• Ventimiglia: migranti in ostaggio tra confini militarizzati e nuovi cpr

    La Francia si blinda e Ventimiglia rischia di essere al centro di un nuovo scontro europeo sulla gestione dei flussi migratori.

    Sono ormai giorni che, in nome dell’ “emergenza migranti”, le autorità francesi mantengono un massiccio dispiegamento di mezzi antiterrorismo in frontiera, effettuando controlli sempre più stringenti anche in val Roya, nelle zone collinari a cavallo tra Italia e Francia, sulle principali linee ferroviarie e sui sentieri che connettono i due Paesi a sud-est.

    Una situazione sempre più complessa e gravosa per le persone migranti che cercano di lasciare l’Italia e, al momento, bloccate nella cittadina ligure.
    La partita europea sulla gestione dei flussi migratori continua a esser giocata sulla loro pelle e, in questo quadro, difficile prevedere le conseguenze dirette e indiretta della recente bocciatura dei respingimenti eseguiti dalla Francia sulle frontiere interne da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

    A complicare il quadro, l’inizio dei lavori per la realizzazione di un Centro di Identificazione per Migranti sul versante francese della frontiera di #Ponte_San_Ludovico e l’annuncio del Ministro Pientedosi circa la possibile realizzazione, proprio a Ventimiglia, di uno dei nuovi Centri di Permanenza per il Rimpatrio previsti dal #Decreto_Legge_Sud.

    https://www.osservatoriorepressione.info/processano-riace-vogliono-carceri-innocenti

    Interview audio avec Gregorio de #Progetto_20k:
    https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/09/Gregorio-progetto-20k-xxmiglia.mp3


    #CPR #détention_administrative #Centro_di_permanenza_per_rimpatri #centre_d'identification #migrations #asile #réfugiés #frontières #Alpes_Maritimes #Alpes

    voir aussi ce fil de discussion sur la militarisation de la frontière italo-française à #Vintimille (automne 2023):
    https://seenthis.net/messages/1018121

    • Je poste ici des citations tirées de ce texte d’un texte de Fulvio Vassallo Paleologo, en mettant en avant les parties consacrées à la construction de nouveaux centres d’identification (et détention/rétention) dans les zones de frontière prévus dans les nouveaux décrets italiens :

      Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

      Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR (https://www.openpolis.it/aumentano-i-fondi-per-la-detenzione-dei-migranti) e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera (https://pagellapolitica.it/articoli/meloni-errori-centri-rimpatri-blocco-navale), meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “#Decreto_Cutro”: https://www.a-dif.org/2023/05/06/il-decreto-cutro-in-gazzetta-ufficiale-con-la-firma-del-viminale) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

      (...)

      Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa (https://www.laverita.info/valenti-sbarchi-governo-2663754145.html), al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg) che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana (https://altreconomia.it/ors-ekene-engel-badia-grande-le-regine-dellaffare-milionario-dei-cpr). Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

      I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi (https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_settembre_20/nuovi-cpr-dalla-valle-d-aosta-alla-calabria-dove-saranno-e-chi-dovra-a) che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

      La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre (https://www.regione.sicilia.it/istituzioni/servizi-informativi/decreti-e-direttive/ampliamento-hotspot-pozzallo-l-attivazione-centro-incremento-accogli), per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

      (...)

      L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera (https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-procedure-accelerate-lo-svilimento-del-diritto-di-asilo_), soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
      In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

      https://seenthis.net/messages/1018938

      #décret_Cutro #decreto_Sud #rétention #détention_administrative #Italie #France #frontières #pays_d'origine_sure #pays_sûrs #frontière_sud-alpine #procédure_accélérée #procédures_accélérées #tri #catégorisation

    • Le nuove procedure accelerate : lo svilimento del diritto di asilo

      –-> un texte juridique qui date du 3 novembre 2019, mais qui explique différents éléments des procédures à la frontière

      Numerose sono le deroghe alle procedure ordinarie, sia amministrative sia giurisdizionali, applicabili alle domande di protezione internazionale nelle articolate ipotesi introdotte dal dl 113/2018. L’analisi delle nuove disposizioni rivela profili di incompatibilità sia con la cd. direttiva procedure sia con il diritto di asilo costituzionale

      Premessa

      Il dl 113/18 (cd. Decreto Salvini 1, convertito in l. 132/18) ha profondamente inciso nella configurazione del diritto di asilo in Italia, anche tramite la riforma delle procedure accelerate.

      L’istituto è poco conosciuto e la riforma del dl113/18 su questo aspetto decisamente sottovalutata dagli analisti. Eppure, si tratta di un complesso di norme congegnate in modo tale da svuotare di significato il diritto di asilo, mantenendone l’impalcatura ma di fatto rendendo estremamente difficile il suo reale esercizio.

      Il dl113/18 in gran parte utilizza i margini lasciati aperti dal legislatore europeo con la direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE)[1], e in parte va oltre, introducendo norme in contrasto con il diritto europeo la cui legittimità dovrà essere valutata in un prossimo futuro dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte costituzionale[2]. Al contempo, per cogliere il significato pratico di questa parte di riforma, è necessario considerare anche la modifica di alcuni altri istituti, quale la detenzione a fini identificativi, anch’essa introdotta dal dl113/18 e la nuova configurazione della domanda reiterata.

      Secondo la direttiva procedure[3] e la normativa italiana, essere sottoposti ad una procedura accelerata significa subire una contrazione significativa del proprio diritto di difesa, e non solo. Come è noto, in caso di diniego a seguito di una procedura accelerata, il termine per l’impugnazione è (quasi sempre) dimezzato e il ricorso perde il suo effetto sospensivo automatico (in differente misura, come si dirà in seguito). Ma non basta. In caso di procedure accelerate, l’esame della domanda di asilo viene svolto in tempi molto rapidi (di norma sette o quattordici giorni prorogabili alle condizioni di cui all’art. 28-bis comma 3 del d.lgs. 25/2008) e in molte circostanze ciò accade al momento dell’arrivo in Italia, ossia nei luoghi di frontiera e in condizioni di trattenimento. Il richiedente asilo, in questa fase, si trova presumibilmente in una situazione di isolamento sociale, non avendo contatti con le organizzazioni e con gli operatori che svolgono attività di informazione e preparazione all’intervista presso la Commissione territoriale. Eccezion fatta per la possibile presenza in zona di frontiera dell’Unhcr, che su incarico del Ministero dell’Interno fornisce informative generali al momento dell’arrivo, che in nessun modo possono considerarsi realmente propedeutiche alla preparazione del richiedente asilo all’intervista in Commissione. Si tratta di una evoluzione del c.d. approccio hotspot, indebitamente introdotto di fatto e non di diritto dal Ministero dell’interno nell’autunno del 2015 su insistenza della Commissione UE, che ne richiese a gran voce il suo utilizzo con l’agenda UE sulle migrazioni del maggio 2015[4]. L’approccio hotspot viene introdotto come una tecnica di fatto per distinguere i richiedenti asilo dai c.d. presunti migranti economici, mantenendo una postazione di garanzia generale affidata alle Nazioni Unite e ad alcune Ong, su incarico e finanziamento ministeriale, che potessero formalmente garantire il diritto ad essere informati, alle forze di polizia di i cittadini stranieri, immediatamente dopo lo sbarco, quali richiedenti asilo o come migranti economici irregolari e sottoponibili a un respingimento differito o ad una espulsione[5]. Il dl113/18 completa il quadro. Introduce per la prima volta le procedure di frontiera, la nozione di paesi di origine sicuri e il trattenimento a fini identificativi in frontiera, amplia le ipotesi di manifesta infondatezza e riporta il tutto nell’ambito delle procedure accelerate.

      1. Il trattenimento a scopo identificativo del richiedente asilo

      In tale direzione, l’art.3 del dl 113/18 anzitutto introduce, per la prima volta in Italia, la figura del trattenimento a scopo identificativo del richiedente asilo (art. 6 comma 3-bis, d.lgs. 142/15), che potrà essere trattenuto in una struttura di cui all’art. 10 ter d.lgs 286/98 (i c.d. hotspot e la prima accoglienza, ossia i cd. hub) fino a 30 giorni e successivamente fino a 180 gg in un Cpr, ogniqualvolta si renda necessario verificarne o determinarne l’identità o la cittadinanza: dicitura pericolosamente ampia che di fatto potrebbe investire la totalità dei nuovi arrivi in Italia[6]. Il richiedente asilo, quindi, al suo arrivo in Italia può essere trattenuto in una struttura di frontiera o di primissima accoglienza per un tempo sufficiente per essere sentito dalla Commissione territoriale e per ricevere la notifica dell’eventuale diniego. Potrà in seguito essere poi trattenuto in un Cpr per un lasso di tempo di altri 5 mesi, che saranno di norma sufficienti ad arrivare ad un diniego con procedura accelerata con eventuale rigetto della richiesta di sospensiva contenuta nel ricorso. Il richiedente quindi resterebbe in una condizione di grande isolamento, dovrebbe preparare la Commissione in tempi strettissimi e senza un reale sostegno. Inoltre, lo stesso richiedente asilo si troverebbe a disposizione delle Forze di polizia in caso di diniego e per un eventuale rimpatrio forzato.

      In ogni caso, il dl113/18 chiarisce che tutti i richiedenti asilo trattenuti anche solo a fini identificativi saranno sottoposti a procedura accelerata (ai sensi dell’art. 28-bis comma 1 che richiama l’art. 28 comma 1 lett. c) e dunque saranno sentiti dalla Commissione entro 7 giorni dall’invio degli atti da parte della Questura (che provvede “immediatamente” dopo la domanda di asilo). I richiedenti asilo trattenuti riceveranno la risposta nei successivi due giorni e in caso di diniego avranno il diritto di restare in Italia per la presentazione del ricorso (entro 15 giorni) e – in caso di richiesta di sospensiva – fino a quando il Tribunale non avrà respinto tale richiesta (in via definitiva, ossia dopo le eventuali repliche del difensore ai sensi dell’art. 35-bis comma 4 d.lgs. 25/08). La decisione del giudice viene adottata inaudita altera parte, sulla base delle motivazioni trasfuse nel ricorso dal difensore, che ha avuto solo 15 giorni per apprestare la difesa con il suo assistito trattenuto (in un c.d. hotspot o in un Cpr) sin dal suo arrivo in Italia, con presumibile carenza di strumenti comunicativi e limitata cognizione degli elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale in Italia.

      Il trattenimento a scopo identificativo appare in chiaro contrasto con gli artt. 13 e 3 della Costituzione italiana, che delineano una disciplina rigorosa della privazione della libertà solo come extrema ratio e in condizioni di parità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani. Tuttavia, la Consulta non ha ancora avuto modo di valutarne la legittimità, in quanto, non essendo ancora mai stati adottati decreti di trattenimento a fini identificativi, la questione di legittimità costituzionale non è stata sollevata. Tuttavia, stante le denunce pubbliche e i ricorsi alla Corte EDU[7], appare molto probabile che il Ministero degli Interni stia ancora ricorrendo al trattenimento di fatto sine titulo dei cittadini stranieri appena giunti in Italia, secondo l’ormai noto schema dell’approccio hotspot: la persona straniera viene trattenuta senza alcun provvedimento nell’hotspot per il tempo necessario a sottoporlo al c.d. foglio notizie e al foto-segnalamento. Con il foglio notizie, come ormai di dominio pubblico[8], il cittadino straniero viene guidato ad autodefinirsi o come richiedente o come migrante economico irregolare e in quest’ultimo caso sottoposto a respingimento differito previo eventuale trattenimento in Cpr.

      2. Le procedure di frontiera

      L’art. 9 del dl 113/18 introduce, anche in questo caso per la prima volta in Italia, la procedura di frontiera, aggiungendo due nuovi commi all’art. 28-bis del d.lgs 25/2008, la norma che si occupa delle procedure accelerate. Più esattamente, il comma 1-ter, secondo cui la procedura accelerata – già vista per i casi di domanda di asilo presentata da richiedenti asilo trattenuti – si applica anche al richiedente che “presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (…) dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (…)” e “nei casi di cui all’art. 28, comma 1, lettera c-ter” (ossia nei casi di cittadino proveniente da paese di origine sicuro) . In tali casi la procedura, “può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”. Mentre, il comma 1-quater specifica che “(…) le zone di frontiera o di transito sono individuate con decreto del Ministro dell’interno. Con il medesimo decreto possono essere istituite fino a cinque ulteriori sezioni delle Commissioni territoriali (…) per l’esame delle domande di cui al medesimo comma 1-ter.”. Quindi, ai sensi della nuova norma, chi presenta la domanda in frontiera o nelle zone di transito viene sottoposto a procedura accelerata (7 gg + 2 gg) ogni qualvolta sia stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera oppure provenga da uno Stato dichiarato dall’Italia come paese di origine sicuro (come meglio si dirà nel prosieguo). In entrambi i casi, si tratta di una domanda presentata in frontiera o zone di transito.

