• Tra i giovani del Gambia. Quando il futuro va lontano da casa

    Nonostante la fine della dittatura di Yahya Jammeh, povertà e corruzione restano diffuse nel Paese africano. L’emigrazione, con tutti i rischi che comporta, è spesso una strada obbligata per sostenere i nuclei familiari.

    Sarjo è un gambiano di 29 anni, che vive a Yundum, cittadina satellite di Banjul, capitale del Gambia.Da diversi anni si trova in un limbo: affrontare il lungo viaggio che, attraverso la Libia, lo dovrebbe condurre alle coste italiane, o restare nel proprio Paese, in cerca di un lavoro dignitoso che sembra sempre più un miraggio? Quella di Sarjo è una tradizionale famiglia gambiana: come di prassi per la cultura musulmana, diffusissima nel Paese (dove l’Islam viene praticato dall’88,6% della popolazione), le donne svolgono le faccende domestiche, tra cui anche l’accoglienza in casa -che avviene, in maniera molto calorosa, nei tipici salotti d’ingresso delle abitazioni arabe- e si fanno carico del lavoro, prevalentemente agricolo o artigianale, nei piccoli appezzamenti di terreno che di solito ogni famiglia possiede.

    In casa gli uomini, invece, si vedono poco. Anche in giro per le città e i villaggi se ne incontrano in numero decisamente inferiore rispetto alle donne e ai bambini. Fanno eccezione le zone “commerciali”, costituite da baracche a bordo strada dove lavorano meccanici, negozi di generi alimentari, cambiavalute e così via. Un gran numero di uomini adulti, infatti, non vive in Gambia. A loro spetta il compito di sostentare le mogli, i figli e i genitori anziani. Questo spesso comporta la necessità di lavorare all’estero. Sarjo ha cinque sorelle, ed è l’unico figlio maschio. Spetta a lui, dunque, garantire un reddito che permetta alla famiglia di vivere. Ma riuscirci, in un contesto come quello gambiano, è tutt’altro che scontato.

    Il Gambia -piccola striscia di terra in Africa occidentale, quasi interamente circondata dal Senegal, eccetto per la zona costiera- è infatti un Paese poverissimo: nel 2022 si colloca al 174esimo posto su 191 Stati inclusi all’interno dell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni unite. Le situazioni di indigenza si fanno sempre più accentuate man mano che ci si allontana dalla costa, procedendo per una delle due sole strade asfaltate che attraversano il Paese da Ovest a Est, verso l’entroterra, dove l’economia è sempre più rurale e le condizioni di vita precarie. Se nelle zone costiere, capitale compresa, le abitazioni sono costruite con mattoni crudi autoprodotti (in diverse case si trovano ammassi di sabbia e argilla, oltre a mattoni rudimentali lasciati a essiccare al sole) con un impiego di cemento quasi del tutto privo di ferro, nelle zone interne si vive invece in capanne di paglia, fango e foglie.

    Nonostante la cacciata del dittatore Yahya Jammeh, che ha governato il Paese dal 1996 al 2017, la situazione in Gambia non sembra essere cambiata. Gran parte della popolazione riponeva grandi speranze nell’attuale presidente, Adama Barrow, il quale sta provando a fare chiarezza sui crimini commessi dal suo predecessore ma sembra non essere in grado di estirpare la dilagante corruzione presente a tutti i livelli nel Paese, al punto da essere stato egli stesso accusato di connivenza con questo sistema.

    Di fatto, con il passaggio di potere, per la quasi totalità dei gambiani non è cambiato molto e la situazione economica resta complessa. Per chi ha la fortuna di avere un lavoro ben remunerato (poliziotti, insegnanti e funzionari pubblici), lo stipendio medio è di circa 3.500 dalasi al mese, equivalenti a circa 53 euro. Il costo della vita è più basso rispetto agli standard occidentali, ma non in maniera così netta: un sacco da 50 chilogrammi di riso costa 1.850 dalasi (28 euro), una lattina di Coca-cola -consumatissima nel Paese- 35 dalasi (0,55 euro), mentre un litro di benzina ne costa 75 (1,15 euro).

    A questo si aggiunge il fatto che i pochi servizi pubblici presenti, a partire dalla scuola, sono tutti a pagamento: un anno di istruzione elementare per uno studente maschio in Gambia costa quattromila dalasi (59 euro), mentre per la secondaria inferiore e superiore si arriva a cinquemila all’anno. Bambine e ragazze non pagano l’iscrizione, ma devono comunque sostenere i costi per il materiale didattico e le uniformi obbligatorie (che sono a pagamento per tutti) pari a circa quattromila dalasi. Ancor più inaccessibile è un anno accademico alla University of Gambia: l’iscrizione supera i diecimila dalasi (148 euro).

    Qualche altro dato relativo alle spese quotidiane rende bene l’idea del costo della vita nel Paese: un abbonamento wi-fi costa l’equivalente di 29 euro, mentre per acquistare un terreno di circa 400 metri quadrati a Yundum, dove vive Sarjo, servono tra i 600 e i 700mila dalasi.

    Cifre molto elevate anche per chi può contare su uno stipendio pubblico, inarrivabili per chi svolge mansioni meno qualificate come Sarjo, che lavora in una struttura ricettiva per mille dalasi (15 euro) al mese dopo aver completato tutto il ciclo di studi ed essersi appositamente specializzato. Mentre chi vende frutta e verdura o gestisce piccole attività commerciali (ad esempio i numerosi gestori di money transfer) ne guadagna in media duemila, pari a circa 29 euro al mese. Di conseguenza ogni famiglia in Gambia conta al proprio interno una o più persone costrette a emigrare per garantire la sopravvivenza di genitori anziani, fratelli più piccoli, moglie e figli inviando loro regolarmente parte del proprio stipendio. È solo grazie a questo meccanismo che l’economia gambiana si regge in piedi.

    Ma al tempo stesso attorno a questo tema le famiglie sono divise: se da un lato la partenza è necessaria, e pertanto auspicata, dall’altro si conoscono bene i rischi e le sofferenze che un viaggio del genere porta con sé, oltre alle difficoltà di adattamento a una cultura e a un contesto sociale differenti. Proprio per evitare il passaggio dalla Libia, parte degli emigrati decide quindi di fermarsi in altre Paesi del Nordafrica, anche se le prospettive economiche sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle offerte dall’Europa. Per tutti questi motivi, i ragazzi gambiani raccontano che solitamente la partenza da casa avviene di notte e senza avvisare nessuno, nemmeno i genitori o i fratelli. “Se lo avessi detto a qualcuno non ce l’avrei fatta, sarei tornato subito indietro”, racconta Maalang che vive in Italia ormai da sei anni e ha fatto rientro per la prima volta in Gambia lo scorso febbraio.

    Anche i dati sulle richieste d’asilo riflettono la difficile situazione economica del piccolo Stato africano. Nonostante le modeste dimensioni e i poco più di due milioni di abitanti, sono stati 1.087 i gambiani che hanno presentato richiesta di protezione nel nostro Paese nel 2021; un numero che non si discosta molto da quelli di senegalesi, somali e maliani, provenienti da Paesi ben più popolosi.

    In parecchi casi, poi, il viaggio non va a buon fine. Chi viene respinto e costretto a tornare in Gambia preferisce non parlare della propria situazione, ma le loro storie sono ben conosciute tra la gente del posto. Quello dei respingimenti è un problema che aggrava ulteriormente la situazione nel Paese. Come riferisce il report sull’immigrazione in Gambia a cura di Caritas italiana e Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) “i flussi di ritorno di giovani gambiani privi di prospettive, costretti a subire lo stigma del fallimento dell’esperienza migratoria all’interno della comunità̀ di appartenenza, hanno determinato un incremento della pressione sociale su risorse e opportunità occupazionali limitate.

    Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dal 2017 più di 3.600 migranti gambiani sono rientrati nel Paese attraverso programmi di “ritorno volontario assistito”, il 70% dei quali provenienti dalla Libia, dove si trovavano reclusi in centri di detenzione, e il 25% circa dal Niger, principale Stato di transito dei flussi verso il Mediterraneo”. Sarjo, come altri migliaia di ragazzi, si trova pertanto in questa strettoia, per certi versi paradossale: partire verso l’ignoto o restare nell’incompiutezza. Sua madre, come molti altri genitori e familiari, quando ne ha l’occasione prova a “sponsorizzare” la partenza del figlio per l’Europa, pregando che questa possa avvenire per vie legali e sicure. Circostanza che -come ricordano i numeri del recente “Decreto flussi”- appare pressoché irrealizzabile.

    https://altreconomia.it/tra-i-giovani-del-gambia-quando-il-futuro-va-lontano-da-casa

    #Gambie #facteurs_push #facteurs-push #push-factors #migrations #émigration #jeunes #jeunesse #pauvreté #corruption

  • Il ministero dell’Interno condannato a risarcire un respinto a catena in Bosnia

    Il Tribunale di Roma ha accertato l’illegittimità delle “riammissioni” al confine orientale, ricostruendo il “nesso causale” tra respingimenti e trattamenti inumani. Il Viminale deve farsi carico del danno inflitto a un cittadino pakistano richiedente asilo. Decisivo il lavoro di rete tra attivisti, Ong e avvocati. Una decisione attualissima

    Il ministero dell’Interno è stato condannato dal Tribunale di Roma a pagare 18.200 euro a titolo di risarcimento nei confronti di A., cittadino originario del Pakistan in fuga dal Paese, per averlo prima fermato a Trieste e poi respinto in Slovenia e a catena verso la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina. Nonostante avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale. Cento euro per ogni giorno trascorso tra la “riammissione” in Slovenia avvenuta a metà ottobre 2020 e il rientro in Italia nell’aprile 2021, come prevede la giurisprudenza comunitaria e nazionale su casi assimilabili.

    La decisione della giudice Damiana Colla del 9 maggio è estremamente rilevante non soltanto perché “accerta e dichiara l’illegittimità” delle riammissioni informali attive da parte italiana ma soprattutto perché inchioda l’”evidente nesso di causalità” tra l’operato della polizia italiana e il “danno subito” da A.. “La lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani -scrive infatti la giudice- sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste”.

    La decisione ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Asgi, commenta la stessa Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, la Ong ‘Lungo la rotta balcanica’, l’associazione Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment (Pic, in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’Asgi, Ics Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito”.

    Nuove ombre si allungano su una prassi che i governi europei intendono invece elevare sempre più a norma “guida” della brutale gestione delle frontiere, come dimostra l’accordo al Consiglio europeo Giustizia e Affari interni dello scorso 8 giugno sui regolamenti in tema di gestione dell’asilo e della migrazione e delle procedure.

    Non si tratta di un’ordinanza che guarda a un passato ormai superato o a una pagina triste nel frattempo voltata: se è vero infatti che l’Italia ha condotto i respingimenti verso la Slovenia per tutto il 2020 e li ha sospesi nel 2021, è noto che da fine 2022 il nuovo governo abbia annunciato di volerli riprendere (con “risultati” incerti di cui abbiamo già scritto). Il tutto nonostante il precedente dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma a firma della giudice Silvia Albano, emessa nel gennaio 2021 a fronte del ricorso promosso sempre dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla (la vicenda è ben raccontata nel film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore).

    La storia di A. ricostruita nella decisione di Roma è tanto forte quanto emblematica. La sua fuga dal Pakistan inizia nel 2018, quand’è ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan. Sopravvissuto, e temendo ritorsioni da ambo le parti (estremisti ed esercito cui apparteneva), decide di scappare. Resta per un anno in Turchia e per tre volte prova a entrare in Grecia, nell’Unione europea. Al terzo tentativo riesce, attraversando poi la Macedonia del Nord, la Serbia e arrivando nell’estate 2019 in Bosnia ed Erzegovina.

    Per nove volte è respinto dalle polizie croate e per tre da quelle slovene. Il primo ottobre 2020, a “riammissioni informali attive” ormai a pieno regime da parte italiana, gli riesce il “game” che lo porterà a Trieste nella mattinata del 17 ottobre. Qui però alcuni militari lo fermano quasi subito insieme ad altre quattro persone. Finiscono tutti in una stazione di polizia dove sono visitati e gli vengono fatti firmare fogli non tradotti dal contenuto oscuro. A. riferisce però agli agenti di voler chiedere asilo ma questi lo “affidano” alla polizia slovena. Non ha niente in mano: “informale” vuol dire infatti respinto senza lo straccio di un provvedimento scritto, motivato, impugnabile, cioè senza convalida dell’autorità giudiziaria, senza diritto a un ricorso effettivo. A riprova di quanto sia basso e surreale il dibattito sul garantismo in Italia.

    È così che A., con l’etichetta fasulla di “cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente” e non invece di richiedente asilo, si fa una notte in una stazione di polizia slovena e il giorno dopo si vede “consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, comprese percosse”, sempre per citare il giudice di Roma.

    Alla fine della catena lo attende la Bosnia ed Erzegovina. Nel caso di A. è l’insediamento informale di Vedro Polje, poco distante da Bihać, nel Nord-Ovest del Paese. Per via delle “degradanti condizioni di vita al campo”, come si legge nell’ordinanza che ha condannato il Viminale, A. decide di riprovarci. Lì non può rimanere. Ce la fa, di nuovo, perché “frontiere chiuse” è uno slogan vuoto, e ad aprile del 2021 torna nell’Italia che lo aveva illegalmente respinto. Tre mesi prima, come detto, la giudice Albano del Tribunale di Roma aveva già sanzionato il ministero dell’Interno per le stesse riammissioni (caso specifico diverso, naturalmente). A., memore del precedente respingimento, abbandona in fretta Trieste e raggiunge Brescia. Il 10 maggio fa quella domanda d’asilo che gli era stata negata dalla polizia italiana qualche mese prima e a tre giorni da Natale si vede riconoscere lo status di rifugiato. Ma non gli suona come un lieto fine quanto lo sprone a chieder giustizia per quel respingimento illegale subìto.

    Il 31 dicembre 2021 fa perciò ricorso. Il ministero dell’Interno si costituisce in giudizio il 27 settembre 2022 sostenendo che no, non si sarebbe trattato di un’espulsione collettiva vietata dal diritto internazionale ed europeo, che l’intera procedura si sarebbe svolta nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte, che la pratica sarebbe stata pienamente legittima e che il danno subito dal ricorrente (cioè A.) non sarebbe stato dimostrato.

    Il Tribunale di Roma dà però torto a Roma e ragione ad A. e alle avvocate Bove e Brambilla, facendo così squagliare la tesi difensiva del Viminale come il sole fa con la neve. “Il trattamento che il ricorrente ha descritto di aver subito da parte delle autorità di frontiera italiane al momento del suo primo ingresso a Trieste […] è stato pienamente provato in giudizio”, scrive la giudice Colla. Dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione alla presa in consegna da parte delle autorità slovene. È documentata anche la catena: la detenzione in Slovenia al Centro per stranieri di Veliki Otok, nella Postumia (Carniola interna), e la successiva riammissione in Croazia. Fino alla Bosnia. Nessun alibi quindi per il Viminale, che della mancata prova dell’arrivo in Italia dei respinti ne ha fatto fino a oggi un leitmotiv. Questa volta non gli è riuscito nascondere la mano.

    Nella “jungle” di Vedro Polje, dove si trova a inizio 2021, A. ha per fortuna incontrato la giornalista Elisa Oddone e l’operatore sociale Diego Saccora dell’associazione “Lungo la rotta balcanica” (e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani). Oddone, che stava curando un reportage per Al Jazeera ed NPR, raccoglie la testimonianza di A. e fa da primo contatto-ponte con le avvocate Bove e Brambilla. Anche Saccora confermerà in Tribunale più incontri con A.. A Vedro Polje infatti l’operatore sociale e ricercatore sul campo portava assistenza e beni di prima necessità. Non solo: lo accompagna di persona presso uno studio notarile di Bihać “per conferire mandato agli attuali difensori al fine di esperire ricorso avverso la riammissione in Slovenia”. A dimostrazione che il supporto incisivo alle persone in transito calpestate dai governi europei alle frontiere può assumere le forme più svariate, e che l’aiuto più distante dalla solidarietà istituzionalizzata può passare persino dalla ceralacca di un notaio. Quante pagine gravi e paradossali faranno scrivere ancora le politiche europee?

    Oddone e Saccora raccontano per filo e per segno al giudice le condizioni proibitive in cui si trovava all’epoca A. insieme ad altri. Riparati nei boschi, con la temperatura fino a venti gradi sotto zero di un inverno bosniaco, senz’acqua, senza accoglienza per via della chiusura dei due campi locali più grandi, praticamente senza cibo, stretti tra “ronde” di cittadini locali ostili e “possibili furti da parte di altri gruppi di richiedenti asilo, alla ricerca di quanto necessario alla sopravvivenza”.

    Secondo il Tribunale di Roma la riammissione “informale” di A. da parte dell’Italia avrebbe “contraddetto” le “norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo (del 1996, ndr) non ratificato con legge”.

    “La Direttiva 2008/115/CE non legittima affatto, anzi contrasta con la descritta pratica di riammissione informale posta in essere dal governo italiano -chiarisce la giudice Colla-. Infatti, sebbene tale direttiva (al suo art. 6, par. 3) consenta agli Stati membri di riammettere nello Stato confinante di provenienza senza una specifica decisione di rimpatrio, qualora sussistano accordi bilaterali tra gli Stati interessati già vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva stessa (essendo tali accordi invece non più consentiti nella vigenza della stessa), tuttavia, nell’esecuzione dell’accordo, lo Stato italiano è comunque vincolato dalla normativa interna anche costituzionale (art 13 Cost.), nonché dal diritto sovranazionale, alla stregua del quale lo Stato ha il dovere di accertare la situazione concreta nella quale la persona riammessa verrà a trovarsi, con particolare riferimento all’eventualità di una violazione dei suoi diritti fondamentali (che si prospettava nel caso di specie secondo le informazioni largamente disponibili). Soprattutto poi, la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di una persona che manifesti l’intenzione di chiedere asilo, come nella specie accaduto”.

    Oltre al regolamento 604/2013 (Dublino III), l’Italia, nella foga di respingere, avrebbe persino violato lo stesso accordo bilaterale con la Slovenia. L’articolo due prevede infatti che ciascuna parte, su richiesta dell’altra, “si impegna a riammettere sul proprio territorio il cittadino di uno Stato terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiedente, non potendosi evidentemente considerare in tale situazione chi abbia espresso la volontà di chiedere protezione”. Proprio come A..

    A titolo di aggravante per le autorità italiane, segnala poi il Tribunale elencando corposa bibliografia, c’è anche il fatto che queste erano “perfettamente” a conoscenza -“o almeno trovandosi nella condizione di avere perfetta conoscenza”- “delle violazioni cui i respinti sarebbero stati esposti in Slovenia”, così come in Croazia, per non parlare delle condizioni orribili in Bosnia ed Erzegovina, denunciate anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović.

    A maggior ragione dopo le tredici pagine dell’ordinanza del Tribunale di Roma nessuno potrà dire “non sapevo”. Nel buio spicca il “lavoro di rete per contrastare le violazioni”, come lo chiamano le avvocate Bove e Brambilla. “La decisione è un importante risultato non solo perché ribadisce l’illegittimità della condotta posta in essere dalle autorità italiane -concludono- ma perché valorizza, anche attraverso l’assunzione della testimonianza diretta di Saccora e Oddone, l’impegno di tante persone che si impegnano a denunciare e contrastare le violazioni dei diritti delle persone in transito”.

    https://altreconomia.it/il-ministero-dellinterno-condannato-a-risarcire-un-respinto-a-catena-in

    #justice #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #frontières #migrations #asile #réfugiés #condamnation #refoulements #refoulements_en_chaîne #push-backs #tribunal #réadmissions #Trieste #réadmissions_informelles_actives #Bihać #Bihac #Vedro_Polje #Veliki_Otok #Croatie #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #forêt #hostile_environment #environnement_hostile #accord_bilatéral

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    ajouté à la #Métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans:
    https://seenthis.net/messages/1009117

  • Respingimenti e ostacoli all’asilo. Ritorno sulla frontiera Italia-Svizzera

    Da gennaio ad aprile 2023 a Como-Ponte Chiasso oltre 1.300 persone migranti sono state “riammesse” indietro dalle autorità elvetiche. È il confine terrestre italiano con i dati più alti. Quattro su 10 sono afghani: la protezione è un miraggio

    Ahmed, diciassettenne afghano, è partito da Kabul nell’autunno del 2021 per non finire tra le fila dell’esercito talebano. A un anno e mezzo dalla partenza, dopo aver percorso una delle diramazioni della rotta balcanica, passa per la stazione di Milano, dove non si ferma neanche una notte: la prossima tappa da raggiungere è Zurigo, l’obiettivo ultimo la Germania. Che cosa lo aspetta al confine italo-svizzero? Seppur poco raccontato, secondo i dati del ministero dell’Interno, su questa frontiera nei primi quattro mesi del 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni passive, ovvero le pratiche di polizia a danno di persone straniere considerate irregolari che, a un passo dall’arrivo sul territorio elvetico, vengono costrette a ritornare in Italia.

    A far da contraltare all’approccio di frontiera finalizzato al respingimento, una parte della società civile su entrambi i lati del confine testimonia ormai da anni un’accoglienza possibile ma sempre più difficile nei confronti dei transitanti. La collaborazione tra i due Paesi si rifà all’accordo italo-svizzero del 1998 “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 31 maggio scorso quell’impegno bilaterale è stato ribadito nell’incontro tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la sua omologa svizzera, Elisabeth Baume-Schneider, per contrastare, parole del Viminale, la “criminalità organizzata”, il “terrorismo internazionale” e monitorare i “foreign fighters di rientro dai teatri di guerra”. Il tutto, ha assicurato la consigliera elvetica, garantendo “sempre il rispetto dei diritti umani dei migranti”. Retorica politica che propone un concetto di sicurezza e promette di proteggere tutti, ma poi nella pratica minaccia le stesse persone in cerca di una maggior sicurezza.

    Già nel 2016 l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) aveva evidenziato l’illegittimità delle riammissioni previste dall’accordo bilaterale per diversi motivi: ostacolano la domanda di asilo, implicano controlli sistemici e discriminatori lungo una frontiera Schengen e sono considerabili espulsioni collettive; infine, essendo procedure informali, non permettono di presentare un eventuale ricorso.

    Nonostante le rassicurazioni sul “rispetto dei diritti umani” di Baume-Schneider, le riammissioni, con le annesse criticità sottolineate nel 2016, continuano anche oggi. I dati relativi ai primi mesi dell’anno, comunicati dal Viminale dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia, sono eloquenti. Per quanto riguarda il settore terrestre di Como-Ponte Chiasso, da gennaio ad aprile 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni verso l’Italia (numeri alti, basti pensare che per il più conosciuto accordo bilaterale tra Italia e Slovenia erano state 1.240 le persone riammesse nel 2020, anno di picco).

    Quello con la Svizzera si conferma quindi il confine terrestre italiano dove vengono registrate più riammissioni passive (si veda, a questo proposito, l’articolo sui respingimenti ai confini italiani nel numero di febbraio di Altreconomia). Dal gennaio 2022, infatti, in media, 330 persone ogni mese sono costrette dalla polizia svizzera a ritornare sui propri passi. Quattro su dieci sono afghani, proprio come Ahmed. Seguono siriani, turchi, marocchini e poi bengalesi e tunisini.

    Entrare nel merito di ciascun episodio è impossibile, ma si può ipotizzare che in molti casi la riammissione abbia ostacolato l’accesso alla domanda di protezione internazionale per persone provenienti da zone di conflitto. Ciò che permette un così alto numero di riammissioni è l’esteso sistema di controllo elvetico. “Il Ticino ha il più alto numero di poliziotti pro-capite di tutta la Svizzera”, spiega Donato Di Blasi di Casa Astra, centro di prima accoglienza per persone in emergenza abitativa nella Svizzera italiana. Nel territorio, infatti, si conta un agente ogni 305 abitanti, a fronte della media nazionale di uno ogni 466 secondo i dati della Radiotelevisione svizzera. “I pattugliamenti della polizia svizzera si estendono sui treni fino a Lugano, a 30 chilometri dalla stazione di confine di Ponte Chiasso”, continua Di Blasi.

    Spesso i controlli avverrebbero sistematicamente nei confronti di persone con caratteristiche somatiche apparentemente non di origine europea, in violazione delle normative che vietano la profilazione etnica (racial profiling). Un ragazzo egiziano di 16 anni che vive attualmente a Como racconta: “Una volta rientrando da Milano mi sono addormentato sul treno, superando per sbaglio la fermata di Como. Alla stazione di Chiasso mi hanno svegliato i poliziotti, mi hanno perquisito fino a lasciarmi in mutande, poi mi hanno riportato in Italia. Ero l’unico sul treno a cui è successo così”. Il monitoraggio frontaliero delle forze dell’ordine si inoltra anche nelle zone di transito percorribili in auto o a piedi. Per sorvegliare al meglio queste aree, l’ufficio federale dell’armamento (Armasuisse) aveva annunciato già nel 2015 l’acquisto di sei droni di fabbricazione israeliana che entreranno a pieno regime entro la fine del 2024.

