• La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

    La causa avviata da quattro esuli sudanesi: dovranno ricevere in tutto 36 mila euro dallo Stato

    VENTIMIGLIA. Spogliati «senza alcuna ragione convincente». Maltrattati e «arbitrariamente privati della libertà». Ecco perché, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire quattro migranti sudanesi con cifre che vanno dagli 8 ai diecimila euro ciascuno. La sentenza della prima sezione della Corte (presieduta da Marko Bošnjak) è datata 16 novembre, ma riguarda episodi accaduti nell’estate del 2016. Dopo aver avviato le pratiche per far attribuire ai loro clienti lo status di rifugiato, nel febbraio 2017 gli avvocati (Nicoletta Masuelli, Gianluca Vitale e Donatella Bava, tutti di Torino) avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo.
    I quattro erano arrivati in Italia in momenti diversi: due «in un giorno imprecisato di luglio» del 2016 a Cagliari, un altro il 14 luglio a Reggio Calabria, uno il 6 agosto sempre a Reggio Calabria e l’ultimo l’8 agosto «in un luogo imprecisato della costa siciliana». Il più giovane ha 30 anni, il più vecchio 43.

    In comune, i quattro hanno che sono stati tutti trasferiti nello stesso centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Sono stati «costretti a salire su un furgone della polizia», trasportati in una caserma dove sono stati «perquisiti», obbligati a consegnare «i telefoni, i lacci delle scarpe e le cinture» e poi «è stato chiesto loro di spogliarsi». Sono rimasti nudi dieci minuti, in attesa che gli agenti rilevassero le loro impronte digitali.
    Concluse le procedure, la polizia ha fatto salire i quattro (assieme a una ventina di connazionali) su un pullman. Destinazione: l’hotspot di Taranto. Secondo quanto ricostruito nella sentenza, i migranti sono stati «costretti a rimanere seduti per l’intero viaggio» e potevano andare in bagno soltanto scortati e lasciando la porta spalancata, rimanendo «esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti».
    Il 23 agosto, i quattro (con un gruppo di compatrioti) sono risaliti su un pullman diretti a Ventimiglia, dove hanno incontrato un rappresentante del governo sudanese che li ha riconosciuti come cittadini del suo Paese. A quel punto, è stata avviata la procedura per il rimpatrio. In aereo, dall’aeroporto di Torino Caselle. Ma sul velivolo c’era posto soltanto per sette migranti, così il questore aveva firmato un provvedimento di trattenimento e i quattro sono stati accompagnati al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.
    Uno, però, è stato prelevato pochi giorni dopo dalla polizia. Per lui, era pronto un posto sull’aereo per il rimpatrio. Lui non voleva, arrivato a bordo ha incominciato a dare in escandescenze assieme a un altro migrante finché il comandante del velivolo ha deciso di chiedere alla polizia di farli sbarcare entrambi, per problemi di sicurezza. Appena rientrato al Cie, l’uomo ha ribadito la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale. Lo stesso hanno fatto gli altri tre. Tutti hanno ottenuto lo status di rifugiato.

    La sentenza della Corte condanna l’Italia a pagare per varie violazioni. Una riguarda «la procedura di spogliazione forzata da parte della polizia», che «può costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante da non poter essere applicata senza un motivo imperativo». E per i giudici di Strasburgo «il governo non ha fornito alcuna ragione convincente» per giustificare quel comportamento. Poi, ci sono le accuse dei quattro di essere rimasti senz’acqua e cibo nel trasferimento Ventimiglia-Taranto e ritorno. Il governo aveva ribattuto fornendo «le copie delle richieste della questura di Imperia a una società di catering», che però «riguardavano altri migranti». Per la Corte, quella situazione «esaminata nel contesto generale degli eventi era chiaramente di natura tale da provocare stress mentale». E ancora, le condizioni vissute in quei giorni «hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante», vietato dalla legge. I giudici di Strasburgo ritengono, poi, che i quattro siano «stati arbitrariamente privati della libertà», pur se in una situazione di «vuoto legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica in materia di hotspot», già denunciata nel 2016 dal garante nazionale dei detenuti.

    Per la Corte, ce n’è abbastanza per condannate l’Italia a risarcire i quattro: uno dovrà ricevere 8 mila euro, un altro 9 mila e altri due diecimila «a titolo di danno morale».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/11/18/news/litalia_condannata_a_pagare_per_i_maltrattamenti_ai_migranti-13871399

    Le périple des 4 Soudanais en résumé :
    – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
    – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
    – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
    – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
    – 23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
    – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
    – Transfert au centre de rétention de Turin
    – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
    – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme

    #justice #condamnation #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #CEDH #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #mauvais_traitements #privation_de_liberté #nudité #violences_policières #Taranto #hotspot #CPR #rétention #détention_administrative #réfugiés_soudanais #Turin #migrerrance #humiliation

    voir aussi ce fil de discussion sur les transferts frontière_sud-alpine - hotspot de Taranto :
    Migranti come (costosi) pacchi postali


    https://seenthis.net/messages/613202

    • Denudati, maltrattati e privati della libertà: la CEDU condanna nuovamente l’Italia

      Le persone migranti denunciarono i rastrellamenti avvenuti a Ventimiglia nell’estate 2016

      La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente condannato l’Italia a risarcire con un totale di 27mila euro (più 4.000 euro di costi e spese legali) quattro cittadini sudanesi per averli denudati, maltrattati e privati della libertà nell’estate 2016 durante le cosiddette operazioni per “alleggerire la pressione alla frontiera” di Ventimiglia, quando centinaia di persone migranti venivano coattivamente trasferite negli hotspot del sud Italia 1 e, in alcuni casi, trasferiti nei CIE e quindi rimpatriati nel paese di origine 2.

      C’è da dire che la Corte avrebbe potuto condannare l’Italia con maggiore severità, soprattutto per quanto riguarda le deportazioni in un paese non sicuro come il Sudan. Tuttavia, si tratta dell’ennesima conferma che l’Italia nega i diritti fondamentali alle persone migranti e che i governi portano avanti operazioni nei quali gli abusi e i maltrattamenti delle forze dell’ordine non sono delle eccezioni o degli eccessi di un singolo agente, ma qualcosa di strutturale e quindi sistemico. E quando queste violazioni sono denunciate, nemmeno vengono condotte indagini per fare luce sulle responsabilità e indagare i colpevoli.

      La sentenza della CEDU pubblicata il 16 novembre 3 riguarda nove cittadini sudanesi arrivati in Italia nell’estate del 2016 i quali hanno denunciato diversi abusi subiti dalle autorità italiane, un tentativo di rimpatrio forzato e uno portato a termine.

      Nel primo caso i ricorrenti hanno avanzato denunce in merito al loro arresto, trasporto e detenzione in Italia, uno di loro ha anche affermato di essere stato maltrattato.

      I quattro ricorrenti del primo caso hanno ottenuto la protezione internazionale, mentre i cinque ricorrenti del secondo caso hanno affermato di aver fatto parte di un gruppo di 40 persone migranti che erano state espulse subito dopo il loro arrivo in Italia.

      Le persone sono state difese dall’avv. Gianluca Vitale e dell’avv.te Nicoletta Masuelli e Donatella Bava, tutte del foro di Torino.
      I fatti riportati nella sintesi

      I quattro ricorrenti nel primo caso sono nati tra il 1980 e il 1994. Vivono tutti a Torino, tranne uno che vive in Germania. I ricorrenti nel secondo caso sono nati tra il 1989 e il 1996. Uno vive in Egitto, uno in Niger e tre in Sudan.

      Tutti e nove i richiedenti sono arrivati in Italia nell’estate del 2016. I primi quattro hanno raggiunto le coste italiane in barca, mentre gli altri cinque sono stati salvati in mare dalla Marina italiana. Alcuni sono transitati attraverso vari hotspot e tutti sono finiti a Ventimiglia presso il centro della Croce Rossa.

      Secondo i ricorrenti nel primo caso, il 17 e il 19 agosto 2016 sono stati arrestati, costretti a salire su un furgone della polizia e portati in quella che hanno capito essere una stazione di polizia. Sono stati perquisiti, è stato chiesto loro di spogliarsi e sono stati lasciati nudi per circa dieci minuti prima che venissero prese le loro impronte digitali.

      Sono stati poi costretti a salire su un autobus, scortati da numerosi agenti di polizia, senza conoscere la loro destinazione e senza ricevere alcun documento sulle ragioni del loro trasferimento o della loro privazione di libertà. In seguito hanno scoperto di essere stati trasferiti da Ventimiglia all’hotspot di Taranto.

      Nell’hotspot di Taranto, dal quale non avrebbero potuto uscire, sostengono di aver ricevuto un provvedimento di respingimento il 22 agosto 2016. Il giorno successivo sono stati riportati a Ventimiglia in autobus.

      Secondo i ricorrenti, le condizioni all’hotspot erano difficili come lo erano durante ciascuno dei trasferimenti in autobus durati 15 ore. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e minacce, senza cibo o acqua sufficienti in piena estate.

      Sostengono di non aver incontrato un avvocato o un giudice durante quel periodo e di non aver capito cosa stesse succedendo. Il 24 agosto 2016 sono stati trasferiti da Ventimiglia all’aeroporto di Torino per essere imbarcati su un volo per il Sudan. Poiché non c’erano abbastanza posti sull’aereo, il loro trasferimento è stato posticipato. Sono stati quindi trasferiti al CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Torino e il Questore ha emesso per ciascuno di loro un provvedimento di trattenimento.

      Uno dei ricorrenti (T.B.) sostiene che le autorità hanno tentato di espellerlo nuovamente il 1° settembre 2016. Ha protestato e la polizia lo ha colpito al volto e allo stomaco. Lo hanno poi costretto a salire sull’aereo e lo hanno legato. Tuttavia, il pilota si è rifiutato di decollare a causa del suo stato di agitazione. È stato riportato al CIE di Torino.

      Tutti e quattro i richiedenti hanno ottenuto la protezione internazionale, essenzialmente sulla base della loro storia personale in Sudan e del conseguente rischio di vita in caso di rimpatrio.

      Secondo i ricorrenti del secondo caso, invece, non sono mai stati informati in nessun momento della possibilità di chiedere protezione internazionale. Sostengono inoltre di aver fatto parte di un gruppo di circa 40 migranti per i quali è stato trovato posto sul volo in partenza il 24 agosto 2016 e di essere stati rimpatriati a Khartoum lo stesso giorno.

      Il governo italiano ha contestato tale affermazione, sostenendo che i ricorrenti non sono mai stati sul territorio italiano. Hanno fornito alla Corte le fotografie identificative delle persone rimpatriate in Sudan il 24 agosto 2016, sostenendo che non presentavano una stretta somiglianza con i ricorrenti. Ha sostenuto inoltre che i nomi delle persone allontanate non corrispondevano a quelli dei ricorrenti. In considerazione del disaccordo delle parti, la Corte ha nominato un esperto di comparazione facciale della polizia belga (articolo A1, paragrafi 1 e 2, del Regolamento della Corte – atti istruttori) che, il 5 ottobre 2022, ha presentato una relazione per valutare se le persone rappresentate nelle fotografie e nei filmati forniti dai rappresentanti dei ricorrenti corrispondessero a quelle raffigurate nelle fotografie identificative presentate dal Governo.

      Il rapporto ha concluso, per quanto riguarda uno dei ricorrenti nel caso, W.A., che i due individui raffigurati in tali fonti corrispondevano al massimo livello di affidabilità. Per quanto riguarda gli altri quattro richiedenti, non vi era alcuna corrispondenza affidabile.
      La decisione della Corte

      Le sentenze sono state emesse da una Camera di sette giudici, composta da: Marko Bošnjak (Slovenia), Presidente, Alena Poláčková (Slovacchia), Krzysztof Wojtyczek (Polonia), Péter Paczolay (Ungheria), Ivana Jelić (Montenegro), Erik Wennerström (Svezia), Raffaele Sabato (Italia), e anche Liv Tigerstedt, Vice Cancelliere di Sezione.

      La Corte, ha ritenuto, all’unanimità, che vi è stata:

      1) una violazione dell’articolo 3 per quanto riguarda l’assenza di una ragione sufficientemente convincente per giustificare il fatto che i ricorrenti siano stati lasciati nudi insieme a molti altri migranti, senza privacy e sorvegliati dalla polizia e le condizioni dei loro successivi trasferimenti in autobus da e verso un hotspot, sotto il costante controllo della polizia, senza sapere dove stessero andando;

      2) una violazione dell’articolo 3, in quanto non è stata svolta alcuna indagine in merito alle accuse del ricorrente di essere stato picchiato da agenti di polizia durante un tentativo di rimpatrio;

      3) la violazione dell’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza) per quanto riguarda tre dei quattro ricorrenti in relazione al loro fermo, trasporto e detenzione arbitrari.

      La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare ai ricorrenti nel caso A.E. e T.B. contro Italia 27.000 euro per danni morali e 4.000 euro, congiuntamente, per costi e spese.

      In particolare:

      Per quanto riguarda i restanti reclami dei ricorrenti in A.E. e T.B. contro l’Italia, la Corte ha riscontrato che le condizioni del loro arresto e del trasferimento in autobus, considerate nel loro insieme, devono aver causato un notevole disagio e umiliazione, equivalenti a un trattamento degradante, in violazione dell’Articolo 3.

      Inoltre, i successivi lunghi trasferimenti in autobus dei ricorrenti sono avvenuti in un breve lasso di tempo e in un periodo dell’anno molto caldo, senza cibo o acqua sufficienti e senza che sapessero dove erano diretti o perché. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e di minacce. Queste condizioni, nel complesso, devono essere state fonte di angoscia.

      Infine, la Corte ha riscontrato una violazione dell’Articolo 3 per quanto riguarda il richiedente (T.B.) che ha affermato di essere stato picchiato durante un altro tentativo di allontanamento. Due degli altri richiedenti hanno confermato il suo racconto durante i colloqui relativi alle loro richieste di protezione internazionale; uno ha dichiarato in particolare di aver visto un altro migrante che veniva riportato dalla polizia dall’aeroporto con il volto tumefatto. Anche se T.B. aveva detto, durante un colloquio con le autorità, di essere in grado di identificare i tre agenti di polizia responsabili dei suoi maltrattamenti, non è stata condotta alcuna indagine.

      La Corte ha notato che il Governo le aveva fornito una copia di un’ordinanza di refusal-of-entry nei confronti di uno dei richiedenti, A.E., datata 1 agosto 2016, e la Corte ha quindi dichiarato inammissibile il suo reclamo sulla sua detenzione. D’altra parte, ha rilevato che gli altri tre ricorrenti nel caso, ai quali non erano stati notificati ordini di refusal-of-entry fino al 22 agosto 2016, erano stati arrestati e trasferiti senza alcuna documentazione e senza che potessero lasciare l’hotspot di Taranto. Ciò ha comportato una privazione arbitraria della loro libertà, in violazione dell’Articolo 5 § 1.

      Inoltre, era assente una legislazione chiara e accessibile relativa agli hotspot e la Corte non ha avuto alcuna prova di come le autorità avrebbero potuto informare i richiedenti delle ragioni legali della loro privazione di libertà o dare loro l’opportunità di contestare in tribunale i motivi della loro detenzione de facto.

      La Corte ha però respinto come inammissibili tutti i reclami dei nove ricorrenti, tranne uno, in merito al fatto che le autorità italiane non avevano preso in considerazione il rischio di trattamenti inumani se fossero stati rimpatriati in Sudan. In A.E. e T.B. contro Italia, i richiedenti, che avevano ottenuto la protezione internazionale, non erano più a rischio di deportazione e non potevano quindi affermare di essere vittime di una violazione dell’Articolo 3. In W.A. e altri c. Italia, la Corte ha ritenuto che quattro dei cinque ricorrenti, per i quali il rapporto della polizia belga del 2022 non aveva stabilito una corrispondenza affidabile tra le fotografie fornite dalle parti, non avessero sufficientemente motivato i loro reclami.

      La Corte ha dichiarato ammissibile il reclamo del ricorrente, W.A.. Ha osservato che i documenti disponibili erano sufficienti per concludere che si trattava di una delle persone indicate nelle fotografie identificative fornite dal Governo. Ha quindi ritenuto che fosse tra i cittadini sudanesi allontanati in Sudan il 24 agosto 2016. Tuttavia, la Corte ha continuato a ritenere che non vi fosse stata alcuna violazione dell’Articolo 3 nel caso di W.A. .

      In particolare, ha notato che c’erano state delle imprecisioni nel suo modulo di richiesta alla Corte e che, sebbene fosse stato assistito da un avvocato in diversi momenti della procedura di espulsione, aveva esplicitamente dichiarato di non voler chiedere la protezione internazionale e di essere semplicemente in transito in Italia. Inoltre, a differenza dei richiedenti nel caso A.E. e T.B. contro l’Italia, che avevano ottenuto la protezione internazionale sulla base delle loro esperienze personali, W.A. aveva sostenuto di appartenere a una tribù perseguitata dal Governo sudanese solo dopo aver presentato la domanda alla Corte europea. Questa informazione non era quindi disponibile per le autorità italiane al momento rilevante e la Corte ha concluso che il Governo italiano non ha violato il suo dovere di fornire garanzie effettive per proteggere W.A. dal respingimento arbitrario nel suo Paese d’origine.

      – Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot, di Francesco Ferri (https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl) – 17 agosto 2026
      – Rimpatrio forzato dei cittadini sudanesi: l’Italia ha violato i diritti. Rapporto giuridico sul memorandum d’intesa Italia-Sudan a cura della Clinica Dipartimento di Giurisprudenza di Torino (https://www.meltingpot.org/2017/10/rimpatrio-forzato-dei-cittadini-sudanesi-litalia-ha-violato-i-diritti-um) – 31 ottobre 2017.
      - The cases of A.E. and T.B. v. Italy (application nos. 18911/17, 18941/17, and 18959/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228836) and W.A. and Others v. Italy (no. 18787/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228835)

      https://www.meltingpot.org/2023/11/denudati-maltrattati-e-privati-della-liberta-la-cedu-condanna-nuovamente

  • Le #Comité_anti-torture_du_Conseil_de_l'Europe (#CPT) publie deux rapports sur l’observation d’une opération de retour soutenue par #Frontex depuis la #Belgique et #Chypre vers la #République_démocratique_du_Congo

    Le Comité pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) du Conseil de l’Europe publie aujourd’hui deux rapports sur ses visites ad hoc effectuées en Belgique du 7 au 10 novembre et à Chypre du 7 au 9 novembre 2022, dans le cadre d’une opération de retour, organisée avec le soutien de Frontex, vers la République démocratique du #Congo, ainsi que les réponses des autorités belges et chypriotes.

    Les deux rapports examinent le traitement et les conditions de détention des ressortissants étrangers privés de liberté en vertu de la loi sur les étrangers, ainsi que les garanties accordées dans le cadre de leur éloignement. Le CPT a envoyé, pour la première fois, deux délégations pour observer la préparation et le déroulement d’une opération de retour conjointe (JRO) par voie aérienne qui a eu lieu le 8 novembre 2022 depuis la Belgique et Chypre vers la République démocratique du Congo. Le vol de retour a été organisé par la Belgique, avec la participation notamment de Chypre et avec le soutien de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex). Il s’agit de la sixième opération d’éloignement par voie aérienne observée par le CPT au cours des dix dernières années.

    Dans son rapport concernant la visite effectuée en Belgique, le CPT a noté que sa délégation n’a reçu aucune allégation de mauvais traitements de la part des personnes éloignées. Le Comité a constaté qu’elles ont été traitées avec respect par les agents d’escorte de la Police fédérale belge tout au long de l’opération d’éloignement, qui a été menée de manière professionnelle. Néanmoins, le CPT considère que les garanties procédurales contre le refoulement arbitraire, y compris les voies de recours contre l’ordre de quitter le territoire, devraient être renforcées davantage afin de veiller à ce que personne ne soit renvoyé dans un pays où il y a un risque réel de mauvais traitements. Ce risque devrait être évalué de manière adéquate au moment de l’éloignement.

    En ce qui concerne le recours à la force et aux moyens de contrainte, le CPT prend note des lignes directrices détaillées et des instructions opérationnelles émises par les autorités belges, qui reflètent la position du Comité en la matière. Il se félicite du recours proportionné et progressif à la force et aux moyens de contrainte dont tous les agents d’escorte de la Police fédérale ont fait preuve, sur la base d’une approche dynamique de la sécurité. Plusieurs recommandations sont formulées pour améliorer le respect du secret médical et la transmission des informations médicales.

    Dans le rapport sur la visite à Chypre, le CPT a constaté que les personnes renvoyées étaient traitées avec respect par la police chypriote, mais il a souligné la nécessité d’adopter des lignes directrices claires concernant la phase de préparation du vol et la procédure d’embarquement, y compris à l’égard des questions liées à la santé. Le CPT a également pris connaissance d’allégations de mauvais traitements après des tentatives d’éloignement non abouties qui ont eu lieu dans les mois précédant la visite du CPT. Cela implique que les autorités chypriotes adoptent une approche proactive en ce qui concerne la détection et la prévention des mauvais traitements, y compris grâce à un examen médical systématique des ressortissants étrangers, à leur arrivée au centre de rétention administrative et après une tentative d’éloignement non aboutie, ainsi que la consignation et le signalement des indices médicaux de mauvais traitements.

    Le CPT formule également des recommandations spécifiques visant à améliorer les garanties dans le cadre de la préparation à l’éloignement, notamment en ce qui concerne la notification en temps utile de l’éloignement, l’accès à un avocat et l’examen médical par un médecin avant l’éloignement, dans le cadre d’une évaluation de « l’aptitude à voyager en avion ».

    Dans leur réponse, les autorités belges notent que des mesures ont été prises au niveau européen pour améliorer la manière dont les informations médicales sont partagées par les États membres participant aux JRO avec le médecin accompagnant le vol. Au niveau national, les autorités ont pris des mesures pour améliorer l’accessibilité des informations sur le mécanisme de plainte de Frontex. En outre, les autorités belges se réfèrent aux lois, procédures et pratiques existantes en réponse aux recommandations du CPT de renforcer les garanties contre le refoulement arbitraire. Les autorités notent également les familles avec enfants ne sont pas retenues dans les centres de rétention.

    Dans leur réponse, les autorités chypriotes fournissent des informations sur les enquêtes en cours concernant les cas d’allégations de mauvais traitements soulevés par le CPT. Les autorités indiquent également les mesures prises en ce qui concerne, entre autres, les examens médicaux, la consignation et le signalement de lésions, les procédures pour les agents d’escorte policière lors des retours forcés et volontaires, l’utilisation de moyens de contrainte, et la mise à disposition de services d’interprétation et de formation pour les agents d’escorte. En outre, ils indiquent que, dans le cadre de la politique publique, aucune personne vulnérable n’est placée en rétention, y compris les mineurs non accompagnés ou les familles avec enfants.

    https://www.coe.int/fr/web/cpt/-/council-of-europe-anti-torture-committee-cpt-publishes-two-reports-on-the-monit

    #renvois #expulsions #asile #réfugiés #déboutés #migrations #rapport #privation_de_liberté #conditions_de_détention #détention_administrative #rétention #vols #opération_de_retour_conjointe #joint_return_operation (#JRO) #observation

  • #Prison_insider

    Prison Insider est une #plateforme de production et de diffusion d’informations sur les prisons dans le #monde. Son objectif est d’informer, comparer et témoigner sur les #conditions_de_détention au regard des #droits_fondamentaux.
    À cette fin, Prison Insider recense et vérifie les données disponibles ; produit des informations, des connaissances et des savoirs et les rend accessibles au plus grand nombre (vulgarisation, diffusion, traduction,…). Prison Insider développe, mobilise et anime un réseau diversifié d’acteurs impliqués à travers le monde. Sa finalité est de donner les moyens d’agir.

    https://www.prison-insider.com
    https://www.youtube.com/watch?v=BeSATljy2Dw&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.prison-insider.


    #prisons #emprisonnement #témoignages #privation_de_liberté

  • RAPPORT 2022 SUR LES CENTRES ET LOCAUX DE RÉTENTION ADMINISTRATIVE

    Rapport commun sur les centres de rétention administrative : Chiffres clés, bilan et analyse de la situation des personnes enfermées dans les centres et locaux de rétention administrative (#CRA et #LRA).