      Il ricorso avverso il rigetto della Commissione anche in questo caso non ha effetto sospensivo automatico (art. 35-bis comma 3 lett. d), e può essere presentato entro 30 giorni (e non 15) dalla relativa notifica, stante la nuova formulazione dell’art. 35-bis comma 2.

      Diviene, anzitutto, fondamentale interpretare correttamente la nozione di elusione delle frontiere. Se la si intende come violazione delle norme di ingresso, la quasi totalità dei richiedenti asilo rientrerà nel suo ambito (essendo per lo più privi di passaporto o di visto di ingresso)[9] . Viceversa, si ritiene che debba interpretarsi secondo l’accezione principale del verbo eludere, ossia “Sfuggire, evitare con astuzia o destrezza”[10], limitando quindi l’applicazione della legge ai soli casi in cui il richiedente non si presenti spontaneamente ai controlli di frontiera (o perfino richiedendo il soccorso) ma venga bloccato quando è in atto un tentativo strutturato di superarli furtivamente.

      In secondo luogo, appare decisiva una corretta delimitazione della nozione di frontiera e zona di transito, per evitare una applicazione indebita della nuova forma di procedura accelerata. Per frontiera deve intendersi necessariamente il luogo di prossimità fisica con il confine territoriale con un territorio non europeo. Tipicamente Lampedusa, ma anche altre parti del sud Italia in caso di sbarco diretto dal mare al porto interessato (meno di frequente, ma sono registrati molti casi in Sicilia, Calabria, Puglia, etc.). Per zone di transito, anche più semplicemente, si devono intendere gli aeroporti e i porti internazionali, dove per convenzione esistono dei passaggi dal vettore aereo o marino al territorio italiano che rappresentano di fatto una frontiera virtuale, perché immettono la persona proveniente da paese extra Schengen in territorio italiano. Non possono essere considerate frontiere o zone di transito i confini con i paesi europei e tanto meno i luoghi non immediatamente prossimi, dove le persone soccorse o bloccate vengono condotte per ragioni logistiche. Dovrà, quindi, in gran parte ritenersi illegittimo il decreto ministeriale[11] emanato nelle scorse settimane ai sensi dell’art. 28-bis comma 1-quater che individua le zone di frontiera in numerose città del centro sud che non sono affatto interessate da arrivi diretti (se non eventualmente negli aeroporti) da zone extra Schengen, ma al contrario sono sedi di accoglienze o Cpr in cui vengono condotti i richiedenti asilo giunti in frontiere molto distanti[12]. Il decreto, a titolo esemplificativo, individua come zona di frontiera la città di Messina, che di certo non è interessata da arrivi diretti di cittadini non comunitari, ma al contrario è la sede di un cd. hotspot dove vengono condotti i cittadini stranieri giunti a Lampedusa[13]. L’intenzione del legislatore europeo di intendere in senso proprio le zone di frontiera come quelle che fisicamente confinano con una zona extra Schengen si evince tra l’altro dall’art. 43, par. 3, direttiva 2013/32 UE (Procedure di frontiera) che recita significativamente “Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito”. Il legislatore UE considera, pertanto, eccezionale l’ipotesi di utilizzo, ai fini delle procedure di frontiera, di un luogo diverso da quello dell’arrivo; anche in questo caso (eccezionale afflusso) prevede, comunque, che si tratti di un luogo collocato nelle immediate vicinanze, cosa che non può dirsi, a scopo esemplificativo, per il cd. hotspot di Messina rispetto alle persone che sbarcano a Lampedusa.

      La procedura di frontiera, dunque, consiste in una procedura accelerata che viene applicata da Commissioni ad hoc in zona di frontiera a chi vi è giunto direttamente da un paese extra Schengen con l’intenzione di sottrarsi dolosamente ai controlli di frontiera[14] (o proviene da un paese di origine sicuro). Questa appare l’interpretazione più consona dei commi 1-ter e 1-quater introdotti dal dl 113/2019, che tuttavia anche in questa lettura appaiono contrari alla direttiva 2013/32/UE. Quest’ultima, infatti, nel combinato disposto degli artt. 43 e 31, par. 8, delineano un sistema di procedure accelerate e procedure di frontiera con l’indicazione di una serie di ipotesi tassative non suscettibili di ampliamenti[15]. Il legislatore europeo è ben consapevole che tali procedure contraggono in modo radicale i diritti dei richiedenti asilo e ne evidenza in modo chiaro il carattere eccezionale, non derogabile. Viceversa, il legislatore italiano con il dl 113/18 sancisce che le procedure di frontiera siano applicate ai richiedenti fermati in frontiera che eludono o cercano di eludere i valichi, ossia in un caso non incluso nella lista tassativa delle ipotesi di procedure accelerate e di frontiera di cui all’art. 31, par. 8, direttiva 2013/32/UE. Sarà dunque possibile disapplicare la norma nazionale posto che quest’ultima disposizione della direttiva procedure è suscettibile di produrre effetti diretti. A tal fine è possibile, sebbene non sia necessario, sollevare una questione pregiudiziale all’interno di un procedimento art. 35-bis d.lgs 25/08 e attendere una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia.

      3. I Paesi di origine sicuri

      Un’altra novità del dl 113/2018 (introdotta in sede di conversione), con enormi potenzialità, è rappresentata dall’art. 7-bis (trasfuso nell’art. 2-bis al d.lgs 25/08) che introduce per la prima volta il concetto di Paesi di origine sicuri.

      Il 4 ottobre 2019 il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Giustizia hanno presentato in conferenza stampa il decreto contenente una lista di 13 paesi di origine sicuri.

      Attraverso l’introduzione dell’art. 2-bis al decreto 25/2008 (cd. Decreto procedure), la norma ha previsto infatti la possibilità per il Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’interno, di adottare con decreto interministeriale un elenco di paesi di origine sicuri in base ai criteri stabiliti nei commi successivi del medesimo articolo.

      L’introduzione di tale concetto ha potenzialità rivoluzionarie dell’attuale sistema di tutela, comportando un estremo svilimento dell’asilo che passa attraverso lo slittamento della protezione da un piano individuale a un piano collettivo e attuando, attraverso la previsione – come si vedrà, piuttosto confusa – di una procedura estremamente restrittiva delle garanzie del richiedente protezione, uno svuotamento di fatto della possibilità di accedere alla protezione.

      Per quanto riguarda criteri e modalità di valutazione, si prevede (art. 2-bis cc. 2, 3 e 4) che uno stato possa essere considerato paese di origine sicuro ove sia possibile dimostrare, in via generale e costante, che, sulla base del suo ordinamento, dell’applicazione della legge in un sistema democratico e della situazione politica generale, non sussistano atti di persecuzione, tortura, trattamenti inumani o degradanti, una situazione di violenza indiscriminata. Per effettuare tale valutazione si tiene conto della misura in cui è offerta protezione contro persecuzioni e maltrattamenti mediante le disposizioni legislative e la loro applicazione, il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nei principali strumenti internazionali di tutela dei diritti umani, il rispetto del principio di non-refoulement, e un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni. Gli strumenti di cui si dota l’esecutivo per la valutazione di tali criteri sono le informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, da Easo, Unhcr, Consiglio di Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

      Il decreto recentemente presentato dai Ministri, tuttavia, si limita a riportare una lista di 13 paesi considerati sicuri, attraverso un riferimento a fonti (non pubbliche) del Ministero degli affari esteri e della Commissione nazionale utilizzate per l’individuazione di tali Stati. Alcuna informazione è contenuta nel Decreto relativamente ai criteri sopra elencati. Non viene inoltre utilizzata la possibilità, contenuta all’art. 2-bis, di escludere determinate parti del territorio o determinate categorie di persone dalla valutazione di sicurezza complessiva che viene fatta del paese.

      Gli stati contenuti in tale lista sono: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.

      È utile rilevare che, trattandosi di una lista determinata da un atto amministrativo (ossia il decreto interministeriale), questa avrà un valore non vincolante per il giudice che in sede di valutazione del ricorso potrà disapplicare il decreto .

      Il paese di origine si considera sicuro per il richiedente che non abbia “invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova” (art. 2-bis). Questa previsione comporta una radicale modifica nel regime probatorio: la sicurezza del paese di origine per il richiedente asilo si presume, e questi è tenuto a invocare i motivi che rendono il paese insicuro per lui, o, secondo quanto stabilito all’articolo 9 c. 2-bis, addirittura, a dimostrare la sussistenza di tali motivi.

      Ciò che qui interessa sono però le conseguenze connesse alla provenienza di un richiedente asilo da un Paese di origine dichiarato sicuro dal sopracitato decreto interministeriale. Il nuovo articolo 28 d.lgs 25/08 lo inserisce fra le ipotesi di esame prioritario (con scarse conseguenze pratiche), ma soprattutto il nuovo art 28-ter, comma 1 lett. b), lo inserisce nell’elenco delle ipotesi in cui la domanda di asilo può essere considerata manifestamente infondata (concetto su cui si tornerà nel prosieguo). A sua volta, l’art. 28-bis d.lgs 25/08 lo annovera tra le ipotesi di procedura accelerata. Più esattamente, il comma 1-bis stabilisce che, in questi casi (richiedente proveniente da Paese di origine sicuro), “la questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni”. Dal tenore letterale, sembrerebbe affermarsi che in queste ipotesi la Commissione operi una valutazione sulla base di quanto dichiarato dal richiedente nella domanda di asilo (modello C3) senza procedere all’audizione.

      Tuttavia, questa interpretazione sarebbe da considerarsi illegittima per chiara contrarietà (tra l’altro) alla direttiva 2013/32/UE, che tassativamente consente di adottare una decisione senza un esame completo della domanda nei soli casi di inammissibilità di cui all’art 33 par. 2, che a sua volta annovera tra le possibilità tassative quella del richiedente proveniente da Paese terzo sicuro di cui all’art. 38, concetto del tutto differente da quello del Paese di origine sicuro di cui agli artt. 36 e 37. Il Paese terzo sicuro è, infatti, una nozione giuridica relativa ai paesi di transito del richiedente asilo e prodromica a un giudizio di ammissibilità che non è stato recepito nel nostro ordinamento. Il concetto di Paese di origine sicuro è, invece, attinente al paese di provenienza del richiedente ed è disciplinato dalla direttiva ai fini di una procedura accelerata, con ordinaria audizione del richiedente.

      Si tratta probabilmente di un errore grossolano del legislatore del dl 113/18, salvo si voglia attribuire un significato compatibile con il diritto UE: quello per cui il nuovo art. 28-bis, comma 1-bis sopra citato, attribuisce alla Commissione – all’interno della procedura accelerata – un termine di 5 giorni invece che di 2 giorni (come al comma 1 sempre dell’art. 28-bis) per adottare la decisione dopo aver effettuato l’audizione del richiedente, che andrebbe convocato presumibilmente nel termine di 7 giorni dalla trasmissione degli atti da parte della questura (come per le ipotesi già analizzata di cui al primo comma dell’art. 28-bis). In definitiva, la specifica procedura accelerata prevista dal comma 1-bis dell’art. 28-bis del dl 25/08 (come modificato dal dl 113/08) o è da considerarsi radicalmente illegittima per contrarietà alla direttiva procedure oppure deve interpretarsi nel senso di prevedere un termine di 7 giorni per la convocazione del richiedente asilo con una nazionalità tra quelle inserite nella lista dei Paesi di origine sicuri e un termine di 5 giorni (invece che 2) per la adozione della decisone da parte della Commissione.

      Inoltre, in caso di diniego della domanda presentata da richiedente che proviene da un Paese di origine sicuro, il termine per la proposizione del ricorso sarà di 15 giorni solo nella ipotesi in cui la domanda di protezione venga dichiarata manifestamente infondata ai sensi dell’art. 28-ter d.lgs 25/08 (che come si dirà più avanti prevede numerose ipotesi, tra cui anche quella del richiedente proveniente da Paese di origine sicuro). Questo poiché l’art. 35-bis, comma 2, nel dimezzare i termini ordinari, non richiama l’art. 28-bis comma 1-bis (quello specifico sui Paesi di origine sicuri) ma il comma 2, che disciplina le ipotesi in cui la Commissione può emanare un diniego con espressa dicitura di manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter (combinato disposto con l’art. 32 comma 1 lett. b-bis), che tra le ipotesi prevede anche il caso di richiedente proveniente da Paese di origine sicuro (ma si tratta evidentemente di una possibilità e non di un automatismo, in quanto anche in questi la domanda potrebbe considerarsi infondata ma non anche manifestamente infondata)[16].

      In termini identici deve risolversi il dubbio interpretativo relativo all’efficacia sospensiva. L’art. 35-bis, comma 3, stabilisce che non è riconosciuta un’efficacia automaticamente sospensiva nei casi espressamente richiamati, tra cui non annovera direttamente quello del Paese di origine sicuro di cui all’art. 28-bis comma 1-bis. Tuttavia, tra le ipotesi contemplate si rinviene quella del diniego per manifesta infondatezza ai sensi del combinato disposto dell’art. 32, comma 1 lett b-bis), e dell’art. 28-ter. Come per il dimezzamento dei termini, dunque, il ricorso avverso il rigetto di una domanda di asilo presentata da un richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non avrà effetto automaticamente sospensivo nella misura in cui il provvedimento della Commissione espressamente rigetti la domanda per manifesta infondatezza.