    Nonostante la fitta rete di controlli e i numeri delle riammissioni, le realtà comasche che supportano le persone transitanti concordano nel dire che la situazione per le strade di Como non è minimamente paragonabile a quella dell’estate del 2016, quando fino a 500 persone dormivano nei pressi della stazione di San Giovanni in attesa di superare il confine. “Sono sporadici i casi di persone riammesse dalla Svizzera presenti sulle strade di Como”, racconta Anna Merlo di Porta Aperta, sportello di Caritas per i senza dimora. “Dato l’alto numero delle riammissioni, ci chiediamo: dove vanno le persone una volta riportate in Italia?”, si domanda don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, realtà solidale con le persone transitanti e attualmente luogo di accoglienza per decine di minori stranieri non accompagnati in attesa di una sistemazione definitiva. L’impressione è che chi viene riammesso non si fermi in città, provando a continuare il viaggio in altre zone di frontiera, vicine e lontane.

    Ahmed ha avuto fortuna, è riuscito a superare l’ennesimo confine, ma questo non significa la fine degli ostacoli. Infatti, dalle informazioni raccolte, è frequente che le persone transitanti, intercettate dalle forze dell’ordine sul territorio svizzero, dopo aver provato a fare domanda di asilo vengano riportate in Italia alla centrale di polizia di Ponte Chiasso. “Per essere certi che la domanda di asilo venga presa in carico e le persone non vengano respinte, l’unico modo è accompagnarle fisicamente alla questura di Chiasso per contestare un’eventuale riammissione; lo abbiamo fatto più volte in passato -spiega Gabriela Giuria Tasville di Azione posti liberi, fondazione che segue dal punto di vista legale i richiedenti asilo in Ticino-. A peggiorare il quadro, inoltre, è impossibile, per le persone in transito, soggiornare anche temporaneamente in Svizzera, perché dal 2008 è entrata in vigore una legge federale che vieta qualsiasi forma di accoglienza e penalizza chiunque aiuti le persone transitanti in situazione di irregolarità”. Questa legge infatti punisce “con una pena detentiva sino a un anno o con una pena pecuniaria chiunque […] facilita o aiuta a preparare l’entrata, la partenza o il soggiorno illegali di uno straniero” (articolo 116, 1.a). Le autorità, da una parte, non permettono alle persone transitanti di regolarizzare la loro posizione sul territorio e quindi di accedere alle strutture di accoglienza; dall’altra, puniscono chiunque aiuti il soggiorno di una persona che è in una situazione di irregolarità a causa del mancato accesso alla procedura di asilo.

    Questa legge, ormai arrivata al suo quindicesimo anno d’età, ha fatto sì che realtà come Casa Astra, che già nel 2004 accoglieva sans papier provenienti dall’Ecuador, non possano più supportare persone in situazione di emergenza abitativa senza documenti. Ancora più eclatante è il caso del centro sociale autogestito il Molino a Lugano, unica realtà che fino al 2021 accoglieva apertamente le persone transitanti. Nel maggio di due anni fa è stato raso al suolo su provvedimento della polizia cantonale. Al contrario della solida collaborazione tra le autorità di frontiera dei due Paesi, costruire e mantenere una rete solidale a livello locale e transfrontaliero di supporto alle persone in transito, in questo contesto, sembra quasi impossibile.

    https://altreconomia.it/respingimenti-e-ostacoli-allasilo-ritorno-sulla-frontiera-italia-svizze

    #Italie #Suisse #frontières #push-backs #refoulements #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #réadmissions #réadmissions_passives #foreign_fighters #terrorisme #statistiques #chiffres #2023 #2022 #profilage_racial #drones #criminalisation_de_la_solidarité

  • A #Tataouine, ville des #candidats_à_l’exil : « Toute la #Tunisie souffre, mais ici, c’est pire »

    L’#exode des #jeunes de Tataouine, ce sont les parents qui en parlent le mieux. Le père de Wajdi porte beau, mais son costume élimé raconte aussi bien l’usure du tissu que celle de son propriétaire : « Tout nous est interdit. Les places dans les entreprises publiques et les compagnies pétrolières sont toujours pour les autres. Même commercer avec la Libye est devenu compliqué. Mon fils est parti l’an dernier pour la France. Je lui souhaite d’être heureux, car ici, c’est difficile. »

    Installé à la terrasse du café Ennour, donnant sur le principal rond-point de la ville, à 540 km au sud de Tunis, l’homme de 56 ans, qui refuse de donner son nom, résume en cinq minutes des décennies de marginalisation. A l’horizon, les collines rocailleuses entourant la ville accentuent le sentiment d’oppression. Tataouine est connue pour avoir donné son nom à la planète Tatooine dans la saga Star Wars. Dans la réalité, la région bascule du côté obscur de la Force. Quelque 12 000 jeunes, soit 8% du gouvernorat (équivalent d’une préfecture), sont partis en 2022 pour l’Europe, selon le sociologue du cru Mohamed Nejib Boutaleb, ancien professeur de l’Université de Tunis.

    Les Tataouinois ne sont pas les seuls à s’exiler. Selon le ministère italien de l’Intérieur, l’arrivée de clandestins tunisiens a augmenté de 55% depuis le début de l’année. En 2023, la Tunisie est même devenue le principal pays de départ des migrants souhaitant traverser la Méditerranée, devant la Libye voisine. Une hausse qui inquiète les Européens, en particulier l’Italie, qui redoute qu’un effondrement économique de la Tunisie, très endettée (80% du PIB), amplifie ce phénomène.

    La crise est telle qu’elle a conduit la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de la cheffe du gouvernement italien et du Premier ministre néerlandais, à se rendre à Tunis le week-end dernier. L’objectif : proposer une aide financière de plus d’1 milliard d’euros à long terme, dont 100 millions d’euros pour le « contrôle » de ses frontières. Un outil supplémentaire qui permet à l’Union européenne d’externaliser ses frontières, en déléguant la gestion des flux migratoires à des pays tiers, souvent peu réputés pour le respect des droits humains.
    De solides réseaux

    Pour éviter la dangereuse traversée de la Méditerranée et ses contrôles renforcés, Tataouine a donc cherché une autre route, celle des Balkans. Jusqu’au 20 novembre, les Tunisiens n’avaient pas besoin de visa pour se rendre en Serbie. Ils arrivaient donc à Belgrade en avion avant de franchir illégalement la frontière avec la Hongrie. Dans ses travaux, Mohamed Nejib Boutaleb a ainsi recensé, en 2022, 11 200 demandes d’autorisation parentale de voyage émanant du gouvernorat. Pour juguler le départ de combattants jihadistes dans les zones de combat, les autorités ont rendu ce document obligatoire pour les citoyens de moins de 35 ans.

    Une place dans un bateau pour traverser la Méditerranée coûte pourtant bien moins cher : 1 000 dinars (300 euros) contre environ 25 000 dinars (7 500 euros) pour le trajet de l’aéroport de Tunis à la France, via les Balkans. D’autant que la région méridionale est l’une des plus pauvres du pays, avec un chômage autour de 30%, deux fois supérieur au niveau national. Mais ses habitants s’appuient sur la solidarité régionale. Le père de Wajdi précise qu’il a contracté un prêt à la consommation de 3 500 dinars pour le départ de son fils. Un de ses amis, venu le rejoindre au café, embraye : « Moi, j’ai vendu 35 000 dinars un terrain de 400 m² pour payer le trajet à mon fils. C’est beaucoup plus sûr que de prendre la mer. » Et si les parents ne peuvent pas, la diaspora prend le relais.

    Depuis les années 60 et la première vague d’émigration, lancée par la France désireuse de main-d’œuvre bon marché, les Tataouinois ont eu le temps de construire de solides réseaux. Des entrepreneurs dans le secteur du bâtiment et de la boulangerie-pâtisserie acceptent de payer une partie des frais de leurs futurs employés. Rafik sort du coiffeur après avoir rafraîchi sa coupe, car il s’apprête à travailler dans un hôtel de Djerba pour la saison touristique. Sa famille a préféré miser sur son petit frère pour le grand départ : « Son patron lui a avancé de l’argent. Moi, je lui ai filé 4 000 dinars. Il bosse maintenant dans une boulangerie en région parisienne. »

    L’exode se ressent visuellement dans la ville. Les personnes âgées y sont plus visibles, bien que le gouvernorat possède le taux de fécondité le plus élevé du pays – 4,6 enfants par femme contre 3,4 au niveau national. Ce jour-là, les rues sont animées. L’équipe de football locale rencontre le Club africain, une des deux équipes phares de la capitale, Tunis. Une occasion rare d’échapper au quotidien. Au stade, dans la tribune des locaux, des supporteurs célèbrent aussi les buts des adversaires. Ils sont fiers d’être d’ici, mais au football comme dans la vie, ils aiment aller droit au but : l’US Tataouine peut difficilement prétendre au titre, tout comme les jeunes du coin à une vie meilleure. Sedki, un supporteur du Club africain qui a fait le déplacement, confirme à sa manière : « C’est mort cette ville. Même à Médenine, Gafsa ou Ben Guerdane [des villes marginalisées du sud, ndlr], tu peux faire du shopping. »

    Chaque été, quand les Tataouinois de France débarquent, les locaux ressentent plus profondément la déréliction dans laquelle ils vivent le reste de l’année : « Cette coutume de la diaspora de revenir avec une belle voiture, des vêtements à la mode et les accessoires faussement indispensables exacerbe la frustration des jeunes », avance l’anthropologue Mohamed Bettaieb. Vêtu d’un maillot de l’Espérance sportive de Tunis, l’autre grand club de la capitale, Amir Maiez a déjà tenté deux fois de se rendre en Europe. « Toute la Tunisie souffre, mais à Tataouine, c’est pire. On n’a rien alors qu’on devrait être riche ! » Pour l’athlète aux larges épaules, comme pour la majorité des jeunes rencontrés, la source de l’hémorragie se nomme « el-Kamour », du nom de la région pétrolière à proximité.

    « Kaïs Saïed n’est jamais venu écouter les doléances de notre jeunesse »

    Contrairement à ses voisins algériens et libyens, la Tunisie n’est pas une grande productrice de pétrole, mais, à l’échelle du pays, c’est une manne précieuse : le déficit de la balance commerciale énergétique pèse lourd (6,8% du PIB en 2022). Et environ la moitié du pétrole produit vient de Tataouine. Au printemps 2017, les jeunes ont organisé à el-Kamour un sit-in et ont fermé les vannes des oléoducs pour exiger que les revenus de l’or noir bénéficient directement au reste de la région. Plusieurs accords ont été signés, dont le dernier en novembre 2020. Il prévoyait notamment la création de deux fonds de développement et d’investissement régionaux pour l’équivalent de 48 millions d’euros, le recrutement de 125 locaux dans les compagnies pétrolières ou encore une enveloppe de 2,2 millions de dinars pour financer les projets entrepreneuriaux des jeunes. Les résultats se font encore attendre.

    Mardi 13 juin, le personnel de l’hôpital s’est mis en grève pour dénoncer le manque de moyens : « Il n’y a pas de réanimateur, les cardiologues viennent de Sfax [à 290 km au nord, ndlr] seulement quelques jours par semaine et il n’y a pas assez de gynécologues à la maternité », énumère un médecin. « Les jeunes ont acté l’échec du projet socio-économique du gouvernement qui n’a pas réussi à les inclure, analyse Mohamed Nejib Boutaleb, qui a intitulé son étude “D’el-Kamour à l’Europe, via les Balkans”. Ils ont vieilli aussi. Ils pensent à leur vie personnelle. »

    « Si je veux partir, c’est parce que je veux me marier. Et il faut de l’argent [il est de tradition pour l’homme de payer une dot]. Je me fais 600 dinars [180 euros] par mois comme livreur, ce n’est pas assez », explique Malik, pour qui la migration est une étape de la vie. Le jeune homme a déjà atteint deux fois l’Europe par les Balkans, en 2021 et 2022, avant d’être expulsé. A chacun de ses retours à l’aéroport de Tunis, les policiers l’ont laissé repartir chez lui sans formalité.

    Une mansuétude surprenante dans un pays qui aime ficher ses jeunes, mais que Mosbah Chnib, membre du bureau politique du parti d’opposition al-Joumhouri (centre) et Tataouinois, explique : « Il est manifeste que les autorités favorisent le départ des jeunes de la région pour éviter une nouvelle contestation d’envergure. Malgré les promesses, Kaïs Saïed n’est jamais venu pour écouter les doléances de notre jeunesse. » Malik partira une troisième fois. La route des Balkans s’est fermée avec l’instauration de visas, mais d’autres voies s’ouvrent, comme celle du Royaume-Uni.

    Chedly (1) est l’un des premiers à l’avoir empruntée, avec une facilité déconcertante et moyennant 7 000 euros. Un contact lui a promis un visa de six mois pour l’Angleterre, puis de s’occuper de sa traversée de la Manche par camion. « Après une semaine, on me dit de venir à Tunis, à côté de TLS [une société internationale qui gère les demandes de visas pour de nombreux pays]. Un homme masqué me remet des documents. Je les dépose directement et, un mois après, j’ai mon visa. Un vrai, j’insiste. » Après dix jours à attendre outre-Manche que le camion se remplisse de dix migrants, il arrive en France, « sans un contrôle ».
    Mutation de la population

    La société tunisienne dépérit d’« anémie sociale », selon Mohamed Nejib Boutaleb. L’émigration a appauvri les familles et l’heure du retour sur investissement – l’envoi d’euros – tarde. Notamment à cause des difficultés des émigrés à se faire une place dans une Europe de plus en plus fermée. Une difficulté économique qui s’ajoute à l’inflation (9,6 % en mai) et à la difficulté accrue de recourir au marché informel. Historiquement, les familles de la région avaient l’habitude d’arrondir les fins de mois en ramenant de Libye climatiseurs, écrans plats, bidons d’essence, etc. Mais, depuis l’édification en 2016 d’obstacles (fossés et murs de sable) à la frontière, seuls les 4x4 des gros trafiquants peuvent circuler.

    Les colons français ont développé la ville pour fixer la population nomade et enfermer civils et militaires récalcitrants dans le célèbre bagne, à l’origine de l’expression « partir à Tataouine » (partir dans un lieu hostile). Les citadins d’aujourd’hui veulent « partir de Tataouine ». La population a irrémédiablement mué. Les jeunes qui « font » la ville viennent dorénavant des régions limitrophes (Gafsa, Médenine), des villages reculés, voire de pays subsahariens pour pallier le déficit de main-d’œuvre.

    Entouré d’hibiscus en fleurs et dégustant un café avec sa fiancée sous un kiosque, Lotfi (1) savoure cet instant précieux. Originaire du très conservateur village de Remada, 80 km plus au sud, il apprécie les avantages liés à la ville : « Ici, on peut s’installer dans un parc sans que personne ne vérifie ce que tu fais, ni avec qui. » Ce même jardin public est moqué par les locaux qui pointent, eux, les jeux d’enfants cassés, les installations vieillottes et l’ennui. Malgré tout, la ville n’est pas exempte de distractions. La piscine est très utilisée, et pas seulement par l’association militaire. « Récemment une quarantaine de jeunes m’ont demandé de leur apprendre à nager », raconte Farouk Haddad, un des maîtres-nageurs. Ils s’apprêtent à traverser la Méditerranée.

    (1) Le prénom a été changé.

    https://www.liberation.fr/international/afrique/a-tataouine-ville-des-candidats-a-lexil-toute-la-tunisie-souffre-mais-ici

    #migrations #émigration #marginalisation #oppression #facteurs_push #facteurs-push #push-factors #route_des_Balkans #visa #Serbie #autorisation_parentale #pauvreté #chômage #prêt #prix #coût #frustration #pétrole #industrie_pétrolière #anémie_sociale

  • Peak social media: The ads machine | Financial Times
    https://www.ft.com/content/3c34d62d-20d3-47e3-b487-8d78edd0d4ac

    This is an audio transcript of the Tech Tonic podcast episode: ‘Peak social media: The ads machine’

    [MUSIC PLAYING]

    Elaine Moore
    So here’s a question. Who does the founder of Facebook, Mark Zuckerberg, turn to for advice? There was a time when that person was Roger McNamee. He’s a veteran tech investor. And in 2006, he was sitting in his office in Silicon Valley when his phone rang. (Phone ringing)

    Roger McNamee
    I get a phone call from one of Mark’s senior executives who said, “My boss is facing a huge crisis and he needs to talk to somebody who is very experienced but not conflicted. Would you be willing to take a meeting with Mark?”

    Elaine Moore
    McNamee had been putting money into tech start-ups since the 1980s. He knew the scene well. His opinions were respected. Mark Zuckerberg had started Facebook just two years earlier, but his new social media platform was already taking off, gathering millions of users. And Zuckerberg had a big decision to make.

    Roger McNamee
    Mark came by my office. And keep in mind, he was 22. So this was the middle of 2006. He was 22. I was 50. And he looked just like Mark Zuckerberg. I mean, you know, he had the sandals and the skinny jeans, the grey T-shirt, the hoodie. And we opened the meeting by me introducing myself and saying, “Mark, if it has not already happened, either Microsoft or Yahoo is going to offer $1bn for Facebook. And everybody you know — your board of directors, your investors, your employees, your management team, your parents — are gonna tell you, Mark, sell the company. You’ll have $650mn of your own money. You can go out and change the world. Your venture capitalist will offer to back your next company. He’ll tell you it will be better than Facebook. And I’m here to tell you that that’s all garbage.”

    Elaine Moore
    McNamee had already watched several tech companies change the face of the internet. He’d seen Google dominate the search engine and Amazon master online shopping, and he thought Facebook had the potential to turn social networking into something just as big. So he told Zuckerberg, don’t sell — not even for $1bn.

    Roger McNamee
    You’re gonna have the first really huge social media platform that does a really good thing for society, and it’ll only happen if you see this through. If you sell the company, it won’t work that way. He doesn’t say a thing. He goes through a series of thinker poses. He’s obviously thinking really hard about what I said to him, you know, I mean, the presence of an Olympic-class thinker and . . . after five minutes he goes, “What you just said, that story you told, that’s why I’m here. Yahoo’s offered $1bn.” And I said, “Well, do you want to sell the company?” He goes, “I don’t want to disappoint everybody. But no, I don’t want to sell.” And so I explained to him how he could very gracefully explain to everybody that, “Hey, we’re doing really, really well. This is not a good time to sell the company. You signed up to back my vision, and I still believe in my vision, so let’s go for it.” And I was a true believer.

    Elaine Moore
    Zuckerberg didn’t sell. Instead, he went on to turn Facebook from a social network with a few million users into a global giant that ended up connecting 3bn people around the world. And in the process, he turned social media into a moneymaking machine and Facebook into one of the biggest and most powerful companies in the world. How did he do it? Well, as he told the US Congress years later: with advertising.

    Orrin Hatch
    Mr Zuckerberg, I remember well your first visit to Capitol Hill back in 2010. You said back then that Facebook would always be free. How do you sustain a business model in which users don’t pay for your service?

    Mark Zuckerberg
    Senator, we run ads.

    [MUSIC PLAYING]

    Elaine Moore
    This is Tech Tonic from the Financial Times. I’m Elaine Moore. This season of the podcast is about the future of social media. I’m asking whether the era of social media — one created by platforms like Facebook more than 15 years ago — is coming to an end. And if so, what comes next? In this episode, how Mark Zuckerberg used ads to turn social networking into a trillion-dollar business and why, after a decade of incredible growth, he now thinks the future of the company lies in a completely different direction.

    [MUSIC PLAYING]

    Advertising powers social media. That’s why the likes of Instagram, Facebook and WhatsApp are free. But advertising wasn’t always going to be the dominant business model of the internet.

    Ethan Zuckerman
    It seemed really peculiar in the late ‘90s that we were going to use the same business model as, say, print magazines. Everyone felt like advertising was just a very poor compromise. Even in the late ‘90s no one liked it. We just couldn’t make anything else work.

    Elaine Moore
    Ethan Zuckerman is a professor at the University of Massachusetts. He focuses on public policy and media. But back in the ‘90s, he co-founded an internet start-up, a kind of precursor to social media, and it had a problem common to start-ups: how to make money.

    Ethan Zuckerman
    I was one of the founding team for a company called Tripod.com. Tripod was one of the very first user-generated content sites on the web, which is to say our business model was giving people a little bit of internet space with which they could build their own personal homepages. This turned out to be incredibly popular. We had millions and millions of users who wanted their own little piece of the web. They wanted to talk about their hobbies. They wanted to talk about their interests. What they did not want to do was pay.

    Elaine Moore
    Zuckerman and his colleagues hoped people might sign up for a subscription to use their platform. But no one was interested. They thought about some kind of system of micropayments, but that didn’t work either. The only way to make money was to sell space on the platform to advertisers. This led to some interesting early innovations in the world of online advertising, like the one that Zuckerman himself invented: the pop-up ad.

    Ethan Zuckerman
    Advertisers were not completely comfortable with the idea of being on content that didn’t have editorial control. They were very worried that users might say things that were racist or inflammatory or stupid or in some way in conflict with their brands. And so my boss asked me, can you find some way of putting some distance between the advertisement, which we need to survive and the user’s content, which is where we were getting all of our traffic? And in a fit of whatever is the opposite of genius, I came up with the pop-up ad. So the idea was, well, they’re not in the same window anymore. Your homepage is in one window, the ad is in a different window. Everyone will be happy. Spoiler alert: no one was happy.

    Elaine Moore
    If you used the internet in the late ‘90s and early 2000s, pop-up ads were the bane of your existence. Everywhere you went little adverts would appear all over your screen. It was like a game of Whac-A-Mole. You’d have to go around closing them before you could see the web page you were trying to visit. If that rings any bells, Zuckerman is full of remorse for the hassle he inadvertently caused you. By the early 2000s, browsers started to block pop-up ads. They’re now a relic of the ‘90s internet. But other innovations around advertising were more successful. Early internet builders like Zuckerman found that web pages made by users themselves, user-generated content, told you things about their creators. And it turned out that this information was really useful to advertisers.

    Ethan Zuckerman
    We were interested in targeting ads based on the content of a user’s page. We used very primitive, very early machine learning to say this is a page about cars or this is a page about video games, and tried to target based on that. Where it’s gone from here, of course, is it’s gotten vastly more surveillance. The way that ad targeting works now is we follow you all over the web and then we try to make guesses at who you are based on what you do.

    Elaine Moore
    When Facebook came along, it took this idea of targeted advertising to a whole new level. Facebook was attractive to advertisers because it had so many users. That meant a lot of potential customers to see ad, click on links and buy products. But it also had a lot of information about those users. When you signed up for a profile, you provided things like your birthday, your hometown, and your relationship status. Using the like button, you told Facebook all about your interests. But the real turning point came when Facebook started to absorb even more data — tracking the activity of its users, even when they weren’t on Facebook.

    Roger McNamee
    For the longest time, Mark’s view was “I’m only gonna use the data that people give us inside Facebook.” And Facebook gave advertisers access to things they couldn’t get anywhere else — all kinds of emotional and personal data. But in 2013, Mark changed his position.

    Elaine Moore
    For the Silicon Valley investor Roger McNamee, Zuckerberg’s decision to start gathering vast amounts of data on users from all over the web was the turning point for Facebook’s business. It could offer advertisers something they couldn’t get anywhere else.

    Roger McNamee
    They essentially went from not having third-party data to having every piece of third-party data imaginable. And with it, the targeting went from whatever it was, which was not good enough, to something that advertisers perceived as absolutely unique, better than anything available anywhere else. And Facebook, because it had more users than anyone else, could credibly argue in 2013 that they could provide an advertiser with the equivalent of the US Super Bowl, 365 days a year. And that changed everything overnight.

    Elaine Moore
    Facebook could build up a comprehensive profile of you, putting you into specific categories of consumer and then offering advertisers the opportunity to put exactly the right adverts tailored to you in front of you when you went online. After his first meeting with Zuckerberg in 2006, McNamee began regularly advising the new founder. He invested in the company and says he helped Zuckerberg recruit Sheryl Sandberg, credited with driving the growth of the ads business. But in recent years, McNamee has started to speak out against Facebook’s data-gathering habits and the way that he believes users can be manipulated by disinformation campaigns that undermine society. He says he tried to warn Facebook.

    Roger McNamee
    I reached out to my former advisees, Mark Zuckerberg and Sheryl Sandberg, in October of 2016 to warn them because I thought that it would be bad for the company to get a reputation for undermining civil rights and democracy. I don’t think any company wants that. But it turns out that the temptations offered by data and the ability to manipulate people’s choices, they were irresistible because in the end, every time you did one of the things that caused harm, your stock price went up a lot because those things were so profitable. And when I began talking about the harms of Facebook, people looked at me and go, “Roger, what are you talking about? The stock is going up every day.”

    Elaine Moore
    It turned out that using data to sell targeted ads was extremely lucrative. The money poured in. Along with Google, Facebook came to dominate global digital advertising. By 2021, it had become a trillion-dollar company. But lately, there are signs that Facebook’s astonishing growth is faltering. At the end of 2021, the platform’s user base shrank for the first time. Last year, for the first time ever, revenues also fell. It led investors and analysts to wonder: is Facebook running out of steam?

    Facebook turned itself into a social media giant by gathering huge amounts of data and perfecting the digital ads business.

    Steven Levy
    Facebook was able to get an amazing amount of information on people with relatively few inputs.

    Elaine Moore
    Steven Levy has followed Facebook since the beginning. He’s editor-at-large at Wired and spent years embedded with the company for his book Inside Facebook. He says the sophistication of the ads business that Facebook built is extremely impressive.

