• L’erosione di Schengen, sempre più area di libertà per pochi a danno di molti

    I Paesi che hanno aderito all’area di libera circolazione strumentalizzano il concetto di minaccia per la sicurezza interna per poter ripristinare i controlli alle frontiere e impedire così l’ingresso ai migranti indesiderati. Una forzatura, praticata anche dall’Italia, che scatena riammissioni informali e violazioni dei diritti. L’analisi dell’Asgi

    Lo spazio Schengen sta venendo progressivamente eroso e ridotto dagli Stati membri dell’Unione europea che, con il pretesto della sicurezza interna o di “minacce” esterne, ne sospendono l’applicazione. Ed è così che da spazio di libera circolazione, Schengen si starebbe trasformando sempre più in un labirinto creato per isolare e respingere le persone in transito e i cittadini stranieri.

    Per l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) la sospensione della libera circolazione, che dovrebbe essere una pratica emergenziale da attivarsi solo nel caso di minacce gravi per la sicurezza di un Paese, rischia infatti di diventare una prassi ricorrente nella gestione dei flussi migratori.

    A fine ottobre di quest’anno il governo italiano ha riattivato i controlli al confine con la Slovenia, giustificando l’iniziativa con l’aumento del rischio interno a seguito della guerra in atto a Gaza e da possibili infiltrazioni terroristiche. La decisione è stata anche proposta come reazione alla pressione migratoria a cui è soggetto il Paese. Lo stesso giorno in cui l’Italia ha annunciato la sospensione della libera circolazione -misura prorogata- la stessa scelta è stata presa anche da Slovenia, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Germania. Una prassi che rischia di agevolare le violazioni dei diritti delle persone in transito. “Questa pratica, così come l’uso degli accordi bilaterali di riammissione, ha di fatto consentito alle autorità di frontiera dei vari Stati membri di impedire l’ingresso nel territorio e di applicare respingimenti ai danni di persone migranti e richiedenti asilo, in violazione di numerose norme nazionali e sovranazionali”, scrive l’Asgi.

    Il “Codice frontiere Schengen” prevede che i confini interni possano essere attraversati in un qualsiasi punto senza controlli sulle persone, in modo indipendente dalla loro nazionalità. Secondo i dati del Consiglio dell’Unione europea, circa 3,5 milioni di persone attraverserebbero questi confini ogni giorno mentre in 1,7 milioni lavorerebbero in un Paese diverso da quello di residenza, attraversando così una frontiera interna. In caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna in uno Stato membro, però, quest’ultimo è autorizzato a ripristinare i controlli “in tutte o in alcune parti delle sue frontiere interne per un periodo limitato non superiore a 30 giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave”. Tuttavia, lo stesso Codice afferma che “la migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di Paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza”.

    Inoltre, anche nel caso in cui vengano introdotte restrizioni alla libera circolazione, queste vanno applicate in accordo con il diritto delle persone in transito. “La reintroduzione temporanea dei controlli non può giustificare alcuna deroga al rispetto dei diritti fondamentali delle persone straniere che fanno ingresso nel territorio degli Stati membri e, nel caso specifico dell’Italia, attraverso il confine italo-sloveno -ribadisce l’Asgi-. In particolare, il controllo non può esentare le autorità di frontiera dalla verifica delle situazioni individuali delle persone straniere che intendano accedere nel territorio dello Stato e che intendano presentare domanda di asilo”. In particolare, la sicurezza dei confini non può impedire l’accesso alle procedure di protezione internazionale per chi ne fa richieste e di riceve informazioni sulla possibilità di farlo. Infine, i controlli non possono portare a una violazione del diritto di non respingimento, che impedisce l’espulsione di una persona verso Paese dove potrebbe subire trattamenti inumani o degradanti o dove possa essere soggetta a respingimenti “a catena” verso Stati che si macchiano di queste pratiche.

