• Confine Serbia-Ungheria: aumenta la militarizzazione e la violenza della polizia

    Una sparatoria (probabilmente tra “trafficanti”) diviene il pretesto per un’ulteriore stretta repressiva

    La zona di confine tra la Serbia e l’Ungheria è da molti anni un luogo di sosta forzata e di transito delle persone migranti. E’ qui, tra la cittadina ungherese di #Röszke e quella serba di #Horgos, che nell’autunno del 2015 venne costruita da Orban la prima barriera “anti-rifugiati” che divenne in poco tempo uno dei simboli della politica dell’Unione europea, replicata poi in molteplici forme.

    Questo territorio al nord della Serbia rimane oggi uno dei punti più caldi delle rotte balcaniche settentrionali, essendo – al pari del confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia – uno snodo fondamentale per l’accesso all’Europa e quindi per le politiche di controllo e respingimento. Diversi report e costanti attività di monitoraggio hanno descritto nel dettaglio la violenza e la brutalità della polizia nei confronti di persone in movimento sia sul lato serbo che su quello ungherese.

    Nel rapporto trimestrale del 2023 riferito ai mesi di luglio, agosto e settembre 1, la Ong #KlikAktiv di Belgrado ha indicato le tendenze in atto. Il report è frutto di osservazioni durante le visite agli insediamenti informali ai confini esterni dell’UE con la Serbia e della raccolta di testimonianze e foto delle condizioni di vita, e fornisce anche informazioni sul contesto, compreso il quadro giuridico e le scelte politiche relative alla gestione della migrazione. In particolare, l’organizzazione punta l’attenzione sui respingimenti da e verso la Serbia, sulla violenza della polizia serba e sulla morte delle persone lungo il percorso. Una parte è dedicata anche alle sparatorie avvenute in quei mesi nell’area settentrionale del Paese e delle reti di passatori (smugglers) sospettate di esserne all’origine. Sono illustrati anche alcuni dati: la maggior parte delle persone incontrate dall’Ong proveniva da Siria e Afghanistan (94%); il punto di “ingresso” più comune in Serbia è dalla Bulgaria (con il 40% che a settembre è entrato solo attraverso la Macedonia settentrionale), mentre i tragitti più utilizzati per uscire dal Paese sono quelli verso la Bosnia-Erzegovina e l’Ungheria, con quest’ultima che ha anche il primato dei respingimenti. Klikaktiv ha, infine, continuato a rilevare un numero significativo di minori non accompagnati negli insediamenti informali presenti nella zona di confine, perfino ragazzini di età inferiore ai 14 anni provenienti soprattutto dalla Siria.

    Un episodio emblematico è quello raccontato da No Name Kitchen, che opera a Subotica supportando centinaia di persone che vivono fuori dai campi ufficiali negli edifici abbandonati.
    L’Ong tramite la pagina facebook ha denunciato un violento pushback nei confronti di quattro ragazzi marocchini. Racconta di aver incontrato il gruppo fuori dal campo di #Subotica la notte del 25 ottobre, dopo essere stati informati della gravità delle condizioni fisiche di uno dei giovani: «La polizia lo ha colpito molto violentemente causandogli una ferita aperta sulla fronte e una grave commozione cerebrale. Anche gli altri tre amici indossavano bende in testa. M. e i tre amici sono stati arrestati e brutalmente attaccati da tre poliziotti ungheresi, dopo aver attraversato il villaggio serbo di #Martonoš».

    «L’estrema violenza usata in questa repressione ci lascia senza parole – scrivono le attiviste -. Il gruppo ha segnalato di essere stato picchiato in mezzo alla foresta alle 23 da due poliziotti maschi. Usavano soprattutto manganelli per infliggere ferite. Mentre il gruppo stava soffrendo terribilmente, il terzo poliziotto ha iniziato a filmare la scena».

    No Name Kitchen spiega che il ragazzo per la quantità di botte ricevute in testa ha perso conoscenza ed è stato trasportato in un ospedale nella città ungherese di Szeged dove è stato rapidamente curato e rilasciato senza ulteriori visite mediche nonostante i sintomi indichino un potenziale trauma cerebrale. Insieme al gruppo di amici è stato illegalmente rispedito in Serbia senza che nessuno si preoccupasse delle sue condizioni di salute.

    Il pretesto “perfetto”

    E’ in questo contesto, nel quale la mobilità umana viene pesantemente repressa, che un nuovo scontro tra gruppi di migranti, probabilmente smugglers, ha portato alla morte di tre persone e al ferimento di un’altra. Le uniche notizie sono legate ad un comunicato diramato dal ministero dell’interno serbo, dove si legge che la polizia ha poi fatto irruzione in alcuni edifici abbandonati nell’area di Horgos, sequestrando armi e munizioni, trovando inoltre 79 persone di varie nazionalità che sono state trasferite nei campi di ricezione. L’operazione – che ha coinvolto le unità anti-terrorismo, la gendermerie e gli elicotteri della polizia – ha portato all’arresto di quattro cittadini afghani e due turchi sospettati di possesso illegale di armi ed esplosivi.

    La sparatoria e le morti sono diventate così il nuovo pretesto per portare un’ulteriore stretta e militarizzazione nell’intera zona di confine. Il presidente serbo Vucic ha infatti dichiarato che potrebbe far intervenire l’esercito per risolvere la situazione se le forze di polizia non si dimostreranno all’altezza, avvertendo così il suo stesso Ministro degli Interni Gasic: “[…] non è la prima volta che parlo con il Ministro degli Interni. O farete le cose che dovete fare, o direte che non siete in grado di farle. Mettetevi in guardia, farò intervenire l’esercito e faremo piazza pulita, li arresteremo e li metteremo dietro le sbarre”, ha detto intervenendo in televisione. Dopo la sparatoria è stato stipulato un accordo di cooperazione tra lo stesso Gasic e il Ministro degli Interni ungherese Pinter, in un incontro al valico di frontiera di Reska, dove hanno discusso della lotta “all’immigrazione irregolare” e dell’utilizzo di ufficiali ungheresi a supporto dei colleghi serbi. “Per combattere la criminalità organizzata e la migrazione irregolare, è stato proposto di istituire un gruppo di lavoro congiunto tra i membri dei ministeri degli Interni di Serbia e Ungheria”, riporta il comunicato congiunto 2.

    Le autorità hanno inoltre comunicato a tutte le organizzazioni umanitarie che sono attive nei campi profughi dislocati nella zona che temporaneamente non potranno lavorare al loro interno. Alcuni testimoni affermano che i successivi controlli di polizia hanno portato a fermi e diversi episodi di violenza.

    https://www.youtube.com/watch?v=l43XWHlj8uw&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.meltingpot.org%

    «Negli ultimi mesi le operazioni poliziesche sono diventate dei veri e propri “rastrellamenti” nelle strade, nelle stazioni e nei negozi della regione di Subotica e Sombor.»

    Gli ultimi aggiornamenti di No Name Kitchen sono del 2 novembre, quando le attiviste hanno visitato il campo ufficiale a Subotica e lo hanno trovato completamente vuoto. Il campo solitamente ospita più di 300 persone tra uomini, donne, ragazzi e famiglie, e la polizia l’ha sgomberato il 31 ottobre deportando con la forza le persone. «Ci è stato detto che durante lo sgombero ci sono stati pestaggi e violenza. Non sappiamo dove siano state portate queste persone, ma sembra che la chiusura di tutti i campi serbi faccia parte dell’ultima azione promossa dallo Stato per reprimere l’immigrazione irregolare al confine tra Serbia e Ungheria».

    «Recentemente – osserva l’organizzazione – è stato pubblicato un video che mostra le forze militari e di polizia che rastrellano ostelli e insediamenti informali alla ricerca di bande di smuggler e persone migranti. La clip di 7 minuti è accompagnata da musica che ricorda un videogioco di guerra. Le forze militari armate con il volto coperto vengono filmate mentre arrestano e sfrattano le persone dagli edifici».

    La caccia ai migranti è diventata la norma, di fatto impedendo la circolazione delle persone migranti anche all’interno del territorio serbo, attraverso una politica di deportazioni dal nord al sud, verso i campi al confine con la Macedonia e il Kosovo, rallentando il viaggio delle persone e alimentando così il circuito economico connesso al movimento dei migranti, che coinvolge – tra gli altri – gli apparati dello stato stessi e i network di smuggling. Dall’altra parte, le guerre intestine tra le organizzazioni di smuggling forniscono il pretesto perfetto per la repressione governativa, che però si abbatte in modo generalizzato sulle persone migranti senza scalfire le organizzazioni criminali che si propone di colpire. Dopo diverse inchieste giornalistiche firmate da Balkan Insight negli ultimi mesi, la credibilità delle autorità serbe è a pezzi agli occhi dell’opinione pubblica, perché è stata dimostrata più volte la complicità tra gli apparati di polizia e le bande di smuggler, svelando un sistema dove economicamente tutti ci guadagnano, sulla pelle delle persone migranti 3.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/confine-serbia-ungheria-aumenta-la-militarizzazione-e-la-violenza-della-
    #Serbie #Hongrie #militarisation_des_frontières #frontières #migrations #asile #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #violence

    • The Third Quarterly Report in 2023

      The report covers trends observed in the field during our team’s visits to the informal settlements at the EU’s external borders with Serbia during July, August and September 2023, including testimonies and quotes of refugees, as well as the photos of the living conditions. The report also provides information on the context, including important legal framework and political trends regarding migration management in the country. We particularly shed light on push backs to and from Serbia, violence by the Serbian police and deaths of refugees on the route. We also wrote about recent shootings in the northern area of the country and smuggling networks suspected to be behind them.

      Some of the key trends identified in the reporting period were:

      - Majority of all Klikaktiv’s beneficiaries were from: Syria and Afghanistan (94% combined). Most common entry point: Bulgaria (with 40% who entered through North Macedonia in September) Most common attempted exit points: to Hungary and to Bosnia and Herzegovina.

      – Push backs from the EU Member States have continued in the reporting period - majority of which happened from Hungary to Serbia. Push backs by the Serbian police were reported by people on the move on the border with Bulgaria in joint operation with Austrian police, and on the border with North Macedonia together with German police.

      - Klikaktiv continued to note a significant number of unaccompanied boys in informal settlements in the border area, particularly those younger than 14 years old, mostly from Syria.

      - Although in smaller numbers compared to refugees from Syria and Afghanistan, we continued to meet Turkish citizens who came to Serbia legally and tried to continue to the EU irregularly.

      These trends are further elaborated on in the report, as well as other information and cases from the field.

      You can download the full report here: https://drive.google.com/file/d/1nQiQvm4atW8ltpjTFTTBGeMseJvzsEO_/view

      https://klikaktiv.org
      #rapport #push-backs #refoulements

  • Me gusta ser una zorra / Inkisición | VULPESS | Munster Records
    https://munsterrecords.bandcamp.com/album/me-gusta-ser-una-zorra-inkisici-n

    Esta versión tan particular del «I Wanna Be Your Dog» de los Stooges, grabada en 1983, es uno de los discos más icónicos y buscados de los primeros años del punk español.
    Esta banda de existencia efímera, liderada por chicas, hizo una aparición histórica en Televisión Española que generó un revuelo mediático, y hasta legal, sin precedentes.
    Con la última reedición de este single agotada desde hace más de 15 años, ha llegado el momento de recuperar de nuevo este clásico.

    Las Vulpes (Les Louves) premier groupe de rock entièrement féminin d’Espagne ‒ qui se trouvait être des punks. Deux frangines, en fait, Loles et Lupe Văzquez, âgées respectivement de 17 et 21 ans en 1980. Franco est mort (dans son lit) ce fumier en 1975 mais l’Espagne catholique était encore très puritaine. Le groupe est parvenu à sortir la reprise très personnelle de "I Wanna Be Your Dog" des Stooges en single. La tournée espagnole qui devait suivre était compromise, la plupart des concerts ont été annulés sous la pression médiatique et la vieille garde de Franco a porté plainte pour corruption de la jeunesse. Las Vulpes se sépare à la fin de l’été 1983, leur single « Me Gusta Ser Una Zorra » (J’adore être une salope) est devenu une pièce de collection. Epuisé depuis 15 ans, le label madrilène Munster Records vient de le rééditer avec sa pochette originale.

    #Munster_Records #musique #Espagne #punk_rock

  • How we reframed learning and development: learning-based complex work
    https://redasadki.me/2023/11/04/how-we-reframed-learning-and-development-learning-based-complex-work

    The following is excerpted from Watkins, K.E. and Marsick, V.J., 2023. Chapter 4. Learning informally at work: Reframing learning and development. In #Rethinking_Workplace_Learning_and_Development. Edward Elgar Publishing. This chapter’s final example illustrates the way in which organically arising IIL (informal and #incidental_learning) is paired with opportunities to build knowledge through a combination of structured education and #informal_learning by peers working in frequently complex circumstances. Reda Sadki, president of #The_Geneva_Learning_Foundation (TGLF), rethought L&D for #immunization workers in many roles in low- and middle-income countries (LMICs). Adapting to technology available to participants from the countries that joined this effort, Sadki designed a mix of (...)

    #About_me #Global_health #Interviews #Published_articles #complexity #Karen_E._Watkins #Performance_management #Victoria_J._Marsick #workforce_development

  • Des #fouilles_corporelles « sexualisées » frappent les migrants aux frontières de l’Europe

    Déshabillés, humiliés, maltraités. Des femmes et des hommes venus demander asile racontent avoir subi des fouilles corporelles et génitales brutales, effectuées par des personnes censées garder les frontières de l’UE en Grèce.

    Corfou (Grèce).– Clémentine Ngono* n’a jamais voulu venir en Europe. Cependant, des expériences répétées de violence et d’agression l’ont forcée à fuir. D’abord son pays d’origine, le Cameroun, puis la Turquie. Aux premières heures du 15 septembre 2021, elle est montée à bord d’un canot pneumatique gris, en compagnie de son mari, de son fils de six mois et de 33 autres personnes. Qui savaient que le voyage serait dangereux. Conscientes que les autorités grecques pourraient les refouler, elles ont tout de même tenté leur chance.

    Juste après le lever du soleil, le groupe a atteint l’île grecque de Samos. Très vite, un navire des gardes-côtes les a arrêtées. Un groupe d’hommes encagoulés les a embarquées. Une fois sur le bateau de la patrouille grecque, les personnes ont été mises à genoux puis, une par une, ont reçu l’ordre de se lever et de se déshabiller devant tout le monde. Celles et ceux qui osaient résister ont été menacé·es et battu·es, leurs vêtements arrachés et déchirés. Une fois toutes les personnes nues, l’un des hommes masqués a commencé la fouille au corps, n’hésitant pas à toucher les seins et les parties génitales des femmes.

    « Il nous fouillait partout », se souvient Clémentine Ngono, horrifiée, en pressant deux doigts l’un contre l’autre et en les pointant sur son abdomen. « C’est ainsi qu’il a mis sa main dans mon vagin », dit-elle en faisant une pause avant d’ajouter : « Et dans mon anus. » Les hommes, qui ont utilisé les mêmes gants en plastique pour fouiller tout le groupe, ont pris son téléphone et les 500 euros qu’elle avait sur elle.

    Plus tard, le groupe a été abandonné sur des radeaux de sauvetage en Méditerranée. Aujourd’hui encore, Clémentine Ngono ne peut oublier la honte qu’elle a ressentie. « C’était une telle humiliation », dit-elle lors d’un entretien en juillet 2023 à Corfou, où elle travaille pendant l’été comme femme de chambre. Clémentine Ngono a intenté une action en justice, déclarant que la fouille corporelle et génitale forcée était « extrêmement invasive et offensante ». Son cas pourrait toutefois s’inscrire dans une tendance plus large.

    Début 2023, le Comité contre la torture (CPT) du Conseil de l’Europe a critiqué les nombreux cas de mauvais traitements lors des « refoulements » aux frontières de l’Union européenne (UE). Selon son rapport, les autorités frontalières obligent parfois les demandeurs et demandeuses d’asile à repasser la frontière « entièrement nus ». Le Border Violence Monitoring Network, une coalition d’organisations non gouvernementales, fait état de pratiques similaires.

    De même, dans un rapport publié jeudi 2 novembre, Médecins sans frontières (MSF) a recueilli plusieurs témoignages de réfugié·es racontant des fouilles corporelles et génitales sexualisées par de supposés gardes-frontières. Ces derniers obligeraient les demandeurs et demandeuses d’asile à se déshabiller avant de procéder à des fouilles vaginales et anales en public, parfois sans changer de gants. Les fouilles des femmes seraient effectuées par des hommes, comme dans le cas de Clémentine Ngono.
    « Le but était de nous humilier »

    Mediapart s’est entretenu avec plusieurs victimes, des avocats, des ONG, et a examiné des documents internes de l’agence européenne de gardes-côtes Frontex. L’image qui en ressort est celle d’une pratique normalisée : celle de mises à nu et de fouilles génitales forcées lors des refoulements par les autorités frontalières grecques. Ces pratiques semblent avoir un objectif central : dissuader les personnes de réessayer tout en volant leurs objets de valeur et leur argent.

    Meral Şimşek jette sa cigarette à moitié consumée et acquiesce. Cela fait un an que la poétesse kurde est arrivée à Berlin (Allemagne). Meral Şimşek, critique véhémente du régime d’Erdoğan, a été confrontée toute sa vie à la violence et à la persécution des autorités turques. En 2021, les choses ont empiré, elle a alors décidé de quitter son pays.

    Le 29 juin 2021, elle a traversé le fleuve Évros en compagnie d’une femme syrienne, Dicle. « Nous sommes arrivées sur le sol grec », dit-elle dans une vidéo qu’elle a enregistrée au crépuscule. Après plusieurs heures, les deux femmes ont atteint Feres, une petite ville frontalière grecque. Meral Şimşek voulait demander l’asile, mais la police grecque les a interpellées à l’entrée de la ville.

    Après les avoir détenues et battues, les policiers ont emmené les deux femmes dans la rue. Là, ils ont forcé Meral Şimşek à se déshabiller. Ensuite, une policière a fouillé ses parties génitales, en pleine rue. « Ils ont regardé directement dans mon vagin », raconte-t-elle. Pendant ce temps, les autres policiers regardaient. Şimşek se souvient que certains ont fait des commentaires en grec en regardant son corps. Ils ont ensuite fouillé Dicle avec les mêmes gants en plastique. Puis les deux femmes ont été livrées à un groupe d’hommes masqués et reconduites de force en Turquie. « Le but était de nous humilier », dit-elle.

