• Rapporti di monitoraggio

    Sin dal 2016 il progetto ha pubblicato report di approfondimento giuridico sulle situazioni di violazione riscontrate presso le diverse frontiere oggetto delle attività di monitoraggio. Ciascun report affronta questioni ed aspetti contingenti e particolarmente interessanti al fine di sviluppare azioni di contenzioso strategico.

    Elenco dei rapporti pubblicati in ordine cronologico:

    “Le riammissioni di cittadini stranieri a Ventimiglia (giugno 2015): profili di illegittimità“

    Il report è stato redatto nel giugno del 2015 è costituisce una prima analisi delle principali criticità riscontrabili alla frontiera italo-francese verosimilmente sulla base dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana (Accordo di Chambery)
    #Vintimille #Ventimiglia #frontière_sud-alpine #Alpes #Menton #accord_bilatéral #Accord_de_Chambéry #réadmissions

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887941

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    “Le riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso: profili di illegittimità”

    Il report è stato redatto nell’estate del 2016 per evidenziare la situazione critica che si era venuta a creare in seguito al massiccio afflusso di cittadini stranieri in Italia attraverso la rotta balcanica scatenata dalla crisi siriana. La frontiera italo-svizzera è stata particolarmente interessata da numerosi tentativi di attraversamento del confine nei pressi di Como e il presente documento fornisce una analisi giuridica delle criticità riscontrate.

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887940

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    “Lungo la rotta del Brennero”

    Il report, redatto con la collaborazione della associazione Antenne Migranti e il contributo della fondazione Alex Langer nel 2017, analizza le dinamiche della frontiera altoatesina e sviluppa una parte di approfondimento sulle violazioni relative al diritto all’accoglienza per richiedenti asilo e minori, alle violazioni all’accesso alla procedura di asilo e ad una analisi delle modalità di attuazione delle riammissioni alla frontiera.

    #Brenner #Autriche

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    “Attività di monitoraggio ai confini interni italiani – Periodo giugno 2018 – giugno 2019”

    Report analitico che riporta i dati raccolti e le prassi di interesse alle frontiere italo-francesi, italo-svizzere, italo-austriache e italo slovene. Contiene inoltre un approfondimento sui trasferimenti di cittadini di paesi terzi dalle zone di frontiera indicate all’#hotspot di #Taranto e centri di accoglienza del sud Italia.

    #Italie_du_Sud

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    “Report interno sopralluogo Bosnia 27-31 ottobre 2019”

    Report descrittivo a seguito del sopralluogo effettuato da soci coinvolti nel progetto Medea dal 27 al 31 ottobre sulla condizione delle persone in transito in Bosnia. Il rapporto si concentra sulla descrizione delle strutture di accoglienza presenti nel paese, sull’accesso alla procedura di protezione internazionale e sulle strategie di intervento future.

    #Bosnie #Bosnie-Herzégovine

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    “Report attività frontiere interne terrestri, porti adriatici e Bosnia”

    Rapporto di analisi dettagliata sulle progettualità sviluppate nel corso del periodo luglio 2019 – luglio 2020 sulle diverse frontiere coinvolte (in particolare la frontiera italo-francese, italo-slovena, la frontiera adriatica e le frontiere coinvolte nella rotta balcanica). Le novità progettuali più interessanti riguardano proprio l’espansione delle progettualità rivolte ai paesi della rotta balcanica e alla Grecia coinvolta nelle riammissioni dall’Italia. Nel periodo ad oggetto del rapporto il lavoro ha avuto un focus principale legato ad iniziative di monitoraggio, costituzione della rete ed azioni di advocacy.

    #Slovénie #mer_Adriatique #Adriatique

    https://medea.asgi.it/rapporti

    #rapport #monitoring #medea #ASGI
    #asile #migrations #réfugiés #frontières
    #frontières_internes #frontières_intérieures #Balkans #route_des_balkans

    ping @isskein @karine4

  • Rapport thématique – Durcissements à l’encontre des Érythréen·ne·s : actualisation 2020

    Deux ans après une première publication sur la question (https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-durcissements-a-lencontre-des-erythreen%c2%b7ne%c2%b7), l’ODAE romand sort un second rapport. Celui-ci offre une synthèse des constats présentés en 2018, accompagnée d’une actualisation de la situation.

    Depuis 2018, l’ODAE romand suit de près la situation des requérant·e·s d’asile érythréen∙ne∙s en Suisse. Beaucoup de ces personnes se retrouvent avec une décision de renvoi, après que le #Tribunal_administratif_fédéral (#TAF) a confirmé la pratique du #Secrétariat_d’État_aux_Migrations (#SEM) amorcée en 2016, et que les autorités ont annoncé, en 2018, le réexamen des #admissions_provisoires de quelque 3’200 personnes.

    En 2020, le SEM et le TAF continuent à appliquer un #durcissement, alors que la situation des droits humains en #Érythrée ne s’est pas améliorée. Depuis près de quatre ans, les décisions de renvoi tombent. De 2016 à à la fin octobre 2020, 3’355 Érythréen·ne·s avaient reçu une décision de renvoi suite à leur demande d’asile.

    Un grand nombre de requérant·e·s d’asile se retrouvent ainsi débouté·e·s.

    Beaucoup des personnes concernées, souvent jeunes, restent durablement en Suisse, parce que très peu retournent en Érythrée sur une base volontaire, de peur d’y être persécutées, et qu’il n’y a pas d’accord de réadmission avec l’Érythrée. Au moment de la décision fatidique, elles perdent leur droit d’exercer leur métier ou de se former et se retrouvent à l’#aide_d’urgence. C’est donc à la constitution d’un groupe toujours plus important de jeunes personnes, exclues mais non renvoyables, que l’on assiste.

    C’est surtout en cédant aux pressions politiques appelant à durcir la pratique – des pressions renforcées par un gonflement des statistiques du nombre de demandes d’asile – que la Suisse a appréhendé toujours plus strictement la situation juridique des requérant∙e∙s d’asile provenant d’Érythrée. Sur le terrain, l’ODAE romand constate que ces durcissements se traduisent également par une appréciation extrêmement restrictive des motifs d’asile invoqués par les personnes. D’autres obstacles limitent aussi l’accès à un examen de fond sur les motifs d’asile. Au-delà de la question érythréenne, l’ODAE romand s’inquiète pour le droit d’asile au sens large. L’exemple de ce groupe montre en effet que l’application de ce droit est extrêmement perméable aux incitations venues du monde politique et peut être remaniée sans raison manifeste.

    https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-durcissements-a-lencontre-des-erythreen%c2%b7ne%c2%b7

    Pour télécharger le rapport :
    https://odae-romand.ch/wp/wp-content/uploads/2020/12/RT_erythree_2020-web.pdf

    #rapport #ODAE_romand #Erythrée #Suisse #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_érythréens #droit_d'asile #protection #déboutés #permis_F #COI #crimes_contre_l'humanité #service_militaire #travail_forcé #torture #viol #détention_arbitraire #violences_sexuelles #accord_de_réadmission #réadmission #déboutés #jurisprudence #désertion #Lex_Eritrea #sortie_illégale #TAF #justice #audition #vraisemblance #interprètes #stress_post-traumatique #traumatisme #trauma #suspicion #méfiance #procédure_d'asile #arbitraire #preuve #fardeau_de_la_preuve #admission_provisoire #permis_F #réexamen #santé_mentale #aide_d'urgence #sans-papiers #clandestinisation #violence_généralisée

    ping @isskein @karine4

  • La via della vergogna Sulla rotta balcanica delle migrazioni

    Il viaggio disperato lungo la rotta dei Balcani, tra violenze e torture inaudite da parte della polizia Centinaia di profughi con diritto alla protezione respinti dall’Italia

    È la schiena curva e livida dei respinti a dire le sprangate. Sono le gambe sanguinanti a raccontare la disperata corsa giù dal valico. A piedi nudi, con le caviglie spezzate dalle bastonate e i cani dell’esercito croato che azzannano gli ultimi della fila. È l’umiliato silenzio di alcuni ragazzi visitati dai medici volontari nel campo bosniaco di #Bihac per le cure e il referto: stuprati e seviziati dalla polizia con dei rami raccolti nella boscaglia. I meno sfortunati se la sono cavata con il marchio di una spranga incandescente, a perenne memoria dell’ingresso indesiderato nell’Unione Europea.

    Gli orrori avvengono alla luce del sole. Affinché gli altri, i recidivi degli attraversamenti e quelli che dalle retrovie attendono notizie, battano in ritirata. Velika Kladuša e il valico della paura. Di qua è Croazia, Europa. Di la è Bosnia, fuori dalla cortina Ue. Di qua si proclamano i diritti, ma si usa il bastone. Oramai tra i profughi della rotta balcanica lo sanno tutti che con gli agenti sloveni e gli sbirri croati non si scherza.

    «Siamo stati consegnati dalla polizia slovena alla polizia croata. Siamo stati picchiati, bastonati, ci hanno tolto le scarpe, preso i soldi e i telefoni. Poi ci hanno spinto fino al confine con la Bosnia, a piedi scalzi. Tanti piangevano per il dolore e per essere stati respinti». Sono le parole di chi aveva finalmente visto i cartelli stradali in italiano, ma è stato rimandato indietro, lungo una filiera del respingimento come non se ne vedeva dalla guerra nella ex Jugoslavia. Certi metodi non sembrano poi cambiati di molto.

    Tre Paesi e tre trattamenti. I militari italiani non alzano le mani, ma sono al corrente di cosa accadrà una volta rimandati indietro i migranti intercettati a Trieste come a Gorizia. Più si torna al punto di partenza, e peggio andranno le cose. Le testimonianze consegnate ad Avvenire dai profughi, dalle organizzazioni umanitarie, dai gruppi di avvocati lungo tutta la rotta balcanica, sembrano arrivare da un’altra epoca.

    Le foto non mentono. Un uomo si è visto quasi strappare il tendine del ginocchio destro da uno dei mastini delle guardie di confine croate. Quasi tutti hanno il torso attraversato da ematomi, cicatrici, escoriazioni. C’è chi adesso è immobile nella tendopoli di Bihac con la gamba ingessata, chi con il volto completamente bendato, ragazzini con le braccia bloccate dai tutori in attesa che le ossa tornino al loro posto. I segni degli scarponi schiacciati contro la faccia, le costole incrinate, i calci sui genitali. Un ragazzo pachistano mostra una profonda e larga ferita sul naso, il cuoio capelluto malridotto, mentre un infermiere volontario gli pratica le quotidiane medicazioni. Un afghano appena maggiorenne ha l’orecchio destro interamente ricucito con i punti a zigzag. Centinaia raccontano di essere stati allontanati dal suolo italiano.

    Una pratica, quella dei respingimenti a ritroso dal confine triestino fino agli accampamenti nel fango della Bosnia, non più episodica. «Solo nei primi otto mesi del 2020 sono state riammesse alla frontiera italo-slovena oltre 900 persone, con una eccezionale impennata nel trimestre estivo, periodo nel quale il fenomeno era già noto al mondo politico che è però rimasto del tutto inerte », lamenta Gianfranco Schiavone, triestino e vicepresidente di Asgi, l’associazione di giuristi specializzati nei diritti umani. «Tra le cittadinanze degli stranieri riammessi in Slovenia il primo posto va agli afghani (811 persone), seguiti da pachistani, iracheni, iraniani, siriani e altre nazionalità, la maggior parte delle quali – precisa Schiavone – relative a Paesi da cui provengono persone con diritto alla protezione ». A ridosso del territorio italiano arriva in realtà solo chi riesce a sfuggire alla caccia all’uomo fino ai tornanti che precedono la prima bandiera tricolore. Per lasciarsi alle spalle quei trecento chilometri da Bihac a Trieste possono volerci due settimane.

    Secondo il Danish Refugee Council, che nei Paesi coinvolti ha inviato numerosi osservatori incaricati di raccogliere testimonianze dirette, nel 2019 sono tornate nel solo campo di bosniaco di Bihac 14.444 persone, 1.646 solo nel giugno di quest’anno.

    I dati a uso interno del Viminale e visionati da Avvenire confermano l’incremento delle “restituzioni” direttamente alla polizia slovena. Nel secondo semestre del 2019 le riammissioni attive verso Zagabria sono state 107: 39 da Gorizia e 78 da Trieste. Il resto, circa 800 casi, si concentra tutto nel 2020. Il “Border violence monitoring”, una rete che riunisce lungo tutta la dorsale balcanica una dozzina di organizzazioni, tra cui medici legali e avvocati, ha documentato con criteri legali (testimonianze, foto, referti medici) 904 casi di violazione dei diritti umani. Lungo i sentieri sul Carso, tra i cespugli nei fitti boschi in cima ai dirupi, si trovano i tesserini identificativi rilasciati con i timbri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati o dall’Agenzia Onu per le migrazioni. I migranti li abbandonano lì. Testimoniano di come a decine avessero ottenuto la registrazione nei campi allestiti a ridosso del confine balcanico dell’Unione Europea.

    Quel documento, che un tempo sarebbe stato considerato un prezioso salvacondotto per invocare poi la protezione internazionale, oggi può essere una condanna. Perché averlo addosso conferma di provenire dalla Bosnia e dunque facilita la “riconsegna” alla polizia slovena. Anche per questo lo chiamano “game”.

    Un “gioco” puoi vincere una domanda d’asilo in Italia o in un’altro Paese dell’Ue, o un’altra tornata nell’inferno dei respingimenti. «Quando eravamo nascosti in mezzo ai boschi, la polizia slovena – racconta un altro dei respinti – era anche accompagnata dai cani. Qualcuno si era accucciato nel bosco e non era stato inizialmente visto, ma quattro o cinque cani li hanno scovati e quando hanno provato a scappare sono stati rincorsi dai cani e catturati».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/lorrore-alle-porte-delleuropa

    #photographie #témoignage #images #violence #violences #Balkans #route_des_Balkans #asile #migrations #réfugiés #frontières #torture #Croatie #game #the_game #viols #Velika_Kladuša #Velika_Kladusa #Bosnie #Slovénie #refoulements_en_chaîne #push-backs #refoulements #réadmission #chiens

    • Violenza sui migranti, in un video le prove dalla Croazia

      Impugnano una spranga da cui pende una corda. Stanno per spaccare ginocchia, frustare sulla schiena, lanciare sassi mirando alla testa dei profughi. Sono soldati croati...

      https://www.youtube.com/watch?v=tacXXCD8UL8&feature=emb_logo

      Non è per il freddo delle gelate balcaniche che gli uomini appostati nella radura indossano un passamontagna. Il branco è lì per un’imboscata. Impugnano una spranga da cui pende una corda. Stanno per spaccare ginocchia, frustare sulla schiena, lanciare sassi mirando alla testa dei profughi. Sono soldati croati. E stavolta Zagabria non potrà più dire che non ci sono prove.

      Ora c’è un video che conferma le accuse di questi anni. Nei giorni scorsi, dopo la ricostruzione di Avvenire e la pubblicazione di immagini e testimonianze di alcune tra le migliaia di persone seviziate dai gendarmi, era intervenuta la commissaria agli Affari Interni dell’Ue, Ylva Johansson. «Abbiamo sentito di respingimenti dagli Stati membri e non è accettabile». Nessun accenno, però, alla violenza. Il governo di Zagabria, infatti, ha sempre respinto le accuse dei profughi respinti a catena da Italia, Slovenia e Croazia. «Nonostante i report lo Stato croato ha negato, mettendo in dubbio la credibilità dei migranti, degli attivisti e dei giornalisti – ricordano i legali del “Border violence monitoring” – citando la mancanza di prove fotografiche». Ora quelle prove ci sono.

      I fotogrammi e i video raccolti sul campo non lasciano spazio a dubbi. La frusta schiocca i primi colpi. Un uomo viene atterrato dopo che l’aggressore lo ha quasi azzoppato. Neanche il tempo di stramazzare tra i rovi che viene centrato in pieno volto. Poco distante, in un fossato che segna il confine con la Bosnia Erzegovina, altri due uomini a volto coperto, entrambi con divise blu scure, afferrano dei grossi sassi e li scagliano contro alcuni ragazzi che corrono per riguadagnare il confine bosniaco, a meno di 30 metri, dove gli aggressori croati sanno di non potere addentrarsi.

      https://www.youtube.com/watch?v=rtEDbuDbqzU&feature=youtu.be

      Le sequenze sono raccapriccianti. Le urla spezzano il fiato. I militari infieriscono ripetutamente su persone inermi. A tutti sono state tolte le scarpe, i telefoni, il denaro, gli zainetti con gli unici ricordi delle propRie origini. Un uomo piange. Il volto gonfio, una gamba dolorante, alcune ferite alla testa, il labbro superiore sanguinante. Nella sua lingua biascica la più universale delle invocazioni: «Mamma mia».

      Le immagini,che risalgono alla fine di marzo, sono state analizzate per mesi da legali e periti di vari Paesi per conto del “Border violence monitoring”, il network di organizzazioni di volontariato attivo in tutti i Balcani. Nel video integrale (sintetizzato da Avvenire in una versione di 4 minuti in questo articolo) si possono vedere i filmati con le ricostruzioni forensi. Oltre alle identità dei feriti è stato possibile riconoscere anche i corpi di appartenenza dei picchiatori: guardie di confine, nuclei speciali della polizia e militari dell’esercito.

      Le forze di sicurezza, come sempre, avevano pensato a impedire che le testimonianze potessero trovare riscontri fotografici. Questa volta, però, un ragazzo afghano è riuscito a beffarli. Poco prima del respingimento altri agenti in un posto di polizia avevano rubato denaro, telefoni ed effetti personali. Con le scarpe e i vestiti avevano fatto un falò. Nella concitazione, da uno degli zainetti è scivolato un telefono. Il ragazzo ha fatto in tempo a nasconderlo nelle mutande. Per consegnarci le immagini della vergogna all’interno dell’Unone europea.

      Dopo una corsa disperata, inseguito dalle sprangate e dalle scudisciate, una volta superato il fossato ha riacceso il cellulare danneggiato durante l’aggressione. C’era ancora abbastanza batteria. Si sente anche la sua voce mentre non riesce a tener ferme le mani: «Mi fa male una gamba, ho troppo dolore». Un altro accanto a lui comprende l’importanza di quegli istanti: «Ti tengo io, devi continuare a riprendere».

      Pochi giorni prima The Guardian aveva pubblicato un inchiesta di Lorenzo Tondo: la polizia croata veniva accusata di segnare i migranti islamici con una croce sulla testa, ma ancora una volta Zagabria aveva negato.

      Le riammissioni a catena, con cui dal confine italo–sloveno «si deportano illegalmente i rifugiati fino in Bosnia, hanno l’effetto di esporre le persone a condizioni inumane e a un rischio di morte: vanno pertanto immediatamente fermate», chiede il Consorzio italiano di solidarietà (Ics). Anche in Bosnia vengono denunciati episodi di violenza ed uso eccessivo della forza da parte della polizia.

