “This makes the prospect of canceling a big deal very attractive at a political level.”

      Librarians are able to consider canceling big deals because it doesn’t mean going “cold turkey” anymore, said Tananbaum. Interlibrary loan systems can return a journal article in less than 24 hours at relatively low cost to the library, and many articles are available in open-access format for free, with tools like Unpaywall making them easy to find. If a researcher needs a paywalled paper instantly, they can still access that content, without a subscription, for around $30.

      Though it is talked about less, the ease of accessing copyrighted papers though sites such as Sci-Hub and ResearchGate have also emboldened librarians, said Joseph Esposito, senior partner at publishing consultancy Clarke & Esposito.

      Hard-Core Negotiating

      In 2015, the Université de Montréal combined usage and citations data with the results of an extensive survey of faculty and students to determine that 5,893 titles were essential to research needs at the university — accounting for 12 percent of the institution’s total subscriptions, and around a third of all titles included in big deals.

      A similar analysis has since been performed by 28 university libraries in Canada, with some “truly considering unbundling or exiting consortium negotiations to get better deals,” said Stéphanie Gagnon, director of collections at Université de Montréal.

      Gagnon and her colleague Richard Dumont, university librarian at Montréal, said that unbundling big deals was a “last resort” strategy for the institution. The institution will first offer what it considers to be a “fair price” based on the needs of the community and the publishers’ pricing, said Dumont.

      This approach “seems reasonable,” said Dumont, since four major publishers have accepted the institution’s offers — Wiley, SAGE, Elsevier and Cambridge University Press. Currently, the institution has two big deals unbundled: Springer Nature (2,116 titles canceled) and Taylor & Francis (2,231 titles canceled).

      The Taylor & Francis big deal cost Montréal around half a million U.S. dollars per year for over 2,400 titles. Per title, the average cost was around $200. But Montréal calculated that only 253 titles were being used regularly, meaning the “real” cost was closer to $2,000 per title, said Gagnon. By unbundling this deal and the Springer Nature deal, and by renegotiating all big-deal subscriptions, the institution saves over $770,000 annually, said Gagnon.

      Gagnon said she did not think teaching or research has been hindered by the cancellations, since the big deals that were unbundled did not contribute greatly to the needs of the community. Researchers can still access paywalled content they don’t have immediate access to through the interlibrary loan system. “Content is still available, with some hours’ delay,” said Gagnon.

      Value for Money

      Unlike Montréal, some institutions that have canceled big deals have not ended up saving much money, or negotiating a better deal. Brock University in Ontario, for example, canceled its big deal with Wiley in 2015, only to return a year later for the same price.

      Ian Gibson, acting head of collections services at Brock, said the Wiley cancellation was prompted by a “perfect storm” of a weak Canadian dollar and a library budget that was not increasing in line with subscription costs. “The institution had no extra funds to buffer the FX crisis, and the hole in our budget was so big that only canceling Wiley or Elsevier would fill it,” said Gibson.

      The institution looked into purchasing back just the most essential titles from Wiley, and found “there was no way to do it for less than we were paying for the big deal.” Gibson said that the university upped the library budget soon after, “and we jumped back into the Wiley deal through our consortium, and the pricing was as if we had never left.”

      “Although the overall dollar cost for a big deal is typically enormous, the package usually includes so much content that the per-journal cost is quite low and would be dramatically higher on a per-journal basis if the titles were acquired as individual subscriptions,” said Anderson. Limiting titles, of course, also means that not everyone will get immediate access to the content they want. “This is probably the primary reason so many libraries (mine included) have held on to their big deals as long as they have.”

      Getting Faculty on Board

      At Montréal, the library worked hard to get faculty and student support before making any cancellations, said Gagnon. “We put in a lot of energy to explain, convince, answer and demonstrate to our staff and to the community what we were doing,” said Gagnon. The library built a website, published press releases and organized meetings. “It was a really global community project,” she said.

      Perhaps one of the most surprising aspects of Florida State University’s pending cancellation of its big deal with Elsevier is that the Faculty Senate approved it, despite concerns that they would not be able to access journals as freely as they do now.

      “The one question I keep getting asked is, ‘How did you get your faculty to agree to it?’” said Roy Ziegler, associate dean for collections and access at Florida State University. It hasn’t been an easy process, but outreach efforts have helped faculty to understand why this route is necessary. “Our faculty are willing to roll with it for now,” he said. “We don’t think our new model will do harm, but it will force faculty to change their behavior slightly — there’s a re-education piece.”

      FSU will offer unmediated, instant access to content that is not subscribed to for faculty and graduate students at a cost of around $30 to the library, but will encourage them to access materials through the slower interlibrary loan system as much as possible. Undergraduate students will only have the option to go the slower (cheaper) route. Avoiding duplicated instant-access purchases will be a key factor in keeping costs down, said Ziegler.

      By pulling out of its statewide agreement with Elsevier, FSU will lose access to Elsevier’s Freedom Collection — a system by which institutions have access to all nonsubscribed journal content at a significantly reduced rate. Ziegler said that FSU does “have an offer on the table right now” from Elsevier, but it’s not what they wanted. “If that offer gets better, we could stay in,” he said. FSU’s current deal with Elsevier costs around $1.8 million annually — 22 percent of the library’s total materials budget.

      In an emailed statement, Elsevier said that the Freedom Collection is “still preferred by the vast majority of our customers who want the best value we can provide, but some customers want more purchasing options, and for them we’re happy to provide such flexibility.” The statement continued, “We generally see more new Freedom Collection customers than those who move to title by title, but there’s no particular trend over time.”

      Taylor & Francis, Wiley, SAGE and Springer Nature declined to comment for this article.

      A Shortsighted Decision?

      Kent Anderson, CEO of publishing data analytics company RedLink, and former president of the Society for Scholarly Publishing, said that institutions that cancel big deals are making a “selfish” and shortsighted decision, an issue he also wrote about in a recent article for The Scholarly Kitchen. He compared canceling a big deal to canceling a newspaper subscription; journalists lose their jobs, local media collapses and soon no one knows what’s happening inside government.

      Canceling big deals means that down the road, publishers won’t be able to keep up with the volume of research that is being produced, he said. He warned that if libraries and publishers continued to be “at loggerheads against each other,” they would ultimately alienate the researchers they are both trying to serve.

      A loss of diversity in the publishing ecosystem concerns Kent Anderson. The survival of journals from smaller scholarly societies depends on their inclusion in big deals, he said. As the choice of publications to publish in gets “fewer and worse,” time to publication will get longer.

      While many libraries say they are forced to cancel big deals because of budget constraints, Kent Anderson points out that library budgets are often just a tiny fraction of an institution’s total budget, suggesting that the money could be better allocated to prioritize these resources.

      But Rick Anderson, of the University of Utah, said that suggesting the root of the issue is a funding problem, rather than a pricing problem, “feels a little bit like the bully on the playground taking our lunch money and then saying, ‘Hey, I’m not the problem, your mom needs to give you more lunch money.’”

      https://www.insidehighered.com/news/2018/05/08/more-institutions-consider-ending-their-big-deals-publishers

    • Le #business des publications scientifiques
      VRS n° 412 - Printemps 2018

      « Un pays qui exporte sa matière première à bas prix, et réimporte le produit fini au prix le plus fort, est dans une logique de sous-développement. C’est cette logique qui prévaut dans l’édition scientifique internationale. (…) Jusqu’à maintenant, l’édition scientifique électronique reproduit en grande partie les schémas archaïques de production, parce qu’elle émane des éditeurs scientifiques commerciaux… », écrivait Anne Dujol en 1996. « Il y a fort à parier que, dans un très proche avenir, de nombreux auteurs s’affranchiront des contraintes actuelles de la publication d’articles scientifiques et ‘publieront’ électroniquement les résultats de leurs travaux, » poursuivait-elle.

      Hélas, elle sous-estimait la puissance et l’« agilité » des éditeurs mondialisés qui tiennent ce qui est devenu un des business les plus lucratifs au monde. Et elle surestimait la compréhension des enjeux de la part des scientifiques et de leur bureaucratie, dans un monde où, comme à la chasse, la publication est devenue une performance où le/la scientifique exhibe ses trophées.

      L’inflation des publications est telle que les bibliographies, bien souvent stéréotypées, résultent davantage de la collecte de résumés que de discussions scientifiques. On écrit mais on ne lit pas ; et la critique des résultats, les vérifications, le dialogue s’en ressentent.

      Peut-être plus grave encore, les scientifiques leur ayant délégué l’évaluation de leurs travaux en leur décernant le label « d’excellence » (« où publies-tu » plutôt que « que publies-tu »), les revues – et donc les éditeurs qui les possèdent – ont acquis un pouvoir exorbitant sur la politique scientifique des institutions, voire des Etats.

      Mais le vent tourne. Les institutions de recherche et d’enseignement supérieur et leurs bibliothèques croisent le fer avec les éditeurs commerciaux. Et les chercheur·e·s commencent à reprendre en main l’édition de leur travail.


      http://www.snesup.fr/article/le-business-des-publications-scientifiques-vrs-ndeg-412-printemps-2018

    • Offensive contre les géants de l’édition scientifique en Europe

      Les conseils de recherche de onze pays européens, dont la France et le Royaume-Uni, prennent les grands moyens pour endiguer la soif de profits des géants de l’édition scientifique, qui siphonnent les budgets des bibliothèques universitaires.

      Ces onze États viennent de dévoiler un plan qui obligera d’ici deux ans leurs chercheurs subventionnés à publier le fruit de leurs travaux sur des plateformes en libre accès. Le but : mettre fin à la domination commerciale des cinq plus grands éditeurs scientifiques, qui font des profits considérables en publiant des articles fournis par les universitaires.

      « Il ne faut pas enfermer la science derrière des murs payants », indique le manifeste du nom de « Plan S » dévoilé la semaine dernière par Science Europe, un regroupement d’organisations européennes vouées à la promotion et au financement de la recherche.

      « Aucune raison ne justifie un modèle d’affaires établi sur des abonnements à des publications scientifiques. À l’ère numérique, le libre accès augmente la portée et la visibilité de la recherche universitaire », précise le document signé par Marc Schiltz, président de Science Europe.

      Outre Paris et Londres, cette offensive est appuyée par les organismes subventionnaires des pays suivants : Suède, Norvège, Pays-Bas, Autriche, Irlande, Luxembourg, Italie, Pologne et Slovénie. Ces États, comme bien d’autres (dont le Québec et le Canada), en ont assez des coûts astronomiques des abonnements aux publications scientifiques comme Nature ou Science.

      Comme Le Devoir l’a rapporté au cours de l’été, les frais d’abonnement aux magazines scientifiques accaparent désormais 73 % des budgets d’acquisition des bibliothèques universitaires. Les cinq grands éditeurs publient à eux seuls plus de la moitié des articles savants dans le monde. Les abonnements à ces magazines coûtent tellement cher que certaines bibliothèques n’ont plus les moyens d’acheter des livres.

      L’offensive des pays européens contre ces tarifs jugés déraisonnables risque de faire mal aux géants de l’édition — notamment les groupes Elsevier, Springer Nature, John Wiley Sons, Taylor Francis et SAGE Publications — qui dominent le marché mondial.

      « Ce ne sera pas la mort demain de ces grands ensembles-là, mais cette campagne s’ajoute aux désabonnements [aux périodiques scientifiques] de beaucoup d’universités en réaction à la hausse des coûts d’abonnement », dit Vincent Larivière, professeur à l’École de bibliothéconomie et des sciences de l’information de l’Université de Montréal (UdeM). Il dirige la Chaire de recherche du Canada sur les transformations de la communication savante.

      Crise mondiale

      Les grandes revues comme Nature sont attrayantes pour les chercheurs. Ces magazines sont prestigieux. Ils sont lus, donc beaucoup cités. Et pour réussir en tant que professeur — être embauché, obtenir une promotion —, il faut être cité par ses pairs. C’est pour ça que les magazines scientifiques peuvent se permettre de facturer une fortune en abonnements aux bibliothèques universitaires.

      Les éditeurs scientifiques obtiennent pourtant leurs articles tout à fait gratuitement : les chercheurs ne sont pas payés par les magazines pour publier leurs travaux. Ça fait partie de leur tâche de professeur. Et les articles sont révisés bénévolement par des pairs. Plus troublant encore, un nombre croissant de revues scientifiques imposent des frais de 3000 $ ou 5000 $, par exemple, aux professeurs qui veulent que leurs articles soient en libre accès.