    Du côté des autorités grecques, ni le ministère de l’intérieur ni le ministère des migrations et de l’asile n’ont commenté ces allégations. Les gardes-côtes grecs ont déclaré que « les pratiques opérationnelles des autorités grecques n’incluent pas de telles méthodes », car elles seraient contraires à l’article 257 du Code de procédure pénale grec.

    Interrogée sur les allégations de fouilles corporelles et génitales forcées, Frontex a déclaré à Mediapart qu’elle « avait connaissance d’une poignée de cas de ce type en Grèce et en Bulgarie ».
    Des témoignages connus de Frontex

    Mediapart a pu avoir accès à plusieurs rapports internes du responsable des droits fondamentaux de Frontex, qui contiennent des allégations et des descriptions de mises à nu forcées, principalement à la frontière de l’Évros. Dans un « rapport d’incident grave » (SIR) portant le numéro 10142/2018, daté du 18 novembre 2018, Frontex indique qu’un groupe de réfugiés aurait été repoussé par les autorités grecques après avoir été agressé physiquement et « obligé à se déshabiller ».

    Le rapport SIR 13400/2022, qui concerne une série de refoulements par les autorités grecques en juillet et août 2022, rapporte que des migrants ont été « forcés de repasser par la rivière après que leurs effets personnels leur ont été confisqués, après avoir été déshabillés et battus ».

    Le rapport SIR 15314/2022 du 30 mai 2023 décrit plusieurs refoulements sur le fleuve Évros. Selon ce rapport, un migrant a été « soumis à des violences physiques, mis à nu de force, ses biens ont été volés ou détruits, avant qu’il reçoive l’ordre de retourner irrégulièrement en Turquie » par les autorités grecques.

    Frontex considère elle-même que les déclarations contenues dans le rapport sont « relativement crédibles ». Si les témoignages sont confirmés, l’agence européenne affirme que cela constituerait « probablement une expulsion collective interdite et un traitement inhumain et dégradant ».

    À Samos, l’avocate Ioanna Begiazi ouvre la porte de son cabinet, dans la vieille ville de Vathi. Elle se souvient du cas de Clémentine Ngono. « Elle est venue nous voir parce qu’elle voulait agir », dit-elle. Et le cas de Clémentine Ngono n’est pas isolé.

    Ioanna Begiazi représente régulièrement des victimes de refoulements illégaux. « Les femmes, en particulier, nous disent que les fouilles génitales sont très fréquentes », explique-t-elle. Mais les hommes sont également concernés, ajoute-t-elle. « Il s’agit d’une forme d’humiliation et de dissuasion », explique Ioanna Begiazi. Une humiliation qualifiée par l’avocate de « sexualisée », et qui aurait pour but de décourager les migrant·es de franchir à nouveau la frontière.

    Ioanna Begiazi explique que les fouilles à nu ne sont en soi pas interdites en Grèce. Mais il faudrait qu’il y ait une raison sérieuse pour une telle intervention, comme des preuves concrètes qu’un acte criminel a été commis. Et même si c’était le cas, il existe de nombreuses réglementations. Les fouilles corporelles doivent notamment être conformes aux règles d’hygiène, les agents qui les pratiquent doivent donc changer de gants pour chaque personne qu’ils fouillent.

    Elles doivent aussi être effectuées dans le respect des droits personnels et de la dignité humaine de l’individu. De plus, les fouilles sont censées se dérouler dans un environnement protégé, en aucun cas devant d’autres personnes, afin de garantir le respect de la vie privée. Enfin, elles doivent être réalisées par des personnes du même sexe sans usage ou menace de violence physique.

    La Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a statué en 2001 que les fouilles corporelles effectuées par les forces de l’ordre peuvent être justifiées dans certains cas. Par exemple, si elles permettent d’empêcher des infractions pénales. Cependant, les déshabillages forcés et les fouilles génitales, qui laissent aux victimes « des sentiments d’angoisse et d’infériorité propres à les humilier et à les avilir », violent l’article 3 de la Convention européenne des droits de l’homme.

    Les témoignages des demandeurs et demandeuses d’asile qui dénoncent des mises à nu et des fouilles génitales forcées conduisent les expert·es des droits humains à penser qu’il pourrait s’agir d’une violation de la Convention européenne des droits de l’homme.

    « C’est l’un des moyens de faire passer le message et de les dissuader », explique l’avocat spécialiste des droits humains Nikola Kovačević. Expert dans le domaine de la migration, le Serbe rapporte avoir également connaissance de cas de déshabillage forcé et de fouilles génitales par les autorités frontalières. Selon lui, elles sont destinées à envoyer un message : « Si vous revenez, cela se reproduira. »

    Kovačević estime que les fouilles corporelles et génitales sexualisées violent l’interdiction de la « torture, des traitements dégradants ou inhumains » ancrée dans la Convention de l’UE sur les droits de l’homme et la Convention des Nations unies contre la torture.

    « Les traitements inhumains et dégradants sont dirigés contre la dignité humaine, explique-t-il. Vous privez une personne de sa dignité, vous la forcez à s’agenouiller, vous lui crachez dessus, vous la déshabillez, vous créez une situation dans laquelle cette personne se sent inférieure. »

    Selon Nikola Kovačević, la frontière entre la torture et les traitements inhumains ou dégradants est parfois floue. Cependant, ces deux délits ont une caractéristique centrale en commun : juridiquement, ils ne permettent aucune exception. « Il n’existe aucune circonstance imaginable qui justifie d’infliger de la douleur et de la souffrance à une personne sans défense », explique l’avocat.

    À Corfou, Clémentine Ngono se lève, essuie la sueur de son front et regarde sa montre. Elle dit être épuisée. Fatiguée par les longues heures de travail à l’hôtel, les factures impayées, le sentiment de culpabilité, par la séparation physique avec son mari, dont la demande d’asile a été rejetée.

    Clémentine Ngono dit qu’elle n’aime pas vraiment parler de ce qu’elle a vécu. Cependant, il est important pour elle que des choses similaires n’arrivent pas à d’autres. « Nous avons besoin de gens qui ont le courage de parler », dit-elle. Sinon, rien ne changera. Pour elle, c’est pénible de parler de ce qui s’est passé mais, dit-elle, « si je peux aider les autres, je le ferai ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/031123/des-fouilles-corporelles-sexualisees-frappent-les-migrants-aux-frontieres-

    #migrations #asile #réfugiés #violence #Grèce #humiliation #mauvais_traitements #organes_génitaux #nudité #fouille_au_corps #honte #fouilles_génitales #gardes-frontières #refoulements #push-backs #vol #Evros #Samos #dissuasion #femmes #humiliation_sexualisée #dignité #déshabillage #dignité_humaine

  • Björn Höcke als Adolf Hitler : Bild zeigt AfD-Politiker mit Schnauzbart
    https://www.berliner-zeitung.de/politik-gesellschaft/hoecke-der-neue-hitler-bild-kampagne--li.2154204

    Voilà un #nazi avec prépuce, du moins c’est-ce qu’on devine car la circoncision se pratique peu chez les Allemands ni juifs ni muselmans. Ce n’est pas drôle non plus, parce que l’affiche n’est pas ambiguë du tout et parce que Bild est politiquement tellement proche des nazis que l’affiche sert à faire oublier ce fait.

    31.10.2023 von Maximilian Beer - Ist Björn Höcke der neue Hitler? Die neue Werbekampagne der Bild legt diesen Vergleich nahe. Auf einer animierten Werbetafel zeigt die Boulevardzeitung den AfD-Politiker Höcke mit einem Hitler-Bart. Der schwarze Punkt wandert in einer Animation unter die Nase des AfD-Politikers und wird so zum berüchtigten Schnauzer. Dazu der Slogan: „Wir bringen’s auf den Punkt. Bild bleibt Bild.“

    In der korrespondierenden Presseerklärung schreibt der Axel-Springer-Verlag, dass die Kampagne zum neuen Markenauftritt von „Deutschlands größter Medienmarke“ gehört. BILD-Chefredakteurin Marion Horn wird mit den Worten zitiert: „Wir benennen klar und deutlich, was schiefläuft, aber feiern auch die richtigen Taten und Worte. Dies zeigen wir in unserer neuen Kampagne selbstbewusst, kritisch und zugleich augenzwinkernd.“

    Björn Höcke fiel in seiner politischen Karriere schon häufiger durch radikal rechte Ausfälle auf. Mehrere Gerichtsurteile bestätigten, dass man ihn im Einzelfall als Faschisten oder Nazi bezeichnen darf. Zuletzt hatte in Hessen die Staatsanwaltschaft gegenüber dem Hessischen Rundfunk bestätigt, dass es sich bei einer solchen Bezeichnung um ein „an Tatsachen anknüpfendes Werturteil“ handle. Doch ist der direkte Hitler-Vergleich dadurch zu rechtfertigen?

    Vergleiche von aktuellen Politikern mit Hitler werden von den meisten Historikern kritisch beurteilt, denn Nazi-Vergleiche bergen das Risiko, die Gräuel des Nationalsozialismus zu relativieren. Laut der französischen Sprachwissenschaftlerin Marie-Hélène Pérennec werde durch häufige Nazi-Vergleiche „die Verharmlosung der Verbrechen der Nazis“ begünstigt und eine Gewöhnung an NS-Vergleiche verursacht.

    Trotzdem kommt es in der politischen Auseinandersetzung immer wieder zu Hitler-Vergleichen. Zuletzt sorgte ZDF-Satiriker Jan Böhmermann in der Debatte um Friedrich Merz und seine Äußerungen zu einer möglichen Zusammenarbeit der CDU mit der AfD auf kommunaler Ebene für Irritationen: „Keine Sorge, die Nazis mit Substanz wollen nach aktuellem Stand voraussichtlich nur auf kommunaler Ebene mit Nazis zusammenarbeiten“, schrieb Böhmermann auf Twitter. Damals bot Bild den Böhmermann-Kritikern eine Plattform. Die CDU-Vizechefin Karin Prien sprach von einer Verharmlosung des Nationalsozialismus. Prien sagte zu der Debatte: „Das spaltet die Gesellschaft und betreibt das Geschäft der Nazis.“

    Ist Höcke für Bild also der neue Hitler? Ein Bild-Unternehmenssprecher gab sich auf Anfrage der Berliner Zeitung schmallippig: „Wir machen in dem genannten Motiv der neuen Kampagne „BILD bleibt BILD“ einen Punkt. Was Sie daran erkennen, überlassen wir gerne Ihnen.“

    In der AfD sorgt die Kampagne des Boulevard-Blatts für Kritik. „Wer so für sich wirbt, der kann nicht gleichzeitig den Anspruch erheben, als seriöser Berichterstatter wahrgenommen zu werden“, sagt der hessische Bundestagsabgeordnete Jan Nolte der Berliner Zeitung.

    Der brandenburgische AfD-Abgeordnete René Springer meint: „Die Bild hat selbst dazu beigetragen, dass migrationskritische, konservative oder patriotische Standpunkte in die rechtsextreme Ecke geschoben wurden, worüber man sich jetzt aber beschwert.“

    #wtf #presse #Allemagne #publicité

  • Gericht untersagt Datenschutzverstöße von LinkedIn | Verbraucherzentrale Bundesverband
    https://www.vzbv.de/urteile/gericht-untersagt-datenschutzverstoesse-von-linkedin

    Das soziale Netzwerk LinkedIn darf auf seiner Webseite nicht mehr mitteilen, dass es auf „Do-Not-Track“-Signale nicht reagiert, mit denen Nutzer:innen der Nachverfolgung („Tracking“) ihres Surfverhaltens per Browsereinstellung widersprechen. Das hat das Landgericht Berlin nach einer Klage des Verbraucherzentrale Bundesverbands (vzbv) entschieden. Das Gericht untersagte dem Unternehmen außerdem eine Voreinstellung, nach der das Profil des Mitglieds auch auf anderen Webseiten und Anwendungen sichtbar ist. Bereits im vergangenen Jahr hatte das Gericht den ungebetenen Versand von E-Mails an Nichtmitglieder untersagt.

    „Wenn Verbraucher:innen die ,Do-Not-Track‘-Funktion ihres Browsers aktivieren, ist das eine klare Botschaft: Sie wollen nicht, dass ihr Surfverhalten für Werbe- und andere Zwecke ausgespäht wird“, sagt Rosemarie Rodden, Rechtsreferenin beim vzbv. „Webseitenbetreiber müssen dieses Signal respektieren.“

    Traduction :

    Le réseau social LinkedIn n’a plus le droit d’indiquer sur son site web qu’il ne réagit pas aux signaux « Do Not Track », par lesquels les utilisateurs s’opposent au suivi ("tracking") de leur comportement de navigation par le biais des paramètres de leur navigateur. C’est ce qu’a décidé le tribunal de grande instance de Berlin suite à une plainte de la Fédération allemande des consommateurs (vzbv). Le tribunal a également interdit à l’entreprise de procéder à un réglage par défaut selon lequel le profil du membre est également visible sur d’autres sites web et applications. L’année dernière, le tribunal avait déjà interdit l’envoi d’e-mails non sollicités à des non-membres.

    « Lorsque les consommateurs activent la fonction ’Do Not Track’ de leur navigateur, ils envoient un message clair : ils ne veulent pas que leur comportement de navigation soit espionné à des fins publicitaires ou autres », explique Rosemarie Rodden, conseillère juridique de la vzbv. « Les exploitants de sites web doivent respecter ce signal ».

    #donotrack #do_not_track #publicité #tracking

  • En Andalousie, le joyau naturel de Doñana menacé par la sécheresse et la culture intensive de la fraise

    REPORTAGE Zone naturelle classée, le parc national de Doñana voit disparaître ses lagunes et ses marais. Les centaines de milliers d’oiseaux migrateurs qui ont l’habitude d’y faire halte entre l’Europe du Nord et l’Afrique sont contraints de l’abandonner. En cause, la culture intensive de fruits rouges, gourmande en irrigation, sur fond de changement climatique.

    Juan Pedro Castellano avance à vive allure sur une immense plage vierge, où courent quelques bécasseaux. A bord de son véhicule tout-terrain, le directeur du parc national de Doñana, zone humide exceptionnelle à la pointe sud de l’Espagne, inscrite au Patrimoine mondiale de l’Unesco, sillonne des dunes mobiles et des pinèdes et longe les vastes marais argileux qui forment les 60 000 hectares protégés du parc. Il croise des vaches mostrenca aux longues cornes, des daims et des chevaux sauvages, avant de s’arrêter devant la lagune de Santa Olalla. Ou plutôt ce qu’il en reste. Jaillissant de l’aquifère, elle s’est complètement asséchée cet été. Et une terre grise, craquelée, a remplacé cet écrin de biodiversité d’une valeur incalculable. Cette lagune censée être « permanente » – la plus grande du parc – abrite d’ordinaire des milliers d’oiseaux migrateurs, dont l’arrivée devrait déjà avoir commencé. En cette mi-octobre, sous un soleil éclatant et une température inhabituelle de 33 °C, elle n’est fréquentée que par les cerfs.

    ... « C’est bien simple : ici, à Lucena del Puerto, presque toutes les exploitations situées au milieu des pins devraient être démantelées… »

    Depuis que la Cour de justice de l’Union européenne a condamné l’Espagne, en juin 2021, pour ne pas avoir protégé suffisamment #Doñana, les inspecteurs de la Confédération hydrographique du Guadalquivir, rattachée au ministère de la transition écologique, ont multiplié les contrôles et scellé près d’un millier de #puits_illégaux autour de l’espace naturel protégé. La justice aussi semble prendre le #vol_d’eau plus au sérieux. En septembre, cinq frères ont été condamnés à trois ans et demi de prison et 1,9 million d’euros de remboursement pour avoir puisé illégalement 19 millions de mètres cubes d’eau dans l’aquifère de Doñana entre 2008 et 2013. Et fin octobre, un tribunal de Séville a cité à comparaître la Maison d’Albe, riche famille de la noblesse espagnole, après une plainte du parquet environnemental pour un vol d’eau au travers de huit puits illégaux destinés à la culture d’orangers.

    A rebours de cette prise de conscience, le Parti populaire (PP ; droite), au pouvoir dans la communauté autonome d’Andalousie depuis 2019, a présenté au printemps un projet de loi régional pour régulariser plus de 700 hectares de terrains irrigués illégalement dans la « couronne nord » de Doñana. « Une amnistie pour les fraudeurs », ont critiqué les écologistes.

    ... L’association d’agriculteurs Puerto de Doñana, qui regroupe de nombreuses exploitations écologiques, s’y oppose, en rappelant que cet été, beaucoup de petits producteurs n’ont déjà pas pu arroser leurs plantations, car leurs puits étaient à sec. « Nous avons renoncé à plus de 70 % de nos exploitations irriguées ces trente dernières années afin de conserver Doñana, misé sur la production bio et donné des garanties à nos acheteurs. Nous ne voulons pas que les efforts de tant d’années tombent à l’eau à cause de l’obsession de croître de quelques-uns », explique son porte-parole, Manuel Delgado.


    Les installations et serres de culture de fruits rouges, aux alentours du parc national de Donaña (Espagne), le 10 octobre 2023. CESAR DEZFULI POUR « LE MONDE »

    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/10/30/en-andalousie-le-joyau-naturel-de-donana-menace-par-la-secheresse-et-par-la-
    https://archive.ph/1oTdH

    #eau #sécheresse #biodiversité #lagunes #marais #zones_humides #agriculture #tourisme #agriculture_écologique #modèle_agricole #irrigation #écologie

    • Épisode 1/4 : Des #bénévoles dans les airs face à l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, #Frontex

      Depuis 2018, l’ONG #Pilotes_Volontaires survole le large des côtes libyennes pour localiser les bateaux de fortune en détresse qu’empruntent les migrants pour tenter de rejoindre l’Europe.

      #José_Benavente fait ce triste constat : « les agences européennes comme Frontex espéraient que mettre un terme à l’opération "#Mare_Nostrum" rendraient les traversées plus difficiles et opéreraient un effet de dissuasion pour les migrants qui tentent de traverser la mer ». Or depuis leur petit avion d’observation, le Colibri 2, ils aident les bateaux qui sont évidemment toujours présents dans la zone à opérer des sauvetages plus rapidement.

      D’autres avions, ceux de Frontex notamment, transitent aussi par là pour permettre aux gardes côtes libyens d’opérer toujours plus d’interceptions synonymes d’un retour en enfer pour les migrants qui tentent justement de fuir coûte que coûte ce pays en proie à la guerre civile. Comme le regrette #Charles_Heller « les migrants fuient la Libye, où ils sont réduits à l’esclavage, aux travaux forcés, à la torture. Les migrants sont devenus un objet qui circule de main en main, que ce soit les milices ou les centres de détention de l’Etat. Aucune opération de secours en mer dans la zone libyenne ne peut effectivement être terminée de manière adéquate et respectueuse du droit international, dès lors que les passagers sont ramenés dans un pays où leur vie est en danger ».