    Fortes de leur travail quotidien d’accompagnement juridique des personnes étrangères dans les centres de rétention administrative (#CRA), nos cinq associations (Forum réfugiés, France terre d’asile, le Groupe SOS Solidarités – Assfam, La Cimade et Solidarité Mayotte) sont en première ligne pour constater et rendre compte des situations dans ces lieux de #privation_de_liberté.

    En 2022, 43.565 personnes ont été enfermées, au mépris de leurs droits, dans les centres de rétention de l’hexagone et d’outre-mer.

    https://www.lacimade.org/publication/rapport-2022-sur-les-centres-et-locaux-de-retention-administrative
    #rétention #France #rapport #2022 #La_Cimade #Cimade #détention_administrative #chiffres #statistiques #migrations #asile #réfugiés #enfermement #centres_de_rétention_administrative #lieux_de_rétention_administrative

  • Que prévoit la #France pour les 230 migrants de l’#Ocean_Viking ?

    Les migrants arrivés vendredi à #Toulon font l’objet d’un suivi sanitaire, et de contrôles de sécurité, avant d’être entendus par l’#Ofpra dans le cadre d’une #procédure_d’asile à la frontière. Pendant tout ce temps, ils sont maintenus dans une « #zone_d'attente ». Des associations dénoncent ces conditions d’accueil.

    Si les 230 migrants sauvés par l’Ocean Viking ont bien débarqué en France, vendredi 11 novembre, dans le port de Toulon (http://www.infomigrants.net/fr/post/44677/locean-viking-et-ses-230-migrants-accostent-a-toulon-en-france), ils ne se trouvent « pas techniquement sur le sol français », comme l’a indiqué le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin.

    En effet, les autorités françaises ont choisi de les placer dans une « zone d’attente », définie jeudi soir dans la zone portuaire de Toulon et sur un #centre_de_vacances de la #presqu’île de #Giens à #Hyères, où les exilés sont hébergés pour l’occasion. Un « #centre_administratif » dont ils n’ont pas le droit de sortir.

    Le maintien des personnes dans ce lieu peut durer 26 jours au maximum d’après la loi française.

    « Un système d’#enfermement de #privation_de_liberté et non d’accueil »

    Un dispositif dénoncé par plusieurs associations, dont l’Anafé qui défend les étrangers aux frontières. Interrogée par InfoMigrants, sa directrice Laure Palun souligne que c’est « un système d’enfermement de privation de liberté et non d’accueil, qui pose question quant aux conséquences sur des personnes vulnérables ».

    Gérad Sadik, responsable national de l’asile à La Cimade, estime, quant à lui, que cette #zone_temporaire est « illégale » car ce dispositif est normalement réservé aux espaces situés sur une frontière, dans les aéroports par exemple.

    Une centaine de « #Zones_d'attente_pour_personnes_en_instance » (#ZAPI) existe actuellement en France. Plusieurs associations dont l’Anafé, la Cimade et la Croix-Rouge interviennent dans ces lieux où patientent les étrangers qui ne sont pas autorisés à entrer sur le territoire, pour leur porter une assistance juridique, sanitaire et sociale.

    Mais, concernant les migrants de l’Ocean Viking, la Cimade s’inquiète de ne pas avoir accès aux personnes retenues dans la zone d’attente. Gérard Sadik affirme que l’entrée leur a été refusée. Il alerte également sur le fait que les mineurs non accompagnés ne doivent pas être placés dans ces zones d’attente, or 42 jeunes dans ce cas se trouvaient à bord de l’Ocean Viking selon SOS Méditerranée.

    Dans cette zone d’attente, les migrants feront l’objet d’un suivi sanitaire, puis de contrôles de sécurité des services de renseignement, avant d’être entendus par l’Office français de protection des réfugiés (Ofpra), qui examine les demandes d’asile et décide ou non d’attribuer le statut de réfugié.

    Procédure d’asile à la frontière comme dans les #aéroports

    La France, qui veut décider « très rapidement » du sort des migrants de l’Ocean Viking, a choisi d’appliquer la procédure d’asile à la frontière.

    Habituellement une demande d’asile française est d’abord enregistrée en préfecture, déposée auprès de l’Ofpra sous forme de dossier puis s’ensuit une convocation à un entretien, et entre trois à six mois mois d’attente avant la réponse.

    Mais dans le cas des migrants de l’Ocean Viking, l’Etat a choisi d’appliquer une #procédure_exceptionnelle qui prévoit qu’un agent de la mission asile frontière de l’Ofpra mène un entretien avec ces personnes dans un délai de 48 heures ouvrées afin d’évaluer si la demande d’asile n’est pas « #manifestement_infondée ».

    Cela peut poser problème, car cette notion floue et présentée sous une forme alambiquée laisse un large champ aux autorités françaises pour refuser l’entrée d’une personne, soulèvent les associations d’aide aux migrants.

    « En théorie, l’examen du caractère manifestement infondé ou non d’une demande d’asile ne devrait consister à vérifier que de façon sommaire si les motifs invoqués par le demandeur correspondent à un besoin de protection », soulignait l’Anafé, interrogée par InfoMigrants début novembre sur cette même procédure très régulièrement appliquée sur l’île de La Réunion. « Il ne devrait s’agir que d’un examen superficiel, et non d’un examen au fond, de la demande d’asile, visant à écarter les personnes qui souhaiteraient venir en France pour un autre motif (tourisme, travail, étude, regroupement familial, etc.) en s’affranchissant de la procédure de délivrance des visas », précisait l’association.

    Difficile donc pour des migrants tout juste arrivés après plusieurs semaines d’errance en mer, et parfois la perte de leurs papiers d’identité lors des naufrages, de prouver le fondement de leur demande lors d’un entretien de quelques minutes. D’autres considérations rentrent aussi en ligne de compte lors de ce type d’entretiens, notamment la langue parlée, et la qualité de la traduction effectuée par l’interprète de l’Ofpra.

    Pour accélérer encore un peu plus la procédure, « l’Ofpra a prévu de mobiliser dès ce week-end seize agents pouvant réaliser jusqu’à 90 entretiens par jour », a insisté vendredi le directeur général des étrangers (DGEF) au ministère de l’Intérieur, Eric Jalon.

    Après avoir mené ces entretiens, l’Ofpra donne un avis au ministère de l’Intérieur qui autorise ou non les migrants interrogés à déposer leur demande d’asile. Dans la plupart des cas, les personnes soumises à ce type de procédure échouent avec un taux de refoulement de 60%, indique l’Anafé.

    « Doutes sur le fait que les autorités françaises puissent expulser rapidement »

    « Pour les personnes dont la demande d’asile serait manifestement infondée, qui présenteraient un risque sécuritaire, nous mettrons en œuvre (...) les procédures d’#éloignement pour qu’elles regagnent leur pays d’origine », a prévenu Eric Jalon. Le ministère de l’Intérieur affirme également que des contacts ont déjà été pris avec les pays d’origine de ces rescapés.

    D’après les informations dont dispose InfoMigrants, les rescapés de l’Ocean Viking sont majoritairement originaires du Bangladesh, d’Érythrée et de Syrie, mais aussi d’Égypte, du Pakistan et du Mali notamment.

    « Nous avons des doutes sur le fait que les autorités françaises puissent expulser rapidement », fait savoir Laure Palun, « car il faut que la personne soit détentrice d’un passeport et d’un laissez-passer consulaire ». Or ce document doit être délivré par le pays d’origine et cela prend du temps car certains pays tardent à l’octroyer.

    Deux-tiers des personnes ne resteront de toute façon pas en France, puisqu’elles seront relocalisées dans neuf pays, a précisé le ministère, citant l’#Allemagne qui doit en accueillir environ 80, le #Luxembourg, la #Bulgarie, la #Roumanie, la #Croatie, la #Lituanie, #Malte, le #Portugal et l’#Irlande.

    Si une personne se voit refuser l’entrée sur le territoire par le ministère de l’Intérieur, un recours juridique est possible. Il s’agit du recours contre le refus d’admission sur le territoire au titre de l’asile à déposer dans un délai de 48 heures à compter de la notification de la décision de refus prise par le ministère de l’Intérieur, explique la Cimade.

    http://www.infomigrants.net/fr/post/44696/que-prevoit-la-france-pour-les-230-migrants-de-locean-viking
    #sauvetage #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #Italie #ports #ports_fermés #frontières #relocalisation #renvois #expulsions

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    –—

    ajouté à la métaliste autour de la création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

    • À peine débarqués, les rescapés de l’« Ocean Viking » sont privés de liberté

      C’est sous #escorte_militaire que le navire de #SOS_Méditerranée a pu s’amarrer à Toulon. Les migrants, dont des enfants, ont été transférés dans une « zone d’attente », soit un lieu de privation de liberté. Un député LFI, qui a pu y entrer, a vu « des humains au bord du gouffre ».

      Deux places, deux ambiances pour l’arrivée du bateau de SOS Méditerranée, vendredi, à Toulon. Sur le quai Cronstadt, en fin de matinée, une centaine de personnes se sont rassemblées pour affirmer un message de bienvenue aux 230 exilé·es secouru·es par l’Ocean Viking. Les slogans, cependant, n’ont pas pu être entendus des concerné·es, puisque le gouvernement a organisé leur réception au port militaire, loin des regards, y compris de ceux de la presse.

      Deux heures plus tard, quelques dizaines de soutiens d’Éric Zemmour ont tenu le pavé devant l’entrée de l’arsenal, tandis que leur chef déclamait un énième discours xénophobe devant un mur de caméras. Outre #Marion_Maréchal-Le Pen, il était accompagné d’anciens de #Génération_identitaire, dont l’Aixois #Jérémie_Piano, récemment condamné à huit mois de prison avec sursis pour des faits de violence au siège de SOS Méditerranée en 2018.

      Jeudi, Gérald Darmanin, ministre de l’intérieur, avait annoncé l’autorisation donnée à l’Ocean Viking de débarquer à Toulon, après trois semaines d’errance en mer dans l’attente d’un port sûr que lui ont refusé Malte et l’Italie. Le navire et ses 230 passagers et passagères, dont 13 enfants accompagnés et 44 mineur·es sans famille, s’est amarré à 8 h 50 ce vendredi. Son entrée en rade de Toulon s’est faite sous escorte de plusieurs bateaux militaires et d’un hélicoptère. Puis les personnes ont été acheminées dans un centre de vacances de la presqu’île de Giens, transformé en « zone d’attente » provisoire. Autrement dit : aux yeux de l’administration, les rescapé·es de l’Ocean Viking ne sont pas entré·es sur le territoire français.

      Des bus sont chargés de les conduire « sous #escorte_policière jusqu’au site d’hébergement situé sur la commune d’Hyères », a précisé le préfet du Var, Evence Richard à l’occasion d’une conférence de presse. Les personnes y seront privées de leur liberté, le temps de l’évaluation de leur situation, et sous la #garde_policière de quelque 200 agents.

      Des centaines de policiers

      Le représentant de l’État annonce d’importants moyens mis en place par ses services pour répondre à un triptyque : « #dignité_humanitaire ; #sécurité ; #rigueur et #fermeté ». 600 personnes en tout, forces de l’ordre comprises, vont se consacrer à cet « accueil » prévu pour un maximum de 26 jours. La prise en charge médicale est assurée par les services des pompiers et du Samu.

      D’un point de vue administratif, le ministère veut d’abord « évaluer les #risques_sécuritaires », via des entretiens menés par la direction générale de la sécurité intérieure (DGSI), selon les mots d’Éric Jalon, directeur général des étrangers en France, présent au côté du préfet. La mise en avant de cet aspect est un gage donné par Gérald Darmanin à l’extrême droite.

      Ensuite, si les personnes demandent l’asile et rentrent dans les critères, elles pourront, pour un tiers seulement des adultes, rester en France ou bien être « relocalisées », selon le jargon administratif, dans au moins neuf autres pays européens : Allemagne, Luxembourg, Bulgarie, Roumanie, Croatie, Lituanie, Malte, Portugal et Irlande.

      Des agents de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra), l’instance dépendant du ministère de l’intérieur chargée d’attribuer ou non le statut de réfugié, évalueront les situations « sous 48 heures », insistent les hauts fonctionnaires. Une procédure express réservée aux « zones d’attente », ces sites habituellement installés dans les aéroports, les ports ou à des postes-frontières, régulièrement dénoncés par des associations comme des lieux où les droits de certains étrangers et étrangères sont bafoués.

      Si les personnes ne demandent pas l’asile, si l’Ofpra rejette leur demande ou si elles sont considérées comme présentant un risque pour la sécurité, le ministère de l’intérieur s’efforcera de les renvoyer dans leur pays d’origine. « Des contacts ont d’ores et déjà été pris avec les pays vers lesquels les personnes ont vocation à retourner », affirme Éric Jalon.

      Les 44 mineur·es non accompagné·es déclaré·es par SOS Méditerranée, pour leur part, verront leur situation évaluée par les services de l’Aide sociale à l’enfance du Var. Si celle-ci ne met pas en cause leur minorité, ils pourront quitter la zone d’attente et être sous la protection du département, comme la loi l’impose.

      Des parlementaires interdits d’accès au quai

      Venue à Toulon pour observer, Laure Palun, de l’Anafé (Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers), organisation active pour défendre les droits des étrangers et étrangères en zones d’attente, critique la méthode. « Il n’y a pas assez d’agents de l’Ofpra formés aux demandes d’asile formulées à la frontière. Il risque d’y avoir plein d’erreurs, dit-elle. Et puis, pour des gens qui ont failli se noyer, qui sont restés autant de temps sur ce bateau, comment pourront-ils être opérationnels dès demain pour faire un récit de vie qui va être crédible aux yeux des autorités françaises ? »

      Sur le plan humain, « enfermer ces personnes, c’est rajouter une couche de #violence à ce qu’elles ont déjà vécu. La zone d’attente n’est pas un lieu qui permet d’aborder sereinement l’asile. Je ne suis pas certaine qu’il y aura une prise en charge psychologique », juge la responsable associative. Dans de nombreuses zones d’attente temporaire habituellement mises en place dans les départements d’outre-mer, l’association a observé que l’information sur la demande d’asile n’est pas toujours donnée aux individus. « C’est une obligation d’informer les étrangers de leurs droits », assure pour sa part Éric Jalon.

      Des rescapés harassés, pieds nus, sans pantalon

      L’opération du gouvernement interpelle aussi par le secret qu’elle s’évertue à organiser. En dehors des agents de l’État, personne n’a eu accès à l’arsenal vendredi, une zone militaire, donc confidentielle. Le député de Marseille Sébastien Delogu (La France insoumise – LFI) s’est vu refuser l’accès à l’Ocean Viking, alors que la loi autorise n’importe quel parlementaire à visiter une zone d’attente à l’improviste, et que celle créée dans le village vacances englobe « l’emprise de la base navale de Toulon », d’après l’arrêté publié vendredi par le préfet.

      Le gouvernement prétend faire primer, semble-t-il, le secret défense. « Moi je ne viens pas pour faire du théâtre comme l’extrême droite, je veux exercer mon droit de parlementaire, s’agace le député insoumis. J’ai aussi été élu pour ça. Sinon, qui a un droit de regard ? » Son collègue Hendrik Davi (LFI) a également été repoussé.

      Plus tard, Sébastien Delogu a pu, tout de même, se rendre au village vacances et « constater toute la souffrance et la détresse physique et mentale dans laquelle se trouvent les rescapés ». « Ces jeunes hommes et femmes sont épuisés, parfois pieds nus ou sans pantalon, harassés par ce périple durant lequel ils ont tout quitté et risqué leur vie. Je n’ai vu que des humains au bord du gouffre, a-t-il précisé, à la sortie, dans un communiqué. Nous ne céderons pas un centimètre d’espace politique aux fascistes qui instrumentalisent ces drames pour propager la haine et la xénophobie. »

      Entre soulagement et amertume, les responsables de SOS Méditerranée ont quant à eux fustigé vendredi des blocus de plus en plus longs imposés à leur navire, au détriment de la sécurité physique et psychologique des naufragé·es recueilli·es à bord. Comme elle le fait depuis sept ans, l’ONG a appelé à la (re)constitution d’une flotte européenne pour faire du sauvetage en Méditerranée centrale et à la mise en place d’un processus de solidarité entre États européens pour la répartition des personnes secourues, qui respecte le droit maritime (soit un débarquement dans le port sûr le plus proche).

      Les finances de l’association étant en baisse à cause de l’explosion des coûts due à l’inflation et à la diminution des dons reçus, elle a relancé un appel aux soutiens. « Dans l’état actuel de nos finances, on ne peut continuer encore que quelques mois, précise sa directrice Sophie Beau. Depuis le premier jour, SOS Méditerranée est essentiellement soutenu par la société civile. » Si quelques collectivités complètent le budget par des subventions, l’État français, lui, ne verse évidemment pas un centime.

      « C’est essentiel qu’on retourne en mer, déclare Xavier Lauth, directeur des opérations de SOS Méditerranée. Parce qu’il y a eu déjà au mois 1 300 morts depuis le début de l’année [en Méditerranée centrale, face à la Libye – ndlr]. » Le décompte de l’Organisation internationale pour les migrations (liée à l’ONU) a précisément dénombré 1 912 personnes disparues en Méditerranée depuis le début de l’année, que les embarcations aient visé l’Italie, la Grèce ou encore l’Espagne. Et depuis 2014, plus de 25 000.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/111122/peine-debarques-les-rescapes-de-l-ocean-viking-sont-prives-de-liberte

    • Le jour où la France n’a pas (vraiment) accueilli l’Océan Viking…

      Après trois semaines à errer, sans qu’on lui assigne de port où débarquer les 234 rescapés secourus en mer, l’Océan Viking, de Sos-Méditerranée, a enfin accosté à Toulon. Entre soulagement et indignation, les associations dénoncent l’instrumentalisation politique de cette crise et les défaillances des États membres de l’Union Européenne.

      « Le sauvetage que nous avons débuté le 22 octobre n’est toujours pas terminé », c’est en substance ce qu’explique Louise Guillaumat, directrice adjointe des opérations de SOS-Méditerranée, lors de la conférence de presse tenue, le vendredi 11 novembre à midi. À cette heure, plus de la moitié des rescapés tirés des eaux par l’ONG, trois semaines auparavant, sont toujours à bord de l’Océan Viking, qui a accosté le matin même, sur le quai de l’artillerie de la base navale varoise.

      Au soleil levant, sur le quai Cronstadt, au pied du « cul-vers-ville », une statue évoquant le génie de la navigation, les caméras de télévision se sont frayé une place parmi les pêcheurs matinaux. Il est 7 h 00, le bateau de Sos-méditerranée est à moins de six miles marins des côtes toulonnaises. Il accoste deux heures plus tard. Pourtant, les 231 exilés à son bord ne sont pas accueillis par la France.
      44 enfants isolés

      « Les passagers ont été placés en zone d’attente. Ils n’ont pas été autorisés à entrer sur le territoire national. » explique Éric Jalon, préfet, et directeur général des étrangers en France (DGEF). Le port militaire et le centre où vont être hébergés les exilés ont été, par décret, définis, la veille, comme « zone d’attente provisoire » gérée par la Police des airs et des frontières (PAF). « Des évaluations de leur état de santé sont faites dès leur descente du navire », promet le préfet.

      Après quoi, ils sont conduits en bus dans un centre de vacances, mis à disposition par la Caisse centrale d’activités sociales (CCAS) des agents des industries électriques et gazières en France, en solidarité avec les personnes réfugiées. Une fois là-bas, ces dernières, parmi lesquelles 44 mineurs isolés, doivent pouvoir formuler une demande d’asile en procédure accélérée.

      « Des agents de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra) ont été détachés sur place pour y mener des entretiens », poursuit le DGEF. Ceux pour qui la demande d’asile sera jugée « irrecevable et manifestement infondée » feront l’objet de reconduites dans leur pays d’origine. Ce n’est qu’après cette procédure, pouvant durer jusqu’à 26 jours, que les autres pourront alors prétendre à demander l’asile en France ou dans un des neuf pays de l’union européenne s’étant déclaré prêt à en accueillir une partie.
      Une façon de détourner le règlement de Dublin

      « Ce n’est pas ce que prévoit le droit dans l’état », pointe Laure Palun, la directrice de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), présente au rassemblement organisé sur le port, en milieu de matinée, par les associations, syndicats et partis solidaires des exilés. « Les demandeurs d’asile doivent normalement être accueillis sur le territoire d’un État avant leur relocalisation. » explique-t-elle.

      Le choix fait par la France est une façon de détourner le règlement de Dublin qui prévoit qu’une demande d’asile ne puisse être étudiée que par le pays de première entrée du candidat. Et ce n’est pas la seule entorse à la loi que revêt le dispositif « exceptionnel » mise en place par Gérald Darmanin, ministre de l’intérieur. « Ce matin, on nous a refusé l’entrée dans la zone d’attente alors que nous sommes une des associations agréées pour y accéder en tant qu’observateur », dénonce ainsi la responsable associative. La loi prévoit, d’ailleurs, dans le même cadre un libre accès aux parlementaires. Le député LFI de la 7e circonscription de Marseille, Sébastien Delogu, s’est porté volontaire ce matin. Mais « le cabinet de Sébastien Lecornu, ministre des armées, nous interdit l’accès au port », confia-t-il, en début d’après-midi, au téléphone depuis le bureau du préfet maritime. Même les membres de Sos-Méditerranée n’ont pas pu venir à la rencontre de leur équipage bloqué en mer depuis 21 jours.
      L’indignité monte d’un cran

      « La France a su accueillir dignement les réfugiés venus d’Ukraine », rappelle Olivier Masini, secrétaire général de l’UD CGT du Var, alors que plusieurs centaines de militants entament une marche solidaire en direction du théâtre de la liberté où les représentants de SOS-Méditerranée tiennent leur conférence de presse. « Nous sommes ici pour affirmer les valeurs humanistes de notre syndicat et pour demander que les réfugiés débarqués aujourd’hui puissent bénéficier d’un traitement similaire. »

      C’est avec les traits tendus par la colère et la fatigue que les quatre dirigeants de l’Ong de sauvetage en mer accueillent leur auditoire. « Les États Européens négligent depuis sept ans la situation » , lance Sophie Beau, Co-fondatrice de SOS-Méditerranée. « Il est temps que soit mis en place un véritable mécanisme opérationnel et pérenne de répartition des exilés secourus en Méditerranée centrale. L’instrumentalisation politique de cette crise est indigne des démocraties européennes. »

      L’#indignité est d’ailleurs montée d’un cran en début d’après-midi, lorsque devant l’arsenal, les représentants du parti d’extrême-droite, Reconquête, sont venus s’exprimer devant une poignée de groupies haineux. Pas de quoi décourager, cependant, les sauveteurs de Sos-Méditerranée. «  Je préfère rester optimiste, reprend Sophie Beau. Les citoyens européens sont porteurs de solidarité. Nous repartirons rapidement en mer pour continuer notre mission de sauvetage. Et dans le contexte économique actuel, nous avons plus que jamais besoin du soutien de la société civile… Répondez à ce SOS. »

      https://www.humanite.fr/societe/ocean-viking/le-jour-ou-la-france-n-pas-vraiment-accueilli-l-ocean-viking-770755#xtor=RS

      #migrerrance

    • « Ocean-Viking », un désastre européen

      Editorial du « Monde » . Les trois semaines d’errance du navire humanitaire, qui a fini par accoster à Toulon sur fond de crise diplomatique entre la France et l’Italie, rappellent l’impuissance européenne à mettre en œuvre les droits humains.

      L’Union européenne (UE) n’avait pas besoin de cela. Déjà aux prises avec une guerre à ses portes, une crise énergétique, la montée de l’inflation et les tensions que ce contexte exacerbe entre ses membres, voilà que la terrible errance depuis trois semaines d’un navire humanitaire, l’Ocean-Viking, chargé de migrants secourus en Méditerranée, remet en lumière son incapacité à organiser la solidarité en son sein. Cela sur la principale question qui nourrit l’extrême droite dans chaque pays – l’immigration – et, partant, menace l’avenir de l’Union elle-même.