    Le operazioni di pattugliamento lungo il confine tra Italia e Slovenia presentano criticità proprio in tal senso. Secondo le notizie riportate dai media e le recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, l’Italia avrebbe applicato ulteriori misure che hanno l’evidente effetto di impedire alla persona straniera l’accesso al territorio nazionale e ai diritti che ne conseguono. Già a settembre del 2023 il ministro aveva dichiarato, in risposta a un’interrogazione parlamentare, la ripresa dell’attività congiunta tra le forze di polizia di Italia e Slovenia a partire dal 2022. Sottolineando come grazie all’accordo fosse stato possibile impedire, per tutto il 2023, l’ingresso sul territorio nazionale di circa 1.900 “migranti irregolari”. “Preoccupa, inoltre, l’opacità operativa che caratterizza questi interventi di polizia: le modalità, infatti, con le quali vengono condotti sono poco chiare e difficilmente osservabili ma celano evidenti profili di criticità e potenziali lesioni di diritti”.

    Le azioni di polizia, infatti, avrebbero avuto luogo già in territorio italiano oltre il confine: una simile procedura appare in linea con quanto previsto dalle procedure di riammissione bilaterale, ma in contrasto con il Codice frontiere Schengen, che presuppone che i controlli possano essere svolti solo presso i valichi di frontiera comunicati alle istituzioni competenti. Una prassi simile è stata riscontrata lungo il confine italo-francese, dove l’Asgi ha identificato la coesistenza di pratiche legate alla sospensione della libera circolazione con procedure di riammissione informale.

    “La libera circolazione nello spazio europeo è una delle conquiste più importanti dei nostri tempi -è la conclusione dell’Asgi-. Il suo progressivo smantellamento dovrebbe essere dettato da una effettiva emergenza e contingenza, entrambe condizioni che sembrano non rinvenibili nelle motivazioni addotte dall’Italia e dagli altri Stati membri alla Commissione europea. La libertà di circolazione, pilastro fondamentale dell’area Schengen, rivela forse a tutt’oggi la sua vera natura: un’area di libertà per pochi a danno di molti”.

    https://altreconomia.it/lerosione-di-schengen-sempre-piu-area-di-liberta-per-pochi-a-danno-di-m

    #Schengen #contrôles_frontaliers #contrôles_systématiques_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #frontières #Europe #frontières_intérieures #espace_Schengen #sécurité #libre_circulation #Italie #Slovénie #terrorisme #Gaza #Slovénie #Autriche #République_Tchèque #Slovaquie #Pologne #Allemagne #accords_bilatéraux #code_frontières #droits_humains #droits_fondamentaux #droit_d'asile #refoulements_en_chaîne #patrouilles_mixtes #réadmissions_informelles #France #frontière_sud-alpine

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    ajouté au fil de discussion sur la réintroduction des contrôles systématiques à la frontière entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/1021994

  • EU to step up support for human rights abuses in North Africa

    In a letter (https://www.statewatch.org/media/4088/eu-com-migration-letter-eur-council-10-23.pdf) to the European Council trumpeting the EU’s efforts to control migration, European Commission president Ursula von der Leyen highlighted the provision of vessels and support to coast guards in Libya and Tunisia, where refugee and migrant rights are routinely violated.

    The letter (pdf) states:

    “…we need to build up the capacity of our partners to conduct effective border surveillance and search and rescue operations. We are providing support to many key partners with equipment and training to help prevent unauthorised border crossings. All five vessels promised to Libya have been delivered and we see the impact of increased patrols. Under the Memorandum of Understanding with Tunisia, we have delivered spare parts for Tunisian coast guards that are keeping 6 boats operational, and others will be repaired by the end of the year. More is expected to be delivered to countries in North Africa in the coming months.”

    What it does not mention is that vessels delivered to the so-called Libyan coast guard are used to conduct “pullbacks” of refugees to brutal detention conditions and human rights violations.

    Meanwhile in Tunisia, the coast guard has been conducting pullbacks of people who have subsequently been dumped in remote regions near the Tunisian-Algerian border.

    According to testimony provided to Human Rights Watch (HRW)¸ a group of people who were intercepted at sea and brought back to shore were then detained by the National Guard, who:

    “…loaded the group onto buses and drove them for 6 hours to somewhere near the city of Le Kef, about 40 kilometers from the Algerian border. There, officers divided them into groups of about 10, loaded them onto pickup trucks, and drove toward a mountainous area. The four interviewees, who were on the same truck, said that another truck with armed agents escorted their truck.