      Surveillance et interception d’un côté, contre surveillance et sauvetage de l’autre, ce documentaire retrace l’histoire récente de ce qui se trame dans les airs et en mer depuis l’arrêt en 2014 de l’opération "Mare Nostrum" initiée par la marine italienne et qui avait permis de sauver des dizaines de milliers de vies car comme le rappelle Charles Heller : « l’Union européenne a sciemment créé ce vide de secours d’abord, et ce système de refoulement indirect ensuite. Et les avions de surveillance européens sont au cœur de ce dispositif » et José Benavente ajoute « lorsqu’on survole la Méditerranée, on n’est pas au-dessus d’un cimetière. On est littéralement au-dessus d’une fosse commune ».

      Avec :

      – Jose Benavente, fondateur de l’ONG Pilotes Volontaires ONG Pilotes Volontaires
      - Charles Heller, chercheur et cinéaste, co-fondateur du projet Forensic Oceanography

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/des-benevoles-dans-les-airs-face-a-l-agence-europeenne-de-garde-frontier
      #frontières #sauvetage_en_mer #sauvetage #Méditerranée #mer_Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #gardes-côtes_libyens #pull-backs #solidarité

    • Épisode 2/4 : De l’#apprentissage à l’#expulsion

      Les initiatives pour alerter sur la condition des jeunes majeurs étrangers en passe d’être expulsés se multiplient partout en France.

      La très médiatique grève de la faim de Stéphane Ravacley, boulanger à Besançon, tentant d’empêcher l’expulsion vers la Guinée de son apprenti Laye Fodé Traoré, a fait des émules : “j’ai reçu énormément d’appels de patrons qui étaient dans la même problématique que moi et ça m’a posé question. Je savais qu’il y avait des milliers de Laye en France, mais que je ne m’étais jamais posé la question. Et là, je me suis dit il faut faire quelque chose.”

      Dans la Marne, les militants épuisés, par l’aberration du système, comme l’explique Marie-Pierre Barrière : “il faut une autorisation de travail pour aller au CFA et il faut un titre de séjour. Donc ils ne peuvent pas travailler avec un patron parce qu’ils ne l’ont pas. C’est le serpent qui se mord la queue”.

      Pourtant quelques chefs d’entreprise commencent à timidement à protester contre les mesures d’expulsion de leurs apprentis étrangers. C’est le cas de Ricardo Agnesina : _“_je suis furax parce que quand on a justement des éléments comme Souleyman, on se dit il ne faut pas le louper parce que c’est réellement quelqu’un à qui il faut donner sa chance. Qu’il vienne de Guinée, de Pologne, de Normandie ou du sud de la France, peu importe, c’est quelqu’un qui a envie de travailler et qui a envie d’apprendre un métier donc on n’a pas le droit de lui dire non.”

      Ces patrons et artisans de secteurs dits "en tension" comme la restauration et le bâtiment se trouvent, par le biais de la défense de leurs intérêts, nouvellement sensibilisés à la question migratoire sont interdits face à l’arbitraire des décisions préfectorales qu’ils découvrent alors qu’ils peinent à embaucher des jeunes compétents. Bruno Forget, président de la foire de Châlons-en-Champagne s’indigne : “aujourd’hui, on vit une véritable hérésie. J’ai un cas précis d’une personne qui ne peut pas avoir de boulot parce qu’elle n’a pas de papiers. Et cette personne n’a pas de papiers parce qu’on ne peut pas fournir un certificat d’employeur. On se pince ! Il faut s’indigner ! ”

      Avec :

      – Mamadou, jeune apprenti guinéen
      - Souleimane, jeune apprenti guinéen
      - Laye Fodé Traoré, jeune apprenti guinéen
      - Marie-Pierre Barrière, militante Réseau Education Sans Frontières (RESF)
      – Stéphane Ravacley, boulanger, fondateur de l’association Patrons solidaires
      – Riccardo Agnesina, chef d’entreprise
      – Bruno Forget, directeur de la foire de Châlons-en-Champagne
      – M. et Mme Ansel, restaurateurs à Reims
      – Alexandrine Boia, avocate au barreau de Reims

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/de-l-apprentissage-a-l-expulsion-4412030
      #travail #sans-papiers

    • Épisode 3/4 : #Femmes migrantes invisibles

      Statistiquement plus nombreuses que les hommes sur les chemins de l’exil, les femmes sont pourtant les grandes absentes du récit médiatique et de la recherche scientifique dans le domaine des migrations.

      Pour comprendre l’invisibilité Camille Schmoll constate : “il y a aussi un peu d’auto-invisibilité de la part des femmes qui ne souhaitent pas forcément attirer l’attention sur leur sort, leur trajectoire. La migration reste une transgression” et remarque que cette absence peut servir un certain discours “ or, quand on veut construire la migration comme une menace, c’est probablement plus efficace de se concentrer sur les hommes.”

      Depuis plus d’un demi-siècle, les bénévoles de l’Association meusienne d’accompagnement des trajets de vie des migrants (AMATRAMI) viennent en aide aux personnes migrantes présentes sur leur territoire, aux femmes notamment. Camille Schmoll rappelle cette situation : “il y a toujours eu des femmes en migration. On les a simplement occultés pour différentes raisons. En fait, ce sont à l’initiative de femmes, de chercheuses féministes que depuis les années 60-70, on redécouvre la part des femmes dans ces migrations. On sait qu’elles étaient très nombreuses dans les grandes migrations transatlantiques de la fin du 19ème siècle et du début du 20ème siècle. "

      Confrontées tout au long de leurs parcours migratoires mais également dans leur pays de destination à des violences de genre, ces femmes ne sont que trop rarement prises en compte et considérées selon leur sexe par les pouvoirs publics. Majoritairement des femmes, les bénévoles de l’AMATRAMI tentent, avec le peu de moyens à leur disposition de leur apporter un soutien spécifique et adapté.  Lucette Lamousse se souvient “elles étaient perdues en arrivant, leur première demande c’était de parler le français”. Camille Schmoll observe un changement dans cette migration : “les femmes qui partent, partent aussi parce qu’elles ont pu conquérir au départ une certaine forme d’autonomie. Ces changements du point de vue du positionnement social des femmes dans les sociétés de départ qui font qu’on va partir, ne sont pas uniquement des changements négatifs”.

      Avec

      - Aïcha, citoyenne algérienne réfugiée en France
      - Mire, citoyenne albanaise réfugiée en France
      - Salimata, citoyenne ivoirienne réfugiée en France
      - Lucette Lamousse, co-fondatrice de l’Association meusienne d’accompagnement des trajets de vie des migrants (AMATRAMI)
      - Colette Nordemann, présidente de l’AMATRAMI
      - Camille Georges, médiatrice socioculturelle à l’AMATRAMI
      – Khadija, employée à l’AMATRAMI
      – Camille Schmoll, géographe, autrice de Les damnées de la mer (éd. La Découverte)
      - Élise Buliard, animatrice famille à l’AMATRAMI

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/femmes-migrantes-invisibles-6230660
      #femmes_migrantes #invisibilisation

    • Épisode 4/4 : Une famille afghane en #Touraine

      Comment Aziz et les siens négocient-ils leur exil en Touraine ? 

      Après des années d’une attente angoissée que la France veuille bien lui fournir un sauf conduit pour fuir la menace des Talibans en Afghanistan, Aziz, ancien Personnel Civil de Recrutement local (PCRL) de l’armée française est en sécurité dans le village d’#Avoine (Indre-et-Loire) avec son épouse et leurs six enfants. Mais comme le précise le maire de la commune d’Avoine : “une petite commune comme nous de 1900 habitants quand vous avez 10 réfugiés sur le terrain de la commune, ils sont acceptés, les gens sont très généreux avec eux et ils sont très acceptés. Si demain vous m’en mettez 200 sur un terrain de la commune, là vous risquez d’avoir des problèmes”.

      Quoique libéral car il a créé un lycée pour filles, Aziz est originaire d’une petite ville de province, patriarcale, religieuse et conservatrice qu’il a laissée derrière lui pour découvrir le monde jusque-là inconnu d’une société sécularisée. Ancien notable de cette petite ville qui l’a vu naître, il doit désormais vivre l’expérience du déclassement et de l’anonymat : “j’ai tout laissé derrière et j’ai le sentiment de ne plus avoir de valeur” . Mais il doit aussi faire face et tenter d’accepter la transformation de ses plus jeunes enfants qu’il a confiés aux bons soins de l’école de la République. Et l’adaptation n’est pas toujours évidente, ainsi son épouse qui à la nostalgie du pays, se sent mise à nue depuis le jour où elle a dû quitter sa burka : “c’était la première fois que je n’avais pas le visage caché. Nous portions toujours le voile avant. Je me sentais très bizarre. Je ne pouvais pas regarder les gens. C’était étrange, difficile”

      Le couple est vigilant et craint que leurs enfants perdent peu à peu l’usage de leur langue, le pashto : "j’espère que mes filles et mes fils n’oublieront pas l’islam, leur langue maternelle et leur éducation. Les quatre plus grands sont âgés et nous devons faire attention aux deux petites filles parce qu’elles sont petites. Elles oublient facilement la culture.”

      Avec :

      - Aziz Rahman Rawan, citoyen afghan réfugié en France, son épouse Bibi Hadia Azizi et leurs enfants
      - Julie Vérin, artiste
      – Françoise Roufignac, enseignante à la retraite
      – Didier Godoy, maire d’Avoine (Indre-et-Loire)
      – Christelle Simonaire, parente d’élève
      – M. Galet, directeur de l’école primaire d’Avoine
      – Mme Camard, enseignante à l’école primaire d’Avoine
      – Pauline Miginiac, coordinatrice régionale en Formation professionnelle à l’Union française des centres de vacances (UFCV)

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/une-famille-afghane-en-touraine-6456038
      #réfugiés_syriens

  • #Rima_Hassan : « Nous subissons une #punition_collective »

    Pour Rima Hassan, juriste et fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés, ce qui se passe à #Gaza est un « #carnage », qui relève d’une logique de « #génocide ». Elle dénonce le #cynisme de #Nétanyahou et la #récupération du #Hamas.

    Rima Hassan, 30 ans, est une Palestinienne dont toute la vie s’est déroulée en exil. Apatride jusqu’à ses 18 ans, aujourd’hui française, elle suit la guerre depuis la Jordanie, où elle séjourne actuellement pour une recherche à travers plusieurs pays sur les camps de réfugié·es palestinien·nes. Juriste autrice d’un mémoire de master en droit international sur la qualification du crime d’apartheid en Israël, dans une approche comparative avec l’Afrique du Sud, cette fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés dénonce aujourd’hui un « génocide » et la #responsabilité d’#Israël dans la création du Hamas. Elle répond par téléphone à Mediapart samedi après-midi, alors que toutes les communications avec Gaza étaient coupées depuis la veille au soir.

    Mediapart : Qu’avez-vous comme informations sur ce qu’il se passe depuis vendredi soir à Gaza ?

    Rima Hassan : Les seules informations dont je dispose sont celles des journalistes d’Al Jazeera. C’est un carnage qui est en train de se passer. Jusqu’ici, l’#armée_israélienne prévenait tout de même avant de bombarder : #Tsahal larguait des centaines de petits coupons de papier sur la population gazaouie, pour avertir et donner quelques heures aux civils pour évacuer. Mais cette nuit-là, d’après Al Jazeera, il n’y a même pas eu d’annonce. Ce sont des #attaques_indiscriminées, par tous les moyens dont dispose l’armée israélienne. Il faudra mettre en perspective le nombre de responsables du Hamas tués par rapport au nombre de #victimes_civiles. D’après l’UNRWA, l’agence de l’ONU d’aide aux réfugiés palestiniens, 1,2 million de personnes de la bande Gaza ont par ailleurs déjà été déplacées.

    Ce qui se passe est inédit, paralysant, il est très compliqué de réfléchir. Depuis vendredi en fin de journée, on ne peut plus joindre personne dans la bande de Gaza.

    Comment qualifier les événements ?

    Cela relève du génocide. On n’a pas encore les chiffres précis, les Palestiniens ne sont plus en mesure de compter leurs morts. Ce vendredi 27 octobre était de toute façon une nuit sans précédent en termes d’intensification des #bombardements, dans l’un des territoires les plus densément peuplés au monde.

    Mais au-delà des morts, c’est tout ce qui entoure cette offensive qui caractérise le génocide : le fait de ne pas laisser de passages sûrs accessibles aux civils pour pouvoir fuir les combat, d’empêcher les humanitaires de passer, de ne pas prévenir les lieux qu’on cible, et le #blackout. En coupant toutes les communications, les autorités israéliennes veulent minimiser l’écho international de ce qui s’est passé dans la nuit de vendredi à samedi à Gaza. Je rappelle que 34 journalistes ont été tués dans le territoire depuis le 7 octobre.

    On fait tout pour concentrer une population sur un même espace, et précisément au moment où une résolution est adoptée à la majorité à l’ONU en faveur d’un cessez-le feu, on intensifie les bombardements, tout en bloquant tous les canaux de #communication : tout est mobilisé pour que les dégâts soient maximaux.

    Israël a tué bien plus à Gaza depuis le 7 octobre qu’au cours des vingt dernières années.

    Estimez-vous qu’il y a une intention génocidaire ?

    Il suffit d’écouter les déclarations des officiels israéliens. L’#animalisation du sujet palestinien est constante, de la même manière que les Juifs et les Tutsis étaient comparés à des animaux. Toutes les catégories des groupes ayant fait l’objet de #massacres ont été déshumanisées dans le but de justifier leur exclusion de la communauté humaine ; c’était un préalable à leur #extermination. « Nous combattons des #animaux_humains », a dit le ministre israélien de la défense #Yoav_Gallant le 9 octobre…

    Les médias israéliens répandent en outre l’idée qu’il n’y a pas d’innocents à Gaza : les civils tués sont assimilés au Hamas, à des terroristes – dans ces circonstances, un #dommage_collatéral n’est pas très grave. Les propos tenus sont sans ambiguïté : « #incinération_totale », « Gaza doit revenir à Dresde », « annihiler Gaza maintenant », etc. Voilà ce qu’a pu dire jeudi #Moshe_Feiglinun, ancien membre de la Knesset, sur un plateau télé.

    On a entendu dire également par #Benyamin_Nétanyahou que les Palestiniens pouvaient être accueillis dans le #Sinaï [territoire égyptien frontalier d’Israël et de la bande de Gaza – ndlr], ce qui renvoie, là aussi, à une logique de #disparition : c’est une population indésirable que l’on souhaite exclure.

    Toute cela s’inscrit dans une logique colonialiste de la part d’Israël, depuis sa création. Depuis longtemps on observe, chez les officiels israéliens, une constante à déshumaniser les Palestiniens, qui, bien avant le 7 octobre 2023, ont été comparés à des #cafards ou à des #sauterelles. « Les Palestiniens seront écrasés comme des sauterelles (…) leurs têtes éclatées contre les rochers et les murs », disait le premier ministre israélien #Yitzhak_Shamir en 1988. « Lorsque nous aurons colonisé le pays, il ne restera plus aux Arabes qu’à tourner en rond comme des cafards drogués dans une bouteille », avait déclaré le chef d’état-major #Raphael_Eitan en 1983 d’après le New York Times.

    Les massacres du 7 octobre ont été perçus comme quelque chose d’explosif. En termes de vies civiles perdues, c’est sans précédent. Mais il faut rappeler que cela s’inscrit dans un #conflit_colonial_asymétrique, où les #réfugiés_palestiniens ont vu l’abolition de leur #droit_au_retour, où les Palestiniens de #Cisjordanie vivent sous #colonisation et sous #occupation, où les Palestiniens citoyens d’Israël se sont vu octroyer un statut de seconde zone après un régime militaire jusqu’en 1967, et où les Palestiniens de Gaza vivent un #blocus illégal depuis dix-sept ans.

    Quelle est l’importance du facteur religieux ?

    Ce n’est pas un #conflit_religieux. Même si l’on a au pouvoir des gens liés à une #radicalité_religieuse, du côté du pouvoir israélien comme du Hamas. On observe une #dérive_religieuse dans les extrêmes des deux sociétés.

    La population palestinienne ne fait pas de reproche aux Israéliens pour ce qu’ils sont – des Juifs –, mais pour ce qu’ils font : la colonisation.

    Rappelons que les personnes à l’origine de la fondation de l’État d’Israël étaient des laïques, et non pas des religieux. L’identité palestinienne a par ailleurs toujours été multiconfessionnelle.

    Il est inconcevable de confisquer une souffrance palestinienne vieille de 75 ans avec la #récupération qui est faite aujourd’hui par le Hamas. Pour nous, c’est la #double_peine.

    Côté israélien, c’est d’un #cynisme sans nom : c’est Nétanyahou lui-même qui a soutenu le Hamas, car l’organisation islamiste était perçue comme rivale du #Fatah [parti nationaliste palestinien fondé par Yasser Arafat – ndlr]. Voilà ce qu’il déclarait par exemple en mars 2019, comme l’a rappelé récemment un article d’Haaretz : « Quiconque veut contrecarrer la création d’un État palestinien doit soutenir le renforcement du Hamas et transférer de l’argent au Hamas. » Israël a une responsabilité majeure dans la création de l’organisation islamiste. Ce sont les autorités israéliennes qui ont nourri le monstre.

    Nous subissons avec ce blocus une punition collective. Nous qui utilisons le droit international et la voie diplomatique, qui nous battons depuis des dizaines d’années pour un État laïque, nous nous trouvons face à des autorités qui ont soutenu le Hamas... et qui aujourd’hui nous bombardent.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/291023/rima-hassan-nous-subissons-une-punition-collective
    #Palestine #7_octobre_2023 #déshumanisation #religion #à_lire

  • I confini non sono il luogo in cui accadono le violenze, sono il motivo per cui accadono le violenze
    https://www.meltingpot.org/2023/10/i-confini-non-sono-il-luogo-in-cui-accadono-le-violenze-sono-il-motivo-p

    Stazione di Sospel, Francia, ore 7.40. Nel paese della Val Roya passa il treno che collega Breil sur Roya a Nizza, all’interno poca gente. Appena il treno giunge alla stazione spuntano sette soldati e una dozzina di gendarmes. I militari circondano il treno, mitragliatrici in mano, mentre i poliziotti, a due a due, entrano nel treno, scrutano i passeggeri per rilevare soggettività razzializzate. Si fermano quando vedono due ragazzini, gli chiedono i documenti. I ragazzi glieli mostrano, vanno bene, i poliziotti scendono e il treno riparte. Stazione di Menton Garavan, Francia, ore 15.00. La situazione è identica, il treno (...)