      Si la France a, finalement, sauvé l’honneur en acceptant que l’Ocean-Viking accoste à Toulon, vendredi 11 novembre, après le refus italien, l’impuissance européenne à mettre en œuvre les droits humains qui la fondent historiquement – en l’occurrence la sauvegarde de 234 vies, dont celles de 57 enfants – est extrêmement préoccupante.

      Que la France et l’Italie, que rapprochent mille liens historiques, géographiques et humains, en viennent à s’apostropher par ministres de l’intérieur interposés donne la mesure de la déstabilisation d’un équilibre déjà fragile, consécutif à l’arrivée à Rome de Giorgia Meloni, la présidente du conseil italien issue de l’extrême droite.

      Sept ans après la crise migratoire de 2015, au cours de laquelle l’UE avait manqué de solidarité à l’égard de l’Italie, y nourrissant la xénophobie, les ingrédients du malaise sont toujours là. Même si les migrants de l’Ocean-Viking doivent être répartis dans l’UE, le fragile système de partage des demandeurs d’asile dans une douzaine d’Etats européens, obtenu par la France en juin, qui n’a jusqu’à présent connu qu’une application homéopathique, a déjà volé en éclats avec l’Italie.

      Volte-face

      Pour l’exécutif français, enclin à présenter l’Union européenne comme un facteur de protection, le scénario de l’Ocean-Viking est également désastreux. S’il a pris en définitive la bonne décision, il semble s’être fait forcer la main par le gouvernement italien. Alors qu’Emmanuel Macron avait refusé en 2018 l’accostage de l’Aquarius, un autre bateau humanitaire, pour ne pas « faire basculer le pays vers les extrêmes », sa volte-face intervient alors que le Rassemblement national, avec ses 89 députés, a renforcé son emprise sur la vie politique.

      Si le dénouement de Toulon devrait logiquement être salué à gauche, il risque de compromettre le ralliement déjà incertain de la droite au projet de loi sur l’immigration, construit sur un équilibre entre régularisation de travailleurs étrangers et fermeté sur les mesures d’éloignement.

      Le poids des images et des symboles – le navire chargé de malheureux, le débarquement sous escorte militaire – ne saurait cependant faire perdre la véritable mesure de l’événement : l’arrivée de quelques dizaines de demandeurs d’asile est bien loin de déstabiliser un pays comme la France. Une centaine de milliers de réfugiés ukrainiens y sont d’ailleurs accueillis à bras ouverts. Comme eux, les migrants venus d’autres continents ont droit à un examen sérieux de leur demande d’asile.

      Les difficultés d’intégration, les malaises et les craintes que suscite l’immigration dans l’opinion sont évidents et doivent être sérieusement écoutés et pris en compte. Mais, alors que l’extrême droite fait des migrants le bouc émissaire de tous les dysfonctionnements de la société et tient la mise au ban des étrangers pour la panacée, il faut rappeler que des hommes, des femmes et des enfants sont là, derrière les statistiques et les joutes politiques.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2022/11/12/ocean-viking-un-desastre-europeen_6149574_3232.html

    • Pour le plein respect des droits et de la dignité des passager.e.s de l’Ocean Viking, pour une véritable politique d’accueil européenne [Communiqué de presse inter-associatif]

      L’accueil de l’Ocean Viking à Toulon en France a été un soulagement face au drame terrible et indigne que vivaient ses passager.e.s depuis plusieurs semaines, balloté.e.s sur les flots en attente d’une décision sur leur possibilité de débarquement.

      Maintenant se pose la question des conditions de l’accueil des passager.e.s.

      Nous demandons la mise en place des dispositions suivantes :

      – Pas de privation de liberté en zone d’attente, qui ne ferait qu’accroitre les souffrances et traumatismes vécus en mer et sur le parcours d’exil ; de nos expériences sur le terrain, le respect des droits des personnes et de leur dignité n’est pas compatible avec l’enfermement de ces dernières, quel que soit le contexte de leur arrivée, et a fortiori après un périple tel que l’on vécut les rescapés de l’Océan Viking.
      En outre, il est inadmissible que le gouvernement ait fait le choix de « fabriquer » une zone d’attente temporaire dans une base militaire, rendant impossible l’accès des associations habilitées et des élu.e.s de la République, sous prétexte de secret défense, ne permettant pas à des personnes en situation de particulière vulnérabilité d’avoir accès à l’assistance minimale que la loi leur reconnaît.

      – Mobilisation d’un centre d’accueil ouvert, permettant de mettre en place l’accompagnement sanitaire, social, et également psychologique nécessaire.

      – Protection immédiate, mise à l’abri et hébergement des passager.e.s, dépôt de demandes d’asile pour toutes les personnes le souhaitant, et examen approfondi de toutes les situations des personnes afin de garantir le respect de l’exercice effectif de leurs droits.

      Plus globalement, pour éviter demain d’autres drames avec d’autres bateaux :

      – Nous rappelons le nécessaire respect du droit international de la mer, en particulier l’obligation de porter secours aux passagers d’un bateau en difficulté, le débarquement des personnes dans un lieu sûr dans les meilleurs délais ainsi que le principe de non-refoulement vers des pays où les personnes encourent un risque d’être soumises à la torture ou à des traitements inhumains ou dégradants.

      – La solidarité en Europe ne fonctionne pas. Le « mécanisme de solidarité » proposé dans le cadre du pacte européen « migrations et asile » est non seulement non respecté par les pays mais très en-deçà d’une véritable politique d’accueil respectueuse de la dignité des personnes et de leurs droits fondamentaux. L’Italie est à la pointe des égoïsmes nationaux mais globalement les pays européens dans leur ensemble ne sont pas à la hauteur.

      – C’est donc un changement de modèle politique qui est indispensable : passer de politiques européennes fondées sur la fermeture et le repli vis-à-vis des migrant.e.s considéré.e.s comme indésirables pour prôner un autre système :

      > permettre un accès inconditionnel au territoire européen pour les personnes bloquées à ses frontières extérieures afin d’examiner avec attention et impartialité leurs situations et assurer le respect effectif des droits de tou∙te∙s
      > permettre l’accueil des réfugié.e.s non pas sur la base de quotas imposés aux pays, mais sur la base des choix des personnes concernées (selon leurs attaches familiales, leurs compétences linguistiques ou leurs projets personnels), dans le cadre d’une politique de l’asile harmonisée, fondée sur la solidarité entre Etats et le respect inconditionnel des droits fondamentaux.

      http://www.anafe.org/spip.php?article655

    • Zone d’attente de Toulon : violations des droits des personnes sauvées par l’Ocean Viking [Communiqué de presse]

      Depuis 5 jours, l’Anafé se mobilise pour venir en soutien aux personnes enfermées en zone d’attente de Toulon après le débarquement de l’Ocean Viking, le vendredi 11 novembre. Ses constats sont alarmants. Les personnes sauvées par l’Ocean Viking sont victimes de violations de leurs droits fondamentaux dans ce lieu d’enfermement qui n’a rien d’un village de vacances : violations du droit d’asile, personnes portant des bracelets avec numéro, absence d’interprétariat, absence de suivi psychologique effectif, pas de téléphones disponibles et pas de visites de proches, pas d’accès à un avocat ou à une association de défense des droits.

      Violation du droit d’asile
      Toutes les personnes enfermées dans la zone d’attente de Toulon ont demandé l’asile. L’Anafé dénonce le choix des autorités de priver de liberté ces personnes en demande de protection internationale alors que ces mêmes autorités n’ont pas nié l’état psychologique dégradé dans lequel elles se trouvent après un long parcours au cours duquel elles ont failli se noyer et après avoir été débarquées d’un bateau de sauvetage sur lequel elles avaient passé 21 jours. Or, la procédure d’asile à la frontière est une procédure d’asile « au rabais », réalisée dans l’urgence mais aussi dans un lieu d’enfermement, quelques heures seulement après le débarquement.
      Les autorités auraient pu, à l’instar de ce qui a été mis en œuvre l’année dernière à l’arrivée de personnes ressortissantes d’Afghanistan ou lors de l’arrivée de ressortissants d’Ukraine depuis le début d’année, prévoir des mesures d’hébergement et un accès à la procédure de demande d’asile sur le territoire, après un temps de repos et de prise en charge médicale sur le plan physique et psychologique.

      Les conditions d’entretien Ofpra
      Les entretiens Ofpra doivent veiller au respect de la confidentialité des échanges et de la dignité des personnes, tout en prenant en compte leur vulnérabilité. L’Ofpra aurait pu refuser de réaliser les entretiens de personnes à peine débarquées au regard de leur vulnérabilité. Cela n’a pas été le cas. Au contraire, elles ont dû expliquer leurs craintes de persécutions sitôt enfermées en zone d’attente. Surtout, des entretiens se sont déroulés dans des tentes, dont certaines laissant une visibilité depuis l’extérieur et sans respect de la confidentialité des échanges, les conversations étaient audibles depuis l’extérieur. Les autres ont été faits dans des locaux où avaient été réalisés des entretiens avec les services de police, ajoutant à la confusion des interlocuteurs et des rôles. Rien, hormis le petit badge porté par les officiers de protection, ne pouvait les distinguer des policiers en civil ou des associations présents dans le camp.

      L’absence d’interprétariat
      Les personnes ainsi enfermées n’ont pas eu accès à des interprètes. Seulement deux interprètes en arabe étaient présentes lors d’une visite organisée par des sénateurs et un député. Leur rôle : traduire les entretiens avec la police aux frontières. Hormis ces deux interprètes, l’ensemble des entretiens sont effectués via un interprétariat téléphonique assuré par un prestataire, y compris pour les entretiens Ofpra. L’Anafé a pu observer les difficultés de la police aux frontières pour contacter un interprète, faisant parfois appel à une personne maintenue en zone d’attente.
      Dès lors, les personnes ne sont pas en mesure de comprendre la procédure de maintien en zone d’attente, leurs droits, la procédure spécifique d’asile à la frontière et ses tenants et aboutissants.

      Des numéros aux poignets
      Les personnes maintenues sont identifiées par des bracelets de couleur au poignet portant un numéro. Les autorités n’ont donc pas hésité à les numéroter sans aucun respect pour leur individualité et leur identité.

      L’absence de suivi psychologique effectif
      L’Anafé a pu constater dans la zone d’attente que si la CUMP83 (cellules d’urgence médico-psychologique) était présente, les conditions d’enfermement ne permettent pas aux infirmiers d’échanger avec les personnes maintenues, les services d’interprétariat téléphonique toujours assurés par le même prestataire étant saturés. De plus, la CUMP83 ne bénéficie pas d’un local adapté pour s’entretenir de manière confidentielle avec les personnes mais d’une tente située dans le « village Croix-Rouge » au milieu de la zone d’attente. Cette disposition ne permet donc pas aux personnes maintenues de bénéficier d’un soutien psychologique confidentiel et adapté au traumatisme qu’elles ont subi lors de leur parcours migratoire et des trois semaines passées en mer.
      De plus, si un médecin, une sage-femme et une infirmière étaient présents le samedi 13 novembre 2022, nous avons pu constater le lendemain qu’aucun médecin n’était présent sur le site. Il nous a été indiqué qu’en cas de nécessité, il serait fait appel à SOS Médecin.

      Impossibilité d’avoir des contacts avec l’extérieur, contrairement à la législation régissant les zones d’attente
      Les numéros utiles ne sont pas affichés. Le wifi installé par la Croix-Rouge ne fonctionne pas correctement. Si huit téléphones portables sont disponibles toute la journée, les conversations sont limitées à 5 minutes et jusqu’à 18h environ. Il n’est pas possible d’être appelé sur ces numéros et ils ne servent que dans le cadre du rétablissement des liens familiaux. Hormis ces téléphones, aucune cabine téléphonique n’est prévue sur le site de la zone d’attente. Il n’est donc pas possible pour les personnes maintenues de s’entretenir de manière confidentielle, notamment avec un avocat, une association ou leurs proches. Il est impossible pour les personnes maintenues de se faire appeler de l’extérieur.
      Aucune visite de proche n’est possible en raison de l’absence de de mise en place d’un système de visite ou d’un local dédié.

      L’impossible accès aux avocats et aux associations
      L’Anafé a pu constater que les personnes maintenues n’avaient aucune connaissance de leur droit à contacter un avocat et qu’aucun numéro de téléphone ne leur avait été communiqué, là encore, contrairement à la législation applicable. Après la visite de la Bâtonnière de l’Ordre des avocats de Toulon et des élus, les avocats se sont vu attribuer deux chambres faisant office de bureau qui ne sont équipées ni d’ordinateur, ni de fax, ni d’internet pour transmettre les recours.
      L’Anafé n’a pas de local pour s’entretenir de manière confidentielle avec les personnes maintenues, notamment en faisant appel à un service d’interprétariat. D’après les informations fournies par la protection civile, il n’y avait pas de local disponible.
      Il est donc impossible pour les avocats et pour les associations de défense des droits d’exercer leur mission dans des conditions garantissant la confidentialité des échanges et un accompagnement digne des personnes.

      Toutes ces violations constituent des manquements graves aux droits des personnes enfermées dans la zone d’attente de Toulon. Ces atteintes inacceptables sont le résultat du choix fait par les autorités d’enfermer ces personnes au lieu de les accueillir. Comme à chaque fois que des gens sont enfermés en zone d’attente, leurs droits ne sont pas respectés. C’est ce que l’Anafé dénonce depuis la création des zones d’attente. Il est temps de mettre fin à ce régime d’enfermement.

      http://www.anafe.org/spip.php?article656

    • Comment l’affaire de l’Ocean Viking révèle l’ambiguïté des « zones d’attente »

      Vendredi 11 novembre, les 234 migrantes et migrants secourus par le navire Ocean Viking ont pu rejoindre la base navale de Toulon, après trois semaines d’errance en mer. Ultime épisode du drame de la migration qui se joue en Méditerranée et dont le déroulement puis le dénouement peuvent donner lieu à plusieurs clés de lecture. Au niveau de la politique et de l’intégration européennes, le bras de fer entre Paris et Rome, rejouant le duel ayant opposé en 2018 Emmanuel Macron avec l’alors Président du Conseil des ministres italien et actuel Vice-Président Matteo Salvini, a souligné les obstacles à l’affirmation de la solidarité européenne sur la question. Au niveau de la politique interne, ensuite, l’on a vu combien la situation de l’Ocean Viking a accusé les clivages entre « humanistes » et partisans de la fermeté.

      Rappelons d’ailleurs que les propos ayant valu l’exclusion pour deux semaines du député du Rassemblement national Grégoire de Fournas ont précisément été tenus à l’occasion de l’allocution d’un député de la France insoumise dénonçant le sort réservé aux passagers du navire humanitaire.

      Le dernier épisode en date dans l’épopée de l’Ocean Viking est également et entre autres justiciable d’une analyse juridique.
      Les limites du droit international de la mer

      Pendant son errance, les difficultés à trouver un lieu de débarquement ont de nouveau souligné les limites d’un droit de la mer peinant à imposer à un État clairement défini d’ouvrir ses ports pour accueillir les rescapés. La décision de laisser les passagers de l’Ocean Viking débarquer à Toulon est également significative. Elle signe certes leur prise en charge temporaire par la France, mais n’emporte pas, du moins dans un premier temps, leur admission sur le territoire français (au sens juridique). Ce dont le ministre de l’Intérieur ne s’est d’ailleurs fait faute de souligner).

      Cette situation permet alors de mettre en exergue l’une des singularités de la conception juridique du territoire, notamment en ce qui concerne la situation des étrangers. Les zones d’attente en sont une claire illustration.
      Les « zones d’attente »

      Les aéroports ont été les premiers espaces où sont apparues ces zones considérées comme ne relevant pas juridiquement du territoire de l’État les accueillant. Le film Le Terminal, dans lequel Tom Hanks campait un iranien ayant vécu plusieurs années à Roissy – où il s’est d’ailleurs éteint ce samedi 12 novembre –, avait en 2004 porté à la connaissance du grand public cette situation.

      En France, les « zones internationales », initialement nimbées d’un flou quant à leur fondement juridique et au sein desquelles les autorités prétendaient par conséquent n’y être pas assujetties au respect des règles protectrices des droits humains, ont cédé la place aux « zones d’attente » à la faveur de la loi du 6 juillet 1992).

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      À une situation d’exclusion – du moins, alléguée par les autorités – du droit, s’est alors substitué un régime d’exception : les personnes y étant maintenues n’étaient toujours pas considérées comme ayant pénétré juridiquement le territoire français.

      N’étant plus – prétendument – placées « hors du droit » comme l’étaient les zones internationales, les zones d’attente n’en restaient pas moins « hors sol ». L’une des conséquences en est que les demandes d’asile qui y sont le cas échéant déposées relèvent alors de l’« asile à la frontière ». Elles sont par conséquent soumises à un régime, notamment procédural, beaucoup moins favorable aux demandeurs (Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile CESEDA, Titre V, article L.350-1 à L.352-9).
      La « fiction juridique »

      La « fiction juridique » que constituent les zones d’attente s’étend désormais entre autres aux gares ferroviaires ouvertes au trafic international, aux ports ou à proximité du lieu de débarquement (CESEDA, article L.341-1). Ces « enclaves » au sein du territoire, autour d’une centaine actuellement, peuvent par ailleurs inclure, y compris « à proximité de la gare, du port ou de l’aéroport ou à proximité du lieu de débarquement, un ou plusieurs lieux d’hébergement assurant aux étrangers concernés des prestations de type hôtelier » (CESEDA, article L.341-6).

      Tel est le cas de la zone d’attente créée par le préfet du Var par le biais d’un arrêté, à la suite de l’accueil de l’Ocean Viking.

      « pour la période du 11 novembre au 6 décembre 2022 inclus, une zone d’attente temporaire d’attente sur l’emprise de la base navale de Toulon et sur celle du Village Vacances CCAS EDF 1654, avenue des Arbanais 83400 Hyères (Giens) ».

      Accueillis dans ce Village Vacances dont les « prestations de type hôtelier » ne semblent aucunement correspondre à la caricature opportunément dépeinte par certains, les rescapés demeurent, juridiquement, aux frontières de la France.
      Aux portes du territoire français

      Ils ne se situent pas pour autant, de ce fait, dans une zone de non-droit : placés sous le contrôle des autorités françaises, ils doivent se voir garantir par elles le respect de leurs droits humains. Aux portes du territoire français, les migrantes et migrants secourus par l’Ocean Viking n’en relèvent pas moins de la « juridiction » française comme le rappelle la Cour européenne des droits de l’Homme. La France est ainsi tenue d’observer ses obligations, notamment au regard des conditions de leur maintien contraint au sein de la zone.

      Une partie des rescapés recouvreront leur liberté en étant admis à entrer juridiquement sur le territoire de la France. Tel est le cas des mineurs non accompagnés, dont il est annoncé qu’ils seront pris en charge par l’Aide sociale à l’enfance.

      Tel est également le cas de ceux qui auront été autorisés à déposer une demande d’asile sur le territoire français et se seront vus, à cette fin, délivrer un visa de régularisation de huit jours. Parmi eux, la plupart (175) devraient être acheminés vers des États européens qui se seraient engagés à les accueillir, vraisemblablement afin que soient examinées leurs demandes de protection internationale. Expression d’une solidarité européenne a minima dont il faudra cependant voir cependant les suites.

      À lire aussi : Podcast : « Quand la science se met au service de l’humanitaire », le Comité international de la Croix-Rouge

      Pour tous les autres enfin, ceux à qui un refus d’entrer sur le territoire français aura été notifié et qui ne seront pris en charge par aucun autre État, le ministre de l’Intérieur précise qu’ils seront contraints de quitter la zone d’attente vers une destination qui demeure cependant encore pour le moins incertaine. Ceux-là auront alors été accueillis (très) temporairement par la France mais seront considérés comme n’ayant jamais pénétré sur le territoire français.

      https://theconversation.com/comment-laffaire-de-locean-viking-revele-lambigu-te-des-zones-datte

    • « Migrants » de l’« Ocean Viking », « réfugiés » d’Ukraine : quelle différence ?

      Comme elle l’a fait après l’invasion russe, la France doit mener une véritable politique d’accueil pour les passagers de l’« Ocean Viking » : permettre l’accès inconditionnel au territoire sans présupposé lié à leur origine ni distinction entre « migrants » et « réfugiés ».

      Après trois semaines d’errance en Méditerranée, la France a accepté « à titre exceptionnel » de laisser débarquer le 11 novembre, à Toulon, les 234 rescapés du navire humanitaire Ocean Viking. Tout en précisant, par la voix du ministre de l’Intérieur, que ces « migrants ne pourront pas sortir du centre administratif de Toulon » où ils seront placés et qu’« ils ne sont donc pas légalement sur le territoire national » : à cette fin, une zone d’attente a été créée en urgence où les personnes, qui ont toutes déposé une demande d’asile, sont donc enfermées sous surveillance policière.

      Pour la suite, il est prévu que la France ne gardera sur son sol, s’ils remplissent les conditions de l’asile, qu’environ un tiers des passagers du bateau. Les autres seront autoritairement relocalisés dans neuf pays de l’Union européenne. Voilà donc « l’accueil » réservé à des femmes, des enfants et des hommes qui, après avoir fui la guerre, la misère, l’oppression, et pour beaucoup subi les sévices et la violence du parcours migratoire, ont enduré une longue attente en mer aux conséquences notoirement néfastes sur la santé mentale et physique. L’accueil réservé par la France à ceux qu’elle désigne comme « migrants ».
      Pas de répartition entre les Etats européens

      Rappelons-nous : il y a moins d’un an, au mois de février, lorsque plusieurs millions d’Ukrainiens fuyant l’invasion russe se sont précipités aux frontières des pays européens, la France a su mettre en place en quelques jours un dispositif à la hauteur de cette situation imprévue. Pas question de compter : au ministère de l’Intérieur, on expliquait que « dès lors que des besoins seront exprimés, la France y répondra », tandis que le ministre lui-même annonçait que « nous pouvons aujourd’hui accueillir jusqu’à 100 000 personnes réfugiées sur le territoire national ». Pas question non plus de répartition entre les Etats européens : « Ce sont des personnes libres, elles vont là où elles veulent », affirmait la ministre déléguée auprès du ministre de l’Intérieur. Et pour celles qui choisiraient de rester en France, un statut provisoire de protection immédiate était prévu, donnant droit au travail, à un logement et à un accompagnement social. On n’a pas manqué de se féliciter de l’élan formidable de solidarité et d’humanité dont la France avait fait preuve à l’égard des réfugiés, à l’instar de ses voisins européens.

      Une solidarité et une humanité qui semblent aujourd’hui oubliées. Parce qu’ils sont d’emblée qualifiés de « migrants », les passagers de l’Ocean Viking, sans qu’on ne connaisse rien de leurs situations individuelles, sont traités comme des suspects, qu’on enferme, qu’on trie et qu’on s’apprête, pour ceux qui ne seront pas expulsés, à « relocaliser » ailleurs, au gré d’accords entre gouvernements, sans considération de leurs aspirations et de leurs besoins.

      On entend déjà les arguments qui justifieraient cette différence de traitement : les « réfugiés » ukrainiens sont les victimes d’un conflit bien identifié, dans le contexte d’une partie de bras de fer qui oppose l’Europe occidentale aux tentations hégémoniques du voisin russe. Des « migrants » de l’Ocean Viking,on prétend ne pas savoir grand-chose ; mais on sait au moins qu’ils et elles viennent de pays que fuient, depuis des années, d’innombrables cohortes d’exilés victimes des désordres du monde – guerres, corruption, spoliations, famines, désertification et autres dérèglements environnementaux – dont les Européens feignent d’ignorer les conséquences sur les mouvements migratoires mondiaux, pour décréter que ce ne sont pas de « vrais » réfugiés.
      Une hospitalité à deux vitesses

      Mais cette hospitalité à deux vitesses est aussi la marque du racisme sous-jacent qui imprègne la politique migratoire de la France, comme celle de l’Union européenne. Exprimée sans retenue par un élu d’extrême droite sur les bancs de l’Assemblée à propos de l’Ocean Viking (« qu’il(s) retourne(nt) en Afrique ! »), elle s’est manifestée dès les premiers jours de l’exode ukrainien, quand un tri des exilés s’est opéré, sur la base de la nationalité ou de la couleur de peau, à la frontière polonaise, au point que la haut-commissaire aux droits de l’homme de l’Onu s’était dite « alarmée par les informations crédibles et vérifiées faisant état de discrimination, de violence et de xénophobie à l’encontre de ressortissants de pays tiers qui tentent de fuir le conflit en Ukraine ». Le traitement réservé depuis des années en France aux exilés privés d’abri et de nourriture, harcelés et pourchassés par la police, dans le Calaisis comme en région parisienne, à la frontière italienne ou dans le Pays basque est la traduction quotidienne de cette politique xénophobe et raciste.

