• Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

  • #Productivisme et destruction de l’#environnement : #FNSEA et #gouvernement marchent sur la tête

    Répondre à la #détresse des #agriculteurs et agricultrices est compatible avec le respect de l’environnement et de la #santé_publique, expliquent, dans cette tribune à « l’Obs », les Scientifiques en rébellion, à condition de rejeter les mesures productivistes et rétrogrades du duo FNSEA-gouvernement.

    La #crise de l’agriculture brasse croyances, savoirs, opinions, émotions. Elle ne peut laisser quiconque insensible tant elle renvoie à l’un de nos #besoins_fondamentaux – se nourrir – et témoigne du #désarroi profond d’une partie de nos concitoyen·nes qui travaillent pour satisfaire ce besoin. Reconnaître la #souffrance et le désarroi du #monde_agricole n’empêche pas d’examiner les faits et de tenter de démêler les #responsabilités dans la situation actuelle. Une partie de son #traitement_médiatique tend à faire croire que les agriculteurs et agricultrices parleraient d’une seule voix, celle du président agro-businessman de la FNSEA #Arnaud_Rousseau. Ce directeur de multinationale, administrateur de holding, partage-t-il vraiment la vie de celles et ceux qui ne parviennent plus à gagner la leur par le travail de la terre ? Est-ce que les agriculteur·ices formeraient un corps uniforme, qui valoriserait le productivisme au mépris des #enjeux_environnementaux qu’ils et elles ne comprendraient soi-disant pas ? Tout cela est difficile à croire.

    Ce que la science documente et analyse invariablement, en complément des savoirs et des observations de nombre d’agriculteur·ices, c’est que le #modèle_agricole industriel et productiviste conduit à une #catastrophe sociale et environnementale. Que ce modèle concurrence dangereusement les #alternatives écologiquement et socialement viables. Que cette agriculture ne s’adaptera pas indéfiniment à un environnement profondément dégradé. Qu’elle ne s’adaptera pas à un #réchauffement_climatique de +4 °C pour la France et une ressource en #eau fortement diminuée, pas plus qu’à une disparition des #insectes_pollinisateurs.

    Actuellement, comme le rappelle le Haut Conseil pour le Climat (HCC), l’agriculture représente le deuxième secteur d’émissions de #gaz_à_effet_de_serre, avec 18 % du total français, derrière les transports. La moitié de ces émissions agricoles (en équivalent CO2) provient de l’#élevage_bovin à cause du #méthane produit par leur digestion, 14 % des #engrais_minéraux qui libèrent du #protoxyde_d’azote et 13 % de l’ensemble des #moteurs, #engins et #chaudières_agricoles. Le HCC rappelle aussi que la France s’est engagée lors de la COP26 à baisser de 30 % ses émissions de méthane d’ici à 2030, pour limiter le réchauffement climatique. L’agriculture, bien que répondant à un besoin fondamental, doit aussi revoir son modèle dominant pour répondre aux enjeux climatiques. De ce point de vue, ce qu’indique la science, c’est que, si l’on souhaite faire notre part dans le respect de l’accord de Paris, la consommation de #viande et de #produits_laitiers doit diminuer en France. Mais la solidarité avec nos agriculteur.ices ainsi que l’objectif légitime de souveraineté et #résilience_alimentaire nous indiquent que ce sont les importations et les élevages intensifs de ruminants qui devraient diminuer en premier.

    Côté #biodiversité, la littérature scientifique montre que l’usage des #pesticides est la deuxième cause de l’effondrement des populations d’#insectes, qui atteint 80 % dans certaines régions françaises. Les #oiseaux sont en déclin global de 25 % en quarante ans, mais ce chiffre bondit à 60 % en milieux agricoles intensifs : le printemps est devenu particulièrement silencieux dans certains champs…

    D’autres voies sont possibles

    Le paradoxe est que ces bouleversements environnementaux menacent particulièrement les agriculteur·ices, pour au moins trois raisons bien identifiées. Tout d’abord environnementale, à cause du manque d’eau, de la dégradation des sols, des événements météorologiques extrêmes (incendies ou grêles), ou du déclin des insectes pollinisateurs, qui se traduisent par une baisse de production. Sanitaires, ensuite : par leur exposition aux #produits_phytosanitaires, ils et elles ont plus de risque de développer des #cancers (myélome multiple, lymphome) et des #maladies_dégénératives. Financière enfin, avec l’interminable fuite en avant du #surendettement, provoqué par la nécessité d’actualiser un équipement toujours plus performant et d’acheter des #intrants pour pallier les baisses de production engendrées par la dégradation environnementale.

    Depuis des décennies, les #traités_de_libre-échange et la compétition intra-européenne ont privé la grande majorité des agriculteur·ices de leur #autonomie, dans un cercle vicieux aux répercussions sociales tragiques pouvant mener au #suicide. Si la FNSEA, les #JA, ou la #Coordination_rurale réclament une forme de #protectionnisme_agricole, d’autres de leurs revendications portent en revanche sur une baisse des #contraintes_environnementales et sanitaires qui font porter le risque de la poursuite d’un modèle délétère sur le long terme. Ce sont justement ces revendications que le gouvernement a satisfaites avec, en particulier, la « suspension » du #plan_Ecophyto, accueilli par un satisfecit de ces trois organisations syndicales rappelant immédiatement « leurs » agriculteurs à la ferme. Seule la #Confédération_paysanne refuse ce compromis construit au détriment de l’#écologie.

    Pourtant, des pratiques et des modèles alternatifs existent, réduisant significativement les émissions de gaz à effet de serre et préservant la biodiversité ; ils sont déjà mis en œuvre par des agriculteur·ices qui prouvent chaque jour que d’autres voies sont possibles. Mais ces alternatives ont besoin d’une réorientation des #politiques_publiques (qui contribuent aujourd’hui pour 80 % au #revenu_agricole). Des propositions cohérentes de politiques publiques répondant à des enjeux clés (#rémunération digne des agriculteur·ices non soumis aux trusts’de la grande distribution, souveraineté alimentaire, considérations climatiques et protection de la biodiversité) existent, comme les propositions relevant de l’#agroécologie, qu’elles émanent du Haut Conseil pour le Climat, de la fédération associative Pour une autre PAC, de l’IDDRI, ou encore de la prospective INRAE de 2023 : baisse de l’#élevage_industriel et du cheptel notamment bovin avec soutien à l’#élevage_extensif à l’herbe, généralisation des pratiques agro-écologiques et biologiques basées sur la valorisation de la biodiversité (cultures associées, #agro-foresterie, restauration des #haies favorisant la maîtrise des bio-agresseurs) et arrêt des #pesticides_chimiques_de_synthèse. Ces changements de pratiques doivent être accompagnés de mesures économiques et politiques permettant d’assurer le #revenu des agriculteur·ices, leur #accès_à_la_terre et leur #formation, en cohérence avec ce que proposent des syndicats, des associations ou des réseaux (Confédération paysanne, Atelier paysan, Terre de liens, Fédérations nationale et régionales d’Agriculture biologique, Réseau salariat, …).

    Nous savons donc que les politiques qui maintiennent le #modèle_agro-industriel sous perfusion ne font qu’empirer les choses et qu’une réorientation complète est nécessaire et possible pour la #survie, la #dignité, la #santé et l’#emploi des agriculteur·ices. Nombre d’enquêtes sociologiques indiquent qu’une bonne partie d’entre elles et eux le savent très bien, et que leur détresse témoigne aussi de ce #conflit_interne entre le modèle productiviste qui les emprisonne et la nécessité de préserver l’environnement.

    Une #convention_citoyenne

    Si le gouvernement convient que « les premières victimes du dérèglement climatique sont les agriculteurs », les mesures prises démontrent que la priorité gouvernementale est de sanctuariser le modèle agro-industriel. La remise en cause du plan Ecophyto, et la reprise en main de l’#Anses notamment, sont en totale contradiction avec l’urgence de s’attaquer à la dégradation environnementale couplée à celle des #conditions_de_vie et de travail des agriculteur·ices. Nous appelons les citoyen·nes et les agriculteur·rices à soutenir les changements de politique qui iraient réellement dans l’intérêt général, du climat, de la biodiversité. Nous rappelons que le sujet de l’agriculture et de l’#alimentation est d’une redoutable complexité, et qu’identifier les mesures les plus pertinentes devrait être réalisé collectivement et démocratiquement. Ces mesures devraient privilégier l’intérêt général et à long-terme, par exemple dans le cadre de conventions citoyennes dont les conclusions seraient réellement traduites dans la législation, a contrario a contrario de la précédente convention citoyenne pour le climat.

    https://www.nouvelobs.com/opinions/20240203.OBS84041/tribune-productivisme-et-destruction-de-l-environnement-fnsea-et-gouverne
    #tribune #scientifiques_en_rébellion #agriculture #souveraineté_alimentaire #industrie_agro-alimentaire

  • Albanie : la Cour constitutionnelle approuve l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54855/albanie--la-cour-constitutionnelle-approuve-laccord-avec-litalie-sur-l

    Actualités
    Albanie : la Cour constitutionnelle approuve l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile
    Par La rédaction Publié le : 30/01/2024
    Bloqué par une procédure judiciaire, l’accord migratoire entre Rome et Tirana a finalement obtenu le feu vert de la Cour constitutionnelle albanaise. D’ici quelques mois, l’Albanie accueillera donc deux centres d’accueil pour les demandeurs d’asile secourus dans les eaux italiennes, malgré les nombreuses critiques visant le projet.
    Feu vert pour le projet italien. Lundi 29 janvier, la Cour constitutionnelle albanaise a approuvé la construction dans le pays de deux centres d’accueil pour les migrants secourus dans les eaux italiennes. L’accord entre Tirana et Rome « ne nuit pas à l’intégrité territoriale de l’Albanie », a tranché la Cour, faisant fi des nombreuses critiques d’ONG et de l’opposition albanaise qui l’avait saisie estimant que l’accord « violait la Constitution albanaise ». (..)
    Cet accord ne nuit pas non plus, selon le communiqué de la Cour, « aux droits humains et aux libertés », et est « conforme à la Constitution albanaise ». Il doit maintenant être ratifié par le Parlement, ce qui devrait être une formalité puisque le Premier ministre et signataire de l’accord, le socialiste Edi Rama, y dispose d’une majorité. Signé en novembre entre les deux pays, le texte prévoit l’ouverture d’un centre dans le port de Shëngjin (nord), servant à l’enregistrement des demandeurs d’asile. La structure sera construite sur un périmètre d’environ 240 mètres, et sera entouré d’une clôture de 4 mètres de haut, rehaussée de barbelés. Le centre de Gjader, lui, hébergera les migrants dans l’attente d’une réponse à leur demande d’asile.
    Ces deux centres qui seront gérés par l’Italie sur le territoire d’un pays qui ne fait pas partie de l’Union européenne (UE) - mais y aspire - pourront accueillir jusqu’à 3 000 migrants arrivés en Italie par voie maritime. Avec ce traité, les migrants récupérés en mer ne débarqueront pas en Italie, et ne fouleront même pas son sol. Ils seront directement emmenés vers les ports albanais. Rome contourne ainsi la responsabilité légale d’accueil qui lui incombe lorsqu’un demandeur d’asile est secouru sur son territoire, maritime en l’occurrence. En Italie, l’accord, avant même son éventuelle entrée en vigueur, a suscité de très nombreuses critiques. « Publicité électorale » en vue des élections européennes de juin, « inutile et coûteux », « inhumain et illégitime » : les députés d’opposition italiens n’ont pas manqué de dénoncer durement cet accord au cours du débat parlementaire. Ils en ont également critiqué le coût, estimé entre 650 et 750 millions d’euros sur cinq ans. Les dépenses pour la construction de ces deux centres et des infrastructures nécessaires, pour leur fonctionnement, pour la sécurité ainsi que pour les soins médicaux des demandeurs d’asile seront en effet couvertes à 100% par la partie italienne, selon les autorités albanaises.
    Un coût prohibitif qui s’ajoutent aux nombreuses critiques d’ONG et d’institutions contre le projet. L’International Rescue Committee (IRC) a fustigé un accord « déshumanisant », quand Amnesty International dénonçait une « proposition irréalisable, nuisible et illégale ». Le Conseil de l’Europe, lui, avait considéré en novembre que ce « régime d’asile extraterritorial se caractérise par de nombreuses ambiguïtés légales ». Il risque « d’aboutir à un traitement différent entre ceux dont les demandes d’asile seront examinées en Albanie et ceux pour qui cela se déroulera en Italie », avait estimé la commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatovic dans un communiqué. Cela n’a pas empêché les députés italiens d’adopter le projet le 24 janvier, par 155 voix pour et 115 contre, avec deux abstentions. Le Sénat, où la coalition ultraconservatrice au pouvoir de Giorgia Meloni dispose d’une large majorité parlementaire, devrait aussi l’approuver sans difficulté.
    Faciliter les expulsions Le nombre de personnes tentant de rejoindre l’Europe via l’Italie a beaucoup augmenté l’an dernier. Selon le ministère italien de l’Intérieur, 157 652 personnes ont débarqué sur les côtes italiennes en 2023, contre 105 131 en 2022.
    Depuis quelques mois, Rome multiplie donc les mesures pour dissuader les exilés de débarquer sur son sol. Le 28 novembre, la Chambre des députés a voté à la majorité le décret Cutro 2, qui fixe notamment les conditions d’hébergement des exilés sur son sol. Avec la nouvelle législation par exemple, toute personne reconnue coupable, même avec une peine non définitive, de blessures corporelles sur des individus mineurs ou infirmes ne pourra entrer en Italie. Aussi, le délai de recours contre l’expulsion d’un étranger titulaire d’un titre de séjour de longue durée dans l’Union européenne est réduit de 30 à 15 jours.
    Le 24 septembre, un centre d’hébergement flambant neuf a par ailleurs été inauguré à Pozzallo en Sicile. Il accueillera uniquement les exilés provenant de « pays sûrs », qui ont donc très peu d’espoir d’obtenir une protection en Italie. Objectif affiché de cette nouvelle structure ? Accélérer le traitement des demandes d’asile, et donc les expulsions.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#UE#accordmigratoire#payssur#protection#droit#sante

  • L’#Europe et la fabrique de l’étranger

    Les discours sur l’ « #européanité » illustrent la prégnance d’une conception identitaire de la construction de l’Union, de ses #frontières, et de ceux qu’elle entend assimiler ou, au contraire, exclure au nom de la protection de ses #valeurs particulières.

    Longtemps absente de la vie démocratique de l’#Union_européenne (#UE), la question identitaire s’y est durablement installée depuis les années 2000. Si la volonté d’affirmer officiellement ce que « nous, Européens » sommes authentiquement n’est pas nouvelle, elle concernait jusqu’alors surtout – à l’instar de la Déclaration sur l’identité européenne de 1973 – les relations extérieures et la place de la « Communauté européenne » au sein du système international. À présent, elle renvoie à une quête d’« Européanité » (« Europeanness »), c’est-à-dire la recherche et la manifestation des #trait_identitaires (héritages, valeurs, mœurs, etc.) tenus, à tort ou à raison, pour caractéristiques de ce que signifie être « Européens ». Cette quête est largement tournée vers l’intérieur : elle concerne le rapport de « nous, Européens » à « nous-mêmes » ainsi que le rapport de « nous » aux « autres », ces étrangers et étrangères qui viennent et s’installent « chez nous ».

    C’est sous cet aspect identitaire qu’est le plus fréquemment et vivement discuté ce que l’on nomme la « #crise_des_réfugiés » et la « #crise_migratoire »

    L’enjeu qui ferait de l’#accueil des exilés et de l’#intégration des migrants une « #crise » concerne, en effet, l’attitude que les Européens devraient adopter à l’égard de celles et ceux qui leur sont « #étrangers » à double titre : en tant qu’individus ne disposant pas de la #citoyenneté de l’Union, mais également en tant que personnes vues comme les dépositaires d’une #altérité_identitaire les situant à l’extérieur du « #nous » – au moins à leur arrivée.

    D’un point de vue politique, le traitement que l’Union européenne réserve aux étrangères et étrangers se donne à voir dans le vaste ensemble de #discours, #décisions et #dispositifs régissant l’#accès_au_territoire, l’accueil et le #séjour de ces derniers, en particulier les accords communautaires et agences européennes dévolus à « une gestion efficace des flux migratoires » ainsi que les #politiques_publiques en matière d’immigration, d’intégration et de #naturalisation qui restent du ressort de ses États membres.

    Fortement guidées par des considérations identitaires dont la logique est de différencier entre « nous » et « eux », de telles politiques soulèvent une interrogation sur leurs dynamiques d’exclusion des « #autres » ; cependant, elles sont aussi à examiner au regard de l’#homogénéisation induite, en retour, sur le « nous ». C’est ce double questionnement que je propose de mener ici.

    En quête d’« Européanité » : affirmer la frontière entre « nous » et « eux »

    La question de savoir s’il est souhaitable et nécessaire que les contours de l’UE en tant que #communauté_politique soient tracés suivant des #lignes_identitaires donne lieu à une opposition philosophique très tranchée entre les partisans d’une défense sans faille de « l’#identité_européenne » et ceux qui plaident, à l’inverse, pour une « #indéfinition » résolue de l’Europe. Loin d’être purement théorique, cette opposition se rejoue sur le plan politique, sous une forme tout aussi dichotomique, dans le débat sur le traitement des étrangers.

    Les enjeux pratiques soulevés par la volonté de définir et sécuriser « notre » commune « Européanité » ont été au cœur de la controverse publique qu’a suscitée, en septembre 2019, l’annonce faite par #Ursula_von_der_Leyen de la nomination d’un commissaire à la « #Protection_du_mode_de_vie_européen », mission requalifiée – face aux critiques – en « #Promotion_de_notre_mode_de_vie_européen ». Dans ce portefeuille, on trouve plusieurs finalités d’action publique dont l’association même n’a pas manqué de soulever de vives inquiétudes, en dépit de la requalification opérée : à l’affirmation publique d’un « #mode_de_vie » spécifiquement « nôtre », lui-même corrélé à la défense de « l’#État_de_droit », « de l’#égalité, de la #tolérance et de la #justice_sociale », se trouvent conjoints la gestion de « #frontières_solides », de l’asile et la migration ainsi que la #sécurité, le tout placé sous l’objectif explicite de « protéger nos citoyens et nos valeurs ».

    Politiquement, cette « priorité » pour la période 2019-2024 s’inscrit dans la droite ligne des appels déjà anciens à doter l’Union d’un « supplément d’âme
     » ou à lui « donner sa chair » pour qu’elle advienne enfin en tant que « #communauté_de_valeurs ». De tels appels à un surcroît de substance spirituelle et morale à l’appui d’un projet européen qui se devrait d’être à la fois « politique et culturel » visaient et visent encore à répondre à certains problèmes pendants de la construction européenne, depuis le déficit de #légitimité_démocratique de l’UE, si discuté lors de la séquence constitutionnelle de 2005, jusqu’au défaut de stabilité culminant dans la crainte d’une désintégration européenne, rendue tangible en 2020 par le Brexit.

    Précisément, c’est de la #crise_existentielle de l’Europe que s’autorisent les positions intellectuelles qui, poussant la quête d’« Européanité » bien au-delà des objectifs politiques évoqués ci-dessus, la déclinent dans un registre résolument civilisationnel et défensif. Le geste philosophique consiste, en l’espèce, à appliquer à l’UE une approche « communautarienne », c’est-à-dire à faire entièrement reposer l’UE, comme ensemble de règles, de normes et d’institutions juridiques et politiques, sur une « #communauté_morale » façonnée par des visions du bien et du monde spécifiques à un groupe culturel. Une fois complétée par une rhétorique de « l’#enracinement » desdites « #valeurs_européennes » dans un patrimoine historique (et religieux) particulier, la promotion de « notre mode de vie européen » peut dès lors être orientée vers l’éloge de ce qui « nous » singularise à l’égard d’« autres », de « ces mérites qui nous distinguent » et que nous devons être fiers d’avoir diffusés au monde entier.

    À travers l’affirmation de « notre » commune « Européanité », ce n’est pas seulement la reconnaissance de « l’#exception_européenne » qui est recherchée ; à suivre celles et ceux qui portent cette entreprise, le but n’est autre que la survie. Selon #Chantal_Delsol, « il en va de l’existence même de l’Europe qui, si elle n’ose pas s’identifier ni nommer ses caractères, finit par se diluer dans le rien. » Par cette #identification européenne, des frontières sont tracées. Superposant Europe historique et Europe politique, Alain Besançon les énonce ainsi : « l’Europe s’arrête là où elle s’arrêtait au XVIIe siècle, c’est-à-dire quand elle rencontre une autre civilisation, un régime d’une autre nature et une religion qui ne veut pas d’elle. »

    Cette façon de délimiter un « #nous_européen » est à l’exact opposé de la conception de la frontière présente chez les partisans d’une « indéfinition » et d’une « désappropriation » de l’Europe. De ce côté-ci de l’échiquier philosophique, l’enjeu est au contraire de penser « un au-delà de l’identité ou de l’identification de l’Europe », étant entendu que le seul « crédit » que l’on puisse « encore accorder » à l’Europe serait « celui de désigner un espace de circulation symbolique excédant l’ordre de l’identification subjective et, plus encore, celui de la #crispation_identitaire ». Au lieu de chercher à « circonscri[re] l’identité en traçant une frontière stricte entre “ce qui est européen” et “ce qui ne l’est pas, ne peut pas l’être ou ne doit pas l’être” », il s’agit, comme le propose #Marc_Crépon, de valoriser la « #composition » avec les « #altérités » internes et externes. Animé par cette « #multiplicité_d’Europes », le principe, thématisé par #Etienne_Balibar, d’une « Europe comme #Borderland », où les frontières se superposent et se déplacent sans cesse, est d’aller vers ce qui est au-delà d’elle-même, vers ce qui l’excède toujours.

