• Ventimiglia: migranti in ostaggio tra confini militarizzati e nuovi cpr

    La Francia si blinda e Ventimiglia rischia di essere al centro di un nuovo scontro europeo sulla gestione dei flussi migratori.

    Sono ormai giorni che, in nome dell’ “emergenza migranti”, le autorità francesi mantengono un massiccio dispiegamento di mezzi antiterrorismo in frontiera, effettuando controlli sempre più stringenti anche in val Roya, nelle zone collinari a cavallo tra Italia e Francia, sulle principali linee ferroviarie e sui sentieri che connettono i due Paesi a sud-est.

    Una situazione sempre più complessa e gravosa per le persone migranti che cercano di lasciare l’Italia e, al momento, bloccate nella cittadina ligure.
    La partita europea sulla gestione dei flussi migratori continua a esser giocata sulla loro pelle e, in questo quadro, difficile prevedere le conseguenze dirette e indiretta della recente bocciatura dei respingimenti eseguiti dalla Francia sulle frontiere interne da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

    A complicare il quadro, l’inizio dei lavori per la realizzazione di un Centro di Identificazione per Migranti sul versante francese della frontiera di #Ponte_San_Ludovico e l’annuncio del Ministro Pientedosi circa la possibile realizzazione, proprio a Ventimiglia, di uno dei nuovi Centri di Permanenza per il Rimpatrio previsti dal #Decreto_Legge_Sud.

    https://www.osservatoriorepressione.info/processano-riace-vogliono-carceri-innocenti

    Interview audio avec Gregorio de #Progetto_20k:
    https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/09/Gregorio-progetto-20k-xxmiglia.mp3


    #CPR #détention_administrative #Centro_di_permanenza_per_rimpatri #centre_d'identification #migrations #asile #réfugiés #frontières #Alpes_Maritimes #Alpes

    voir aussi ce fil de discussion sur la militarisation de la frontière italo-française à #Vintimille (automne 2023):
    https://seenthis.net/messages/1018121

    • Je poste ici des citations tirées de ce texte d’un texte de Fulvio Vassallo Paleologo, en mettant en avant les parties consacrées à la construction de nouveaux centres d’identification (et détention/rétention) dans les zones de frontière prévus dans les nouveaux décrets italiens :

      Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

      Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR (https://www.openpolis.it/aumentano-i-fondi-per-la-detenzione-dei-migranti) e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera (https://pagellapolitica.it/articoli/meloni-errori-centri-rimpatri-blocco-navale), meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “#Decreto_Cutro”: https://www.a-dif.org/2023/05/06/il-decreto-cutro-in-gazzetta-ufficiale-con-la-firma-del-viminale) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

      (...)

      Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa (https://www.laverita.info/valenti-sbarchi-governo-2663754145.html), al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg) che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana (https://altreconomia.it/ors-ekene-engel-badia-grande-le-regine-dellaffare-milionario-dei-cpr). Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

      I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi (https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_settembre_20/nuovi-cpr-dalla-valle-d-aosta-alla-calabria-dove-saranno-e-chi-dovra-a) che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

      La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre (https://www.regione.sicilia.it/istituzioni/servizi-informativi/decreti-e-direttive/ampliamento-hotspot-pozzallo-l-attivazione-centro-incremento-accogli), per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

      (...)

      L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera (https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-procedure-accelerate-lo-svilimento-del-diritto-di-asilo_), soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
      In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

      https://seenthis.net/messages/1018938

      #décret_Cutro #decreto_Sud #rétention #détention_administrative #Italie #France #frontières #pays_d'origine_sure #pays_sûrs #frontière_sud-alpine #procédure_accélérée #procédures_accélérées #tri #catégorisation

    • Le nuove procedure accelerate : lo svilimento del diritto di asilo

      –-> un texte juridique qui date du 3 novembre 2019, mais qui explique différents éléments des procédures à la frontière

      Numerose sono le deroghe alle procedure ordinarie, sia amministrative sia giurisdizionali, applicabili alle domande di protezione internazionale nelle articolate ipotesi introdotte dal dl 113/2018. L’analisi delle nuove disposizioni rivela profili di incompatibilità sia con la cd. direttiva procedure sia con il diritto di asilo costituzionale

      Premessa

      Il dl 113/18 (cd. Decreto Salvini 1, convertito in l. 132/18) ha profondamente inciso nella configurazione del diritto di asilo in Italia, anche tramite la riforma delle procedure accelerate.

      L’istituto è poco conosciuto e la riforma del dl113/18 su questo aspetto decisamente sottovalutata dagli analisti. Eppure, si tratta di un complesso di norme congegnate in modo tale da svuotare di significato il diritto di asilo, mantenendone l’impalcatura ma di fatto rendendo estremamente difficile il suo reale esercizio.

      Il dl113/18 in gran parte utilizza i margini lasciati aperti dal legislatore europeo con la direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE)[1], e in parte va oltre, introducendo norme in contrasto con il diritto europeo la cui legittimità dovrà essere valutata in un prossimo futuro dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte costituzionale[2]. Al contempo, per cogliere il significato pratico di questa parte di riforma, è necessario considerare anche la modifica di alcuni altri istituti, quale la detenzione a fini identificativi, anch’essa introdotta dal dl113/18 e la nuova configurazione della domanda reiterata.

      Secondo la direttiva procedure[3] e la normativa italiana, essere sottoposti ad una procedura accelerata significa subire una contrazione significativa del proprio diritto di difesa, e non solo. Come è noto, in caso di diniego a seguito di una procedura accelerata, il termine per l’impugnazione è (quasi sempre) dimezzato e il ricorso perde il suo effetto sospensivo automatico (in differente misura, come si dirà in seguito). Ma non basta. In caso di procedure accelerate, l’esame della domanda di asilo viene svolto in tempi molto rapidi (di norma sette o quattordici giorni prorogabili alle condizioni di cui all’art. 28-bis comma 3 del d.lgs. 25/2008) e in molte circostanze ciò accade al momento dell’arrivo in Italia, ossia nei luoghi di frontiera e in condizioni di trattenimento. Il richiedente asilo, in questa fase, si trova presumibilmente in una situazione di isolamento sociale, non avendo contatti con le organizzazioni e con gli operatori che svolgono attività di informazione e preparazione all’intervista presso la Commissione territoriale. Eccezion fatta per la possibile presenza in zona di frontiera dell’Unhcr, che su incarico del Ministero dell’Interno fornisce informative generali al momento dell’arrivo, che in nessun modo possono considerarsi realmente propedeutiche alla preparazione del richiedente asilo all’intervista in Commissione. Si tratta di una evoluzione del c.d. approccio hotspot, indebitamente introdotto di fatto e non di diritto dal Ministero dell’interno nell’autunno del 2015 su insistenza della Commissione UE, che ne richiese a gran voce il suo utilizzo con l’agenda UE sulle migrazioni del maggio 2015[4]. L’approccio hotspot viene introdotto come una tecnica di fatto per distinguere i richiedenti asilo dai c.d. presunti migranti economici, mantenendo una postazione di garanzia generale affidata alle Nazioni Unite e ad alcune Ong, su incarico e finanziamento ministeriale, che potessero formalmente garantire il diritto ad essere informati, alle forze di polizia di i cittadini stranieri, immediatamente dopo lo sbarco, quali richiedenti asilo o come migranti economici irregolari e sottoponibili a un respingimento differito o ad una espulsione[5]. Il dl113/18 completa il quadro. Introduce per la prima volta le procedure di frontiera, la nozione di paesi di origine sicuri e il trattenimento a fini identificativi in frontiera, amplia le ipotesi di manifesta infondatezza e riporta il tutto nell’ambito delle procedure accelerate.

      1. Il trattenimento a scopo identificativo del richiedente asilo

      In tale direzione, l’art.3 del dl 113/18 anzitutto introduce, per la prima volta in Italia, la figura del trattenimento a scopo identificativo del richiedente asilo (art. 6 comma 3-bis, d.lgs. 142/15), che potrà essere trattenuto in una struttura di cui all’art. 10 ter d.lgs 286/98 (i c.d. hotspot e la prima accoglienza, ossia i cd. hub) fino a 30 giorni e successivamente fino a 180 gg in un Cpr, ogniqualvolta si renda necessario verificarne o determinarne l’identità o la cittadinanza: dicitura pericolosamente ampia che di fatto potrebbe investire la totalità dei nuovi arrivi in Italia[6]. Il richiedente asilo, quindi, al suo arrivo in Italia può essere trattenuto in una struttura di frontiera o di primissima accoglienza per un tempo sufficiente per essere sentito dalla Commissione territoriale e per ricevere la notifica dell’eventuale diniego. Potrà in seguito essere poi trattenuto in un Cpr per un lasso di tempo di altri 5 mesi, che saranno di norma sufficienti ad arrivare ad un diniego con procedura accelerata con eventuale rigetto della richiesta di sospensiva contenuta nel ricorso. Il richiedente quindi resterebbe in una condizione di grande isolamento, dovrebbe preparare la Commissione in tempi strettissimi e senza un reale sostegno. Inoltre, lo stesso richiedente asilo si troverebbe a disposizione delle Forze di polizia in caso di diniego e per un eventuale rimpatrio forzato.

      In ogni caso, il dl113/18 chiarisce che tutti i richiedenti asilo trattenuti anche solo a fini identificativi saranno sottoposti a procedura accelerata (ai sensi dell’art. 28-bis comma 1 che richiama l’art. 28 comma 1 lett. c) e dunque saranno sentiti dalla Commissione entro 7 giorni dall’invio degli atti da parte della Questura (che provvede “immediatamente” dopo la domanda di asilo). I richiedenti asilo trattenuti riceveranno la risposta nei successivi due giorni e in caso di diniego avranno il diritto di restare in Italia per la presentazione del ricorso (entro 15 giorni) e – in caso di richiesta di sospensiva – fino a quando il Tribunale non avrà respinto tale richiesta (in via definitiva, ossia dopo le eventuali repliche del difensore ai sensi dell’art. 35-bis comma 4 d.lgs. 25/08). La decisione del giudice viene adottata inaudita altera parte, sulla base delle motivazioni trasfuse nel ricorso dal difensore, che ha avuto solo 15 giorni per apprestare la difesa con il suo assistito trattenuto (in un c.d. hotspot o in un Cpr) sin dal suo arrivo in Italia, con presumibile carenza di strumenti comunicativi e limitata cognizione degli elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale in Italia.

      Il trattenimento a scopo identificativo appare in chiaro contrasto con gli artt. 13 e 3 della Costituzione italiana, che delineano una disciplina rigorosa della privazione della libertà solo come extrema ratio e in condizioni di parità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani. Tuttavia, la Consulta non ha ancora avuto modo di valutarne la legittimità, in quanto, non essendo ancora mai stati adottati decreti di trattenimento a fini identificativi, la questione di legittimità costituzionale non è stata sollevata. Tuttavia, stante le denunce pubbliche e i ricorsi alla Corte EDU[7], appare molto probabile che il Ministero degli Interni stia ancora ricorrendo al trattenimento di fatto sine titulo dei cittadini stranieri appena giunti in Italia, secondo l’ormai noto schema dell’approccio hotspot: la persona straniera viene trattenuta senza alcun provvedimento nell’hotspot per il tempo necessario a sottoporlo al c.d. foglio notizie e al foto-segnalamento. Con il foglio notizie, come ormai di dominio pubblico[8], il cittadino straniero viene guidato ad autodefinirsi o come richiedente o come migrante economico irregolare e in quest’ultimo caso sottoposto a respingimento differito previo eventuale trattenimento in Cpr.

      2. Le procedure di frontiera

      L’art. 9 del dl 113/18 introduce, anche in questo caso per la prima volta in Italia, la procedura di frontiera, aggiungendo due nuovi commi all’art. 28-bis del d.lgs 25/2008, la norma che si occupa delle procedure accelerate. Più esattamente, il comma 1-ter, secondo cui la procedura accelerata – già vista per i casi di domanda di asilo presentata da richiedenti asilo trattenuti – si applica anche al richiedente che “presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (…) dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (…)” e “nei casi di cui all’art. 28, comma 1, lettera c-ter” (ossia nei casi di cittadino proveniente da paese di origine sicuro) . In tali casi la procedura, “può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”. Mentre, il comma 1-quater specifica che “(…) le zone di frontiera o di transito sono individuate con decreto del Ministro dell’interno. Con il medesimo decreto possono essere istituite fino a cinque ulteriori sezioni delle Commissioni territoriali (…) per l’esame delle domande di cui al medesimo comma 1-ter.”. Quindi, ai sensi della nuova norma, chi presenta la domanda in frontiera o nelle zone di transito viene sottoposto a procedura accelerata (7 gg + 2 gg) ogni qualvolta sia stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera oppure provenga da uno Stato dichiarato dall’Italia come paese di origine sicuro (come meglio si dirà nel prosieguo). In entrambi i casi, si tratta di una domanda presentata in frontiera o zone di transito.

      Il ricorso avverso il rigetto della Commissione anche in questo caso non ha effetto sospensivo automatico (art. 35-bis comma 3 lett. d), e può essere presentato entro 30 giorni (e non 15) dalla relativa notifica, stante la nuova formulazione dell’art. 35-bis comma 2.

      Diviene, anzitutto, fondamentale interpretare correttamente la nozione di elusione delle frontiere. Se la si intende come violazione delle norme di ingresso, la quasi totalità dei richiedenti asilo rientrerà nel suo ambito (essendo per lo più privi di passaporto o di visto di ingresso)[9] . Viceversa, si ritiene che debba interpretarsi secondo l’accezione principale del verbo eludere, ossia “Sfuggire, evitare con astuzia o destrezza”[10], limitando quindi l’applicazione della legge ai soli casi in cui il richiedente non si presenti spontaneamente ai controlli di frontiera (o perfino richiedendo il soccorso) ma venga bloccato quando è in atto un tentativo strutturato di superarli furtivamente.

      In secondo luogo, appare decisiva una corretta delimitazione della nozione di frontiera e zona di transito, per evitare una applicazione indebita della nuova forma di procedura accelerata. Per frontiera deve intendersi necessariamente il luogo di prossimità fisica con il confine territoriale con un territorio non europeo. Tipicamente Lampedusa, ma anche altre parti del sud Italia in caso di sbarco diretto dal mare al porto interessato (meno di frequente, ma sono registrati molti casi in Sicilia, Calabria, Puglia, etc.). Per zone di transito, anche più semplicemente, si devono intendere gli aeroporti e i porti internazionali, dove per convenzione esistono dei passaggi dal vettore aereo o marino al territorio italiano che rappresentano di fatto una frontiera virtuale, perché immettono la persona proveniente da paese extra Schengen in territorio italiano. Non possono essere considerate frontiere o zone di transito i confini con i paesi europei e tanto meno i luoghi non immediatamente prossimi, dove le persone soccorse o bloccate vengono condotte per ragioni logistiche. Dovrà, quindi, in gran parte ritenersi illegittimo il decreto ministeriale[11] emanato nelle scorse settimane ai sensi dell’art. 28-bis comma 1-quater che individua le zone di frontiera in numerose città del centro sud che non sono affatto interessate da arrivi diretti (se non eventualmente negli aeroporti) da zone extra Schengen, ma al contrario sono sedi di accoglienze o Cpr in cui vengono condotti i richiedenti asilo giunti in frontiere molto distanti[12]. Il decreto, a titolo esemplificativo, individua come zona di frontiera la città di Messina, che di certo non è interessata da arrivi diretti di cittadini non comunitari, ma al contrario è la sede di un cd. hotspot dove vengono condotti i cittadini stranieri giunti a Lampedusa[13]. L’intenzione del legislatore europeo di intendere in senso proprio le zone di frontiera come quelle che fisicamente confinano con una zona extra Schengen si evince tra l’altro dall’art. 43, par. 3, direttiva 2013/32 UE (Procedure di frontiera) che recita significativamente “Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito”. Il legislatore UE considera, pertanto, eccezionale l’ipotesi di utilizzo, ai fini delle procedure di frontiera, di un luogo diverso da quello dell’arrivo; anche in questo caso (eccezionale afflusso) prevede, comunque, che si tratti di un luogo collocato nelle immediate vicinanze, cosa che non può dirsi, a scopo esemplificativo, per il cd. hotspot di Messina rispetto alle persone che sbarcano a Lampedusa.

      La procedura di frontiera, dunque, consiste in una procedura accelerata che viene applicata da Commissioni ad hoc in zona di frontiera a chi vi è giunto direttamente da un paese extra Schengen con l’intenzione di sottrarsi dolosamente ai controlli di frontiera[14] (o proviene da un paese di origine sicuro). Questa appare l’interpretazione più consona dei commi 1-ter e 1-quater introdotti dal dl 113/2019, che tuttavia anche in questa lettura appaiono contrari alla direttiva 2013/32/UE. Quest’ultima, infatti, nel combinato disposto degli artt. 43 e 31, par. 8, delineano un sistema di procedure accelerate e procedure di frontiera con l’indicazione di una serie di ipotesi tassative non suscettibili di ampliamenti[15]. Il legislatore europeo è ben consapevole che tali procedure contraggono in modo radicale i diritti dei richiedenti asilo e ne evidenza in modo chiaro il carattere eccezionale, non derogabile. Viceversa, il legislatore italiano con il dl 113/18 sancisce che le procedure di frontiera siano applicate ai richiedenti fermati in frontiera che eludono o cercano di eludere i valichi, ossia in un caso non incluso nella lista tassativa delle ipotesi di procedure accelerate e di frontiera di cui all’art. 31, par. 8, direttiva 2013/32/UE. Sarà dunque possibile disapplicare la norma nazionale posto che quest’ultima disposizione della direttiva procedure è suscettibile di produrre effetti diretti. A tal fine è possibile, sebbene non sia necessario, sollevare una questione pregiudiziale all’interno di un procedimento art. 35-bis d.lgs 25/08 e attendere una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia.

      3. I Paesi di origine sicuri

      Un’altra novità del dl 113/2018 (introdotta in sede di conversione), con enormi potenzialità, è rappresentata dall’art. 7-bis (trasfuso nell’art. 2-bis al d.lgs 25/08) che introduce per la prima volta il concetto di Paesi di origine sicuri.

      Il 4 ottobre 2019 il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Giustizia hanno presentato in conferenza stampa il decreto contenente una lista di 13 paesi di origine sicuri.

      Attraverso l’introduzione dell’art. 2-bis al decreto 25/2008 (cd. Decreto procedure), la norma ha previsto infatti la possibilità per il Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’interno, di adottare con decreto interministeriale un elenco di paesi di origine sicuri in base ai criteri stabiliti nei commi successivi del medesimo articolo.

      L’introduzione di tale concetto ha potenzialità rivoluzionarie dell’attuale sistema di tutela, comportando un estremo svilimento dell’asilo che passa attraverso lo slittamento della protezione da un piano individuale a un piano collettivo e attuando, attraverso la previsione – come si vedrà, piuttosto confusa – di una procedura estremamente restrittiva delle garanzie del richiedente protezione, uno svuotamento di fatto della possibilità di accedere alla protezione.

      Per quanto riguarda criteri e modalità di valutazione, si prevede (art. 2-bis cc. 2, 3 e 4) che uno stato possa essere considerato paese di origine sicuro ove sia possibile dimostrare, in via generale e costante, che, sulla base del suo ordinamento, dell’applicazione della legge in un sistema democratico e della situazione politica generale, non sussistano atti di persecuzione, tortura, trattamenti inumani o degradanti, una situazione di violenza indiscriminata. Per effettuare tale valutazione si tiene conto della misura in cui è offerta protezione contro persecuzioni e maltrattamenti mediante le disposizioni legislative e la loro applicazione, il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nei principali strumenti internazionali di tutela dei diritti umani, il rispetto del principio di non-refoulement, e un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni. Gli strumenti di cui si dota l’esecutivo per la valutazione di tali criteri sono le informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, da Easo, Unhcr, Consiglio di Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

      Il decreto recentemente presentato dai Ministri, tuttavia, si limita a riportare una lista di 13 paesi considerati sicuri, attraverso un riferimento a fonti (non pubbliche) del Ministero degli affari esteri e della Commissione nazionale utilizzate per l’individuazione di tali Stati. Alcuna informazione è contenuta nel Decreto relativamente ai criteri sopra elencati. Non viene inoltre utilizzata la possibilità, contenuta all’art. 2-bis, di escludere determinate parti del territorio o determinate categorie di persone dalla valutazione di sicurezza complessiva che viene fatta del paese.

      Gli stati contenuti in tale lista sono: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.

      È utile rilevare che, trattandosi di una lista determinata da un atto amministrativo (ossia il decreto interministeriale), questa avrà un valore non vincolante per il giudice che in sede di valutazione del ricorso potrà disapplicare il decreto .

      Il paese di origine si considera sicuro per il richiedente che non abbia “invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova” (art. 2-bis). Questa previsione comporta una radicale modifica nel regime probatorio: la sicurezza del paese di origine per il richiedente asilo si presume, e questi è tenuto a invocare i motivi che rendono il paese insicuro per lui, o, secondo quanto stabilito all’articolo 9 c. 2-bis, addirittura, a dimostrare la sussistenza di tali motivi.

      Ciò che qui interessa sono però le conseguenze connesse alla provenienza di un richiedente asilo da un Paese di origine dichiarato sicuro dal sopracitato decreto interministeriale. Il nuovo articolo 28 d.lgs 25/08 lo inserisce fra le ipotesi di esame prioritario (con scarse conseguenze pratiche), ma soprattutto il nuovo art 28-ter, comma 1 lett. b), lo inserisce nell’elenco delle ipotesi in cui la domanda di asilo può essere considerata manifestamente infondata (concetto su cui si tornerà nel prosieguo). A sua volta, l’art. 28-bis d.lgs 25/08 lo annovera tra le ipotesi di procedura accelerata. Più esattamente, il comma 1-bis stabilisce che, in questi casi (richiedente proveniente da Paese di origine sicuro), “la questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni”. Dal tenore letterale, sembrerebbe affermarsi che in queste ipotesi la Commissione operi una valutazione sulla base di quanto dichiarato dal richiedente nella domanda di asilo (modello C3) senza procedere all’audizione.

      Tuttavia, questa interpretazione sarebbe da considerarsi illegittima per chiara contrarietà (tra l’altro) alla direttiva 2013/32/UE, che tassativamente consente di adottare una decisione senza un esame completo della domanda nei soli casi di inammissibilità di cui all’art 33 par. 2, che a sua volta annovera tra le possibilità tassative quella del richiedente proveniente da Paese terzo sicuro di cui all’art. 38, concetto del tutto differente da quello del Paese di origine sicuro di cui agli artt. 36 e 37. Il Paese terzo sicuro è, infatti, una nozione giuridica relativa ai paesi di transito del richiedente asilo e prodromica a un giudizio di ammissibilità che non è stato recepito nel nostro ordinamento. Il concetto di Paese di origine sicuro è, invece, attinente al paese di provenienza del richiedente ed è disciplinato dalla direttiva ai fini di una procedura accelerata, con ordinaria audizione del richiedente.

      Si tratta probabilmente di un errore grossolano del legislatore del dl 113/18, salvo si voglia attribuire un significato compatibile con il diritto UE: quello per cui il nuovo art. 28-bis, comma 1-bis sopra citato, attribuisce alla Commissione – all’interno della procedura accelerata – un termine di 5 giorni invece che di 2 giorni (come al comma 1 sempre dell’art. 28-bis) per adottare la decisione dopo aver effettuato l’audizione del richiedente, che andrebbe convocato presumibilmente nel termine di 7 giorni dalla trasmissione degli atti da parte della questura (come per le ipotesi già analizzata di cui al primo comma dell’art. 28-bis). In definitiva, la specifica procedura accelerata prevista dal comma 1-bis dell’art. 28-bis del dl 25/08 (come modificato dal dl 113/08) o è da considerarsi radicalmente illegittima per contrarietà alla direttiva procedure oppure deve interpretarsi nel senso di prevedere un termine di 7 giorni per la convocazione del richiedente asilo con una nazionalità tra quelle inserite nella lista dei Paesi di origine sicuri e un termine di 5 giorni (invece che 2) per la adozione della decisone da parte della Commissione.

      Inoltre, in caso di diniego della domanda presentata da richiedente che proviene da un Paese di origine sicuro, il termine per la proposizione del ricorso sarà di 15 giorni solo nella ipotesi in cui la domanda di protezione venga dichiarata manifestamente infondata ai sensi dell’art. 28-ter d.lgs 25/08 (che come si dirà più avanti prevede numerose ipotesi, tra cui anche quella del richiedente proveniente da Paese di origine sicuro). Questo poiché l’art. 35-bis, comma 2, nel dimezzare i termini ordinari, non richiama l’art. 28-bis comma 1-bis (quello specifico sui Paesi di origine sicuri) ma il comma 2, che disciplina le ipotesi in cui la Commissione può emanare un diniego con espressa dicitura di manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter (combinato disposto con l’art. 32 comma 1 lett. b-bis), che tra le ipotesi prevede anche il caso di richiedente proveniente da Paese di origine sicuro (ma si tratta evidentemente di una possibilità e non di un automatismo, in quanto anche in questi la domanda potrebbe considerarsi infondata ma non anche manifestamente infondata)[16].

      In termini identici deve risolversi il dubbio interpretativo relativo all’efficacia sospensiva. L’art. 35-bis, comma 3, stabilisce che non è riconosciuta un’efficacia automaticamente sospensiva nei casi espressamente richiamati, tra cui non annovera direttamente quello del Paese di origine sicuro di cui all’art. 28-bis comma 1-bis. Tuttavia, tra le ipotesi contemplate si rinviene quella del diniego per manifesta infondatezza ai sensi del combinato disposto dell’art. 32, comma 1 lett b-bis), e dell’art. 28-ter. Come per il dimezzamento dei termini, dunque, il ricorso avverso il rigetto di una domanda di asilo presentata da un richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non avrà effetto automaticamente sospensivo nella misura in cui il provvedimento della Commissione espressamente rigetti la domanda per manifesta infondatezza.

      Per i casi di diniego di richiedenti provenienti da paesi di origine sicuri, inoltre, il legislatore del dl 113/18 ha contratto ulteriormente il diritto di difesa, stabilendo che il normale obbligo motivazionale in fatto e in diritto previsto in caso di diniego da parte della Commissione Territoriale, sia sostituito da una motivazione che dà “atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso”. Sembrerebbe, quindi, vincolare o quanto meno consentire alla Commissione di rigettare una domanda di asilo con una stereotipata motivazione, priva degli ordinari elementi valutativi e giustificativi. Così intesa, appare evidente la contrarietà della norma agli ordinari parametri costituzionali in tema di motivazione e razionalità degli atti della pubblica amministrazione e agli obblighi motivazionali in fatto e in diritto a cui sono tenuti gli Stati membri in caso di rigetto della domanda di asilo ai sensi dell’art. 11, par. 2, della direttiva 2013/32/UE. D’altro canto, difficilmente della è immaginabile una lettura costituzionalmente orientata che modifichi l’obbligo motivazionale della Commissione in modo compatibile con la Costituzione e con la Direttiva procedure.

      Infine, come accennato nel precedente paragrafo, la provenienza da un paese di origine sicuro è rilevante anche in un’altra ipotesi, ossia quando il richiedente presenta la domanda di asilo in frontiera o in una zona di transito. Se la domanda di asilo è presentata in uno di questi due luoghi, da un richiedente che provenga da un paese di origine dichiarato sicuro, la Commissione territoriale potrà applicare una procedura accelerata e potrà (inoltre ma non necessariamente) svolgerla in frontiera. Si tratta del già esaminato comma 1 ter dell’art. 28-bis (procedure accelerate), che recita. “La procedura di cui al comma 1 [7 gg + 2 gg] si applica anche nel caso in cui il richiedente presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 1-quater (…) nei casi di cui all’articolo 28, comma 1, lettera c-ter). In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”. In queste ipotesi, il ricorso avverso l’eventuale diniego non avrà effetti sospensivi automatici (art. 35-bis comma 3 lett. d “La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto: …avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 28-bis, commi 1-ter …)”[17]. Il termine per l’impugnazione rimarrebbe quello ordinario di 30 giorni. Appare evidente come l’applicazione congiunta delle nuove norme relative alle procedure in frontiera e ai paesi di origine sicuri (tanto più se lasciata a una interpretazione estensiva, come sembra implicare il decreto sulle zone di frontiera o di transito) può condurre a una procedura accelerata svolta in zona di frontiera (in gran fretta e in condizioni di semi-isolamento) di tutti i cittadini che provengono da uno dei paesi dichiarati sicuri (si pensi a tutti i cittadini tunisini che approdano nelle acque siciliane). Con la conseguente massiccia e sistematica contrazione dei diritti di difesa.

      4. La manifesta infondatezza

      Un’altra norma introdotta dal dl 113/18 (art. 7-bis, comma 1 lett. f), in sede di conversione) che potrebbe avere nella pratica un effetto vastissimo è l’art. 28-ter D.lgs 25/08, che prevede una complessa serie di casi di manifesta infondatezza. Precedentemente l’unica ipotesi di manifesta infondatezza era prevista dall’art. 28-bis, tra le ipotesi in cui si poteva applicare una procedura accelerata e di conseguenza giungere ad un eventuale rigetto per manifesta infondatezza. Si trattava dell’ipotesi in cui il richiedente aveva sollevato “esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale”. Era già avvertita come norma insidiosa, tanto è vero che la Commissione Nazionale nella circolare del 30.07.2015[18] aveva precisato come, per giungere a un rigetto per manifesta infondatezza, fosse necessario che la decisione collegiale della Commissione territoriale fosse stata adottata all’unanimità, che non riguardasse categorie vulnerabili (di cui all’art. 17 d.lgs 142/15) e che non fosse stata espletata una valutazione sull’attendibilità del richiedente, in quanto relativa a questioni non attinenti alla protezione internazionale dove non si pone neppure un problema di credibilità.