      L’11 dicembre, sei giorni dopo la pubblicazione della prima puntata dell’inchiesta di Avvenire (LEGGI QUI), è intervenuta la Commissaria ai diritti umani del Consiglio d’Europa, il consesso che ha dato vita alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. In una lettera la bosniaca Dunja Mijatovic parla delle «segnalazioni di gruppi di vigilantes locali che attaccano i migranti e distruggono i loro beni personali», esprimendo preoccupazione «per le segnalazioni di attacchi e minacce contro i difensori dei diritti umani che aiutano i migranti, tra cui una campagna diffamatoria e minacce di morte».

      E non sarà certo la prima neve a fermare le traversate.

      Ieri la polizia serba ha bloccato 300 persone in due distinte operazioni: 170 sono stati trovati nella zona di Kikinda, lungo un sentiero sul confine con la Romania; altri 140 sono stati vicino al valico di Horgos, alla frontiera con l’Ungheria. Sperano così di aggirare la sbirraglia.

      Nicola Bay, direttore in Bosnia del “Danish refugee council” spiega di avere identificato con la sua organizzazione «14.500 casi di respingimenti dalla Croazia alla Bosnia dall’inizio del 2020. Nel solo mese di ottobre, i casi sono stati 1.934, tra cui 189 episodi in cui migranti sono stati soggetti a brutale violenza, e in due episodi anche violenza sessuale, da parte di uomini in uniformi nere, con i volti mascherati». Perciò «non è accettabile che i respingimenti violenti siano utilizzati, di fatto, come strumento per il controllo dei confini dagli stati europei. È giunto il momento di esigere, da parte della Commissione Europea e degli stati membri della Ue, inclusa l’Italia, il pieno rispetto delle più basilari norme del diritto comunitario e internazionale».

      E non è escluso che grazie a queste immagini si apra finalmente una inchiesta giudiziaria per individuare i responsabili, i loro superiori e fermare i crimini contro gli esseri umani commessi nell’Unione Europea.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/torture-su-migranti-al-confine-tra-croazia-e-bosnia-vide-scavo

    • L’inchiesta. Abusi sui migranti della rotta balcanica, scende in campo l’Ue

      Dopo le denunce su violenze e respingimenti, l’Agenzia Ue per i diritti umani: monitorare i comportamenti della polizia. Zagabria: violenze presunte. A Trieste con i volontari che curano le ferite

      https://www.youtube.com/watch?v=uBfEBYHMXXE&feature=emb_logo

      La lavanda dei piedi comincia all’ora del vespro. È il quotidiano rito dei volontari che ogni sera, nel piccolo parco tra la stazione e il vecchio porto, dai loro zaini da studente estraggono garze, cerotti, unguenti. Passano da lì gli impavidi del game, i superstiti della roulette russa dei respingimenti a catena, e a bastonate, verso la Bosnia. Cacciati fuori dai confini Ue.

      Dopo le nuove denunce di queste settimane, qualcosa tra Bruxelles e Zagabria si muove. L’agenzia Ue per i diritti fondamentali è pronta a monitorare i comportamenti delle polizie lungo i confini. Ma manca una data per l’avvio del piano di prevenzione degli abusi.

      Pochi giorni fa a Bruxelles hanno chiuso un rapporto che racconta di vicende sfuggite alle principali cronache internazionali. Sono ancora in corso le indagini per episodi ch si ripetono da anni senza che mai si arrivi a individuare delle responsabilità. Nel novembre 2017 «una bambina afghana di sei anni, Madina Hosseini, è stata uccisa da un treno in transito al confine tra Croazia e Serbia» si legge nel dossier, che precisa: «Secondo il rapporto del difensore civico croato, Madina e la sua famiglia erano arrivate in Croazia e avevano chiesto asilo, quando è stato detto loro di tornare in Serbia». Una violazione delle norme sul diritto d’asilo finita in dramma. La famiglia è stata trasferita «in un veicolo della polizia vicino alla ferrovia e istruita a seguire i binari fino alla Serbia. Poco dopo, la bambina di sei anni è stata uccisa da un treno». D allora non molto è cambiato in meglio.

      Da Kabul a Trieste sono 4mila chilometri. Da qui il villaggio di casa è lontano, la guerra anche. C’è chi l’ultimo tratto lo ha percorso cinque volte. Perché acciuffato dagli agenti sloveni, infine riportato in Bosnia dopo una lezione della polizia croata. E c’è chi a Trieste invece c’era quasi arrivato, ma è stato colto dalla polizia italiana sulla fascia di confine, e poco dopo «riammesso» in Slovenia, come prevede un vecchio accordo tra Roma e Lubiana siglato quando implodeva la ex Jugoslavia.

      Scarpe sfondate, vestiti rotti, le caviglie gonfie e gli occhi troppo stanchi di chi l’ultima volta che s’è accucciato su un materasso era in un qualche posto di polizia. Per Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), è più che «anomalo che la riammissione possa avvenire senza l’emanazione di un provvedimento amministrativo». Anche perché «è indiscutibile che l’azione posta in essere dalla pubblica sicurezza attraverso l’accompagnamento forzato in Slovenia produce effetti rilevantissimi – aggiunge – sulla situazione giuridica dei soggetti interessati».

      Ricacciati indietro senza neanche poter presentare la domanda di protezione, molti passano per le mani delle guardie croate. Anche qui, però, il compatto muro di omertà tra uomini in divisa comincia a incrinarsi. La diffusione di immagini e filmati che documentano la presenza di gendarmi tra i picchiatori di migranti sta convincendo diversi agenti a denunciare anche i loro superiori. Gli ordini, infatti, arrivano dall’alto. Il merito è dell’Ufficio per la protezione dei diritti umani di Zagabria, dotato di poteri investigativi che stanno aprendo la strada a indagini della magistratura, garantendo l’anonimato ai poliziotti che collaborano con le indagini. Il ministero dell’Interno di Zagabria respinge le accuse arrivate nelle ultime settimane da testate come Der Spiegel, The Guardian e Avvenire, riguardo le violenze commesse dalle autorità lungo i confini. Foto e filmati mostrano uomini in divisa armati di spranghe e fruste. «Non si può confermare con certezza che siano membri regolari della polizia croata», si legge in una nota. «La polizia croata protegge il confine dalla migrazione illegale, lo protegge dalle azioni illegali e dai pericoli – aggiunge – che possono portare con sé persone senza documenti e senza identità, e lo fa per fornire pace e sicurezza al popolo croato». Tuttavia «non tolleriamo alcuna violenza nella protezione delle frontiere né (la violenza) è parte integrante delle nostre azioni». Riguardo al filmato e alla ricostruzione di Border Violence Monitoring «concludiamo che non abbiamo registrato azioni in base alla data e al luogo dichiarati nell’annuncio». Quali indagini siano state condotte non è però dato saperlo. «Controlleremo accuratamente i presunti eventi».

      Mentre dal Carso i primi refoli della sera si scontrano con quelli che soffiano dal mare, i volontari appostati nei dintorni della statua della principessa Sissi si preparano a un’altra serata con dolori da alleviare e lamenti da ascoltare. Lorena Fornasier, 67 anni, psicoterapeuta, e suo marito Gian Andrea Franchi, 83 anni, professore di filosofia in pensione, passano spesso di qua. Raccolgono quelli messi peggio. Lo fanno da anni, senza clamore, e si devono a loro le prime denunce sui maltrattamenti subiti dove finiscono i Balcani e comincia la Mitteleuropa.

      «Bisogna portare in tribunale dei casi individuali con l’intento di definire un precedente che sia valido per tutti, per attivare dei cambiamenti normativi che permettano un maggiore rispetto dei diritti fondamentali», osserva Giulia Spagna, direttrice per l’Italia del Danish refugee council, le cui squadre continuano a raccogliere prove di abusi lungo tutta la dorsale balcanica. «Da una parte – aggiunge – si devono offrire soluzioni concrete alle persone che hanno subito soprusi, attraverso supporto legale, oltre che medico e psicologico. Dall’altra usare questi episodi per influenzare le politiche europee e nazionali».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/a-trieste-tra-chi-cura-le-ferite-reportage-migranti

  • Characteristics of Hospitalized #COVID-19 Patients Discharged and Experiencing Same-Hospital Readmission — United States, March–August 2020 | MMWR
    https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/69/wr/mm6945e2.htm

    What is already known about this topic?

    Evidence suggests that potential health #complications after COVID-19 illness might require ongoing clinical care.

    What is added by this report?

    After discharge from an initial COVID-19 hospitalization, 9% of patients were readmitted to the same hospital within 2 months of discharge. Multiple readmissions occurred in 1.6% of patients. Risk factors for #readmission included age ≥65 years, presence of certain chronic conditions, hospitalization within the 3 months preceding the first COVID-19 hospitalization, and discharge to a skilled nursing facility or with home health care.

  • Pubblicato il dossier di RiVolti ai Balcani

    L’obiettivo: rompere il silenzio sulla rotta balcanica, denunciando quanto sta avvenendo in quei luoghi e lanciando chiaro il messaggio che i soggetti vulnerabili del #game” non sono più soli.

    Il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” della neonata rete “RiVolti ai Balcani” è composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali.

    Il report è la prima selezione e analisi ragionata delle principali fonti internazionali sulle violenze nei Balcani che viene pubblicata in Italia. Un capitolo esamina la gravissima situazione dei respingimenti alla frontiera italo-slovena.

    http://www.icsufficiorifugiati.org/la-rotta-balcanica-i-migranti-senza-diritti-nel-cuore-delleurop

    #rapport #rivolti_ai_balcani #ICS #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #Balkans #route_des_balkans #the_game

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    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

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    ajouté à la métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans :
    https://seenthis.net/messages/1009117

    • Riammissioni tra Italia e Slovenia : 32 migranti rimandati di nuovo sulla Rotta

      „Tante sono le persone che il Dipartimento di polizia di #Capodistria ha ricevuto da parte delle autorità italiane. Nel giro di qualche settimana tenteranno nuovamente di passare“

      Continua il fenomeno delle riammissioni di migranti che le autorità italiane riconsegnano alla polizia slovena in base agli accordi firmati tra Roma e Lubiana nel 1996. Nelle ultime 24 ore sono 32 le persone rimandate nel territorio della vicina repubblica. Nel dettaglio, sono 31 cittadini di origine pakistana e una persona proveniente invece dal Marocco. La Rotta balcanica alle spalle di Trieste ha ripreso vigore nelle ultime settimane, con la conferma che arriva dai dati diffusi dal Dipartimento di polizia di Capodistria negli ultimi 10 giorni e dal corposo rintraccio avvenuto due giorni fa nella zona della #val_Rosandra, in comune di #San_Dorligo_della_Valle/Dolina.

      I dati dell’ultimo periodo

      Ai circa 150 migranti rintriaccati dalle autorità slovene negli ultimi giorni, vanno agigunti altri 13 cittadini afghani e quattro nepalesi. Dai campi profughi della Bosnia è iniziata la fase che vede i migranti tentare di passare i confini prima dell’arrivo delle rigide temperature che caratterizzano l’inverno sulla frontiera con la Croazia. Riuscire a farcela prima che cominicino le forti nevicate signfiica non dover aspettare fino a primavera. Nel frattempo, gli addetti ai lavori sono convinti che non passeranno troppe settimane prima che gli stessi migranti riammessi in Slovenia vengano nuovamente rintracciati in territorio italiano.

      https://www.triesteprima.it/cronaca/rotta-balcanica-migranti-slovenia-italia-riammissioni.html

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission

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      ajouté à cette liste sur les accords de réadmission entre pays européens :
      https://seenthis.net/messages/736091

    • "Le riammissioni dei migranti in Slovenia sono illegali", il Tribunale di Roma condanna il Viminale

      Per la prima volta un giudice si pronuncia sulla prassi di riportare indietro i richiedenti asilo in base a un vecchio accordo bilaterale. «Stanno violando la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali». L’ordinanza nasce dal ricorso di un 27 enne pakistano

      «La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia è illlegittima sotto molteplici profili». Non sono le parole di un’associazione che tutela i diritti dei migranti o di una delle tante ong che denuncia da mesi violenze e soprusi sulla rotta balcanica. Questa volta a dirlo, o meglio, a scriverlo in un’ordinanza a suo modo storica e che farà giurisprudenza, è una giudice della Repubblica. E’ il primo pronunciamento di questo tipo. Un durissimo atto d’accusa che porta l’intestazione del «Tribunale ordinario di Roma - Sezione diritti della persona e immigrazione» e la data del 18 gennaio 2021. Con le riammissioni informali sul confine italo-sloveno, che si tramutano - come documentato di recente anche da Repubblica - in un respingimento a catena fino alla Bosnia, il governo italiano sta violando contemporaneamente la legge italiana, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e persino lo stesso accordo bilaterale.

      La storia di Mahmood

      L’ordinanza emessa dalla giudice Silvia Albano è l’esito di un procedimento cautelare d’urgenza. Il pakistano Mahmood contro il ministero dell’Interno. Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si chiedeva al Tribunale «di accertare il diritto del signor Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia». La storia di questo 27 enne non è diversa da quella di migliaia di migranti che partecipano al Game, come nei campi profughi della Bosnia è stata beffardamente ribattezzata la pericolosa traversata dei boschi croati e sloveni. A metà del luglio scorso Mahmood raggiunge la frontiera di Trieste dopo il viaggio lungo rotta balcanica durante il quale ha subito violenze e trattamenti inumani, provati da una serie di fotografie che ha messo a disposizione del magistrato. E’ fuggito dal Pakistan «per le persecuzioni a causa del mio orientamento sessuale». Giunto in Italia insieme a un gruppo di connazionali, è rintracciato dagli agenti di frontiera e portato in una stazione di polizia italiana.

      «Minacciato coi bastoni dalla polizia italiana»

      Nel suo ricorso Mahmood sostiene di aver chiesto esplicitamente ai poliziotti l’intenzione di presentare la domanda di protezione internazionale. Richiesta del tutto ignorata. La sua testimonianza, evidentemente ritenuta attendibile dalla giudice Albano, prosegue col racconto di quanto accaduto all’interno e nelle vicinanze della stazione di frontiera. Si legge nell’ordinanza: «Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone». Da lì in poi il suo destino del pakistano è segnato: riportato nell’affollato campo bosniaco di Lipa, ha dormito alcune notti in campagna, infine ha trovato rifugio in un rudere a Sarajevo.

      Il Viminale non poteva non sapere

      Secondo il Tribunale di Roma ci sono tre solide ragioni per ritenere illegali le riammissioni in Slovenia. La prima. Avvengono senza che sia rilasciato alcun pezzo di carta legalmente valido. «Il riaccompagnamento forzato - scrive Albano - incide sulla sfera giuridica degli interessati quindi deve essere disposto con un provvedimento amministrativo motivato impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria». La seconda attiene al rispetto della Carta dei diritti fondamentali, che impone la necessità di esame individuale delle singole posizioni e vieta espulsioni collettive. E’ uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza. «Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali. Il ministero era in condizioni di sapere, alla luce dei report delle Ong, delle risoluzioni dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazioanale, che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani».

      Infine la terza ragione, che sbriciola la posizione ufficiale del Viminale, rappresentata al Parlamento dal sottosegretario Achille Variati durante un question time in cui è stato affermato che le riammissioni si applicano a tutti, anche a chi vuol presentare domanda di asilo. Scrive invece la giudice: «Non si può mai applicare nei confronti di un richiedente asilo senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale e lo stesso contenuto dell’Accordo bilaterale con la Slovenia».

      La condanna

      Per queste tre ragioni, il Viminale è condannato a prendere in esame la domanda di asilo di Mahmood, consentendogli l’immediato ingresso nel territorio italiano, e a pagare le spese legali. E’ la vittoria di Gianfranco Schiavone, componente del direttivo Asgi e presidente del Consorzio italiano di Solidarietà, che da mesi denuncia quanto sta accadendo sul confine italo-sloveno. Nel 2020 le riammissioni informali sono state circa 1.300. E’ la vittoria soprattutto delle due legali che hanno presentato il ricorso e sostenuto la causa, Anna Brambilla e Caterina Bove. «Siamo molto soddisfatte della pronuncia», commenta Brambilla. «Alla luce di questa ordinanza si devono interrompere subito le riammissioni informali in Slovenia perché sia garantito l’accesso al diritto di asilo».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/21/news/viminale_condannato_riammissioni_illegali_respingimenti_slovenia_migranti

      #condamnation #justice

    • I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

      Per il Tribunale di Roma le “riammissioni” del Viminale a danno dei migranti hanno esposto consapevolmente le persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. Il caso di un cittadino pachistano respinto a catena in Bosnia. L’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso, ricostruisce la vicenda e spiega perché l’ordinanza è importantissima

      I respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano e praticati con sempre maggior intensità dalla primavera 2020 al confine con la Slovenia sono “illegittimi”, violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale, e hanno esposto consapevolmente i migranti in transito lungo la “rotta balcanica”, inclusi i richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” oltreché a “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.

      A cristallizzarlo, demolendo la prassi governativa delle “riammissioni informali” alla frontiera orientale, è il Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione) con un’ordinanza datata 18 gennaio 2021 e giunta a seguito di un ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla (foro di Trieste e Milano, socie Asgi) nell’interesse di un richiedente asilo originario del Pakistan respinto dall’Italia nell’estate 2020 una volta giunto a Trieste e ritrovatosi a Sarajevo a vivere di stenti.

      Le 13 pagine firmate dalla giudice designata Silvia Albano tolgono ogni alibi al Viminale, che nemmeno si era costituito in giudizio, e riconoscono in capo alle “riammissioni informali” attuate in forza di un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 1996 la palese violazione, tra le altre fonti, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E non solo quando colpiscono i richiedenti asilo ma tutte le persone giunte al confine italiano.

      Abbiamo chiesto all’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso insieme a Brambilla, di spiegarci perché questa ordinanza segna un punto di svolta.

      Avvocata, facciamo un passo indietro e torniamo al luglio 2020. Che cosa è successo a Trieste?
      CB Dopo aver attraversato la “rotta balcanica” con grande sofferenza e aver tentato almeno dieci volte di oltrepassare il confine croato, il nostro assistito, originario del Pakistan, Paese dal quale era fuggito a seguito delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo, ha raggiunto Trieste nell’estate 2020. Lì, è stato intercettato dalla polizia italiana che lo ha accompagnato in un luogo gestito dalle autorità di frontiera.

      E poi?
      CB Presso quella che noi ipotizziamo si trattasse di una caserma (probabilmente la Fernetti, ndr) il ricorrente ha espresso più volte la volontà di accedere alla procedura di asilo. Invece di indirizzarlo presso le autorità competenti a ricevere la domanda di asilo, è stato fotosegnalato, trattenuto insieme ad altri in maniera informale e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli hanno fatto solo firmare dei documenti scritti in italiano e sequestrato il telefono. Dopodiché lo hanno ammanettato, caricato bruscamente su una camionetta e poi rilasciato su una zona collinare al confine con la Slovenia.