    Tout autre est néanmoins la dynamique impulsée, depuis une vingtaine d’années, par les politiques européennes d’#asile et d’immigration.

    La gouvernance européenne des étrangers : l’intégration conditionnée par les « valeurs communes »

    La question du traitement public des étrangers connaît, sur le plan des politiques publiques mises en œuvre par les États membres de l’UE, une forme d’européanisation. Celle-ci est discutée dans les recherches en sciences sociales sous le nom de « #tournant_civique ». Le terme de « tournant » renvoie au fait qu’à partir des années 2000, plusieurs pays européens, dont certains étaient considérés comme observant jusque-là une approche plus ou moins multiculturaliste (tels que le Royaume-Uni ou les Pays-Bas), ont développé des politiques de plus en plus « robustes » en ce qui concerne la sélection des personnes autorisées à séjourner durablement sur leur territoire et à intégrer la communauté nationale, notamment par voie de naturalisation. Quant au qualificatif de « civique », il marque le fait que soient ajoutés aux #conditions_matérielles (ressources, logement, etc.) des critères de sélection des « désirables » – et, donc, de détection des « indésirables » – qui étendent les exigences relatives à une « #bonne_citoyenneté » aux conduites et valeurs personnelles. Moyennant son #intervention_morale, voire disciplinaire, l’État se borne à inculquer à l’étranger les traits de caractère propices à la réussite de son intégration, charge à lui de démontrer qu’il conforme ses convictions et comportements, y compris dans sa vie privée, aux « valeurs » de la société d’accueil. Cette approche, centrée sur un critère de #compatibilité_identitaire, fait peser la responsabilité de l’#inclusion (ou de l’#exclusion) sur les personnes étrangères, et non sur les institutions publiques : si elles échouent à leur assimilation « éthique » au terme de leur « #parcours_d’intégration », et a fortiori si elles s’y refusent, alors elles sont considérées comme se plaçant elles-mêmes en situation d’être exclues.

    Les termes de « tournant » comme de « civique » sont à complexifier : le premier car, pour certains pays comme la France, les dispositifs en question manifestent peu de nouveauté, et certainement pas une rupture, par rapport aux politiques antérieures, et le second parce que le caractère « civique » de ces mesures et dispositifs d’intégration est nettement moins évident que leur orientation morale et culturelle, en un mot, identitaire.

    En l’occurrence, c’est bien plutôt la notion d’intégration « éthique », telle que la définit #Jürgen_Habermas, qui s’avère ici pertinente pour qualifier ces politiques : « éthique » est, selon lui, une conception de l’intégration fondée sur la stabilisation d’un consensus d’arrière-plan sur des « valeurs » morales et culturelles ainsi que sur le maintien, sinon la sécurisation, de l’identité et du mode de vie majoritaires qui en sont issus. Cette conception se distingue de l’intégration « politique » qui est fondée sur l’observance par toutes et tous des normes juridico-politiques et des principes constitutionnels de l’État de droit démocratique. Tandis que l’intégration « éthique » requiert des étrangers qu’ils adhèrent aux « valeurs » particulières du groupe majoritaire, l’intégration « politique » leur demande de se conformer aux lois et d’observer les règles de la participation et de la délibération démocratiques.

    Or, les politiques d’immigration, d’intégration et de naturalisation actuellement développées en Europe sont bel et bien sous-tendues par cette conception « éthique » de l’intégration. Elles conditionnent l’accès au « nous » à l’adhésion à un socle de « valeurs » officiellement déclarées comme étant déjà « communes ». Pour reprendre un exemple français, cette approche ressort de la manière dont sont conçus et mis en œuvre les « #contrats_d’intégration » (depuis le #Contrat_d’accueil_et_d’intégration rendu obligatoire en 2006 jusqu’à l’actuel #Contrat_d’intégration_républicaine) qui scellent l’engagement de l’étranger souhaitant s’installer durablement en France à faire siennes les « #valeurs_de_la_République » et à les « respecter » à travers ses agissements. On retrouve la même approche s’agissant de la naturalisation, la « #condition_d’assimilation » propre à cette politique donnant lieu à des pratiques administratives d’enquête et de vérification quant à la profondeur et la sincérité de l’adhésion des étrangers auxdites « valeurs communes », la #laïcité et l’#égalité_femmes-hommes étant les deux « valeurs » systématiquement mises en avant. L’étude de ces pratiques, notamment les « #entretiens_d’assimilation », et de la jurisprudence en la matière montre qu’elles ciblent tout particulièrement les personnes de religion et/ou de culture musulmanes – ou perçues comme telles – en tant qu’elles sont d’emblée associées à des « valeurs » non seulement différentes, mais opposées aux « nôtres ».

    Portées par un discours d’affrontement entre « systèmes de valeurs » qui n’est pas sans rappeler le « #choc_des_civilisations » thématisé par #Samuel_Huntington, ces politiques, censées « intégrer », concourent pourtant à radicaliser l’altérité « éthique » de l’étranger ou de l’étrangère : elles construisent la figure d’un « autre » appartenant – ou suspecté d’appartenir – à un système de « valeurs » qui s’écarterait à tel point du « nôtre » que son inclusion dans le « nous » réclamerait, de notre part, une vigilance spéciale pour préserver notre #identité_collective et, de sa part, une mise en conformité de son #identité_personnelle avec « nos valeurs », telles qu’elles s’incarneraient dans « notre mode de vie ».

    Exclusion des « autres » et homogénéisation du « nous » : les risques d’une « #Europe_des_valeurs »

    Le recours aux « valeurs communes », pour définir les « autres » et les conditions de leur entrée dans le « nous », n’est pas spécifique aux politiques migratoires des États nationaux. L’UE, dont on a vu qu’elle tenait à s’affirmer en tant que « communauté morale », a substitué en 2009 au terme de « #principes » celui de « valeurs ». Dès lors, le respect de la dignité humaine et des droits de l’homme, la liberté, la démocratie, l’égalité, l’État de droit sont érigés en « valeurs » sur lesquelles « l’Union est fondée » (art. 2 du Traité sur l’Union européenne) et revêtent un caractère obligatoire pour tout État souhaitant devenir et rester membre de l’UE (art. 49 sur les conditions d’adhésion et art. 7 sur les sanctions).

    Reste-t-on ici dans le périmètre d’une « intégration politique », au sens où la définit Habermas, ou franchit-on le cap d’une « intégration éthique » qui donnerait au projet de l’UE – celui d’une intégration toujours plus étroite entre les États, les peuples et les citoyens européens, selon la formule des traités – une portée résolument identitaire, en en faisant un instrument pour sauvegarder la « #civilisation_européenne » face à d’« autres » qui la menaceraient ? La seconde hypothèse n’a certes rien de problématique aux yeux des partisans de la quête d’« Européanité », pour qui le projet européen n’a de sens que s’il est tout entier tourné vers la défense de la « substance » identitaire de la « civilisation européenne ».

    En revanche, le passage à une « intégration éthique », tel que le suggère l’exhortation à s’en remettre à une « Europe des valeurs » plutôt que des droits ou de la citoyenneté, comporte des risques importants pour celles et ceux qui souhaitent maintenir l’Union dans le giron d’une « intégration politique », fondée sur le respect prioritaire des principes démocratiques, de l’État de droit et des libertés fondamentales. D’où également les craintes que concourt à attiser l’association explicite des « valeurs de l’Union » à un « mode de vie » à préserver de ses « autres éthiques ». Deux risques principaux semblent, à cet égard, devoir être mentionnés.

    En premier lieu, le risque d’exclusion des « autres » est intensifié par la généralisation de politiques imposant un critère de #compatibilité_identitaire à celles et ceux que leur altérité « éthique », réelle ou supposée, concourt à placer à l’extérieur d’une « communauté de valeurs » enracinée dans des traditions particulières, notamment religieuses. Fondé sur ces bases identitaires, le traitement des étrangers en Europe manifesterait, selon #Etienne_Tassin, l’autocontradiction d’une Union se prévalant « de la raison philosophique, de l’esprit d’universalité, de la culture humaniste, du règne des droits de l’homme, du souci pour le monde dans l’ouverture aux autres », mais échouant lamentablement à son « test cosmopolitique et démocratique ». Loin de représenter un simple « dommage collatéral » des politiques migratoires de l’UE, les processus d’exclusion touchant les étrangers constitueraient, d’après lui, « leur centre ». Même position de la part d’Étienne Balibar qui n’hésite pas à dénoncer le « statut d’#apartheid » affectant « l’immigration “extracommunautaire” », signifiant par là l’« isolement postcolonial des populations “autochtones” et des populations “allogènes” » ainsi que la construction d’une catégorie d’« étrangers plus qu’étrangers » traités comme « radicalement “autres”, dissemblables et inassimilables ».

    Le second risque que fait courir la valorisation d’un « nous » européen désireux de préserver son intégrité « éthique », touche au respect du #pluralisme. Si l’exclusion des « autres » entre assez clairement en tension avec les « valeurs » proclamées par l’Union, les tendances à l’homogénéisation résultant de l’affirmation d’un consensus fort sur des valeurs déclarées comme étant « toujours déjà » communes aux Européens ne sont pas moins susceptibles de contredire le sens – à la fois la signification et l’orientation – du projet européen. Pris au sérieux, le respect du pluralisme implique que soit tolérée et même reconnue une diversité légitime de « valeurs », de visions du bien et du monde, dans les limites fixées par l’égale liberté et les droits fondamentaux. Ce « fait du pluralisme raisonnable », avec les désaccords « éthiques » incontournables qui l’animent, est le « résultat normal » d’un exercice du pouvoir respectant les libertés individuelles. Avec son insistance sur le partage de convictions morales s’incarnant dans un mode de vie culturel, « l’Europe des valeurs » risque de produire une « substantialisation rampante » du « nous » européen, et d’entériner « la prédominance d’une culture majoritaire qui abuse d’un pouvoir de définition historiquement acquis pour définir à elle seule, selon ses propres critères, ce qui doit être considéré comme la culture politique obligatoire de la société pluraliste ».

    Soumis aux attentes de reproduction d’une identité aux frontières « éthiques », le projet européen est, en fin de compte, dévié de sa trajectoire, en ce qui concerne aussi bien l’inclusion des « autres » que la possibilité d’un « nous » qui puisse s’unir « dans la diversité ».

    https://laviedesidees.fr/L-Europe-et-la-fabrique-de-l-etranger
    #identité #altérité #intégration_éthique #intégration_politique #religion #islam

    • Politique de l’exclusion

      Notion aussi usitée que contestée, souvent réduite à sa dimension socio-économique, l’exclusion occupe pourtant une place centrale dans l’histoire de la politique moderne. Les universitaires réunis autour de cette question abordent la dimension constituante de l’exclusion en faisant dialoguer leurs disciplines (droit, histoire, science politique, sociologie). Remontant à la naissance de la citoyenneté moderne, leurs analyses retracent l’invention de l’espace civique, avec ses frontières, ses marges et ses zones d’exclusion, jusqu’à l’élaboration actuelle d’un corpus de valeurs européennes, et l’émergence de nouvelles mobilisations contre les injustices redessinant les frontières du politique.

      Tout en discutant des usages du concept d’exclusion en tenant compte des apports critiques, ce livre explore la manière dont la notion éclaire les dilemmes et les complexités contemporaines du rapport à l’autre. Il entend ainsi dévoiler l’envers de l’ordre civique, en révélant la permanence d’une gouvernementalité par l’exclusion.

      https://www.puf.com/politique-de-lexclusion

      #livre

  • Les experts de l’#ONU exhortent la #France à protéger les #enfants contre l’#inceste et toutes les formes d’#abus_sexuels | #OHCHR
    https://www.ohchr.org/fr/press-releases/2024/01/un-experts-urge-france-protect-children-incest-and-all-forms-sexual-abuse

    Les experts ont constaté que, selon les allégations, les enfants sont victimes d’abus sexuels ou courent un risque élevé d’abus sexuels de la part de leurs #pères ou d’auteurs présumés contre lesquels il existe des preuves crédibles et troublantes d’abus sexuels incestueux.

    « Malgré ces allégations, et en l’absence d’enquête adéquate, ces enfants sont placés sous la garde des pères contre lesquels les allégations sont faites, et les #mères sont sanctionnées pour enlèvement d’enfant pour avoir essayé de protéger leurs enfants », ont-ils déclaré.

    « Alors que la France a répondu à ces allégations, les enfants concernés restent sous la garde des auteurs présumés », ont déclaré les experts. « Nous sommes particulièrement préoccupés par la manière dont le #tribunal_des_affaires_familiales a permis à l’auteur présumé d’accuser la mère d’aliénation parentale afin de miner les allégations d’abus sexuels sur les enfants et détourner l’attention des abus présumés auxquels ils soumettent leurs partenaires et leurs enfants. »

    Ils ont exhorté les autorités à respecter le "#principe_de_précaution" et le "#principe_de_diligence_raisonnable" en matière de #protection_de_l'enfance, en particulier pendant les procédures judiciaires, afin de permettre une approche préventive dans les cas d’incertitude et de complexité.

    L’opinion de l’enfant doit être recherchée et respectée, et l’#intérêt_supérieur_de_l'enfant doit être la considération première avant que les décisions de garde ne soient prises en faveur de l’un des parents, ont-ils déclaré.

    « Il est essentiel de sensibiliser les responsables de l’application de la loi et de la justice et de renforcer leur capacité à surveiller et à traiter efficacement les violations des droits de l’homme dont sont victimes ces enfants et leurs mères », ont-ils déclaré.

    « Des mesures urgentes doivent être prises pour remédier à la situation pénible dans laquelle les enfants et leurs mères sont affectés par l’absence de prise en compte adéquate de leurs besoins », ont déclaré les experts.

    #justice

  • Le #lobbying sans #frontières de #Thales
    (publié en 2021, ici pour archivage)

    Pour vendre ses systèmes de surveillance aux confins de l’Union européenne, l’entreprise use de son influence. Indirectement, discrètement, efficacement.

    Ce 23 mai 2017, au sixième étage de l’immense tour vitrée qui héberge les locaux de #Frontex à Varsovie, en Pologne, les rendez-vous sont réglés comme du papier à musique. L’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes reçoit des industriels pour des discussions consacrées à l’utilisation de la biométrie aux confins de l’Union. Leonardo, Safran, Indra… Frontex déroule le tapis rouge aux big boss de la sécurité et de la défense. Juste après la pause-déjeuner, c’est au tour de #Gemalto, qui sera racheté deux ans plus tard par Thales (lire l’épisode 5, « Thales s’immisce dans ta face »), de déballer pendant quarante-cinq minutes ses propositions. Un document PowerPoint de 14 pages sert de support visuel. L’entreprise franco-néerlandaise y développe diverses utilisations de la reconnaissance faciale aux frontières : en collectant un selfie grâce à son téléphone avant de voyager, en plein vol dans un avion ou dans un véhicule qui roule. Oubliant de s’interroger sur la légalité et le cadre juridique de cette technologie, la présentation conclut : « La reconnaissance faciale en mouvement n’a pas été testée dans les essais de “frontières intelligentes” mais devrait. » Une manière à peine voilée de dire que Frontex devrait coupler des logiciels de reconnaissance faciale aux caméras de surveillance qui lorgnent les frontières extérieures de l’Europe, afin de mieux identifier et surveiller ceux qui tentent de pénétrer dans l’UE.

    Ce document est l’un des 138 dévoilés le 5 février dernier par les « Frontex Files », enquête diligentée par la chaîne de télévision publique allemande ZDF, en collaboration avec l’ONG européenne Corporate Europe Observatory. Ce travail lève le voile sur des réunions menées par Frontex avec 125 lobbyistes, reçus entre 2018 et 2019… ainsi que sur leur opacité, puisque 72 % d’entre elles se sont tenues très discrètement, en dehors des règles de transparence édictées par l’Union européenne.

    Depuis 2016, Frontex joue un rôle dans la lutte contre la criminalité transfrontalière. Son budget atteint 544 millions en 2021

    Fondée en 2004 pour aider les pays européens à sécuriser leurs frontières, Frontex est devenue une usine à gaz de la traque des réfugiés. Depuis 2016 et un élargissement de ses fonctions, elle joue désormais un rôle dans la lutte contre la criminalité transfrontalière. Alors qu’il plafonnait à 6 millions d’euros en 2005, son budget atteint 544 millions en 2021. Pour le prochain cycle budgétaire de l’UE (2021-2027), la Commission européenne a attribué une enveloppe de 12,7 milliards d’euros à la gestion des frontières et de 9,8 milliards à la migration.

    Thales et Gemalto trônent dans le top 10 des entreprises ayant eu le plus d’entretiens avec l’agence européenne : respectivement trois et quatre réunions. Mais les deux sociétés devraient être comptées comme un tout : en rachetant la seconde, la première a logiquement profité des efforts de lobbying que celle-ci avait déployés auparavant. Pour le géant français, l’enjeu des frontières est majeur, ainsi que nous le racontions précédemment (lire l’épisode 6, « Thales police les frontières »). #Murs, #clôtures, #barbelés, #radars, #drones, systèmes de reconnaissance d’#empreintes_digitales biométriques… Chaque année, les marchés attribués se comptent en millions d’euros. L’ONG Transnational Institute parle de « business de l’édification de murs », du nom d’un de ses rapports, publié en novembre 2019. Celui-ci met la lumière sur les trois entreprises qui dévorent la plus grosse part du gâteau : l’espagnole #Leonardo (ex-#Finmeccanica), #Airbus et bien sûr Thales. Un profit fruit de plus de quinze années de lobbying agressif.

    Thales avance à couvert et s’appuie sur l’#European_Organisation_for_Security, un think tank qui regroupe ses principaux alliés et concurrents

    Flash-back en 2003. Le traumatisme des attentats du 11-Septembre est encore vif. L’Union européenne aborde l’épineuse question de la sécurisation de ses frontières. Elle constitue un « groupe de personnalités », dont la mission est de définir les axes d’un futur programme de recherche européen sur la question. Au milieu des commissaires, chercheurs et représentants des institutions s’immiscent les intérêts privés de sociétés spécialisées dans la défense : Thales, Leonardo, mais aussi l’allemande #Siemens et la suédoise #Ericsson. Un an plus tard, le rapport suggère à l’UE de calquer son budget de recherche sur la sécurité sur celui des États-Unis, soit environ quatre dollars par habitant et par an, raconte la juriste Claire Rodier dans son ouvrage Xénophobie business : à quoi servent les contrôles migratoires ? (La Découverte, 2012). En euros, la somme s’élève à 1,3 milliard par an. La machine est lancée. Les lobbyistes sont dans la place ; ils ne la quitteront pas.

    Au sein du registre de transparence de l’Union européenne, Thales publie les détails de ses actions d’influence : un lobbyiste accrédité au Parlement, entre 300 000 et 400 000 euros de dépenses en 2019 et des réunions avec des commissaires et des membres de cabinets qui concernent avant tout les transports et l’aérospatial. Rien ou presque sur la sécurité. Logique. Thales, comme souvent, avance à couvert (lire l’épisode 1, « Nice, le “little brother” de Thales ») et s’appuie pour faire valoir ses positions sur l’#European_Organisation_for_Security (EOS), un think tank qui regroupe ses principaux alliés et concurrents : #Airbus, Leonardo ou les Français d’#Idemia. Bref, un lobby. L’implication de Thales dans #EOS est tout à fait naturelle : l’entreprise en est la créatrice. Un homme a longtemps été le visage de cette filiation, #Luigi_Rebuffi. Diplômé en ingénierie nucléaire à l’université polytechnique de Milan, cet Italien au crâne dégarni et aux lunettes rectangulaires doit beaucoup au géant français. Spécialisé dans la recherche et le développement au niveau européen, il devient en 2003 directeur des affaires européennes de Thales. Quatre ans plus tard, l’homme fonde EOS. Détaché par Thales, il en assure la présidence pendant dix ans avant de rejoindre son conseil d’administration de 2017 à 2019.

    Depuis, il a fondé et est devenu le secrétaire général de l’#European_Cyber_Security_Organisation (#Ecso), représentant d’influence enregistré à Bruxelles, dont fait partie #Thales_SIX_GTS France, la filiale sécurité et #systèmes_d’information du groupe. À la tête d’Ecso, on trouve #Philippe_Vannier, également président de la division #big_data et sécurité du géant français de la sécurité #Atos… dont l’ancien PDG #Thierry_Breton est depuis 2019 commissaire européen au Marché intérieur. Un jeu de chaises musicales où des cadres du privé débattent désormais des décisions publiques.