      Ce modèle d’affaires des revues savantes soulève un tollé partout dans le monde, rappelle Vincent Larivière. Le biologiste Randy Schekman, de l’Université de Californie, a même appelé au boycottage des magazines ayant publié ses travaux qui lui ont valu le prix Nobel. Il a fondé en 2012 son propre journal, eLife, qui publie ses articles en libre accès.

      Aux États-Unis, de puissants organismes comme la Fondation Bill Melinda Gates et les Instituts nationaux de santé (National Institutes of Health) exigent aussi que les recherches scientifiques qu’ils financent soient publiées en libre accès.

      https://www.ledevoir.com/societe/education/536595/offensive-europeenne-contre-les-geants-de-l-edition-scientifique

    • Négociations #SPRINGER : Arrêt de notre abonnement

      La bibliothèque vous avait informé au mois d’avril des négociations difficiles du #consortium_Couperin avec l’éditeur #SpringerNature au sujet des revues #Springer.

      Les #négociations se sont achevées la semaine dernière, et l’ENS de Lyon n’est pas satisfaite des dernières conditions proposées par l’éditeur. La #bibliothèque_Diderot de #Lyon ne renouvèlera donc pas son #abonnement aux revues Springer pour 2018-2020.

      Nous sommes conscients de la difficulté qu’occasionnerait la perte des abonnements aux revues Springer pour 2018.

      Néanmoins, nous conservons sur la plateforme Springer :

      • L’accès jusqu’en 2017 inclus aux 39 titres de notre abonnement historique, selon les termes du contrat précédent, pendant au moins deux ans et sans frais supplémentaires.
      • L’accès aux ressources acquises de manière définitive en Licences Nationales dans le cadre du projet istex : origine à 2014 pour les revues Springer.


      http://www.bibliotheque-diderot.fr/negociations-springer-arret-de-notre-abonnement-365193.kjsp?RH=
      #France

    • Que faut-il faire pour que la science soit plus ouverte ?

      « La France s’engage pour que les résultats de la recherche scientifique soient ouverts à tous, chercheurs, entreprises et citoyens, sans entrave, sans délai, sans payement. »

      La science ouverte est la diffusion sans entrave des publications et des données de la recherche. Elle s’appuie sur l’opportunité que représente la mutation numérique pour développer l’accès ouvert aux publications et -autant que possible- aux données de la recherche.

      https://www.ouvrirlascience.fr

    • #Plan_national_pour_la_science_ouverte : #discours de #Frédérique_Vidal

      Frédérique Vidal est intervenue sur la politique nationale de science ouverte au congrès annuel de la LIgue des Bibliothèques Européennes de Recherche (LIBER), mercredi 4 juillet au LILLIAD Learning center Innovation - Université de Lille à Villeneuve d’Ascq.

      http://www.enseignementsup-recherche.gouv.fr/cid132531/plan-national-pour-la-science-ouverte-discours-de-fre

    • Des #identifiants_ouverts pour la science ouverte

      La quasi-totalité de la production scientifique mondiale est désormais signalée, ou même mieux, rendue disponible sur le web. Des millions d’artefacts (publications, jeux de données, etc.) produits par autant d’auteurs ou de contributeurs affiliés à des centaines de milliers d’organisations sont désormais disponibles en ligne. L’exploitation de cette masse de données nécessite de pouvoir identifier chaque entité, de manière univoque et pérenne, grâce à des systèmes d’identifiants adaptés. De tels systèmes ont été développés au cours des années récentes, mais une partie d’entre eux sont encore en phase de consolidation ou même de développement. De plus, pour répondre aux objectifs de la science ouverte, il est nécessaire de s’assurer que ces #identifiants s’appuient sur une architecture ouverte, documentée, libre et qu’ils sont portés par et pour les communautés scientifiques.
      La présente note d’orientation a pour but de proposer une #action concertée à l’échelon national destinée à améliorer la structuration des identifiants les plus utiles, à accélérer leur adoption par les communautés, et à les rendre plus libres et pérennes afin de rendre l’accès à l’information scientifique plus aisé pour tous les chercheurs et les citoyens.


      https://www.ouvrirlascience.fr/wp-content/uploads/2019/07/2019.06.07-Note-orientation-Identifiants_pour_la_science_ouverte.pdf

      –-------

      Quatre actions distinctes ont été définies et sont menées en parallèle :

      1. « Identifiants de structures et d’organisations »

      2. « Identifiants de personnes »

      3. « Identifiants de publications »

      4. « Identifiants de données et d’objets numériques »

    • L’ANR finance le réseau #CO-OPERAS_IN dans le cadre de son appel à projet Science Ouverte sur les données de la recherche

      Le réseau de collaboration CO-OPERAS IN (#Implementation_Network), coordonné conjointement par la TGIR Huma-Num et l’université de Turin, a déposé une proposition de projet dans le cadre de l’appel à projets ANR science ouverte sur les pratiques de recherche et les données ouvertes. Cette proposition a été retenue et sera pilotée par #OpenEdition, illustrant ainsi la collaboration entre les deux infrastructures françaises.

      CO-OPERAS IN a pour objectif d’organiser et de superviser l’implémentation des données de la recherche en sciences humaines et sociales selon les principes de l’initiative #GO_FAIR (Findable, Accessible, Interoperable and Reusable) dans le cadre du développement de l’infrastructure européenne #OPERAS (Open access in the European research area through scholarly communication). Le projet est financé à hauteur de 100 000 € pour deux ans.

      Des données faciles à trouver, accessibles, interopérables et réutilisables pour la recherche en sciences humaines et sociales (SHS) : c’est l’enjeu de CO-OPERAS IN, qui vise à fédérer les services et les plateformes de communication savante existants et, plus largement, à impliquer la communauté SHS au niveau international.

      Regroupant 45 membres issus de 27 institutions et organismes de recherche européens et internationaux, ce réseau travaillera en étroite collaboration avec les autres réseaux internationaux de GO FAIR impliqués dans la construction du European Open Science Cloud (EOSC). Différents groupes de travail au sein de CO-OPERAS IN ont été définis dans le cadre de la feuille de route du réseau validée par GO FAIR.

      La réunion de lancement de CO-OPERAS IN le 1er juillet dernier a permis de structurer les activités et de débuter la réflexion sur la définition des données selon les disciplines SHS.

      Prochaine étape : le workshop “Defining FAIR in the SSH : issues, cultures and practical implementations” lors de l’Open Science Fair en septembre à Porto, qui permettra aux communautés SHS de définir leur propre feuille de route pour la « FAIRification » de leurs données.

      6 groupes de travail se structurent pour débuter leurs activités :

      - Stratégie
      - Définition des données FAIR en SHS
      - Enquêtes et cartographie
      - Cadre d’application
      - Perspectives de l’écosystème FAIR
      - Communication et formation.

      https://humanum.hypotheses.org/5461

    • Baromètre de la science ouverte : 41 % des publications scientifiques françaises sont en accès ouvert (Plan national pour la science ouverte)

      Le baromètre de la science ouverte est construit à partir de données ouvertes issues d’Unpaywall, base mondiale de métadonnées sur les publications scientifiques qui renseigne sur le statut d’ouverture des publications sur la base d’une méthodologie ouverte.

      Développé dans un premier temps uniquement sur les publications scientifiques, le baromètre propose d’analyser dans le temps, selon les disciplines et les éditeurs, parmi les publications dont au moins un auteur relève d’une affiliation française, la part des publications en accès ouvert, c’est-à-dire mises à disposition librement sur internet. La méthode, le code et les données sont également publiques.

      Dans sa première édition, le BSO montre que 41 % des 133 000 publications scientifiques françaises publiées en 2017 sont en accès ouvert, avec de fortes variations selon les disciplines. Ainsi, en mathématiques, le taux d’accès ouvert atteint 61 % alors qu’il n’est que de 43% en informatique ou encore de 31% en recherche médicale. Une note flash publiée par le ministère de l’Enseignement supérieur, de la Recherche et de l’innovation (MESRI) reprend en détail ces indicateurs ainsi que la méthodologie utilisée.

      https://www.enseignementsup-recherche.gouv.fr/cid146157/barometre-de-la-science-ouverte-41-des-publications-s
      #baromètre

    • Notes du Comité

      La mise en œuvre de la science ouverte nécessite la prise en compte de l’ensemble des processus et activités de recherche dans l’évaluation. Dans ce but, le document liste les types de documents et productions élaborés pendant le cycle de la recherche et leurs modes de diffusion ouverte ainsi que les types d’activités éligibles à une évaluation.

      Types de documents, productions et activités valorisées par la science ouverte et éligibles à une évaluation
      Comité pour la science ouverte, version 1, novembre 2019

      De nombreux acteurs s’accordent à dire que la mise en œuvre de la science ouverte nécessite la prise en compte de l’ensemble des processus et activités de recherche dans l’évaluation. Celle-ci concerne tout autant les publications que les projets de recherche, les personnes, les collectifs ou les institutions, et leurs interactions avec la société. Le Plan national pour la science ouverte souligne en particulier l’importance de prendre en compte une approche qualitative plutôt que quantitative et cite le manifeste de Leiden (Hicks & al., 2015) et la déclaration de San Francisco sur l’évaluation de la recherche (DORA, 2012). Même si des démarches similaires préexistaient au mouvement pour la science ouverte, ce dernier vise à les rendre visible, à les légitimer et à les pérenniser.

      Ces recommandations du Comité pour la science ouverte s’appuient sur celles de l’Open Science Platform Policy (OSPP) qui fédère les efforts et les stratégies de l’Union Européenne autour de 8 piliers prioritaires dont deux propres aux questions d’évaluation : l’incitation aux pratiques d’ouverture et à leur reconnaissance ; le déploiement d’une nouvelle génération d’indicateurs de la recherche. Dans ces recommandations, destinées à l’ensemble des institutions pilotant des systèmes d’évaluation, nous avons retenu deux dimensions essentielles qui sont au cœur de la science ouverte.

      1/ Le Comité pour la science ouverte encourage la valorisation des bonnes pratiques de science ouverte, en particulier celles qui incitent à la mise à disposition de l’ensemble des types de documents et plus largement de produits de la recherche, incluant mais ne se limitant pas aux données et aux publications. En effet, cette mise à disposition facilitera d’une part la pleine prise en compte de la diversité des contributions individuelles et collectives à la recherche, d’autre part incitera à la prise de connaissance du contenu de ces productions et à leur évaluation qualitative.

      2/ Le Comité pour la science ouverte soutient la reconnaissance de la gamme complète des activités de recherche, dans la pluralité des champs disciplinaires, par opposition à des dispositifs qui seraient uniquement centrés sur les publications scientifiques, voire sur une partie limitée d’entre elles ou sur des indicateurs qui en résultent (McKiernan & al., 2019). De même, il s’agit de renforcer la reconnaissance des nouvelles configurations des formes de savoirs, pluridisciplinaires, et notamment de science citoyenne.

      Pour ce faire, sont distinguées dans ce qui suit :

      17 types de produits et documents ; tableau 1 : « Types de documents et productions élaborés au sein de l’ensemble du cycle de la recherche et leurs modes de diffusion ouverte »,
      12 types d’activités ; tableau 2 : « Types d’activités valorisées par la science ouverte et éligibles à une évaluation ». Les activités du tableau 2 peuvent donner lieu à de la production documentaire, et dans ce cas, elle relève des recommandations du tableau 1.

      Dans le respect des principes légaux et réglementaires encadrant l’ouverture et la diffusion des résultats et données de recherche, nous recommandons de suivre le principe « aussi ouvert que possible, aussi fermé que nécessaire ».

      Les documents et productions visés au tableau 1 ne peuvent être considérés comme pleinement ouverts que s’ils sont rendus publics sous les conditions d’une licence dite libre ou ouverte. En effet, un objet diffusé sans licence est certes consultable par les tiers, ce qui constitue une forme minimale d’ouverture, mais ses modalités de réutilisation ne sont pas connues. Le choix final de la licence appartient à ceux qui rendent publics leur production, dans le respect du décret n° 2017-638 (Premier Ministre, 2017) [1].)).

      Au-delà d’une licence, les dispositifs de publication, d’hébergement et d’archivage des documents et productions ont vocation à se conformer aux critères d’exemplarité, définis par le Comité pour la Science ouverte (2019).