      Inoltre, la Corte di appello di Napoli,[19] nel sistema previgente la riforma 2018, aveva precisato che poteva giungersi a una decisione di manifesta infondatezza solo nella misura in cui fosse stata espletata (con il rispetto dei termini e delle garanzie) una procedura accelerata, mentre non era possibile nel caso di una decisone adottata a seguito di una procedura ordinaria. Ciò in ragione del fatto che l’art. 32 d.lgs 25/08, comma 1 lett.b-bis), nel disciplinare il caso in cui la Commissione poteva adottare una decisione per manifesta infondatezza, faceva espresso richiamo all’art. 28-bis, comma 2, ossia alla procedura accelerata in caso di possibile manifesta infondatezza. La sentenza della Corte di Appello di Napoli aveva posto fine a un dibattito complesso che aveva coinvolto molti attori. Tuttavia, la l. 132/2018, in sede di conversione, a fronte di un confronto serrato tra istituzioni e società civile, è intervenuta con l’art. 7, comma 1 lett. g), che modifica puntualmente il richiamo effettuato dal sopra menzionato art. 32 d.lgs 25/08. Infatti, quest’ultimo, nel prescrivere che il rigetto della Commissione territoriale può avere come contenuto anche una dichiarazione di manifesta infondatezza, non richiama più l’art. 28-bis, che disciplina le ipotesi di procedura accelerata, ma richiama il nuovo art. 28-ter, che introduce una gamma molto più articolata di ipotesi di manifesta infondatezza. Potrebbe dunque sostenersi che, a seguito della l. 132/2018, la Commissione territoriale possa adottare una decisione di manifesta infondatezza anche nel caso in cui abbia espletato una procedura ordinaria e non solo una procedura accelerata.

      Il nuovo art. 28-ter d.lgs 25/08 introduce, come accennato, nuove e rilevanti ipotesi di manifesta infondatezza che si aggiungono a quella appena sopra illustrata che viene confermata.

      La prima nuova ipotesi è quella del comma 1 lett. b), del richiedente che “(…) proviene da un Paese designato di origine sicuro”. Ipotesi già illustrata.

      Al comma 1 lett. c), viceversa si introduce il caso del richiedente che ha “(…) rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false, che contraddicono informazioni verificate sul Paese di origine”. In questa ipotesi, sarà possibile da parte della Commissione effettuare una valutazione di credibilità, ma il giudizio sarà operato sulla base della evidenza, in quanto si richiede che l’incoerenza e la contraddittorietà del richiedente siano palesi.

      Alla lettera d), la manifesta infondatezza viene sancita per il caso del richiedente che “(…) ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi o omettendo informazioni o documenti riguardanti la sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente, ovvero ha dolosamente distrutto o fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza”. Evidentemente, deve trattarsi di comportamenti posti in essere dal richiedente con la specifica intenzione di trarre in inganno la Commissione: non dovranno rilevare, dunque, i comportamenti finalizzati ad entrare nel territorio italiano (come tipicamente la distruzione del passaporto in zona di transito) o dichiarazioni non veritiere rese al momento della compilazione della domanda di asilo e determinati da mancanza di informazioni, possibili fraintendimenti linguistici o iniziali timori del richiedente appena giunto sul territorio.

      La successiva lett. e) introduce l’ipotesi potenzialmente più insidiosa, che potrebbe investire una gamma molto ampia di soggetti, prevedendo la manifesta infondatezza nel caso del richiedente che “(…) è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno, e senza giustificato motivo non ha presentato la domanda tempestivamente rispetto alle circostanze del suo ingresso”. Moltissimi cittadini stranieri vivono sul territorio italiano privi di un permesso di soggiorno e molto spesso non presentano tempestivamente la domanda di asilo per ragioni non sempre facilmente comprensibili: mancanza di informazioni, timori del tutto infondati, etc. Sarà dunque necessario interpretare la locuzione “senza giustificato motivo” in maniera da tener conto anche della complessità interculturale e della più generale diversità di approccio che possono determinare le scelte dei cittadini stranieri che presentano la domanda di asilo anche molto tempo dopo il loro arrivo in Italia. Ulteriore perplessità suscita l’utilizzo del termine tempestivamente il quale, non essendo riferito ad un arco temporale ben determinato, si presta a dar luogo a numerose e differenziate interpretazioni applicative.

      La lett. f) aggiunge alla lista delle ipotesi quella del richiedente che “(…) ha rifiutato di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013”. Infine, la lettera g) è relativa al richiedente “ (…) che si trova nelle condizioni di cui all’articolo 6, commi 2, lettere a), b) e c), e 3, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142”, ossia in condizioni di trattenimento, salvo che nel caso sia determinato dal mero rischio di fuga.

      Le nuove ipotesi di manifesta infondatezza che sono state introdotte con l’art. 28-ter trovano corrispondenza nella Direttiva procedure, che disciplina l’istituto nel combinato disposto dell’art. 32 e dell’art. 31, par. 8. Rimane la necessità di un’interpretazione rigorosa di alcuni requisiti, soprattutto relativi alla lett. e) per evitare un’applicazione distorta dell’istituto, che costituisce un’ipotesi derogatoria dell’ordinaria procedura e genera una contrazione importante dei diritti del richiedente asilo. Infatti, il richiedente che versa in una di queste condizioni potrà essere soggetto ad una procedura accelerata in forza del richiamo dell’art. 28-bis, comma 2 lett. a), d.lgs 25/08 (14 gg per la convocazione e 4 gg per la decisione) e qualora la Commissione confermi l’esistenza dei requisiti richiesti dalla norma sarà possibile un rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 32, comma 1 lett. b-bis). In tal caso, il ricorso avverso il diniego soggiace al termine per la sua proposizione di 15 giorni (ai sensi dell’art. 35-bis comma 2 d.lgs 25/08) e non avrà un effetto sospensivo automatico (ai sensi dell’art. 35-bis comma 3 lett. c d.lgs 25/08). La Direttiva procedure, tuttavia, stabilisce espressamente nell’art. 46, par. 6 lett. a) ultimo inciso, che non può escludersi l’effetto automaticamente sospensivo in caso di ricorso avverso un rigetto per manifesta infondatezza, qualora quest’ultima sia stata determinata dall’ingresso o dalla permanenza irregolare del richiedente sul territorio dello Stato membro avendo presentato la domanda di asilo in ritardo senza giustificato motivo[20].

      5. La domanda reiterata

      La riforma dell’istituto della domanda reiterata, operata dall’art. 9 del dl 113/18 che ha modificato gli artt. 7, 28, 29 e 29-bis del d.lgs 25/08, è probabilmente quella che assume un peso maggiore nell’effettivo esercizio del diritto di accedere alla procedura di asilo. Un intervento legislativo molto incisivo, strutturato e in gran parte contrario alla direttiva 2013/32/UE.

      In questa sede non sarà possibile una disamina completa, ma ci si limiterà a quei profili utili a completare il quadro dell’operazione portata a termine con la riforma delle procedure accelerate.

      L’art. 29, comma 1 lett. b), disciplina l’ipotesi preesistente di domanda reiterata, ossia quella del richiedente che, dopo aver ricevuto un rigetto definitivo della sua domanda di asilo, ha presentato una seconda domanda di asilo “identica” (…) , “senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”. Questa seconda domanda di asilo può essere (come già in precedenza previsto) sottoposta a un giudizio di ammissibilità da parte della Commissione. Ossia un giudizio condotto sulla base del modello C3 e degli altri eventuali documenti prodotti dal richiedente al momento della presentazione della domanda. L’individuazione dei casi da sottoporre al giudizio di ammissibilità è affidata al Presidente della Commissione territoriale (art. 28. comma 1-bis, d.lgs 25/08) mentre la sua valutazione è di competenza della Commissione territoriale in composizione collegiale (art. 29, comma 1, d.lgs 25/08). Il Presidente, dunque, procede a un “esame preliminare” (art. 29, comma 1-bis) senza alcuna audizione del richiedente e la Commissione adotta l’eventuale decisione di inammissibilità. Prima della riforma del dl 113/18, il Presidente aveva l’obbligo di avvisare (ai sensi dell’art. 29 comma 1-bis) il richiedente che si stava svolgendo un esame preliminare ad una dichiarazione di inammissibilità e quest’ultimo, entro 3 giorni, aveva il diritto di inviare una memoria per integrare o meglio illustrare i nuovi elementi posti alla base della sua seconda domanda di asilo. Questa garanzia del richiedente è stata abrogata, in linea con le facoltà concesse a ogni Stato membro dalla Direttiva 2013/32/UE all’art. 42 comma 2 lett. b). Ovviamente, se dall’esame preliminare e cartaceo della domanda di asilo dovesse risultare che “(…) sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale” il richiedente sarà convocato per una nuova e ordinaria audizione (art. 40, par. 3, direttiva 2013/32/UE). È evidente che ciò che giuridicamente rileva è l’esistenza nella nuova domanda di asilo (in pratica nel modello C3) che siano stati addotti nuovi elementi e non anche che questi appaiano già fondati ad una prima lettura. Al contempo, devono considerarsi nuovi anche gli elementi che precedentemente non erano stati addotti per una qualsiasi ragione[21] dal richiedente asilo. Infine, tali elementi possono essere relativi alla storia personale del richiedente (ed essere anche intesi come elementi probatori) o alla condizione socio-politico del suo paese di origine.

      La procedura prevista per la dichiarazione di inammissibilità è accelerata ai sensi dell’art. 28-bis, comma 1-bis, d.lgs 25/08, secondo cui in questi casi “(…) la questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni”.

      La decisione di inammissibilità è impugnabile innanzi al Tribunale civile entro 30 giorni dalla notifica (l’art. 35-bis, comma 2, che stabilisce i casi di riduzione a 15 gg del termine di impugnazione, infatti, non richiama il comma 1-bis dell’art. 28-bis). Il ricorso avverso la decisione di inammissibilità non ne sospende automaticamente gli effetti, ma sarà necessario come negli altri casi già esaminati presentare apposita istanza cautelare. Tuttavia, il legislatore del dl 113/18 ha apportato un’importante modifica relativa al diritto del richiedente di attendere in Italia la decisione del Tribunale civile in merito alla propria richiesta di sospensiva. Infatti, il nuovo art. 35-bis, comma 5, d.lgs 25/08 stabilisce che, nel caso di questa ipotesi di inammissibilità, il richiedente ha diritto di permanere in Italia fino al deposito del ricorso (o allo spirare del termine), ma non anche di attendere che il giudice adotti una decisione sulla domanda cautelare di sospensione degli effetti che il richiedente ha avanzato con il ricorso medesimo. Questa previsione, tuttavia, è da considerarsi illegittima per contrarietà alla direttiva 2013/32/UE, art. 41, che espressamente indica i casi in cui è possibile derogare al diritto di rimanere sul territorio del Paese membro in attesa della decisione definitiva del Giudice sull’istanza di sospensiva. I casi previsti dall’art. 41 sono solo due: il primo è quello del richiedente che presenta una terza (o quarta, etc.) domanda di asilo (art. 41, lett. b) e il secondo è relativo al richiedente che ha presentato una seconda domanda di asilo “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione” di un provvedimento che ne comporterebbe “l’imminente” rimpatrio forzato. Sull’esatto significato di queste due ipotesi si ritornerà a breve, per il momento interessa evidenziare che la limitazione del diritto di rimanere in Italia dopo il deposito del ricorso avverso l’inammissibilità e in attesa della decisone del giudice sulla istanza di sospensiva, sancita dal nuovo art. 35-bis, comma 5, d.lgs 25/08, è illegittima, in quanto la Direttiva procedure nell’art. 41 permette una tale limitazione esclusivamente in altri casi, del tutto differenti, che, infatti (come vedremo a breve), hanno una indipendente disciplina anche nell’ordinamento giuridico italiano.

      Più precisamente, l’art. 46 della Direttiva (Diritto a un ricorso effettivo) al par. 5 detta la regola generale per cui il richiedente ha diritto di attendere sul territorio dello stato membro la decisione del giudice sul merito del ricorso presentato[22]. Il paragrafo 6 stabilisce le eccezioni, chiarendo che in alcuni casi, il diritto a rimanere sul territorio dello Stato membro è limitato e sussiste solo fino alla decisione del giudice sulla richiesta di sospensiva[23]. Tra queste eccezioni, è inclusa quella dell’art. 33 par. 2 lett. d): la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE. Il paragrafo 8 dell’art. 46 ribadisce il diritto in modo inequivocabile: “Gli Stati membri autorizzano il richiedente a rimanere nel territorio in attesa dell’esito della procedura volta a decidere se questi possa rimanere nel territorio, di cui ai paragrafi 6 e 7”.

      L’art. 35, comma 5, è in definitiva da considerarsi illegittimo e non sembra suscettibile di una lettura costituzionalmente orientata. Si prospetta dunque la disapplicazione da parte del giudice della norma in contrasto con le disposizioni sopra richiamate della direttiva procedure, idonee a produrre effetti diretti, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

      5.1. La domanda reiterata in fase di esecuzione di un imminente allontanamento

      Esistono viceversa, come accennato, due ipotesi in cui la Direttiva prevede una eccezione al diritto sopra illustrato di attendere la decisone del giudice sulla richiesta di sospensiva. Queste eccezioni sono previste dall’art. 41 della Direttiva procedure[24]. Si tratta dei due casi sopra menzionati, ovverosia quella del richiedente che presenta una terza (o quarta, etc.) domanda di asilo (art. 41 lett. b) e quella del richiedente che ha presentato una seconda domanda di asilo “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento”. I tali casi, l’art. 41 par. 2 lett. c) espressamente attribuisce agli stati membri la facoltà di escludere il paragrafo 8 dell’art. 46 (appena soprariportato), che attribuisce il diritto a rimanere sul territorio dello stato membro fino alla decisione del giudice sulla richiesta di sospensiva. Il legislatore del dl 113/18 ha introdotto per queste due ipotesi una disciplina molto rigida. Il nuovo art. 29-bis (Domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento) recita: “Nel caso in cui lo straniero abbia presentato una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso. In tale caso non si procede all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 29”. In maniera speculare, il nuovo art. 7 del d.lgs 25/08 (sempre modificato dal dl 113/18), rubricato Diritto di rimanere nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda stabilisce che il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio italiano fino alla decisione della Commissione territoriale salvo che: lett. d) [abbia] presentato una prima domanda reiterata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale.

      Bisogna quindi chiedersi, anzitutto, quale sia il significato della locuzione fase di esecuzione di un imminente allontanamento. Ma soprattutto, chi sia designato dalla norma a dichiarare inammissibile la domanda reiterata (ossia una seconda domanda di asilo) in fase di imminente esecuzione e con quale procedura, per valutare così la compatibilità o meno con la Direttive procedure. Si tratta di una operazione ermeneutica complessa, ma che si rende assolutamente necessaria, anche in ragione dell’enorme importanza pratica rivestita da questo istituto. Una importanza, che ancor meglio si può apprezzare dalla lettura della Circolare del Ministero dell’Interno (Commissione Nazionale) del 2 novembre 2019[25] che attribuisce alla Questura il compito di dichiarare inammissibile la domanda di asilo ai sensi dell’art. 29-bis e qualifica tale inammissibilità come automatica (non soggetta a prova contraria): “È stato, inoltre, previsto che nel caso in cui lo straniero presenti una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’allontanamento imminente dal territorio nazionale, la stessa è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento. Opera, dunque, in tale circostanza, iure et de iure, una presunzione di strumentalità correlata alla concomitanza di due condizioni riferite l’una alla preesistenza di una decisione definitiva sulla domanda precedente e l’altra alla circostanza che sia iniziata l’esecuzione del provvedimento espulsivo. La sussistenza di tali presupposti esclude, pertanto, l’esame della domanda. In tali casi, come concordato con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la Questura competente comunicherà all’interessato l’inammissibilità della domanda sancita ex lege”. Sulla base di questa circolare, in molte questure italiane, è di fatto precluso l’esercizio del diritto di asilo a chi ha già presentato in passato una prima domanda di asilo. Infatti, molti di questi ultimi hanno già un decreto di espulsione (o di respingimento differito o di un ordine di allontanamento) nel momento i cui si presentano alle forze di polizia per la presentazione della seconda domanda di asilo. La Questura dunque provvede a dichiarare automaticamente la inammissibilità senza sottoporre il caso alla Commissione e senza neppure valutare l’esistenza o meno di nuovi elementi addotti. Dunque, la Questura procede all’esecuzione immediata dell’espulsione. Il cittadino straniero che ha provato a presentare una seconda domanda si ritrova così immediatamente in stato di trattenimento, teso al rimpatrio forzato per una decisione (vincolata) della Questura. Senonché, la direttiva 2013/32/UE stabilisce un principio opposto, secondo cui è sempre necessario che l’autorità accertante (in Italia la Commissione territoriale) proceda all’esame preliminare di una domanda reiterata (anche in fase di esecuzione di un imminente allontanamento), per valutare se sono stati sollevati nuovi elementi al fine di dichiararne la inammissibilità. Secondo la direttiva 2013/32/UE non c’è modo di attribuire in via automatica ad una domanda reiterata la qualifica di domanda inammissibile. La direttiva si limita a prevedere che in casi di imminente allontanamento dal Paese membro possa essere limitato il diritto del cittadino straniero a restare sul territorio dello stato durante la fase giudiziaria di impugnazione della dichiarazione di inammissibilità. La direttiva non ricollega alla imminenza dell’allontanamento alcuna conseguenza in termini di esame preliminare che l’autorità competente (in Italia, la Commissione) deve svolgere per accertarsi che esistano o meno elementi nuovi attinenti alla domanda di asilo.

      Più precisamente, la direttiva sopra richiamata afferma al considerando 36 che: “Qualora il richiedente esprima l’intenzione di presentare una domanda reiterata senza addurre prove o argomenti nuovi, sarebbe sproporzionato imporre agli Stati membri l’obbligo di esperire una nuova procedura di esame completa”. Ciò che si ammette che gli Stati membri possano escludere è l’esame completo (ossia la nuova audizione del richiedente asilo) e non quello preliminare, infatti, l’art. 33 recita: “2. Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se: (...) d) la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE”. La domanda è inammissibile solo qualora non vi siano nuovi elementi, la cui emersione è possibile solo ad un esame preliminare. Prima di allora la domanda non può essere giudicata inammissibile. L’art. 40, inoltre, ribadisce che: “2. Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE […]. 5. Se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame ai sensi del presente articolo, essa è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d)”. Solo se una domanda reiterata non è sottoposta a ulteriore esame perché, ad un esame preliminare, non siano emersi elementi nuovi, essa può essere giudicata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d). L’art. 41 stabilisce, inoltre, che: “1. Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona: a) abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione”. L’imminente allontanamento rileva dunque ai soli fini di attribuire agli Stati membri la facoltà di circoscrivere il diritto di rimanere in Italia del richiedente asilo che a seguito di un esame preliminare abbia ricevuto una dichiarazione di inammissibilità e decida di avvalersi del diritto di proporre ricorso o riesame avverso tale decisione. L’art. 42 espressamente prevede, altresì, che: “1. Gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti la cui domanda è oggetto di un esame preliminare a norma dell’articolo 40 godano delle garanzie di cui all’articolo 12, paragrafo 1. 2. Gli Stati membri possono stabilire nel diritto nazionale norme che disciplinino l’esame preliminare di cui all’articolo 40. Queste disposizioni possono, in particolare: a) obbligare il richiedente a indicare i fatti e a produrre le prove che giustificano una nuova procedura; b) fare in modo che l’esame preliminare si basi unicamente su osservazioni scritte e non comporti alcun colloquio personale, a esclusione dei casi di cui all’articolo 40, paragrafo 6. Queste disposizioni non rendono impossibile l’accesso del richiedente a una nuova procedura, né impediscono di fatto o limitano seriamente tale accesso. 3. Gli Stati membri provvedono affinché il richiedente sia opportunamente informato dell’esito dell’esame preliminare e, ove sia deciso di non esaminare ulteriormente la domanda, dei motivi di tale decisione e delle possibilità di presentare ricorso o chiedere il riesame della decisione”. Lo Stato membro, ai sensi dei paragrafi 1 e 2, può quindi disciplinare ma non eliminare l’esame preliminare (prevedendo una dichiarazione di inammissibilità sancita ex lege). Precisando inoltre al paragrafo 3 che il richiedente deve essere informato dell’esito dell’esame preliminare al fine di apprestare le proprie difese.

      In definitiva, l’art. 29-bis, così come interpretato dal Ministero con la circolare sopra menzionata, sarebbe da considerare sicuramente contrario alla normativa europea e quindi destinato ad essere espunto dall’ordinamento giuridico italiano. Tuttavia, la norma può anche essere interpretata diversamente, in modo da attribuire alla Commissione il compito di analizzare la domanda di asilo anche in questo caso[26], tramite un esame preliminare (identico a quello già visto in relazione alla ordinaria domanda reiterata)[27]. L’art. 29-bis avrebbe dunque il solo effetto di non riconoscere il diritto a un ricorso effettivo. Ma in tal caso bisognerà chiedersi se la sopra illustrata deroga consentita dall’art. 41 all’art. 46 par. 8 (ossia al diritto di attendere una decisione del giudice sull’istanza di sospensiva) possa giustificare anche l’esclusione da tutte le garanzie dell’art. 46 e quindi, in definitiva, consentire il rimpatrio forzato del richiedente asilo immediatamente dopo la notifica della decisione di inammissibilità o se viceversa deve essere conservato il diritto di rimanere in Italia fino alla presentazione del ricorso (che sostanzialmente è la soluzione illegittima che il legislatore del dl 113/18 ha riservato alla domanda reiterata ordinaria).

      In ogni caso, per evitare un uso eccessivamente ampio di questo strumento (come sembra stia accadendo) devono correttamente interpretarsi i concetti di esecuzione/imminente/ allontanamento. Per imminente allontanamento deve intendersi esclusivamente la condizione di chi si trovi nelle ipotesi in cui il processo espulsivo è in stato avanzato, tanto che la Pubblica Amministrazione non solo sia certa di poter coattivamente costringere il cittadino straniero al rimpatrio forzato (quindi che abbia già disposto il suo trattenimento), ma che al contempo abbia già portato a compimento il complesso iter organizzativo necessario in questi casi: fissazione di un appuntamento con l’autorità consolare per il previo riconoscimento e acquisizione del lasciapassare, individuazione certa del vettore e dello specifico volo verso il paese di origine con relativo ordine di spesa ed emanazione dell’ordine di servizio per le forze dell’ordine deputate nel caso specifico ad effettuare l’accompagnamento all’interno del territorio italiano ed eventualmente durante la scorta internazionale. L’art. 29-bis quindi non troverebbe applicazione in presenza di un mero decreto di espulsione a carico del cittadino straniero, ma esclusivamente nei casi di presentazione della domanda reiterata in una fase di reale imminenza del rimpatrio, ossia solo quando questo sia effettivamente in corso, a fronte di una già avvenuta individuazione del volo, del personale coinvolto e della specifica tempistica effettiva di rimpatrio.

      Non può nascondersi, infatti, che molti cittadini stranieri non hanno di fatto la possibilità di esercitare appieno il diritto a richiedere la protezione internazionale, tanto più in presenza di un crescente utilizzo delle procedure accelerate e dell’approccio hotspot. Le prime, di fatto, mettono molti richiedenti nella condizione di affrontare l’audizione in Commissione e successivamente il ricorso avverso il diniego con pochissimi strumenti a causa della tempistica e delle condizioni di isolamento. Allo stesso tempo, l’approccio hotspot conduce moltissimi cittadini stranieri ad auto-dichiararsi al loro arrivo migranti economici, subendo così un decreto di respingimento differito o di espulsione che li conduce in stato di trattenimento e quindi ad affrontare ancora una volta la prima domanda di asilo (sempre che riescano nei Cpr a formalizzarla) in tempi strettissimi e con pochissimi strumenti. Ecco che dunque l’estrema rigidità con cui è stata disciplinata dal legislatore del dl 113/18 la domanda reiterata, oltre che per molti versi illegittima, appare pericolosamente nei fatti appartenere a una più ampia operazione di svuotamento del diritto di asilo.

      Relativamente alla domanda reiterata, infine, sarà necessario nel tempo interpretare correttamente anche l’ipotesi prevista dal nuovo art. 7 comma 2 lett. e) del d.lgs 25/08 come modificato dall’art. 9 del dl 113/08, secondo cui, il richiedente perde il diritto di attendere in Italia la decisione della Commissione territoriale nel caso in cui manifesti “la volontà di presentare un’altra domanda reiterata a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 29, comma 1, o dopo una decisione definitiva che respinge la prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettere b) e b-bis)”. Si tratta del caso in cui il richiedente manifesti la volontà di presentare una terza (quarta, ecc.) domanda di asilo. In questo caso, conformemente alla Direttiva procedura (come sopra esposto) si disciplina diversamente la condizione del richiedente, che esprime la volontà, ancor prima di formalizzarla. Dal tenore delle norme della Direttiva, si evince chiaramente che in tal caso al richiedente non venga assicurato il diritto ad attendere che la Commissione si esprima, ma rimangono dubbi alcuni profili. In particolare, se deve comunque essergli riconosciuto il diritto di formalizzare la domanda di asilo prima del rimpatrio forzato (e quindi attendere nel proprio paese di asilo una eventuale decisone della Commissione) e se la convalida del suo trattenimento e dell’esecuzione del rimpatrio forzato debba considerarsi di competenza del Tribunale civile (come per tutti i casi di richiedenti asilo) o del giudice di pace (come per i casi dei cittadini stranieri non richiedenti asilo).

      6. Il cd. procedimento immediato di cui all’art. 32 comma 1-bis d.lgs 25/08

      L’art. 10 del dl 113/18 ha, infine, introdotto un nuovo istituto al comma 1.bis dell’art. 32 del d.lgs 25/08, secondo cui: “Quando il richiedente è sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero è stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, il questore, salvo che la domanda sia già stata rigettata dalla Commissione territoriale competente, ne dà tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente, che provvede nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotta contestuale decisione, valutando l’accoglimento della domanda, la sospensione del procedimento o il rigetto della domanda. Salvo quanto previsto dal comma 3, in caso di rigetto della domanda, il richiedente ha in ogni caso l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso avverso la decisione della Commissione. A tal fine si provvede ai sensi dell’articolo 13, commi 3, 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. In sostanza, nel caso in cui il richiedente asilo sia sottoposto a procedimento penale o sia stato condannato per taluni reati (tra cui alcuni di media gravità) viene sottoposto immediatamente all’audizione della Commissione territoriale, con una sorta di procedura accelerata. In caso di diniego[28] (anche in forza all’art. 35-bis comma 4 d.lgs 25/08) perde il diritto ad attendere in Italia non solo l’esito del ricorso ma anche quello della eventuale domanda cautelare di sospensione degli effetti del diniego stesso. Al pari di quanto sopra illustrato per il caso di inammissibilità della domanda reiterata “ordinaria” ex art. 29 comma 1 lett.b). Avrebbe dunque solo il diritto di rimanere in Italia per il tempo necessario a depositare il ricorso, ossia 30 giorni dalla notifica del diniego. Inoltre, nel caso in cui dovesse già trovarsi (al momento dell’apertura del procedimento penale) in sede di ricorso cesserebbero gli effetti della sospensione automatica, aprendo così la via al rimpatrio forzato immediato.

      Brevemente, si tratta di una disposizione che va evidentemente incontro all’esigenza mediatica, più volte espressa da alcune forze politiche, di procedere in tempi rapidi al rimpatrio forzato di richiedenti asilo che vengono accusati di aver commessi dei reati. Tuttavia, come si evince chiaramente anche dalle norme già analizzate della Direttiva procedure, si tratta di una disposizione del tutto illegittima in quanto totalmente estranea alle ipotesi (tassative) che la Direttiva stessa ha previsto in deroga alla ordinaria procedura di asilo. E’ una norma destinata ad essere espunta dall’ordinamento giuridico italiano, seppur è immaginabile che troverà applicazione fino a quando il complesso iter giurisdizionale non ne decreterà la illegittimità.

      Oltre alle ipotesi di procedura accelerata già analizzate e che sono state introdotte o riformate dal legislatore del dl 113/18, è opportuno ricordare che l’art. 28-bis d.lgs 25/08 ne prevede un’altra che non è stato oggetto di modifiche sostanziali. Questo articolo al comma 2 lett. c) stabilisce una procedura accelerata (14 gg per l’audizione e 4 per la decisione, prorogabili ai sensi del comma 3 dell’art. 28-bis) nei casi in cui il richiedente ha presentato “(…) la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento”. Ai sensi dell’art. 35-bis comma 2 d.lgs 25/08 il termine per proporre ricorso avverso il diniego della Commissione territoriale è ridotto a 15 giorni e non è previsto l’effetto sospensivo automatico del ricorso stesso (art. 35-bis comma 3). La previsione appare conforme alla Direttiva procedure.

      7. Considerazioni conclusive

      In conclusione, le norme introdotte in tema di procedure accelerate dal decreto 113/18 e dalla relativa legge di conversione destano fortissima preoccupazione per la potenziale capacità di svuotare, di fatto, il diritto di asilo, soprattutto se operate in concomitanza con talune prassi illegittime (come quelle connesse al c.d approccio hotpot) e in presenza di importanti carenze strutturali del sistema italiano (privo in frontiera e nei Cpr di reali servizi di supporto e di vigilanza). La riforma in parte sfrutta al massimo i margini lasciati aperti dalla direttiva procedure 2013/32/UE e in parte sconfina nella aperta illegittimità, anche se può leggersi in quest’ultima una forte propensione ad anticipare con grande zelo le nuove politiche legislative che da anni vengono promosse dalla Commissione Europea, che già a partire dal maggio del 2015 (con la prima agenda sulle immigrazioni) sostiene uno stravolgimento del Ceas (il sistema europeo comune di asilo), non da ultimo anche con le proposte di riforma dell’aprile 2016[29]. Una complessa riforma, bloccata nel 2019 dalla fine del mandato europeo, che immagina un sistema che conservi un’impeccabile impalcatura di principi generali in cui l’Unione Europea riesca a specchiare la propria superiorità giuridica e culturale, ma che allo stesso tempo si munisca di strumenti che possano ridurre drasticamente il numero delle persone che riescono a raggiungere l’Europa per avanzare la domanda di asilo (c.d. esternalizzazione) e riescano ad incanalare questi ultimi in una serie di procedure di eccezione (che di fatto sostituiscono la regola) con cui si riducono drasticamente di fatto le possibilità di ottenere una protezione internazionale, condannando per lo più i cittadini stranieri giunti sul territorio dell’UE ad una condizione di subalterna irregolarità. Un ritorno ad una concezione elitaria del diritto di asilo, dove a fronte di ampie dichiarazioni di principio si aprono canali reali di protezione internazionale solo per pochi altamente scolarizzati o con un ruolo politicamente strategico a cui chiedere un atto di abiura nei confronti del proprio paese di origine.