    Entre 2012 et 2016, Luigi Rebuffi préside l’European Organisation for Security… et conseille la Commission pour ses programmes de recherche en sécurité

    Luigi Rebuffi sait se placer et se montrer utile. Entre 2012 et 2016, il occupe, en parallèle de ses fonctions à l’EOS, celle de conseiller pour les programmes de recherche en sécurité de la Commission européenne, le #Security_Advisory_Group et le #Protection_and_Security_Advisory_Group. « C’est une position privilégiée, analyse Mark Akkerman, chercheur et coauteur du rapport “Le business de l’édification de murs” de l’ONG Transnational Institute. Rebuffi faisait partie de l’organe consultatif le plus influent sur les décisions de financement par l’UE de programmes de recherche et d’innovation dans le domaine de la sécurité. »

    Ce n’est donc pas un hasard si, comme le note le site European Research Ranking, qui compile les données publiées par la Commission européenne, Thales est l’un des principaux bénéficiaires des fonds européens sur la #recherche avec 637 projets menés depuis 2007. La sécurité figure en bonne place des thématiques favorites de la société du PDG #Patrice_Caine, qui marche main dans la main avec ses compères de la défense Leonardo et Airbus, avec lesquels elle a respectivement mené 48 et 109 projets.

    Entre 2008 et 2012, l’Union européenne a, par exemple, attribué une subvention de 2,6 millions d’euros à un consortium mené par Thales, dans le cadre du projet #Aspis. Son objectif ? Identifier des systèmes de #surveillance_autonome dans les #transports_publics. Des recherches menées en collaboration avec la #RATP, qui a dévoilé à Thales les recettes de ses systèmes de sécurité et les coulisses de sa première ligne entièrement automatisée, la ligne 14 du métro parisien. Un projet dont l’un des axes a été le développement de la #vidéosurveillance.

    Thales coordonne le projet #Gambas qui vise à renforcer la #sécurité_maritime et à mieux repérer les bateaux de réfugiés tentant de rejoindre l’Europe

    À la même période, Thales s’est impliqué dans le projet #Oparus, financé à hauteur de 1,19 million d’euros par la Commission européenne. À ses côtés pour penser une stratégie européenne de la surveillance terrestre et maritime par #drones, #EADS (ancien nom d’#Airbus) ou #Dassault_Aviation. Depuis le 1er janvier dernier, l’industriel français coordonne aussi le projet Gambas (1,6 million de financement), qui vise à renforcer la sécurité maritime en améliorant le système de surveillance par #radar #Galileo, développé dans le cadre d’un précédent #projet_de_recherche européen pour mieux repérer les bateaux de réfugiés tentant de rejoindre l’Europe. Une #technologie installée depuis 2018 aux frontières européennes.

    Des subventions sont rattachées aux derniers programmes de recherche et d’innovation de l’Union européenne : #PR7 (2007-13) et #Horizon_2020 (2014-20). Leur petit frère, qui court jusqu’en 2027, s’intitule, lui, #Horizon_Europe. L’une de ses ambitions : « La sécurité civile pour la société ». Alors que ce programme s’amorce, Thales place ses pions. Le 23 novembre 2020, l’entreprise s’est entretenue avec #Jean-Éric_Paquet, directeur général pour la recherche et l’innovation de la Commission européenne. Sur quels thèmes ? Ont été évoqués les programmes Horizon 2020 et Horizon Europe, et notamment « dans quelles mesures [les] actions [de la Commission] pourraient susciter l’intérêt de Thales, en vue d’un soutien renforcé aux PME mais aussi aux écosystèmes d’innovation au sein desquels les groupes industriels ont un rôle à jouer », nous a répondu par mail Jean-Éric Paquet.

    L’European Organisation for Security s’intéresse aussi directement aux frontières européennes. Un groupe de travail, coprésidé par #Peter_Smallridge, chef des ventes de la division « #borders_and_travel » de Thales et ancien de Gemalto, poursuit notamment l’ambition « d’encourager le financement et le développement de la recherche qui aboutira à une industrie européenne de la sécurité plus forte ». Entre 2014 et 2019, EOS a organisé 226 réunions pour le compte d’Airbus, Leonardo et Thales, dépensant 2,65 millions d’euros pour la seule année 2017. Le chercheur Mark Akkerman est formel : « Toutes les actions de lobbying sur les frontières passent par l’EOS et l’#AeroSpace_and_Defence_Industries_Association_of_Europe (#ASD) », l’autre hydre de l’influence européenne.

    L’AeroSpace and Defence Industries Association of Europe a particulièrement souligné la nécessité de renforcer les liens entre les politiques de sécurité européennes et l’industrie de la sécurité.
    Sonya Gospodinova, porte-parole de la Commission chargée de l’industrie de la défense

    Dans ses derniers comptes publiés, datés de 2018, EOS déclare des dépenses de lobbying en nette baisse : entre 100 000 et 200 000 euros, un peu moins que les 200 000 à 300 000 euros de l’ASD. La liste des interlocuteurs de ces structures en dit beaucoup. Le 12 février 2020, des représentants d’EOS rencontrent à Bruxelles #Despina_Spanou, cheffe de cabinet du Grec #Margarítis_Schinás, vice-président de la Commission européenne chargé des Migrations. Le 11 juin, c’est au tour de l’ASD d’échanger en visioconférence avec Despina Spanou, puis début juillet avec un autre membre du cabinet, #Vangelis_Demiris. Le monde de l’influence européenne est petit puisque le 30 juin, c’est Ecso, le nouveau bébé de Luigi Rebuffi, d’organiser une visioconférence sur la sécurité européenne avec le trio au grand complet : Margarítis Schinás, Despina Spanou et Vangelis Demiris. Pour la seule année 2020, c’est la troisième réunion menée par Ecso avec la cheffe de cabinet.

    Également commissaire chargé de la Promotion du mode de vie européen, Margarítis Schinás a notamment coordonné le rapport sur la « stratégie de l’UE sur l’union de la sécurité ». Publié le 24 juillet 2020, il fixe les priorités sécuritaires de la Commission pour la période 2020-2025. Pour lutter contre le terrorisme et le crime organisé, le texte indique que « des mesures sont en cours pour renforcer la législation sur la sécurité aux frontières et une meilleure utilisation des bases de données existantes ». Des points qui étaient au cœur de la discussion entre l’ASD et son cabinet, comme l’a confirmé aux Jours Sonya Gospodinova, porte-parole de la Commission chargée de l’industrie de la défense. « Lors de cette réunion, l’ASD a particulièrement souligné la nécessité de renforcer les liens entre les politiques de sécurité européennes et l’industrie de la sécurité », confie-t-elle. Difficile d’avoir le son de cloche des lobbyistes. Loquaces quand il s’agit d’échanger avec les commissaires et les députés européens, Luigi Rebuffi, ASD, EOS et Thales n’ont pas souhaité répondre à nos questions. Pas plus que l’une des autres cibles principales des lobbyistes de la sécurité, Thierry Breton. Contrairement aux Jours, l’AeroSpace and Defence Industries Association of Europe a décroché deux entretiens avec l’ancien ministre de l’Économie de Jacques Chirac en octobre dernier, pour aborder des sujets aussi vastes que le marché international de l’#aérospatiale, la #défense ou la #sécurité. À Bruxelles, Thales et ses relais d’influence sont comme à la maison.

    https://lesjours.fr/obsessions/thales-surveillance/ep7-lobbying-europe

    #complexe_militaro_industriel #surveillance_des_frontières #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #lobby

    • Thales police les frontières

      De Calais à Algésiras, l’entreprise met ses technologies au service de la politique antimigratoire de l’Europe, contre de juteux contrats.

      Cette journée d’octobre, Calais ne fait pas mentir les préjugés. Le ciel est gris, le vent âpre. La pluie mitraille les vitres de la voiture de Stéphanie. La militante de Calais Research, une ONG qui travaille sur la frontière franco-anglaise, nous promène en périphérie de la ville. Un virage. Elle désigne du doigt un terrain poisseux, marécage artificiel construit afin de décourager les exilés qui veulent rejoindre la Grande-Bretagne. À proximité, des rangées de barbelés brisent l’horizon. Un frisson claustrophobe nous saisit, perdus dans ce labyrinthe de clôtures.

      La pilote de navire marchand connaît bien la région. Son collectif, qui réunit chercheurs et citoyens, effectue un travail d’archiviste. Ses membres collectent minutieusement les informations sur les dispositifs technologiques déployés à la frontière calaisienne et les entreprises qui les produisent. En 2016, ils publiaient les noms d’une quarantaine d’entreprises qui tirent profit de l’afflux de réfugiés dans la ville. Vinci, choisi en septembre 2016 pour construire un mur de 4 mètres de haut interdisant l’accès à l’autoroute depuis la jungle, y figure en bonne place. Tout comme Thales, qui apparaît dans la liste au chapitre « Technologies de frontières ».

      Thales vend son dispositif comme un outil pour protéger les employés, mais on voit bien que c’est pour empêcher les réfugiés de passer.
      Stéphanie, militante de l’ONG Calais Research

      Stéphanie stoppe sa voiture le long du trottoir, à quelques mètres de l’entrée du port de Calais. Portes tournantes et lecteurs de badges, qui permettent l’accès aux employés, ont été conçus par Thales. Le géant français a aussi déployé des dizaines de caméras le long de la clôture de 8 000 mètres qui encercle le port. « Thales vend son dispositif comme un outil pour protéger les employés, glisse Stéphanie, mais on voit bien que c’est pour empêcher les réfugiés de passer. » Le projet Calais Port 2015 – année initialement fixée pour la livraison –, une extension à 863 millions d’euros, « devrait être achevé le 5 mai 2021 », d’après Jean-Marc Puissesseau, PDG des ports de Calais-Boulogne-sur-Mer, qui n’a même pas pu nous confirmer que Thales en assure bien la sécurité, mais chiffre à 13 millions d’euros les investissements de sécurité liés au Brexit. Difficile d’en savoir plus sur ce port 2.0 : ni Thales ni la ville de Calais n’ont souhaité nous répondre.

      Les technologies sécuritaires de Thales ne se cantonnent pas au port. Depuis la mise en place du Brexit, la société Eurotunnel, qui gère le tunnel sous la Manche, a mis à disposition de la police aux frontières les sas « Parafe » (« passage automatisé rapide aux frontières extérieures ») utilisant la reconnaissance faciale du même nom, conçus par Thales. Là encore, ni Eurotunnel ni la préfecture du Pas-de-Calais n’ont souhaité commenter. L’entreprise française fournit aussi l’armée britannique qui, le 2 septembre 2020, utilisait pour la première fois le drone Watchkeeper produit par Thales. « Nous restons pleinement déterminés à soutenir le ministère de l’Intérieur britannique alors qu’il s’attaque au nombre croissant de petits bateaux traversant la Manche », se félicite alors l’armée britannique dans un communiqué. Pour concevoir ce drone, initialement déployé en Afghanistan, Thales a mis de côté son vernis éthique. Le champion français s’est associé à Elbit, entreprise israélienne connue pour son aéronef de guerre Hermes. En 2018, The Intercept révélait que ce modèle avait été utilisé pour bombarder Gaza, tuant quatre enfants. Si le patron de Thales, Patrice Caine, appelait en 2019 à interdire les robots tueurs, il n’éprouve aucun état d’âme à collaborer avec une entreprise qui en construit.

      Du Rafale à la grande mosquée de la Mecque, Thales s’immisce partout mais reste invisible. L’entreprise cultive la même discrétion aux frontières européennes

      À Calais comme ailleurs, un détail frappe quand on enquête sur Thales. L’entreprise entretient une présence fantôme. Elle s’immisce partout, mais ses six lettres restent invisibles. Elles ne figurent ni sur la carlingue du Rafale dont elle fournit l’électronique, ni sur les caméras de vidéosurveillance qui lorgnent sur la grande mosquée de la Mecque ni les produits informatiques qui assurent la cybersécurité du ministère des Armées. Très loquace sur l’efficacité de sa « Safe City » mexicaine (lire l’épisode 3, « Thales se prend un coup de chaud sous le soleil de Mexico ») ou les bienfaits potentiels de la reconnaissance faciale (lire l’épisode 5, « Thales s’immisce dans ta face »), Thales cultive la même discrétion sur son implication aux frontières européennes. Sur son site francophone, une page internet laconique mentionne l’utilisation par l’armée française de 210 mini-drones Spy Ranger et l’acquisition par la Guardia civil espagnole de caméras Gecko, œil numérique à vision thermique capable d’identifier un bateau à plus de 25 kilomètres. Circulez, il n’y a rien à voir !

      La branche espagnole du groupe est plus bavarde. Un communiqué publié par la filiale ibérique nous apprend que ces caméras seront installées sur des 4x4 de la Guardia civil « pour renforcer la surveillance des côtes et des frontières ». Une simple recherche sur le registre des appels d’offres espagnols nous a permis de retracer le lieu de déploiement de ces dispositifs. La Guardia civil de Melilla, enclave espagnole au Maroc, s’est vue attribuer une caméra thermique, tout comme celle d’Algésiras, ville côtière située à quelques kilomètres de Gibraltar, qui a reçu en complément un logiciel pour contrôler les images depuis son centre de commandement. Dans un autre appel d’offres daté de novembre 2015, la Guardia civil d’Algésiras obtient un des deux lots de caméras thermiques mobiles intégrées directement à un 4x4. Le second revient à la police des Baléares. Montant total de ces marchés : 1,5 million d’euros. Des gadgets estampillés Thales destinés au « Servicio fiscal » de la Guardia civil, une unité dont l’un des rôles principaux est d’assurer la sécurité aux frontières.

      Thales n’a pas attendu 2015 pour vendre ses produits de surveillance en Espagne. D’autres marchés publics de 2014 font mention de l’acquisition par la Guardia civil de Ceuta et Melilla de trois caméras thermiques portables, ainsi que de deux systèmes de surveillance avec caméras thermiques et de quatre caméras thermiques à Cadix et aux Baléares. La gendarmerie espagnole a également obtenu plusieurs caméras thalesiennes « Sophie ». Initialement à usage militaire, ces jumelles thermiques à vision nocturne, dont la portée atteint jusqu’à 5 kilomètres, ont délaissé les champs de bataille et servent désormais à traquer les exilés qui tentent de rejoindre l’Europe. Dans une enquête publiée en juillet dernier, Por Causa, média spécialisé dans les migrations, a analysé plus de 1 600 contrats liant l’État espagnol à des entreprises pour le contrôle des frontières, dont onze attribués à Thales, pour la somme de 3,8 millions d’euros.

      Algésiras héberge le port le plus important du sud de l’Espagne, c’est depuis des années l’une des portes d’entrées des migrants en Europe.
      Salva Carnicero, journaliste à « Por Causa »

      Le choix des villes n’est bien sûr pas anodin. « Algésiras héberge le port le plus important du sud de l’Espagne, c’est depuis des années l’une des portes d’entrées des migrants en Europe », analyse Salva Carnicero, qui travaille pour Por Causa. Dès 2003, la ville andalouse était équipée d’un dispositif de surveillance européen unique lancé par le gouvernement espagnol pour contrôler sa frontière sud, le Système intégré de surveillance extérieure (SIVE). Caméras thermiques, infrarouges, radars : les côtes ont été mises sous surveillance pour identifier la moindre embarcation à plusieurs dizaines de kilomètres. La gestion de ce système a été attribuée à l’entreprise espagnole Amper, qui continue à en assurer la maintenance et a remporté plusieurs appels d’offres en 2017 pour le déployer à Murcie, Alicante et Valence. Une entreprise que Thales connaît bien, puisqu’elle a acquis en 2014 l’une des branches d’Amper, spécialisée dans la création de systèmes de communication sécurisés pour le secteur de la défense.

      Ceuta et Melilla, villes autonomes espagnoles ayant une frontière directe avec le Maroc, sont considérées comme deux des frontières européennes les plus actives. En plus des caméras thermiques, Thales Espagne y a débuté en septembre 2019, en partenariat avec l’entreprise de sécurité suédoise Gunnebo, l’un des projets de reconnaissance faciale les plus ambitieux au monde. Le logiciel thalesien Live Face Identification System (LFIS) est en effet couplé à 35 caméras disposées aux postes-frontières avec l’Espagne. L’objectif : « Surveiller les personnes entrant et sortant des postes-frontières », et permettre « la mise en place de listes noires lors du contrôle aux frontières », dévoile Gunnebo, qui prédit 40 000 lectures de visages par jour à Ceuta et 85 000 à Melilla. Une technologie de plus qui complète l’immense clôture qui tranche la frontière. « Les deux vont de pair, le concept même de barrière frontalière implique la présence d’un checkpoint pour contrôler les passages », analyse le géographe Stéphane Rosière, spécialisé dans la géopolitique et les frontières.

      Chercheur pour Stop Wapenhandel, association néerlandaise qui milite contre le commerce des armes, Mark Akkerman travaille depuis des années sur la militarisation des frontières. Ses rapports « Border Wars » font figure de référence et mettent en exergue le profit que tirent les industriels de la défense, dont Thales, de la crise migratoire. Un des documents explique qu’à l’été 2015, le gouvernement néerlandais a accordé une licence d’exportation de 34 millions d’euros à Thales Nederland pour des radars et des systèmes C3. Leur destination ? L’Égypte, un pays qui viole régulièrement les droits de l’homme. Pour justifier la licence d’exportation accordée à Thales, le gouvernement néerlandais a évoqué « le rôle que la marine égyptienne joue dans l’arrêt de l’immigration “illégale” vers Europe ».

      De l’Australie aux pays du Golfe, l’ambition de Thales dépasse les frontières européennes

      L’ambition de Thales dépasse l’Europe. L’entreprise veut surveiller aux quatre coins du monde. Les drones Fulmar aident depuis 2016 la Malaisie à faire de la surveillance maritime et les caméras Gecko – encore elles –, lorgnent sur les eaux qui baignent la Jamaïque depuis 2019. En Australie, Thales a travaillé pendant plusieurs années avec l’entreprise publique Ocius, aidée par l’université New South Wales de Sydney, sur le développement de Bluebottle, un bateau autonome équipé d’un radar dont le but est de surveiller l’espace maritime. Au mois d’octobre, le ministère de l’industrie et de la défense australien a octroyé à Thales Australia une subvention de 3,8 millions de dollars pour développer son capteur sous-marin Blue Sentry.

      Une tactique rodée pour Thales qui, depuis une quinzaine d’années, profite des financements européens pour ses projets aux frontières. « L’un des marchés-clés pour ces acteurs sont les pays du Golfe, très riches, qui dépensent énormément dans la sécurité et qui ont parfois des problèmes d’instabilité. L’Arabie saoudite a barriérisé sa frontière avec l’Irak en pleine guerre civile », illustre Stéphane Rosière. En 2009, le royaume saoudien a confié la surveillance électronique de ses 8 000 kilomètres de frontières à EADS, aujourd’hui Airbus. Un marché estimé entre 1,6 milliard et 2,5 milliards d’euros, l’un des plus importants de l’histoire de la sécurité des frontières, dont l’attribution à EADS a été vécue comme un camouflet par Thales.

      Car l’entreprise dirigée par Patrice Caine entretient une influence historique dans le Golfe. Présent aux Émirats Arabes unis depuis 45 ans, l’industriel y emploie 550 personnes, principalement à Abu Dhabi et à Dubaï, où l’entreprise française est chargée de la sécurité d’un des plus grands aéroports du monde. Elle y a notamment installé 2 000 caméras de vidéosurveillance et 1 200 portillons de contrôle d’accès.

      Au Qatar, où elle comptait, en 2017, 310 employés, Thales équipe l’armée depuis plus de trois décennies. Depuis 2014, elle surveille le port de Doha et donc la frontière maritime, utilisant pour cela des systèmes détectant les intrusions et un imposant dispositif de vidéosurveillance. Impossible de quitter le Qatar par la voie des airs sans avoir à faire à Thales : l’entreprise sécurise aussi l’aéroport international d’Hamad avec, entre autres, un dispositif tentaculaire de 13 000 caméras, trois fois plus que pour l’intégralité de la ville de Nice, l’un de ses terrains de jeu favoris (lire l’épisode 1, « Nice, le “little brother” de Thales »).

      La prochaine grande échéance est la Coupe du monde de football de 2022, qui doit se tenir au Qatar et s’annonce comme l’une des plus sécurisées de l’histoire. Thales participe dans ce cadre à la construction et à la sécurisation du premier métro qatari, à Doha : 241 kilomètres, dont 123 souterrains, et 106 stations. Et combien de milliers de caméras de vidéosurveillance ?

      https://lesjours.fr/obsessions/thales-surveillance/ep6-frontieres-europe

  • #Loi_immigration : l’accueil des étrangers n’est pas un fardeau mais une nécessité économique

    Contrairement aux discours répétés ad nauseam, le #coût des aides accordées aux immigrés, dont la jeunesse permet de compenser le vieillissement des Français, est extrêmement faible. Le #poids_financier de l’#immigration n’est qu’un #faux_problème brandi pour flatter les plus bas instincts.