      Le Comité pour la science ouverte recommande à toutes les instances et institutions ayant des activités d’évaluation de discuter, diffuser et d’adapter ces bonnes pratiques à leur contexte. Cela inclut notamment les organismes de financement de la recherche, les instances de publication et d’évaluation. Les communautés et institutions demeurent souveraines dans leurs adaptations de ces recommandations, notamment dans l’agrégation, la qualification et la hiérarchisation des types de productions et documents. Le Comité pour la science ouverte attend une transparence de ces opérations, et notamment la justification des raisons pour lesquelles certaines productions ou activités ne seraient pas pris en compte dans leurs évaluations.
      Contact

      Ce document a vocation à être enrichi et mis à jour. Pour le commenter, écrivez à coso@recherche.gouv.fr
      Bibliographie citée et documents utilisés

      Comité pour la Science ouverte (2019). Critères d’exemplarité en vue de financements par le Fonds national pour la science ouverte via les plateformes, infrastructures et contenus éditoriaux. Disponible sur : https://www.ouvrirlascience.fr/criteres-dexemplarite-financements-fonds-national-science-ouverte

      Commission européenne (2017). Evaluation of Research Careers fully acknowledging Open Science Practices Rewards, incentives and/or recognition for researchers practicing Open Science, 2017. Disponible sur : https://ec.europa.eu/research/openscience/pdf/ospp_rewards_wg03112017.pdf

      DORA (2012). San Francisco Declaration on Research Assessment. Disponible sur : https://sfdora.org/read

      HCERES, Guides des produits de la recherche, 2019. Disponible sur : https://www.hceres.fr/fr/guides-des-produits-de-la-recherche-et-activites-de-recherche-0

      Hicks, D., Wouters, P., Waltman, L., de Rijcke, S., & Rafols, I. (2015). The Leiden Manifesto for research metrics. Nature, 520, pp. 429-431. Disponible sur : http://www.leidenmanifesto.org

      McKiernan EC, Schimanski LA, Muñoz Nieves C, Matthias L, Niles MT, Alperin JP. (2019). Use of the Journal Impact Factor in academic review, promotion, and tenure evaluations. PeerJ Preprints DOI : 10.7287/peerj.preprints.27638v2

      Premier Ministre (2017). Décret n° 2017-638 du 27 avril 2017 relatif aux licences de réutilisation à titre gratuit des informations publiques et aux modalités de leur homologation, JORF n°0100 du 28 avril 2017. Disponible sur : https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000034502557&categorieLien=id

      Bibliographie indicative pour aller plus loin

      European Commission. (2016). Evaluation of Research Careers fully acknowledging Open Science practices. Disponible sur : https://ec.europa.eu/research/openscience/pdf/os_rewards_wgreport_final.pdf

      Krzton, A. (2019). Support Scholars Who Share : Combating the Mismatch between Openness Policies and Professional Rewards. In ACRL 2019 (pp. 578–586). ACRL. Disponible sur : http://aurora.auburn.edu/handle/11200/49374

      Nichols, D. M., Twidale, M. B., (2017). Metrics for Openness. JASIST 68 (4), 1048–1060.
      Disponible sur : https://researchcommons.waikato.ac.nz/bitstream/handle/10289/10842/nichols-metrics-openness-jasist.pdf

      Turckheim, E. de, Legouy, É. L., & Leclerc, L.-A. (2016). EREFIN Groupe de travail inter-établissements sur l’évaluation de la recherche finalisée. Rapport. Disponible sur : https://prodinra.inra.fr/?locale=fr#!ConsultNotice:352302

      Wynne, R. (2019). Using ORCID to Re-imagine Research Attribution. Disponible sur : https://orcid.org/blog/2019/07/25/using-orcid-re-imagine-research-attribution

      https://www.ouvrirlascience.fr/types-de-documents-productions-et-activites-valorisees-par-la-scienc

    • swissuniversities et Elsevier concluent un accord pilote #Read&Publish

      swissuniversities a conclu un nouvel accord pilote de transformation avec Elsevier pour l’accès à la recherche et la publication en Open Acess en Suisse.

      L’#accord est le résultat de négociations organisées par le #Consortium_des_bibliothèques_universitaires_suisses (#CSAL) et Elsevier, une entreprise d’analyse d’informations spécialisée dans les domaines de la science et de la santé. Yves Flückiger, Président de swissuniversities et chef de l’équipe de négociation, a déclaré : « Nous nous sommes engagés à réaliser l’Open Access complet au plus tard en 2024, et cet accord est une étape importante en vue d’atteindre cet objectif. »

      Par conséquent, toutes les institutions membres de swissuniversities et les autres institutions membres du Consortium CSAL, de même que leurs chercheurs affiliés en Suisse auront un accès continu à Freedom Collection et ScienceDirect, la plate-forme leader d’Elsevier consacrée à la littérature scientifique revue par les pairs. Par le biais de ScienceDirect, les chercheurs affiliés aux institutions membres du Consortium CSAL peuvent accéder à 16 millions de publications provenant de plus de 2500 revues publiées par Elsevier et ses sociétés partenaires. Par ailleurs, ils seront en mesure de publier en Open Access de la majorité des revues gold et hybrid pour atteindre 100% en 2023.

      Il s’agit là d’une étape décisive dans la stratégie Open Access de swissuniversities, qui a pour objectif d’atteindre 100% d’Open Access au plus tard en 2024. Cet accord sur quatre ans conclu par le CSAL est le premier signé avec un éditeur majeur sur le plan national et il va soutenir toutes les institutions académiques et de recherche en Suisse dans leur transition vers l’Open Access.

      Cet accord a été publié et est disponible sur la page d’accueil du Consortium des bibliothèques universitaires suisses : https://consortium.ch/wp_live/wp-content/uploads/2020/05/Elsevier_agreement_2020-2023.pdf

      Vous trouverez plus d’informations au sujet de la portée de l’accord pilote sur www.elsevier.com.

      https://www.swissuniversities.ch/fr/actualite/communiques-de-presse/swissuniversities-et-elsevier-concluent-un-accord-pilote-readpubli

    • « L’argent public doit aller à la recherche, pas aux éditeurs »

      La signature fin mai d’un accord pilote entre swissuniversities et l’éditeur Elsevier marque une nouvelle étape dans la stratégie nationale suisse sur l’open access. Son objectif : que la totalité des publications scientifiques financées par des fonds publics soient en accès libre en 2024

      Le 26 mai, swissuniversities annonçait la signature d’un accord Read & Publish avec l’éditeur Elsevier, valable dès janvier et pour une durée de quatre ans (2020-2023). L’accès aux publications scientifiques est ainsi garanti et les chercheurs et chercheuses de la communauté académique suisse ne paieront plus de frais de publication chez cet éditeur (à l’exception de certains titres). Cet accord est le premier résultat de longues négociations initiées en 2018 avec les principaux éditeurs scientifiques – Elsevier, Springer Nature et Wiley –, dans le cadre de la stratégie nationale suisse sur l’open access.

      Président de swissuniversities, le recteur de l’UNIGE, Yves Flückiger, a mené ces discussions pour la Suisse. Il explique : « Chaque année, les dépenses annuelles pour les abonnements aux revues scientifiques augmentaient de 3% à 5%, sans véritable hausse des prestations. Ce coût n’était plus supportable pour les universités, en Suisse comme ailleurs. Pour mettre fin à cette croissance et pour développer la publication en open access, l’Allemagne s’est très rapidement profilée sur le chemin des négociations, suivie par les pays du nord de l’Europe, puis par la Suisse. »

      Une position dominante à combattre

      La signature de cet accord, longuement négocié avec Elsevier, réjouit le président de swissuniversities : « L’argent public devient rare et il doit être utilisé le plus efficacement possible, pour favoriser la recherche et non pas pour soutenir les éditeurs. Maintenant qu’une impulsion a été donnée avec un premier grand éditeur, les autres vont suivre, ce qui devrait nous mener vers l’open access intégral en 2024. » Un accord avec Springer Nature est d’ailleurs à bout touchant – des points de détail restent encore à régler – et celui avec Wiley devrait être signé cette année encore, promet le négociateur. « Dans ce bras de fer avec les éditeurs, nous étions prêts à ce que les chercheurs et chercheuses suisses soient coupées de l’accès à ces revues pourtant essentielles. C’était un pari risqué, mais il n’y a pas eu de levée de boucliers de la communauté académique. Ma plus grande crainte était qu’une institution décide de négocier individuellement pour garantir ce service à ses membres, mais personne n’a fait cavalier seul. Notre position unanime et soudée a été décisive. L’accord, d’un montant global de 13,8 millions d’euros, couvre la publication, en 2020, de 2850 articles en open access, un nombre qui ne cessera de croître par la suite pour atteindre 100% en 2024 pour toute la communauté académique suisse. Il s’agit maintenant d’encourager les chercheurs et chercheuses qui publient chez Elsevier à le faire en Open Access. »

      Si de nombreux observateurs ont longtemps déploré la position de force détenue par certains grands éditeurs grâce à quelques revues clés dans lesquelles tout le monde souhaite être publié, Yves Flückiger souligne également la responsabilité des universités dans la constitution de ce quasi-monopole. « La manière d’évaluer les dossiers des jeunes chercheurs et chercheuses doit aujourd’hui être revue, explique le recteur. Il faut sortir du côté métrique des facteurs d’impact des revues, en utilisant d’autres dimensions pour évaluer la qualité de la recherche. »

      Négocier à l’échelle européenne

      Par ailleurs, les universités ont beaucoup insisté pour rendre ces accords transparents, un élément qui reste toutefois délicat pour des éditeurs habitués à imposer une clause de confidentialité. Mais le recteur observe de plus en plus d’échanges d’informations entre les consortiums de négociation en Europe. « Si l’on pouvait négocier à l’échelle européenne, la Suisse serait probablement l’un des grands gagnants de l’opération, car les coûts de publication (Article Processing Charges (APC)) ne sont actuellement pas identiques pour chaque pays », précise Yves Flückiger.

      https://www.unige.ch/lejournal/ejournal/ejournal-08/negociations-editeurs

  • La cléricalisation des pays de l’Est Nina Sankari - 24 Mar 2018 - Investig’Action
    https://www.investigaction.net/fr/la-clericalisation-des-pays-de-lest

    Il y a bientôt 30 ans, en 1989, un grand bouleversement est intervenu en Europe de l’Est. Les régimes dits communistes des pays de l’Europe de l’Est sont tombés comme des dominos et la fameuse transition a commencé. Les peuples de ces pays avaient réclamé la liberté, la démocratie et l’amélioration des conditions de la vie. Ils ont obtenu des élections libres et le pluralisme politique. En promo-bonus, ils ont reçu le capitalisme le plus rapace, qui limite l’accès pratique aux libertés démocratiques. Un autre facteur aggravant la vie des gens de la région, c’est le renversement des relations entre les Églises et l’État.
    Remarques préliminaires
    J’utilise des informations trouvées dans des publications diverses comme : articles, rapports et analyses en provenance aussi bien de centres académiques comme Research Gate ou Academia et de différents sites gouvernementaux ou spécialisés dans ces thématiques que de sites des ONG etc. L’information ne manque pas. Mais si on regarde de plus près, on peut noter certains déficits :
    1. La plupart des informations sont fournies par les institutions et centres religieux représentant un intérêt religieux.
    2. Même les sources qui se disent neutres ou objectives sont souvent financées par des institutions favorisant la religion (ex. PEW Research Centre) et par conséquent l’objectivité de leurs publications est discutable.
    3. Les deux groupes de sources analysent volontiers la religiosité des populations (quelle que soit la fiabilité des statistiques présentées), mais les politiques concrètes des États qui sont à l’origine du processus de cléricalisation sont absentes de l’analyse.
    4. Il est extrêmement difficile de trouver des chiffres sur le financement des Églises par des États.

    Dans cette situation, pour présenter le processus de cléricalisation des pays de l’Est, j’ai choisi des critères d’analyse suivants :
    1. Le passé clérical « pré-communiste » comme facteur facilitant la cléricalisation.
    2. Les relations Église – État actuelles dans les lois : Constitution, Concordat, loi sur l’éducation, sur le financement de l’Église par l’État et loi blasphème.
    3. Les droits reproductifs des femmes.
    En face d’un nombre écrasant de publications représentant la voix religieuse, je salue l’œuvre de l’IRELP qui apparaît comme une rare organisation à mener la recherche dans le camp opposé à la cléricalisation des pays de l’Europe et du monde.

    Les Églises – les vrais vainqueurs de la transition qu’on a appelée « démocratique »
    Il y a bientôt 30 ans, en 1989, un grand bouleversement est intervenu en Europe de l’Est. Les régimes dits communistes des pays de l’Europe de l’Est sont tombés comme des dominos et la fameuse transition a commencé. Les peuples de ces pays avaient réclamé la liberté, la démocratie et l’amélioration des conditions de la vie. Ils ont obtenu des élections libres et le pluralisme politique. En promo-bonus, ils ont reçu le capitalisme le plus rapace, qui limite l’accès pratique aux libertés démocratiques.