      In Slovenia, scrivete nel ricorso, hanno trascorso una notte senza possibilità di avere accesso ai servizi igienici, cibo o acqua. Quando chiedevano di usare il bagno “gli agenti ridevano e li ignoravano”.
      CB Confermo. Veniamo ora al respingimento a catena in Croazia. Il ricorrente e i suoi compagni vengono scaricati dalla polizia al confine e “accolti” da agenti croati che indossavano magliette blu scuro con pantaloni e stivali neri. I profughi vengono fatti sdraiare a terra e ammanettati dietro la schiena con delle fascette. Vengono presi a calci sulla schiena, colpiti con manganelli avvolti con filo spinato, spruzzati con spray al peperoncino, fatti rincorrere dai cani dopo un conto alla rovescia cadenzato da spari in aria.

      Queste circostanze sono ritenute provate dal Tribunale. In meno di 48 ore dalla riammissione a Trieste il vostro assistito si ritrova in Bosnia.
      CB Il ricorrente ha raggiunto il campo di Lipa, a pochi chilometri da Bihać, che però era saturo. Così ha raggiunto Sarajevo, dove vive attualmente spostandosi tra edifici abbandonati della città. La polizia bosniaca lo sgombera di continuo.

      Come avete fatto a entrare in contatto con lui?
      CB La sua testimonianza è stata prima raccolta dal Border Violence Monitoring Network e poi dal giornalista danese Martin Gottzske per il periodico Informatiòn.

      “La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia e anche in danno dell’odierno ricorrente è illegittima sotto molteplici profili”, si legge nell’ordinanza. Possiamo esaminarne alcuni?
      CB Il punto di partenza del giudice è che l’accordo bilaterale firmato nel settembre 1996 non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano e ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

      “Sono invece numerose le norme di legge che vengono violate dall’autorità italiana con la prassi dei cosiddetti ‘respingimenti informali in Slovenia’”, continua il Tribunale.
      CB Infatti. La riammissione avviene senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo. Le persone respinte non vengono informate di cosa sta avvenendo nei loro confronti, non ricevono alcun provvedimento amministrativo scritto e motivato e dunque non hanno possibilità di contestare le ragioni della procedura che subiscono, tantomeno di provarla direttamente. Questo viola il loro diritto di difesa e a un ricorso effettivo, diritti tutelati dall’articolo 24 della Costituzione, dall’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Dunque è una violazione che non dipende dalla condizione di richiedente asilo.
      CB Esatto, anche qui sta l’importanza del provvedimento e la sua ampia portata. Poi c’è la questione della libertà personale: la persona sottoposta a riammissione si vede ristretta la propria libertà personale senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.

      Arriviamo al cuore della decisione. La giudice scrive che “Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero ricevuto [in Croazia, ndr] in ordine al rispetto dei loro diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti e quello di proporre domanda di protezione internazionale”. E aggiunge che il ministero “era in condizioni di sapere” delle “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
      CB È accolta la nostra tesi, fondata su numerosi report, inchieste giornalistiche, denunce circostanziate di autorevoli organizzazioni per i diritti umani.
      La riammissione, anche a prescindere dalla richiesta di asilo, viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che reca il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento in caso lo straniero possa correre il rischio di subire tali trattamenti. Ogni Stato è cioè responsabile anche se non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è stata allontanata.
      In questo senso è un passaggio molto importante perché allarga la portata della decisione a tutte le persone che arrivano in Italia e che vengono rimandate indietro secondo la procedura descritta.
      È noto il meccanismo di riammissione a catena ed è nota la situazione in Croazia.

      La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il 13 gennaio 2021, ha ribadito però che Slovenia e Croazia sarebbero “Paesi sicuri”.
      CB Il Tribunale descrive una situazione diversa e ribadisce che la riammissione non può mai essere applicata nei confronti dei richiedenti asilo e di coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

      Che cosa succede ora?
      CB Considerato il comportamento illecito delle autorità italiane, il Tribunale fa diretta applicazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione consentendo l’ingresso sul territorio nazionale al ricorrente al fine di presentare la domanda di protezione internazionale, possibilità negatagli al suo arrivo. Non c’è un diritto di accedere al territorio italiano per chiedere asilo “da fuori” però, in base a questa norma come declinata dalla Corte di Cassazione, esiste tale diritto di ingresso se il diritto d’asilo sul territorio è stato negato per un comportamento illecito dell’autorità.
      Quindi il ricorrente dovrà poter fare ingresso il prima possibile per fare domanda di asilo. Spero che possa essergli rilasciato al più presto un visto d’ingresso.

      E per chi è stato respinto in questi mesi? Penso anche ai richiedenti asilo respinti, pratica confermata dal Viminale nell’estate 2020 e recentemente, a parole, “rivista”.
      CB Purtroppo per il passato non sarà facilissimo tutelare le persone respinte attraverso simili ricorsi perché le persone subiscono lungo la rotta la sistematica distruzione dei loro documenti di identità, dei telefonini e delle foto e, anche tenuto conto di come vivono poi in Bosnia, diventa per loro difficile provare quanto subito ma anche provare la propria identità. Per il futuro questa decisione chiarisce l’illegalità delle procedure di riammissione sia nei confronti dei richiedenti asilo sia dei non richiedenti protezione. Deve essere assicurato l’esame individuale delle singole posizioni.

      https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min

    • Tratto dal rapporto “#Doors_Wide_Shut – Quarterly report on push-backs on the Western Balkan Route” (Juin 2021):

      Pushbacks from Italy to Slovenia have been virtually suspended, following the visibility and advocacy pursued by national civil society actors on chain pushbacks and potentially reinforced by the January Court of Rome ruling. However, at least two reports on chain pushbacks from Italy through Slovenia and Croatia to BiH have been recorded in May 2021, by the Border Violence Monitoring Network (BVMN). As irregular movements continue, the question remains whether Italy will ensure access to individual formal procedures for those entering its territory from Slovenia and seeking asylum.

      https://helsinki.hu/en/doors-wide-shut-quarterly-report-on-push-backs-on-the-western-balkan-route
      https://seenthis.net/messages/927293

    • Italian Court Ruling on Chain Pushback

      A new ruling from the Court of Rome has been released, finding in favour of an applicant who was subject to an illegal chain pushback from Italy, via Slovenia and Croatia, to Bosnia-Herzegovina. This important development was brought to the court by Italian legal association ASGI, and supported by the Border Violence Monitoring Network (BVMN), who provided a first hand testimony from the applicant. The court found unequivocal evidence of violations of international law, and acknowledged the applicant’s right to enter Italy immediately, and to full and proper access to the asylum system.

      The pushback, which was recorded by BVMN member Fresh Response in Sarajevo, involved violations from all three EU member states who combined to eject the transit group into Bosnia-Herzegovina. In particular, the court found Italian authorities, who initiated the pushback, to have breached:

      - Access to asylum
      - Obligations on Non-refoulement
      - Application of detention
      - Right to effective remedies

      You can read more about the ruling in the press release below:
      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/Decisione-del-Tribunale.pdf

      https://www.borderviolence.eu/italian-court-ruling-on-chain-pushback

  • EU: Damning draft report on the implementation of the Return Directive

    Tineke Strik, the Green MEP responsible for overseeing the passage through the European Parliament of the ’recast Return Directive’, which governs certain common procedures regarding the detention and expulsion of non-EU nationals, has prepared a report on the implementation of the original 2008 Return Directive. It criticises the Commission’s emphasis, since 2017, on punitive enforcement measures, at the expense of alternatives that have not been fully explored or implemented by the Commission or the member states, despite the 2008 legislation providing for them.

    See: DRAFT REPORT on the implementation of the Return Directive (2019/2208(INI)): https://www.statewatch.org/media/documents/news/2020/jun/ep-libe-returns-directive-implementation-draft-rep-9-6-20.pdf

    From the explanatory statement:

    “This Report, highlighting several gaps in the implementation of the Return Directive, is not intended to substitute the still overdue fully-fledged implementation assessment of the Commission. It calls on Member States to ensure compliance with the Return Directive and on the Commission to ensure timely and proper monitoring and support for its implementation, and to enforce compliance if necessary.

    (...)

    With a view to the dual objective of the Return Directive, notably promoting effective returns and ensuring that returns comply with fundamental rights and procedural safeguards, this Report shows that the Directive allows for and supports effective returns, but that most factors impeding effective return are absent in the current discourse, as the effectiveness is mainly stressed and understood as return rate.”

    Parliamentary procedure page: Implementation report on the Return Directive (European Parliament, link: https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference=2019/2208(INI)&l=en)

    https://www.statewatch.org/news/2020/june/eu-damning-draft-report-on-the-implementation-of-the-return-directive
    #Directive_Retour #EU #Europe #Union_européenne #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #rétention #détention_administrative #évaluation #identification #efficacité #2008_Return_Directive #régimes_parallèles #retour_volontaire #déboutés #sans-papiers #permis_de_résidence #régularisation #proportionnalité #principe_de_proportionnalité #AVR_programmes #AVR #interdiction_d'entrée_sur_le_territoire #externalisation #Gambie #Bangladesh #Turquie #Ethiopie #Afghanistan #Guinée #Côte_d'Ivoire #droits_humains #Tineke_Strik #risque_de_fuite #fuite #accord #réadmission

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    Quelques passages intéressants tirés du rapport:

    The study shows that Member States make use of the possibility offered in Article 2(2)(a) not to apply the Directive in “border cases”, by creating parallel regimes, where procedures falling outside the scope of the Directive offer less safeguards compared to the regular return procedure, for instance no voluntary return term, no suspensive effect of an appeal and less restrictions on the length of detention. This lower level of protection gives serious reasons for concern, as the fact that border situations may remain outside the scope of the Directive also enhances the risks of push backs and refoulement. (...) Your Rapporteur considers that it is key to ensure a proper assessment of the risk of refoulement prior to the issuance of a return decision. This already takes place in Sweden and France. Although unaccompanied minors are rarely returned, most Member States do not officially ban their return. Their being subject to a return procedure adds vulnerability to their situation, due to the lack of safeguards and legal certainty.

    (p.4)
    #frontières #zones_frontalières #push-backs #refoulement

    Sur les #statistiques et #chiffres de #Eurostat:

    According to Eurostat, Member States issued over 490.000 return decisions in 2019, of which 85% were issued by the ten Member States under the current study. These figures are less reliable then they seem, due to the divergent practices. In some Member States, migrants are issued with a return decision more than once, children are not issued a decision separately, and refusals at the border are excluded.

    Statistics on the percentage of departure being voluntary show significant varieties between the Member States: from 96% in Poland to 7% in Spain and Italy. Germany and the Netherlands have reported not being able to collect data of non-assisted voluntary returns, which is remarkable in the light of the information provided by other Member States. According to Frontex, almost half of the departures are voluntary.

    (p.5)

    As Article 7(4) is often applied in an automatic way, and as the voluntary departure period is often insufficient to organise the departure, many returnees are automatically subject to an entry ban. Due to the different interpretations of a risk of absconding, the scope of the mandatory imposition of an entry ban may vary considerably between the countries. The legislation and practice in Belgium, Bulgaria, France, the Netherlands and Sweden provides for an automatic entry ban if the term for voluntary departure was not granted or respected by the returnee and in other cases, the imposition is optional. In Germany, Spain, Italy, Poland and Bulgaria however, legislation or practice provides for an automatic imposition of entry bans in all cases, including cases in which the returnee has left during the voluntary departure period. Also in the Netherlands, migrants with a voluntary departure term can be issued with an entry ban before the term is expired. This raises questions on the purpose and effectiveness of imposing an entry ban, as it can have a discouraging effect if imposed at an early stage. Why leave the territory in time on a voluntary basis if that is not rewarded with the possibility to re-enter? This approach is also at odds with the administrative and non-punitive approach taken in the Directive.

    (p.6)

    National legislation transposing the definition of “risk of absconding” significantly differs, and while several Member States have long lists of criteria which justify finding a risk of absconding (Belgium has 11, France 8, Germany 7, The Netherlands 19), other Member States (Bulgaria, Greece, Poland) do not enumerate the criteria in an exhaustive manner. A broad legal basis for detention allows detention to be imposed in a systematic manner, while individual circumstances are marginally assessed. National practices highlighted in this context also confirm previous studies that most returns take place in the first few weeks and that longer detention hardly has an added value.

    (p.6)

    In its 2016 Communication on establishing a new Partnership Framework with third countries under the European Agenda on Migration, the Commission recognised that cooperation with third countries is essential in ensuring effective and sustainable returns. Since the adoption of this Communication, several informal arrangements have been concluded with third countries, including Gambia, Bangladesh, Turkey, Ethiopia, Afghanistan, Guinea and Ivory Coast. The Rapporteur regrets that such informal deals are concluded in the complete absence of duly parliamentary scrutiny and democratic and judicial oversight that according to the Treaties the conclusion of formal readmission agreements would warrant.

    (p.7)

    With the informalisation of cooperation with third countries in the field of migration, including with transit countries, also came an increased emphasis on conditionality in terms of return and readmission. The Rapporteur is concerned that funding earmarked for development cooperation is increasingly being redirected away from development and poverty eradication goals.

    (p.7)
    #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide

    ping @_kg_ @isskein @i_s_ @karine4 @rhoumour

  • Comment l’Europe contrôle ses frontières en #Tunisie ?

    Entre les multiples programmes de coopération, les accords bilatéraux, les #équipements fournis aux #gardes-côtes, les pays européens et l’Union européenne investissent des millions d’euros en Tunisie pour la migration. Sous couvert de coopération mutuelle et de “#promotion_de_la mobilité”, la priorité des programmes migratoires européens est avant tout l’externalisation des frontières. En clair.

    À la fois pays de transit et pays de départ, nœud dans la région méditerranéenne, la Tunisie est un partenaire privilégié de l’Europe dans le cadre de ses #politiques_migratoires. L’Union européenne ou les États qui la composent -Allemagne, France, Italie, Belgique, etc.- interviennent de multiples manières en Tunisie pour servir leurs intérêts de protéger leurs frontières et lutter contre l’immigration irrégulière.

    Depuis des années, de multiples accords pour réadmettre les Tunisien·nes expulsé·es d’Europe ou encore financer du matériel aux #gardes-côtes_tunisiens sont ainsi signés, notamment avec l’#Italie ou encore avec la #Belgique. En plus de ces #partenariats_bilatéraux, l’#Union_européenne utilise ses fonds dédiés à la migration pour financer de nombreux programmes en Tunisie dans le cadre du “#partenariat_pour_la_mobilité”. Dans les faits, ces programmes servent avant tout à empêcher les gens de partir et les pousser à rester chez eux.

    L’ensemble de ces programmes mis en place avec les États européens et l’UE sont nombreux et difficiles à retracer. Dans d’autres pays, notamment au Nigeria, des journalistes ont essayé de compiler l’ensemble de ces flux financiers européens pour la migration. Dans leur article, Ils et elle soulignent la difficulté, voire l’impossibilité de véritablement comprendre tous les fonds, programmes et acteurs de ces financements.

    “C’est profondément préoccupant”, écrivent Maite Vermeulen, Ajibola Amzat et Giacomo Zandonini. “Bien que l’Europe maintienne un semblant de transparence, il est pratiquement impossible dans les faits de tenir l’UE et ses États membres responsables de leurs dépenses pour la migration, et encore moins d’évaluer leur efficacité.”

    En Tunisie, où les investissements restent moins importants que dans d’autres pays de la région comme en Libye, il a été possible d’obtenir un résumé, fourni par la Délégation de l’Union européenne, des programmes financés par l’UE et liés à la migration. Depuis 2016, cela se traduit par l’investissement de près de 58 millions d’euros à travers trois différents fonds : le #FFU (#Fonds_Fiduciaire_d’Urgence) de la Valette, l’#AMIF (Asylum, Migration and Integration Fund) et l’Instrument européen de voisinage (enveloppe régionale).

    Mais il est à noter que ces informations ne prennent pas en compte les autres investissements d’#aide_au_développement ou de soutien à la #lutte_antiterroriste dont les programmes peuvent également concerner la migration. Depuis 2011, au niveau bilatéral, l’Union européenne a ainsi investi 2,5 billions d’euros en Tunisie, toutes thématiques confondues.

    L’écrasante majorité de ces financements de l’UE - 54 200 000 euros - proviennent du #Fond_fiduciaire_d'urgence_pour_l'Afrique. Lancé en 2015, lors du #sommet_de_la_Valette, ce FFU a été créé “en faveur de la stabilité et de la lutte contre les #causes_profondes de la migration irrégulière et du phénomène des personnes déplacées en Afrique” à hauteur de 2 milliards d’euros pour toute la région.

    Ce financement a été pointé du doigt par des associations de droits humains comme Oxfam qui souligne “qu’une partie considérable de ses fonds est investie dans des mesures de #sécurité et de #gestion_des_frontières.”

    “Ces résultats montrent que l’approche des bailleurs de fonds européens vis-à-vis de la gestion des migrations est bien plus axée sur des objectifs de #confinement et de #contrôle. Cette approche est loin de l’engagement qu’ils ont pris (...) de ‘promouvoir des canaux réguliers de migration et de mobilité au départ des pays d’Europe et d’Afrique et entre ceux-ci’ (...) ou de ‘Faciliter la migration et la mobilité de façon ordonnée, sans danger, régulière et responsable’”, détaille plus loin le rapport.

    Surveiller les frontières

    Parmi la vingtaine de projets financés par l’UE, la sécurité des frontières occupe une place prépondérante. Le “#Programme_de_gestion_des_frontières_au_Maghreb” (#BMP_Maghreb) est, de loin, le plus coûteux. Pour fournir de l’équipement et des formations aux gardes-côtes tunisiens, l’UE investit 20 millions d’euros, près d’un tiers du budget en question.

    Le projet BMP Maghreb a un objectif clairement défini : protéger, surveiller et contrôler les #frontières_maritimes dans le but de réduire l’immigration irrégulière. Par exemple, trois chambres d’opération ainsi qu’un système pilote de #surveillance_maritime (#ISmariS) ont été fournis à la garde nationale tunisienne. En collaboration avec le ministère de l’Intérieur et ses différents corps - garde nationale, douane, etc. -, ce programme est géré par l’#ICMPD (#Centre_international_pour_le_développement_des_politiques_migratoires).

    “Le BMP Maghreb est mis en place au #Maroc et en Tunisie. C’est essentiellement de l’acquisition de matériel : matériel informatique, de transmission demandé par l’Etat tunisien”, détaille Donya Smida de l’ICMPD. “On a fait d’abord une première analyse des besoins, qui est complétée ensuite par les autorités tunisiennes”.

    Cette fourniture de matériel s’ajoute à des #formations dispensées par des #experts_techniques, encore une fois coordonnées par l’ICMPD. Cette organisation internationale se présente comme spécialisée dans le “renforcement de capacités” dans le domaine de la politique migratoire, “loin des débat émotionnels et politisés”.

    "Cette posture est symptomatique d’un glissement sémantique plus général. Traiter la migration comme un sujet politique serait dangereux, alors on préfère la “gérer” comme un sujet purement technique. In fine, la ’gestionnaliser’ revient surtout à dépolitiser la question migratoire", commente #Camille_Cassarini, chercheur sur les migrations subsahariennes en Tunisie. “L’ICMPD, ce sont des ‘techniciens’ de la gestion des frontières. Ils dispensent des formations aux États grâce à un réseau d’experts avec un maître-mot : #neutralité politique et idéologique et #soutien_technique."