    Quand les paroles ne sont plus audibles, écrasées par trop de contre-vérités et de mauvaise foi, il est bon parfois de se référer aux #chiffres. Alors que le débat sur la loi immigration va rebondir dans les semaines à venir, l’idée d’entendre à nouveau les sempiternels discours sur l’étranger qui coûte cher et prend nos emplois nous monte déjà au cerveau. Si l’on regarde concrètement ce qu’il en est, le coût de l’immigration en France, que certains présentent comme bien trop élevé, serait en réalité extrêmement faible selon les économistes. Pour l’OCDE, il est contenu entre -0,5% et +0,5% du PIB selon les pays d’Europe, soit un montant parfaitement supportable. Certes, les immigrés reçoivent davantage d’#aides que les autres (et encore, beaucoup d’entre elles ne sont pas réclamées) car ils sont pour la plupart dans une situation précaire, mais leur #jeunesse permet de compenser le vieillissement de la population française, et donc de booster l’économie.

    Eh oui, il est bien loin ce temps de l’après-guerre où les naissances explosaient : les bébés de cette période ont tous pris leur retraite ou sont en passe de le faire et, bientôt, il n’y aura plus assez de jeunes pour abonder les caisses de #retraite et d’#assurance_sociale. Sans compter que, vu l’allongement de la durée de vie, la question de la dépendance va requérir énormément de main-d’œuvre et, pour le coup, devenir un véritable poids financier. L’immigration, loin d’être un fardeau, est bien une #nécessité si l’on ne veut pas voir imploser notre modèle de société. Les Allemands, eux, l’assument haut et fort : ils ont besoin d’immigrés pour faire tourner le pays, comme l’a clamé le chancelier Olaf Scholz au dernier sommet économique de Davos. Le poids financier de l’immigration est donc un faux problème brandi par des politiques qui ne pensent qu’à flatter les plus bas instincts d’une population qui craint que l’avenir soit pire encore que le présent. On peut la comprendre, mais elle se trompe d’ennemi.

    https://www.liberation.fr/idees-et-debats/editorial/loi-immigration-laccueil-des-etrangers-nest-pas-un-fardeau-mais-une-neces
    #économie #démographie #France #migrations

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    voir aussi cette métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

    ping @karine4

    • Sur les #prestations_sociales aux étrangers, la #contradiction d’#Emmanuel_Macron

      Le pouvoir exécutif vante une loi « immigration » qui concourt à une meilleure intégration des « travailleurs » et soutient « ceux qui travaillent ». Mais la restriction des droits sociaux pour les non-Européens fragilise le système de #protection_sociale.

      Depuis son adoption au Parlement, la loi relative à l’immigration est présentée par Emmanuel Macron et par le gouvernement comme fidèle à la doctrine du « #en_même_temps ». D’un côté, le texte prétend lutter « contre les #passeurs » et l’entrée illicite d’étrangers dans l’Hexagone. De l’autre, il viserait à « mieux intégrer ceux qui ont vocation à demeurer sur notre sol » : les « réfugiés, étudiants, chercheurs, travailleurs ». En s’exprimant ainsi dans ses vœux à la nation, le 31 décembre 2023, le président de la République a cherché à montrer que la #réforme, fruit d’un compromis avec les élus Les Républicains, et inspirée par endroits du logiciel du Rassemblement national, conciliait #fermeté et #humanisme.

      Mais cette volonté d’#équilibre est contredite par les mesures concernant les prestations sociales. En réalité, le texte pose de nouvelles règles qui durcissent les conditions d’accès à plusieurs droits pour les étrangers non ressortissants de l’Union européenne, en situation régulière, ce qui risque de plonger ces personnes dans le dénuement.

      Un premier régime est créé, qui prévoit que l’étranger devra soit avoir résidé en France depuis au moins cinq ans, soit « justifier d’une durée d’affiliation d’au moins trente mois au titre d’une activité professionnelle » – sachant que cela peut aussi inclure des périodes non travaillées (chômage, arrêt-maladie). Ce « #délai_de_carence » est une nouveauté pour les aides visées : #allocations_familiales, prestation d’accueil du jeune enfant, allocation de rentrée scolaire, complément familial, allocation personnalisée d’autonomie, etc.

      « #Régression considérable »

      Un deuxième régime est mis en place pour les #aides_personnelles_au_logement (#APL) : pour les toucher, l’étranger devra soit être titulaire d’un visa étudiant, soit être établi sur le territoire depuis au moins cinq ans, soit justifier d’une « durée d’affiliation d’au moins trois mois au titre d’une activité professionnelle ». Là aussi, il s’agit d’une innovation. Ces critères plus stricts, précise la loi, ne jouent cependant pas pour ceux qui ont obtenu le statut de réfugié ou détiennent la carte de résident.

      Le 19 décembre 2023, Olivier Dussopt, le ministre du travail, a réfuté la logique d’une #discrimination entre nationaux et étrangers, et fait valoir que le texte établissait une « #différence » entre ceux qui travaillent et ceux qui ne travaillent pas, « qu’on soit français ou qu’on soit étranger ». « Nous voulons que celles et ceux qui travaillent soient mieux accompagnés », a-t-il ajouté, en faisant allusion au délai de carence moins long pour les étrangers en emploi que pour les autres. Une présentation qui omet que le nouveau régime ne s’applique qu’aux résidents non européens, et laisse penser que certains étrangers mériteraient plus que d’autres d’être couverts par notre #Etat-providence.

      Alors que la loi est censée faciliter – sous certaines conditions – l’#intégration de ressortissants d’autres pays, des spécialistes de la protection sociale considèrent que les mesures sur les prestations tournent le dos à cet objectif. « Les délais de carence vont totalement à l’encontre de l’intégration que l’on prétend viser », estime Michel Borgetto, professeur émérite de l’université Paris Panthéon-Assas. Ils risquent, d’une part, de « précipiter dans la #précarité des personnes confrontées déjà à des #conditions_de_vie difficiles, ce qui aura pour effet d’accroître le nombre de #travailleurs_pauvres et de #mal-logés, voire de #sans-abri, relève-t-il. Ils sont, d’autre part, susceptibles de se révéler largement contre-productifs et terriblement néfastes, poursuit le spécialiste du droit de la #sécurité_sociale, dans la mesure où les étrangers en situation régulière se voient privés des aides et accompagnements nécessaires à leur insertion durable dans la société, dans les premiers mois ou années de leur vie en France. C’est-à-dire, en fait, au moment même où ils en ont précisément le plus besoin… »

      Maîtresse de conférences en droit social à l’université Lyon-II, Laure Camaji tient à rappeler que les prestations visées constituent des « #droits_universels, attribués depuis des décennies en raison de la résidence sur le territoire ». « Cela fait bien longtemps – depuis une loi de 1975 – que le droit aux #prestations_familiales n’est plus lié à l’exercice d’une #activité_professionnelle, souligne-t-elle. C’est un principe fondamental de notre système de sécurité sociale, un #acquis majeur qui forme le socle de notre #pacte_social, tout comme l’est l’#universalité de la #couverture_maladie, de la prise en charge du #handicap et de la #dépendance, du droit au logement et à l’#hébergement_d’urgence. »

      A ses yeux, le texte entraîne une « régression considérable » en instaurant une « #dualité de régimes entre les Français et les Européens d’un côté, les personnes non ressortissantes de l’Union de l’autre ». L’intégralité du système de protection sociale est fragilisée, « pour tous, quelle que soit la nationalité, l’origine, la situation familiale, puisque l’universalité n’est plus le principe », analyse-t-elle.

      Motivation « idéologique »

      Francis Kessler, maître de conférences à l’université Paris-I Panthéon-Sorbonne, ne comprend pas « la logique à l’œuvre dans cette loi, sauf à considérer qu’il est illégitime de verser certaines prestations à une catégorie de la population, au motif qu’elle n’a pas la nationalité française, ou que les étrangers viennent en France pour toucher des aides – ce qu’aucune étude n’a démontré ». En réalité, complète-t-il, la seule motivation de cette loi est « idéologique » : « Elle repose très clairement sur une idée de “#préférence_nationale” et place notre pays sur une pente extrêmement dangereuse. »

      Toute la question, maintenant, est de savoir si les dispositions en cause seront validées par le #Conseil_constitutionnel. L’institution de la rue de Montpensier a été saisie par la présidente de l’Assemblée nationale, Yaël Braun-Pivet, ainsi que par des députés et sénateurs de gauche, notamment sur les restrictions des #aides_financières aux étrangers. Les parlementaires d’opposition ont mis en avant le fait que les délais de carence violaient – entre autres – le #principe_d’égalité. Plusieurs membres du gouvernement, dont la première ministre, Elisabeth Borne, ont reconnu que des articles du texte, comme celui sur les APL, pouvaient être jugés contraires à la Loi fondamentale. Le Conseil constitutionnel rendra sa décision avant la fin du mois de janvier.

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/01/05/sur-les-prestations-sociales-aux-etrangers-la-contradiction-d-emmanuel-macro
      #Macron #loi_immigration #accès_aux_droits

  • La dérive d’un centre pour mineurs délinquants du Groupe SOS | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/231223/la-derive-d-un-centre-pour-mineurs-delinquants-du-groupe-sos

    La dérive d’un centre pour mineurs délinquants du Groupe SOS

    Tensions parmi les salariés, violences avec les jeunes, absence de formation… Ouvert en 2003 sur le causse de Mende pour éloigner de leur milieu les adolescents placés par la justice, le centre éducatif renforcé Lozère navigue de crise en crise.

    Nicolas Cheviron

    23 décembre 2023 à 16h22

    Mende (Lozère).– Le lieu est isolé, sur un plateau boisé à mille mètres d’altitude, dans le département le moins peuplé de France. C’est sur le causse de Mende que le centre éducatif renforcé (CER) Lozère a ouvert ses portes en 2003. Géré par le Groupe SOS, il offre une mise au vert et un nouveau départ à des ados promis autrement à la prison. S’il peine à fonctionner, aucune crise n’avait cependant atteint la violence de celle que vient de traverser l’établissement.

    Quand il découvre le centre, le 11 juin 2019, Tarik Zail est plein d’enthousiasme. Les locaux sont flambant neufs, avec des chambres individuelles, des espaces communs spacieux et fonctionnels, bien loin de la rusticité de la bergerie réaménagée qui a hébergé le CER pendant les quinze années précédentes. Le cadre est charmant, au milieu des pins. Idéal pour une rupture avec le monde urbain, ses tentations et ses névroses.

    L’optimisme du nouveau directeur est cependant de courte durée. « Rapidement, des choses m’interpellent. Je comprends qu’on est davantage sur de la répression que sur de l’éducation », affirme-t-il. Il y a les sanctions, comme celle « consistant à faire dormir un jeune dehors, sous tente, en plein hiver », note-t-il, ou encore le recours au détecteur de métaux pour fouiller les jeunes. Une pratique réprouvée par la direction de la protection judiciaire de la jeunesse (PJJ), autorité de tutelle du centre.
    [...]

    https://jpst.it/3w4UG

    #centre_éducatif_renforcé #CER #Groupe_SOS #centre_pour_mineurs_délinquants #protection_judiciaire_de_la_jeunesse #PJJ

  • Une dissolution qui ne dit pas son nom : celle de la CIIVISE
    Le gouvernement a décidé de substituer à la Commission indépendante sur l’inceste et les violences sexuelles faites aux enfants (CIIVISE) une structure associative (donc non institutionnelle), et d’écarter celui qui la présidait et était devenu l’incarnation de la dénonciation de ces violences sexuelles faites aux enfants : le juge Durand et son équipe. https://www.oveo.org/une-dissolution-qui-ne-dit-pas-son-nom-celle-de-la-ciivise
    #dissolution #Ingérence#inceste#violences_sexuelles#protection_de_l'enfance.

  • Pour le chercheur Antoine Math, « il s’agit d’une #préférence_nationale déguisée »

    Mediapart : Est-ce un changement de nature du versement des prestations sociales avec un #délai_de_carence étendu de six mois à cinq ans ou est-ce que ce texte signe un rapprochement du concept de préférence nationale ?

    Antoine Math : Il s’agit d’une préférence nationale déguisée. L’objectif, ou les effets recherchés, de la préférence nationale, c’est d’exclure les étrangers du seul fait d’être #étrangers. Cette fois-ci, vous atteignez presque la même chose si vous édictez une condition de plus en plus difficile à remplir pour les personnes étrangères. C’est extrêmement grave au regard du principe d’égalité.

    Cette condition d’antériorité de titre de séjour a pour fonction de fait de se substituer à une préférence nationale, qui, elle, est formellement et juridiquement impossible au regard de la Constitution actuelle et des engagements de la France, notamment la Convention européenne des droits de l’homme. Comme on ne peut pas exclure tous les étrangers, on fait en sorte d’en exclure une proportion toujours plus grande pour se rapprocher des effets de la préférence nationale.

    Cette condition ne va pas de soi et va conduire à exclure même des personnes étrangères remplissant cette condition. En effet, le moindre renouvellement de #titre_de_séjour peut prendre plus longtemps que prévu [ah oui...]. Il suffit d’avoir une rupture administrative de quelques jours le temps de décrocher un rendez-vous ou une convocation à la préfecture, ou de recevoir un récépissé ou une attestation de demande de titre ou de renouvellement de titre, pour que tous les compteurs soient remis à zéro, que l’on considère que la personne ne remplit plus la condition d’antériorité de séjour régulier de façon continue. Le fonctionnement de cette condition est connu puisqu’on a l’expérience avec le #RSA, avec la #prime_d’activité ou le #minimum_vieillesse.

    Donc, on a des gens, ils sont là parfois depuis 20 ans, en situation régulière, et ils sont pourtant exclus. 

    En outre, quand vous disposez d’un titre de séjour, par exemple une carte de résident d’une durée de validité de 10 ans qui vous a été attribuée ou renouvelée il y a 2 ans, vous pouvez justifier avec cette carte d’une antériorité de séjour régulier de 2 ans, mais pas de 5 ans. Or, pour le justifier, vous ne disposez plus des titres de séjour précédents que vous avez rendus à la préfecture lors du renouvellement. Donc si vous n’avez pas eu la présence d’esprit de conserver des photocopies ou des scans, ou que vous les avez perdus, vous ne pouvez justifier de cette condition.

    Le parti Les Républicains (LR) colle au programme du RN, qui se félicite de cette victoire idéologique, et les parlementaires de Renaissance donnent du crédit à cela, c’est un changement de paradigme important, comment en est-on arrivé là ?

    On dit souvent que le problème n’est pas seulement le bruit des bottes mais aussi le silence des pantoufles. Mais je crois qu’entre les deux, il y a aussi les lâchetés de tous ceux qui ont bénéficié, au moins à un moment, de la voix ou du pouvoir, y compris à #gauche.

    Ce projet de loi vient de loin, ça fait longtemps que les esprits sont préparés. En 2004 par exemple, la première loi Sarkozy sur l’#immigration fait passer cette condition de séjour régulier de trois à cinq ans pour pouvoir toucher le #RSA (RMI à l’époque). En 2006, cette condition de cinq ans est étendue au minimum invalidité et au minimum vieillesse. En 2012, un amendement a fait passer de cinq à dix ans la condition d’antériorité de titre de séjour pour le minimum invalidité et le minimum vieillesse.

    La même année, le RSA est introduit à Mayotte en 2012, mais avec une condition portée à 15 ans. Idem pour percevoir l’allocation adulte handicapé et le minimum vieillesse. En Guyane, comme dans l’hexagone, la condition d’antériorité de titres de séjours pour percevoir le RSA est de 5 ans.

    Sauf qu’en 2018, cette majorité a fait voter au Parlement, lors du projet de loi de finances, une disposition pour porter cette durée à 15 ans. Cette disposition a finalement été censurée par le Conseil constitutionnel. Mais cet épisode témoigne bien que le basculement ne s’est pas produit hier. Les esprits ont été contaminés, bien au-delà de l’extrême droite et de la droite depuis un certain temps.

    [A.M. préserve la gauche au cas où elle puisse servir à quelque chose. C’est 1988, en fait https://seenthis.net/messages/1032496#message1032561]

    Qu’est-ce que la mise en œuvre de cette loi pourrait changer avec l’impossibilité de toucher les prestations sociales dans un délai raisonnable ?

    Concrètement, cela va générer un grand désordre avec une mise en œuvre infernale et des #démarches_infinies. Car, au regard des textes internationaux, il y aura des personnes épargnées de cette restriction grâce à des textes internationaux les protégeant et exigeant l’égalité de traitement ou la non-discrimination. On peut citer le cas des Algériens, déjà non concernés par les restrictions existantes pour l’accès au RSA, à la prime d’activité ou au minimum vieillesse.
    Si la mesure est appliquée, les personnes vont aussi devoir conserver des copies de tous leurs titres de séjour – qui sont rendus à la préfecture à chaque renouvellement – pour prouver qu’ils sont en France depuis un certain nombre d’années. Ceux qui ne savent pas qu’il faut tout archiver ou qui vont perdre ces documents ne vont pouvoir prétendre à aucune allocation.

    Sans compter la paupérisation accentuée de cette population déjà fragilisée…

    C’est évident, cela va être catastrophique pour les personnes concernées et leur entourage. Cela va priver des familles et des enfants de prestations sociales. Cela va conduire des familles à ne plus pouvoir se loger, à ne plus pouvoir payer le #loyer, à subir des #expulsions en raison des impayés. On peut imaginer qu’il y ait une proportion assez importante des quartiers populaires qui soient touchés. Ils n’ont pas besoin de se voir tailler davantage dans leurs droits et dans leurs ressources.

    Puis, ça instille dans les esprits l’idée que le #principe_d’égalité est plus que secondaire dès lors qu’on parle de personnes étrangères. Cette réforme est une étape supplémentaire dans la mise de côté des principes élémentaires qui président à notre système de #protection_sociale, en particulier l’égalité des #droits ou l’#universalité_[orique]_. Et cette dégradation risque d’être suivie, derrière, d’autres étapes, encore bien pires, de manière graduelle.

    On épargne certaines catégories, celles et ceux qui ont un #emploi, avec cette idée qu’il y aurait d’un côté les méritants et de l’autre les #assistés #fraudeurs.

    Ce projet de loi omet de prendre en compte le fait que les étrangers contribuent au système social par leur travail ou leurs impôts. Au-delà de la philosophie de la mesure, c’est foncièrement injuste de les priver des prestations sociales…

    Ce sont des arguties [que Mediapart et une gauche du macronisme soudés par l’idéologie du travail cultivent] pour justifier les restrictions et se draper derrière une forme de rationalité. On emprunte un discours de légitimation des droits, certains ayant un caractère contributif car au moins en partie financés par les cotisations des bénéficiaires qui pourraient être un peu épargnés, et d’autres droits, considérés comme moins contributifs, pour lesquels on pourrait opérer tout type de restriction et de discrimination.

