• La publicité digitale : son utilité pour la société, ses problèmes actuels, les causes et comment travailler aux solutions
    https://www.journaldunet.com/adtech/1527983-la-publicite-digitale-son-utilite-pour-la-societe-ses-probleme

    Les rapprochements ces dernières années entre le lobby du secteur de la publicité digitale (l’Alliance Digitale, ex IAB) et les organismes d’état indépendants (Cnil, Autorité de la concurrence & Arcom) sont un premier pas pour une régulation plus efficace. Il a notamment été productif en 2020 concernant l’interprétation et l’application de loi RGPD sur le recueil du consentement des données personnelles.

    Est-il nécessaire de créer un organisme d’État indépendant spécifique à la publicité digitale ? Comme cela a été fait pour la finance de marché passé la crise des subprimes de 2008, comme nous le rappelle le livre « Le grand krach de l’attention » de Tim Hwang, qui compare ces deux secteurs ? Est-ce que l’Arcom peut monter au créneau, avec un budget renforcé ? Comment travailler avec la Cnil et l’Autorité de la concurrence, qui ont accéléré leurs travaux pour notre secteur depuis quelques années ? Comment prendre en compte les arguments des associations de protection des données personnelles comme Noyb ? Faut-il espérer créer des big techs européennes, laisser Google Meta Amazon Apple Amazon dominer le secteur, ou favoriser l’entrée des big techs chinois (BATX) ?

    #Publicité #Tim_Hwang #Publicité_numérique

  • Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
    #eau #agriculture #finance #financiarisation #fonds_de_pension #private_equity #Public_sector_pension_investment_board (#Psp) #petits_fruits #myrtilles #Olmos #Pérou #Huancabamba #industrie_agro-alimentaire #avocats #exportation #amandes #ressources_hydriques #extractivisme #Hortifruit #Huelva #Espagne #fraises #Doñana #fruits_rouges #Maroc #Renewable_resources_group #Mexique #Emirats_arabes_unis (#EAU) #Al_Dahra #Egypte #Soudan #Roumanie #Louis_Dreyfus_Company #Guido_De_Nadai #Chypre #Mohamed_Elsarky #Kellog’s #Godiva_chocolatier #United_biscuits #Danone #Gil_Adotevi #Chili

    • Ce compromis, approuvé par un juge, permet d’éviter un procès qui se profilait notamment dans le Massachusetts, mais dans son communiqué, Letitia James met violemment en cause Publicis. « Pendant une décennie, Publicis a aidé les fabricants d’opioïdes comme Purdue Pharma à convaincre les médecins de prescrire trop d’opioïdes, alimentant directement la crise des opioïdes et provoquant la dévastation de communautés à l’échelle nationale », déclare la procureure.

      Si t’es riche, suffit de payer un peu et la justice passe à autre chose, même si ton crime est immense.

      #justice

      https://justpaste.it/9r87d

    • Pour les forfaitures infects mises sous le tapis grâce à cet accord avec #publicis faudra voir avec le mari de Amélie Claire Castéra (devenue Amélie Oudéa-Castéra et multiministre) qui en est directeur.

      Oups, EDIT, c’est son père qui était directeur de Publicis !

  • Rachel Silvera : Encore et toujours de la pub sexiste !

    L’association Résistance à l’agression publicitaire (RAP) a publié le 5 décembre 2023 le deuxième rapport de son observatoire de la publicité sexiste (OPS) intitulé « Le sexisme dans la publicité française 2022-2023 ».

    Le premier rapport de 2021 qui a passé au crible des publicités sur toute la France pendant un an constatait déjà que le publisexisme était un problème aigu, touchant principalement les femmes et s’appuyant sur des mises en scène stéréotypées : des corps sexualisés, épilés, blancs, minces, jeunes, en position de soumission, de séduction, d’infantilisation, de travail domestique…

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/12/13/deuxieme-rapport-le-sexisme-dans-la-publicite-francaise/#comment-60004

    #publicité #sexisme

  • The COVID-safe strategies Australian scientists are using to protect themselves from the virus - ABC News
    https://www.abc.net.au/news/2024-01-21/covid-safe-strategies-australian-scientists-virus-infection/103335466
    https://live-production.wcms.abc-cdn.net.au/ad2eada4eaabdc63ab704f3797c8a95b?impolicy=wcms_crop

    Some commentators have described this situation — the crashing of wave after wave of COVID-19, a steady drip, drip, drip of death and mounting chronic illness — as the “new normal”. But other experts insist it doesn’t have to be, and that continuing on the current trajectory is unsustainable — especially in light of data showing that COVID has decreased life expectancy, will cost the global economy an estimated $US13.8 trillion by 2024, and is decimating the lives of millions of people who have developed long COVID.

    Meanwhile, studies continue to pile up showing COVID-19 can cause serious illness affecting every organ system in the body, even in vaccinated people with seemingly mild infections. It can cause cognitive decline and dysfunction consistent with brain injury; trigger immune damage and dysfunction; impair liver, kidney and lung function; and significantly increases the risk of cardiovascular disease and diabetes. Then there’s long COVID, a debilitating disease that robs fit and high-functioning people of their ability to think, work and exercise.

    All of this is why governments must invest in long-term strategies for managing COVID-19 into the future, experts say — particularly by introducing standards for indoor air quality. But until then, they say, Australians can and should take precautions against COVID-19 to reduce transmission and protect their health. And doing so is relatively simple: it just takes a little planning, preparation and common sense.

    Here, three of Australia’s leading COVID-19 experts share their personal COVID safety strategies and reflect on what must happen if we’re to blunt the growing health crisis the pandemic is causing — and prepare for the next one.

    • When the COVID-19 pandemic hit Australia in 2020, Associate Professor Stuart Turville had been working in the Kirby Institute’s level-three physical containment (PC3) lab, researching another well-known RNA virus: HIV. His team quickly pivoted to #SARS-CoV-2, capturing the virus and characterising it very quickly. Still today when the NSW Ministry of Health’s genomic surveillance unit identifies a new variant of interest, Dr Turville, a virologist, will use a swab from a positive case and grow the virus to understand its mutations and virulence.

      Scientists working in the PC3 lab must wear robust personal protective equipment primarily for respiratory safety. Before he enters the lab Dr Turville dons several layers of gear: a full-face Powered #Air Purifying Respirator (PAPR) mask, a collar with its own HEPA filter ("it’s like being in a scuba suit"), two pairs of gloves, a disposable Tyvek suit, a generic gown that is laundered after use, booties, gumboots and little plastic socks that go over the boots. “Not only could [getting infected] impact our research colleagues and the general community,” he says, “but we could also take the virus home.”

      For Dr Turville, the risk of taking #COVID-19 home was particularly serious. In 2020 he was caring for his elderly father who had heart problems and his mother was also at risk of severe disease. If he brought the virus into his dad’s aged care facility, it would be put into lockdown and “he would be eating cold meals in his room alone”. “So for me personally it was incredibly important to maintain that protection and ensure I remained negative,” he says. “I’ve still only got it once — I got it from undergraduate teaching, which will teach me.”

      As for how he protects himself outside the lab, day to day? For starters, “As a scientist I don’t get out much,” he jokes. He drives to work, avoiding crowded public transport. If he’s going on an overseas trip, he’ll plan to get a booster vaccine four weeks before he gets on a plane. “I know from the studies that we do and other people do that if you get a new formulation vaccine you’re going to encourage the mature B cells to generate better cross-reactive antibodies,” he says, “and so you’re going to have better protection if you’re exposed to [COVID-19].”

      A man wearing a green lab gown stands against the wall in a corridor, next to a blue clinical smock
      Political support for genomic surveillance work is “shrinking”, says Stuart Turville.(Supplied: Richard Freeman, UNSW)
      If someone in his family gets sick, he says, they immediately isolate themselves. “It’s only happened once or twice where one of us has been positive but they’ve generally been isolated to one room and wearing a P2 mask” to protect the rest of the household. “Another thing we’ve been doing, which has been somewhat of a side benefit of looking after my father in aged care, is RAT testing before going into those facilities — even though we might be asymptomatic,” he says. “I think it’s really a situation of common sense in the context: if you don’t feel well, you isolate, you keep germs to yourself.”

      Still, Dr Turville is acutely aware of the vitriol frequently directed at people who promote COVID-19 safety. Strangers will circulate photographs of him in his lab kit, particularly on social media, to mock him: “They’ll say, ’Oh, this guy is an idiot, why is he using that, he shouldn’t fear [the virus] anymore’.” This both puzzles and amuses him. “It’s my job; I’m not going to bring it home when I have a sick father — pull your head in,” he says. “Unfortunately there is a lot of negativity towards people who choose to protect themselves. We never really saw that in the HIV era — there was never really a pushback on condom use.”

      Then again, the differences between how the two pandemics — HIV/AIDS and COVID-19 — were managed in Australia are probably quite instructive, says Dr Turville. With HIV, experts and health ministers collectively built a strong public health strategy that they strove to protect from politics. “When we look at COVID, it was political from the start and continues to be,” he says. We also now lack a “mid to long-term plan to navigate us through” this next phase of COVID-19: “Some argue that we are no longer in the emergency phase and need to gear down or simply stop,” he says. “But should we stop, and if not, what do we gear down to as a longer-term plan?”

      Three scientists wearing white Tyvek suits and full face PAPR masks working in a physical containment lab
      Stuart Turville and his colleagues working in the Kirby Institute’s PC3 laboratory.(Supplied: Richard Freeman, UNSW)
      Perhaps one reason Australia lacks a long-term plan for managing COVID-19 is the complexity of instigating one in light of the community’s collective trauma. The first couple of years of the pandemic were stressful and frightening and as much as border closures, lockdowns and other restrictions saved tens of thousands of lives in 2020 and 2021, they are still resented by some people whose livelihoods or mental health suffered — and who now push back against precaution. This backlash is so fierce in pockets of the community that some seem to conflate any kind of protective action with lockdowns.

      “There might have been some things we went too hard with but I think we have to look at it in perspective,” Dr Turville says. “We didn’t have those really, really dark months in Australia — we never had the mass graves like we saw in Italy or New York. We got a scare during [the] Delta [wave] and that helped get us our really high vaccination rates … But my worry now is, are we stepping away too soon?”

      Aside from much of the general public abandoning measures like masking, he says, political support for genomic surveillance work is also now “shrinking”. And without the critical data it generates, he says, there’s a risk scientists like him will miss new, more dangerous variants. “I think there’s a lot of patting on the back at the moment — job well done. And that’s nice, but I think it’s somewhat job well done, there goes the rug,” he says. “I think it’s the apathy that’s the concern. And I think it’s coming top-down, it’s coming very much from the government. I just don’t understand why, like we had with HIV, there can’t be a mid-term strategy.”

      ’Air is out of mind until it’s a problem’

      Robyn Schofield, aerosol scientist at Melbourne University

      A woman with blue eyes, short dark hair and green earrings smiles as a busy city rushes around her
      Robyn Schofield is an atmospheric chemist and aerosol scientist at Melbourne University.(ABC News: Danielle Bonica)
      Associate Professor Robyn Schofield can rattle off data on the harms and benefits of clean indoor air as breezily as if she were reciting her own phone number. We breathe in about eight litres of air a minute. We consume 14 kilograms of air a day. Our lungs have the surface area of half a tennis court. Globally, nine million people die from air quality issues every year. In Australia, she says, it’s somewhere between 3,000 and 11,000 deaths — “way more than the road toll”. But people generally don’t know any of that, she says. “They don’t appreciate how important breathing is until it’s hard to do. It’s like the air: you can’t see it, so it’s out of mind until it’s a problem.”

      In 2020, the air became a massive problem. The main way COVID-19 spreads is when an infected person breathes out droplets or aerosol particles containing the virus — think about aerosols as behaving similarly to smoke, lingering in the air potentially for hours. An atmospheric chemist and aerosol scientist at Melbourne University, Dr Schofield quickly began working with respiratory specialists to understand how to reduce the risk of viral transmission by improving the ventilation and filtration of indoor air.

      What she still finds thrilling is that indoor air quality can be assessed with a battery-powered CO2 monitor; popular devices like the Aranet cost about $300 but some companies are developing tech to allow smartphones to do the same. And the investment is worth it, many argue, because it can help you avoid catching COVID-19. It’s also good for productivity, with studies showing higher CO2 levels decrease cognitive performance. If CO2 is 800 parts per million, Dr Schofield says, 1 per cent of the air being inhaled has been breathed out by someone else — and is therefore a good proxy for infection risk.

      A woman pulls a 3M Aura respirator and an Aranet CO2 monitor out of her black handbag
      Dr Schofield’s COVID-safety kit includes an N95 respirator and a CO2 monitor.(ABC News: Danielle Bonica)
      One of the findings from the past few years she finds “most exciting”, however, is the role of relative humidity in indoor spaces. When relative humidity is below 40 per cent, Dr Schofield says, the risk of catching COVID-19 increases. (A good sign of that, for those who wear contact lenses, is dry eyes, which she says is “a really good indication that you should get out!”) “Because you are becoming the moisture source. Your mucous membranes — which are protecting you from getting COVID or the doses you acquire — are giving up that moisture, and so it’s easier to be infected.”

      Dr Schofield is particularly concerned with preventing infection in healthcare settings. She bravely spoke out last year when, while being treated for breast cancer at Peter Mac in Melbourne, the hospital decided to relax its masking policy for patients. “COVID cases were actually rising at the time, so it was a bad call,” she says. “And it was then reversed.” But she was still “disgusted” and lost respect for the hospital’s leadership, she says: she expected that staff would understand the science of COVID-19 transmission and take steps to protect vulnerable patients.