      [*] Qualifiche: Avv. Salvatore Fachile, socio Asgi Foro di Roma; Avv. Loredana Leo, socia Asgi Foro di Roma; dott.ssa Adelaide Massimi, socia Asgi - progetto “In Limine”.

      [1] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione);

      [2] Per una più ampia disamina relativa ai profili di illegittimità costituzionale delle norme introdotte dal dl 113/2018, si veda l’analisi pubblicata da Asgi nell’ottobre del 2018: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/10/ASGI_DL_113_15102018_manifestioni_illegittimita_costituzione.pdf.

      [3] Si veda la Direttiva 2013/32/UE, in particolare l’articolo 31 par. 8 (che individua le ipotesi in cui possono essere applicate procedure accelerate e/o in frontiera) e il par. 9 che stabilisce che “gli Stati membri stabiliscono termini per l’adozione di una decisione nella procedura di primo grado di cui al par. 8. I termini sono ragionevoli”. Si veda, inoltre, l’art. 46 parr. 6, 7 e 8 circa l’effetto sospensivo della presentazione del ricorso;

      [4] Agenda Europea sulla migrazione, Bruxelles, 13.5.2015 COM(2015) 240 final https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=EN;

      [5] Per un’analisi più approfondita dell’approccio hotspot si veda: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/02/2018-Lampedusa_scenari-_di_frontiera_versione-corretta.pdf; e https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/detention-and

      [6] Non sembra che ad oggi sia mai stata utilizzata questa nuova forma di detenzione, che appare chiaramente in contrasto con l’art. 13 della Costituzione italiana. Nell’ambito del progetto In Limine, Asgi ha chiesto e ottenuto informazioni in tal senso dal Ministero dell’Interno e dalle Prefetture competenti, che, in base alla Circolare ministeriale del 27 dicembre, sono incaricate di individuare gli appositi locali adibiti al trattenimento dei richiedenti asilo. Ad oggi alcuna Prefettura ha infatti individuato gli “appositi locali” in cui eseguire il trattenimento. Si veda: https://inlimine.asgi.it/il-trattenimento-dei-richiedenti-asilo-negli-hotspot-tra-previsioni-le.

      [7] Si veda a tal proposito il lavoro svolto da Asgi, Cild, ActionAid e IndieWatch nell’ambito del progetto In Limine per quanto riguarda i ricorsi presentati alla Corte Edu: http://www.indiewatch.org/wp-content/uploads/2018/11/Lampedusa_web.pdf; il lavoro di monitoraggio e denuncia delle pratiche di trattenimento arbitrario: https://inlimine.asgi.it/il-trattenimento-dei-richiedenti-asilo-negli-hotspot-tra-previsioni-le; https://inlimine.asgi.it/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-d; e il lavoro svolto in relazione alla procedura di supervisione della sentenza Khlaifia in collaborazione con A Buon Diritto: https://inlimine.asgi.it/lattualita-del-caso-khlaifia; https://inlimine.asgi.it/hotspot-litalia-continua-a-violare-il-diritto-alla-liberta-personale-d; https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Khlaifia_-hotspot-Lampedusa_Progetto-In-limine_ITA-giugno-2018.pdf; https://hudoc.exec.coe.int/eng#{%22EXECIdentifier%22:[%22DH-DD(2019)906E%22]}.

      [8]A tal proposito si vedano i numerosi approfondimenti condotti circa l’utilizzo del foglio notizie e le problematiche legate alle modalità di compilazione dello stesso e le denunce presentate dalla società civile: https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/detention-and; https://www.meltingpot.org/Determinazione-della-condizione-giuridica-in-hotspot.html; https://www.asylumineurope.org/reports/country/italy/asylum-procedure/access-procedure-and-registration/hotspots; http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/6f1e672a7da965c06482090d4dca4f9c.pdf; https://www.asgi.it/notizie/hotspot-violazioni-denuncia-associazioni-lampedusa-catania.

      [9] Questa lettura era stata già in passato sistematicamente sostenuta dalle Forze di polizia nell’ambito di una norma che richiama l’identica nozione allo scopo di determinare quali categorie di soggetti fossero obbligati ad essere accolti nei cd. CARA. Il Tribunale di Roma con l’ordinanza dd 13.04.2010 aveva già chiarito sul punto che: “le fattispecie per le quali è disposta l’ ‘ospitalità’ presso il centro Cara sono disciplinati per legge e non sono suscettibili di interpretazione estensiva perché di fatto incidono sul diritto alla libera circolazione del richiedente asilo (l’allontanamento dal centro senza giustificato motivo comporta, tra l’altro, che la Commissione territoriale possa decidere senza la previa audizione del richiedente, cfr. art 21 del d.lgs 25/08) e debbono poter essere esaminati e verificati dal giudice in sede di ricorso avverso il provvedimento amministrativo e di preliminare istanza di sospensione del provvedimento impugnato”. V. anche Trib. di Roma sent. n. 733 del 10.12.2012.

      [10] Dal Devoto-Oli, Dizionario della Lingua italiana, Le Monnier, 2011.

      [11] Decreto 5 agosto 2019, Individuazione delle zone di frontiera o di transito ai fini dell’attuazione della procedura accelerata di esame della richiesta di protezione internazionale, pubblicato in CU Serie Generale n. 210 del 07.09.2019.

      [12] A tal proposito si veda inoltre il commento di Asgi al dm del 5 agosto del 2019: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/10/2019_scheda_ASGI_decreto_zone_frontiera.pdf

      [13] Si veda, sul punto, la nota condivisa di Asgi, ActionAid, Arci, Borderline Sicilia, IndieWatch, MEDU, SeaWatch sulla situazione dei migranti sbarcati dalla Sea Watch 3 in condizione di detenzione arbitraria a Messina, Sa un confinamento all’altro. Il trattenimento illegittimo nell’hotspot di Messina dei migranti sbarcati dalla SeaWatch, 10.07.2019, https://inlimine.asgi.it/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-d.

      [14] Si noti come il modello di procedura di frontiera disegnato dalla “Direttiva procedure” prevede un terzo elemento caratterizzante questa fattispecie, ossia la possibilità di detenere per un tempo massimo di 4 settimane il richiedente asilo in frontiera o zona di transito allo scopo di condurre la procedura di frontiera medesima. Tuttavia, il legislatore italiano ha preferito immaginare una forma di detenzione amministrativa simile ma differente, ossia quella sopra analizzata del trattenimento a scopo identificativo nei cd. hotspot e negli hub. Una procedura che nei fatti potrebbe molto somigliare alla detenzione in frontiera ma che giuridicamente si incardina su altre motivazioni, ossia sull’esigenza di identificazione, che probabilmente è apparsa al legislatore del dl 113/08 più vicina ai canoni costituzionali (rispetto a una detenzione basata esclusivamente sull’arrivo in frontiera).

      [15] Le ipotesi di procedura accelerata previste dall’art. 31 c. 8 della direttiva 2013/32 sono le seguenti:

      “a) nel presentare domanda ed esporre i fatti il richiedente ha sollevato soltanto questioni che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE; oppure
      il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; o
      il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi od omettendo informazioni pertinenti o documenti relativi alla sua identità e/o alla sua cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente; o
      è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento d’identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza; o
      il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili che contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine, rendendo così chiaramente non convincente la sua asserzione di avere diritto alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE; o
      il richiedente ha presentato una domanda reiterata di protezione internazionale inammissibile ai sensi dell’art. 40, paragrafo 5; o
      il richiedente presenta la domanda al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione anteriore o imminente che ne comporterebbe l’allontanamento; o
      il richiedente è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno e, senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato la domanda di protezione internazionale quanto prima possibile rispetto alle circostanze del suo ingresso; oIT l. 180/78 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea;
      il richiedente rifiuta di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e sulle richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto ( 1 ); o
      il richiedente può, per gravi ragioni, essere considerato un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro o il richiedente è stato espulso con efficacia esecutiva per gravi motivi di sicurezza o di ordine pubblico a norma del diritto nazionale.”

      [16] Inoltre, da una attenta lettura dell’art. 35-bis comma 2 (che stabilisce i casi di dimezzamento del termine di impugnazione) si potrebbe dedurre che i termini sono dimezzati solo nel caso in cui la manifesta infondatezza (anche eventualmente per provenienza da paese di origine sicuro) sia dichiarata a seguito di una procedura accelerata e non anche di una procedura ordinaria. Infatti l’art. 35-bis comma 2 richiama l’art. 28-bis, ossia quello delle procedure accelerate (e non invece l’art. 28-ter o l’art. 32 comma 1 b-bis, che disciplinano in generale la manifesta infondatezza derivante sia da procedura ordinaria che accelerata). Sarebbe dunque la natura accelerata della procedura (coniugata con la motivazione di manifesta infondatezza del diniego) a comportare la contrazione del termine per l’impugnazione. Sul punto si dovrà necessariamente ritornare in separata sede, per una lettura più analitica delle norme e degli spunti giurisprudenziali.

      [17] Una corretta lettura dovrebbe portare a ritenere che la mancanza di effetto sospensivo sia esclusivamente ricollegata all’adozione di una procedura accelerata. Nel caso in cui non venga adottata una tale procedura (con il correlativo rispetto della tempistica prevista) si dovrà ritenere che il ricorso avverso il diniego abbia effetto sospensivo automatico (salvo ovviamente che il diniego rechi la dicitura di manifesta infondatezza, che comporterebbe il ricadere in una diversa ipotesi in cui il ricorso viene privato del suo ordinario effetto sospensivo automatico). Il punto non può che essere affrontato con maggiore analiticità in una differente sede.

      [18] Ministero dell’Interno – Commissione nazionale per il diritto di asilo, Circolare prot. 00003718 del 30.07.2015 avente ad oggetto “Ottimizzazione delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale. Casi di manifesta infondatezza dell’istanza”.

      [19] Corte d’Appello di Napoli, sent. n. 2963 del 27.06.2017.

      [20] Direttiva procedure art. 46 par. 5. Fatto salvo il par. 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso. Par. 6. Qualora sia stata adottata una decisione: a) di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’art. 32, par. 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, par. 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, par. 8, lettera h).

      [21] Infatti, il legislatore non si è avvalso della clausola di cui al par. 4 art. 40 Direttiva procedure, secondo cui: “Gli Stati membri possono stabilire che la domanda sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere, nel procedimento precedente, la situazione esposta nei parr. 2 e 3 del presente articolo, in particolare esercitando il suo diritto a un ricorso effettivo a norma dell’articolo 46.”

      [22] Par. 5 art. 46 direttiva 2013/32/UE: “Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso”.

      [23] Par. 6 art. 46 direttiva 2013/32/UE: “Qualora sia stata adottata una decisione: (…) b) di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b) o d); (…) un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso”.

      [24] “Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona: a) abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione; o b) manifesti la volontà di presentare un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, o dopo una decisione definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata”.

      [25] Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il Diritto d’asilo, Circolare prot. n. 0000001 del 02.01.2019 avente ad oggetto Decreto-legge del 4 ottobre 2018, n. 113, recante ‘Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata’, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132;

      [26] Più precisamente, anzitutto bisogna rilevare che la direttiva 2013/32/UE sin dai considerando (in particolare n. 16) prevede che: “È indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale”. Tale autorità è quella che nel prosieguo della direttiva è definita “autorità accertante”. In Italia, tale ruolo è assolto dalle Commissioni territoriali nominate dal Ministero dell’interno. La direttiva ammette che in luogo dell’autorità accertante alcune specifiche funzioni in materia siano svolte da altra autorità, purché adeguatamente formata. L’art. 4 della Direttiva “Autorità responsabili”, infatti, prevede che: “1. Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. (…) 2. Gli Stati membri possono prevedere che sia competente un’autorità diversa da quella di cui al paragrafo 1 al fine di: a) trattare i casi a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 [c.d. Regolamento Dublino, ndr]; e b) accordare o rifiutare il permesso di ingresso nell’ambito della procedura di cui all’articolo 43, secondo le condizioni di cui a detto articolo e in base al parere motivato dell’autorità accertante [c.d. Procedure di frontiera, ndr].”. Inoltre, ai sensi dell’art. 34 “Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità”: “[…] 2. Gli Stati membri possono disporre che il personale di autorità diverse da quella accertante conduca il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda di protezione internazionale. In tal caso gli Stati membri provvedono a che tale personale riceva preliminarmente la necessaria formazione (…)”.

      Le competenze che possono essere attribuite ad autorità diversa da quella accertante possono riguardare, quindi, l’applicazione del cd. Regolamento Dublino e le procedure di frontiera (entrambe estranee al caso in esame), nonché la possibilità di condurre anche nei procedimenti sulle domande reiterate il colloquio del richiedente, ma non anche di assumere la decisione sulla domanda. Si consideri tuttavia che il colloquio con il richiedente costituisce una misura differente rispetto all’esame preliminare teso a valutare l’esistenza di elementi nuovi: si tratta di un eventuale fase del procedimento di inammissibilità a garanzia del richiedente che tuttavia nel caso di domande reiterate può essere escluso dal legislatore di ciascun Paese membro. Così come infatti ha deciso di fare il legislatore italiano che ha semplicemente escluso la fase del colloquio del richiedente nei casi di domanda reiterata. Per cui in Italia non è previsto il colloquio, ossia l’unica fase nel procedimento di valutazione della prima domanda reiterata che poteva essere affidata ad una autorità diversa (ossia alla Questura). Infatti ai sensi dell’art. 34 paragrafo 1 “Prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 alla sua situazione particolare. A tal fine, gli Stati membri organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda. Gli Stati membri possono derogare soltanto ai sensi dell’articolo 42, in caso di una domanda reiterata”. La Direttiva quindi rende obbligatorio l’esame preliminare (valutazione cartacea sulla base della domanda scritta del richiedente) ma facoltativo il colloquio (unica fase affidabile ad una autorità diversa). In attuazione della Direttiva, l’art. 29 del D.lgs. n. 25/2008 “casi di inammissibilità della domanda” esclude il colloquio in caso di domanda reiterata, prevedendo espressamente che il Presidente delle Commissione Territoriale conduca un esame preliminare sulla domanda. A sua volta, l’art. 29-bis del Dl.lgs. n.25/2008, recita: “Nel caso in cui lo straniero abbia presentato una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso. In tale caso non si procede all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 29”, nulla aggiungendo in merito alla competenza a giudicare inammissibile la domanda reiterata. Dunque si potrebbe interpretare l’art. 29-bis in modo differente da quanto proposto dal Ministero con la circolare del 2.01.2019 e con il decreto di inammissibilità qui impugnato.

      [27] Il Tribunale di Roma ha avuto modo di esprimersi in differenti occasioni annullando il decreto di inammissibilità emanato dalla Questura per difetto di competenza, ribadendo che si tratta di una prerogativa della Commissione, cfr. Trib. di Roma, decreto dd. 03.04.2019. Si veda, sul punto, G. Savio, Accesso alla procedura di asilo e poteri “di fatto” delle Questure, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it/articolo/accesso-alla-procedura-di-asilo-e-poteri-di-fatto-delle-questure_29-05-2019.php;

      [28] Si dovrà comunque valutare anche l’esistenza di una necessità di riconoscere ai sensi dell’art. 32 comma 3 una protezione speciale, ossia il ricorrere delle condizioni di non refoulement di cui all’art. 19 comma 1 e 1.1 del D.lgs 286/98.

      [29] Sul punto si veda: Asgi, I nuovi orientamenti politico-normativi dell’Unione Europea – La prospettiva di nuove e radicali chiusure al diritto di asilo, settembre 2017, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/09/2017_9_Articolo_politiche-_UE_ok.pdf;

      https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-procedure-accelerate-lo-svilimento-del-diritto-di-asilo_
      #procédures_de_frontière

    • Nuovi Cpr, Piantedosi: «Pensiamo a un centro per migranti a Ventimiglia»

      Al via il monitoraggio in 12 regioni per individuare le nuove strutture che saranno controllare (all’esterno) dalle forze dell’ordine. Si pensa ad ex caserme e aree industriali, comunque lontane dai centri abitati.

      Entro due mesi il ministero della Difesa dovrà avere la lista dei nuovi Centri di permanenza per i rimpatri decisi dal Consiglio del ministri lo scorso 18 settembre per fare fronte all’emergenza migranti, soprattutto di quelli irregolari. Un’operazione complessa, già iniziata da qualche settimana comunque dopo che il ministro dell’Interno #Matteo_Piantedosi ha espresso l’indicazione di aprire una struttura in ogni regione. Attualmente ci sono nove Cpr attivi, mentre quello di Torino è stato chiuso per i danneggiamenti causati da chi si trovava all’interno e deve essere ristrutturato. Ne mancano quindi 12 all’appello. Il ministro stesso nel pomeriggio ha annunciato in diretta tv (al programma «Cinque Minuti» su Rai 1), durante un’intervista. «Ventimiglia ha sempre sofferto, soffre dei transiti di migranti. Noi stiamo collaborando con la Francia per il controllo di quella frontiera ed è uno di qui luoghi a cui stiamo dedicando attenzione per la realizzazione di una di quelle strutture che abbiamo in animo di dedicare proprio per contenere il fenomeno».
      Chi sarà trattenuto nei Cpr?

      Innanzitutto in queste strutture vengono accompagnati gli stranieri irregolari considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, quelli condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati e i cittadini che provengono da Paesi terzi con i quali risultino vigenti accordi in materia di cooperazione o altre intese in materia di rimpatri. Secondo la direttive il trattenimento in un Cpr è utile per evitare la dispersione sul territorio nazionale di persone che sono irregolari per quanto riguarda il soggiorno in Italia quando non sia possibile eseguirne con immediatezza il rimpatrio (per la necessità di accertarne l’identità, trattandosi spesso di stranieri privi di documenti di riconoscimento, di acquisire il lasciapassare delle autorità consolari del Paese di origine o semplicemente di organizzare le operazioni di allontanamento). Anche coloro che hanno richiesto asilo in Italia possono ritrovarsi in un Cpr ma soltanto se nei guai con la legge oppure se persone considerate pericolose o ancora se bisogna ancora analizzare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento e se c’è al tempo stesso il rischio di fuga.

      Dove si trovano i Cpr e dove saranno costruiti gli altri 12?

      Attualmente i Centri sono a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino (chiuso, come detto), Palazzo San Gervasio (Potenza), Trapani, Gorizia, Macomer (Nuoro) e Milano. A oggi ci sono 1.338 posti su una capienza effettiva di 619 posti. Il più grande è quello romano a Ponte Galeria, uno dei primi ex Cie d’Italia con 117 posti utilizzabili. Gli altri dovranno essere costruiti Calabria, Molise, Campania, Marche, Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta in strutture che saranno individuate dalla Difesa e poi adattate dal Genio militare. Si pensa ad ex caserme ma anche a complessi in aree industriali che rispondono alle esigenze descritte dal governo: lontano da centri abitati, controllabili e perimetrabili. La vigilanza sarà affidata a polizia e carabinieri e comunque non all’Esercito che si limiterà all’organizzazione logistica.

      Quanto tempo i clandestini rimarranno nei Cpr?

      Al massimo 18 mesi, come stabilito nel corso dell’ultimo Cdm, partendo da sei mesi prorogabili ogni tre mesi, come consentito dalla normativa europea per gli stranieri che non hanno fatto domanda di asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi). Attualmente nei Cpr si rimane per 90 giorni con una proroga fino a 45. E comunque i richiedenti asilo non possono essere trattenuti per più di un anno. Nel caso il migrante irregolare dovesse invece collaborare subito alla sua identificazione certa e dovesse anche accettare il rimpatrio, allora il suo trattenimento sarebbe molto più breve. In ogni circostanza è il questore a disporre l’accompagnamento al Cpr del soggetto e a inviare entro 48 ore la comunicazione al giudice di pace che deve convalidare il provvedimento. Il magistrato è chiamato anche a decidere sulle eventuali proroghe.
      Chi gestisce un Cpr?

      Ogni struttura è di competenza del prefetto, massima autorità provinciale dello Stato, che con i bandi affida a soggetti privati la gestione dei servizi interni al Cpr, sia sul fronte logistico-organizzativo sia su quello dei rapporti con chi è trattenuto. Le forze dell’ordine pattugliano l’esterno e possono entrare solo su richiesta dei gestori in caso di necessità ed emergenza. Ogni straniero trattenuto può invece presentare istanze e reclami al Garante nazionale e a quelli regionali delle persone detenute o private della libertà personale. La prima autorità può peraltro inviare raccomandazioni ai prefetti e ai gestori su specifici aspetti del trattenimento.
      Da quanto tempo esistono i Cpr?

      I Centri di permanenza per i rimpatri sono stati istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco-Napolitano (art. 12 della legge 40/1998) per adempiere agli obblighi previsti dalla normativa europea. All’inizio furono chiamati Cpt (Centri di permanenza temporanea), poi Cie (Centri di identificazione ed espulsione) dalla legge Bossi-Fini (L.189/2002). Oggi Cpr con la legge Minniti-Orlando (L. 46/2017).

      https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_settembre_20/nuovi-cpr-dalla-valle-d-aosta-alla-calabria-dove-saranno-e-chi-dovra-a

  • #Écologie politique : Vers une #philosophie de la #nature ?
    Éléments d’écologie politique : Bonnes feuilles

    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1103-Ecologie-politique-Vers-une-philosophie-de-la-nature

    Début du chapitre VI, « Vers une philosophie de la nature ? », du livre de Quentin Bérard « Éléments d’écologie politique — Pour une refondation » (Libre & Solidaire, 2021), pp. 193 - 211.

    Présentation et liens disponibles ici

    #Création sociale-historique, #Écologisme, #Empire, #Grèce, #Livre, #Paléo-marxismes, #Philosophie, #Post-modernisme, #Primitivisme, #Progressisme, #Technoscience, #Ecologie_politique

    (...)

  • Power and progress : ou pourquoi innovation et prospérité ne riment jamais vraiment
    https://seenthis.net/messages/1016604

    Livre sans doute intéressant. #merci @biggrizzly

    commentaire :

    L’absence de liaison entre progrès technologique et progrès social fait partie des débats et du travail scientifique depuis « La Situation de la classe ouvrière en Angleterre en 1844 » de Friedrich Engels. Ensuite il y a les études sur la croissance capitaliste de Rosa Luxemburg et « L’Impérialisme, stade suprême du capitalisme » de Lénine pour ne mentionner que les oeuvres classiques écrite par les critiques de l’industralisation de gauche.

    Si les auteurs Acemoglu et Johnson ont écrit leur livre avec l’intention de contribuer au combat pour l’abolition des élites qui dirigent et profitent systématiquement des avancées technologiques, c’est sans doute un livre important. Sans une analyse de ce type ce n’est qu’une paroi rocheuse à dynamiter pour en ramasser les blocs d’information nécessaires pour la construction de notre monde à nous.

    Les remarques sur le sort des paysans en URSS dans l’article référencé font croire qu’on n’échappera pas au boulot de tailleur de pierre.

    Description:
    A thousand years of history and contemporary evidence make one thing clear. Progress depends on the choices we make about technology. New ways of organizing production and communication can either serve the narrow interests of an elite or become the foundation for widespread prosperity.

    The wealth generated by technological improvements in agriculture during the European Middle Ages was captured by the nobility and used to build grand cathedrals while peasants remained on the edge of starvation. The first hundred years of industrialization in England delivered stagnant incomes for working people. And throughout the world today, digital technologies and artificial intelligence undermine jobs and democracy through excessive automation, massive data collection, and intrusive surveillance.

    It doesn’t have to be this way. Power and Progress demonstrates that the path of technology was once—and may again be—brought under control. The tremendous computing advances of the last half century can become empowering and democratizing tools, but not if all major decisions remain in the hands of a few hubristic tech leaders.

    With their breakthrough economic theory and manifesto for a better society, Acemoglu and Johnson provide the vision needed to reshape how we innovate and who really gains from technological advances.

    Author(s): Daron Acemoglu; Simon Johnson; Publisher: Hachette Book Group, Year: 2023; ISBN: 2022059230,9781541702530,9781541702554

    Le texte publicitaire de l’éditeur en dit long sur l’ a priori des auteurs : L’expression « choices we make about technology » est du bullshit libéral. Sous les régimes capitalistes « nous », c’est à dire la société, ne prenons pas de décisions essentielles par rapport au technologies. Dans le meilleur des cas « nous » entrons en négatiations avec les élites au pouvoir dans leurs folle course vers des offensives de plus en plus meurtrières.

    #exploitation #travail #technologie #progrès #manifest_destiny #exceptionnalisme_américain #numérisation #révolution_industrielle #capitalisme #destinée_manifeste

  • Power and progress : ou pourquoi innovation et prospérité ne riment jamais vraiment
    https://maisouvaleweb.fr/power-and-progress-ou-pourquoi-innovation-et-prosperite-ne-riment-jama

    Les données connues sur le temps de travail sont à ce titre édifiantes : alors que les chasseurs-cueilleurs vivaient en moyenne de 21 à 37 ans, et travaillaient 5 heures par jour, les paysans au moyen-âge travaillent 10 heures par jour, et leur espérance de vie atteint 19 ans seulement. Ils sont plus petits, moins bien nourris, vivent dans des sociétés encore plus patriarcales.

  • « L’aggravation récente des effets du réchauffement coïncide, et c’est une autre cause de sidération, avec un retour apparent du climatoscepticisme », Stéphane Foucart

    Il n’est pas possible de décrire en quelques lignes l’état de sidération dans lequel l’été qui s’achève a plongé les chercheurs en sciences du climat. A l’impressionnante succession de catastrophes visibles et d’événements extrêmes qui ont frappé (et continuent de frapper) les populations des deux hémisphères se sont ajoutés des phénomènes bien plus discrets, qui n’ont pas généré d’images spectaculaires, mais qui ont fortement impressionné les scientifiques.

    L’envolée des températures de l’Atlantique Nord, le défaut de reconstitution des glaces de mer autour de l’Antarctique, notamment, ont suscité chez nombre d’observateurs une terreur teintée d’incrédulité. Au premier coup d’œil sur les courbes de températures de l’océan, un chercheur confie avoir eu le réflexe de penser que les radiomètres du système de surveillance par satellite Copernicus étaient peut-être défectueux. Ce n’était – hélas – pas le cas.

    Cette aggravation récente des effets du réchauffement coïncide, et c’est une autre cause de sidération, avec un retour apparent du climatoscepticisme dans la conversation publique. Très marqués sur les réseaux sociaux ces derniers mois, les discours niant la réalité du changement climatique et/ou ses causes anthropiques seraient sur une pente ascendante depuis quelques années. Une enquête d’opinion internationale, coordonnée par EDF et l’institut Ipsos, suggère un essor du climatoscepticisme dans plusieurs grands pays entre 2019 et 2022. En France, selon ce sondage, environ 37 % de la population serait climatosceptique en 2022, en augmentation de huit points par rapport à l’année précédente.

    Mille nuances de scepticisme

    D’autres enquêtes, comme celle publiée en 2022 par l’Organisation de coopération et de développement économiques (OCDE), suggèrent des chiffres supérieurs : 43 % des Français estimeraient que la contribution humaine au réchauffement est nulle ou non déterminante. A l’inverse, le baromètre annuel de l’Ademe, mené avec l’institut OpinionWay, ne retrouve pas un tel niveau de défiance et évaluait l’an dernier à environ 81 % la proportion de Français convaincus par la réalité et les causes humaines du réchauffement. Fait remarquable : à l’inverse des précédentes études, ce baromètre met en évidence, ces dernières années, un accroissement de la confiance des Français dans le consensus scientifique sur la réalité et les causes du changement climatique.

    Une part de ces divergences s’explique probablement par la forme des questions posées, l’ordre dans lequel elles sont posées, le contexte général de chaque enquête, etc. Et même, peut-être, par la météo du jour, lorsque les participants ont répondu aux questionnaires. Aucune enquête d’opinion, si bien menée soit-elle, ne permet d’épuiser la question du climatoscepticisme. Et, si l’on étend sa définition à ce qu’elle devrait être – c’est-à-dire en tenant aussi compte de la perception de l’échelle des dégâts prévisibles du réchauffement et l’ampleur des transformations socio-économiques à accomplir pour les atténuer –, il est probable que le climatoscepticisme soit, en réalité, à peu près généralisé dans la société.

    Le monde politique en est le reflet. Il n’y existe aujourd’hui presque plus de déni pleinement assumé sur le sujet. Néanmoins, il persiste, à travers tout l’échiquier politique, une variété de prises de position ou de déclarations trahissant mille nuances de scepticisme. A commencer par le président de la République, qui, dans ses vœux pour l’année 2023, marquée par des températures caniculaires et la pire sécheresse depuis quatre siècles en Europe, s’est interrogé : « Qui aurait pu prédire (…) la crise climatique aux effets spectaculaires, cet été dans notre pays ? » Ce n’est pas un lapsus.

    Un tel texte n’a pas été prononcé sans avoir été méticuleusement relu par les collaborateurs d’Emmanuel Macron : que cette phrase, ignorant plus de trois décennies d’expertise internationale sur le changement climatique, ait pu être énoncée suggère une forme inconsciente de climatoscepticisme, non seulement chez le chef de l’Etat, mais dans tout son entourage.