    Depuis les restrictions introduites en 1993, il ne suffit pas de cotiser ou d’avoir cotisé pour bénéficier de prestations d’assurances sociales – vieillesse, maladie, invalidité, etc. - dès lors que vous êtes étranger.
    Par exemple, aujourd’hui, même si vous avez travaillé et cotisé pendant 40 ans et que, pour une raison X ou Y, vous n’avez pas de titre de séjour au moment où vous partez à la retraite (soit que vous avez eu un problème lors d’un renouvellement, soit qu’après être parti de France, vous êtes revenu justement pour faciliter la liquidation de votre retraite), vous ne toucherez pas votre #retraite tant que vous n’aurez pas de titre de séjour. Peu importe que vous ayez cotisé pendant des années.

    https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/191223/pour-le-chercheur-antoine-math-il-s-agit-d-une-preference-nationale-deguis

    #AAH

  • Italie : le Conseil des ministres approuve l’accord avec l’Albanie sur l’externalisation des demandes d’asile - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/53713/italie--le-conseil-des-ministres-approuve-laccord-avec-lalbanie-sur-le

    Italie : le Conseil des ministres approuve l’accord avec l’Albanie sur l’externalisation des demandes d’asile
    Par Marlène Panara Publié le : 06/12/2023
    Signé par Rome et Tirana le 6 novembre dernier, le texte sur la délocalisation d’une partie des demandeurs d’asile a été confirmé mardi par le Conseil des ministres italien. Le décret atteste que les migrants secourus en mer Méditerranée par les autorités italiennes dans les eaux extra-européennes - ou eaux internationales - pourront être emmenés directement en Albanie.
    Des migrants secourus par les garde-côtes italiens bientôt en Albanie. Mardi 5 décembre, le Conseil des ministres a approuvé l’accord de collaboration entre Rome et Tirana pour l’accueil d’une partie des demandeurs d’asile dans ce pays non membre de l’Union européenne. Avec ce décret, annoncé le 6 novembre dernier par la Première ministre italienne Giorgia Meloni et son homologue Edi Rama, l’Albanie prévoit de prendre en charge jusqu’à 3 000 demandeurs d’asile en même temps, soit environ 36 000 personnes par an, d’après les prévisions des autorités.
    Mardi, quelques précisions ont été apportées quant à la mise en application de cette mesure. Ainsi, seuls les migrants secourus par les autorités italiennes en dehors des eaux territoriales européennes pourront être transférés vers l’Albanie et ses deux centres spécifiques - à Shengjin, pour l’identification, et à Gjader pour le traitement de la demande d’asile. Une spécificité qui permet ainsi à l’Italie de ne pas entrer « en conflit avec les règles du droit européen [qui interdit l’externalisation des demandes d’asile, ndlr] qui ne s’appliquent évidemment que sur le territoire ou dans les eaux européennes », explique La Repubblica. « Si le sauvetage a lieu dans les eaux internationales, le droit d’asile communautaire ne s’applique pas et l’Italie a le droit d’emmener ces personnes vers un autre pays », précise aussi l’agence de presse italienne Ansa, citant une source à Bruxelles.
    Avec ce traité, les migrants récupérés en mer ne débarqueront pas en Italie, ne fouleront pas son sol. Ils seront directement emmenés vers les ports albanais. Rome contourne ainsi la responsabilité légale d’accueil qui lui incombe lorsqu’un demandeur d’asile est secouru sur son territoire, maritime en l’occurrence. Au lendemain de la signature de l’accord le 6 novembre, le Haut-commissariat aux réfugiés des Nations unies (HCR) avait d’ailleurs rappelé à l’ordre l’Italie sur ce point. « La responsabilité première de l’évaluation des demandes d’asile et de l’octroi de la protection internationale incombe à l’État où le demandeur d’asile arrive », avait tancé l’institution onusienne. Cet accord obligera donc, aussi, les garde-côtes italiens « à s’éloigner beaucoup plus des côtes nationales pour les opérations de sauvetage, ce qui ne s’était pas produit depuis de nombreuses années », souligne la Repubblica.
    Le décret détaille également le fonctionnement interne des futurs centres, où la durée de rétention ne devra pas excéder 18 mois. Dans les structures albanaises, les migrants ne pourront échanger avec leur avocat seulement « à distance, par visioconférence », depuis le centre de Gjader. En cas de recours, l’audience avec les magistrats de Rome - tribunal compétent pour la gestion des centres - se déroulera de la même manière. « Le respect de tous les droits prévus par la réglementation générale (italienne et européenne) en la matière » seront garantis, assure le communiqué publié à l’issue du Conseil des ministres. En cas de problème juridique ou sanitaire, le transfert des exilés dans des centres en Italie ne sera possible qu’à titre « exceptionnel ». Dans la grande majorité des cas, l’entièreté des procédures se déroulera sur le sol albanais.
    Le centre de Shengjin sera construit sur un périmètre d’environ 240 mètres, et sera entouré d’une clôture de 4 mètres de haut, rehaussée de barbelés. Celui de Gjader, destiné à vérifier les conditions de protection internationale et de rapatriement des migrants, sera construit sur une superficie constructible de 77 700 mètres carrés. À l’heure actuelle, il n’existe à cet endroit qu’une dizaine de « bâtiments vétustes ». Des fonctionnaires, juges, médecins et infirmiers italiens seront aussi embauchés pour faire fonctionner les centres. Au total, 135 profils sont recherchés par les autorités.
    Coût total de l’opération ? Environ 200 millions d’euros. La moitié sera allouée en 2024, puis 50 millions d’euros seront versés chaque année, pendant quatre ans. « Cette somme sera bien dépensée, pour lutter contre l’immigration irrégulière », a assuré le ministre italien des Affaires étrangères Antonio Tajani à l’issue du Conseil des ministres. Pour Matteo Mauri, du Parti démocrate, cet argent est au contraire « littéralement jeté à la poubelle ». L’opposant dénonce « une pure opération de propagande de la part d’un gouvernement qui doit faire face à l’échec de sa gestion de l’immigration ». « Faire en Albanie ce qui devrait être fait en Italie ne résoudra aucun problème ni aucun coût », a-t-il fustigé. Dès son officialisation il y a trois semaines, cette collaboration avait essuyé de nombreuses critiques. « Il s’agit d’un accord de refoulement, une pratique interdite par les normes européennes et internationales et pour laquelle l’Italie a déjà été condamnée par la Cour européenne des droits de l’Homme », avait déploré Elisa de Pieri d’Amnesty international qui évoquait un accord « illégal, et irréalisable ». L’ONG allemande de sauvetage en mer Méditerranée Sea-Watch évoquait de son côté « une manœuvre inhumaine et populiste sans fondement juridique ». « Avec cette nouvelle absurdité, le gouvernement tente une fois de plus de se soustraire à ses responsabilités en matière d’asile. Les migrants, privés de leurs droits, sont toujours ceux qui en paient les conséquences », déploraient les humanitaires sur leur compte X (ex-Twitter).
    Le député et secrétaire du parti d’opposition Più Europa, Riccardo Magi, avait déclaré, lui, : « On crée une sorte de Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE, sans la possibilité de contrôler la détention des personnes enfermées dans ces centres ». Cette année, plus de 152 000 migrants ont débarqué en Italie, contre 96 624 pour toute l’année 2022. En réponse, Rome multiplie les mesures pour dissuader les exilés de venir sur son sol. Le 28 novembre, les députés ont validé le décret Cutro 2, qui durcit les conditions d’accueil des migrants. Parmi les mesures les plus polémiques : celle qui autorise l’hébergement des mineurs de moins de 16 ans dans des centres pour adultes. Alors même que l’Italie a été épinglée plusieurs fois par la Cour européenne des droits de l’Homme (CEDH) à indemniser des migrants mineurs, hébergés dans des centres pour adultes. Début septembre par exemple, la CEDH a condamné l’Italie pour « traitements inhumains et dégradants » à l’égard d’une migrante mineure ghanéenne. Cette dernière a été hébergée huit mois dans un centre pour adultes en Italie, malgré la reconnaissance de sa minorité. Victime d’abus sexuels dans son pays d’origine et en Libye, M.A. avait passé huit mois dans la structure, totalement inadaptée à sa vulnérabilité.

    #Covid-19#migration#migrant#italie#albanie#CEDH#delocalisation#asile#protection#rapatriement#vulnerabilite#droit#sante#mineur

  • Claire Hédon, Défenseure des droits : « Le projet de “loi immigration” sacrifie les droits fondamentaux des étrangers »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/12/09/claire-hedon-defenseure-des-droits-le-projet-de-loi-immigration-sacrifie-les

    Claire Hédon, Défenseure des droits : « Le projet de “loi immigration” sacrifie les droits fondamentaux des étrangers »
    Tribune
    Un équilibre doit exister entre le pouvoir des Etats de décider des règles d’entrée et de séjour sur le territoire et la protection des droits et libertés. Or le texte débattu à l’Assemblée bouleverse cet équilibre, en bafouant la dignité et l’égalité, estime la Défenseure des droits dans une tribune au « Monde ».
    Lundi 11 décembre, un texte d’une gravité majeure pour les droits fondamentaux des étrangers doit être discuté à l’Assemblée nationale. Dès sa présentation par le gouvernement, j’ai alerté sur les nombreuses atteintes aux droits et libertés comprises dans le projet de loi « pour contrôler l’immigration, améliorer l’intégration ». La surenchère démagogique lors des débats parlementaires, notamment au Sénat, les a aggravées au mépris des obligations constitutionnelles et internationales de l’Etat.
    En premier lieu, au nom de l’objectif légitime de sauvegarde de l’ordre public et de lutte contre l’immigration irrégulière, le projet de loi supprime nombre de garanties actuellement prévues pour protéger les droits fondamentaux des étrangers. Il accroît en outre, avec une acception particulièrement extensive de l’ordre public, les possibilités de refus ou retrait du droit au séjour, y compris pour des personnes n’ayant fait l’objet d’aucune condamnation pénale. L’éloignement des étrangers se trouverait ainsi très largement remis à l’appréciation de l’administration, au risque de multiplier des décisions arbitraires.
    La grave fragilisation du droit au séjour qui en résulterait serait d’autant plus préoccupante que le droit au juge est amoindri. En particulier, la réforme du contentieux envisagée par le projet maintient, dans de nombreux cas, des délais de recours extrêmement brefs, compliquant de fait l’accès au juge.
    En deuxième lieu, le texte accrédite l’idée, pourtant démentie par de nombreuses études, selon laquelle des conditions d’accueil « trop favorables » encourageraient l’immigration irrégulière ou l’installation durable d’étrangers sur le territoire. Omniprésent dans le débat parlementaire, ce discours a poussé le législateur à envisager des restrictions de nombreux droits, notamment pour les personnes particulièrement vulnérables.
    Je pense d’abord au droit d’asile, avec la multiplication des possibilités de rejet des demandes sans examen au fond, couplée à une extension de la procédure à juge unique devant la Cour nationale du droit d’asile. Je pense ensuite, au droit au séjour des étrangers malades, réservé aux cas où le traitement requis n’existe pas du tout dans le pays d’origine sans vérification par ailleurs des possibilités d’accès effectif au traitement. Cette disposition conduirait à une nette diminution des admissions au séjour pour soins, au détriment de la santé des personnes concernées et alors même que ce motif d’admission au séjour représente une part infime des titres de séjour délivrés (environ 1,5 %).
    Je pense enfin au déploiement renforcé, en outremer, d’un droit dérogatoire, concourant à la pérennisation, sur le territoire de la République, de zones de moindres droits, y compris pour les étrangers qui y sont régulièrement établis, voire pour les Français lorsqu’ils y fondent une famille avec des étrangers. En troisième lieu, la politique d’intégration promue par le texte inverse le rapport entre l’obtention d’un titre de séjour et l’intégration.
    Autrefois conçue comme permettant, par sa stabilité, une meilleure intégration, la carte de résident de dix ans est devenue le titre d’exception, délivré en récompense ultime d’une intégration jugée réussie. Le projet de loi vient approfondir cette logique en subordonnant l’accès aux titres de séjour de longue durée à la justification d’une maîtrise suffisante de la langue française ainsi qu’à la réussite à un examen d’évaluation de la connaissance de la société française et de ses principes.
    Mon institution, autorité indépendante inscrite dans la Constitution, chargée de veiller au respect des droits et libertés, est le témoin quotidien de l’extrême dégradation des droits des étrangers vivant en France. La défaillance des services préfectoraux y contribue largement : il ne s’agit pas ici de mettre en cause le travail des agents publics, mais de constater que le manque d’interlocuteur humain et surtout les délais d’attente pour l’obtention ou le simple renouvellement d’un titre de séjour se sont considérablement aggravés depuis la dématérialisation des guichets engagée à marche forcée, sans renforcement des moyens des préfectures.
    Des milliers d’étrangers présents en France, parfois depuis des décennies, se retrouvent en situation irrégulière du fait de cette défaillance. Surtout, les ruptures de droits subies (pertes d’emploi et de droits sociaux) sont dramatiques et provoquent une précarité insoutenable. Les parcours de vie sont gravement et irrémédiablement entravés.
    Un équilibre doit exister entre, d’une part, le droit souverain des Etats de décider des règles d’entrée et de séjour sur le territoire en tenant compte de l’impératif de sauvegarde de l’ordre public et, d’autre part, la nécessaire protection des droits fondamentaux. Le projet de loi bouleverse profondément cet équilibre, au profit de nouvelles formes d’ostracisme et au détriment de principes juridiques essentiels, en particulier les principes de dignité et d’égalité. Cette rupture dans la protection des droits et libertés en France emporterait des effets néfastes pour la cohésion sociale et l’intérêt général.

    #Covid-19#migrant#migration#france#droit#etranger#defenseurdesdroits#loimigration#immigration#egalité#droitsouverain#territoire#protection

  • Cette #hospitalité_radicale que prône la philosophe #Marie-José_Mondzain

    Dans « Accueillir. Venu(e)s d’un ventre ou d’un pays », Marie-José Mondzain, 81 ans, se livre à un plaidoyer partageur. Elle oppose à la #haine d’autrui, dont nous éprouvons les ravages, l’#amour_sensible et politique de l’Autre, qu’il faudrait savoir adopter.

    En ces temps de crispations identitaires et même de haines communautaires, Marie-José Mondzain nous en conjure : choisissons, contre l’#hostilité, l’hospitalité. Une #hospitalité_créatrice, qui permette de se libérer à la fois de la loi du sang et du #patriarcat.

    Pour ce faire, il faut passer de la filiation biologique à la « #philiation » − du grec philia, « #amitié ». Mais une #amitié_politique et proactive : #abriter, #nourrir, #loger, #soigner l’Autre qui nous arrive ; ce si proche venu de si loin.

    L’hospitalité fut un objet d’étude et de réflexion de Jacques Derrida (1930-2004). Née douze ans après lui, à Alger comme lui, Marie-José Mondzain poursuit la réflexion en rompant avec « toute légitimité fondée sur la réalité ou le fantasme des origines ». Et en prônant l’#adoption comme voie de réception, de prise en charge, de #bienvenue.

    Son essai Accueillir. Venu(e)s d’un ventre ou d’un pays se voudrait programmatique en invitant à « repenser les #liens qui se constituent politiquement et poétiquement dans la #rencontre de tout sujet qu’il nous incombe d’adopter ».

    D’Abraham au film de Tarkovski Andreï Roublev, d’Ulysse à A. I. Intelligence artificielle de Spielberg en passant par Antigone, Shakespeare ou Melville, se déploie un plaidoyer radical et généreux, « phraternel », pour faire advenir l’humanité « en libérant les hommes et les femmes des chaînes qui les ont assignés à des #rapports_de_force et d’#inégalité ».

    En cette fin novembre 2023, alors que s’ajoute, à la phobie des migrants qui laboure le monde industriel, la guerre menée par Israël contre le Hamas, nous avons d’emblée voulu interroger Marie-José Mondzain sur cette violence-là.

    Signataire de la tribune « Vous n’aurez pas le silence des juifs de France » condamnant le pilonnage de Gaza, la philosophe est l’autrice d’un livre pionnier, adapté de sa thèse d’État qui forait dans la doctrine des Pères de l’Église concernant la représentation figurée : Image, icône, économie. Les sources byzantines de l’imaginaire contemporain (Seuil, 1996).

    Mediapart : Comment voyez-vous les images qui nous travaillent depuis le 7 octobre ?

    Marie-José Mondzain : Il y a eu d’emblée un régime d’images relevant de l’événement dans sa violence : le massacre commis par le Hamas tel qu’il fut en partie montré par Israël. À cela s’est ensuite substitué le tableau des visages et des noms des otages, devenu toile de fond iconique.

    Du côté de Gaza apparaît un champ de ruines, des maisons effondrées, des rues impraticables. Le tout depuis un aplomb qui n’est plus un regard humain mais d’oiseau ou d’aviateur, du fait de l’usage des drones. La mort est alors sans visages et sans noms.

    Face au phénomène d’identification du côté israélien s’est donc développée une rhétorique de l’invisibilité palestinienne, avec ces guerriers du Hamas se terrant dans des souterrains et que traque l’armée israélienne sans jamais donner à voir la moindre réalité humaine de cet ennemi.

    Entre le visible et l’invisible ainsi organisés, cette question de l’image apparaît donc extrêmement dissymétrique. Dissymétrie accentuée par la mise en scène des chaînes d’information en continu, qui séparent sur les écrans, avec des bandes lumineuses et colorées, les vues de Gaza en ruine et l’iconostase des otages.

    C’est avec de telles illustrations dans leur dos que les prétendus experts rassemblés en studio s’interrogent : « Comment retrouver la paix ? » Comme si la paix était suspendue à ces images et à la seule question des otages. Or, le contraire de la guerre, ce n’est pas la paix − et encore moins la trêve −, mais la justice.

    Nous assistons plutôt au triomphe de la loi du talion, dont les images deviennent un levier. Au point que visionner les vidéos des massacres horrifiques du Hamas dégénère en obligation…

    Les images deviennent en effet une mise à l’épreuve et une punition. On laisse alors supposer qu’elles font suffisamment souffrir pour que l’on fasse souffrir ceux qui ne prennent pas la souffrance suffisamment au sérieux.

    Si nous continuons à être uniquement dans une réponse émotionnelle à la souffrance, nous n’irons pas au-delà d’une gestion de la trêve. Or la question, qui est celle de la justice, s’avère résolument politique.

    Mais jamais les choses ne sont posées politiquement. On va les poser en termes d’identité, de communauté, de religion − le climat très trouble que nous vivons, avec une indéniable remontée de l’antisémitisme, pousse en ce sens.

    Les chaînes d’information en continu ne nous montrent jamais une carte de la Cisjordanie, devenue trouée de toutes parts telle une tranche d’emmental, au point d’exclure encore et toujours la présence palestinienne. Les drones ne servent jamais à filmer les colonies israéliennes dans les Territoires occupés. Ce serait pourtant une image explicite et politique…

    Vous mettez en garde contre toute « réponse émotionnelle » à propos des images, mais vous en appelez dans votre livre aux affects, dans la mesure où, écrivez-vous, « accueillir, c’est métamorphoser son regard »…

    J’avais écrit, après le 11 septembre 2001, L’#image peut-elle tuer ?, ou comment l’#instrumentalisation du #régime_émotionnel fait appel à des énergies pulsionnelles, qui mettent le sujet en situation de terreur, de crainte, ou de pitié. Il s’agit d’un usage balistique des images, qui deviennent alors des armes parmi d’autres.

    Un tel bombardement d’images qui sème l’effroi, qui nous réduit au silence ou au cri, prive de « logos » : de parole, de pensée, d’adresse aux autres. On s’en remet à la spontanéité d’une émotivité immédiate qui supprime le temps et les moyens de l’analyse, de la mise en rapport, de la mise en relation.

    Or, comme le pensait Édouard Glissant, il n’y a qu’une poétique de la relation qui peut mener à une politique de la relation, donc à une construction mentale et affective de l’accueil.

    Vous prônez un « #tout-accueil » qui semble faire écho au « Tout-monde » de Glissant…

    Oui, le lien est évident, jusqu’en ce #modèle_archipélique pensé par Glissant, c’est-à-dire le rapport entre l’insularité et la circulation en des espaces qui sont à la fois autonomes et séparables, qui forment une unité dans le respect des écarts.

    Ces écarts assument la #conflictualité et organisent le champ des rapports, des mises en relation, naviguant ainsi entre deux écueils : l’#exclusion et la #fusion.

    Comment ressentir comme un apport la vague migratoire, présentée, voire appréhendée tel un trop-plein ?

    Ce qui anime mon livre, c’est de reconnaître que celui qui arrive dans sa nudité, sa fragilité, sa misère et sa demande est l’occasion d’un accroissement de nos #ressources. Oui, le pauvre peut être porteur de quelque chose qui nous manque. Il nous faut dire merci à ceux qui arrivent. Ils deviennent une #richesse qui mérite #abri et #protection, sous le signe d’une #gratitude_partagée.

    Ils arrivent par milliers. Ils vont arriver par millions − je ne serai alors plus là, vu mon âge −, compte tenu des conditions économiques et climatiques à venir. Il nous faut donc nous y préparer culturellement, puisque l’hospitalité est pour moi un autre nom de la #culture.

    Il nous faut préméditer un monde à partager, à construire ensemble ; sur des bases qui ne soient pas la reproduction ou le prolongement de l’état de fait actuel, que déserte la prospérité et où semble s’universaliser la guerre. Cette préparation relève pour moi, plus que jamais, d’une #poétique_des_relations.

    Je travaille avec et auprès d’artistes − plasticiens, poètes, cinéastes, musiciens −, qui s’emparent de toutes les matières traditionnelles ou nouvelles pour créer la scène des rapports possibles. Il faut rompre avec ce qui n’a servi qu’à uniformiser le monde, en faisant appel à toutes les turbulences et à toutes les insoumissions, en inventant et en créant.

    En établissant des #zones_à_créer (#ZAC) ?

    Oui, des zones où seraient rappelées la force des faibles, la richesse des pauvres et toutes les ressources de l’indigence qu’il y a dans des formes de précarité.

    La ZAD (zone à défendre) ne m’intéresse effectivement que dans la mesure où elle se donne pour but d’occuper autrement les lieux, c’est-à-dire en y créant la scène d’une redistribution des places et d’un partage des pouvoirs face aux tyrannies économiques.

    Pas uniquement économiques...

    Il faut bien sûr compter avec ce qui vient les soutenir, anthropologiquement, puisque ces tyrannies s’équipent de tout un appareil symbolique et d’affects touchant à l’imaginaire.

    Aujourd’hui, ce qui me frappe, c’est la place de la haine dans les formes de #despotisme à l’œuvre. Après – ou avant – Trump, nous venons d’avoir droit, en Argentine, à Javier Milei, l’homme qui se pose en meurtrier prenant le pouvoir avec une tronçonneuse.

    Vous y opposez une forme d’amitié, de #fraternité, la « #filia », que vous écrivez « #philia ».

    Le [ph] désigne des #liens_choisis et construits, qui engagent politiquement tous nos affects, la totalité de notre expérience sensible, pour faire échec aux formes d’exclusion inspirées par la #phobie.

    Est-ce une façon d’échapper au piège de l’origine ?

    Oui, ainsi que de la #naturalisation : le #capitalisme se considère comme un système naturel, de même que la rivalité, le désir de #propriété ou de #richesse sont envisagés comme des #lois_de_la_nature.

    D’où l’appellation de « #jungle_de_Calais », qui fait référence à un état de nature et d’ensauvagement, alors que le film de Nicolas Klotz et Élisabeth Perceval, L’Héroïque lande. La frontière brûle (2018), montre magnifiquement que ce refuge n’était pas une #jungle mais une cité et une sociabilité créées par des gens venus de contrées, de langues et de religions différentes.

    Vous est-il arrivé personnellement d’accueillir, donc d’adopter ?