      Per i casi di diniego di richiedenti provenienti da paesi di origine sicuri, inoltre, il legislatore del dl 113/18 ha contratto ulteriormente il diritto di difesa, stabilendo che il normale obbligo motivazionale in fatto e in diritto previsto in caso di diniego da parte della Commissione Territoriale, sia sostituito da una motivazione che dà “atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso”. Sembrerebbe, quindi, vincolare o quanto meno consentire alla Commissione di rigettare una domanda di asilo con una stereotipata motivazione, priva degli ordinari elementi valutativi e giustificativi. Così intesa, appare evidente la contrarietà della norma agli ordinari parametri costituzionali in tema di motivazione e razionalità degli atti della pubblica amministrazione e agli obblighi motivazionali in fatto e in diritto a cui sono tenuti gli Stati membri in caso di rigetto della domanda di asilo ai sensi dell’art. 11, par. 2, della direttiva 2013/32/UE. D’altro canto, difficilmente della è immaginabile una lettura costituzionalmente orientata che modifichi l’obbligo motivazionale della Commissione in modo compatibile con la Costituzione e con la Direttiva procedure.

      Infine, come accennato nel precedente paragrafo, la provenienza da un paese di origine sicuro è rilevante anche in un’altra ipotesi, ossia quando il richiedente presenta la domanda di asilo in frontiera o in una zona di transito. Se la domanda di asilo è presentata in uno di questi due luoghi, da un richiedente che provenga da un paese di origine dichiarato sicuro, la Commissione territoriale potrà applicare una procedura accelerata e potrà (inoltre ma non necessariamente) svolgerla in frontiera. Si tratta del già esaminato comma 1 ter dell’art. 28-bis (procedure accelerate), che recita. “La procedura di cui al comma 1 [7 gg + 2 gg] si applica anche nel caso in cui il richiedente presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 1-quater (…) nei casi di cui all’articolo 28, comma 1, lettera c-ter). In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”. In queste ipotesi, il ricorso avverso l’eventuale diniego non avrà effetti sospensivi automatici (art. 35-bis comma 3 lett. d “La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto: …avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 28-bis, commi 1-ter …)”[17]. Il termine per l’impugnazione rimarrebbe quello ordinario di 30 giorni. Appare evidente come l’applicazione congiunta delle nuove norme relative alle procedure in frontiera e ai paesi di origine sicuri (tanto più se lasciata a una interpretazione estensiva, come sembra implicare il decreto sulle zone di frontiera o di transito) può condurre a una procedura accelerata svolta in zona di frontiera (in gran fretta e in condizioni di semi-isolamento) di tutti i cittadini che provengono da uno dei paesi dichiarati sicuri (si pensi a tutti i cittadini tunisini che approdano nelle acque siciliane). Con la conseguente massiccia e sistematica contrazione dei diritti di difesa.

      4. La manifesta infondatezza

      Un’altra norma introdotta dal dl 113/18 (art. 7-bis, comma 1 lett. f), in sede di conversione) che potrebbe avere nella pratica un effetto vastissimo è l’art. 28-ter D.lgs 25/08, che prevede una complessa serie di casi di manifesta infondatezza. Precedentemente l’unica ipotesi di manifesta infondatezza era prevista dall’art. 28-bis, tra le ipotesi in cui si poteva applicare una procedura accelerata e di conseguenza giungere ad un eventuale rigetto per manifesta infondatezza. Si trattava dell’ipotesi in cui il richiedente aveva sollevato “esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale”. Era già avvertita come norma insidiosa, tanto è vero che la Commissione Nazionale nella circolare del 30.07.2015[18] aveva precisato come, per giungere a un rigetto per manifesta infondatezza, fosse necessario che la decisione collegiale della Commissione territoriale fosse stata adottata all’unanimità, che non riguardasse categorie vulnerabili (di cui all’art. 17 d.lgs 142/15) e che non fosse stata espletata una valutazione sull’attendibilità del richiedente, in quanto relativa a questioni non attinenti alla protezione internazionale dove non si pone neppure un problema di credibilità.

      Inoltre, la Corte di appello di Napoli,[19] nel sistema previgente la riforma 2018, aveva precisato che poteva giungersi a una decisione di manifesta infondatezza solo nella misura in cui fosse stata espletata (con il rispetto dei termini e delle garanzie) una procedura accelerata, mentre non era possibile nel caso di una decisone adottata a seguito di una procedura ordinaria. Ciò in ragione del fatto che l’art. 32 d.lgs 25/08, comma 1 lett.b-bis), nel disciplinare il caso in cui la Commissione poteva adottare una decisione per manifesta infondatezza, faceva espresso richiamo all’art. 28-bis, comma 2, ossia alla procedura accelerata in caso di possibile manifesta infondatezza. La sentenza della Corte di Appello di Napoli aveva posto fine a un dibattito complesso che aveva coinvolto molti attori. Tuttavia, la l. 132/2018, in sede di conversione, a fronte di un confronto serrato tra istituzioni e società civile, è intervenuta con l’art. 7, comma 1 lett. g), che modifica puntualmente il richiamo effettuato dal sopra menzionato art. 32 d.lgs 25/08. Infatti, quest’ultimo, nel prescrivere che il rigetto della Commissione territoriale può avere come contenuto anche una dichiarazione di manifesta infondatezza, non richiama più l’art. 28-bis, che disciplina le ipotesi di procedura accelerata, ma richiama il nuovo art. 28-ter, che introduce una gamma molto più articolata di ipotesi di manifesta infondatezza. Potrebbe dunque sostenersi che, a seguito della l. 132/2018, la Commissione territoriale possa adottare una decisione di manifesta infondatezza anche nel caso in cui abbia espletato una procedura ordinaria e non solo una procedura accelerata.

      Il nuovo art. 28-ter d.lgs 25/08 introduce, come accennato, nuove e rilevanti ipotesi di manifesta infondatezza che si aggiungono a quella appena sopra illustrata che viene confermata.

      La prima nuova ipotesi è quella del comma 1 lett. b), del richiedente che “(…) proviene da un Paese designato di origine sicuro”. Ipotesi già illustrata.

      Al comma 1 lett. c), viceversa si introduce il caso del richiedente che ha “(…) rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false, che contraddicono informazioni verificate sul Paese di origine”. In questa ipotesi, sarà possibile da parte della Commissione effettuare una valutazione di credibilità, ma il giudizio sarà operato sulla base della evidenza, in quanto si richiede che l’incoerenza e la contraddittorietà del richiedente siano palesi.

      Alla lettera d), la manifesta infondatezza viene sancita per il caso del richiedente che “(…) ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi o omettendo informazioni o documenti riguardanti la sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente, ovvero ha dolosamente distrutto o fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza”. Evidentemente, deve trattarsi di comportamenti posti in essere dal richiedente con la specifica intenzione di trarre in inganno la Commissione: non dovranno rilevare, dunque, i comportamenti finalizzati ad entrare nel territorio italiano (come tipicamente la distruzione del passaporto in zona di transito) o dichiarazioni non veritiere rese al momento della compilazione della domanda di asilo e determinati da mancanza di informazioni, possibili fraintendimenti linguistici o iniziali timori del richiedente appena giunto sul territorio.

      La successiva lett. e) introduce l’ipotesi potenzialmente più insidiosa, che potrebbe investire una gamma molto ampia di soggetti, prevedendo la manifesta infondatezza nel caso del richiedente che “(…) è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno, e senza giustificato motivo non ha presentato la domanda tempestivamente rispetto alle circostanze del suo ingresso”. Moltissimi cittadini stranieri vivono sul territorio italiano privi di un permesso di soggiorno e molto spesso non presentano tempestivamente la domanda di asilo per ragioni non sempre facilmente comprensibili: mancanza di informazioni, timori del tutto infondati, etc. Sarà dunque necessario interpretare la locuzione “senza giustificato motivo” in maniera da tener conto anche della complessità interculturale e della più generale diversità di approccio che possono determinare le scelte dei cittadini stranieri che presentano la domanda di asilo anche molto tempo dopo il loro arrivo in Italia. Ulteriore perplessità suscita l’utilizzo del termine tempestivamente il quale, non essendo riferito ad un arco temporale ben determinato, si presta a dar luogo a numerose e differenziate interpretazioni applicative.

      La lett. f) aggiunge alla lista delle ipotesi quella del richiedente che “(…) ha rifiutato di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013”. Infine, la lettera g) è relativa al richiedente “ (…) che si trova nelle condizioni di cui all’articolo 6, commi 2, lettere a), b) e c), e 3, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142”, ossia in condizioni di trattenimento, salvo che nel caso sia determinato dal mero rischio di fuga.

      Le nuove ipotesi di manifesta infondatezza che sono state introdotte con l’art. 28-ter trovano corrispondenza nella Direttiva procedure, che disciplina l’istituto nel combinato disposto dell’art. 32 e dell’art. 31, par. 8. Rimane la necessità di un’interpretazione rigorosa di alcuni requisiti, soprattutto relativi alla lett. e) per evitare un’applicazione distorta dell’istituto, che costituisce un’ipotesi derogatoria dell’ordinaria procedura e genera una contrazione importante dei diritti del richiedente asilo. Infatti, il richiedente che versa in una di queste condizioni potrà essere soggetto ad una procedura accelerata in forza del richiamo dell’art. 28-bis, comma 2 lett. a), d.lgs 25/08 (14 gg per la convocazione e 4 gg per la decisione) e qualora la Commissione confermi l’esistenza dei requisiti richiesti dalla norma sarà possibile un rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 32, comma 1 lett. b-bis). In tal caso, il ricorso avverso il diniego soggiace al termine per la sua proposizione di 15 giorni (ai sensi dell’art. 35-bis comma 2 d.lgs 25/08) e non avrà un effetto sospensivo automatico (ai sensi dell’art. 35-bis comma 3 lett. c d.lgs 25/08). La Direttiva procedure, tuttavia, stabilisce espressamente nell’art. 46, par. 6 lett. a) ultimo inciso, che non può escludersi l’effetto automaticamente sospensivo in caso di ricorso avverso un rigetto per manifesta infondatezza, qualora quest’ultima sia stata determinata dall’ingresso o dalla permanenza irregolare del richiedente sul territorio dello Stato membro avendo presentato la domanda di asilo in ritardo senza giustificato motivo[20].

      5. La domanda reiterata

      La riforma dell’istituto della domanda reiterata, operata dall’art. 9 del dl 113/18 che ha modificato gli artt. 7, 28, 29 e 29-bis del d.lgs 25/08, è probabilmente quella che assume un peso maggiore nell’effettivo esercizio del diritto di accedere alla procedura di asilo. Un intervento legislativo molto incisivo, strutturato e in gran parte contrario alla direttiva 2013/32/UE.

      In questa sede non sarà possibile una disamina completa, ma ci si limiterà a quei profili utili a completare il quadro dell’operazione portata a termine con la riforma delle procedure accelerate.

      L’art. 29, comma 1 lett. b), disciplina l’ipotesi preesistente di domanda reiterata, ossia quella del richiedente che, dopo aver ricevuto un rigetto definitivo della sua domanda di asilo, ha presentato una seconda domanda di asilo “identica” (…) , “senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”. Questa seconda domanda di asilo può essere (come già in precedenza previsto) sottoposta a un giudizio di ammissibilità da parte della Commissione. Ossia un giudizio condotto sulla base del modello C3 e degli altri eventuali documenti prodotti dal richiedente al momento della presentazione della domanda. L’individuazione dei casi da sottoporre al giudizio di ammissibilità è affidata al Presidente della Commissione territoriale (art. 28. comma 1-bis, d.lgs 25/08) mentre la sua valutazione è di competenza della Commissione territoriale in composizione collegiale (art. 29, comma 1, d.lgs 25/08). Il Presidente, dunque, procede a un “esame preliminare” (art. 29, comma 1-bis) senza alcuna audizione del richiedente e la Commissione adotta l’eventuale decisione di inammissibilità. Prima della riforma del dl 113/18, il Presidente aveva l’obbligo di avvisare (ai sensi dell’art. 29 comma 1-bis) il richiedente che si stava svolgendo un esame preliminare ad una dichiarazione di inammissibilità e quest’ultimo, entro 3 giorni, aveva il diritto di inviare una memoria per integrare o meglio illustrare i nuovi elementi posti alla base della sua seconda domanda di asilo. Questa garanzia del richiedente è stata abrogata, in linea con le facoltà concesse a ogni Stato membro dalla Direttiva 2013/32/UE all’art. 42 comma 2 lett. b). Ovviamente, se dall’esame preliminare e cartaceo della domanda di asilo dovesse risultare che “(…) sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale” il richiedente sarà convocato per una nuova e ordinaria audizione (art. 40, par. 3, direttiva 2013/32/UE). È evidente che ciò che giuridicamente rileva è l’esistenza nella nuova domanda di asilo (in pratica nel modello C3) che siano stati addotti nuovi elementi e non anche che questi appaiano già fondati ad una prima lettura. Al contempo, devono considerarsi nuovi anche gli elementi che precedentemente non erano stati addotti per una qualsiasi ragione[21] dal richiedente asilo. Infine, tali elementi possono essere relativi alla storia personale del richiedente (ed essere anche intesi come elementi probatori) o alla condizione socio-politico del suo paese di origine.