    The officers dropped their group in the mountains near the Tunisia-Algeria border, they said. The Guinean boy [interviewed by HRW) said that one officer had threatened, “If you return again [to Tunisia], we will kill you.” One of the Senegalese children [interviewed by HRW] said an officer had pointed his gun at the group.”

    Von der Leyen does not mention the fact that the Tunisian authorities refused an initial disbursement of €67 million offered by the Commission as part of its more than €1 billion package for Tunisia, which the country’s president has called “small” and said it “lacks respect.” (https://apnews.com/article/tunisia-europe-migration-851cf35271d2c52aea067287066ef247) The EU’s ambassador to Tunisia has said that the refusal “speaks to Tunisia’s impatience and desire to speed up implementation” of the deal.

    [voir: https://seenthis.net/messages/1020596]

    The letter also emphasises the need to “establish a strategic and mutually beneficial partnership with Egypt,” as well as providing more support to Türkiye, Jordan and Lebanon. The letter hints at the reason why – Israel’s bombing of the Gaza strip and a potential exodus of refugees – but does not mention the issue directly, merely saying that “the pressures on partners in our immediate vicinity risk being exacerbated”.

    It appears that the consequences rather than the causes of any movements of Palestinian refugees are the main concern. Conclusions on the Middle East agreed by the European Council last night demand “rapid, safe and unhindered humanitarian access and aid to reach those in need” in Gaza, but do not call for a ceasefire. The European Council instead “strongly emphasises Israel’s right to defend itself in line with international law and international humanitarian law.”

    More surveillance, new law

    Other plans mentioned in the letter include “increased aerial surveillance” for “combatting human smuggling and trafficking” by Operation IRINI, the EU’s military mission in the Mediterranean, and increased support for strengthening controls at points of departure in North African states as well as “points of entry by migrants at land borders.”

    The Commission also wants increased action against migrant smuggling, with a proposal to revise the 2002 Facilitation Directive “to ensure that criminal offences are harmonised, assets are frozen, and coordination strengthened,” so that “those who engage in illegal acts exploiting migrants pay a heavy price.”

    It appears the proposal will come at the same time as a migrant smuggling conference organised by the Commission on 28 November “to create a Global Alliance with a Call to Action, launching a process of regular international exchange on this constantly evolving crime.”

    Deportation cooperation

    Plans are in the works for more coordinated action on deportations, with the Commission proposing to:

    “…work in teams with Member States on targeted return actions, with a lead Member State or Agency for each action. We will develop a roadmap that could focus on (1) ensuring that return decisions are issued at the same time as a negative asylum decisions (2) systematically ensuring the mutual recognition of return decisions and follow-up enforcement action; (3) carrying out joint identification actions including through a liaison officers’ network in countries of origin; (4) supporting policy dialogue on readmission with third countries and facilitating the issuance of travel documents, as well as acceptance of the EU laissez passer; and (5) organising assisted voluntary return and joint return operations with the support of Frontex.”

    Cooperation on legal migration, meanwhile, will be done by member states “on a voluntary basis,” with the letter noting that any offers made should be conditional on increased cooperation with EU deportation efforts: “local investment and opportunities for legal migration must go hand in hand with strengthened cooperation on readmission.”

    More funds

    For all this to happen, the letter calls on the European Council to make sure that “migration priorities - both on the internal and external dimension - are reflected in the mid-term review of the Multiannual Financial Framework,” the EU’s 2021-27 budget.

    Mid-term revision of the budget was discussed at the European Council meeting yesterday, though the conclusions on that point merely state that there was an “in-depth exchange of views,” with the European Council calling on the Council of the EU “to take work forward, with a view to reaching an overall agreement by the end of the year.”

    https://www.statewatch.org/news/2023/october/eu-to-step-up-support-for-human-rights-abuses-in-north-africa

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    • *Crise migratoire : le bilan mitigé des accords passés par l’Union européenne pour limiter les entrées sur son sol*

      Réunis en conseil jeudi et vendredi, les Vingt-Sept devaient faire le point sur la sécurisation des frontières extérieures de l’UE. Mardi, la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, a proposé de conclure de nouveaux partenariats « sur mesure » avec le #Sénégal, la #Mauritanie et l’Egypte.