    J’ai en en effet tissé avec des gens indépendants de mes liens familiaux des relations d’adoption. Des gens dont je me sentais responsable et dont la fragilité que j’accueillais m’apportait bien plus que ce que je pouvais, par mes ressources, leur offrir.

    Il arrive, du reste, à mes enfants de m’en faire le reproche, tant les font parfois douter de leur situation les relations que je constitue et qui tiennent une place si considérable dans ma vie. Sans ces relations d’adoption, aux liens si constituants, je ne me serais pas sentie aussi vivante que je le suis.

    D’où mon refus du seul #héritage_biologique. Ce qui se transmet se construit. C’est toujours dans un geste de fiction turbulente et joyeuse que l’on produit les liens que l’on veut faire advenir, la #vie_commune que l’on désire partager, la cohérence politique d’une #égalité entre parties inégales – voire conflictuelles.

    La lecture de #Castoriadis a pu alimenter ma défense de la #radicalité. Et m’a fait reconnaître que la question du #désordre et du #chaos, il faut l’assumer et en tirer l’énergie qui saura donner une forme. Le compositeur Pascal Dusapin, interrogé sur la création, a eu cette réponse admirable : « C’est donner des bords au chaos. »

    Toutefois, ces bords ne sont pas des blocs mais des frontières toujours poreuses et fluantes, dans une mobilité et un déplacement ininterrompus.

    Accueillir, est-ce « donner des bords » à l’exil ?

    C’est donner son #territoire au corps qui arrive, un territoire où se créent non pas des murs aux allures de fin de non-recevoir, mais des cloisons – entre l’intime et le public, entre toi et moi : ni exclusion ni fusion…

    Mon livre est un plaidoyer en faveur de ce qui circule et contre ce qui est pétrifié. C’est le #mouvement qui aura raison du monde. Et si nous voulons que ce mouvement ne soit pas une déclaration de guerre généralisée, il nous faut créer une #culture_de_l’hospitalité, c’est-à-dire apprendre à recevoir les nouvelles conditions du #partage.

    https://www.mediapart.fr/journal/culture-et-idees/271123/cette-hospitalite-radicale-que-prone-la-philosophe-marie-jose-mondzain
    #hospitalité #amour_politique

    via @karine4

    • Accueillir - venu(e)s d’un ventre ou d’un pays

      Naître ne suffit pas, encore faut-il être adopté. La filiation biologique, et donc l’arrivée d’un nouveau-né dans une famille, n’est pas le modèle de tout accueil mais un de ses cas particuliers. Il ne faut pas penser la filiation dans son lien plus ou moins fort avec le modèle normatif de la transmission biologique, mais du point de vue d’une attention à ce qui la fonde : l’hospitalité. Elle est un art, celui de l’exercice de la philia, de l’affect et du lien qui dans la rencontre et l’accueil de tout autre exige de substituer au terme de filiation celui de philiation. Il nous faut rompre avec toute légitimité fondée sur la réalité ou le fantasme des origines. Cette rupture est impérative dans un temps de migrations planétaires, de déplacements subjectifs et de mutations identitaires. Ce qu’on appelait jadis « les lois de l’hospitalité » sont bafouées par tous les replis haineux et phobiques qui nous privent des joies et des richesses procurées par l’accueil. Faute d’adopter et d’être adopté, une masse d’orphelins ne peut plus devenir un peuple. La défense des philiations opère un geste théorique qui permet de repenser les liens qui se constituent politiquement et poétiquement dans la rencontre de tout sujet qu’il nous incombe d’adopter, qu’il provienne d’un ventre ou d’un pays. Le nouveau venu comme le premier venu ne serait-il pas celle ou celui qui me manquait ? D’où qu’il vienne ou provienne, sa nouveauté nous offre la possibilité de faire œuvre.

      https://www.quaidesmots.fr/accueillir-venu-e-s-d-un-ventre-ou-d-un-pays.html
      #livre #filiation_biologique #accueil

  • Henry Laurens : « On est sur la voie d’un processus de destruction de masse » à Gaza, entretien avec Rachida El Azzouzi (19 novembre 2023).

    Pour l’historien, spécialiste de la Palestine, professeur au collège de France, « l’effondrement des conditions sanitaires et l’absence de ravitaillement à destination des populations concernées peuvent indiquer que l’on est sur la voie d’un processus de destruction de masse » dans la bande de Gaza.

    L’historien et universitaire Henry Laurens est l’un des plus grands spécialistes du #Moyen-Orient. Professeur au Collège de France où il est titulaire de la chaire d’histoire contemporaine du #monde_arabe, il a mis la question palestinienne au cœur de son travail. Il est l’auteur de très nombreux livres dont cinq tomes sans équivalent publiés entre 1999 et 2015, consacrés à La question de Palestine (Fayard).
    Dans un entretien à Mediapart, il éclaire de sa connaissance l’exceptionnalité du conflit israélo-palestinien et le « corps à corps que même l’émotion n’arrive pas à séparer » dans lesquels les deux peuples sont pris depuis des décennies. Il dit son pessimisme quant à la résolution du conflit qui peut durer « des siècles » : « Vous ne pouvez espérer de sortie possible que par une décolonisation, mais à horizon immédiat, cette décolonisation n’est pas faisable. Dans les années 1990, elle l’était. Il y avait 30 000 colons. Aujourd’hui, ils sont 500 000 dont quelques dizaines de milliers qui sont des colons ultrareligieux et armés. »

    Plus d’une vingtaine de rapporteurs de l’organisation des Nations unies (ONU) s’inquiètent d’« un génocide en cours » à Gaza. Est-ce que vous employez ce terme ?

    Il y a deux sens au terme de « génocide ». Il y a le #génocide tel que défini par l’avocat polonais Raphael Lemkin en 1948, la seule définition juridique existante, aujourd’hui intégrée au protocole de Rome créant la #CPI [Cour pénale internationale – ndlr]. Lemkin a été obligé, pour que ce soit voté par les Soviétiques et par le bloc de l’Est, d’éliminer les causes politiques du génocide – massacrer des gens dans le but de détruire une classe sociale –, parce qu’il aurait fallu reconnaître le massacre des koulaks par les Soviétiques.

    La définition de Lemkin implique que ceux qui commettent un génocide appartiennent à un autre peuple que celui des victimes. D’où le problème aussi qu’on a eu avec le #Cambodge, qu’on ne pouvait pas appeler un génocide parce que c’étaient des Cambodgiens qui avaient tué des Cambodgiens. Là, on est dans une définition étroite. C’était le prix à payer pour obtenir un accord entre les deux Blocs dans le contexte du début de la #guerre_froide.

    Vous avez ensuite une définition plus large du terme, celui d’une destruction massive et intentionnelle de populations quelles qu’en soient les motivations.

    Il existe donc deux choses distinctes : la première, ce sont les actes, et la seconde, c’est l’intention qui est derrière ces actes. Ainsi le tribunal international pour l’ex-Yougoslavie a posé la différence entre les nettoyages ethniques dont la motivation n’est pas génocidaire parce que l’#extermination n’était pas recherchée, même si le nombre de victimes était important, et les actes de génocide comme celui de Srebrenica, où l’intention était claire.

    On voit ainsi que le nombre de victimes est secondaire. Pour Srebrenica, il est de l’ordre de 8 000 personnes.

    L’inconvénient de cette #logique_judiciaire est de conduire à une casuistique de l’intentionnalité, ce qui ne change rien pour les victimes. 

    Au moment où nous parlons, le nombre de victimes dans la bande de #Gaza est supérieur à celui de Srebrenica. On a, semble-t-il, dépassé la proportion de 0,5 % de la population totale. Si on compare avec la France, cela donnerait 350 000 morts.

    Le discours israélien évoque des victimes collatérales et des boucliers humains. Mais de nombreux responsables israéliens tiennent des discours qui peuvent être qualifiés de génocidaires. L’effondrement des conditions sanitaires et l’absence même de ravitaillement à destination des populations concernées peuvent indiquer que l’on est sur la voie d’un processus de destruction de masse avec des controverses à n’en plus finir sur les intentionnalités. 

    La solution à deux États n’est plus possible.

    La crainte d’une seconde « #Nakba » (catastrophe), en référence à l’exil massif et forcé à l’issue de la guerre israélo-arabe de 1948, hante les #Palestiniens. Peut-on faire le parallèle avec cette période ?

    La Nakba peut être considérée comme un #nettoyage_ethnique, en particulier dans les régions autour de l’actuelle bande de Gaza où l’#intentionnalité d’expulsion est certaine. Des responsables israéliens appellent aujourd’hui à une #expulsion de masse. C’est d’ailleurs pour cela que l’Égypte et la Jordanie ont fermé leurs frontières.

    Dans l’affaire actuelle, les démons du passé hantent les acteurs. Les juifs voient dans le 7 octobre une réitération de la Shoah et les Palestiniens dans les événements suivants celle de la Nakba.

    Faut-il craindre une annexion de la bande de Gaza par Israël avec des militaires mais aussi des colons ?

    En fait, personne ne connaît la suite des événements. On ne voit personne de volontaire pour prendre la gestion de la bande de Gaza. Certains responsables israéliens parlent de « dénazification » et il y a une dimension de vengeance dans les actes israéliens actuels. Mais les vengeances n’engendrent que des cycles permanents de violence.

    Quelle est votre analyse des atrocités commises le 7 octobre 2023 par le Hamas ?

    Elles constituent un changement considérable, parce que la position de l’État d’Israël est profondément modifiée au moins sur deux plans : premièrement, le pays a subi une invasion pour quelques heures de son territoire, ce qui n’est pas arrivé depuis sa création ; deuxièmement, le 7 octobre marque l’échec du projet sioniste tel qu’il a été institué après la Seconde Guerre mondiale, un endroit dans le monde où les juifs seraient en position de sécurité. Aujourd’hui, non seulement l’État d’Israël est en danger, mais il met en danger les diasporas qui, dans le monde occidental, se trouvent menacées ou, en tout cas, éprouvent un sentiment de peur.

    Le dernier tome de votre série consacrée à « La question de Palestine » (Fayard) était intitulé « La paix impossible » et courait sur la période 1982-2001. Vous étiez déjà très pessimiste quant à la résolution de ce conflit, mais aussi concernant l’avenir de la région, comme si elle était condamnée à demeurer cette poudrière. Est-ce que vous êtes encore plus pessimiste aujourd’hui ? Ou est-ce que le #conflit_israélo-palestinien vous apparaît soluble, et si oui, quelle issue apercevez-vous ?

    La réelle solution théorique serait d’arriver à un système de gestion commune et équitable de l’ensemble du territoire. Mais un État unitaire est difficile à concevoir puisque les deux peuples ont maintenant plus d’un siècle d’affrontements.

    Qu’en est-il de la solution à deux États, dont le principe a été adopté en 1947 par l’ONU, après la fin du mandat britannique ? Est-elle possible ?

    La solution à deux États n’est plus possible dès lors que vous avez 500 000 colons, dont quelques dizaines de milliers qui sont des #colons ultrareligieux et armés. Vous avez une violence quotidienne en #Cisjordanie. La sécurité des colons ne peut se fonder que sur l’insécurité des Palestiniens. Et l’insécurité des Palestiniens provoque la violence qui engendre l’insécurité des colons.

    C’est un cercle vicieux et vous ne pouvez espérer de sortie possible que par une décolonisation, mais à horizon immédiat, cette #décolonisation n’est pas faisable. Dans les années 1990, elle l’était. Il y avait 30 000 colons. On pouvait, sans trop de dégâts, faire une décolonisation de la Cisjordanie et de la bande de Gaza. 

    Aujourd’hui, nous sommes dans une position de domination, et cette solution peut prendre des siècles parce qu’il y a l’exceptionnalité juive qui crée une exceptionnalité israélienne qui elle-même crée une exceptionnalité palestinienne. C’est-à-dire que sans être péjoratif, les Palestiniens deviennent des juifs bis.

    Qu’entendez-vous par là ?

    Nous sommes depuis le 7 octobre devant un grand nombre de victimes. Mais ces dernières années, nous en avons eu bien plus en Irak, en Syrie, au Soudan et en Éthiopie. Cela n’a pas provoqué l’émoi mondial que nous connaissons aujourd’hui. L’émotion a été suscitée parce que les victimes étaient juives, puis elle s’est déplacée sur les victimes palestiniennes. Les deux peuples sont dans un corps à corps que même l’émotion n’arrive pas à séparer.

    Les années 1990 ont été marquées par les accords d’Oslo en 1993. Relèvent-ils du mirage aujourd’hui ?
     
    Non, on pouvait gérer une décolonisation. Mais déjà à la fin des accords d’Oslo, il n’y a pas eu décolonisation mais doublement de la #colonisation sous le gouvernement socialiste et ensuite sous le premier gouvernement Nétanyahou. Ce sont l’occupation, la colonisation, qui ont amené l’échec des processus. Il n’existe pas d’occupation, de colonisation pacifique et démocratique.

    Aujourd’hui, c’est infiniment plus difficile à l’aune de la violence, des passions, des derniers événements, des chocs identitaires, de la #haine tout simplement. Qui plus est, depuis une trentaine d’années, vous avez une évolution commune vers une vision religieuse et extrémiste, aussi bien chez les juifs que chez les Palestiniens.

    La Palestine fonctionne en jeu à somme nulle, le progrès de l’un se fait au détriment de l’autre.

    Vous voulez dire que le conflit territorial est devenu un conflit religieux ?

    Il a toujours été religieux. Dès l’origine, le mouvement sioniste ne pouvait fonctionner qu’en utilisant des références religieuses, même si ses patrons étaient laïcs. La blague de l’époque disait que les sionistes ne croyaient pas en Dieu mais croyaient que Dieu leur avait promis la Terre promise.

    Le projet sioniste, même s’il se présentait comme un mouvement de sauvetage du peuple juif, ne pouvait fonctionner qu’en manipulant les affects. Il était de nature religieuse puisqu’il renvoyait à la Terre sainte. Vous avez une myriade d’endroits qui sont des #symboles_religieux, mais qui sont aussi des #symboles_nationaux, aussi bien pour les #juifs que pour les #musulmans : l’esplanade des Mosquées, le tombeau des Patriarches, le mur des Lamentations. Et puis il y a les gens qui se sentent mandatés par Dieu.

    De même, les musulmans ont cherché des alliés en jouant sur la solidarité islamique. Dès les années 1930, la défense de la mosquée Al-Aqsa est devenue un thème fédérateur.

    Pourquoi est-il devenu difficile d’invoquer une lecture coloniale du conflit depuis les massacres du Hamas du 7 octobre ?

    Le sionisme est à l’origine un corps étranger dans la région. Pour arriver à ses fins, il a eu besoin d’un soutien européen avant 1914, puis britannique et finalement américain. Israël s’est posé comme citadelle de l’#Occident dans la région et conserve le #discours_colonial de la supériorité civilisatrice et démocratique. Cet anachronisme est douloureusement ressenti par les autres parties prenantes.

    Jusqu’à la Seconde Guerre mondiale, les responsables sionistes n’hésitaient pas à se comparer à la colonisation britannique en Afrique noire avec la nécessité de mater les protestations indigènes. 

    La Palestine fonctionne en jeu à somme nulle, le progrès de l’un se fait au détriment de l’autre. La constitution de l’État juif impliquait un « transfert » de la population arabe à l’extérieur, terme poli pour « expulsion ». La #confiscation des #terres détenues par les Arabes en est le corollaire. Les régions où ont eu lieu les atrocités du 7 octobre étaient peuplées d’Arabes qui ont été expulsés en 1948-1950.

    Dire cela, c’est se faire accuser de trouver des excuses au terrorisme. Dès que vous essayez de donner des éléments de compréhension, vous vous confrontez à l’accusation : « Comprendre, c’est excuser. » Il faut bien admettre que le #Hamas dans la bande de Gaza recrute majoritairement chez les descendants des expulsés. Cela ne veut pas dire approuver ce qui s’est passé.

    Le slogan « From the river to the sea, Palestine will be free » (« De la rivière à la mer, la Palestine sera libre ») utilisé par les soutiens de la Palestine fait polémique. Est-ce vouloir rayer de la carte Israël ou une revendication légitime d’un État palestinien ?

    Il a été utilisé par les deux parties et dans le même sens. Les mouvements sionistes, en particulier la droite sioniste, ont toujours dit que cette terre devait être juive et israélienne au moins jusqu’au fleuve. Le parti de l’ancêtre du Likoud voulait même annexer l’ensemble de la Jordanie.

    Chez certains Palestiniens, on a une vision soft qui consiste à dire que « si nous réclamons un État palestinien réunissant la bande de Gaza et la Cisjordanie, nous considérons l’ensemble de la terre comme la Palestine historique, comme partie de notre histoire, mais nous ne la revendiquons pas dans sa totalité ».

    Israël depuis sa fondation n’a pas de #frontières définies internationalement. Il a toujours revendiqué la totalité de la Palestine mandataire, voire plus. Il a ainsi rejeté l’avis de la Cour internationale de justice qui faisait des lignes d’armistice de 1949 ses frontières permanentes.

    Cette indétermination se retrouve de l’autre côté. La libération de la Palestine renvoie à la totalité du territoire. D’autres exigeaient la carte du plan de partage de 1947. Pour l’Organisation de libération de la Palestine (#OLP), faire l’#État_palestinien sur les territoires occupés en 1968 était la concession ultime.

    Les Arabes en général ont reçu sans grand problème les réfugiés arméniens durant la Grande Guerre et les années suivantes. Ces Arméniens ont pu conserver l’essentiel de leur culture. Mais il n’y avait pas de question politique. Il n’était pas question de créer un État arménien au Levant.

    Dès le départ, les Arabes de Palestine ont vu dans le projet sioniste une menace de dépossession et d’expulsion. On ne peut pas dire qu’ils ont eu tort…

    Le mouvement islamiste palestinien, le Hamas, classé #terroriste par l’Union européenne et les États-Unis, est aujourd’hui le principal acteur de la guerre avec Israël…

    Définir l’ennemi comme terroriste, c’est le placer hors la loi. Bien des épisodes de décolonisation ont vu des « terroristes » devenir du jour au lendemain des interlocuteurs valables. 

    Bien sûr, il existe des actes terroristes et les atrocités du 7 octobre le sont. Mais c’est plus une méthodologie qu’une idéologie. C’est une forme de guerre qui s’en prend aux civils selon les définitions les plus courantes. Jamais un terroriste ne s’est défini comme tel. Il se voit comme un combattant légitime et généralement son but est d’être considéré comme tel. Avec l’État islamique et le 7 octobre, on se trouve clairement devant un usage volontaire de la cruauté.

    La rhétorique habituelle est de dire que l’on fait la guerre à un régime politique et non à un peuple. Mais si on n’offre pas une perspective politique à ce peuple, il a le sentiment que c’est lui que l’on a mis hors la loi. Il le voit bien quand on dit « les Israéliens ont le droit de se défendre », mais apparemment pas quand il s’agit de Palestiniens.

    D’aucuns expliquent qu’Israël a favorisé l’ascension du Hamas pour qu’un vrai État palestinien indépendant ne voie jamais le jour au détriment de l’#autorité_palestinienne qui n’administre aujourd’hui plus que la Cisjordanie. Est-ce que le Hamas est le meilleur ennemi des Palestiniens ? 

    Incontestablement, les Israéliens ont favorisé les #Frères_musulmans de la bande de Gaza dans les années 1970 et 1980 pour contrer les activités du #Fatah. De même, après 2007, ils voulaient faire du Hamas un #sous-traitant chargé de la bande de Gaza, comme l’Autorité palestinienne l’est pour la Cisjordanie. 

    Le meilleur moyen de contrer le Hamas est d’offrir aux Palestiniens une vraie perspective politique et non de bonnes paroles et quelques aides économiques qui sont des emplâtres sur des jambes de bois. 

    Quel peut être l’avenir de l’Autorité palestinienne, aujourd’hui déconsidérée ? Et du Fatah, le parti du président Mahmoud Abbas, pressé par la base de renouer avec la lutte armée et le Hamas ?

    Le seul acquis de l’Autorité palestinienne, ou plus précisément de l’OLP, c’est sa légitimité diplomatique. Sur le terrain, elle est perçue comme un sous-traitant de l’occupation israélienne incapable de contrer un régime d’occupation de plus en plus dur. Elle est dans l’incapacité de protéger ses administrés. Le risque majeur pour elle est tout simplement de s’effondrer.

    Le Hamas appelle les Palestiniens de Cisjordanie à se soulever. Un soulèvement généralisé des Palestiniens peut-il advenir ?

    En Cisjordanie, on a surtout de petits groupes de jeunes armés totalement désorganisés. Mais la violence et la répression sont devenues quotidiennes et les violences permanentes. À l’extérieur, l’Occident apparaît complice de l’occupation et de la répression israéliennes. L’Iran, la Chine et la Russie en profitent.

    Le premier tome de votre monumentale « Question de Palestine » s’ouvre sur 1799, lorsque l’armée de Napoléon Bonaparte entre en Palestine, il court jusqu’en 1922. Avec cette accroche : l’invention de la Terre sainte. En quoi cette année est-elle fondatrice ?

    En 1799, l’armée de Bonaparte parcourt le littoral palestinien jusqu’à Tyr. En Europe, certains y voient la possibilité de créer un État juif en Palestine. Mais l’ouverture de la Terre sainte aux Occidentaux est aussi l’occasion d’une lutte d’influences entre puissances chrétiennes. 