  • EU to step up support for human rights abuses in North Africa

    In a letter (https://www.statewatch.org/media/4088/eu-com-migration-letter-eur-council-10-23.pdf) to the European Council trumpeting the EU’s efforts to control migration, European Commission president Ursula von der Leyen highlighted the provision of vessels and support to coast guards in Libya and Tunisia, where refugee and migrant rights are routinely violated.

    The letter (pdf) states:

    “…we need to build up the capacity of our partners to conduct effective border surveillance and search and rescue operations. We are providing support to many key partners with equipment and training to help prevent unauthorised border crossings. All five vessels promised to Libya have been delivered and we see the impact of increased patrols. Under the Memorandum of Understanding with Tunisia, we have delivered spare parts for Tunisian coast guards that are keeping 6 boats operational, and others will be repaired by the end of the year. More is expected to be delivered to countries in North Africa in the coming months.”

    What it does not mention is that vessels delivered to the so-called Libyan coast guard are used to conduct “pullbacks” of refugees to brutal detention conditions and human rights violations.

    Meanwhile in Tunisia, the coast guard has been conducting pullbacks of people who have subsequently been dumped in remote regions near the Tunisian-Algerian border.

    According to testimony provided to Human Rights Watch (HRW)¸ a group of people who were intercepted at sea and brought back to shore were then detained by the National Guard, who:

    “…loaded the group onto buses and drove them for 6 hours to somewhere near the city of Le Kef, about 40 kilometers from the Algerian border. There, officers divided them into groups of about 10, loaded them onto pickup trucks, and drove toward a mountainous area. The four interviewees, who were on the same truck, said that another truck with armed agents escorted their truck.

    The officers dropped their group in the mountains near the Tunisia-Algeria border, they said. The Guinean boy [interviewed by HRW) said that one officer had threatened, “If you return again [to Tunisia], we will kill you.” One of the Senegalese children [interviewed by HRW] said an officer had pointed his gun at the group.”

    Von der Leyen does not mention the fact that the Tunisian authorities refused an initial disbursement of €67 million offered by the Commission as part of its more than €1 billion package for Tunisia, which the country’s president has called “small” and said it “lacks respect.” (https://apnews.com/article/tunisia-europe-migration-851cf35271d2c52aea067287066ef247) The EU’s ambassador to Tunisia has said that the refusal “speaks to Tunisia’s impatience and desire to speed up implementation” of the deal.

    [voir: https://seenthis.net/messages/1020596]

    The letter also emphasises the need to “establish a strategic and mutually beneficial partnership with Egypt,” as well as providing more support to Türkiye, Jordan and Lebanon. The letter hints at the reason why – Israel’s bombing of the Gaza strip and a potential exodus of refugees – but does not mention the issue directly, merely saying that “the pressures on partners in our immediate vicinity risk being exacerbated”.

    It appears that the consequences rather than the causes of any movements of Palestinian refugees are the main concern. Conclusions on the Middle East agreed by the European Council last night demand “rapid, safe and unhindered humanitarian access and aid to reach those in need” in Gaza, but do not call for a ceasefire. The European Council instead “strongly emphasises Israel’s right to defend itself in line with international law and international humanitarian law.”

    More surveillance, new law

    Other plans mentioned in the letter include “increased aerial surveillance” for “combatting human smuggling and trafficking” by Operation IRINI, the EU’s military mission in the Mediterranean, and increased support for strengthening controls at points of departure in North African states as well as “points of entry by migrants at land borders.”

    The Commission also wants increased action against migrant smuggling, with a proposal to revise the 2002 Facilitation Directive “to ensure that criminal offences are harmonised, assets are frozen, and coordination strengthened,” so that “those who engage in illegal acts exploiting migrants pay a heavy price.”

    It appears the proposal will come at the same time as a migrant smuggling conference organised by the Commission on 28 November “to create a Global Alliance with a Call to Action, launching a process of regular international exchange on this constantly evolving crime.”

    Deportation cooperation

    Plans are in the works for more coordinated action on deportations, with the Commission proposing to:

    “…work in teams with Member States on targeted return actions, with a lead Member State or Agency for each action. We will develop a roadmap that could focus on (1) ensuring that return decisions are issued at the same time as a negative asylum decisions (2) systematically ensuring the mutual recognition of return decisions and follow-up enforcement action; (3) carrying out joint identification actions including through a liaison officers’ network in countries of origin; (4) supporting policy dialogue on readmission with third countries and facilitating the issuance of travel documents, as well as acceptance of the EU laissez passer; and (5) organising assisted voluntary return and joint return operations with the support of Frontex.”

    Cooperation on legal migration, meanwhile, will be done by member states “on a voluntary basis,” with the letter noting that any offers made should be conditional on increased cooperation with EU deportation efforts: “local investment and opportunities for legal migration must go hand in hand with strengthened cooperation on readmission.”

    More funds

    For all this to happen, the letter calls on the European Council to make sure that “migration priorities - both on the internal and external dimension - are reflected in the mid-term review of the Multiannual Financial Framework,” the EU’s 2021-27 budget.

    Mid-term revision of the budget was discussed at the European Council meeting yesterday, though the conclusions on that point merely state that there was an “in-depth exchange of views,” with the European Council calling on the Council of the EU “to take work forward, with a view to reaching an overall agreement by the end of the year.”

    https://www.statewatch.org/news/2023/october/eu-to-step-up-support-for-human-rights-abuses-in-north-africa

    #migrations #asile #réfugiés #Afrique_du_Nord #externalisation #Ursula_von_der_Leyen #lettre #contrôles_frontaliers #Tunisie #Libye #bateaux #aide #gardes-côtes_libyens #surveillance_frontalière #surveillance_frontalière_effective #frontières #Méditerranée #mer_Méditerranée #Memorandum_of_Understanding #MoU #pull-backs #Egypte #Turquie #Jourdanie #Liban #réfugiés_palestiniens #Palestine #7_octobre_2023 #Operation_IRINI #IRINI #surveillance_aérienne #passeurs #directive_facilitation #renvois #déportation #officiers_de_liaison #réadmissions #laissez-passer #Frontex

    ping @isskein @_kg_ @karine4

    • *Crise migratoire : le bilan mitigé des accords passés par l’Union européenne pour limiter les entrées sur son sol*

      Réunis en conseil jeudi et vendredi, les Vingt-Sept devaient faire le point sur la sécurisation des frontières extérieures de l’UE. Mardi, la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, a proposé de conclure de nouveaux partenariats « sur mesure » avec le #Sénégal, la #Mauritanie et l’Egypte.

      Malgré la guerre entre Israël et le Hamas, qui s’est imposée à leur ordre du jour, le sujet de la migration demeure au menu des Vingt-Sept, qui se réunissent en Conseil européen jeudi 26 et vendredi 27 octobre à Bruxelles. Les chefs d’Etat et de gouvernement doivent faire un point sur la dimension externe de cette migration et la sécurisation des frontières extérieures de l’Union européenne (UE). Depuis janvier, le nombre d’arrivées irrégulières, selon l’agence Frontex, a atteint 270 000, en progression de 17 % par rapport à 2022. Sur certaines routes, la croissance est bien plus importante, notamment entre la Tunisie et l’Italie, avec une augmentation de 83 % des arrivées sur les neuf premiers mois de 2023.

      Si le #pacte_asile_et_migration, un ensemble de réglementations censé améliorer la gestion intra européenne de la migration, est en passe d’être adopté, le contrôle des frontières externes de l’Europe est au cœur des discussions politiques. A moins de huit mois des élections européennes, « les questions de migration seront décisives », prévient Manfred Weber, le patron du groupe conservateur PPE au Parlement européen.

      Nouveaux « #partenariats sur mesure »

      Mardi, dans une lettre aux dirigeants européens, Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission, a rappelé sa volonté de « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des #pays_partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants s’embarquent ou prennent la route pour l’UE, en établissant avec ces pays des « #partenariats_stratégiques_mutuellement_bénéficiaires ». Elle propose de conclure avec le Sénégal, la Mauritanie et l’Egypte de nouveaux « #partenariats_sur_mesure » sur le modèle de celui qui a été passé avec la Tunisie. Sans oublier la Jordanie et le Liban, fortement déstabilisés par le conflit en cours entre Israël et Gaza.

      L’UE souhaite que ces pays bloquent l’arrivée de migrants vers ses côtes et réadmettent leurs citoyens en situation irrégulière sur le Vieux Continent contre des investissements pour renforcer leurs infrastructures et développer leur économie. « L’idée n’est pas nécessairement mauvaise, glisse un diplomate européen, mais il faut voir comment c’est mené et négocié. Le partenariat avec la Tunisie a été bâclé et cela a été fiasco. »

      Depuis vingt ans, l’Europe n’a eu de cesse d’intégrer cette dimension migratoire dans ses accords avec les pays tiers et cette préoccupation s’est accentuée en 2015 avec l’arrivée massive de réfugiés syriens. Les moyens consacrés à cet aspect migratoire ont augmenté de façon exponentielle. Au moins 8 milliards d’euros sont programmés pour la période 2021-2027, soit environ 10 % des fonds de la coopération, pour des politiques de sécurisation et d’équipements des gardes-côtes. Ces moyens manquent au développement des pays aidés, critique l’ONG Oxfam. Et la Commission a demandé une rallonge de 15 milliards d’euros aux Vingt-Sept.

      Mettre l’accent sur les retours

      Tant de moyens, pour quels résultats ? Il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées par les accords passés, exception faite de l’arrangement avec la Turquie. Après la signature le 18 mars 2016, par les Vingt-Sept et la Commission, de la déclaration UE-Turquie, les arrivées de Syriens ont chuté de 98 % dès 2017, mais cela n’a pas fonctionné pour les retours, la Turquie ayant refusé de réadmettre la majorité des Syriens refoulés d’Europe. Cet engagement a coûté 6 milliards d’euros, financés à la fois par les Etats et l’UE.

      « Pour les autres accords, le bilan est modeste, indique Florian Trauner, spécialiste des migrations à la Vrije Universiteit Brussel (Belgique). Nous avons étudié l’ensemble des accords passés par l’UE avec les pays tiers sur la période 2008-2018 pour mesurer leurs effets sur les retours et réadmissions. Si les pays des Balkans, plus proches de l’Europe, ont joué le jeu, avec les pays africains, cela ne fonctionne pas. »

      Depuis le début de l’année, la Commission assure malgré tout mettre l’accent sur les retours. Selon Ylva Johansson, la commissaire chargée de la politique migratoire, sur près de 300 000 obligations de quitter le territoire européen, environ 65 000 ont été exécutées, en progression de 22 % en 2023. Ces chiffres modestes « sont liés à des questions de procédures internes en Europe, mais également à nos relations avec les Etats tiers. Nous avons fait beaucoup de pédagogie avec ces Etats en mettant en balance l’accès aux visas européens et cela commence à porter ses fruits. »

      « Généralement, explique Florian Trauner, les Etats tiers acceptent les premiers temps les retours, puis la pression de l’opinion publique locale se retourne contre eux et les taux de réadmissions baissent. Les accords qui conditionnent l’aide au développement à des réadmissions créent davantage de problèmes qu’ils n’en résolvent. La diplomatie des petits pas, plus discrète, est bien plus efficace. »

      L’alternative, juge le chercheur, serait une meilleure gestion par les Européens des migrations, en ménageant des voies légales identifiées pour le travail, par exemple. Dans ce cas, affirme-t-il, les pays concernés accepteraient de reprendre plus simplement leurs citoyens. « Mais en Europe, on ne veut pas entendre cela », observe M. Trauner.
      Statut juridique obscur

      Le développement de ces accords donnant-donnant pose un autre problème à l’UE : leur statut juridique. « Quel que soit leur nom – partenariat, déclaration…–, ce ne sont pas des accords internationaux en bonne et due forme, négociés de manière transparente avec consultation de la société civile, sous le contrôle du Parlement européen puis des tribunaux, rappelle Eleonora Frasca, juriste à l’Université catholique de Louvain (Belgique). Ce sont des objets juridiques plus obscurs. »

      En outre, les arrangements avec la Turquie ou la Libye ont conduit des migrants à des situations dramatiques. Qu’il s’agisse des camps aux conditions déplorables des îles grecques où étaient parqués des milliers de Syriens refoulés d’Europe mais non repris en Turquie, ou des refoulements en mer, souvent avec des moyens européens, au large de la Grèce et de la Libye, ou enfin du sort des migrants renvoyés en Libye où de multiples abus et de crimes ont été documentés.

      Concernant la Tunisie, « l’Union européenne a signé l’accord sans inclure de clause de respect de l’Etat de droit ou des droits de l’homme au moment même où cette dernière chassait des migrants subsahariens vers les frontières libyenne et algérienne, relève Sara Prestianni, de l’ONG EuroMed Droit. Du coup, aucune condamnation n’a été formulée par l’UE contre ces abus. » L’Europe a été réduite au silence.

      Sous la pression d’Ursula von der Leyen, de Giorgia Melloni, la présidente du conseil italien, et de Mark Rutte, le premier ministre néerlandais, ce partenariat global doté d’un milliard d’euros « a été négocié au forceps et sans consultation », juge une source européenne. La conséquence a été une condamnation en Europe et une incompréhension de la part des Tunisiens, qui ont décidé de renvoyer 60 millions d’euros versés en septembre, estimant que c’était loin du milliard annoncé. « Aujourd’hui, le dialogue avec la Tunisie est exécrable, déplore un diplomate. La méthode n’a pas été la bonne », déplore la même source.
      Exposition à un chantage aux migrants

      « L’Union européenne a déjà été confrontée à ce risque réputationnel et semble disposée à l’accepter dans une certaine mesure, nuance Helena Hahn, de l’European Policy Center. Il est important qu’elle s’engage avec les pays tiers sur cette question des migrations. Toutefois, elle doit veiller à ce que ses objectifs ne l’emportent pas sur ses intérêts dans d’autres domaines, tels que la politique commerciale ou le développement. »

      Dernier risque pour l’UE : en multipliant ces accords avec des régimes autoritaires, elle s’expose à un chantage aux migrants. Depuis 2020, elle en a déjà été l’objet de la part de la Turquie et du Maroc, de loin le premier bénéficiaire d’aides financières au titre du contrôle des migrations. « Ce n’est pas juste le beau temps qui a exposé Lampedusa à l’arrivée de 12 000 migrants en quelques jours en juin, juge Mme Prestianni. Les autorités tunisiennes étaient derrière. La solution est de rester fermes sur nos valeurs. Et dans notre négociation avec la Tunisie, nous ne l’avons pas été. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/26/crise-migratoire-le-bilan-mitige-des-accords-passes-par-l-union-europeenne-p

    • EU planning new anti-migration deals with Egypt and Tunisia, unrepentant in support for Libya

      The European Commission wants to agree “new anti-smuggling operational partnerships” with Tunisia and Egypt before the end of the year, despite longstanding reports of abuse against migrants and refugees in Egypt and recent racist violence endorsed by the Tunisian state. Material and financial support is already being stepped up to the two North African countries, along with support for Libya.

      The plan for new “partnerships” is referred to in a newly-revealed annex (pdf) of a letter from European Commission president, Ursula von der Leyen, that was sent to the European Council prior to its meeting in October and published by Statewatch.

      In April, the Commission announced “willingness” from the EU and Tunisia “to establish a stronger operational partnership on anti-smuggling,” which would cover stronger border controls, more police and judicial cooperation, increased cooperation with EU agencies, and anti-migration advertising campaigns.

      The annex includes little further detail on the issue, but says that the agreements with Tunisia and Egypt should build on the anti-smuggling partnerships “in place with Morocco, Niger and the Western Balkans, with the support of Europol and Eurojust,” and that they should include “joint operational teams with prosecutors and law enforcement authorities of Member States and partners.”

      Abuse and impunity

      Last year, Human Rights Watch investigations found that “Egyptian authorities have failed to protect vulnerable refugees and asylum seekers from pervasive sexual violence, including by failing to investigate rape and sexual assault,” and that the police had subjected Sudanese refugee activists to “forced physical labor [sic] and beatings.” Eritrean asylum-seekers have also been detained and deported by the Egyptian authorities.

      The EU’s own report on human rights in Egypt in 2022 (pdf) says the authorities continue to impose “constraints” on “freedom of expression, peaceful assembly and media freedom,” while “concerns remained about broad application of the Terrorism Law against peaceful critics and individuals, and extensive and indiscriminate use of pre-trial detention.”

      Amr Magdi, Human Rights Watch’s Senior Researcher on the Middle East and North Africa, has said more bluntly that “there can be no light at the end of the tunnel without addressing rampant security force abuses and lawlessness.” The Cairo Institute for Human Rights said in August that the country’s “security apparatus continues to surveil and repress Egyptians with impunity. There is little to no access to participatory democracy.”

      The situation in Tunisia for migrants and refugees has worsened substantially since the beginning of the year, when president Kais Said declared a crackdown against sub-Saharan Africans in speeches that appeared to draw heavily from the far-right great replacement theory.

      It is unclear whether the EU will attempt to address this violence, abuse and discrimination as it seeks to strengthen the powers of the countries’ security authorities. The annex to von der Leyen’s letter indicates that cooperation with Tunisia is already underway, even if an anti-smuggling deal has not been finalised:

      “Three mentorship pairs on migrant smuggling TU [Tunisia] with Member States (AT, ES, IT [Austria, Spain and Italy]) to start cooperation in the framework of Euromed Police, in the last quarter of 2023 (implemented by CEPOL [the European Police College] with Europol)”

      Anti-smuggling conference

      The annex to von der Leyen’s letter indicates that the Egyptian foreign minister, Sameh Shoukry, “confirmed interest in a comprehensive partnership on migration, including anti-smuggling and promoting legal pathways,” at a meeting with European Commissioner for Migration and Home Affairs, Ylva Johansson, at the UN General Assembly.

      This month the fourth EU-Egypt High Level Dialogue on Migration and the second Senior Officials Meeting on Security and Law Enforcement would be used to discuss the partnership, the annex notes – “including on the involvement of CEPOL, Europol and Frontex” – but it is unclear when exactly the Commission plans to sign the new agreements. An “International Conference on strengthening international cooperation on countering migrant smuggling” that will take place in Brussels on 28 November would provide an opportune moment to do so.