    Déclarations convenues

    Ce qui est vrai à l’Elysée l’est aussi à tous les niveaux de responsabilité, et à travers presque tout le spectre politique. De l’ancien président Nicolas Sarkozy, qui attribue la crise climatique à la démographie africaine, au député (RN) du Loiret Thomas Ménagé, qui estime que le Groupe d’experts intergouvernemental sur l’évolution du climat (GIEC) « exagère ». Dans des communes de la « banlieue rouge » de Paris, on fait arracher des arbres centenaires – un des meilleurs remparts contre les îlots de chaleur urbains – pour des aménagements urbains contingents, comme si la prochaine canicule était la dernière.

    Quant à Carole Delga, la présidente (PS) du conseil régional d’Occitanie, elle assure placer très haut la question climatique dans l’ordre de ses priorités, tout en soutenant l’abattage de centaines d’arbres et le bétonnage de plus de 300 hectares de terres agricoles pour construire l’A69, entre Castres et Toulouse.

    Faire de la politique, c’est bien sûr faire des choix et les assumer, en dépit de ce que peut être l’état de la connaissance. Mais ces arbitrages trahissent chez ceux qui les prennent, au-delà des déclarations convenues, un for intérieur profondément sceptique sur la réalité de la menace et tout son potentiel d’aggravation.

    « Nous sommes tous climatosceptiques », déclarait le philosophe australien Clive Hamilton, en 2018, dans un entretien au Monde. Deux records, tombés cet été, en offrent une saisissante illustration. Juillet a été le plus chaud jamais mesuré à la surface de la planète et, le 6 de ce mois-là, l’aviation commerciale battait son record, avec 134 386 liaisons effectuées au cours de cette seule journée.
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/09/10/l-aggravation-recente-des-effets-du-rechauffement-coincide-et-c-est-une-autr

    #déni #climat #réchauffement_climatique #écologie #climatoscepticisme #capitalocène

    • « Nous sommes tous des climatosceptiques », 2018.

      Pour le philosophe australien Clive Hamilton, il est « presque impossible d’accepter toute la vérité sur ce que nous avons fait subir à la Terre ».

      Pourquoi est-il si compliqué d’agir contre le changement climatique ?

      L’une des raisons réside dans le déni de la réalité scientifique. Aux Etats-Unis, le climatoscepticisme a été inventé et propagé par l’industrie des énergies fossiles dans les années 1990. Mais ensuite, la science climatique, à la fin des années 2000, a été intégrée à une guerre culturelle qui n’a plus rien à voir avec les faits ou les preuves.

      Pour les conservateurs, rejeter la science est devenu l’expression de leur identité. Ils considèrent que la science climatique est promue par l’#écologie_politique. Or ils combattent l’écologie, au même titre que tous les progrès sociaux survenus dans les années 1960 (l’émancipation des femmes, le mouvement des droits civiques, les mouvements LGBT ou encore le pacifisme) qui, selon eux, sapent les bases d’une société chrétienne. Pour les faire évoluer sur le changement climatique, il faudrait changer leur identité, leur conception d’eux-mêmes en tant qu’êtres politiques, ce qui est extrêmement difficile.


      Donald Trump montre, avec sa main, la faiblesse du réchauffement climatique qui est, selon lui, en cours, alors qu’il annonce le retrait des Etats-Unis de l’accord de Paris, le 1er juin 2017 à Washington. KEVIN LAMARQUE / REUTERS
      Le problème vient donc surtout des climatosceptiques américains ?

      Il serait facile de seulement rejeter la faute sur les climatosceptiques et sur le président américain Donald Trump, mais la réalité est que nous sommes tous climatosceptiques. Il est presque impossible d’accepter toute la vérité sur ce que nous avons fait subir à la Terre . C’est si radical, si choquant, qu’il est très difficile de vivre avec tous les jours, cela nous en demande trop d’un point de vue émotionnel. J’ai vu des gens vivre avec cette idée au quotidien, ils ont développé une forme de folie.

      Accepter la totalité du message des scientifiques sur le climat signifierait abandonner le principe fondamental de la modernité, c’est-à-dire l’idée d’un progrès. Cela signifie renoncer à l’idée selon laquelle le futur est toujours une version améliorée du présent, ce qu’il ne sera plus à l’avenir. Il faudrait au contraire se résigner à un changement de vie radical. Or même ceux qui critiquent le capitalisme en sont dépendants.
      https://www.lemonde.fr/climat/article/2018/11/19/nous-sommes-tous-des-climatosceptiques_5385641_1652612.html
      https://justpaste.it/czmpt

      #climatologie #vérité #capitalisme

    • Accepter la totalité du message des scientifiques sur le climat signifierait abandonner le principe fondamental de la modernité, c’est-à-dire l’idée d’un progrès. Cela signifie renoncer à l’idée selon laquelle le futur est toujours une version améliorée du présent, ce qu’il ne sera plus à l’avenir. Il faudrait au contraire se résigner à un changement de vie radical. Or même ceux qui critiquent le capitalisme en sont dépendants.

      #progressisme #parle_pour_toi :p

    • @RastaPopoulos, un article pour toi :

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/09/10/hartmut-rosa-la-logique-moderne-est-intrinsequement-agressive_6188676_3232.h

      Dans Pourquoi la démocratie a besoin de la religion, vous considérez que notre société est captive de « l’accélération » et qu’elle a « perdu le sens du mouvement ». Quelle est la nature de la « situation de crise » qui en découle ?

      Cette formule renvoie à notre expérience quotidienne. Depuis le XVIIIe siècle, la conviction que demain serait meilleur qu’hier guidait chacun : nous allions vers plus de liberté, de savoir, de confort. La sensation d’aller de l’avant dérivait de trois facteurs, que sont la croissance économique, l’accélération technologique et l’innovation culturelle. C’est cette combinaison qui donne la caractéristique première de nos sociétés que j’appelle la « stabilisation dynamique », c’est-à-dire qu’elles sont vouées à accélérer pour maintenir leur équilibre. Nous devons nous développer, innover toujours plus vite pour rester exactement là où nous sommes, coincés dans ce que j’appelle une « immobilité frénétique ». A l’exception de notre société moderne, née au XVIIIe siècle, aucune civilisation n’a jamais vécu dans un tel schéma.
      Lire aussi l’entretien (2016) Hartmut Rosa : « Plus on économise le temps, plus on a la sensation d’en manquer »

      Longtemps, cet imaginaire du progrès a justifié de travailler dur pour que ses enfants aient une vie meilleure. Désormais, cet élan est perdu. Je situerais le point de rupture autour de l’an 2000. Les données montrent que l’écrasante majorité des Américains, des Européens, mais aussi des Coréens et des Japonais avaient perdu la foi de leurs parents. L’objectif est alors devenu que la situation de ses enfants ne recule pas.

      La nouveauté de cette crise n’est donc pas l’accélération, intrinsèque à la modernité, mais la perte du « sens du mouvement », autrement dit du sentiment d’aller de l’avant. Ainsi, les automobiles sont nocives pour l’environnement, mais nous continuons à en fabriquer toujours plus, car le système économique allemand repose sur cette industrie. Nous avons suffisamment de voitures, d’ordinateurs et de vêtements, mais nous devons continuer à en concevoir pour ne pas nous effondrer : sans cela, nous ne pouvons pas maintenir les hôpitaux, payer les retraites, financer les écoles.

    • Hartmut Rosa, penseur de l’accélération : « L’accélération conduit à un état d’agressivité, particulièrement sensible chez les individus des sociétés occidentales »
      https://justpaste.it/ava7d
      in Le Monde des religions et des spiritualités
      heureusement qu’on trouve des gens intelligents pour nous expliquer autrement que "nous ne pouvons pas maintenir les hôpitaux, payer les retraites, financer les écoles" sans le capitalisme.

      #foi #résonance

    • #qui_aurait_pu_predire : que cette phrase, ignorant plus de trois décennies d’expertise internationale sur le changement climatique, ait pu être énoncée suggère une forme inconsciente de climatoscepticisme, non seulement chez le chef de l’Etat, mais dans tout son entourage.

      Forme inconsciente ??? Ça euphémise carrément au Monde.

    • la chose foireuse dans cette phrases c’est le timing (3 décennies, on rigole). quant à la puissance du déni, du refus de reconnaître la réalité d’une perception, d’un savoir, d’un fait traumatisants, c’est un mécanisme de défense du moi, bien ordinaire.
      qu’il s’agisse de la pandémie, du réchauffement climatique ou, plus proche de ce qui se manifeste ici même, de l’antisémitismedegauche, le mensonge s’impose pour sauver le moi et pas simplement comme fruit d’un calcul, comme tant de mensonges. nos maîtres sont des gens biens ordinaires, dans une aliénation transcendantale qui tutoie la folie.

  • Agosto 2023: detenzioni abusive e aggressioni da parte della polizia in Costa Azzurra

    Progetto20K: «Questa frontiera produce e riproduce questo tipo di violenza 365 giorni all’anno»

    Progetto20K ha diffuso un comunicato il 24 agosto 2023 con il quale denuncia diversi abusi monitorati al confine di Ventimiglia tra l’Italia e la Francia e in Costa Azzurra.

    Da domenica 20 agosto 2023, sono state segnalate violazioni più allarmanti del solito da parte della polizia presso la stazione di frontiera di Ponte San Luigi a Mentone, nelle Alpi Marittime (Francia). Oltre alle consuete pratiche illegali della polizia, c’è l’attuale detenzione prolungata di circa 70 minori non accompagnati almeno da domenica 20 agosto (quindi già da 4 giorni) ed il rilascio di documenti di espulsione ad almeno 2 minori non accompagnati e l’aggressione fisica di una famiglia su un treno italiano.

    Nonostante il caldo asfissiante, la polizia francese continua a detenere illegalmente le persone in container al posto di frontiera di Ponte San Luigi (che si affaccia sul porto turistico di Mentone) per diverse ore o addirittura per giorni, al punto che decine di persone dormono e aspettano all’esterno, sotto una rete metallica.

    Durante questa ondata di caldo, decine di minori sono stati rinchiusi e ci sono rimasti per diversi giorni. Le informazioni che ci sono state riferite dal personale di un centro di accoglienza per minori non accompagnati nelle Alpi Marittime sono le seguenti:

    – 68 minori, lunedì 21 agosto alle 21.00;
    – 78 minori, mercoledì mattina 23 agosto;
    – 72 minori, mercoledì 23 agosto alle 22.00;

    Questa situazione ricorda la detenzione diffusa, arbitraria e collettiva di minori che si verifica regolarmente alla frontiera: l’episodio più recente risale all’aprile 2023.

    Inoltre, secondo diverse testimonianze di persone espulse in Italia, la polizia falsifica le date di nascita, nonostante le numerose proteste degli ultimi anni contro questa pratica.

    Questa la testimonianza di Siaka 1:

    “Martedì 22 agosto mi hanno chiamato, da solo ed hanno controllato le mie impronte digitali. Le informazioni emerse erano le stesse registrate al mio arrivo in Italia: ho riconosciuto la foto che mi era stata scattata a Lampedusa. Poi mi hanno preso di nuovo le impronte, ma con un’altra macchina, e mi hanno scattato una nuova foto.

    Non sapevo cosa stesse facendo la polizia, non mi hanno chiesto ne spiegato nulla. So che alcuni altri giovani hanno parlato con qualcuno che non era un agente di polizia e che li ha interrogati sulla loro età, sulla loro situazione familiare e su come sono arrivati qui. Ho visto questa persona ma non mi ha parlato. Sono stato riportato nella stanza e dopo un po’ mi hanno chiamato di nuovo. Mi hanno dato dei documenti a mio nome, ma la mia data e il mio luogo di nascita erano stati cambiati. C’era scritto che ero nat* nel 2005, mentre sono nat* nel 2007.

    Non conosco il luogo in cui hanno scritto che sono nat*, e a volte c’è anche confusione tra il mio Paese, la Guinea Conakry, e la Guinea Bissau. Questo documento è un obbligo di lasciare il territorio francese con il divieto di rientrare nel territorio francese per un anno.”

    Siaka è stat* bersaglio di una novità del 2023 nell’arsenale delle pratiche illegali di polizia su questa frontiera: l’emissione di una Obligation de Quitter Territoire Français (Obbligo di lasciare il territorio francese ndR.) (OQTF) a minori, senza alcuna procedura regolare per la valutazione dello status di minore da parte del dipartimento delle Alpi Marittime. Già nel gennaio 2023, un minore è stato respinto con un OQTF senza che il dipartimento gli fornisse alcun tipo di rapporto di valutazione della minore età che giustificasse la sua decisione.

    In questo caso, la polizia non ha potuto ignorare la minore età di Siaka poiché ha presentato una foto del suo certificato di nascita. Hanno anche consultato gli archivi della polizia italiana, che identificavano chiaramente Siaka come un minore.

    Senza procedura, l’assegnazione arbitraria delle date di nascita alle persone da parte della polizia non può che costituire una falsificazione, quindi un reato penale (a maggior ragione se in una scrittura pubblica), mentre la mancata assistenza ai minori non accompagnati è una violazione dei diritti dei bambini/minori.

    Al momento in cui scriviamo, la situazione rimane irrisolta, senza che sia stata fatta giustizia per i/le giovani detenut* e per quell* che si trovano per strada su entrambi i lati del confine.

    Aggressioni della polizia di frontiera: violenza, razzismo e impunità

    Alla fine della giornata del 22 agosto, un treno partito da Ventimiglia e diretto a Cuneo è stato controllato dalla gendarmeria francese. Questo treno è particolare in quanto serve 5 stazioni francesi (in cui avvengono sistematicamente controlli d’identità da parte delle autorità) anche se il suo capolinea è in Italia. All’arrivo alla prima stazione francese (Breil-sur-Roya), la gendarmeria controlla il treno e chiede a* passegger* razzializzat* i loro documenti d’identità, visto che in base ai loro criteri sono loro ad avere maggiori probabilità di viaggiare illegalmente.

    Una famiglia composta da un uomo, una donna incinta di 7 mesi e un bambino piccolo è stata presa di mira da 3 gendarmi della compagnia di intervento “Gendarmeria India 14/6”, con un comportamento eccessivamente violento e ansiogeno, nonostante la presenza di un bambino terrorizzato e di testimoni che riprendevano la scena e gridavano “Basta!”, “Lasciatela andare!“. È stata una scena di violenza inaudita (perché la violenza è la norma qui al confine, ma questo è un nuovo livello).

    https://www.youtube.com/watch?v=twsY-BMKx_w&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.meltingpot.org%

    Un avvocato si è assunto il compito di rappresentare e difendere la donna che è stata arrestata e messa in custodia con l’accusa di “ribellione e violenza nei confronti di una persona che detiene pubblica autorità (PDAP)”.

    Secondo Maître Zia Oloumi, la donna viaggiava con un biglietto e non sapeva che questo treno italiano Ventimiglia-Limone stava attraversando la Francia. Stava andando a chiedere asilo in Italia con il padre di suo figlio e il suo bambino di un anno.

    La mattina successiva il marito e il bambino sono stati rimandati in Italia (a piedi) dopo essere stati trattenuti contro la loro volontà nella stazione di polizia di frontiera di Ponte San Luigi (Mentone). Solo alla fine della giornata, dopo un lungo periodo di detenzione da parte della polizia, la donna ha potuto raggiungerli a Ventimiglia, in Italia.

    Quest’ultimo episodio di violenza da parte della polizia è un altro di una lunga serie di abusi di potere, di profilazione razziale e di attacchi fisici e verbali contro le persone in movimento e, più in generale, contro le persone di colore. Queste pratiche sono avallate dalla retorica politica fascista, così come dai disegni di legge (la nuova legge sull’asilo e l’immigrazione in fase di elaborazione da parte del governo francese) e da poteri di polizia sempre più pericolosi e fuori controllo (la “Border Force” del primo ministro Elisabeth Borne che mira a “rendere sicure le nostre frontiere”, usare droni per pattugliare i sentieri di montagna; con un bilancio destinato alla sicurezza che prevede un aumento di 1,05 miliardi di euro nel bilancio del Ministero dell’Interno tra il 2022 e il 2023, secondo Le Monde).

    Vorremmo anche far notare ai giornalisti, ai rappresentanti eletti e a tutt* che questa frontiera produce e riproduce questo tipo di violenza 365 giorni all’anno e che, se da un lato è importante amplificare e pubblicizzare questi episodi di violenza conclamata, è anche fondamentale istituire centri di osservazione permanenti e strutture di supporto legale e politico direttamente sul posto.

    Gli agenti di polizia possono fare quello che vogliono anche quando sono sorvegliati, quindi sosteniamo gli sforzi di autodifesa collettiva.

    «Filmare la polizia, sostenere i gruppi locali di persone in movimento, prendere posizione contro il razzismo sistemico.»

    https://www.meltingpot.org/2023/08/agosto-2023-detenzioni-abusive-e-aggressioni-da-parte-della-polizia-in-c
    #détention_abusive #détention #mineurs #asile #migrations #réfugiés #frontières #frontière_sud-alpine #Alpes-Maritimes #Alpes #Italie #France #racisme #progetto20k #rapport #Vintimille #Menton #Ponte_San_Luigi #OQTF #obligation_de_quitter_le_territoire_français #violences_policières #impunité

  • L’Urss, régime totalitaire le plus accompli
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1125-L-Urss-regime-totalitaire-le-plus-accompli

    Texte extrait du bulletin de « Le Crépuscule du XXe siècle », n°38-39, mai 2021, faisant suite à l’article « Islam et #Totalitarisme ».

    L’antériorité du régime soviétique sur le régime nazi (quinze à vingt ans “d’avance” selon les aspects les plus typiques) est indiscutable sauf sur deux points : l’épuration violente dirigée contre son propre mouvement fut une innovation nazie (avec la Nuit des Longs Couteaux), mais elle resta d’une ampleur limitée et ne fut jamais reproduite. (...)

    #Fargette G., #Politique, #Histoire, #Avant-gardisme, #Paléo-marxismes, #Progressisme, #Article, #Totalitarisme#Dynamiques_Géopolitiques #Empire

  • La contingence dans les affaires humaines (2/2)
    Débat Cornelius Castoriadis – René Girard

    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1068-La-contingence-dans-les-affaires-humaines

    Voir la première partie (.../...)
    X : J’aimerais me faire l’avocat des Grecs. En effet, il n’y a pas chez eux de texte qui défende les victimes contre tous…
    Castoriadis : Ce n’est pas vrai !
    Schlanger : Castoriadis, tu parles après lui… S’il vous plaît… Castoriadis, Castoriadis, laissez-le, laissez-le terminer… Tu parles, et ensuite, c’est Castoriadis.
    X : J’essaie d’être bref, il y a cependant chez les Grecs une défense de la liberté, une critique de l’oppression. C’est tout de même une nouveauté. (...)

    #Apports_théoriques_:_Imaginaire,_culture,_création, #Anthropologie, #Psycho-sociologie, #Compte-rendu, #Création_sociale-historique, #Philosophie, #Progressisme, #Religion

  • La contingence dans les affaires humaines (1/2)
    Débat Cornelius Castoriadis – René Girard

    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1067-La-contingence-dans-les-affaires-humaines

    Extrait de « Colloque de Cerisy. L’auto-organisation. De la physique au politique », Seuil, 1983, pp. 279 – 301 (Source). Séminaire samedi 13 juin 1981, soirée Didier Bigo et Serge Sidoroff ont profité du « ciclo » pour proposer un débat entre Cornelius #Castoriadis et René #Girard sur le thème de la contingence dans les affaires humaines. Entre ces deux œuvres si différentes, quel passage trouver si ce n’est justement que l’une et l’autre accordent une place critique à la contingence ? (...)

    #Apports_théoriques_:_Imaginaire,_culture,_création, #Anthropologie, #Psycho-sociologie, #Compte-rendu, #Création_sociale-historique, #Philosophie, #Progressisme, #Religion

  • Le but de cet article est de vous expliquer la #comptabilisation de l’ #autoliquidation de TVA dans le secteur du bâtiment. Il s’agit d’un processus spécifique qui nécessite une attention particulière, j’ai souvent eu l’occasion d’accompagner des utilisateurs du #progiciel de #gestion #BTP sur la question de la comptabilisation de l’autoliquidation de #TVA.
    https://michelcampillo.com/blog/3897.html

  • #Emmanuel_Lechypre, journaliste à BFM Business :

    « L’#échec des #politiques_de_la_ville, une quinzaine de #plans_banlieues depuis 1977. 100 milliards d’euro sur la table, et pas de résultats. La réalité c’est que la situation est bien plus difficile pour ces 7,5% de la population qui vivent dans les #banlieues que pour le reste du pays. Le taux de #chômage y est 2 fois plus élevé. La moitié des jeunes n’y a pas d’emploi, 4 habitants sur 10 n’ont aucun #diplôme, c’est le double de la moyenne nationale, et le taux de #pauvreté est 3 fois plus élevé que dans l’ensemble du pays.
    Quand vous regardez, est-ce que les habitants des #quartiers_pauvres reçoivent plus de #transferts_sociaux que les autres ? Non, en France métropolitaine on est à 6800 euros en moyenne par an. Là c’est 6100 euros dans les banlieues.
    Est-ce que ces territoires, plus pauvres, reçoivent beaucoup plus de la #solidarité_nationale qu’ils ne contribuent ? Ce n’est pas vrai. La Seine-Saint-Denis est le 3ème département en France le plus pauvre de France, et pourtant c’est le 8ème contributeur en termes de #cotisations_sociales.
    Est-ce que les quartiers pauvres sont mieux traités par l’Etat que la France périphérique ? Non, si on regarde les chiffres en matière de #santé, les quartiers populaires comptent moins de 250 professionnels offrant des #soins de proximité. C’est 400 en moyenne en France. Et même quand l’Etat dépense plus, les chiffres sont trompeurs. C’est vrai sur le coût moyen d’un élève accueilli en #éducation_prioritaire, il est plus élevé, sauf que la qualité de l’#enseignement qui est dispensé est moins bonne. »

    https://twitter.com/Laurent_Potelle/status/1675463787221008387
    https://www.bfmtv.com/economie/replay-emissions/good-morning-business/emmanuel-lechypre-banlieues-trop-peu-d-argent-trop-mal-depense-30-06_VN-20230
    #chiffres #statistiques #préjugés #idées_reçues #quartiers_populaires #réalité #Nahel #politique_de_la_ville

    ping @karine4 @isskein @cede

    • Violences en banlieue : la politique de la ville, une cible trop facile

      Depuis la mort de Nahel, l’extrême droite s’indigne des milliards qui auraient irrigué en vain les quartiers populaires. Mais avec des plans banlieues délaissés depuis des années, le problème semble surtout résider dans les rapports entre la jeunesse et la police.

      C’est une petite musique qui monte, après cinq nuits d’émeutes qui laissent le pays groggy. Une rage de justice, pour venger la mort de Nahel, 17 ans, tué par un tir policer le 27 juin, qui a tout emporté sur son passage : mairies, commissariats, écoles, centres des impôts ou de santé, médiathèques, boutiques et centres commerciaux, voitures et mobilier urbain. Jusqu’à cette tentative de mettre le feu à la mairie de Clichy-sous-Bois, tout un symbole : foyer des précédentes violences de 2005, la ville a longtemps été dirigée par l’actuel ministre de la Ville, Olivier Klein.

      Cette petite musique, le Rassemblement national la fredonne depuis des années, mais c’est Eric Zemmour qui l’a entonnée vendredi sur Twitter : « On a dépensé 40 milliards d’euros pour reconstruire ces quartiers avec le #plan_Borloo, 40 milliards ! Vous voyez le résultat aujourd’hui ? » Un discours démagogique : le #programme_national_de_rénovation_urbaine (#PNRU, 2004-2021), créé par la loi Borloo du 1er août 2003, n’a pas coûté 40 milliards, mais 12. Lesquels ont été financés aux deux tiers par #Action_Logement, l’organisme paritaire qui collecte le 1 % logement, un prélèvement sur la masse salariale. Le reste par les collectivités locales et l’Etat. Ces 12 milliards d’euros ont généré 48 milliards d’euros de travaux, une manne qui a surtout profité au BTP. En outre, le PNRU a généré 4 milliards de TVA, 6 milliards de cotisations et 40 000 emplois pendant dix ans. Merci la banlieue. Un deuxième programme, le #NPNRU (N pour nouveau), est en route. D’un montant identique, il court jusqu’en 2030.

      « Plus grand chantier civil de l’histoire »

      Trop d’argent aurait été déversé pour les quartiers populaires ? « Franchement, vous n’imaginez pas à quoi ressemblait leur #état_d’abandon, de #misère, l’#enfermement : la police ne rentrait pas dans ces quartiers, les poubelles n’étaient pas ramassées, personne n’y rentrait ! » s’énervait #Jean-Louis_Borloo mardi 27 juin. Avant d’engueuler Libération, qui l’interrogeait sur son bilan  : « A quoi ça a servi ? Avant le PNRU, qui est quand même le plus grand chantier civil de l’histoire de France, il y avait des émeutes sporadiques dans les quartiers, quasiment tous les jours, jusqu’au grand embrasement de 2005. »

      C’était quelques heures avant que Nanterre ne s’embrase. Hasard cruel du calendrier, le père de la #rénovation_urbaine se trouvait à la Grande Borne à Grigny (Essonne), dans le cadre d’un déplacement censé donner le coup d’envoi des « célébrations » des 20 ans de l’#Agence_nationale_pour_la_rénovation_urbaine (#Anru) et à quelques jours d’un Comité interministériel des villes présidé par Elisabeth Borne, qui devait enfin dévoiler le contenu du plan « Quartiers 2030 ». Issue de la loi la loi Borloo, l’Anru est aujourd’hui présidée par Catherine Vautrin, présidente LR du Grand Reims, qui a succédé à Olivier Klein.

      Si le plan Borloo a permis de pacifier les banlieues, il a été par la suite « victime de son succès ». « Quand ça a commencé à aller mieux, on a arrêté de s’occuper des banlieues, ce n’était plus un problème », explique l’ex-maire de Valenciennes. Il aura fallu l’« appel de Grigny » en 2017 suivi d’un rapport également signé par Borloo en 2018 et une déambulation d’Emmanuel Macron en Seine-Saint-Denis, en plein Covid, pour que le chef de l’Etat ne se décide enfin à lancer l’acte II de la rénovation urbaine.

      Entretemps, une génération aura été sacrifiée. « Les 15-17 ans qui constituent le gros des émeutiers, ce sont les oubliés de la politique de la ville, estime un ex-préfet de Seine-Saint-Denis. Ce mouvement doit engendrer une révolution des dispositifs permettant d’appréhender socialement cette classe d’âge, dont personne ne s’occupe, de Toulouse à Sevran. » L’éducation y joue un rôle central, et l’annonce faite le 26 juin par le chef de l’Etat à Marseille d’étendre les heures d’ouverture des collèges a été saluée par les acteurs de la politique de la ville, qui ne se résume pas à la rénovation urbaine.

      « La question, c’est la police, la police, la police »

      On en fait trop pour les banlieues, vraiment ? Quelques chiffres récents compilés par l’Insee : dans les 1 514 « quartiers prioritaires de la politique de la ville » (QPV), où vit 8 % de la population, le taux de pauvreté est trois fois plus élevé (43 %) que dans le reste des unités urbaines et le revenu médian plafonne à 13 770 euros par an et par foyer. Avec un taux de chômage de 18,6 %, plus du double du niveau national. Bref, « dans les QPV, les communes ont plus de besoins mais moins de ressources : 30 % de capacité financière en moins », rappelait Borloo dans son plan de « réconciliation nationale ». La politique de la ville n’est pas la charité, ou une faveur faite aux plus précaires.

      Dans ces quartiers, plus de la moitié des enfants vivent en situation de pauvreté : 57 %, contre 21 % en France métropolitaine. Ils grandissent la rage au ventre à force de se faire contrôler : dans ces quartiers dont souvent un quart des habitants ne sont pas nés en France, un jeune homme noir ou arabe a une probabilité vingt fois plus élevée d’être contrôlé que l’ensemble de la population, selon un rapport du Défenseur des droits de 2017. Pour le sociologue Renaud Epstein, on se trompe donc en imputant la révolte actuelle à l’échec de la rénovation urbaine. « La question, c’est la police, la police, la police, et éventuellement la justice. La rénovation urbaine n’a rien à voir là-dedans. Si ça chauffe à Pablo-Picasso [le quartier de Nanterre où vivait Nahel, épicentre des violences, ndlr], ce n’est pas parce qu’on va leur enlever leur mosaïque pour pouvoir rénover les tours Nuages ! »

      Elu municipal à Bobigny (Seine-Saint-Denis) et infatigable militant des quartiers populaires, Fouad Ben Ahmed peut dater la bascule au jour près. Le 3 février 2003, quand Nicolas Sarkozy, alors ministre de l’Intérieur, se rend à Toulouse et lance : « La police n’est pas là pour organiser des tournois sportifs, mais pour arrêter les délinquants, vous n’êtes pas des travailleurs sociaux. » Dans la foulée, le directeur de la police toulousaine est limogé. « Dès lors, la police n’a plus été là pour protéger les jeunes, mais pour les interpeller. » L’élu socialiste n’oublie pas non plus la dimension économique des violences actuelles, qu’il qualifie d’« émeutes du pouvoir d’achat ». Ce dont témoignent les pillages de supermarchés de hard discount comme Aldi. A Grigny, le maire, Philipe Rio, le rejoint : « Depuis 2005, la pauvreté a explosé à Grigny, et la crise du Covid et l’inflation ont été un accélérateur d’inégalités et d’injustices. »

      Alors que Mohamed Mechmache, figure des révoltes urbaines de 2005 à travers son association ACLeFeu, réclamait ce dimanche « un vrai Grenelle pour les quartiers », certains craignent que ces émeutes ne plantent le dernier clou dans le cercueil de la politique de la ville. En clair : il n’y aura pas de PNRU 3 ni de 18e plan banlieue. « Vu l’état de sécession de la jeunesse, et en face la force de l’extrême droite, il n’y aura plus un sou pour les quartiers, c’est mort », confie un militant. Rencontrée samedi soir à Bobigny, Nassima, qui condamne les violences mais comprend la colère, le dit avec ses mots et la sagesse de ses 15 ans : « Déjà qu’on était délaissés, mais on va l’être encore plus car les Français vont se dire : “Ces gens, on les aide, pour qu’au final ils pillent.” »

      https://www.liberation.fr/societe/ville/violences-en-banlieue-la-politique-de-la-ville-une-cible-trop-facile-2023

    • Trop d’argent public dans les banlieues ? « Un vaste mensonge à des fins racistes et anti-pauvres »

      Après les révoltes urbaines, des commentateurs ont accusé les banlieues d’engloutir les #fonds_publics. La réalité ce sont plutôt des #services_publics moins bien dotés qu’ailleurs, et des travailleurs essentiels plus nombreux dans ces quartiers.