    Un autre facteur aggravant la vie des gens de la région, c’est le renversement des relations entre les Églises et l’État. Les pays déclarés athées, avec des institutions religieuses dominées autrefois par l’État, sont entrés sur la voie de la cléricalisation de la vie politique, socio-économique et culturelle. Cette cléricalisation se réalise dans tous ces pays par l’alliance du trône et de l’autel, une alliance entre l’institution religieuse dominante du pays et la droite (aussi bien conservatrice que populiste). Ce n’était pas ce que beaucoup d’habitants de la région avaient espéré. Le rôle accru de l’Église détruisant dès le début les libertés démocratiques (liberté de conscience, de parole, d’expression dans les medias, l’art et la science) et les droits humains, les droits des femmes en première place.

    La reconstruction du modèle clérico-national ou #national-fasciste
    Dans tous les pays de la région, les attaques des institutions religieuses contre le modèle laïque se multiplient, quelle que soit la religion imposée. L’Église catholique, très active dans la de-sécularisation de la région, est le vrai vainqueur de ce changement et on pourrait lui attribuer un rôle dans la modification de la carte de l’#Europe. Il faut noter aussi un effort constant de la part des autorités religieuses de lier la religion au nationalisme (appelé #patriotisme).
    L’Église catholique y excelle particulièrement bien. Un bon Polonais (Slovaque, Croate, Hongrois ou Slovène) c’est un bon catholique. Par contre, un #athée est un traître à la patrie. « Un Polonais c’est un catholique, l’exception, c’est un juif », disait déjà au début des années 90 le #cardinal_Glemp. La deuxième partie de cette constatation semble d’ailleurs ne plus être d’actualité. Ne parlons pas des athées, mais que sont alors les #protestants, les #orthodoxes, les #musulmans (descendants des Tartars vivant en Pologne depuis des siècles) ? En cherchant leur identité dans le passé de « l’indépendance » de l’ère pré-communiste, les pays de la région la trouvent souvent dans le passé fasciste. Par exemple dans la Slovaquie du Père Tiso, en Roumanie sous la Garde de fer, dans la Croatie de Pavelic ou dans la Hongrie d’Horthy.

    Pour illustrer cette thèse, prenons l’exemple de la Slovaquie et de son divorce « de velours » avec la Tchéquie. Pendant sa visite, un an avant l’accession de la Slovaquie à l’Union européenne, le pape Jean-Paul II a dit : « Dans un proche avenir, votre pays deviendra membre à part entière de la Communauté européenne. Chers et bien aimés, apportez à la construction de la nouvelle identité de l’Europe la contribution de votre riche tradition chrétienne ! » Appelant les Slovaques à être les soldats de la « bataille pour l’âme de l’Europe », il les a invités à aider à « ré-évangéliser un continent laïc à partir de l’Est ». Mais pour cela, le Vatican avait besoin de séparer la #Slovaquie de son partenaire moins favorable à la cléricalisation – la #Tchéquie fortement athéisée. Après la « révolution de velours » à la fin de 1989, la Slovaquie était à la recherche de son passé en tant que nation indépendante. Elle l’a trouvé : l’État slovaque fasciste de 1939-1945 du Père Tiso. 

    De même en #Croatie, où la mobilisation nationale-catholique tout au long des années 90 était énorme et continue à l’être aujourd’hui, même si elle se concentre sur d’autres sujets (lutte contre les droits des femmes, droits des personnes #LGBTQ, éducation laïque etc.), cette mobilisation supposait l’écriture d’une nouvelle version de l’histoire de la Seconde Guerre mondiale (comme d’ailleurs dans d’autres pays de la région), réhabilitant les #oustachis comme des « patriotes » anticommunistes. De nouveau, ce phénomène trouvera l’appui de #Jean-Paul-II dont les voyages apostoliques en Croatie provoqueront une euphorie catholico-patriotique, surtout son voyage de 1988, marqué par la béatification de Mgr Alojzije Stepinac, l’Archevêque de Zagreb durant la Seconde Guerre mondiale. Toutefois, le processus de sa canonisation a été arrêté suite à de nombreuses protestations, dont celle des intellectuels et celle de l’Église orthodoxe serbe qui s’est opposée avec virulence à la canonisation de #Stepinac considéré par les Serbes comme un criminel de guerre impliqué dans le régime fasciste des Oustachis.

    En Pologne, la situation historique est différente, étant donné que les autorités pendant la période de la Sanacja (gouvernement d’« assainissement » national de Pilsudski) ont réussi à délégaliser le Camp national radical fasciste en 1934 et à le détruire avant la Seconde Guerre mondiale. Néanmoins, la Pologne réécrit son histoire aussi, en glorifiant les « soldats maudits » comme des héros nationaux (soldats d’extrême droite qui vont combattre les Allemands et les Soviétiques). À partir de l’année 2011, le 1er mars est devenu une fête nationale en #Pologne, pour célébrer le souvenir des soldats de cette résistance clandestine anticommuniste. Cependant, ce souvenir oublie la brutalité inouïe avec laquelle ils ont tué des milliers d’hommes et de femmes, et des centaines d’enfants. Beaucoup d’entre eux ont eu le seul malheur d’être juifs, biélorussiens, ukrainiens ou slovaques. L’Église polonaise participe aux messes célébrées à leur intention. Et le bras de fer du nationalisme catholique polonais, le Camp national radical, délégalisé en 1934 par Pilsudski, a été à nouveau légalisé au nom de la démocratie en 2002.

    Relations Église – État dans les pays “post-communistes”
    Aujourd’hui, le niveau d’ingérence religieuse dans la sphère publique diffère selon le pays, la Pologne étant le leader indiscutable de la cléricalisation, un pays où l’Eglise catholique domine l’État. Par contre, la République tchèque est un vrai « cancre » car la population y reste majoritairement athée (Tableau 1)
    Tableau 1 : Relations Église – État dans les pays “post-communistes” membres de l’UE


    Slovaquie : Traité sur la clause de conscience rejeté

    Si on regarde la première colonne, tous les pays « ex-communistes » (à l’exception de la Pologne) ont la séparation de(s) Église(s) et de l’État ou la « laïcité » (le sécularisme) ou la neutralité qui sont inscrites dans la Constitution. En ce qui concerne la Pologne, les évêques polonais se sont opposés à ce que le terme “séparation” ou “laïcité” ou “neutralité de l’État” soient inscrits dans la #Constitution de 1997. Il a été remplacé par le terme d’autonomie mutuelle, ce qui ne peut être interprété autrement que la perte par l’État de sa souveraineté, réduite désormais à l’autonomie. Mais il serait faux de penser que dans tous les autres cas, la Constitution garantit le caractère laïque ou neutre de l’État. Par exemple, en Lituanie, la Constitution parle du caractère laïc de l’éducation publique uniquement (ce qui n’empêche pas d’avoir des cours de religion à l’école). La Slovaquie ou la Slovénie ont le sécularisme inscrit dans la Constitution, mais cela ne les empêche pas non plus d’organiser des cours de religion à l’école publique ou de financer les Églises.

    Ce qui compte le plus, c’est la colonne 4 sur le concordat. Parce que si le concordat (ou les concordats ou autres accords avec le Vatican) est signé, le caractère laïque de l’État, même formellement déclaré dans la Constitution, devient une constatation dépourvue de sens. Et parmi tous les États « ex-communistes » membres de l’UE, seule la Tchéquie n’a pas signé un tel accord et n’a toujours pas réglé la question des restitutions de nombreux biens ecclésiastiques confisqués par le régime précédent. En 2002, Prague a signé un tel accord avec le Vatican mais cet accord a été rejeté par le Parlement, la pomme de discorde reste toujours le problème des restitutions des biens de l’Église. L’ex-dissident et président à l’époque, Vaclav Havel, s’en est plaint : quarante ans de communisme et vingt ans de consumérisme ultralibéral ont fait de ce pays “la première société réellement athée sans ancrage moral”.

    Et c’est là en partie que réside le problème de la cléricalisation galopante dans les pays de l’Est. Elle se fait avec le consentement des élites politiques et intellectuelles, le plus souvent de droite mais de gauche aussi. Dans les années 90, on voyait tous les jours le Premier Ministre polonais Oleksy, dirigeant de l’Alliance de la Gauche Démocratique, agenouillé inlassablement à l’église et le Président Aleksander Kwaśniewski légitimait son pouvoir en se promenant avec Jean Paul II dans sa papamobile. L’icône de l’opposition démocratique en Pologne, Adam Michnik, affirmait à plusieurs reprises dans ses longs articles qu’il n’y a pas d’autre morale pour un Polonais que la morale catholique. Une autre icône, le professeur Karol Modzelewski a refusé de signer la liste des athées et #agnostiques en Pologne (montrer le support à un coming out est difficile) par obligation de « défendre la substance de la science en Pologne ». Les intellectuels polonais n’ont pas eu ce réflexe de leurs collègues croates de protester contre la glorification de bourreaux des Soldats Maudits. Ce n’est que maintenant que les élites polonaises se réveillent quand le pouvoir autocratique pour lequel ils ont pavé le chemin menace leur position.

    Les femmes – les grandes perdantes de la transformation
    En général, dans les pays de l’Est au début de la transformation démocratique, les femmes disposaient librement de leur corps. L’IVG, à l’exception de la Roumanie, était légal et gratuit. Due à un niveau technologique bas, la contraception a été succincte mais accessible. Dans certains pays il y avait des cours d’éducation sexuelle à l’école. Sous pression des institutions religieuses, leurs droits se trouvent attaqués ou détruits. Le droit à l’IVG étant un critère symbolique du droit de la femme à l’autodétermination, le tableau 2 montre la situation de l’IVG dans les pays « #ex-communistes ». 

    Si dans la plupart de pays de l’Est membres de l’UE, à l’exception de Pologne, l’IVG reste légale, les tentatives d’y restreindre l’accès se multiplient dans tous les pays. Cela concerne même la Roumanie, le seul pays de ce groupe où les femmes ont gagné les droits reproductifs après la chute du régime de Ceaușescu. Des restrictions se font souvent par la barrière économique (ex. Estonie) ou l’IVG, donc l’avortement à la demande, de la femme est légal mais coûte cher. Dans la plupart des pays il y des restrictions pour les mineures qui doivent se présenter avec leurs parents. Un autre problème concerne l’instauration de consultations médicales obligatoires pour recevoir l’autorisation. Les tentatives les plus graves visant à restreindre ou détruire ce droit viennent de l’Église catholique (Slovaquie, Lituanie, Croatie, Slovénie). La Pologne constitue un exemple #morbide d’un pays où l’Église traite les droits des femmes comme son #butin_de_guerre et où l’IVG est interdit. Mais même dans les cas prévus par la loi (danger pour la vie et la santé de la mère, du #fœtus et en cas d’un rapport sexuel criminel), on refuse dans les faits aux femmes la possibilité de pratiquer l’avortement. Seuls les projets visant à restreindre encore plus ou à interdire complètement l’avortement sont pris en considération par le Parlement actuel. Le leader du parti Droit et Justice est allé jusqu’à exiger qu’une femme porte une grossesse avec l’enfant non-viable juste pour pouvoir le baptiser.

    Table 2. L’avortement dans les pays “post-communistes” membres de l’UE

    Conclusions
    La chute du mur de Berlin a eu de multiples conséquences, entre autre, la disparition du monde bipolaire. Comme le camp « ex-communiste » était, du moins en théorie, basé sur la philosophie matérialiste et formellement dirigé par des athées qui voyaient – à juste titre – les institutions religieuses comme des ennemis du système, celles-là ont pris leur revanche après le changement dit démocratique. Mais les institutions religieuses, par définition antidémocratiques et alliées à la droite conservatrice, n’ont pu que cheminer vers la destruction des libertés civiles, des droits humains et le démontage de la démocratie. L’intelligentsia de la région, désireuse de devenir la classe moyenne, a abandonné les peuples et trahi les femmes, en pavant le chemin aux régimes non démocratiques ou d’une démocratie “illibérale” (terme inventé par Orban). Le processus de la désécularisation et de cléricalisation successive menace non seulement cette région mais en fait l’Europe entière. L’éducation soumise à la pression religieuse vise à produire des citoyens et citoyennes incapables de développer une pensée critique. Une solidarité internationale des libres penseurs s’impose plus que jamais pour pouvoir contrer les politiques liberticides. Nous avons aussi besoin de renforcer notre efficacité concernant l’augmentation de nos capacités à mener des recherches, produire des analyses et les promouvoir.
     