      The conference will be used to announce a proposal “to reinforce the EU legal framework on migrant smuggling, including elements related to: sanctions, governance, information flows and the role of JHA agencies,” said a Council document published by Statewatch in October.

      Other sources indicate that the proposal will include amendments to the EU’s Facilitation Directive and the Europol Regulation, with measures to boost the role of the European Migrant Smuggling Centre hosted at Europol; step up the exchange of information between member states, EU agencies and third countries; and step up Europol’s support to operations.

      Additional support

      The proposed “partnerships” with Egypt and Tunisia come on top of ongoing support provided by the EU to control migration.

      In July the EU signed a memorandum of understanding with Tunisia covering “macro-economic stability, economy and trade, green energy, people-to-people contacts and migration and mobility.”

      Despite the Tunisian government returning €67 million provided by the EU, the number of refugee boat departures from Tunisia has decreased significantly, following an increase in patrols at sea and the increased destruction of intercepted vessels.

      Violent coercion is also playing a role, as noted by Matthias Monroy:

      “State repression, especially in the port city of Sfax, has also contributed to the decline in numbers, where the authorities have expelled thousands of people from sub-Saharan countries from the centre and driven them by bus to the Libyan and Algerian borders. There, officials force them to cross the border. These measures have also led to more refugees in Tunisia seeking EU-funded IOM programmes for “voluntary return” to their countries of origin.”

      The annex to von der Leyen’s letter notes that the EU has provided “fuel to support anti-smuggling operations,” and that Tunisian officials were shown around Frontex’s headquarters in mid-September for a “familiarisation visit”.

      Egypt, meanwhile, is expected to receive the first of three new patrol boats from the EU in December, €87 million as part of the second phase of a border management project will be disbursed “in the coming months,” and Frontex will pursue a working arrangement with the Egyptian authorities, who visited the agency’s HQ in Warsaw in October.

      Ongoing support to Libya

      Meanwhile, the EU’s support for migration control by actors in Libya continues, despite a UN investigation earlier this year accusing that support of contributing to crimes against humanity in the country.

      The annex to von der Leyen’s letter notes with approval that five search and rescue vessels have been provided to the Libyan Coast Guard this year, and that by 21 September, “more than 10,900 individuals reported as rescued or intercepted by the Libyan authorities in more than 100 operations… Of those disembarked, the largest groups were from Bangladesh, Egypt and Syria”.

      The letter does not clarify what distinguishes “rescue” and “interception” in this context. The organisation Forensic Oceanography has previously described them as “conflicting imperatives” in an analysis of a disaster at sea in which some survivors were taken to Libya, and some to EU territory.

      In a letter (pdf) sent last week to the chairs of three European Parliament committees, three Commissioners – Margaritas Schinas, Ylva Johansson and Oliver Várhelyi – said the Commission remained “convinced that halting EU assistance in the country or disengagement would not improve the situation of those most in need.”

      While evidence that EU support provided to Libya has facilitated the commission of crimes against humanity is not enough to put that policy to a halt, it remains to be seen whether the Egyptian authorities’ violent repression, or state racism in Tunisia, will be deemed worthy of mention in public by Commission officials.

      The annex to von der Leyen’s letter also details EU action in a host of other areas, including the “pilot projects” launched in Bulgaria and Romania to step up border surveillance and speed up asylum proceedings and returns, support for the Moroccan authorities, and cooperation with Western Balkans states, amongst other things.

      https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

      en italien:
      Statewatch. Mentre continua il sostegno alla Libia, l’UE sta pianificando nuovi accordi anti-migrazione con Egitto e Tunisia
      https://www.meltingpot.org/2023/11/statewatch-mentre-continua-il-sostegno-alla-libia-lue-sta-pianificando-n

    • Accord migratoire avec l’Égypte. Des #navires français en eaux troubles

      Les entreprises françaises #Civipol, #Défense_Conseil_International et #Couach vont fournir à la marine du Caire trois navires de recherche et sauvetage dont elles formeront également les équipages, révèle Orient XXI dans une enquête exclusive. Cette livraison, dans le cadre d’un accord migratoire avec l’Égypte, risque de rendre l’Union européenne complice d’exactions perpétrées par les gardes-côtes égyptiens et libyens.

      La France est chaque année un peu plus en première ligne de l’externalisation des frontières de l’Europe. Selon nos informations, Civipol, l’opérateur de coopération internationale du ministère de l’intérieur, ainsi que son sous-traitant Défense Conseil International (DCI), prestataire attitré du ministère des armées pour la formation des militaires étrangers, ont sélectionné le chantier naval girondin Couach pour fournir trois navires de recherche et sauvetage (SAR) aux gardes-côtes égyptiens, dont la formation sera assurée par DCI sur des financements européens de 23 millions d’euros comprenant des outils civils de surveillance des frontières.

      Toujours selon nos sources, d’autres appels d’offres de Civipol et DCI destinés à la surveillance migratoire en Égypte devraient suivre, notamment pour la fourniture de caméras thermiques et de systèmes de positionnement satellite.

      Ces contrats sont directement liés à l’accord migratoire passé en octobre 2022 entre l’Union européenne (UE) et l’Égypte : en échange d’une assistance matérielle de 110 millions d’euros au total, Le Caire est chargé de bloquer, sur son territoire ainsi que dans ses eaux territoriales, le passage des migrants et réfugiés en partance pour l’Europe. Ce projet a pour architecte le commissaire européen à l’élargissement et à la politique de voisinage, Olivér Várhelyi. Diplomate affilié au parti Fidesz de l’illibéral premier ministre hongrois Viktor Orbán, il s’est récemment fait remarquer en annonçant unilatéralement la suspension de l’aide européenne à la Palestine au lendemain du 7 octobre — avant d’être recadré.

      La mise en œuvre de ce pacte a été conjointement confiée à Civipol et à l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) de l’ONU, comme déjà indiqué par le média Africa Intelligence. Depuis, la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen a déjà plaidé pour un nouvel accord migratoire avec le régime du maréchal Sissi. Selon l’UE, il s’agirait d’aider les gardes-côtes égyptiens à venir en aide aux migrants naufragés, via une approche « basée sur les droits, orientée vers la protection et sensible au genre ».
      Circulez, il n’y a rien à voir

      Des éléments de langage qui ne convainquent guère l’ONG Refugees Platform in Egypt (REP), qui a alerté sur cet accord il y a un an. « Depuis 2016, le gouvernement égyptien a durci la répression des migrants et des personnes qui leur viennent en aide, dénonce-t-elle auprès d’Orient XXI. De plus en plus d’Égyptiens émigrent en Europe parce que la jeunesse n’a aucun avenir ici. Ce phénomène va justement être accentué par le soutien de l’UE au gouvernement égyptien. L’immigration est instrumentalisée par les dictatures de la région comme un levier pour obtenir un appui politique et financier de l’Europe. »

      En Égypte, des migrants sont arrêtés et brutalisés après avoir manifesté. Des femmes réfugiées sont agressées sexuellement dans l’impunité. Des demandeurs d’asile sont expulsés vers des pays dangereux comme l’Érythrée ou empêchés d’entrer sur le territoire égyptien. Par ailleurs, les gardes-côtes égyptiens collaborent avec leurs homologues libyens qui, également soutenus par l’UE, rejettent des migrants en mer ou les arrêtent pour les placer en détention dans des conditions inhumaines, et entretiennent des liens avec des milices qui jouent aussi le rôle de passeurs.

      Autant d’informations peu compatibles avec la promesse européenne d’un contrôle des frontières « basé sur les droits, orienté vers la protection et sensible au genre ». Sachant que l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes Frontex s’est elle-même rendue coupable de refoulements illégaux de migrants (pushbacks) et a été accusée de tolérer de mauvais traitements sur ces derniers.

      Contactés à ce sujet, les ministères français de l’intérieur, des affaires étrangères et des armées, l’OIM, Civipol, DCI et Couach n’ont pas répondu à nos questions. Dans le cadre de cette enquête, Orient XXI a aussi effectué le 1er juin une demande de droit à l’information auprès de la Direction générale du voisinage et des négociations d’élargissement (DG NEAR) de la Commission européenne, afin d’accéder aux différents documents liés à l’accord migratoire passé entre l’UE et l’Égypte. Celle-ci a identifié douze documents susceptibles de nous intéresser, mais a décidé de nous refuser l’accès à onze d’entre eux, le douzième ne comprenant aucune information intéressante. La DG NEAR a invoqué une série de motifs allant du cohérent (caractère confidentiel des informations touchant à la politique de sécurité et la politique étrangère de l’UE) au plus surprenant (protection des données personnelles — alors qu’il aurait suffi de masquer lesdites données —, et même secret des affaires). Un premier recours interne a été déposé le 18 juillet, mais en l’absence de réponse de la DG NEAR dans les délais impartis, Orient XXI a saisi fin septembre la Médiatrice européenne, qui a demandé à la Commission de nous répondre avant le 13 octobre. Sans succès.

      Dans un courrier parvenu le 15 novembre, un porte-parole de la DG NEAR indique :

      "L’Égypte reste un partenaire fiable et prévisible pour l’Europe, et la migration constitue un domaine clé de coopération. Le projet ne cible pas seulement le matériel, mais également la formation pour améliorer les connaissances et les compétences [des gardes-côtes et gardes-frontières égyptiens] en matière de gestion humanitaire des frontières (…) Le plein respect des droits de l’homme sera un élément essentiel et intégré de cette action [grâce] à un contrôle rigoureux et régulier de l’utilisation des équipements."

      Paris-Le Caire, une relation particulière

      Cette livraison de navires s’inscrit dans une longue histoire de coopération sécuritaire entre la France et la dictature militaire égyptienne, arrivée au pouvoir après le coup d’État du 3 juillet 2013 et au lendemain du massacre de centaines de partisans du président renversé Mohamed Morsi. Paris a depuis multiplié les ventes d’armes et de logiciels d’espionnage à destination du régime du maréchal Sissi, caractérisé par la mainmise des militaires sur la vie politique et économique du pays et d’effroyables atteintes aux droits humains.

      La mise sous surveillance, la perquisition par la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) et le placement en garde à vue de la journaliste indépendante Ariane Lavrilleux fin septembre étaient notamment liés à ses révélations dans le média Disclose sur Sirli, une opération secrète associant les renseignements militaires français et égyptien, dont la finalité antiterroriste a été détournée par Le Caire vers la répression intérieure. Une enquête pour « compromission du secret de la défense nationale » avait ensuite été ouverte en raison de la publication de documents (faiblement) classifiés par Disclose.

      La mise en œuvre de l’accord migratoire UE-Égypte a donc été indirectement confiée à la France via Civipol. Société dirigée par le préfet Yann Jounot, codétenue par l’État français et des acteurs privés de la sécurité — l’électronicien de défense Thales, le spécialiste de l’identité numérique Idemia, Airbus Defence & Space —, Civipol met en œuvre des projets de coopération internationale visant à renforcer les capacités d’États étrangers en matière de sécurité, notamment en Afrique. Ceux-ci peuvent être portés par la France, notamment via la Direction de la coopération internationale de sécurité (DCIS) du ministère de l’intérieur. Mais l’entreprise travaille aussi pour l’UE.

      Civipol a appelé en renfort DCI, société pilotée par un ancien chef adjoint de cabinet de Nicolas Sarkozy passé dans le privé, le gendarme Samuel Fringant. DCI était jusqu’à récemment contrôlée par l’État, aux côtés de l’ancien office d’armement Eurotradia soupçonné de corruption et du vendeur de matériel militaire français reconditionné Sofema. Mais l’entreprise devrait prochainement passer aux mains du groupe français d’intelligence économique ADIT de Philippe Caduc, dont l’actionnaire principal est le fonds Sagard de la famille canadienne Desmarais, au capital duquel figure désormais le fonds souverain émirati.

      DCI assure principalement la formation des armées étrangères à l’utilisation des équipements militaires vendus par la France, surtout au Proche-Orient et notamment en Égypte. Mais à l’image de Civipol, l’entreprise collabore de plus en plus avec l’UE, notamment via la mal nommée « Facilité européenne pour la paix » (FEP).
      Pacte (migratoire) avec le diable

      Plus largement, ce partenariat avec l’Égypte s’inscrit dans une tendance généralisée d’externalisation du contrôle des frontières de l’Europe, qui voit l’UE passer des accords avec les pays situés le long des routes migratoires afin que ceux-ci bloquent les départs de migrants et réfugiés, et que ces derniers déposent leurs demandes d’asile depuis l’Afrique, avant d’arriver sur le territoire européen. Après la Libye, pionnière en la matière, l’UE a notamment signé des partenariats avec l’Égypte, la Tunisie — dont le président Kaïs Saïed a récemment encouragé des émeutes racistes —, le Maroc, et en tout 26 pays africains, selon une enquête du journaliste Andrei Popoviciu pour le magazine américain In These Times.

      Via ces accords, l’UE n’hésite pas à apporter une assistance financière, humaine et matérielle à des acteurs peu soucieux du respect des droits fondamentaux, de la bonne gestion financière et parfois eux-mêmes impliqués dans le trafic d’êtres humains. L’UE peine par ailleurs à tracer l’utilisation de ces centaines de millions d’euros et à évaluer l’efficacité de ces politiques, qui se sont déjà retournées contre elles sous la forme de chantage migratoire, par exemple en Turquie.

      D’autres approches existent pourtant. Mais face à des opinions publiques de plus en plus hostiles à l’immigration, sur fond de banalisation des idées d’extrême droite en politique et dans les médias, les 27 pays membres et les institutions européennes apparaissent enfermés dans une spirale répressive.

      https://orientxxi.info/magazine/accord-migratoire-avec-l-egypte-des-navires-francais-en-eaux-troubles,68

  • Des clichés et des injonctions sexistes, des effets de la pollution publicitaire

    En introduction, les auteurs et autrices abordent « la diffusion de stéréotypes et d’injonctions sexistes », les procédés utilisés, la soi-disant auto-régulation de l’industrie publicitaire, les représentations dégradantes de la personne, l’histoire du publisexisme, des pistes de travail et des revendications…

    Elles et ils proposent des définitions, distinguent sexisme et misogynie. Iels rappellent que « le sexisme désigne un ensemble d’institutions, de représentations et de dispositions collectives qui produisent et reproduisent un monde dont les femmes sont exclues, ou dans lequel elles sont maintenues en position inférieure » et parlent de fait social, de système discriminatoire…

    Le sexisme dans la publicité française. Rapport de l’Observatoire de la publicité sexiste·2019 – 2020

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2021/02/10/des-cliches-et-des-injonctions-sexistes-des-ef

    #féminisme #publicité #sexisme

  • Les départs du #Sénégal vers les #Canaries : une société en proie au #désespoir économique, à la #répression politique et à l’ingérence européenne

    La #route_Atlantique fait encore la une, avec une forte augmentation des passages dans les dernières semaines : à peu près 4000 personnes sont arrivées aux Canaries en septembre et plus 6 000 dans les deux premières semaines d’octobre. Mais le phénomène sous-jacent se dessine déjà depuis juin : la plupart des embarcations sur la route Atlantique font leur départ au Sénégal. Ainsi cet été 2023 les deux tiers des voyages se sont faits dans des #pirogues venant du Sénégal, et un tiers seulement en provenance du Maroc et du Sahara Occidental.

    „Ces derniers temps nous revivons une situation des départs du Sénégal qui nous rappelle le phénomène “#Barça_ou_Barsakh” en 2006 – 2008 et en 2020/2021. Ce slogan “Barça ou Barsakh” qui signifie „soit on arrive à Barcelone, soit on meurt“ est le reflet du plus grand désespoir“ explique Saliou Diouf de Boza Fii, une organisation sénégalaise qui lutte pour la liberté de circulation.

    La population sénégalaise et surtout la #jeunesse fait face à un dilemme impossible : rester et mourir à petit feu dans la galère, ou partir dans l’espoir d’avoir des probabilités de vivre dignement en Europe. À la profonde #crise_économique (effondrement des moyens de subsistance en raison de la #surpêche des eaux sénégalaises et des conséquences du #changement_climatique) s’ajoute l’#injustice de la politique européenne des #visas qui sont quasi impossibles à obtenir. La crise politique au Sénégal rend la situation catastrophique : de nombreux-euses manifestant-es sont abusé-es et arbitrairements emprisonné-es, il y a même des morts. Cela pousse les jeunes à quitter le pays, en empruntant les moyens les plus risqués.

    Nous exprimons notre colère face à cette situation est nous sommes en deuil pour les centaines de personnes mortes en mer cet été.

    Pourtant, les autorités sénégalaises ne se mobilisient pas en soutien à la popluation mais reproduisent à l’identique le discours européen contre la migration qui vise à criminaliser et réprimer la #liberté_de_circulation. Le gouvernment sénégalais a créé une entité dénommée #CILEC (#Comité_interministériel_de_lutte_contre_l’émigration_clandestine). Ce dernier est constitué en grande partie de personnes gradées de l’armée Sénégalaise. Le 27 juillet, le gouvernment a adopté le plan d’action #SNLMI (#Stratégie_nationale_de_lutte_contre_la_migration_irrégulière_au_Sénégal) qui consiste à traquer des soit-disant 3passeurs que l’on traite de #trafiquants_d’êtres_humains. Le 4 août 2023 des répresentants de l’Union Européene et du gouvernement du Sénégal ont inauguré un grand bâtiment pour abriter la DPAF (Division de la police de l’air et des frontières). Toutes ces mesures sont prises en pleine #crise_politique dans le pays : une honte et un manque de respect envers la population.