    En plus de ce programme, la Tunisie bénéficie d’autres fonds et reçoit aussi du matériel pour veiller à la sécurité des frontières. Certains s’inscrivent dans d’autres projets financés par l’UE, comme dans le cadre de la #lutte_antiterroriste.

    Il faut aussi ajouter à cela les équipements fournis individuellement par les pays européens dans le cadre de leurs #accords_bilatéraux. En ce qui concerne la protection des frontières, on peut citer l’exemple de l’Italie qui a fourni une douzaine de bateaux à la Tunisie en 2011. En 2017, l’Italie a également soutenu la Tunisie à travers un projet de modernisation de bateaux de patrouille fournis à la garde nationale tunisienne pour environ 12 millions d’euros.

    L’#Allemagne est aussi un investisseur de plus en plus important, surtout en ce qui concerne les frontières terrestres. Entre 2015 et 2016, elle a contribué à la création d’un centre régional pour la garde nationale et la police des frontières. A la frontière tuniso-libyenne, elle fournit aussi des outils de surveillance électronique tels que des caméras thermiques, des paires de jumelles nocturnes, etc…

    L’opacité des #accords_bilatéraux

    De nombreux pays européens - Allemagne, Italie, #France, Belgique, #Autriche, etc. - coopèrent ainsi avec la Tunisie en concluant de nombreux accords sur la migration. Une grande partie de cette coopération concerne la #réadmission des expulsé·es tunisien·nes. Avec l’Italie, quatre accords ont ainsi été signés en ce sens entre 1998 et 2011. D’après le FTDES* (Forum tunisien des droits économiques et sociaux), c’est dans le cadre de ce dernier accord que la Tunisie accueillerait deux avions par semaine à l’aéroport d’Enfidha de Tunisien·nes expulsé·es depuis Palerme.

    “Ces accords jouent beaucoup sur le caractère réciproque mais dans les faits, il y a un rapport inégal et asymétrique. En termes de réadmission, il est évident que la majorité des #expulsions concernent les Tunisiens en Europe”, commente Jean-Pierre Cassarino, chercheur et spécialiste des systèmes de réadmission.

    En pratique, la Tunisie ne montre pas toujours une volonté politique d’appliquer les accords en question. Plusieurs pays européens se plaignent de la lenteur des procédures de réadmissions de l’Etat tunisien avec qui “les intérêts ne sont pas vraiment convergents”.

    Malgré cela, du côté tunisien, signer ces accords est un moyen de consolider des #alliances. “C’est un moyen d’apparaître comme un partenaire fiable et stable notamment dans la lutte contre l’extrémisme religieux, l’immigration irrégulière ou encore la protection extérieure des frontières européennes, devenus des thèmes prioritaires depuis environ la moitié des années 2000”, explique Jean-Pierre Cassarino.

    Toujours selon les chercheurs, depuis les années 90, ces accords bilatéraux seraient devenus de plus en plus informels pour éviter de longues ratifications au niveau bilatéral les rendant par conséquent, plus opaques.

    Le #soft_power : nouvel outil d’externalisation

    Tous ces exemples montrent à quel point la question de la protection des frontières et de la #lutte_contre_l’immigration_irrégulière sont au cœur des politiques européennes. Une étude de la direction générale des politiques externes du Parlement européen élaborée en 2016 souligne comment l’UE “a tendance à appuyer ses propres intérêts dans les accords, comme c’est le cas pour les sujets liés à l’immigration.” en Tunisie.

    Le rapport pointe du doigt la contradiction entre le discours de l’UE qui, depuis 2011, insiste sur sa volonté de soutenir la Tunisie dans sa #transition_démocratique, notamment dans le domaine migratoire, tandis qu’en pratique, elle reste focalisée sur le volet sécuritaire.

    “La coopération en matière de sécurité demeure fortement centrée sur le contrôle des flux de migration et la lutte contre le terrorisme” alors même que “la rhétorique de l’UE en matière de questions de sécurité (...) a évolué en un discours plus large sur l’importance de la consolidation de l’État de droit et de la garantie de la protection des droits et des libertés acquis grâce à la révolution.”, détaille le rapport.

    Mais même si ces projets ont moins de poids en termes financiers, l’UE met en place de nombreux programmes visant à “développer des initiatives socio-économiques au niveau local”, “ mobiliser la diaspora” ou encore “sensibiliser sur les risques liés à la migration irrégulière”. La priorité est de dissuader en amont les potentiel·les candidat·es à l’immigration irrégulière, au travers de l’appui institutionnel, des #campagnes de #sensibilisation...

    L’#appui_institutionnel, présenté comme une priorité par l’UE, constitue ainsi le deuxième domaine d’investissement avec près de 15% des fonds.

    Houda Ben Jeddou, responsable de la coopération internationale en matière de migration à la DGCIM du ministère des Affaires sociales, explique que le projet #ProgreSMigration, créé en 2016 avec un financement à hauteur de 12,8 millions d’euros, permet de mettre en place “ des ateliers de formations”, “des dispositifs d’aides au retour” ou encore “des enquêtes statistiques sur la migration en Tunisie”.

    Ce projet est en partenariat avec des acteurs étatiques tunisiens comme le ministère des Affaires Sociales, l’observatoire national des migrations (ONM) ou encore l’Institut national de statistiques (INS). L’un des volets prioritaires est de “soutenir la #Stratégie_nationale_migratoire_tunisienne”. Pour autant, ce type de projet ne constitue pas une priorité pour les autorités tunisiennes et cette stratégie n’a toujours pas vu le jour.

    Houda Ben Jeddou explique avoir déposé un projet à la présidence en 2018, attendant qu’elle soit validée. "Il n’y a pas de volonté politique de mettre ce dossier en priorité”, reconnaît-elle.

    Pour Camille Cassarini, ce blocage est assez révélateur de l’absence d’une politique cohérente en Tunisie. “Cela en dit long sur les stratégies de contournement que met en place l’État tunisien en refusant de faire avancer le sujet d’un point de vue politique. Malgré les investissements européens pour pousser la Tunisie à avoir une politique migratoire correspondant à ses standards, on voit que les agendas ne sont pas les mêmes à ce niveau”.

    Changer la vision des migrations

    Pour mettre en place tous ces programmes, en plus des partenariats étatiques avec la Tunisie, l’Europe travaille en étroite collaboration avec les organisations internationales telles que l’#OIM (Organisation internationale pour les migrations), l’ICMPD et le #UNHCR (Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés), les agences de développement européennes implantées sur le territoire - #GiZ, #Expertise_France, #AfD - ainsi que la société civile tunisienne.

    Dans ses travaux, Camille Cassarini montre que les acteurs sécuritaires sont progressivement assistés par des acteurs humanitaires qui s’occupent de mener une politique gestionnaire de la migration, cohérente avec les stratégies sécuritaires. “Le rôle de ces organisations internationales, type OIM, ICMPD, etc., c’est principalement d’effectuer un transfert de normes et pratiques qui correspondent à des dispositifs de #contrôle_migratoire que les Etats européens ne peuvent pas mettre directement en oeuvre”, explique-t-il.

    Contactée à plusieurs reprises par Inkyfada, la Délégation de l’Union européenne en Tunisie a répondu en fournissant le document détaillant leurs projets dans le cadre de leur partenariat de mobilité avec la Tunisie. Elle n’a pas souhaité donner suite aux demandes d’entretiens.

    En finançant ces organisations, les Etats européens ont d’autant plus de poids dans leur orientation politique, affirme encore le chercheur en donnant l’exemple de l’OIM, une des principales organisations actives en Tunisie dans ce domaine. “De par leurs réseaux, ces organisations sont devenues des acteurs incontournables. En Tunisie, elles occupent un espace organisationnel qui n’est pas occupé par l’Etat tunisien. Ça arrange plus ou moins tout le monde : les Etats européens ont des acteurs qui véhiculent leur vision des migrations et l’État tunisien a un acteur qui s’en occupe à sa place”.

    “Dans notre langage académique, on les appelle des #acteurs_épistémologiques”, ajoute Jean-Pierre Cassarino. A travers leur langage et l’étendue de leur réseau, ces organisations arrivent à imposer une certaine vision de la gestion des migrations en Tunisie. “Il n’y a qu’à voir le #lexique de la migration publié sur le site de l’Observatoire national [tunisien] des migrations : c’est une copie de celui de l’OIM”, continue-t-il.

    Contactée également par Inkyfada, l’OIM n’a pas donné suite à nos demandes d’entretien.

    Camille Cassarini donne aussi l’exemple des “#retours_volontaires”. L’OIM ou encore l’Office français de l’immigration (OFII) affirment que ces programmes permettent “la réinsertion sociale et économique des migrants de retour de façon à garantir la #dignité des personnes”. “Dans la réalité, la plupart des retours sont très mal ou pas suivis. On les renvoie au pays sans ressource et on renforce par là leur #précarité_économique et leur #vulnérabilité", affirme-t-il. “Et tous ces mots-clés euphémisent la réalité d’une coopération et de programmes avant tout basé sur le contrôle migratoire”.

    Bien que l’OIM existe depuis près de 20 ans en Tunisie, Camille Cassarini explique que ce système s’est surtout mis en place après la Révolution, notamment avec la société civile. “La singularité de la Tunisie, c’est sa transition démocratique : l’UE a dû adapter sa politique migratoire à ce changement politique et cela est passé notamment par la promotion de la société civile”.

    Dans leur ouvrage à paraître “Externaliser la gouvernance migratoire à travers la société tunisienne : le cas de la Tunisie” [Externalising Migration Governance through Civil Society : Tunisia as a Case Study], Sabine Didi et Caterina Giusa expliquent comment les programmes européens et les #organisations_internationales ont été implantées à travers la #société_civile.

    “Dans le cas des projets liés à la migration, le rôle déterminant de la société civile apparaît au niveau micro, en tant qu’intermédiaire entre les organisations chargées de la mise en œuvre et les différents publics catégorisés et identifiés comme des ‘#migrants_de_retour’, ‘membres de la diaspora’, ou ‘candidats potentiels à la migration irrégulière’", explique Caterina Giusa dans cet ouvrage, “L’intérêt d’inclure et et de travailler avec la société civile est de ‘faire avaler la pilule’ [aux populations locales]”.

    “Pour résumer, tous ces projets ont pour but de faire en sorte que les acteurs tunisiens aient une grille de lecture du phénomène migratoire qui correspondent aux intérêts de l’Union européenne. Et concrètement, ce qui se dessine derrière cette vision “gestionnaire”, c’est surtout une #injonction_à_l’immobilité”, termine Camille Cassarini.

    https://inkyfada.com/fr/2020/03/20/financements-ue-tunisie-migration
    #externalisation #asile #migrations #frontières #Tunisie #EU #UE #Europe #contrôles_frontaliers #politique_de_voisinage #dissuasion #IOM #HCR #immobilité

    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765330

    Et celle sur la conditionnalité de l’aide au développement :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

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  • L’APD, un levier au service de la politique migratoire
    = une des 20 décisions pensées par le Comité interministériel sur l’immigration et l’intégration pour « améliorer notre politique d’immigration, d’asile et d’intégration » https://medias.amf.asso.fr/upload/files/Decisions_Immigration.pdf

    ... et c’est quand même la 2e mesure évoquée (p.5)...

    L’APD a une finalité propre qui est de lutter contre les #inégalités et de contribuer au #développement des pays, en particulier les plus vulnérables. Elle peut, à ce titre, constituer un levier au service de notre #politique_migratoire (#aide_humanitaire, renforcement capacitaire, projets sociaux-économiques). Dans ce cadre, elle doit s’inscrire dans un dialogue plus large et dans une logique d’engagements réciproques. Un dialogue annuel sera institutionnalisé avec les États bénéficiaires de l’APD française. Ce dialogue s’appuie aujourd’hui sur plusieurs instruments : le plan « migrations / asile », visant à obtenir une réduction de l’immigration irrégulière par une meilleure coopération, actuellement mis en œuvre avec plusieurs pays tiers ; le plan « migrations internationales et développement » 2018-2022, doté de 1,58 Md € afin de prendre en compte les enjeux migratoires dans les politiques de développement ; les #accords_de_gestion_concertée (#AGC) des flux migratoires (ex : avec la Tunisie, le Sénégal, etc.).

    Le Gouvernement entend également faire valoir ce lien APD / migrations dans les négociations sur les instruments européens de coopération et d’#aide_au_développement. Dans le cadre de la négociation européenne sur un nouvel instrument de « voisinage, de coopération au développement et de coopération internationale » (#NDICI) pour la période 2021-2027, la France met l’accent sur les questions migratoires. Elle souhaite que 10% des fonds soient ciblés sur des projets directement liés à la gestion des flux migratoires. Elle demande aussi la création d’un mécanisme financier de réaction rapide aux crises.La France défend par ailleurs, dans le cadre des négociations du futur accord entre l’Union européenne et les pays d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique (ACP) – appelé à succéder à l’#accord_de_Cotonou, l’inscription d’engagements ambitieux permettant d’assurer l’effectivité de la coopération en matière migratoire et notamment la mise en œuvre de l’obligation de #réadmission.

    https://medias.amf.asso.fr/upload/files/Decisions_Immigration.pdf
    #France #asile #migrations #développement #root_causes #APD #coopération_au_développement #aide_au_développement #accords_bilatéraux

    ajouté à la métaliste :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768698

    ping @karine4 @isskein

    • A mettre en lien avec cela :
      A Dakar, l’immigration s’invite dans les débats entre gouvernements français et sénégalais

      Parmi les leviers dont dispose la France, l’aide publique au développement, dont le budget total doit atteindre 0,55% du PIB en 2022. Environ 2 milliards d’euros de cette aide ont été distribués au Sénégal depuis 2007 : des « efforts » qui doivent « produire des résultats sur l’immigration irrégulière », souligne Matignon.

      https://seenthis.net/messages/811609
      #Sénégal

  • The Administrative Arrangement between Greece and Germany

    The Administrative Arrangement between Ministry of migration Policy of the Hellenic Republic and the Federal Ministry of Interior of the Republic of Germany has been implemented already to four known cases. It has been the product of bilateral negotiations that occurred after German Chancellor Merkel faced another political crisis at home regarding the handling of the refugee issue.

    The document which has been the product of undisclosed negotiations and has not been made public upon its conclusion is a brief description of the cooperation of Greek and German authorities in cases of refusal of entry to persons seeking protection in the context of temporary checks at the internal German-Austrian border, as defined in its title. It essentially is a fast track implementation of return procedures in cases for which Dublin Regulation already lays down specific rules and procedures. The procedures provided in the ‘Arrangement’ skip all legal safeguards and guarantees of European Legislation.

    RSA and PRO ASYL have decided to publicize the document of the Arrangement for the purpose of serving public interest and transparency. The considerable secrecy that the two member states kept on a document of such importance is a scandal itself. There are two first underlying observations which incur/ result from studying the document. First, the Arrangement has the same institutional (or by institutional) features with the EU-Turkey deal, it is the product of negotiations which intend to regulate EU policy procedures without having been the product of an EU level institutional procedure. It circumvents European law (the Dublin regulation) in order to serve the interests of a group of particular member states. As a result its status within the legal apparatus of the EU and international law is obscure.

    Secondly, the ‘Arrangement’ introduces a grey zone (intentionally if not geographically) where a bilateral deal between two countries gains supremacy over European (Dublin regulation) and international legislation (Geneva convention). It is therefore an important document that should be critically and at length studied by all scholars and experts active in the field of refugee protection as it deprives asylum seekers of their rights and is a clear violation of EU law.

    Last but not least as Article 15-ii of the ‘Arrangement’ notes “This Administrative Arrangement will also discontinue upon entry into force of the revised Common European Asylum System”. Still as everyone in Brussels already admits the CEAS reform has been declared dead. So if nothing occurs to reconstitute the defunct CEAS policy and the arrangement remains as the only channel/form of cooperation between Greece and Germany in order to establish responsibility for asylum seekers arriving in Germany after coming through Greece, then could Greece and Germany, in their irregular bilateral efforts to circumvent the European process, have actually produced one of the first post EU legal arrangements?

    https://rsaegean.org/en/the-administrative-arrangement-between-greece-and-germany

    #accord #Allemagne #Grèce #asile #migrations #réfugiés #Dublin #Règlement_Dublin #renvois #expulsions #accord_bilatéral #regroupement_familial #liaison_officers #officiers_de_liaison #Eurodac #refus_d'entrée #renvois #expulsions #frontières #contrôles_frontaliers #Autriche #réadmission #avion #vol

    ping @isskein

    • Germany – Magdeburg Court suspends return of beneficiary of international protection to Greece

      On 13 November 2018, the Administrative Court of Magdeburg granted an interim measure ordering the suspensive effect of the appeal against a deportation order of an international protection beneficiary to Greece.

      The case concerned a Syrian national who applied for international protection in Germany. The Federal Office of Migration and Refugees (BAMF) rejected the application based on the fact that the applicant had already been granted international protection in Greece and ordered his deportation there.

      The Administrative Court held that there were serious doubts regarding the conformity of the BAMF’s conclusion that there were no obstacles to the deportation of the applicant to Greece with national law, which provides that a foreign national cannot be deported if such deportation would be in violation of the European Convention on Human Rights (ECHR). The Court found that there are substantial grounds to believe that the applicant would face a real risk of inhuman and degrading treatment within the meaning of Article 3 ECHR if returned to Greece.

      The Court based this conclusion, inter alia, on the recent reports highlighting that international protection beneficiaries in Greece had no practical access to accommodation, food distribution and sanitary facilities for extended periods of time after arrival. The Court further observed that access of international protection beneficiaries to education, health care, employment, accommodation and social benefits under the same conditions as Greek nationals is provided in domestic law but is not enforced. Consequently, the ensuing living conditions could not be considered adequate for the purposes of Article 3 ECHR.

      Finally, the Court found that the risk of destitution after return could be excluded in cases where individual assurances are given by the receiving authorities, clarifying, however, that any such guarantees should be specific to the individual concerned. In this respect, guarantees given by the Greek authorities that generally refer to the transposition of the Qualification Directive into Greek law, as a proof that recognised refugees enjoy the respective rights, could not be considered sufficient.

      https://mailchi.mp/ecre/elena-weekly-legal-update-08-february-2019#8

    • Germany Rejects 75% of Greek Requests for Family Reunification

      In 2019, the German Federal Office for Asylum and Migration (BAMF) rejected three quarters of requests for family reunification under the Dublin III regulation from Greece. The high rejection rate draws criticism from NGOs and MPs who say the BAMF imposes exceedingly harsh requirements.

      The government’s response to a parliamentary question by the German left party, Die Linke, revealed that from January until May 2019 the BAMF rejected 472 of 626 requests from Greece. Under the Dublin III Regulation, an EU Member State can file a “take-charge request” to ask another EU member state to process an asylum application, if the person concerned has family there. Data from the Greek Asylum Service shows that in 2018 less than 40% of “take-charge requests” were accepted, a stark proportional decrease from 2017, when over 90% of requests were accepted. The German government did not provide any reasons for the high rejection rate.