    Dans le tome 4, « Le rameau d’olivier et le fusil du combattant » (1967-1982), vous revenez sur ce qui a été un conflit israélo-arabe, puis un conflit israélo-palestinien. Est-ce que cela peut le redevenir ?

    Jusqu’en 1948, c’est un conflit israélo-palestinien avant tout. En 1948, cela devient un #conflit_israélo-arabe avec une dimension palestinienne. À partir de la fin des années 1970, la dimension palestinienne redevient essentielle.

    Ben Gourion disait que la victoire du sionisme était d’avoir transformé la question juive en problème arabe. Les derniers événements semblent montrer que le #problème_arabe est en train de redevenir une #question_juive.

    Le rôle des États-Unis a toujours été déterminant dans ce conflit. Que nous dit leur position aujourd’hui ? 

    La question de Palestine est en même temps une question intérieure pour les pays occidentaux du fait de l’histoire de la Shoah et de la colonisation. Il s’y ajoute aux États-Unis une dimension religieuse du fait du biblisme protestant et du « pionniérisme ». Les Palestiniens leur semblent être quelque part entre les Indiens et les Mexicains…

    La « République impériale » vient encore de montrer son impressionnante capacité de projection militaire dans la région, mais aussi son incapacité à obtenir un règlement politique satisfaisant.

    Pourquoi ce conflit déclenche-t-il autant de passions et clive-t-il autant dans le monde entier, où comme en France, le président appelle à « ne pas importer le conflit » ?

    C’est un conflit gorgé d’histoire. La Terre sainte est celle des trois religions monothéistes. Le conflit lui-même porte avec lui la mémoire de la Shoah et de la colonisation, d’où l’extraordinaire position d’exceptionnalité des acteurs.

    Vous avez écrit cinq tomes sur la question de Palestine. Après l’ultime « La Paix impossible », quel pourrait être le sixième ?
     
    Peut-être le retour de la question juive, mais c’est loin d’être une perspective encourageante.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/191123/henry-laurens-est-sur-la-voie-d-un-processus-de-destruction-de-masse-gaza

    #discours_génocidaire #religion (s) #sionisme

  • Les départements alertent sur la question des mineurs isolés étrangers
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/10/18/les-departements-alertent-sur-la-question-des-mineurs-isoles-etrangers_61952

    Les départements alertent sur la question des mineurs isolés étrangers
    L’Etat doit participer à la prise en charge des mineurs non accompagnés, réclame l’Assemblée des départements de France, qui a voté une résolution en ce sens. Le gouvernement se dit prêt à envisager une « renationalisation » de la protection de l’enfance.
    Par Lyssia Gingins
    Publié le 18 octobre 2023 à 17h59
    Après une baisse liée à la crise sanitaire, les arrivées de mineurs isolés étrangers ont repris de plus belle sur le territoire. Dans les Alpes-Maritimes, ils ont été 5 600 à passer la frontière depuis le début de l’année, contre 3 400 à la même date en 2022, des chiffres avancés par la collectivité locale. De quoi pousser les départements, chargés de leur accueil au titre de l’aide sociale à l’enfance (ASE), à alerter face à la saturation de leurs capacités d’accueil. Dans une résolution adoptée à l’unanimité, mercredi 11 octobre, l’Assemblée des départements de France (ADF) demande au gouvernement plusieurs évolutions réglementaires, notamment en matière d’immigration. « On appelle l’Etat à assumer ses responsabilités. Les départements appellent à l’aide depuis des mois », souligne François Sauvadet (UDI), président de l’ADF.
    Les mineurs isolés étrangers, en tant qu’enfants privés de protection familiale, sont pris en charge par les départements. A leur arrivée en France, ils sont soumis à une évaluation de minorité. Entre-temps, le département est responsable de leur mise à l’abri. Le nombre de mineurs isolés pris en charge dans le pays – près de 44 000 d’ici à la fin d’année, avancent les départements, alors que le nombre de mineurs – dépasse désormais le pic de 2018. « Mais, à l’époque, on n’avait pas tous les indicateurs au rouge », alerte le président de l’ADF. Hausse des coûts liée à l’inflation, augmentation continue des placements d’enfants et généralisation de l’accompagnement des 18-21 ans depuis la loi Taquet de 2022 : l’année 2023 s’avère critique pour l’ASE, qui suit plus de 370 000 enfants en France.« La crise actuelle due aux mineurs non accompagnés est venue emboliser un système déjà en tension extrême, conduisant parfois des présidents [de départements] à ne pas pouvoir exécuter des décisions de placements dont ils sont comptables pénalement », alerte l’ADF dans une lettre adressée à la première ministre.
    « Quand les assistantes sociales sont mobilisées à la frontière, elles manquent dans le reste des services, estime Charles-Ange Ginésy (Les Républicains, LR), président des Alpes-Maritimes. Les moyens humains et financiers ne sont pas extensibles, d’autant que le département manque de leviers fiscaux. » Martine Vassal (LR), présidente des Bouches-du-Rhône, espère que le sujet sera abordé à l’occasion du projet de loi immigration, qui permet à la droite de faire monter les enchères sur ces questions et doit être examiné au Sénat à partir du 6 novembre. « On nous demande de gérer le flux migratoire, alors que ce n’est pas notre compétence », regrette-t-elle.
    L’arrivée importante de mineurs isolés étrangers n’est qu’un des aspects des difficultés que traverse l’ASE, selon Stéphane Troussel (Parti socialiste), président de la Seine-Saint-Denis. « Mais ça paraît légitime que l’Etat accompagne sur les compétences qui lui reviennent, et qu’il participe aux dépenses engendrées par sa politique, acquiesce le président du département qui effectue une part importante des évaluations de minorité du pays. Si l’Etat prenait en charge la mise à l’abri avant l’évaluation de minorité, ça arrangerait déjà beaucoup de choses. »
    La mesure figure tout en haut de la liste de demandes de l’Assemblée des départements de France. « La prise en charge de l’immigration ne peut pas reposer uniquement sur la solidarité départementale. La solidarité nationale doit jouer », estime François Sauvadet.Pour autant, l’ADF reconnaît que « la crise que traverse l’ASE dépasse de beaucoup la seule crise migratoire ». Les mineurs isolés ne constituent que 15 % à 20 % des enfants suivis par l’aide sociale à l’enfance, dont le nombre est en hausse continue. Pour faire face à l’augmentation des placements, le budget consacré par les départements a doublé en vingt ans, pour atteindre 10 milliards aujourd’hui.
    Tous les départements connaissent, de longue date, de graves problèmes de recrutement. « Il y a une crise d’attractivité des métiers du lien social, qui doit devenir un chantier prioritaire », estime Stéphane Troussel. Le département a d’ores et déjà mené un « grand plan » de revalorisation salariale et de conditions de travail, selon son président, « mais sans mobilisation nationale, l’échelon local ne suffira pas ».Pour François Sauvadet, les conditions de ces métiers difficiles sont aggravées par les carences dans certains domaines qui relèvent de la compétence nationale, comme la pédopsychiatrie, la prise en charge du handicap ou encore la protection judiciaire de la jeunesse : « Un jeune en détresse psychiatrique qui casse des meubles, qu’est-ce qu’on peut faire pour lui ? C’est une situation qui relève du soin. »
    Pour les mineurs étrangers, l’accès à la régularisation à la majorité vient également entraver des parcours d’insertion. « On a des situations où un employeur qui voulait accueillir un jeune doit renoncer, parce que son titre de séjour prend des mois à arriver, déplore Stéphane Troussel. L’Etat doit prendre ses responsabilités dans les compétences qui lui reviennent. »
    Face à la bronca des départements, le gouvernement se dit prêt à envisager une « renationalisation » de la protection de l’enfance, même si cette option n’est pas sa « logique première », a indiqué, mercredi 11 octobre, la secrétaire d’Etat à l’enfance, Charlotte Caubel.« Faut-il que l’Etat se charge de l’évaluation de la minorité de ces jeunes, de leur mise à l’abri – auxquelles il contribue déjà – ou plus largement de leur prise en charge ? La discussion est ouverte avec les départements », a indiqué Charlotte Caubel à l’Agence France-Presse. L’idée d’une renationalisation ne séduit pas les présidents de départements. « Laisser croire que l’Etat ferait mieux que nous dans le travail de proximité est scandaleux pour nos agents. Qui veut le retour des DDASS d’antan [supprimées en 2010 et qui relevaient de la compétence de l’Etat] ? » s’agace François Sauvadet.

    #Covid-19#migrant#migration#sante#france#mineurisole#politiquemigratoire#accueil#minorite#regularisation#protectionenfance#parcoursmigratoire#insertion

  • Le gouvernement veut accélérer l’expulsion d’étrangers radicalisés, quitte à s’affranchir de la jurisprudence de la CEDH
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/10/16/le-gouvernement-veut-accelerer-l-expulsion-d-etrangers-radicalises-quitte-a-

    Le gouvernement veut accélérer l’expulsion d’étrangers radicalisés, quitte à s’affranchir de la jurisprudence de la CEDH
    Après l’attentat d’Arras, où le meurtrier était en situation irrégulière et connu pour radicalisation, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, dénonce les limites, selon lui, de la loi actuelle, qu’il veut modifier avec le projet de loi « immigration ».
    Par Julia Pascual
    Il faut procéder à l’« expulsion systématique de tout étranger (…) considéré comme dangereux par les services de renseignement », a déclaré Gérald Darmanin, samedi 14 octobre, assurant avoir demandé aux préfets de passer en revue tous les étrangers qui pouvaient répondre à cette catégorie. Le fichier de traitement des signalements pour la prévention de la radicalisation à caractère terroriste (FSPRT) compte 5 100 personnes, françaises en majorité.Depuis l’assassinat, le 13 octobre, du professeur de français Dominique Bernard par un Russe radicalisé, ancien élève de la cité scolaire Gambetta-Carnot à Arras, le ministre de l’intérieur cherche la parade face aux critiques sur la gestion administrative de l’auteur des faits, Mohammed Mogouchkov. Suivi par les services de renseignement « depuis la fin du mois de juillet », grâce à des écoutes et des mesures de surveillance physique, il se trouvait, en outre, en situation irrégulière bien qu’« inexpulsable », assure la Place Beauvau, en raison de son arrivée en France avant l’âge de 13 ans.
    « La loi de la République (…) empêche le ministre de l’intérieur d’expulser tout citoyen étranger qui a commis un acte grave mais qui est arrivé avant l’âge de 13 ans sur le territoire national », a déclaré M. Darmanin. Avant d’expliquer que le projet de loi « immigration » – dont l’examen en séance publique débute le 6 novembre au Sénat – vise justement à remédier à cette « difficulté dans le droit ». « Il y a 4 000 étrangers délinquants que je ne peux pas expulser (…) parce que la loi empêche de les expulser », défend M. Darmanin.
    Qu’en est-il réellement ? « La seule catégorie inexpulsable, ce sont les mineurs, rappelle Stéphane Maugendre, avocat et président honoraire du Groupe d’information et de soutien des immigrés (Gisti). Tous les autres étrangers sont expulsables à certaines conditions. » Des catégories d’étrangers bien spécifiques bénéficient d’une protection quasi absolue, et notamment ceux arrivés en France avant l’âge de 13 ans, ceux qui résident en France depuis plus de vingt ans ou encore les conjoints de Français mariés depuis au moins quatre ans et installés régulièrement dans le pays depuis plus de dix ans. Cette protection peut sauter, précise la loi, en cas de « comportements de nature à porter atteinte aux intérêts fondamentaux de l’Etat, ou liés à des activités à caractère terroriste, ou constituant des actes de provocation explicite et délibérée à la discrimination, à la haine ou à la violence ».
    C’est notamment sur ces conditions restrictives que l’arrêté d’expulsion de l’imam Hassan Iquioussen s’était fondé, en juillet 2022, attribuant à l’intéressé – né en France, qui n’avait pas été condamné – des propos antisémites et discriminatoires envers les femmes.Mohammed Mogouchkov aurait-il, lui aussi, pu faire l’objet d’un arrêté d’expulsion ? Le ministère de l’intérieur assure que non. « Cette personne n’avait aucun casier judiciaire », a insisté M. Darmanin. En février 2023, il avait toutefois été placé en garde à vue pour violences intrafamiliales après s’en être pris à sa mère. La préfecture du Pas-de-Calais s’était alors enquise de la possibilité de prononcer une obligation de quitter le territoire (OQTF) à son encontre, mais les services juridiques de la Place Beauvau avaient estimé que son dossier était trop maigre pour le tenter. Le jeune homme était déjà inscrit au FSPRT, du fait que sa famille était considérée comme tenante d’un islam radical et à la suite d’un signalement pour radicalisation de Mohammed Mogouchkov par son lycée, en 2020. Insuffisant pour l’expulser, tranche M. Darmanin.
    La loi qu’il porte remédiera-t-elle à ce genre d’impasse ? Le ministère de l’intérieur le défend, arguant de la possibilité, créée par le texte, de prononcer une OQTF à l’encontre d’une personne relevant des catégories protégées dans le cas où « son comportement constitue une menace grave pour l’ordre public ».C’est en tout état de cause parce qu’elle considérait Mohammed Mogouchkov comme une potentielle menace à l’ordre public que l’administration l’avait placé dans une sorte de no man’s land juridique : inexpulsable selon l’interprétation juridique du ministère de l’intérieur, mais en situation irrégulière depuis sa majorité. Après avoir échoué à obtenir l’asile, Mohammed Mogouchkov avait fait une demande de titre de séjour au regard de sa vie privée et familiale. Arrivé en France à l’âge de 5 ans, il aurait dû en bénéficier de plein droit, mais il lui a été refusé en juillet 2021, vraisemblablement sur des motifs d’ordre public, selon une source policière.Pour Cécile Madeline, avocate en droit des étrangers au barreau de Rouen et membre du Syndicat des avocats de France, la loi est érigée en « bouc émissaire ». L’avocate considère qu’indépendamment du projet de loi à venir, le ministère de l’intérieur s’affranchit déjà des protections inscrites dans la loi. « Je défends des dossiers de détenus en prison qui reçoivent des OQTF alors qu’ils sont arrivés avant 13 ans », assure-t-elle.
    Déterminé à faire montre de plus de sévérité, M. Darmanin a promis de procéder à l’« expulsion systématique » d’une soixantaine de fichés S de nationalité russe, quitte à enfreindre le droit international. « Nous avons été condamnés par la CEDH [Cour européenne des droits de l’homme] (…), mais j’assume », a-t-il revendiqué. En août 2022, la France avait, en effet, été condamnée dans deux arrêts pour avoir expulsé ou voulu expulser deux ressortissants tchétchènes en Russie, en violation de l’article 3 de la convention européenne des droits de l’homme, qui interdit aux Etats de soumettre une personne à des peines ou à des traitements inhumains ou dégradants. « [L’article 3] ne souffre nulle dérogation, même en cas de danger public menaçant la vie de la nation, avait argumenté dans son arrêt la CEDH. Il en est de même y compris dans l’hypothèse où, comme en l’espèce, le requérant a eu des liens avec une organisation terroriste. »

    #Covid-19#migrant#migration#france#expulsion#loi#droit#CEDH#terrorisme#OQTF#ministereinterieur#protection

  • Quand il s’agissait de poser une bombe chez Reflets | Reflets.info
    https://reflets.info/articles/quand-il-s-agissait-de-poser-une-bombe-chez-reflets

    Passionnant article pour situation plus qu’inquiétante.

    Deux salariés de Nexa/Amesys discutaient de faire sauter, littéralement, le rédacteur en chef de notre journal

    Dans un échange saisi par la justice, deux salariés d’Amesys/Nexa évoquent une filature, l’identification du véhicule et de l’adresse du rédacteur en chef de Reflets et l’idée d’y poser un bombe. Le dossier judiciaire portant sur « une complicité de torture ou acte de barbarie, traitements inhumains et dégradants » n’a pas empêché l’exfiltration de deux anciens d’Amesys vers l’Agence nationale de la sécurité des systèmes d’information (ANSSI). Un message clair envoyé par l’Etat français...

    #ANSSI #Services_secrets #Journalisme #Protection_sources

  • A Chypre, la solidarité de la communauté syrienne : « On s’est construit une stabilité, étape par étape »
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/02/a-chypre-la-solidarite-de-la-communaute-syrienne-on-s-est-construit-une-stab

    A Chypre, la solidarité de la communauté syrienne : « On s’est construit une stabilité, étape par étape »
    Par Laure Stephan (Nicosie (Chypre), envoyée spéciale)
    Le réseau au sein de la communauté aide les nouveaux arrivants, de plus en plus nombreux, à s’intégrer au sein du marché du travail. Mais Nicosie voudrait que l’Union européenne réévalue certaines régions de Syrie comme « sûres » afin que des rapatriements puissent avoir lieu.
    Mohamed guette le mouvement dans la rue, devant le local où il prépare des mana’iche (pizzas orientales) et autres mets salés prisés de sa clientèle, souvent syrienne. Il sourit quand sa femme, Fatima, accompagnée de leurs trois filles, se gare devant son échoppe située à Kaimakli, un quartier de Nicosie, la capitale chypriote. Les fillettes sont nées ici ; Fatima était enceinte de Rahaf, l’aînée, lorsque le jeune couple est arrivé sur l’île, en octobre 2015, par bateau. Ils espéraient gagner la Grèce, mais l’agitation de la mer en a décidé autrement. Ils ne le regrettent pas. « Le climat et le goût des Chypriotes pour les liens sociaux nous rappellent la Syrie, dont les côtes sont proches, à une centaine de kilomètres », observe Mohamed, originaire du gouvernorat de Homs, qui souhaite, comme tous ceux rencontrés, ne pas communiquer son nom de famille.
    Pour commencer ce nouveau chapitre, il a frappé aux portes de compatriotes déjà installés : le snack où il travaille appartient à un Syrien. Fatima y prépare des falafels. « On s’est construit une stabilité, étape par étape. Aujourd’hui, c’est à notre tour de recevoir des Syriens en quête de travail », avance cette femme qui se préparait à être institutrice en Syrie quand la guerre a éclaté. Elle mesure leur chance : ils ont obtenu rapidement un statut de protection, à la différence de Syriens arrivés plus tard, dont les dossiers ne sont pas tranchés – les métiers qu’ils peuvent exercer sont limités quand ils ont le statut de demandeurs d’asile. Dans la salle, Rahaf fait ses devoirs. Elle parle arabe à la maison, grec à l’école, et joue parfois la traductrice pour ses parents, du haut de ses 7 ans.
    A Chypre, une diaspora syrienne s’est formée à partir des années 1980. Elle est longtemps restée petite de taille. Ses membres ont réussi, dans la restauration ou la construction, et faisaient souvent la navette avec leur pays d’origine. Puis, à partir de 2011, sont venus d’autres Syriens fuyant la guerre. La communauté, qui comprend aujourd’hui de 20 000 à 25 000 personnes selon les estimations, est multiconfessionnelle, comme dans le pays d’origine. Des sunnites (majoritaires en Syrie) y sont installés, mais aussi des alaouites (la confession de Bachar Al-Assad) et des chrétiens.
    « On s’entraide pour trouver du travail », avance Mohamed, 26 ans, qui était boucher dans le sud de la Syrie. Sur l’île divisée, il a débuté comme ouvrier dans le bâtiment. « J’étais prêt à tout, pourvu que mes enfants mangent », raconte-t-il, assis dans une rue piétonne de la vieille ville de Nicosie, face à la boucherie-épicerie qu’il a fini par ouvrir en 2022. Un Chypriote et un Syrien lui ont prêté des fonds. Il n’a pas choisi l’adresse au hasard : beaucoup de ses compatriotes fréquentent le quartier. « On travaille du petit matin jusqu’à tard le soir. On a peu de temps pour les occasions sociales. Des mariages nous rassemblent parfois, à Kaimakli. »
    C’est ici que vit aussi un homonyme, Mohamed, ouvrier. Installé dans l’entrée d’une bâtisse ancienne, de celles qui font le charme des ruelles, il fume le narguilé et boit du maté, une boisson issue de la culture amérindienne, très populaire en Syrie. Originaire de la région de Tartous, il était mineur lorsqu’il a débarqué à Chypre, il y a un an, sans avoir terminé sa scolarité. Un cousin déjà installé lui a trouvé une place sur un chantier. « Des amis sont venus ici aussi, à cause de la situation économique en Syrie. Il n’y a pas de travail. »
    Abou Jad (un surnom) connaît bien les régions chypriotes fréquentées par la communauté. Natif d’Idlib, il « rêve tous les jours de pouvoir revivre dans [s]on pays ». En attendant, il s’apprête à ouvrir un bureau pour s’occuper des démarches des réfugiés, « ceux qui ne parlent ni grec ni anglais et s’arrachent les cheveux pour les formalités administratives », après avoir longtemps apporté une aide bénévole. Mais tout n’est pas que solidarité chez les exilés, déchirés par la séparation avec leurs proches restés en Syrie. Beaucoup se gardent de parler de politique avec de nouvelles connaissances, par crainte d’être fichés ou de mettre en danger leur famille. Alors qu’un collectif pro-opposition existe déjà pour représenter la communauté, des Syriens aimeraient qu’un autre voit le jour, apolitique.
    La représentation diplomatique de Damas demeure incontournable pour certains papiers. Des hommes d’affaires à Chypre continuent de soutenir le régime. Rami Makhlouf, cousin de Bachar Al-Assad et symbole de l’affairisme néolibéral conspué par les manifestants de 2011, avait obtenu la nationalité chypriote en 2010, lorsque le régime était jugé fréquentable par les Occidentaux. Elle lui a été retirée deux ans plus tard par les autorités de Nicosie, après que son nom a été inscrit sur la liste noire de l’Union européenne. Au snack où travaillent Mohamed et Fatima, la voix du premier se teinte d’émotion quand il évoque les retrouvailles avec ses parents cet été. « Cela faisait dix ans que je ne les avais plus vus ! » Le rassemblement a eu lieu en Jordanie. La famille a pu s’y rendre parce qu’elle a obtenu des documents de voyage, délivrés par les autorités chypriotes.
    D’autres réunions se déroulent, en cette fin d’après-midi de septembre, à l’entrée du camp de transit de Pournara, situé dans une zone isolée à l’écart de Nicosie. C’est là que sont conduits les nouveaux arrivants pour être identifiés et enregistrés. Une embarcation partie de Syrie a gagné les eaux chypriotes le matin ; une autre est annoncée. Des Syriens patientent à l’extérieur du camp, vivres à la main, qu’ils veulent remettre à leurs proches. Ils ne pourront pas les étreindre, mais ils sont autorisés à s’approcher du grillage qui ceint le camp, pour un face-à-face de quelques minutes. Les portes de l’abri chypriote pourraient se refermer. Davantage de barques sont parties cet été depuis les côtes syriennes. Il est encore trop tôt pour savoir si le flux se tarira une fois finie la saison propice aux traversées depuis le Liban, la Turquie ou la Syrie. Mais la poursuite de la descente aux enfers syrienne, avec l’effondrement économique, nourrit les départs, y compris de candidats venus de zones tenues par la rébellion anti-Assad. Les mineurs sont aussi plus nombreux à prendre la mer.
    Le gouvernement de Nicosie souhaite que l’Union européenne réévalue certaines régions de Syrie comme « sûres » – une position que partageraient d’autres pays – afin que des rapatriements puissent avoir lieu. Le renvoi de Syriens vers le Liban – lié par des accords avec Chypre sur la question migratoire, et érigé en « rempart » par Nicosie, qui demande plus d’aide pour le pays du Cèdre – cet été avait été vivement critiqué par le Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies.