      A woman wearing a black top prepares to put on a white N95 respirator as people dine at outdoor cafe tables behind her
      Dr Schofield chooses restaurants with outdoor dining areas when eating out.(ABC News: Danielle Bonica)
      Even before she was diagnosed with cancer, Dr Schofield was taking precautions — for starters, she knows where the “most risky settings” are. Trains, planes and automobiles are big red zones: “Buses are actually the worst,” she says, because they recirculate air without filtering it. She regularly uses nasal sprays, wears an N95 respirator when she’s indoors with other people — in meetings at work, for instance — and makes sure air purifiers are switched on. “If I walk into a space, I will also open windows. I just go around and open them,” she says. “Because actually, no one’s going to tell me not to.”

      When eating out, she chooses restaurants that have outdoor dining areas: a newly revamped boathouse in the Melbourne suburb of Kew is a favourite of hers, and Korean barbecue is “always excellent”, she says, because there are generally extractor fans at each table. It’s all about good ventilation — clean air. “I always take my Aranet [CO2 monitor] along, and if you sit close enough to the kitchen, the kitchen fans are very effective.”

      All of these issues point to an urgent need for governments to develop indoor air standards, Dr Schofield says — for air quality to be regulated and monitored, just like food and water are. Before the pandemic, in 1998, the economic cost to the Australian economy of poor indoor air was $12 billion per year — $21.7 billion in 2021 money. “So why aren’t we learning from that, and moving forward?” she says. “This is not about going back to 2019, it’s about having the future we deserve in 2030.”

      ’We’re living in a public health ’Barbieland’

      Brendan Crabb, chief executive of the Burnet Institute

      professor brendan crabb
      The lack of action against COVID is fundamentally a problem of a lack of leadership, says Brendan Crabb.(Image: Supplied by Burnet institute)
      Four years into the COVID-19 pandemic we’re living in a “public health Barbieland”, says Professor Brendan Crabb, director and chief executive of the Burnet Institute. Too many of us are playing “make-believe” that life has returned to “normal”, he says, and there’s an “enormous disconnect” in the community: a failure to grasp both the true scale of COVID circulating and the impact of infections on our health and longevity.

      Australia recorded more than 28,000 excess deaths between January 2022 and July 2023, he says. “These are unheard of numbers, people who wouldn’t have otherwise died, let alone the hundreds of thousands in hospital — we don’t know exactly because no one publishes the numbers.” Then there are the hundreds of millions globally with long COVID-19, the risk of which increases with each infection. “I find what we know about COVID concerning enough to call it an elevated public health crisis,” Professor Crabb says. “And we need sustainable solutions to that now and in the longer term.”

      Long COVID will take your health, your wealth — then it will come for your marriage
      Long COVID is not just destroying people’s health. Behind closed doors, in homes across Australia and abroad, it is irreversibly changing relationships — sometimes for the better, too often for worse.

      An illustration in blue and pink colours shows a woman sitting alone in a room looking out a window
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      The lack of action against COVID-19, Professor Crabb says, is fundamentally a problem of a lack of leadership. “The most common thing said to me is, ’Brendan, I really do trust what you and others are saying. But if there was a real problem the prime minister, the government, would be telling us that,’” he says. “I don’t think people are all of a sudden profoundly individualistic and don’t care about COVID anymore — that they’re suddenly willing to take massive risks and hate the idea of vaccines and masks. I just don’t think they’re being well led on this issue.”

      A crucial factor shaping Australians’ apathy towards COVID-19 in 2024, Professor Crabb believes, was Chief Medical Officer Paul Kelly’s statement in September 2022 that the virus was no longer exceptional. “It is time to move away from COVID exceptionalism, in my view, and we should be thinking about what we do to protect people from any respiratory disease,” Professor Kelly said at a press conference. Those comments, Professor Crabb says, have never been turned around. “If I’m right — and I say that was a profoundly wrong statement — then that has to be corrected by the same people.”

      He also points a finger at two unhelpful ideas. “There is a strong belief, I think, by the chief medical officer and many others that once we got vaccinated, infection was our friend,” he says. Australia’s vaccine program was highly successful, Professor Crabb says. Most people were inoculated against COVID-19 before large numbers were infected. “If we were the US, we’d have had 80,000 deaths … [instead] we had 1,744 deaths in the first two years,” he says. But while vaccination broadly protects against severe illness and death, it does not protect against (re)infection or the risk of acute and chronic health problems.

      The other idea is hybrid immunity, which holds that vaccination and infection provides superior protection against severe outcomes compared to immunity induced by vaccination or infection alone. For Professor Crabb, the concept is flawed: first, because it encourages infection, which he believes should be avoided, and second, because it does not work — at least not with the predictable emergence of new variants like JN.1 which are capable of evading population immunity. “Immunity is good,” he says. “But it’s not good enough.”

      A panel of participants at the Clean Air Forum in Parliament House, with air purifiers and a CO2 monitor around the room
      Brendan Crabb took his portable air purifier to the Clean Air Forum at Parliament House last year, where there were also large purifiers in the room and a CO2 monitor on the desk.(Supplied: Stuart Kinner)
      In a perfect world, Professor Crabb says, political leaders would speak regularly about the pressure on health systems, about deaths, and about the potential health consequences for children, which are often overlooked. “And then underneath that they’d set a blueprint for action around the tools we currently have being properly implemented: a vaccine program, a clean air program, advice around wearing masks when you can’t breathe clean air, and testing so you can protect those around you and get treated.” But who speaks matters, too: “If it’s not [coming from] the prime minister, if it’s not the premiers — if it’s not consistent — it’s probably not going to cut through.”

      In the meantime, he says, people can and should take precautions — they can be leaders in their community, and start conversations with their employers and kids’ schools. For him, in addition to getting current booster vaccines, it means using a toolkit he built with his wife who, as a paediatrician who works in a long COVID-19 clinic in Melbourne, comes face to face with the harm the virus is doing every day. The kit includes a well-fitted N95 mask, a CO2 monitor and a portable air purifier. “It’s another line [of defence],” he says. “If you’re in a restaurant, say, and … you’ve got a few people around you, putting one of those on the table, blowing in your face, is a good idea.”

      Masks, he adds, should be worn in crowded places or spaces with poor ventilation. Of course, the topic sometimes sparks heated debate. A Cochrane review which last year suggested masks do not work was later found to be inaccurate and misleading and subject to an apology. But the damage it did was significant. Since then a vicious culture war has raged, much to the dismay of respected scientists who continue to make the point: numerous studies show high-quality, well-fitted N95 and P2 respirators prevent infection when they’re worn correctly and consistently.

      Professor Crabb’s home is also as “airborne safe” as he can make it. An “enormous amount of transmission” occurs in homes, he says. And his analysis of excess deaths from COVID-19 between January 2022 and March 2023 paints a striking picture: Moving down the east coast from Queensland, excess deaths increase, with Tasmania recording the highest proportion — last year it was more than double that of Queensland. “There’s no way Queensland has better COVID strategies than Victoria,” he says. “So very likely it’s to do with less time spent in poorly ventilated indoor spaces.”

      Ultimately, strong evidence supporting the benefits of clean air is why Professor Crabb believes the future of COVID-19 — and other pandemics to come — is regulating indoor air quality: a responsibility for governments, public institutions and workplaces. “That’s where we are really headed, and that’s where I think there’s strong interest at a government level,” he says. “Of course everyone is stressed about what that will cost, but … let’s at least have the conversation. We have to move towards an airborne future. How you do that in economically sensible ways is a separate discussion — whether we do it or not should not be up for discussion, and the gains are enormous.”

      #santé #prévention #CO2 #masque #purificateur_d'air #purificateur_d'air_portable

    • Ultimately, strong evidence supporting the benefits of clean air is why Professor Crabb believes the future of COVID-19 — and other pandemics to come — is regulating indoor air quality: a responsibility for governments, public institutions and workplaces. “That’s where we are really headed, and that’s where I think there’s strong interest at a government level,” he says.

    • Oui, d’ailleurs, à propos de la « régulation de la qualité de l’air intérieur, responsabilité des gouvernements, institutions publiques et lieux de travail », à Davos, ils montrent l’exemple pour la deuxième année consécutive. Le capitalisme, ça vous gagne.

    • Me serais-je mal fait comprendre ? Les purificateurs ne sont pas partout, hélas. Juste dans des endroits « stratégiques » où les dominants protègent leurs intérêts et pérennisent leurs privilèges. Un air pur et exempt de tout agent pathogène, ça se « mérite ».

    • Oui, c’est bien ce dont je parle. L’année dernière, on avait vu les images accablantes de tous des dispositifs de purification d’air pour Davos, pendant que les autres grenouillent dans les miasmes.

      On a vu aussi que « Stan » avait eu une maousse subvention qui avait dû manquer aux actions sociales pour entièrement refaire son système de ventilation.

      Je me demandais donc si on avait de nouveau vu Davos se protéger consciencieusement perdant que les dirigeants racontent à leurs peuples respectifs que la pandémie, faut vivre avec.

  • Reportages : InfoMigrants à la rencontre des Sénégalais tentés par le rêve européen

    InfoMigrants est allé au Sénégal, en banlieue de Dakar, à la rencontre de jeunes - et moins jeunes - tentés par un départ vers l’Europe. En cause : l’inflation, la crise du Covid et de la pêche... Certains sont restés mais ont aussi perdu un proche dans la traversée de l’Atlantique vers les Canaries espagnoles. D’autres encore sont rentrés après l’échec de leur rêve européen. Retrouvez tous nos reportages.

    La situation économique du Sénégal pousse de plus en plus d’hommes et de femmes à prendre la mer en direction des îles Canaries, distantes d’environ 1 500 km. Les Sénégalais fuient généralement une vie sans perspective, aggravée par les changements climatiques.

    https://www.youtube.com/watch?v=ZuLD1UbvL5Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À l’été 2023, les départs se sont notamment succédé vers l’archipel espagnol depuis les côtes sénégalaises. Sur l’ensemble de l’année 2023, plus de 37 000 personnes ont tenté de rejoindre le pays européen, du jamais vu.

    https://www.youtube.com/watch?v=4N-_aCjoA-c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Beaucoup prennent la mer sans en mesurer les dangers. Selon l’ONG espagnole Caminando fronteras, plus de 6 000 migrants sont morts en mer l’année dernière. Ce chiffre, qui a pratiquement triplé (+177%) par rapport à celui de 2022, est « le plus élevé » comptabilisé par l’ONG depuis le début de ses recensements.

    https://www.youtube.com/watch?v=QMMuxSFfSS4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Dans le même temps, des Sénégalais, déçus par leur exil, sont aussi rentrés au pays après des années passées en Europe. Souvent, ils reviennent avec l’aide de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le soutien financier de l’Union européenne. Mais en rentrant « les mains vides », ils doivent faire face à la déception de leurs proches.

    https://www.youtube.com/watch?v=LsbHTBTn3fY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À Dakar, on croise aussi des Centrafricains, des Congolais, des Sierra-léonais, des Ivoiriens… Certains sont réfugiés, d’autres sont en transit, d’autres encore sont « bloqués » au Sénégal et attendent de pouvoir rejoindre rentrer chez eux.

    https://www.youtube.com/watch?v=apA6oKCDlOE&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Enfin, il y a ceux qui refusent de risquer leur vie et s’échinent à demander un visa pour atteindre l’Europe, malgré les refus successifs et le coût de la procédure. Comme partout, des trafiquants profitent de la situation et organisent des trafics de rendez-vous en ambassades. Des mafias prennent ainsi tous les créneaux sur internet et les revendent à prix d’or à des Sénégalais désespérés.

    https://www.youtube.com/watch?v=IgyUa9priPY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    https://www.infomigrants.net/fr/post/54517/reportages--infomigrants-a-la-rencontre-des-senegalais-tentes-par-le-r

    #Sénégal #asile #migrations #réfugiés #reportage #vidéo #jeunes #jeunesse #Dakar #facteurs_push #push-factors #inflation #pêche #route_atlantique #Canaries #îles_Canaries #perpectives #climat #changement_climatique #décès #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #Caminando_fronteras #OIM #réintégration #retour #IOM #visas

  • [Historias Minimas] BXL alternative #punk
    https://www.radiopanik.org/emissions/historias-minimas/bxl-alternative-punk

    Discharge - Realities of war (1980); Crux – Keep on running (1982); Cro-Mags – Don’t tread on me (demo version)(1982); Cro-Mags – Don’t tread on me (LP version)(1982); Breakdown – Sick people (1987); Backstabbers – Destiny (2002); True Colors - Coming through; The Flex – The flex (2013); Instructor - Pulled out (2020); Instructor - Quick again; Terre Neuve - Finissons-en (2023); Echo Chamber –All that is solid (2022); Aresi - Aresi (2022)

    Perfectine: J’ai pas peur; Le secret; Violence

    Tesson: Bovverboys; Tesson MX2A; Turbo

    #rock #punk,rock
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/historias-minimas/bxl-alternative-punk_17161__1.mp3

  • Enquête sur les #dérives du #business très lucratif des #revues_scientifiques

    Des éditeurs de revues scientifiques profitent de leur rôle central dans la diffusion du savoir pour s’enrichir, au détriment des universités et laboratoires, à bout de souffle. Les dérives se multiplient et menacent tant la confiance accordée à la science que la recherche elle-même.

    « C’est juste du racket », « ça me rend fou », s’insurge l’économiste de la décroissance, Timothée Parrique, sur X (ex-Twitter), début novembre. Pour consulter l’étude scientifique qu’il convoite, ce chercheur doit débourser pas moins de 30 euros. « Impossible d’accéder aux textes parce qu’ils sont soumis à des paywalls, par des éditeurs qui ne contribuent en rien à leur production », proteste-t-il.

    De fait, les éditeurs de revues scientifiques ne financent pas l’activité de recherche, pas plus qu’ils ne rétribuent les auteurs. Les scientifiques sont payés par les structures qui les emploient et le budget de la recherche est principalement supporté par l’Etat.