    Steven Levy
    One turning point was the like button. By simply indicating what pieces of content you liked, Facebook knew an incredible amount about you. One researcher figured out that with 10 likes, Facebook could figure out your political affiliation, your sexual orientation, and other things. With 30 likes, it would know you as well as a friend. With 100 likes, it would know you as well as a close friend. And with a couple hundred likes, it would know you as well as your spouse.

    Elaine Moore
    But today there are questions about whether targeted ads can keep delivering the same level of growth for Facebook. It’s getting harder for companies that rely on this business model to make money. Last year, social media companies saw their share prices plummet. Snap, the company behind Snapchat, fell 80 per cent, and Facebook, now rebranded as Meta, saw its market value fall 64 per cent. In response, Zuckerberg cut thousands of jobs.

    One problem is that there’s been a general downturn in the economy, which means companies have cut back on the money they spend on advertising. But there’s a broader cause for concern — that the endless stream of data gathered from users, the fuel that powers the whole digital advertising machine might be drying up.

    Recently, Apple made a small but significant change to its iPhone privacy settings. Before, apps like Facebook could track user behaviour automatically unless users opted out. Now users were being explicitly asked if they wanted to be targeted for ads. The majority appear to have said no. Meta estimated that this move alone could cost the company $10bn in lost ad revenue.

    Steven Levy
    When Apple made it more difficult for them, that was a blow because I think Facebook came to take it for granted that its . . . our business was inviolable. They thought that they keep raking it in through advertising and they would have that data that no one else had and deliver value to advertisers that no one else could match. And they wouldn’t have to worry about that.

    [MUSIC PLAYING]

    Elaine Moore
    The thing is, Apple changing its privacy settings may not be the last restriction on user data. Over the years, there’s been a growing concern about the amount of information that social media platforms gather. Around the world, regulators want to better police how that data is used. That could mean even less access to data for platforms like Facebook. And as a result, less ad revenue. But some people think there’s an even more fundamental problem — that targeted digital advertising was never as effective as it claimed to be. Maybe the model that helped to build the modern social media economy was always flawed.

    Tim Hwang
    The dream of digital advertising, you know, what Facebook was selling early on was, “Hey, we’re an advertising company, but we’re way better than traditional advertising. I can find the consumer that is just poised to buy your product. I can deliver this message to them at the right place at the right time, and they will go buy the product.” There’s a lot of research to suggest that those things might just fundamentally not be true.

    Elaine Moore
    Tim Hwang used to work for Google, the other major seller of digital ad space along with Facebook. He says the whole idea of targeted advertising — using data to offer effective ads — might be oversold.

    Tim Hwang
    It’s actually unclear whether or not the ad ever, in fact, reaches a person at all. So there’s some data to suggest that basically about 56 per cent of ads are never seen, right? Like it’s delivered to someone’s screen, but they just browse through it. They don’t see it. There’s also a lot of fraud in the system. So it’s actually unclear whether or not that click-through, right, actually belongs to a person or belongs to a bot. So some estimates suggest that even like one out of every $3 spent on the ad ecosystem is fraudulent. Actually, it’s delivered to a bot or delivered to what’s known as a click farm, or someone is sort of paid literally to kind of click on ads.

    Elaine Moore
    Hwang also says that even when ads do reach the right person, it’s not clear they actually encourage that person to buy the product.

    Tim Hwang
    What the advertiser sees is we put money into online ads and a person bought the product. One of the interesting things about those consumers is that they would have bought the product anyways even if you hadn’t advertised to them. And so actually in many cases you’re just targeting consumers that would have purchased anyways.

    Elaine Moore
    But surely digital advertising, it is going towards a more specific group than if you just put an advert into a newspaper?

    Tim Hwang
    Well, I would actually even challenge that as well. There’s a study that basically suggests about 41 per cent of ad data may be inaccurate. So, you know, the dream is, hey, you can target Tim Hwang. He’s a male, 25 to 35, you know, living on the East Coast of the United States. When actually the ad arrives, it turns out you’re targeting female, 75 to 95, living in the UK. And so I think there actually is real questions even about the veracity of the data collected and whether or not, in fact, you are getting better results.

    Elaine Moore
    Hwang thinks the entire digital advertising industry is in a bit of a bubble, and he says the current troubles in the ads market — advertisers spending less, worries about access to user data — could expose that.

    You talk about this idea that the digital advertising ecosystem is at risk of collapsing or potentially is about to collapse. Why is that happening right now?

    Tim Hwang
    So I think there’s a couple of things. First one is just the larger macroeconomic environment. The sort of downward pressure on the global economy is causing a lot of industries to pull back on their advertising spend. There’s kind of a question about, like, once you cut all this ad spend, is there actually a change in the bottom line of these businesses? That’s one thing that could really shake the confidence of the industry is, like, what was all this advertising for? If when we cut budgets, there’s not really a huge material impact on our outcomes.

    I think the second one that I’ll point out is that there is indeed a big push both on the government side, right, through, say, the EU GDPR or California’s CPRA, and also on the company side, right. Like Apple is increasingly implementing all of these privacy rules. And the worry that you’ve heard from the ad industry is, OK, well, once we lose access to all this data, we just won’t be able to get ads to work as well anymore. And they think we’re about to run this really big experiment, which is, is that the case? Are we actually gonna live in a world where, like, ads are way less effective than they used to be? We may just discover that, like, actually we didn’t need all this data to begin with for ads and that programmatic advertising might have been built on kind of the dream of targeted ads more than the reality.

    Elaine Moore
    Even if the digital ads market doesn’t crash, as Tim Hwang says it might, it’s no longer providing Facebook with the same levels of growth it once did. The Facebook platform is reaching saturation. It has nearly 3bn monthly active users around the world, but it looks like that might be the limit. Steven Levy, who wrote a book about Facebook, says this is a real problem for Mark Zuckerberg, who he says has been obsessed with growth above everything else since the beginning.

    Steven Levy
    There’s only so many billions of people on Earth. You can’t get to the people in China, which is the biggest user of the internet and social media in the world. And the last couple of billion are really, really hard to reach. They don’t have much money. And even if you got them on social media, they couldn’t deliver you much profits. So when he goes to Wall Street and announces that there’s no growth, the stock goes down, sometimes dramatically. Without growth, he’s in trouble.

    Elaine Moore
    Levy says this search for growth explains one of the biggest decisions Mark Zuckerberg has ever made. In 2021, he took his company, the most successful social media company in the world, and changed its name from Facebook to Meta. He announced that the company’s focus was now on building the metaverse.

    Mark Zuckerberg
    We believe the metaverse will be the successor to the mobile internet. We’ll be able to feel present like we’re right there with people, no matter how far apart we actually are. We’ll be able to express ourselves in new, joyful, completely immersive ways, and that’s going to unlock a lot of amazing new experiences.

    Steven Levy
    Zuckerberg’s holy grail is to move our social media to the metaverse. It makes sense if you’re obsessed with growth as the pillar of the way you operate a business, then when you can’t keep growing at the rate you were and you are really reaching the ceiling, move to someplace new where you could start from scratch and then grow billions from a few thousand rather than try to eke out the last billion or so.

    Elaine Moore
    Zuckerberg envisions repeating the success of Facebook in a completely new realm, with users wearing Meta VR headsets to access Meta-run virtual worlds.

    Meta video clip
    Oh, hey, Mark . . . Hey, what’s going on? Hey, Mark . . . Hi . . . What’s up, Mark? Whoa, we’re floating in space? Uh-huh. Who made this place? It’s awesome . . . This place is amazing.

    Elaine Moore
    Right now, the jury is still out on whether this huge bet will pay off. So far, take-up has been slow and costs have been high. Operating losses attributed to Meta’s Reality Labs — the part of the company working on the metaverse — exceed $37bn. But there are questions about whether any of us really want to spend our time wearing bulky VR headsets. If Zuckerberg is right, then maybe the future of social media will be in the metaverse. But in the meantime, Levy says all that time and money is adding to a sense that the old Facebook social media platform is stagnating. Not only is it not growing at the same pace, he says, it’s not innovating either.

    Steven Levy
    You could argue that the social media site has not been particularly innovative for probably a decade. They have generally been mimicking what seems popular in social media at the moment. So Snapchat comes up and Facebook, after unsuccessfully trying to buy it, comes up with a clone. Snapchat comes up with its stories feature, Facebook successfully copies that, first in Instagram, then in Facebook. Clubhouse, which is an audio-only social media product, looked like it was exciting and it’s going to be a big thing. And Facebook came up with its own version, right? You really would be hard-pressed to name a breakthrough product in social media in the last decade that Facebook came up with on its own.

    Elaine Moore
    Levy says Zuckerberg’s focus on the metaverse isn’t helping with this lack of innovation. He says all the talented people at Meta are working on metaverse projects rather than how to make the existing social media platforms better. So has Zuckerberg given up on Facebook?

    Steven Levy
    Well, Zuckerberg would never say that he has given up on Facebook, but he should be thinking just as innovatively in the social media as he is in the metaverse. It is a social media company. Its revenues come from social media. And if I were running that company, it would seem to me that my challenge would be to bring innovation to social media. And I don’t think that’s impossible. Maybe if that was your focus, they say, how can we reinvent social media without having to put a headset on but use just the tools of mobile and this connectedness to come up with something new like TikTok did. Maybe that would be the path for Meta.

    Elaine Moore
    If you want an example of peak social media, Facebook might be it. The breadth of its social connections will be hard for any company to ever replicate. But for many of us, it’s no longer engaging. Its ads business is less robust these days, and there are questions about its appeal to younger users. Even the man who made it all happen, Mark Zuckerberg, is more keen to talk about AI and VR than Facebook communities.

    Whether we do or choose to one day live in the metaverse or not, Facebook’s reign as the most important social media platform in the world may be over. But despite this, it’s worth remembering that Facebook is still the biggest social media platform by far. If this is the beginning of its decline, Facebook watchers say that it’s likely to be a long and slow one. And that might be true of social media as a whole.

    Steven Levy
    Well, giant platforms just don’t go away all at once. They slowly fade. But ultimately, I think people are questioning whether the social media era where social media is, like, a dominant force, is coming to an end where it’ll still exist but no longer be the growth platforms. So there is a sense that social media has sort of reached the end of its innovation and growth stage.

    Elaine Moore
    In the next episode of Tech Tonic, social media is supposed to be fun, but maybe it’s just not good for us.

    Emma Lembke
    Why? Like, why is it that my phone has so much control over me? How am I allowing it to do that? And why is no one speaking up about this?

    Elaine Moore
    US lawmakers are worried that social media is harming us and young people in particular. What does that mean for the future of the platforms?

    Katie Paul
    Kids are a huge market for these companies and it will really cut into their bottom line if they can no longer collect these data points on children.

    [MUSIC PLAYING]

    Elaine Moore
    You’ve been listening to Tech Tonic from the Financial Times with me, Elaine Moore. The producer is Josh Gabert-Doyon, and the senior producer is Edwin Lane. Manuela Saragosa is executive producer. Sound design is by Breen Turner and Samantha Giovinco. Original scoring by Metaphor Music.

    And before you go, we’re keen to hear more from our listeners about this show, and we want to know what you’d like to hear more of. So we’re running a survey which you can find at ft.com/techtonicsurvey. It takes around 10 minutes to complete, and we’d appreciate your feedback.

    [MUSIC PLAYING]

    #Publicité #Tim_Hwang #Médias_sociaux #Facebook

  • Markdown & vous – Publication de livres en toute simplicité
    https://e-publish.uliege.be/md

    Avec le numérique et ce qu’il peut nous offrir mais aussi ce qu’il a tendance à nous imposer, il devient nécessaire de s’arrêter un moment. Ce manuel est consacrés à l’écriture académique avec Markdown et Pandoc.

    À la fois plaidoyer pour l’écriture numérique ouverte et introduction à Markdown et à Pandoc, il propose une réflexion sur nos outils et méthodes d’écriture académique. Il n’en est pas pour autant limité aux seuls débutants. L’idée est de revenir aux fondamentaux et donc de ne pas essayer de reproduire coûte que coûte tout ce qui est possible avec un traitement de texte classique (dont on peut se passer).

    L’objectif de ce manuel est d’expliquer pourquoi il est possible de changer ses habitudes pour rédiger, structurer ses idées, produire des documents de qualité et de montrer ce qui est possible avec Markdown au travers de quelques méthodes.

  • YouTube test threatens to block viewers if they continue using ad blockers
    https://www.engadget.com/youtube-test-threatens-to-block-viewers-if-they-continue-using-ad-blockers
    https://s.yimg.com/uu/api/res/1.2/iNClM5RS.M9Onb_34VaW0Q--~B/Zmk9ZmlsbDtoPTYzMDtweW9mZj0wO3c9MTIwMDthcHBpZD15dGFjaHlvbg--/https://media-mbst-pub-ue1.s3.amazonaws.com/creatr-images/2019-04/ddd07510-5afe-11e9-a7fd-df8c0956efd4.cf.webp

    Mariella Moon
    Mariella Moon|@mariella_moon|June 30, 2023 1:31 AM

    YouTube is looking to take a more aggressive approach in preventing viewers from using ad blockers while watching videos on its platform. As BleepingComputer reports, people have been posting screenshots on social networks like Reddit that show a pop-up notice warning them that their player will be blocked after three videos.

    The warning says YouTube will block their ability to play videos on the platform unless they disable their ad blocker or add the website to their white list. “Ads allow YouTube to stay free for billions of users worldwide,” the notice continues. To go ad-free, the company tells users to get a YouTube Premium subscription so “creators can still get paid.” Prior to these warnings, YouTube only showed popups to ad blocker users, reminding them that it’s against the website’s TOS. Eventually, it added a timer to the notices to ensure viewers take the time to read them.

    The website has confirmed to BleepingComputer that the new alerts are part of an experiment. A spokesperson told the publication that YouTube is “running a small experiment globally that urges viewers with ad blockers enabled to allow ads on YouTube or try YouTube Premium.” They said that YouTube might temporarily disable playback “[i]n extreme cases, where viewers continue their use of ad blockers.” The spokesperson added that they will only disable playback “if viewers ignore repeated requests to allow ads on YouTube,” though it’s unclear if that means YouTube won’t automatically block playback after a viewer watches three videos and will give them more opportunities to comply.

    At the moment, this new approach only affects a small number of users, and YouTube didn’t say how many people and regions are part of the test. The website, which makes most of its money from ads, has seen its ad revenue decline over the past three quarters, so we won’t be surprised if this test expands to more users around the world should it turn out to be effective.

    #YouTube #Publicité

  • The Great Robbery: during illegal pushbacks in Greece, refugees are robbed by border guards

    Solomon’s investigation, in collaboration with the Spanish newspaper El País, reveals that Greek security forces have stolen more than €2 million from refugees during pushbacks.

    In January 2022, two Cuban citizens, Lino Antonio Rojas Morell and Yudith Pérez Álvarez, presented themselves to the Greek authorities in the Evros region to request asylum, after entering the country illegally.

    The police officers who the couple approached, didn’t just ignore their request. They forced the couple into a van, and transported them to the police station where they confiscated their backpacks and mobile phones.

    The next day, before the couple was deported to the Turkish side of the border along with dozens of other people of different nationalities, they were again searched by the police.

    “The one who seemed to be the leader put my money, €375, in his pocket,” explains Rojas Morell, adding that “the police were obviously looking for money.”

    “One man wanted to look down my pants. They touched my chest and between my legs,” says Pérez Álvarez, in a claim she recently submitted to the United Nations Human Rights Council (UNHRC).

    A year later, they are still traumatized by the violence they experienced during their alleged deportation to Turkey. Despite it being uncommon for Cubans to enter the EU in this way, their case is far from unprecedented — and highlights a practice that has become more frequent in recent years in the landlocked southeastern tip of the European Union.

    From September 2022 to March 2023, Solomon, in collaboration with El País, conducted interviews with more than a dozen sources, including employees of various institutions connected to the Greek asylum system, active and retired members of the security forces, Frontex officials, lawyers, experts, and residents of the Evros region.

    We also collected the testimonies of eight victims of pushbacks and analyzed each of the 374 claims, as they were recorded by multiple agencies, describing the pushbacks of over 20,000 asylum seekers from Greece to Turkey via Evros during 2017-2022.

    The findings of our investigation indicate a clear modus operandi of the Greek authorities in recent years:

    - asylum seekers are arrested when they enter Greece illegally, without being given the opportunity to apply for asylum (as required by both Greek and international law)

    – sometimes they are arrested in various parts of the mainland, although they may already be registered or have already been granted asylum

    - they are brought to various places (police stations, barracks, abandoned warehouses), where often people in uniform or civilian clothing physically assault them and take their belongings before they are transported to Turkey in inflatable boats

    The data collected allows us to conclude that, during the last six years, members of the Greek security forces have stolen more than €2 million in cash (at least €2.2 – 2.8 million) from asylum seekers.

    This amount is based on conservative estimations, without taking into account the value of mobile phones and other valuables (rings, bracelets) taken from victims. In addition, it is highly likely that these cases are just the tip of the iceberg, as the vast majority of pushbacks go unreported.

    A second key point that our joint investigation revealed, is that a few years ago, the practice of stealing money and personal belongings was not as prevalent, but it has progressively become a systematic tactic.

    “When you confiscate their phones, you eliminate any evidence that they were there. When you confiscate their money, you make their lives more difficult. When you strip them naked, another trend that’s on the rise, you humiliate and demoralize them,” comments Eva Cossé, senior researcher at Human Rights Watch in Greece.

    “It’s part of a strategy to prevent them from trying to cross the border again,” she adds.

    A systematic practice

    “We’re not talking about some isolated incidents, because in recent years they’ve become part of a systematic operational practice,” comments Hope Barker, representative of the Border Violence Monitoring Network (BVMN), which consists of twelve organizations that collect testimonies about illegal pushbacks of asylum seekers at EU borders.

    Barker says that BVMN initially noticed the practice of confiscating the belongings of asylum seekers at the Croatian border around 2017. In that context, however, the clothes, phones, and money that were taken, were thrown into fires to be destroyed.

    “In Greece, around 2019, it was a more random practice. Some were stripped of their possessions, others were not. But in recent years it has become an established tactic. Phones are sometimes kept, sometimes destroyed — but money is definitely kept. And it’s common for them to beat someone even more as punishment if they find out they’ve hidden their money,” Barker says.

    This happened to two young Moroccans, who on November 1, 2022 were deported along with fifty others.

    They were in a detention center, then were transferred to Evros, where they were registered again. The two young men said that “at the detention center the officers had already taken all our belongings, so the [other] officers should have known, at this stage, that we had nothing else on us.”

    When they stated that “we [told them] we had no items left,” the officers then became violent towards them, the BVMN report affirmed.
    Frontex sources confirm the illegal pushbacks

    In a case against the Greek state being heard at the European Court of Human Rights (ECHR), the UN High Commissioner for Refugees has provided evidence of 311 incidents in which “at least 6,680 people” were pushed back through Evros to Turkey.

    Two sources from Frontex, (the European Border and Coast Guard Agency) that have an increased presence in Greece, confirmed to Solomon and El País that pushbacks are now a normalized reality.

    “We do it, just like [other countries] do it. Except that they’re not as hostile [toward asylum seekers] as we are,” acknowledges one of the two sources.

    An institutional source who spoke on the condition of anonymity stated that “asylum seekers who enter Greece and follow the asylum procedure have said that it’s their second or third attempt. Some make even more attempts, because they were previously pushed back to Turkey.”

    The same source adds that there is now a “great escalation in the use of violence and humiliating practices. It’s the lowest level of respect for human life.”
    2022: confiscating their money in 92% of cases

    We asked the Greek authorities specific questions, asking to be informed regarding any ongoing investigations into the recorded pushbacks, and what procedure is being followed in terms of the money and personal belongings that are confiscated from the asylum seekers.

    In its reply to our queries, the Ministry of Migration & Asylum reaffirmed its commitment to the protection of human rights, but did not offer any specific answers.

    From the analysis of the recorded pushbacks of the last six years, an increasingly disturbing pattern emerges: the culmination of the Greek border guards’ interest in stealing money from asylum seekers.

    While in 2017 stealing money was reported just in 11% of pushback cases, by 2022 that figure skyrocketed to 92%.

    The data from our analysis is confirmed by the interim report of the relevant Recording Mechanism created by Greece’s National Commission for Human Rights (GNCHR ). It is noted that the GNCHR is an official, independent advisory body of the Greek state.

    Based on the incidents recorded by the GNCHR alone (which do not include those recorded by UNHCR), the report estimates the minimum number of people pushed back between 2020-2022 to be 2,157 people.

    During the presentation of the report in January 2023, the GNCHR confirmed to Solomon and El País that in 88% of the cases the victims stated that they had suffered violence, and in 93% of the cases that their possessions and money had been taken.

    According to the report, the victims of the pushbacks come from countries with high rates of asylum (Syria, Afghanistan, Turkey, Iran).
    Minors kidnapped from the mainland

    The GNCHR report confirms a trend that has also been highlighted by journalistic investigations in recent years: the abduction and pushback to Turkey of people who were living in Greece, already registered or who were already granted asylum.

    Solomon and El País recorded the testimony of Amir, an unaccompanied minor from Afghanistan who, in the summer of 2020, lived in a hostel in Thessaloniki.

    On August 25, 2020, as Amir waited at the bus station, a group of plainclothes men surrounded him and forced him into a black van with tinted windows.

    Twenty other refugees and migrants were in the van, which traveled eastward for about 350 kilometers, arriving near the Evros River. There they were detained and, hours later, their belongings were confiscated and they were taken by boat to Turkish soil.

    “I tried to explain to them that I had papers, but they were very aggressive. Every time you tried to talk to them, they would hit you,” explains Amir.

    His name has been changed to protect his identity, but his testimony was confirmed by a social worker at the hostel as well as two of his friends. In photos shown to Solomon, Amir is pictured smiling by their side, in Greece.
    Planned operations

    Hope Barker, from the BVMN, comments that since the crisis on the Greek-Turkish border in March 2020, not only have “hot pushbacks” (i.e. pushbacks of people found at the border) taken place. Operations have extended inland for hundreds of kilometers.

    “People are being arrested in different cities, in many cases even though they have valid documents or are in the process of seeking asylum,” she says. “They are detained in these kinds of secret places, unable to communicate, until enough people are rounded up, 80 or 100, and then transported to Turkish soil. This is a large state operation.”

    The range of operations underscores the indications that it’s an organized plan.

    “If raids are carried out in different parts of Greece, there is definitely a government order. Because this requires the mobilization of resources, the existence of detention facilities and the participation of different police units, not just some police officers from the Evros region,” comments Eva Cossé of Human Rights Watch.

    The GNCHR report records seven instances of pushbacks in which the victims were located inland, compared to 24 cases in which they were located in the Evros region.
    The isolation of border residents

    During Byzantine times, “Akrítes”, or citizens who lived in border areas, guarded the borders of the empire from raids from the east.

    Today, the residents of Evros are often compared to the Akrítes, and historically, politicians have always viewed them in special regard. For example, Prime Minister Kyriakos Mitsotakis recently announced that in the upcoming elections he will (also) be a candidate in Evros.

    But today, Evros exudes abandonment. It is not difficult to see that the region’s opportunities are extremely limited.

    A source in the city of Orestiada explains that many young people, who haven’t tried their luck in Thessaloniki or Athens, dream of a job in the border guard or the army: “they earn more than the minimum wage and have a secure job for life.”

    In November 2022, when we visited the village of Nea Vyssa, four kilometers from the Turkish border, the streets were deserted. Activity was minimal, and was limited to the cafe in the village square.

    In the cafe’s courtyard, protected from the cold by a plastic sheet, patrons chatted as they slowly sipped their coffees. They all had gray hair.

    One of them was proud that the village once “was one of the largest villages in Greece” and reminded us that the great mathematician Konstantinos Karatheodoris has roots from Vyssa.

    The village’s population today has dwindled to less than 3,000 residents and many buildings are deteriorating. Another patron explained that during the most recent announcement of job placements, three boys from the village were accepted into the border guard unit.

    In 2020, the president of the European Commission, Ursula Von der Leyen, promised Greece €700 million to protect its borders. Nearby on the Egnatia highway, new Nissan Qashqai police vehicles sped by every few minutes.

    In addition to the military, 1,800 border guards serve in Evros, of which 650 were hired last year (2022) with priority given to locals. In January 2023, the opening of another 400 border guard positions were announced.

    The institutional source who spoke to Solomon and El País asserted that there are also differences between them: while some border guards simply “follow orders” and send the asylum seekers back, others decide to “exploit” the situation.

    “There are police officers who only want to serve along the river,” he comments. “Imagine how much a group can earn if they get €100 or €200 from 100 people. They can make an entire salary in a single shift.”
    Mobile phones for the police officers’ kids

    On April 3, 2022, police officers in balaclavas arrested a 22-year-old Syrian man in a forest near Evros.

    According to the victim’s testimony, (recorded by Josoor, an organization that used to document human rights abuses before it had to disband due to pressure it experienced in Greece and Turkey), the police beat him with clubs and took all his belongings, including his phone, which he was forced to unlock. He was then sent back to Turkey with other asylum seekers.

    “When they put me in the car I realized they had a lot of phones and power banks in there. When one of the men took a cigarette out of his pocket, I saw that he had a wad of bills. I think they were taken from others earlier,” he said.

    It remains unknown where all the phones taken from asylum seekers in recent years have ended up. But sources from Orestiada explain that the police officers keep the best devices.