      Au-delà d’une indispensable réorganisation du secours en mer afin que les passagers d’un navire en détresse puissent être débarqués sans délai dans un lieu sûr, comme le prescrit le droit international, l’épisode de l’Ocean Viking nous rappelle, une fois de plus, la nécessité d’une véritable politique d’accueil, dont l’exemple ukrainien montre qu’elle est possible. Elle doit être fondée sur l’accès inconditionnel au territoire de toutes celles et ceux qui demandent protection aux frontières de la France et de l’Europe, sans présupposé lié à leur origine ni distinction arbitraire entre « migrants » et « réfugiés », la mise à l’écart de tout dispositif coercitif au profit d’un examen attentif et de la prise en charge de leurs besoins, et le respect du choix par les personnes de leur terre d’asile, à l’exclusion de toute répartition imposée.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/migrants-de-locean-viking-refugies-dukraine-quelle-difference-20221115_WG

    • « Ocean Viking » : les fourberies de Darmanin

      Le ministre de l’intérieur a annoncé, mardi 15 novembre, que 44 des 234 rescapés de l’« Ocean Viking » seront expulsés dans leur pays d’origine, tandis que la majorité des autres seront relocalisés dans des pays de l’Union européenne. La #fable de la générosité française s’est rapidement fracassée sur l’obsession de Gérald Darmanin de ne pas donner de prises au RN, en acceptant de secourir, mais pas d’accueillir.

      « Expulsés », « relocalisés » : ces termes affreux pour désigner des personnes résument à eux seuls le vrai visage de l’« accueil » que la France réserve aux rescapés de l’Ocean Viking, bien loin d’une certaine idée que l’on pourrait se faire de l’hospitalité due à des hommes, des femmes et des enfants ayant risqué de se noyer en mer pour fuir leur pays. On avait bien compris depuis ses premières interventions que Gérald Darmanin avait agi contraint et forcé. Que les autorités françaises, par la voix blanche du ministre de l’intérieur, avaient fini, à contrecœur, par autoriser les passagers à débarquer à Toulon, dans le Var, vendredi 11 novembre, uniquement parce qu’elles estimaient ne pouvoir faire autrement : à la suite du refus de la nouvelle présidente post-fasciste du conseil italien, Giorgia Meloni, de voir le bateau affrété par SOS Méditerranée accoster sur les rives italiennes, les exilés étaient à bout de forces, et risquaient de mourir.

      Après avoir failli dans le sauvetage de 27 exilés dans la Manche en 2021 (les secours français ayant attendu leur entrée dans les eaux anglaises sans envoyer de moyen de sauvetage, selon les récentes révélations du Monde), la France cette fois-ci ne les laisserait pas périr en mer. Mais elle s’en tiendrait là, sans accueil digne de son nom, ni élan de solidarité. Et ce qui a été vécu par Paris comme un affront ne resterait pas sans conséquences. Tels étaient les messages passés après la décision à reculons d’accepter le débarquement.

      Le courroux français s’est logiquement abattu sur la dirigeante italienne, qui, contrevenant au droit international, a bloqué l’accès de ses côtes au navire humanitaire. Mais il y a fort à parier que la discorde diplomatique finisse par se dissiper. Et qu’en définitive les exilés eux-mêmes soient les principales victimes des mesures de rétorsion françaises.

      Mardi 15 novembre, lors des questions au gouvernement à l’Assemblée nationale, le ministre de l’intérieur a ainsi annoncé, telle une victoire, qu’au moins 44 des 234 rescapés seraient renvoyés dans leur pays d’origine. « Dès que leur état de santé » le permettra, bien sûr, et alors même que l’étude des dossiers est toujours en cours, selon son propre aveu devant les députés. « J’ai déjà pris […] contact dès [lundi] avec mes homologues étrangers pour que ces reconduites à la frontière puissent se faire dans les temps les plus courts possible », s’est-il réjoui, espérant que ces expulsions seront réalisées d’ici à la fermeture de la zone d’attente « dans une vingtaine de jours ». Sachant que le ministre avait d’emblée assuré que les deux tiers des rescapés acceptés sur le sol européen feraient l’objet d’une « relocalisation » vers onze autres pays de l’UE, le nombre de celles et ceux autorisés à demander l’asile en France sera réduit à la portion congrue.

      Gérald Darmanin, en vérité, avait commencé ses calculs d’apothicaire avant même le débarquement, en déclarant que la France suspendait immédiatement l’accueil pourtant prévu de longue date de 3 500 réfugiés se trouvant en Italie et qu’il renforcerait les contrôles à la frontière franco-italienne.

      Entre les « expulsés », les « relocalisés » et les « refusés », la générosité de la France s’est vite muée en démonstration de force à visée politique sur le dos de personnes qui, venues du Bangladesh, d’Érythrée, de Syrie, d’Égypte, du Pakistan, du Mali, du Soudan et de Guinée, ont enduré les dangers de l’exil dans l’espoir d’une vie meilleure. Personne, faut-il le rappeler, ne quitte ses proches, son pays, sa maison, son travail, ses habitudes, avec pour seul bagage quelques billets en poche, pour le plaisir de traverser la Méditerranée. Politiques, économiques, sociaux, climatiques, leurs motifs sont le plus souvent solides. Sauvés en mer par l’équipage de l’Ocean Viking, les 234 rescapés ont attendu trois semaines, dans des conditions indicibles, la possibilité de poser un pied sur la terre ferme. La Commission européenne avait rappelé la nécessité, la veille du feu vert français, de les laisser accoster, soulignant « l’obligation légale de sauver les vies humaines en mer, claire et sans équivoque, quelles que soient les circonstances ».
      « Secourir et reconduire »

      Guidé par sa volonté de répondre à l’extrême droite qui l’accuse de « complaisance », le ministre de l’intérieur a en réalité anticipé son attente, telle qu’exprimée par une élue RN du Var, Laure Lavalette, dans l’hémicycle mardi, l’appelant à « secourir et reconduire ».

      Le cadre répressif de cet accueil à la française a été posé au moment même où les rescapés sont arrivés en France. Leur débarquement s’est fait sous escorte militaire, à l’abri des regards des élus, des ONG et des journalistes, dans le port militaire de Toulon (lire ici et là). Ils ont aussitôt été placés dans une « zone d’attente » créée pour l’occasion, dans un ancien « village de vacances » de la presqu’île de Giens, c’est-à-dire dans un lieu d’enfermement. Ainsi l’« accueil » a commencé sous de sombres auspices.

      Placés sous la garde de deux cents policiers et gendarmes, les 234 rescapés ont été soumis, sans attendre d’être remis des épreuves physiques et psychologiques de la traversée, à un examen de leur situation administrative. Pratiquée dans l’urgence, la procédure, dans ce cadre « exceptionnel », est particulièrement expéditive : les agents de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra), instance dépendant du ministère de l’intérieur, sont tenus de délivrer un avis « sous 48 heures » sur le « caractère manifestement fondé ou non de la demande d’asile », charge ensuite au ministère de l’intérieur de poursuivre – ou non – l’examen du dossier. Comment peut-on humainement demander à des personnes venant de passer trois semaines d’errance en mer, et qui ont pour la plupart subi des chocs de toute sorte, de retracer posément – et de manière convaincante, c’est-à-dire preuves à l’appui – les raisons qui leur permettraient d’obtenir une protection de la France ? L’urgence, l’arbitraire et le respect de la dignité des personnes font rarement bon ménage.

      Habilitée à intervenir en zone d’attente, l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers, qui a pu se rendre sur place, estime dans un communiqué publié mardi que les rescapés de l’Ocean Viking sont « victimes de violation de leurs droits fondamentaux » dans cette zone d’attente. Ses constats sont « alarmants ». Elle regrette tout d’abord le manque de temps de repos à l’arrivée et une prise en charge médicale passablement insuffisante. Elle évoque ensuite de nombreuses violations du droit d’asile dans le déroulement des entretiens administrés par l’Ofpra, liées notamment au manque d’interprétariat, à l’absence de confidentialité des échanges et à l’absence d’accès à un avocat ou à une association de défense des droits.

      Mais discuter de la légalité des procédures n’est, à cette heure, pas la priorité du ministre de l’intérieur dont l’objectif est de montrer qu’il prend garde à ce que la France ne soit pas « submergée » par quelques dizaines d’exilés. Sa célérité à annoncer, le plus vite possible, et avant même la fin de la procédure, qu’une partie des rescapés seront expulsés, en est la preuve.

      Quand on se souvient de l’accueil réservé aux Afghans fuyant le régime des talibans ou aux Ukrainiens fuyant la guerre, on observe pourtant qu’il existe d’autres manières d’assurer que les droits des demandeurs d’asile soient respectés. Pour ne prendre que cet exemple, il y a un an, lorsque plusieurs millions d’Ukrainiens ont fui l’invasion russe, « la France a su mettre en place en quelques jours un dispositif à la hauteur de cette situation imprévue », souligne Claire Rodier, membre du Groupe d’information et de soutien des immigré·es (Gisti) et du réseau Migreurop, dans une tribune à Libération. Et de rappeler les déclarations du ministre de l’intérieur lui-même assurant alors que « nous pouvons aujourd’hui accueillir jusqu’à 100 000 personnes réfugiées sur le territoire national ».

      Précédent également notable, la France, en 2018, avait refusé d’accueillir l’Aquarius, soumis au même sort que l’Ocean Viking. À l’époque, Emmanuel Macron n’avait pas voulu céder et le navire avait fait route vers Valence, en Espagne, suscitant la honte d’une partie des soutiens du président de la République. L’accueil alors réservé aux exilés par les autorités et la société civile espagnole avait été d’une tout autre teneur. Le pays s’était largement mobilisé, dans un grand élan de solidarité, pour que les rescapés trouvent le repos et le réconfort nécessaires après les épreuves de l’exil.

      Il faut se souvenir enfin de l’émoi national légitimement suscité, il n’y a pas si longtemps, par les propos racistes du député RN Grégoire de Fournas, en réponse à une intervention de l’élu LFI Carlos Martens Bilongo concernant… l’Ocean Viking. « Qu’il(s) retourne(nt) en Afrique », avait-il déclaré (lire notre article), sans que l’on sache trop s’il s’adressait à l’élu noir ou aux exilés en perdition. Alors qu’il est désormais établi qu’au moins quarante-quatre d’entre eux seront renvoyés dans leur pays d’origine, vraisemblablement, pour certains, sur le continent africain, il sera intéressant de constater à quel niveau notre pays, et plus seulement nos gouvernants, placera son curseur d’indignation.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/161122/ocean-viking-les-fourberies-de-darmanin

    • Ocean Viking : 123 « #refus_d'entrée » en France et une grande confusion

      Une semaine après leur débarquement à Toulon, une soixantaine de migrants de l’Ocean Viking a été autorisée à demander l’asile. En parallèle de la procédure d’asile aux frontière, des décisions judiciaires ont conduit à la libération d’une centaine de rescapés retenus dans la « zone d’attente », désormais libres d’entrer sur le sol français. Une vingtaine de mineurs, ont quant à eux, pris la fuite vers d’autres pays.

      Sur les 234 rescapés du navire humanitaire Ocean Viking débarqués à Toulon il y a une semaine, 123 migrants se sont vu opposer un refus à leur demande d’asile, soit plus de la moitié, a indiqué vendredi 18 novembre le ministère de l’Intérieur. Ils font donc « l’objet d’un refus d’entrée sur le territoire » français, soit plus de la moitié, a ajouté le ministère de l’Intérieur.

      Hormis les 44 passagers reconnus mineurs et placés dès les premiers jours sous la protection de l’Aide sociale à l’enfance, les 189 adultes restant avaient été retenus dans une « zone d’attente » fermée, qui n’est pas considérée comme appartenant au territoire français. Un espace créé dans le cadre de la procédure d’asile à la frontière, pour l’occasion, dans un centre de vacances de la presqu’île de Giens, à proximité de Toulon.

      Ils sont tous passés cette semaine entre les mains de la police et des agents de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra), pour des contrôles de sécurité et de premiers entretiens effectués depuis cette « zone d’attente », afin d’évaluer si leur demande d’asile était fondée.

      Au terme de ces entretiens, l’Ofpra a émis « 66 avis favorables » a précisé Charles-Edouard Minet, sous-directeur du conseil juridique et du contentieux du ministère de l’Intérieur. Cette soixantaine de migrants a donc été autorisée à déposer des demandes d’asile, et autorisée à entrer sur le territoire français. Ils ont été conduits vers des centres d’hébergement du Var, dont des #Centres_d'accueil_et_d'évaluation_des_situations (#CAES).

      Parmi eux, certains seront « relocalisés » vers les onze pays européens (dont l’Allemagne, la Finlande ou le Portugal) qui s’étaient portés volontaires pour se répartir les efforts et les accueillir après leur débarquement en France.

      Des avis défavorables mais pas d’expulsions massives et immédiates

      Les « 123 avis défavorables », quant à eux, ne sont pas pour autant immédiatement expulsables. Le gouvernement français veut aller vite, le ministre de l’Intérieur Gerald Darmanina ayant affirmé dès le 15 novembre que ces personnes « seront reconduites [vers leur pays d’origine] dès que leur état de santé » le permettra. Mais les refoulements pourraient prendre un temps plus long, car ces procédures nécessitent que « la personne soit détentrice d’un passeport et d’un laissez-passer consulaire ». Or ce document doit être délivré par le pays d’origine et cela prend du temps car certains pays tardent à l’octroyer, avait expliqué l’Anafé, association de défense des étrangers aux frontières, à InfoMigrants il y a quelques jours.

      D’autre part, des décisions de justice sont venues chambouler le calendrier annoncé par l’Etat. La cour d’appel d’Aix-en-Provence a annoncé vendredi 18 novembre avoir validé la remise en liberté de la « quasi-totalité, voire la totalité » des 108 rescapés qui réclamaient de ne plus être enfermés dans la « zone d’attente ».

      En cause, des vices de procédure dans les dossiers montés dans l’urgence et de juges dépassés par la centaine de cas à traiter. Les juges des libertés et de la détention (JLD) qui doivent en France, se prononcer pour ou contre un maintien en « zone d’attente » après 4 jours d’enfermement, ont estimé dans une majorité de cas que les migrants devaient être libérés. Le parquet a fait appel de ces décisions, mais la cour d’appel a donné raison au JLD pour une non-prolongation du maintien dans la « zone d’attente » dans la plupart des cas.

      Certains des migrants libérés avaient reçu ces fameux avis défavorables de l’Ofpra, notifiés par le ministère de l’Intérieur. D’après l’Anafé, ils devraient néamoins pouvoir désormais « faire une demande d’asile une fois entrés sur le territoire ».

      Douze migrants en « zone d’attente »

      Après ces annonces de libération, le gouvernement a estimé dans l’après-midi, vendredi, que seuls douze migrants se trouvaient toujours dans ce centre fermé vendredi après-midi. A ce flou s’ajoutent « les personnes libérées mais revenues volontairement » sur le site « pour bénéficier » de l’hébergement, a reconnu, désabusé, le représentant du ministère.

      Ces complications judiciaires et administratives ont perturbé nombre des rescapés, parmi lesquels se trouvent des personnes fragiles, dont la santé nécessite des soins psychologiques après les 20 jours d’errance en mer sur l’Ocean Viking qui ont précédé cette arrivée chaotique en France. Et ce d’autant que les autorités et les associations présentes dans la « zone d’attente » ont été confrontés à une pénurie de traducteurs dès les premiers jours.

      A tel point que le préfet du Var, Evence Richard, a alerté le 16 novembre sur le manque d’interprètes, estimant qu’il s’agissait d’"un vrai handicap" pour s’occuper des migrants. « Dès lors, les personnes ne sont pas en mesure de comprendre la procédure de maintien en zone d’attente, leurs droits, la procédure spécifique d’asile à la frontière et ses tenants et aboutissants », avait aussi fait savoir l’Anafé dans un communiqué publié mardi.

      Des scènes de grande confusion

      En effet, la presse locale du Var et d’autres journaux français ont rapporté des scènes de grande confusion lors des audiences devant le tribunal de Toulon et la cour d’appel d’Aix-en-Provence, avec des « interprètes anglais pour des Pakistanais, une femme de ménage du commissariat de Toulon réquisitionnée comme interprète de langue arabe, des entretiens confidentiels tenus dans les couloirs », comme en atteste dans les colonnes du Monde, la bâtonnière du barreau varois, Sophie Caïs, présente le 15 novembre au tribunal.

      Dans une autre audience, décrite par un journaliste du quotidien français ce même jour, une mère Malienne « fond en larmes lorsque la juge lui demande ce qu’elle a à ajouter aux débats. Sa petite fille de 6 ans, qui, depuis le début de la matinée ne la quitte pas d’un pouce, ouvre de grands yeux ».

      Des mineurs en fugue

      En parallèle, parmi les 44 rescapés mineurs logés hors de la « zone d’attente », dans un hôtel où ils étaient pris en charge par l’Aide sociale à l’enfance, 26 ont quitté les lieux de leur propre chef, a-t-on appris le 17 novembre dans un communiqué du Conseil départemental du Var.

      Les mineurs qui ont fugué « ont eu un comportement exemplaire, ils sont partis en nous remerciant », a insisté Christophe Paquette, directeur général adjoint en charge des solidarités au conseil départemental du Var. D’après lui, ces jeunes, dont une majorité d’Erythréens, « ont des objectifs précis dans des pays d’Europe du nord » tels que les Pays-Bas, le Luxembourg, la Suisse ou encore l’Allemagne, où ils souhaitent rejoindre de la famille ou des proches.

      Les services sociaux ont « essayé de les en dissuader », mais « notre mission est de les protéger et pas de les retenir », a ajouté M. Paquette.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/44849/ocean-viking--123-refus-dentree-en-france-et-une-grande-confusion

    • Ocean Viking : le #Conseil_d’État rejette l’#appel demandant qu’il soit mis fin à la zone temporaire d’attente où certains passagers ont été maintenus

      Le juge des référés du Conseil d’État rejette aujourd’hui la demande de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (ANAFE) de mettre fin à la zone d’attente temporaire dans laquelle ont été placés certains passagers de l’Ocean Viking. L’association requérante, avec le soutien d’autres associations, contestait les conditions de création de la zone d’attente et estimait que les personnes qui y avaient été placées n’avaient pas accès à leurs droits. Le juge relève les circonstances exceptionnelles dans lesquelles l’accueil de ces personnes a dû être organisé. Il observe également que les demandes d’asile à la frontière ont pu être examinées, 66 personnes étant finalement autorisées à entrer sur le territoire pour déposer leur demande d’asile, et que les procédures judiciaires ont suivi leur cours, la prolongation du maintien de la détention n’ayant d’ailleurs pas été autorisée pour la très grande majorité des intéressés. Enfin, il constate qu’à la date de son intervention, les associations et les avocats peuvent accéder à la zone d’attente et y exercer leurs missions dans des conditions n’appelant pas, en l’état de l’instruction, que soient prises des mesures en urgence.

      Pour des raisons humanitaires, le navire « Ocean Viking » qui transportait 234 personnes provenant de différents pays, a été autorisé par les autorités françaises à accoster au port de la base militaire navale de Toulon. Le préfet a alors créé une zone d’attente temporaire incluant cette base militaire et un village vacances à Hyères, où ont été transférées, dès le 11 novembre dernier au soir, les 189 personnes placées en zone d’attente.

      L’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (ANAFE) a saisi en urgence le juge des référés du tribunal administratif de Toulon pour demander la suspension de l’exécution de l’arrêté préfectoral créant la zone d’attente temporaire, estimant que les personnes placées en zone d’attente se trouvaient illégalement privées de liberté et n’avaient pas un accès effectif à leurs droits. Après le rejet de son recours mercredi 16 novembre, l’association a saisi le juge des référé-liberté du Conseil d’État, qui peut, en appel, ordonner toutes mesures nécessaires à la sauvegarde d’une liberté fondamentale en cas d’atteinte grave et manifestement illégale à une liberté fondamentale. Ce dernier confirme aujourd’hui la décision du tribunal administratif et rejette l’appel de l’association.

      Le juge relève les circonstances exceptionnelles dans lesquelles l’accueil de ces personnes a dû être organisé (nombre important de personnes, nécessité d’une prise en charge médicale urgente, considérations d’ordre public), ce qui a conduit à la création par le préfet d’une zone d’attente temporaire sur le fondement des dispositions issues d’une loi du 16 juin 20111, en cas d’arrivée d’un groupe de personnes en dehors d’une « zone de passage frontalier ». Il observe également que les droits de ces étrangers n’ont pas, de ce seul fait, été entravés de façon grave et manifestement illégale. L’Office français de protection des réfugiés et apatrides (OFPRA) a pu mener les entretiens légalement prévus, ce qui a conduit à ce que 66 personnes soient autorisées à entrer sur le territoire pour présenter une demande d’asile, et le juge des libertés et de la détention puis la cour d’appel d’Aix-en-Provence se sont prononcés sur la prolongation des mesures de détention, qui a d’ailleurs été refusée dans la grande majorité d’entre eux.

      S’agissant de l’exercice des droits au sein même de la zone, le juge des référés, qui se prononce en fonction de la situation de fait à la date à laquelle son ordonnance est rendue, note qu’à l’exception des quelques heures durant lesquelles les personnes étaient présentes sur la base militaire, l’association requérante a pu accéder au village vacances sans entrave. Si la persistance de difficultés a pu être signalée à l’audience, elles ne sont pas d’une gravité telle qu’elles rendraient nécessaires une intervention du juge des référés. Le ministère de l’intérieur a par ailleurs transmis à l’association, une liste actualisée des 16 personnes encore maintenues, afin de lui faciliter l’exercice de sa mission d’assistance, comme il s’y était engagé lors de l’audience au Conseil d’État qui a eu lieu hier.

      Les avocats ont également accès au village vacances. Là encore, des insuffisances ont pu être constatées dans les premiers jours de mise en place de la zone d’attente. Mais des mesures ont été progressivement mises en œuvre pour tenter d’y répondre, notamment la mise à disposition de deux locaux dédiés et un renforcement de l’accès aux réseaux téléphoniques et internet.

      A la date de l’ordonnance et en l’absence d’une atteinte grave et manifestement illégale à une liberté fondamentale, il n’y avait donc pas lieu pour le juge des référés de prononcer des mesures en urgence.

      1 Loi n° 2011-672 du 16 juin 2011 relative à l’immigration, à l’intégration et à la nationalité.

      https://www.conseil-etat.fr/actualites/ocean-viking-le-conseil-d-etat-rejette-l-appel-demandant-qu-il-soit-mis
      #justice

    • Le Conseil d’État valide l’accueil au rabais des rescapés de l’Ocean Viking

      Des associations contestaient la création de la zone d’attente dans laquelle ont été enfermés les exilés après leur débarquement dans le port militaire de Toulon. Bien qu’elle ait reconnu « des insuffisances », la plus haute juridiction administrative a donné raison au ministère de l’intérieur, invoquant des « circonstances exceptionnelles ».

      LeLe Conseil d’État a donné son blanc-seing à la manière dont le ministère de l’intérieur a géré l’arrivée en France des rescapés de l’Ocean Viking. Débarqués le 11 novembre à Toulon après vingt jours d’errance en mer, à la suite du refus de l’Italie de les faire accoster sur ses côtes, les migrants avaient immédiatement été placés dans une zone d’attente temporaire à Hyères (Var), sur la presqu’île de Giens. Gerald Darmanin avait en effet décidé de secourir, sans accueillir. 

      Ce lieu d’enfermement, créé spécialement pour y maintenir les exilés avant qu’ils ne soient autorisés à demander l’asile, est-il légal ? L’Anafé (Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers) posait cette fois la question au Conseil d’État, après avoir été déboutée une première fois par le tribunal administratif de Toulon. 