    Conférence de Nina Sankari à l’IRELP (Institut de Recherche La Libre Pensée) http://www.irelp.fr

    #église #Athéïsme #état #liberté #Démocratie #capitalisme #religiosité #statistiques #cléricalisation #pré-communisme #post-communisme #Education #Constitution #Concordat #blasphème
    #femmes #féminisme #sexisme #racisme #culture_du_viol #travail #viol #violence #histoire #droits_des_femmes #avortement #ivg #misogynie #union_européenne #pape #mur_de_berlin

  • 21 degrés de liberté – 09
    https://framablog.org/2018/03/12/21-degres-de-liberte-09

    Lire le journal tranquillement et parcourir des articles ne regardait que nous et sûrement pas le gouvernement. Aujourd’hui il en va tout autrement lorsque nous lisons les informations… Voici déjà le 9e article de la série écrite par Rick Falkvinge. … Lire la suite­­

    #21_degrés_de_liberté #Internet_et_société #Libertés_Numériques #Analogique #espionnage #Gouvernements #Information #Nouvelles #numerique #pre-crime #prédiction #ViePrivee

  • Nearly 13,000 migrants and refugees registered at Moria camp in 2017

    A total of 12,726 migrants and refugees, hailing form 64 countries in the Middle East, Asia, Africa, South America and even the Caribbean, were registered at the official processing center on Lesvos last year.

    According to official figures from the hot spot at Moria on the eastern Aegean island, 40 percent of the arrivals processed at the center were men, 24 percent were women and 36 percent were minors.

    In terms of ethnicities, the Moria camp processed 5,281 Syrians, 2,184 Afghans and 1,800 Iraqis. It also received 826 people from Congo, 352 from Cameroon, 341 from Iran and 282 from Algeria. The remaining 1,660 asylum seekers came from 57 other countries, the data showed.


    http://www.ekathimerini.com/225403/article/ekathimerini/news/nearly-13000-migrants-and-refugees-registered-at-moria-camp-in-2017
    #statistiques #chiffres #arrivées #Grèce #Moria #Lesbos #hotspots #asile #migrations #réfugiés
    cc @isskein

    • MSF : des enfants tentent de se suicider dans le camp de Moria en Grèce

      Le camp de réfugiés de Moria sur l’île grecque de Lesbos a été à plusieurs reprises au centre de la crise migratoire européenne, mais les conditions de vie désastreuses semblent s’être encore détériorées. Luca Fontana, co-coordinateur des opérations de Médecins sans frontières (MSF) sur l’île, raconte notamment à InfoMigrants le désespoir des jeunes demandeurs d’asile.

      #Surpeuplement. #Violence. #Saleté. Ce ne sont là que quelques-uns des mots utilisés pour décrire le camp de migrants de Moria, en Grèce, à Lesbos. Dans une interview accordée à InfoMigrants, Luca Fontana, le co-coordinateur des opérations sur l’île pour MSF, a déclaré que des enfants y tentent même de mettre fin à leurs jours. « Il y a des enfants qui essaient de se faire du mal ainsi que des enfants qui ne peuvent pas dormir à cause d’idées suicidaires », explique-t-il. Ces enfants sont souvent traumatisés par les conflits qu’ils ont connus dans leur pays d’origine. Et les mauvaises conditions de vie dans le camp de Moria, qu’il décrit comme une « jungle », ne font qu’aggraver leur situation.

      Manque d’#accès_aux_soins de santé mentale

      « Nous dirigeons un programme de santé mentale pour les #enfants, avec des groupes de thérapie et des consultations pour les cas les plus graves », raconte-t-il. « Mais le problème est qu’il n’y a pas de psychologue ou de psychiatre pour enfants sur l’île : ils n’ont donc pas accès aux soins médicaux parce qu’ils ne sont pas transférés à Athènes pour y recevoir des soins spécialisés. »

      La clinique de santé mentale de MSF est située à #Mytilene, la capitale de Lesbos, et l’organisation est la seule ONG qui fournit des soins psychologiques à la population migrante de l’île. A la clinique, les enfants dessinent pour exorciser les traumatismes qu’ils ont subis dans leur pays, pendant l’exil ou en Europe.

      Les demandeurs d’asile sur l’île ont fui la Syrie, l’Afghanistan, l’Irak, le Soudan et le Congo, des pays où la guerre est souvent une réalité quotidienne.

      Bien qu’il y ait eu des tentatives de suicide, aucune n’a abouti, précise Luca Fontana.

      Les temps d’attente pour les services de base sont longs, les conditions de vie « horribles »

      Les migrants doivent attendre longtemps avant d’obtenir des #soins médicaux, car le camp est surpeuplé. La capacité d’accueil est de 3 000 personnes, mais ils sont plus du triple, dont beaucoup vivent dans des tentes. Surtout, près de 3 000 occupants sont des enfants.

      A Moria, il y a très peu de #toilettes - environ 1 toilette pour 50 à 60 personnes. Les migrants reçoivent trois repas par jour, mais l’attente est longue. « Ils faut parfois attendre trois heures par repas. Les gens doivent se battre pour la nourriture et les services médicaux. »

      En juillet, MSF a lancé sur son site web plusieurs demandes d’aide urgentes. L’ONG souhaite que les personnes vulnérables soient déplacées vers des logements plus sûrs, pour « décongestionner le camp ».

      http://www.infomigrants.net/fr/post/11769/msf-des-enfants-tentent-de-se-suicider-dans-le-camp-de-moria-en-grece
      #suicides #santé_mentale #tentative_de_suicide

    • Réaction de Vicky Skoumbi via la mailing-list Migreurop (11.09.2018):

      En effet le camp de Moria est plus que surpeuplé, avec 8.750 résidents actuellement pour à peine 3.000 places, chiffre assez large car selon d’autres estimations la capacité d’accueil du camp ne dépasse pas les 2.100 places. Selon le Journal de Rédacteurs,(Efimerida ton Syntakton)
      http://www.efsyn.gr/arthro/30-meres-prothesmia
      Il y a déjà une liste de 1.500 personnes qui auraient dû être transférés au continent, à titre de vulnérabilité ou comme ayant droit à l’asile,mais ils restent coincés là faute de place aux structures d’accueil sur la Grèce continentale. Les trois derniers jours 500 nouveaux arrivants se sont ajoutés à la population du camp. La plan de décongestionn du camp du Ministère de l’immigration est rendu caduc par les arrivées massives pendant l’été.
      La situation sanitaire y est effrayante avec des eaux usées qui coulent à ciel ouvert au milieu du camp, avant de rejoindre un torrent qui débouche à la mer. Le dernier rapport du service sanitaire, qui juge le lieu impropre et constituant un danger pour la santé publique et l ’ environnement, constate non seulement le surpeuplement, mais aussi la présence des eaux stagnantes, des véritables viviers pour toute sorte d’insectes et de rongeurs et bien sûr l’absence d’un nombre proportionnel à la population de structures sanitaires. En s’appuyant sur ce rapport, la présidente de la région menace de fermer le camp si des mesures nécessaires pour la reconstruction du réseau d’eaux usées ne sont pas prises d’ici 30 jours. Le geste de la présidente de la Région est tout sauf humanitaire, et il s’inscrit très probablement dans une agenda xénophobe, d’autant plus qu’elle ne propose aucune solution alternative pour l’hébergement de 9,000 personnes actuellement à Moria. N’empêche les problèmes sanitaires sont énormes et bien réels, le surpeuplement aussi, et les conditions de vie si effrayantes qu’on dirait qu’elles ont une fonction punitive. Rendons- leur la vie impossible pour qu’ils ne pensent plus venir en Europe...

    • La prison dans la #prison_dans_la_prison : le centre de détention du camp de Moria

      Nous proposons ici une traduction d’un article publié initialement en anglais sur le site Deportation Monitoring Aegean (http://dm-aegean.bordermonitoring.eu/2018/09/23/the-prison-within-the-prison-within-the-prison-the-detent) le 23 septembre 2018. Alors que la Commission européenne et les principaux États membres de l’Union européenne souhaitent l’implantation de nouveaux centres de tri dans et hors de l’Europe, il semble important de revenir sur le système coercitif des #hotspots mis en place depuis deux ans et demi maintenant.

      Depuis la signature de l’accord UE-Turquie le 18 mars 2016, il est interdit aux migrants arrivant de Turquie sur les îles grecques – sur le sol de l’UE – de voyager librement à l’intérieur de la Grèce. Leur mouvement est limité aux petites îles de Lesbos, Chios, Leros, Samos ou Kos où se trouvent les hotspots européens. Certaines personnes ont été contraintes de rester dans ces « prisons à ciel ouvert » pour des périodes allant jusqu’à deux ans dans l’attente de la décision concernant leur demande d’asile. De nombreux migrants n’ont d’autres possibilités que de vivre dans les hotspots européens tels que le camp de Moria sur l’île de Lesbos pendant toute leur procédure d’asile. Tandis que l’apparence des fils de fer barbelés et les portes sécurisées donnent aux camps une apparence de prison, la majorité des migrants est en mesure de passer librement par les entrées sécurisées par la police du camp. Après leur enregistrement complet, les demandeurs d’asile sont techniquement autorisés à vivre en dehors du camp, ce qui n’est cependant pratiquement pas possible, principalement en raison du nombre limité de logements et de la possibilité de payer des loyers.

      Certaines personnes ne sont pas seulement obligées de rester sur une île dans un #camp, mais sont également détenues dans des centres de détention. À Lesbos, par exemple, les nouveaux arrivants sont régulièrement détenus à court terme au cours de leur procédure d’enregistrement dans un camp spécial du camp de Moria. En outre, ce camp dispose également d’une prison, appelée “#centre_de_pré-renvoi” (« #pre-removal_centre ») située dans l’enceinte du camp. Il s’agit d’une zone hautement sécurisée qui contient actuellement environ 200 personnes, avec une capacité officielle de détenir jusqu’à 420 personnes [AIDA]. Les détenus sont des migrants, tous des hommes, la plupart d’entre eux étant venus en Europe pour obtenir une protection internationale. Ils sont détenus dans un centre de pré-renvoi divisé en différentes sections, séparant les personnes en fonction de leurs motifs de détention et de leurs nationalités / ethnies. La plupart du temps, les détenus sont enfermés dans des conteneurs et ne sont autorisés à entrer dans la cour de la prison qu’une ou deux fois par jour pendant une heure. En outre, d’anciens détenus ont fait état d’une cellule d’isolement où des personnes pourraient être détenues en cas de désobéissance ou mauvais comportement pendant deux semaines au maximum, parfois même sans lumière.

      Motifs légaux de détention

      L’article 46 de la loi n°4375/2016 (faisant référence à la loi n°3907/2011 et transposant la directive d’accueil 2016/0222 dans le droit national) prévoit cinq motifs de détention des migrants : 1) afin de déterminer leur identité ou leur nationalité, 2) pour « déterminer les éléments sur lesquels est fondée la demande de protection internationale qui n’ont pas pu être obtenus », 3) dans le cas « où il existe des motifs raisonnables de croire que le demandeur introduit la demande de protection internationale dans le seul but de retarder ou d’empêcher l’exécution de décision de retour » (les décisions de retour sont en réalité largement adressées aux nouveaux arrivants et sont suspendues ou révoquées pour la durée de la procédure d’asile), 4) si la personne est considérée comme « constituant un danger pour la sécurité nationale ou l’ordre public » ou 5) pour prévenir le risque de fuite [Loi 4375/2016, art.46]. Cette diversité de motifs légaux de détention ouvre la possibilité de garder un grand nombre de personnes en quête de protection internationale dans des lieux de détention. Les avocats signalent qu’il est extrêmement difficile de contester juridiquement les ordonnances de détention, entre autre parce que les motifs des ordonnances de détention sont très vagues.

      Pour les demandeurs d’asile, la durée de la détention est généralement limitée à trois mois. Cependant, elle peut être prolongée si, par exemple, des accusations pénales sont portées contre eux (cela peut par exemple se produire après des émeutes dans le centre de détention). La détention des migrants dont la demande d’asile a été rejetée ou des personnes qui se sont inscrites pour un retour volontaire peut dépasser trois mois. Dans certains cas, les personnes doivent rester particulièrement longtemps en détention et dans un état d’incertitude lorsque leur demande d’asile et leur recours sont rejetés, mais qu’elles ne peuvent pas être expulsées car la Turquie refuse de les reprendre. Les avocats peuvent généralement accéder à la détention sur la recommandation du service d’asile, même s’il n’existe pas de motivation particulière justifiant la détention. À Lesbos, mis à part la participation de quelques avocats, l’assistance judiciaire pour contester les ordonnances de détention est presque inexistante, ce qui renvoi à un manque de possibilités et à des problèmes systématiques dans la manière dont les tribunaux traitent les « objections à la détention ».

