#quand_eux_c'était_nous

  • The #Milky_Way

    Les Alpes occidentales entre l’Italie et la France ont été au fur et à mesure des siècles une frontière naturelle, ainsi qu’un lieu de passage et de rencontre. Ses cols constituent une terre de connexion, de médiation entre peuples et cultures différents. L’histoire plus récente nous raconte que ces deux cents dernières années, c’étaient les Italiens qui traversaient clandestinement la frontière pour aller chercher du travail en France alors qu’aujourd’hui c’est une route utilisée notamment par des migrants d’origine africaine.
    Les politiques récentes de fermeture des frontières internes européennes ont poussé les personnes migrantes à rechercher des sentiers moins battus pour quitter l’Italie et continuer leur voyage au-delà de la frontière française, des sentiers de haute montagne comme ceux qui longent le domaine skiable « La voie lactée », à la frontière entre Claviere (IT) et Montgenèvre (FR).
    De jour, les pistes de ski sont un lieu d’amusement, de sport et de détente ; de nuit, elles se transforment en un théâtre de la peur, du danger et des violations des droits humains : les migrants, peu préparés et mal équipés, s’aventurent sur les sentiers en défiant l’obscurité, le froid et les contrôles des autorités françaises et en risquant leur vie.
    The Milky Way est un film choral qui retrace des histoires d’activistes, habitants des montagnes tout en proposant la reconstruction historique de l’émigration italienne des années 50 dans une graphic novel animée. Il raconte aussi les histoires des migrants mis à l’abri par des personnes solidaires des deux côtés de la frontière et met en lumière l’humanité qui refait surface quand le danger imminent réactive la solidarité, se basant sur la conviction que personne ne doit être laissé seul. Personne ne se sauve tout seul.

    https://www.milkywaydoc.com/lle-film/?lang=fr

    Trailer :
    https://vimeo.com/387650575

    #film #documentaire #film_documentaire
    #migrations #réfugiés #asile #montagne #frontière #frontières #frontière_sud-alpine #France #Alpes #Italie #clandestins #décès #morts #secours #passeurs #migrants_italiens #Bardonecchia #Col_de_l'Echelle #solidarité #Moncenisio #Montcenis #Claviere #Clavière #quand_eux_c'était_nous #histoire #colle_della_rho #Briançon #Refuge_solidaire #Briançon #maraudeur #maraudes #Névache #traque #chasse_à_l'homme #Col_de_la_Roue

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    Citation :

    « La montagne partage les eaux et unit les gens »

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    Citation, #Davide_Rostan, à partir de la minute 26’20 :

    Siamo al Lago del Moncenisio, questo è un colle di passaggio sin dall’Antichità. E’ un luogo importante per la nostra storia perché in qualche modo simboleggia il fatto che le popolazioni hanno attraversato questi confini dai tempi antichissimi, che è lo stesso tragitto che oggi molti migranti vogliono fare. L’anno scorso riuscivano più spesso dal Monginevro a scendere con l’autobus o in macchina con delle persone che portavano aiuto per evitare che rimanessero al freddo. Il Monginevro è il colle più facile, passa la strada, è aperta tutto l’anno. Le persone che arrivano scendono con il treno a #Oulx, prendono l’autobus, arrivano a Claviere e lì si avviano a piedi. Quest’anno i controlli sono aumentati, quindi molto spesso chi arriva a Claviere poi si deve fare una quindicina di chilometri fino a Briançon e sicuramente questo mette a rischio la loro vita, perché in qualche modo per non farsi fermare attraversano il valico di notte, non possono stare sull’autobus, sono costretti a camminare in mezzo alla neve. Una persona è morta proprio tentando da Bardonecchia di andare a scavalcare il Colle della Rho, questo ragazzo è stato ritrovato l’anno scorso in fondo a un burrone dove probabilmente era finito a causa di una slavina. Altri invece sono morti dopo aver scavalcato il colle del Monginevro, alcune rincorse dalla polizia sono finite nel fiume, altre si sono perse nei boschi sono morti di sfinimento o per il freddo. E tutto questo purtroppo è dovuto semplicemente alle nostre leggi.

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  • Quando eravamo noi i migranti: mille storie italiane in un archivio da rileggere e rivivere

    Nasce ’Italiani all’estero, i diari raccontano’ (http://www.idiariraccontano.org). Un sito per navigare, anche attraverso una mappa, storie piccole e dimenticate di discriminazioni, dolore, coraggio e forza di ripartire.

    Ci sono i transatlantici entrati nella storia della navigazione e le banchine di porti che oggi vedono solo container. C’è il coraggio di partire e c’è la voglia di raccontare come, alla fine, si è riusciti a farcela, a garantire un futuro a sé stessi e ai propri figli. C’è sofferenza e disperazione, ma anche speranza e spregiudicatezza. Ci sono generosità ed egoismo, amore e violenza.

    Sono mille storie di italiani che al di là dei confini della penisola hanno cercato un po’ di quel benessere che in patria non trovavano. O che hanno soddisfatto il loro desidero di aiutare il prossimo, di vivere un’avventura, di arricchire il proprio bagaglio di esperienze.