      La plus haute juridiction administrative du pays a rejeté samedi 19 novembre la demande de l’association qui souhaitait la fermeture de la zone d’attente au motif que les droits des exilés n’étaient pas respectés. Le Conseil d’État reconnaît que « des insuffisances ont pu être constatées dans les premiers jours de mise en place de la zone d’attente ». Mais il invoque « les circonstances exceptionnelles dans lesquelles l’accueil de ces personnes a dû être organisé ». 

      L’audience s’est déroulée vendredi matin, sous les moulures et lustres recouverts d’or du Conseil d’État. Si 189 personnes étaient initialement maintenues dans la zone d’attente le 11 novembre, elles étaient de moins en moins nombreuses au fil de la journée, assurait d’entrée de jeu le représentant du ministère de l’intérieur, Charles-Édouard Minet. « Vous êtes en train de me dire qu’à la fin de la journée, il peut n’y avoir plus personne en zone d’attente », s’était étonnée la magistrate qui présidait l’audience. « Absolument, oui », confirmait Charles-Édouard Minet. Rires dans la salle.

      Symbole de la grande improvisation ministérielle, la situation évoluait d’heure en heure, à mesure que la justice mettait fin au maintien prolongé des exilés en zone d’attente. Au moment de l’audience, entre 12 et 16 personnes étaient encore enfermées. Deux heures plus tard, la cour d’appel d’Aix-en-Provence décidait de remettre en liberté la « quasi-totalité voire la totalité » des personnes retenues dans la zone d’attente d’Hyères. Moins de dix personnes y seraient encore retenues. 

      Devant le Conseil d’État, s’est tenue une passe d’armes entre les avocats défendant les droits des étrangers et le ministère de l’intérieur. Son représentant a assuré que l’accès aux droits des personnes retenues était garanti. Ce qu’a fermement contesté le camp adverse : « Il existe un vrai hiatus entre ce que dit l’administration et ce qu’ont constaté les associations : les avocats ne peuvent pas accéder comme il le devrait à la zone d’attente », a affirmé Cédric Uzan-Sarano, conseil du Groupe d’information et de soutien des immigrés (GISTI). 

      En creux, les représentants des associations dénoncent les choix très politiques de Gerald Darmanin. Plutôt que de soumettre les rescapés de l’Ocean Viking à la procédure classique de demande d’asile, la décision a été prise de les priver de leurs libertés dès leur débarquement sur le port militaire de Toulon. « Tous les dysfonctionnements constatés trouvent leur source dans l’idée de l’administration de créer cette zone d’urgence, exceptionnelle et dérogatoire », tance Patrice Spinosi, avocat de l’Anafé. 

      Les associations reprochent aux autorités le choix de « s’être placées toutes seules dans une situation d’urgence » en créant la zone d’attente temporaire. La procédure étant « exceptionnelle » et « mise en œuvre dans la précipitation », « il ne peut en découler que des atteintes aux droits des étrangers », ont attaqué leurs avocats.

      Dans sa décision, le Conseil d’État considère toutefois que la création de la zone d’attente est conforme à la loi. Il met en avant « le nombre important de personnes, la nécessité d’une prise en charge médicale urgente et des considérations d’ordre public ». L’autorité administrative note par ailleurs qu’au moment où elle statue, « à l’exception des quelques heures durant lesquelles les personnes étaient présentes sur la base militaire, [l’Anafé] a pu accéder au village vacances sans entrave ».

      À écouter les arguments de l’Anafé, les dysfonctionnements sont pourtant nombreux et persistants. À peine remis d’un périple éprouvant, les exilés ont dû sitôt expliquer les persécutions qu’ils ont fuies aux agents de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra).

      « Puisque les entretiens avec l’Ofpra sont devenus l’alpha et l’oméga des procédures d’asile, il est indispensable que les personnes soient préparées par des avocats », juge Gérard Sadik, représentant de La Cimade, une association qui vient en aide aux réfugiés. 
      Plus de la moitié des rescapés interdits d’entrée sur le territoire

      L’Anafé estime que les conditions sur la zone d’attente d’Hyères ne permettent pas aux associations et aux avocats d’accomplir leur mission d’accompagnement. Si les autorités ont mis à disposition deux locaux, ceux-ci « ne sont équipés ni d’ordinateur, ni de fax, ni d’Internet pour transmettre les recours », indique l’Anafé. Par ailleurs, ces pièces, très vite remplacées par des tentes, empêchent la confidentialité des échanges, pourtant imposée par la loi. 

      Laure Palun, directrice de l’Anafé, est la seule personne présente ce jour-là à l’audience à avoir visité la zone d’attente. « Quand on passait à côté des tentes, on pouvait entendre et voir tout ce qui se passait à l’intérieur, décrit-t-elle. Un moment, on a même vu un exilé quasiment couché sur une table pour comprendre ce que l’interprète lui disait au téléphone. »

      Le Conseil d’État a préféré relever les efforts réalisés par les autorités pour corriger les « insuffisances constatées dans les premiers jours » : « Des mesures ont été progressivement mises en œuvre [...], notamment la mise à disposition de deux locaux dédiés et un renforcement de l’accès aux réseaux téléphoniques et Internet. »

      Conséquence de cette procédure d’asile au rabais et des obstacles rencontrés par les exilés dans l’exercice de leurs droits ? Charles-Édouard Minet a annoncé que plus de la moitié des rescapés du navire de SOS Méditerranée, soit cent vingt-trois personnes, ont fait « l’objet d’un refus d’entrée sur le territoire » français, à la suite de leur entretien individuel avec l’Ofpra. Pour l’heure, le ministère de l’intérieur n’a pas précisé s’ils allaient être expulsés. 

      D’un ton solennel, Patrice Spinosi avait résumé l’enjeu de l’audience : « La décision que vous allez rendre sera la première sur les zones d’attente exceptionnelles. Il existe un risque évident que cette situation se reproduise, [...] l’ordonnance que vous rendrez définira une grille de lecture sur ce que peut faire ou pas l’administration. » L’administration n’aura donc pas à modifier ses procédures.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/191122/le-conseil-d-etat-valide-l-accueil-au-rabais-des-rescapes-de-l-ocean-vikin

    • Ocean Viking : « On vient d’assister à un #fiasco »

      Laure Palun, directrice de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) énumère les multiples entraves aux droits des personnes recueillies par l’Ocean Viking et déplore que le choix de l’enfermement l’ait emporté sur celui de l’accueil.

      La France avait annoncé vouloir faire vite. Se prononcer « très rapidement » sur le sort des passager·ères de l’Ocean Viking tout juste débarqué·es sur la base navale de Toulon (Var), après que le gouvernement italien d’extrême droite avait refusé (en toute illégalité) que le navire accoste sur son territoire. Ces personnes étaient maintenues dans une zone d’attente temporaire créée dans un centre de vacances de la presqu’île de Giens.

      Un lieu de privation de liberté qui, juridiquement, n’est pas considéré comme étant sur le sol français. Dans les quarante-huit heures, avaient estimé les autorités, l’ensemble des rescapé·es auraient vu examiner la pertinence de leur demande d’asile par l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra). Une procédure accélérée qui n’a pas vocation à attribuer une protection internationale, mais à examiner si la demande d’entrée sur le territoire au titre de l’asile est manifestement fondée ou pas.

      Rien, toutefois, ne s’est passé comme prévu puisque la quasi-totalité des rescapé·es, à l’heure où nous écrivons ces lignes, ont pu être libéré·es au terme de différentes décisions judiciaires (1). Pour Laure Palun, directrice de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étranger·ères (Anafé) – la principale association autorisée à intervenir en zone d’attente –, « on vient d’assister à un fiasco ». Tant pour l’administration que pour les demandeur·ses d’asile.

      En créant une zone d’attente temporaire, les autorités ont choisi d’accueillir les passager·ères de l’Ocean Viking sous le régime de la privation de liberté. Que dit la méthode ?

      Laure Palun : Que nous aurions pu faire le choix de l’accueil, plutôt que celui de l’enfermement ! La zone d’attente est un lieu privatif de liberté où la procédure d’asile « classique » ne s’applique pas. La procédure d’asile à la frontière permet de procéder à une sorte de tri en amont et de dire si, oui ou non, la personne peut entrer sur le territoire pour y demander la protection internationale. Mais l’expérience nous le montre : le tri, les opérations de filtrage et les procédures d’asile à la frontière, ça ne fonctionne pas si on veut être en conformité avec le respect des droits.

      La situation des personnes sauvées par l’Ocean Viking et enfermées dans la zone d’attente de Toulon nous a donné raison puisque la plupart d’entre elles ont été libérées et prises en charge pour entrer dans le dispositif national d’accueil (DNA). Soit parce qu’elles avaient été admises sur le territoire au titre de l’asile, soit parce qu’elles avaient fait l’objet d’une décision judiciaire allant dans le sens d’une libération.

      Lire aussi > Ocean Viking, un naufrage diplomatique

      On vient d’assister à un fiasco. Non seulement du côté des autorités – considérant l’échec de leur stratégie politique –, mais aussi pour les personnes maintenues, qui auraient pu se reposer et entrer dans le processus d’asile classique sur le territoire une semaine plus tôt si elles n’avaient pas été privées de liberté. Au lieu de ça, elles ont été fichées, fouillées et interrogées à de multiples reprises.

      Le point positif, c’est que les mineur·es non accompagné·es – qui ont bien été placé·es quelques heures en zone d’attente, contrairement à ce qu’a déclaré le ministère de l’Intérieur – ont été libéré·es le premier jour pour être pris·es en charge. Le Ceseda [code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile] prévoit en effet que les mineur·es non accompagné·es qui souhaitent demander l’asile ne peuvent être maintenu·es en zone d’attente « sauf exception ». Mais c’est généralement le cas.

      Le 16 novembre, devant l’Assemblée nationale, le ministre de l’Intérieur, Gérald Darmanin, avait pourtant annoncé l’expulsion de 44 personnes d’ici à la fin de la période de maintien en zone d’attente.

      Une telle déclaration pose de vraies questions sur le non-respect de la convention de Genève, de la Convention européenne de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, et du droit national : il n’est pas possible de dire une chose pareille, alors même que les personnes sont en cours de procédure d’asile. Même si les demandes de ces personnes ont été rejetées, il existe des recours, et ça fait partie de la procédure !

      Le droit à un recours effectif est inscrit dans la Convention européenne des droits de l’homme et a même été consacré concernant la procédure d’asile à la frontière en 2007 (2). Mais Gérald Darmanin a aussi dit qu’il avait pris contact, la veille [le 15 novembre, NDLR], avec les autorités des pays d’origine.

      Non seulement les décisions de l’Ofpra n’avaient pas encore été notifiées aux demandeur·ses d’asile à ce moment-là – et quand bien même ça aurait été le cas, elles étaient encore susceptibles de recours –, mais il s’agit encore d’une atteinte grave et manifeste à la convention de Genève. Contacter les pays d’origine de personnes en cours de demande d’asile, a fortiori pour envisager leur expulsion, ajoute des risques de persécutions en cas de retour dans le pays.

      Dans un communiqué, vous avez dénoncé de « nombreuses violations des droits » au sein de la zone d’attente, notamment dans le cadre des procédures d’asile. Lesquelles ?

      À leur arrivée, les personnes ont été prises en charge d’un point de vue humanitaire. À ce sujet, l’Anafé n’a pas de commentaire à faire. En revanche, elles n’ont reçu quasiment aucune information sur la procédure, sur leurs droits, et elles ne comprenaient souvent pas ce qui se passait. En dehors de la procédure d’asile, il n’y avait pratiquement aucun interprétariat.

      Cela a représenté une immense difficulté sur le terrain, où les conditions n’étaient globalement pas réunies pour permettre l’exercice effectif des droits. Notamment le droit de contacter un·e avocat·e, une association de défense des droits, ou un·e médecin. Et ni les associations ni les avocat·es n’ont pu accéder à un local pour s’entretenir en toute confidentialité avec les demandeur·ses d’asile.

      Concernant les demandes d’asile, ça a été très compliqué. Déjà, à l’ordinaire, les procédures à la frontière se tiennent dans des délais très courts. Mais, ici, l’Ofpra a dû mener environ 80 entretiens par jour. Pour les officier·ères de protection, cela paraît très lourd. Et ça signifie aussi que les personnes ont dû passer à la chaîne, moins de 48 heures après leur débarquement, pour répondre à des questions portant sur les risques de persécution dans leurs pays.

      Les entretiens ont été organisés sans confidentialité, dans des bungalows ou des tentes au travers desquels on entendait ce qui se disait, avec des interprètes par téléphone – ce que nous dénonçons mais qui est classique en zone d’attente. Ces entretiens déterminants devraient être menés dans des conditions sereines et nécessitent de pouvoir se préparer. Cela n’a pas été le cas, et on le constate : 123 dossiers de demande d’entrée sur le territoire ont été rejetés.

      Le Conseil d’État a pourtant estimé que, malgré « les circonstances exceptionnelles dans lesquelles l’accueil de ces personnes a dû être organisé », les droits des personnes placées en zone d’attente n’avaient pas été « entravés de façon grave et manifestement illégale ».

      Nous avons déposé une requête devant le tribunal administratif de Toulon pour demander la suspension de l’arrêt de création de la zone d’attente, mais cela n’a pas abouti. L’Anafé a fait appel et porté l’affaire devant le Conseil d’État. Ce dernier n’a pas fait droit à notre demande, constatant que des améliorations avaient été apportées par l’administration avant la clôture de l’instruction, tout en reconnaissant que des manquements avaient été commis.

      Le Conseil d’État a néanmoins rappelé que les droits des personnes devaient être respectés, et notamment l’accès à un avocat, à une association de défense des droits et à la communication avec l’extérieur. Par exemple, ce n’est qu’après l’audience que l’administration a consenti à transmettre à l’Anafé le nom des personnes encore enfermées (16 au moment de l’audience) pour qu’elle puisse exercer sa mission de défense des droits.

      Il faut se rappeler que ce sont des hommes, des femmes et des enfants qui ont été enfermés après avoir vécu l’enfer.

      Ces entraves affectent notre liberté d’aider autrui à titre humanitaire découlant du principe de fraternité, consacré en 2018 par le Conseil constitutionnel, mais surtout les droits fondamentaux des personnes que l’Anafé accompagne.

      Il est à déplorer que les autorités ne respectent pas les droits des personnes qu’elle enferme et qu’il faille, à chaque fois, passer par la voie contentieuse pour que des petites améliorations, au cas par cas, soient apportées. Le respect des droits fondamentaux n’est pas une option, et l’Anafé continuera d’y veiller.

      Avec le projet de réforme européenne sur la migration et l’asile, qui prévoit notamment de systématiser la privation de liberté aux frontières européennes le temps de procéder aux opérations de « filtrage », faut-il s’attendre à ce que de telles situations se reproduisent et, en l’absence de condamnation du Conseil d’État, à des expulsions qui seraient, cette fois, effectives ?

      La situation vécue ces derniers jours démontre une nouvelle fois que la procédure d’asile à la frontière et la zone d’attente ne permettent pas de respecter les droits des personnes qui se présentent aux frontières européennes. C’est ce que l’Anafé dénonce depuis de nombreuses années et c’est ce qu’elle a mis en avant dans le cadre de sa campagne « Fermons les zones d’attente ».

      La perspective d’étendre cette pratique au niveau européen dans le cadre du pacte sur la migration et l’asile est un fiasco politique annoncé. Surtout, cela aura pour conséquence des violations des droits fondamentaux des personnes exilées. Au-delà du camouflet pour le gouvernement français, il faut se rappeler que ce sont des hommes, des femmes et des enfants qui ont été enfermés, et pour certains qui le sont encore, dans la zone d’attente de Toulon, après avoir vécu l’enfer – camps libyens, traversée de la Méditerranée…

      Le filtrage, le tri et l’enfermement ne peuvent pas être la réponse européenne à de telles situations de détresse, sauf à ajouter de la souffrance et de la violence pour ces personnes.

      En représailles de l’action de l’Italie, le gouvernement a annoncé le déploiement de 500 policiers et gendarmes supplémentaires à la frontière franco-italienne, où l’Anafé constate quotidiennement des atteintes aux droits. À quoi vous attendez-vous dans les prochains jours, sur le terrain ?

      Nous sommes évidemment très mobilisés. Actuellement, nous constatons toujours la même situation que celle que nous dénonçons depuis de nombreuses années. Conséquence de ces contrôles, les personnes prennent de plus en plus de risques et, pour certaines, mettent leur vie en péril… Preuve en est l’accident qui a eu lieu ce week-end à la frontière franco-italienne haute (3).

      Il me paraît surtout important de rappeler que ces effectifs sont mobilisés dans le cadre du rétablissement du contrôle aux frontières intérieures, mesure ininterrompue depuis sept ans par les autorités françaises. Or ces renouvellements [tous les six mois, NDLR] sont contraires au droit européen et au code frontières Schengen. Il est temps que ça s’arrête.

      (1) Soit parce qu’elles ont reçu une autorisation d’entrée sur le territoire au titre de l’asile, soit parce que les juges des libertés et de la détention (JLD) ont refusé la prolongation du maintien en zone d’attente, soit parce que les JLD se sont dessaisis par manque de temps pour traiter les dossiers dans le délai imparti, soit en cour d’appel.

      (2) À la suite d’une condamnation par la Cour européenne des droits de l’homme, la France a modifié sa législation (Gebremedhin contre France, req n° 25389/05, 26 avril 2007).

      (3) Un jeune Guinéen est tombé dans un ravin dans les environs de Montgenèvre (Hautes-Alpes), ce dimanche 20 novembre.

      https://www.politis.fr/articles/2022/11/ocean-viking-on-vient-dassister-a-un-fiasco-45077

    • « Ocean Viking », autopsie d’un « accueil » à la française

      La sagesse, comme la simple humanité, aurait dû conduire à offrir aux rescapés de l’Ocean Viking des conditions d’accueil propres à leur permettre de se reposer de leurs épreuves et d’envisager dans le calme leur avenir. Au contraire, outre qu’elle a prolongé les souffrances qu’ils avaient subies, la précipitation des autorités à mettre en place un dispositif exceptionnel de détention a été la source d’une multitude de dysfonctionnements, d’illégalités et de violations des droits : un résultat dont personne ne sort gagnant.
      Dix jours après le débarquement à Toulon des 234 rescapés de l’Ocean Viking – et malgré les annonces du ministre de l’Intérieur affirmant que tous ceux qui ne seraient pas admis à demander l’asile en France seraient expulsés et les deux tiers des autres « relocalisés » dans d’autres pays de l’Union européenne – 230 étaient présents et libres de circuler sur le territoire français, y compris ceux qui n’avaient pas été autorisés à y accéder. Ce bilan, qui constitue à l’évidence un camouflet pour le gouvernement, met en évidence une autre réalité : le sinistre système des « zones d’attente », consistant à enfermer toutes les personnes qui se présentent aux frontières en demandant protection à la France, est intrinsèquement porteur de violations des droits humains. Principale association pouvant accéder aux zones d’attente, l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) le rappelle depuis 2016 : « Il est illusoire de penser pouvoir [y] enfermer des personnes dans le respect de leurs droits et de leur dignité. » Ce qui s’est passé dans la zone d’attente créée à Toulon en est la démonstration implacable.

      Une gestion calamiteuse

      Pour évaluer a posteriori la gestion calamiteuse du débarquement de ces naufragés, il faut rembobiner le film : poussé dans ses ultimes retranchements mais y voyant aussi l’occasion de se poser en donneur de leçon à l’Italie, le gouvernement annonce le 10 novembre sa décision d’autoriser « à titre tout à fait exceptionnel » l’Ocean Viking à rejoindre un port français pour y débarquer les hommes, femmes et enfants qui, ayant échappé à l’enfer libyen, puis à une mort certaine, ont passé trois semaines d’errance à son bord. « Il fallait que nous prenions une décision. Et on l’a fait en toute humanité », a conclu le ministre de l’Intérieur.

      Preuve que les considérations humanitaires avancées n’ont rien à voir avec une décision prise à contrecœur, le ministre l’assortit aussitôt de la suspension « à effet immédiat » de la relocalisation promise en France de 3 500 exilés actuellement sur le sol italien : sous couvert de solidarité européenne, c’est bien le marchandage du non-accueil qui constitue l’unique boussole de cette politique du mistigri.

      Preuve, encore, que la situation de ces naufragé·e·s pèse de peu de poids dans « l’accueil » qui leur est réservé, une zone d’attente temporaire est créée, incluant la base navale de Toulon, où leur débarquement, le 11 novembre, est caché, militarisé, « sécurisé ». Alors même qu’ils ont tous expressément demandé l’asile, ils sont ensuite enfermés dans un « village vacances », à l’exception de 44 mineurs isolés, sous la garde de 300 policiers et gendarmes, le ministre prenant soin de préciser que, pour autant « ils ne sont pas légalement sur le territoire national ».

      La suspicion tenant lieu de compassion pour ces rescapés, débutent dès le 12 novembre, dans des conditions indignes et avec un interprétariat déficient, des auditions à la chaîne leur imposant de répéter inlassablement, aux policiers, puis aux agents de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra), les récits des épreuves jalonnant leur parcours d’exil, récits sur la base desquels doivent être triés ceux dont la demande d’asile pourra d’emblée apparaître « manifestement infondée », les empêchant de fouler le sol de cette République qui prétendait, quelques heures auparavant, faire la preuve de son humanité.

      Seuls 66 de ces demandeurs d’asile échappent à ce couperet, si bien que les juges des libertés et de la détention du tribunal de Toulon sont alors chargés d’examiner la question du maintien dans la zone d’attente, au-delà du délai initial de quatre jours, de plus de 130 d’entre eux. La juridiction se révélant rapidement embolisée par cet afflux de dossiers, les juges se trouvent dans l’impossibilité de statuer dans les vingt-quatre heures de leur saisine comme l’impose la loi et ils n’ont d’autre solution que d’ordonner la mise en liberté de la plupart.

      En deux jours 124 dossiers examinés au pas de charge

      Le calvaire pourrait s’arrêter là pour ces exilé·e·s perdu·e·s dans les arcanes de procédures incompréhensibles, mais le procureur de la République de Toulon fait immédiatement appel de toutes les ordonnances de mise en liberté, sans doute soucieux que les annonces du ministre ne soient pas contredites par des libérations en masse. C’est alors la cour d’appel d’Aix-en-Provence – qui est soumise au train d’enfer imposé par la gestion de l’accueil à la française : entre le 16 et le 17 novembre 124 dossiers sont examinés au pas de charge pendant que les personnes concernées sont parquées dans un hall de la cour d’appel jusque tard dans la nuit. Mais les faits étant têtus et la loi sans ambiguïté, les juges d’appel confirment que leurs collègues de Toulon n’avaient pas d’autres choix que de prononcer les mises en liberté contestées. A l’issue de ce marathon, il ne reste, le 21 novembre, que quatre personnes en zone d’attente.

      « Tout ça pour ça » : ayant choisi la posture du gardien implacable des frontières qu’un instant de faiblesse humanitaire ne détourne pas de son cap, le gouvernement doit maintenant assumer d’avoir attenté à la dignité de ceux qu’il prétendait sauver et aggravé encore le sort qu’ils avaient subi. Il faudra bien qu’il tire les leçons de ce fiasco : la gestion policière et judiciaire de l’accueil qu’implique le placement en zone d’attente se révélant radicalement incompatible avec le respect des obligations internationales de la France, il n’y a pas d’autre solution – sauf à rejeter à la mer les prochains contingents d’hommes, de femmes et d’enfants en quête de protection – que de renoncer à toute forme d’enfermement à la frontière.

      Signataires : Avocats pour la défense des droits des étrangers (Adde) Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) Association pour la reconnaissance des droits des personnes homosexuelles et trans à l’immigration et au séjour (Ardhis) La Cimade, groupe d’information et de soutien des immigré·e·s (Gisti) La Ligue des Droits de l’homme (LDH) Syndicat des avocats de France (SAF) Syndicat de la magistrature (SM).