    Ces derniers mois, il y a une série d’actes de répression qui montre comment le gouvernment sénégalais cherche à intimider la population entière, et surtout la population migrante. Les autorités utilisent l’armée,la gendarmerie et la police pour étouffer toute situation qui pourrait amener des polémiques dans le pays, ce qui est illustré par la liste suivante :

    - Le 10 juillet, 101 personnes ont prit départ de Fass Boye, à Thies. Plus d’un mois après, 38 survivants ont ête retrouvé à 275km du Cap-Vert, seuls 7 corps ont été retrouvés. Quand le gouvernement sénégalais a décidé de rapatrier seulements les survivants et de laisser les morts au Cap-Vert, les populations de Fass Boye ont manifesté contre cette décision. Après les manifestations, la gendarmerie est revenue à 3h du matin pour rentrer dans les maisons pour attraper des manifestant-es, les frapper, puis les amener au poste de police.
    – Dans la nuit du 9 au 10 août sur la plage de Diokoul Kaw dans la commune Rufisque à Dakar, une centaine de jeunes Sénégalais se préparaient pour un départ vers les îles Canaries. Le groupe attendait la pirogue au bord de la mer, à environ 2h du matin. La police sénégalaise a repéré le groupe et après des tirs en l’air pour disperser la foule, un agent de la gendarmerie a ouvert le feu sur la foule qui remontait vers les maisons. Malheureusementune balle a atteint par derrière un jeune garçon qui est finalement mort sur le coup. Jusqu’à présent, ce dossier est sans suite.
    – Un groupe de 184 personnes a quitté le Sénégal le 20 août et a été intercepté par la Guardia Civil espagnole dans les eaux mauritaniennes, qui a ensuite effectué un refoulement. Le groupe a été mis dans les mains de la marine sénégalaise le 30 août et a subi de nombreuses maltraitances de la part des agents espagnols et sénégalais. En plus, 8 personnes sont sous enquête de la Division nationale de lutte contre le trafic (DNLT) et on les poursuit pour association de malfaiteurs, complicité de trafic de migrants par la voie maritime et mise en danger de la vie d’autrui.
    - Le 18 septembre à Cayar dans la région de Thiès, un groupe de personnes qui embarquait pour partir aux Canaries a été interpellé par la gendarmerie lors du départ. Mais l’arrestation a fini par des affrontements entre les gendarmes et la population. Comme d’habitude, les gendarmes sont arrivés encore plus tard dans la nuit pour rentrer dans les maisons pour attraper, frapper et puis encore amener les gens au poste de police.

    Ces exemples démontrent que la stratégie du gouvernment est de semer la peur avec la #violence pour intimider et dissuader la popluation de partir. Nous dénonçons cette politique que nous jugeons injuste, violante, barbare et autoritaire.

    Dans l’indignation devant la médiocrité de nos gouvernants, nous continuons à voir nos frères et sœurs mourir sur les routes migratoires. Aujourd’hui les départs du Sénégal font l’actualité des médias internationaux, mais les problèmes datent depuis des décennies, voir des siècles et prennent racine dans l’#exploitation_capitaliste des nos resources, la politique néo-coloniale et meurtrière de l’Union Européenne et l’incompétence de nos gouvernments.

    https://alarmphone.org/fr/2023/10/20/les-departs-du-senegal-vers-les-canaries

    #émigration #facteurs-push #push-factors #migrations #asile #réfugiés #intimidation #dissuasion #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #capitalisme

    ping @_kg_ @karine4

  • Questioning French Federation Partnership
    https://lichess.org/@/Lichess/blog/questioning-french-federation-partnership/vymrLIfA

    La FFE a récemment annoncé son partenariat avec Immortal game, vantant « une plateforme française, [...] avec laquelle nous partageons les mêmes valeurs et objectifs. »

    Or, Immortal Game est une entreprise privée dont un des aspects centraux porte sur les cryptomonnaies et les NFTs. Ces actifs sont actuellement dans le viseur des autorités en Europe et aux États-Unis, notamment à cause d’innombrables fraudes et arnaques du secteur qui visent souvent les personnes les plus vulnérables, ces mêmes personnes que la FFE se doit tout particulièrement de protéger.

    À l’opposé de tout cela, lichess.org est une association française loi 1901 qui fonctionne grâce aux bénévoles et aux dons depuis plus de dix ans. C’est le serveur d’échecs numéro un en France et deux dans le monde, et toutes nos fonctionnalités sont accessibles gratuitement et pour tous, sans aucune publicité ou traqueur.

    Tous nos logiciels sont libres/open-source, c’est-à-dire qu’ils peuvent être réutilisés, partagés et améliorés gratuitement. L’État recommande d’utiliser des logiciels libres.

    A l’aune de ces éléments, les valeurs communes citées par la fédération sont loin d’être évidentes.

    Nous sommes convaincus que les joueurs méritent mieux. Nous nous étonnons également de ne pas avoir été contacté malgré de précédentes collaborations et questionnons l’opacité entourant cette désignation.

  • Stop aux #massacres en cours à #Gaza

    L’horreur succède à l’horreur. Aux crimes antisémites commis par le #Hamas le week-end dernier et à la découverte des atrocités succède désormais la #vengeance aveugle du gouvernement israélien. Après avoir bestialisé les Palestinien·nes de Gaza par des déclarations racistes aux accents exterminateurs, le gouvernement Netanyahu déploie toute la disproportion de sa puissance militaire et diplomatique et prive les habitant·es de Gaza d’eau, d’électricité et de carburant tant que les otages ne sont pas libéré·es, et organise le déplacement forcé de plus de 1,1 million de personnes.

    Ces mesures criminelles et inhumaines, qui engagent le pronostic vital de 2,3 millions de personnes, s’accompagnent de #bombardements massifs occasionnant des victimes en grande majorité civiles, parmi lesquelles des enfants et des personnes vulnérables. Le bilan est actuellement de plus de 1500 mort·es et plus de 6600 blessé·es et s’alourdit d’heure en heure. Le massacre, les déplacements forcés de population et les restrictions infligées aux Gazaoui·es ne sont en aucune façon une réponse tolérable aux tueries du 7 octobre. Comme sont proscrits les prises d’otages et les massacres du Hamas, le #droit_international, notamment la convention de Genève interdit ce que pratique le gouvernement israélien : la prise pour cible de #civils ou d’objectifs civils, les #punitions_collectives, et le fait de priver des populations des biens nécessaires à leur survie. On ne peut répondre à des #crimes par d’autres crimes.

    Le massacre du 7 octobre oblige Israël à repenser la forme que peut prendre l’avenir pour les deux peuples sur cette terre. Deux options existent : la recherche difficile d’une solution politique acceptable pour les deux peuples, ou l’écrasement dans un #bain_de_sang de toute revendication palestinienne auquel continueront à répondre des meurtres et des attentats. La seule possibilité acceptable est celle d’une #paix fondée sur la #justice, pour toutes et tous. C’est ce que résume le slogan « Pas de justice, pas de paix », que beaucoup comprennent comme un appel à se battre mais qui n’est en réalité qu’un constat. Aujourd’hui, la pire solution semble privilégiée, mais nous n’avons pas d’autre choix que celui de croire en des jours meilleurs et de tout faire pour les voir arriver. Tikoun Olam.

    Nous pleurons toutes les victimes, assassinées par les tueurs du Hamas ou massacrées par le gouvernement d’Israël qui n’a comme seule ligne de conduite la #domination par la puissance des #armes. De part et d’autre de la frontière, plus de 2700 personnes ont déjà perdu la vie, plus de 10000 sont blessées et plus d’une centaine sont retenues en otage.

    Il est urgent que l’ensemble des pouvoirs étatiques, ONG, et observateurices exterieur·es, civil·es ou professionnel·les, mettent tout en œuvre pour obtenir la reprise des flux vitaux vers Gaza et la libération immédiate des #otages. Ils doivent imposer un #cessez-le-feu et forcer la reprise d’un réel processus vers une #paix_juste et durable dans le respect des résolutions de l’ONU, du droit international et des légitimes aspirations de paix et de justice pour les Palestinien·nes et les Israélien·nes.

    Notre cœur est déchiré mais nous ne pouvons pas participer en l’état à un certain nombre de rassemblements « en faveur des Palestinien·nes » organisés entre autres par des groupes ayant explicitement soutenu l’attaque du Hamas. Nous appelons ces organisations à une sérieuse #auto-critique. Nous rappelons encore une fois que le Hamas inscrit l’#antisémitisme jusque dans sa charte, que pour lui, tous·tes les Juif·ves sont des cibles, et qu’il n’a jamais hésité à mettre cette idée en pratique. Les déclarations de ces partis et groupes politiques ne nous permettent donc pas d’envisager ces rassemblements comme autre chose que des espaces d’indifférence ou même de réjouissance face aux massacres antisémites perpétrés. Elles nous indiquent, au contraire, que ce sont des lieux où notre sécurité physique et psychologique n’est pas assurée.

    Il en est ainsi lorsque le NPA dans un texte consacré au massacre dit apporter « son soutien aux moyens de lutte choisis par les Palestiniens pour résister » et parle, pour désigner les villages et kibboutzim où, au même moment, les tueurs du Hamas sont à l’œuvre, de « colonies acquises aux résistantEs »(communiqué du 7 octobre) ; lorsque #Palestine_Vaincra lit le massacre comme « une démonstration de force des capacités de la résistance qui met à nu la faillibilité du projet sioniste » (le 7 octobre) ; lorsque l’#UJFP compare les tueurs du Hamas aux héros de l’affiche rouge (le 9 octobre) ; lorsque Unité Communiste voit dans ces attaques « une preuve d’espoir pour les colonisés du monde entier » (le 10 octobre) ; ou lorsque le groupe Inverti·es mentionne le Hamas comme « un groupe de résistance derrière lequel se mobilise le peuple palestinien, […] fruit du #colonialisme » (11 octobre).

    Dans le même temps nous assistons à un durcissement de la droite, caractérisé notamment par la volonté du ministère de l’Intérieur de criminaliser et d’interdire toute manifestation de solidarité avec les Palestinien·nes. Parallèlement, certains utilisent le massacre du 7 octobre pour stigmatiser les minorités arabe et musulmane, considérées comme collectivement complices. Nous condamnons avec la plus grande force tout ces discours de #haine et de #stigmatisation envers les personnes arabes et/ou musulmanes et leur apportons tout notre soutien. Les Musulman·es de France ne sont pas plus responsables des crimes du Hamas que les Juif·ves de France ne le sont de ceux du gouvernement israélien.

    Nous ne souscrivons pas à la criminalisation du mouvement de #solidarité avec les Palestinien·es, qui n’est rien d’autre qu’une façon de laisser les mains libres au gouvernement israélien pour écraser Gaza sous les bombes et priver les Gazaoui·es des moyens élémentaires de survie. Au contraire, nous souhaitons participer à l’établissement d’un front réellement unitaire se donnant l’objectif et les moyens de réaliser une pression populaire internationale sur l’ensemble des acteurs du conflit.

    L’établissement d’un tel front ne peut se faire que sur la base d’une #condamnation sans équivoque des crimes du Hamas et du gouvernement israélien et avec une revendication de #paix_dans_la_justice. Nous appelons donc toutes les personnes partageant ces objectifs à réfléchir avec nous à l’organisation d’initiatives pour la paix et la justice qui ne sombreraient pas dans des logiques mortifères.

    https://juivesetjuifsrevolutionnaires.wordpress.com/2023/10/13/stop-aux-massacres-en-cours-a-gaza
    #7_octobre_2023 #Palestine #Israël #à_lire

  • Lettre ouverte à Routledge – Taylor & Francis Group
    https://academia.hypotheses.org/52769

    Censure académique des violences sexuelles et des abus de pouvoir : pas dans notre milieu universitaire ! #NotInOurAcademia #NoEnNuestraAcademia #NãoNaNossaAcademia #MeTooAcademia #MeTooESR Pour signer cette lettre, utiliser le formulaire sous ce lien et nous ajouterons votre nom. Les violences sexuelles sont très … Continuer la lecture →

    #Academic_Feminist_Fight_Club #Libertés_académiques_:_pour_une_université_émancipatrice #censure #Études_de_genre #Études_globales #publication_scientifique

  • World’s human migration patterns in 2000–2019 unveiled by high-resolution data

    Despite being a topical issue in public debate and on the political agenda for many countries, a global-scale, high-resolution quantification of migration and its major drivers for the recent decades remained missing. We created a global dataset of annual net migration between 2000 and 2019 (~10 km grid, covering the areas of 216 countries or sovereign states), based on reported and downscaled subnational birth (2,555 administrative units) and death (2,067 administrative units) rates. We show that, globally, around 50% of the world’s urban population lived in areas where migration accelerated urban population growth, while a third of the global population lived in provinces where rural areas experienced positive net migration. Finally, we show that, globally, socioeconomic factors are more strongly associated with migration patterns than climatic factors. While our method is dependent on census data, incurring notable uncertainties in regions where census data coverage or quality is low, we were able to capture migration patterns not only between but also within countries, as well as by socioeconomic and geophysical zonings. Our results highlight the importance of subnational analysis of migration—a necessity for policy design, international cooperation and shared responsibility for managing internal and international migration.

    https://www.nature.com/articles/s41562-023-01689-4

    La #carte_interactive développée:
    Net migration explorer


    https://vm0803.kaj.pouta.csc.fi/migrationShiny/R

    #données #migrations #cartographie #statistiques #visualisation #facteurs #migration_patterns #push-factors #facteurs_push #facteurs-push #urbanisation #climat #facteurs_climatiques #facteurs_socio-économiques #monde #sans_flèches

    ping @fil @reka

    • Una mappa senza precedenti dei flussi migratori negli ultimi 20 anni

      I fattori socioeconomici sono ancora la ragione principale che spinge le persone a lasciare la propria casa in cerca di condizioni di vita migliori. Questo è quanto emerge dalla mappa più dettagliata mai realizzata finora per ricostruire le migrazioni umane negli ultimi due decenni a livello globale.

      Basandosi su dati provenienti dalle rilevazioni statistiche internazionali e dai censimenti condotti dai singoli paesi, un team internazionale di demografi, geomorfologi, ingegneri ambientali e informatici hanno ricostruito con la più alta risoluzione mai ottenuta finora i flussi migratori a livello sia internazionale che subnazionale per il periodo compreso tra il 2000 e il 2019.

      Il processo di ricostruzione di queste complesse dinamiche demografiche è descritto in una recente pubblicazione su Nature Human Behaviour; gli autori hanno anche sviluppato una mappa interattiva, consultabile liberamente, che permette di distinguere i luoghi che hanno subito una migrazione netta positiva (in cui i tassi di immigrazione superano quelli di emigrazione), e quelli in cui, al contrario, la migrazione netta è negativa (e quindi i tassi di emigrazione superano quelli di immigrazione). Proprio l’alta risoluzione della mappa consente di rilevare differenze significative a livello internazionale, subnazionale e regionale. In Italia, ad esempio, la mappa mostra chiaramente una migrazione netta positiva nelle regioni del Nord e una negativa in quelle meridionali. Lo stesso vale anche per la Francia e il Portogallo (dove le regioni settentrionali sono caratterizzate da una migrazione netta positiva, al contrario di quelle meridionali).

      https://twitter.com/NatureHumBehav/status/1700112207973863647

      “A livello globale, il modello di migrazione più comune si sviluppa dalle aree rurali verso quelle urbane, come indicato dalla migrazione netta urbana positiva e dalla migrazione netta rurale negativa”, spiega Raya Muttarak, professoressa di demografia all’università di Bologna, che ha partecipato allo studio. “L’immigrazione netta positiva può contribuire alla crescita della popolazione urbana invertendo i naturali trend demografici in calo, com’è accaduto in alcuni paesi, tra cui Germania, Austria e Spagna”.

      I ricercatori hanno infatti confermato l’esistenza di una dinamica chiamata “urban pull-rural push” (letteralmente: “attrazione urbana-spinta rurale”) rilevata anche da alcuni studi precedenti sull’argomento, che descrive, sostanzialmente, il fenomeno per cui la migrazione netta nelle aree urbane è tendenzialmente positiva, mentre quella nelle aree rurali è negativa. In altre parole, il numero di persone che lasciano la campagna per trasferirsi in città è maggiore rispetto alla quantità di individui che fanno la scelta opposta. “La situazione “urban pull-rural push” rappresenta il modello migratorio più comune all’interno di quei paesi in cui le città offrono condizioni di vita desiderabili, che attraggono l’immigrazione, al contrario delle zone rurali, le cui caratteristiche spingono i residenti a trasferirsi altrove, in cerca di una vita migliore”, precisa Muttarak.

      Per individuare le ragioni che spiegano i flussi di popolazione a livello sia subnazionale che internazionale, i ricercatori hanno incrociato i dati demografici dei luoghi considerati con i relativi tassi di sviluppo socioeconomico e l’indice di aridità. I risultati di tale confronto mostrano come la migrazione netta positiva sia significativamente più alta nei luoghi caratterizzati da un alto tasso di sviluppo economico, più che da quelli con scarsi livelli di aridità. Sembra, in altre parole, che i migranti ambientali –coloro che lasciano il luogo in cui vivevano a causa dei danni dovuti a eventi climatici estremi (come le ondate di calore, le inondazioni o la siccità) – siano in minoranza rispetto alle persone che emigrano in cerca di migliori prospettive di carriera e stabilità finanziaria.

      Un altro aspetto di cui i ricercatori tengono conto è la valutazione dell’impatto del fenomeno migratorio sulle società di origine e di destinazione. “La mappa consente di analizzare le tendenze e i modelli migratori che a loro volta influenzano le dinamiche demografiche delle aree di partenza e di arrivo dei flussi migratori”, prosegue Muttarak. “È quindi possibile stimare l’impatto socioeconomico e ambientale legato al cambiamento demografico. Abbiamo scoperto che l’immigrazione netta positiva ha contribuito alla crescita della popolazione in particolare nelle aree ad alto tasso di sviluppo umano, suggerendo che le persone tendano maggiormente a trasferirsi verso questi luoghi”. Come scrivono gli autori nello studio, quando si verifica un afflusso consistente di popolazione in aree già densamente popolate, le infrastrutture, le risorse naturali e quelle umane possono essere messe a dura prova. Dall’altro lato, però, come accade in Europa, si abbassa l’età media della forza lavoro.

      In conclusione, in un’epoca come la nostra, in cui le migrazioni umane rappresentano un tema centrale nel dibattito pubblico internazionale, disporre di una mappa globale e ad alta risoluzione dei flussi migratori in tutto il mondo può rivelarsi particolarmente utile per scienziati e decisori politici. “Grazie al livello di granularità geografica dei nuovi dati e alla loro frequenza temporale – ovvero la disponibilità su base annuale – diventa possibile studiare le tendenze migratorie e i fattori che le determinano”, osserva Muttarak. “Ciò consente, ad esempio, di analizzare dettagliatamente come i fattori ambientali e climatici influiscano sulla migrazione a livello geografico. Sulla base delle tendenze migratorie nette diventa possibile anche identificare i punti caldi in cui si concentrano i flussi di popolazione e le aree in fase di declino demografico. Tali intuizioni possono aiutare i politici a elaborare strategie per la pianificazione urbana e lo sviluppo rurale”.

      https://ilbolive.unipd.it/it/news/mappa-senza-precedenti-flussi-migratori-ultimi-20

  • « La clandestinité a toujours fait partie des accessoires du pouvoir aristocratique (...) À l’opposé, le principe de la démocratie est lié à celui de la #publicité, et, dans le même esprit, à la tendance à proclamer des lois universelles et fondamentales. Car celles-ci s’appliquent à un nombre illimité de sujets et sont donc publiques dans leur essence. À l’inverse, l’utilisation du secret à l’intérieur du régime aristocratique n’est que la forme exacerbée de cette exclusion et de ces privilèges sociaux, pour l’amour desquels l’aristocratie répugne d’ordinaire à promulguer des lois fondées sur des principes universels. »_

    Georg Simmel, #Secret et sociétés secrètes, Circé, 1996, p. 92).