      La procedura prevista per la dichiarazione di inammissibilità è accelerata ai sensi dell’art. 28-bis, comma 1-bis, d.lgs 25/08, secondo cui in questi casi “(…) la questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni”.

      La decisione di inammissibilità è impugnabile innanzi al Tribunale civile entro 30 giorni dalla notifica (l’art. 35-bis, comma 2, che stabilisce i casi di riduzione a 15 gg del termine di impugnazione, infatti, non richiama il comma 1-bis dell’art. 28-bis). Il ricorso avverso la decisione di inammissibilità non ne sospende automaticamente gli effetti, ma sarà necessario come negli altri casi già esaminati presentare apposita istanza cautelare. Tuttavia, il legislatore del dl 113/18 ha apportato un’importante modifica relativa al diritto del richiedente di attendere in Italia la decisione del Tribunale civile in merito alla propria richiesta di sospensiva. Infatti, il nuovo art. 35-bis, comma 5, d.lgs 25/08 stabilisce che, nel caso di questa ipotesi di inammissibilità, il richiedente ha diritto di permanere in Italia fino al deposito del ricorso (o allo spirare del termine), ma non anche di attendere che il giudice adotti una decisione sulla domanda cautelare di sospensione degli effetti che il richiedente ha avanzato con il ricorso medesimo. Questa previsione, tuttavia, è da considerarsi illegittima per contrarietà alla direttiva 2013/32/UE, art. 41, che espressamente indica i casi in cui è possibile derogare al diritto di rimanere sul territorio del Paese membro in attesa della decisione definitiva del Giudice sull’istanza di sospensiva. I casi previsti dall’art. 41 sono solo due: il primo è quello del richiedente che presenta una terza (o quarta, etc.) domanda di asilo (art. 41, lett. b) e il secondo è relativo al richiedente che ha presentato una seconda domanda di asilo “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione” di un provvedimento che ne comporterebbe “l’imminente” rimpatrio forzato. Sull’esatto significato di queste due ipotesi si ritornerà a breve, per il momento interessa evidenziare che la limitazione del diritto di rimanere in Italia dopo il deposito del ricorso avverso l’inammissibilità e in attesa della decisone del giudice sulla istanza di sospensiva, sancita dal nuovo art. 35-bis, comma 5, d.lgs 25/08, è illegittima, in quanto la Direttiva procedure nell’art. 41 permette una tale limitazione esclusivamente in altri casi, del tutto differenti, che, infatti (come vedremo a breve), hanno una indipendente disciplina anche nell’ordinamento giuridico italiano.

      Più precisamente, l’art. 46 della Direttiva (Diritto a un ricorso effettivo) al par. 5 detta la regola generale per cui il richiedente ha diritto di attendere sul territorio dello stato membro la decisione del giudice sul merito del ricorso presentato[22]. Il paragrafo 6 stabilisce le eccezioni, chiarendo che in alcuni casi, il diritto a rimanere sul territorio dello Stato membro è limitato e sussiste solo fino alla decisione del giudice sulla richiesta di sospensiva[23]. Tra queste eccezioni, è inclusa quella dell’art. 33 par. 2 lett. d): la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE. Il paragrafo 8 dell’art. 46 ribadisce il diritto in modo inequivocabile: “Gli Stati membri autorizzano il richiedente a rimanere nel territorio in attesa dell’esito della procedura volta a decidere se questi possa rimanere nel territorio, di cui ai paragrafi 6 e 7”.

      L’art. 35, comma 5, è in definitiva da considerarsi illegittimo e non sembra suscettibile di una lettura costituzionalmente orientata. Si prospetta dunque la disapplicazione da parte del giudice della norma in contrasto con le disposizioni sopra richiamate della direttiva procedure, idonee a produrre effetti diretti, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

      5.1. La domanda reiterata in fase di esecuzione di un imminente allontanamento

      Esistono viceversa, come accennato, due ipotesi in cui la Direttiva prevede una eccezione al diritto sopra illustrato di attendere la decisone del giudice sulla richiesta di sospensiva. Queste eccezioni sono previste dall’art. 41 della Direttiva procedure[24]. Si tratta dei due casi sopra menzionati, ovverosia quella del richiedente che presenta una terza (o quarta, etc.) domanda di asilo (art. 41 lett. b) e quella del richiedente che ha presentato una seconda domanda di asilo “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento”. I tali casi, l’art. 41 par. 2 lett. c) espressamente attribuisce agli stati membri la facoltà di escludere il paragrafo 8 dell’art. 46 (appena soprariportato), che attribuisce il diritto a rimanere sul territorio dello stato membro fino alla decisione del giudice sulla richiesta di sospensiva. Il legislatore del dl 113/18 ha introdotto per queste due ipotesi una disciplina molto rigida. Il nuovo art. 29-bis (Domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento) recita: “Nel caso in cui lo straniero abbia presentato una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso. In tale caso non si procede all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 29”. In maniera speculare, il nuovo art. 7 del d.lgs 25/08 (sempre modificato dal dl 113/18), rubricato Diritto di rimanere nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda stabilisce che il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio italiano fino alla decisione della Commissione territoriale salvo che: lett. d) [abbia] presentato una prima domanda reiterata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale.

      Bisogna quindi chiedersi, anzitutto, quale sia il significato della locuzione fase di esecuzione di un imminente allontanamento. Ma soprattutto, chi sia designato dalla norma a dichiarare inammissibile la domanda reiterata (ossia una seconda domanda di asilo) in fase di imminente esecuzione e con quale procedura, per valutare così la compatibilità o meno con la Direttive procedure. Si tratta di una operazione ermeneutica complessa, ma che si rende assolutamente necessaria, anche in ragione dell’enorme importanza pratica rivestita da questo istituto. Una importanza, che ancor meglio si può apprezzare dalla lettura della Circolare del Ministero dell’Interno (Commissione Nazionale) del 2 novembre 2019[25] che attribuisce alla Questura il compito di dichiarare inammissibile la domanda di asilo ai sensi dell’art. 29-bis e qualifica tale inammissibilità come automatica (non soggetta a prova contraria): “È stato, inoltre, previsto che nel caso in cui lo straniero presenti una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’allontanamento imminente dal territorio nazionale, la stessa è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento. Opera, dunque, in tale circostanza, iure et de iure, una presunzione di strumentalità correlata alla concomitanza di due condizioni riferite l’una alla preesistenza di una decisione definitiva sulla domanda precedente e l’altra alla circostanza che sia iniziata l’esecuzione del provvedimento espulsivo. La sussistenza di tali presupposti esclude, pertanto, l’esame della domanda. In tali casi, come concordato con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la Questura competente comunicherà all’interessato l’inammissibilità della domanda sancita ex lege”. Sulla base di questa circolare, in molte questure italiane, è di fatto precluso l’esercizio del diritto di asilo a chi ha già presentato in passato una prima domanda di asilo. Infatti, molti di questi ultimi hanno già un decreto di espulsione (o di respingimento differito o di un ordine di allontanamento) nel momento i cui si presentano alle forze di polizia per la presentazione della seconda domanda di asilo. La Questura dunque provvede a dichiarare automaticamente la inammissibilità senza sottoporre il caso alla Commissione e senza neppure valutare l’esistenza o meno di nuovi elementi addotti. Dunque, la Questura procede all’esecuzione immediata dell’espulsione. Il cittadino straniero che ha provato a presentare una seconda domanda si ritrova così immediatamente in stato di trattenimento, teso al rimpatrio forzato per una decisione (vincolata) della Questura. Senonché, la direttiva 2013/32/UE stabilisce un principio opposto, secondo cui è sempre necessario che l’autorità accertante (in Italia la Commissione territoriale) proceda all’esame preliminare di una domanda reiterata (anche in fase di esecuzione di un imminente allontanamento), per valutare se sono stati sollevati nuovi elementi al fine di dichiararne la inammissibilità. Secondo la direttiva 2013/32/UE non c’è modo di attribuire in via automatica ad una domanda reiterata la qualifica di domanda inammissibile. La direttiva si limita a prevedere che in casi di imminente allontanamento dal Paese membro possa essere limitato il diritto del cittadino straniero a restare sul territorio dello stato durante la fase giudiziaria di impugnazione della dichiarazione di inammissibilità. La direttiva non ricollega alla imminenza dell’allontanamento alcuna conseguenza in termini di esame preliminare che l’autorità competente (in Italia, la Commissione) deve svolgere per accertarsi che esistano o meno elementi nuovi attinenti alla domanda di asilo.

      Più precisamente, la direttiva sopra richiamata afferma al considerando 36 che: “Qualora il richiedente esprima l’intenzione di presentare una domanda reiterata senza addurre prove o argomenti nuovi, sarebbe sproporzionato imporre agli Stati membri l’obbligo di esperire una nuova procedura di esame completa”. Ciò che si ammette che gli Stati membri possano escludere è l’esame completo (ossia la nuova audizione del richiedente asilo) e non quello preliminare, infatti, l’art. 33 recita: “2. Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se: (...) d) la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE”. La domanda è inammissibile solo qualora non vi siano nuovi elementi, la cui emersione è possibile solo ad un esame preliminare. Prima di allora la domanda non può essere giudicata inammissibile. L’art. 40, inoltre, ribadisce che: “2. Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE […]. 5. Se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame ai sensi del presente articolo, essa è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d)”. Solo se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame perché, ad un esame preliminare, non siano emersi elementi nuovi, essa può essere giudicata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d). L’art. 41 stabilisce, inoltre, che: “1. Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona: a) abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione”. L’imminente allontanamento rileva dunque ai soli fini di attribuire agli Stati membri la facoltà di circoscrivere il diritto di rimanere in Italia del richiedente asilo che a seguito di un esame preliminare abbia ricevuto una dichiarazione di inammissibilità e decida di avvalersi del diritto di proporre ricorso o riesame avverso tale decisione. L’art. 42 espressamente prevede, altresì, che: “1. Gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti la cui domanda è oggetto di un esame preliminare a norma dell’articolo 40 godano delle garanzie di cui all’articolo 12, paragrafo 1. 2. Gli Stati membri possono stabilire nel diritto nazionale norme che disciplinino l’esame preliminare di cui all’articolo 40. Queste disposizioni possono, in particolare: a) obbligare il richiedente a indicare i fatti e a produrre le prove che giustificano una nuova procedura; b) fare in modo che l’esame preliminare si basi unicamente su osservazioni scritte e non comporti alcun colloquio personale, a esclusione dei casi di cui all’articolo 40, paragrafo 6. Queste disposizioni non rendono impossibile l’accesso del richiedente a una nuova procedura, né impediscono di fatto o limitano seriamente tale accesso. 3. Gli Stati membri provvedono affinché il richiedente sia opportunamente informato dell’esito dell’esame preliminare e, ove sia deciso di non esaminare ulteriormente la domanda, dei motivi di tale decisione e delle possibilità di presentare ricorso o chiedere il riesame della decisione”. Lo Stato membro, ai sensi dei paragrafi 1 e 2, può quindi disciplinare ma non eliminare l’esame preliminare (prevedendo una dichiarazione di inammissibilità sancita ex lege). Precisando inoltre al paragrafo 3 che il richiedente deve essere informato dell’esito dell’esame preliminare al fine di apprestare le proprie difese.

      In definitiva, l’art. 29-bis, così come interpretato dal Ministero con la circolare sopra menzionata, sarebbe da considerare sicuramente contrario alla normativa europea e quindi destinato ad essere espunto dall’ordinamento giuridico italiano. Tuttavia, la norma può anche essere interpretata diversamente, in modo da attribuire alla Commissione il compito di analizzare la domanda di asilo anche in questo caso[26], tramite un esame preliminare (identico a quello già visto in relazione alla ordinaria domanda reiterata)[27]. L’art. 29-bis avrebbe dunque il solo effetto di non riconoscere il diritto a un ricorso effettivo. Ma in tal caso bisognerà chiedersi se la sopra illustrata deroga consentita dall’art. 41 all’art. 46 par. 8 (ossia al diritto di attendere una decisione del giudice sull’istanza di sospensiva) possa giustificare anche l’esclusione da tutte le garanzie dell’art. 46 e quindi, in definitiva, consentire il rimpatrio forzato del richiedente asilo immediatamente dopo la notifica della decisione di inammissibilità o se viceversa deve essere conservato il diritto di rimanere in Italia fino alla presentazione del ricorso (che sostanzialmente è la soluzione illegittima che il legislatore del dl 113/18 ha riservato alla domanda reiterata ordinaria).