      Détention en pratique – Le projet pilote visant certaines nationalités

      De nombreuses personnes sont détenues dans le centre de pré-renvoi après que leur demande d’asile ait été rejetée ou déclarée irrecevable et après avoir perdu le recours contre cette décision. D’autres sont détenus parce qu’ils ont accepté le soi-disant « retour volontaire » dans leur pays d’origine avec l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et sont enfermés dans l’attente de leur transfert dans un autre centre fermé situé sur le continent dans l’attente de leur déportation [voir notamment cet article sur les retour volontaires]. Un autre moyen extrêmement problématique utilisé pour détenir des demandeurs d’asile est la classification comme danger pour la sécurité nationale ou l’ordre public. La circulaire de police « Gestion des étrangers sans-papiers dans les centres d’accueil et d’identification (CRI) » illustre bien l’aspect pratique de cette loi. Dans le document, les termes « comportement enfreignant la loi » ou « comportement offensant » sont utilisés comme motif de détention. La circulaire de police, par exemple, énumère des exemples de « comportement enfreignant la loi », tel que « vols, menaces, blessures corporelles, etc. ». Par conséquent, le classement d’une personne qui a commis des infractions mineures et pouvant ainsi être détenu, est laissé à la discrétion de la police. Les avocats rapportent que le paragraphe est souvent utilisé dans la pratique pour détenir des personnes qui ne respectent pas les limites géographiques imposées.

      En outre, la possibilité de détenir des personnes en supposant qu’elles demandent l’asile afin d’éviter ou d’entraver la préparation du processus de retour ou d’éloignement est largement utilisée comme justification de la détention. Dans la pratique, la décision de mise en détention dépend souvent des chances présumées qu’un demandeur d’asile se voit accorder un statut de protection, ce qui est également lié à l’appartenance nationale du demandeur d’asile. En fait, cela conduit à la détention automatique de migrants appartenant à certains milieux nationaux immédiatement après leur arrivée. Alors que la Commission européenne recommande fréquemment une utilisation accrue de la détention des migrants afin de faciliter les retours, la détention spécifique basée sur la nationalité remonte à un soi-disant projet pilote qui est reflété dans la circulaire de la police locale grecque de juin 2016 mentionnée ci-dessus. Dans ce document, le ministère de l’Intérieur décrit les migrants d’Algérie, de Tunisie, du Maroc, du Pakistan, du Bangladesh et du Sri Lanka comme des “étrangers indésirables” au “profil économique”, dont les données doivent être collectées non seulement dans le système d’information Schengen, mais également dans une base de données grecque appelée “Catalogue d’État pour les étrangers indésirables” (EKANA). Ce projet pilote comportait deux phases et a finalement été étendu à toutes les personnes dont le taux d’acceptation de l’asile – établi par nationalité – est statistiquement inférieur à 25%. Cela s’applique à de nombreuses personnes originaires de pays africains et était également utilisé auparavant pour les Syriens. (Les Syriens avaient un taux de rejet élevé parce que leur demande d’asile était souvent déclarée irrecevable, la Turquie étant considérée comme un pays sûr pour les Syriens.)

      Ce processus arbitraire contredit fortement l’idée de la Convention de Genève de donner aux individus les droits d’un examen impartial et individualisé de leur demande d’asile. En outre, en détention, les demandeurs d’asile ont moins accès aux conseils juridiques et sont soumis à de fortes pressions, ce qui multiplie d’autant les conditions d’être ré-incarcéré ou déporté. Dans de nombreux cas, ils ne disposent que d’un à deux jours pour préparer leur entretien d’asile et ne sont pas en mesure d’informer les avocats de leur prochain entretien d’asile, car ils ont une priorité dans les procédures. Ces facteurs réduisent considérablement leurs chances de bien présenter leur demande d’asile lors des auditions afin d’obtenir le statut de protection internationale. Pendant leur détention, ils sont souvent menottés lors de l’enregistrement et de l’entretien, ce qui les stigmatise comme dangereux et suggère un danger potentiel à la fois pour le demandeur d’asile et pour le premier service d’accueil / d’asile. Une personne, par exemple, a déclaré avoir été menottée au cours de son interrogatoire, le laissant incapable de prononcer un seul mot lors de son enregistrement où il aurait été crucial d’exprimer clairement sa volonté de demander l’asile.

      La rationalité de la détention de demandeurs d’asile présentant un faible taux de reconnaissance semble viser à les rejeter et à les expulser dans les trois mois de leur détention – ce qui n’a même pas été réalisé jusqu’à présent dans la plupart des cas. Au lieu de cela, cela aboutit principalement à une procédure automatique de détention injustifiée. Des ressortissants de nationalités telles que l’Algérie et le Cameroun sont arrêtés directement à leur arrivée. Ils sont simplement condamnés à attendre l’expiration de leurs trois mois de détention et à être libérés par la suite. Une fois libérés, ils se retrouvent dans le camp surpeuplé de Moria, sans aucun lieu ou dormir ni sac de couchage, et ils ne savent pas où trouver une orientation dans un environnement où ils ne sont pas traités comme des êtres humains à la recherche de protection, mais comme des criminels.

      Conditions de détention

      Dans le centre de pré-renvoi, les détenus manquent de biens de première nécessité, tels que des vêtements et des produits d’hygiène en quantité suffisante. À part deux jours par semaine, leurs téléphones sont confisqués. Les visites ne peuvent être effectuées que par des proches parents et – s’ils sont assez chanceux – par un avocat et par deux personnes travaillant pour une société de santé publique. Malgré leur présence, de nombreux détenus ont signalé de graves problèmes de santé mentale et physique. Dans certains cas, les personnes malades sont transférées à l’hôpital local, mais cela dépend de la décision discrétionnaire de la police et de sa capacité à l’escorter. Plusieurs détenus ont décrit des problèmes tels que fortes douleurs à la tête, insomnie, crises de panique et flashbacks similaires aux symptômes de l’état de stress post-traumatique, par exemple. Certains détenus s’automutilent en se coupant lourdement le corps et certains ont tenté de se suicider. Bien que les personnes classées comme vulnérables ne soient pas censées être détenues, il y a eu plusieurs cas où la vulnérabilité n’a été reconnue qu’après des semaines ou des mois de détention ou seulement après leur libération.

      Certaines personnes sortant du centre de pré-renvoi ont déclaré être des survivants de torture et de peines de prison dans leur pays, ce qui explique souvent pourquoi elles ont fui en Europe pour rechercher la sécurité mais se retrouvent à nouveau enfermés en Grèce. Les examens médicaux ont montré que certaines personnes détenues dans le centre de pré-renvoi étaient des mineurs. Bien qu’ils aient répété à plusieurs reprises qu’ils étaient mineurs, ils ont été retenus pendant encore de nombreuses semaines jusqu’à ce que l’évaluation de l’âge soit finalisée. D’autres personnes sont maintenues en détention, bien qu’elles parlent des langues rares telles que le krio, pour laquelle aucune traduction n’est disponible et, par conséquent, aucun entretien d’asile ne peut être mené.

      Les histoires d’individus dans le centre de pré-renvoi de Moria

      Ci-après, quelques comptes rendus récents de migrants sur leur détention dans le centre de pré-renvoi de Moria sont illustrés afin de mettre en évidence l’impact du régime de détention sur le destin de chacun. Un jeune Camerounais a été arrêté au centre de pré-renvoi de Moria, dès son arrivée dans le cadre du projet pilote. Il a signalé qu’il avait tenté de se suicider dans la nuit du 7 au 8 septembre, mais que son ami l’avait empêché de le faire. Il était en détention depuis la fin du mois de juin 2018. Il se plaignait d’insomnie et de fortes angoisses liées aux expériences du passé, notamment la mort de son frère et la crainte que son enfant et sa mère fussent également décédés. Il a reporté la date de son entretien d’asile à quatre reprises, car il se sentait mentalement incapable de mener l’entretien à son terme.

      Un ressortissant syrien de 22 ans, arrivé à Lesbos avec de graves problèmes de dos, a été arrêté au centre de pré-renvoi de Moria après s’être inscrit pour un “retour volontaire”. En Turquie, il avait été opéré à la suite d’un accident et le laissant avec des vis dans le dos. Il a décidé de retourner en Turquie, car il a constaté que l’opération chirurgicale nécessaire pour retirer les vis ne pouvait être effectuée que sur place. Le 18 juillet, il aurait été sévèrement battu par un officier de police dans le centre de détention du camp. Le même jour, des volontaires indépendants ont porté plainte dans un bureau de conciliation grec. Un médiateur lui a rendu visite le 20 juillet et lui a demandé s’il déposait officiellement plainte, mais il a refusé par crainte des conséquences. Quatre jours plus tard seulement, le 24 juillet, l’homme a été expulsé.

      Un Pakistanais a été arrêté le 18 avril sur l’île de Kos après le rejet de l’appel effectué contre le rejet de sa demande d’asile en première instance. Quelques mois plus tard, il a été transféré au centre de pré-enlèvement situé dans le camp de Moria, sur l’île de Lesbos. Les autorités voulaient l’expulser vers la Turquie, mais le pays ne l’a pas accepté. L’homme a déclaré qu’il vomissait régulièrement du sang et souffrait toujours d’une crise cardiaque qu’il avait subie un an auparavant. Selon son récit, les autorités lui avaient promis de le conduire à l’hôpital le 10 septembre. Cependant, il a été transféré au centre de pré-renvoi d’Amygdaleza, près d’Athènes, le 9 septembre, où il attend maintenant son expulsion vers le Pakistan.

      Quatre jeunes individus qui affirment être des ressortissants afghans mais qui ont été classés comme Pakistanais lors du dépistage par FRONTEX ont été arrêtés bien qu’ils se soient déclarés mineurs. L’un d’entre eux avait été arrêté sur le continent dans le centre de pré-renvoi d’Alledopon Petrou Ralli et avait été transféré au centre de renvoi de Lesbos au bout d’un mois. Il a ensuite été contraint d’y rester quelques mois de plus, avant d’être finalement reconnu comme mineur par le biais d’une évaluation de son âge puis libéré avec une autre personne également reconnue comme mineure. Une des personnes était considérée comme un adulte après l’évaluation de l’âge et le résultat pour la quatrième personne est toujours en attente.

      L’expulsion d’un ressortissant algérien détenu dans le centre de pré-renvoi à Lesbos a été suspendue à la dernière minute grâce à la participation du HCR. Il était censé être renvoyé en Turquie le 2 août, six heures seulement après le deuxième rejet de sa demande d’asile, ce qui le laissait dans l’impossibilité de contester la décision devant les instances judiciaires au moyen d’une prétendue demande d’annulation. Il a été amené à l’embarcadère pour la déportation et n’a été enlevé à la dernière minute que parce que le HCR a indiqué qu’il n’avait pas eu la chance d’épuiser ses recours légaux en Grèce et qu’il risquait d’obtenir un statut vulnérable. Cependant, compte tenu de l’absence d’avocats à Lesbos, des coûts et du travail charge de la demande en annulation, il ne put finalement s’opposer à l’expulsion et ne fut déporté que deux semaines plus tard, le 16 août.

      L’impact de la politique de détention

      L’utilisation généralisée de nouvelles possibilités juridiques de détenir des migrants a atteint une nouveau seuil à la frontière extérieure de l’UE dans la mer Égée. La liberté de mouvement est progressivement restreinte. Des milliers de personnes sont obligées de rester dans la zone de transit de l’île de Lesbos pendant de longues périodes et la plupart d’entre elles n’ont d’autres choix que de vivre dans le hotspot européen de Moria. D’autres sont même détenus dans le centre de détention situé dans le camp. Au niveau de l’UE, la pression augmente pour imposer des mesures de détention. La loi grecque, qui repose finalement sur la directive de l’UE sur l’accueil, offre de meilleures possibilités de maintenir les migrants en détention. Dans la mise en œuvre pratique, ils sont largement utilisés principalement pour les migrants de sexe masculin. Plus que pour faciliter les retours – qui sont relativement peu nombreux – les mesures de détention remplissent une fonction disciplinaire profonde. Ils créent une forte insécurité et de la peur.