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/ocean-viking-autopsie-dun-accueil-a-la-francaise-20221127_B53JAB6K7BDGFKV

    • #Mineurs_non_accompagnés de l’« Ocean Viking » : « Un #hôtel, ça ne correspond pas aux besoins d’un gamin »

      Pour Violaine Husson, de la Cimade, la France, signataire de la convention des droits de l’enfant, contrevient à ses engagements en plaçant des mineurs dans des situations loin d’être adéquates.
      L’information a fuité par voie de presse jeudi : 26 des 44 mineurs arrivés en France à bord du bateau humanitaire Ocean Viking ont fugué de l’hôtel où ils étaient logés à Toulon. « Le département a vocation à mettre les mineurs en sécurité mais pas dans des geôles, on ne peut pas les maintenir de force dans un foyer. Ils peuvent fuguer et c’est ce que certains on fait. On ne peut pas les contraindre, il n’y a pas de mesures coercitives à leur égard », a assuré Jean-Louis Masson, le président du conseil départemental du Var. Parmi ces 26 mineurs se trouvaient une majorité d’Erythréens qui, selon Christophe Paquette, directeur général adjoint en charge des solidarités au conseil départemental du Var, « ne restent jamais » car « ils ont des objectifs précis dans des pays d’Europe du Nord » comme les Pays-Bas, le Luxembourg, la Suisse ou encore l’Allemagne, où ils souhaitent rejoindre de la famille ou des proches. Les associations et les ONG, elles, pointent du doigt les conditions d’accueil et de prise en charge de ces jeunes, souvent inadaptées. Violaine Husson, responsable nationale Genre et Protections à la Cimade, répond à nos questions.

      Quelles sont les conditions de vie des mineurs étrangers non accompagnés, comme ceux de l’Ocean Viking, pris en charge dans des hôtels en France ?

      Il faut d’abord préciser une chose : la loi Taquet de février 2022 interdit le placement des mineurs non accompagnés dans des établissements hôteliers. Cela dit, il y a une exception : dans leur phase de mise à l’abri, en attendant l’entretien d’évaluation de leur minorité, il y a une possibilité de les placer à l’hôtel jusqu’à deux mois. C’est le cas pour cette quarantaine d’enfants, ça l’est aussi pour des centaines d’autres chaque année.

      Un hôtel, ça ne correspond pas aux besoins d’un gamin. Ils sont placés dans des chambres à plusieurs – en fonction des établissements, ils peuvent se retrouver à une deux ou trois personnes dans une chambre, voire plus –, ils ne parlent pas la même langue, ils n’ont pas la même religion… Il n’y a rien qui les relie vraiment. Par ailleurs, il n’y a pas de suivi social, personne ne vient les voir dans la journée pour leur demander si ça va ou ce qu’ils font. Il n’y a pas de jeux prévus, ils sont indépendants. Ce sont aussi souvent des hôtels miteux, pas chers, avec des toilettes et des salles de bains communes. C’est un quotidien qui est loin de l’idée que l’on se fait des mesures de protection de l’enfance en France.

      Ça peut expliquer pourquoi certains décident de quitter ces établissements ?

      Oui, il y a des enfants qui partent parce que les conditions ne vont pas du tout, elles ne sont pas adéquates. Certains ont dû tomber des nues. Dans certains hôtels, il n’y a pas que des mineurs, parfois ils peuvent être placés avec d’autres publics, des majeurs notamment. Ça les rend particulièrement vulnérables : ils sont des enfants étrangers isolés qui viennent d’arriver d’une traversée éprouvante et des personnes peuvent leur mettre la main dessus.

      La question des mineurs non accompagnés est souvent débattue, certaines personnalités politiques estiment qu’ils coûtent énormément d’argent, qu’ils seraient des délinquants. Qu’en est-il réellement selon vous ?

      En effet, on a parlé des mineurs non accompagnés de manière très négative : il y a la délinquance mais aussi le fait qu’ils mentiraient et qu’ils frauderaient, qu’ils coûteraient beaucoup à l’Aide sociale à l’enfance… Certains politiques ont même affirmé que 80 000 mineurs non accompagnés arriveraient en France chaque année. La réalité est toute autre : il y en a eu un peu plus de 9 000 en 2021. On est quand même loin du fantasme véhiculé.

      La protection de l’enfance est problématique aujourd’hui, il y a un véritable manque de moyen et de compétences, y compris pour les enfants français. Mais c’est bien plus simple de dire que c’est la faute des étrangers, même si leur proportion dans la prise en charge est dérisoire. Il y a cette injonction des politiques politiciennes de dire : le problème de l’Aide sociale à l’enfance, c’est les étrangers. Selon eux, ils mentent, ils fraudent, ils fuguent, ils ne sont pas mineurs ou ne sont pas vraiment isolés. Alors que le système de protection ne fait pas la différence entre les enfants français et étrangers.

      La France, comme d’autres pays, a signé la convention internationale des droits de l’enfant. Les démarches doivent donc être faites en fonction de l’intérêt supérieur de l’enfant. On voit bien que quand on les place à l’hôtel ou qu’on les suspecte de mentir sur leur âge parce qu’ils sont étrangers, ce n’est pas le cas.

      https://www.liberation.fr/societe/mineurs-non-accompagnes-de-locean-viking-un-hotel-ca-ne-correspond-pas-au
      #MNA #enfants #enfance

  • À l’abri des regards : l’#enfermement illégal à la frontière franco-italienne

    À l’heure de discussions autour d’une nouvelle loi sur l’immigration et l’asile en France et d’une réforme de l’espace Schengen et du Pacte européen sur la migration et l’asile, un même constat s’impose : les politiques migratoires de l’Union européenne et de ses États membres sont constitutives de violations des droits fondamentaux et de la dignité des personnes en migration. Dans ce contexte, l’Anafé publie aujourd’hui un dossier sur l’enfermement illégal constaté depuis 2015 à la frontière franco-italienne, enfermement qui illustre les conséquences de ces politiques violentes.

    Ce dossier – composé d’une cartographie en ligne (https://ferme.yeswiki.net/fermons_les_zones_d-attente/?PagePrincipale), d’un guide de sensibilisation et d’une note d’analyse – décrit les lieux privatifs de liberté créés par les autorités françaises à la frontière franco-italienne depuis 2015 ainsi que les conditions indignes dans lesquelles les personnes en migration y sont enfermées, tout en démontrant le caractère ex frame, c’est-à-dire hors de tout cadre légal, de ces #lieux_d’enfermement.

    Prenant le contrepoint des autorités qui se retranchent derrière le vocabulaire d’une soi-disant « #mise_à_l’abri » pour qualifier ces locaux et des juridictions qui ne condamnent pas ces pratiques abjectes, l’Anafé entend, par ce dossier, témoigner de ces faits qui démontrent en réalité des pratiques de #détention_arbitraire à la frontière franco-italienne.

    « On n’enferme pas, on ne prive pas de liberté, de la protection de l’asile, d’eau, de nourriture, de soins ou de dignité celles et ceux que l’on entend mettre à l’abri. A l’abri de quoi ? Lorsque l’on déconstruit la sémantique des autorités policières et gouvernementales françaises, la vérité apparaît : elles mentent et enferment illégalement des centaines de femmes, d’enfants et d’hommes chaque année, en toute #impunité et parfois avec la #complicité des autorités judiciaires. », dénonce Alexandre Moreau, président de l’Anafé.

    Ce dossier entend ainsi rendre visible les logiques des politiques migratoires françaises, les violations quotidiennes des #droits_fondamentaux et mettre à jour la réalité de ce que l’administration française cherche, pour sa part, à éloigner des regards.

    « #Discrimination, #stigmatisation, #criminalisation et #déshumanisation des personnes en migration sont les fils conducteurs de politiques migratoires qui, depuis des décennies, mettent l’enfermement aux frontières au cœur de leur arsenal de mesures visant à lutter contre une soi-disant « invasion » de personnes en migration. Inefficace et violente, la privation de liberté est toujours utilisée pour empêcher les personnes d’avoir accès au territoire européen ou au sein des pays qui composent l’Union. Ce dossier vient ainsi rappeler que, pour garantir un État respectueux des droits fondamentaux, un impératif doit être respecté : la détention arbitraire des personnes en migration doit cesser. », commente Laure Palun, directrice de l’Anafé.

    Rappelant le constat de pratiques d’enfermement illégal dans les aéroports et les ports français qui, il y a 30 ans, a mené à la création de l’Anafé et au cadre légal de la zone d’attente, ce dossier s’inscrit dans la campagne menée depuis un an par l’Anafé contre l’enfermement aux frontières. Ainsi, aux côtés de la demande portée par l’Anafé de fermeture des zones d’attente, ce dossier conclut sur un seul et unique impératif : la fermeture des lieux d’enfermement ex frame à la frontière franco-italienne.

    http://www.anafe.org/spip.php?article648

    #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #Hautes-Alpes #Alpes_maritimes #Alpes #montagne #Italie #France #Modane #privation_de_liberté #détention #Menton #Menton_Garavan #Montgenèvre #Fréjus

  • À la frontière franco-italienne : un #bricolage du #droit qui contourne l’asile

    Le #droit_d’asile est reconnu par les textes français, européens et internationaux. Pourtant, les personnes qui se présentent à la frontière franco-italienne sont régulièrement refoulées sans pouvoir demander la protection de la France. Pour comprendre cet écart, il faut s’intéresser aux ambiguïtés de notre système juridique.

    https://www.youtube.com/watch?v=nE51SrntoIA&feature=emb_logo

    Depuis le 13 novembre 2015, la France a rétabli les contrôles à ses frontières européennes, également dites « intérieures[1] » (avec l’Italie, l’Espagne, la Belgique, l’Allemagne, le Luxembourg et la Suisse). Cette mesure, exceptionnelle et normalement temporaire, a engendré ce que l’on appelle un nouveau « régime frontière », c’est-à-dire un ensemble de normes et de pratiques qui gouvernent le mouvement des personnes aux confins de l’État. À partir de l’étude de ce nouveau régime à la frontière franco-italienne, nous considérerons l’écart qui peut exister entre le texte juridique et le terrain concernant un droit fondamental comme l’asile. Dans quelle mesure la pratique du droit et son interprétation constituent-elles une marge qui permet aux acteurs étatiques de s’accommoder de certaines règles ?
    Le droit d’asile, un régime juridique transversal

    Il faut d’abord préciser qu’en France le droit d’asile, qui protège les personnes fuyant les risques de persécutions et les conflits armés, est l’objet d’un régime juridique complexe où s’entrelacent le droit national et le droit international. L’asile contemporain est en grande partie issu de la Convention de Genève relative au statut des réfugiés de 1951 et son protocole de 1967[2] qui sont des traités internationaux. Mais une portion considérable des règles de l’asile est élaborée par le droit de l’Union européenne qui forme, à travers de multiples directives et règlements, le régime d’asile européen commun. Ensuite, bien que la Convention européenne des droits de l’homme (CEDH)[3] de 1950 ne prévoie pas directement la protection de l’asile, il est établi qu’elle protège indirectement contre certains refoulements à travers l’obligation qu’elle impose aux États en matière d’interdiction de la torture et de traitements inhumains et dégradants (article 3) et de vie privée et familiale (article 8). Enfin, le droit d’asile est consacré par la Constitution française et inscrit dans le droit français, principalement en transposition du droit de l’Union européenne (droit UE). Le droit d’asile est ainsi finement tissé dans un régime juridique qui mêle le droit international, la CEDH, le droit de l’Union européenne et le droit français, à la fois constitutionnel et commun.
    À la frontière franco-italienne, l’asile en péril

    À la frontière entre la France et l’Italie, force est de constater que le droit d’asile n’est pas pleinement appliqué. L’enquête de terrain réalisée dans la vallée de la Roya et à Briançon et, surtout, l’attention des citoyens frontaliers et le travail d’associations comme Tous Migrants[4], Médecins du Monde[5], l’Anafé[6], Amnesty International[7] — pour n’en citer que quelques-unes — parviennent au même constat : la plupart des personnes migrantes[8] interceptées en France près de la frontière avec l’Italie ne sont pas en mesure de demander l’asile. Cette observation est également partagée par des institutions publiques dans des rapports tels que ceux du Contrôleur général des lieux de privation de liberté[9], de la Commission nationale consultative des droits de l’homme et de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations[10]. Les personnes traversent la frontière, arrivent en France et, si elles sont interceptées par la police aux frontières (PAF), seront le plus fréquemment renvoyées en Italie sans examen individuel de leur situation.

    C’est donc la condition de possibilité du droit d’asile qui est ici mise en question : le fait de pouvoir enregistrer une demande afin que celle-ci soit traitée par le système de protection français. Cet aspect essentiel de l’asile — la demande — est pourtant consacré par ce régime juridique transversal que nous évoquions, y compris aux frontières de la France[11]. Comment dès lors expliquer que ce droit fondamental ne soit pas réalisé à la frontière avec l’Italie ? L’on serait tenté de répondre que le droit n’est tout simplement pas appliqué convenablement et qu’il suffit qu’une cour, comme le Conseil d’État, sanctionne cette pratique. Cependant, les juges, déjà saisis de la question, n’ont pas formulé de jugement capable de modifier les pratiques de contrôle éludant le droit d’asile.

    Par ailleurs, les contrôles frontaliers font l’objet d’un discours juridique, c’est-à-dire d’une justification par le droit, de la part des autorités étatiques. Ainsi le problème ne porte-t-il pas sur la non-application du droit mais, précisément, sur la manière dont le droit est interprété et mis en application, sur la direction qui est donnée à la force du droit. Qu’est-ce qui, dans le fonctionnement du droit, rend possible la justification juridique d’une transgression d’un droit fondamental normalement applicable ? Autrement dit, comment les autorités arrivent-elles à échapper à leurs obligations internationales, européennes et, à certains égards, constitutionnelles ?

    Une partie de la réponse à cette question réside en ce que le droit — international, européen, national — est plus malléable qu’on pourrait le penser. En effet, les normes juridiques peuvent parfois être en partie indéterminées dans leur définition et dans leur application. L’on dira que le droit est indéterminé au regard d’une situation lorsque les sources juridiques (les traités, les textes européens, la Constitution, la loi, le règlement, etc.), les opérations légitimes d’interprétation ou le raisonnement juridique qui s’y rapportent sont indéterminés, c’est-à-dire lorsque plus d’une conclusion peut être, a priori, tirée de ces éléments. L’on ajoutera une chose : moins un régime juridique est détaillé, plus il laisse de place aux indéterminations. Or, le régime qui préside aux contrôles à la frontière italienne est dérogatoire au droit commun de l’espace Schengen et il est, à ce titre, très peu développé par les textes. Comment cette malléabilité du droit se déploie-t-elle à la frontière ?
    Constituer la frontière par le détournement des normes

    Tout d’abord, si la question de l’asile se pose à la frontière franco-italienne, c’est parce que celle-ci fait l’objet de contrôles dérogatoires. Selon le droit de l’Union européenne, les États membres ne devraient pas effectuer de vérifications frontalières systématiques. Ils peuvent cependant exceptionnellement réintroduire les contrôles dans le cas d’une « menace grave à l’ordre public ou la sécurité intérieure[12] », et ce, pour une durée maximale de deux ans. Il faut ici souligner deux choses.

    D’une part, la France justifie officiellement ces contrôles par l’existence d’une menace terroriste persistante, bien qu’elle les effectue non pas en raison de la lutte contre le terrorisme, mais principalement aux fins de contrôles des flux migratoires. Or, cet élément n’est pas prévu dans le droit UE comme permettant de justifier le rétablissement des contrôles. Le « Code frontières Schengen », qui détaille les normes européennes en matière de frontière, le rejette même explicitement. Cet état de fait a été reconnu par le directeur des affaires européennes du ministère de l’Intérieur dans le cadre de la commission d’enquête parlementaire sur les migrations. Il s’agit donc du détournement de la finalité et de la rationalité d’une règle européenne.

    D’autre part, la France contrôle ses frontières européennes depuis novembre 2015. En mars 2022, cela fait donc plus de six années qu’une mesure exceptionnelle et temporaire est reconduite. L’argument avancé par le gouvernement et entériné par le Conseil d’État consiste à dire, à chaque renouvellement de cette mesure de contrôle — tous les six mois —, qu’une nouvelle menace terroriste a été détectée. La menace étant « renouvelée », le fondement de la mesure repart de zéro, comme s’il n’y avait aucune continuité dans la rationalité des contrôles depuis 2015. Voilà qu’une norme européenne concernant la sécurité intérieure et le terrorisme est continuellement détournée à des fins de gouvernance des migrations. Ainsi malléable, le droit est mobilisé pour matérialiser la frontière par les contrôles, sans quoi la problématique de l’asile serait inexistante puisque la circulation serait libre comme le prévoit le droit UE.
    Épaissir la frontière par l’innovation normative

    Une fois la frontière concrètement instaurée par les contrôles se pose la question du régime juridique applicable, c’est-à-dire de l’ensemble des règles présidant aux interceptions des personnes. En France, le droit des étrangers comprend deux principaux régimes qui permettent de saisir la régularité ou l’irrégularité de la situation d’une personne étrangère : le régime de l’admission et le régime du séjour. L’admission (X peut-elle être admise en France ?) concerne uniquement les personnes franchissant une frontière extérieure de la France (avec un pays tiers à l’UE). À l’inverse, le régime du séjour (X peut-elle demeurer en France ?) s’applique sur tout le reste du territoire, en dehors des points de passage qui définissent les frontières extérieures. Si la constitution et la saisie de l’irrégularité des étrangers par le droit sont toujours limitatives des libertés des personnes, il faut souligner que le régime de l’entrée est le plus circonscrit des deux en matière de droits fondamentaux tant en théorie qu’en pratique. Le droit de demander l’asile doit être respecté dans les deux cas, mais le régime de l’admission le traduit à travers une procédure plus expéditive comportant moins de garanties.

    Sur le territoire limitrophe de l’Italie, c’est par défaut le régime du séjour qui aurait dû s’appliquer puisqu’il s’agit d’une frontière intérieure, et non celui de l’admission qui ne concerne que les frontières extérieures de la France. Cependant, d’abord de manière irrégulière, puis en adoptant la loi asile et immigration en septembre 2018, le gouvernement a déployé une partie de l’arsenal du régime de l’admission en appliquant des procédures de renvoi expéditives à travers l’émission de refus d’entrée. Chose innovante, cette loi a également étendu cette procédure à toute une zone constituée par une bande de dix kilomètres le long de la ligne frontière. Ainsi, alors que, vis-à-vis des contrôles, le droit UE délimite la frontière à des points de passage, l’innovation française l’épaissit-elle juridiquement à un large espace.
    Au sein de la frontière, bricoler le droit

    Que se passe-t-il au sein de cette frontière épaissie ? D’abord, une controverse juridique, car aux moins deux décisions, de la Cour de justice de l’Union européenne[13] et du Conseil d’État[14], remettent partiellement en question le bien-fondé de l’application des refus d’entrée aux frontières intérieures. Mais surtout, dans cet espace controversé, c’est un véritable bricolage du droit que l’on peut observer.

    Pour l’illustrer, prenons le cas de la privation de liberté. Sur le terrain, l’on constate, lors de la procédure de renvoi, que les personnes sont maintenues dans les locaux de la PAF, notamment à Montgenèvre et à Menton Pont-Saint-Louis[15]. Elles font donc l’objet d’un enfermement non consenti qui constitue une privation de liberté. Pourtant, les règles qui y président ne sont ni celles du régime du séjour ni celles du régime de l’entrée. Autrement dit, le gouvernement a décidé d’appliquer une partie du régime de l’admission — les refus d’entrée, la procédure expéditive — sans pour autant lui faire correspondre son régime de privation de liberté alors même que celle-ci est mise en place. Cet aspect est crucial, car la privation de liberté constitue une restriction grave à de nombreuses libertés fondamentales et est strictement encadrée en France.

    Ce flottement « qualificatoire » est problématique parce que les droits fondamentaux[16] des personnes maintenues ne sont garantis que par des mécanismes spécifiques associés aux régimes de privation de liberté existants. L’absence de catégories claires donne une certaine latitude aux acteurs étatiques à la frontière. Cette ambiguïté neutralise même sérieusement les droits fondamentaux en fragilisant les garanties d’accès aux droits et aux juges. L’on pourrait dire que ce bricolage du droit est parajuridique dans les deux sens du préfixe, c’est-à-dire qui s’articule autour du droit, mais aussi, parfois, contre le droit. Parce qu’il s’agit d’arrangements composites, certains aspects sont parfois invalidés par les juges, mais pas leur économie générale qui en font un mode de gouvernance des migrations dans les marges du droit. Au fond, le maintien d’un régime juridique dérogatoire au droit de l’espace Schengen semble renforcer la capacité de l’État à jouer sur les ambiguïtés du droit. Il déroge ainsi à certains droits fondamentaux et procédures administratives qui devraient s’appliquer en vertu du droit international, européen et national.

    Pour aller plus loin

    Commission nationale consultative des droits de l’homme, 2018. Avis sur la situation des personnes migrantes à la frontière franco-italienne, 19 juin URL : https://www.cncdh.fr/sites/default/files/180619_avis_situation_des_migrants_a_la_frontiere_italienne.pdf
    Charaudeau Santomauro B., 2020. « La condition des migrants sous la réintroduction des contrôles aux frontières : le cas de l’état d’urgence à la frontière franco-italienne », in : Benlolo Carabot M. (dir.), L’Union européenne et les migrations, Bruylant-Larcier, p. 337‑343. URL : https://halshs.archives-ouvertes.fr/hal-03224278
    Anafé, 2019. Persona non grata. Conséquences des politiques sécuritaires et migratoires à la frontière franco-italienne, Rapports d’observations 2017–2018. URL : https://drive.google.com/file/d/15HEFqA01_aSkKgw05g_vfrcP1SpmDAtV/view
    Contrôleur général des lieux de privation de liberté, 2017. Rapport de visite des locaux de la police aux frontières de Menton (Alpes-Maritimes). 2e visite : Contrôle des personnes migrantes à la frontière franco-italienne, 4 au 8 septembre. URL : https://www.cglpl.fr/2018/rapport-de-la-deuxieme-visite-des-services-de-la-police-aux-frontieres-de-ment

    https://www.icmigrations.cnrs.fr/2022/03/10/defacto-032-01
    https://www.icmigrations.cnrs.fr/2022/03/10/defacto-032-01
    #frontière_sud-alpine #frontières #asile #migrations #réfugiés #Alpes #France #Italie #refoulement #push-backs #régime_frontalier #fermeture_des_frontières #vallée_de_la_roya #Briançon #Hautes-Alpes #Alpes_maritimes #PAF #normes_juridiques #espace_Schengen #contrôles_dérogatoires #terrorisme #menace_terroriste #code_frontières_Schengen #temporaire #exception #état_d'urgence #régime_de_l'admission #régime_du_séjour #droits_fondamentaux #bricolage #refus_d'entrée #privation_de_liberté #enfermement

  • #Enfermement illégal à la frontière franco-italienne : le #Conseil_d’Etat s’en lave les mains

    Dans une décision du 23 avril 2021, le Conseil d’Etat refuse d’ordonner la fermeture des locaux de « #mise_à_l’abri » des postes de la #police_aux_frontières (#PAF) de #Menton (#Alpes-Maritimes) et de #Montgenèvre (#Hautes-Alpes) où sont enfermées sans cadre légal et sans droits les personnes étrangères à qui l’entrée sur le territoire français est refusée.

    Reconnaissant que des personnes sont enfermées dans des locaux « qui ne sont prévus dans aucun texte », et pour une dizaine d’heures, le juge des référés du Conseil d’Etat valide pourtant ces pratiques de #privation_de_liberté dépourvues de tout fondement légal et dénoncées depuis plus de 5 ans par nos associations et les instances de protection des droits humains.

    S’il admet le « grand inconfort » lié au maintien dans ces locaux, le juge se satisfait des quelques récents efforts que les autorités françaises prétendent avoir accomplis, en réaction à notre initiative contentieuse, tels que la fourniture d’une « #saladette » en guise de repas (jusqu’alors les personnes devaient se contenter de madeleines…). Quant au respect des #droits des personnes (notamment le droit d’être informé, d’être assisté d’un interprète, de demander l’asile, de contacter un médecin, un proche, un conseil ou encore un avocat), le juge se contente de rappeler aux autorités « l’obligation du respect des droits » et la « grande vigilance » à apporter à « des situations particulières » sans autre précision et sans prononcer aucune injonction. Vœux pieux qui resteront sans doute lettre morte, maintenant ces pratiques dans la plus totale opacité.