  • Leaked letter on intended Cyprus-Lebanon joint border controls: increased deaths and human rights violations

    In an increasingly worrying context for migrants and refugees in Cyprus, with the recent escalation of violent racist attacks and discrimination against refugees on the island and the continued pushback policy, civil society organisations raise the alarm concerning Cyprus’ increased support to the Lebanese Army to harden border control and prevent departures.

    A letter leaked on 26 September 2023 (https://www.philenews.com/kipros/koinonia/article/1389120/exi-metra-protini-ston-livano-i-kipros), from the Cypriot Interior Minister to his Lebanese counterpart, reveals that Cyprus will provide Lebanon with 6 vessels and speedboats by the end of 2024, trainings for the Lebanese Armed Forces, will carry out joint patrol operations from Lebanese shores, and will finance the salaries of members of the Lebanese Armed Forces “who actively contribute to the interception of vessels carrying irregular migrants to Cyprus”. In this way, by providing equipment, funding and training to the Lebanese Army, Cyprus will have a determining influence, if not effective control, on the interceptions of migrants’ boats in Lebanese territorial waters and forced returns (the so-called “pullbacks”), to Lebanon. This in violation of EU and international law, which is likely to trigger legal liability issues. As seen in numerous cases, refugees, especially Syrians, who are pulled back to Lebanon are at risk of detention, ill-treatment and deportations to Syria where they are subject to violence, arrest, torture, and enforced disappearance. The worsening situation of Syrian refugees in Lebanon, who face increasing violence and deportations, confirms that Lebanon is not a “safe” third country.

    As seen in the past with several examples from other examples at the EU’s external borders, (e.g. Turkey, Libya and most recently Tunisia), striking deals with EU neighboring countries of departure in order to increase border controls and contain migratory movements has several catastrophic consequences. Despite officially aiming at decreasing the number of lost lives, they actually increase border violence and deaths, leading to serious human rights abuses and violations of EU and international laws. They also foster a blackmail approach as third countries use their borders as leverage against European countries to get additional funds or negotiate on other sensitive issues, at the expense of people’s lives. All these contribute to having a negative impact on the EU and Member States’ foreign policy.

    As demonstrated by a recent article from the Mixed Migration Centre (https://mixedmigration.org/articles/how-to-break-the-business-model-of-smugglers), the most effective way to “disrupt the business model of smugglers” and reduce irregular departures, migrants’ dangerous journeys and the consequent losses of lives, is to expand legal migratory routes.

    By going in the complete opposite direction, Cyprus, for many years now, has prevented migrants, asylum seekers and refugees from reaching the island in a legal way and from leaving the island for other EU countries1. Cyprus has resorted to systematic practices of pushbacks sending refugees back to countries where they are at risk of torture, persecution and arbitrary detention, has intensified forced returns, has dismantled the reception and asylum system, and has fueled a toxic anti-refugee narrative that has led to indiscriminate violent attacks that were initially against Syrian refugees and their properties in #Chloraka (https://kisa.org.cy/sundays-pogrom-in-chloraka) and a few days later to against migrants and their properties in #Limassol (https://cde.news/racism-fuelled-violence-spreads-in-cyprus). More recently, Cyprus has also announced its willingness to push the EU and Member States to re-evaluate Syria’s status and consider the country as “safe” in order to forcibly return Syrian refugees to Syria – despite on-going clashes, structural human rights violations, crimes against humanity and war crimes.

    These deadly externalisation policies and unlawful practices have and continue to kill individuals and prevent them from accessing their rights. A complete change in migration and asylum policies is urgently needed, based on the respect of human rights and people’s lives, and on legal channels for migration and protection. Cyprus, as well as the EU and its Member States, must protect the human rights of migrants at international borders, ensure access to international protection and proper reception conditions in line with EU and international human rights law. They must open effective legal migratory pathways, including resettlement, humanitarian visas and labour migration opportunities; and they must respect their obligations of saving lives at sea and set up proper Search and Rescue operations in the Mediterranean.

    https://euromedrights.org/publication/leaked-letter-on-intended-cyprus-lebanon-joint-border-controls-increa

    #mourir_aux_frontières #frontières #droits_humains #asile #migrations #réfugiés #Chypre #Liban #racisme #attaques_racistes #refoulements #push-backs #militarisation_des_frontières #joint_operations #opérations_conjointes #aide #formation #gardes-côtes_libanaises #pull-backs #réfugiés_syriens #externalisation

  • Des #pratiques_policières et préfectorales illégales et alarmantes en guise de réponse à la demande de places d’hébergement d’urgence.

    Briançon, le 2 octobre 2023 - La semaine dernière, la préfecture des Hautes-Alpes a annoncé l’arrivée, dès le jeudi 21 septembre, de 84 effectifs supplémentaires dédiés au renforcement des contrôles à la frontière franco-italienne. Depuis, des #interpellations se multiplient autour de la frontière, jusque dans la ville de #Briançon, et même au-delà, où la police traque les personnes exilées pour les chasser de l’espace public. Or, si la préfecture se targue de respecter la loi, il n’en est rien et ces pratiques policières et préfectorales sont illégales et dangereuses.

    Les pratiques en matière de contrôles des personnes exilées dans la ville de Briançon ont changé depuis jeudi dernier : chaque jour, plus d’une dizaine de personnes ont été retenues au poste de police, parfois une nuit entière, suite à des contrôles d’identité dans la ville même, fait plutôt rare jusqu’ici. Les exilé.e.s sont poursuivi.e.s au-delà même de Briançon, dans le train, les bus, et jusqu’à Paris, où vendredi matin (29 septembre) une armada de policiers les attendaient à la descente du train de nuit à la gare d’Austerlitz. La présence policière est également renforcée à Marseille, Gap ou Grenoble.

    Ces contrôles ciblent les personnes racisées, et sont suivies par des retenues au commissariat pouvant aller jusqu’à 24 heures, qui se soldent par des mesures d’éloignement : des OQTF (obligation de quitter le territoire français) sans délai, parfois suivies par des placements en CRA (centre de rétention) dans des villes éloignées, comme Toulouse.

    Dans la ville frontalière de Briançon, ces vagues d’interpellations dissuadent les personnes exilées de circuler, elles ne sont donc en sécurité que dans le seul lieu d’accueil actuellement ouvert, un bâtiment occupé en autogestion. La société publique locale Eau Service de la Haute Durance, dont le président n’est autre que le maire de Briançon, M. MURGIA, a coupé l’approvisionnement en eau courante de ce bâtiment le 17 août 2023. Aggravant la précarité des personnes accueillies, cette décision a de fortes répercussions pour la santé et le respect des droits fondamentaux des personnes. (Le lieu accueillant l’association Refuges solidaires a fermé fin août, ne pouvant assurer seul l’hébergement d’urgence à Briançon.)

    Des ordres ont été donné par le préfet pour augmenter la présence policière dans la ville de Briançon. L’augmentation des contrôles d’identité viserait à prévenir la recrudescence des « incivilités » liées au contexte de pression migratoire. Les forces de l’ordre répètent que les contrôles qu’ils opèrent dans la ville de Briançon sont des contrôles dits « Schengen »[1], possibles dans une bande de 20 km après la frontière, visant à rechercher et prévenir la criminalité transfrontalière.

    Or, le fait de franchir une frontière irrégulièrement, ou de se maintenir sur le territoire français irrégulièrement ne sont pas des infractions permettant de justifier un contrôle d’identité. En aucun cas, la police ne peut déduire que la personne est étrangère à cause d’un critère inhérent à la personne contrôlée (couleur de peau, d’yeux, de cheveux, vêtements, etc..). Ces contrôles sont restreints dans le temps : pas plus de douze heures consécutives. Or, ils sont permanents dans la zone frontalière briançonnaise. Dans les faits, ce sont bien des contrôles au faciès qui sont menés, car ce sont bien les personnes racisées qui sont la cible de ces contrôles, qui ne semblent justifiés par aucun motif précis. A moins que le simple fait de dormir dans la rue soit considéré cyniquement comme une infraction par l’État, ou une « incivilité » alors même que celui-ci se place dans l’illégalité en n’ouvrant pas de places d’hébergement d’urgence dans le département ? Ces contrôles au faciès font plutôt penser à une réelle volonté du préfet de supprimer la présence des personnes exilées de l’espace public.

    Par ailleurs, la CJUE (Cour de justice de l’Union européenne) a bien rappelé dans sa décision[2] du 21 septembre que la France met en place des pratiques illégales en termes de contrôles et d’enfermement aux frontières intérieures, et qu’elle est tenue de se conformer aux textes européens, ce qu’elle ne fait pas.

    Ces pratiques répondent à la même logique que celle dénoncée par nos associations depuis maintenant plusieurs années à la frontière : une volonté politique d’empêcher à tout prix les personnes exilées de circuler, en faisant fi des textes de loi qui encadrent à la fois les contrôles d’identité et les procédures de non-admissions sur le territoire. Aussi, la réponse de l’Etat est une fois de plus de faire croire qu’il est possible « d’étanchéifier » la frontière, en déployant pour cela des moyens dispendieux.

    Or, Médecins du Monde et Tous migrants ont mené une enquête sur une semaine à la fin du mois d’août, et les résultats de nos observations confirment ce que nous documentons depuis plusieurs années : ce dispositif de contrôle de la frontière met en danger les personnes. Il n’empêche absolument pas les personnes exilées d’entrer en France, mais accroît par contre leur vulnérabilité en rendant le passage plus difficile, plus dangereux.

    Les récits des personnes qui traversent la frontière sont édifiants : contrôles par surprise, courses-poursuites par les forces de l’ordre, qui provoquent des chutes, avec des fractures, des entorses ou encore des pertes de connaissance. Marchant en moyenne 10 heures depuis l’Italie pour atteindre Briançon, les personnes font état de leur extrême fatigue, de déshydratation, et du risque de se perdre en montagne. Certain.es ont passé plus de 48 heures en montagne, parfois sans boire ni manger. Cette énième traversée de frontières avec des tentatives de passage souvent multiples s’ajoute à un parcours migratoire extrêmement éprouvant et crée de plus des reviviscences traumatiques susceptibles ensuite de se traduire par des altérations de la santé mentale. Les récits recueillis ces dernières semaines et les observations de Médecins du Monde lors des permanences médicales confirment ces pratiques.

    La plupart des personnes qui traversent la frontière sont originaires des pays d’Afrique sub-saharienne, et plus récemment du Soudan, et relèvent du droit d’asile ou de la protection subsidiaire. Les refouler en Italie de manière systématique et collective ignore le droit d’asile européen. De même, prendre à leur encontre des mesures d’éloignement (OQTF) vers leurs pays d’origine, où elles risquent la mort ou la torture, est contraire au principe de non-refoulement (article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés).

    [1] Encadrés par le Code de procédure pénale, article 78-2 alinéa 5
    [2] Contrôle des frontières : le gouvernement contraint de sortir de l’illégalité - Alerte presse inter-associative- 21 septembre 2023. http://www.anafe.org/spip.php?article694

    communiqué de presse Tous Migrants (co-signée avec Médecins du Monde), reçu le 3 octobre 2023 via la newsletter de Tous Migrants

    #frontière_sud-alpine #frontières #asile #migrations #contrôles_frontaliers #Hautes-Alpes #traque #espace_public #contrôles_d'identité #ville #Paris #Marseille #Gap #Grenoble #gare #contrôles_au_faciès #OQTF #CRA #détention_administrative #squat #présence_policière #incivilités #zone_frontalière #SDF #hébergement #non-admission #vulnérabilisation #courses-poursuites #France #Italie #dangers #risques #montagne #refoulements #push-backs

    • Ritorno a #Oulx, sulla frontiera alpina. Aumentano i transiti, i respingimenti sono sistematici

      Sono già diecimila i passaggi monitorati quest’anno allo snodo Nord-occidentale, in forte aumento rispetto al 2022 quando furono in tutto 12mila. La stretta sorveglianza del confine da parte francese e il mancato accesso ai diritti sul territorio italiano, se non per iniziative volontarie, colpiscono duramente i migranti. Il reportage

      Per le strade di Briançon, primo Comune francese subito dopo il confine con l’Italia alla frontiera Nord-occidentale, non c’è quasi nessuno. È una notte fonda dei primi d’ottobre quando all’improvviso sbuca un gruppo di ragazzi che si dirige con passo svelto verso la stazione: cercano un luogo dove potersi riposare. Intorno è tutto chiuso e avrebbero bisogno almeno di bere un sorso d’acqua, ma la gioia di essere riusciti ad arrivare in Francia compensa la necessità di dormire e di mangiare.

      “Ce l’abbiamo fatta”, dice sorridendo uno di loro. Sono in cinque, tutti provenienti dal Niger e tra loro c’è anche un minorenne. “Abbiamo camminato per otto ore -racconta- ci siamo fermati solo per nasconderci dalla polizia in mezzo agli alberi. Oppure ci siamo sdraiati per terra quando sentivamo un rumore dal cielo”.

      A far paura in questi giorni non sono solo i gendarmi appostati con i binocoli ma anche i droni che il governo francese sta usando per bloccare quanti più transitanti possibile. Dotati di visori termici, sono in grado di stanare i ragazzi anche di notte ed è per questo che i “cacciati” tendono a salire sempre più in cima, oltre i duemila metri. In questo modo il loro tragitto, di per sé già complicato, diventa ancora più pericoloso, soprattutto con la neve e il ghiaccio. Il gruppo arrivato a Briançon saluta e si nasconde nel buio per trovare un posto dove riposare qualche ora. C’è da aspettare l’alba, quando con un treno o con un autobus si tenterà di proseguire il viaggio verso una delle principali città francesi.

      “C’è mio fratello che mi aspetta”, racconta un sedicenne mentre riempie la bottiglietta alla fontanella del centro di Claviere (TO), l’ultimo Comune italiano prima del confine. È pomeriggio e il sole è decisamente caldo per essere ottobre, ma lui indossa una giacca a vento e una sciarpa pronta a far da cappello se in nottata la temperatura dovesse scendere. Aspetta insieme a un gruppo di giovani che si faccia buio per salire in montagna. “Non ho paura della montagna. Ho paura di essere preso dalla polizia e di essere rimandato indietro -continua-. Ma tanto ci riprovo”. Un secondo ragazzo racconta di essere già stato respinto due volte: “Ma prima o poi ce la faccio. Sono stato picchiato tante volte lungo il viaggio, torturato e minacciato. Il buio e la montagna non potranno mai essere peggio”. Del freddo sì, qualcuno ha paura.

      La maggior parte delle persone che si apprestano ad attraversare le Alpi non ha idea di quanto le temperature possano scendere in montagna. In questi giorni di caldo decisamente anomalo, poi, non credono a chi li avverte che potrebbero soffrire il freddo e battere i denti. E così al rifugio “Fraternità Massi” di Oulx i volontari devono convincerli a prendere la felpa e a indossare i calzettoni prima di infilare gli scarponi da montagna.

      Questo luogo è diventato negli anni un punto di riferimento fondamentale per i migranti che vogliono lasciare l’Italia e raggiungere la Francia. Ma negli ultimi mesi il flusso di persone che ogni giorno arrivano è cresciuto fino a raggiungere livelli insostenibili. “All’anno scorso ne arrivavano tra le cinquanta e le cento al giorno. Ma i momenti di sovraffollamento erano poco frequenti -spiega una delle volontarie-. Arrivavano soprattutto dalla rotta balcanica: erano siriani, afghani, palestinesi, bengalesi. C’era anche qualche persona nordafricana. Oggi, invece, arrivano quasi esclusivamente migranti provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana sbarcati nelle scorse settimane a Lampedusa o in altre località del Sud”.

      In questi giorni al rifugio i volontari sono sotto pressione: arrivano fino a 250 persone a notte ma i posti a disposizione sono solo 80. “È chiaro che dover aiutare così tante persone ha messo a dura prova l’organizzazione -spiega don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno (TO) che gestisce la struttura-. Significa farli dormire per terra, faticare per offrire a tutti un piatto di pasta o per vestirli in maniera adeguata ad affrontare la montagna”. Il rifugio è un luogo sicuro, dove le persone in transito sanno di poter trovare le cure di cui hanno bisogno dal momento che è sempre presente il presidio di due associazioni che offrono assistenza medico-sanitaria: Rainbow for Africa e Medici per i diritti umani (Medu). Ma soprattutto sanno che possono cambiare le scarpe, spesso lacere e inadeguate. “La maggior parte di chi arriva qui lo fa con le infradito ai piedi -racconta Sofia, una delle volontarie- indossando magliette e pantaloncini. Non possono andare in montagna così”.

      Al mattino gli ospiti del rifugio si mettono in fila al guardaroba, una stanza al pian terreno dell’edificio dove si può trovare tutto il necessario per questa nuova tappa del viaggio: scarpe, pantaloni, maglie, giacconi, guanti, calzettoni, cappellini e zaini per uomini, donne e bambini. Tutto viene catalogato per taglia e tipologia.

      “Shoes, chaussures, scarpe. Non vanno bene quelle”, spiegano i volontari. Le persone si lasciano consigliare ma alcune, soprattutto i più giovani, sgranano gli occhi di fronte a felpe colorate e giacche morbide.

      E così, imbacuccati e attrezzati, aspettano l’autobus per Claviere. “Ho 18 anni -dice uno di loro- ma sono partito quando ne avevo 16. Sono due anni che cerco di salvarmi la vita e ora sono nelle mani di Dio”. La maggior parte dei migranti che in questi giorni stanno tentando di attraversare le Alpi è sbarcata nelle scorse settimane a Lampedusa e in poco tempo ha raggiunto il confine: “Non vogliamo rimanere in Italia, abbiamo tutti famiglia o amici che ci aspettano in Francia o in Belgio -spiega Hassan a nome dei suoi compagni di viaggio-. Abbiamo una casa e forse anche un lavoro ad aspettarci”.

      Tra i migranti al rifugio di Oulx ci sono anche molte donne con bambini piccoli. Per loro la traversata in montagna è ancora più difficile, ma non c’è alternativa. Ismael sta imparando a camminare proprio in questi giorni, aggrappandosi alle gambe delle sedie e appoggiandosi alle mani di tanti sconosciuti che gli sorridono. “Non ha paura di niente”, ammette la madre. Insieme a un piccolo gruppo, anche lei tenterà di raggiungere Briançon.