    Même l’étape de la « relecture par les pairs », phase essentielle au cours de laquelle des scientifiques contrôlent la pertinence et la rigueur d’une recherche avant publication, ne coûte rien aux éditeurs : les « pairs » travaillent pour les revues sur la base du volontariat.

    Les universités produisent la recherche… et paient ensuite des sommes colossales pour accéder aux publications. Rien qu’en 2020, les institutions françaises ont déboursé 87,5 millions d’euros en abonnement aux revues scientifiques.

    « Leur coût a explosé depuis les années 1980, c’est ce qu’on a appelé la crise des périodiques : les grands éditeurs ont augmenté les prix des abonnements de façon bien supérieure à l’inflation [entre 1986 et 2004, le prix des revues a augmenté 2,5 fois plus vite que le coût de la vie], explique Margaux Larre-Perrez, consultante science ouverte pour datactivist, société coopérative spécialisée dans l’ouverture des données. Ces journaux se le permettent car ils ont un prestige et ils répondent à un besoin. Donc les universités paient. »

    Ce fonctionnement permet au marché de l’édition scientifique, dominé par une poignée de sociétés, d’être particulièrement lucratif. Les six premiers éditeurs à l’échelle mondiale – Elsevier, Springer Nature, Wiley, Wolters Kluwer, Thomson Reuters et Taylor & Francis – ont présenté en 2015 un chiffre d’affaires cumulé de 7,5 milliards d’euros. Elsevier et Springer Nature ont réalisé des marges hors normes, frôlant les 40 %, soit plus qu’Apple (35 %).

    De l’autre côté, le monde académique étouffe. En juin 2023, le directeur général délégué à la science du Centre national de la recherche scientifique (CNRS), Alain Schuhl, alertait sur le fait que le CNRS était « au bord du gouffre ».
    Paye ta publication

    Alain Schuhl dénonce un autre système, celui des frais de publications, ou APC (Article Processing Charges). Ceux-ci sont payés par les auteurs pour permettre une publication en accès libre immédiat. Les APC peuvent être importants : jusqu’à 9 750 euros par article pour les revues du prestigieux groupe Nature.

    « Les APC se sont développés dans les années 2000, ils étaient une alternative de financement pour les revues créées en opposition aux journaux classiques sur abonnement, développe Margaux Larre-Perrez. L’objectif était de construire un autre modèle économique : tous les articles sont accessibles gratuitement, et les auteurs prennent en charge les frais d’édition. »

    Flairant la bonne affaire, l’oligopole a progressivement intégré cette alternative dans son propre modèle économique, en développant notamment des revues « hybrides », fonctionnant à la fois sur abonnement et sur APC pour les articles en libre accès. « C’est devenu le modèle dominant dans les revues prestigieuses, comme Nature. Ces journaux récoltent de l’argent des deux côtés : les universités paient pour avoir accès aux revues, et paient des APC. »

    A l’échelle mondiale, les institutions ont donné plus d’un milliard de dollars en frais de publication à l’oligopole – aujourd’hui constitué d’Elsevier, Sage, Springer Nature, Taylor & Francis et Wiley – entre 2015 et 2018. Le montant payé pour les APC en France a triplé entre 2013 et 2020, passant de 11,3 millions d’euros par an à plus de 30 millions. La facture pourrait atteindre 50 millions d’euros en 2030 si la tendance se poursuit, voire 68 millions si elle s’accélère.

    En cause, la multiplication des APC, mais aussi l’explosion de leur coût : le CNRS a par exemple observé une hausse de 139 % des frais de publication chez Frontiers Media et de 746 % chez Mdpi entre 2017 et 2020.
    Publier ou mourir

    Si les éditeurs s’offrent tant de libertés, c’est parce que les scientifiques leur sont pieds et mains liés : dans le monde de la recherche, nul n’ignore la maxime « publier ou mourir ». Le mérite d’un chercheur – et donc l’avancée de sa carrière – est principalement déterminé à partir de la quantité d’articles qu’il publie, et du prestige des revues dans lesquelles il le fait.

    Les universités ont elles aussi tout intérêt à encourager leurs chercheurs à publier beaucoup, et dans des revues reconnues : elles sont hiérarchisées à partir de ces critères, notamment dans le cadre du prestigieux classement annuel des meilleures universités, réalisé par l’Université de Shanghai.

    Répondre à ces exigences permet parallèlement aux établissements de débloquer de précieux fonds pour la recherche. Les plans d’investissement d’avenir (PIA), lancés en 2009 par l’Etat et dotés de 20 milliards d’euros en 2020, réservent une enveloppe pour les « initiatives d’excellence » portées par des universités.

    « Les dotations sont accordées par le ministère selon les dossiers déposés. Dans les critères, se trouve l’"excellence" de la recherche, précisent Claire Calvel et Victor Chareyron, normaliens de l’ENS Cachan et auteurs d’une synthèse sur le financement de l’Enseignement supérieur en France. Ainsi, la présence de chercheurs reconnus dans leur champ est un atout indéniable. Le nombre de publications et le prestige des revues jouent donc un rôle dans l’attribution de ces financements. »

    Les laboratoires de recherche sont soumis à la même logique de prestige quand ils cherchent des financements « sur projet », un mode de fonctionnement de plus en plus fréquent.
    Trottinette et hydroxycloroquine

    D’un côté, il y a donc des scientifiques contraints de publier, des Universités et des laboratoires sommés de prouver leur excellence, et de l’autre, des éditeurs qui s’enrichissent grâce à leurs poules aux œufs d’or. De quoi attirer le renard dans le poulailler.

    En 2020, une étude se fait remarquer parmi les nombreuses recherches sur l’épidémie de Covid-19. Un manuscrit affirme que la prise d’hydroxychloroquine – alors envisagée comme remède contre le Covid-19 – permet de prévenir les accidents… de trottinette.

    Parmi les auteurs : Didier Lembrouille, Otter F. Hantome (« auteur fantôme ») et Nemo Macron, en honneur au chien du Président. L’étude est une succession de farces, et pourtant, elle est publiée dans l’Asian Journal of Medicine and Health, après un paiement de 55 dollars.

    Les (vrais) chercheurs derrière ce canular ont un objectif : sensibiliser le grand public aux revues « prédatrices ». Ces journaux frauduleux ont l’apparence de revues scientifiques sérieuses, mais n’en respectent pas la déontologie. La relecture par les pairs y est par exemple partielle ou inexistante.

    Ces journaux sollicitent souvent directement les scientifiques pour les inciter à soumettre leurs recherches. Des mails de revues prédatrices ? « J’en ai plein, idem pour mes collègues, confirme Paule-Emily Ruy, doctorante à l’Atlantic Technological University, à Galway, en Irlande. J’ai commencé à en recevoir quand j’ai publié pour la première fois. Plus tu publies, plus elles te contactent. »

    Parmi les mails que Paule-Emilie Ruy n’a pas encore supprimés, figure une proposition de Mdpi. « Il est évident que certaines revues sont totalement frauduleuses, mais d’autres se situent dans une zone grise, comme Mdpi, atteste Margaux Larre-Perrez. Cet éditeur possède quelques dizaines de journaux avec une relecture par les pairs classique et publie parallèlement des milliers de numéros spéciaux, qui ne sont pas relus de façon rigoureuse, mais qui génèrent beaucoup d’APC. »
    Des usines à articles

    Attirés par ce marché lucratif, sont nés dans l’ombre de la production scientifique les paper mills, ou usines à articles. Ces entreprises produisent de faux manuscrits et proposent aux chercheurs d’acheter une place d’auteur – sans participer à l’élaboration de l’étude. La Science Publisher Company propose par exemple d’endosser le rôle de premier auteur de l’article « Obésité chez les hommes en âge de travailler : facteurs, risques hormonaux, métaboliques et hémodynamique d’arythmies cardiaques », pour 2 150 dollars.

    « Ces entreprises sont nées de la pression qui pèse sur les chercheurs, en particulier dans certains pays. Un doctorant chinois en médecine doit par exemple publier un article dans un journal reconnu pour obtenir son diplôme, explique Marie Soulière, senior manager chez l’éditeur Frontiers et membre du Comité d’éthique des publications (COPE). Vu cette "demande", des entreprises ont commencé à offrir la possibilité de payer pour ajouter son nom à un article. Avec la technologie, elles ont évolué pour vendre des articles complètement factices, bien plus rapides à produire. »

    Les paper mills œuvrent surtout en Chine, en Inde, en Russie, en Ukraine ou en Iran. L’impact de ces usines à papiers n’est pas anecdotique. Selon une étude publiée en 2022 par COPE et le syndicat des éditeurs scientifiques, STM, à partir d’une analyse de 53 000 articles scientifiques, les revues reçoivent entre 2 % et 46 % d’articles frauduleux. Au total, 457 faux articles sont passés entre les mailles du filet et ont été publiés.
    Changer les règles de l’édition

    Ces dérives prolifèrent au détriment de la confiance du public envers la science, et de la recherche elle-même, qui s’appuie sur les publications antérieures pour avancer. Des structures, comme le CNRS, appellent à faire bouger les choses. En 2021, il a modifié les critères d’évaluation de ses scientifiques, qui reposent désormais sur la qualité des résultats et non plus sur le nombre de publications et le prestige des revues.

    La structure a aussi conseillé à ses chercheurs de ne plus payer d’APC. La législation française permet de déposer son manuscrit dans les archives ouvertes 6 à 12 mois après publication, quel que soit le contrat passé avec l’éditeur.

    La loi de programmation de la re­cherche fixe parallèlement un objectif de 100 % de publications en accès ouvert en 2030. Pour y parvenir, un plan du ministère de l’Enseignement supérieur appelle notamment à développer les revues dites « diamant », en libre accès immédiat et sans frais pour les chercheurs.

    Celles-ci sont prises en charge par les universités et organismes de recherche. Si elles représentent 73 % des revues en libre accès dans le monde aujourd’hui, elles ne produisent que 44 % des articles en open access, en raison de leurs moyens limités.

    https://www.alternatives-economiques.fr/enquete-derives-business-tres-lucratif-revues-scientifiques/00109325
    #édition_scientifique #publish_or_perish

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’éditions scientifique :
    https://seenthis.net/messages/1036396

  • 21.09.2023 : #Pratiques_policières & préfectorales illégales en réponse à la demande de places d’hébergement d’urgence.

    La semaine dernière, la préfecture des #Hautes-Alpes a annoncé l’arrivée, dès le jeudi 21 septembre, de 84 effectifs supplémentaires dédiés au #renforcement des contrôles à la frontière franco-italienne. Depuis, des #interpellations se multiplient autour de la frontière, jusque dans la ville de #Briançon, et même au-delà, où la #police traque les personnes exilées pour les chasser de l’#espace_public. Or, si la préfecture se targue de respecter la loi, il n’en est rien et ces pratiques policières et préfectorales sont illégales et dangereuses.

    Les pratiques en matière de contrôles des personnes exilées dans la ville de Briançon ont changé depuis jeudi dernier : chaque jour, plus d’une dizaine de personnes ont été retenues au poste de police, parfois une nuit entière, suite à des contrôles d’identité dans la ville même, fait plutôt rare jusqu’ici. Les exilé.e.s sont poursuivi.e.s au-delà même de Briançon, dans le train, les bus, et jusqu’à Paris, où vendredi matin (29 septembre) une armada de policiers les attendaient à la descente du train de nuit à la gare d’Austerlitz. La présence policière est également renforcée à Marseille, Gap ou Grenoble.

    Ces contrôles ciblent les personnes racisées, et sont suivies par des retenues au commissariat pouvant aller jusqu’à 24 heures, qui se soldent par des #mesures_d’éloignement : des #OQTF (obligation de quitter le territoire français) sans délai, parfois suivies par des placements en #CRA (centre de rétention) dans des villes éloignées, comme Toulouse.

    Dans la ville frontalière de Briançon, ces vagues d’interpellations dissuadent les personnes exilées de circuler, elles ne sont donc à l’abri de ces contrôles que dans le seul lieu d’accueil actuellement ouvert, un bâtiment occupé en autogestion. La société publique locale Eau Service de la Haute Durance, dont le président n’est autre que le maire de Briançon, M. MURGIA, a coupé l’approvisionnement en eau courante de ce bâtiment le 17 août 2023. Aggravant la précarité des personnes accueillies, cette décision a de fortes répercussions pour la santé et le respect des droits fondamentaux des personnes. (Le lieu accueillant l’association Refuges solidaires a fermé fin août, ne pouvant assurer seul l’hébergement d’urgence à Briançon.)

    Des ordres ont été donné par le préfet pour augmenter la #présence_policière dans la ville de Briançon. L’augmentation des #contrôles_d’identité viserait à prévenir la recrudescence des « #incivilités » liées au contexte de pression migratoire. Les forces de l’ordre répètent que les contrôles qu’ils opèrent dans la ville de Briançon sont des contrôles dits « Schengen », possibles dans une bande de 20 km après la frontière, visant à rechercher et prévenir la #criminalité_transfrontalière.

    Or, le fait de franchir une frontière irrégulièrement, ou de se maintenir sur le territoire français irrégulièrement ne sont pas des infractions permettant de justifier un contrôle d’identité. En aucun cas, la police ne peut déduire que la personne est étrangère à cause d’un critère inhérent à la personne contrôlée (couleur de peau, d’yeux, de cheveux, vêtements, etc..). Ces contrôles sont restreints dans le temps : pas plus de douze heures consécutives. Or, ils sont permanents dans la zone frontalière briançonnaise. Dans les faits, ce sont bien des #contrôles_au_faciès qui sont menés, car ce sont bien les personnes racisées qui sont la cible de ces contrôles, qui ne semblent justifiés par aucun motif précis. A moins que le simple fait de dormir dans la rue soit considéré cyniquement comme une infraction par l’État, ou une « incivilité » alors même que celui-ci se place dans l’illégalité en n’ouvrant pas de places d’hébergement d’urgence dans le département ? Ces contrôles au faciès font plutôt penser à une réelle volonté du préfet de supprimer la présence des personnes exilées de l’espace public.