      Malgré la guerre entre Israël et le Hamas, qui s’est imposée à leur ordre du jour, le sujet de la migration demeure au menu des Vingt-Sept, qui se réunissent en Conseil européen jeudi 26 et vendredi 27 octobre à Bruxelles. Les chefs d’Etat et de gouvernement doivent faire un point sur la dimension externe de cette migration et la sécurisation des frontières extérieures de l’Union européenne (UE). Depuis janvier, le nombre d’arrivées irrégulières, selon l’agence Frontex, a atteint 270 000, en progression de 17 % par rapport à 2022. Sur certaines routes, la croissance est bien plus importante, notamment entre la Tunisie et l’Italie, avec une augmentation de 83 % des arrivées sur les neuf premiers mois de 2023.

      Si le #pacte_asile_et_migration, un ensemble de réglementations censé améliorer la gestion intra européenne de la migration, est en passe d’être adopté, le contrôle des frontières externes de l’Europe est au cœur des discussions politiques. A moins de huit mois des élections européennes, « les questions de migration seront décisives », prévient Manfred Weber, le patron du groupe conservateur PPE au Parlement européen.

      Nouveaux « #partenariats sur mesure »

      Mardi, dans une lettre aux dirigeants européens, Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission, a rappelé sa volonté de « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des #pays_partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants s’embarquent ou prennent la route pour l’UE, en établissant avec ces pays des « #partenariats_stratégiques_mutuellement_bénéficiaires ». Elle propose de conclure avec le Sénégal, la Mauritanie et l’Egypte de nouveaux « #partenariats_sur_mesure » sur le modèle de celui qui a été passé avec la Tunisie. Sans oublier la Jordanie et le Liban, fortement déstabilisés par le conflit en cours entre Israël et Gaza.

      L’UE souhaite que ces pays bloquent l’arrivée de migrants vers ses côtes et réadmettent leurs citoyens en situation irrégulière sur le Vieux Continent contre des investissements pour renforcer leurs infrastructures et développer leur économie. « L’idée n’est pas nécessairement mauvaise, glisse un diplomate européen, mais il faut voir comment c’est mené et négocié. Le partenariat avec la Tunisie a été bâclé et cela a été fiasco. »

      Depuis vingt ans, l’Europe n’a eu de cesse d’intégrer cette dimension migratoire dans ses accords avec les pays tiers et cette préoccupation s’est accentuée en 2015 avec l’arrivée massive de réfugiés syriens. Les moyens consacrés à cet aspect migratoire ont augmenté de façon exponentielle. Au moins 8 milliards d’euros sont programmés pour la période 2021-2027, soit environ 10 % des fonds de la coopération, pour des politiques de sécurisation et d’équipements des gardes-côtes. Ces moyens manquent au développement des pays aidés, critique l’ONG Oxfam. Et la Commission a demandé une rallonge de 15 milliards d’euros aux Vingt-Sept.

      Mettre l’accent sur les retours

      Tant de moyens, pour quels résultats ? Il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées par les accords passés, exception faite de l’arrangement avec la Turquie. Après la signature le 18 mars 2016, par les Vingt-Sept et la Commission, de la déclaration UE-Turquie, les arrivées de Syriens ont chuté de 98 % dès 2017, mais cela n’a pas fonctionné pour les retours, la Turquie ayant refusé de réadmettre la majorité des Syriens refoulés d’Europe. Cet engagement a coûté 6 milliards d’euros, financés à la fois par les Etats et l’UE.