    #Covid-19#migrant#migration#syrie#chypre#refugie#ue#retour#rapatriement#liban#hcr#demandeurdasile#protection

  • Tunisie : le président, Kaïs Saïed, refuse les fonds européens pour les migrants, qu’il considère comme de la « charité »
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/10/03/tunisie-le-president-kais-saied-rejette-les-fonds-europeens-pour-les-migrant

    Tunisie : le président, Kaïs Saïed, refuse les fonds européens pour les migrants, qu’il considère comme de la « charité »
    Le Monde avec AFP
    Publié aujourd’hui à 00h28, modifié à 07h26
    Première anicroche dans le contrat passé en juillet entre la Tunisie et l’Union européenne (UE) dans le dossier sensible des migrants. Kaïs Saïed, le président tunisien, a, en effet, déclaré, lundi 2 octobre en soirée, que son pays refusait les fonds alloués par Bruxelles, dont le montant « dérisoire » va à l’encontre de l’entente entre les deux parties.
    La Commission européenne avait annoncé le 22 septembre qu’elle commencerait à allouer « rapidement » les fonds prévus dans le cadre de l’accord avec la Tunisie afin de faire baisser les arrivées de migrants au départ de ce pays. La Commission a précisé que sur les 105 millions d’euros d’aide prévus par cet accord pour lutter contre l’immigration irrégulière, quelque 42 millions d’euros allaient être « alloués rapidement ». Auxquels s’ajoutent 24,7 millions d’euros déjà prévus dans le cadre de programmes en cours.
    « La Tunisie, qui accepte la coopération, n’accepte pas tout ce qui s’apparente à de la charité ou à la faveur, car notre pays et notre peuple ne veulent pas de la sympathie et ne l’acceptent pas quand elle est sans respect », stipule un communiqué de la présidence tunisienne. « Par conséquence, la Tunisie refuse ce qui a été annoncé ces derniers jours par l’UE », a dit M. Saïed qui recevait son ministre des affaires étrangères, Nabil Ammar.
    Il a expliqué que ce refus n’était pas lié au « montant dérisoire (…) mais parce que cette proposition va à l’encontre » de l’accord signé à Tunis et « de l’esprit qui a régné lors de la conférence de Rome », en juillet.
    Selon la Commission européenne, l’aide doit servir en partie à la remise en état de bateaux utilisés par les garde-côtes tunisiens et à la coopération avec des organisations internationales à la fois pour la « protection des migrants » et pour des opérations de retour de ces exilés depuis la Tunisie vers leurs pays d’origine. Ce protocole d’accord entre la Tunisie et l’UE prévoit en outre une aide budgétaire directe de 150 millions d’euros en 2023 alors que le pays est confronté à de graves difficultés économiques. Enfin, M. Saïed a ajouté que son pays « met tout en œuvre pour démanteler les réseaux criminels de trafic d’êtres humains ».

    #Covid-19#migrant#migration#ue#tunisie#politiquemigratoire#frontiere#operationnalisation#migrationirregulierepaysdorigine#retour#trafichumain#protection

  • 🚨 RÉFORME DU RSA : LA NOTE SUR LE DANGER DE LA RÉFORME QUE LE GOUVERNEMENT VOULAIT CACHER. 🧶, Arthur Delaporte, député de la 2ème circonscription du Calvados • Porte-parole du groupe PS à l’A.N.

    https://threadreaderapp.com/thread/1706736451625370073.html

    Comment la réforme du RSA va mettre les Français dans la galère plutôt qu’au travail.

    Depuis lundi, l’Assemblée nationale étudie le texte « pour le plein emploi ». Au menu : 15h d’activité obligatoire par semaine pour les allocataires du RSA et des sanctions à la pelle.
    C’est là que ça se corse. On a beau demander au ministre @olivierdussopt d’avoir des données sur les sanctions : combien ? sur quels territoires ? pour quelle efficacité ?

    Aucune réponse. Le parlement légifère à l’aveugle.

    ce Monsieur publie en 1ère page cette note, réputée publique, mais ne la publie pas. je ne la trouve nulle part...

    #RSA #France_travail #loi_plein_emploi #sanctions

    • Ration non plus ne publie pas la note CNAF France Travail : des députés socialistes dénoncent une réforme « à l’aveugle » des sanctions du RSA
      https://www.liberation.fr/economie/social/france-travail-des-deputes-socialistes-denoncent-une-reforme-a-laveugle-d

      Arthur Delaporte et Jérôme Guedj ont obtenu de la CNAF une étude partielle sur les sanctions imposées aux allocataires de ce revenu minimal de subsistance. Et y trouvent la preuve que « la sanction a pour conséquence d’exclure du RSA ».

      En réformant le système de sanction des allocataires du RSA avec son projet de loi « France Travail » (ou « plein emploi »), le gouvernement a-t-il une idée de ce qu’il fait ? C’est la question que veulent poser deux députés socialistes, Arthur Delaporte (Calvados) et Jérôme Guedj (Essonne), alors que l’Assemblée nationale examine cette semaine le texte dans l’hémicycle. Au cœur de leur offensive, lancée ce mardi après-midi en séance, figure un document obtenu lundi soir par Jérôme Guedj auprès de la Caisse nationale d’allocation familiale (CNAF), en sa qualité de coprésident de la Mission d’évaluation et de contrôle des lois de financement de la sécurité sociale (Mecss). « Depuis mai dernier, je demande des éléments sur les sanctions actuellement appliquées, mais le gouvernement ne répond pas », explique Arthur Delaporte. « Jeudi, Jérôme [Guedj] a envoyé un courrier en tant que coprésident de la Mecss au président de la CNAF, qui lui a répondu hier soir tard en disant que ces éléments ne lui ont jamais été demandés par quiconque. Donc le gouvernement ne les a jamais demandés, ce qui est un peu surprenant. »

      Interpellé par Arthur Delaporte dans l’hémicycle ce mardi, le ministre du Travail, Olivier Dussopt, a répondu qu’il « n’existe pas de relevé statistique du nombre de radiés (…) au niveau national, et donc nous n’avons pas ce fichier-là ». Pour autant, la CNAF – qui confirme au passage n’avoir pas de suivi statistique sur le sujet des sanctions – est bien parvenue, dans un temps très court et à la demande des députés socialistes, à fournir une étude portant sur un seul mois, celui de juin 2022. Seulement, précise le rédacteur de cette note que Libération a pu consulter, ces données sont « fragiles » et « doivent donc être considérées avec grande prudence, comme des ordres de grandeurs ».

      Que disent-elles ? Qu’au mois de juin 2022, les CAF ont sanctionné 31 500 personnes, réparties dans 31 000 foyers bénéficiaires du RSA « pour non-respect des obligations du contrat d’engagement réciproque (“droits et devoirs”) » (1). Ces sanctions, justifiées par une absence de déclaration des ressources ou à la suite d’un contrôle, pouvaient prendre la forme soit d’une suspension du RSA (dans 40 % des cas) ou d’une réduction de l’allocation d’un certain taux ou d’un certain montant (257 euros en moyenne, une somme importante rapportée aux 504 euros qui constituaient le droit moyen au RSA à verser pour l’ensemble des foyers allocataires en juin 2022). Il s’agissait bien, précise la CNAF, d’un « stock » et non d’un flux, ce qui signifie que ces 31 000 foyers, soit 2 % du total des foyers bénéficiaires, constituaient l’intégralité de ceux visés par des sanctions ce mois-là. Et que, relève la note, « la sanction semble avoir un impact sur le droit au RSA à moyen terme », en entraînant « fréquemment une sortie du droit ». Ainsi, alors que près de la moitié des personnes sanctionnées en juin 2022 avaient droit au RSA, elles n’étaient plus que 35 % en octobre, quatre mois plus tard.

      L’étude de la CNAF n’avance aucune explication à ce phénomène. Pour Arthur Delaporte, c’est la preuve que « la sanction a pour conséquence d’exclure du RSA, ce que pointent d’ailleurs les associations », et que « la loi va avoir des conséquences extrêmement graves sur l’exclusion, la pauvreté ». « On légifère à l’aveugle », accuse-t-il encore en dénonçant la pauvreté de l’étude d’impact accompagnant le projet de loi. Des arguments que les socialistes ne manqueront pas de faire valoir lors de l’examen de l’article 3 du texte, qui introduit justement une nouvelle sanction dans le système en permettant une suspension quasi immédiate de l’allocation, laquelle peut ensuite être remboursée à l’allocataire (dans une limite de trois mois) s’il est rentré dans le droit chemin.

      (1) Il faut y ajouter, précise la note, 13 000 foyers dont le RSA a été suspendu sur décision du Conseil départemental [instance en charge du pilotage local et de l’"insertion", ndc], mais l’étude ne s’attarde pas sur eux.

      #CNAF #CAF #déclaration_de_ressources #contrôle #allocataire #suspension #droit_au_RSA #Conseil_départemental

    • Les salariés de Pôle emploi étaient en grève, ce mardi 26 septembre, pour dénoncer le texte de loi examiné en ce moment à l’Assemblée nationale. Malgré la contestation, le ministre du Travail, Olivier Dussopt, croit dur comme fer à son adoption par le vote.
      https://www.humanite.fr/social-et-economie/emploi/france-travail-un-projet-purement-coercitif

      Face à la mobilisation des agents, le ministre met en avant les 4 000 créations de postes à #Pôle_emploi durant le premier quinquennat et confirme un prochain relèvement du plafond des effectifs de 300 personnes. Le ministre du Travail n’en démord pas. « Pôle emploi, devenu France Travail, aura les moyens de faire face à ses nouveaux engagements tant en termes de services mutualisés que d’accueil et d’accompagnement renforcé des demandeurs d’emploi et allocataires du RSA. »

      Pourtant, l’équation est par essence insoluble : « On va demander aux 54 000 agents de suivre et contrôler 2 millions de personnes au RSA qui devront s’inscrire à France Travail. Seule une partie d’entre elles l’étaient jusqu’ici, met en parallèle Loïc Kerdraon. Beaucoup de collègues sont déjà en souffrance. Quand je visite une agence, je vois les salariés en larmes et d’autres qui me confient prendre des cachets. »

      à ma prochaine visite chez pôpol, je leur proposerai une goulée de mon kil de rouge pour faire descendre les cachetons.

    • "La loi sur le plein emploi terrorise les bénéficiaires du RSA" dénonce Sandrine Rousseau
      https://www.sudradio.fr/sud-radio/la-loi-sur-le-plein-emploi-terrorise-les-beneficiaires-du-rsa-denonce-sandr

      Parmi les nouvelles mesures, les conjoints des bénéficiaires de RSA seront inscrits sur les listes de demandeurs d’emploi. "Au nom de quoi ? C’est très grave !" s’indigne Sandrine Rousseau, qui indique qu’elle ne votera pas le texte. La députée dénonce par ailleurs le contrat d’engagement de 15 à 20h d’activité pour les bénéficiaires du RSA. "Le but de la loi est de pouvoir avoir la main sur les #radiations des personnes qui bénéficient du RSA" affirme la députée.
      "Il y a des choses scélérates dans cette loi, comme la nécessité de participation active. Mais qu’est-ce qu’une participation active ? J’ai posé cette question dans la commission". Pour Sandrine Rousseau, "cette loi ouvre une forme d’arbitraire. On aide les bénéficiaires du RSA en les respectant et pas en les menaçant. Cette loi les terrorise ! Elle est faite pour qu’ils aient peur de perdre le RSA, c’est scandaleux !" "Il faut un accompagnement mais pas un #accompagnement de #terreur" estime la députée très en colère, car "on n’embête pas les personnes les plus riches".

      #menace (et Rectorat de Versailles)

      Loi “plein-emploi ” : les seuls #parasites sont les #patrons
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/09/21/loi-plein-emploi-les-seuls-parasites-sont-les-patrons_726648

      il s’agit aussi et surtout d’avaliser l’idée que les allocataires du RSA, les #chômeurs et, de façon générale, tous ceux qui se débattent avec les malheureuses aumônes distribuées par l’État seraient au fond des parasites. Ainsi, les chômeurs fabriqués par la course au profit, la jeunesse des bourgs ravagés par les fermetures d’usine, les travailleurs broyés par l’exploitation, les mères qui se battent pour élever leurs enfants dans leurs quartiers dégradés seraient responsables des déficits publics. Le gouvernement et, derrière lui, la classe dominante voudraient opposer tous ceux-là aux salariés qui ont un emploi plus ou moins régulier, désormais rebaptisés classe moyenne.

    • FACE À LA CASSE DU RSA, NOUS OPPOSONS LA NÉCESSAIRE MISE EN PLACE D’UN REVENU MINIMUM D’EXISTENCE, 14/09/2023
      https://www.jean-jaures.org/publication/face-a-la-casse-du-rsa-nous-opposons-la-necessaire-mise-en-place-dun-re

      À l’approche de l’examen à l’Assemblée nationale de la réforme du RSA que le gouvernement souhaiterait conditionner, Arthur Delaporte, Simon Rumel-Sixdenier et Johanna Buchter, avec la contribution de Guillaume Mathelier, proposent avec le groupe socialiste à l’Assemblée nationale la mise en place d’un #revenu_minimum_d’existence inconditionnel, revalorisé, ouvert aux plus de 18 ans, qui serait assorti d’un droit opposable à l’accompagnement pour l’insertion sociale. Plus largement, ils donnent des pistes pour repenser le modèle des prestations sociales.

      #PS #protection_sociale #accompagnement #handicap_social

  • La structuration des sociétés modernes
    https://laviedesidees.fr/La-structuration-des-societes-modernes

    L’État-providence est aujourd’hui en recul, à tel point qu’il paraît difficile de maintenir l’idée que nos #Sociétés se différencient par leur système de #protection_sociale. Une autre typologie, fondée sur la nature des liens sociaux, semble plus adaptée.

    #État-providence #lien_social
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20230919_paugam.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20230919_paugam.pdf

    • Pour aller dans le sens de cet article, le système de protection sociale n’est que le résultat de la performance d’une société, laquelle repose sur un jeu de règles de vie dans cette société.

      Plutôt que de comparer les sociétés par un résultat (limité à la protection sociale dans l’exemple présent) il est plus pertinent de les comparer par les causes racines qui permettent d’obtenir le résultat.
      En ce sens il est effectivement plus pertinent d’identifier les « liens sociaux » qui permettent à une société d’obtenir, entre autres, le meilleur système de protection sociale.

      Cependant, il est possible de définir autrement ces « liens sociaux », en revenant à la définition d’une société. Une société est définie et structurée par des valeurs fondamentales qui gèrent les relations entre les acteurs d’une société (les personnes, les associations, les entreprises, les pouvoirs publics, l’environnement). Dis-moi quelles sont tes valeurs, je te dirais quelle société tu es.

      Ces valeurs ne sont pas forcément clairement identifiées autrement que dans la Constitution d’un Pays et certains articles de ses lois. Cependant, ce sont bien ces valeurs qui régissent les « liens sociaux ». Les relations personne-personne sont structurées par certaines valeurs, les relations entreprise-salarié par d’autres, etc.

      L’identification des valeurs d’une société, la mesure de l’impact de ces valeurs sur la performance (dont la définition reste à préciser) de cette société est un travail certainement plus logique, rigoureux, et finalement productif que la comparaison des systèmes sociaux.
      En effet, s’il est possible d’identifier les valeurs « gagnantes » et les valeurs « perdantes », il suffit à une société de changer certaines de ses valeurs pour en tirer « mécaniquement » le bénéfice.

  • Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/05/les-demandes-d-asile-dans-l-union-europeenne-la-norvege-et-la-suisse-en-haus

    Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    Les requêtes sont au plus haut depuis 2015-2016, années au cours desquelles l’afflux de réfugiés en Europe dépassait 1,2 million de personnes.
    Le Monde avec AFP
    Les demandes d’asile enregistrées dans les pays de l’Union européenne, la Norvège et la Suisse au premier semestre 2023 ont augmenté de 28 % par rapport aux six premiers mois de 2022, a annoncé l’Agence de l’Union européenne pour l’asile (AUEA), mardi 5 septembre. Quelque 519 000 demandes d’asile ont été déposées dans ces vingt-neuf pays entre janvier et la fin de juin, selon l’agence, qui estime que, « d’après les tendances actuelles, les demandes pourraient excéder 1 million d’ici à la fin de l’année ». Les Syriens, Afghans, Vénézuéliens, Turcs et Colombiens sont les principaux demandeurs, comptant pour 44 % des requêtes.
    Les demandes au premier semestre sont au plus haut à cette période de l’année depuis 2015-2016. Lors de l’afflux de réfugiés en Europe provoqué notamment par l’enlisement du conflit en Syrie, le nombre de demandes d’asile avait atteint 1,3 million (en 2015) et 1,2 million (en 2016). En 2022, elles étaient de 994 945.
    L’Allemagne est le pays qui a reçu le plus de dossiers (30 %). C’est près de deux fois plus que l’Espagne (17 %) et la France (16 %). L’AUEA souligne qu’en raison de cette hausse de nombreux pays européens « sont sous pression pour traiter les demandes », et que le nombre de dossiers en attente de décision a augmenté de 34 % par rapport à 2022. En première instance, 41 % des demandes ont reçu une réponse positive. Par ailleurs, quelque 4 millions d’Ukrainiens fuyant l’invasion de l’armée russe bénéficient actuellement d’une protection temporaire dans l’UE.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#asile#demandeurdasile#AUEA#syrie#afghanistan#venezuela#turquie#colombie#allemagne#espagne#france#ukraine#protection#sante#crisemigratoire#norvege#suisse

  • #Vanessa_Thompson. Abolish! For a world without borders and state violence

    Who is safe in Europe? Not everyone living in nationally organised societies is equally protected by the police and the state. Sociologist Vanessa E. Thompson examines political struggles that oppose police violence and border regimes. She designs a society that also makes protection and security tangible for vulnerable people, for example refugees and those affected by racism.


    Thompson researches critical racism studies, anti-colonial movements and theories of justice and teaches Black Studies and Social Justice at Queen’s University in Kingston, Canada. (fa)

    https://www.theaterspektakel.ch/en/program23/production/abolish-for-a-world-without-borders-and-state-violence
    #abolitionnisme #frontières #violence #Etat #police #régime_frontalier #protection #sécurité #racisme

    ping @karine4 @cede

  • Rappel de la #DGAFP à propos des mesures de protection dont peuvent bénéficier les agent·es
    https://academia.hypotheses.org/50853

    Le 3 juillet dernier, la Direction générale de l’administration et de la fonction publique (DGAFP) a publié une instruction rappelant les diverses mesures dont les agent·es publics sont en droit de bénéficier dans l’exercice de leurs fonctions. A de nombreuses … Continuer la lecture →

    #Actualités_/_News #protection_fonctionnelle