    Par ailleurs, la CJUE (Cour de justice de l’Union européenne) a bien rappelé dans sa décision du 21 septembre que la France met en place des pratiques illégales en termes de contrôles et d’enfermement aux frontières intérieures, et qu’elle est tenue de se conformer aux textes européens, ce qu’elle ne fait pas.

    Ces pratiques répondent à la même logique que celle dénoncée par nos associations depuis maintenant plusieurs années à la frontière : une volonté politique d’empêcher tout prix les personnes exilées de circuler, en faisant fi des textes de loi qui encadrent à la fois les contrôles d’identité et les procédures de non-admissions sur le territoire. Aussi, la réponse de l’Etat est une fois de plus de faire croire qu’il est possible « d’étanchéifier » la frontière, en déployant pour cela des moyens dispendieux.

    Or, Médecins du Monde et Tous migrants ont mené une enquête sur une semaine à la fin du mois d’août, et les résultats de nos observations confirment ce que nous documentons depuis plusieurs années : ce dispositif de contrôle de la frontière met en danger les personnes. Il n’empêche absolument pas les personnes exilées d’entrer en France, mais accroît par contre leur vulnérabilité en rendant le passage plus difficile, plus dangereux.

    Les récits des personnes qui traversent la frontière sont édifiants : contrôles par surprise, courses-poursuites par les forces de l’ordre, qui provoquent des chutes, avec des fractures, des entorses ou encore des pertes de connaissance. Marchant en moyenne 10 heures depuis l’Italie pour atteindre Briançon, les personnes font état de leur extrême #fatigue, de #déshydratation, et du #risque_de_se_perdre en #montagne. Certain.es ont passé plus de 48 heures en montagne, parfois sans boire ni manger. Cette énième traversée de frontières avec des tentatives de passage souvent multiples s’ajoute à un parcours migratoire extrêmement éprouvant et crée de plus des #reviviscences_traumatiques susceptibles ensuite de se traduire par des altérations de la #santé_mentale. Les #récits recueillis ces dernières semaines et les observations de Médecins du Monde lors des permanences médicales confirment ces pratiques.

    La plupart des personnes qui traversent la frontière sont originaires des pays d’Afrique sub-saharienne, et plus récemment du Soudan, et relèvent du droit d’asile ou de la protection subsidiaire. Les refouler en Italie de manière systématique et collective ignore le droit d’asile européen. De même, prendre à leur encontre des mesures d’éloignement (OQTF) vers leurs pays d’origine, où elles risquent la mort ou la torture, est contraire au principe de non-refoulement (article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés).

    https://www.medecinsdumonde.org/actualite/pratiques-policieres-prefectorales-illegales-en-reponse-a-la-demand

    #asile #migrations #réfugiés #frontières #France #Italie #frontière_sud-alpine #Alpes #contrôles_frontaliers #squat #refoulements #push-backs

  • Dalla cannabis di Lazarat all’eroina afghana: tutto passa per l’Albania
    https://irpimedia.irpi.eu/adriaticocriminale-traffico-droga-albania

    Dopo le sigarette, gli stupefacenti: cannabis, cocaina ed eroina viaggiano da una sponda all’altra dell’Adriatico da decenni. Cambiano i carichi, gli attori e le rotte, ma i traffici non si interrompono. E modellano i territori L’articolo Dalla cannabis di Lazarat all’eroina afghana: tutto passa per l’Albania proviene da IrpiMedia.

    #Mafie #Mediterraneo #Albania #Narcos #Puglia

  • Des glaçons du Groenland pour les cocktails de l’Emirat : une aberration environnementale – Libération
    https://www.liberation.fr/environnement/une-start-up-vend-de-la-glace-du-groenland-a-des-bars-a-cocktails-emirati

    Une start-up groenlandaise a décidé d’exporter de la glace millénaire, extraite des fjords de l’île, pour fournir des bars et restaurants émiratis, rapporte « The Guardian », provoquant polémique et réactions en chaîne.

    • Et ainsi, les potentats locaux auront toute latitude pour se la péter lors de la prochaine COP (Conference of Petroleum).
      Sinon, le start upper Rasmussen pourrait aussi songer à capter l’eau de fonte de l’Inlandsis et la mettre en bouteille (plastique). Une vraie ressource-de-la-mort-qui-tue quand il s’agira d’abreuver tous ces crétins d’Européens ou de Nord-Américains qui se dessècheront dans leurs savanes en 2050.

    • Exporter la glace des vikings historiques aux émirats vikings modernes c’est comme exporter l ’idéologie de la disparition inévitable de peuples sans civilisation dans le processus de création de l’espace vital (Lebensraum) pour sa propre race de l’Allemagne antisemite vers l’état juif. Dans les deux cas la structure des sociétés qui pratiquent l’échange se ressemble mais il fait plus chaud au pays importateur.
      En fin de compte il n’y a que l’extermination et de l’histoire et de l’espèce humaine. En ce qui concerne l’état sioniste l’impact sur le chiffre de la population mondiale est négligeable mais vu de l"extérieur ses actions sont hautement symboliques.
      On ne peut que suivre le résumé poétique de la barbarie par Paul Celan.

      Paul Celan - Todesfuge

      Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abends
      wir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts
      wir trinken und trinken
      wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng
      Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
      der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
      er schreibt es und tritt vor das Haus und es blitzen die Sterne er pfeift seine Rüden herbei
      er pfeift seine Juden hervor läßt schaufeln ein Grab in der Erde
      er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz

      Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
      wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends
      wir trinken und trinken
      Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
      der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
      Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng

      Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr andern singet und spielt
      er greift nach dem Eisen im Gurt er schwingts seine Augen sind blau
      stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt weiter zum Tanz auf

      Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
      wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends
      wir trinken und trinken
      ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
      dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen
      Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus Deutschland
      er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in die Luft
      dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng

      Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
      wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus Deutschland
      wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken
      der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge ist blau
      er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich genau
      ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
      er hetzt seine Rüden auf uns er schenkt uns ein Grab in der Luft
      er spielt mit den Schlangen und träumet der Tod ist ein Meister aus Deutschland

      dein goldenes Haar Margarete
      dein aschenes Haar Sulamith

      Pour ceux qui ont encore envie de changer l’histoire il y a l’interpretation du groupe punk Slime .

      Slime - Der Tod ist ein Meister aus Deutschland
      https://www.youtube.com/watch?v=vU8lujeZxuk

      Was schlug man den zum Krüppel?
      Weil sein Gewissen schrie
      Da gab es nur ein Mittel
      Und sie brachen ihm die Knie

      Was steckte man dies’ Haus an?
      Verbrannte Menschen am lebendigen Leib?
      Sie sagen, es war die Farbe der Haut
      Oder irgendeine andere Nichtigkeit

      Was pfercht man diese Menschen in Lager?
      Und gibt ihnen einen süßlichen Geruch?
      Solange sie leben, graben sie in der Erde
      Zum Sterben ist noch Zeit genug
      Wer gibt da die Befehle?
      Etwas muß dafür verantwortlich sein
      Die Toten geben keine Antwort
      Da fällt mir Celans Geschichte ein
      Der Tod ist ein Meister aus Deutschland

      #génocide #art #poésie #punk

    • @klaus : j’ai repris les traductions parce que google fait un peu du charabia :

      Lait noir du matin nous le buvons le soir
      nous le buvons à midi et le matin nous le buvons et la nuit
      nous buvons et buvons
      nous creusons une tombe dans les airs on n’y est pas à l’étroit
      Un homme habite la maison il joue avec les serpents il écrit
      il écrit quand il fait nuit en Allemagne tu as ta des cheveux d’or Margarete
      il l’écrit et se présente devant la maison et les étoiles scintillent il fait venir ses hommes en sifflant
      il siffle ses juifs, ils creusent une tombe dans la terre
      il nous ordonne de jouer pour la danse

      Lait noir du matin nous te buvons la nuit
      nous te buvons le matin et à midi nous te buvons et le soir
      nous buvons et buvons
      Un homme habite dans la maison il joue avec les serpents il écrit
      il écrit quand il fait nuit en Allemagne tu as des cheveux d’or Margarete
      Des cheveux de cendre Sulamith nous creusons une tombe dans les airs on n’y est pas à l’étroit

      Il crie creusez plus profond dans la terre vous les uns vous les autres chantez et jouez
      il saisit le fer dans la ceinture il le brandit ses yeux sont bleus
      Piquez plus profond les bêches vous les uns et les autres et jouez encore pour la danse

      Lait noir du matin nous te buvons la nuit
      nous te buvons à midi et le matin nous te buvons le soir
      nous buvons et buvons
      un homme habite la maison tu as des cheveux d’or Margarete
      des cheveux de cendre Sulamith il joue avec les serpents
      Il appelle en jouant plus doucement la mort et la mort est un maître venu Allemagne
      il appelle et caresse plus sombrement les violons alors vous montez en fumée dans l’air
      alors vous avez une tombe dans les nuages on n’y est pas à l’étroit

      Lait noir du matin nous te buvons la nuit
      nous te buvons à midi la mort est un maître d’Allemagne
      nous te buvons le soir et le matin nous buvons et buvons
      la mort est un maître venu d’Allemagne son œil est bleu
      il te frappe avec une balle de plomb il te frappe avec précision
      un homme habite dans la maison tes cheveux d’or Margarete
      il lance ses mâles contre nous il nous offre une tombe dans les airs
      il joue avec les serpents et rêve que la mort est un maître d’Allemagne

      tu as des cheveux d’or Margarete
      des cheveux de cendre Sulamith

      (Paul Celan)

      Pourquoi l’a-t-on estropié ?
      Parce que sa conscience criait
      Il n’y avait qu’un seul moyen
      Et ils lui brisèrent les genoux

      Pourquoi ont-ils mis le feu à cette maison ?
      Des gens brûlés vifs ?
      Ils disent que c’est la couleur de la peau
      Ou toute autre futilité

      Pourquoi entasse-t-on ces gens dans des camps ?
      Et leur donne une odeur douce ?
      Tant qu’ils vivent, ils creusent dans la terre
      Il est encore temps de mourir
      Qui donne les ordres ?
      Quelque chose doit être responsable
      Les morts ne répondent pas
      Cela me rappelle l’histoire de Celan
      La mort est un maître venu d’Allemagne

      (Slime)

  • Weaponizing the law against the vulnerable: the case of the #El_Hiblu_3

    In March 2019, three teenagers were rescued from a sinking rubber boat in the Mediterranean Sea. Amara was 15 years old and had already travelled from Guinea to Libya before attempting the crossing to Europe. Unknown to him at the time were two other teenagers: Kader was 16, a football enthusiast and from the Ivory Coast; and Abdalla at 19 was also from Guinea and travelling with his wife, Souwa. The three teenagers travelled with 100 other people, and were rescued by an oil tanker, the #El_Hiblu_1, after their boat began to deflate.

    That night, the El Hiblu 1 crew tried to return the travellers to Libya, despite assurances of helping them to reach Europe. In the early hours of the morning, people spotted Tripoli’s coastline and began to protest, terrified at the prospect of being returned to the violence they had known in Libya. Desperation was so high that people were ready to jump overboard. In this tense situation, the first mate called on Amara to translate, having identified him the day before as someone who spoke English. Eventually, the crew also called on the young Kader and Abdalla. The three acted as mediators and translators between frightened travellers and scared crew members.

    The wider group’s protests convinced the captain to change course; he turned the ship north and motored towards Malta. Speaking to the Maltese authorities en route, he claimed his ship was no longer under his control - although testimonies in the subsequent compilation of evidence cast doubt on this claim. Nevertheless, upon arrival in Malta’s Valletta harbour, the three were arrested and immediately charged with nine crimes, including terrorism and confining someone against their will. These charges carry multiple life sentences, and echo the media narrative that took hold before the three even arrived in Malta, a narrative that painted them as pirates and hijackers.

    Abdalla, Amara, and Kader – now also known as the El Hiblu 3 – have never known Malta as free men. Imprisoned for 8 months, initially in the maximum-security wing of the adult prison despite their young age, they were released on bail in November 2019 but required to register with the police every day and restricted in their daily movements. Legal experts and international organisations describe the charges that condition their lives as ‘grossly unjust’, ‘baseless’, and a ‘farce’.

    For almost five years, the three young men have attended court hearings every month. As a whole, the testimonies corroborate what the El Hiblu 3 have always maintained: that they are innocent. Moreover, the compilation of evidence, only the initial stage in the judicial process, has been painfully slow and riddled with failures, silences and erasures. Despite calling numerous people to testify, including crew members and officials from the Armed Forces of Malta, the prosecution failed to call any of the 100 people who travelled with the El Hiblu 3 for two years. They only did so in March 2021 after the defence submitted an application to the court reminding the prosecution of its legal obligation to impartiality and its duty to bring forward all evidence at its disposal. Predictably, many of these key eyewitnesses had already left the island after two years, as secondary movements to other European countries are common.

    Even when a handful were eventually given the opportunity to testify, silencing continued. Requests by some to testify in Bambara, a language widely spoken in West Africa, were denied. Witnesses also questioned the accuracy of the translation occurring in court, with the defence requesting a new translator. Yet, those who did testify confirmed Amara, Abdalla and Kader’s role as translators, and not as ring leaders.

    Over these last years, a vast, transnational solidarity network has developed between local, international and intergovernmental organisations, convinced of the El Hiblu 3’s innocence and motivated by the injustice of pressing such charges against three teenagers. As the compilation of evidence unfolded, anger grew as information emerged that no weapons were found on board and no violence took place, and as people got to know the three. Despite their young age, despite the trial having already stolen much of their youth, they have displayed incredible strength and courage in the face of injustice. They have withstood imprisonment, adhered to strict bail conditions, appeared in court every month, all while building lives in Malta: studying, working, raising children, making friends and building a community.