      Gökay Akbulut, an MP from Die Linke, noted that often family reunification failed because the BAMF imposes exceedingly strict requirements that have no basis in the regulation. At the same time people affected have limited access to legal advice needed to appeal illegitimate rejections of their requests. For people enduring inhuman conditions on Greek Islands family reunifications were often the last resort from misery, Akbulut commented.

      In 2018, 70% of all Dublin requests from Greece to other EU Member states related to family reunification cases. Germany has been the major country of destination for these request. An estimate of over 15,000 live in refugee camps on Greek islands with a capacity of 9000.

      https://www.ecre.org/germany-rejects-75-of-greek-requests-for-family-reunification

  • 21.11.2018 – UE - Tunisie - Conseil d’association - Priorités stratégiques

    Décision n° 1/2018 du Conseil d’association UE-Tunisie du 9 novembre 2018 adoptant les priorités stratégiques UE-Tunisie pour la période 2018-2020

    (...)

    Consolider le partenariat privilégié UE-Tunisie : priorités stratégiques pour la période 2018-2020

    (...)

    2.3. Rapprochement entre les peuples, mobilité et migration

    Le rapprochement entre les sociétés tunisiennes et européennes constitue un pilier essentiel du partenariat privilégié, à travers le renforcement des échanges entre peuples, sociétés et cultures. Cette dimension mobilité revêt une importance particulière dans la mise en œuvre du partenariat pour la Jeunesse. La mise en œuvre effective de l’association de la Tunisie à Horizon 2020 et sa participation à Europe Créative et Erasmus+ seront les pierres angulaires de ces efforts.

    La gestion concertée de la migration est une priorité politique, tant pour la Tunisie que pour l’Union européenne. Les deux parties s’engagent à intensifier le dialogue et la coopération, notamment par la mise en œuvre du partenariat pour la mobilité, le renforcement de la lutte contre les causes profondes de la migration irrégulière, ainsi qu’une disponibilité européenne pour soutenir la mise en place d’un système d’asile tunisien. Cette coopération, qui reflétera aussi la dimension régionale de ces problématiques, inclura :

    -- la mise en œuvre de la stratégie nationale tunisienne en matière de migration, couvrant également l’asile et la protection internationale, y inclus la mise en œuvre d’un cadre législatif approprié,

    -- la conclusion des négociations d’accords de réadmission et de facilitation des visas,

    -- la bonne gouvernance de la migration légale, par une meilleure coordination avec les États membres de l’Union européenne dans le respect de leurs compétences, y compris à travers la mise en place de schémas pilotes de mobilité et une meilleure intégration des migrants dans les pays hôtes,

    --

    le soutien à la mobilisation des Tunisiens de l’étranger pour les investissements dans les secteurs innovants en Tunisie,

    -- le soutien à la prévention de la migration irrégulière, en particulier par une meilleure prise en compte des questions migratoires dans les stratégies de développement ; ceci passe également par une gestion des frontières renforcée et par des campagnes de sensibilisation sur les risques de la migration irrégulière,

    -- le soutien aux activités de prévention, et de lutte contre le trafic des migrants et la traite des êtres humains, y compris à travers la détection et la poursuite des réseaux criminels, et

    -- la consolidation de la coopération en matière de retour et réadmission, y compris à travers le soutien à la réinsertion durables des Tunisiens de retour.

    –-> https://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2018.293.01.0039.01.FRA&toc=OJ:L:2018:293:TOC

    http://www.europeanmigrationlaw.eu/fr/articles/actualites/ue-tunisie-conseil-d-association-priorites-strategiques.html
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tunisie #EU #UE #Europe

    Commentaire de Claudia Charles sur la mailing-list Migreurop :

    En complément du message envoyé par Alizée, voici un article sur la décision n° 1/2018 du conseil d’association (en vertu de l’#accord_d'association UE - Tunisie) "adoptant les priorités stratégiques UE - Tunisie pour la période 2018 - 2020

    Le point sur « rapprochement entre les peuples, mobilité et migration » se résume (rien de nouveau) à l’adoption, par la Tunisie, d’une réglementation en matière de migration et d’asile, des mesurettes concernant la mobilité (ce qui était déjà dit à multiples occasions et enceintes (processus de Rabat, Sommet de Malte, FFU, partenariat pour la mobilité), et les #accords_de_réadmission / facilitation de #visa.

    L’#OIM aura sa part du gâteau : « la consolidation de la coopération en matière de retour et #réadmission, y compris à travers le soutien à la #réinsertion durables des Tunisiens de retour. »

    #IOM #retours #renvois #expulsions

    ping @_kg_

    • L’émigration irrégulière : Conception de l’opération et parade

      L’émigration vers l’Europe n’est pas un phénomène nouveau en Tunisie car elle date depuis 1970. Par contre, l’émigration irrégulière (la #Harga) entre les côtes tunisiennes et italiennes a commencé en 1990 lorsque l’#Italie a ratifié les accords #Schengen imposant ainsi des #visas d’entrée pour les ressortissants tunisiens.

      Une étude élaborée par le Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES) montre qu’avant la révolution de 2011, 30% des Tunisiens de moins de 35 ans exprimaient le désir de migrer vers l’Europe. En raison de la #crise_économique qui ne cesse de frapper le pays durant la période de transition démocratique, ce chiffre a grimpé à 54% en 2017.

      La recrudescence de l’#émigration clandestine à partir de 2015 s’est traduite par des chiffres très alarmants. En effet, 119.369 migrants sont arrivés en Italie en 2017 alors que le nombre de victimes en 2016 est de 5000 selon un rapport publié par les Nations Unies.

      Face à cette situation préoccupante, l’Europe cherche à coordonner avec les #pays_de_transit en vue de trouver une solution à ce quelle considère une menace asymétrique qui pèse sur la sécurité de l’Occident.

      Aujourd’hui, les causes de l’émigration irrégulière sont connues et toute solution au problème doit passer par une combinaison de mesures politiques, économiques, sociales et sécuritaires.
      Sachant que les mesures politiques et socio-économiques ont fait l’objet de plusieurs études, le présent article est consacré à l’explication du volet opérationnel de l’émigration irrégulière. Une explication sans laquelle toute mesure sécuritaire reste incomplète et non concluante.

      Ainsi, après une présentation succincte de l’importance géographique de la Tunisie qui fait du pays un tremplin pour l’Europe, je prendrai en détails la conception de l’opération d’émigration clandestine avant de proposer les actions à entreprendre pour interdire ou contrer cette opération.

      1. Importance géographique de la Tunisie

      Selon une carte tracée par l’Union Européenne, les flux de l’émigration clandestine à destination de l’Europe suivent trois routes en mer méditerranéenne : La route occidentale qui passe par Gibraltar, la route centrale qui passe par la Tunisie et la Libye (carte nr1) et la route orientale qui passe par la Turquie et la mer Egée.

      Sur cette route centrale, la Tunisie occupe une place privilégiée. En effet, située sur le canal de Sicile qui constitue un pont entre l’Afrique et l’Europe et marquée par des conditions météorologiques clémentes sur la quasi-totalité de l’année, elle offre plusieurs possibilités pour rallier l’Italie (carte nr2) :

      Au nord, on trouve deux routes : La Galite-La Sardaigne (130 km) et Bizerte-Mazzara (175km).
      le nord-est présente trois options : Kélébia-Pantelleria (70km), Al Hawaria-Mazzara (160km) et Béni Khiar-Lampedusa (195km).
      au sud, trois autres itinéraires vers Lampedusa : à partir de Chebba (135km), de Kerkennah (140km) et de Zarzis (250km).

      En outre, la Tunisie est devenue le seul pays de transit après la fermeture des routes partant de la Libye. En effet, le flux d’émigrés à partir de ce pays a significativement tari suite à la signature d’un mémorandum d’entente le 2 février 2017 entre Rome et Tripoli (appuyé par les dirigeants européens dans la déclaration de Malte). Aux termes de cet accord, l’Italie doit coopérer avec les forces armées et les garde-frontières libyennes afin de juguler l’afflux de migrants illégaux. Un dispositif a été alors mis en place et 20.000 émigrants ont été interceptés en 2017 et reconduits en Libye, dans des centres de détention. Ainsi, le flux venant essentiellement des pays du Sahel africain a basculé sur le territoire tunisien.
      2. Déroulement d’une opération d’émigration clandestine

      De prime abord, il est à signaler que Les voyages clandestins sont organisés par des réseaux criminels. Le trafic est devenu transnational et apporte beaucoup d’argent. Une étude publiée par le journal d’actualités américain « The Christian Science Monitor » souligne « l’apparition de groupes mafieux d’envergure internationale italiens, albanais, libyens et autres » qui se livrent à ce trafic et gagnent 400 milliards de dollars à travers leurs actions qui englobent toute la région. Selon la même étude, Le candidat à l’émigration clandestine à partir de la Tunisie doit dépenser entre 3000 et 8000 dinars.
      L’organisation d’une opération d’émigration irrégulière passe par trois phases :
      2.1. La phase de recrutement

      Il s’agit de se servir d’agents et intermédiaires pour chercher et d’identifier les postulants à l’émigration sur le territoire national. Les quartiers pauvres et les zones grises du pays sont visés en priorité. Le contact se fait soit directement de bouche à l’oreille dans les cafés et les lieux publics soit par internet et notamment à travers les réseaux sociaux. Ceux qui viennent des pays étrangers sont recrutés et regroupés dans les pays limitrophes avant de les transférer par des passeurs en Tunisie.
      2.2. La phase de préparation logistique

      Tout d’abord, il faut trouver des caches (locaux) où regrouper les postulants au voyage et stocker des vivres pour subvenir à leur besoin durant la période d’attente. Ensuite, on prévoit le moyen de transport. Il est généralement un moyen vétuste acheté à moindre coût pour effectuer un aller sans retour (canot pneumatique, embarcation ou un vieux chalutier). Ce moyen est dépourvu de tout équipement de sécurité, de navigation et de communication. Enfin, le chef de réseau doit coordonner avec ses agents locaux et ses pairs à l’étranger pour fixer les moyens et les procédures nécessaires pour passer et/ou diriger les émigrés sur le lieu du regroupement. Cette phase englobe aussi une collecte de renseignement sur les dispositifs de sécurité déployés sur le théâtre de l’opération.
      2.3. Phase de préparation du transit

      C’est la phase la plus importante car elle fait appel à une bonne expérience pour choisir l’itinéraire, la période propice au voyage et le passeur (patron) qui sera chargé de la traversée.

      2.3.1. Choix de l’itinéraire : Le choix de la route doit prendre en compte la caractéristique physique du milieu marin, la sûreté du transit et le temps mis pour la traversée :

      La route La Galite-La Sardaigne est relativement longue (130km). Elle traverse une zone connue par la faible densité du trafic maritime et le mauvais temps. Elle est donc favorable à la détection radar (difficulté de dissimulation) et défavorable à la navigation des petites embarcations.
      Les deux routes à destination de Mazzara à partir de Bizerte (175km) et de Hawaria (160km) sont similaires. Elles sont longues et traversent une zone de séparation de trafic par laquelle passe plusieurs centaines de navires par jour. La zone est caractérisée par des courants giratoires relativement forts. Elle est donc favorable à la dissimulation mais défavorable à la navigation des petites embarcations.
      La route Kélébia-Pantellaria est la plus courte (70km). Cependant, elle est risquée en raison des patrouilles, de la couverture radar et du dispositif de sécurité mis en place par les autorités italiennes.
      La route Béni Khiar-Lampedusa (195km) est longue et traverse une zone peu fréquentée sur une grande partie de l’année. Elle est donc très défavorable à l’emploi des embarcations pneumatiques qui sont handicapées par le manque d’autonomie et le mode de propulsion.
      Les deux routes à destination de Lampedusa à parir de Chebba (135km) et de Kerkenah (140km) sont très similaires. Elles ont la même distance et traversent la zone de pêche réservée délimitée par l’isobathe de 50m (la zone verte sur la carte nr3). C’est une zone de haut fond qui s’étend jusqu’aux approches de Lampedusa. Cette zone est très hospitalière pour les petits navires. Elle est fréquentée par plusieurs milliers de chalutiers et embarcations. L’environnement est donc très favorable à la navigation et la dissimulation.

      La route Zarzis-Lampedusa est la plus longue (250km). L’emploi de petites embarcations sur cette route est très risqué à moins qu’elles soient utilisées comme relais pour rallier une plate-forme plus grande stationnée au large (navire ou chalutier).

      2.3.2. Le critère de compétence : Les iles Kerkennah se distinguent par le nombre de compétences (des anciens pêcheurs) qui coopèrent avec les réseaux criminels. Ces pêcheurs reconvertis en passeurs sont chargés de la traversée. Cette reconversion s’explique par une pollution maritime qui a mis ces gens de mer au chômage. En effet, les déchets chimiques provenant des industriels dont notamment Thyna Petroleum Services (TPS) et Petrofac ont dégradé l’environnement marin détruisant ainsi la faune marine (poissons, poulpes et éponges). victime de cette pollution et de la pêche illicite, la mer n’est plus généreuse comme au bon vieux temps. D’après The Christian Science Monitor, “les pêcheurs gagnaient jusqu’à 40$ - 100$ par jour (entre 100 et 250 dinars tunisiens). Maintenant, ils ont du mal à gagner 4 à 7$ (entre 10 et 17 dinars) par jour”. Ils ce sont alors livrés aux contrebondiers et leurs embarcations sont vendues aux réseaux criminels à un coût qui fait trois fois le prix réel.

      C’est cette qualité de pêcheur qui explique l’enrôlement des Kerkéniens dans les réseaux de trafic de migrants. Les statistiques du ministère de l’intérieur montrent que la majorité des patrons d’embarcations arrêtés lors des opérations avortées sont originaires de l’archipel.

      2.3.3. Le choix de la période et lieu d’embarquement :

      C’est le critère le plus important pour décider de l’exécution de l’opération. Tout s’explique par la force et la direction du vent. Une étude élaborée par l’Institut Tunisien des Etudes Stratégiques ( ITES) montre des chiffres très significatifs tirés à partir des opérations avortées en 2017 :

      le gouvernorat de Sfax est classé premier sur la liste avec 62 opérations suivi par Nabeul (34 opérations), Bizerte (24 opérations) et Zarzis (11 opérations). En outre, les statistiques montrent que 60% de ces opérations sont effectuées pendant les mois de septembre et d’octobre, 14% pendant juin et juillet. Le reste (26%) est réparti sur toute l’année. Ceci s’explique par la force et la direction (moyenne sur toute l’année) du vent dans ces régions (voir tableau).
      En effet, dans la région de Sfax, le vent atteint sa force la plus faible durant septembre et octobre (inférieur à 10 km/h). Il souffle du secteur Est engendrant de petites vagues qui ne gênent pas le mouvement des embarcations qui naviguent bout au vent (face au vent). Les accidents qui surviennent durant cette période sont causés essentiellement par un manque de stabilité en raison d’un excès de chargement. Ces caractéristiques du vent qui s’ajoutent aux caractéristiques physiques de l’environnement et aux compétences des pêcheurs font de Kerkénah le port préféré pour l’embarquement.
      Le fait que Nabeul et Bizerte occupent respectivement la deuxième et la troisième place s’explique par le vent du secteur Ouest qui souffle sur ces régions et qui pousse les embarcations (vent arrière) sur les côtes de Pantellaria et Mazzara. Les itinéraires partant de la Galite vers la Sardaigne et de Béni Khiar vers Lampeduza, qui sont déjà discriminés par le facteur physique, sont écartés en raison du vent très défavorable (vent de travers).
      La place occupée par Zarzis (4ème place) s’explique uniquement par sa proximité des frontières libyennes et par le vent modéré qui domine la région.

      3. Comment lutter contre le fléau ?

      Tout d’abord, il faut signaler que nos voisins européens déploient leur force (Opération Sofia) sur nos frontières et cherchent à s’ingérer dans nos affaires intérieures sous prétexte de lutter contre l’immigration clandestine. Plusieurs déclarations de responsables européens rentrent dans ce sens :

      Le 15 février 2011, le ministre de l’intérieur italien Roberto Maroni propose de déployer des policiers italiens en Tunisie. Le 9 avril de la même année, il parle de « débarquement » de 22.000 Tunisiens sur les côtes italiennes.
      Le 26 mai 2011, le député maire de Nice, Christian Estrosi, déclare “On constate aussi qu’une partie d’entre eux (les imigrés) – et cela est plus grave – appartiennent aux 10 000 délinquants condamnés et évadés des prisons.”
      Le 3 juin 2018, le nouveau ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini déclare « Il y a de plus en plus de migrants clandestins qui arrivent de Tunisie ici. Ce ne sont pas des réfugiés de guerre mais bien souvent des délinquants et ex-détenus. »
      Dans son projet de rapport 2018/2044(INI), la commission spéciale sur le terrorisme demande au parlement européen « que le mandat de l’opération #EUNAVFOR_MED Sophia soit étendu et que sa portée territoriale soit élargie afin de mieux répondre à l’évolution des schémas migratoires tels que les débarquements fantômes en provenance de la Tunisie, et que la lutte contre le terrorisme soit spécifiquement couverte par son mandat ». Elle propose aussi de « saisir Conseil de sécurité de l’ONU en vue d’adopter une résolution permettant à Sophia d’accéder aux eaux territoriales des États côtiers afin d’effectuer des contrôles sur les navires suspects ».
      Ensuite, il faut appliquer les textes juridiques propres à la matière :
      le Protocole contre le trafic illicite de migrants par terre, air et mer, additionnel à la Convention des Nations unies contre la criminalité transnationale organisée en 2000.
      notre réglementation intérieure en matière de lutte contre l’émigration clandestine et notamment la loi du 3 février 2004 relative à la traite des personnes et au trafic des migrants.
      Les accords bilatéraux (avec la France et l’Italie) concernant les migrants.

      Sur le plan opérationnel, la lutte doit se baser sur deux volets ; le renseignement et l’intervention. Le renseignement est la seule solution pour compenser le manque de moyens matériels dont souffrent nos unités.

      Aujourd’hui, l’intervention est handicapée par le manque d’unités navales et la diversité des intervenants en mer qui appartiennent aux différents ministères (marine nationale, garde maritime nationale et douane). Pour assurer notre souveraineté sur les espaces maritimes qui nous reviennent de droit et remplir nos missions en mer (dont la lutte contre l’émigration clandestine), il faut agir en deux directions :

      Adopter le concept de la sauvegarde maritime pour assurer la synergie des efforts entre tous les intervenants en mer,
      Déployer nos unités en fonction des impératifs du moment. A titre d’exemple, basculer des unités sur le port de Sfax, durant les mois de septembre et d’octobre pour couper la route à l’émigration clandestine entre Kerkennah et Lampedusa.