      Les banlieues seraient « gorgées d’#allocations_sociales », a dit Éric Zemmour. Ou bien encore seraient dépendantes du « trafic de drogues », a affirmé le patron du Medef au sujet de la Seine-Saint-Denis, avant de s’excuser. « Quand on regarde la réalité de près, le fantasme des milliards d’argent public déversés, d’habitants qui seraient gorgés de subventions est un vaste #mensonge », réagit Stéphane Troussel, président, socialiste, du département en question. La Seine-Saint-Denis, « c’est un département dans le top 10 des créations d’entreprises, en 20 ans, l’emploi y a bondi de 30 %», met par exemple en avant l’élu pour contredire les #préjugés.

      « Je ne suis ni angélique ni naïf, je sais aussi les difficultés, le niveau de chômage, le nombre d’allocataires du RSA, le taux de délinquance et de criminalité élevé, ajoute-t-il. Mais les clichés et caricatures exploités par les réactionnaires et l’extrême droite le sont à des fins politiques, à des fins racistes et anti-pauvres, pour exacerber le clivage entre ce que nous représentons en Seine-Saint-Denis, qui est un peu l’emblème des banlieues, et le reste de la France. »

      Des quartiers de travailleuses et travailleurs

      Les affirmations discriminatoires de quelques figures politiques depuis les émeutes qui ont secoué les quartiers populaires sont en grande partie contredites par la réalité. Dans la symbolique Seine-Saint-Denis, la population dispose « du plus faible niveau de vie de la France métropolitaine », pointait un rapport parlementaire en 2018. Le département présente aussi le taux de #chômage le plus élevé de la région Île-de-France : à 9,8% contre 5,4 % à Paris début 2023. Mais la Seine-Saint-Denis est aussi le département d’Île-de-France, « où la part des travailleurs clés dans l’ensemble des actifs résidents est la plus élevée », relevait l’Insee dans une étude en 2021.

      Les « #travailleurs-clés » de Seine-Saint-Denis sont entre autres aides à domicile, caissières et caissiers, ou encore vendeurs de commerces essentiels. Des #métiers dont tout le monde a perçu l’importance vitale pendant les confinements. L’atelier parisien d’urbanisme s’est aussi demandé où vivent les actifs des professions essentielles d’Île-de-France : personnel hospitalier, caissiers, ouvriers de la logistique, de la maintenance, aides à domicile, personnel de l’éducation…

      Sans surprise, du fait des prix de l’immobilier, elles et ils sont peu à vivre à Paris et beaucoup plus dans les départements des banlieues populaires. Les auxiliaires de vie, par exemple, résident plus fréquemment en Seine-Saint-Denis. Les livreurs sont sous-représentés à Paris, dans les Hauts-de-Seine et dans les Yvelines, mais surreprésentés dans les autres départements franciliens, principalement en Seine-Saint-Denis, dans le Val-d’Oise et le Val-de-Marne.

      Justice, police : #sous-dotation à tous les étages

      « Tous ceux qui ont étudié un peu la situation et essayé de la regarder objectivement ont constaté le #sous-équipement de notre département, notamment en termes de grands services publics, en matière de #justice, de #police, d’#éducation, de #santé », dit aussi Stéphane Troussel. L’élu cite le rapport parlementaire « sur l’évaluation de l’action de l’État dans l’exercice de ses missions régaliennes en #Seine-Saint-Denis » rédigé en 2018 par un élu du parti de Macron et un élu LR.

      Le rapport pointe notamment l’inégalité d’accès à la justice. Par exemple, la durée de traitement des affaires au tribunal d’instance est de 8,6 mois en moyenne en Seine-Saint-Denis, contre moins de 5 mois pour ceux du 18e arrondissement ou du 15e arrondissement de Paris. La Seine-Saint-Denis dispose aussi de beaucoup moins d’officiers de police judiciaire, ceux et celles chargés d’enquêter, que Paris et les Hauts-de-Seine.

      « La police, dans un département populaire comme le nôtre, n’est pas assez dotée en moyens, qu’ils soient humains ou immobiliers, estime Stéphane Troussel. L’état des commissariats est scandaleux. » L’élu pense aussi qu’il faut changer la police. « Il faut un débat sur la doctrine d’intervention, les contrôles aux faciès, les conséquences des modifications législatives de 2017 [sur l’usage de leur arme par les policiers en cas de refus d’obtempérer, ndlr], sur la formation des policiers… Mais en attendant, je suis pour une police qui est un service public, qui rassure et protège d’abord les plus fragiles et les plus modestes, les femmes seules, les enfants et les jeunes, les personnes âgées. Aujourd’hui, je considère que la police n’a pas les moyens de cette action dans un département comme le nôtre. »

      Éducation : des milliers d’heures de cours perdues

      La situation n’est pas meilleure dans l’éducation. Il existe en Seine-Saint-Denis « une forme subie d’#exclusion_scolaire : l’absence d’enseignant devant les élèves », pointait le rapport parlementaire de députés LR et LREM. « En dépit des postes créés depuis cinq ans, la continuité de l’enseignement n’est toujours pas assurée en Seine-Saint-Denis, pour une raison “mécanique” qui tient à l’inefficacité du dispositif de remplacement des absences de courte durée », ajoutaient les deux parlementaires.

      L’an dernier, Mediapart avait comptabilisé 259 heures perdues en un mois dans un collège de Seine-Saint-Denis faute d’enseignants pour faire cours. Dans les Hauts-de-Seine, la Fédération des conseils de parents d’élèves (FCPE) recensait ce printemps déjà plus de 800 heures de cours perdues à Bagneux, commune populaire des Hauts-de-Seine.

      Pourtant, nombre d’établissements scolaires des banlieues populaires d’Île-de-France sont classés « réseau d’éducation prioritaire », Rep ou Rep+. Ce qui devrait signifier des moyens supplémentaires. 58 % des écoliers et 62 % des collégiens de Seine-Saint-Denis sont inscrits dans un établissement de ce type.

      « Dans les établissements Rep et Rep+, les moyens ne sont absolument pas à la hauteur des besoins, accuse Fatna Seghrouchni, professeure de français en collège dans le Val-d’Oise et cosecrétaire de la fédération Sud Éducation. « On entasse les élèves dans les classes, on surcharge les classes. » Quand elle est arrivée dans son collège il y a 17 ans, l’enseignante avait « 20 à 22 élèves par classe », témoigne-t-elle. « Alors que mon collège n’était pas encore classé #Rep. Aujourd’hui, on est à 26-28 tout en étant classé Rep. Cinq élèves en plus par classe, c’est oppressant pour les élèves eux-mêmes. Et l’établissement n’est pas fait pour accueillir autant d’élèves. »

      La responsable syndicale salue les programmes de soutien pour les établissements classés prioritaires, d’aides aux devoirs, les enveloppes budgétaires pour proposer des activités culturelles et sportives. Mais tout cela reste « du saupoudrage, dit-elle. Nous, nous demandons surtout moins d’élèves dans les classes, plus d’établissements scolaires, pour mieux accueillir tous les élèves, plus d’enseignants, plus de personnel en général, et une meilleure rémunération de tous les personnels. »

      Des grands projets qui ne profitent pas aux habitants

      Au cours des nuits de tensions fin juin et début juillet, Yohan Salès, conseiller municipal à Pierrefitte-sur-Seine pour la France insoumise, a arpenté les rues de sa ville à la rencontre des jeunes et des médiateurs. « On a discuté des débats des plateaux télé des derniers jours. Ce que disent les gens, c’est que l’argent de la politique de la ville, on ne le voit pas, rapporte-t-il. Dire que la Seine-Saint-Denis engloutit des millions d’argent public, c’est une lubie de la droite. L’investissement est en fait largement insuffisant. »

      Pour lui, beaucoup des grands projets menés par l’État dans le département de Seine-Saint-Denis ne profitent pas à la population des quartiers. « La vérité, c’est que sur la Plaine-Saint-Denis par exemple, que l’État veut transformer en un nouveau quartier d’affaires, il n’y a pas de volonté politique pour que les habitants du département puissent y travailler. Le chantier d’un site des Jeux olympiques (JO) a brûlé à Aubervilliers, mais ces JO ne vont pas profiter aux habitants du département ! Aucun habitant ne pourra se permettre le prix du billet d’un événement sportif de ces Jeux. » Le premier tarif démarre à 24 euros pour les JO et 15 euros pour les Jeux paralympiques, pour les places avec le moins de visibilité. Les tarifs vont jusqu’à frôler les 1000 euros pour les meilleures places.

      Comment se payer des places, même à quelques dizaines d’euros, quand « une situation de détresse alimentaire frappe les habitants » des banlieues, comme l’alertaient quelques semaines avant la mort de Nahel et les émeutes, des dizaines d’élus locaux des quartiers populaires de différents horizons politiques ? « Les banlieues sont au bord de l’#asphyxie », leurs habitants ont « le sentiment d’être abandonnés par la République », écrivaient aussi ces édiles. Face à cette situation, le président de la Seine-Saint-Denis Stéphane Troussel en appelle à « une action publique de remise à niveau qui porte un choc structurel d’égalité. Sans cela, ma crainte, c’est que les écarts ne cessent de s’accroître ». Dans son département, en Île-de-France, et au-delà.

      https://basta.media/trop-d-argent-public-dans-les-banlieues-un-vaste-mensonge-a-des-fins-racist

      ici aussi :
      https://seenthis.net/messages/1010259

  • Dossier thématique : Les émeutes et leur répétition
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1147-Dossier-thematique-Les-emeutes-et-leur-repetition

    Depuis un demi-siècle, les « émeutes » en Occident se succèdent, s’étendent et s’intensifient. Toujours plus ou moins adossées à un évènement surinterprété à la lumière d’un « racisme », elles sont l’occasion d’explosions de violences, de saccages aveugles, de pillages hystériques et de meurtres tus. La gauche et ses gauchismes y plaquent de manière irréelle une aspiration à la « justice sociale », comme ils confondent organiquement putsch et révolution, démagogie et démocratie, logomachie et pensée. Ces éruptions anomiques sont en réalité à la confluence de deux grandes régressions. (...)

    #Dossiers_thématiques, #Lieux_Communs, #Politique, #Psycho-sociologie, #Gauchisme, #Insurrectionnalisme, #Multiculturalisme, #Progressisme,, #Banlieue, #Émeutes, #Immigration#Pseudo-subversion

  • Pourquoi Le Capital de Marx est-il toujours d’actualité?

    interview de David Harvey - 24 janvier 2023

    https://www.contretemps.eu/capital-marx-actualite-entretien-david-harvey

    Le géographe marxiste David Harvey s’est entretenu avec Daniel Denvir pour le podcast The Dig de Jacobin Radio, à propos des forces créatrices et destructrices du capital, du dérèglement climatique et des raisons pour lesquelles il vaut toujours la peine de se battre contre le capitalisme.

    Il explique pourquoi Le Capital de Karl Marx reste un ouvrage essentiel pour comprendre et vaincre le capitalisme et ses horreurs. Plus d’un siècle et demi s’est écoulé depuis que Karl Marx a publié le premier volume du Capital. Il s’agit d’un ouvrage massif et intimidant, que de nombreux·ses lecteurs·rices pourraient être tenté·es d’ignorer. Selon David Harvey, ce serait assurément une erreur.

    Harvey enseigne Le Capital depuis des décennies. Ses cours sur les trois volumes du livre sont très populaires et disponibles gratuitement en ligne [ http://davidharvey.org/reading-capital ] ; ils ont été suivis par des millions de personnes à travers le monde et ont servi de base à ses livres d’accompagnement des volumes I et II. Le dernier livre de Harvey, Marx, Capital, and the Madness of Economic Reason, accompagne de manière plus synthétique les trois volumes. Il y traite de l’irrationalité fondamentale du système capitaliste.

    • A ce propos : L’actualité du marxisme :

      [...] Trotsky constatait en 1939, dans Le Marxisme et notre époque, qu’ «  en dépit des derniers triomphes du génie de la technique, les forces productives matérielles ont cessé de croître. Le symptôme le plus clair de ce déclin est la stagnation mondiale qui règne dans l’industrie du bâtiment, par suite de l’arrêt des investissements dans les principales branches de l’économie. Les capitalistes ne sont plus en état de croire à l’avenir de leur propre système.  »

      Alors que la bourgeoisie s’était engagée dans le fascisme ou le New Deal et s’apprêtait à plonger l’humanité dans une nouvelle guerre, Trotsky concluait  : «  Des réformes partielles et des rafistolages ne serviront à rien. Le développement historique est arrivé à l’une de ces étapes décisive, où, seule, l’intervention directe des masses est capable de balayer les obstacles réactionnaires et de poser les fondements d’un nouveau régime. L’abolition de la propriété privée des moyens de production est la condition première d’une économie planifiée, c’est-à-dire de l’intervention de la raison dans le domaine des relations humaines, d’abord à l’échelle nationale, puis, par la suite, à l’échelle mondiale.  »

      Quelques mois après que ces lignes étaient écrites, le monde sombrait dans le cataclysme de la Deuxième Guerre mondiale. Ayant échappé à la révolution prolétarienne au lendemain de cette guerre, le système capitaliste connut quelques années de reprise, qui semblaient contredire les prévisions de Trotsky.

      Mais on constate aujourd’hui qu’il ne s’agissait que d’une rémission et que le capitalisme conduit l’humanité vers l’abîme.

      Jamais pourtant dans l’histoire, l’humanité n’a eu autant de moyens à sa disposition pour faire face aux nécessités de sa vie collective. C’est la division de l’humanité en classes sociales aux intérêts opposés qui l’empêche de maîtriser sa vie collective.

      Jamais n’a été aussi énorme le décalage entre une humanité capable d’explorer les confins de l’espace et une société se consumant en même temps dans des guerres entre pays, entre nations, entre ethnies, entre villages.

      Jamais la mondialisation capitaliste n’a autant lié les hommes dans un destin commun. Mais jamais non plus l’humanité n’a été aussi morcelée.

      Jamais l’humanité n’a eu autant de moyens matériels et culturels pour vaincre définitivement les multiples formes de préjugés, de mysticismes hérités de siècles de division de la société en classes et d’oppression. Mais jamais les religions, les mysticismes n’ont connu un retour aussi fracassant dans la vie sociale.

      Quelle expression plus écœurante de la putréfaction de la société capitaliste que l’attraction mortifère du terrorisme islamiste sur une fraction de la jeunesse  ?

      Jamais, en somme, les conditions matérielles et techniques pour une société humaine unifiée dans un tout fraternel à l’échelle de la planète n’ont été aussi favorables. Jamais, en même temps, elles n’ont semblé aussi lointaines.

      Le grand apport du marxisme au mouvement ouvrier n’a pas été seulement la dénonciation du capitalisme et le constat qu’il a cessé de faire avancer l’humanité. Son grand apport a été de donner les moyens de briser les chaînes  : «  Les philosophes n’ont fait qu’interpréter le monde de différentes manières, mais ce qui importe c’est de le transformer  », disait Marx dès 1845.

      Le marxisme ne s’est pas contenté de voir dans cette classe alors nouvelle qu’était le prolétariat moderne une classe souffrante. Il y a reconnu la classe sociale capable de renverser le capitalisme.

      Marx, Engels et leur génération voyaient la fin du capitalisme plus proche. Ils avaient l’optimisme des révolutionnaires.

      L’histoire en général et celle du mouvement ouvrier en particulier, avec leurs formidables pas en avant mais aussi leurs reculs catastrophiques, ont fait que le capitalisme se survit bien plus longtemps que ce qu’espéraient Marx, Engels et leurs camarades.

      Il a survécu bien plus longtemps même que ne l’espérait Trotsky près d’un siècle plus tard lorsqu’il constatait que le capitalisme était incapable de faire progresser les forces productives.

      L’humanité a connu depuis Marx un grand nombre de crises économiques, d’innombrables formes d’oppression, d’innombrables formes de régimes autoritaires, d’innombrables guerres locales, et deux guerres mondiales.

      Jusqu’à présent c’est surtout par la négative que l’histoire a confirmé les analyses de Marx. Mais le prolétariat, dans lequel Marx voyait la force sociale capable de changer l’avenir de l’humanité, n’est pas une construction de l’esprit, fût-elle d’un génie de l’envergure de Marx. C’est une réalité sociale. Les robots n’ont pas remplacé le prolétariat. Et, malgré les possibilités croissantes offertes par la science et la technique, la société est celle des êtres humains.

      Le prolétariat, la classe des exploités, est bien plus diversifié aujourd’hui qu’au temps de Marx et même qu’au temps de Lénine et de la révolution russe. La bourgeoisie a appris à jouer de cette diversité, à opposer les unes aux autres les différentes catégories de travailleurs salariés, à combattre la conscience de classe et l’émergence d’organisations, nationales et internationales, qui incarnent cette conscience. Mais la classe ouvrière est bien plus nombreuse que dans le passé et présente partout sur la planète.

      La lutte de classe entre la bourgeoisie et le prolétariat se mène à une échelle bien plus vaste que dans des périodes du passé où le prolétariat posait sa candidature à la direction de la société.

      Dans un grand nombre de pays où le prolétariat industriel est jeune et son sort misérable, de la Chine au Bangladesh, la lutte de classe prend des formes aussi massives et aussi virulentes que lors de l’émergence du prolétariat moderne en Europe occidentale.

      Mais elle est incessante également dans les grands pays industriels, fût-ce sous la forme de ces réactions quotidiennes que les travailleurs savent opposer dans les entreprises à l’aggravation de l’exploitation et aux multiples manifestations de l’arbitraire patronal.

      Les idées de lutte de classe sont susceptibles de tomber sur un terrain aussi fertile qu’au temps de Marx ou de Lénine, tout simplement parce qu’elles correspondent à une réalité que les travailleurs vivent tous les jours. Encore faut-il les exprimer et transmettre le vaste capital politique accumulé par le marxisme révolutionnaire, tiré des luttes de générations de travailleurs  !

      C’est le rôle qui devrait être celui des organisations communistes révolutionnaires, leur raison d’être afin que chaque lutte importante de la classe ouvrière bénéficie des expériences des luttes précédentes.

      C’est justement le fond du problème de nos jours. Ce que Trotsky exprimait en affirmant, dans le Programme de Transition  : «  La situation politique mondiale dans son ensemble se caractérise avant tout par la crise historique de la direction du prolétariat.  »

      Ce qui unissait les générations des communistes révolutionnaires, de Marx à Trotsky en passant par Lénine, Rosa Luxemburg et tant d’autres, c’est la conviction qu’une fois débarrassée des chaînes du capitalisme, l’humanité reprendrait sa marche en avant, mais aussi la conviction que la seule force sociale capable de cette transformation historique fondamentale est le prolétariat.

      Le marxisme a toujours été et reste aujourd’hui la seule façon scientifique de comprendre le fonctionnement de la société et de ses ressorts. La seule aussi qui non seulement permet d’appréhender le monde, mais aussi de le transformer. Il reste le seul humanisme de notre époque.

      «  Il appartient aux générations à venir de renouer avec les traditions du communisme révolutionnaire, avec ses combats du passé, avec ses expériences. Partout, se pose le problème de reconstruire des partis communistes révolutionnaires, et c’est en cela que cette question se confond avec la renaissance d’une Internationale communiste révolutionnaire  », avons-nous ainsi résumé les tâches de notre génération de révolutionnaires lors de notre congrès de mars dernier.

      «  Personne ne peut prédire comment, à travers quel cheminement, les idées communistes révolutionnaires pourront retrouver le chemin de la classe ouvrière, classe sociale à laquelle elles étaient destinées au temps de Marx puis de Lénine et Trotsky et qui aujourd’hui encore est la seule qui peut, en s’emparant de ces idées, les transformer en une explosion sociale capable d’emporter le capitalisme  ».

      La nécessité demeure la même depuis que Trotsky a écrit le Programme de Transition. Nos tâches en découlent.

      1er novembre 2016

      https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2016/12/18/le-monde-capitaliste-en-crise_73418.html

    • Marx dit que nous devons faire quelque chose à ce sujet. Mais, ce faisant, nous ne devons pas devenir nostalgiques et dire « nous voulons revenir au féodalisme » ou « nous voulons vivre de la terre ». Nous devons penser à un avenir progressiste, en utilisant toutes les technologies dont nous disposons, mais en les utilisant dans un but social plutôt que d’accroître la richesse et le pouvoir dans des mains de plus en plus rares.

      […]

      DAVID HARVEY : Je suis venu aux États-Unis en 1969, et je suis allé à Baltimore. Il y avait là une énorme usine sidérurgique qui employait environ trente-sept mille personnes. En 1990, l’aciérie produisait toujours la même quantité d’acier, mais employait environ cinq mille personnes. Aujourd’hui, l’aciérie a pratiquement disparu. Le fait est que, dans l’industrie manufacturière, l’automatisation a fait disparaître des emplois en masse, partout, très rapidement. La gauche a passé beaucoup de temps à essayer de défendre ces emplois et a mené un combat d’arrière-garde contre l’automatisation.

      C’était une mauvaise stratégie pour plusieurs raisons. L’automatisation arrivait de toute façon, et vous alliez perdre. Deuxièmement, je ne vois pas pourquoi la gauche devrait être absolument opposée à l’automatisation. La position de Marx, dans la mesure où il en avait une, serait que nous devrions utiliser cette intelligence artificielle et cette automatisation, mais nous devrions le faire de manière à alléger la charge de travail.

      La gauche devrait travailler sur une politique dans laquelle nous disons « nous accueillons l’intelligence artificielle et l’automatisation, mais elles devraient nous donner beaucoup plus de temps libre ». L’une des grandes choses que Marx suggère est que le temps libre est l’une des choses les plus émancipatrices que nous puissions avoir. Il a une belle phrase : le domaine de la liberté commence lorsque le domaine de la nécessité est laissé derrière. Imaginez un monde dans lequel les nécessités pourraient être prises en charge. Un ou deux jours par semaine à travailler, et le reste du temps est du temps libre.

      Maintenant, nous avons toutes ces innovations permettant d’économiser du travail dans le processus de travail, et aussi dans le ménage. Mais si vous demandez aux gens, est-ce que vous avez plus de temps libre qu’avant ? La réponse est, « non, j’ai moins de temps libre. » Nous devons organiser tout cela pour que nous ayons réellement le plus de temps libre possible, pour que le mercredi à partir de dix-sept heures, vous puissiez aller faire ce que vous voulez. C’est le genre d’imagination d’une société que Marx a en tête. C’est une évidence.

      #David_Harvey #progressisme #techno-béat #automatisation

  • Georges Bensoussan : « L’antiracisme dévoyé est une arme de classe » (1/2)
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1144-Georges-Bensoussan-L-antiracisme-devoye

    Contacté en vue d’une émission pour le #podcast « #Hérétiques », l’historien des « mondes juifs » des XIXe-XXe siècles Georges #Bensoussan avait préféré un #Entretien écrit. Il est ici interrogé, d’abord, en tant qu’initiateur du livre inaugural « Les Territoires perdus de la République : #antisémitisme, #racisme et #sexisme en milieu scolaire » (2002) suivi, quinze ans plus tard, par « Une France soumise - Les voix du refus ». Tous deux dénonçaient avec effarement l’avancée fulgurante de l’obscurantisme barbare ou (...)

    #Le_gauchisme_radical-chic, #Bensoussan G., #Histoire, #Politique, #Islam, #Islamogauchisme, #Religion, #Progressisme, #Anéantissement#Bensoussan_G. #Anéantissement_/_Génocide
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Pacte_d%27Umar

  • Cartographie des mouvances anti-Lumières (Version 3.0)
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1102-Cartographie-des-mouvances-anti-Lumieres

    [Màj : 12.06.22 — Version 3.0 — x.00 = changement de version / 0.x0 = modification graphique / 0.0x = mise à jour des notices]
    –> Màj du pôle « Lobby pro-religions » avec ajouts des notices de Jean-Louis Bianco, Nicolas Cadène, L’Observatoire de la Laïcité, Vigie de la Laïcité, Abdennour Bidar et Convivencia conseil.

    #Avant-gardisme, #Écologie(dé)coloniale, #Écologisme, #Empire, #Extrêmes-droites, #Féminisme, #Gauchisme, #Immigration, #Insurrectionnalisme , #Islam, #Islamogauchisme, #Progressisme, " #woke

  • Wokisme et psychologie collective
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1143-Wokisme-et-psychologie-collective

    Article paru dans la revue Commentaire n°180, hiver 2022, pp. 879 - 884. L’idée « #woke » classe les gens par groupes, allant du groupe des plus opprimés (femmes, noires, #prolétaires, homosexuelles, handicapées…) au groupe des plus oppresseurs (hommes, blancs, hétérosexuels avec de hauts revenus…). Le principe du classement est que, si des individus présentent un trait qui n’est pas valorisé dans le jeu social ou personnel, ils constituent un groupe, lequel est opprimé par ceux qui n’ont pas ce trait (...) #Le_gauchisme_radical-chic

    #Sibony D., #Psychanalyse, #Psycho-sociologie, #Gauchisme, #Article, #Post-modernisme, #Progressisme#Insignifiance(...)

  • « Extraire la politique comme l’écologie de leurs gangues religieuses »
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1132-Extraire-la-politique-comme-l-ecologie-de-leur-gangues-r

    Échange mail entre l’auteur et un lecteur datant d’avril 2022 à propos du livre « Éléments d’écologie politique — pour une refondation » (Libre & Solidaire, 2021).

    Les échanges ont été réorganisé linéairement, les hyperliens dont d’origines et les quelques ajouts sont entre crochets.
    Le correspondant est en gras.

    I – Sur les orientations de l’ouvrage

    Le choix théorique que tu fais, s’appuyant sur une conception de l’histoire et des sociétés principalement déterminée par le psychisme humain, l’agressivité de l’être humain, sa soif de puissance et de domination, son « manque ontologique » censé rendre compte d’un désir universel de consommation, me semble ne devoir aboutir qu’à un regard fortement biaisé sur le monde, et à des positions bien éloignées de l’humanisme et de l’universalisme des anciennes aspirations révolutionnaires. (...)

    #Politique, #Écologie, #Primitivisme, #Progressisme, Livre, #Pseudo-subversion, #Écologie_dé_coloniale #Immigration, #Lieux_Communs, #Histoire, #Écologisme, #paleo_marxisme (...)

  • Silence dans les champs

    Depuis les années 1960, le « système » agro-industriel fait naître des empires transnationaux et des #baronnies_rurales. Il crée des #usines et des #emplois. Il entraîne la disparition progressive des #paysans, l’#asservissement de nombreux salariés de l’#agroalimentaire, l’altération des écosystèmes et la généralisation de la nourriture en boîte. Il s’impose au nom de la realpolitik économique et de la foi dans une certaine idée du « #progrès ». Il prospère grâce à la bienveillance, l’impuissance ou la lâcheté des autorités. Il engendre ses propres mythes, capables de façonner durablement les mentalités. Il enrichit considérablement une minorité, alors que certains se contentent de survivre grâce aux subventions ou doivent s’estimer heureux parce qu’ils ont un travail. Il fait taire des récalcitrants à coups de menaces, de pressions, d’intimidations, de calomnies ou de sabotages. La #violence est son corollaire. Le #silence, son assurance-vie. Comment le définir ? « #Féodalité », répondent les uns. « #Esclavage_moderne », disent les autres. « #Oligarchie » ou « #mafia », jurent certains...
    Enquête au long cours jalonnée de témoignages saisissants, Silence dans les champs est une immersion glaçante dans le principal territoire agro-industriel de France : la #Bretagne.

    https://www.arthaud.fr/silence-dans-les-champs/9782080280886
    #livre #agriculture #industrie_agro-alimentaire

  • Dans la nature, soyez spontanés !
    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1134-Dans-la-nature-soyez-spontanes

    Passage du #Livre de François Terrasson « La peur de la nature », Sang de la Terre, 2007, pp. 139-146. C’est un vrai village comme autrefois : maisons de pierre, portes de bois, pavés dans la rue, fontaine sur la place. Les joints ont été refaits entre chaque moellon, car ils n’avaient pas l’air assez grossiers, les pavés sont disposés avec une irrégularité précise et l’auberge arbore son nom sur un panneau de bois mal dégrossi. Le magasin près de la fontaine vend du super-rural : vaisselle avec (...) #L'écologie_politique_contre_l'écologisme

    / Terrasson F., #Psycho-sociologie, #Écologie, #Primitivisme, #Progressisme, Livre, #Éducation, #Pseudo-subversion, (...)

    #Terrasson_F. #Insignifiance

  • ChatGPT fabrique un malware redoutable et indétectable, un chercheur donne l’alerte
    https://www.tomsguide.fr/chatgpt-fabrique-un-malware-redoutable-et-indetectable-un-chercheur-donne-

    Malgré les garde-fous mis en place par OpenAI, les compétences de développement de ChatGPT restent une aubaine pour les pirates. Un chercheur en cybersécurité vient de démontrer que le chatbot était capable de mettre au point un malware voleur de données indétectable.