    Mille storie che da oggi, lunedì 10 giugno, sono a disposizione di tutti su un sito dal titolo semplice e diretto: “Italiani all’estero. I diari raccontano”. Si tratta di un sito nato dalla collaborazione tra un ministero e un luogo dove da decenni si conservano i diari, le memorie e le lettere che, a oggi, novemila italiani hanno deciso di non tenere per sé ma di mettere a disposizione di chi voglia conoscere, attraverso i percorsi individuali, pezzi di storia del nostro paese.

    Il ministero è quello degli Affari esteri, la Farnesina, in particolare la direzione generale che si occupa degli italiani all’estero e delle politiche migratorie. Il luogo dei diari è l’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano fondato nel 1984 dal giornalista Saverio Tutino, per dieci anni inviato di Repubblica.

    Aprendo il sito, ma verrebbe da chiamarlo scrigno per il senso di intimità e di preziosità trasmesso dai testi che contiene, ci si imbatte subito in quello che è senz’altro il principale strumento di navigazione. La carta geografica del mondo cosparsa di tanti pallini verdi che sono le chiavi per entrare nelle mille storie dello scrigno. Centinaia in Europa e Sud America. Poi il Canada e gli Stati Uniti, l’Australia, l’Estremo oriente, l’Africa, non solo i paesi occupati nel passato dall’Italia, ma anche Congo, Ruanda, Burundi. E ancora: Yemen, Arabia Saudita, Turchia, India, Pakistan…

    Per iniziare ci si può lasciar guidare, nel viaggio di scoperta che si inizia aprendo “I diari raccontano”, dalla densità delle storie. Si arriva subito nel cuore dell’Europa, nel quadrilatero più famoso e più dolente dell’emigrazione italiana: Francia, Belgio, Germania e Svizzera. I brani selezionati tra migliaia e migliaia di pagine conservate a Pieve raccontano le partenze in treni speciali dopo aver fatto tutta la trafila burocratica necessaria per ottenere un posto di lavoro.

    Una volta arrivati si annotano le discriminazioni subite, le piccole e grandi umiliazioni. Ma anche i successi che a molti hanno consentito di tornare a casa meno poveri. Si annotano sul quaderno o solo dentro di sé per ritirarle fuori anni dopo, quando si deciderà di scrivere la storia della propria vita.

    Poi le miniere, il sentiero di sudore e sangue che ha unito l’Italia alle viscere dei paesi ricchi di carbone. Prima di tutto il Belgio, il sentiero più recente, e di cui è emblema la tragedia di Marcinelle, la miniera in cui, nel 1956, morirono, tra gli altri, 136 immigrati italiani. Ludovico Molari era lì e racconta quando si trova davanti alla bara del fratello “dove in un biglietto sopra il coperchio c’è il nome di Molari Antonio riconosciuto per la mancanza della prima falange del dito anulare della mano sinistra e dall’abbigliamento”.

    Quasi 50 anni prima un’altra miniera e altri morti, al di là dell’Atlantico, a Cherry, Illinois, Stati Uniti d’America. Antenore Quartaroli ha seguito il sentiero del carbone ed è lì nel novembre del 1909 quando un incendio nelle gallerie uccide 259 minatori tra cui 73 italiani, per buona parte emiliani come Antenore che è arrivato nell’Illinois dalla provincia di Reggio Emilia. Antenore resta sepolto vivo per otto giorni e racconta così il suo ritorno alla vita: “Sempre all’oscuro si siamo incaminati di nuovo fatto una cinquantina di metri vi era una volta via e arrivati in quella posizione con gran gioia abbiamo scoperto che vicino al pozzo d’usita vi era Gente che lavorava... il primo che io conobi fu mio Cognato Giulio Castelli che quel giorno era a lavorare nel lavoro di Salvattaggio”.

    Lasciarsi trasportare dai pallini verdi della mappa dei “Diari raccontano” porta anche ai giorni e ai luoghi segnati nel calendario della storia. A piazza Tienanmen il giorno della rivolta contro il regime. In Kuwait nei giorni dell’invasione irachena. A Bruxelles quando i tedeschi la invadono nel 1914. In Francia il 10 giugno del 1940 quando gli italiani che lavoravano là da amici diventano, in un minuto, i “nemici”. In Vietnam con la divisa della Legione straniera. Ma anche più indietro nel tempo. Tutto da leggere il racconto di un garibaldino nato a Vicenza che si imbarca per gli Stati Uniti e combatte la guerra di secessione americana in un reggimento di cavalleria.

    La storia di emigrazione più antica conservata a Pieve è quella di Angelo Rebay, nato sulla riva del lago di Como nel 1788. Di lui non ci sono fotografie ma un ritratto fatto da una nuora. Per 11 anni, dal 1800 al 1811 cercò fortuna in Germania insieme a suo fratello per poi tornare a vivere nel suo paese, Pognana Lario.