      Ainsi, ce sont quelques idées proposées aux décideurs pour les éclairer sur le coté opérationnel de l’émigration irrégulière. La guerre contre ce fléau ne peut être gagnée qu’avec la combinaison de mesures d’ordre économique et social.

      http://www.leaders.com.tn/article/25601-l-immigration-irreguliere-conception-de-l-operation-et-parade
      #émigration_irrégulière #migrations #asile #réfugiés #Tunisie #statistiques #chiffres #histoire #opération_sophia #externalisation
      ping @_kg_

  • Liste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...

    Mini liste sur la question des accords de réadmission signés entre différents pays européens afin de pouvoir expulser les migrants...

    #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission #frontière_sud-alpine #push-backs #refoulements #accords_bilatéraux #réadmission #Alpes #montagne
    ping @isskein

    • Entre la #France et l’#Italie :
      https://seenthis.net/messages/730361

      Il s’agit de l’#accord_de_Chambéry. Décret n° 2000-923 du 18 septembre 2000 portant publication de l’accord entre le Gouvernement de la République française et le Gouvernement de la République italienne relatif à la #coopération_transfrontalière en matière policière et douanière, signé à Chambéry le 3 octobre #1997
      https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000766303

      voir aussi le rapport ASGI :
      https://medea.asgi.it/wp-content/uploads/2020/12/all-4-scheda-DM-5-agosto_def.pdf
      signalé ici :
      https://seenthis.net/messages/892443

    • Entre l’#Espagne et la #France:
      –-> #accord_de_Malaga signé le 26 novembre 2002 entre la France et l’Espagne.

      https://seenthis.net/messages/901308

      –---

      Un accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13368/france-19-migrants-interpelles-dans-un-bus-en-provenance-de-bayonne-et

      –---

      Concernant l’accord entre l’Espagne et la France, voici un complément, reçu via la mailing-list Migreurop:

      C’est un accord de réadmission bilatéral signé entre la France et l’Espagne (comme tas d’autres) qui prévoit la réadmission des nationaux ou de ressortissants de pays tiers ayant transité par le territoire de l’un de ces pays.

      L’article 7 de cet accord prévoit :
      Les autorités responsables des contrôles aux frontières des deux Parties contractantes réadmettent immédiatement sur leur territoire les étrangers, ressortissants d’Etats tiers, qui sont présentés par les autorités des frontières de l’autre Partie, dans les quatre heures suivant le passage illégal de la frontière commune.

      Il a été signé le 26 novembre 2002, et concernant la France, publié par le décret n° 2004-226 du 9 mars 2004.

      Vous trouverez sur le site de Migreurop, d’autres accords signés par la France (et aussi par d’autres pays de l’UE),

      http://www.migreurop.org/article1931.html

      –---

      Francia devolvió a España casi 16.000 migrantes en solo cinco meses (2021)

      Para expulsar a los inmigrantes que entran irregularmente a su territorio, Francia y España se valen de un acuerdo bilateral de 2002 (https://elpais.com/politica/2018/11/02/actualidad/1541179682_837419.html) que les permite la devolución en las cuatro horas siguientes al paso de la frontera. El acuerdo contempla una serie de garantías, como que los inmigrantes sean entregados a la policía española o que se formalice por escrito su devolución. Los datos de la policía francesa no especifican cuántos inmigrantes han sido devueltos sobre la base de este acuerdo bilateral, pero fuentes policiales y los propios inmigrantes han señalado que la mayor parte se realiza sin que medie un solo trámite.

      https://seenthis.net/messages/912645

    • Press Release: Court find Slovenian state guilty of chain pushback to Bosnia-Herzegovina

      Civil initiative Info Kolpa, a key member of the Border Violence Monitoring Network, are sharing here the landmark judgement issued on 16th July 2020 by the Slovenian Administrative Court. The findings prove that the national police force carried out an illegal collective expulsion of a member of a persecuted English-speaking minority from Cameroon who wanted to apply for asylum in Slovenia.

      The court heard the experience of the applicant, J.D., who was held in a Slovenian police station for two days and denied access to asylum, despite making three verbal requests. After this procedural gatekeeping, the applicant was readmitted to Croatia – under an agreement described by the Slovenian Ombudswoman as “against the European legal order”. From Croatia, J.D. was chain refouled to Bosnia-Herzegovina, a pattern analysed in a feature length report by InfoKolpa published in May 2019.

      The Administrative Court found that the Republic of Slovenia violated the applicant’s right to asylum (Article 18 of the EU Charter of Fundamental Rights), the prohibition of collective expulsions (Article 19 § 1) and the principle of non-refoulement (Article 19 § 2):

      “that no one shall be removed, expelled or extradited to a State in which he or she is in serious danger of being subjected to the death penalty, torture or other inhuman or degrading treatment or punishment”.

      The court ruled that the police had not informed J.D. of his asylum rights, as mandated to do so, in clear breach of domestic and EU law. The pushback also breached the prohibition of collective expulsion because the applicant was not issued a removal order, nor given translation and legal aid prior to his readmission to Croatia. In regards to the chain refoulement, the judgement found “sufficiently reliable reports on possible risks from the point of view of Article 3 of the ECHR” in both Croatia where the applicant was initially removed, and also in Bosnia-Herzegovina where he was subsequently pushed back. This is inline with evidence provided by BVMN in 2019 showing that 80% of recorded pushback cases from Croatia breached law on torture or inhumane and degrading treatment.

      In a groundbreaking step, once the judgment becomes final, it will oblige the Republic of Slovenia to allow the applicant to enter the country and file an application for international protection without delay, as well as provide €5,000 in compensation. Commenting on the outcome, the applicant stated:

      “I know and believe that the judgement will help those that come after me. It may not have a direct solution for me, but I know that we are creating awareness and you give more trust to the law of the country.” — J. D., Bosnia, 17th July 2020

      While the Ministry of Internal Affairs have stated they will appeal the judgement, the lawyer representing J.D. stated the case is a landmark because it not only proves the human rights violations suffered by the applicant, but establishes that chain pushbacks to Bosnia-Herzegovina are “systematic and routine”.

      https://www.borderviolence.eu/press-release-court-find-slovenian-state-guilty-of-chain-pushback-to-

      #Slovénie #Bosnie

    • Court confirms systematic human rights violations by Austrian police

      Regional Administrative Court of Styria confirmed the practice of chain puchbacks and found the Austrian police guilty of violating the right to human dignity and the right of documentation

      On 28th of September 2020 eight people were pushed back after being chased and humiliated by Austrian police. Their repeated verbal demand for asylum had been ignored, and no interpreter was involved, as our friends from the initiative „Push Back Alarm Austria“ documented, as we reported earlier on, and later pressed charges in the one case of Ayoub N.

      Now, the court confirmed the methodical practice of chain pushbacks and for the first time the existence of a chain pushback route from Austria or Italy crossing Slovenia and Croatia to Bosnia, including the collaboration of the police in different countries.

      The actions of the police officers who intervened were purposefully aimed at the rejection of the complainant and there is no room for any other interpretation

      In synopsis of the entire official act, the court concludes that there was an obvious bias of the officers against the complainant, since the physical search was disproportionate, no food was provided, and the involvement of an interpreter was omitted despite obvious language difficulties and the use of the word “asylum”, the verdict states (asyl.at/de/info/presseaussendungen/push-back-routevonoesterreichbisbosnien/?s=pushbacks).

      The joint press release of Push-Alarm Austria & Asylkoordination notes that, despite a court finding that his rights were disregarded, due to a legal loophole, the complainant Ayoub N. will not be allowed to enter the country. “I was confident that we would win the case. After returning to Bosnia, I felt like shattered glass. At the moment, I am trying to sort out my life and move forward,” he said.

      “We are talking about systematic human rights violations, inhumane treatment and ignoring the principles of the rule of law by police in Austria. It is completely unimaginable that this is happening without the knowledge and against the expressed will of the Minister of the Interior and his officials. If someone questions the Geneva Refugee Convention, one of the greatest lessons of the Shoah, and at the same time does not take consistent action against systematic human rights violations by the police, the only thing left to do is to resign!”

      Lawyer Clemens Lahner sees the finding as a clear warning to the Ministry of the Interior to put an end to the systematic disregard for the rule of law as soon as possible: “Not everyone who applies for asylum in Austria automatically will receive a substantive asylum procedure or be granted protection. But these questions are to be examined and decided by the competent authorities or courts,” the lawyer clarifies. “If the police presume to decide who will get an asylum procedure at all, this is clearly illegal. The Ministry of the Interior has now been put on written notice, in the name of the Republic.”

      Klaudia Wieser of Push-Back Alarm Austria said. “This case shows the necessity of our initiative to prevent systematic breaches of the law at Austrian borders. Austrian push-backs frequently constitute the first step of chain push-backs beyond the EU’s external borders. Sebastian Kurz is the spiritus rector of systematic human rights violations along the push-back route to Bosnia.”

      The finding from Graz also puts the Slovenian government which has just taken over the EU Presidency under considerable pressure. For the first time, it is possible to prove in a court case what human rights organisations such as ours and particularly everyone within the Border Violence Monitoring Network have been documenting since 2016: a continuous pushback route via Austria or Italy via Slovenia and Croatia to Bosnia.

      “If someone questions the Geneva Refugee Convention, one of the greatest lessons of the Shoah, and at the same time does not take consistent action against systematic human rights violations by the police, the only thing left to do is to resign!” — University Professor Dr. Benedek of the Institute of International Law and International Relations from the University of Graz said.

      However, as in other such cases in countries along the so called Balkan Route, no higher responsibility has so far been established by a court or other instance deemed valid by the states, so we expect to see more tacit acceptance of the anti-people and anti-human rights commands by those on the top.

      https://medium.com/are-you-syrious/ays-daily-digest-5-7-21-court-confirmed-the-systemic-chain-pushbacks-b8e0749

      #Autriche

  • #Trieste, valico con la Slovenia. Le «riammissioni» dei migranti. Dopo settimane di marcia nei boschi rimandati indietro anche se arrivati su territorio italiano.

    La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

    «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di #Schengen che stabilisce la sua sorte.

    Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

    È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore.

    C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

    Il database nazionale
    In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

    Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa.

    E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).

    Le accuse contro Zagabria
    Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata.

    L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

    https://www.diritti-umani.org/2018/11/trieste-valico-con-la-slovenia-le.html
    #Italie #Slovénie #réadmissions #migrations #asile #réfugiés #frontières #push-back #renvois #expulsions #refoulement #frontière_sud-alpine #Croatie #accord_bilatéral #accords_bilatéraux

    • “Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani

      Il racconto di due pakistani: «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta d’asilo ma ci hanno rimandati in Slovenia». Poi una nuova odissea fino alla Bosnia. «Le autorità croate ci hanno picchiato e lasciato nei boschi al confine»

      https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/caricati-a-forza-nei-furgoni-cos-la-polizia-italiana-riporta-i-migranti-nei-balcani-K775KFcYpdofE4r0eNJTFI/premium.html

    • Il caso dei migranti riportati in Slovenia. La polizia: “Agiamo seguendo le regole”

      La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

      «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di Schengen che stabilisce la sua sorte.

      Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

      È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore. C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

      Il database nazionale

      In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

      Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa. E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).
      Le accuse contro Zagabria

      Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata. L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/03/italia/il-caso-dei-migranti-riportati-in-slovenia-la-polizia-agiamo-seguendo-le-regole-KLb7LoSe5l5uv8XggFl7FN/pagina.html

    • Fingersi minore per sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” in Bosnia non è reato

      Il Tribunale di Trieste ha assolto un giovane del Pakistan che a fine 2020 aveva dichiarato il falso alla polizia per tentare di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo” e di salvarsi dal male ingiusto delle “riammissioni”. “È una sentenza di estrema importanza, un monito per il governo”, spiega l’avvocata Bove.

      Dichiarare falsamente di essere minorenne per tentare di sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina non è reato. Lo ha riconosciuto il Tribunale ordinario di Trieste a fine novembre 2022 -la sentenza (del giudice Massimo Tomassini) è stata depositata a metà febbraio di quest’anno-, assolvendo un giovane originario del Pakistan per “evidente” stato di necessità. Aveva solamente cercato di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo personale”, al male ingiusto delle riammissioni.

      Le motivazioni del giudice penale, che hanno confermato in pieno la linea difensiva dell’avvocata Caterina Bove (socia Asgi) e accolto la richiesta di assoluzione della Procura, rappresentano un altro duro colpo del diritto alla pratica illegittima delle cosiddette “riammissioni informali”, riattivate dal nostro Paese al confine italo-sloveno tra metà 2020 e inizio 2021 sulla pelle di 1.300 persone. Procedure che il Governo Meloni ha annunciato di voler ripristinare a fine novembre 2022, proprio nei giorni in cui il Tribunale di Trieste, come già aveva fatto quello di Roma nel gennaio 2021, ne demoliva un’altra volta l’impianto.

      Veniamo ai fatti. Il 20 novembre 2020, a riammissioni ancora in vigore, il giovane K. viene fermato da una pattuglia della polizia italiana a Trieste. Identificano lui e le altre due persone con cui si trova. Non hanno i documenti e sono formalmente “irregolari”. È allora che K. dichiara di essere nato nell’agosto 2005 e di aver raggiunto l’Italia dalla Bosnia ed Erzegovina dopo aver attraversato Croazia e Slovenia. Ha già patito più volte la pratica dei respingimenti violenti lungo la rotta balcanica. Racconta il falso in merito all’età perché vuole evitare di essere “riammesso” e picchiato di nuovo, contando sulla “inespellibilità” del minore anche se “irregolare”. Addosso quel giorno gli viene trovato però un documento serbo nel quale è riportato che sarebbe nato nel 1995. Di anni ne avrebbe quindi 25 e non 15 (siamo nel 2020). La polizia italiana non ci pensa due volte e lo respinge in Slovenia: “Alle successive ore 16 -recita il verbale della pattuglia- i tre stranieri venivano quindi riammessi in territorio sloveno come previsto dagli accordi bilaterali esistenti (del 1996, ndr)”. Senza un pezzo di carta in mano, K. passa così dalla Slovenia alla Croazia nel giro di pochissime ore, viene nuovamente “picchiato” e poi finisce in Bosnia ed Erzegovina. Solo mesi dopo riuscirà a tornare in Italia e a presentare la domanda di asilo.

      K. aveva tutte le ragioni per “spacciarsi per minore”, scrive il Tribunale, e quindi sfuggire ai “trattamenti di dubbia umanità e di altrettanto dubbio rispetto di diritti umani minimi”. Non era mosso da “bieca intenzione di trarre in inganno le autorità” e nemmeno voleva porre le basi per “ulteriori condotte criminose”, voleva “solo ed esclusivamente evitare, di fatto, guai molto peggiori qualora ‘rimandato’ al di fuori dell’Italia, e dunque potenzialmente esposto a maltrattamenti al fine di essere nuovamente portato extra Unione europea”.

      Per dar conto della “gravissima” situazione ai confini, dove di fatto “la Croazia è divenuta lo scudo europeo contro la rotta balcanica”, il giudice cita la vasta documentazione portata dall’avvocata Bove e accumulata in questi anni: i report del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, del network Protecting rights at borders (Prab), di Human Rights Watch, Amnesty International e Oxfam, del Border violence monitoring network, e anche il lavoro di inchiesta di Altreconomia. Per non parlare del precedente giurisprudenziale che è l’ordinanza del Tribunale di Roma del gennaio 2021, che già aveva messo in fila i punti di contrasto tra i respingimenti informali e la normativa europea, interna e costituzionale (circostanza ben rievocata nel film “Trieste è bella di notte” di Andrea Segre, Stefano Collizzoli e Matteo Calore, realizzato anche con la preziosa collaborazione della rete RiVolti ai Balcani).

      Il giudice di Trieste passa quindi in rassegna le pratiche volte a “rintracciare” e “stanare” i migranti con “droni, termocamere, scanner”: strumenti “impiegati come armi contro persone in movimento”. Il tutto mentre viene “soppressa la tecnologia adoperata dalle persone migranti”, con il “sequestro e distruzione di telefoni cellulari e batterie”. È quindi “indiscutibile che il respingimento informale avrebbe portato K. a dover affrontare una situazione di questo tipo, e cioè una situazione di franco ed innegabile pericolo personale”.

      Le motivazioni si concludono su quello che il Tribunale chiama il “vero punto della questione”, e cioè la strumentalizzazione del Regolamento di Dublino. Anche a parere del giudice, infatti, se anche -ma non lo si può dire con certezza- fosse stata la Croazia il Paese europeo competente all’esame della domanda di asilo di K., di certo il “modo” delle riammissioni informali è incompatibile con le garanzie della cosiddetta “procedura Dublino” per il trasferimento. Inoltre la “vera ed unica destinazione dell’imputato era la Bosnia, non già la Croazia -conclude la sentenza-, ed è tale convinzione che […] dimostra come egli, al momento della dichiarazione attestante le proprie generalità, si trovasse nella necessità, penalmente rilevante quale scriminante, di evitare a sé stesso un grave pericolo, e cioè quello, appunto, di essere respinto in Slovenia, e da lì a catena in Bosnia, nelle maniere dinanzi descritte, pericolo che avrebbe potuto evitare solo ‘spacciandosi’ quale minorenne”.

      Per l’avvocata Caterina Bove questa sentenza è “di estrema importanza perché chiarisce come le pratiche di riammissione e successivo respingimento a catena con esposizione dell’interessato a gravi trattamenti inumani e degradanti, in questo caso a opera delle autorità croate, le cui modalità di azione costituiscono ormai fatto notorio, rappresentano un pericolo concreto di grave danno alla persona, tale da giustificare il comportamento di informare falsamente circa la propria età”. Nel caso di specie, ricorda Bove, K. “aveva chiesto asilo e poi avuto il riconoscimento dello status di rifugiato quando, dopo aver patito nuovamente la violenza della rotta balcanica, è riuscito con le proprie forze a tornare”.
      La portata della sentenza secondo l’avvocata è ampia “perché si estende a tutti coloro i quali, trovandosi in frontiera, rischiano un simile trattamento inumano, con negata consegna di provvedimenti scritti, negata convalida giudiziaria dell’agire delle forze di sicurezza ed esposizione a elevato pericolo per l’incolumità personale. Il giudice penale di Trieste ha evidenziato come la ricostruzione giuridica operata dal Tribunale di Roma circa l’illegittimità di tale pratiche sia del tutto valida, nulla potendo incidere il successivo annullamento di quella ordinanza del 18 gennaio 2021 sulla fondatezza delle argomentazioni giuridiche”.

      È un “chiaro monito” dunque per il ministero dell’Interno e in generale per il governo che ha annunciato, nonostante tutto, la ripresa delle procedure di riammissione al confine orientale. “E più in generale -conclude Bove- è un monito per l’esecuzione di queste procedure di riammissione e respingimento, dirette e indirette, anche alle altre frontiere italiane”.

      https://altreconomia.it/fingersi-minore-per-sfuggire-ai-respingimenti-italiani-a-catena-in-bosn

    • Accordo tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera

      Contesto

      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      Contenuto

      Casi e diritto derivato (applicazione)

      Questioni critiche
      Contesto

      La vicinanza geografica tra Italia e Slovenia ha sicuramente condizionato l’organizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, la storia delle relazioni tra i due paesi può essere rintracciata negli ultimi anni con la Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche, conclusa a Lubiana il 17/10/1992 ed entrata in vigore lo stesso anno. Da quel momento in poi, le relazioni tra i due stati si sono potute normalizzare con atti come l’accordo bilaterale del 1996 e l’accordo sulla cooperazione transfrontaliera e di polizia del 2011, che mirano a contrastare la criminalità organizzata e i flussi di immigrazione clandestina.