      In ogni caso, per evitare un uso eccessivamente ampio di questo strumento (come sembra stia accadendo) devono correttamente interpretarsi i concetti di esecuzione/imminente/ allontanamento. Per imminente allontanamento deve intendersi esclusivamente la condizione di chi si trovi nelle ipotesi in cui il processo espulsivo è in stato avanzato, tanto che la Pubblica Amministrazione non solo sia certa di poter coattivamente costringere il cittadino straniero al rimpatrio forzato (quindi che abbia già disposto il suo trattenimento), ma che al contempo abbia già portato a compimento il complesso iter organizzativo necessario in questi casi: fissazione di un appuntamento con l’autorità consolare per il previo riconoscimento e acquisizione del lasciapassare, individuazione certa del vettore e dello specifico volo verso il paese di origine con relativo ordine di spesa ed emanazione dell’ordine di servizio per le forze dell’ordine deputate nel caso specifico ad effettuare l’accompagnamento all’interno del territorio italiano ed eventualmente durante la scorta internazionale. L’art. 29-bis quindi non troverebbe applicazione in presenza di un mero decreto di espulsione a carico del cittadino straniero, ma esclusivamente nei casi di presentazione della domanda reiterata in una fase di reale imminenza del rimpatrio, ossia solo quando questo sia effettivamente in corso, a fronte di una già avvenuta individuazione del volo, del personale coinvolto e della specifica tempistica effettiva di rimpatrio.

      Non può nascondersi, infatti, che molti cittadini stranieri non hanno di fatto la possibilità di esercitare appieno il diritto a richiedere la protezione internazionale, tanto più in presenza di un crescente utilizzo delle procedure accelerate e dell’approccio hotspot. Le prime, di fatto, mettono molti richiedenti nella condizione di affrontare l’audizione in Commissione e successivamente il ricorso avverso il diniego con pochissimi strumenti a causa della tempistica e delle condizioni di isolamento. Allo stesso tempo, l’approccio hotspot conduce moltissimi cittadini stranieri ad auto-dichiararsi al loro arrivo migranti economici, subendo così un decreto di respingimento differito o di espulsione che li conduce in stato di trattenimento e quindi ad affrontare ancora una volta la prima domanda di asilo (sempre che riescano nei Cpr a formalizzarla) in tempi strettissimi e con pochissimi strumenti. Ecco che dunque l’estrema rigidità con cui è stata disciplinata dal legislatore del dl 113/18 la domanda reiterata, oltre che per molti versi illegittima, appare pericolosamente nei fatti appartenere a una più ampia operazione di svuotamento del diritto di asilo.

      Relativamente alla domanda reiterata, infine, sarà necessario nel tempo interpretare correttamente anche l’ipotesi prevista dal nuovo art. 7 comma 2 lett. e) del d.lgs 25/08 come modificato dall’art. 9 del dl 113/08, secondo cui, il richiedente perde il diritto di attendere in Italia la decisione della Commissione territoriale nel caso in cui manifesti “la volontà di presentare un’altra domanda reiterata a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 29, comma 1, o dopo una decisione definitiva che respinge la prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettere b) e b-bis)”. Si tratta del caso in cui il richiedente manifesti la volontà di presentare una terza (quarta, ecc.) domanda di asilo. In questo caso, conformemente alla Direttiva procedura (come sopra esposto) si disciplina diversamente la condizione del richiedente, che esprime la volontà, ancor prima di formalizzarla. Dal tenore delle norme della Direttiva, si evince chiaramente che in tal caso al richiedente non venga assicurato il diritto ad attendere che la Commissione si esprima, ma rimangono dubbi alcuni profili. In particolare, se deve comunque essergli riconosciuto il diritto di formalizzare la domanda di asilo prima del rimpatrio forzato (e quindi attendere nel proprio paese di asilo una eventuale decisone della Commissione) e se la convalida del suo trattenimento e dell’esecuzione del rimpatrio forzato debba considerarsi di competenza del Tribunale civile (come per tutti i casi di richiedenti asilo) o del giudice di pace (come per i casi dei cittadini stranieri non richiedenti asilo).

      6. Il cd. procedimento immediato di cui all’art. 32 comma 1-bis d.lgs 25/08

      L’art. 10 del dl 113/18 ha, infine, introdotto un nuovo istituto al comma 1.bis dell’art. 32 del d.lgs 25/08, secondo cui: “Quando il richiedente è sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero è stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, il questore, salvo che la domanda sia già stata rigettata dalla Commissione territoriale competente, ne dà tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente, che provvede nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotta contestuale decisione, valutando l’accoglimento della domanda, la sospensione del procedimento o il rigetto della domanda. Salvo quanto previsto dal comma 3, in caso di rigetto della domanda, il richiedente ha in ogni caso l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso avverso la decisione della Commissione. A tal fine si provvede ai sensi dell’articolo 13, commi 3, 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. In sostanza, nel caso in cui il richiedente asilo sia sottoposto a procedimento penale o sia stato condannato per taluni reati (tra cui alcuni di media gravità) viene sottoposto immediatamente all’audizione della Commissione territoriale, con una sorta di procedura accelerata. In caso di diniego[28] (anche in forza all’art. 35-bis comma 4 d.lgs 25/08) perde il diritto ad attendere in Italia non solo l’esito del ricorso ma anche quello della eventuale domanda cautelare di sospensione degli effetti del diniego stesso. Al pari di quanto sopra illustrato per il caso di inammissibilità della domanda reiterata “ordinaria” ex art. 29 comma 1 lett.b). Avrebbe dunque solo il diritto di rimanere in Italia per il tempo necessario a depositare il ricorso, ossia 30 giorni dalla notifica del diniego. Inoltre, nel caso in cui dovesse già trovarsi (al momento dell’apertura del procedimento penale) in sede di ricorso cesserebbero gli effetti della sospensione automatica, aprendo così la via al rimpatrio forzato immediato.

      Brevemente, si tratta di una disposizione che va evidentemente incontro all’esigenza mediatica, più volte espressa da alcune forze politiche, di procedere in tempi rapidi al rimpatrio forzato di richiedenti asilo che vengono accusati di aver commessi dei reati. Tuttavia, come si evince chiaramente anche dalle norme già analizzate della Direttiva procedure, si tratta di una disposizione del tutto illegittima in quanto totalmente estranea alle ipotesi (tassative) che la Direttiva stessa ha previsto in deroga alla ordinaria procedura di asilo. E’ una norma destinata ad essere espunta dall’ordinamento giuridico italiano, seppur è immaginabile che troverà applicazione fino a quando il complesso iter giurisdizionale non ne decreterà la illegittimità.

      Oltre alle ipotesi di procedura accelerata già analizzate e che sono state introdotte o riformate dal legislatore del dl 113/18, è opportuno ricordare che l’art. 28-bis d.lgs 25/08 ne prevede un’altra che non è stato oggetto di modifiche sostanziali. Questo articolo al comma 2 lett. c) stabilisce una procedura accelerata (14 gg per l’audizione e 4 per la decisione, prorogabili ai sensi del comma 3 dell’art. 28-bis) nei casi in cui il richiedente ha presentato “(…) la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento”. Ai sensi dell’art. 35-bis comma 2 d.lgs 25/08 il termine per proporre ricorso avverso il diniego della Commissione territoriale è ridotto a 15 giorni e non è previsto l’effetto sospensivo automatico del ricorso stesso (art. 35-bis comma 3). La previsione appare conforme alla Direttiva procedure.

      7. Considerazioni conclusive

      In conclusione, le norme introdotte in tema di procedure accelerate dal decreto 113/18 e dalla relativa legge di conversione destano fortissima preoccupazione per la potenziale capacità di svuotare, di fatto, il diritto di asilo, soprattutto se operate in concomitanza con talune prassi illegittime (come quelle connesse al c.d approccio hotpot) e in presenza di importanti carenze strutturali del sistema italiano (privo in frontiera e nei Cpr di reali servizi di supporto e di vigilanza). La riforma in parte sfrutta al massimo i margini lasciati aperti dalla direttiva procedure 2013/32/UE e in parte sconfina nella aperta illegittimità, anche se può leggersi in quest’ultima una forte propensione ad anticipare con grande zelo le nuove politiche legislative che da anni vengono promosse dalla Commissione Europea, che già a partire dal maggio del 2015 (con la prima agenda sulle immigrazioni) sostiene uno stravolgimento del Ceas (il sistema europeo comune di asilo), non da ultimo anche con le proposte di riforma dell’aprile 2016[29]. Una complessa riforma, bloccata nel 2019 dalla fine del mandato europeo, che immagina un sistema che conservi un’impeccabile impalcatura di principi generali in cui l’Unione Europea riesca a specchiare la propria superiorità giuridica e culturale, ma che allo stesso tempo si munisca di strumenti che possano ridurre drasticamente il numero delle persone che riescono a raggiungere l’Europa per avanzare la domanda di asilo (c.d. esternalizzazione) e riescano ad incanalare questi ultimi in una serie di procedure di eccezione (che di fatto sostituiscono la regola) con cui si riducono drasticamente di fatto le possibilità di ottenere una protezione internazionale, condannando per lo più i cittadini stranieri giunti sul territorio dell’UE ad una condizione di subalterna irregolarità. Un ritorno ad una concezione elitaria del diritto di asilo, dove a fronte di ampie dichiarazioni di principio si aprono canali reali di protezione internazionale solo per pochi altamente scolarizzati o con un ruolo politicamente strategico a cui chiedere un atto di abiura nei confronti del proprio paese di origine.

      [*] Qualifiche: Avv. Salvatore Fachile, socio Asgi Foro di Roma; Avv. Loredana Leo, socia Asgi Foro di Roma; dott.ssa Adelaide Massimi, socia Asgi - progetto “In Limine”.

      [1] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione);

      [2] Per una più ampia disamina relativa ai profili di illegittimità costituzionale delle norme introdotte dal dl 113/2018, si veda l’analisi pubblicata da Asgi nell’ottobre del 2018: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/10/ASGI_DL_113_15102018_manifestioni_illegittimita_costituzione.pdf.

      [3] Si veda la Direttiva 2013/32/UE, in particolare l’articolo 31 par. 8 (che individua le ipotesi in cui possono essere applicate procedure accelerate e/o in frontiera) e il par. 9 che stabilisce che “gli Stati membri stabiliscono termini per l’adozione di una decisione nella procedura di primo grado di cui al par. 8. I termini sono ragionevoli”. Si veda, inoltre, l’art. 46 parr. 6, 7 e 8 circa l’effetto sospensivo della presentazione del ricorso;

      [4] Agenda Europea sulla migrazione, Bruxelles, 13.5.2015 COM(2015) 240 final https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=EN;

      [5] Per un’analisi più approfondita dell’approccio hotspot si veda: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/02/2018-Lampedusa_scenari-_di_frontiera_versione-corretta.pdf; e https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/detention-and

      [6] Non sembra che ad oggi sia mai stata utilizzata questa nuova forma di detenzione, che appare chiaramente in contrasto con l’art. 13 della Costituzione italiana. Nell’ambito del progetto In Limine, Asgi ha chiesto e ottenuto informazioni in tal senso dal Ministero dell’Interno e dalle Prefetture competenti, che, in base alla Circolare ministeriale del 27 dicembre, sono incaricate di individuare gli appositi locali adibiti al trattenimento dei richiedenti asilo. Ad oggi alcuna Prefettura ha infatti individuato gli “appositi locali” in cui eseguire il trattenimento. Si veda: https://inlimine.asgi.it/il-trattenimento-dei-richiedenti-asilo-negli-hotspot-tra-previsioni-le.

      [7] Si veda a tal proposito il lavoro svolto da Asgi, Cild, ActionAid e IndieWatch nell’ambito del progetto In Limine per quanto riguarda i ricorsi presentati alla Corte Edu: http://www.indiewatch.org/wp-content/uploads/2018/11/Lampedusa_web.pdf; il lavoro di monitoraggio e denuncia delle pratiche di trattenimento arbitrario: https://inlimine.asgi.it/il-trattenimento-dei-richiedenti-asilo-negli-hotspot-tra-previsioni-le; https://inlimine.asgi.it/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-d; e il lavoro svolto in relazione alla procedura di supervisione della sentenza Khlaifia in collaborazione con A Buon Diritto: https://inlimine.asgi.it/lattualita-del-caso-khlaifia; https://inlimine.asgi.it/hotspot-litalia-continua-a-violare-il-diritto-alla-liberta-personale-d; https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Khlaifia_-hotspot-Lampedusa_Progetto-In-limine_ITA-giugno-2018.pdf; https://hudoc.exec.coe.int/eng#{%22EXECIdentifier%22:[%22DH-DD(2019)906E%22]}.

      [8]A tal proposito si vedano i numerosi approfondimenti condotti circa l’utilizzo del foglio notizie e le problematiche legate alle modalità di compilazione dello stesso e le denunce presentate dalla società civile: https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/detention-and; https://www.meltingpot.org/Determinazione-della-condizione-giuridica-in-hotspot.html; https://www.asylumineurope.org/reports/country/italy/asylum-procedure/access-procedure-and-registration/hotspots; http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/6f1e672a7da965c06482090d4dca4f9c.pdf; https://www.asgi.it/notizie/hotspot-violazioni-denuncia-associazioni-lampedusa-catania.