    “The border guards give them to their kids. They show up at school with new phones and proudly say their parents took them from ‘illegal immigrants’,” they comment, expressing concern about young people who join the security forces and end up adopting “the far-right narrative” that considers refugees to be invaders who threaten the security of the country.
    Refugees adapt

    Both before and during their journey, asylum seekers share information via WhatsApp, Telegram, and Facebook — so news spreads quickly.

    The expectation of their [poor] treatment by the Greek border guards means that they carry less and less money on them. While they used to carry larger amounts, a source from the asylum system explains that now “€50, €100, €150 is the norm”.

    A 2021 report on the Balkan corridor by the Global Initiative against Transnational Organized Crime states that “unlike 2015-2016, asylum seekers and migrants now appear wary of carrying large amounts of cash for fear of being robbed by thieves or the police. They tend to access money along the way using money transfer services.”

    Differences also exist based on the nationality of the asylum seekers.

    In recent years, Cubans (who fly to Russia, then to Serbia, arrive in Greece with the intention of applying for asylum in another country) are the unluckiest: without knowing what awaited them, they often each carried with them several thousand euros.

    “Groups of North Africans tend to travel alone or in small groups of two or three, and carry less money. Groups that include families, Syrians and Afghans, tend to be led by traffickers and carry more money,” explains Barker.

    “But, certainly, in the last 1-2 years people are more aware of the risks and no one expects to reach Greece on the first try,” she adds.

    “They know they will be pushed back to Turkey more than once.”

    Methodology

    We examined the testimonies of the victims of 374 illegal pushbacks that were collected between 2017-2022 by the following: Border Violence Monitoring Network (188), Human Rights Watch (76), the Greek Council for Refugees (55), Amnesty International (4), other NGOs and local reports (43), as well as by the journalists of this investigation (8).

    Some testimonies were rejected because they overlapped in dates or did not include sufficient evidence. In 2022, far fewer incidents were recorded than in the previous two years, because the NGO Josoor, which had collected the most testimonies, decided to disband, due to the judicial and police pressure they experienced by Greek and Turkish authorities.

    Testimonies were organized into structured data to be classified by date, place, nationalities and number of people pushed back. It was also ascertained whether the victims reported theft (232 incidents) or not (142). Using this data, the estimated number of asylum seekers present during the pushbacks where theft occurred was more than 13,500.

    Although migrants are systematically recorded, sometimes there are some who manage to hide their money, also, not all migrants have cash with them (this is especially true for families traveling together, so only one family member has been counted as a target for theft). Therefore, using the demographic profiles of migrant groups developed by UNHCR and the PRAB initiative (which includes various NGOs and foundations), a 30% deflator was applied to the theft victim base.

    Not all testimonies of theft specified the amount stolen but 62 testimonies did specify amounts (five were rejected for the calculation because the amounts stolen were so large that they could be misleading). With this data, a statistical distribution was created, of the most frequently confiscated amounts. The distribution was applied to the deflated victim base in order to derive an estimate of the money stolen from migrants. The results show that between 2017 and 2022, between €2.2 and €2.8 million were stolen – these estimates are conservative, as many victims do not report being deported or robbed.

    https://wearesolomon.com/mag/format/investigation/the-great-robbery-during-illegal-pushbacks-in-greece-refugees-are-robb
    #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #vol #argent #Grèce #Evros #téléphones_portables #confiscation #chiffres #statistiques

    • Greek Border Guards call on Solomon to retract investigation which reveals they stole more than €2 million from refugees

      The Union of Evros Border Guards demands that Solomon removes from its website the investigation that revealed how in recent years members of the Greek security forces have stolen more than €2 million from refugees during pushbacks.

      On March 9, 2023, in collaboration with Spanish newspaper El País, Solomon published the findings of a months-long investigation, which sheds light on the extent of a practice, that in recent years, Greek border guards have allegedly engaged in: confiscating money and personal belongings from refugees during illegal pushbacks.

      To document the research, we conducted interviews with several sources. Among them were employees of the Greek asylum system, active and retired members of the security forces, Frontex officials, lawyers, experts, as well as residents of Evros.

      We collected testimonies from the victims of pushbacks, some of which have been submitted to the European Court of Human Rights (ECHR), and analyzed 374 published testimonies that were recorded by a variety of agencies, which describe the pushbacks of over 20,000 asylum seekers from Greece to Turkey via Evros during the period of 2017-2022.

      The publication of the investigation caused the immediate reaction of MEPs, including the president of the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE), who addressed questions to the Commission.

      But these were not the only reactions that followed.

      We received a legal notice from the Union of Evros Border Guards (ESYFNE), which refutes the findings of our investigation, which it characterizes as “slanderous and untrue” and calls on us “to retract the article and publish a correction”.

      The legal notice, signed by a lawyer in Alexandroupoli on May 23, has a delivery date of May 29. However, during that time, our staff was traveling abroad for professional obligations, and we only became aware of the legal notice on June 15.

      In an interesting turn of events, we found that the delivery date coincided with a remarkable news story: on the very same day, five border guards from the Border Unit of Isaaki Didymotihos were accused of being involved in a refugee smuggling ring and were arrested.

      According to the Hellenic Police, the five border guards had in their possession: €26,550, 59 mobile phones, 12 power banks, 2,120 USD, 850 Turkish lire, 23 GBP, 77 Romanian Leu, a number of banknotes from Asian countries, and a bank card.

      In other words, on the same day that the Evros border guards were calling for the withdrawal of our investigation which described how Greek border guards were taking money and mobile phones from refugees during pushbacks, five of their colleagues were arrested, and large sums of foreign currency and 59 mobile phones were found in their possession.

      The legal notice also refers to the “arbitrary use” of a photo (depicting an ESYFNE member) which was used as a central illustration in our article, which they claim was used to “publicly and brutally insult the honor and dignity” of the said border guard “in the most arbitrary and abusive manner”.

      This reference causes a real doubt, as:

      - the photos that were used were obtained online (specifically from the website of the Ministry of Citizen Protection), and are also used in a multitude of other publications,

      - the photographs were processed by Solomon (to such a degree that the features of the border guard are not distinguishable), to create an artistic composition of the illustration which reflects the various elements of the subject,

      – and above all, a simple reading of the article is enough to make it clear that no mention is made of specific persons.

      In any case, as our purpose is to highlight an alarmingly widespread phenomenon that has also been recorded by a multitude of organisations (eg Human Rights Watch), we will replace the photo in question from our central illustration.

      Therefore, we will defend our work and the belief that it serves the public interest.

      We are at ESYFNE’s disposal for an in-depth interview, and even bring to their attention the recently published interim report of the Greek National Commission for Human Rights (GNCHR).

      The report by GNCHR, an official advisory body of the Greek state, estimates the minimum number of people who were forced back between 2020-2022 at 2,157 persons (without taking into account cases recorded by other organisations, e.g. the High Commission).

      In addition, the report states that in 88% of the cases the victims suffered violence, and in 93% their belongings and money were confiscated.

      In recent years, Solomon has consistently covered migration issues, highlighting human rights violations both on the mainland and on the islands. And we will continue to do so.

      https://wearesolomon.com/mag/our-news/greek-border-guards-call-on-solomon-to-retract-investigation-which-rev
      #pression

  • Est-ce que vous n’avez pas stupéfaits de constater à quelle vitesse le « drame » des quelques centaines de migrants noyés a disparu de l’« actualité » ? Alors même que commençaient à sortir des articles mettant en cause des gardes-côtes accusés d’avoir eux-même provoqué le naufrage durant une opération de push back (c’est vrai, c’est pas vrai ? Juste on n’en cause plus.)

    On n’a même pas de Une claire pour savoir de combien de morts on parle (70 ? 700 ?…). Ça a gueulé à la faute des « passeurs », et dès que la rôle de Frontex et des garde-côtes a commencé à être évoqué (et alors que sortaient sur les interwebz plusieurs vidéos d’autres épisodes de push back parfaitement criminel), hop hop on est passés au fait divers du Titanic.

    Je suis généralement assez blasé face à la nullité de nos médias, mais là je trouve stupéfiant que ce qui devrait être un énorme scandale, au niveau européen, a déjà totalement disparu des écrans.

  • Verloren in Europas letztem Urwald : Fotos von der polnisch-belarussischen Grenze

    „Der Weg übers Mittelmeer ist gefährlich. Doch die Leute haben gar keine Vorstellung davon, wie gefährlich der Urwald sein kann.“

    An der Grenze zwischen Polen und Belarus liegt der Belowescher Wald, einer der letzten Urwälder Europas. Seit einigen Jahren verstecken sich Flüchtende in diesem Wald vor der Grenzpolizei. Auf dem Weg in die EU durchqueren sie Sümpfe und Flüsse. Sie verirren sich und harren mitunter tagelang im Wald aus. Humanitäre Hilfe hat die polnische Regierung verboten. Trotzdem helfen Freiwillige den Flüchtenden. Die Fotojournalistin Hanna Jarzabek hat sie monatelang begleitet.

    VICE: An der polnischen Grenze zur Ukraine gibt es viel Hilfe für Flüchtende. Menschen aus Deutschland brachten Wasser, Kleidung, Essen und fuhren mit Ukrainerinnen und Ukrainern nach Deutschland. Du hast an einer anderen Grenze Polens recherchiert: die zu Belarus. Warum?
    Hanna Jarzabek: Ich wurde in Polen geboren. Von Anfang an fiel mir auf, wie unterschiedlich die Regierung mit den Flüchtenden aus der Ukraine umgeht und jenen, die Belarus durchqueren. Während es an der ukrainischen Grenze humanitäre Hilfe gibt, müssen Hilfsorganisationen an der belarussischen Grenze ihr Tun geheim halten. Polen wendet dort eine scharfe Einwanderungspolitik an.

    Was bedeutet „scharfe Einwanderungspolitik“?
    Man muss sich klar machen: Aus der Ukraine kamen 1,5 Millionen Menschen nach Polen. Ich finde es großartig, dass sie Hilfe bekommen. Von Belarus kamen etwa 40.000 Menschen. Sie werden auf die belarussische Seite zurückgetrieben und ihre Handys werden zertrümmert. Die polnische Regierung hat dort eine Mauer gebaut.

    Warum wird den einen geholfen und den anderen nicht?
    Ich denke, das hat etwas mit Ethnien, Kultur und religiösem Hintergrund zu tun. Über die belarussische Grenze fliehen Menschen aus afrikanischen Ländern und dem Mittleren Osten.

    Heißt das: Die polnische Regierung handelt rassistisch?
    Ja, das würde ich schon sagen.

    An der Grenze liegt einer der letzten Urwälder Europas: der Belowesche Wald. Du hast viele Monate dort mit Menschen gesprochen und Fotos gemacht. Wem bist du begegnet?
    Ich erinnere mich an eine Frau aus dem Iran. Sie hat an den Demonstrationen für Frauenrechte teilgenommen. Daraufhin hat die iranische Regierung sie auf eine schwarze Liste gesetzt und sie musste fliehen. Eigentlich stünde ihr politisches Asyl zu.

    Das hat sie nicht bekommen?
    Sie wurde von polnischen Grenzbeamten zurück auf die belarussische Seite getrieben. Sie war mit einer Freundin und ihrem Mann unterwegs. Beim zweiten Versuch, nach Polen zu gelangen, schlugen die Beamten die drei Flüchtenden und sprühten mit Tränengas. Die Frau wachte in einem polnischen Krankenhaus auf, aber ihr Mann und ihre Freundin waren weg.

    Wo waren sie?
    Wieder in Belarus. Es dauerte Monate, bis die Frau eine Botschaft an ihren Mann senden konnte und erfuhr, dass er noch lebt.

    Ist sie dann auch zurück nach Belarus gegangen?
    Nein. Als ich mit ihr sprach, hatte jemand sie in Polen bei sich zu Hause aufgenommen. Das ist verboten. Einige machen es trotzdem. Wir haben den Google Übersetzer genutzt, um einander zu verstehen. Ihre Erzählungen waren schlimm. Doch ich erinnere mich vor allem an ihre Augen: Die waren voller Angst.

    Politische Verfolgung ist ein valider Fluchtgrund. Aber wahrscheinlich nicht der einzige, oder?
    Viele fliehen auch vor Krieg oder Armut. Auch das sind meiner Meinung nach sehr nachvollziehbare Gründe. Der Weg übers Mittelmeer ist gefährlich. Doch ich glaube, die Leute haben gar keine Vorstellung davon, wie gefährlich der Urwald sein kann.

    Wie gelangen Menschen vom afrikanischen Kontinent eigentlich nach Belarus?
    Sie fliegen erst nach Russland und dann weiter nach Belarus. Belarus vergibt Visa. Für die Flüchtenden sind diese Visa einfach zu bekommen – und die belarussische Regierung verdient Geld damit. Dann fahren sie von Minsk zur belarussisch-polnischen Grenze und es heißt: Von hier müsst ihr noch zehn Kilometer durch den Wald laufen. Ihr Ziel ist oft gar nicht Polen, sondern Deutschland. Es geht darum, in die Europäische Union zu gelangen und dort einen Asylantrag zu stellen. Doch die polnischen Grenzbeamte halten sie davon ab.

    Wie?
    Die Grenzbeamten fragen gar nicht, ob jemand Asyl beantragen will. Wenn es jemand von sich aus anspricht, ignorieren sie es. Es gibt weder Zeugen, noch Übersetzer. Die Flüchtenden bekommen nie die Chance, einen Antrag zu stellen.

    Sondern?
    Sie werden zurück nach Belarus gedrängt. Die Grenzbeamten trampeln ihre Telefone kaputt. Dann treiben die Beamten die Flüchtenden zurück in den Wald. Ohne GPS ist man dort verloren. Man könnte sagen: Die Grenzpolizei schickt Leute in den Tod.

    Diese Push Backs kennt man vor allem aus dem Mittelmeer.
    An der europäischen Landgrenze passieren sie genauso: Polen schickt Flüchtende nach Belarus und Belarus schickt sie nach Polen. Viele haben mir erzählt, dass sie mehrfach hin und zurück geschickt wurden. Eine Person sagte, sie habe schon 17 Mal die Grenze überqueren müssen. Das verstößt gegen internationales Recht.

    Du sagtest schon, dass Helferinnen und Helfer sich im Geheimen organisieren müssen. Wie machen sie das?
    Ich kann keine Details verraten. Das würde die Helfenden in Gefahr bringen. Nur so viel: Das Rote Kreuz oder andere Organisationen gibt es nicht. Wenn man einen Krankenwagen ruft, kommt auch die Grenzpolizei. Darum gibt es eine Notrufnummer, mit der die Flüchtenden die freiwilligen Helfer erreichen.

    Du bist von August 2022 bis März 2023 mehrmals dorthin gereist. Wie hat sich die Lage verändert?
    Der Winter war schlimm. Einmal bin ich mit zwei Freiwilligen drei Stunden lang durch den Urwald gelaufen. Wir kamen schließlich bei einem syrischen Flüchtenden an, der stark unterkühlt war. Eine Freiwillige war Ärztin. Wir wechselten seine nassen Sachen. Aber es ging ihm immer schlechter. Nach zwei Stunden entschied die Ärztin, einen Krankenwagen zu rufen.

    Obwohl ihr wusstet, dass die Grenzbeamten dann kommen?
    Wir waren nicht sicher, ob er die Nacht überleben würde.

    Und dann?
    Dann warteten wir vier Stunden lang. Es waren minus elf Grad Celsius. Die Rettungsstelle hatte unsere Koordinaten. Als sie endlich ankamen, war kein medizinisches Personal dabei: nur Grenzbeamten und Feuerwehr.

    Kam der Flüchtende trotzdem ins Krankenhaus?
    Sie haben ihn ins Auto gebracht, aber sind nie in ein Krankenhaus gefahren.

    Woher weißt du das?
    Ich war wirklich besorgt und habe ich mich an das Parlament gewandt, um herauszufinden, wo er ist. So ist meine Identität als Fotojournalistin aufgeflogen. Aber ich hatte keine andere Möglichkeit. Immer wenn ich bei der Grenzpolizei anrief, hieß es: Man könne mir nichts sagen – wegen des Datenschutzes.

    Hat er überlebt?
    Ja, die Beamten haben ihn in eine Ausländerunterkunft gebracht.

    Haben dich die Grenzbeamten auch mal aufgegriffen?
    Ja, als ich die Mauer fotografiert habe. Sie steht seit Sommer vergangenen Jahres: 186 Kilometer Stahl und Stacheldraht. Ich kann es gar nicht fassen, dass sich etwa 30 Jahre nach dem Mauerfall wieder eine Mauer durch Europa zieht.

    Hält die Mauer eigentlich Flüchtende auf?
    Nun, sie ist fünfeinhalb Meter hoch und hat eine Krone aus Stacheldraht. Aber die Leute klettern trotzdem drüber. Auf der polnischen Seite fallen sie runter, brechen sich Beine und Füße. Polen hat sich damit mehr Kosten geschaffen. Denn die Menschen müssen ins Krankenhaus.

    Hast du auch Geschichten mit gutem Ende erlebt?
    Ich habe von Menschen gehört, die an sicheren Orten sind. Von Menschen, die es nach Deutschland geschafft haben. Von Menschen, die ihre Verwandten in der EU wiedergefunden haben.

    https://www.vice.com/de/article/xgwwe3/verloren-in-europas-letztem-urwald-fotos-von-der-polnisch-belarussischen-grenz
    #forêt #Pologne #Biélorussie #migrations #réfugiés #asile #frontières #push-backs #refoulements #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #photographie #murs #barrières_frontalières #GPS #téléphones_portables #smartphone #Bohoniki #cimetière

    voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/948199

  • Termes nautiques
    https://www.annoncesbateau.com/conseils/termes-nautiques

    petit #dictionnaire

    Écrit par : Bénédicte Chalumeau
    ...
    Pour naviguer il est nécessaire d’avoir une compréhension du vocabulaire de la navigation, de la mer et des bateaux. Nous vous présentons ici les termes techniques les plus courants, utilisés dans le monde maritime.

    A
    #Abattre :
    Écarter sa route du lit du vent. Ce mouvement s’appelle une abattée.

    #Abord (en) :
    Sur le côté du bâtiment.

    #Accastillage :
    Objets et accessoires divers équipant un navire.

    #Accoster :
    Placer un bâtiment le long d’un quai ou le long d’un autre navire.

    #Acculée :
    Mouvement en arrière d’un navire, il cule.

    #Adonner :
    Le vent adonne pour un navire à voiles quand il tourne dans un sens favorable à la marche, c’est à dire quand il vient plus à l’arrière. Le contraire est refuser.

    #Affaler :
    Faire descendre, c’est le contraire de hâler. Affaler quelqu’un le long du bord, ou d’un mât, c’est le faire descendre au bout d’un filin.

    #Aiguillots :
    Pivots fixes sur une mèche du gouvernail ou sur l’étambot et tournant dans les fémelots.

    #Aileron :
    Partie de tente qui se place en abord. Prolongements en abord et généralement découverts de l’abri de navigation.

    #Ajut :
    Noeud servant à réunir momentanément deux bouts de cordage.

    #Allure :
    Direction d’un navire par rapport à celle du vent.

    #Amariner :
    Amariner un équipage : l’habituer à la mer.

    #Amarrage :
    Action d’amarrer.

    #Matelotage
     : bout de lusin, merlin, ligne, etc... servant à relier ensemble deux cordages.

    #Amarres :
    Chaînes ou cordages servant à tenir le navire le long du quai.

    #Amener :
    abaisser, faire descendre.

    #Amer :
    Point de repère sur une côte.

    #Amure :
    Manoeuvre qui retient le point inférieur d’une voile du côté d’où vient le vent (voiles carrées). Par extension est synonyme d’allure. Pour les bateaux latins, on continue à dire qu’ils naviguent bâbord ou tribord amures, selon que le vent vient de la gauche ou de la droite.

    #Anguillers :
    Conduits, canaux ou trous pratiqués dans la partie inférieure des varangues des couples pour permettre l’écoulement de l’eau dans les fonds.

    #Anspect :
    Ou barre d’anspect. Levier en bois dur servant à faire tourner un cabestan ou un guindeau. Primitivement, servait à pointer les canons en direction.

    #Aperçu :
    Pavillon signal que l’on hisse pour indiquer que l’on a compris un signal.

    #Apiquer :
    Hisser l’une des extrémités d’un gui ou d’une vergue de manière à l’élever au-dessus de l’autre.

    #Apparaux :
    Ensemble des objets formant l’équipement d’un navire.

    #Appel :
    Direction d’un cordage, de la chaîne de l’ancre.

    #Appuyer :
    Haler, raidir un cordage pour soutenir ou fixer l’objet auquel il aboutit. Appuyer un signal, c’est l’accompagner d’un signal sonore, coup de Klaxon, pour attirer l’attention. Appuyer la chasse : poursuivre obstinément.

    #Araignée :
    Patte d’oie à grand nombre de branches de menu filin qu’on installe sur les funes des tentes et tauds pour permettre de les maintenir horizontaux. Hamac : réseau de petites lignes à oeil placées à chaque extrémité de la toile du hamac pour le suspendre : elles se réunissent à deux boucles métalliques ou organeaux d’où partent les « rabans » de suspension.

    #Arborer :
    Arborer un pavillon, c’est le hisser au mât. En Méditerranée, dans la langue des galères, le mât s’appelait l’arbre.

    #Ardent :
    Un navire est ardent lorsqu’il tend de lui-même à se rapprocher du lit du vent. C’est le contraire du mou.

    #Armement :
    L’armement d’un bâtiment consiste à le munir de tout ce qui est nécessaire à son genre de navigation ; ce terme désigne aussi la totalité des objets dont un navire est muni. Ces objets sont inscrits sur les « feuilles d’armement ». Dans une embarcation, on appelle ainsi son équipage.

    #Armer :
    Armer un navire : le munir de son armement. / Armer un câble : le garnir en certains endroits pour le garantir des frottements.

    #Arraisonner :
    Arraisonner un navire c’est le questionner sur son chargement, sa destination, et toutes autres informations pouvant intéresser le navire arraisonneur.

    #Arrimage :
    Répartition convenable dans le navire de tous les objets composants son armement et sa cargaison.

    #Arrivée :
    Mouvement que fait le navire quand il s’éloigne du lit du vent pour recevoir le vent plus de l’arrière. Synonyme : « abattée ». Contraire : « auloffée ».

    #Arrondir :
    Passer au large d’un cap pour éviter les dangers qui le débordent.

    #Assiette :
    Manière dont le navire est assis dans l’eau, autrement dit sa situation par rapport à la différence de ses tirants d’eau avant et arrière.
    Assiette positive : T AV < T AR
    Assiette négative : T AV > T AR

    #Atterrir :
    Faire route pour trouver une terre ou un port.

    #Attrape :
    Cordage fixé sur un objet de façon à pouvoir en temps utile l’amener à portée de main.

    #Atterrissage :
    Action d’atterrir.

    #Auloffée :
    Mouvement d’un navire tournant son avant vers le lit du vent. Contraire : arrivée abattée (ou abattée).

    #Aveugler :
    Une voie d’eau, obstruer avec des moyens de fortune

    B
    #Bâbord :
    Partie du navire située à gauche d’un observateur placé dans l’axe de ce navire en faisant face à l’avant.

    #Baguer :
    Faire un noeud coulant.

    #Baille :
    Baquet (appellation familière donnée à leur école, par les élèves de l’école Navale).

    #Balancine :
    Manoeuvre partant du haut du mât et soutenant les extrémités d’une vergue ou l’extrémité d’un gui ou d’un tangon.

    #Ballast :
    Compartiments situés dans les fonds du navire et servant à prendre du lest, eau ou combustible.

    #Ballon :
    Défense sphérique que l’on met le long du bord.

    #Bande :
    Inclinaison latérale du navire. Synonyme de gîte. Mettre l’équipage à la bande : l’aligner sur le pont pour saluer un navire ou une personnalité.

    #Barbotin :
    Couronne à empreintes du guideau ou du cabestan sur laquelle les maillons d’une chaîne viennent s’engrener successivement.

    #Base :
    Banc de roche ou de corail formant un bas-fond.

    #Bastaque :
    Hauban à itague employé sur les petits bateaux. Il peut aussi servir à hisser certains objets.

    #Bastingage :
    Autrefois muraille en bois ou en fer régnant autour du pont supérieur d’un navire, couronnée par une sorte d’encaissement destiné à recevoir pendant le jour, les hamacs de l’équipage ; une toile peinte les recouvrait pour les protéger de la pluie et de l’humidité. On emploie aussi ce terme par extension pour désigner les gardes corps ou lisses de pavois.

    #Battant :
    Partie du pavillon qui flotte librement par opposition au guindant qui est le long de la drisse.

    #Bau :
    Poutres principales placées en travers du bateau pour relier les deux murailles de la coque et supporter les bordages de la coque.

    #Beaupré :
    Mât situé à l’avant du bâtiment.

    #Béquiller :
    #Empêcher un navire échoué de se coucher en le maintenant avec des béquilles.

    #Berceau :
    Assemblage en bois ou en fer destiné à soutenir un navire quand il est halé à terre.

    #Berne (en) :
    Mettre le pavillon à mi-drisse en signe de deuil.

    #Bigue :
    Très gros mât de charge maintenu presque vertical et portant à son extrémité supérieure des cordages et des appareils destinés à lever des poids très lourds. On nomme aussi bigues deux mâts placés et garnis comme le précèdent, et dont les têtes sont réunies par une portugaise.