    Prima di “Gli italiani all’estero. I diari raccontano”, ideato da Nicola Maranesi e di cui chi scrive è consulente editoriale, l’archivio di Pieve Santo Stefano aveva realizzato, con L’Espresso e i quotidiani locali del gruppo, un sito che ne è sicuramente il genitore, o il prototipo: “La Grande Guerra 1914-1918”.

    E così come quello dedicato alla guerra anche questo dà il via a un progetto aperto. Utilizzando un’apposita pagina del sito si potrà arricchirlo inviando le testimonianze di emigrazione personali o di propri antenati. Testimonianze che verranno pubblicate ed entreranno a far parte del patrimonio dell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/10/news/quando_eravamo_noi_i_migranti_mille_storie_italiane_in_un_archivio_da_ril

    #quand_eux_c'était_nous #Italie #émigration #histoire #i_diari_raccontano #migrations
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  • Rare Photos: European Refugee Camps in Syria — At The Height of World War II

    The whole world is aware that Europe is buckled under the biggest refugee crisis since World War II, with millions of people fleeing civil war and oppression in the Middle East, North Africa, and Western Asia, and landing on the continent’s shores by land and by sea. The UN estimates that more people have been displaced than at any time since the Second World War — there are close to 60 million war refugees, according to the UN High Commissioner for Refugees.

    While there is no denying the fact that the current humanitarian crisis is the worst refugee crisis of our generation; with continuous comparison to World War II, it is imperative that we share a small yet important fact with you: at the height of World War II, the Middle East Relief and Refugee Administration (MERRA) operated camps in Syria, Egypt and Palestine, where tens of thousands of people from across Europe sought refuge.

    Yes, you read it right. Refugees crossed the same passageways [which the Syrians, the Africans, and the Asians are taking to reach Europe TODAY] 70 years ago — BUT they were the Europeans (largely from Bulgaria, Croatia, Greece, Turkey and Yugoslavia) trying to find solace in the Middle East.

    How The Refugees Entered The Camps:

    According to the International Social Service records, refugees from Europe had to register at one of several camps in Egypt, Palestine and Syria and obtain camp-issued identification cards, which contained their full name, gender, marital status, passport number, and their educational and work history.

    After registration, they had to undergo a refugee medical examination at makeshift hospital facilities — where they took off their clothes, their shoes and were washed until officials believed they were sufficiently disinfected. When they were declared fit enough to join the refugee camp, they were divided into living quarters for families, unaccompanied children, single men and single women.

    How They Survived:

    Refugees in MERRA camps received a half portion of Army rations each day; sometimes supplemented with foods that reflected refugees’ national customs and religious practices. ‘Rich’ refugees could buy beans, olives, oil, fruit, tea, coffee and other staples from camp canteens. On the rare occasion, during supervised visits to local shops, they could buy soap, razor blades, pencils, paper, stamps and other items. Some camps provided space for refugees to prepare meals; one camp in Aleppo reserved a room for women so they could make macaroni with flour, which they received from camp officials.

    How They Found Work & Developed Skills:

    Some, but not all, camps required refugees to work — though they were not forced to earn to make ends meet. GlobalPost reports:

    In Aleppo, refugees were encouraged, but not required, to work as cooks, cleaners and cobblers. Labor wasn’t mandatory in Nuseirat, either, but camp officials did try to create opportunities for refugees to use their skills in carpentry, painting, shoe making and wool spinning so that they could stay occupied and earn a little income from other refugees who could afford their services. At Moses Wells, all able-bodied, physically fit refugees worked as shopkeepers, cleaners, seamstresses, apprentices, masons, carpenters or plumbers, while “exceptionally qualified persons” served as school masters or labor foremen. Women performed additional domestic work like sewing, laundry, and preparing food on top of any other work they had.

    How They Acquired Knowledge:

    Margaret G. Arnstein, a prominent nurse practitioner notes that students in a few camps at El Shatt and Moses Wells were taught practical nursing, anatomy, physiology, first aid, obstetrics, pediatrics, as well as the military rules and regulations that governed wartime refugee camps.

    How They Entertained Themselves:

    In their free time, the men played handball, football and socialized over cigarettes, beer and wine in camp canteens. In their free time, children played with swings, slides and seesaws.

    How They Prepared For A Brighter Future:

    Education was a crucial part of camp routines. GlobalPost writes:

    Classrooms in Middle Eastern refugee camps had too few teachers and too many students, inadequate supplies and suffered from overcrowding. Yet not all the camps were so hard pressed. In Nuseirat, for example, a refugee who was an artist completed many paintings and posted them all over the walls of a kindergarten inside the camp, making the classrooms “bright and cheerful.” Well-to-do people in the area donated toys, games, and dolls to the kindergarten, causing a camp official to remark that it “compared favorably with many in the United States.”

    https://anonhq.com/rare-photos-european-refugee-camps-syria-height-world-war-ii

    #quand_eux_c'était_nous #réfugiés_européens #histoire #syrie #camps_de_réfugiés #WWII #seconde_guerre_mondiale #photographie #deuxième_guerre_moniale
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