      [9] Questa lettura era stata già in passato sistematicamente sostenuta dalle Forze di polizia nell’ambito di una norma che richiama l’identica nozione allo scopo di determinare quali categorie di soggetti fossero obbligati ad essere accolti nei cd. CARA. Il Tribunale di Roma con l’ordinanza dd 13.04.2010 aveva già chiarito sul punto che: “le fattispecie per le quali è disposta l’ ‘ospitalità’ presso il centro Cara sono disciplinati per legge e non sono suscettibili di interpretazione estensiva perché di fatto incidono sul diritto alla libera circolazione del richiedente asilo (l’allontanamento dal centro senza giustificato motivo comporta, tra l’altro, che la Commissione territoriale possa decidere senza la previa audizione del richiedente, cfr. art 21 del d.lgs 25/08) e debbono poter essere esaminati e verificati dal giudice in sede di ricorso avverso il provvedimento amministrativo e di preliminare istanza di sospensione del provvedimento impugnato”. V. anche Trib. di Roma sent. n. 733 del 10.12.2012.

      [10] Dal Devoto-Oli, Dizionario della Lingua italiana, Le Monnier, 2011.

      [11] Decreto 5 agosto 2019, Individuazione delle zone di frontiera o di transito ai fini dell’attuazione della procedura accelerata di esame della richiesta di protezione internazionale, pubblicato in CU Serie Generale n. 210 del 07.09.2019.

      [12] A tal proposito si veda inoltre il commento di Asgi al dm del 5 agosto del 2019: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/10/2019_scheda_ASGI_decreto_zone_frontiera.pdf

      [13] Si veda, sul punto, la nota condivisa di Asgi, ActionAid, Arci, Borderline Sicilia, IndieWatch, MEDU, SeaWatch sulla situazione dei migranti sbarcati dalla Sea Watch 3 in condizione di detenzione arbitraria a Messina, Sa un confinamento all’altro. Il trattenimento illegittimo nell’hotspot di Messina dei migranti sbarcati dalla SeaWatch, 10.07.2019, https://inlimine.asgi.it/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-d.

      [14] Si noti come il modello di procedura di frontiera disegnato dalla “Direttiva procedure” prevede un terzo elemento caratterizzante questa fattispecie, ossia la possibilità di detenere per un tempo massimo di 4 settimane il richiedente asilo in frontiera o zona di transito allo scopo di condurre la procedura di frontiera medesima. Tuttavia, il legislatore italiano ha preferito immaginare una forma di detenzione amministrativa simile ma differente, ossia quella sopra analizzata del trattenimento a scopo identificativo nei cd. hotspot e negli hub. Una procedura che nei fatti potrebbe molto somigliare alla detenzione in frontiera ma che giuridicamente si incardina su altre motivazioni, ossia sull’esigenza di identificazione, che probabilmente è apparsa al legislatore del dl 113/08 più vicina ai canoni costituzionali (rispetto a una detenzione basata esclusivamente sull’arrivo in frontiera).

      [15] Le ipotesi di procedura accelerata previste dall’art. 31 c. 8 della direttiva 2013/32 sono le seguenti:

      “a) nel presentare domanda ed esporre i fatti il richiedente ha sollevato soltanto questioni che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE; oppure
      il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; o
      il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi od omettendo informazioni pertinenti o documenti relativi alla sua identità e/o alla sua cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente; o
      è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento d’identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza; o
      il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili che contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine, rendendo così chiaramente non convincente la sua asserzione di avere diritto alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE; o
      il richiedente ha presentato una domanda reiterata di protezione internazionale inammissibile ai sensi dell’art. 40, paragrafo 5; o
      il richiedente presenta la domanda al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione anteriore o imminente che ne comporterebbe l’allontanamento; o
      il richiedente è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno e, senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato la domanda di protezione internazionale quanto prima possibile rispetto alle circostanze del suo ingresso; oIT l. 180/78 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea;
      il richiedente rifiuta di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e sulle richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto ( 1 ); o
      il richiedente può, per gravi ragioni, essere considerato un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro o il richiedente è stato espulso con efficacia esecutiva per gravi motivi di sicurezza o di ordine pubblico a norma del diritto nazionale.”

      [16] Inoltre, da una attenta lettura dell’art. 35-bis comma 2 (che stabilisce i casi di dimezzamento del termine di impugnazione) si potrebbe dedurre che i termini sono dimezzati solo nel caso in cui la manifesta infondatezza (anche eventualmente per provenienza da paese di origine sicuro) sia dichiarata a seguito di una procedura accelerata e non anche di una procedura ordinaria. Infatti l’art. 35-bis comma 2 richiama l’art. 28-bis, ossia quello delle procedure accelerate (e non invece l’art. 28-ter o l’art. 32 comma 1 b-bis, che disciplinano in generale la manifesta infondatezza derivante sia da procedura ordinaria che accelerata). Sarebbe dunque la natura accelerata della procedura (coniugata con la motivazione di manifesta infondatezza del diniego) a comportare la contrazione del termine per l’impugnazione. Sul punto si dovrà necessariamente ritornare in separata sede, per una lettura più analitica delle norme e degli spunti giurisprudenziali.

      [17] Una corretta lettura dovrebbe portare a ritenere che la mancanza di effetto sospensivo sia esclusivamente ricollegata all’adozione di una procedura accelerata. Nel caso in cui non venga adottata una tale procedura (con il correlativo rispetto della tempistica prevista) si dovrà ritenere che il ricorso avverso il diniego abbia effetto sospensivo automatico (salvo ovviamente che il diniego rechi la dicitura di manifesta infondatezza, che comporterebbe il ricadere in una diversa ipotesi in cui il ricorso viene privato del suo ordinario effetto sospensivo automatico). Il punto non può che essere affrontato con maggiore analiticità in una differente sede.

      [18] Ministero dell’Interno – Commissione nazionale per il diritto di asilo, Circolare prot. 00003718 del 30.07.2015 avente ad oggetto “Ottimizzazione delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale. Casi di manifesta infondatezza dell’istanza”.

      [19] Corte d’Appello di Napoli, sent. n. 2963 del 27.06.2017.

      [20] Direttiva procedure art. 46 par. 5. Fatto salvo il par. 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso. Par. 6. Qualora sia stata adottata una decisione: a) di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’art. 32, par. 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, par. 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, par. 8, lettera h).

      [21] Infatti, il legislatore non si è avvalso della clausola di cui al par. 4 art. 40 Direttiva procedure, secondo cui: “Gli Stati membri possono stabilire che la domanda sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere, nel procedimento precedente, la situazione esposta nei parr. 2 e 3 del presente articolo, in particolare esercitando il suo diritto a un ricorso effettivo a norma dell’articolo 46.”

      [22] Par. 5 art. 46 direttiva 2013/32/UE: “Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso”.

      [23] Par. 6 art. 46 direttiva 2013/32/UE: “Qualora sia stata adottata una decisione: (…) b) di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b) o d); (…) un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso”.

      [24] “Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona: a) abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione; o b) manifesti la volontà di presentare un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, o dopo una decisione definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata”.

      [25] Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il Diritto d’asilo, Circolare prot. n. 0000001 del 02.01.2019 avente ad oggetto Decreto-legge del 4 ottobre 2018, n. 113, recante ‘Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata’, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132;

      [26] Più precisamente, anzitutto bisogna rilevare che la direttiva 2013/32/UE sin dai considerando (in particolare n. 16) prevede che: “È indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale”. Tale autorità è quella che nel prosieguo della direttiva è definita “autorità accertante”. In Italia, tale ruolo è assolto dalle Commissioni territoriali nominate dal Ministero dell’interno. La direttiva ammette che in luogo dell’autorità accertante alcune specifiche funzioni in materia siano svolte da altra autorità, purché adeguatamente formata. L’art. 4 della Direttiva “Autorità responsabili”, infatti, prevede che: “1. Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. (…) 2. Gli Stati membri possono prevedere che sia competente un’autorità diversa da quella di cui al paragrafo 1 al fine di: a) trattare i casi a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 [c.d. Regolamento Dublino, ndr]; e b) accordare o rifiutare il permesso di ingresso nell’ambito della procedura di cui all’articolo 43, secondo le condizioni di cui a detto articolo e in base al parere motivato dell’autorità accertante [c.d. Procedure di frontiera, ndr].”. Inoltre, ai sensi dell’art. 34 “Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità”: “[…] 2. Gli Stati membri possono disporre che il personale di autorità diverse da quella accertante conduca il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda di protezione internazionale. In tal caso gli Stati membri provvedono a che tale personale riceva preliminarmente la necessaria formazione (…)”.

      Le competenze che possono essere attribuite ad autorità diversa da quella accertante possono riguardare, quindi, l’applicazione del cd. Regolamento Dublino e le procedure di frontiera (entrambe estranee al caso in esame), nonché la possibilità di condurre anche nei procedimenti sulle domande reiterate il colloquio del richiedente, ma non anche di assumere la decisione sulla domanda. Si consideri tuttavia che il colloquio con il richiedente costituisce una misura differente rispetto all’esame preliminare teso a valutare l’esistenza di elementi nuovi: si tratta di un eventuale fase del procedimento di inammissibilità a garanzia del richiedente che tuttavia nel caso di domande reiterate può essere escluso dal legislatore di ciascun Paese membro. Così come infatti ha deciso di fare il legislatore italiano che ha semplicemente escluso la fase del colloquio del richiedente nei casi di domanda reiterata. Per cui in Italia non è previsto il colloquio, ossia l’unica fase nel procedimento di valutazione della prima domanda reiterata che poteva essere affidata ad una autorità diversa (ossia alla Questura). Infatti ai sensi dell’art. 34 paragrafo 1 “Prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 alla sua situazione particolare. A tal fine, gli Stati membri organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda. Gli Stati membri possono derogare soltanto ai sensi dell’articolo 42, in caso di una domanda reiterata”. La Direttiva quindi rende obbligatorio l’esame preliminare (valutazione cartacea sulla base della domanda scritta del richiedente) ma facoltativo il colloquio (unica fase affidabile ad una autorità diversa). In attuazione della Direttiva, l’art. 29 del D.lgs. n. 25/2008 “casi di inammissibilità della domanda” esclude il colloquio in caso di domanda reiterata, prevedendo espressamente che il Presidente delle Commissione Territoriale conduca un esame preliminare sulla domanda. A sua volta, l’art. 29-bis del Dl.lgs. n.25/2008, recita: “Nel caso in cui lo straniero abbia presentato una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso. In tale caso non si procede all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 29”, nulla aggiungendo in merito alla competenza a giudicare inammissibile la domanda reiterata. Dunque si potrebbe interpretare l’art. 29-bis in modo differente da quanto proposto dal Ministero con la circolare del 2.01.2019 e con il decreto di inammissibilità qui impugnato.

      [27] Il Tribunale di Roma ha avuto modo di esprimersi in differenti occasioni annullando il decreto di inammissibilità emanato dalla Questura per difetto di competenza, ribadendo che si tratta di una prerogativa della Commissione, cfr. Trib. di Roma, decreto dd. 03.04.2019. Si veda, sul punto, G. Savio, Accesso alla procedura di asilo e poteri “di fatto” delle Questure, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it/articolo/accesso-alla-procedura-di-asilo-e-poteri-di-fatto-delle-questure_29-05-2019.php;

      [28] Si dovrà comunque valutare anche l’esistenza di una necessità di riconoscere ai sensi dell’art. 32 comma 3 una protezione speciale, ossia il ricorrere delle condizioni di non refoulement di cui all’art. 19 comma 1 e 1.1 del D.lgs 286/98.

      [29] Sul punto si veda: Asgi, I nuovi orientamenti politico-normativi dell’Unione Europea – La prospettiva di nuove e radicali chiusure al diritto di asilo, settembre 2017, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/09/2017_9_Articolo_politiche-_UE_ok.pdf;

      https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-procedure-accelerate-lo-svilimento-del-diritto-di-asilo_
      #procédures_de_frontière

    • Nuovi Cpr, Piantedosi: «Pensiamo a un centro per migranti a Ventimiglia»

      Al via il monitoraggio in 12 regioni per individuare le nuove strutture che saranno controllare (all’esterno) dalle forze dell’ordine. Si pensa ad ex caserme e aree industriali, comunque lontane dai centri abitati.