    #Bittes :
    Pièce de bois ou d’acier fixé verticalement sur un pont ou un quai et servant à tourner les aussières.

    #Bitture :
    Partie d’une chaîne élongée sur le pont à l’avant et à l’arrière du guindeau, filant librement de l’écubier aussitôt qu’on fait tomber l’ancre (prendre une bitture).

    #Bollard :
    Point d’amarrage à terre constituée par un gros fût cylindrique en acier coulé, à tête renflée, pour éviter le glissement de l’amarre.

    #Bôme :
    Vergue inférieure d’une voile aurique.

    #Borde :
    #Ensemble des tôles ou des planches formant les murailles d’un navire.

    #Bordée :
    – Distance parcourue par un navire en louvoyant et sans virer de bord.
    – Division : de l’équipage pour faire le quart.

    #Border :
    – ne voile : la raidir en embarquant l’écoute.
    – La côte : la suivre de très près.
    – Un navire : mettre en place le bordé.

    #Bordure :
    Côté inférieur d’une voile ; la ralingue qui y est fixée se nomme ralingue de fond ou de bordure.

    #Bosco :
    Maître de manoeuvre (marine de guerre), Maître d’équipage (marine de commerce)

    B#osse :
    Bout de cordage ou de chaîne fixé par une de ses extrémités et qui, s’enroulant autour d’un cordage ou d’une chaîne sur lesquels s’exerce un effort, les maintient immobile par le frottement.

    #Bossoir :
    – Pièce de bois ou de fer saillant en dehors d’un navire et servant à la manoeuvre des ancres à jas ; par extension coté avant d’un navire. De capon - de traversières : sert à mettre l’ancre au poste de navigation ; d’embarcation ou portemanteau : sert à suspendre et à amener les embarcations.
    – Homme de bossoir : homme de veille sur le gaillard avant.

    #Bouge :
    Convexité transversale entre ponts et faux-ponts des navires.

    #Bouée :
    Corps flottant.

    #Bourlinguer :
    Se dit d’un bateau qui lutte dans une forte mer et d’un marin qui navigue beaucoup.

    #Braie :
    Sorte de collier en toile à voile ou en cuir que l’on applique autour du trou pratiqué dans le pont pour le passage d’un mât, d’une pompe, de la volée d’un canon afin d’empêcher l’infiltration de l’eau à l’intérieur du bateau.

    #Branles :
    Nom ancien des hamacs (d’où « branle-bas »).

    #Brasse :
    Mesure de longueur pour les cordages, 1m83, servant aussi à indiquer la profondeur de l’eau. Ce terme est en usage dans la plupart des nations maritimes mais la longueur en est différente : en France : 1m624, en Angleterre et en Amérique : 1m829 (six pieds anglais).

    #Brasser :
    Orienter les vergues au moyen des manoeuvres appelées bras. - carré : placer les vergues à angle droit avec l’axe longitudinal du navire. Brasser un tangon.

    #Brider :
    Étrangler, rapprocher plusieurs cordages tendus parallèlement par plusieurs tours d’un autre cordage qui les serre en leur milieu ; ou augmente ainsi leur tension.

    #Brigadier :
    Matelot d’une embarcation placé à l’avant pour recevoir les bosses ou les amarres, annoncer les obstacles sous le vent ou aider à accoster avec la gaffe.

    #Brin :
    Mot servant à indiquer la qualité du chanvre d’un cordage ; le meilleur est dit le premier brin. S’emploie aussi pour qualifier un homme remarquable.

    #Bulbe :
    Renflement de la partie inférieure d’une étrave.

    #Bulge :
    Renflement des flancs du navire.

    C
    #Cabaner :
    Chavirer sans dessus dessous en parlant d’une embarcation.

    #Cabestan :
    Treuil vertical servant à actionner mécaniquement ou à bras les barbotins.

    #Cabillot :
    Chevilles en bois ou en métal qui traversent les râteliers et auxquelles on amarre les manoeuvres courantes au pied des mâts ou en abord.

    #Câblot :
    Petit câble d’environ 100 mètres de longueur servant à mouiller les embarcations au moyen d’un grappin ou d’une petite ancre.

    #Cabotage :
    Navigation entre deux ports d’une même côte ou d’un même pays.

    #Caillebotis :
    treillis en bois amovible servant de parquet et laissant écouler l’eau.

    #Calfatage :
    Opération qui consiste à remplir d’étoupe, au moyen d’un ciseau et à coups de maillet, les coutures des bordages ou des ponts en bois d’un navire afin de les rendre étanches. L’étoupe est ensuite recouverte de brai.

    #Calier :
    Homme employé spécialement à la distribution de l’eau douce.

    #Caliorne :
    Gros et fort palan destiné aux manoeuvres de force.

    #Cap de mouton :
    Morceau de bois plat et circulaire percé de trois ou quatre trous dans lesquels passent des rides pour raidir les haubans, galhaubans, etc...

    #Cape (à la) :
    On dit qu’un navire est à la cape quand, par gros temps, il réduit sa voilure ou diminue la vitesse de sa machine en gouvernant de façon à faire le moins de route possible et à dériver le plus possible pour éviter les effets de la mer.

    #Capeler :
    Capeler un mât, c’est faire embrasser la tête du mât par toutes les manoeuvres dormantes qui doivent entourer cette tête et s’y trouver réunies.

    #Capeyer :
    Tenir la cape.

    #Capon :
    Palan qui servait à hisser l’ancre sur les anciens navires (bossoirs de capon).

    #Carène :
    Partie immergée de la coque d’un navire.

    #Caréner (un navire) :
    Nettoyer et peindre sa carène.

    #Cartahu :
    Cordage volant, sans affectation spéciale, destiné à hisser ou amener les objets qu’on y attache. Les cartahus de linge servent à mettre le linge au sec ; ils se hissent parfois entre les mâts de corde.

    #Chadburn :
    Système mécanique employé pour transmettre les ordres de la passerelle aux machines (marine de commerce).

    #Chambre (d’embarcation) :
    Partie libre, à l’arrière de l’embarcation où peuvent s’asseoir les passagers.

    #Chandeliers :
    Barres généralement en acier fixées verticalement en abord d’un pont, autour des panneaux et des passerelles pour empêcher les chutes. Les chandeliers sont percés de trous dans lesquels passent les tringles ou les filières de garde-corps.

    #Chapelle, #Faire_chapelle :
    Se dit d’un navire qui, marchant, sous un vent favorable, vient à masquer par suite, d’une cause quelconque et est obligé de faire le tour pour reprendre les mêmes amures.

    #Charnier :
    Tonneau à couvercle, ayant généralement la forme d’un cône tronqué et dans lequel étaient conservés les viandes et les lards salés pour la consommation journalière de l’équipage (ancien). Par extension réservoir rempli d’eau potable.

    #Chasser (sur son ancre) :
    Entraîner l’ancre par suite d’une tenue insuffisante de fond.

    #Château :
    Superstructure établie sur la partie centrale d’un pont supérieur et qui s’étend d’un côté à l’autre du navire.

    #Chatte :
    Grappin à patte sans oreilles dont on se sert pour draguer les câbles ou les objets tombés à la mer.

    #Chaumard :
    Pièce de guidage pour les amarres solidement fixées sur le pont dont toutes les parties présentent des arrondis pour éviter d’user ou de couper les filins.

    #Chèvre :
    Installation de trois mâtereaux réunis à leur tête pour les manoeuvres de force.

    #Choquer :
    Filer ou lâcher un peu de cordage soumis à une tension.

    #Claire :
    Ancre haute et claire :
    ancre entièrement sortie de l’eau, ni surpattée, ni surjalée. On dira de même :
    manoeuvre claire, pavillon clair.

    #Clan :
    Ensemble formé par un réa tournant dans une mortaise qui peut être pratiquée dans un bordage, une vergue ou un mât.

    #Clapot :
    Petites vagues nombreuses et serrées qui se heurtent en faisant un bruit particulier.

    #Clapotis :
    Etat de la mer qui clapote ou bruit de clapot.

    #Clin :
    Les bordages sont disposés à clin quand ils se recouvrent comme les ardoises d’un toit :
    embarcation à clins.

    #Clipper :
    Nom donné à un
    voilier
    fin de carène, spécialement construit pour donner une grande vitesse (clipper du thé, de la laine).

    #Coaltar :
    Goudron extrait de la houille (protège le bois de la pourriture).

    #Coffre :
    Grosse bouée servant à l’amarrage des navires sur une rade.

    #Connaissement :
    Document où est consigné la nature, le poids et les marques des marchandises embarquées. Cette pièce est signée par le capitaine après réception des marchandises avec l’engagement de les remettre dans l’état où elles ont été reçues, au lieu de destination sauf périls et accidents de mer.

    #Conserve, Naviguer de conserve :
    Naviguer ensemble (un bâtiment est ainsi « conserve » d’un autre).

    #Contre-bord (navire à) :
    Navire faisant une route de direction opposée à celle que l’on suit.

    #Coque :
    Boucle qui se forme dans les cordages.

    #Coqueron :
    Compartiment de la coque souvent voisine de l’étrave ou de l’étambot, servant e soute à matériel.

    #Corde :
    Ce mot n’est employé par les marins que pour désigner la corde de la cloche.

    #Cornaux :
    W-C. de l’équipage consistant en auges inclinées qui découlent dans les conduits aboutissant à la mer ; les cornaux étaient autrefois placés à tribord et à bâbord sur le plancher de la poulaine.

    #Corps-morts :
    Chaînes et ancres disposées au fond de la mer, solidement retenues par des empennelages, et dont une branche qui part dès la réunion des chaînes est nommée itague revient au-dessus de l’eau où elle est portée par un corps flottant (bouée ou coffre).

    #Coupée :
    Ouverture pratiquée dans les pavois ou dans le bastingage permettant l’entrée ou la sortie du bord.

    #Couples :
    Axes de charpente posés verticalement sur la quille.

    #Coursive :
    Terme général pour désigner des passages étroits tels que ceux qui peuvent se trouver entre des chambres ou autres distributions du navire.

    #Crachin :
    Pluie très fine. Crachiner.

    #Crapaud (d’amarrage) :
    Forts crampons pris sur le fond et servant au mouillage des coffres et des grosses bouées.

    #Crépine :
    Tôle perforée placée à l’entrée d’un tuyautage pour arrêter les saletés.

    #Croisillon :
    Petite bitte en forme de croix.

    #Croupiat :
    Grelin de cordage quelconque servant à amarrer l’arrière d’un navire à un quai ou à un bâtiment voisin. Faire croupiat :
    appareiller le navire en s’aidant d’une amarre pour éviter le navire vers la sortie du port ou du bassin.

    #Cul :
    Fond, partie arrière, basse ou reculée, d’un objet.
    – Cul d’une poulie :
    Partie de la caisse opposée au collet.
    – Cul de poule :
    Arrière allongé et relevé.
    – Cul de porc :
    Sorte de noeud.

    #Culer :
    En parlant d’un navire : marche arrière en avant.

    D
    #Dalot :
    Trous pratiqués dans les ponts et laissant s’écouler dans un tuyau placé au-dessous l’eau qui se trouve à la surface du pont.

    #Dames :
    Échancrures du plat-bord d’un canot garnies de cuivre et destinées à recevoir et à maintenir les avirons pendant la nage.

    #Darse :
    Bassin d’un port.

    #Déborder :
    Action de pousser au large une embarcation ou un bâtiment accosté à un navire ou à un quai.

    #Débouquer :
    Sortir d’un canal ou d’une passe pour gagner la mer libre.

    #Décapeler :
    Un mât, une vergue, c’est enlever les cordages qui y sont capelés ; un cordage, entourant un objet quelconque, c’est le dépasser par-dessus cet objet et l’enlever. De façon générale : ôter, décapeler un tricot, etc...

    #Défense :
    Tout objet suspendu contre le bord d’un navire ou d’une embarcation pour préserver la muraille du choc des quais et de toute construction flottante.

    #Déferler :
    Larguer les rabans de ferlage qui tiennent une voile serrée et la laisser tomber sur ses cargues. La lame déferle lorsqu’elle brise en s’enroulant sur elle-même ou en choquant une plage, une roche.

    #Déferler_un_pavillon :
    Peser sur la drisse pour permettre au pavillon de se déployer.

    #Déhaler :
    Déplacer un navire au moyen de ses amarres.

    Se déhaler :
    S’éloigner d’une position dangereuse au moyen de ses embarcations, de ses voiles.

    #Dérader :
    Quitter une rade.

    #Déraper :
    Une ancre : l’arracher du fond. Un navire dérape lorsqu’il enlève du fond sa dernière ancre.

    #Dérive :
    Différence entre le cap vrai du bâtiment et sa route vraie sous l’effet du vent de la mer et du courant.On appelle aussi « dérive » les surfaces que l’on immerge au centre de la coque ou sur les côtés pour s’opposer à la pression latérale du vent ; on devrait dire dans ce cas « contre dérive ». Être en dérive : navire ou objet qui flotte au gré du vent, des lames, des courants.

    #Désaffourcher :
    Relever une des deux ancres qui tiennent un navire affourché.

    #Désarmé :
    Un navire est désarmé lorsqu’il est amarré dans un port sans équipage et qu’il n’y a, en général, que des gardiens à bord.

    #Détroit :
    Ancre installée à la poupe d’un bâtiment.

    #Déventer :
    Une voile : la brasser en ralingue de façon à ce qu’elle fasseye.

    #Dévers :
    Inclinaison de l’étrave et courbure vers l’extérieur des couples de l’avant ayant pour avantage d’éviter l’embarquement des lames, formées par la vitesse du bâtiment.

    #Délester :
    Décharger le lest d’un navire, par exemple, alléger un navire.

    #Démailler :
    Séparer les maillons d’une chaîne, ou l’ancre de sa chaîne.

    #Demande :
    Filer à la demande un cordage qui fait effort, c’est le laisser (à la) filer en n’opposant qu’une faible résistance, mais en se tenant prêt à arrêter le mouvement au besoin.

    #Dépaler :
    Être dépalé : être porté par les courants, en dehors de la route que l’on doit suivre.

    #Déplacement :
    Poids du volume d’eau déplacé par un navire qui flotte. Le déplacement s’exprime en tonnes de 1000 kg.

    #Dévirer :
    (Cabestan, treuil, etc...) : tourner en sens contraire.

    #Dinghy :
    Embarcation en caoutchouc. L’on dit aussi
    zodiac quel que soit le modèle.

    #Double :
    Le double d’une manoeuvre : la partie qui revient sur elle-même dans le sens de la longueur après avoir passé dans une poulie ou autour d’un cabillot ou de tout autre objet. Quart de vin supplémentaire à titre de récompense.

    #Doubler :
    – Au vent : naviguer au vent de, passer au vent de...
    – Un cap : manoeuvrer et faire route de manière à contourner un cap.
    – Un bâtiment : le gagner de vitesse.
    – Les manoeuvres, cordages : les disposer en double en cas de mauvais temps ou autrefois à l’approche du combat.

    #Draille :
    Cordage tendu le long duquel une voile, une tente peuvent courir ou glisser par le moyen d’un transfilage ou d’anneaux.

    #Drisse :
    Cordage ou palan servant à hisser une vergue, une corne, une voile.
    – De flamme : cordage confectionné au moyen d’une machine spéciale, en une tresse ronde avec huit faisceaux, de trois fils à voile non goudronnés et destiné à hisser les signaux.

    #Drome :
    Ensemble des embarcations, des pièces de rechange : mâts, vergues, avirons, etc... embarqués à bord d’un bâtiment.
    – Des embarcations : rassemblement en bon ordre des avirons, mâts, gaffes d’un canot sur les bancs.

    #Drosse :
    Cordage en filin, en cuir, en fil d’acier, ou en chaîne qui sert à faire mouvoir la barre de gouvernail.

    #Drosser :
    Entraîner hors de sa route par les vents et la mer.

    #Ducs d’albe :
    Nom donné à un ou plusieurs poteaux réunis, enfoncés dans le fond d’un bassin ou d’une rivière afin d’y capeler des amarres quand on le déhale d’un navire.

    E
    #Echafaud :
    Planches formant une plate-forme que l’on suspend le long de la coque pour travailler.

    #Echouer :
    Toucher le fond.

    #Ecope :
    Pelle en bois à long manche qui sert à prendre de l’eau à la mer pour en asperger la muraille d’un bâtiment pour la nettoyer. Elle sert également à vider les embarcations.

    #Écoutille :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans le pont pour pouvoir accéder dans les entreponts et dans les cales.

    #Ecubier :
    Conduit en fonte, en tôle ou en acier moulé ménagé de chaque bord de l’étrave pour le passage des chaînes de l’ancre. Ouverture par laquelle passe la chaîne d’une ancre.

    #Elingue :
    Bout de filin ou longue estrope dont on entoure les objets pesants tels qu’une barrique, un ballot, une pièce de machine, etc... A cette élingue, on accroche un palan ou la chaîne d’un mât de charge pour embarquer ou débarquer les marchandises.

    #Embardée :
    Abattée d’un navire en marche en dehors de sa route ou au mouillage ou sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embarder :
    Se dit d’un navire qui s’écarte de sa route à droite ou à gauche en suivant une ligne courbe et irrégulière. On dit aussi qu’un navire, à l’ancre, embarde quand il change constamment de cap sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embellie :
    Amélioration momentanée de l’état de la mer et diminution du vent pendant une tempête ou encore éclaircie du ciel pendant le mauvais temps ou la pluie.

    #Embosser :
    Un navire : mouiller ou amarrer le bâtiment de l’AV et de l’AR, pour le tenir dans une direction déterminée malgré le vent ou le courant.

    #Embouquer :
    S’engager dans un canal, un détroit ou une passe.

    #Embraquer :
    Tirer sur un cordage de manière à le raidir : embraquer le mou d’une aussière.

    #Embrun :
    L’embrun est une poussière liquide arrachée par le vent de la crête des lames.

    #Emerillon :
    Croc ou anneau rivé par une tige dans un anneau de manière à pouvoir tourner librement dans le trou de l’anneau.

    #Empanner :
    Un navire à voile empanne ou est empanné quand il est masqué par le côté de l’écoute de ses voiles.

    #Encablure :
    Longueur employée pour estimer approximativement la distance entre deux objets peu éloignés l’un de l’autre. Cette longueur est de 120 brasses (environ 200 mètres). Longueur normale d’une glène d’aussière. Autre définition de l’encablure : un dixième de mille soit environ 185 mètres.

    #Encalminé :
    Voilier encalminé : quand il est dans le calme ou dans un vent si faible qu’il ne peut gouverner.

    #Engager :
    Un navire est engagé quand il se trouve très incliné par la force du vent, le désarrimage du chargement ou la houle et qu’il ne peut se redresser. Cordage engagé : cordage qui bloque.

    #En grand :
    Tout à fait, sans retenue.

    #Entremise :
    Fil d’acier reliant deux têtes de bossoir et sur lequel sont frappés les tire-veilles. Pièces de bois, cornière, placées dans le sens longitudinal. Elles servent avec les barrots à établir la charpente des ponts, à limiter les écoutilles, etc...

    #Épauler :
    La lame : prendre la mer à quelques quarts de l’AV pour mieux y résister.

    #Epontille :
    Colonne verticale de bois ou de métal soutenant le barrot d’un pont ou d’une partie à consolider.

    #Erre :
    Vitesse conservée par un navire sur lequel n’agit plus le propulseur.

    #Espars :
    Terme général usité pour désigner de longues pièces de bois employées comme mâts, vergues, etc...

    #Essarder :
    Essuyer, assécher avec un faubert ou une serpillière.

    #Etale :
    – Sans vitesse.
    – Étale de marée : moment où la mer ne monte ni ne baisse

    #Etaler :
    Résister à.

    #Étalingure :
    Fixation de l’extrémité d’un câble, d’une chaîne sur l’organeau d’une ancre. - de cale : fixation du câble ou de la chaîne dans la cale ou le puits à chaînes.

    #Etambot :
    Pièce de bois de même largeur que la quille et qui s’élève à l’arrière en faisant avec celle-ci un angle généralement obtus qu’on nomme quête. Il reçoit les fémelots ou aiguillots du gouvernail.

    #Etamine :
    Étoffe servant à la confection des pavillons.

    #Etarquer :
    Une voile : la hisser de façon à la tendre le plus possible.

    #Étrangler :
    Une voile : l’étouffer au moyen de cordages.

    #Etrangloir :
    Appareil destiné à ralentir et à arrêter dans sa course une chaîne d’ancre.

    #Evitage :
    Mouvement de rotation d’un bâtiment sur ses ancres, au changement de marées ou par la force du vent qui agit plus sur lui que sur le courant. Espace nécessaire à un bâtiment à l’ancre pour effectuer un changement de cap, cap pour cap.

    F
    #Fanal :
    Lanterne d’embarcation.

    #Fardage :
    Tout ce qui se trouve au-dessus de la flottaison excepté la coque lisse et offrant de la prise au vent. Dans la marine de commerce, désigne aussi les planches , nattes, etc... que l’on place sur le vaigrage du fond pour garantir les marchandises contre l’humidité.

    #Fatiguer :
    Un bâtiment fatigue lorsque, par l’effet du vent, de la mer, ses liaisons sont fortement ébranlées.

    #Faubert :
    Sorte de balai fait de nombreux fils de caret et dont on fait usage à bord pour sécher un pont après la pluie ou le lavage.

    #Faux-bras :
    Cordage installé le long du bord, pour faciliter l’accostage des embarcations.

    #Femelots :
    Pentures à deux branches embrassant l’étambot ou le gouvernail et représentant des logements pour recevoir les aiguillots.

    #Ferler :
    – Une voile carrée : relever par plis sur la vergue une voile carguée et la fixer au moyen de rabans dits de ferlage qui entourent la voile et la vergue.
    – Un pavillon : le plier et le rouler en le maintenant ensuite avec sa drisse.

    #Filer :
    – Une amarre : laisser aller une amarre dont un des bouts est attaché à un point fixe.
    – La chaîne : augmenter la touée d’une chaîne en la laissant aller de la quantité voulue en dehors du bord.
    – Par le bout, une chaîne ou grelin : laisser aller du navire dans l’eau.

    #Filière :
    Cordage tendu horizontalement et servant de garde-corps ou à suspendre différents objets. - de mauvais temps : cordage qu’on tend d’un bout à l’autre du bâtiment et auquel les hommes se retiennent pendant les forts mouvements de roulis et de tangage.

    #Flux :
    Marée montante.

    #Forain :
    Ouvert : Rade foraine : rade sans abri, exposée au mauvais temps du large (mouillage d’attente).

    Forme :
    – Bassin de radoub, ou cale sèche : bassin de radoub.
    – Formes d’un navire : ses lignes.

    #Fraîchir :
    Se dit du vent qui augmente d’intensité.

    #Frais :
    Désigne la forme du vent : joli frais, bon frais, grand frais.

    #Franc-bord :
    Distance entre le niveau de l’eau à l’extérieur du navire et la partie supérieure du pont principal à la demi-longueur du navire.

    #Fret :
    Somme convenue pour le transport de marchandises par navire. Les marchandises composant le chargement du navire.

    #Fuir :
    Devant le temps ou devant la mer : gouverner de manière à recevoir le vent ou la mer par l’arrière.

    #Fune :
    Grelin qui traîne le chalut. Prolongement de la filière des tentes d’un navire (mettre les tentes en fune).

    G
    #Galhauban :
    Cordage en chanvre ou en acier servant à assujettir par le travers et vers l’arrière les mâts supérieurs.

    #Gambier :
    Changer la position d’une voile à antenne ou au tiers d’un côté à l’autre du navire en faisant passer la vergue de l’autre côté du mât. Synonyme : muder, trélucher.

    #Galipot :
    Sorte de mastic avec lequel on recouvre les pièces métalliques en cas de repos prolongé ou d’exposition à l’arrosage par l’eau de mer. Pâte formée en parties égales de céruse et de suif fondu, étalée à chaud, au pinceau, sur les surfaces à protéger. On l’enlève par grattage et lavage à l’huile. Galipoter (vieux).

    #Gite :
    Synonyme de bande : Giter.

    #Glène :
    De cordage : portion de cordage ployée en rond sur elle-même, c’est à dire lové.

    #Grain :
    Vent violent qui s’élève soudainement généralement de peu de durée. Les grains sont parfois accompagnés de pluie, de grêle ou de neige.

    #Gréement :
    L’ensemble des cordages, manoeuvres de toutes sortes et autres objets servant à l’établissement, à la tenue ou au jeu de la mâture, des vergues et des voiles d’un navire.

    #Guindeau :
    Appareil servant à virer les chaînes, à mouiller et à relever les ancres à bord d’un navire. Son axe de rotation est horizontal.

    H
    #Habitacle :
    Sorte de cuvette ou de caisse cylindrique en bois ou en cuivre recouverte à la partie supérieure d’une glace et qui contient le compas de route et les lampes qui l’éclairent.

    #Hale-bas :
    Petit cordage frappé au point de drisse des voiles enverguées sur des drailles et qui sert à les amener.

    #Haler :
    Remorquer un navire dans un canal ou le long d’un quai au moyen d’un cordage tiré au rivage. Tirer un cordage ou un objet quelconque au moyen d’un cordage sur lequel on fait un effort.

    #Hanche :
    Partie de la muraille d’un navire qui avoisine l’arrière. On relève un objet par la hanche quand il est à 45° par l’arrière du travers.