    As we have explored elsewhere, the solidarity network that has emerged to support and stand with Amara, Abdalla, and Kader reflects a transgressive form of solidarity that resists dominant state narratives and categories, and also creates counter-narratives through direct action. Alongside many protests, concerts, and conferences, the campaign to free the El Hiblu 3 published a book in 2021 which reflects the diverse voices of this network, with central contributions from Abdalla, Amara, and Kader. The El Hiblu case allows us to explore the ways in which transgressive acts—from autonomous migration to solidarity practices that occur at sea and within European territory—connect and challenge our conceptualization of borders, nation-states, and citizenship.

    This case highlights the persistent criminalisation of people on the move in Europe today. The EU and its southern member states have attempted to contain people in Libya: they have turned militias into ‘EU partners’, funded detention centres, and coordinated pushbacks, with complete disregard for severe human rights violations carried out by these actors. In the name of deterrence, people in distress at sea are abandoned and those carrying out search and rescue activities are criminalised. Those who arrive face further punishment. Among other countries, Italy and Greece have used the law to target those they consider ‘boat drivers’. Malta, similarly, has weaponised the law against the El Hiblu 3, using them as political pawns in a spectacle of deterrence. The use of the law, by liberal democratic states, to undermine human rights raises questions of democracy, rule of law, and justice.

    A few weeks ago, in November 2023, the Attorney General issued a bill of indictment formally charging Abdalla, Amara, and Kader with all the original accusations, despite the testimonies heard in the intervening period that point to their innocence and despite condemnation of the judicial process from legal scholars, international organisations and activists. According to Amnesty International, Malta’s Attorney General made the ‘worst possible decision’ when she issued a bill of indictment that could lead to life sentences for the El Hiblu 3. Indeed, many have hailed the three young men as heroes whose mediation helped prevent an illegal pushback to Libya. With countless supporters, in Malta and beyond, we continue to stand with them in their fight for justice.

    https://blogs.law.ox.ac.uk/border-criminologies-blog/blog-post/2024/01/weaponizing-law-against-vulnerable-case-el-hiblu-3
    #migrations #asile #réfugiés #criminalisation #El_Hiblu #Libye #Méditerranée #pull-back #résistance #justice #Malte #Abdalla #Amara #Kader #solidarité #frontières #scafisti #scafista

  • Pour l’#agriculture_palestinienne, ce qui se passe depuis le 7 octobre est « un #désastre »

    À #Gaza sous les bombes comme en #Cisjordanie occupée, l’#eau est devenue un enjeu crucial, et le conflit met en évidence une #injustice majeure dans l’accès à cette ressource vitale. Entretien avec l’hydrologue Julie Trottier, chercheuse au CNRS.

    Des cultures gâchées, une population gazaouie sans eau potable… Et en toile de fond de la guerre à Gaza, une extrême dépendance des territoires palestiniens à l’eau fournie par #Israël. L’inégal accès à la ressource hydrique au Proche-Orient est aussi une histoire d’emprise sur les #ressources_naturelles.

    Entretien avec l’hydrologue Julie Trottier, chercheuse au CNRS, qui a fait sa thèse sur les enjeux politiques de l’eau dans les territoires palestiniens et a contribué à l’initiative de Genève, plan de paix alternatif pour le conflit israélo-palestinien signé en 2003, pour laquelle elle avait fait, avec son collègue David Brooks, une proposition de gestion de l’eau entre Israéliens et Palestiniens.

    Mediapart : L’#accès_à_l’eau est-il un enjeu dans le conflit qui oppose Israël au Hamas depuis le 7 octobre ?

    Julie Trottier : Oui, l’accès à l’eau est complètement entravé à Gaza aujourd’hui. En Cisjordanie, la problématique est différente, mais le secteur agricole y est important et se trouve mal en point.

    Il faut savoir que l’eau utilisée en Israël vient principalement du #dessalement d’eau de mer. C’est la société israélienne #Mekorot qui l’achemine, et elle alimente en principe la bande de Gaza en #eau_potable à travers trois points d’accès. Mais depuis le 7 octobre, deux d’entre eux ont été fermés, il n’y a plus qu’un point de livraison, au sud de la frontière est, à #Bani_Suhaila.

    Cependant, 90 % de l’eau consommée à Gaza était prélevée dans des #puits. Il y a des milliers de puits à Gaza, c’est une #eau_souterraine saumâtre et polluée, car elle est contaminée côté est par les composés chimiques issus des produits utilisés en agriculture, et infiltrée côté ouest par l’eau de mer.

    Comme l’#électricité a été coupée, cette eau ne peut plus être pompée ni désalinisée. En coupant l’électricité, Israël a supprimé l’accès à l’eau à une population civile. C’est d’une #violence extrême. On empêche 2,3 millions de personnes de boire et de cuisiner normalement, et de se laver.

    Les #stations_d’épuration ne fonctionnent plus non plus, et les #eaux_usées non traitées se répandent ; le risque d’épidémie est considérable.

    On parle moins de l’accès aux ressources vitales en Cisjordanie… Pourtant la situation s’aggrave également dans ces territoires.

    En effet. Le conflit a éclaté peu avant la saison de cueillette des #olives en Cisjordanie. Pour des raisons de sécurité, craignant de supposés mouvements de terroristes, de nombreux colons ont empêché des agriculteurs palestiniens d’aller récolter leurs fruits.

    La majorité des villages palestiniens se trouvent non loin d’une colonie. En raison des blocages sur les routes, les temps de trajet sont devenus extrêmement longs. Mais si l’on ne circule plus c’est aussi parce que la #peur domine. Des colons sont équipés de fusils automatiques, des témoignages ont fait état de menaces et de destruction d’arbres, de pillages de récoltes.

    Résultat : aujourd’hui, de nombreux agriculteurs palestiniens n’ont plus accès à leurs terres. Pour eux, c’est un désastre. Quand on ne peut pas aller sur sa terre, on ne peut plus récolter, on ne peut pas non plus faire fonctionner son système d’#irrigation.

    L’accès à l’eau n’est malheureusement pas un problème nouveau pour la Palestine.

    C’est vrai. En Cisjordanie, où l’eau utilisée en agriculture vient principalement des sources et des puits, des #colonies ont confisqué de nombreux accès depuis des années. Pour comprendre, il faut revenir un peu en arrière...

    Avant la création d’Israël, sur ces terres, l’accès à chaque source, à chaque puits, reposait sur des règles héritées de l’histoire locale et du droit musulman. Il y avait des « #tours_d’eau » : on distribuait l’abondance en temps d’abondance, la pénurie en temps de pénurie, chaque famille avait un moment dans la journée pendant lequel elle pouvait se servir. Il y avait certes des inégalités, la famille descendant de celui qui avait aménagé le premier conduit d’eau avait en général plus de droits, mais ce système avait localement sa légitimité.

    À l’issue de la guerre de 1948-1949, plus de 700 000 Palestiniens ont été expulsés de leurs terres. Celles et ceux qui sont arrivés à ce qui correspond aujourd’hui à la Cisjordanie n’avaient plus que le « #droit_de_la_soif » : ils pouvaient se servir en cruches d’eau, mais pas pour irriguer les champs. Les #droits_d’irrigation appartenaient aux familles palestiniennes qui étaient déjà là, et ce fut accepté comme tel. Plus tard, les autorités jordaniennes ont progressivement enregistré les différents droits d’accès à l’eau. Mais ce ne sera fait que pour la partie nord de la Cisjordanie.

    À l’intérieur du nouvel État d’#Israël, en revanche, la population palestinienne partie, c’est l’État qui s’est mis à gérer l’ensemble de l’eau sur le territoire. Dans les années 1950 et 1960, il aménage la dérivation du #lac_de_Tibériade, ce qui contribuera à l’#assèchement de la #mer_Morte.

    En 1967, après la guerre des Six Jours, l’État hébreu impose que tout nouveau forage de puits en Cisjordanie soit soumis à un permis accordé par l’administration israélienne. Les permis seront dès lors attribués au compte-gouttes.

    Après la première Intifida, en 1987, les difficultés augmentent. Comme cela devient de plus en plus difficile pour la population palestinienne d’aller travailler en Israël, de nombreux travailleurs reviennent vers l’activité agricole, et les quotas associés aux puits ne correspondent plus à la demande.

    Par la suite, les #accords_d’Oslo, en 1995, découpent la Cisjordanie, qui est un massif montagneux, en trois zones de ruissellement selon un partage quantitatif correspondant aux quantités prélevées en 1992 – lesquelles n’ont plus rien à voir avec aujourd’hui. La répartition est faite comme si l’eau ne coulait pas, comme si cette ressource était un simple gâteau à découper. 80 % des eaux souterraines sont alors attribuées aux Israéliens, et seulement 20 % aux Palestiniens.

    L’accaparement des ressources s’est donc exacerbé à la faveur de la #colonisation. Au-delà de l’injustice causée aux populations paysannes, l’impact du changement climatique au Proche-Orient ne devrait-il pas imposer de fonctionner autrement, d’aller vers un meilleur partage de l’eau ?

    Si, tout à fait. Avec le #changement_climatique, on va droit dans le mur dans cette région du monde où la pluviométrie va probablement continuer à baisser dans les prochaines années.

    C’est d’ailleurs pour cette raison qu’Israël a lancé le dessalement de l’eau de mer. Six stations de dessalement ont été construites. C’est le choix du #techno-solutionnisme, une perspective coûteuse en énergie. L’État hébreu a même créé une surcapacité de dessalement pour accompagner une politique démographique nataliste. Et pour rentabiliser, il cherche à vendre cette eau aux Palestiniens. De fait, l’Autorité palestinienne achète chaque année 59 % de l’eau distribuée par Mekorot. Elle a refusé toutefois une proposition d’exploitation d’une de ces usines de dessalement.

    Il faut le souligner : il y a dans les territoires palestiniens une #dépendance complète à l’égard d’Israël pour la ressource en eau.

    Quant à l’irrigation au goutte à goutte, telle qu’elle est pratiquée dans l’agriculture palestinienne, ce n’est pas non plus une solution d’avenir. Cela achemine toute l’eau vers les plantes cultivées, et transforme de ce fait le reste du sol en désert, alors qu’il faudrait un maximum de biodiversité sous nos pieds pour mieux entretenir la terre. Le secteur agricole est extrêmement consommateur d’eau : 70 à 80 % des #ressources_hydriques palestiniennes sont utilisées pour l’agriculture.

    Tout cela ne date pas du 7 octobre. Mais les événements font qu’on va vers le contraire de ce que l’on devrait faire pour préserver les écosystèmes et l’accès aux ressources. L’offensive à Gaza, outre qu’elle empêche l’accès aux #terres_agricoles le long du mur, va laisser des traces de #pollution très graves dans le sol… En plus de la tragédie humaine, il y a là une #catastrophe_environnementale.

    Cependant, c’est précisément la question de l’eau qui pourrait avoir un effet boomerang sur le pouvoir israélien et pousser à une sortie du conflit. Le reversement actuel des eaux usées, non traitées, dans la mer, va avoir un impact direct sur les plages israéliennes, car le courant marin va vers le nord. Cela ne pourra pas durer bien longtemps.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040124/pour-l-agriculture-palestinienne-ce-qui-se-passe-depuis-le-7-octobre-est-u

    #agriculture #Palestine

    • Cependant, c’est précisément la question de l’eau qui pourrait avoir un effet boomerang sur le pouvoir israélien et pousser à une sortie du conflit. Le reversement actuel des eaux usées, non traitées, dans la mer, va avoir un impact direct sur les plages israéliennes, car le courant marin va vers le nord. Cela ne pourra pas durer bien longtemps.

  • #Chowra_Makaremi : « Le #viol devient le paradigme de la loi du plus fort dans les #relations_internationales »

    En #Ukraine, Poutine revendique de faire la guerre au nom du genre. En #Iran, le régime réprime implacablement la révolution féministe. Dans d’autres pays, des populistes virilistes prennent le pouvoir. Une réalité que décrypte l’anthropologue Chowra Makaremi.

    IranIran, Afghanistan, invasion russe en Ukraine, mais aussi les discours des anciens présidents Donald Trump ou Jair Bolsonaro ou du chef de l’État turc, Recep Tayyip Erdogan : tous ont en commun de s’en prendre aux #femmes, comme l’explique l’anthropologue Chowra Makaremi.

    L’autrice de Femme ! Vie ! Liberté ! Échos du soulèvement en Iran (La Découverte, 2023) fait partie des chercheuses sollicitées par Mediapart pour #MeToo, le combat continue, l’ouvrage collectif publié récemment aux éditions du Seuil et consacré à la révolution féministe qui agite le monde depuis l’automne 2017 et le lancement du fameux mot-clé sur les réseaux sociaux. Depuis, toutes les sociétés ont été traversées de débats, de controverses et de prises de conscience nouvelles. Entretien.

    Mediapart : « Que ça te plaise ou non, ma jolie, il va falloir supporter. » Cette phrase a été prononcée le 7 février 2022 par le président russe, #Vladimir_Poutine, devant Emmanuel Macron. Elle était adressée à l’Ukraine et à son président, Volodymyr Zelensky, qui venait de critiquer les accords de Minsk, signés en 2015 pour mettre fin à la guerre dans le Donbass. Quelle lecture en faites-vous ?

    Chowra Makaremi : Le viol devient le paradigme de la #loi_du_plus_fort dans les relations internationales. La philosophe #Simone_Weil souligne dans un texte combien la #guerre relève de la logique du viol, puisque sa matrice est la #force qui, plus que de tuer, a le pouvoir de changer l’être humain en « une #chose » : « Il est vivant, il a une âme ; il est pourtant une chose. [L’âme] n’est pas faite pour habiter une chose ; quand elle y est contrainte, il n’est plus rien en elle qui ne souffre violence », écrit-elle.