    Pourtant, la situation n’est pas celle d’un « grand inconfort » mais bien d’un manque total de #respect de la #dignité : enfermement de plusieurs dizaines de personnes dans des locaux exigus parmi lesquelles des hommes, des femmes, des familles, des femmes enceintes, des enfants en bas âge, des mineurs isolés, des personnes malades, des demandeurs d’asile, etc., privation de liberté pendant plus de 10 heures sans aucun droit y compris celui de demander l’asile ou d’avoir accès à un médecin, impossibilité d’assurer la sécurité sanitaire de ces personnes, traumatisme d’un enfant hospitalisé en état de choc post-traumatique suite à cet enfermement, etc.

    Cette décision témoigne une fois de plus de l’indifférence du Conseil d’Etat quand il s’agit de condamner les violations des droits des personnes exilées. Mais nos associations continueront la lutte pour mettre fin à ce scandale et garantir un Etat où les droits de toutes et de tous seront effectivement respectés.

    communiqué de presse reçu via la mailing-list Migreurop, le 28.04.2021

    #justice (sic) #montagne #frontière_sud-alpine #Alpes #frontières #asile #migrations #réfugiés #France #Italie

  • La crise sanitaire aggrave les troubles psy des jeunes migrants

    Les « migrants » sont une population composite recouvrant des #statuts_administratifs (demandeurs d’asile, réfugiés, primo-arrivants…) et des situations sociales disparates. Certains appartiennent à des milieux sociaux plutôt aisés et éduqués avec des carrières professionnelles déjà bien entamées, d’autres, issus de milieux sociaux défavorisés ou de minorités persécutées, n’ont pas eu accès à l’éducation dans leur pays d’origine.

    Et pourtant, une caractéristique traverse ce groupe : sa #jeunesse.

    Ainsi, selon les chiffres d’Eurostat, au premier janvier 2019, la moitié des personnes migrantes en Europe avait moins de 29 ans ; l’âge médian de cette population se situant à 29,2 ans, contre 43,7 pour l’ensemble de la population européenne. Cette particularité est essentielle pour comprendre l’état de santé de cette population.

    En effet, on constate que, du fait de sa jeunesse, la population migrante en Europe est globalement en #bonne_santé physique et parfois même en meilleure #santé que la population du pays d’accueil. En revanche, sa santé mentale pose souvent problème.

    Des #troubles graves liés aux #parcours_migratoires

    Beaucoup de jeunes migrants – 38 % de la population totale des migrants selon une recherche récente – souffrent de #troubles_psychiques (#psycho-traumatismes, #dépressions, #idées_suicidaires, #perte_de_mémoire, #syndrome_d’Ulysse désignant le #stress de ceux qui vont vivre ailleurs que là où ils sont nés), alors que la #psychiatrie nous apprend que le fait migratoire ne génère pas de #pathologie spécifique.

    Les troubles dont souffrent les jeunes migrants peuvent résulter des #conditions_de_vie dans les pays d’origine (pauvreté, conflits armés, persécution…) ou des #conditions_du_voyage migratoire (durée, insécurité, absence de suivi médical, en particulier pour les migrants illégaux, parfois torture et violences) ; ils peuvent également être liés aux #conditions_d’accueil dans le pays d’arrivée.

    De multiples facteurs peuvent renforcer une situation de santé mentale déjà précaire ou engendrer de nouveaux troubles : les incertitudes liées au #statut_administratif des personnes, les difficultés d’#accès_aux_droits (#logement, #éducation ou #travail), les #violences_institutionnelles (la #répression_policière ou les #discriminations) sont autant d’éléments qui provoquent un important sentiment d’#insécurité et du #stress chez les jeunes migrants.

    Ceci est d’autant plus vrai pour les #jeunes_hommes qui sont jugés comme peu prioritaires, notamment dans leurs démarches d’accès au logement, contrairement aux #familles avec enfants ou aux #jeunes_femmes.

    Il en résulte des périodes d’#errance, de #dénuement, d’#isolement qui détériorent notablement les conditions de santé psychique.

    De nombreuses difficultés de #prise_en_charge

    Or, ainsi que le soulignent Joséphine Vuillard et ses collègues, malgré l’engagement de nombreux professionnels de santé, les difficultés de prise en charge des troubles psychiques des jeunes migrants sont nombreuses et réelles, qu’il s’agisse du secteur hospitalier ou de la médecine ambulatoire.

    Parmi ces dernières on note l’insuffisance des capacités d’accueil dans les #permanences_d’accès_aux_soins_de_santé (#PASS), l’incompréhension des #procédures_administratives, le besoin d’#interprétariat, des syndromes psychotraumatiques auxquels les professionnels de santé n’ont pas toujours été formés.

    Les jeunes migrants sont par ailleurs habituellement très peu informés des possibilités de prise en charge et ne recourent pas aux soins, tandis que les dispositifs alternatifs pour « aller vers eux » (comme les #maraudes) reposent essentiellement sur le #bénévolat.
    https://www.youtube.com/watch?v=Pn29oSxVMxQ&feature=emb_logo

    Dans ce contexte, le secteur associatif (subventionné ou non) tente de répondre spécifiquement aux problèmes de santé mentale des jeunes migrants, souvent dans le cadre d’un accompagnement global : soutien aux démarches administratives, logement solidaire, apprentissage du français, accès à la culture.

    Organisateurs de solidarités, les acteurs associatifs apportent un peu de #stabilité et luttent contre l’isolement des personnes, sans nécessairement avoir pour mission institutionnelle la prise en charge de leur santé mentale.

    Ces #associations s’organisent parfois en collectifs inter-associatifs pour bénéficier des expertises réciproques. Malgré leur implantation inégale dans les territoires, ces initiatives pallient pour partie les insuffisances de la prise en charge institutionnelle.

    Des situations dramatiques dans les #CRA

    Dans un contexte aussi fragile, la #crise_sanitaire liée à la #Covid-19 a révélé au grand jour les carences du système : si, à la suite de la fermeture de nombreux #squats et #foyers, beaucoup de jeunes migrants ont été logés dans des #hôtels ou des #auberges_de_jeunesse à l’occasion des #confinements, nombreux sont ceux qui ont été livrés à eux-mêmes.

    Leur prise en charge sociale et sanitaire n’a pas été pensée dans ces lieux d’accueil précaires et beaucoup ont vu leur situation de santé mentale se détériorer encore depuis mars 2020.

    Les situations les plus critiques en matière de santé mentale sont sans doute dans les #Centres_de_rétention_administrative (CRA). Selon le rapport 2019 de l’ONG Terre d’Asile, sont enfermés dans ces lieux de confinement, en vue d’une #expulsion du sol national, des dizaines de milliers de migrants (54 000 en 2019, dont 29 000 en outremer), y compris de nombreux jeunes non reconnus comme mineurs, parfois en cours de #scolarisation.

    La difficulté d’accès aux soins, notamment psychiatriques, dans les CRA a été dénoncée avec véhémence dans un rapport du Contrôleur général des lieux de privation de liberté (CGLPL) en février 2019, suivi, à quelques mois d’écart, d’un rapport tout aussi alarmant du Défenseur des droits.

    La #rupture de la #continuité des #soins au cours de leur rétention administrative est particulièrement délétère pour les jeunes migrants souffrant de pathologies mentales graves. Pour les autres, non seulement la prise en charge médicale est quasi-inexistante mais la pratique de l’isolement à des fins répressives aggrave souvent un état déjà à risque.

    La déclaration d’#état_d’urgence n’a pas amélioré le sort des jeunes migrants en rétention. En effet, les CRA ont été maintenus ouverts pendant les périodes de #confinement et sont devenus de facto le lieu de placement d’un grand nombre d’étrangers en situation irrégulière sortant de prison, alors que la fermeture des frontières rendait improbables la reconduite et les expulsions.

    Un tel choix a eu pour conséquence l’augmentation de la pression démographique (+23 % en un an) sur ces lieux qui ne n’ont pas été conçus pour accueillir des personnes psychologiquement aussi vulnérables et pour des périodes aussi prolongées.

    Des espaces anxiogènes

    De par leur nature de lieu de #privation_de_liberté et leur vocation de transition vers la reconduction aux frontières, les CRA sont de toute évidence des #espaces_anxiogènes où il n’est pas simple de distinguer les logiques de #soins de celles de #contrôle et de #répression, et où la consultation psychiatrique revêt bien d’autres enjeux que des enjeux thérapeutiques. Car le médecin qui apporte un soin et prend en charge psychologiquement peut aussi, en rédigeant un #certificat_médical circonstancié, contribuer à engager une levée de rétention, en cas de #péril_imminent.

    Les placements en CRA de personnes atteintes de pathologies psychologiques et/ou psychiatriques sont en constante hausse, tout comme les actes de #détresse (#automutilations et tentatives de #suicide) qui ont conduit, depuis 2017, cinq personnes à la mort en rétention.

    La prise en charge effective de la santé mentale des jeunes migrants se heurte aujourd’hui en France aux contradictions internes au système. Si les dispositifs sanitaires existent et sont en théorie ouverts à tous, sans condition de nationalité ni de régularité administrative, l’état d’incertitude et de #précarité des jeunes migrants, en situation irrégulière ou non, en fait un population spécialement vulnérable et exposée.

    Sans doute une plus forte articulation entre la stratégie nationale de prévention et lutte contre la pauvreté et des actions ciblées visant à favoriser l’intégration et la stabilité via le logement, l’éducation et l’emploi serait-elle à même de créer les conditions pour une véritable prévention des risques psychologiques et une meilleure santé mentale.

    https://theconversation.com/la-crise-sanitaire-aggrave-les-troubles-psy-des-jeunes-migrants-152

    #crise_sanitaire #asile #migrations #réfugiés #jeunes_migrants #santé_mentale #troubles_psychologiques #genre #vulnérabilité #bénévolat #rétention #détention_administrative #sans-papiers

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  • Rapporti di monitoraggio

    Sin dal 2016 il progetto ha pubblicato report di approfondimento giuridico sulle situazioni di violazione riscontrate presso le diverse frontiere oggetto delle attività di monitoraggio. Ciascun report affronta questioni ed aspetti contingenti e particolarmente interessanti al fine di sviluppare azioni di contenzioso strategico.

    Elenco dei rapporti pubblicati in ordine cronologico:

    “Le riammissioni di cittadini stranieri a Ventimiglia (giugno 2015): profili di illegittimità“

    Il report è stato redatto nel giugno del 2015 è costituisce una prima analisi delle principali criticità riscontrabili alla frontiera italo-francese verosimilmente sulla base dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana (Accordo di Chambery)
    #Vintimille #Ventimiglia #frontière_sud-alpine #Alpes #Menton #accord_bilatéral #Accord_de_Chambéry #réadmissions

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887941

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    “Le riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso: profili di illegittimità”

    Il report è stato redatto nell’estate del 2016 per evidenziare la situazione critica che si era venuta a creare in seguito al massiccio afflusso di cittadini stranieri in Italia attraverso la rotta balcanica scatenata dalla crisi siriana. La frontiera italo-svizzera è stata particolarmente interessata da numerosi tentativi di attraversamento del confine nei pressi di Como e il presente documento fornisce una analisi giuridica delle criticità riscontrate.

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887940

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    “Lungo la rotta del Brennero”

    Il report, redatto con la collaborazione della associazione Antenne Migranti e il contributo della fondazione Alex Langer nel 2017, analizza le dinamiche della frontiera altoatesina e sviluppa una parte di approfondimento sulle violazioni relative al diritto all’accoglienza per richiedenti asilo e minori, alle violazioni all’accesso alla procedura di asilo e ad una analisi delle modalità di attuazione delle riammissioni alla frontiera.

    #Brenner #Autriche

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    “Attività di monitoraggio ai confini interni italiani – Periodo giugno 2018 – giugno 2019”

    Report analitico che riporta i dati raccolti e le prassi di interesse alle frontiere italo-francesi, italo-svizzere, italo-austriache e italo slovene. Contiene inoltre un approfondimento sui trasferimenti di cittadini di paesi terzi dalle zone di frontiera indicate all’#hotspot di #Taranto e centri di accoglienza del sud Italia.

    #Italie_du_Sud

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    “Report interno sopralluogo Bosnia 27-31 ottobre 2019”

    Report descrittivo a seguito del sopralluogo effettuato da soci coinvolti nel progetto Medea dal 27 al 31 ottobre sulla condizione delle persone in transito in Bosnia. Il rapporto si concentra sulla descrizione delle strutture di accoglienza presenti nel paese, sull’accesso alla procedura di protezione internazionale e sulle strategie di intervento future.

    #Bosnie #Bosnie-Herzégovine

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    “Report attività frontiere interne terrestri, porti adriatici e Bosnia”

    Rapporto di analisi dettagliata sulle progettualità sviluppate nel corso del periodo luglio 2019 – luglio 2020 sulle diverse frontiere coinvolte (in particolare la frontiera italo-francese, italo-slovena, la frontiera adriatica e le frontiere coinvolte nella rotta balcanica). Le novità progettuali più interessanti riguardano proprio l’espansione delle progettualità rivolte ai paesi della rotta balcanica e alla Grecia coinvolta nelle riammissioni dall’Italia. Nel periodo ad oggetto del rapporto il lavoro ha avuto un focus principale legato ad iniziative di monitoraggio, costituzione della rete ed azioni di advocacy.

    #Slovénie #mer_Adriatique #Adriatique

    https://medea.asgi.it/rapporti

    #rapport #monitoring #medea #ASGI
    #asile #migrations #réfugiés #frontières
    #frontières_internes #frontières_intérieures #Balkans #route_des_balkans

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  • Refuser l’#enfermement, Critique des logiques et pratiques dans les #zones_d’attente

    C’est un rapport essentiel pour plusieurs raisons :

    Il expose, avec des exemples concrets, la situation des personnes victimes de l’enfermement dans les zones d’attente françaises (dans les ports, aéroports et #gares_internationales) tout en expliquant ce qu’est réellement une #zone_d’attente : un lieu de #privation_de_liberté où les personnes sont mises à l’écart de la société civile et où les violations des droits fondamentaux sont quotidiennes.
    – Il est l’œuvre d’un véritable travail de capitalisation des données recueillies lors des permanences juridiques par les bénévoles, lors des visites de zone d’attente et grâce à des témoignages de terrain. Ce rapport rappelle le rôle fondamental – et régulièrement mis à mal par l’administration française – des visiteurs de zone d’attente qui est de constater, questionner, dénoncer et informer.
    - De par sa construction, ce rapport revient sur des logiques structurelles de violations des droits des personnes enfermées régulièrement dénoncées par l’Anafé mais aussi analyse en profondeur la situation dans une quinzaine de zones d’attente.
    - Enfin, le rapport met en évidence les conséquences de l’enfermement, afin de permettre au lecteur de se rendre compte de l’absurdité de ce système quasi-carcéral où des hommes, des femmes et des enfants souffrent dans pas moins de 96 #ports, #gares et #aéroports français.

    http://www.anafe.org/spip.php?article574

    Pour télécharger le rapport :
    https://drive.google.com/file/d/1HasZwIWPyv0un0W_Cl7w4RU_CigVn8Vv/view

    #rapport #anafé #asile #migrations #réfugiés #France

  • #Libye : « Entre la vie et la mort ». Les personnes refugiées et migrantes prises dans la tourmente des #violences en Libye

    En Libye, les personnes réfugiées et migrantes sont piégées dans un cycle de violences caractérisé par de graves atteintes aux #droits_humains, telles que la #détention_arbitraire pendant de longues périodes et d’autres formes de privation illégale de liberté, la #torture et d’autres #mauvais_traitements, les #homicides illégaux, le #viol et d’autres formes de #violences_sexuelles, le #travail_forcé et l’#exploitation aux mains d’agents gouvernementaux et non gouvernementaux, dans un climat d’#impunité quasi totale.

    https://www.amnesty.org/en/documents/mde19/3084/2020/fr
    #migrations #asile #réfugiés #violence #rapport #Amnesty_international #privation_de_liberté #droits_fondamentaux

    ping @karine4 @isskein

  • Une décision sans précédent en #Tunisie : le #Tribunal_administratif suspend la détention de 22 migrants détenus arbitrairement au #centre_d’accueil_et_d’orientation #El_Ouardia

    Une décision sans précédent en Tunisie : le Tribunal administratif suspend la détention de 22 migrants détenus arbitrairement au centre d’accueil et d’orientation El Ouardia

    Tunis, le 16 juillet 2020 – Saisi le 5 juin dernier de 22 requêtes en référé et en annulation concernant des migrants détenus arbitrairement au centre d’accueil et d’orientation El Ouardia, le tribunal administratif vient de rendre des décisions sans précédent. Il a en effet ordonné la suspension de leur détention au motif que leur privation de liberté est contraire au droit tunisien, mais aussi aux engagements internationaux de la Tunisie, notamment le Pacte international relatif aux droits civils et politiques et la Convention contre la torture.

    Rappelant le principe fondamental de #légalité qui doit encadrer toute #restriction_de_liberté, le tribunal a notamment estimé que la #privation_de_liberté des 22 migrants ne respectait pas les conditions essentielles que sont l’existence d’une base légale et l’intervention d’une autorité juridictionnelle. Le tribunal a ainsi apporté une première réponse positive aux nombreux arguments soulevés par les avocats des détenus pour demander l’annulation immédiate du placement en détention de leurs clients. En vertu de ces décisions rendues en référé, les 22 migrants doivent être immédiatement libérés en attendant que le tribunal administratif statue sur les recours en annulation des mesures de détention.

    En vertu de ces décisions, le Ministère de l’Intérieur, responsable du centre de Ouardia, doit agir immédiatement afin de libérer les 22 migrants en attendant que le tribunal administratif statue sur les recours en annulation des mesures de détention. Une procédure qui pourrait durer des années et qui sera l’occasion pour le tribunal d’examiner en détails tous les arguments soulevés par les avocats des requérants.

    Dans leurs requêtes, les avocats avaient notamment dénoncé le fait que les migrants étaient détenus en dehors de toute procédure légale et de tout #contrôle_juridictionnel, sans accès à un avocat, sans notification écrite du fondement de leur placement en détention dans un centre qui n’est d’ailleurs même pas officiellement enregistré comme un lieu privatif de liberté. Autant de motifs qui concourent à qualifier ces détentions d’#arbitraires, en violation flagrante du droit international des droits de l’homme et de la Constitution tunisienne.

    Afin d’éviter que ces violations graves puissent encore être perpétrées, les autorités tunisiennes, et en particulier le Ministère de l’Intérieur, doivent clarifier le statut juridique du centre d’El Ouardia pour qu’il ne soit ne soit plus utilisé en tant que lieu de privation de liberté.

    https://ftdes.net/une-decision-sans-precedent-en-tunisie-le-tribunal-administratif-suspend-la-d

    #migrations #réfugiés #détention #rétention_administrative #justice #suspension #droits_humains

    ping @_kg_

  • Hôpitaux psychiatriques : l’indignation d’Adeline Hazan sur les conditions de confinement des patients
    https://www.franceinter.fr/hopitaux-psychiatriques-l-indignation-d-adeline-hazan-sur-les-conditions

    Alertée sur des « violations graves des droits des personnes » dans un établissement public de santé mentale du Val-d’Oise, la Contrôleure générale des lieux de privation de liberté a organisé une visite « surprise » le 18 mai dernier. Elle a permis de constater des traitements indignes, décrits dans un rapport cinglant.

    En venant visiter l’établissement Roger Prévot de Moisselles (dans le Val-d’Oise) avec trois de ses collaborateurs, la Contrôleure générale des lieux de privation de liberté ne s’attendait sans doute pas à un si triste spectacle. Des patients privés de leurs effets personnels, habillés d’un pyjama en tissu déchirable, parfois sans sous-vêtements. Des chambres sans douche, sans télé ni radio, sans horloge, voire sans chaise (sauf pour les repas). Et surtout, des patients parfois « enfermés à clé 24 heures sur 24 », sans aucune décision liée à leur état psychiatrique et « dans des espaces dangereux car non aménagés à cet effet ».

    L’une d’elle a même fini aux urgences après avoir tenté vraisemblablement de s’enfuir par la fenêtre de sa chambre, au deuxième étage.

    Dans son rapport publié ce vendredi, Adeline Hazan dénonce "une confusion entre le régime de l’isolement psychiatrique [...] et le confinement sanitaire". Autrement dit, l’établissement a restreint de manière excessive les libertés de ses patients, sans aucune autre justification que le risque de contamination par le Covid-19 . Une situation en partie corrigée depuis, constate-t-elle, mais qui justifie d’émettre en urgence plusieurs recommandations à suivre et de montrer l’exemple à ne pas suivre à d’autres établissements du même type. Une procédure très rare.

    Officiellement, cette décision d’enfermer à clé les patients a été prise sur la base d’une circulaire détaillant des mesures de confinement lié à l’épidémie de coronavirus, mais la Contrôleure générale note que "le confinement strict en chambre fermée à clé n’est pas mentionné dans cette circulaire". "Les praticiens l’ont décidé en lui donnant un caractère systématique, prétendant que les patients de psychiatrie ne seraient pas à même de comprendre et de respecter les gestes barrière." Une « mauvaise compréhension prétendue », selon le rapport, qui n’est "pas démontrée, et en tout cas, loin d’être générale".

    "Ces privations de liberté injustifiées et illégales ont été mises en œuvre dans des conditions indignes", assène encore le texte.
    Adeline Hazan adresse donc plusieurs recommandations de principe : un patient en soins libres qui refuserait d’être hospitalisé en unité « Covid » doit pouvoir quitter l’hôpital ; l’enfermement dans une chambre ne peut reposer que "sur une décision d’isolement motivée par la mise en danger immédiate ou imminente du patient ou d’autrui" ; enfin "une telle contrainte ne peut être imposée ni à un patient en soins libres ni pour une durée excédant quelques heures" .

    Elle prohibe également "les mesures d’enfermement, de sédation ou de contention" justifiées uniquement par "les moyens dont dispose l’établissement", comme le manque de personnel ou d’infrastructures. _" Aucune mesure de privation de liberté ne peut être prise ni aggravée pour des raisons d’organisation, principe qui ne peut souffrir aucune exception."_

    Ces recommandations ont été adressées au ministre des Solidarités et de la Santé, qui n’y a pour l’instant pas répondu. La direction générale de l’offre de soins (qui dépend du ministère) a de son côté rappelé l’existence d’une fiche relative à la liberté d’aller et venir des patients dans les services de psychiatrie en période de déconfinement.

    (graisses d’origine)

    #psychiatrie #psychiatrisés #psychiatres #hôpital #enfermement #isolement #contention #privation_de_liberté

  • Communiqué de presse : Mettre un terme à la #détention_arbitraire des migrants en Tunisie : le tribunal administratif est saisi du cas du centre d’#El_Ouardia

    Tunis, le 8 juin 2020-

    Un groupe de migrants détenus au centre d’El Ouardia viennent de saisir le tribunal administratif en urgence pour dénoncer leur détention arbitraire. Ils sont détenus depuis des semaines, voire des mois, dans un lieu considéré d’un point de vue légal comme un #centre d’hébergement et d’orientation. Un centre dont ils ne peuvent pourtant pas sortir et qui opère concrètement comme un centre de détention illégal. Les migrants y sont privés de liberté sans aucun respect de leurs #droits_fondamentaux, en l’absence de procédures judiciaires conformes à la Constitution et aux standards internationaux. Ils sont accusés par l’administration d’entrée ou de séjour irrégulier sur le territoire tunisien, mais une telle infraction ne peut suffire à justifier leur #détention en dehors de toute procédure légale et contrôle juridictionnel, d’autant que certains d’entre eux avaient déjà étaient jugés et emprisonnés pour ces faits avant d’être internés à #Ouardia.