    #Haut-fond :
    Sommet sous-marin recouvert d’eau peu profonde et dangereux pour la navigation.

    #Hauturière :
    Navigation au large ; contrôlée par l’observation des astres. Long cours.

    I
    #Itague :
    Cordage passant par une poulie simple et sur lequel on agit à l’aide d’un palan pour augmenter la puissance. Chaîne retenant un coffre et maillée au point de jonction des chaînes des ancres de corps-mort.

    J
    #Jambettes :
    Montants, bouts d’allonges qui dépassent le plat-bord d’un bâtiment et sur lesquels on tourne des manoeuvres ou on prend un retour. Pièces de bois ou de fer légèrement inclinées et retenant les pavois.

    #Jarretière :
    Sangle qui sert à saisir une drôme dans une embarcation.

    #Jauge :
    Volume des capacités intérieures des navires exprimé en tonneaux de 2m3.83 ou 100 pieds cubes anglais.

    #Jauge brute :
    Volume de tous les espaces fermés du navire sans exception aucune.

    #Jauge nette :
    Volume des espaces utilisables commercialement.

    #Jaumière :
    Ouverture pratiquée dans la voûte d’un navire pour le passage et le jeu de la partie supérieure de la mèche du gouvernail.

    #Joue :
    Creux des formes de la coque à l’avant d’un navire. Synonyme : épaule. Face extérieure de la caisse d’une poulie.

    #Joute :
    Compétition d’embarcations à l’aviron.

    #Jusant :
    Marée descendante.

    L
    #Laisse :
    – De marée : partie du rivage alternativement couverte et découverte par la mer dans les mouvements de la marée.

    #Laize :
    Chacune des bandes de toile dont se compose une voile.

    #Lamanage :
    Pilotage restreint aux ports, baies, rade et rivières de peu d’importance. Dans la coutume d’Oléron, le pilote s’appelait loman, c’est à dire homme du lof (côté du vent) ; on en a fait laman, puis lamaneur.

    #Larder :
    Voir paillet.

    #Latte :
    – De hauban : patte métallique fixée sur le bordage pour servir de cadène de hauban.

    #Lège :
    Bâtiment lège : bâtiment vide.

    #Lest :
    Matières pesantes arrimées dans les fonds du navire pour en assurer la stabilité.

    #Libre pratique :
    Permission donnée par les autorités sanitaires d’un port à un navire de communiquer librement avec la terre.

    #Loch :
    Appareil servant à mesurer la vitesse du navire.

    #Lumières :
    Petits canaux ou conduits pratiqués sur la face antérieure des varangues et destinés à conduire les eaux de cale au pied des pompes. Synonyme : anguillers

    M
    #Mahonne :
    Chaland de port à formes très arrondies utilisé en Méditerranée.

    #Maille :
    Intervalle entre deux couples voisins d’un navire ou entre deux varangues. Ouverture laissée entre les fils des filets de pêche.

    #Main_courante :
    Barre en métal, ou pièces de bois mince, placées de chaque côté des échelles de dunette, de roof-passerelle, de gaillard, etc... pour servir de rampe.

    #Maistrance :
    (Marine Nationale) - L’ensemble des officiers mariniers de la Marine de guerre française et plus particulièrement ceux de carrière qui constituent le cadre de maistrance proprement dit.

    #Maître_bau :
    Bau situé dans la plus grande largeur du navire.

    #Maître_couple :
    Couple situé de même.

    #Maître_de_quart :
    (Marine nationale) - Gradé du service manoeuvre qui, à bord des bâtiments militaires, seconde l’officier de quart dans le service des embarcations et rend les honneurs du sifflet à l’arrivée et au départ des officiers.

    #Maniable :
    Modéré (vent) ; assez beau (temps).

    #Manifeste :
    Liste complète et détaillée par marque et numéros des colis de marchandises formant la cargaison d’un navire. Cette liste est remise à la Douane du port de destination.

    #Marie-Salope :
    Chaland à saletés.

    #Marnage :
    Synonyme : d’amplitude pour la marée.

    #Maroquin :
    Cordage tendu entre deux mâts pour servir à supporter une ou plusieurs poulies dans lesquelles passent des manoeuvres ou des drisses.

    #Mascaret :
    Phénomène qui se produit dans le cours inférieur d’un fleuve consistant en plusieurs lames creuses et courtes formées par la remontée du flot contre le courant du propre fleuve.

    #Mât_de_charge :
    Espar incliné tenu par des balancines portant des apparaux servant à déplacer des poids.

    #Mâter :
    Mettre un mât en place. Mâter une pièce, une barrique, les avirons : les dresser et le tenir dans une position verticale.

    #Mégaphone :
    Tronc de cône creux et léger servant à augmenter la portée de la voix.

    #Membrure :
    Pièce de bois ou de fer soutenant le bordé et les vaigres sur laquelle viennent se fixer les barrots (Synonyme : couple).

    #Midship :
    Aspirant ou enseigne de vaisseau, en général le plus jeune parmi les officiers. Désigne également des chaussures ouvertes utilisées à bord des bâtiments de la Marine en pays chaud.

    #Mole :
    Construction en maçonnerie, destinée à protéger l’entrée d’un port et s’élevant au-dessus du niveau des plus fortes marées.

    #Mollir :
    Diminuer de violence (vent / mer).

    #Mou :
    Un cordage a du mou quand il n’est pas assez tendu. Donner du mou : choquer une manoeuvre. Un navire est mou quand il a tendance à abattre.

    #Moucheter_un_croc :
    Amarrer un bout entre pointe et dos pour empêcher le décrochage.

    #Mouiller :
    Jeter l’ancre et filer la touée de la chaîne convenable.

    #Mousson :
    Vents périodiques, soufflant avec de légères variations pendant une moitié de l’année dans une direction et pendant l’autre moitié de l’année dans la direction opposée. (Mers de Chine et Océan Indien).

    #Musoir :
    Pointe extrême d’une jetée ou d’un môle ; se dit aussi de l’extrémité d’un quai à l’entrée d’un bassin ou d’un sas.

    N
    #Nable :
    Trou percé dans le fond d’une embarcation servant à la vider lorsque cette embarcation n’est pas à flot. S’obture au moyen d’un bouchon de nable.

    #Nage :
    Mouvement imprimé par l’armement aux avirons d’une embarcation.
    – Chef de nage : Nageurs assis sur le banc arrière dont les mouvements sont suivis par tous les autres.
    – Nage à couple : Quand il y a 2 (canot) ou 4 (chaloupe) nageurs sur chaque banc.
    – Nage en pointe : 1 nageur par banc (baleinière).

    #Natte :
    Nom donné aux paillets et aux sangles qu’on place en divers endroits de la mâture et du gréement qu’on veut garantir du frottement.

    #Nid de pie :
    Installation placée assez haut sur le mât avant de certains navires et dans laquelle se tient l’homme de vigie. A bord des navires polaires, on dit plutôt #nid_de_corbeau.

    O
    #Obéir :
    Un navire obéit bien à la barre quand il en sent rapidement l’action.

    #Obstructions :
    Défenses fixes, d’un port pour en interdire l’accès à un ennemi de surface, sous-marin ou aérien.

    #Oeil :
    Boucle formée à l’extrémité d’un filin.

    #Oeil de la tempête :
    Éclaircie dans le ciel au centre des ouragans.

    #Oeuvres_mortes :
    Partie émergée de la coque.

    #Oeuvres_vives :
    Partie immergée de la coque.

    #Opercule :
    Tape de hublot.

    #Oreilles_d_âne :
    Cuillers en tôle permettant d’augmenter le débit d’air entrant par les hublots.

    P
    #Paille de bitte :
    Tige de fer traversant la tête d’une bitte pour empêcher la chaîne ou l’aussière de décapeler.

    #Paillet :
    Réunion de fils de bitord, torons de cordage, etc... tressés ensemble et formant une sorte de natte. On les emploie pour garnir les manoeuvres dormantes afin empêcher le frottement.

    #Palanquée :
    Colis, ensemble de marchandises groupées dans une élingue ou un filet pour être embarquées ou débarquées en un seul mouvement de grue.

    #Palanquer :
    Agir sur un objet quelconque avec un ou plusieurs palans.

    #Panne (mettre en) :
    Manoeuvre qui a pour objet d’arrêter la marche du navire par le brasseyage de la voilure.

    #Pantoire :
    Fort bout de cordage terminé par un oeil muni d’une cosse.

    #Pantoire_de_tangon :
    Retient le tangon dans le plan vertical.

    #Paravane (un) :
    Deux brins de dragage fixés au brion terminés par des flotteurs divergents. Installation destinée à la protection contre les mines à orin.

    #Paré :
    Prêt, libre, clair, hors de danger.

    #Parer :
    – Un cap : le doubler ; - un abordage : l’éviter.
    – Une manoeuvre : la préparer.
    – Manoeuvres : commandement pour tout remettre en ordre.
    Faire parer un cordage : le dégager s’il est engagé ou empêcher de la faire.

    #Passerelle :
    Petit cordage servant de transfilage ou à passer une manoeuvre plus grosse dans les poulies ou un conduit.
    Aussière ou chaîne passée d’avance sous la coque d’un bâtiment afin de permettre une mise en place rapide d’un paillet makaroff.

    #Pataras :
    Hauban supplémentaire destiné à soulager temporairement à un hauban soumis à un effort considérable - très employé sur les yachts de course, ce hauban mobile appelle largement sur l’arrière.

    #Patente de santé :
    Certificat délivré à un navire par les autorités du port pour attester l’état sanitaire de ce port.

    #Pavois :
    Partie de coque au-dessus du pont formant garde corps.

    #Grand_pavois :
    Pavillon de signaux frappés le long des étais et de l’entremise dans un ordre déterminé.

    #Petit_pavois :
    Pavillons nationaux en tête de chacun des mâts. Au-dessus du pavois : Syn. « de montré » pour un signal par pavillon de 1 signe.

    P#eneau (faire) :
    Tenir l’ancre prête à mouiller par grands fonds après avoir filé une certaine quantité de chaîne pour atténuer la violence du choc sur le fond.

    #Perdant :
    Synonyme : jusant.

    #Perthuis :
    Détroit entre les îles, des terres ou des dangers.
    Ouverture d’accès dans une cale sèche.

    #Phare :
    Construction en forme de tour portant un feu à son sommet.
    Mât avec ses vergues, voiles et gréement. Ex. : phare de misaine, phare de l’avant, phare de l’arrière, phare d’artimon, phare carré.

    #Phoscar :
    Sorte de boîte à fumée et à feu jetée d’un bâtiment afin de matérialiser un point sur la mer.

    #Pic (a pic) :
    Position verticale de la chaîne de l’ancre au moment où celle-ci est sur le point d’être arrachée au fond. A long pic : laisser la chaîne de l’ancre un peu plus longue que pour être à pic.

    #Pied :
    Jeter un pied d’ancre : mouiller avec un peu de touée pour un court laps de temps.
    Mesure de longueur égale à 0,305mètre.

    #Pied_de_biche :
    Pièce de fonte, dans un guindeau.

    #Pied_de_pilote :
    Quantité dont on augmente le tirant d’eau pour être sur de ne pas talonner.

    #Pigoulière :
    Embarcation à moteur assurant à heures fixes à TOULON le service de transport du personnel entre différents points de l’Arsenal.

    #Piloter :
    Assurer la conduite d’un navire dans un port ou dans les parages difficiles de la côte.

    #Piquer_l_heure :
    Sonner l’heure au moyen d’une cloche.

    #Plat-bord :
    – Dans un bâtiment en bois : ensemble des planches horizontales qui recouvrent les têtes des allonges de sommet.
    – Dans un navire en fer : ceinture en bois entourant les ponts.

    #Plein :
    Synonyme : pleine mer.
    – Plus près bon plein : allure de 1 quart plus arrivée que le plus près.
    – Mettre au plein : échouer un bateau à la côte.

    #Poste (amarre de) :
    Aussière ou grelin de forte grosseur fournie par les ports pour donner plus de sécurité et plus de souplesse à l’amarrage des navires et éviter l’usure de leurs propres aussières d’amarrage.

    #Pot_au_noir :
    Zone des calmes équatoriaux caractérisés par des pluies torrentielles.

    #Poulaine :
    Partie extrême avant d’un navire : lieu d’aisance de l’équipage.

    #Poupée_de_guindeau :
    Bloc rond en fonte sur lequel on garnit les amarres que l’on veut virer au guindeau.

    #Prélart :
    Laize de toile à voile souple, cousues ensemble puis goudronnées, destinées à couvrir les panneaux d’une écoutille et empêcher l’accès de l’eau dans les entreponts ou la cale.

    #Puisard :
    Espace compris entre deux varangues et formant une caisse étanche dans laquelle viennent se rassembler les eaux de cale.

    #Pilot_chart :
    Cartes périodiques publiées par l’Office Météo des Etats-Unis fournissant des renseignements sur la direction et la force des vents et des courants probables et la position des icebergs.

    Q
    #Quart :
    32ème partie du tour d’horizon, vaut 11 degrés 15 minutes.
    Synonyme. : de rhumb de compas.

    #Queue _de_rat :
    – Cordage terminé en pointe.
    – D’un grain : rafale violente et subite à la fin d’un grain.
    – Aviron de queue : aviron servant de gouvernail.

    #Quille_de_roulis :
    Plan mince, en tôle, fixé normalement et extérieurement à la coque, dans la région du bouchain, sur une partie de la longueur du navire, et destiné à entraîner l’eau lors des mouvements de roulis pour les amortir plus rapidement.

    R
    #Raban :
    Tresse ou sangle de 8 à 9 mètres de long formée d’un nombre impair de brins de bitord.
    – De hamac : bout de quarantenier servant à suspendre le hamac.
    – De ferlage : cordon ou tresse servant à serrer une voile sur une vergue, un gui, etc...

    #Rabanter :
    Fixer ou saisir un objet à son poste avec les rabans destinés à cet usage.
    – Une voile : la relever pli par pli sur la vergue et l’entourer, ainsi que la vergue, avec les rabans.

    #Radier :
    Maçonnerie sur laquelle on établit les portes d’un bassin et d’une forme.

    #Radoub :
    Passage au bassin d’un navire pour entretien ou réparation de sa coque.

    #Rafale :
    Augmentation soudaine et de peu de durée du vent.

    #Rafiau ou #Rafiot :
    Petite embarcation, mauvais navire.

    #Rafraîchir :
    Un câble, une amarre, c’est en filer ou en embraquer une certaine longueur de manière à ce que le portage ne soit jamais à la même place.

    #Raguer :
    Un cordage rague lorsqu’il s’use, se détériore en frottant sur un objet dur ou présentant des aspérités. Se dit aussi d’un bâtiment frottant contre un quai.

    #Rail :
    Pièce en cuivre vissée sur un mât à pible ou un gui sur laquelle sont enfilés les coulisseaux.

    #Rambarde :
    Garde-corps.
    Synonyme : de main courante.

    #Ras :
    Radeau servant aux réparations à faire à un bâtiment près de sa flottaison.
    Petits appontements flottants.

    #Ratier :
    Argot de bord - Matelot sans spécialité chargé de l’entretien de la coque.

    #Rattrapant :
    Yacht rattrapant. Terme de régate : lorsque deux yachts font la même route ou à peu près, celui qui est en route libre derrière l’autre commence à être considéré comme « yacht rattrapant l’autre » aussitôt qu’il s’en approche assez près pour qu’il y ait « risque de collision » et continue à être tel jusqu’à ce qu’il redevienne en roue libre devant ou derrière, ou s’en soit écarté par le travers jusqu’à écarter le risque de collision.

    #Raz :
    Courant violent dû au flot ou au jusant dans un passage resserré.

    #Reflux :
    Mouvement rétrograde de l’eau après la marée haute.
    Synonyme : jusant, ébe.

    #Refuser :
    Le vent refuse lorsque sa direction vient plus de l’avant. Contraire : adonner.

    #Relâcher :
    Un navire relâche quand par suite du mauvais temps, avaries subies, etc... il est forcé d’interrompre sa mission et d’entrer dans un port qui n’est pas son port de destination.

    #Renard :
    Plateau sur lequel sont pointés les noms des officiers qui descendent à terre.

    #Rencontrer :
    La barre ou simplement rencontrer : mettre la barre du côté opposé à celui où elle était auparavant pour arrêter le mouvement d’abatée du navire.

    #Rendre :
    Un cordage rend lorsqu’il s’allonge. Une manoeuvre est rendue lorsqu’on l’a amenée à son poste en halant dessus. Rendre le mou d’un cordage : tenir le cordage à retour d’un bout tandis qu’on hale de l’autre bout. Rendre le quart : remettre le quart à son successeur.

    #Renflouer :
    Remettre à flot un navire échoué.

    #Renverse :
    Du courant : le changement cap pour cap de sa direction.

    #Ressac :
    Retour violent des lames sur elles-mêmes lorsqu’elles vont se briser sur une côte, un haut-fond.

    #Retenue :
    Cordage en chanvre, en acier ou chaîne servant à soutenir un bout-dehors, un bossoir.

    #Rider :
    Une manoeuvre dormante : c’est la raidir fortement à l’aide de ridoirs ou de caps de mouton.

    #Riper :
    Faire glisser avec frottement.

    #Risée :
    Petite brise subite et passagère.

    #Rocambeau :
    Cercle en fer garni d’un croc, servant notamment à hisser la vergue d’une voile au tiers et à amurer le point d’amure du foc le long de son bout-dehors.

    #Rôle :
    Rôle de combat, rôle d’équipage, etc...

    #Rondier :
    Gradé ou matelot chargé d’une ronde.

    #Roof :
    Superstructure établie sur un pont supérieur et ne s’étendant pas d’un côté à l’autre du navire.

    #Roulis :
    Balancement qui prend le navire dans le sens transversal.

    #Routier :
    Carte marine à petite échelle comprenant

    S
    #Sabaye :
    Cordage avec lequel on hâle à terre un canot mouillé près de la côte.

    ##Sabord :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans la muraille d’un navire.

    Saborder :
    Faire des brèches dans les oeuvres vives d’un navire pour le couler.

    #Safran :
    Surface du gouvernail sur laquelle s’exerce la pression de l’eau pour orienter le navire.

    #Savate :
    Pièce de bois sur laquelle repose un navire au moment de son lancement.

    #Saisine :
    Cordage servant à fixer et à maintenir à leur place certains objets.

    #Sangle :
    Tissu en bitord qui sert à garantir du frottement certaines parties du navire ou du gréement ou à maintenir au roulis des objets suspendus.

    #Sas :
    Partie d’un canal muni d’écluses, destinée à établir une jonction entre deux bassins de niveaux différents. Compartiment en séparant deux autres dont les ouvertures ne peuvent s’ouvrir que l’une après l’autre.

    #Saute_de_vent :
    Changement subit dans la direction du vent.

    #Sauve-Garde :
    Cordages fourrés ou chaînes servant à empêcher le gouvernail d’être emporté s’il vient à être démonté. Ils sont fixés d’un bout sur le gouvernail, de l’autre sur les flancs du bâtiment.

    #Sec (à) :
    Un bâtiment court à sec, est à sec de toile lorsqu’il navigue sans se servir de ses voiles, mais poussé par le vent.

    #Semonce :
    Ordre donné par un navire armé à un autre navire de montrer ses couleurs et au besoin d’arrêter pour être visité.

    #Coup (coup de) :
    Coup de canon appuyant cet ordre.

    #Servir :
    Faire servir : manoeuvre d’un navire à voiles pour quitter la panne et reprendre la route.

    #Seuil :
    Élévation du fond de la mer s’étendant sur une longue distance.

    #Sillage :
    Trace qu’un navire laisse derrière lui à la surface de la mer.

    #Slip :
    Plan incliné destiné à mettre à l’eau ou à haler à terre de petits bâtiments ou des hydravions au moyen d’un chariot sur rails.

    #Soufflage :
    Doublage en planches minces sur le bordé intérieur ou extérieur.

    #Souille :
    Enfoncement que forme dans la vase ou le sable mou un bâtiment échoué.

    #Sous-venté :
    Un voilier est sous-venté quand il passe sous le vent d’un autre bâtiment, d’une terre qui le prive de vent.

    #Spardeck :
    Pont léger au-dessus du pont principal.

    #Suceuse :
    Drague travaillant par succion du fond.

    #Superstructures :
    Ensemble des constructions légères situées au-dessus du pont supérieur.

    #Surbau :
    Tôle verticale de faible hauteur encadrant un panneau, un roof ou un compartiment quelconque.

    #Syndic :
    Fonctionnaire de l’Inscription Maritime remplaçant les Administrateurs dans les sous-quartiers.

    #Syzygie (marée des) :
    Marées correspondant à la nouvelle ou à la pleine lune. Synonyme : marée de vive-eau.

    T
    #Table_à_roulis :
    Table percée de trous.
    Par gros temps, on y met des chevilles appelées violons ou cabillots qui permettent de fixer les objets qui s’y trouvent.

    #Tableau :
    Partie de la poupe située au-dessus de la voûte.
    Dans un canot ou une chaloupe, partie arrière de l’embarcation.

    #Talon_de_quille :
    Extrémité postérieure de la quille sur laquelle repose l’étambot.

    #Talonner :
    Toucher le fond de la mer avec le talon de la quille.

    #Tangon :
    Poutre mobile établie horizontalement à l’extérieur d’un navire, à la hauteur du pont supérieur et perpendiculairement à la coque, sur laquelle on amarre les embarcations quand le navire est à l’ancre.
    – De spinnaker ou de foc : espars servant à déborder le point d’écoute du spinnaker ou du foc au vent arrière.

    #Tangage :
    Mouvement que prend le navire dans le sens longitudinal.

    #Tanker :
    Navire pétrolier.

    #Tape :
    Panneau en tôle ou pièce de bois obturant une ouverture.

    #Taud :
    Abri de grosse toile qu’on établit en forme de toit au-dessus des ponts pour garantir l’équipage contre la pluie. Etui placé sur les voiles serrées pour les garantir de la pluie.

    #Teck :
    Bois des Indes presque imputrescibles aussi fort et plus léger que le chêne ; très employé dans la construction navale.

    #Tenir :
    Navire tenant la mer : se comportant bien dans le mauvais temps.

    #Tenir le large :
    Rester loin de la terre.

    #Tenue :
    Qualité du fond d’un mouillage. Les fonds de bonne tenue sont ceux dans lesquels les pattes des ancres pénètrent facilement et ne peuvent cependant en être arrachées qu’avec difficulté.
    La tenue d’un mât est son assujettissement par les étais et les haubans.

    #Teugue :
    Partie couverte du pont supérieur avant, constituant un gaillard d’avant où les hommes de l’équipage peuvent s’abriter.

    #Tiens-bon ! :
    Commandement à des hommes qui agissent sur un cordage, un cabestan, etc... de suspendre leurs efforts tout en restant dans la position où ils sont (voir « Tenir bon »).

    #Tiers (voile au) :
    Synonyme : de bourcet
    Voiles des canots et chaloupes.

    #Tillac :
    Pont supérieur ou parfois plancher d’embarcation.

    #Tins :
    Pièces de bois carrées placées à des distances régulières sur le fond d’une cale-sèche et destinées à soutenir la quille des navires.

    #Tire-veilles :
    Nom donné à un bout de filin terminé par une pomme à la rambarde au bas de l’échelle de coupée d’un navire et auquel on se tient pour monter à bord ou pour en descendre.
    Bout amarré sur l’entremise des bossoirs d’embarcation et auxquels se tient l’armement d’une embarcation quand on la met à l’eau ou quand on la hisse.

    #Tomber :
    – Sous le vent : s’éloigner de l’origine du vent.
    – Sur un navire, une roche : être entraîné par le vent, le courant ou toute autre cause vers un navire, un rocher, etc...
    – Le vent tombe, la mer tombe : le vent diminue d’intensité, les vagues de force.

    #Tonnage :
    Capacité cubique d’un navire ou de l’un de ses compartiments exprimée en tonneaux. Le tonneau est égal à cent pieds cubes anglais ou à 2,83 mètres cubes (c’est le tonneau de jauge) ; Le tonnage exprime toujours un volume.

    #Tonne :
    Grosse bouée en bois, en fer ou en toile.

    #Top :
    Prendre un top : comparer une pendule réglée avec son chronomètre, ou relever un signal horaire au compteur.

    #Tosser :
    Un navire tosse lorsque, amarré le long d’un quai, sa coque frappe continuellement contre le quai par l’effet de la houle.
    A la mer, le navire tosse quand l’AV retombe brutalement dans le creux des vagues.

    #Touage :
    Remorquage, plus particulièrement en langage de batellerie.

    #Toucher :
    Être en contact avec le fond. Toucher terre : faire escale.

    #Touée :
    Longueur de la remorque avec laquelle on hale un navire pour le déplacer.
    Longueur de la chaîne filée en mouillant une ancre. Par extension : longueur d’une certaine importance d’un câble filé ou d’un chemin à parcourir.

    #Touline :
    Petite remorque et plus généralement lance-amarre.

    #Tourner :
    Une manoeuvre : lui faire faire un nombre de tours suffisant autour d’un point fixe pour l’empêcher de filer ou de lâcher.

    #Traîne :
    Tout objet que l’on file à l’arrière d’un navire à l’aide d’un bout de filin.
    A la traîne : un objet est à la traîne lorsqu’il n’est pas placé à la place qui lui est assignée.