      Intanto è ora di lasciare il rifugio per andare alla stazione e salire sull’autobus. Biglietto alla mano le persone prendono posto e salutano i volontari, sperando davvero di non rivederli più. Se dovessero ripresentarsi a sera tarda o la mattina seguente vorrà dire che la polizia francese li avrà presi e respinti.

      A riportare i migranti al rifugio è un mezzo della Croce Rossa che fa la spola, anche più volte al giorno, tra Monginevro e Oulx. Seguiamo l’autobus per ritornare a Claviere: mentre un gruppo s’inerpica su per la montagna, un furgoncino torna giù con a bordo cinque persone bloccate la sera precedente. È un meccanismo perverso a regolare questo passaggio a Nord-Ovest, l’ennesimo che i migranti subiscono durante il loro viaggio. Mentre sulle montagne va in scena la caccia all’uomo e i bambini sono rimpallati come biglie, i governi europei giocano al braccio di ferro, senza pensare a canali legali che possano garantire sicurezza e rispetto dei diritti umani.

      https://www.youtube.com/watch?v=z_MO67A_-nQ&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      https://altreconomia.it/ritorno-sulla-frontiera-alpina-a-oulx-aumentano-i-transiti-i-respingime

    • La denuncia di MEDU: «Respinti anche se minorenni»

      È quel che sta accadendo al confine italo-francese

      Siamo al confine alpino tra Italia e Francia. Più precisamente a Oulx in Alta Val di Susa, al #Rifugio_Fraternità_Massi. Un edificio di solidarietà, assistenza e cura gestito in maniera coordinata da un pool di professionisti e volontari, in cui ognuno opera con compiti specifici assegnati in base all’esperienza, alle competenze alle finalità dell’organizzazione di appartenenza. Un “luogo sicuro” dove poter riposare per una notte, trovare abiti puliti, un pasto dignitoso e ricevere assistenza medica prima di riprendere il proprio viaggio verso la Francia.

      Qui MEDU (Medici per i diritti umani) da inizio del 2022 fornisce assistenza medica alle migliaia di persone migranti diretti in Francia presso l’ambulatorio allestito dall’associazione Rainbow for Africa (R4A) al Rifugio. L’associazione garantisce la presenza di un medico, di una coordinatrice e di un mediatore linguistico – culturale. In particolare, il medico si occupa sia di fornire assistenza sanitaria ai pazienti che di coordinare le attività sanitarie svolte dalle organizzazioni e dai medici volontari presenti presso il rifugio.

      Nell’ultimo web report pubblicato nel mese di maggio del 2023 le autrici descrivono Oulx come una delle ultime tappe di un lungo viaggio, che può durare dai 2 ai 6 anni e che può costare dai 2 agli 8 mila euro. «Un viaggio che collega l’Afghanistan, la Siria, l’Iran e molti paesi africani con i paesi del nord Europa e dell’Europa centrale, attraverso valichi alpini che superano i 1.800 metri di quota».

      Sono numerosi i minori non accompagnati che ogni giorno raggiungono il Rifugio Fraternità Massi.

      «Negli ultimi mesi, in concomitanza con l’aumento degli arrivi via mare», spiega l’organizzazione umanitaria, «il numero delle presenze è aumentato in modo significativo: a fronte di una capienza di 70 posti, si registrano anche 230 presenze in una sola notte presso il rifugio, tra cui donne e minori».

      Sono tantissime le testimonianze, raccolte da MEDU, di minori non accompagnati che sono stati respinti al controllo di frontiera perché al momento dell’ingresso in Italia sono stati registrati – per loro stessa dichiarazione o per errore – come maggiorenni. Nonostante il loro tentativo di dichiarare la vera età al confine, vengono comunque respinti in Italia, invece di accedere alla procedura di asilo in Francia.

      «Non riconoscere la minore età al confine vuol dire esporre i minori ai rischi derivanti dall’attraversamento della frontiera a piedi, di notte, lungo sentieri di montagna impervi e pericolosi, soprattutto nei mesi invernali. A questi, si aggiunge il rischio di consegnarli alle reti dell’illegalità e dello sfruttamento» denuncia MEDU.

      «Stiamo continuando a garantire ascolto e cure alle persone accolte presso il rifugio e a portare all’attenzione dell’opinione pubblica le loro storie» – conclude l’organizzazione – «che raccontano nella maggior parte dei casi di violazioni e abusi subìti lungo le rotte migratorie».

      https://www.meltingpot.org/2023/10/la-denuncia-di-medu-respinti-anche-se-minorenni
      #mineurs #MNA #val_de_suse

  • La chute du Heron blanc, ou la fuite en avant de l’agence #Frontex

    Sale temps pour Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières : après le scandale des pushbacks dans les eaux grecques, qui a fait tomber son ex-directeur, l’un de ses drones longue portée de type Heron 1, au coût faramineux, s’est crashé fin août en mer ionienne. Un accident qui met en lumière la dérive militariste de l’Union européenne pour barricader ses frontières méridionales.

    Jeudi 24 août 2023, un grand oiseau blanc a fait un plongeon fatal dans la mer ionienne, à 70 miles nautiques au large de la Crète. On l’appelait « Heron 1 », et il était encore très jeune puisqu’il n’avait au compteur que 3 000 heures de vol. Son employeur ? Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes chargée depuis 2004 de réguler les frontières européennes, avec un budget sans cesse en hausse.

    Le Heron 1 est désigné dans la terminologie barbare du secteur de l’armement comme un drone MALE (Medium Altitude Long Endurance) de quatrième génération, c’est-à-dire un engin automatisé de grande taille capable de voler sur de longues distances. Frontex disposait jusqu’au crash de seulement deux drones Heron 1. Le premier a été commandé en octobre 2020, quand l’agence a signé un contrat de 50 millions d’euros par an avec Airbus pour faire voler cet appareil en « leasing » – Airbus passant ensuite des sous-contrats, notamment avec le constructeur israélien IAISystem
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    – pour un total de 2 400 heures de vol, et avec des dépassements qui ont fait monter la facture annuelle. En clair, le coût de fonctionnement de ce drôle d’oiseau est abyssal. Frontex rechigne d’ailleurs à entrer dans les détails, arguant de « données commerciales sensibles », ainsi que l’explique Matthias Monroy, journaliste allemand spécialisé dans l’aéronautique : « Ils ne veulent pas donner les éléments montrant que ces drones valent plus cher que des aéroplanes classiques, alors que cela semble évident. »
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    La nouvelle de la chute de l’onéreux volatile n’a pas suscité beaucoup de réactions publiques – il n’en est quasiment pas fait mention dans les médias autres que grecs, hormis sur des sites spécialisés. On en trouve cependant une trace sur le portail numérique du Parlement européen, en date du 29 août 2023. Ce jour-là, Özlem Demirel, députée allemande du parti de gauche Die Linke, pose la question « E-002469/2023 » (une interpellation enregistrée sous le titre : « Crash of a second long-range drone operated on Frontex’s behalf »), dans laquelle elle interroge la fiabilité de ces drones. Elle y rappelle que, déjà en 2020, un coûteux drone longue distance opéré par Frontex s’était crashé en mer – un modèle Hermes 900 cette fois-ci, tout aussi onéreux, bijou de l’israélien Elbit Systems. Et la députée de demander : « Qui est responsable ? »

    Une question complexe. « En charge des investigations, les autorités grecques détermineront qui sera jugé responsable, explique Matthias Monroy. S’il y a eu une défaillance technique, alors IAI System devra sans doute payer. Mais si c’est un problème de communication satellite, comme certains l’ont avancé, ou si c’est une erreur de pilotage, alors ce sera à Airbus, ou plutôt à son assureur, de payer la note. »
    VOL AU-DESSUS D’UN NID D’EMBROUILLES

    Le Heron 1 a la taille d’un grand avion de tourisme – presque un mini-jet. D’une envergure de 17 mètres, censé pouvoir voler en autonomie pendant 24 heures (contre 36 pour le Hermes 900), il est équipé de nombreuses caméras, de dispositifs de vision nocturne, de radars et, semble-t-il, de technologies capables de localiser des téléphones satellites
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    . Détail important : n’étant pas automatisé, il est manœuvré par un pilote d’Airbus à distance. S’il est aussi utilisé sur des théâtres de guerre, notamment par les armées allemande et israélienne, où il s’est également montré bien peu fiable
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    , sa mission dans le cadre de Frontex relève de la pure surveillance : il s’agit de fournir des informations sur les embarcations de personnes exilées en partance pour l’Europe.

    Frontex disposait de deux drones Heron 1 jusqu’au crash. Airbus était notamment chargé d’assurer le transfert des données recueillies vers le quartier général de Frontex, à Varsovie (Pologne). L’engin qui a fait un fatal plouf se concentrait sur la zone SAR(Search and Rescue
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    ) grecque et avait pour port d’attache la Crète. C’est dans cette même zone SAR que Frontex a supervisé plus ou moins directement de nombreux pushbacks (des refoulements maritimes), une pratique illégale pourtant maintes fois documentée, ce qui a provoqué un scandale qui a fini par contraindre le Français Fabrice Leggeri à démissionner de la tête de l’agence fin avril 2022. Il n’est pas interdit de penser que ce Heron 1 a joué en la matière un rôle crucial, fournissant des informations aux gardes-côtes grecs qui, ensuite, refoulaient les embarcations chargées d’exilés.

    Quant à son jumeau, le Heron positionné à Malte, son rôle est encore plus problématique. Il est pourtant similaire à celui qui s’est crashé. « C’est exactement le même type de drone », explique Tamino Bohm, « tactical coordinator » (coordinateur tactique) sur les avions de Sea-Watch, une ONG allemande de secours en mer opérant depuis l’île italienne de Lampedusa. Si ce Heron-là, numéro d’immatriculation AS2132, diffère de son jumeau, c’est au niveau du territoire qu’il couvre : lui survole les zones SAR libyennes, offrant les informations recueillies à ceux que la communauté du secours en mer s’accorde à désigner comme les « soi-disant gardes-côtes libyens »
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    – en réalité, des éléments des diverses milices prospérant sur le sol libyen qui se comportent en pirates des mers. Financés en partie par l’Union européenne, ils sont avant tout chargés d’empêcher les embarcations de continuer leur route et de ramener leurs passagers en Libye, où les attendent bien souvent des prisons plus ou moins clandestines, aux conditions de détention infernales
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    .

    C’est ainsi qu’au large de Lampedusa se joue une sorte de guerre aérienne informelle. Les drones et les avions de Frontex croisent régulièrement ceux d’ONG telles que Sea-Watch, dans un ballet surréaliste : les premiers cherchant à renseigner les Libyens pour qu’ils arraisonnent les personnes exilées repérées au large ; les seconds s’acharnant avec leurs maigres moyens à documenter et à dénoncer naufrages et refoulements en Libye. Et Tamino d’asséner avec malice : « J’aurais préféré que le drone crashé soit celui opérant depuis Malte. Mais c’est déjà mieux que rien. »
    BUDGET GONFLÉ, MANDAT ÉLARGI

    Tant que l’enquête sur le crash n’aura pas abouti, le vol de drones Heron 1 est suspendu sur le territoire terrestre et maritime relevant des autorités grecques, assure Matthias Monroy (qui ajoute que cette interdiction s’applique également aux deux drones du même modèle que possède l’armée grecque). Le crash de l’un de ses deux Heron 1 est donc une mauvaise nouvelle pour Frontex et les adeptes de la forteresse Europe, déjà bien éprouvés par les arrivées massives à Lampedusa à la mi-septembre et l’hospitalité affichée sur place par les habitants. À l’image de ces murs frontaliers bâtis aux frontières de l’Europe et dans l’espace Schengen – un rapport du Parlement européen, publié en octobre 2022 « Walls and fences at EU borders » (https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2022)733692), précise que l’on en est à 2 035 kilomètres de barrières frontalières, contre 315 en 2014 –, matérialisation d’un coûteux repli identitaire clamant une submersion fantasmée, il est évident que la démesure sécuritaire ne freine en rien les volontés de rejoindre l’Europe.

    Ce ne sont pourtant pas les moyens qui manquent. Lors de sa première année d’opérations, en 2005, Frontex disposait d’un budget de 6 millions d’euros. Depuis, celui-ci n’a cessé d’enfler, pour atteindre la somme de 845,4 millions d’euros en 2023, et un effectif de plus de 2 100 personnels – avec un budget prévisionnel 2021-2027 de 11 milliards d’euros et un objectif de 10 000 gardes d’ici à 2027 (dont 7 000 détachés par les États membres).

    Depuis 2019, Frontex dispose d’un mandat élargi qui autorise l’acquisition et la possession d’avions, de drones et d’armes à feu. L’agence s’est aussi géographiquement démultipliée au fil de temps. Ses effectifs peuvent aussi bien patrouiller dans les eaux de Lampedusa que participer à des missions de surveillance de la frontière serbo-hongroise, alors que son rôle initial était simplement d’assister les pays européens dans la gestion de leurs frontières. L’agence européenne joue aussi un rôle dans la démesure technologique qui se développe aux frontières. Rien que dans les airs, l’agence se veut novatrice : elle a déjà investi plusieurs millions d’euros dans un projet de #zeppelin automatisé relié à un câble de 1 000 mètres, ainsi que dans le développement de drones « #quadcopter » pesant une dizaine de kilos. Enfin, Frontex participe aussi à la collecte généralisée de #données migratoires dans le but d’anticiper les refoulements. Elle soutient même des projets visant à gérer les flux humains par #algorithmes.

    Traversée comme les armées par une culture du secret, l’agence s’est fait une spécialité des zones grises et des partenariats opaques, tout en prenant une place toujours plus importante dans la hausse de la létalité des frontières. « Frontex est devenue l’agent de la #militarisation_des_frontières européennes depuis sa création, résume un rapport de la Fondation Jean-Jaurès sorti en juillet 2023. Fondant son fonctionnement sur l’#analyse_des_risques, Frontex a contribué à la perception des frontières européennes comme d’une forteresse assiégée, liant le trafic de drogue et d’êtres humains à des mouvements migratoires plus larges. »

    « VOUS SURVEILLEZ LES FRONTIÈRES, NOUS VOUS SURVEILLONS »

    Dans sa volonté d’expansion tous azimuts, l’agence se tourne désormais vers l’Afrique, où elle œuvre de manière plus ou moins informelle à la mise en place de politiques d’#externalisation des frontières européennes. Elle pèse notamment de tout son poids pour s’implanter durablement au #Sénégal et en #Mauritanie. « Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la Direction nationale de lutte contre le trafic de migrants. Ces sites sont équipés d’un luxe de #technologies de #surveillance_intrusive : outre la petite mallette noire [contenant un outil d’extraction des données], ce sont des #logiciels d’#identification_biométrique des #empreintes_digitales et de #reconnaissance_faciale, des drones, des #serveurs_numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore », révèle une enquête du journal étatsunien In These Times. Très impopulaire sur le continent, ce type de #néocolonialisme obsidional se déploie de manière informelle. Mais il porte bien la marque de Frontex, agence agrippée à l’obsession de multiplier les murs physiques et virtuels.

    Au Sénégal, pour beaucoup, ça ne passe pas. En août 2022, l’association #Boza_Fii a organisé plusieurs journées de débat intitulées « #Pushback_Frontex », avec pour slogan : « Vous surveillez les frontières, nous vous surveillons ». Une manifestation reconduite en août 2023 avec la mobilisation « 72h Push Back Frontex ». Objectif : contrer les négociations en cours entre l’Union européenne et le Sénégal, tout en appelant « à la dissolution définitive de l’agence européenne de gardes-frontières ». Sur RFI, son porte-parole #Saliou_Diouf expliquait récemment son point de vue : « Nous, on lutte pour la #liberté_de_circulation de tout un chacun. […] Depuis longtemps, il y a beaucoup d’argent qui rentre et est-ce que ça a arrêté les départs ? »

    Cette politique « argent contre muraille » est déployée dans d’autres États africains, comme le #Niger ou le #Soudan. Frontex n’y est pas directement impliquée, mais l’Europe verse des centaines de millions d’euros à 26 pays africains pour que des politiques locales visant à bloquer les migrations soient mises en place.

    « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires », assure Mbaye Diop, travailleur humanitaire dans un camp de la Croix-Rouge situé à la frontière entre le Sénégal et la Mauritanie, dans l’enquête de In These Times. Un constat qui vaut de l’autre côté de la Méditerranée : dans un tweet publié après le crash du Heron 1, l’ONG Sea-Watch observait qu’avec les 50 millions alloués à Airbus et à ses sous-traitants pour planter son Heron dans les flots, « on pourrait faire voler pendant 25 ans nos avions de secours Seabird 1 et Seabird 2 ».

    https://afriquexxi.info/La-chute-du-Heron-blanc-ou-la-fuite-en-avant-de-l-agence-Frontex

    #drones #Heron_1 #frontières #surveillances_des_frontières #contrôles_frontaliers #migrations #asile #réfugiés #drone_MALE (#Medium_Altitude_Long_Endurance) #crash #Airbus #complexe_militaro-industriel #IAI_System #coût #prix #budget #chute #fiabilité #Hermes_900 #Elbit_Systems #données #push-backs #refoulements #AS2132 #Libye #guerre_aérienne_informelle #biométrie

  • La lutte féministe et le piège du punitivisme
    https://www.revolutionpermanente.fr/La-lutte-feministe-et-le-piege-du-punitivisme

    De #MeToo au mouvement Ni Una Menos en Argentine ou en Italie, en passant par le plus récent #SeAcabó des footballeuses espagnoles, l’accent a été mis sur la violence de genre et sur la manière d’y faire face, en dénonçant les féminicides et les multiples agressions et abus sexuels qui se produisent sur les lieux de travail et dans d’autres sphères sociales. Le mouvement des femmes a contesté la naturalisation de ces agressions et abus, ce qui a constitué un grand pas en avant. Cependant, lorsqu’il a fallu articuler des stratégies de lutte, des objectifs et des programmes politiques, de profondes divergences sont apparues au sein du féminisme. Si dans les premières années de cette nouvelle vague féministe, les courants du féminisme radical, défendant des conceptions séparatistes et parfois essentialistes, étaient assez hégémoniques, récemment des voix se sont faites entendre à gauche pour remettre en cause ce que l’on peut appeler une dérive punitiviste du féminisme. Dans cet article, nous proposons un aperçu de certaines de ces critiques, pour ensuite approfondir le point de vue et le programme d’un féminisme socialiste à ce sujet.

    #féminisme #punitivisme #anticarcéral #abolitionnisme #justice