      En particulier, le fait d’être arrêté immédiatement à l’arrivée envoie un message fort à la personne touchée, tel qu’il est exprimé dans la circulaire de la police : Vous êtes un « étranger indésirable ». Il s’agit d’une stigmatisation prédéterminée bien que la procédure d’asile n’ait même pas encore commencé et que les raisons pour lesquelles une personne soit venue sur l’île soient inconnues. Les personnes affectées ont déclaré se sentir traitées comme des criminels. Dans de nombreux cas, ils ne comprennent pas les motifs procéduraux de leur détention et sont donc soumis à un stress encore plus grand. Les personnes qui ont déjà été détenues arbitrairement dans leur pays d’origine et lors de leur périple signalent des flashbacks et des problèmes psychologiques résultant des conditions de détention pouvant conduire à de nouveaux traumatismes.

      Même s’ils sont finalement libérés, ils sont toujours dans un état mental d’angoisse permanente lié à la peur constante de pouvoir être arrêtés et expulsés à tout moment, sans aucune option légale pour se défendre. Ces politiques de détention des migrants ne visent pas à résoudre les problèmes de la prétendue “crise des réfugiés”. Au lieu de cela, ils visent avec un succès limité à faire en sorte que l’accord UE-Turquie fonctionne et à ce qu’au moins une partie des migrants rentrent en Turquie. Au niveau local, les politiques de détention sont en outre avant tout des mesures d’oppression, conçues pour pouvoir prévenir les émeutes et soi-disant pour “gérer” une situation qui est en fait “impossible à gérer” : la concentration de milliers de personnes – dont beaucoup souffrent de maladies psychologiques telles que des traumatismes – pendant des mois et des années dans des conditions de vie extrêmement précaires sur une île où les gens perdent progressivement tout espoir de trouver un meilleur avenir.

      https://cevennessansfrontieres.noblogs.org/post/2018/10/24/la-prison-dans-la-prison-dans-la-prison-le-centre-de
      #détention #prison #centre_de_détention #hotspot

    • Moria: la crisi della salute mentale alle porte d’Europa

      Migliaia di persone vivono ammassate in tende, suddivise in base al gruppo etnico di appartenenza. Siamo a Moria, sull’isola di Lesbo, il centro per migranti tristemente noto per le terribili condizioni in cui versa e per i problemi di salute delle persone che ospita. Tra gli assistiti dal International Rescue Committee 64% soffre di depressione, il 60% ha pensieri suicidi e il 29% ha provato a togliersi la vita. Marianna Karakoulaki ci racconta i loro sogni, le speranze e la realtà che invece sono costretti a vivere.

      In una delle centinaia di tende fuori da Moria, il centro di accoglienza e identificazione sull’isola greca di Lesbo, tre donne siriane parlano della vita nel loro paese prima della guerra e delle condizioni sull’isola. Temono che le loro dichiarazioni possano compromettere l’esito delle loro richieste di asilo, perciò non vogliono essere identificate né fotografate. Ma sono più che disposte a raccontare le esperienze che hanno vissuto dal loro arrivo a Moria.

      Quando parlano della Siria prima della guerra, a tutte e tre brillano gli occhi; lo descrivono come un paradiso in terra. Poi però è arrivata la guerra e tutto è cambiato; sono dovute fuggire.

      Due di loro sono sbarcate sull’isola sette mesi fa, mentre l’altra è qui solo da un mese. Quando passano a descrivere Moria e la vita che conducono qui, i loro occhi si riempiono di lacrime. Moria è un luogo orribile, paragonabile alla Siria devastata dalla guerra.

      “Se avessi saputo com’era la situazione qui, sarei rimasta in Siria sotto ai bombardamenti. Almeno lì avevano case al posto di tende”, dichiara la più anziana.

      Da quando è stata adottata la dichiarazione UE-Turchia per arrestare il flusso dei migranti in Europa, in Grecia è stato avviato il meccanismo europeo degli hotspot. Questo approccio era stato presentato per la prima volta con l’Agenda europea sulla migrazione 2017, ed è sostanzialmente basato sulla creazione di centri di accoglienza e identificazione nelle zone in cui arrivano i rifugiati. Fra queste c’è l’isola di Lesbo, e Moria è stato usato come centro di accoglienza per i rifugiati, diventando di fatto il primo hotspot greco. In un certo senso, la dichiarazione UE-Turchia ha legittimato l’approccio complessivo dell’Unione Europea al fenomeno migratorio.

      Moria è anche il più tristemente noto degli hotspot greci, per via del sovraffollamento e delle terribili condizioni di vita. Al momento della pubblicazione di questo articolo, più di 5800 persone risiedono in un’area che ha una capacità massima di 3100. Già base militare, oggi ha gli stessi abitanti di una cittadina greca, ma le condizioni di vita sono inadatte per chiunque. Si verificano regolarmente rivolte e aggressioni, e i rifugiati temono per la propria incolumità. A causa del sovraffollamento, gli operatori hanno allestito centinaia di tende in una zona chiamata Oliveto, che a prima vista sembra suddivisa in zone, ciascuna abitata da un gruppo etnico diverso.
      Una crisi della salute mentale

      Le organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno condannato la situazione a Moria e ribadito la necessità di un decongestionamento. Un rapporto pubblicato a settembre dall’IRC (International Rescue Committee, Comitato internazionale di soccorso) ha sottolineato i gravi costi per la salute mentale dei rifugiati e parla di una vera e propria crisi.

      I dati forniti nel rapporto sono impressionanti. Dei 126 assistiti da IRC, il 64% soffre di depressione, il 60% ha pensieri suicidi e il 29% ha provato a togliersi la vita; il 15% ha invece compiuto atti di autolesionismo, mentre il 41% presenta sintomi di disturbo da stress post traumatico e il 6% manifesta sintomi di psicosi.

      La più anziana delle tre donne è arrivata in Grecia insieme alla famiglia, fra cui il figlio ventenne. Lo ricorda in Siria come un giovane attivo e pieno di amici, ma quando è arrivato in Grecia la sua salute mentale è peggiorata per via delle condizioni del campo. Un giorno, mentre era da ore in fila per un pasto, è stato aggredito e pugnalato. Non è mai più tornato a fare la fila. Ha anche pensieri suicidi ed esce a stento dalla sua tenda.

      Ascoltando il suo racconto, la più giovane delle tre donne dice di riconoscere alcuni degli stessi sintomi nel comportamento di suo marito.

      “Mio marito aveva già problemi di salute mentale nel nostro paese. Ma gli hanno dato del paracetamolo”, racconta.

      Le esperienze vissute dai rifugiati di Moria prima e durante la fuga dai paesi di origine possono essere traumatiche. Alcuni di loro sono stati imprigionati, torturati o violentati. Le condizioni di vita nell’hotspot possono amplificare questi traumi.

      Secondo Alessandro Barberio, psichiatra di Medici senza frontiere e del Dipartimento di salute mentale di Trieste, chi arriva sull’isola ha già patito grandi avversità nel paese di origine. Tuttavia l’assenza di alloggi adeguati, le attese interminabili e le condizioni deplorevoli possono riportare alla luce traumi passati o crearne di nuovi.

      “Quelli che arrivano qui, prima o poi – ma spesso dopo poco tempo – iniziano a manifestare sintomi di psicosi. Credo che ciò sia legato ai grossi traumi vissuti in patria e poi alle condizioni di vita dell’hotspot di Moria, che possono facilmente scatenare sintomi psicotici e non sono disturbi da stress post traumatico”, spiega.

      Barberio definisce poi negative e controproducenti le condizioni di vita all’interno del campo.

      L’assenza di speranze e di qualsiasi aspettativa, l’assenza di risposte, di diritti e della più elementare umanità sono legate ai traumi dei rifugiati e al tempo stesso li aggravano. Fra i sintomi che Barberio ha riscontrato nei pazienti ci sono disorientamento, stato confusionale, incapacità di rapportarsi agli altri o partecipare alle attività quotidiane. I traumi passati, unitamente alle condizioni attuali, possono portare i pazienti a sentire voci o a sperimentare visioni.

      “So riconoscere quel che vedo, e sto assistendo a nuovi casi di persone con sintomi psichiatrici. Si tratta di persone che non erano già pazienti psichiatrici. I loro sintomi, sebbene legati a eventi traumatici passati, sono del tutto nuovi.”
      Mancano le garanzie di base per la salute mentale

      Morteza* vive nella parte superiore dell’Oliveto, nella zona afgana del campo, che sembra essere stata dimenticata dalle autorità e dagli operatori in quanto occupa una proprietà privata. Ci vive insieme alla sorella, al cognato e ai loro bambini. Prima viveva in Iran, dove i diritti degli afgani erano fortemente limitati; poi si è trasferito in Afghanistan da adulto, ma è dovuto fuggire in seguito a un attacco dei talebani in cui è rimasto ferito.

      Morteza soffre di depressione e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Quando viveva in Iran seguiva una terapia farmacologica per tenere a bada i sintomi, ma una volta arrivato in Grecia ha dovuto interromperla. Le farmacie del luogo non accettavano la sua ricetta, e all’ospedale di Mitilene, dove ha richiesto una visita, gli hanno prospettato un’attesa di mesi.

      “L’ADHD può essere molto problematica per gli adulti. Non riesco a concentrarmi, mi interrompo mentre parlo perché dimentico cosa volevo dire. Mi scordo le cose di continuo, e questo mi preoccupa in vista del colloquio per l’asilo. Devo annotarmi tutto in un taccuino”, spiega, mostrandomi un mazzetto di post-it gialli che porta sempre con sé.

      Nel campo di Moria vengono prestate le cure di base, ma le condizioni di sovraffollamento hanno messo in ginocchio i servizi sanitari. Stando al rapporto dell’IRC, le autorità statali greche responsabili della gestione di Moria sono incapaci di fornire sostegno ai rifugiati, non potendo venire incontro alle loro necessità di base, fra cui la salute fisica e mentale.

      Morteza appare disperato. La sua salute mentale è peggiorata e pensa ogni giorno al suicidio. Il suo colloquio per la richiesta di asilo è fissato per la primavera del 2019, ma lui sembra aver perso ogni speranza.

      “Lo so che non resterò qui per sempre, ma quando vedo i diritti umani calpestati non vedo la differenza rispetto a dove mi trovavo prima. Come posso continuare ad avere speranze per il futuro? Non voglio restare intrappolato su quest’isola per anni”, spiega.
      Una crisi europea

      Benché l’anno scorso varie ONG abbiano lanciato un appello congiunto per decongestionare l’isola e migliorare le condizioni dei rifugiati, ciò appare impossibile. Da quando è stata adottata la dichiarazione UE-Turchia sulla migrazione, i rifugiati sono soggetti a restrizioni di movimento, per cui non possono lasciare l’isola finché non hanno completato la procedura di asilo o se vengono dichiarati vulnerabili. Tuttavia, stando al rapporto dell’IRC, “i cambiamenti continui dei criteri di vulnerabilità e le rispettive procedure operative fanno temere l’insorgere di una tendenza alla riduzione del numero di richiedenti asilo riconosciuti come vulnerabili”.

      Il sistema di accoglienza ai rifugiati dell’Unione Europea costringe i rifugiati di Lesbo a un processo che ha conseguenze dirette sulla loro vita e un impatto potenzialmente gravissimo sulla loro salute mentale. Senza una strategia o una pianificazione ad hoc da parte delle autorità greche per risolvere tale crisi, i rifugiati sono abbandonati in un limbo.

      Secondo Alessandro Barberio, il soggiorno prolungato sull’isola nelle condizioni attuali priva le persone di tutti i sogni e le speranze che potevano nutrire per il futuro.

      “I rifugiati non hanno la possibilità di pensare che domani è un altro giorno, perché sono bloccati qui. Naturalmente c’è chi è più bravo a resistere, chi si organizza in gruppi, chi partecipa a varie attività, ma alla fine della giornata devono tutti rientrare a Moria”, dice.

      Per le tre donne siriane Moria è un luogo terrificante. Temono per la loro incolumità, temono per la salute dei figli e dei mariti. Ma dato che sono siriane, prima o poi potranno lasciare Moria e forse trovare asilo in Grecia.

      Per Morteza, invece, le cose saranno sempre più difficili e lui sembra già saperlo. Mentre ascolta musica metal sul telefono, parla del suo unico sogno: andare all’università e studiare filosofia, materia secondo lui in grado di guarire l’anima.