    #Transfiler :
    – Deux morceaux de toile : les rapprocher bord à bord au moyen d’un bout de ligne passant alternativement des oeillets pratiqués dans l’un dans ceux pratiqués dans l’autre.
    – Une voile : la fixer à sa vergue, gui ou corne au moyen d’un filin nommé transfilage et passant d’un oeillet à l’autre en embrassant la vergue, le gui, la corne.

    #Traversier :
    Amarre appelant d’une direction perpendiculaire à l’axe longitudinal.
    Un vent traversier est un vent bon pour aller d’un port à un autre et pour un revenir.

    #Trou_d_homme :
    Ouverture elliptique d’un double fond ou d’un ballast.

    #Tunnel :
    Conduit en tôlerie de dimensions suffisantes pour permettre le passage d’un homme et à l’intérieur duquel se trouve une ligne d’arbres entre la chambre des machines et la cloison de presse-étoupe AR.

    V
    #Va_et_vient :
    Cordage en double servant à établir une communication entre deux navires ou entre un navire et la côte, notamment pour opérer le sauvetage des naufragés.

    #Vadrouille :
    Bouts de cordage défaits, serrés sur un manche et servant au nettoyage. Faubert emmanché.

    #Vague_satellite :
    Soulèvement de la mer produit par le mouvement du navire en marche.

    #Varangue :
    La varangue est la pièce à deux branches formant la partie inférieure d’un couple et placées à cheval sur la quille. La varangue est prolongée par des allonges. Tôle placée verticalement et transversalement d’un bouchain à l’autre pour consolider le petit fond du navire.

    #Vase :
    Terre grasse, noirâtre, gluante. La vase peut être molle, dure mêlée ; elle présente généralement une bonne tenue.

    #Veille (ancre de) :
    Ancre prête à être mouillée.

    #Veiller :
    Faire attention, surveiller. Veiller l’écoute : se tenir prêt à la larguer, à la filer. Veiller au grain : l’observer, le suivre.

    #Vélique :
    Point vélique = centre de voilure de toutes les voiles.

    #Ventre :
    La partie centrale d’un bâtiment surtout lorsque ses couples sont très arrondis.

    #Verine :
    Bout de filin terminé par un croc ou une griffe et dont on fait usage en simple ou en double pour manier les chaînes des ancres.

    #Videlle :
    Reprise faite à un accroc dans une toile.

    #Virer :
    Exercer un effort sur un cordage ou sur une chaîne par enroulement sur un treuil, guindeau ou cabestan.
    – Virer à pic : virer suffisamment le câble ou la chaîne pour amener l’étrave du navire à la verticale de l’ancre.
    – Virer à long pic : virer en laissant la chaîne un peu plus longue que la profondeur de l’eau.

    #Virer_de_l_avant :
    faire avancer un navire en embraquant ses amarres de l’avant au cabestan ou au guindeau.
    – Virer sur la chaîne : rentrer une partie de la chaîne en se servant du cabestan ou du guindeau.
    – Virer de bord : changer les amures des voiles.

    #Vit_de_nulet ou #Vi_de_mulet :
    Tige de métal articulée fixée à une vergue, à un gui, à un mât de charge pour le relier au mât qui porte une douille. Employé en particulier pour les mâts de charge.

    #Vitesse :
    L’unité marine de vitesse est le noeud qui représente un mille marin (1852 mètres) à l’heure. Ne jamais dire un noeud à l’heure.

    #Vive-eau :
    Grande marée.

    #Voie_d_eau :
    Fissure ou ouverture accidentelle dans des oeuvres vives.

    W
    #Wharf :
    Littéralement quai, plus spécialement pour désigner un appontement qui s’avance dans la mer au-delà de la barre sur la côte occidentale d’Afrique.

    Y
    #Youyou :
    Très petite embarcation de service à l’aviron et à la voile.

  • Punitions, intimidations, salariés sous pression... Une ambiance toxique dénoncée à l’hôpital de Lomagne Marc Centene - ladepeche.fr

    «  On va remettre de l’ordre. Je suis sur le dossier depuis quelques semaines avec l’ARS, et il y a des choses qui méritent d’être éclaircies…  » Le maire de Fleurance, Ronny Guardia Mazzoleni, ne cache pas sa colère. Alerté par les salariés de l’établissement public de santé de Lomagne, l’EPSL, l’élu a rencontré également les trois syndicats présents dans la structure – CFDT, CGT et FO – au titre de son rôle de président du conseil de surveillance.

    L’EPSL est le 3e centre de santé du département, avec près de 300 employés. Outre un service de SSR, l’EPSL gère trois Ehpad  : le Tané à Lectoure, et Cadéot et la Pépinière à Fleurance. La situation y devient intenable pour les salariés, depuis le départ de l’ancien directeur l’année dernière. Une intersyndicale a même été envisagée.

    "Copinage politique"
    «  Des salariés nous ont alertés voilà près de 3 mois sur de graves dysfonctionnements  », explique Christophe Bukovec, secrétaire départemental de la CGT santé et action sociale. Le syndicat, très présent à l’Ehpad Cadéot, expose le rôle tenu par une cadre supérieure, qui gère les trois Ehpad de l’EPSL. «  Elle a mis en place un climat toxique, basé sur l’agressivité, des insultes ou des punitions, avec des agents convoqués sans motifs et sans pouvoir se défendre. On ne peut pas accepter de voir des agents de 20 ans tenir avec des cachets, ou pleurer en prenant leur service…  »

    La CGT, qui a constitué un épais dossier qu’elle a exposé à l’ARS, dénonce un petit groupe constitué de personnel d’animation ou médical, autour de la cadre supérieure. «  On s’est aperçu que ces personnes avaient des relations amicales mais aussi politiques. Il y a un copinage qui n’a pas sa place dans un établissement de santé.  » Le directeur adjoint, dans une rencontre avec les représentants du personnel, déclare même que «  la situation est proche de l’omerta  ».

    La CFDT a elle aussi sonné l’alarme, en rencontrant le député David Taupiac et le maire de Fleurance. «  Les problèmes sont concentrés sur les Ehpad, le SSR est plutôt épargné. Les salariés travaillent en conscience, mais tout le monde est très mal, y compris dans l’administratif. Et cela se répercute sur les résidents. Il y a un problème dans la direction, et cela influe sur tout…  » Le syndicat dénonce «  un climat très pourri  », où la délation est devenue une méthode de fonctionnement. «  On attend que des réponses soient mises en place, mais rien ne se passe  !  »

    Le cas de Lectoure
    L’Ehpad du Tané à Lectoure n’est pas épargné par les difficultés. Au mois de mars, le conseil de surveillance a vu le président mettre un terme à des rumeurs qui courent dans le Lectourois et le Fleurantin. Non, il n’est pas question de provoquer la fermeture de cet Ehpad public pour voir s’ouvrir un établissement privé. L’unité Barrère, à l’Ehpad du Tané, a fermé près de 30 lits sur 80. L’occupation d’un Ehpad atteint normalement 95 %. «  Nous sommes étonnés du silence de la municipalité de Lectoure, s’interroge Christophe Bukovec. Il y a pourtant des besoins sur le bassin du Lectourois.  » Ces lits vides représentent une forte perte pour l’établissement, alors que la masse salariale est restée la même.

    De quoi alimenter les grandes difficultés financières de l’établissement, et l’hypothèse d’une fermeture, qui inquiète autant les salariés et les syndicats que les familles. «  Une partie des lits est fermée, ce qui pourrait entraîner un déficit structurel  », analyse David Taupiac, contacté par les familles et les syndicats. «  Le fonctionnement actuel [de l’ESPL] entraîne une forme de maltraitance auprès des salariés et des résidents. Il faut sortir de cette spirale.  » Le dossier est désormais sur le bureau de l’ARS.

    #management #EnMarche à la #McKinsey #agressivité #insultes #punitions #délation #maltraitance #Ehpad #santé #travail #Fleurance #Lomagne #Lectoure

    source : https://www.ladepeche.fr/2023/06/22/punitions-intimidations-salaries-sous-pression-une-ambiance-toxique-denonc

  • Come la morsa monopolistica di #Amazon danneggia i venditori indipendenti europei

    Il colosso dell’ecommerce esercita un potere enorme anche sui piccoli rivenditori, giocando al tempo stesso da intermediario, fornitore di servizi e concorrente. Dalle sole commissioni fatte pagare nel 2022 agli attori indipendenti europei ha ricavato 23,5 miliardi di euro. Un report di Somo ne fotografa la posizione dominante oggi

    Amazon soffoca i venditori indipendenti europei costringendoli ad acquistare i suoi servizi a tariffe sempre più elevate e imponendo loro condizioni abusive. È la morsa del colosso ben descritta nel report “Amazon’s European chokehold” (https://www.somo.nl/amazons-european-chokehold/#printing-Amazon%26%238217%3Bs%20European%20chokehold) pubblicato a giugno da Somo, il Centro di ricerca olandese sulle multinazionali. “Amazon ha conquistato l’Europa. Dopo un’espansione durata 20 anni, intensificata durante la pandemia da Covid-19, il gigante statunitense è ora di gran lunga l’azienda di ecommerce dominante in Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna -si legge nel rapporto–. In questi Paesi l’azienda è il principale approdo per gli acquirenti online. E questo l’ha resa quasi indispensabile per i venditori indipendenti che desiderano distribuire i propri prodotti in Rete”.

    I ricercatori di Somo hanno analizzato la complessa struttura di Amazon in Europa, tracciando l’andamento dei prezzi dei prodotti venduti sulla piattaforma ed esaminando la “giurisprudenza” delle autorità europee chiamati a regolare la concorrenza. Dal lavoro di analisi è emerso che Amazon nel 2022 ha incassato 23,5 miliardi di euro solo in commissioni di servizio, cifra triplicata rispetto al 2017 (7,6 miliardi di euro). Le commissioni includono l’inserimento negli elenchi della piattaforma, i costi di consegna e di assistenza.

    “Amazon sostiene che questo aumento sia dovuto al maggior volume di vendite. L’azienda, però, si rifiuta di fornire dati concreti ma ha affermato che nei due anni precedenti al 2021 il numero di prodotti venduti da negozi indipendenti sarebbe aumentato del 65% -continuano i ricercatori-. Tuttavia si tratta di una percentuale nettamente inferiore all’incremento dei ricavi che Amazon ha ottenuto dalle inserzioni e dalla logistica dei venditori. L’aumento degli acquisti non spiega quindi l’intero valore dei ricavi che è dovuto anche a un’impennata delle tariffe”.

    La situazione evolve ulteriormente se si considerano i ricavi pubblicitari. Nel 2021 le entrate dalle inserzioni da venditori indipendenti europei sono state pari a 2,75 miliardi di euro. Dal 2017 i guadagni da inserzioni della piattaforma in Europa sono aumentati di 17 volte. Per un totale, indipendenti e non, di 24,95 miliardi di euro nel corso del 2021. Di conseguenza il “Marketplace” della piattaforma è talmente grande che se dovesse essere scorporato dall’azienda madre diventerebbe immediatamente la terza azienda tecnologica per profitti in Europa.

    “Servizi come la consegna e la pubblicità sono teoricamente opzionali. Tuttavia Amazon ha usato il suo potere per renderli quasi indispensabili, sostenendo la loro importanza per il raggiungimento di visibilità e vendite -è il risultato della ricerca di Somo-. Negli ultimi anni la piattaforma ha mantenuto alte le tariffe (nel caso delle inserzioni) o le ha aumentate (ad esempio, per la consegna e il magazzino). L’analisi dei prezzi di consegna e stoccaggio dal 2017 al 2023 in Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna mostra che Amazon ha aumentato continuamente i costi di questi servizi”. Entrando nel dettaglio, tra il 2017 e il 2023 le tariffe sono aumentate da un minimo del 50% in Spagna e Germania fino al 98% in Italia e al 115% in Francia.

    L’aumento delle tariffe per i servizi di consegna e stoccaggio e dei costi pubblicitari ha fatto sì che crescesse anche la quota di Amazon sul venduto dei “clienti”. Secondo una ricerca di Marketplace Pulse, azienda specializzata in analisi dell’ecommerce, il gigante statunitense tratterrebbe in media il 50% sul venduto. Una quota che è aumentata del 10% negli ultimi cinque anni. “Queste tariffe stanno schiacciando i venditori che, tolte le spese di inserzione, consegna e pubblicità, hanno margini molto ristretti per pagare la merce venduta, i dipendenti e tutti gli altri costi generali. Qualcosa inevitabilmente deve cedere: o i venditori cessano l’attività a causa della diminuzione dei margini oppure aumentano i prezzi, contribuendo potenzialmente a creare tendenze inflazionistiche in tutto il mercato”, è l’allarme di Somo.

    Le autorità regolatorie della concorrenza e del mercato di Europa e Regno Unito stanno indagando sull’azienda per verificare un possibile abuso di posizione dominante. Secondo Somo le indagini effettuate in Italia e nell’Unione europea avrebbero dimostrato come Amazon abbia usato i dati ottenuti dai venditori per competere con gli stessi, costringendoli di conseguenza ad acquistare i servizi offerti dalla piattaforma per rimanere competitivi. A prezzi, come detto, sempre più elevati.

    Secondo Somo l’origine del potere monopolistico di Amazon sarebbe di natura strutturale e difficile da comprendere senza analizzare il suo modello di business. Nata come piattaforma per la vendita di libri online, ha in seguito ampliato la varietà di prodotti che distribuiva e aperto anche a venditori terzi.

    Il passo successivo è stato quello di fornire ai rivenditori attivi sulla piattaforma dei servizi aggiuntivi, che comprendono appunto logistica e pubblicità. Allo stesso tempo ha iniziato a vendere i propri prodotti. In questo processo Amazon ha assunto tre ruoli diversi e in potenziale conflitto di interessi. Agisce infatti come intermediario sul mercato, stabilendone regole e determinandone i prezzi, come venditore, in concorrenza con coloro che utilizzano la piattaforma per distribuire i propri prodotti, e come fornitore di servizi per la vendita online.

    “Nonostante l’accresciuto controllo da parte delle autorità garanti della concorrenza in tutta l’Ue, non è stato ancora affrontato il conflitto di interessi che è alla base del potere monopolistico e della ricchezza di Amazon -conclude Somo-. Le autorità per la concorrenza e i responsabili politici europei devono regolamentare rigorosamente l’azienda come un servizio di pubblica utilità, oppure suddividere le sue diverse attività per evitare conflitti di interesse tra il suo ruolo di intermediario della piattaforma, venditore e fornitore di servizi”.
    Da segnalare infine che Somo ha aperto una specie di “canale” di comunicazione con i rivenditori su Amazon per raccogliere segnalazioni, istanze, richieste di aiuto. “Vorremmo conoscere la vostra esperienza di utilizzo della piattaforma e raccogliere ulteriori dati sul trattamento riservato da Amazon ai venditori. Contattateci in modo privato e sicuro tramite Publeaks o via mail criptata all’indirizzo margaridarsilva@protonmail.com“. Un modo per uscire dalla morsa.

    https://altreconomia.it/come-la-morsa-monopolistica-di-amazon-danneggia-i-venditori-indipendent
    #économie #monopole #multinationales #commerce_en_ligne #Marketplace #publicité

    • Amazon’s European chokehold

      Independent sellers and the economy under Amazon’s monopoly power

      This research reveals the immense market power of Amazon in Europe and the revenue it derives from it. In most of Europe’s biggest economies, Amazon is the main route for independent businesses to access online shoppers. Amazon’s dominance allows the company to get away with extractive and exploitative treatment of sellers on its platform.

      By analysing Amazon’s corporate structure in Europe, its financial reports, and the findings of competition investigations, SOMO found that:

      – In 2022, Amazon raked in €23.5 billion in listing and logistics fees from independent sellers in Europe. This was more than triple the €7.6 billion in 2017.
      – To this, Amazon added an estimated €2.75 billion in advertising revenue from independent sellers in 2021. Since 2017, Amazon’s overall European advertising revenue has grown 17-fold.
      - Altogether, in 2021 Amazon’s revenue from European sellers amounted to €24.95 billion. Amazon’s European marketplace is so large, if it were spun off into a separate company, the new firm would immediately become Europe’s third-biggest tech company by revenue.
      - In this period, Amazon has also continuously increased the price of logistics services. The increases varied, but they could be as high as more than double in some categories.

      Dominant platform

      “For the past 20 years, Amazon has been expanding its monopolistic hold over online shopping in Europe. It is now so dominant that independent retailers who wish to sell online cannot avoid it. Sellers are locked into the platform and are essentially a captive clientele, making them a profitable source of monopoly rent”, says Margarida Silva, researcher at SOMO.

      Amazon argues that the increase in fee revenue results from more sales. However, the numbers the company provides show a slower rise in sales than the increase in the fees that Amazon charged from sellers. Higher sales are only part of the story. In this period, prices for services such as logistics (Fulfillment by Amazon) have been constantly raised, and advertising was made essential to achieve visibility and sales.
      Under investigation

      Competition authorities across Europe, including in Italy, the EU and the UK, have started probing the company for abuses of its dominance. The EU and Italian investigations show the company used sellers’ data to compete against them and pushed them into buying logistics services. A similar investigation is ongoing in the UK.

      In Germany, Amazon has long been the focus of the Bundeskartellamt. Already in 2013, the agency forced the company to remove price parity clauses from its contracts with sellers. It is again investigating whether the company is reproducing the price parity policy via its automated tools.
      Monopoly power

      Despite increased scrutiny from competition authorities across the EU, the conflict of interests that lies at the root of Amazon’s monopoly power and wealth has not been addressed.

      European competition authorities and policy-makers must either strictly regulate Amazon as a public utility or break up its different businesses to prevent conflicts of interest between its role as a platform intermediary, seller, and service provider.

      “To achieve a fair digital transition, European regulators need to break up the excessive market power wielded by corporations like Amazon. Europe needs to sharpen its antitrust tools, revive structural solutions and put them to work”, says Margarida Silva.

      https://www.somo.nl/amazons-european-chokehold/#printing-Amazon%26%238217%3Bs%20European%20chokehold

      #rapport

  • C’est la journée de girafe !
    https://de.wikipedia.org/wiki/Dahinter_steckt_immer_ein_kluger_Kopf


    Dahinter steckt immer ein kluger Kopf
    Nadja Auermann, Berlin, Deutschland, 1997 © Alfred Seiland / F.A.Z.

    https://photography-now.com/exhibition/105233

    Alfred Seiland
    „Dahinter steckt immer ein kluger Kopf. 1995-2001“

    Ausstellung: 30. Januar bis 13. März 2015
    Eröffnung: 30. Januar, 18-21 Uhr

    „Dahinter steckt immer ein kluger Kopf“ ist der Titel der langjährigen und noch immer laufenden Werbekampagne der Frankfurter Allgemeinen Zeitung, für die Alfred Seiland von 1995 bis 2001 zahlreiche Persönlichkeiten mit, beziehungsweise hinter, der Tageszeitung photographiert hat. Die Repräsentanz der Villa Grisebach in Düsseldorf freut sich, in Kooperation mit Kicken Berlin, anläßlich des Düsseldorf Photo Weekend eine Auswahl seiner Photographien „Kluger Köpfe“ zeigen zu können. Die intelligent inszenierten Bilder verraten durch ihren jeweiligen Kontext etwas über die Portraitierten.

    Alfred Seiland wurde für diese Arbeit vielfach ausgezeichnet, u. a. mit der Goldmedaille des Art Directors Club New York, dem Pro Prize, Epica d’Or und dem Lead Award. Er ist mit seinen Werken auch in zahlreichen Sammlungen vertreten, wie beispielsweise im Museum of Modern Art in New York oder auch in der Bibliothèque Nationale in Paris. Er ist Professor für Photographie an der Stuttgarter Akademie der Bildenden Künste.

    #publicité #girafe

  • Who profits from brutal and muderous Pushbacks?

    The podcast is in English

    Anlässlich des World Refugee Days am 20. Juni hört ihr einen Podcast von unserem Kooperationsradio Radio Mytilini auf Lesvos. Es geht um die brutalen und mörderischen Pushbacks an den Außengrenzen der EU und wer davon finanziell profitiert. Die Menschen die solche Pushbacks durchführen werden dafür bezahlt, wo das Geld herkommt erfahrt ihr in dieser Sendung.

    https://de.cba.fro.at/624115
    #asile #migrations #réfugiés #push-backs #refoulements #frontières #profit #Grèce #responsabilité #mer_Egée #Evros #frontières_terrestres #frontières_maritimes #violence #complexe_militaro-industriel #integrated_border_management_fund #technologie #Thales #Frontex #european_peace_facility #visa #industrie_militaire #consultants #McKinzie #accord_UE-Turquie

    #podcast #audio

    ping @_kg_ @kaparia

  • Dis Seenthis, il m’a semblé brièvement voir passer cette nuit des affirmations selon lesquelles, d’après des témoignages de rescapés, la bateau des migrants avait fait l’objet d’un pushback par les garde-côtes grecs. Mais je ne trouve désormais rien à ce propos.

    Quelqu’un a des choses crédibles là-dessus ?

  • UK provided £3m to Turkish border forces to stop migrants, FOI reveals

    Investigation shows Home Office funds ‘return and reintegration assistance’ and provides equipment and training to Turkish police

    The Home Office has provided more than £3m in funding to Turkish border forces in the last year to prevent migrants reaching the UK, an investigation for the Guardian has found.

    Funding to Turkey’s border force operations has increased substantially from 2019, when £14,000 was given to Turkish police and coastguard for maritime border security training, according to documents obtained through freedom of information (FOI) requests. That figure rose to £425,000 in 2021-22 for training and equipment and up to £3m this year for “return and reintegration assistance”, training and personnel.

    The funding was diverted from the official development assistance (ODA) budget and delivered through Home Office International Operations, part of the department’s Intelligence Directorate.

    In addition to funding, the Home Office has also supplied Turkish border forces, including the National Police and the coastguard, with equipment and training. In June 2022, nine vehicles were handed over by the UK’s deputy high commissioner to the Turkish National Police on the border with Iran.

    Last year Turkey said it “turned back” 238,448 migrants at its eastern border with Iran. Video evidence seen by the Guardian shows cases of extreme violence and force used against Afghan migrants attempting to cross the border into Turkey. This includes the authorities firing live bullet rounds as people flee, including at the feet of children; beatings using rifle butts; robberies; humiliation tactics and pushing people back to the other side of the border.

    Mahmut Kaçan, a Turkish lawyer working on asylum and human rights abuses, said the deaths and pushbacks on the border began escalating two years ago. “The UNHCR never criticises or mentions what Turkey is doing at the border. They are complicit in the deaths of these people, as are the EU and other countries that are giving money to Turkey for border security.”

    A source with knowledge of the Home Office International Operations team said Turkey had become “a country of emerging importance [to the UK government] in the last two to three years and is now seen as strategically crucial to border securitisation”.

    “We offer our expertise and provide officials [locally] with evidence, showing the routes we think illegal migrants or gangs are operating along,” the source said. “It’ll probably be along the lines of: ‘This is a route smugglers and illegal migrants use to get to the UK, we need to do more to stop it.’ The Turkish government will then respond by saying: ‘This is what we need to be able to do that’, and then we fund it, basically.”

    The source added: “We don’t tend to hold local forces to account with any targets but certainly if we say: ‘We need to bolster X area of border security’, Turkey might respond by saying they need Y in order to boost border officer numbers and we’ll help them to do that.”

    Another source familiar with the work of the Home Office International Operations unit said: “Us paying for stuff like that builds our soft power credentials in other areas, such as possible returns agreements. It’s like a mini FCDO [Foreign, Commonwealth and Development Office] inside the Home Office.”

    Sources added that Home Office operations overseas involved intelligence gathering through interviews with migrants who had arrived in the UK. Information from those interviews is then passed on to border forces locally to “put an operational plan in place to stop it”.

    Documents obtained through an FOI request also show that the Home Office has increased the number of its staff deployed to work at post, with sources from the FCDO saying Home Office staff now outnumbers diplomats working in Turkey.

    “The Home Office is seen by international partners as quite hostile, quite adversarial,” said a senior government source with knowledge of the department’s operations in Turkey. “The FCDO, on the other hand, is viewed as relatively collegiate and collaborative. In this context, there are obvious tensions in the approach and the culture among staff.”

    The department’s 2025 Border Strategy states that one of its key priorities is to “improve our use of upstream illegal migration countermeasures to prevent irregular entry into the UK”.

    It also stipulates the department will “prevent entry into the UK through improved border security and through work with source and transit countries to support them in addressing irregular migration challenges within their region”.

    Mary Atkinson, campaigns and networks manager at JCWI, said: “This government has shown that it will break international law to prevent people from exercising the fundamental human right to seek safety.

    “Whether on the border between Turkey and Iran, or those of France or Belgium, this government is covertly funding others to do its dirty work, while at the same time ramping up its xenophobic rhetoric against the few that do finally make it here.”