    Cette comptine vulgaire de malfrats que cite #Poutine dit la culture criminelle qui imprègne sa politique. Elle me fait penser à ce que l’anthropologue Veena Das nomme la dimension voyou de la souveraineté étatique : la #truanderie comme n’étant pas seulement un débordement illégitime du pouvoir mais, historiquement, une composante de la #souveraineté, une de ses modalités.

    On le voit avec le pouvoir de Poutine mais aussi avec ceux de #Narendra_Modi en #Inde (dont parle Veena Das), de #Donald_Trump aux #États-Unis, de #Jair_Bolsonaro au #Brésil, de #Recep_Tayyip_Erdogan en #Turquie. Quand Poutine a dit sa comptine, personne n’a quitté la salle, ni Emmanuel Macron ni la presse, qui a cherché, au contraire, à faire parler la symbolique de cette « remarque ». Tout le réseau de sens et de connexions qui permet à cette cruelle boutade de tenir lieu de discours guerrier intuitivement compréhensible et audible montre que le type d’#outrage dont elle relève est une #transgression qui appartient, à la marge, à l’#ordre.

    On parle de la #masculinité_hégémonique au pouvoir avec Poutine, mais elle fait écho à celle de nombreux autres chefs d’État que vous venez de citer. Quelles sont les correspondances entre leurs conceptions de domination ?

    Il n’y a pas, d’un côté, les théocraties comme l’Iran et l’Afghanistan, et, de l’autre, les populismes virilistes de Trump, Erdogan, Bolsonaro, qui s’appuient sur des « #paniques_morales » créées par la remise en cause des rôles traditionnels de #genre, pour s’adresser à un électorat dans l’insécurité. Bolsonaro, très lié à l’armée et à l’Église, s’est appuyé sur je ne sais combien de prêcheurs pour mener sa campagne. Dimension religieuse que l’on retrouve chez Poutine, Modi, Erdogan.

    La #religion est un des éléments fondamentaux d’un #pouvoir_patriarcal très sensible à ce qui peut remettre en question sa #légitimité_symbolique, sa #domination_idéologique, et dont la #puissance est de ne pas paraître comme une #idéologie justement. Cette bataille est menée partout. Il y a un même nerf.

    Quand l’anthropologue Dorothée Dussy parle de l’inceste et de sa « fonction sociale » de reproduction de la domination patriarcale, son analyse est inaudible pour beaucoup. C’est ainsi que fonctionne l’#hégémonie : elle est sans pitié, sans tolérance pour ce qui peut en menacer les ressorts – et du même coup, en cartographier le pouvoir en indiquant que c’est là que se situent les boulons puisque, précisément, la puissance de l’hégémonie est dans l’invisibilité de ses boulons.

    Si on prend le #droit_de_disposer_de_son_corps, en Occident, il s’articule autour de la question de la #santé_contraceptive et du #droit_à_l’avortement et dans les mondes musulmans, autour de la question du #voile. De façon troublante, une chose est commune aux deux situations : c’est le viol comme la vérité des rapports entre genres qui organise et justifie la #contrainte sur les femmes à travers leur #corps.

    En Occident, le viol est le cas limite qui encadre juridiquement et oriente les discussions morales sur l’#avortement. Dans les sociétés musulmanes, la protection des femmes – et de leur famille, dont elles sont censées porter l’honneur – contre l’#agression_masculine est la justification principale pour l’obligation du voile. Il y a de part et d’autre, toujours, cet impensé du #désir_masculin_prédateur : un état de nature des rapports entre genres.

    C’est ce qu’assènent tous les romans de Michel Houellebecq et la plupart des écrits du grand Léon Tolstoï… « L’homme est un loup pour l’homme, et surtout pour la femme », dit un personnage du film Dirty Dancing. Cette population définie par ces rapports et ces #pulsions, il s’agit de la gouverner à travers l’#ordre_patriarcal, dont la domination est posée dès lors comme protectrice.

    L’Iran et l’#Afghanistan figurent parmi les pays les plus répressifs à l’encontre des femmes, les régimes au pouvoir y menant un « #apartheid_de_genre ». Concernant l’Afghanistan, l’ONU parle même de « #crime_contre_l’humanité fondé sur la #persécution_de_genre ». Êtes-vous d’accord avec cette qualification ?

    Parler pour la persécution de genre en Afghanistan de « crime contre l’humanité » me semble une avancée nécessaire car elle mobilise les armes du #droit pour désigner les #violences_de_masse faites aux femmes et résister contre, collectivement et transnationalement.

    Mais il me paraît tout aussi important de libérer la pensée autour de la #ségrégation_de_genre. À la frontière entre l’Iran et l’Afghanistan, au #Baloutchistan, après la mort de Jina Mahsa Amini en septembre 2022, les femmes sont sorties dans la rue au cri de « Femme, vie, liberté », « Avec ou sans le voile, on va vers la révolution ». Dans cette région, leur place dans l’espace public n’est pas un acquis – alors qu’il l’est à Téhéran – et elles se trouvent au croisement de plusieurs dominations de genre : celle d’un patriarcat traditionnel, lui-même dominé par la puissance étatique centrale, iranienne, chiite.

    Or, en participant au soulèvement révolutionnaire qui traversait le pays, elles ont également renégocié leur place à l’intérieur de ces #dominations_croisées, chantant en persan, avec une intelligence politique remarquable, le slogan des activistes chiliennes : « Le pervers, c’est toi, le salopard, c’est toi, la femme libérée, c’est moi. »

    C’est en écoutant les femmes nommer, en situation, la #ségrégation qu’on saisit le fonctionnement complexe de ces #pouvoirs_féminicides : en saisissant cette complexité, on comprend que ce n’est pas seulement en changeant des lois qu’on les démantèlera. On se trouve ici aux antipodes des #normes_juridiques, lesquelles, au contraire, ressaisissent le réel dans leurs catégories génériques. Les deux mouvements sont nécessaires : l’observation en situation et le #combat_juridique. Ils doivent fonctionner ensemble.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040124/chowra-makaremi-le-viol-devient-le-paradigme-de-la-loi-du-plus-fort-dans-l

  • Micky Maus wird gemeinfrei – aber wohl nicht in Deutschland
    https://www.heise.de/news/Steamboat-Willie-Disney-verliert-in-den-USA-Urheberrecht-an-Micky-Maus-9584890

    Le droit d’auteur international est kaputt .

    2.1.2024 von Daniel Herbig - Disneys Urheberrecht an „Steamboat Willie“ und damit Micky Maus ist in den USA ausgelaufen. Doch in Deutschland ist die Disney-Maus wohl noch nicht gemeinfrei.

    Nach langem Kampf verliert Disney in den USA das Urheberrecht an der frühen Fassung seiner wohl bekanntesten Figur: Die 1928 im Trickfilm „Steamboat Willie“ gezeigte Version von Micky Maus ist seit dem 1. Januar in den USA gemeinfrei. „Steamboat Willie“ und die darin enthaltene Version von Micky Maus können also von jedem verbreitet und verändert werden.

    Doch es gibt Einschränkungen: Einerseits betrifft das abgelaufene Copyright nur die alte Version von Micky Maus, die beispielsweise keine Handschuhe trägt. Zudem behält Disney weiterhin das Markenrecht an der berühmten Comic-Maus. Das soll vorrangig Verwirrung beim Publikum verhindern, erklärt Jennifer Jenkins, die Direktorin des Duke Center for the Study of the Public Domain, in einem Artikel. Demnach dürfe bei unabhängigen Werken mit Micky Maus nicht der Eindruck entstehen, dass Disney selbst an der Produktion beteiligt war.

    Disney behält Urheberrecht in Deutschland wohl

    Das Copyright an Micky Maus läuft zudem grundsätzlich nur in den USA aus. Etwa in Deutschland behält Disney wohl weiterhin das Urheberrecht an Micky Maus, schätzt der Medienrechtler Nicolas John in einem Beitrag im Infobrief Recht des DFN-Vereins (pdf) die Rechtslage ein.

    In vielen Ländern, darunter auch Deutschland, gilt das Urheberrecht bis 70 Jahre nach dem Tod des zuletzt gestorbenen Beteiligten. Im Fall von „Steamboat Willie“ ist das Ub Iwerks, der bis 1971 gelebt hat. Der Völkerrechtsvertrag Berner Übereinkunft lege zwar fest, dass ein Werk maximal so lange wie im Ursprungsland geschützt sein kann. Allerdings haben Deutschland und die USA bereits 1892 ein bilaterales Urheberrechtsabkommen unterzeichnet, das laut John Vorrang genießt – und keine Klauseln enthält, die die Schutzfrist in Deutschland mit der in den USA gleichsetzen.

    In der Praxis würde das bedeuten, dass von US-Bürgern oder -Unternehmen geschaffene Werke in Deutschland auch dann noch geschützt bleiben können, wenn die Urheberrechte in den USA bereits abgelaufen sind. Es müsste dann die normale deutsche Schutzfrist gelten. Demnach wären „Steamboat Willie“ und Micky Maus in Deutschland noch bis 2041 geschützt – 70 Jahre nach Ub Iwerks’ Tod. „Ein Urteil könnte für Klarheit in dieser Rechtsfrage sorgen“, sagte John auf Nachfrage von heise online.
    Mickys dritter Film

    In den USA hätte das Urheberrecht an „Steamboat Willie“ bereits mehrfach ablaufen sollen, wogegen Disney sich erfolgreich wehrte: Nach Lobbyarbeit von Disney und anderen Unternehmen erhöhten die USA zuletzt 1998 den Urheberrechtsschutz für Werke von Unternehmen, die vor 1978 erschaffen wurden, auf 95 Jahre. Nun ist auch diese Frist verstrichen. Die Schutzrechte an einer anderen Figur hat Disney bereits verloren: 2022 endete in den USA das Copyright an Winnie Puh.

    „Steamboat Willie“ war zumindest nach Produktionsreihenfolge der dritte Film der heute so kultigen Comic-Maus, die vorher bereits in den Stummfilmen „Plane Crazy“ und „The Gallopin’ Gaucho“ vertreten war. Das Copyright am ersten Micky-Film „Plane Crazy“ ist in den USA ebenfalls am 1. Januar abgelaufen. „The Gallopin’ Gaucho“ wurde zwar vor „Steamboat Willie“ produziert, allerdings erst danach veröffentlicht. Laut dem Center for the Study of the Public Domain endet das Urheberrecht an dem Stummfilm in den USA erst 2025.

    #USA #Allemagne #droit_d_auteur #disney #public_domain #wtf

  • #Recherche : les tours de #passe-passe d’#Emmanuel_Macron

    Le chef de l’Etat s’est targué d’un #bilan flatteur en matière d’investissement pour le monde de la recherche, en omettant des #indicateurs inquiétants et des promesses non tenues, tout en vantant une #concurrence délétère.

    Devant un parterre de plusieurs centaines de scientifiques, le 7 décembre, à l’Elysée, le président de la République, Emmanuel Macron, était à l’aise, volontaire, et « en compagnonnage » avec la communauté académique, comme il l’a confessé. Mais c’est moins en passionné de science qu’en magicien qu’il s’est en fait comporté, escamotant ce qui ne rentrait pas dans son cadre, multipliant les tours de passe-passe, sortant quelques lapins du chapeau, pour aboutir à transformer les flatteries adressées à son auditoire en cinglantes critiques. Au point de faire « oublier » un autre discours célèbre, celui de Nicolas Sarkozy en janvier 2009, qui avait lâché : « Un chercheur français publie de 30 % à 50 % en moins qu’un chercheur britannique. (…) Evidemment, si l’on ne veut pas voir cela, je vous remercie d’être venu, il y a de la lumière, c’est chauffé… »

    Premier tour de magie classique, celui de l’embellissement du bilan. Comme une baguette magique, son arrivée en 2017 aurait mis fin à des années de « #désinvestissement_massif ». Sauf que cela ne se voit pas dans le critère habituel de la part du PIB consacrée en recherche et développement (R&D), qui est restée stable depuis le début du premier quinquennat, à 2,2 %. Les estimations indiquent même une baisse à 2,18 % pour 2022.

    Cela ne se voit pas non plus dans la part des #publications nationales dans le total mondial, dont il a rappelé qu’elle a baissé, sans dire qu’elle continue de le faire malgré ses efforts. Même les annexes au projet de loi de finances pour 2024 prévoient que cela va continuer. Pire, côté bilan, compte tenu de l’inflation, la « magique » #loi_de_programmation_de_la_recherche de 2020 donne en fait des #moyens en baisse aux #laboratoires l’an prochain.

    Avec plus de « réussite », le président de la République a littéralement fait disparaître du paysage 7 milliards d’euros. Il s’agit de l’enveloppe, dont se prive volontairement l’Etat chaque année, pour soutenir la recherche et développement des entreprises – le #crédit_d’impôt_recherche – sans résultat macroéconomique. La part des dépenses de #R&D des #entreprises ne suit pas la progression du crédit d’impôt recherche. Mais il n’est toujours pas question d’interroger l’#efficacité du dispositif, absent de l’allocution, comme celle des mesures sur l’#innovation, le 11 décembre à Toulouse.

    Autre rituel classique des discours, faire oublier les précédents. Le chef de l’Etat l’a tenté à deux reprises sur des thèmes centraux de son argumentaire : l’#évaluation et la #simplification. Dans son allocution de 2023, il regrette qu’en France « on ne tire toujours pas assez conséquence des évaluations », quand en novembre 2019, pour les 80 ans du CNRS, il critiquait « un système mou sans conséquence ». Entre ces deux temps forts, il a nommé à la tête de l’agence chargée des évaluations son propre conseiller recherche, #Thierry_Coulhon, qui n’a donc pas réussi à « durcir » l’évaluation, mais a été nommé à la tête du comité exécutif de l’Institut polytechnique de Paris.