  • La situation aux États-Unis

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/02/25/etats-unis-apres-les-elections-de-mi-mandat_521783.html

    Les élections (de mi-mandat) de 2022 marquent une nouvelle forte poussée vers la droite

    Parler de «  gauche  » et de «  droite  » à propos des #démocrates et des républicains n’est pas approprié. Ces deux grands partis ont été les seuls à alterner au pouvoir pour diriger l’appareil d’État de la bourgeoisie au cours des 166 dernières années. En effet le système électoral américain favorise le #bipartisme. Les termes «  gauche  » et «  droite  » sont devenus des étiquettes utilisées pour distinguer les discours et les électorats des deux #partis_bourgeois. Ainsi, les travailleurs se sont rangés dans le camp des démocrates pendant une bonne partie du 20e siècle et les couches plus aisées dans celui des républicains.

    Quoi qu’il en soit, le soutien de la classe ouvrière aux démocrates ne cesse de diminuer depuis des années et, à l’approche des élections, cette tendance s’est confirmée  : le vote ouvrier pour les démocrates a baissé de près de 15 % en 2022.

    Le glissement des travailleurs blancs vers le camp républicain n’est pas nouveau. Il remonte au moins à l’élection de #Reagan en 1980, voire plus loin encore. Mais, en 2022, l’écart en faveur des républicains a été de 33 points, soit 8 points de plus qu’en 2020.

    Le recul des démocrates dans les électorats noir, latino et asiatique a été beaucoup moins important mais, à bien des égards, il pèse encore plus lourd. En grande majorité issus de la classe ouvrière, ces électeurs constituent depuis longtemps une sorte de socle sur lequel les démocrates comptent. En 2022, 80 % de l’#électorat_noir votait démocrate – ce qui reste considérable – mais ce résultat représente une baisse de sept points depuis les dernières élections de mi-mandat et s’inscrit dans la continuité de l’érosion qui a suivi la période 2008-2016, durant laquelle entre 90 et 97 % des Noirs votaient démocrate. Quant au vote hispanique, il s’est porté à environ 60 % sur les démocrates, soit une baisse de 10 points en quatre ans. Enfin, les électeurs d’origine asiatique ont voté démocrate à 64 %, soit une baisse de 7 points.

    Les Démocrates  : un parti «  progressiste  » qui a longtemps ratissé large

    […] Le #Parti_démocrate s’est attribué le mérite des réformes et des avancées que ces mouvements ont arrachées à la bourgeoisie pendant la longue période où l’hégémonie de l’#impérialisme américain, générant un surplus de richesses, permettait cette redistribution. Quels qu’aient été les tensions et les antagonismes – et ils étaient nombreux – entre les différents groupes composant le monde du travail, leur regroupement au sein du Parti démocrate semblait offrir une voie sur laquelle chacun pouvait poursuivre la lutte pour «  le progrès  ». De 1932 à 1980, le Parti démocrate domina la scène politique, les républicains ne jouant un rôle significatif que pendant l’intervalle de la période du #maccarthysme, la chasse aux sorcières contre les communistes, au début des années 1950.

    Avec le début de la crise économique en 1971, puis son aggravation à la fin des années 1970, la situation des travailleurs commença à se dégrader. Pour l’État de la bourgeoisie, l’heure n’était plus à distribuer des miettes pour maintenir la paix sociale. Frappée par la crise, la classe capitaliste attendait d’abord de l’État qu’il l’aide à maintenir ses profits, et cela impliquait d’abaisser le niveau de vie des travailleurs. Il fallait donc démanteler les #programmes_sociaux et les services publics créés pendant la longue expansion de l’après-guerre. Le Parti démocrate, en loyal serviteur de la bourgeoisie, fut en première ligne pour mener ces attaques.

    L’une des premières attaques importantes fut la faillite de la ville de #New_York en 1975, qui frappa durement les employés, les programmes sociaux et les services municipaux. Cette attaque fut supervisée par deux maires démocrates successifs. En 1978-1979 puis dans les années 1980, des pressions furent exercées sur les travailleurs de l’automobile pour qu’ils acceptent toute une série de concessions lors du renouvellement de leurs contrats. D’abord présentées comme temporaires, ces concessions furent ensuite rendues permanentes, et rapidement étendues au reste de la classe ouvrière. Et, là encore, l’attaque fut conduite par des politiciens démocrates, qui justifiaient les nouveaux contrats au nom de la sauvegarde des emplois dans l’#industrie_automobile.

    Pour décourager les travailleurs de faire valoir leurs revendications salariales au travers de grèves, les deux grands partis bourgeois se relayèrent. En 1981, les démocrates passèrent la main aux républicains, et #Ronald_Reagan mit tout le poids de l’État pour briser la grève des #contrôleurs_aériens. Les caciques du Parti démocrate et des syndicats prétendent que Reagan fut à l’origine du déclin constant qui s’est poursuivi jusqu’à aujourd’hui. En fait, la porte fut ouverte dès 1978, lorsque le président démocrate #Jimmy_Carter tenta d’utiliser la #loi_antisyndicale_Taft-Hartley, adoptée à l’ère McCarthy, pour briser une grève dans les mines de charbon qui dura 110 jours. Le dégoût des travailleurs envers Carter, après ce qui apparaissait comme une trahison, ne fut pas pour rien dans la victoire éclatante de Reagan en 1980.

    Entre les travailleurs et la bourgeoisie, un fossé en passe de devenir un gouffre

    La crise dans laquelle l’économie américaine est plongée depuis un demi-siècle a entraîné un effondrement du niveau de vie de la classe ouvrière.

    En 2022, le salaire horaire minimum au niveau fédéral était de 7,25 dollars. S’il avait suivi le rythme officiel de l’inflation depuis le pic de sa valeur réelle en 1968, il aurait été de 12 dollars. Et s’il avait suivi le rythme de la croissance de la productivité depuis 1968, comme entre 1938 et 1968, il aurait été de près de 26 dollars en 2022.

    L’évolution du #salaire_minimum illustre le fossé qui s’est creusé entre la #classe_ouvrière et les couches aisées au cours du dernier demi-siècle. Presque tous les gains de la croissance économique depuis le début de la crise ont été absorbés par la plus-value et les mille et une manières dont cette plus-value est répartie au sein des classes riches de cette société.

    Cette évolution s’est poursuivie jusqu’aux élections de 2022. En 2021, dernière année pour laquelle on dispose de données, la marge bénéficiaire nette des entreprises a été de 9,5 %, soit la valeur la plus élevée jamais enregistrée. Cette même année, la rémunération moyenne des PDG des 350 plus grandes entreprises a été 399 fois plus élevée que celle des salariés. En 1965, elle n’était «  que  » 20 fois plus élevée.

    La condition des travailleurs se détériore non seulement par rapport à celle des classes aisées, dont la situation s’améliore nettement, mais aussi en termes absolus

    L’inflation a grignoté la valeur réelle des salaires. Selon le département américain du Travail, le salaire horaire médian réel est au même niveau qu’en 1973. Lorsqu’il y a eu des augmentations, elles ont presque toutes bénéficié au décile supérieur de l’échelle des revenus. Ceux qui se situent dans les 40 % inférieurs ont vu leurs salaires baisser. De plus, les chiffres de l’inflation sont trafiqués et donnent une image déformée de la situation. Qui plus est, ces chiffres ignorent tous les autres facteurs qui ont réduit le revenu réel des travailleurs, à commencer par l’élimination des pensions et d’autres avantages sociaux autrefois considérés comme faisant partie de la masse salariale, ainsi que l’énorme augmentation des frais médicaux, qui constituent une ponction sur les revenus.

    Les statistiques gouvernementales masquent la réalité

    En témoigne le taux de chômage officiel avant les élections de 2022, de 3,5 % de la population active. Or, 37 % de la population en âge de travailler est exclue de ce que le gouvernement considère comme la population active. De nombreuses personnes sont exclues de ce comptage  : celles qui s’occupent d’enfants en bas âge, dans un pays où il n’existe pas de structures d’accueil publiques  ; celles dont les compétences et diplômes sont insuffisants pour occuper les emplois disponibles, dans un pays où le système scolaire public est incapable d’apprendre à lire à 40 % des enfants des écoles des grandes villes  ; ou encore les personnes handicapées à la suite d’accidents du travail, en raison de maladies professionnelles, voire par le Covid long qui a touché des millions de personnes, les empêchant de travailler, dans le pays affichant le pire taux de décès par Covid de tous les pays développés. Sont également exclues de la population active les personnes trop âgées pour être embauchées, mais qui n’ont pas encore atteint l’âge pour toucher les maigres aides sociales versées aux seniors. Les entreprises de la high-tech, en particulier le commerce en ligne et ses entrepôts, recherchent des travailleurs jeunes, forts, agiles et rapides, dont une grande partie sont relégués à des emplois temporaires ou à temps partiel, à des contrats ou à des emplois de type Uber.

    Les difficultés immédiates des travailleurs ont été aggravées par la dégradation sur le long terme des services publics et l’élimination ou la privatisation des services sociaux

    Lors des élections de 2022, les services publics comptaient près d’un million de travailleurs de moins que juste avant la pandémie. La classe capitaliste, avide d’aspirer une part croissante des richesses produites, cherche à s’approprier une portion croissante des sommes que le gouvernement dépensait jusqu’alors pour les infrastructures, les programmes sociaux et les services publics. Derrière la vitrine de cette grande et riche démocratie américaine, il y a peu de lois qui limitent le temps de travail, il y en a encore moins qui prévoient le paiement des arrêts maladie, et il n’y en a aucune garantissant des congés payés. Autrement dit, tout cela dépend de la bonne volonté de chaque patron. On a pu voir comment cela se traduit concrètement en 2020, aux pires moments de la pandémie, lorsque la moitié des travailleurs des industries dites essentielles n’ont pas eu droit à un seul jour de congé payé. Voici donc un pays où le système de santé est de plus en plus contrôlé par des entreprises privées, qui peuvent refuser des soins médicaux à qui ne peut pas payer.

    Telle est la réalité à laquelle est confrontée la population laborieuse aujourd’hui

    Telle est la réalité à laquelle est confrontée la population laborieuse aujourd’hui. Ses conséquences sont dramatiques. L’espérance de vie moyenne a diminué de près de deux ans et demi depuis 2019, après une baisse de deux ans en 2015-2016. Cela est imputable au Covid, certes, mais seulement en partie. Il y a tous les autres décès, dont beaucoup sont appelés par les médias «  morts par désespoir  »  : suicides, homicides, overdoses, abus d’alcool… Au premier rang des victimes, les anciens combattants des guerres – déclarées ou non – menées par l’impérialisme américain, et leurs proches. Mais il y a aussi les jeunes gens abattus dans la rue après avoir intégré, faute de la moindre perspective d’avenir, tel ou tel gang de quartier. Il y a les quelque cinq mille personnes tuées chaque année dans des accidents du travail, et les milliers d’autres qui meurent de la mort lente causée par les fumées, les produits chimiques et les Un encouragement pour l’extrême droite

    Faute d’une autre possibilité pour exprimer son mécontentement, la population s’est longtemps contentée de voter contre tous ceux qui semblaient diriger l’État. Dans un contexte où les démocrates étaient au premier plan pour imposer une détérioration des conditions de vie, et en l’absence d’un parti représentant la classe ouvrière, la porte était ouverte à un démagogue comme Trump.

    Donald Trump a su jouer sur le ressentiment éprouvé par beaucoup de gens du fait qu’ils étaient de plus en plus pauvres, marginalisés et méprisés par ceux d’en haut. Il a su toucher une population en plein désarroi, plongée dans une crise économique grandissante. Il a instrumentalisé la colère et la frustration des travailleurs, en tournant en dérision les institutions prétendument civilisées qui leur donnent des leçons et les regardent d’en haut  : les chefs des deux grands partis politiques, les médias, les universités et leurs experts, les agences gouvernementales et leurs hauts fonctionnaires, voire les stars de Hollywood, etc. Il s’en est pris à tout le monde, sauf à ceux dont le contrôle sur la société a mené à la crise, c’est-à-dire à la classe capitaliste. substances toxiques présentes sur leur lieu de travail. Il y a les tragédies des violences domestiques, qui sont la conséquence et le signe des pressions indicibles qui s’exercent au quotidien sur la vie des travailleurs.

    Un encouragement pour l’extrême droite

    Faute d’une autre possibilité pour exprimer son mécontentement, la population s’est longtemps contentée de voter contre tous ceux qui semblaient diriger l’État. Dans un contexte où les démocrates étaient au premier plan pour imposer une détérioration des conditions de vie, et en l’absence d’un parti représentant la classe ouvrière, la porte était ouverte à un démagogue comme Trump.

    #Donald_Trump a su jouer sur le ressentiment éprouvé par beaucoup de gens du fait qu’ils étaient de plus en plus pauvres, marginalisés et méprisés par ceux d’en haut. Il a su toucher une population en plein désarroi, plongée dans une crise économique grandissante. Il a instrumentalisé la colère et la frustration des travailleurs, en tournant en dérision les institutions prétendument civilisées qui leur donnent des leçons et les regardent d’en haut  : les chefs des deux grands partis politiques, les médias, les universités et leurs experts, les agences gouvernementales et leurs hauts fonctionnaires, voire les stars de Hollywood, etc. Il s’en est pris à tout le monde, sauf à ceux dont le contrôle sur la société a mené à la crise, c’est-à-dire à la classe capitaliste.

    Trump a servi les capitalistes en mettant au grand jour toutes les idées violentes et dévalorisantes que renferme l’idéologie dans laquelle baigne la société  : suprématie blanche, nativisme anti-immigrants, misogynie, intolérance envers la manière dont les gens vivent leur intimité, machisme et violence. Autrement dit, il a incité implicitement les gens à s’en prendre les uns aux autres. Et il a emballé tout cela dans le drapeau américain, le serment d’allégeance et la croix chrétienne qui décoraient ses réunions publiques.

    Rien de tout cela n’a commencé avec Trump. Il suffit de penser au rituel des réunions syndicales dans des salles ornées du drapeau américain

    Ces réunions commencent par la prière d’un prêtre local, souvent chrétien, et par le serment d’allégeance, ce verbiage patriotard pondu lors de la période McCarthy pour renforcer les attaques contre les militants communistes et syndicalistes. Chaque réunion syndicale qui commence ainsi entretient la soumission des travailleurs et leur loyauté à l’égard des dominants, et renforce les attaques contre eux-mêmes et toute leur classe.

    Trump a-t-il transformé le #Parti_républicain de manière temporaire ou permanente  ?

    Les républicains eux-mêmes n’en savent rien. Mais la question va bien au-delà du Parti républicain. Trump a donné à ses partisans une sorte de programme  : se défendre en attaquant tous les «  autres  ». Ce faisant, il a courtisé consciemment l’extrême droite. Quand, après la série de rassemblements d’extrême droite à Charlottesville en 2018, il a dit qu’il y avait des «  gens bien  » dans cette foule (ce qu’il a répété plusieurs fois par la suite), il déroulait le tapis rouge au Ku Klux Klan, aux nazis et aux Proud Boys.

    Le problème dépasse la personne de Trump

    Dans un nombre croissant de pays, des démagogues de son espèce jouent un rôle très similaire. Cela signifie que quelque chose, dans la situation internationale actuelle, sur les plans politique et économique, favorise ce mouvement vers la droite, renforçant les formations d’#extrême_droite existantes.

    Aux États-Unis, des organisations comme le #KKK, les nazis, la #Black_Legion, les Know Nothing, les mafias et les gangs font partie du paysage depuis longtemps. La plupart du temps marginales mais toujours là, elles ont périodiquement joué un rôle de supplétifs pour renforcer la violence étatique  : dans le Sud, pour réimposer l’esclavage pendant les décennies qui ont suivi la guerre de Sécession  ; dans les quartiers d’immigrants, pour maintenir un ordre que la police était incapable d’imposer  ; à #Chicago, où le gang #Black_P_Stone_Nation, de concert avec le maire démocrate Richard J. Daley, expulsa l’équipe SCLC de #Martin_Luther_King du ghetto du West Side  ; dans les régions minières, où les Pinkerton massacrèrent des mineurs comme les #Molly_Maguires  ; ou à Centralia dans l’État de Washington, où l’American Legion exécuta des militants de l’#IWW en 1919, et à #Minneapolis où elle assassina des grévistes  ; ou dans le Michigan en 1934, où la #Black Legion tua des militants du syndicat #UAW. Et puis tous ceux, de Jimmy Hoffa à Dow Wilson, qui furent tués par la mafia.

    Ces forces marginales ont toujours existé aux États-Unis, mais #Trump leur a permis de gagner en crédibilité aux yeux de certains travailleurs. Si le climat devait à nouveau se détériorer, cette crédibilité pourrait leur donner un poids leur permettant d’amener une partie de la classe ouvrière à attaquer l’autre.

    L’absence aux États-Unis d’un parti ouvrier, qui représenterait les intérêts tant immédiats qu’à long terme de la classe ouvrière, a constitué une opportunité pour un démagogue comme Trump, mais pourrait aussi jouer un rôle dans un développement de l’extrême droite au sein même de la classe ouvrière.

    Une voix pour les travailleurs

    Depuis l’époque d’#Eugène_Debs, il y a plus d’un siècle, il n’a pas existé d’organisation politique capable de s’adresser à tous les travailleurs, sur la base de leurs intérêts de classe immédiats et à long terme. Le Parti socialiste du temps de Debs ne le faisait pas, mais il constituait pour Debs une tribune qui lui permettait de s’adresser à la classe ouvrière à travers tout le pays, et il le fit avec un langage correspondant aux problèmes auxquels elle faisait face et aux possibilités dont elle disposait. Il affirmait qu’il avait confiance dans la capacité de la classe ouvrière à «  détruire toutes les institutions capitalistes qui asservissent et avilissent et à rebâtir des institutions libres et humaines  ». En pleine Première Guerre mondiale, lors du procès qui le conduisit en prison pour s’être opposé à l’entrée en guerre des États-Unis, il déclara  : «  Je ne suis pas un soldat capitaliste  ; je suis un révolutionnaire prolétarien… Je suis opposé à toutes les guerres, à une seule exception… et, dans cette guerre-là, je m’engagerai corps et âme… je parle de la guerre mondiale de la révolution sociale. Dans cette guerre, je suis prêt à combattre de toutes les manières que la classe dominante rendra nécessaires, même sur les barricades.  »

    Aujourd’hui, il n’y a toujours pas de parti de la classe ouvrière. C’est même pire qu’à l’époque de Debs

    Mais le but reste le même  : ceux qui veulent mettre en place une nouvelle société et ont confiance dans la capacité de la classe ouvrière à le faire doivent trouver les moyens de s’adresser à elle, en parlant des problèmes actuels des travailleurs, mais en le faisant à partir de la perspective du combat que la classe ouvrière devra mener pour diriger la construction d’une société socialiste.

    C’est exactement ce que des militants ont tenté de faire en utilisant les élections de 2022 dans le #Michigan, le #Maryland et l’#Illinois pour parler au nom du #WCP (#Working_Class_Party – Parti de la classe ouvrière). Cette poignée de militants ne prétendent pas être le #parti_révolutionnaire dont on a besoin et qui n’existe pas encore. Ils ne peuvent certainement pas prétendre faire ce que Debs a pu faire grâce à sa propre expérience de la lutte des travailleurs et à l’activité de toute une génération de militants.

    Mais ceux qui ont mené, dans ces trois États, la campagne pour un Parti de la classe ouvrière se sont au moins donné les moyens de dire ce qui devait l’être sur la dégradation de la condition ouvrière, sur la croissance des forces de droite et sur les possibilités dont dispose la classe ouvrière du fait de son rôle clé au cœur même du système de production et de tout ce qui lui est lié.

    Il n’y aura pas de solution à la misère croissante tant que la classe ouvrière ne se préparera pas à la bataille

    #capitalisme #États-Unis

  • Cartographie des mouvances anti-Lumières (Version 2.01)
    Du progressisme à l’obscurantisme

    https://collectiflieuxcommuns.fr/?1102-Cartographie-des-mouvances-anti-Lumieres

    Cette cartographie vise deux objectifs :
    • Recenser, sans prétention à l’exhaustivité, l’ensemble des personnalités, groupements et institutions qui travaillent à la fin du projet d’autonomie tel qu’il a été porté par la modernité, les Lumières, l’Occident comme germe de l’émancipation individuelle et collective.
    Ils sont répartis autour d’une douzaine de grands pôles en cercles concentriques représentant un ensemble de domaines idéologiques, de causes politiques et de champs d’action, qui vont de l’indigénisme au néo-féminisme, de l’islamo-gauchisme à l’écologie décoloniale ou du sans-frontiérisme aux anti-flics, etc. Lors d’un clic sur un de ces pôles, apparaît leur véritable appellation ainsi qu’une définition sommaire, regroupant « Ce qu’ils prétendent faire », « Ce qu’ils font réellement », « Leurs méthodes idéologiques », et « Impact réel ». Ces ensembles étant poreux et leurs acteurs mouvants, ce classement propose un repérage efficace qui prend en compte le continuum que constituent ces milieux, largement interconnectés.

    • Organiser ce magma politico-idéologique selon une grille de lecture sur deux axes. Le premier, vertical, oppose en haut les progressistes ou plutôt les déconstructeurs, aux obscurantistes, ici les fondamentalistes placés en bas ; et le second oppose les communautaristes ou tribalistes, à gauche, aux impérialistes, ici en bas.
    Les déconstructeurs cherchent à ruiner l’idée de règles et de repères communs en pervertissant le principe de la discussion argumentée, ce sont des héritiers de la gauche : des post-modernes qui travaillent pour l’anomie. Ils préparent le terrain aux fondamentalistes qui veulent imposer un système de valeurs closes et pseudo-traditionnelles échappant à l’examen critique. Ceux-là s’enferment dans leurs déterminismes culturels : ce sont les pré-modernes qui œuvrent à l’hétéronomie. Les tribalistes revendiquent leurs particularités contre le principe même de société en assignant à l’individu une place déterminée dans sa communauté supposée. Refusant de faire société, ils n’agissent que pour les intérêts de leur clan revendiqué. À l’opposé, les impérialistes veulent organiser la totalité de la société selon un principe unique, un empire sans limites, réduisant la collectivité à une cohabitation de communautés en concurrence. Luttant contre toute souveraineté populaire, ils militent pour la domination mondiale.

    #Avant-gardisme, #Écologie (dé)coloniale, #Écologisme, #Empire, #Extrêmes-droites, #Féminisme, #Gauchisme, #Immigration, #Insurrectionnalisme , #Islam, #Islamogauchisme, #Progressisme, " #woke

    • Exploitation, vulnérabilité et résistance : le cas des #ouvriers_agricoles indiens dans l’Agro Pontino

      De nombreuses représentations trompeuses continuent à peser sur l’exploitation des ouvriers agricoles étrangers en Italie, rendant difficile la compréhension du phénomène et l’intervention sur ses causes réelles. Cet article tente de questionner les principaux lieux communs sur le sujet, en analysant un cas particulièrement éclairant : celui de la communauté #Pendjabi de #religion_sikh employée sur l’Agro Pontino, dans le Latium. Cette étude de cas permet, d’une part, de faire ressortir les conditions d’exploitation systémiques, masquées derrière des mécanismes apparemment légaux ; de l’autre, il révèle que même les individus les plus vulnérables peuvent résister à l’exploitation et revendiquer activement leurs droits.

      https://www.cairn.info/revue-confluences-mediterranee-2019-4-page-45.htm

    • #In_migrazione

      In Migrazione è una Società Cooperativa Sociale nata nel 2015 dalla volontà di persone impegnate nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia.

      Diversi percorsi professionali e umani che hanno attraversato un ampio spaccato di esperienze diverse e che con In Migrazione si sono uniti per dare vita ad un soggetto collettivo, innovativo, aperto e trasparente.

      Una Cooperativa nata per sperimentare nuovi progetti di qualità e innovative metodologie al fine di interpretare e concretizzare percorsi d’aiuto efficaci verso i migranti che vivono nel nostro Paese situazioni di disagio e difficoltà. Esperienze concrete che sappiano diventare buone pratiche riproducibili, per contribuire a migliorare quel sistema di accoglienza e inclusione sociale degli stranieri.

      Le nostre ricerche e le concrete sperimentazioni progettuali mettono al centro la persona, con i suoi peculiari bisogni, aspettative e sogni.

      Mettiamo a disposizione queste esperienze e le nostre metodologie alle altre associazioni, cooperative, Enti pubblici e privati, professionisti e volontari del settore, convinti che nel sociale non possano e non debbano esistere copyright.

      https://www.inmigrazione.it

    • Progetto “Dignità-Joban Singh”, contro la schiavitù dei braccianti

      Una serie di sportelli di accoglienza, ascolto e sostegno, ma anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Un progetto per dare voce alle vittime di lavoro schiavo, in memoria del giovane di origini indiane, morto suicida il 6 giugno 2020 a Sabaudia

      Si chiama Dignità-Joban Singh ed è il progetto in corso organizzato dall’associazione Tempi Moderni contro le varie forme di schiavismo e sfruttamento che mortificano e riducono in schiavitù migliaia di persone, immigrati e italiani, indiani e africani, uomini e donne, in questa Italia fondata sul lavoro ma anche su una persistente presenza di razzisti, violenti, mafiosi e di sfruttatori che mortificano la democrazia ed esprimono chiaramente la loro natura predatoria.

      Joban Singh, di appena 25 anni e residente nel residence “Bella Farnia Mare”, nel Comune di Sabaudia, in provincia di Latina, il 6 giugno scorso è stato trovato senza vita all’interno del suo appartamento. Joban decise di impiccarsi dopo essere entrato in Italia mediante un trafficante di esseri umani indiano, essere stato gravemente sfruttato in una delle maggiori aziende agricole dell’Agro Pontino e aver subito il rifiuto da parte del padrone alla sua richiesta di emersione dall’irregolarità mediante art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020) del governo.

      Dedicare questo progetto alla sua memoria, per non dimenticare ciò che significa vivere come uno schiavo in un paese libero, è un impegno che viene sottoscritto da Tempi Moderni ma che può camminare solo sulle gambe di tanti, o meglio di una comunità di persone responsabili e ribelle contro i padroni e i padrini di oggi.

      In questa Italia ci sono, secondo il rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil (2020), tra 400 e 450mila lavoratori e lavoratrici che solo in agricoltura risultano esposti allo sfruttamento e al caporalato. Di queste ultime, più di 180mila sono impiegate in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Secondo il sesto Rapporto Agromafia dell’Eurispes, il business delle agromafie, che comprendono le forme di grave sfruttamento, vale 24,5 miliardi di euro l’anno, con un balzo, nel corso del 2018, del 12,4%.

      Un fiume di denaro che è espressione di un’ideologia della disuguaglianza penetrata nei processi culturali delle società occidentali e troppo spesso relazione fondamentale del mondo del lavoro, in particolare del lavoro di fatica. È questo un sistema che produce lo schiavismo contemporaneo, come più volte il “Rapporto Italia”, ancora dell’Eurispes, ha messo in luce.

      Ancora nel 2019, ad esempio, l’Eurispes aveva esplicitamente dichiarato che lo sfruttamento è una fattispecie criminale le cui principali vittime sono i migranti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina. Lo sfruttamento, infatti, risultava più diffuso nei comparti più esposti alle irregolarità, al sommerso e all’abuso, dove chi fornisce prestazioni lavorative è in condizione di maggiore vulnerabilità.

      Si registrano dunque casi più numerosi, ancora secondo l’Eurispes, nell’agricoltura e pastorizia, a danno di polacchi, bulgari, rumeni, originari dell’ex U.R.S.S., africani e, in misura crescente, pakistani e indiani; nell’edilizia, a danno di europei dell’Est; nel settore tessile e manifatturiero, a danno di cinesi; nel lavoro domestico (soprattutto come badanti), a danno di soggetti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’ex U.R.S.S., dall’Asia e dall’America del Sud.

      Insomma, uomini e donne a cui viene violata la dignità ogni giorno, costretti ad eseguire gli ordini del padrone, a sottostare ai suoi interessi e logiche di dominio. Quando questo potere si esercita nei confronti delle donne, lo sfruttamento assume caratteri devastanti. Ci sono infatti anche casi di violenza sessuale, di subordinazione delle lavoratrici immigrate alle logiche di dominio del boss, del padrone, del capo di turno.

      In provincia di Latina e precisamente a Sabaudia, appena poco prima di Natale, un’operazione denominata “Schiavo” e condotta dalla guardia di finanza, ha permesso di liberare dallo sfruttamento 290 lavoratori, soprattutto di origine indiana, che da anni venivano retribuiti con salari mensili inferiori anche del 60% rispetto a quelli previsti dal contratto provinciale, senza il riconoscimento degli straordinari, con l’obbligo di lavorare anche la domenica, impiegati senza le necessarie misure di sicurezza.

      Dunque, cosa fare? Avere il coraggio di capire, organizzarsi e agire collettivamente. Non si hanno alternative. La povertà, lo sfruttamento, la schiavitù, la violenza, non si abrogano per decreto. Non basta una legge. Serve un’azione collettiva espressione di una volontà radicale di contrasto di questo fenomeno mediante innanzitutto l’accoglienza e l’ascolto delle sue vittime, la costruzione di una relazione orizzontale con loro, dialettica, professionale e anche in questo coraggiosa, perché si deve prevedere l’azione di denuncia dei padroni insieme a quella della tutela.

      Ed è questa la sintesi perfetta del progetto Dignità–Joban Singh che ha organizzato e avviato una serie di sportelli di accoglienza, ascolto, sostegno e anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Si tratta di sportelli che hanno il compito di accogliere e di fornire assistenza legale gratuita alle donne e agli uomini gravemente sfruttati, di qualunque nazionalità, vittime di tratta e caporalato, di violenze, anche sessuali, obbligati al silenzio o alla subordinazione.

      Insomma, un progetto realizzato grazie all’ausilio di avvocati di grande esperienza e con mediatori culturali affidabili e professionali, fondato sulla pedagogia degli oppressi di Freire e gli insegnamenti di Don Milani, Don Primo Mazzolari e Don Sardelli. Un progetto che vuole anche contrastare le strategie (razziste) mediatiche, politiche e sociali di stigmatizzazione, stereotipizzazione ed esclusione di coloro che sono considerati antropologicamente diversi.