      Questi accordi e, in generale, la storia delle relazioni tra questi due paesi devono essere visti nell’ampio contesto della «rotta balcanica», da anni espressione di una vera e propria tragedia umanitaria con migliaia di migranti che vivono in condizioni precarie, persecuzioni e violenze. Questa rotta rappresenta il viaggio che i migranti devono affrontare, fuggendo dalla guerra o dal regime totalitario in Medio Oriente. Secondo i dati Eurostat, pubblicati dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tra le richieste di asilo in Europa il biennio 2018/2019, il 32,72% proviene dall’Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l’8,03% dalla Siria, il 6,56% dall’Iraq e infine il 4,61% dall’Iran.

      Dopo un estenuante viaggio, i richiedenti asilo vengono respinti dalle autorità pubbliche italiane presenti alla frontiera di Trieste verso la Slovenia, da dove vengono rimandati in Croazia e successivamente in Bosnia. In particolare, i principali luoghi strategici del traffico migratorio sono Tuzla e Sarajevo, che rappresentano due punti di transito per chi arriva da Serbia e Montenegro. Bihać e Velika Kladuša, invece, sono diventati due hotspot per le persone che aspettano di attraversare il territorio dell’Unione Europea. Infatti, molte testimonianze nel merito sono state raccolte soprattutto da ONG internazionali che descrivono la brutalità e le atrocità fisico-psicologiche a cui sono sottoposti i migranti al confine tra Croazia e Bosnia. In particolare, Amnesty International, in un Rapporto del 2019, denuncia la negazione del diritto d’asilo e il mancato rispetto delle garanzie procedurali relative alle espulsioni collettive, nonostante l’esistenza di riscontri pubblici di violenza questi territori. L’UNHCR ha anche pubblicato diversi rapporti che denunciano i comportamenti della polizia alle frontiere dei paesi interessati, spesso consistenti in trattamenti inumani e degradanti come la tortura, la distruzione di proprietà e le percosse. Queste condotte sono state tenute al fine di danneggiare i migranti e spesso persone vulnerabili come i minori, le donne incinte e le persone con disabilità.
      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      L’accordo venne concluso in forma semplificata fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovena. Venne firmato a Roma il 3 settembre 1996, senza fare riferimento ad alcun accordo precedente. L’accordo è ’auto-legittimato’.

      L’obiettivo è combattare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, controllare i confini italo-sloveni, regolamentare la riammissione di richiedenti asilo nei rispettivi territori, attraverso disposizioni volte al supporto della riammissione in tutto il territorio dei due Stati dei cittadini di una delle due Parti o provenienti da Stati terzi.
      Contenuto

      Articolo 1: L’Italia e la Slovenia prevedono la riammissione nel proprio territorio - su richiesta dell’altra Parte - di tutte le persone che non soddisfano, o non soddisfano più, gli obblighi relativi alle condizioni di ingresso o soggiorno nel territorio della Parte contraente richiedente sulla verifica del possesso della cittadinanza della Parte (obbligatoria). Il secondo paragrafo specifica che questa verifica può essere basata su più documenti (carta d’identità, passaporto), anche se sono irregolarmente rilasciati o scaduti (non più di 10 anni fa). Nel terzo paragrafo, la Parte contraente richiedente accetta di nuovo la persona se è provato che la mancanza di possesso della cittadinanza della Parte contraente richiesta una volta fuori dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 2: L’Italia e la Slovenia riammettono sul loro territorio, su richiesta dell’altra parte, i cittadini di un Paese terzo che non hanno, o non hanno più, i requisiti di ingresso o di soggiorno avviati sul territorio della Parte contraente richiedente, una volta accertato che questi cittadini hanno soggiornato o sono transitati sul territorio della Parte richiesta e sono successivamente entrati sul territorio della Parte (contraente) richiedente. Allo stesso modo, l’Italia e la Slovenia riammettono i cittadini del paragrafo precedente sul loro territorio, quando hanno un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla parte contraente richiesta.

      Articolo 3: L’obbligo di riammissione previsto dall’articolo precedente non si applica in 5 casi: (a) cittadini di paesi terzi che confinano con la Parte contraente richiedente; (b) cittadini di Stati terzi ai quali la Parte contraente richiedente ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto; (c) cittadini di paesi terzi che rimangono nel territorio della Parte richiedente per più di 6 mesi; (d) i cittadini di Stati terzi ai quali la Parte richiedente ha riconosciuto sia lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra 1951) che quello di apolide (Convenzione di New York 1954); (e) i cittadini di Stati terzi espulsi per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale dalla Parte contraente richiedente verso il loro paese di origine o verso un paese terzo.

      Articolo 4: La Parte richiedente accetta sul suo territorio i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni - in base al controllo effettuato dall’altra Parte - richieste dagli articoli 2 e 3 in occasione dell’uscita dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 5: Il Ministero degli Affari Interni dei due Stati contraenti si occuperà delle domande di riammissione. La domanda di riammissione deve includere l’identità della persona e i dati personali del cittadino del terzo Stato, del suo soggiorno nel territorio della parte richiesta e delle circostanze del suo ingresso illegale nel territorio della parte richiedente. La parte richiesta deve comunicare la sua decisione per iscritto alla parte richiedente entro otto giorni. L’autorizzazione dopo la ratifica è valida per un mese dalla data della sua notifica.

      Articolo 6: Le autorità di frontiera dello Stato richiesto riammettono senza formalità, su richiesta dello Stato richiedente, i cittadini irregolari di Stati terzi consegnati entro 26 ore dal passaggio o se controllati e trovati irregolari entro dieci chilometri dalla frontiera comune.

      Articolo 7: La parte richiedente deve sostenere le spese di trasporto alla frontiera della parte richiesta delle persone di cui si chiede la riammissione. Se necessario, la parte richiedente si fa carico delle spese di ritorno.

      Articolo 8: Le parti contraenti, previa autorizzazione reciproca, possono permettere il movimento dei cittadini stranieri contro i quali è applicato un ordine di espulsione. I paragrafi seguenti stabiliscono inoltre che la parte richiedente è responsabile del viaggio della persona in questione, di riprenderla in caso di superamento dell’inapplicabilità dell’ordine di allontanamento e di garantire il possesso di un documento di viaggio adeguato da parte dello straniero.

      Articolo 9: La parte contraente che emette il provvedimento di espulsione deve notificare alla parte contraente richiesta la necessità, durante il transito, di fornire una scorta alla persona espulsa attraverso il personale dello Stato richiesto o in collaborazione tra i due paesi.

      Articolo 10: La richiesta di transito, che contiene le informazioni essenziali relative allo straniero e al suo movimento, nonché la garanzia di ammissione nel paese di destinazione, è inviata direttamente dai Ministeri dell’Interno delle parti contraenti.

      Articolo 11: Legittimo il rifiuto del transito per l’allontanamento, che può avvenire: (a) per i rischi di persecuzione presenti e attuali a cui lo straniero sarebbe sottoposto nel paese di destinazione; (b) per i rischi di accuse o condanne penali nel paese di destinazione; (c) per l’inammissibilità dello straniero o per essere sottoposto a procedimenti penali nello Stato richiesto.

      Article 12: Le spese di trasporto alle frontiere dello Stato di destinazione sono a carico del paese firmatario.

      Articolo 13: Persistenza degli obblighi delle parti contraenti che derivano dall’applicazione di altri accordi internazionali.

      Articolo 14: Responsabilità del Ministero degli Affari Interni delle Parti contraenti per la decisione sui luoghi di frontiera in cui sarà concessa la riammissione e il transito delle persone straniere. Responsabilità delle stesse istituzioni anche per quanto riguarda la lista degli aeroporti dove sarà concesso il transito di queste persone.

      Articolo 15: Risoluzione delle possibili controversie generate da questo accordo attraverso i canali diplomatici.

      Disposizioni finali – Article 16: 1. Il presente accordo entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla notifica reciproca del completamento di ogni procedura nazionale di approvazione. 2. Può essere denunciato mediante notifiche inviate per via diplomatica, che hanno effetto per novanta giorni dopo la sua entrata in vigore.
      Casi diritto derivato (applicazione)

      Primo precedente giuridico in materia di casi di illegittima espulsione collettiva è il caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia (sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 ottobre 2014 - ricorso n. 16643/09), in seguito al quale l’Italia è stata condannata - in virtù dell’accordo bilaterale firmato nel 1999 - dalla CEDU per la riammissione non registrata e non discriminata di individui stranieri verso il territorio ellenico.

      Per quanto riguarda il divieto dei cosiddetti respingimenti a catena, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo consiste in diversi casi: Ilias e Ahmed c. Ungheria, 14 marzo 2017; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014 e Tarakhel c. Svizzera, 4 novembre 2014, casi che hanno portato gli organi legislativi dell’Unione Europea alla decisione di modificare il preesistente Regolamento n. 604/2013 (attuale Regolamento Dublino 3).

      Infine, è da tenere in considerazione l’Ordinanza n. 56420/2020 firmata dal Tribunale di Roma.
      Questioni critiche

      Per quanto riguarda le criticità presenti nel testo dell’accordo bilaterale concluso tra Italia e Slovenia, di cui al testo dell’ordinanza 56420/2020 del Tribunale di Roma, sono rilevanti sia le fonti sovranazionali che quelle di diritto interno. Riguardo a queste ultime, vi è un’incongruenza con l’art. 10 comma 2 della Costituzione italiana, che stabilisce la conformità delle fonti sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati di diritto internazionale, che alcuni aspetti dell’accordo stentano a raggiungere.

      In secondo luogo, vi è un’ulteriore discrepanza con l’obbligo di preventiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria in merito ai provvedimenti di libertà personale in sede di respingimento ed espulsione dello straniero, obbligo delineato dal secondo comma dell’articolo 13 della Costituzione italiana.

      Altra questione costituzionale rilevante è la dubbia legittimità di accordi, come quello in questione, che non siano stati ratificati dalle Camere - nei casi previsti dall’articolo 80 - e dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 87. Data la natura politica di questo accordo concluso in forma semplificata, in questo senso vi è anche una minore centralità del dibattito parlamentare da cui deriva l’assenza di informazione pubblica sull’argomento.

      È necessario ricordare come gli accordi conclusi tra l’Italia e un paese terzo siano espressione della sovranità statale, che tuttavia non deve pregiudicare la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, emerge una prima criticità relativa alla tutela dell’effettivo diritto di ricorso, in quanto il respingimento non viene notificato ai diretti interessati, privandoli della possibilità di difendersi in contrasto con la tutela prevista dall’articolo 13 della CEDU e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di difesa.

      In secondo luogo, la prassi stabilita dall’art. 2 dell’accordo bilaterale è in contrasto con il diritto fondamentale del richiedente di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale (prevista dalla direttiva 2013/31 UE); articolo in base al quale «ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio territorio il cittadino di un paese terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso e soggiorno». L’incongruenza deriva in particolare dal fatto che, come riportato nella citata ordinanza, «il richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale può essere espressa oralmente non può mai essere considerato irregolare sul territorio».

      Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla compatibilità dell’accordo con la tutela del diritto d’asilo. In particolare, secondo quanto dettato dal testo della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal disposto dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli Stati membri dovranno verificare individualmente la domanda compilata dal richiedente asilo e informare i soggetti coinvolti dell’esistenza di questa procedura. Sulla stessa nota, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che in presenza di una richiesta di riammissione non è necessario inviare alla questura questa formalizzazione della richiesta di asilo. Questa particolare situazione determina la riammissione sul territorio dell’altra parte dei richiedenti asilo e giustifica anche la qualificazione di questi soggetti come immigrati irregolari.

      Conseguenza di questa procedura è una lesione del diritto all’asilo dell’individuo che, come ulteriore effetto, determina una violazione del principio di non refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra). Quegli stessi doveri di protezione sussidiaria sono sanciti dall’art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: si può quindi sostenere l’inadempimento dell’Italia - in quanto Stato membro dell’Unione europea - ai doveri imposti dall’istituzione di una politica comune in materia di richiesta d’asilo. Dal mancato esame individuale delle domande d’asilo ha origine un respingimento a catena verso la cosiddetta «rotta balcanica», che conduce gli immigrati verso Paesi in cui sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 CEDU e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Per quanto riguarda il diritto nazionale, il decreto legislativo n. 286/1988 vieta chiaramente, al suo articolo 19, il trasferimento di soggetti stranieri verso Paesi in cui persiste il rischio di essere sottoposti a torture, persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti

      Un’ultima considerazione riguarda la sussistenza di una situazione di responsabilità condivisa tra le parti dell’accordo, dovuta alla sistematica mancanza di tutela dei diritti e principi fondamentali considerati. Questa stessa mancanza di protezione avrebbe potuto essere evitata per mezzo di un più attento e impegnato rispetto della difesa internazionale.

      https://www.migrationtreaties.unito.it/slovenia/accordo-tra-italia-e-slovenia-sulla-riammissione-delle-perso

    • Brambilla (Asgi): “L’accordo con la Slovenia sulle riammissioni dei migranti ha profili di illegittimità”

      L’avvocata ha seguito i ricorsi dei richiedenti asilo rimandati indietro dal confine orientale: «Manca la ratifica del parlamento in violazione dell’articolo 80 della Costituzione e comunque le riammissioni non possono avvenire a livello informale»

      Anna Brambilla è avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e ha seguito i ricorsi di richiedenti asilo contro le riammissioni in Slovenia.

      Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi le riammissioni «sono uno strumento pienamente legittimo». In ogni caso?

      No, non possono essere riammessi richiedenti asilo o minori. Più in generale riteniamo che non possano essere effettuate riammissioni informali, cioè quelle che avvengono solo tramite scambio di informazioni tra le autorità di polizia di due Stati membri senza che alla persona riammessa sia notificato il provvedimento, impedendole di difendersi. Succede qualcosa di simile nei porti dell’Adriatico dove le persone sono riconsegnate senza alcuna notifica ai comandanti della nave su cui si erano nascoste per riammetterle in Grecia.

      Nell’accordo bilaterale italo-sloveno del 1996, però, le «riammissioni informali» sono esplicitamente previste.

      Sì, l’accordo permette le riammissioni informali di chi è entrato prima di 26 ore o è trovato entro 10 chilometri dalla frontiera. Ma l’accordo non può essere letto senza considerare le disposizioni di diritto interno e quelle Ue. Perciò le riammissioni informali, numericamente prevalenti, sono illegittime: violano il diritto di difesa che si concretizza attraverso i ricorsi.

      Quindi contestate l’accordo con la Slovenia.

      Ha dei profili di illegittimità perché non è stato sottoposto al controllo del parlamento, ma concluso in forma semplificata senza la ratifica ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione.

      Tecnicamente cosa cambia tra riammissioni ed espulsioni.

      La riammissione può avvenire tra due Stati membri, in questo caso Italia e Slovenia, oppure ci possono essere accordi tra un paese membro o la Ue con uno Stato terzo. Tra due paesi membri la riammissione è da considerarsi funzionale all’espulsione. In pratica l’Italia trova un cittadino irregolarmente soggiornante e invece di adottare direttamente un provvedimento di espulsione lo riammette in Slovenia che poi dovrà espellerlo.

      Piantedosi si è confrontato con le riammissioni in Slovenia anche quando era capo di gabinetto di Salvini. Cosa è emerso, rispetto a quel periodo, dai procedimenti giudiziari che avete avviato?

      Nonostante il Viminale affermasse che le riammissioni potevano essere legittimamente effettuate anche per chi aveva manifestato intenzione di chiedere protezione internazionale il tribunale di Roma, nel caso presentato con un ricorso di urgenza, ha riconosciuto l’illegittimità della riammissione. Perché l’accordo non è stato sottoposto a legge di ratifica e, nel caso specifico, perché la persona aveva manifestato intenzione di fare domanda di asilo.

      A livello Ue qual è l’approccio?

      La Commissione ha sempre cercato di spingere gli Stati membri a rafforzare la cooperazione di polizia, necessaria per le riammissioni, invece di reintrodurre controlli ai confini interni. Come fa la Francia al confine con l’Italia o l’Austria alla frontiera con la Slovenia. Adesso nella proposta di riforma del codice frontiere Schengen si parla di trasferimento tra Stati membri, cioè una procedura simile a quella prevista dagli accordi bilaterali di riammissione. Per quanto noi siamo contrari a questa procedura, essa è comunque di tipo formale e prevede la possibilità di fare ricorso. Il problema è che se l’informativa sulla protezione internazionale non è realizzata correttamente le persone non sono in condizione di fare domanda e vengono considerate migranti irregolari. Le procedure sono formalmente corrette ma nella sostanza violano il diritto d’asilo.

      https://ilmanifesto.it/brambilla-asgi-laccordo-con-la-slovenia-sulle-riammissioni-dei-migranti-

  • Un accord européen permet le renvoi d’Ethiopiens

    L’Ethiopie s’est déclarée prête à reprendre ses ressortissants dont la demande d’asile a été rejetée par la #Suisse. Cette décision est liée à un accord passé entre l’UE et l’#Ethiopie, qui vaut aussi pour la Suisse en tant que pays membre de l’espace Schengen.

    Lors d’un « dialogue politique » en mars, la Suisse et l’Ethiopie ont convenu que l’accord de « #réadmission des ressortissants éthiopiens sans droit de séjour ou en séjour illégal » sera aussi valable pour la Suisse, a indiqué jeudi à l’ats le Secrétariat d’Etat aux migrations (#SEM).

    Il confirmait ainsi une information de la presse alémanique. Pour pouvoir être réadmises, les personnes doivent être reconnues comme citoyennes par les autorités éthiopiennes. Si elles ne disposent pas de #documents_d'identité ou de voyage valables, elles devront « tout d’abord être identifiées par les autorités éthiopiennes ».

    Pour identifier ses ressortissants, l’Ethiopie a mandaté ses #services_secrets, le #National_Intelligence_and_Security_Service (#NISS). La Suisse ne leur fournira que les données nécessaires pour établir l’identité de la personne et qui peuvent être légalement transmises, précise le SEM.

    Pour Amnesty International, cette collaboration avec le NISS est « hautement problématique ». L’Ethiopie est connue pour ses méthodes de surveillance et le NISS dispose de pouvoirs étendus dans le pays. Il faut partir du principe que la diaspora en Suisse est déjà surveillée actuellement. Avec cette coopération, la situation se péjorera pour les opposants au régime.