    Il y a quatre ans, Emmanuel Macron promettait également la « simplification », et obtenu… le contraire. Les choses ont empiré, au point qu’un rapport publié en novembre du Haut Conseil de l’évaluation de la recherche et de l’enseignement supérieur enjoint au CNRS de lancer une « opération commando » pour régler des #problèmes_administratifs, qu’un médaillé d’argent, ulcéré, renvoie sa médaille, et que le conseil scientifique du #CNRS dénonce les « #entraves_administratives ».

    #Violence_symbolique

    L’#échec de la #promesse de simplifier pointe aussi lorsqu’on fait les comptes des « #annonces » concernant le « #pilotage » du système. Emmanuel Macron a prévu pas moins de cinq pilotes dans l’avion : lui-même, assisté d’un « #conseil_présidentiel_de_la_science » ; le ministère de l’enseignement supérieur et de la recherche ; le « ministère bis » qu’est le secrétariat général à l’investissement, qui distribue des milliards jusqu’en 2030 sur des thématiques pour la plupart décidées à l’Elysée ; auxquels s’ajoutent les organismes de recherche qui doivent se transformer en « #agences_de_programmes » et définir aussi des stratégies.

    Au passage, simplification oblige sans doute, le thème « climat, biodiversité et société durable » est confié au CNRS « en lien naturellement avec l’#Ifremer [Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer] pour les océans, avec l’#IRD [Institut de recherche pour le développement] pour le développement durable » ; enfin, dernier pilote, les #universités, qui localement géreront les personnels employés souvent par d’autres acteurs.

    Finalement, le principal escamotage du magicien élyséen consiste à avoir parlé pendant une heure de recherche, mais pas de celles et ceux qui la font. Ah si, il a beaucoup été question des « meilleurs », des « gens très bons », « des équipes d’excellence » . Les autres apprécieront. Le Président promet même de « laisser toute la #liberté_académique aux meilleurs », sous-entendant que ceux qui ne sont pas meilleurs n’auront pas cette liberté.

    Cette #invisibilisation et cette #privation_de_droits d’une bonne partie des personnels fonctionnaires sont d’une rare violence symbolique pour des gens qui, comme dans d’autres services publics, aspirent à bien faire leur métier et avoir les moyens de l’exercer. Ces derniers savent aussi, parfois dans leur chair, quels effets délétères peuvent avoir ces obsessions pour la #compétition permanente aux postes et aux moyens. Et accessoirement combien elle est source de la #complexité que le chef de l’Etat voudrait simplifier.

    La « #révolution », terme employé dans ce discours, serait évidemment moins d’accélérer dans cette direction que d’interroger ce système dont on attend encore les preuves de l’#efficacité, autrement que par les témoignages de ceux qui en bénéficient.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/12/21/recherche-les-tours-de-passe-passe-du-president-macron_6207095_3232.html
    #ESR #Macron #France #université #facs

  • Pour « Un » #Depardieu, combien de petites #putes ? :-D :-D :-D

    Affaire Depardieu : « Les financeurs du cinéma brillent par leur silence »

    Pseudo "Affaire Depardieu : « Les financeurs du cinéma brillent par leur silence » (...)"

    ... :-D :-D :-D

    https://www.marianne.net/culture/cinema/affaire-depardieu-les-financeurs-du-cinema-brillent-par-leur-silence#utm_s

    #démagogie #féministe #salopes #opportunistes #traînées #société #sexualité #politique #chiennes_de_garde #humanité #respect #vangauguin

  • EU’s AI Act Falls Short on Protecting Rights at Borders

    Despite years of tireless advocacy by a coalition of civil society and academics (including the author), the European Union’s new law regulating artificial intelligence falls short on protecting the most vulnerable. Late in the night on Friday, Dec. 8, the European Parliament reached a landmark deal on its long-awaited Act to Govern Artificial Intelligence (AI Act). After years of meetings, lobbying, and hearings, the EU member states, Commission, and the Parliament agreed on the provisions of the act, awaiting technical meetings and formal approval before the final text of the legislation is released to the public. A so-called “global first” and racing ahead of the United States, the EU’s bill is the first ever regional attempt to create an omnibus AI legislation. Unfortunately, this bill once again does not sufficiently recognize the vast human rights risks of border technologies and should go much further protecting the rights of people on the move.

    From surveillance drones patrolling the Mediterranean to vast databases collecting sensitive biometric information to experimental projects like robo-dogs and AI lie detectors, every step of a person’s migration journey is now impacted by risky and unregulated border technology projects. These technologies are fraught with privacy infringements, discriminatory decision-making, and even impact the life, liberty, and security of person seeking asylum. They also impact procedural rights, muddying responsibility over opaque and discretionary decisions and lacking clarity in mechanisms of redress when something goes wrong.

    The EU’s AI Act could have been a landmark global standard for the protection of the rights of the most vulnerable. But once again, it does not provide the necessary safeguards around border technologies. For example, while recognizing that some border technologies could fall under the high-risk category, it is not yet clear what, if any, border tech projects will be included in the final high-risk category of projects that are subject to transparency obligations, human rights impact assessments, and greater scrutiny. The Act also has various carveouts and exemptions in place, for example for matters of national security, which can encapsulate technologies used in migration and border enforcement. And crucial discussions around bans on high-risk technologies in migration never even made it into the Parliament’s final deal terms at all. Even the bans which have been announced, for example around emotion recognition, are only in place in the workplace and education, not at the border. Moreover, what exactly is banned remains to be seen, and outstanding questions to be answered in the final text include the parameters around predictive policing as well as the exceptions to the ban on real-time biometric surveillance, still allowed in instances of a “threat of terrorism,” targeted search for victims, or the prosecution of serious crimes. It is also particularly troubling that the AI Act explicitly leaves room for technologies which are of particular appetite for Frontex, the EU’s border force. Frontex released its AI strategy on Nov. 9, signaling an appetite for predictive tools and situational analysis technology. These tools, which when used without safeguards, can facilitate illegal border interdiction operations, including “pushbacks,” in which the agency has been investigated. The Protect Not Surveil Coalition has been trying to influence European policy makers to ban predictive analytics used for the purposes of border enforcement. Unfortunately, no migration tech bans at all seem to be in the final Act.

    The lack of bans and red lines under the high-risk uses of border technologies in the EU’s position is in opposition to years of academic research as well as international guidance, such as by then-U.N. Special Rapporteur on contemporary forms of racism, E. Tendayi Achiume. For example, a recently released report by the University of Essex and the UN’s Office of the Human Rights Commissioner (OHCHR), which I co-authored with Professor Lorna McGregor, argues for a human rights based approach to digital border technologies, including a moratorium on the most high risk border technologies such as border surveillance, which pushes people on the move into dangerous terrain and can even assist with illegal border enforcement operations such as forced interdictions, or “pushbacks.” The EU did not take even a fraction of this position on border technologies.

    While it is promising to see strict regulation of high-risk AI systems such as self-driving cars or medical equipment, why are the risks of unregulated AI technologies at the border allowed to continue unabated? My work over the last six years spans borders from the U.S.-Mexico corridor to the fringes of Europe to East Africa and beyond, and I have witnessed time and again how technological border violence operates in an ecosystem replete with the criminalization of migration, anti-migrant sentiments, overreliance on the private sector in an increasingly lucrative border industrial complex, and deadly practices of border enforcement, leading to thousands of deaths at borders. From vast biometric data collected without consent in refugee camps, to algorithms replacing visa officers and making discriminatory decisions, to AI lie detectors used at borders to discern apparent liars, the roll out of unregulated technologies is ever-growing. The opaque and discretionary world of border enforcement and immigration decision-making is built on societal structures which are underpinned by intersecting systemic racism and historical discrimination against people migrating, allowing for high-risk technological experimentation to thrive at the border.

    The EU’s weak governance on border technologies will allow for more and more experimental projects to proliferate, setting a global standard on how governments will approach migration technologies. The United States is no exception, and in an upcoming election year where migration will once again be in the spotlight, there does not seem to be much incentive to regulate technologies at the border. The Biden administration’s recently released Executive Order on the Safe, Secure, and Trustworthy Development and Use of Artificial Intelligence does not offer a regulatory framework for these high-risk technologies, nor does it discuss the impacts of border technologies on people migrating, including taking a human rights based approach to the vast impacts of these projects on people migrating. Unfortunately, the EU often sets a precedent for how other countries govern technology. With the weak protections offered by the EU AI act on border technologies, it is no surprise that the U.S. government is emboldened to do as little as possible to protect people on the move from harmful technologies.

    But real people already are at the centre of border technologies. People like Mr. Alvarado, a young husband and father from Latin America in his early 30s who perished mere kilometers away from a major highway in Arizona, in search of a better life. I visited his memorial site after hours of trekking through the beautiful yet deadly Sonora desert with a search-and-rescue group. For my upcoming book, The Walls have Eyes: Surviving Migration in the Age of Artificial Intelligence, I was documenting the growing surveillance dragnet of the so-called smart border that pushes people to take increasingly dangerous routes, leading to increasing loss of life at the U.S.-Mexico border. Border technologies as a deterrent simply do not work. People desperate for safety – and exercising their internationally protected right to asylum – will not stop coming. They will instead more circuitous routes, and scholars like Geoffrey Boyce and Samuel Chambers have already documented a threefold increase in deaths at the U.S.-Mexico frontier as the so-called smart border expands. In the not so distant future, will people like Mr. Alvarado be pursued by the Department of Homeland Security’s recently announced robo-dogs, a military grade technology that is sometimes armed?

    It is no accident that more robust governance around migration technologies is not forthcoming. Border spaces increasingly serve as testing grounds for new technologies, places where regulation is deliberately limited and where an “anything goes” frontier attitude informs the development and deployment of surveillance at the expense of people’s lives. There is also big money to be made in developing and selling high risk technologies. Why does the private sector get to time and again determine what we innovate on and why, in often problematic public-private partnerships which states are increasingly keen to make in today’s global AI arms race? For example, whose priorities really matter when we choose to create violent sound cannons or AI-powered lie detectors at the border instead of using AI to identify racist border guards? Technology replicates power structures in society. Unfortunately, the viewpoints of those most affected are routinely excluded from the discussion, particularly around areas of no-go-zones or ethically fraught usages of technology.

    Seventy-seven border walls and counting are now cutting across the landscape of the world. They are both physical and digital, justifying broader surveillance under the guise of detecting illegal migrants and catching terrorists, creating suitable enemies we can all rally around. The use of military, or quasi-military, autonomous technology bolsters the connection between immigration and national security. None of these technologies, projects, and sets of decisions are neutral. All technological choices – choices about what to count, who counts, and why – have an inherently political dimension and replicate biases that render certain communities at risk of being harmed, communities that are already under-resourced, discriminated against, and vulnerable to the sharpening of borders all around the world.

    As is once again clear with the EU’s AI Act and the direction of U.S. policy on AI so far, the impacts on real people seems to have been forgotten. Kowtowing to industry and making concessions for the private sector not to stifle innovation does not protect people, especially those most marginalized. Human rights standards and norms are the bare minimum in the growing panopticon of border technologies. More robust and enforceable governance mechanisms are needed to regulate the high-risk experiments at borders and migration management, including a moratorium on violent technologies and red lines under military-grade technologies, polygraph machines, and predictive analytics used for border interdictions, at the very least. These laws and governance mechanisms must also include efforts at local, regional, and international levels, as well as global co-operation and commitment to a human-rights based approach to the development and deployment of border technologies. However, in order for more robust policy making on border technologies to actually affect change, people with lived experiences of migration must also be in the driver’s seat when interrogating both the negative impacts of technology as well as the creative solutions that innovation can bring to the complex stories of human movement.

    https://www.justsecurity.org/90763/eus-ai-act-falls-short-on-protecting-rights-at-borders

    #droits #frontières #AI #IA #intelligence_artificielle #Artificial_Intelligence_Act #AI_act #UE #EU #drones #Méditerranée #mer_Méditerranée #droits_humains #technologie #risques #surveillance #discrimination #transparence #contrôles_migratoires #Frontex #push-backs #refoulements #privatisation #business #complexe_militaro-industriel #morts_aux_frontières #biométrie #données #racisme #racisme_systémique #expérimentation #smart_borders #frontières_intelligentes #pouvoir #murs #barrières_frontalières #terrorisme

    • The Walls Have Eyes. Surviving Migration in the Age of Artificial Intelligence

      A chilling exposé of the inhumane and lucrative sharpening of borders around the globe through experimental surveillance technology

      “Racism, technology, and borders create a cruel intersection . . . more and more people are getting caught in the crosshairs of an unregulated and harmful set of technologies touted to control borders and ‘manage migration,’ bolstering a multibillion-dollar industry.” —from the introduction

      In 2022, the U.S. Department of Homeland Security announced it was training “robot dogs” to help secure the U.S.-Mexico border against migrants. Four-legged machines equipped with cameras and sensors would join a network of drones and automated surveillance towers—nicknamed the “smart wall.” This is part of a worldwide trend: as more people are displaced by war, economic instability, and a warming planet, more countries are turning to A.I.-driven technology to “manage” the influx.

      Based on years of researching borderlands across the world, lawyer and anthropologist Petra Molnar’s The Walls Have Eyes is a truly global story—a dystopian vision turned reality, where your body is your passport and matters of life and death are determined by algorithm. Examining how technology is being deployed by governments on the world’s most vulnerable with little regulation, Molnar also shows us how borders are now big business, with defense contractors and tech start-ups alike scrambling to capture this highly profitable market.