      Un progetto che però ha bisogno del sostegno della maggioranza di questo paese, donne e uomini che non vogliono vivere sotto il ricatto delle mafie, dei violenti, degli sfruttatori, dei neoschiavisti, dei razzisti, in favore di un’Italia che merita un futuro diverso, migliore.

      https://www.nigrizia.it/notizia/progetto-dignita-joban-singh-contro-la-schiavitu-dei-braccianti

    • Marco Omizzolo

      Marco Omizzolo is a sociologist, researcher and journalist, who has been documenting and denoucing human rights violations against Sikh migrant workers exploited in the fields in the province of Latina (central Italy). In a context where “agrimafia” is rampant and many farms are controlled by criminal organisations, migrants have to work for up to 13 hours a day in inhumane conditions and under the orders of “caporali” (gangmasters), they earn well below the minimum wage and they have to live in cramped accommodation. To document their situation, Marco has worked undercover in the fields and he also went to Punjab (India) to follow an Indian human trafficker, where he investigated the connections between human trafficking and the system of agrimafia. Marco is also one of the founders of InMigrazione, an organisation that supports migrant workers informing them about their rights, helping them organise and fight for labour rights, and giving them the legal support they might need. In 2016, Marco and some Sikh activists managed to organise the first mass strike in Latina, joined by over 4000 workers.

      Because of his work - and particularly because of his investigations denouncing the criminal organisations involved in the agribusiness and the local food industry - Marco Omizzolo has been receiving serious threats. His car has been repeatedly damaged, he is often under surveillance and he has been forced to relocate because of the threats received.

      https://www.frontlinedefenders.org/en/profile/marco-omizzolo

    • The Indian migrants lured into forced labor on Mussolini’s farmland

      Gurinder Dhillon still remembers the day he realized he had been tricked. It was 2009, and he had just taken out a $16,000 loan to start a new life. Originally from Punjab, India, Dhillon had met an agent in his home village who promised him the world.

      “He sold me this dream,” Dhillon, 45, said. A new life in Europe. Good money — enough to send back to his family in India. Clothes, a house, plenty of work. He’d work on a farm, picking fruits and vegetables, in a place called the Pontine Marshes, a vast area of farmland in the Lazio region, south of Rome, Italy.

      He took out a sizable loan from the Indian agents, who in return organized his visa, ticket and travel to Italy. The real cost of this is around $2,000 — the agents were making an enormous profit.

      “The thing is, when I got here, the whole situation changed. They played me,” Dhillon said. “They brought me here like a slave.”

      On his first day out in the fields, Dhillon climbed into a trailer with about 60 other people and was then dropped off in his assigned hoop house. That day, he was on the detail for zucchini, tomatoes and eggplant. It was June, and under the plastic, it was infernally hot. It felt like at least 100 degrees, Dhillon remembers. He sweated so much that his socks were soaked. He had to wring them out halfway through the day and then put them back on — there was no time to change his clothes. As they worked, an Italian boss yelled at them constantly to work faster and pick more.

      Within a few hours of that first shift, it dawned on Dhillon that he had been duped. “I didn’t think I had been tricked — I knew I had,” he said. This wasn’t the life or the work he had been promised.

      What he got instead was 3.40 euros (about $3.65) an hour, for a workday of up to 14 hours. The workers weren’t allowed bathroom breaks.

      On these wages, he couldn’t see how he would ever repay the enormous loan he had taken out. He was working alongside some other men, also from India, who had been there for years. ”Will it be like this forever?” he asked them. “Yes,” they said. “It will be like this forever.”

      Ninety years ago, a very different harvest was taking place. Benito Mussolini was celebrating the first successful wheat harvest of the Pontine Marshes. It was a new tradition for the area, which for millennia had been nothing but a vast, brackish, barely-inhabited swamp.

      No one managed to tame it — until Mussolini came to power and launched his “Battle for Grain.” The fascist leader had a dream for the area: It would provide food and sustenance for the whole country.

      Determined to make the country self-sufficient as a food producer, Mussolini spoke of “freeing Italy from the slavery of foreign bread” and promoted the virtues of rural land workers. At the center of his policy was a plan to transform wild, uncultivated areas into farmland. He created a national project to drain Italy’s swamps. And the boggy, mosquito-infested Pontine Marshes were his highest priority.

      His regime shipped in thousands of workers from all over Italy to drain the waterlogged land by building a massive system of pumps and canals. Billions of gallons of water were dredged from the marshes, transforming them into fertile farmland.

      The project bore real fruit in 1933. Thousands of black-shirted Fascists gathered to hear a brawny-armed, suntanned Mussolini mark the first wheat harvest of the Pontine Marshes.

      "The Italian people will have the necessary bread to live,” Il Duce told the crowd, declaring how Italy would never again be reliant on other countries for food. “Comrade farmers, the harvest begins.”

      The Pontine Marshes are still one of the most productive areas of Italy, an agricultural powerhouse with miles of plastic-covered hoop houses, growing fruit and vegetables by the ton. They are also home to herds of buffalo that make Italy’s famous buffalo mozzarella. The area provides food not just for Italy but for Europe and beyond. Jars of artichokes packed in oil, cans of Italian plum tomatoes and plump, ripe kiwi fruits often come from this part of the world. But Mussolini’s “comrade farmers” harvesting the land’s bounty are long gone. Tending the fields today are an estimated 30,000 agricultural workers like Dhillon, most hailing from Punjab, India. For many of them — and by U.N. standards — the working conditions are akin to slave labor.

      When Urmila Bhoola, the U.N. special rapporteur on contemporary slavery, visited the area, she found that many working conditions in Italy’s agricultural sector amounted to forced labor due to the amount of hours people work, the low salaries and the gangmasters, or “caporali,” who control them.

      The workers here are at the mercy of the caporali, who are the intermediaries between the farm workers and the owners. Some workers are brought here with residency and permits, while others are brought fully off the books. Regardless, they report making as little as 3-4 euros an hour. Sometimes, though, they’re barely paid at all. When Samrath, 34, arrived in Italy, he was not paid for three months of work on the farms. His boss claimed his pay had gone entirely into taxes — but when he checked with the government office, he found his taxes hadn’t been paid either.

      Samrath is not the worker’s real name. Some names in this story have been changed to protect the subjects’ safety.

      “I worked for him for all these months, and he didn’t pay me. Nothing. I worked for free for at least three months,” Samrath told me. “I felt so ashamed and sad. I cried so much.” He could hardly bring himself to tell his family at home what had happened.

      I met Samrath and several other workers on a Sunday on the marshes. For the Indian Sikh workers from Punjab, this is usually the only day off for the week. They all gather at the temple, where they pray together and share a meal of pakoras, vegetable curry and rice. The women sit on one side, the men on the other. It’s been a long working week — for the men, out in the fields or tending the buffaloes, while the women mostly work in the enormous packing centers, boxing up fruits and vegetables to be sent out all over Europe.

      Another worker, Ramneet, told me how he waited for his monthly check — usually around 1,300 euros (about $1,280) per month, for six days’ work a week at 12-14 hours per day. But when the check came, the number on it was just 125 euros (about $250).

      “We were just in shock,” Ramneet said. “We panicked — our monthly rent here is 600 euros.” His boss claimed, again, that the money had gone to taxes. It meant he had worked almost for free the entire month. Other workers explained to me that even when they did have papers, they could risk being pushed out of the system and becoming undocumented if their bosses refused to issue them payslips.

      Ramneet described how Italian workers on the farms are treated differently from Indian workers. Italian workers, he said, get to take an hour for lunch. Indian workers are called back after just 20 minutes — despite having their pay cut for their lunch hour.

      “When Meloni gives her speeches, she talks about getting more for the Italians,” Ramneet’s wife Ishleen said, referring to Italy’s new prime minister and her motto, “Italy and Italians first.” “She doesn’t care about us, even though we’re paying taxes. When we’re working, we can’t even take a five-minute pause, while the Italian workers can take an hour.”

      Today, Italy is entering a new era — or, some people argue, returning to an old one. In September, Italians voted in a new prime minister, Giorgia Meloni. As well as being the country’s first-ever female prime minister, she is also Italy’s most far-right leader since Mussolini. Her supporters — and even some leaders of her party, Brothers of Italy — show a distinct reverence for Mussolini’s National Fascist Party.

      In the first weeks of Meloni’s premiership, thousands of Mussolini admirers made a pilgrimage to Il Duce’s birthplace of Predappio to pay homage to the fascist leader, making the Roman salute and hailing Meloni as a leader who might resurrect the days of fascism. In Latina, the largest city in the marshes, locals interviewed by national newspapers talked of being excited about Meloni’s victory — filled with hopes that she might be true to her word and bring the area back to its glory days in the time of Benito Mussolini. One of Meloni’s undersecretaries has run a campaign calling for a park in Latina to return to its original name: Mussolini Park.

      During her campaign, a video emerged of Meloni discussing Mussolini as a 19-year-old activist. “I think Mussolini was a good politician. Everything he did, he did for Italy,” she told journalists. Meloni has since worked to distance herself from such associations with fascism. In December, she visited Rome’s Jewish ghetto as a way of acknowledging Mussolini’s crimes against humanity. “The racial laws were a disgrace,” she told the crowd.

      A century on from Italy’s fascist takeover, Meloni’s victory has led to a moment of widespread collective reckoning, as a national conversation takes place about how Mussolini should be remembered and whether Meloni’s premiership means Italy is reconnecting with its fascist past.

      Unlike in Germany, which tore down — and outlawed — symbols of Nazi terror, reminders of Mussolini’s rule remain all over Italy. There was no moment of national reckoning after the war ended and Mussolini was executed. Hundreds of fascist monuments and statues dot the country. Slogans left over from the dictatorship can be seen on post offices, municipal buildings and street signs. Collectively, when Italians discuss Mussolini, they do remember his legacy of terror — his alliance with Adolf Hitler, anti-Semitic race laws and the thousands of Italian Jews he sent to the death camps. But across the generations, Italians also talk about other legacies of his regime — they talk of the infrastructure and architecture built during the period and of how he drained the Pontine Marshes and rid them of malaria, making the land into an agricultural haven.

      Today in the Pontine Marshes, which some see as a place brought into existence by Il Duce — and where the slogans on one town tower praise “the land that Mussolini redeemed from deadly sterility” — the past is bristling with the present.

      “The legend that has come back to haunt this town, again and again, is that it’s a fascist city. Of course, it was created in the fascist era, but here we’re not fascists — we’re dismissed as fascists and politically sidelined as a result,” Emilio Andreoli, an author who was born in Latina and has written books about the city’s history, said. Politicians used to target the area as a key campaigning territory, he said, but it has since fallen off most leaders’ agendas. And indeed, in some ways, Latina is a place that feels forgotten. Although it remains a top agricultural producer, other kinds of industry and infrastructure have faltered. Factories that once bustled here lie empty. New, faster roads and railways that were promised to the city by previous governments never materialized.

      Meloni did visit Latina on her campaign trail and gave speeches about reinvigorating the area with its old strength. “This is a land where you can breathe patriotism. Where you breathe the fundamental and traditional values that we continue to defend — despite being considered politically incorrect,” she told the crowd.

      But the people working this land are entirely absent from Meloni’s rhetorical vision. Marco Omizzolo, a professor of sociology at the University of Sapienza in Rome, has for years studied and engaged with the largely Sikh community of laborers from India who work on the marshes.

      Omizzolo explained to me how agricultural production in Italy has systematically relied on the exploitation of migrant workers for decades.

      “Many people are in this,” he told me, when we met for coffee in Rome. “The owners of companies who employ the workers. The people who run the laborers’ daily work. Local and national politicians. Several mafia clans.”

      “Exploitation in the agricultural sector has been going on for centuries in Italy,” Giulia Tranchina, a researcher at Human Rights Watch focusing on migration, said. She described that the Italian peasantry was always exploited but that the system was further entrenched with the arrival of migrant workers. “The system has always treated migrants as manpower — as laborers to exploit, and never as persons carrying equal rights as Italian workers.” From where she’s sitting, Italy’s immigration laws appear to have been designed to leave migrants “dependent on the whims and the wills of their abusive employers,” Tranchina said.

      The system of bringing the workers to Italy — and keeping them there — begins in Punjab, India. Omizzolo described how a group of traffickers recruits prospective workers with promises of lucrative work abroad and often helps to arrange high-interest loans like the one that Gurinder took out. Omizzolo estimates that about a fifth of the Indian workers in the Pontine Marshes come via irregular routes, with some arriving from Libya, while many others are smuggled into Italy from Serbia across land and sea, aided by traffickers. Their situation is more perilous than those who arrived with visas and work permits, as they’re forced to work under the table without contracts, benefits or employment rights.

      Omizzolo knows it all firsthand. A Latina native, he grew up playing football by the vegetable and fruit fields and watching as migrant workers, first from North Africa, then from India, came to the area to work the land. He began studying the forces at play as a sociologist during his doctorate and even traveled undercover to Punjab to understand how workers are picked up and trafficked to Italy.

      As a scholar and advocate for stronger labor protections, he has drawn considerable attention to the exploitative systems that dominate the area. In 2016, he worked alongside Sikh laborers to organize a mass strike in Latina, in which 4,000 people participated. All this has made Omizzolo a target of local mafia forces, Indian traffickers and corrupt farm bosses. He has been surveilled and chased in the street and has had his car tires slashed. Death threats are nothing unusual. These days, he does not travel to Latina without police protection.

      The entire system could become even further entrenched — and more dangerous for anyone speaking out about it — under Meloni’s administration. The prime minister has an aggressively anti-migrant agenda, promising to stop people arriving on Italy’s shores in small boats. Her government has sent out a new fleet of patrol boats to the Libyan Coast Guard to try to block the crossings, while making it harder for NGOs to carry out rescue operations.

      At the end of February, at least 86 migrants drowned off the coast of Calabria in a shipwreck. When Meloni visited Calabria a few weeks later, she did not go to the beach where the migrants’ bodies were found or to the funeral home that took care of their remains. Instead, she announced a new policy: scrapping special protection residency permits for migrants.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      The idealistic image of the harvest was powerful propaganda at the time. Not shown were the workers, brought in from all over the country, who died of malaria while digging the trenches and canals to drain the marsh. It also stands in contrast to today’s reality. Workers are brought here from the other side of the world, on false pretenses, and find themselves trapped in a system with no escape from the brutal work schedule and the resulting physical and mental health risks. In October, a 24-year-old Punjabi farm worker in the town of Sabaudia killed himself. It’s not the first time a worker has died by suicide — depression and opioid addiction are common among the workforce.

      “We are all guilty, without exception. We have decided to lose this battle for democracy. Dear Jaspreet, forgive us. Or perhaps, better, haunt our consciences forever,” Omizzolo wrote on his Facebook page.

      Talwinder, 28, arrived on the marsh last year. “I had no hopes in India. I had no dreams, I had nothing. It is difficult here — in India, it was difficult in a different way. But at least [in India] I was working for myself.” His busiest months of the year are coming up — he’ll work without a day off. And although the mosquitoes no longer carry malaria, they still plague the workers. “They’re fatter than the ones in India,” he laughs. “I heard it’s because this place used to be a jungle.”

      Mussolini’s vision for the marsh was to turn it into an agricultural center for the whole of Italy, giving work to thousands of Italians and building up a strong working peasantry. Today, vegetables, olives and cheeses from the area are shipped to the United States and sold in upmarket stores to shoppers seeking authentic, artisan foods from the heart of the old world. But it comes at an enormous price to those who produce it. And under Meloni’s premiership, they only expect that cost to rise.

      “These days, if my family ask me if they should come here, like my nephew or relatives, I tell them no,” said Samrath. “Don’t come here. Stay where you are.”

      https://www.codastory.com/rewriting-history/indian-migrants-italy-pontine-marshes

  • Les écrans : un désastre comportemental, intellectuel & cognitif.

    Une journée (le 6 février) sans téléphone portable, c’est bien (pour les malades que nous sommes).

    Entre 2 et 8 ans un enfant « moyen » consacre aux écrans récréatifs l’équivalent de 7 années scolaires complètes ou 460 jours de vie éveillée (1,25 année), ou encore l’exacte quantité du temps de travail personnel requis pour devenir un solide violoniste.

    Mais il faudrait aussi (365 jours sur 365) la suppression stricte, intégrale, immédiate et en tout lieux (y compris à l’école) des écrans pour tous les enfants de moins de 6 ans. Et la réduction à 30 mn à 1 h (tous usages cumulés) par jour pour tous les moins de 16 ans.

    Michel Desmurget le démontre dans son bouquin : sans quoi les jeunes générations d’aujourd’hui ne donneront que des crétins.

    Quelques extraits tirés au fil de ma lecture :

    « Selon les termes d’une étude récente, « seulement 3 % du temps consacré par les #enfants et #adolescents aux #médias_digitaux est utilisé à la création de contenus » (tenir un blog, écrire des programmes informatiques, créer des vidéos ou autres contenus « artistiques », etc.).

    .. Plus de 80 % des ados et préados déclarent ne « jamais » ou « quasiment jamais » utiliser leurs #outils_numériques pour faire œuvre créative. »

    « Croire que les #digital_natives sont des ténors du bit, c’est prendre ma charrette à pédale pr une roquette interstellaire ; croire que le simple fait de maîtriser une app informatique permet à l’utilisateur de comprendre quoi que ce soit aux éléments physiques & logiciels engagés »

    De « l’effarante débilité de cette triste fiction » des DigitalNatives… comme « un groupe mutant à la fois dynamique, impatient, zappeur, multitâche, créatif, friand d’expérimentations, doué pour le travail collaboratif, etc. Mais qui dit mutant dit différent…

    .. Dès lors, ce qui transparaît implicitement ici, c’est aussi l’image d’une génération précédente misérablement amorphe, lente, patiente, monotâche, dépourvue de #créativité, inapte à l’expérimentation, réfractaire au #travail_collectif, etc.

    .. Drôle de tableau qui, a minima, dessine deux axes de réflexion. Le premier interroge les efforts déployés pour redéfinir positivement toutes sortes d’attributs psychiques dont on sait depuis longtemps qu’ils sont fortement délétères pour la #performance_intellectuelle : #dispersion, #zapping, #multitasking, impulsivité, impatience, etc. Le second questionne l’ubuesque acharnement mis en œuvre pour caricaturer et ringardiser les #générations_prédigitales. »

    « Les changements anatomiques [chez les gamers] dont se gaussent certains médias pourraient très bien poser, non les jalons d’un avenir intellectuel radieux, mais les bases d’un #désastre_comportemental à venir. »

    « les digital natives ou autres membres de je ne sais quelle confrérie des X, Y, Z, lol, zappiens ou C, n’existent pas. L’enfant mutant du numérique, que son aptitude à taquiner le #smartphone aurait transformé en omnipraticien génial des nouvelles technologies les + complexes que #Google Search aurait rendu infiniment plus curieux, agile et compétent que n’importe lequel de ses enseignants prédigitaux ; qui grâce aux jeux vidéo aurait vu son cerveau prendre force et volume ; qui grâce aux filtres de Snapchat ou Instagram aurait élevé sa créativité jusqu’aux + hauts sommets ; etc. ; cet enfant n’est qu’une légende. Il n’est nulle part dans la littérature scientifique. […] Ce qui est extraordinaire, c’est qu’une telle absurdité perdure contre vents et marées, &, en plus, contribue à orienter nos politiques publiques notamment dans le domaine éducatif. Car au-delà de ses aspects folkloriques, ce mythe n’est évidemment pas dénué d’arrière-pensées. Sur le plan domestique, d’abord, il rassure les parents en leur faisant croire que leurs rejetons sont de véritables génies du numérique et de la pensée complexe, même si, dans les faits, ces derniers ne savent utiliser que quelques (coûteuses) applications triviales.

    .. Sur le plan scolaire, ensuite, il permet, pour le plus grand bonheur d’une industrie florissante, de soutenir la numérisation forcenée du système et ce, malgré des performances pour le moins inquiétantes. »

    « Plus globalement, si un observateur ose s’alarmer du temps passé par les enfants devant les écrans de ttes sortes, la triste légion des tartufes conspue sans délai le fâcheux, arguant qu’il s’agit là d’une position « sexiste », représentant fondamentalement « un nouvel outil de #culpabilisation des mères » […] « pr nos néosuffragettes du droit à l’abrutissement, suggérer que les enfants passent bien trop de temps avec leurs écrans signifie juste, en dernière analyse, que « ns n’aimons pas les innovations qui rendent + faciles la vie des mères ».

    « Quand les adultes ont constamment le nez scotché sur leur mobile, les #interactions_précoces essentielles au #développement_de_l’enfant sont altérées. »

    « Une étude vous déplaît, trouvez-la alarmiste, idiote, dogmatique, moralisatrice, exagérée, excessive, biaisée, absurde, culpabilisante ou sexiste. Affirmez vaguement qu’on pourrait trouver d’autres recherches contradictoires tout aussi convaincantes (évidemment sans les citer).

    .. Criez aux heures noires de la prohibition, évoquez la censure, dénoncez les stratégies de la peur, beuglez votre haine de l’oppression culturelle. En désespoir de cause, caricaturez l’auteur, raillez sa #bêtise, faites-le passer pour un #crétin, un demeuré, un réactionnaire un triste sermonnaire ou un sombre élitiste. Tronquez, trompez, truquez. Mais, surtout, ne regardez jamais les faits, ne considérez jamais le cœur du travail discuté. Ce n’est pas si difficile. Avec un peu d’habitude, vous apprendrez aisément à masquer l’absolue vacuité de vos propos sous l’ombrage d’un humanisme paisible et rassurant. Une fois acquises les bases du job, vous parviendrez en quelques mots, avec la dextérité du virtuose illusionniste, à transformer la plus solide recherche en affligeante pitrerie. »

    L’explication de cette limite apparemment arbitraire des 3 ans ? « Cet âge semble constituer le seuil optimal à partir duquel inscrire efficacement dans les neurones des gosses la trace de la grenouille Budweiser, de la virgule Nike, de l’estampille Coca-Cola, du clown McDonald ou du mâle viril forcément fumeur. Selon une enquête du gpe Lagardère Publicité, dès 4 ans, + de 75 % des demandes d’achat émises par les enfants sont consécutives à une exposition publicitaire, pour un taux d’acceptation parental supérieur à 85 %. »

    « En disant, pas de télé avant 3 ans, on affiche sa bonne foi, sa probité et son indépendance. [et] en proscrivant la télé avant 3 ans, ce que l’on exprime vraiment, in fine, c’est l’idée selon laquelle l’exposition devient possible au-delà de cet âge »…

    « Avant 3 ans, petit humain n’est guère intéressant. Ce n’est qu’autour de cet âge qu’il devient une cible publicitaire pertinente et, de ce fait, une potentielle source de revenus pour les opérateurs. Peu importe alors que la télé ampute son développement. »

    « L’#industrie_audiovisuelle ne fut pas longue à réaliser le profit qu’elle pourrait tirer de cette césure. Elle accepta sans états d’âme d’abandonner le secondaire pr préserver l’essentiel. À travers ses relais experts & médiatiques elle opéra alors selon 2 axes complémentaires 1) en soutenant diligemment la condamnation des usages précoces (ce qui ne lui coûtait rien). 2) en se lançant dans une subtile (et efficace) campagne d’attiédissement des restrictions tardives. Ainsi, on ne parla plus d’une à 2 h par jour max, mais d’usages « excessifs ». »

    « La dernière étude en date montre, sans la moindre ambiguïté, que l’usage d’une #tablette « interactive » non seulement ne développe pas, mais altère lourdement le développement de la motricité manuelle fine chez des enfants d’âge préscolaire. »

    « Les recherches montrent que la tablette est, la plupart du temps, pour le jeune enfant, un écran « passif » servant à consommer des contenus audiovisuels dont on nous dit précisément qu’ils sont déconseillés (dessins animés, films, clips, etc.). »

    « Au-delà des variations de protocoles, de populations, d’approches et de méthodologies, le résultat n’a jamais varié : les contenus violents favorisent à court et long terme l’émergence de comportements agressifs chez l’enfant et l’adulte. »

    « Le lien empirique [entre contenus violents et agression] n’est donc plus à démontrer aujourd’hui, quoi qu’en disent les gamers et quelques démago-geeks qui caressent l’industrie du jeu violent dans le sens du poil. »

    « Les médias présentent souvent “les deux côtés” du débat associant violence médiatique et agression en appariant un chercheur avec un expert ou un porte-parole de l’industrie ou même un contradicteur universitaire, ce qui crée une fausse équivalence et la perception erronée que les travaux de recherches et le consensus scientifique font défaut. » Pourtant : « ds le NYT, le secr. géné. de l’Association de #psychologie déclarait que « les preuves sont écrasantes. Les contester revient à contester l’existence de la gravité ».

    Ce qui n’empêche pas « les bons petits soldats du numérique [de continuer], sous couvert d’expertise, à emplir l’espace collectif de leur affligeante #propagande. »

    « Les études qui ont mesuré l’exposition durant la petite enfance (avec ou sans analyse de contenus) ont démontré de manière constante que regarder la télévision est associé à des conséquences développementales négatives. Cela est observé pour l’attention, les performances éducatives, les fonctions exécutives et les productions langagières ». Autrement dit, pour les jeunes enfants, l’impact de la télévision n’est nullement complexe. Il est immuablement néfaste. Point. »

    « Prenez le lien entre #consommation_audiovisuelle précoce et déficits cognitifs tardifs. Même avec la meilleure volonté du monde, il semble diantrement difficile de rejeter l’hypothèse de causalité sachant, par exemple, que : (1) la présence d’une télé dans une maison effondre la fréquence, la durée et la qualité des interactions intrafamiliales ; (2) ces interactions sont fondamentales pour le #développement_cognitif du jeune enfant ; (3) certains outils statistiques reposant sur des protocoles dits « longitudinaux » ont permis d’établir la nature causale du lien observé, chez le jeune enfant, entre l’accroissement du temps d’écrans et l’émergence de retards développementaux. »

    « Il est aujourd’hui solidement établi que les écrans ont, sur la durée et la qualité de nos nuits, un impact profondément délétère. Certaines influences se révèlent relativement directes ; par ex, quand le sommeil est altéré, la mémorisation, les facultés d’apprentissage et le fonctionnement intellectuel diurne sont perturbés, ce qui érode mécaniquement la #performance_scolaire. Certaines influences s’avèrent plus indirectes ; par ex, quand le sommeil est altéré, le système immunitaire est affaibli, l’enfant risque davantage d’être malade et donc absent, ce qui contribue à augmenter les difficultés scolaires. Certaines influences émergent avec retard ; par ex, quand le sommeil est altéré, la maturation cérébrale est affectée, ce qui, à long terme, restreint le potentiel individuel (en particulier cognitif) et donc mécaniquement, le rendement scolaire. […] La plupart des influences sont multiples et il est évident que l’impact négatif des #écrans récréatifs sur la #réussite_scolaire ne repose pas exclusivement sur la détérioration du #sommeil. Ce dernier levier opère ses méfaits en synergie avec d’autres agents dont – nous y reviendrons largement – la baisse du temps consacré aux devoirs ou l’effondrement des #capacités_langagières et attentionnelles. Dans le même temps, cependant, il est clair aussi que l’influence négative des écrans récréatifs sur le sommeil agit bien au-delà du seul champ scolaire. Dormir convenablement se révèle essentiel pour abaisser le risque d’accident, réguler l’humeur et les émotions, sauvegarder la #santé, protéger le cerveau d’un #vieillissement_prématuré, etc. »

    « Ce qui ne s’est pas mis en place durant les âges précoces du développement en termes de langage, de #coordination_motrice, de prérequis mathématiques, d’#habitus_sociaux, de #gestion_émotionnelle, etc., s’avère de + en + coûteux à acquérir au fur et à mesure que le temps passe. »

    Les moins de 2 ans : « Les enfants de moins de deux ans consacrent, en moyenne, chaque jour, une cinquantaine de minutes aux écrans. […] La valeur paraît sans doute raisonnable de prime abord… elle ne l’est pas. Elle représente presque 10 % de la durée de veille de l’#enfant ; et 15 % de son temps « libre », c’est-à-dire du temps disponible une fois que l’on a retiré les activités « contraintes » telles que manger (sept fois par jour en moyenne avant 2 ans), s’habiller, se laver ou changer de couche. […] Cumulées sur 24 mois, ces minutes représentent plus de 600 heures. Cela équivaut à peu près aux trois quarts d’une année de maternelle ; ou, en matière de #langage, à 200 000 énoncés perdus, soit à peu près 850 000 mots non entendus. […] Pour le seul sous-groupe des usagers quotidiens, la moyenne de consommation s’établit à presque 90 mn. Autrement dit, plus d’1/3 des enfants de moins d’1 an ingurgitent 1 h 30 d’écrans par jour — […] principalement dans les milieux socioculturels les moins favorisés. […]

    .. En fonction des groupes étudiés, entre 1 h 30 et 3 h 30 d’usage journalier. Principale raison avancée par les #parents pour expliquer cette incroyable orgie : faire tenir les gamins tranquilles dans les lieux publics (65 %), pendant les courses (70 %) et/ou lors des tâches ménagères (58 %). Chaque jour, près de 90 % des enfants défavorisés regardent la #télévision ; 65 % utilisent des outils mobiles ; 15 % sont exposés à des consoles de jeux vidéo. En 4 ans, la proportion de bambins de - de 12 mois utilisant des écrans mobiles est passée de 40 à 92 %. »

    « La consommation numérique [Du 2-8 ans] : entre 2 et 4 ans, 2 h 45 par jour. […] Sur la dernière décennie, elles ont augmenté de plus de 30 %. Elles représentent quasiment 1/4 du temps normal de veille de l’enfant. Sur une année, leur poids cumulé dépasse allègrement 1 000 h. Cela veut dire qu’entre 2 et 8 ans un enfant « moyen » consacre aux écrans récréatifs l’équivalent de 7 années scolaires complètes ou 460 jours de vie éveillée (1,25 année), ou encore l’exacte quantité du temps de travail personnel requis pour devenir un solide violoniste. »

    « Durant la préadolescence [entre 8 et 12 ans], les enfants voient leur besoin de sommeil diminuer sensiblement. Chaque jour, ils gagnent naturellement entre 1 h 30 et 1 h 45 d’éveil. Cette « conquête », dans sa quasi-totalité, ils l’offrent à leurs babioles numériques.