      Entro due mesi il ministero della Difesa dovrà avere la lista dei nuovi Centri di permanenza per i rimpatri decisi dal Consiglio del ministri lo scorso 18 settembre per fare fronte all’emergenza migranti, soprattutto di quelli irregolari. Un’operazione complessa, già iniziata da qualche settimana comunque dopo che il ministro dell’Interno #Matteo_Piantedosi ha espresso l’indicazione di aprire una struttura in ogni regione. Attualmente ci sono nove Cpr attivi, mentre quello di Torino è stato chiuso per i danneggiamenti causati da chi si trovava all’interno e deve essere ristrutturato. Ne mancano quindi 12 all’appello. Il ministro stesso nel pomeriggio ha annunciato in diretta tv (al programma «Cinque Minuti» su Rai 1), durante un’intervista. «Ventimiglia ha sempre sofferto, soffre dei transiti di migranti. Noi stiamo collaborando con la Francia per il controllo di quella frontiera ed è uno di qui luoghi a cui stiamo dedicando attenzione per la realizzazione di una di quelle strutture che abbiamo in animo di dedicare proprio per contenere il fenomeno».
      Chi sarà trattenuto nei Cpr?

      Innanzitutto in queste strutture vengono accompagnati gli stranieri irregolari considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, quelli condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati e i cittadini che provengono da Paesi terzi con i quali risultino vigenti accordi in materia di cooperazione o altre intese in materia di rimpatri. Secondo la direttive il trattenimento in un Cpr è utile per evitare la dispersione sul territorio nazionale di persone che sono irregolari per quanto riguarda il soggiorno in Italia quando non sia possibile eseguirne con immediatezza il rimpatrio (per la necessità di accertarne l’identità, trattandosi spesso di stranieri privi di documenti di riconoscimento, di acquisire il lasciapassare delle autorità consolari del Paese di origine o semplicemente di organizzare le operazioni di allontanamento). Anche coloro che hanno richiesto asilo in Italia possono ritrovarsi in un Cpr ma soltanto se nei guai con la legge oppure se persone considerate pericolose o ancora se bisogna ancora analizzare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento e se c’è al tempo stesso il rischio di fuga.

      Dove si trovano i Cpr e dove saranno costruiti gli altri 12?

      Attualmente i Centri sono a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino (chiuso, come detto), Palazzo San Gervasio (Potenza), Trapani, Gorizia, Macomer (Nuoro) e Milano. A oggi ci sono 1.338 posti su una capienza effettiva di 619 posti. Il più grande è quello romano a Ponte Galeria, uno dei primi ex Cie d’Italia con 117 posti utilizzabili. Gli altri dovranno essere costruiti Calabria, Molise, Campania, Marche, Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta in strutture che saranno individuate dalla Difesa e poi adattate dal Genio militare. Si pensa ad ex caserme ma anche a complessi in aree industriali che rispondono alle esigenze descritte dal governo: lontano da centri abitati, controllabili e perimetrabili. La vigilanza sarà affidata a polizia e carabinieri e comunque non all’Esercito che si limiterà all’organizzazione logistica.

      Quanto tempo i clandestini rimarranno nei Cpr?

      Al massimo 18 mesi, come stabilito nel corso dell’ultimo Cdm, partendo da sei mesi prorogabili ogni tre mesi, come consentito dalla normativa europea per gli stranieri che non hanno fatto domanda di asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi). Attualmente nei Cpr si rimane per 90 giorni con una proroga fino a 45. E comunque i richiedenti asilo non possono essere trattenuti per più di un anno. Nel caso il migrante irregolare dovesse invece collaborare subito alla sua identificazione certa e dovesse anche accettare il rimpatrio, allora il suo trattenimento sarebbe molto più breve. In ogni circostanza è il questore a disporre l’accompagnamento al Cpr del soggetto e a inviare entro 48 ore la comunicazione al giudice di pace che deve convalidare il provvedimento. Il magistrato è chiamato anche a decidere sulle eventuali proroghe.
      Chi gestisce un Cpr?

      Ogni struttura è di competenza del prefetto, massima autorità provinciale dello Stato, che con i bandi affida a soggetti privati la gestione dei servizi interni al Cpr, sia sul fronte logistico-organizzativo sia su quello dei rapporti con chi è trattenuto. Le forze dell’ordine pattugliano l’esterno e possono entrare solo su richiesta dei gestori in caso di necessità ed emergenza. Ogni straniero trattenuto può invece presentare istanze e reclami al Garante nazionale e a quelli regionali delle persone detenute o private della libertà personale. La prima autorità può peraltro inviare raccomandazioni ai prefetti e ai gestori su specifici aspetti del trattenimento.
      Da quanto tempo esistono i Cpr?

      I Centri di permanenza per i rimpatri sono stati istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco-Napolitano (art. 12 della legge 40/1998) per adempiere agli obblighi previsti dalla normativa europea. All’inizio furono chiamati Cpt (Centri di permanenza temporanea), poi Cie (Centri di identificazione ed espulsione) dalla legge Bossi-Fini (L.189/2002). Oggi Cpr con la legge Minniti-Orlando (L. 46/2017).

      https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_settembre_20/nuovi-cpr-dalla-valle-d-aosta-alla-calabria-dove-saranno-e-chi-dovra-a

  • Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

    #rétention #détention_administrative #frontières #migrations #asile #réfugiés #CPR #Italie #procédures_accélérées #pays_sûrs #pays_d'origine_sûrs #decret_Cutro #decreto_Cutro #garantie_financière #5000_EUR #5000_euros #decreto_Sud #Modica #Sicile #Porto_Empedocle #Messina #centres_fermés

    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

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      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Asile, une industrie qui dérape

    Le traitement des demandes d’asile en Suisse est devenu une véritable industrie, avec des #centres_fédéraux gérés principalement par des sociétés privées. Employés mal payés, manque cruel de formation, dérapages violents, dérives bureaucratiques, accès aux soins problématique : des témoignages et des documents d’enquêtes pénales inédits permettent de percer la boîte noire des centres fédéraux d’asile.

    https://pages.rts.ch/emissions/temps-present/12754866-asile-une-industrie-qui-derape.html

    #Budget de fonctionnement des centres : 215 millions en 2021, dont 57 mio à l’encadrement et 60 millions à la sécurité (min 53’50) :

    Dans le reportage, l’histoire de #Sezgin_Dag est racontée. Sezgin décède dans un taxi qui était en train de l’amener à l’hôpital (à partir de la minute 3’06).

    #asile #migrations #réfugiés #privatisation #business #Suisse #ORS #Protectas
    #violence #accélération_des_procédures #procédures_accélérées #accès_aux_soins #souffrance #témoignage #industrie_de_l'asile #business #SEM #Securitas #coût #dysfonctionnement #Boudry #cellule_de_réflexion #décès #morts #suicides #automutilations #traumatismes #dérapages #Gouglera #injures #violence_systématique #frontaliers #conditions_de_travail #plan_d'exploitation_hébergement (#PLEX) #fouilles #nourriture #alimentation #punitions #privations_de_sortie #mesures_disciplinaires #horaires #pénalité #formation #spray #agents_de_sécurité #salaires #centres_pour_récalcitrants #récalcitrants #Verrières #centres_spécifiques #centre_des_Verrières #disparitions #délinquance #optimisation #sécurité #prestations #société_anonyme

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    Ajouté à la métaliste sur #ORS en Suisse :
    https://seenthis.net/messages/884092

  • Fact-checking | Les ratés de l’accélération des procédures

    Entre le discours ultra positif (https://www.lacote.ch/articles/suisse/migration-davantage-de-requerants-quittent-la-suisse-volontairement-891190) dans la presse du patron du Secrétariat d’État aux migrations (#SEM) Mario Gattiker sur la nouvelle procédure d’asile accélérée en vigueur depuis le 1er mars 2019 [1] et le tableau que dressent plusieurs arrêts du Tribunal administratif fédéral (TAF) sur cette même procédure, on peut se demander si l’on parle de la même chose. Vivre Ensemble a déjà évoqué dans ses colonnes le manque d’#accès_aux_soins (https://asile.ch/2019/07/29/procedures-accelerees-et-acces-aux-soins-lequation-impossible-soins-dans-la-no) et de prise en compte de l’état de #santé (https://asile.ch/2019/07/29/procedures-accelerees-et-acces-aux-soins-lequation-impossible-prise-en-conside) dans la décision d’asile ayant motivé le TAF à renvoyer sa copie au SEM [2]. À ce jour, quelque 37 jugements ne concernant que la Suisse romande, et dont le plus récent date de janvier 2020, montrent des défaillances systémiques dans le dispositif de santé mis en place. Mais ce n’est pas tout. L’instance de recours a rendu de nombreux autres arrêts édifiants sur la (très piètre) qualité de l’établissement des faits et des mesures d’instruction effectué par le SEM dans les centres fédéraux. Toutes ces décisions négatives cassées par le TAF auraient pu avoir des conséquences graves pour les personnes concernées dont la vie et l’intégrité sont en jeu. Et elles ne sont que la pointe de l’iceberg.

    Pour rappel, la nouvelle procédure d’asile – ou restructuration – entrée en force en mars 2019 a été conçue pour « accélérer » l’examen des demandes d’asile en imposant une cadence très rapide pour les cas considérés comme « simples ». Les délais pour faire recours contre une décision sont raccourcis de 30 à 7 jours ouvrables ; une représentation juridique gratuite est garantie pour contre-balancer ce raccourcissement des délais que justifierait la non-complexité des cas.

    À l’élaboration du projet de loi, le SEM évaluait le taux de ces cas dits « simples » à 20%. Parmi les 80% restants, il estimait à 40% la proportion de procédures Dublin (également traitées de façon accélérée dans les centres fédéraux) et à 40 % le taux de cas dits « complexes » affectés en procédure étendue. Dans ce dernier cas, les demandeurs d’asile sont attribués aux cantons. La procédure accélérée et les procédures Dublin sont entièrement menées dans les centres fédéraux, dont il a fallu augmenter la capacité.

    Liquider plutôt qu’investiguer

    Logiquement – et légalement – la répartition entre procédure accélérée et étendue devrait découler de l’appréciation de la situation individuelle des personnes en quête de protection par le fonctionnaire du SEM en charge de leur requête. La différenciation entre cas « simples » (manifestement fondés ou infondés) et cas « complexes » devrait dépendre de l’évaluation des démarches supplémentaires à mener au terme de la première audition sur les motifs d’asile pour pouvoir prendre une décision motivée : audition complète, vérification des allégations du requérant par l’obtention de documents, la recherche d’informations sur les pays, auprès des ambassades à l’étranger, problématique médicale à éclaircir, etc.

    Des dizaines d’arrêts cassés par le TAF en Suisse romande

    Or ce que montrent plus d’une quinzaine d’arrêts du TAF, c’est que les fonctionnaires ont préféré liquider – par décision négative – des situations qui auraient à l’évidence dû être transférées en procédure étendue pour examen approfondi [3]. Et les juges de rappeler que « les nouveaux délais de procédure ne dispensent pas le SEM d’établir les faits de manière complète et correcte », car, soulignent-ils, « l’examen d’un cas complexe en procédure accélérée induit un risque de violation des garanties procédurales » (E-3447/2019 du 13.11.2019). Les juges ajoutent à l’intention du SEM quelques illustrations de cas justifiant le passage en procédure étendue, notamment la production de nombreux moyens de preuve ou la tenue de plusieurs auditions.

    Cette remise à l’ordre s’ajoute à de nombreux arrêts cassant les décisions du SEM pour établissement des faits incomplet et violation du droit d’être entendu (voir exemples en encadré ci-dessous).

    Le SEM a eu plus de 5 ans pour tester les procédures

    Comme il n’a cessé de le faire dans ses réponses à la presse face aux dysfonctionnements de prise en charge médicale révélés par la jurisprudence du TAF, le SEM se justifiera sans doute par des erreurs de jeunesse. Sachant qu’il a eu plus de 5 ans pour « tester » ces nouvelles procédures avant leur entrée en vigueur dans toute la Suisse [4], on retoquera sèchement cette excuse.

    D’une part en raison des enjeux inhérents à une mauvaise décision d’asile, à savoir le risque d’un renvoi vers un pays où la vie et l’intégrité sont menacés. Ensuite parce que l’on sait que du fait justement de l’accélération des procédures, de nombreuses décisions ne sont pas contestées, la représentation juridique mandatée par le SEM, surchargée, renonçant à recourir dans les cas qu’ils jugent dénués de chance d’aboutir ou à entamer des recherches supplémentaires. À l’aéroport de Genève, on a récemment vu un homme gagner seul devant le TAF : les avocats de Caritas Suisse avaient renoncé à faire recours [5] !

    Accélération ou… allongement des procédures ?

    Une justification retoquée, enfin, parce que parallèlement, Monsieur Gattiker, haut responsable du SEM et de ces dysfonctionnements, fanfaronne dans la presse sur le succès de la procédure accélérée. Selon l’ats, « Mario Gattiker se dit ‹ très satisfait › de la mise en œuvre de la nouvelle loi sur l’asile. Il faut en moyenne 48 jours au SEM pour statuer sur une demande. Et seules 18% des demandes d’asile sont traitées dans le cadre d’une procédure élargie en raison de nécessaires clarifications complexes. Les procédures accélérées doivent prendre moins de 50 jours, celles élargies moins de 100. » [6]

    À coup sûr que dans son calcul, il ne tient pas compte de l’allongement des procédures dues à ces décisions bâclées, qui font l’objet d’un recours, et sont ensuite renvoyées par le TAF au SEM pour nouvelle décision…

    DISPOSITIF SANTé EN CAUSE

    Gros point noir de cette nouvelle procédure, le dispositif santé a fait l’objet d’une quarantaine d’arrêts du TAF rien que pour la Suisse romande depuis le lancement de la phase pilote à Boudry, le dernier datant de janvier 2020*. Il cristallise la problématique de l’établissement des faits et des mesures d’instruction dans le cadre de la procédure accélérée et demeure largement d’actualité.