    En Tunisie comme ailleurs, on ne peut détenir un individu sans que cette #privation_de_liberté soit strictement encadrée par une loi organique et qu’elle soit assortie de garanties procédurales à même d’assurer que la détention n’est pas illégale ou arbitraire. Or, en Tunisie, aucun texte de loi en vigueur ne permet de soumettre des migrants à une forme de #détention_administrative. Quant au respect des garanties procédurales,ils n’ont pas été notifiés par écrit du fondement juridique de leur détention, ni de la durée de leur détention, ni de leurs droits à être assisté d’un avocat et d’un interprète et à contacter leur consulat, ni de leur droit à saisir la justice pour qu’elle contrôle immédiatement la légalité de leur détention.Leurs avocats n’ont pas été autorisés à leur rendre visite et n’ont même pas pu accéder à leur dossier.Avec l’assistance d’un groupe d’avocats, plusieurs détenus saisissent aujourd’hui le tribunal administratif de Tunis afin qu’il joue son rôle de garant des droits et ordonne, sans délai, la cessation de la détention arbitraire dont ils sont victimes.

    Au-delà de la détention arbitraire des plaignants concernés par ces recours, c’est l’existence même du centre de El Ouardia comme centre de détention de facto qui doit être remise en question, de même que l’ensemble de la législation régissant le statut des étrangers nécessite d’être repensée. La dépénalisation de l’entrée et du séjour irrégulier,la revue des modalités d’octroi des titres de séjour et du traitement des demandes, l’instauration d’une procédure d’asile sont parmi les nombreuses mesures qui devraient être inscrite comme une priorité gouvernementale.Ces réformes apparaissent comme de véritables obligations au regard de la Constitution qui garantit notamment le #droit_d’asile et le droit de ne pas être détenu arbitrairement mais aussi au regard des traités internationaux relatifs aux droits de l’Homme ratifiés par la Tunisie

    Forum Tunisien pour les Droits Économiques et Sociaux FTDES

    Avocats sans frontières ASF

    Terre d’Asile Tunisie

    OMCT Tunisie

    https://ftdes.net/communique-de-presse-mettre-un-terme-a-la-detention-arbitraire-des-migrants-e
    #Tunisie #justice #rétention #migrations #asile #réfugiés
    ping @_kg_

  • « Longue vie à l’arbitraire ! » Les avocats exclus des auditions en zone d’attente

    Par une décision du 6 décembre, le #Conseil_constitutionnel a refusé de reconnaître le droit d’être assistées d’un·e avocat·e aux personnes étrangères qui font l’objet d’#auditions par la #police à leur arrivée aux #frontières. Encore une preuve du régime dérogatoire réservé aux personnes étrangères aux frontières !

    Saisi par une ressortissante nicaraguayenne qui avait subi ces auditions et par nos organisations, le Conseil constitutionnel n’a pas saisi l’opportunité qui lui était ainsi donnée de consacrer l’application du principe fondamental des droits de la défense pendant les auditions de personnes étrangères précédant ou suivant la notification d’une décision de #refus_d’entrée_sur_le territoire et de maintien en #zone_d’attente.

    En déclarant les articles L.213-2 et L.221-4 du code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile conformes à la Constitution, il a fait de la zone d’attente le seul lieu où la contrainte et la #privation_de_liberté peuvent s’exercer sans la présence d’un·e avocat·e.

    Or, ces auditions en zone d’attente – autrement dit ces #interrogatoires, parfois musclés – sont lourdes de conséquences pour les personnes étrangères, qui risquent non seulement d’être refoulées avant même d’avoir pu entrer en #France mais aussi d’être préalablement enfermées pour une durée qui peut aller jusqu’à vingt-six jours. En dépit de la gravité de ces enjeux, la zone d’attente restera hors d’atteinte des droits de la défense.

    « Dis que tu viens travailler ! Avoue ! » : ceci n’est pas un témoignage isolé de #pressions_policières fréquemment subies par les personnes qui se présentent aux frontières pour leur faire déclarer les raisons présupposées – voire fantasmées – de leur venue sur le territoire Schengen. En refusant que ces auditions soient menées sous le regard des avocat·es le Conseil constitutionnel permet que de tels comportements perdurent.

    Les "sages" du Conseil constitutionnel ne sont-ils pas, pourtant, les garants des libertés constitutionnellement protégées ? Il faut croire que – pas plus que les droits de la défense – la sagesse n’a sa place en zone d’attente.

    Dénonçant un inquiétant déni des droits des personnes retenues aux frontières, nos organisations continueront d’exiger la mise en place d’une permanence gratuite d’avocat·es en zone d’attente, seule garantie d’un véritable accès aux droits pour les personnes qui y sont enfermées.

    http://www.anafe.org/spip.php?article548
    #justice #conseil_juridique #refoulement #push-back #enfermement #tri #catégorisation #migrations #asile #réfugiés #rétention

    ping @karine4

  • Da un confinamento all’altro. Il trattenimento illegittimo nell’hotspot di Messina dei migranti sbarcati dalla #Sea-Watch

    Le persone sbarcate il 29 giugno a Lampedusa, dopo un’attesa di 17 giorni in mare a bordo della #Sea-Watch_3, si trovano attualmente in una condizione di trattenimento illegale all’interno del centro hotspot di Messina.

    Questa vicenda palesa l’urgenza di interrogarsi su quanto avviene a seguito degli sbarchi. Dopo l’approdo sulla terra ferma, infatti, si apre una fase di sostanziale invisibilità, nel corso della quale vengono spesso violati i diritti fondamentali dei cittadini stranieri, a cominciare dal diritto alla libertà personale e dal diritto di asilo, entrambi di rilievo costituzionale.

    I cittadini stranieri, finalmente approdati a Lampedusa, sono stati condotti nel locale hotspot, sito in Contrada Imbriacola, dove sono stati identificati e sottoposti a una particolare e ambigua forma di trattenimento fino al 4 luglio. I cancelli dell’hotspot di Lampedusa sono infatti costantemente chiusi e presidiati e non sussiste alcuna forma di regolamentazione dell’ingresso e dell’uscita dei cittadini stranieri. Se i cittadini stranieri chiedono alle forze di polizia e ai militari di poter uscire dal cancello, gli viene chiatamente risposto che l’uscita non è possibile. Tuttavia in alcuni casi le persone escono da fori nella recinzione, prassi conosciuta dalle autorità che generalmente non vi si oppongono.

    Evidentemente, i cittadini stranieri che non vogliono violare una regola che sembra implicita nella struttura del centro o che per vari motivi non sono in grado di attraversare la recinzione vivono a pieno la condizione di trattenimento. In seguito alla permanenza a Lampedusa, le persone sono state trasferite presso il centro hotspot di Messina dal quale, ad oggi, non possono uscire. Dal loro arrivo in Italia, avvenuto 11 giorni fa, i cittadini stranieri, che per 17 giorni sono stati in mare in attesa dell’assegnazione di un porto di sbarco, si trovano in una condizione di detenzione arbitraria.

    Passando a esaminare i profili giuridici di questa vicenda, si segnala che prima della attribuzione ai cittadini stranieri della condizione di richiedenti protezione internazionale o della notifica di un ordine di allontanamento per coloro ai quali non è riconosciuto il diritto a rimanere sul territorio nazionale, nessuna forma di limitazione della libertà personale può essere attuata nei centri hotspot. La discussa legge 132/2018, infatti, introduce per la prima volta la possibilità di trattenere i cittadini stranieri nei centri hotspot, attraverso le ipotesi, di dubbia legittimità costituzionale, del trattenimento del richiedente asilo volto alla determinazione o verifica di identità o cittadinanza e del trattenimento del cittadino straniero destinatario di un provvedimento di espulsione in caso di assenza di posti nei centri di permanenza per il rimpatrio, ipotesi nelle quali il trattenimento è possibile solo attraverso l’emissione di un ordine scritto e convalidato dall’autorità giudiziaria. Nel caso delle persone soccorse dalla Sea-Watch, come in numerosi altri casi, le autorità si limitano, tuttavia, a privare di fatto le persone della loro libertà, senza notificare alcun provvedimento e senza che queste persone possano mai incontrare un giudice che si esprima sulla legittimità del trattenimento.

    È utile ancora una volta ricordare che qualsivoglia forma di privazione della libertà personale che non sia esplicitamente prevista dalla legge, disposta con ordine scritto dell’autorità giudiziaria o da altra autorità e convalidata dall’autorità giuridiziaria entro 48 ore dall’adozione del provvedimento, costituisce una lesione del principio di inviolabilità della libertà personale contenuto nell’art. 13 della Costituzione.

    Tuttavia, nonostante la sua palese illegalità, tale forma di trattenimento è nei fatti accettata da tutti gli attori – pubblici e privati – inquadrati all’interno della governance dei processi migratori. Autorità di polizia, operatori degli enti di tutela e funzionari delle agenzie europee contribuiscono a riprodurre queste prassi detentive. Il perpetuarsi di tali comportamenti ha determinato un immaginario secondo il quale l’hotspot è considerato complessivamente e tout court come un luogo detentivo.

    Tale forma di detenzione, di per sé grave, illegittima e da contrastare e sanzionare, nel caso delle persone soccorse dalla Sea-Watch 3 assume caratteri grotteschi. La detenzione arbitraria viene imposta in questa circostanza, per 11 giorni, a persone che per 17 giorni hanno visto la propria libertà limitata al territorio di una nave, in condizioni materiali estremamente precarie.

    Quella che abbiamo davanti è una vicenda specifica. Riguarda singoli cittadini stranieri, ciascuno con la propria biografia, i propri desideri e i propri bisogni. Allo stesso tempo, questa vicenda si iscrive, in maniera più generale, all’interno della politica degli hotspot. La violazione illegittima della libertà personale alla quale sono sottoposte queste persone, infatti, è in continuità con quanto osservato negli ultimi tre anni, in contesti e tempi diversi.

    Se osservata alla luce dell’ordinamento giuridico nella sua complessità, questa vicenda assume una proporzione inquietante. Si tratta, a tutti gli effetti, di una forma macroscopica di arbitrio. Le autorità statali detengono uno specifico gruppo sociale al di fuori della normativa vigente. È una violazione così rilevante che non può che interrogare profondamente – e invitare alla mobilitazione giudiziale e civica – la società civile e le sue organizzazioni.

    Possiamo provare a immaginare quali sentimenti possano accompagnare, in questi giorni, la detenzione di questi migranti. È probabile che la permanenza nell’hotspot di Messina sia caratterizzata da incertezza, paura, spaesamento. Da un’altra prospettiva, anche chi, come noi, osserva la detenzione dall’esterno, è attraversato da una profonda inquietudine. Questo arbitrio sembra essere un puntuale indicatore della complessiva torsione autoritaria che attraversa il nostro paese: il diritto applicato ai cittadini stranieri ne è, anche in questa circostanza, cartina tornasole.

    A fronte di tali macroscopiche violazioni, le organizzazioni sottoscriventi, considerando intollerabile che la libertà personale di chiunque possa essere violata con forme di trattenimento di fatto fuori dei casi e dei modi previsti tassativamente dalla legge e sotto il controllo giurisdizionale come prescrivono l’art. 13 della Costituzione e le norme internazionali in un paese in cui dovrebbe vigere lo stato di diritto:

    Sollecitano le autorità competenti a predisporre l’immediata liberazione dei cittadini stranieri trattenuti illegalmente all’interno del centro hotspot di Messina;
    Invitano le autorità a fornire informazioni chiare e pubbliche in relazione alla condizione giuridica e alle procedure a cui sono sottoposti i cittadini stranieri attualmente trattenuti nel centro hotspot di Messina;

    Invitano il Garante nazionale per le persone detenute o private della libertà personale a disporre immediate ispezioni nei centri di Lampedusa e di Messina al fine di constatare le effettive circostanze in cui si trovano le persone trattenute illegalmente e ad informarne immediatamente il Ministro dell’interno, il Parlamento e l’opinione pubblica.

    https://www.asgi.it/notizie/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-di-messina

    Reçu via la mailing-list de Migreurop par Sara Prestianni, 11.07.2019, avec ce commentaire:

    Après 17 jours à bord du bateau #SeaWatch3, débarqués le 29 juin, les migrants ont été amené dans l’hotspot de #Lampedusa où ont été identifié où y sont restés jusqu’au 4 juillet. Les portes de l’hotspots étaient fermés mais les autorités semblaient fermés un yeux devant les sorties par des trous de l’enceinte du camp. Ils ont été ensuite transférés dans l’hotspot de Messina d’où ils ne peuvent pas sortir. Depuis 11 jours après les 17 en mer les migrants se trouvent en une forme de #enfermement arbitraire. Il est importante de rappeler que tout forme de #privation_de_liberté personne qui ne soit validé par un juge après 48 heures (procedure pas prévu dans les hotspot) constitue une violation de la liberté personne prévu à l’art 13 de la Constitution Italienne.

    #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #Méditerranée
    #sauvetage_et_après?

  • Découvrir la #France derrière des barbelés

    Chaque année, à leur descente de l’avion, du train ou du bateau qui les a menés en France, des milliers d’étrangers sont victimes de l’arbitraire de la frontière et ne sont pas autorisés à pénétrer sur le territoire. Quand ils ne sont pas renvoyés illico, on les enferme en « #zone_d’attente ».

    Tout commence lors des contrôles des passagers. Certaines personnes sont admises sur le territoire Schengen sur simple présentation de leurs documents de voyage. D’autres, en raison de leur provenance, de leur nationalité ou de leur comportement, subissent un contrôle plus poussé.

    Claudia, Lola et Sarah [1], trois amies de nationalité dominicaine, résident à Naples depuis huit ans. Elles décident de venir en France, sans avoir réservé leur billet retour, une condition nécessaire à leur entrée sur le territoire – ce qu’elles ignorent. Lorsque Claudia passe les #contrôles_frontaliers, aucune question ne lui est posée : elle est admise sur le territoire français. Ses deux amies n’ont pas la même chance et subissent un contrôle plus approfondi. Elles ont beau présenter immédiatement leurs cartes de résidence italienne, comme pour rassurer la police française : elles ne veulent pas rester, elles ont leur vie en Italie... rien n’y fait. L’entrée leur est refusée et elles sont enfermées jusqu’à leur refoulement.

    Bienvenue en « zone d’attente ». Des lieux de #privation_de_liberté [2] qui se trouvent dans les #aéroports, les #ports et les #gares desservant l’international. En France, il en existe cent une, toutes différentes. Il peut s’agir d’une salle dans l’aéroport de Toulouse, de cellules dans le sous-sol de l’aéroport de Marseille ou encore d’une chambre d’hôtel en face de l’aéroport de Nantes.

    À #Roissy, la #Zapi_3 (Zone d’attente pour personnes en instance) s’étend sur deux niveaux et peut recevoir jusqu’à 120 personnes. Placé au bord des pistes, le bâtiment est entouré de grillages surplombés de barbelés. L’intérieur n’est pas moins oppressant : présence policière constante, caméras de surveillance, fenêtres condamnées, lumière de néons blafarde et bruit incessant des haut-parleurs appelant des personnes pour un éventuel renvoi. Surnommée « l’hôtel » par la police aux frontières, la Zapi 3 est la vitrine des zones d’attente françaises.
    *

    Lorsqu’elles ne sont pas immédiatement renvoyées vers leur pays de provenance, les personnes non-admises sur le territoire sont donc enfermées en zone d’attente, pour une durée initiale de quatre jours et une durée maximum de vingt jours, le temps pour les autorités d’organiser leur renvoi. Durant leur maintien, elles sont dépendantes de la #police_aux_frontières (#PAF) pour l’exercice de leurs droits : enregistrement d’une demande d’asile, repas, accès aux soins.

    Dina et Ehsan, un couple afghan, sont arrivés de Grèce à l’aéroport de Beauvais. Placés en zone d’attente, ils ont vécu un calvaire durant cinq jours avant d’être libérés au titre de l’asile. Dina, alors enceinte de cinq mois, souffrait de maux de ventre et de saignements abondants ; Ehsan, lui, avait une plaie au bras nécrosée et inquiétante, due à une blessure par balle. Seule une lotion vitaminée leur a été délivrée lors de leur bref passage à l’hôpital.

    Les conditions d’enfermement étaient également inhumaines : un espace extrêmement sale, des poubelles débordantes, une chaleur suffocante, l’impossibilité de se laver, pas d’accès à un espace extérieur et une nourriture en quantité et qualité insuffisantes.

    À leur arrivée, la police a refusé d’enregistrer leurs demandes d’asile, et tenté de les renvoyer à deux reprises vers la Grèce. Pendant quatre jours, le couple n’a reçu aucune explication sur ses droits, la PAF n’ayant pas fait appel à un interprète. Les agents ont refusé de leur remettre les documents administratifs relatifs au refus d’entrée et au maintien en zone d’attente.

    La procédure de demande d’asile à la frontière est un #filtre qui sert avant tout au contrôle des flux migratoires, au détriment de la protection des personnes. Elle ne tend pas à reconnaître le statut de réfugié, mais seulement à donner l’autorisation d’entrer sur le territoire français afin d’y déposer une demande d’asile. Cette première décision revient au ministère de l’Intérieur. Pour cela, le demandeur est entendu par l’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et des apatrides) qui examinera de façon superficielle le « caractère manifestement infondé » de sa demande [3].

    Lydia est nicaraguayenne. Elle a demandé l’asile à la frontière depuis la zone d’attente de Roissy. Sur la base d’un entretien de 25 minutes avec interprète, l’Ofpra et le ministère de l’Intérieur ont considéré que sa demande était manifestement infondée, décision confirmée par le tribunal administratif qui a rejeté son recours contre la décision ministérielle. Lydia a alors subi plusieurs tentatives d’embarquement. Après vingt jours d’enfermement, elle est placée en garde à vue pour avoir refusé d’embarquer, puis directement au Centre de rétention administrative (#CRA) sur la base d’une obligation de quitter le territoire français émise à l’issue de la garde à vue. L’Ofpra lui accordera finalement le statut de réfugiée depuis le CRA.

    La situation de Lydia n’est malheureusement pas isolée. Si certaines personnes finissent par être libérées de la zone d’attente, les autres sont majoritairement refoulées ou placées en garde à vue pour leur refus d’embarquer, ce qui constitue souvent le point d’entrée d’une spirale d’enfermements successifs. Les possibilités sont nombreuses : prison, local ou centre de rétention administrative. Si le juge prononce une interdiction du territoire français, la personne est placée en rétention juste après l’audience. Si, en plus, le juge condamne la personne (le refus d’embarquer est un délit passible de trois ans de prison ferme), elle sera placée en rétention à sa sortie de prison. La police tentera de nouveau de l’éloigner et si elle persiste à refuser d’embarquer, elle pourra une nouvelle fois être placée en garde à vue et condamnée.
    *

    Pour se protéger d’un prétendu « risque migratoire » ou d’un « afflux massif », l’enfermement est un instrument central et banalisé de gestion des populations migrantes en Europe et au-delà. Les logiques frontalières sont généralement les mêmes : rejet, #invisibilisation, opacité des pratiques, fichage, violations des droits fondamentaux. L’enfermement se double d’une dimension de « #tri à l’entrée », qui renverrait à l’idée de prévention associée à l’image de « criminels » placés derrière des barreaux. Cet enfermement crée surtout des traumatismes profonds.

    http://cqfd-journal.org/Decouvrir-la-France-derriere-des

    #zones_d'attente #refoulement #push-back #refoulements #refoulements #aéroport #enfermement #détention_administrative #rétention

    ping @karine4 @isskein

  • FIL À DÉROULER par Nelly Terrier : « Rapide analyse des chiffres du traitement judiciaire du mouvement des #GiletsJaunes de l’ #ActeI le 17 novembre 2018 à l’ #ActeXIII du 9 février, soit 13 semaines. »

    = ➕ de 4000 privations de liberté abusives ou arbitraires ❗
    https://twitter.com/NellyTerrier/status/1096438162828812293

    Vu les chiffres cumulés des #violencespolicieres & #violencesjudiciaires, la moindre des décences médiatique serait de ne pas titrer sur un « essoufflement » du mouvement (*) mais de reconnaître l’endurance de cette résistance.

    • 2. Mardi 12 février le Premier ministre Édouard Philippe, en réponse à la question d’un député, annonce que : -1796 personnes ont été condamnées en 13 semaines du mouvement des #GiletsJaunes -1422 autres personnes sont en attente de jugement
      3.Donc, 1796+1422= 3218 personnes, qui ont fait l’objet de #poursuites_judiciaires sur 13 semaines. Soit une moyenne de 247 personnes par semaine
      4.Jeudi 14 février, le ministre de l’intérieur Christophe Castaner annonce lors d’une cérémonie aux Invalides que depuis le 17 novembre début du mouvement des #GiletsJaunes -8400 personnes ont été interpellées, parmi elles : -7500 ont été placées en garde à vue.
      5.Donc 3218 personnes poursuivies (selon le Premier ministre) parmi 8400 personnes interpellées (selon le ministre de l’Intérieur) donne en treize semaines de mouvement des #GiletsJaunes : -5182 personnes interpellées sans poursuites, et parmi elles -4282 gardés à vue
      6. Ce qui fait une moyenne de 398 personnes interpellées chaque semaine sans poursuites, dont 329 ont été placées en garde à vue.

      #justice #garde_à_vue #statistiques #chiffres #interpellations #condamnations #privation_de_liberté

  • CNPT | Les centres fédéraux sont “conformes”, mais…
    https://asile.ch/2019/01/12/cnpt-les-centres-federaux-sont-conformes-mais

    Dans son communiqué publié le 11 janvier 2019 sur ses visites effectuées en 2017 et 2018 dans les centres fédéraux pour requérants d’asile, la Commission nationale de prévention de la torture (CNPT) estime que si ceux-ci sont “en général” conformes aux droits humains, un certain nombres d’atteintes liées à la privation de liberté et à […]

  • L’Allemagne prévoit d’envoyer les demandeurs d’asile dans des #centres_fermés

    En Allemagne, les demandeurs d’asile vont être envoyés dans des centres jusqu’à ce que l’administration statue sur leur demande. Cette mesure vise à rendre le processus de demande d’asile plus efficace, les détracteurs craignent au contraire que les personnes vulnérables et traumatisées ne soient exposées à un danger accru.

    http://www.infomigrants.net/fr/post/8301/l-allemagne-prevoit-d-envoyer-les-demandeurs-d-asile-dans-des-centres-
    #réfugiés #asile #migrations #liberté_de_mouvement #efficacité #privation_de_liberté
    cc @isskein

  • Atlas de l’esclavage rural au Brésil | Braises
    http://braises.hypotheses.org/206

    Pas récent récent mais intéressant

    La persistance de cas d’esclavage rural au Brésil, en plein XXIe siècle, met en lumière la contradiction profonde entre le niveau de développement atteint par le pays dans de nombreux domaines la persistances d’archaïsmes inacceptables. L’Atlas do trabalho escravo réalisé pour l’OIT et publié sur le site des Amigos da Terra Amazônia (référence en bibliographie ci-dessous) examine les formes contemporaines de l’esclavage dans certaines régions rurales du Brésil, où les travailleurs exécutent des tâches pénibles dans des conditions inhumaines, sans recevoir un paiement approprié pour leur travail et surtout sans pouvoir le quitter librement : c’est la privation de liberté qui constitue l’esclavage, il est condamné par la loi brésilienne et c’est sur cette base légale que l’OIT fonde son action et a pu financer la recherche dont est né l’atlas.

    Géographies du travail esclave au Brésil
    http://journals.openedition.org/cybergeo/23818

    #Hervé_Théry #Brésil #esclavage_moderne #cartographie

  • « Voyage au centre des zones d’attente » - Rapport d’observations dans les zones d’attente et rapport d’activité et financier 2015

    Le nouveau rapport de l’Anafé « Voyage au centre des #zones_d’attente » dresse cette fois encore un état des lieux du quotidien dans les zones d’attente et dénonce le traitement des migrants et les violations des droits aux #frontières. Violations qui loin d’être des « incidents », sont un phénomène chronique et structurel, lié à la #privation_de_liberté elle-même.

    http://www.anafe.org/spip.php?article363
    #aéroports #ports #rapport #asile #migrations #réfugiés #France
    cc @reka

  • Dans les coulisses de Roissy : l’enfermement des étrangers en aérogare
    https://blogs.mediapart.fr/fini-de-rire/blog/020316/dans-les-coulisses-de-roissy-lenfermement-des-etrangers-en-aerogare
    La banalisation de l’enfermement des étrangers est un marqueur fort de la politique sécuritaire à l’égard des étrangers. Aux frontières extérieures du pays, les zones d’attente sont des lieux privatifs de liberté peu connus et le théâtre d’abus récurrents et de violations des droits fondamentaux des personnes qui y sont maintenues.