    .. Ainsi, entre 8 et 12 ans, le temps d’écrans journalier grimpe à presque 4 h 40, contre 3 heures précédemment. […] Cumulé sur 1 an, cela fait 1 700 h, l’équivalent de deux années scolaires ou, si vous préférez, d’un an d’emploi salarié à plein-temps. »

    « Les préados issus de milieux défavorisés consacrent chaque jour presque 2 h de + aux écrans que leurs homologues + privilégiés. Pr sa + gde partie, cet écart provient d’un usage accru d’une part des contenus audiovisuels (+ 1h15) et d’autre part des réseaux sociaux (+ 30 mn). »

    « « Il existe une corrélation négative entre le bien-être socio-émotionnel et le temps consacré aux écrans ». Autrement dit, les préados & ados qui passent le moins de temps dans le monde merveilleux du cyber-divertissement sont aussi ceux qui se portent le mieux ! »

    .. Conclusion : nos gamins peuvent très bien se passer d’écrans ; cette abstinence ne compromet ni leur équilibre émotionnel ni leur intégration sociale. Bien au contraire ! »

    Les ados [13-18 ans] : « La consommation quotidienne de numérique atteint alors 6 h 40. […] Il équivaut à un quart de journée et 40 % du temps normal de veille. Cumulé sur un an, cela représente plus de 2 400 heures, 100 jours, 2,5 années scolaires ou encore la totalité du temps consacré de la sixième à la terminale, pour un élève de filière scientifique, à l’enseignement du français, des mathématiques et des Sciences de la Vie et de la Terre (SVT).

    .. Autrement dit, sur une simple année, les écrans absorbent autant de tps qu’il y a d’heures cumulées d’enseignement du français, des maths et des SVT durant tt le secondaire. Mais cela n’empêche pas les sempiternelles ruminations sur l’emploi du tps trop chargé des écoliers. »

    « Si vs voulez exalter l’exposition de votre progéniture au numérique, assurez-vs que le petit possède en propre smartphone/tablette et équipez sa chambre en tv/console. Cette attention pourrira son sommeil, sa santé et ses résultats scolaires, mais au moins vous aurez la paix. »

    « Pr être pleinement efficace à long terme, le cadre restrictif ne doit pas être perçu comme une punition arbitraire, mais comme une exigence positive. Il est important que l’enfant adhère à la démarche et en intériorise les bénéfices. Quand il demande pourquoi il n’a « pas le droit » alors que ses copains font « ce qu’ils veulent », il faut lui expliquer que les parents de ses copains n’ont peut-être pas suffisamment étudié la question ; lui dire que les écrans ont sur son cerveau, son intelligence, sa concentration, ses résultats scolaires sa santé, etc., des influences lourdement négatives ; et il faut lui préciser pourquoi : moins de sommeil ; moins de temps passé à des activités plus nourrissantes, dont lire, jouer d’un instrument de musique, faire du sport ou parler avec les autres ; moins de temps passé à faire ses devoirs ; etc. Mais tout cela, évidemment, n’est crédible que si l’on n’est pas soi-même constamment le nez sur un écran récréatif.

    .. Au pire, il faut alors essayer d’expliquer à l’enfant que ce qui est mauvais pour lui ne l’est pas forcément pour un adulte, parce que le cerveau de ce dernier est « achevé » alors que celui de l’enfant est encore « en train de se construire ». »

    « ÉTABLIR DES RÈGLES, ÇA MARCHE ! […] Et que se passe-t-il si l’on retire la télé ? Eh bien, même s’il déteste ça, l’enfant va se mettre à lire. Trop beau pour être vrai ? Même pas ! Plusieurs études récentes ont en effet montré que notre brave cerveau supportait très mal le désœuvrement. Il a ainsi été observé, par exemple, que 20 minutes passées à ne rien faire entraînaient un niveau de fatigue mental plus important que 20 minutes passées à réaliser une tâche complexe de manipulation des nombres. Dès lors, plutôt que de s’ennuyer, la majorité des gens préfère sauter sur la première occupation venue même si celle-ci s’avère a priori rébarbative ou, pire, consiste à s’infliger une série de chocs électriques douloureux. Cette puissance prescriptive du vide, la journaliste américaine Susan Maushart l’a observée de première main, le jour où elle a décidé de déconnecter ses trois zombies adolescents169. Privés de leurs gadgets électroniques, nos heureux élus commencèrent par se cabrer avant progressivement, de s’adapter et de se (re)mettre à lire, à jouer du saxo, à sortir le chien sur la plage, à faire la cuisine, à manger en famille, à parler avec maman, à dormir davantage, etc. ; bref, avant de se (re)mettre à vivre. »
    « Si les neurones se voient proposer une « nourriture » inadéquate en qualité et/ou quantité, ils ne peuvent « apprendre » de manière optimale ; et plus la carence s’étire dans le temps, plus elle devient difficile à combler. »

    « Les expériences précoces sont d’une importance primordiale. Cela ne veut pas dire que tt se joue avant 6 ans, comme le claironne abusivement le titre français d’un best-seller américain des années 1970. Mais cela signifie certainement que ce qui se joue entre 0 et 6 ans influence profondément la vie future de l’enfant. Au fond, dire cela, c’est affirmer un truisme. C’est stipuler que l’apprentissage ne sort pas du néant. Il procède de manière graduelle par transformation, combinaison et enrichissement des compétences déjà acquises. Dès lors, fragiliser l’établissement des armatures précoces, notamment durant les « périodes sensibles », c’est compromettre l’ensemble des déploiements tardifs. »

    PAS D’ÉCRAN AVANT (AU MOINS) 6 ANS ! « En 6 ans, au-delà d’un monceau de conventions sociales et abstraction faite des activités « facultatives » comme la danse, le tennis ou le violon, le petit humain apprend à s’asseoir à se tenir debout, à marcher, à courir, à maîtriser ses excrétions, à manger seul, à contrôler et coordonner ses mains (pour dessiner, faire ses lacets ou manipuler les objets), à parler, à penser, à maîtriser les bases de la numération et du code écrit, à discipliner ses déchaînements d’émotions & pulsions, etc. Ds ce contexte, chaque minute compte. […] Cela signifie “juste” qu’il faut le placer ds un environnement incitatif, où la “nourriture” nécessaire est généreusement accessible. Or, les écrans ne font pas partie de cet environnement. […] Plusieurs études, sur lesquelles nous reviendrons également, ont ainsi montré qu’il suffisait, chez le jeune enfant, d’une exposition quotidienne moyenne de 10 à 30 minutes pour provoquer des atteintes significatives dans les domaines sanitaire et intellectuel. […] Ce dont a besoin notre descendance pr bien grandir, ce n’est donc ni d’Apple, ni de Teletubbies ; c d’humain. Elle a besoin de mots, de sourires, de câlins. Elle a besoin d’expérimenter, de mobiliser son corps, de courir, de sauter, de toucher, de manipuler des formes riches. Elle a besoin de dormir, de rêver, de s’ennuyer, de jouer à « faire semblant ». Elle a besoin de regarder le monde qui l’entoure, d’interagir avec d’autres enfants. Elle a besoin d’apprendre à lire, à écrire, à compter, à penser. Au coeur de ce bouillonnement, les écrans sont un courant glaciaire. Non seulement ils volent au développement un temps précieux & posent les fondations des hyperusages ultérieurs, mais en + ils déstructurent nombre d’apprentissages fondamentaux liés, par ex., à l’attention. »

    « En compilant les résultats obtenus, on observe que nombre de problèmes émergent dès la première heure quotidienne. En d’autres termes, pour tous les âges postérieurs à la prime enfance, les écrans récréatifs (de toutes natures : télé, jeux vidéo, tablettes, etc.) ont des impacts nuisibles mesurables dès 60 minutes d’usage journalier. Sont concernés, par exemple, les relations intrafamiliales, la réussite scolaire, la concentration, l’obésité, le sommeil, le développement du système cardio-vasculaire ou l’espérance de vie. […] Au-delà de la prime enfance, toute consommation d’écrans récréatifs supérieure à une heure quotidienne entraîne des préjudices quantitativement détectables et peut donc être considérée comme excessive. »

    De l’importance primordiale, autrement dit, de « maintenir en deçà de 30 (borne prudente) à 60 (borne tolérante) minutes l’exposition quotidienne aux écrans récréatifs des individus de 6 ans et plus.

    .. Précisons […] : un enfant qui ne consommerait aucun écran récréatif les jours d’école et regarderait un dessin animé ou jouerait aux jeux vidéo pendant 90 minutes les mercredis et samedis resterait largement dans les clous… »

    « Les écrans sapent l’intelligence, perturbent le développement du cerveau, abîment la santé, favorisent l’obésité, désagrègent le sommeil, etc. […] À partir de la littérature scientifique disponible, on peut formuler deux recommandations formelles :

    .. (1) pas d’écrans récréatifs avant 6 ans (voire 7 ans si l’on inclut l’année charnière de cours préparatoire) ; (2) au-delà de 6 ans, pas plus de 60 minutes quotidiennes, tous usages cumulés (voire 30 minutes si l’on privilégie une lecture prudente des données disponibles). »

    « Des heures passées principalement à consommer des flux audiovisuels (films, #séries, clips, etc.), à jouer aux jeux vidéo et, pour les plus grands, à palabrer sur les réseaux sociaux à coups de lol, like, tweet, yolo, post et selfies. Des heures arides, dépourvues de fertilité développementale. Des heures anéanties qui ne se rattraperont plus une fois refermées les grandes périodes de plasticité cérébrale propres à l’enfance et à l’adolescence. »

    « La #littérature_scientifique démontre de façon claire et convergente un effet délétère significatif des écrans domestiques sur la réussite scolaire : indépendamment du sexe, de l’âge, du milieu d’origine et/ou des protocoles d’analyses, la durée de consommation se révèle associée de manière négative à la #performance_académique. »

    « Le smartphone (littéralement « téléphone intelligent ») nous suit partout, sans faiblesse ni répit. Il est le graal des suceurs de cerveaux, l’ultime cheval de Troie de notre décérébration. Plus ses applications deviennent « intelligentes », plus elles se substituent à notre réflexion et plus elles nous permettent de devenir idiots. Déjà elles choisissent nos restaurants, trient les informations qui nous sont accessibles, sélectionnent les publicités qui nous sont envoyées, déterminent les routes qu’il nous faut emprunter, proposent des réponses automatiques à certaines de nos interrogations verbales et aux courriels qui nous sont envoyés, domestiquent nos enfants dès le plus jeune âge, etc. Encore un effort et elles finiront par vraiment penser à notre place. »

    « L’impact négatif de l’usage du smartphone s’exprime avec clarté sur la réussite scolaire : plus la consommation augmente, plus les résultats chutent. »

    Y compris en « filières d’excellence. Les études de médecine en offrent une bonne illustration. En France, le concours d’entrée admet, en moyenne, 18 candidats sur 100. À ce niveau d’exigence le smartphone devient rapidement un #handicap insurmontable. Prenez, par exemple, un étudiant non équipé qui se classerait 240e sur 2 000 et réussirait son concours. 2 h quotidiennes de smartphone le conduiraient à une 400e place éliminatoire. »

    Même chose s’agissant des réseaux sociaux : « Là encore, les résultats sont aussi cohérents qu’opiniâtrement négatifs. Plus les élèves (#adolescents et #étudiants principalement) consacrent de temps à ces outils, plus les performances scolaires s’étiolent. »

    Et les usages numériques à l’école : « En pratique, évidemment, personne ne conteste le fait que certains outils numériques peuvent faciliter le travail de l’élève. Ceux qui ont connu les temps anciens de la recherche scientifique, savent mieux que quiconque l’apport “technique” de la récente révolution digitale. Mais, justement, par définition, les outils et logiciels qui nous rendent la vie plus facile retirent de facto au cerveau une partie de ses substrats nourriciers. Plus nous abandonnons à la machine une part importante de nos activités cognitives et moins nos neurones trouvent matière à se structurer, s’organiser et se câbler. Dans ce contexte, il devient essentiel de séparer l’expert et l’apprenant au sens où ce qui est utile au premier peut s’avérer nocif pour le second. »

    « « Malgré des investissements considérables en ordinateurs, connexions internet et logiciels éducatifs, il y a peu de preuves solides montrant qu’un usage accru des ordinateurs par les élèves conduit à de meilleurs scores en #mathématiques et #lecture. » En parcourant le texte, on apprend que, après prise en compte des disparités économiques entre États & du niveau de performance initiale des élèves, “les pays qui ont moins investi dans l’introduction des ordinateurs à l’école ont progressé + vite, en moyenne, que les pays ayant investi davantage”. »

    Des chercheurs « se sont demandés si l’usage de logiciels éducatifs à l’école primaire (lecture, mathématiques) avait un effet sur la performance des élèves. Résultat : bien que tous les enseignants aient été formés à l’utilisation de ces logiciels, de manière satisfaisante selon leurs propres dires, aucune influence positive sur les élèves ne put être détectée. »

    « #Bill_Joy, cofondateur de #Sun_Microsystem et programmeur de génie, concluant comme suit une discussion sur les vertus pédagogiques du numérique : « Tout cela […] ressemble à une gigantesque perte de temps…

    .. Si j’étais en compétition avec les États-Unis, j’adorerais que les étudiants avec lesquels je suis en compétition passent leur temps avec ce genre de merde. »

    « L’introduction du #numérique dans les classes est avant tout une source de distraction pour les élèves. »

    « Dans une recherche réalisée à l’université du Vermont (États-Unis), pour un cours de 1 h 15, le temps volé par les activités distractives atteignait 42 %. »

    « Les résultats se révélèrent sans appel : tout dérivatif numérique (SMS, #réseaux_sociaux, #courriels, etc.) se traduit par une baisse significative du niveau de compréhension et de mémorisation des éléments présentés. »

    « De manière intéressante, une étude comparable avait précédemment montré que l’usage de l’ordinateur se révélait délétère même lorsqu’il servait à accéder à des contenus académiques liés à la leçon en cours. »

    « Bien sûr, ce qui est vrai pour l’#ordinateur l’est aussi pour le smartphone. Ainsi, dans un autre travail représentatif de la littérature existante, les auteurs ont établi que les étudiants qui échangeaient des SMS pendant un cours comprenaient et retenaient moins bien le contenu de ce dernier. Soumis à un test final, ils affichaient 60 % de bonnes réponses, contre 80 % pour les sujets d’un groupe contrôle non distrait. Une étude antérieure avait d’ailleurs indiqué qu’il n’était même pas nécessaire de répondre aux messages reçus pour être perturbé. Il suffit, pour altérer la prise d’information, qu’un #téléphone sonne dans la salle (ou vibre dans notre poche). »

    "Pourquoi une telle frénésie ? Pourquoi une telle ardeur à vouloir digitaliser le système scolaire, depuis la maternelle jusqu’à l’université, alors que les résultats s’affirment aussi peu convaincants ? [… Parce que] « si l’on diminue les dépenses de fonctionnement, il faut veiller à ne pas diminuer la quantité de service, quitte à ce que la qualité baisse. On peut réduire, par exemple, les crédits de fonctionnement aux écoles ou aux universités, mais il serait dangereux de restreindre le nombre d’élèves ou d’étudiants. Les familles réagiront violemment à un refus d’inscription de leurs enfants, mais non à une baisse graduelle de la qualité de l’enseignement ». C’est exactement ce qui se passe avec l’actuelle numérisation du système scolaire. En effet, alors que les premieres études n’avaient globalement montré aucune influence probante de cette dernière sur la réussite des élèves, les données les plus récentes, issues notamment du #programme_PISA, révèlent un fort impact négatif. Curieusement, rien n’est fait pour stopper ou ralentir le processus, bien au contraire. Il n’existe qu’une explication rationnelle à cette absurdité. Elle est d’ordre économique : en substituant, de manière plus ou moins partielle, le numérique à l’humain il est possible, à terme, d’envisager une belle réduction des coûts d’enseignement. […] "« Le monde ne possède qu’une fraction des enseignants dont il a besoin ». Car le cœur du problème est bien là. Avec la massification de l’enseignement, trouver des professeurs qualifiés se révèle de plus en plus compliqué, surtout si l’on considère les questions de rémunération. Pour résoudre l’équation, difficile d’envisager meilleure solution que la fameuse « révolution numérique ». […] Le « professeur » devient alors une sorte de passe-plat anthropomorphe dont l’activité se résume, pour l’essentiel, à indiquer aux élèves leur programme numérique quotidien tout en s’assurant que nos braves digital natives restent à peu près tranquilles sur leurs sièges. Il est évidemment facile de continuer à nommer « enseignants » de simples « gardes-chiourmes 2.0 », sous-qualifiés et sous-payés ; et ce faisant, d’abaisser les coûts de fonctionnement sans risquer une révolution parentale. […] [en Floride], les autorités administratives se sont révélées incapables de recruter suffisamment d’enseignants pour répondre à une contrainte législative limitant le nombre d’élèves par classe (vingt-cinq au #lycée). Elles ont donc décidé de créer des classes digitales, sans professeurs. Ds ce cadre, les élèves apprennent seuls, face à un ordinateur, avec pour unique support humain un « facilitateur » dont le rôle se limite à régler les petits problèmes techniques et à s’assurer que les élèves travaillent effectivement. Une approche « criminelle » selon un enseignant, mais une approche « nécessaire » aux dires des autorités scolaires. […] 95 % du budget de l’Éducation nationale passe en salaires ! »

    Conclusion :

    1) « Plus les élèves regardent la télévision, plus ils jouent aux jeux vidéo, plus ils utilisent leur smartphone, plus ils sont actifs sur les réseaux sociaux & plus leurs notes s’effondrent. Même l’ordinateur domestique, dont on nous vante sans fin la puissance éducative, n’exerce aucune action positive sur la performance scolaire.

    2) Plus les États investissent dans les « technologies de l’information et de la communication pour l’enseignement » (les fameuses TICE), plus la performance des élèves chute. En parallèle, plus les élèves passent de temps avec ces technologies et plus leurs notes baissent.

    3) le numérique est avant tout un moyen de résorber l’ampleur des dépenses éducatives. […]

    4) Pour faire passer la pilule et éviter les fureurs parentales, il faut habiller l’affaire d’un élégant verbiage pédagogiste. Il faut transformer le cautère digital en une « révolution éducative », un « tsunami didactique » réalisé, évidemment, aux seuls profits des élèves. Il faut camoufler la paupérisation intellectuelle du corps enseignant et encenser la mutation des vieux dinosaures prédigitaux en pétillants (au choix !) guides, médiateurs, facilitateurs, metteurs en scène ou passeurs de savoir. Il faut masquer l’impact catastrophique de cette « révolution » sur la perpétuation et le creusement des inégalités sociales. Enfin, il faut éluder la réalité des usages essentiellement distractifs que les élèves font de ces outils. »

    « Si l’usage des écrans affecte aussi lourdement la réussite scolaire, c évidemment parce que leur action s’étend bien au-delà de la simple sphère académique. Les notes sont alors le symptôme d’une meurtrissure + large, aveuglément infligée aux piliers cardinaux de notre dévéloppement. Ce qui est ici frappé, c’est l’essence même de l’édifice humain en développement : langage + #concentration + #mémoire + QI + #sociabilité + #contrôle_des_émotions. Une agression silencieuse menée sans états d’âme ni tempérance, pr le profit de qqs-uns au détriment de presque tous. »

    « Le #cerveau_humain s’avère, quel que soit son âge, bien moins sensible à une représentation vidéo qu’à une présence humaine effective. C’est pr cette raison, notamment, que la puissance pédagogique d’un être de chair et d’os surpasse aussi irrévocablement celle de la machine. »

    « Pr favoriser le développement d’un enfant, mieux vaut accorder du tps aux interactions humaines : [...] l’une des méthodes les + efficaces pr améliorer le dév. de l’enfant passe par les interactions de haute qualité entre l’adulte et l’enfant, sans la distraction des écrans. »

    « Le temps total d’interaction volé par 60 mn quotidiennes de télé sur les 12 premières années de vie d’un enfant s’élève à 2 500 heures. Cela représente 156 journées de veille, presque 3 années scolaires et 18 mois d’emploi salarié à temps complet...

    .. Pas vraiment une paille, surtout si l’on rapporte ces données à des consommations non plus de une, mais de 2 ou 3 heures quotidiennes. Et, à ce désastre, il faut encore ajouter l’altération relationnelle engendrée par les expositions d’arrière-plan. »

    « La consommation d’écrans interfère fortement avec le développement du langage. Par ex., chez des enfants de 18 mois, il a été montré que chaque 1/2 h quotidienne supplémentaire passée avec un appareil mobile multipliait par 2,5 la probabilité d’observer des retards de langage. De la même manière, chez des enfants de 24 à 30 mois, il a été rapporté que le risque de #déficit_langagier augmentait proportionnellement à la durée d’exposition télévisuelle. Ainsi, par rapport aux petits consommateurs (moins de 1 heure par jour), les usagers modérés (1 à 2 heures par jour), moyens (2 à 3 heures par jour) et importants (plus de 3 heures par jour) multipliaient leur probabilité de retard dans l’acquisition du langage respectivement par 1,45, 2,75 et 3,05. [...] Le risque de déficit était quadruplé, chez des enfants de 15 à 48 mois, qd la consommation dépassait 2 h quotidiennes. Ce quadruplement se transformait même en sextuplement lorsque ces enfants avaient été initiés aux joies du petit écran avant 12 mois (sans considération de durée). »

    Plus augmente la consommation d’écrans et plus l’#intelligence_langagière diminue. « Notons que le lien alors identifié était comparable, par son ampleur, à l’association observée entre niveau d’intoxication au plomb (un puissant perturbateur endocrinien) et QI verbal [...] si vous détestez [le] marmot de vos horribles voisins & que vous rêvez de lui pourrir la vie [...], inutile de mettre du plomb ds sa gourde. Offrez-lui plutôt une télé/tablette/console de jeux. L’impact cognitif sera tout aussi dévastateur pr un risque judiciaire nul. »

    « Le jour où l’on substituera le numérique à l’humain, ce n’est plus 30 mois (comme actuellement) mais 10 ans qu’il faudra à nos enfants pour atteindre un volume lexical de 750 à 1 000 mots. »

    « Au-delà d’un socle fondamental, oralement construit au cours des premiers âges de la vie, c’est dans les livres et seulement dans les livres que l’enfant va pouvoir enrichir et développer pleinement son langage. »

    .. [...] « Chaque heure quotidienne de jeux vidéo entraînait un affaissement de 30 % du temps passé à lire seul. Des éléments qui expliquent, au moins pour partie, l’impact négatif des écrans récréatifs sur l’acquisition du code écrit ; impact qui compromet lui-même, en retour le déploiement du langage. Tout est alors en place pr que se développe une boucle pernicieuse auto-entretenue : comme il est moins confronté à l’écrit, l’enfant a + de mal à apprendre à lire ; comme il a + de mal à lire, il a tendance à éviter l’écrit et donc à lire moins ; comme il lit moins, ses compétences langagières ne se développent pas au niveau escompté et il a de plus en plus de mal à affronter les attendus de son âge. Remarquable illustration du célèbre "#effet_Matthieu". »

    Attention – « Chaque heure quotidienne passée devant le petit écran lorsque l’enfant était à l’école primaire augmente de presque 50 % la probabilité d’apparition de troubles majeurs de l’attention au collège. Un résultat identique fut rapporté dans un travail subséquent montrant que le fait de passer quotidiennement entre 1 et 3 heures devant la télévision à 14 ans multipliait par 1,4 le risque d’observer des difficultés attentionnelles à 16 ans. Au-delà de 3 heures, on atteignait un quasi-triplement. Des chiffres inquiétants au regard d’un résultat complémentaire montrant que l’existence de troubles de l’attention à 16 ans quadruplait presque le risque d’échec scolaire à 22 ans. »

    Un travail « du service marketing de #Microsoft, curieusement rendu public, [explique] que les capacités d’attention de notre belle humanité n’ont cessé de se dégrader depuis 15 ans [pour atteindre] aujourd’hui un plus bas historique : inférieures à celles du… poisson rouge. Cette altération serait directement liée au développement des technologies numériques. Ainsi, selon les termes du document, "les modes de vie digitaux affectent la capacité à rester concentré sur des périodes de temps prolongées". »

    « Sean Parker, ancien président de Facebook, admettait d’ailleurs que les réseaux sociaux avaient été pensés, en toute lucidité, pour "exploiter une vulnérabilité de la psychologie humaine". Pour notre homme, "le truc qui motive les gens qui ont créé ces réseaux c’est : “Comment consommer le maximum de votre temps et de vos capacités d’attention” ?" Ds ce contexte, pour vous garder captif, "il faut vous libérer un peu de dopamine, de façon suffisamment régulière. D’où le like ou le commentaire que vous recevez sur une photo, une publication. Cela va vous pousser à contribuer de plus en plus et donc à recevoir de plus en plus de commentaires et de likes, etc. C’est une forme de boucle sans fin de jugement par le nombre". Un discours que l’on retrouve quasiment mot pour mot chez Chamath Palihapitiya, ancien vice-président de Facebook (questions de croissance & d’audience). La conclusion de ce cadre repenti (qui déclare se sentir "immensément coupable") est sans appel : "Je peux contrôler ce que font mes enfants, et ils ne sont pas autorisés à utiliser cette merde !" »

    Conclusion – « Les écrans sapent les trois piliers les plus essentiels du développement de l’enfant.
    – 1) les interactions humaines. [...] Pour le développement, l’écran est une fournaise quand l’humain est une forge.

    – 2) le langage. [...] en altérant le volume et la qualité des échanges verbaux précoces. Ensuite, en entravant l’entrée dans le monde de l’écrit.

    – 3) la concentration. [...] Ds qqs dizaines ou centaines de milliers d’années, les choses auront peut-être changé, si notre brillante espèce n’a pas, d’ici là, disparu de la planète. En attendant, c’est à un véritable #saccage_intellectuel que nous sommes en train d’assister. »
    « La liste des champs touchés paraît sans fin : #obésité, #comportement_alimentaire (#anorexie/#boulimie), #tabagisme, #alcoolisme, #toxicomanie, #violence, #sexualité non protégée, dépression, sédentarité, etc. [...] : les écrans sont parmi les pires faiseurs de maladies de notre temps »

    Manque de sommeil : « c’est l’intégrité de l’individu tout entier qui se trouve ébranlée dans ses dimensions cognitives, émotionnelles et sanitaires les plus cardinales. Au fond, le message porté par l’énorme champ de recherches disponible sur le sujet peut se résumer de manière assez simple : un humain (enfant, adolescent ou adulte) qui ne dort pas bien et/ou pas assez ne peut fonctionner correctement. »
    « Le sommeil est la clé de voûte de notre intégrité émotionnelle, sanitaire et cognitive. C’est particulièrement vrai chez l’enfant et l’adolescent, lorsque le corps et le cerveau se développent activement. »

    Il est possible d’améliorer (ou de dégrader) « très significativement [le fonctionnement de l’individu] en allongeant (ou en raccourcissant) de 30 à 60 mn les nuits de notre progéniture. »

    « L’organisme peut se passer d’#Instagram, #Facebook, #Netflix ou GTA ; il ne peut pas se priver d’un sommeil optimal, ou tt du moins pas sans csquences majeures. Perturber une fonction aussi vitale pr satisfaire des distractions à ce point subalternes relève de la folie furieuse. »

    « Aux États-Unis, l’#espérance_de_vie augmenterait de presque un an et demi si la consommation télévisuelle moyenne passait sous la barre des 2 h quotidiennes. Un résultat comparable fut rapporté par une équipe australienne, mais à rebours. Les auteurs montrèrent en effet que la sédentarité télévisuelle amputait de quasiment deux ans l’espérance de vie des habitants de ce pays. Formulé différemment, cela veut dire "[qu’]en moyenne, chaque heure passée à regarder la télévision après 25 ans réduit l’espérance de vie du spectateur de 21,8 mn". En d’autres termes, publicité comprise, chaque épisode de Mad Men, Dr House ou Game of Thrones enlève presque 22 minutes à votre existence. »

    Conclusion | « La consommation d’#écran_récréatif a un impact très négatif sur la santé de nos enfants et adolescents. Trois leviers se révèlent alors particulièrement délétères.
    – 1) les écrans affectent lourdement le sommeil – pilier essentiel, pour ne pas dire vital, du développement.

    – 2) Les écrans augmentent fortement le degré de sédentarité tt en diminuant significativement le niveau d’#activité_physique. Or, pr évoluer de manière optimale et pour rester en bonne santé, l’organisme a besoin d’être abondamment & activement sollicité. Rester assis nous tue !

    – 3) Les contenus dits « à risque » (sexuels, tabagiques, alcooliques, alimentaires, violents, etc.) saturent l’espace numérique. Aucun support n’est épargné. Or, pour l’enfant et l’adolescent, ces contenus sont d’importants prescripteurs de normes (souvent inconsciemment). »

    « Ce que nous faisons subir à nos enfants est inexcusable. Jamais sans doute, dans l’histoire de l’humanité, une telle expérience de décérébration n’avait été conduite à aussi grande échelle. 
    7 règles essentielles :

    1) AVANT 6 ANS, pas d’écrans (du tout)
    2) APRÈS 6 ANS, pas + de 30 mn à 1 h par jour (tout compris)
    3) pas dans la chambre
    4) pas de contenus inadaptés
    5) pas le matin avant l’école
    6) pas le soir avant de dormir
    7) une chose à la fois.

    #éducation_nationale