    En effet, au centre fédéral de Boudry, l’interdiction faite aux défenseurs juridiques des requérants d’asile d’avoir des contacts directs avec les médecins du centre médical privé sous mandat du SEM a pour conséquence des dossiers sur l’asile incomplets. Et des décisions ne tenant pas compte de l’état de santé pouvant attester des allégations à l’appui de la demande d’asile ou de vulnérabilités prépondérantes dans les procédures Dublin. La seule communication admise par le SEM est l’envoi par les médecins via email d’un formulaire médical très succinct au mandataire. Transmission qui a parfois connu des ratés, le mandataire se trouvant sans informations médicales parfois déterminantes pour attester des motifs d’asile. Si le mandataire souhaite des informations médicales supplémentaires, il doit passer par le SEM pour demander un rapport détaillé aux médecins. Rapport que le SEM peut arbitrairement décider de ne pas lui transmettre, les médecins privés n’ayant de leur côté pas le droit de l’adresser aux défenseurs juridiques !

    Par ailleurs, l’accès aux médecins du centre médical est très difficile pour les demandeurs d’asile : l’infirmerie de Boudry joue un rôle de filtre. Et lorsque les personnes sont transférées au centre fédéral de Chevrilles, le suivi médical est rendu encore plus difficile. Un système qui fonctionne donc en huis clos sous contrôle total du SEM.

    *Le concept médical santé à l’œuvre en Suisse romande est détaillé dans les arrêts D-1954/2019 du 13 mai 2019 et E-3262/2019 du 4 juillet 2019.

    Arrêts illustrant l’inadéquation de la procédure accélérée en raison de la complexité du cas

    Couple iranien dont l’épouse s’est convertie au christianisme. Elle a été accusée d’atteinte à l’ordre public et aux mœurs religieuses, emprisonnée et est dans l’attente de son procès. Elle a en outre subi une agression de la part d’un cousin en raison de sa conversion. Le TAF souligne que, contrairement à l’appréciation du SEM, le récit des recourants est crédible, étayé et vraisemblable sur ses aspects fondamentaux. Le TAF relève que l’examen des points fondamentaux est totalement absent des PV d’auditions et que le SEM place des exigences trop élevées en se basant sur le niveau d’éducation des recourants. Il indique par ailleurs que compte tenu des délais légaux pour obtenir des documents depuis l’étranger ou commanditer une enquête en ambassade, il aurait convenu de traiter la demande en procédure étendue.Les nouveaux délais induits par la nouvelle procédure ne dispensent pas le SEM d’établir les faits de manière complète et exacte. Recours admis.
    ATAF D-3503/2019 du 24.07.2019

    Cas d’un ressortissant du Nigéria alléguant des persécutions en lien avec son homosexualité. Le TAF relève que le SEM n’a pas laissé l’opportunité au recourant d’obtenir et de produire des moyens de preuve. Il n’a pas examiné les allégations en tenant compte de la situation au Nigéria. La décision rendue par le SEM découle principalement de pures spéculations. Rappelant que le choix du type de procédure dépend uniquement de l’autorité de première instance, le TAF souligne que la procédure en question était trop complexe pour être menée en procédure accélérée. Or, le traitement de dossiers complexes dans le cadre de la procédure accélérée, qui, par définition, ne permet pas la tenue d’audition longues et l’appréciation de plusieurs éléments de preuve complexes, n’est pas approprié. En effet, une telle approche comporte le risque d’une violation des garanties procédurales des demandeurs d’asile. Recours admis pour établissement incomplet des faits et violation du droit d’être entendu.
    ATAF E-2965/2019 du 28.06.2019

    https://asile.ch/2020/02/06/fact-checking-les-rates-de-lacceleration-des-procedures

    #accélération_des_procédures #asile #migrations #réfugiés #Suisse #TAF #procédures_accélérées #centre_fédéral #centres_fédéraux #procédure_d'asile #procédure_étendue #cas_simple #cas_complexe #SEM #TAF #accès_aux_soins #Boudry

  • Procédures accélérées et accès aux soins. L’équation impossible ? | Prise en considération de l’état de santé : des procédures bâclées
    https://asile.ch/2019/07/29/procedures-accelerees-et-acces-aux-soins-lequation-impossible-prise-en-conside

    Depuis le mois d’août 2018, dans le cadre de la nouvelle procédure d’asile, le Tribunal administratif fédéral (TAF) a renvoyé une dizaine d’affaires au Secrétariat d’État aux migrations (SEM) pour compléments d’instruction[1]. En cause : une prise en compte insuffisante de l’état de santé des requérant.e.s et des manquements dans l’encadrement médical des centres fédéraux […]

  • EASO | La situation de l’asile dans l’UE en 2018
    https://asile.ch/2019/06/25/easo-la-situation-de-lasile-dans-lue-en-2018

    Le rapport annuel de l’EASO sur la situation en matière d’asile dans l’Union européenne en 2018 offre une vue d’ensemble complète des évolutions dans le domaine de la protection internationale à l’échelle européenne et au niveau des régimes d’asile nationaux. À partir d’un large éventail de sources, le rapport examine les principales tendances statistiques et […]

  • AIDA 2016 Update : Greece

    The updated country report on Greece provides a thorough analysis of the transformation of the Greek asylum system in the light of the closure of the Western Balkan route and the EU-Turkey statement. The report offers detailed statistics and practical insights into the workings of the asylum procedure, reception and detention of asylum seekers, as well as content of international protection.

    Substantial asylum reforms, many of which driven by the implementation of the EU-Turkey statement, took place in 2016. Law (L) 4375/2016, adopted in April 2016 and transposing the recast Asylum Procedures Directive into Greek law, was subsequently amended in June 2016 and March 2017, while a draft law transposing the recast Reception Conditions Directive has not been adopted yet.

    The impact of the EU-Turkey statement has been a de facto divide in the asylum procedures applied in Greece. Asylum seekers arriving after 20 March 2016 are subject to a fast-track border procedure and excluded from relocation in practice.

    Fast-track border procedure: One of the main modifications brought about by L 4375/2016 has been the establishment of an extremely truncated fast-track border procedure, applicable in exceptional cases. As underlined the fast-track procedure under derogation provisions in Law 4375/2016 does not provide adequate safeguards. In practice, fast-track border procedure applies to arrivals after 20 March 2016 and takes place in the Reception and Identification Centres (RIC) of Lesvos, Chios, Samos, Leros and Kos. Under the fast-track border procedure, which does not apply to Dublin family cases and vulnerable cases, interviews are also conducted by EASO staff, while the entire procedure at first and second instance has to be completed within 14 days. The procedure has predominantly taken the form of an admissibility procedure to examine whether applications may be dismissed on the ground that Turkey is a “safe third country” or a “first country of asylum”; although these concepts already existed in Greek law, they have only been applied following the EU-Turkey statement. The admissibility procedure started being applied to Syrian nationals in April 2016 and was only applied to other nationalities with a rate over 25% (e.g. Afghans, Iraqis) since the beginning of 2017. In the meantime, for nationalities with a rate below 25%, the procedure entails an examination of the application on the merits without prior admissibility assessment as of July 2016. A Joint Action Plan of the EU Coordinator on the implementation of certain provisions of the EU-Turkey statement recommends that Dublin family reunification cases be included in the fast-track border procedure and vulnerable cases be examined under an admissibility procedure.

    Appeals Committees reform: The composition of the Appeals Committees competent for examining appeals was modified by a June 2016 amendment to the April 2016 law, following reported EU pressure on Greece to respond to an overwhelming majority of decisions rebutting the presumption that Turkey is a “safe third country” or “first country of asylum” for asylum seekers. The June 2016 reform also deleted a previous possibility for the appellant to obtain an oral hearing before the Appeals Committees upon request. Applications for annulment have been submitted before the Council of State, invoking inter alia issues with regard to the constitutionality of the amendment. A recent reform in March 2017 enabled EASO staff to assist the Appeals Committees in the examination of appeals, despite criticism from civil society organisations. Since the operation of the (new) Appeals Committees on 21 July and until 31 December 2016, the recognition rate of international protection is no more than 0.4%. This may be an alarming finding as to the operation of an efficient and fair asylum procedure in Greece. Respectively, by 19 February 2017, 21 decisions on admissibility had been issued by the new Appeals Committees. As far as GCR is aware, all 21 decisions of the new Appeals Committees have confirmed the first-instance inadmissibility decision.

    Reception capacity: Despite the commitment of the Greek authorities to meet a target of 2,500 reception places dedicated to asylum seekers under the coordination of the National Centre for Social Solidarity (EKKA) by the end of 2014, this number has not been reached to date. As of January 2017, a total 1,896 places were available in 64 reception facilities mainly run by NGOs, out of which 1,312 are dedicated to unaccompanied children. As of 13 January 2017, 1,312 unaccompanied children were accommodated in long-term and transit shelters, while 1,301 unaccompanied children were waiting for a place. Out of the unaccompanied children on the waitlist, 277 were in closed reception facilities (RIC) and 18 detained in police stations under “protective custody”. A number of 20,000 accommodation places were gradually made available under a UNHCR accommodation scheme dedicated initially to relocation candidates and since July 2016 extended also to Dublin family reunification candidates and applicants belonging to vulnerable groups.

    Temporary accommodation sites: A number of temporary accommodation places were created on the mainland in order to address the pressing needs created after the imposition of border restrictions. However, the majority of these places consists of encampments and the conditions in temporary facilities on the mainland have been sharply criticised, as of the widely varying and often inadequate standards prevailing, both in terms of material conditions and security.

    Automatic detention policy: Following a change of policy announced at the beginning of 2015, the numbers of detained people have been reduced significantly during 2015. The launch of the implementation of the EU-Turkey Statement has had an important impact on detention, resulting in a significant toughening of detention policy and the establishment of blanket detention of all newly arrived third-country nationals after 20 March 2016, followed by the imposition of an obligation to remain on the island, known as “geographical restriction”.

    Detention on “law-breaking conduct” grounds: A Police Circular issued on 18 June 2016 provided that third-country nationals residing on the islands with “law-breaking conduct” (παραβατική συμπεριφορά), will be transferred, on the basis of a decision of the local Director of the Police, approved by the Directorate of the Police, to pre-removal detention centers in the mainland where they will remain detained. Serious objections as raised as to whether in this case the administrative measure of immigration detention is used with a view to circumventing procedural safeguards established by criminal law. Moreover, GCR findings on-site do not confirm allegations of “law-breaking conduct” in the vast majority of the cases. A total 1,626 people had been transferred to mainland detention centres by the end of 2016.

    Humanitarian status for old procedure backlog: Article 22 L 4375/2016 provides that appellants who have lodged their asylum applications up to five years before the entry into force of L 4375/2016 (3 April 2016), and their examination is pending before the Backlog Committees, shall be granted a two-years residence status on humanitarian grounds, which can be renewed. Appellants granted with residence status on humanitarian grounds have the right to ask within two months from the notification of the decision for their asylum application to be examined in view of fulfilling the requirements international protection. Under Article 22 L 4375/2016, a total 4,935 decisions granting humanitarian residence permits have been issued by the end of 2016.


    http://www.asylumineurope.org/news/28-03-2017/aida-2016-update-greece
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  • Italy curtails appeal rights and expands rebranded detention centres

    On 10 February, the Italian Council of Ministers adopted a law that foresees the acceleration of asylum procedures and returns, following heavily criticised plans set out in the second half of 2016. The Decree Law is only provisionally binding until it is voted on in the Parliament.

    The new law creates specialised immigration chambers to hear asylum appeals. These chambers are established in 14 courts (Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Florence, Lecce, Milan, Palermo, Rome, Naples, Torino and Venice), and are competent to decide on asylum appeal cases under a single judge. The reform also limits the possibility to be heard in such appeals: asylum appeal procedures are to be accelerated, as a decision by the specialised chamber must be taken within four months instead of six, and the decision can no longer be appealed to the Court of Appeal.

    http://www.ecre.org/italy-curtails-appeal-rights-and-expands-rebranded-detention-centres
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  • ForumAsile | La phase test de procédure d’asile accélérée n’a pas permis d’intégrer plus rapidement les réfugiés en Suisse
    http://asile.ch/2016/04/08/forumasile-la-phase-test-de-procedure-dasile-acceleree-na-pas-permis-dintegrer

    D’un point de vue humanitaire, la phase test de procédure accélérée n’a pas été satisfaisante. Elle a laissé en suspend les demandes de personnes qui ont subi des horreurs dans leur pays d’origine alors que ce sont eux qui méritaient une attention particulière et qui devaient être rassurés sur leur avenir en Suisse.