    In response to the findings of the investigation, a spokesperson for the Home Office said: “Like many other European states, the UK works tirelessly at home and abroad on a range of priorities, including tackling illegal immigration, drug trafficking, and modern slavery. This includes mutually beneficial close working with our operational counterparts in a range of partner countries, like Turkey, to tackle these and wider socially damaging issues.”

    https://www.theguardian.com/politics/2023/jun/07/uk-provided-3m-to-turkish-border-forces-to-stop-migrants-foi-reveals

    #externalisation #contrôles_frontaliers #UK #Angleterre #Turquie #asile #migrations #réfugiés #frontières #renvois #réintégration #financement #aide_financière #militarisation_des_frontières #aide_au_développement #développement #coopération_au_développement #refoulements #push-backs #complexe_militaro-industriel #2025 _Border_Strategy #Home_Office

  • Frontex mette a bando un servizio di traghetti per riportare i migranti in Turchia

    A metà maggio l’Agenzia europea ha indetto una gara da due milioni di euro per un servizio di “trasferimento” via mare dalla Grecia di minimo 100 persone alla volta in forza del patto tra Ue e Turchia del 2016. Una fase inedita che segna l’avvio di respingimenti alla luce del sole e ignora le gravi e documentate violazioni dei diritti

    A metà maggio di quest’anno l’Agenzia europea Frontex ha pubblicato un bando dal valore di due milioni di euro per organizzare il trasferimento di “passeggeri via mare”, almeno 100 per volta, dall’isola greca di Lesbo alla località di Dikili, sulle coste turche. La documentazione di gara consultata da Altreconomia segna l’inizio di una nuova fase alla luce del sole per la “strategia” di respingimento dei migranti verso la Turchia, a pochi giorni dalla rielezione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e dagli inquietanti video pubblicati dal New York Times sulle brutali modalità di respingimento della Guardia costiera greca.

    È in questo contesto dunque che Frontex è pronta a prendere direttamente in mano la questione, assumendo un ruolo centrale nell’ambito del cosiddetto accordo Ue-Turchia del marzo 2016 sotto il quale “formalmente” dovrebbe rientrare questa nuova attività. “L’Agenzia avrà il monopolio della gestione di queste operazioni assumendo un ruolo che, in questi termini, non ha mai avuto in passato”, spiega Martina Tazzioli, ricercatrice al Goldsmiths College di Londra.

    Le operazioni sono parte del meccanismo “1:1” previsto dall’intesa da sei miliardi di euro annunciata tra le istituzioni comunitarie (Consiglio europeo) e il governo di Ankara nel marzo 2016. Con l’obiettivo dichiarato di scoraggiare le persone ad affidarsi ai trafficanti, lo schema prevedeva che per ogni migrante giunto “irregolarmente” in Grecia e perciò respinto in Turchia, un altro sarebbe dovuto essere ricollocato tramite vie legali in un Paese europeo.

    In realtà non è mai stato implementato in modo significativo: dal 2016 al 2022 sarebbero stati respinti “ufficialmente” indietro, dati dell’International rescue committee, 2.140 rifugiati mentre i reinsediati dal territorio turco verso l’Ue ammonterebbero a 36.763, tutti siriani (fonte è il ministero dell’Intero turco). La “sostanza” di quell’accordo era però quella di bloccare le partenze e, soprattutto, puntare tutto sui respingimenti informali: secondo la Ong Agean boat report, dal 2017 al giugno 2023 più di 284mila persone sarebbero state fermate dalla guardia costiera turca e 60mila respinte da quella greca.

    E la citata inchiesta del New York Times di fine maggio ha ricostruito, con tanto di video in alta definizione, le procedure di respingimento messe in atto dalle autorità di Atene che, dopo aver prelevato a forza i naufraghi arrivati sul territorio, li riportano in mare su assetti della Guardia costiera per poi abbandonarli al largo delle coste turche su “barche di fortuna” per l’ultimo tratto. Una procedura definita “assolutamente inaccettabile” da parte della commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson che però in tutta risposta, attraverso Frontex, investe sui nuovi respingimenti alla luce del sole rispolverando lo zoppicante meccanismo del patto Ue-Turchia.

    “Questi ricollocamenti sono stati sospesi nel marzo 2020 prima con la giustificazione della diffusione del Covid-19 poi perché il presidente Erdoğan ha smesso di accettare i ‘respinti’ di fronte al rifiuto delle istituzioni europee di fornire ulteriori finanziamenti -ricorda Tazzioli-. Evidentemente Frontex ha annunciato che presto queste operazioni riprenderanno”.

    L’appalto da due milioni di euro prevede la fornitura di traghetti che devono garantire “la capacità di imbarcare un minimo di cento passeggeri in aree chiuse [a cui si aggiungono] i ponti aperti e sedili al di fuori delle aree chiuse”. Deve essere prevista la possibilità di “limitare l’accesso al ponte esterno della nave” e i sedili dei “passeggeri” devono essere “singoli, fissi (senza panche) e disposti in file”. I bagni, inoltre, devono essere accessibili direttamente dall’area dei passeggeri senza la necessità di attraversare l’area “aperta”. Almeno uno dei traghetti messi a disposizione deve essere “interamente riservato al personale di Frontex”. Sulla nave deve essere poi garantito un servizio catering per tutti i “passeggeri di Frontex”: nello specifico “due panini confezionati senza carne di maiale: vegetariani o halal”, come se fossero “scontate” le nazionalità dei passeggeri, e soft drinks. Inoltre si sottolinea che è necessaria la presenza di un medico che deve disporre di un “kit di rianimazione di base comprendente farmaci di uso comune”. L’Agenzia sottolinea però che “il servizio medico può non essere richiesto in tutti i trasferimenti”. La stessa tipologia di traghetto utilizzata per i trasferimenti deve essere infine messa a disposizione di Frontex nel porto di Mitilene, a Lesbo, per “permettere all’Agenzia di svolgere esercitazioni per gli ufficiali di scorta al fine di prepararli alle operazioni di ritorno in uno scenario di ‘vita reale’”. Queste esercitazioni dureranno fino a due giorni.

    L’Agenzia stima due servizi di trasporto andata e ritorno al mese e un’esercitazione. Ma queste indicazioni “non sono vincolanti” e possono variare durante i due anni di contratto, rinnovabili per un periodo di 12 mesi e per un massimo di due volte. Appena cinque righe vengono dedicate nel bando al “contesto in cui si rende necessario il servizio” e che quindi giustifica la possibilità di svolgere questi “trasferimenti”. Viene specificato come detto che si tratta di operazioni che avvengono sotto il cappello del mai stipulato accordo Ue-Turchia e che “più informazioni sulla dichiarazione congiunta Ue-Turchia e sul piano per porre fine all’immigrazione irregolare sono disponibili nel comunicato stampa siglato il 18 marzo 2016”.

    Viene citato un “comunicato stampa” perché giuridicamente non è stato firmato nulla di vincolante: come ricordato da Chiara Favilli, professoressa di Diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, è il “paradosso di un accordo che viene definito dichiarazione e sul piano materiale svanisce impedendo che sia contestato sul piano giuridico”. Quello che non c’è nella nota stampa, invece, sono i Paesi di provenienza che nel frattempo sono stati aggiunti tra coloro che vengono ricollocati in forza di quell’accordo: Afghanistan, Siria, Somalia, Bangladesh e Pakistan. “Le persone di queste nazionalità che arrivano in Grecia vivono di fatto in un limbo: la loro richiesta d’asilo viene dichiarata inammissibile ma dal marzo 2020 non venivano neanche riportati sulle coste turche. Una sorta di elefante nella stanza per le autorità greche che non sapevano cosa fare con queste persone”. Ora l’indirizzo dato sembra essere chiaro.

    Il modus operandi è sintetizzato al settimo punto del capitolato. Sono infatti previste condizioni molto rigide per il contraente che deve seguire “prontamente e diligentemente le istruzioni di Frontex e delle autorità greche”, “applicare discrezione e riservatezza in relazione all’attività” con l’impossibilità di “documentare o condividere informazioni sull’attività con mezzi quali foto, video, commenti o condivisioni sui social media” e non può consentire “la presenza a bordo di passeggeri che non siano partecipanti alle attività non espressamente autorizzati da Frontex”.

    Il neo direttore esecutivo Hans Leijtens, che si è insediato all’inizio di aprile di quest’anno, sembra così seguire la via tracciata dal suo predecessore, Fabrice Leggeri. A nulla vale il fatto che il 9 marzo di quest’anno l’Agenzia per la prima volta sia stata costretta a comparire dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea: il caso promosso dall’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia su un volo gestito proprio da Frontex sempre nell’ambito dell’accordo Ue-Turchia.

    La stessa “dinamica” che si vorrebbe replicare per mezzo dei traghetti: l’Agenzia, in altri termini, non si fa problemi nel non attendere l’esito di un procedimento che ha come oggetto proprio la stessa attività che verrebbe riproposta con i ferry. Altreconomia ha domandato a Frontex, a seguito dell’inchiesta del New York Times, quali azioni intenda intraprendere in merito alle pratiche della polizia di frontiera greca chiedendo espressamente se sia in discussione l’attivazione dell’articolo 46 del regolamento dell’Agenzia che prevede il ritiro degli agenti da un Paese qualora non vengano rispettati i diritti umani durante le operazioni di “controllo” dei confini. Nessuna risposta anche se il nuovo bando per traghettare centinaia di persone verso la Turchia parla da sé.

    Le offerte per aggiudicarsi la commessa devono giungere a Frontex entro il 29 giugno, il 30 verranno aperte le buste per aggiudicare la gara e assegnare il servizio. I contraenti così come l’affidatario (cioè l’Agenzia) devono garantire che “si comporteranno in conformità con l’ordine pubblico, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Una clausola che sa di farsa.

    https://altreconomia.it/frontex-mette-a-bando-un-servizio-di-traghetti-per-riportare-i-migranti

    #Grèce #Turquie #refoulements #push-backs #asile #migrations #réfugiés #Frontex #Dikili #Lesbos #accord_UE-Turquie #ferry #limbe

  • La forêt française, un puits de carbone en péril
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/06/06/la-foret-francaise-un-puits-de-carbone-en-peril_6176474_3244.html

    La capacité de stockage du CO₂ par les écosystèmes forestiers a été divisée par deux en dix ans. Une tendance inquiétante alors que la France doit réviser sa stratégie visant à atteindre la neutralité carbone.


    Une photographie aérienne par infrarouge couleur (IRC) d’une forêt dans le département de la Marne, en 2022, qui donne à l’Institut national de l’information géographique et forestière des indications relatives à la végétation arborée. IGN 2022

    Et si la forêt française n’absorbait plus de CO₂ ? Et si, au lieu de constituer un précieux puits de carbone, elle contribuait elle aussi à réchauffer le climat ? Cette perspective inquiétante n’est pas aussi irréaliste qu’elle en a l’air. La tendance est en effet clairement à la baisse : la forêt française absorbe deux fois moins de carbone qu’il y a une décennie. Alors que le gouvernement doit publier, d’ici à l’été, les grandes lignes de la troisième édition de sa feuille de route visant à atteindre la neutralité carbone en 2050, cette diminution du puits de carbone forestier est un enjeu majeur.

    Lundi 5 juin, à l’occasion de la publication d’un inventaire des émissions des gaz à effet de serre, les ministères de la transition écologique et énergétique ont pointé « la situation préoccupante » du secteur des terres et forêts.

    Une absorption en nette diminution

    Selon les dernières données officielles, la forêt française a absorbé, en 2021, 31,2 millions de tonnes équivalent CO₂ (Mt CO₂ éq), soit environ 7,5 % des émissions nationales. Mais c’est deux fois moins que dix ans plus tôt (57,7 Mt CO₂ éq). Et depuis 1990, hors tempêtes, ce chiffre n’a été plus faible qu’à une seule reprise, en 2019 (– 30,1 Mt CO₂ éq). Le Haut conseil pour le climat est l’un des premiers organismes à s’être alarmé, dans son rapport de juin 2022, de la « dégradation significative de la capacité des forêts à capter du carbone », qui restent malgré tout le principal puits naturel du pays.
    https://justpaste.it/9yoo9

    #Sécheresse #réchauffement_climatique #forêt #carbone #puit_de_carbone #climat

  • #Semi-conducteurs : l’Etat casse sa tirelire pour la nouvelle usine de Crolles, près de Grenoble (STMicroelectronics, GlobalFoundries)
    https://www.latribune.fr/entreprises-finance/services/semi-conducteurs-l-etat-casse-sa-tirelire-pour-la-nouvelle-usine-de-crolle

    L’investissement total de ce projet, annoncé à l’occasion d’un déplacement du président de la République en juillet 2022, s’élève à près de 7,5 milliards d’euros, et bénéficie d’un soutien de l’Etat à hauteur d’un maximum de 2,9 milliards d’euros, indique le gouvernement dans un communiqué.

    [...] En contrepartie, et « sur demande de l’Etat », STMicroelectronics et GlobalFoundries s’engagent à rendre prioritaires les commandes, « jusqu’à 5% des capacités annuelles de production, pour servir des besoins souverains, de sécurité nationale, ou des besoins spécifiques aux TPE et aux PME  ».

    Cette future usine s’inscrit dans le cadre du « Chips Act », le programme de l’Union européenne pour qu’elle atteigne 20% du marché mondial des semi-conducteurs en 2030, ce qui signifie quadrupler la production européenne actuelle, et ainsi retrouver une place aux côtés de l’Asie et de l’Amérique dans la production mondiale.

    Pour cela, le plan, qui a fait l’objet d’un accord entre les Etats membres de l’UE et le Parlement européen le 18 avril, assouplit les règles en matière de subventions publiques au secteur. Le Chips Act européen prévoit, en outre, de mobiliser au total 43 milliards d’euros d’investissements publics et privés dans la production de semi-conducteurs.

    [...] L’Europe a vu sa part de marché chuter ces dernières décennies à moins de 10% de la production mondiale, tandis que s’aggravait sa dépendance à l’égard des producteurs asiatiques qui dominent le marché mondial

    #industrie #union_européenne #puce #subvention #autonomie_stratégique

  • #smartphone Cet appareil qui tue en classe Sophie Godbout - Le Devoir

    Depuis le début de 2023, trois études québécoises (dont celle du centre de recherche du CHU Sainte-Justine) ont démontré les effets négatifs des médias sociaux sur les jeunes : mauvaise estime de soi, anxiété, dépression et même suicide…

    Monsieur Drainville, je vous en révèle davantage, comme si ce n’était pas suffisant.

    Il est 8 h, j’entre en classe pour m’installer. Plusieurs élèves sont déjà arrivés, mais c’est le silence. Ils sont tous rivés à leur appareil et ne lèvent même pas les yeux pour me saluer. Ils ne se parlent pas : ils regardent leur écran. C’est magique comme ils sont tranquilles et silencieux en cet instant… Aucun échange, que le silence. Chaque fois, je m’étonne qu’on ait crié haut et fort que les jeunes devaient revenir à l’école pour socialiser lors de la pandémie. Je dois dire que ce bout m’échappe parce que, presque tous les matins, ça recommence… C’est une victime, la socialisation, de ce supposé outil de communication. Et si les élèves se parlent, le sujet, c’est le contenu, la vidéo qu’ils regardent.


    Une autre victime : la langue. Les contenus écoutés sont en anglais. En soi, ce n’est pas mauvais. Mais lorsqu’on ne lit plus le français et que l’activité de la soirée est de consulter son téléphone, il ne faut pas se surprendre que le vocabulaire des adolescents diminue et de voir « exercise » couramment dans les copies. La syntaxe y goûte également. Les tournures de phrase ont un penchant pour l’anglais… Lire entre les lignes, les inférences, devient également un problème lorsqu’on ne sait pas lire par manque de pratique.

    Avez-vous déjà tenté de courir un marathon sans entraînement ? L’anxiété peut bien plafonner… face à l’épreuve ! On voit également apparaître beaucoup de plans d’intervention avec des outils comme le dictionnaire électronique ou Lexibar qui sont des prédicteurs de mots, comme lorsqu’on utilise son téléphone… Hasard ou conséquence ? Je dois aider les élèves, au secondaire, à chercher dans le dictionnaire. Triste situation ! Alors, on leur permet de consulter Usito sur leur téléphone. Pourquoi pas ? C’est beaucoup plus rapide, moins exigeant et ils ont tous un téléphone, même ceux qui n’en auraient pas le moyen. C’est essentiel, voyons !

    Ce préambule sur la nécessité du portable me permet d’introduire une troisième victime : l’autonomie, qualité essentielle à la vie adulte. Les parents savent où est leur enfant et peuvent le joindre à tout moment. La joie ! Même pendant les heures de cours, les parents textent. J’ai même déjà répondu à un parent qui avait appelé pendant le cours. Charmant comme attention d’appeler à cette heure pour parler à son fils ! Il n’y a pas de limite à cette omniprésence, et la communication se fait à tout moment : on peut appeler maman ou papa pour se faire rassurer si ça ne va pas bien, pour l’avertir d’une mauvaise note avant qu’elle n’apparaisse en ligne ou pour se faire consoler de cette note.

    Partout, partout, tout le temps ! Il est rassurant de savoir où se trouve notre enfant et de pouvoir le joindre en tout temps, mais à quel moment apprendra-t-il à se débrouiller ? Je vous rappelle qu’il est à l’école, pas dans la brousse ou la jungle. Il doit quitter l’école pour revenir à la maison ? Je pense que, dans l’ensemble, les jeunes devraient y arriver. Il peut arriver un malheur ? Je peux vous rassurer, nous avons survécu, et ce, pour plusieurs générations… Je vous suggère de souper tous ensemble, sans vos téléphones, et de parler du déroulement de vos journées : vous serez informés et développerez la socialisation, le tour de parole, la patience, le respect, l’empathie, et j’en passe…

    Je m’arrête ici, car je pourrais écrire des lignes et des lignes. La situation est inquiétante, d’autant plus que les téléphones, ce sont nous, les adultes, qui les offrons. À qui rendons-nous service et procurons-nous la tranquillité ? Et le pire est à venir : l’IA pensera pour eux…

    #médias_sociaux #enfants #suicide #estime_de_soi #anxiété #dépression #suicide #socialisation #téléphones #ia #tiktok #facebook #bytedance #surveillance #instagram #algorithme #twitter #wechat #publicité #apple #youtube

    Source : https://www.ledevoir.com/opinion/idees/792326/education-cet-appareil-qui-tue-en-classe

  • Opioïdes : La famille Sackler paiera 6 milliards de $ pour éviter des poursuites civiles JTA - Time of israel

    Une décision de la cour d’appel fédérale américaine protège la famille juive propriétaire de Purdue Pharma et permet à l’entreprise d’indemniser les victimes et leurs familles

    La famille Sackler, les milliardaires juifs dont la commercialisation de l’antidouleur OxyContin a alimenté le phénomène de l’épidémie d’opioïdes aux États-Unis, bénéficiera d’une immunité totale contre Purdue Pharma, leur société, en échange d’allocation de fonds, pouvant aller jusqu’à 6 milliards de dollars, à des programmes de traitement et de prévention de la toxicomanie.

    La décision d’une cour d’appel fédérale mardi d’accorder l’immunité met effectivement fin aux milliers de poursuites civiles qui ont été intentées contre Purdue Pharma en raison des décès dus aux opioïdes.

    Selon le plan approuvé mardi par la deuxième cour d’appel fédérale de New York, les membres de la riche famille Sackler céderaient la propriété de Purdue, basée à Stamford, dans le Connecticut, qui deviendrait une nouvelle société connue sous le nom de Knoa, dont les bénéfices seraient versés à un fonds destiné à prévenir et à traiter les dépendances.


    Illustration : Sur cette photo du 17 août 2018, proches et amis de victimes de l’OxyContin et d’opioïdes déposent des flacons de pilules en signe de protestation devant le siège social de Purdue Pharma, qui appartient à la famille Sackler, à Stamford, dans le Connecticut. (Crédit : AP Photo/Jessica Hill)

    Les membres de la famille contribueraient également à hauteur de 5,5 à 6 milliards de dollars en espèces au fil du temps, soit environ la moitié de ce que le tribunal a estimé être leur fortune collective, dont une grande partie est détenue à l’étranger. Une grande partie de cet argent – au moins 750 millions de dollars – ira aux victimes individuelles de la crise des opioïdes et à leurs survivants. Les paiements devraient s’échelonner entre 3 500 et 48 000 dollars.

    La décision de mardi protège également les membres de la famille Sackler contre les poursuites judiciaires liées aux effets des opioïdes, même s’ils n’ont pas déposé le bilan.


    Des personnes ayant perdu des proches à cause des opioïdes manifestent devant le musée Arthur M. Sackler, à l’université de Harvard, dans le Massachusetts, le 12 avril 2019. (Crédit : AP Photo/Josh Reynolds, Archives)

    Ces protections sont au cœur de l’accord proposé qui mettrait fin aux plaintes déposées par des milliers d’États, de collectivités locales, de gouvernements tribaux amérindiens et d’autres entités. Les membres de la famille Sackler ont clairement indiqué que sans ces protections, ils ne respecteraient pas leur part de l’accord.

    L’accord n’accorde pas aux membres de la famille Sackler l’immunité contre d’éventuelles poursuites pénales.

    « C’est un grand jour pour les victimes, dont certaines ont désespérément besoin d’argent et attendent ce jour depuis longtemps », a déclaré Ed Neiger, un avocat représentant des victimes individuelles.

    Cheryl Juaire, une femme du Massachusetts qui a perdu deux fils à la suite d’overdoses, a déclaré qu’elle ne savait pas à quel montant s’attendre. « Mes enfants sont partis et il n’y a rien que je puisse faire pour les ramener », a-t-elle déclaré, mais elle a ajouté que les fonds aideraient les enfants de ses fils. « Ils auront des appareils dentaires, des lunettes, des choses dont ils ont besoin et qu’ils n’auraient pas pu avoir autrement. »

    Les membres de la famille Sackler et Purdue ont également salué la décision.

    « Les membres de la famille Sackler estiment que la mise en œuvre tant attendue de cette résolution est essentielle pour fournir des ressources substantielles aux personnes et aux communautés dans le besoin », ont déclaré les membres de la famille propriétaire de Purdue dans un communiqué mardi. « Nous sommes heureux de la décision de la Cour de permettre à l’accord d’aller de l’avant et nous attendons avec impatience qu’il prenne effet dès que possible. »


    Des manifestants font un die-in aux abords du tribunal qui est en train de prononcer la faillite de Purdue Pharma à White Plains, à New York, le 9 août 2021. Illustration (Crédit : Seth Wenig/AP)

    Les fondateurs de Purdue, Arthur, Mortimer et Raymond Sackler, sont les fils d’immigrants juifs de Brooklyn qui ont suivi des études de médecine en Écosse parce que les écoles américaines n’admettaient pas les juifs à l’époque. Mortimer et Raymond ont lancé l’OxyContin en 1996, après qu’Arthur a quitté l’entreprise ; la famille a ensuite gagné des milliards en commercialisant agressivement le médicament pendant plus de deux décennies, alors même que des signes montraient qu’il entraînait les utilisateurs dans la dépendance aux opiacés.

    Les trois frères sont décédés, mais d’autres membres de la famille ont conservé le contrôle de Purdue Pharma et leur fortune, estimée à environ 11 milliards de dollars il y a deux ans.

    Le nom Sackler était régulièrement présent dans les cercles philanthropiques jusqu’à ce que les poursuites contre les opioïdes commencent à s’accumuler en 2019, date à laquelle de nombreuses institutions culturelles ont commencé à refuser les dons de la famille et à retirer leur nom des bâtiments. L’artiste et activiste juive Nan Goldin a été le fer de lance d’un mouvement populaire s’opposant à la famille pendant des années.



    Gabe Ryan, un employé, supprime les lettres formant le nom d’ Arthur M. Sackler à l’entrée du bâtiment de l’école de médecine Tufts à Boston, le 5 décembre 2019 (Crédit : AP Photo/Steven Senne)

    L’un des bénéficiaires notables des Sackler, l’université de Tel Aviv, a résisté aux pressions visant à supprimer le nom Sackler de son école de médecine – bien que l’aile de son école de médecine tournée vers les États-Unis ait discrètement supprimé le nom Sackler de son matériel de marketing l’année dernière.

    Purdue est peut-être l’acteur le plus médiatisé de l’industrie des opioïdes. Mais plusieurs autres fabricants de médicaments, sociétés de distribution et pharmacies ont également été poursuivis par les États et les collectivités locales. Si une poignée d’affaires ont été portées devant les tribunaux, beaucoup sont en cours de règlement.

    La valeur totale des règlements proposés et finalisés au cours des dernières années s’élève à plus de 50 milliards de dollars. Parmi les entreprises qui ont conclu des accords figurent les fabricants de médicaments Johnson & Johnson et Teva, les géants de la distribution AmerisourceBergen, Cardinal Health et McKesson, ainsi que les chaînes de pharmacies CVS, Walgreens et Walmart.

    Un seul autre grand règlement de procès concernant les opioïdes prévoyait des paiements pour les victimes.

    Un militant installant des pierres tombales en carton avec les noms des victimes d’overdose d’opioïdes devant le palais de justice où se déroule le procès de la faillite de Purdue Pharma à White Plains, à New York, le 9 août 2021. (Crédit : AP Photo/Seth Wenig/Dossier)


    La majeure partie de l’argent doit être utilisée pour lutter contre la crise des opioïdes, qui a été liée à plus de 500 000 décès aux États-Unis au cours des deux dernières décennies, dont plus de 70 000 par an récemment.

    Ces dernières années, la plupart des décès ont été liés au fentanyl et à d’autres opioïdes synthétiques illicites, et non à des analgésiques délivrés sur ordonnance.

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    Source https://fr.timesofisrael.com/opioides-la-famille-sackler-paiera-6-mds-de-pour-eviter-des-poursu