      With a foreword by former U.N. Special Rapporteur E. Tendayi Achiume, The Walls Have Eyes reveals the profound human stakes, foregrounding the stories of people on the move and the daring forms of resistance that have emerged against the hubris and cruelty of those seeking to use technology to turn human beings into problems to be solved.

      https://thenewpress.com/books/walls-have-eyes
      #livre #Petra_Molnar

  • [Historias Minimas] Billy Idol and Steve Stevens
    https://www.radiopanik.org/emissions/historias-minimas/billy-idol-and-steve-stevens

    postcards from the past; shock to the system; cradle of love; dancing with myself; can’t break me down; scream; flesh for fantasy; daytime drama; save me now; ready steady go; John Wayne; eyes without a face; sweet sixteen; top gun anthem; dirty Diana; King Rocker; whiskey and pills; blue highway; rebel yell; white wedding; mony mony.

    #rock #hardrock; #punk; #rock,hardrock;,punk;
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/historias-minimas/billy-idol-and-steve-stevens_17032__1.mp3

  • « Toni Negri aura été un lecteur et continuateur de Karl Marx, dans une étonnante combinaison de littéralité et de liberté », Etienne Balibar
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/12/19/l-hommage-d-etienne-balibar-a-toni-negri-il-aura-ete-un-lecteur-et-continuat

    Ce qui d’abord frappait chez lui, en plus de sa silhouette incroyablement juvénile à tout âge, c’était un sourire unique, tantôt carnassier, tantôt ironique ou plein d’affection. Il m’avait saisi dès notre première rencontre, à la sortie d’un séminaire du Collège international de philosophie. Lui, échappé d’Italie à la faveur d’une élection qui le tirait momentanément de prison. Nous, abattus par l’essor du reaganisme et du thatchérisme, qui fracassait les illusions nées de la victoire socialiste de 1981. Que faire dans cette débâcle ? Mais la révolution !, nous expliqua Toni, rayonnant d’optimisme : elle s’avance à travers d’innombrables mouvements sociaux plus inventifs les uns que les autres. Je ne suis pas sûr de l’avoir vraiment cru, mais j’en suis sorti, débarrassé de mes humeurs noires et conquis pour toujours.

    Je n’avais pas suivi le fameux séminaire sur les Grundrisse de Karl Marx [manuscrits de 1857-1858, considérés comme un sommet de son œuvre économique avant Le Capital], organisé en 1978 à l’Ecole normale supérieure par Yann Moulier-Boutang, qu’on m’avait dit fascinant autant qu’ésotérique. Et j’ignorais presque tout de « l’operaismo », [d’« operaio » , « ouvrier » en italien] dont il était l’une des têtes pensantes.

    Pour moi, Negri était ce théoricien et praticien de « l’autonomie ouvrière », dont l’Etat italien, gangrené par la collusion de l’armée et des services secrets américains, avait essayé de faire le cerveau du terrorisme d’extrême gauche ; une accusation qui s’effondra comme château de cartes, mais qui l’envoya pour des années derrière les barreaux. Avant et après ce séjour, entouré de camarades aux vies assagies et aux passions intactes, il fut le pilier de cette Italie française, image inversée de la France italienne que nous avions rêvé d’instaurer avant 1968. Prises ensemble, autour de quelques revues et séminaires, elles allaient lancer une nouvelle saison philosophique et politique. Par ses provocations et ses études, Negri en serait l’inspirateur.

    Liberté et émancipation du travail

    Je ne donnerai que quelques repères elliptiques, en choisissant les références selon mes affinités. Spinoza, évidemment. Après le coup de tonnerre de L’Anomalie sauvage (PUF, 1982 pour l’édition française, précédée des préfaces de Gilles Deleuze, Pierre Macherey et Alexandre Matheron) viendront encore d’autres essais, inspirés par ces mots : « Le reste manque », inscrits par l’éditeur sur la page blanche du Traité politique (Le Livre de Poche, 2002) qu’avait interrompu la mort en 1677 du solitaire de La Haye.

    Ce reste, contrairement à d’autres, Negri n’a pas cherché à le reconstituer, mais à l’inventer, suivant le fil d’une théorie de la puissance de la multitude, qui fusionne la métaphysique du désir et la politique démocratique, contre toute conception transcendantale du pouvoir, issue de la collusion entre le droit et l’Etat. Spinoza, l’anti-Hobbes, l’anti-Rousseau, l’anti-Hegel. Le frère des insurgés napolitains dont il avait un jour emprunté la figure. On n’a plus cessé de discuter pour et contre ce « Spinoza subversif », qui marque de son empreinte la grande « Spinoza-Renaissance » contemporaine.

    Passons alors à la problématique de la liberté et de l’émancipation du travail, qui repart de Spinoza pour converger avec Foucault, mais aussi Deleuze, en raison du profond vitalisme à l’œuvre dans l’opposition de la « biopolitique » des individus et du « biopouvoir » des institutions. Elle réinscrit au sein même de l’idée de pouvoir l’opposition naguère établie entre celui-ci et la puissance, et autorise à reprendre, comme l’essence même du processus révolutionnaire, la vieille thématique léniniste du « double pouvoir », mais en la déplaçant d’une opposition Etat-parti à une opposition Etat-mouvement.

    Or les fondements en sont déjà dans son livre de 1992 Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (traduction française au PUF, 1997). C’est pour moi l’un des grands essais de philosophie politique du dernier demi-siècle, dialoguant avec Schmitt, Arendt, les juristes républicains, sur la base d’une généalogie qui remonte à Machiavel et à Harrington. Tout « pouvoir constitué » procède d’une insurrection qu’il cherche à terminer pour domestiquer la multitude et se trouve corrélativement en butte à l’excès du pouvoir constituant sur les formes d’organisation même révolutionnaires qu’il se donne.

    Un communisme de l’amour

    Revenons donc à Marx pour conclure. D’un bout à l’autre, Negri aura été son lecteur et son continuateur, dans une étonnante combinaison de littéralité et de liberté. Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979), cela veut dire : emmener Marx au-delà de lui-même, et non pas le « réfuter ». C’était déjà le sens des analyses de la « forme-Etat », aux temps de l’opéraïsme militant. C’est celui de la géniale extrapolation des analyses des Grundrisse sur le machinisme industriel (le « general intellect »), qui prennent toute leur signification à l’époque de la révolution informatique et du « capitalisme cognitif », dont elles permettent de saisir l’ambivalence au point de vue des mutations du travail social. Combat permanent entre « travail mort » et « travail vivant ».

    Et c’est, bien sûr, le sens de la grande trilogie coécrite avec Michael Hardt : Empire (Exils, 2000), Multitude (La Découverte, 2004), Commonwealth (Stock, 2012), plus tard suivis par Assembly (Oxford University Press, 2017, non traduit), dans laquelle, contre la tradition du socialisme « scientifique » et sa problématique de la transition, se construit la thèse aux accents franciscains et lucrétiens d’un communisme de l’amour. Celui-ci est déjà là, non pas dans les « pores » de la société capitaliste, comme l’avait écrit Marx repris par Althusser, mais dans les résistances créatrices à la propriété exclusive et à l’état de guerre généralisé du capitalisme mondialisé. Il s’incarne dans des révoltes et des expérimentations toujours renaissantes, avec les nouveaux « communs » qu’elles font exister.

    Toujours, donc, ce fameux optimisme de l’intelligence, dont on comprend maintenant qu’il n’a rien à voir avec l’illusion d’un sens garanti de l’histoire, mais conditionne l’articulation productive entre connaissance et imagination, les « deux sources » de la politique. Toni Negri nous lègue aujourd’hui la force de son désir et de ses concepts. Sans oublier son sourire.

    Merci, Étienne Balibar

    (et du coup, #toctoc @rezo )

    d’autres fragments d’un tombeau pour Toni Negri
    https://seenthis.net/messages/1032212

    #Toni_Negri #Étienne_Balibar #opéraïsme #forme_État #révolution #autonomie #double_pouvoir #État #mouvement #general_intellect #travail_vivant #communisme

    • Antonio Negri, lecteur de Spinoza Pour une « désutopie », Christian Descamps, 28 janvier 1983
      https://www.lemonde.fr/archives/article/1983/01/28/antonio-negri-lecteur-de-spinoza-pour-une-desutopie_3078936_1819218.html

      Parlons aujourd’hui de l’homme, « la plus calamiteuse et frêle de toutes les créatures », disait Montaigne, et aussi « la plus orgueilleuse ».D’un livre de Francis Jacques, Christian Delacampagne retient cette idée fondamentale que la personne ne peut se constituer que par le dialogue avec l’Autre. Déjà Spinoza, comme le montre Christian Descamps à propos d’un ouvrage d’Antonio Negri, ne concevait le bonheur que s’articulant à celui des autres. Tandis que Patrice Leclercq résume le cheminement de l’attitude inverse : cet orgueil que le Christ a voulu abolir et qui continue d’exercer partout ses ravages.

      « SPINOZA est tellement crucial pour la philosophie moderne qu’on peut dire qu’on a le choix entre le spinozisme ou pas de philosophie du tout. » Que Hegel, qui ne l’aime guère, soit amené à ce constat, bouleverse Toni Negri. Ce professeur de Padoue, théoricien de l’autonomie ouvrière, avait écrit un Descartes politique. Le présent ouvrage est d’une autre nature. Il fut conçu en prison d’où - depuis 1979 - son auteur attend d’être jugé en compagnie des inculpés du « procès du 7 avril ». Mais ce grand livre érudit n’est aucunement une œuvre de circonstance, même si on peut supposer que la force, la joie spinozistes ont réconforté le prisonnier.

      La Hollande du dix-septième siècle, cette Italie du Nord, est un pays en rupture qui perpétue les expériences révolutionnaires de la Renaissance. Là, #Spinoza, l’exclu de sa communauté, réalise un véritable coup de force ontologique : il joue la puissance contre le pouvoir. S’invente alors une philosophie de la plénitude, de la multiplicité, de la liberté qui, sans partir de la réduction des appétits, parie sur l’épanouissement. Le penseur artisan - qui refuse les pensions - réfléchit dans un temps de crise. La Maison d’Orange prône une politique guerrière, un État centralisé ; le parti républicain, qu’anime Jean De Witt, préférerait une politique de paix, une organisation libérale. Pourtant l’intolérance, le bellicisme, l’amour de la servitude, sont vivaces ; et quand notre philosophe hautain et solitaire clame, au nom de la raison, son entreprise de démystification, le tollé est général. Jamais - sauf peut-être contre les Épicuriens - la hargne ne fut aussi forte. Le front est au complet : orthodoxes juifs, protestants, catholiques, cartésiens, tous participent au concours d’anathème.

      Negri interroge cette unanimité. Savante et tranchée, la métaphysique spinoziste avait osé articuler -comme le souligne Deleuze à qui l’auteur doit beaucoup (1), - une libération concrète, une politique de la multitude, une pensée sans ordre antérieur à l’agir. Spinoza proposait de rompre avec la vieille idée de l’appropriation liée à la médiation d’un pouvoir. Dans ses ateliers nomades, le philosophe du « Dieu ou la Nature » élabore une conception de la puissance de l’Être.Mine de rien, ses bombes douces font exploser la transcendance, la hiérarchie. A un horizon de pensée centré sur le marché, aux philosophies politiques du pouvoir et de la suggestion, l’auteur de l’Éthique oppose, méticuleusement, des concepts qui rendent possible une existence consciente du collectif. Mon bonheur, mon entendement, mes désirs, peuvent - si j’ai de la nature une connaissance suffisante - s’articuler à ceux des autres. La guerre de tous contre tous n’est pas inéluctable, j’ai mieux à faire qu’à devenir un loup...

      De fait si l’Être est puissance, je suis capable d’y puiser la force d’échapper à la médiation politique de ceux qui parlent à ma place, à la conscience malheureuse des arrière-mondes, aux sanglots du négatif. Partir de la puissance de la vie, réconcilier passion et raison, c’est militer contre la haine et le remords. Pratique, cette métaphysique se fait aussi politique. Le Tractatus theologico-politicus insiste sur l’activité.

      Certes - et honnêtement Negri le souligne, - il arrive que Spinoza se replie. Devant les coups de boutoir de l’histoire concrète il accepte - un moment - des positions oligarchiques... Ici l’auteur reprend l’hypothèse de deux Spinoza dont il fait les axes de notre univers. Le premier, baigné de la lumière de Rembrandt, se meut au sein de la révolution scientifique, de la Renaissance, du génie de son temps. L’autre propose une philosophie de notre avenir, de notre crise. Car de « démon » qui ferraille contre le fanatisme et la superstition, contre les asiles d’ignorance, s’appuie sur le désir, cet « appétit conscient de lui-même ». Avec des lunettes d’analyste aussi bien rangées que ses instruments, il enseigne la désutopie. Pas de programme, de glande pinéale : un projet de déplacement mille fois plus fort. Sortir de l’ignorance, jouer l’Être contre le moralisme de devoir être, ce n’est pas rêver d’âge d’or. Il s’agit, au contraire, de s’appuyer effectivement sur les désirs, les appétits. Difficile 7 Oui, car « nous ne pouvons reconnaître aucune différence entre les désirs qui proviennent de la raison et ceux que d’autres causes engendrent en nous ».

      Pourtant la violence immédiate peut s’éclairer d’un ordre, fait de degrés successifs de perfection, tissé dans l’Être. Une liberté joyeuse est possible qui tire sa force du droit et non pas de la loi, de la puissance et non pas du pouvoir. Aux figures de l’antagonisme, aux réconciliations molles de la dialectique, on peut opposer l’autonomie, la constitution de l’être ensemble. La puissance est possibilité de liberté, d’expansion des corps, recherche de la meilleure constitution. Question d’aujourd’hui, d’un dix-septième siècle encore vivant. Negri souligne : « Spinoza n’annonce pas la philosophie des Lumières, il la vit et la déploie intégralement. »

      –------------------------
      (1) L’Anomalie sauvage est précédée de préfaces de Gilles Deleuze, Pierre Macherey et Alexandre Matheron.

      * L’Anomalie sauvage, d’Antonio Negri. PUF, 350 pages, 145 F.

      [cette typo sans relief est celle du journal]

      #philosophie #politique #passion #raison #puissance #pouvoir #droit #loi

    • Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.