    Selon le SEM, environ 300 ressortissants éthiopiens ayant fait l’objet d’une décision de renvoi séjournent actuellement en Suisse. Parmi eux figure l’ex-iman radical de la mosquée An’Nur de Winterthour (ZH), condamné en novembre dernier à 18 mois de prison avec sursis notamment pour incitation au crime ou à la violence. L’homme de 25 ans avait disparu après son procès. Il a entre-temps été arrêté en Allemagne. Il sera ramené en Suisse puis renvoyé en Ethiopie.

    http://www.journaldujura.ch/nouvelles-en-ligne/suisse/un-accord-europeen-permet-le-renvoi-dethiopiens
    #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_éthiopiens #renvoi #expulsion #accord_de_réadmission #identification #surveillance

    cc @isskein

  • Readmission of asylum seekers to Turkey: What that means for human rights and integration possibilities?

    Recent research into the readmission of asylum seekers to Turkey under the EU-Turkey Statement has shed light on key concerns, such as discrimination on the grounds of nationality and barriers to effective human rights monitoring. Likewise, implementation of the Statement was found to prioritise returns, rather than people’s access to asylum.

    This Statement which came into force in March 2016 was put forward as a solution to the refugee crisis as it aimed “to end the flow of irregular migration from Turkey to the EU and replace it with organised, safe and legal channels to Europe.” It further aimed to fast-track asylum procedures and, in the case of negative decisions, facilitated returns to Turkey. In exchange, EU member states agreed to take one Syrian refugee from Turkey for every Syrian readmitted from Greece to Turkey.

    http://www.migrationnewssheet.eu/features/readmission-of-asylum-seekers-to-turkey-what-that-means-for-human
    #accord_ue-turquie #chiffres #statistiques #Turquie #Grèce #externalisation #asile #migrations #réfugiés #réadmissions
    cc @i_s_

  • L’Union européenne envisage d’expulser des dizaines de milliers de réfugiés afghans

    Un premier accord est entré en vigueur en mars qui permet de renvoyer directement vers la Turquie les Syriens présents en Europe. Le « processus de Khartoum », du nom de la capitale du Soudan, a été lancé pour inciter les réfugiés à demeurer dans des pays comme la Libye, le Soudan ou l’Érythrée – bref, des dictatures ou des pays en guerre. Voilà que l’Union européenne prépare un accord avec l’Afghanistan pour y faciliter le renvoi de dizaines de milliers d’Afghans qui se trouvent sur son sol. C’est ce que vient de révéler l’ONG britannique Statewatch, à partir d’un mémo de la Commission européenne.

    #Khartoum #renvoi #Commission_européenne #migration #réadmission » #Union_européenne #réfugiés #asile #Europe #Calais#Allemagne #expulsions #Afghanistan

    http://www.bastamag.net/L-Union-europeenne-envisage-d-expulser-des-dizaines-de-milliers-de-refugie

  • L’UE et la Tunisie commencent des #négociations en vue de faciliter la délivrance de #visas et la #réadmission

    La Commission et la Tunisie ont commencé aujourd’hui à Tunis la négociation en parallèle d’un accord destiné à assouplir les procédures de délivrance des visas de court séjour et d’un accord visant à établir des procédures de réadmission des migrants en situation irrégulière.

    http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-3394_fr.htm

    #Tunisie #renvoi #asile #migrations #réfugiés #EU #UE #Europe #accords_de_réadmission

  • Turkey prepares to receive 72,000 immigrants from Greece

    Turkey is preparing to receive 72,000 illegal immigrants who have been deported from Greece. Turkish Akhbar Turkiya newspaper reported that the Immigration Department will construct a centre for the refugees in the #Delek region in #Izmir during the next ten days.

    The immigrants will be relocated inside camps in the Greek island of Medley before being transferred to Delek from 4 April, the paper reported.

    Sources in the Turkish Refugees Department said the immigrants will be offered identity cards and will have their fingerprints taken within 24 hours of their arrival, they will then be able to stay in the camps or join their relatives in Turkey.

    https://www.middleeastmonitor.com/news/europe/24766-turkey-prepares-to-receive-72000-immigrants-from-greece
    #camps #réfugiés #Turquie #asile #migrations #Grèce

  • Ah, tiens...

    La Turquie ne réadmettra pas les migrants déjà sur les îles grecques

    La Turquie ne réadmettra pas les migrants déjà sur les îles grecques dans le cadre du projet d’accord discuté lundi avec les dirigeants de l’Union européenne (UE), a déclaré jeudi le ministre turc aux Affaires européennes, Volkan Bozkir.

    http://www.lalibre.be/actu/international/la-turquie-ne-readmettra-pas-les-migrants-deja-sur-les-iles-grecques-56e145f
    #Turquie #Grèce #asile #migrations #réfugiés #échange #réadmission #renvoi #expulsion #accord

  • Pénaliser un demandeur d’asile pour avoir utilisé une fausse identité pour quitter son pays où il était menacé
    http://blogs.mediapart.fr/blog/fini-de-rire/151015/penaliser-un-demandeur-dasile-pour-avoir-utilise-une-fausse-identite

    Bien cachées sous les belles déclarations d’accueil des réfugiés - belles, mais soigneusement limitées, tout de même - les pratiques préfectorales d’empêchement se perfectionnent. Jusqu’à pénaliser les réfugiés sortis illégalement du pays qu’ils fuyaient, au mépris de la Convention de Genève (1951) relative au statut des réfugiés.

    • La nouvelle invention de la #préfecture de Rennes
      Depuis cet été 2015, la préfecture de Rennes a utilisé la loi existante pour élargir le nombre de #demandeurs_d’asile concernés par la #réadmission ou par la #fraude et donc la procédure prioritaire. Au lieu de se contenter de vérifier ce qu’a fait le demandeur d’asile une fois entré en Europe ou en France, elle a décidé de vérifier ce qu’il a fait pour fuir de son pays. Elle a notamment cherché à voir si la personne n’avait pas fraudé pour fuir son pays.

      Au début, nous avons rigolé car nous ne pensions pas qu’une préfecture aurait le droit un jour de reprocher, à une personne qui fuit parce qu’elle est menacée, de mentir ou de tricher pour quitter son pays. Eh bien, nous avons eu tort de rigoler car, le lundi 21 septembre, le #tribunal_administratif vient de donner raison à la préfecture de Rennes ! Ce qui s’est passé est très grave car, grâce à cette nouvelle pratique, la préfecture de Rennes va pouvoir faire réadmettre de force beaucoup plus de demandeurs d’asile ou retirer leur récépissé aux autres.

      Pour gérer des #illégalismes, on va ainsi jusqu’à qualifier et prendre en compte des comportements qui se sont produits hors du territoire national. Elle est pas belle la souveraineté !

      #étrangers #Collectif_de_soutien_aux_personnes_sans-papiers_de_Rennes

  • Principales conclusions Conseil européen 25/26 juin 2015 en matière de migration :
    FR → http://www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2015/06/26-euco-conclusions
    ENG → http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2015/06/26-euco-conclusions

    Confirmation lancement de l’opération #EUNAVFOR_MED
    #Externalisation → De plus vastes efforts, y compris le renforcement de la gestion des #frontières extérieures de l’Union, doivent être déployés pour mieux endiguer les flux croissants de migration illégale.

    Le Conseil européen s’est concentré sur trois volets :

    1) #relocalisation/#réinstallation
    Relocalisation-> « la relocalisation temporaire et exceptionnelle sur deux ans, depuis l’Italie et la Grèce, États membres situés en première ligne, vers d’autres États membres, de 40 000 personnes ayant manifestement besoin d’une protection internationale, mesure à laquelle tous les États membres1 participeront, sauf UK, Irlande et Danemark ». Bien que présenté comme un résultat effective dans le paragraphe qui suive, on parle d’une décision à ce propos à prendre en juillet ....
    "la mise en place de dispositifs d’accueil et de premier accueil ("#hotspots") dans les États membres situés en première ligne, avec le soutien actif d’experts des États membres ainsi que du Bureau européen d’appui en matière d’asile (EASO), de #Frontex et d’#Europol pour assurer rapidement l’#identification et l’#enregistrement des migrants et le relevé de leurs #empreintes_digitales"
    La réponse italienne a cette proposition n’a pas tardé à arriver, sous le slogan « Clandestins au sud et réfugiés au Nord » le ministre de l’intérieur annonce l’ouverture de hotspot ou faire le tri entre demandeurs d’asile et migrants ce-disant économique, afin de envoyer les premiers dans des centres accueils au nord et le deuxième dans des #HUB_fermés ou #CIE pour procéder avec une immédiate #expulsion, grâce aux #accords_bilatéraux que entretemps l’Italie compte signer avec beaucoup de pays d’origine.
    http://www.repubblica.it/politica/2015/06/26/news/i_clandestini_al_sud_e_i_rifugiati_al_nord_il_viminale_taglia_in_due_la_r

    réinstallation-> ’accord sur le fait que tous les États membres participeront, y compris au moyen de mécanismes multilatéraux et nationaux, à la réinstallation de 20 000 personnes déplacées

    2) #retour/#réadmission/réintégration .
    Ici le principaux points :
    – le retour comme méthode dissuasif au départ
    – des dialogues de" haut niveau" avec les principaux pays d’origine des migrants irréguliers
    – la Commission veillera à ce que les engagements en matière de réadmission, notamment ceux pris au titre de l’#accord_de_Cotonou, soient mis en œuvre de manière effective dès que possible, et à ce que les négociations en cours portant sur des accords de réadmission soient accélérées et conclues au plus vite, tandis que de nouvelles négociations seront engagées avec d’autres pays tiers ;
    – officialisation de la conditionalité de l’#aide_au_développement / #accords_financiers -> sur la base du principe « donner plus pour recevoir plus », l’assistance et les politiques de l’UE seront utilisées pour inciter à la mise en œuvre des #accords_de_réadmission existants et à la conclusion de nouveaux accords de ce type. Les engagements qui figurent dans des accords commerciaux en ce qui concerne la présence temporaire de personnes pour la prestation de services devraient servir de mesures d’incitation à la conclusion d’accords de réadmission ; les instruments de la politique de développement devraient accentuer le renforcement des capacités locales, y compris pour le contrôle aux frontières, l’asile, la lutte contre le trafic de migrants et la réintégration ;
    #Frontex à la coordination des retours -> la Commission déterminera, d’ici juillet 2015, comment Frontex apportera un soutien immédiat en matière de retour aux États situés en première ligne. La Commission a annoncé son intention de proposer de modifier le règlement Frontex afin de renforcer le rôle joué par cette agence, notamment pour qu’elle puisse entreprendre des missions de retour ;
    – Liste UE des #pays_sûrs -> afin d’accélérer le traitement des demandes d’asile, la Commission présentera, d’ici juillet 2015, les mesures à prendre afin de faire appel à l’EASO pour coordonner la mise en œuvre des dispositions relatives au « #pays_d'origine_sûr » figurant dans la directive sur les procédures d’asile
    mise en place programme européen spécifique en matière de retour

    3) Coopération avec les pays d’origine et de transit
    l’UE donne un rôle centrale à ’aide au développement dans les négociations sur migration.

    Focus rencontre UE-Afrique à Malte en novembre 2015, où ils visent à atteindre les suivants résultats :
    a) aider les pays partenaires à lutter contre les #passeurs
    b) renforcer la coopération en ce qui concerne une politique effective en matière de retour
    c) mieux cibler la coopération au développement et intensifier les investissements en Afrique pour s’attaquer aux causes profondes des migrations, et offrir des perspectives économiques et sociales
    L’UE intensifiera par ailleurs sa coopération avec la Turquie et les pays concernés du Proche-Orient (notamment l’Iraq, la Jordanie et le Liban)
    Une conférence de haut niveau sera organisée afin de traiter les défis que pose la route des Balkans occidentaux.

    #politique_migratoire #stratégie #asile #migration #réfugiés #EU #Europe #frontières #contrôles_frontaliers

    • Reçu via la mailing list de Migreurop :

      Asile et migrations EN Méditerranée : l’UE « blinde » sa solidarité

      Création de centres de tri pour réfugiés et accélération des expulsions pour les recalés au droit d’asile : les dirigeants de l’UE réunis à Bruxelles ont durci les conditions d’accueil des migrants pour désamorcer une crise menaçant la libre circulation dans l’espace Schengen.
      Le renforcement des défenses de la « Forteresse Europe » a été imposé comme contrepartie à un effort de solidarité demandé en faveur de l’Italie et de la Grèce, dont les systèmes d’asile sont submergés par l’arrivée de vagues de migrants.
      Quelque 120.000 sont arrivés depuis le début de l’année, affluant pour beaucoup des côtes libyennes ou turques, selon le HCR.
      L’aide des partenaires moins exposés de par leur géographie n’est pas acquise. La Commission voulait imposer la prise en charge sur deux ans de 40.000 demandeurs d’asile arrivés dans ces deux pays et fixer des critères pour leur répartition.
      L’effort devait être complété par l’accueil de 20.000 réfugiés originaires de Syrie et d’Érythrée venus des camps gérés par le HCR.
      « La politique l’a emporté sur la compassion jeudi pendant le sommet », a déploré un participant. Les dirigeants européens ont refusé toute obligation et certains ont réclamé qu’il soit précisé que l’effort de solidarité serait seulement « volontaire ».
      Les débats ont alors tourné à l’aigre. Le président français François Hollande a parlé de « moments de tension bien légitimes ».
      « La tournure des discussions a été désagréable », a déploré la présidente de la Lituanie Dalia Grybauskaité, en faveur d’une solidarité volontaire.
      « Si vous voulez une base volontaire, si c’est ça votre idée de l’Europe, alors gardez-là pour vous. Nous nous débrouillerons seuls », a lancé le président du Conseil italien Matteo Renzi, selon le récit fait par un des participants.
      Il a obtenu gain de cause. « Le mot volontaire n’est pas dans les conclusions » du sommet, s’est-il félicité. Mais le résultat est jugé décevant car aucune obligation n’est non plus imposée aux États.
      « L’Europe n’est pas à la hauteur des ambitions qu’elle déclame », a déploré Jean-Claude Juncker, dépité par la révision à la baisse de son projet. .
      « C’est une décision affligeante, c’était une réunion pratiquement pour rien », s’est pour sa part insurgé le Premier ministre libéral belge Charles Michel.
      « Pour certains pays, la solidarité c’est quand ça les arrange et uniquement quand ça les arrange. Ca ne va pas », a-t-il dénoncé.
      L’organisation non gouvernementale Avaaz, à l’origine d’une campagne européenne pour aider les réfugiés, a déploré un « échec humanitaire ».
      La répartition des 40.000 candidats à l’asile n’a pas été chiffrée. Selon les critères proposés par la Commission européenne, la France devrait prendre en charge 9.000 réfugiés, mais le gouvernement ne semble pas prêt à souscrire à un tel engagement, a-t-on appris de source française.
      « Je suis gêné »
      Le tri entre les arrivants a été demandé par Paris dans le cadre de la lutte contre l’immigration irrégulière. « Il faut être capable d’accueillir, d’enregistrer, de faire une distinction », a soutenu François Hollande.
      Les camps de triage créés en Italie et en Grèce auront cette mission. Financés et gérés par l’Union européenne avec des « agents » détachés par les États membres, ils permettront « d’opérer la sélection entre ceux qui peuvent bénéficier de l’asile de ceux qui doivent être renvoyés », selon Bernard Cazeneuve, le ministre de l’Intérieur français.
      Une fois ce tri opéré, les retours des déboutés du droit d’asile devront être accélérés, ont demandé les dirigeants européens.
      « Je suis gêné » par ce durcissement, a confié à l’AFP le président du Parlement européen, le social démocrate allemand Martin Schulz, avocat d’un « droit à l’immigration, comme aux États Unis et au Canada ».
      La sélection pose également problème à Matteo Renzi, a confié un responsable européen. Le pape François avait pris les devants, en affirmant que tous les migrants doivent être accueillis et protégés et cette position s’est imposée dans la péninsule.
      Mais si l’Europe ne parvient à pas à s’entendre entre accueils et expulsions, les mesures unilatérales risquent de se multiplier. L’Italie a menacé de laisser passer tous les migrants sans les identifier et la Hongrie de suspendre un règlement sur le droit d’asile. Schengen, l’espace de libre circulation, serait alors en péril, avertissent de nombreux responsables européens.
      26 juin 2015,Christian SPILLMANN

      Source : AFP

    • Solidarity and asylum seekers: member states agreed to disagree

      At the June 2015 European Council, European leaders were meant to come to an agreement in order to help Italy and Greece cope with the increasing number of migrants and asylum seekers arriving on their shores. They were invited to give their agreement on a proposal from the European Commission to set up a mandatory relocation scheme, i.e. a scheme defining the precise number of asylum seekers that should be relocated to each member state over the next two years.

      http://www.epc.eu/pub_details.php?cat_id=4&pub_id=5737
      #solidarité

  • CIP-IDF > Chômeurs, intermittents, précaires, contre une assurance chômage qui nous nie, solidarité !
    http://www.cip-idf.org/article.php3?id_article=7617

    Mardi 3 mars 2015, les partenaires « sociaux » se réunissent au #Medef, probablement pour modifier à la marge le maigre régime d’assurance chômage. Cela répond à un aveu partiel, l’#Unedic a été forcée d’admettre que la convention actuelle, en application depuis le 1er octobre 2014, comporte des « dysfonctionnements »...

    Des « dysfonctionnements » ? Non ! C’est tout ce système destiné à précariser qu’il faudrait revoir : cette assurance #chômage est pensée pour l’#emploi permanent aux interruptions exceptionnelles alors que depuis des décennies nous connaissons le chômage de masse [1] et qu’aujourd’hui plus de 80% des embauches se font en CDD, dont la durée moyenne est inférieure à un mois !
    Leur indemnisation est basée sur une logique non mutualiste, anti-collective, individualisante : la capitalisation.

    Voilà comment plus de la moitié des inscrits à #Pôle_emploi n’ont pas d’allocation...
    Leur prétendu dialogue social méprise les premiers concernés... Ce n’est plus possible !

    Les termes qu’ils emploient, les modes de calcul par lesquels ils décident de nos vies servent un objectif précis : réduire les droits de tous pour faire accepter n’importe quel emploi à n’importe quelles conditions, mieux contrôler une population vouée à vivre dans le dénuement et la peur du dénuement. Telle est la gestion du chômage mise en place par des Etats européens pour lesquels l’Allemagne et son taux de #pauvreté record fait figure de modèle.

    Pour les personnes ouvrant des droits au chômage, l’obligation d’aller jusqu’à l’épuisement des droits antérieurs afin de « profiter » des #droits_rechargeables est une calamité.

  • Füle : EU-Armenia Readmission Agreement key to increased mobility

    http://www.enpi-info.eu/maineast.php?id_type=1&id=32781&lang_id=450

    “key to moving towards further enhancement of mobility,”

    Quand on sait ce qu’est un "accord de réadmission", la violence, la brutalité que subissent les êtres humains qui en sont victimes, cette manière de présenter les choses est assez cynique (to put it mildly comme on dit de l’autre côté du Channel)

    Successful implementation of the EU-Armenia Readmission Agreement is “key to moving towards further enhancement of mobility,” Commissioner for Enlargement and European Neighbourhood Policy Stefan Füle told Armenia’s Foreign Affairs Minister Edward Nalbandian after the signature ceremony of the Agreement last Friday in Brussels.

    #migrations #asile #réadmission #ue #europe #arménie