      Dal nostro ultimo incontro, Morteza è fuggito dall’isola.

      https://openmigration.org/analisi/moria-la-crisi-della-salute-mentale-alle-porte-deuropa/?platform=hootsuite

    • Lesbos à bout de souffle

      A Lesbos, en Grèce, où se trouve le plus grand camp de migrants d’Europe, la pression monte. Depuis la signature d’un accord avec la Turquie en 2016, les demandeurs d’asile n’ont pas le droit de quitter l’île sans autorisation. Problème ? Les démarches administratives sont très longues, et en attendant leur entretien, les individus restent confinés dans un camp surpeuplé où les conditions sanitaires sont très difficiles. Résultat, Médecins Sans Frontières est confronté à de nombreux problèmes de santé mentale. Le système, à bout de souffle, ne tient que grâce au travail des nombreuses ONG locales tandis que l’Europe reste impuissante.

      https://guitinews.fr/video/2019/05/25/hot-spots-2-lesbos-a-bout-de-souffle
      #vidéo

    • #Frontex condemned by its own fundamental rights body for failing to live up to obligations

      Frontex, the EU’s border agency, has been heavily criticised for failing to provide adequate staff and resources to its own Fundamental Rights Office, a problem that “seriously hinders the Agency’s ability to deliver on its fundamental rights obligations.”

      The criticisms come in a report from the Consultative Forum on Fundamental Rights, an independent advisory body made up of experts from other EU agencies, international organisations and NGOs.

      As well as noting an ongoing “reluctance” to provide the Fundamental Rights Office with “sufficiently qualified staff,” the Consultative Forum report raises concerns over Frontex’s role at the Serbian-Hungarian border, a failure to update and effectively implement codes of conduct and a complaints mechanism, and the lack of independent monitoring of forced return operations coordinated by the agency.

      See: Frontex Consultative Forum on Fundamental Rights - Fifth Annual Report (pdf): http://statewatch.org/news/2018/may/eu-frontex-consultative-forum-on-fundamental-rights-report-2017.pdf

      Fundamental rights sidelined

      While the Consultative Forum exists to provide “independent advice” to Frontex’s executive director and management board and is staffed voluntarily, the Fundamental Rights Officer is a Frontex official tasked with “contributing to the Agency’s fundamental rights strategy… monitoring its compliance with fundamental rights and… promoting its respect of fundamental rights.”

      The Officer has to oversee a large organisation - Frontex foresaw (pdf: https://frontex.europa.eu/assets/Key_Documents/Programming_Document/2018/Programming_Document_2018-2020.pdf) having 352 staff at the end of 2017, and 418 by the end of this year - yet “lacks the minimum capacity to carry outs its role,” according to the Consultative Forum, with just four staff working alongside the officer and one member of secretarial staff.

      The report states that “the lack of adequate staffing seriously hinders the Agency’s ability to deliver on its fundamental rights obligations including on key areas such as Frontex operational activities, the newly established complaints mechanism or the protection of children.”

      The Consultative Forum has come up against its own problems in attempting to carry out its tasks. According to Article 70(5) of the Frontex Regulation adopted in 2016, “the consultative forum shall have effective access to all information concerning the respect for fundamental rights.”

      Yet the report complains that the Forum “continues to face serious and further limitations” on access to information, “particularly in relation to relevant operational reference and guiding documents.” Despite “repeatedly raising this concern with Frontex management,” it is yet to receive a “final response or constructive proposal.”

      Given that Frontex operational documents have included (http://www.statewatch.org/news/2017/feb/eu-frontex-op-hera-debriefing-pr.htm) instructions for border guards to target “migrants from minority ethnic groups, and individuals who may have been isolated or mistreated during their journey,” the need for access to such information by fundamental rights monitoring bodies is clear.

      In this regard, the Consultative Forum highlights that “external oversight” - for example by the European and national parliaments and civil society groups - “remains of particular importance”.

      The Hungarian-Serbian border

      In November 2016 the Consultative Forum recommended that Frontex teams be withdrawn from the Hungarian-Serbian border due to fundamental rights concerns, but the Executive Director rebuffed the proposal, arguing that Frontex’s presence can “minimise potential risks related to the use of force” and can assist in documenting “circumstances on the ground.”

      Indeed, the positive effect of Frontex presence on national border guards has been noted elsewhere - following a trip to the Bulgarian-Turkish border, French MEP Marie-Christine Vergiat reported NGOs as saying that “whenever a Frontex officer was involved in a [Bulgarian border guard] patrolling group, there were no abuses.” (http://bulgarianpresidency.eu/marie-christine-vergiat-teaming-bulgarian-turkish-border-guards-)

      However, given the European Commission’s decision to launch an infringement procedure against Hungary for new asylum legislation that includes automatic detention, limitations on legal assistance and measures for automatic expulsion, the Forum reasserted its recommendation.

      The agency has apparently “significantly reduced the number of deployed officers and assets in Hungary,” according to the report, but a number remain in place and the Consultative Forum warns that the developments in Hungarian law and practice “have further exacerbated the risks of Frontex being involved in serious fundamental rights violations.”

      Complaints mechanism and codes of conduct

      The need for Frontex to establish a complaints mechanism so that individuals can seek redress for potential fundamental rights violations that they may have suffered during operations coordinated by the agency is a long-standing issue (https://www.ombudsman.europa.eu/activities/speech.faces/en/73745/html.bookmark), and the 2016 Regulation (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32016R1624) introduced such a mechanism (in Article 72), to be overseen by the agency in cooperation with the Fundamental Rights Officer.

      There is now, however, a need to implement this mechanism and the Consultative Forum’s report notes that:

      “The rules should, among other points, provide further details on the respective roles of the different actors involved in the procedure, specify the timeframe for the processing of complaints, and provide for the possibility of anonymous complaints. In this context the Consultative Forum reiterates its calls for the allocation of more technical staff and means to the Fundamental Rights Officer.”

      The Forum also highlights the agency’s decision to discard its recommendations on the ’Code of Conduct for all persons participating in Frontex activities’, which would have seen the inclusion of “specific references to omissions or failures to act or to the prohibition to obey or obligation not to comply with and report instructions that are illicit or against international, EU or national legislation, the Code of Conduct or the legal framework of the activity.”

      The agency is also redrafting its ’Code of Conduct for Return Operations and Return Interventions’, which is expected to be adopted this year. The Forum notes that it is “essential to strengthen the wording relating to the legal framework and, in particular, fundamental rights obligations such as the right to an effective remedy,” and makes a number of specific proposals.

      Monitoring of forced return operations

      In 2017 the agency coordinated and/or co-financed 341 forced return operations - 150 national return operations (involving just one Member State), 153 joint return operations (involving one or more Member State) and 38 collecting return operations, in which the authorities of non-EU states are involved in the “collection” of their own nationals.

      Of these 341 operations, a human rights monitor accompanied 188 of them, just 41% of the total, but nevertheless an increase on the previous year. However, the report indicates that a particularly low number of national return operations - 20 of 150 - were monitored.

      The report also notes 50 “readmission” operations from Greece to Turkey conducted by Frontex, in the framework of the EU-Turkey deal. Only 22 of these were monitored. The Forum recommends treating readmission operations in the same way as return operations, “in order to make use of the already existing standards for return operations (code, monitoring, escorts training, etc.).”

      The list goes on

      Other problems for the Consultative Forum in 2017 include a failure to prioritise the revision of Frontex’s fundamental rights strategy (now foreseen for adoption sometime this year), the need to “mainstream” gender perspectives and issues into Frontex activities, and some issues with the terminology deployed in the Africa-Frontex Intelligence Community reports, such as references to “illegal” migrants and referring to operations by the Libyan Coast Guard as “rescues”.

      Elsewhere, the Consultative Forum notes good progress made on updating measures to try to ensure the protection of children and migration and the identification of minors at risk of abuse. Nevertheless, for an agency whose “mission” is “to promote, coordinate and develop European border management in line with the EU fundamental rights charter,” it seems that the former is being given priority over the latter.

      http://statewatch.org/news/2018/may/eu-frontex-fr-rep.htm

      #droits_fondamentaux #droits_humains #condamnation #frontières #asile #migrations #réfugiés

  • BALLAST | Gaëtan Flocco : « Tous les sujets ont intériorisé les catégories capitalistes »
    https://www.revue-ballast.fr/gaetan-flocco

    Entièrement. Évidemment, l’opposition travail/capital est structurante et il ne s’agit nullement de l’évacuer de l’analyse. D’ailleurs, dans son livre d’où est extraite cette citation, Frédéric Lordon le rappelle bien2 : pour lui, le rapport salarial, c’est-à-dire cette asymétrie objective entre des travailleurs dénués de tout, qui ne peuvent faire autrement pour vivre que d’échanger leur force de travail contre de l’argent, et des capitalistes qui, eux, possèdent tout, demeure le cadre structurant de l’enrôlement capitaliste. Toutefois, il est fondamental de montrer aussi combien ce cadre structurant ne se résume pas à une opposition manichéenne, les cadres illustrant bien une intrication ou un entremêlement entre le travail et le capital. D’un côté, on a en effet un statut qui les range du côté des salariés, leur faisant dire parfois qu’ils seraient des travailleurs comme les autres, les « grouillots de base » ou les « OS de l’an 2000 ». De l’autre, on a aussi des individus qui adhèrent à des valeurs, des modes de vie, des attentes, des conceptions du travail et de l’entreprise qui les rapprochent des classes dirigeantes.

    Les cadres se font enfler par l’illusion d’être du côté des #dominants.
    Ils collaborent activement à l’exploitation des employés parce qu’ils s’imaginent ne pas être des #prolétaires eux-mêmes. Et les employeurs se frottent les mains et entretiennent soigneusement cette #confusion : elle leur permet d’avoir des relais serviles et zélés pour mieux presser le travailleur tout en en faisant porter la responsabilité à des sous-fifres clairement identifiables par les exploités.
    J’avais déjà écrit sur ce marché de dupes : https://blog.monolecte.fr/2006/01/11/les-kapos-aussi-ont-fini-dans-les-chambres-a-gaz

    S’il a un petit pécule et pas mal d’avantages immédiats, le cadre oublie un peu trop facilement que son aisance vient tout de même du #salaire et non pas de la rente (même s’il tente de s’en constituer une dans le temps !) et qu’il suffit que le capitaliste lui retire son poste de #travail pour que tous ses avantages disparaissent. Il est en fait aussi dépendant que le petit employé des systèmes de #solidarité sociale qu’il conchie pourtant abondamment tant il croit être au-dessus de cela, voire en #compétition avec des dispositifs qui lui coûtent (et entament son #rêve de rente), alors qu’en fait, même s’il mettra un peu plus de temps à consommer ses éconocrocs, le #chômage, ce grand égalisateur par le bas, le remettra forcément à sa place de simple variable d’ajustement.

    • La même arnaque est à l’œuvre avec la figure de l’auto-entrepreneur, qui s’imagine petit #patron et donc #pré-capitaliste, alors qu’en fait, il n’est qu’un #auto-exploité et surtout la nouvelle chair à canon de l’économie néolibérale : le #sous-traitant isolé, sans aucune espèce d’assise ou de défense, livré tout ficelé aux appétits sans fin des grosses entreprises qui fixent unilatéralement les règles d’un jeu qui ne profite plus qu’à une toute petite poignée d’individus.

      Il s’imagine un aigle, alors qu’il n’est que le gros pigeon dune autofiction, celle qui consiste à faire passer le pire des #lupemprolétaires, le travailleur à façon pour le prototype du nouveau #capitaliste postindustriel.

      La figure de l’entrepreneur acquiert un rôle majeur dans la sphère publique depuis que la crise économique de 2008 a mis en évidence la difficulté d’intégrer socialement la population par le mécanisme du travail salarié. Comme il est désormais plus difficile de garantir un volume de travail suffisant et ininterrompu pour la majorité de la population, on voit apparaître cette injonction à entreprendre, couplée à une rhétorique de type « poursuis tes rêves, pars à la conquête du succès. Car quand on veut, on peut ».

      C’est une manière de contourner les problèmes économiques structurels de nos sociétés occidentales, marquées par la crise des compromis sociaux de l’après-guerre. Pour moi, c’est une véritable crise de régime qui frappe une société dont la colonne vertébrale est l’emploi, en tant que voie d’accès à la citoyenneté, aux droits sociaux, à la consommation. Tout cela est en passe de s’effondrer.

      http://lvsl.fr/entretien-avec-jorge-moruno

    • Envisager l’économie de cette façon mais aussi la société dans son ensemble en entretenant la confusion sur les intérêts de classes. Mais ça marche ...

      L’auto-entrepreneur ou comment aller tous les matins sur le chantier pour vendre sa force de travail.