      « Pour les autres accords, le bilan est modeste, indique Florian Trauner, spécialiste des migrations à la Vrije Universiteit Brussel (Belgique). Nous avons étudié l’ensemble des accords passés par l’UE avec les pays tiers sur la période 2008-2018 pour mesurer leurs effets sur les retours et réadmissions. Si les pays des Balkans, plus proches de l’Europe, ont joué le jeu, avec les pays africains, cela ne fonctionne pas. »

      Depuis le début de l’année, la Commission assure malgré tout mettre l’accent sur les retours. Selon Ylva Johansson, la commissaire chargée de la politique migratoire, sur près de 300 000 obligations de quitter le territoire européen, environ 65 000 ont été exécutées, en progression de 22 % en 2023. Ces chiffres modestes « sont liés à des questions de procédures internes en Europe, mais également à nos relations avec les Etats tiers. Nous avons fait beaucoup de pédagogie avec ces Etats en mettant en balance l’accès aux visas européens et cela commence à porter ses fruits. »

      « Généralement, explique Florian Trauner, les Etats tiers acceptent les premiers temps les retours, puis la pression de l’opinion publique locale se retourne contre eux et les taux de réadmissions baissent. Les accords qui conditionnent l’aide au développement à des réadmissions créent davantage de problèmes qu’ils n’en résolvent. La diplomatie des petits pas, plus discrète, est bien plus efficace. »

      L’alternative, juge le chercheur, serait une meilleure gestion par les Européens des migrations, en ménageant des voies légales identifiées pour le travail, par exemple. Dans ce cas, affirme-t-il, les pays concernés accepteraient de reprendre plus simplement leurs citoyens. « Mais en Europe, on ne veut pas entendre cela », observe M. Trauner.
      Statut juridique obscur

      Le développement de ces accords donnant-donnant pose un autre problème à l’UE : leur statut juridique. « Quel que soit leur nom – partenariat, déclaration…–, ce ne sont pas des accords internationaux en bonne et due forme, négociés de manière transparente avec consultation de la société civile, sous le contrôle du Parlement européen puis des tribunaux, rappelle Eleonora Frasca, juriste à l’Université catholique de Louvain (Belgique). Ce sont des objets juridiques plus obscurs. »

      En outre, les arrangements avec la Turquie ou la Libye ont conduit des migrants à des situations dramatiques. Qu’il s’agisse des camps aux conditions déplorables des îles grecques où étaient parqués des milliers de Syriens refoulés d’Europe mais non repris en Turquie, ou des refoulements en mer, souvent avec des moyens européens, au large de la Grèce et de la Libye, ou enfin du sort des migrants renvoyés en Libye où de multiples abus et de crimes ont été documentés.

      Concernant la Tunisie, « l’Union européenne a signé l’accord sans inclure de clause de respect de l’Etat de droit ou des droits de l’homme au moment même où cette dernière chassait des migrants subsahariens vers les frontières libyenne et algérienne, relève Sara Prestianni, de l’ONG EuroMed Droit. Du coup, aucune condamnation n’a été formulée par l’UE contre ces abus. » L’Europe a été réduite au silence.

      Sous la pression d’Ursula von der Leyen, de Giorgia Melloni, la présidente du conseil italien, et de Mark Rutte, le premier ministre néerlandais, ce partenariat global doté d’un milliard d’euros « a été négocié au forceps et sans consultation », juge une source européenne. La conséquence a été une condamnation en Europe et une incompréhension de la part des Tunisiens, qui ont décidé de renvoyer 60 millions d’euros versés en septembre, estimant que c’était loin du milliard annoncé. « Aujourd’hui, le dialogue avec la Tunisie est exécrable, déplore un diplomate. La méthode n’a pas été la bonne », déplore la même source.
      Exposition à un chantage aux migrants

      « L’Union européenne a déjà été confrontée à ce risque réputationnel et semble disposée à l’accepter dans une certaine mesure, nuance Helena Hahn, de l’European Policy Center. Il est important qu’elle s’engage avec les pays tiers sur cette question des migrations. Toutefois, elle doit veiller à ce que ses objectifs ne l’emportent pas sur ses intérêts dans d’autres domaines, tels que la politique commerciale ou le développement. »

      Dernier risque pour l’UE : en multipliant ces accords avec des régimes autoritaires, elle s’expose à un chantage aux migrants. Depuis 2020, elle en a déjà été l’objet de la part de la Turquie et du Maroc, de loin le premier bénéficiaire d’aides financières au titre du contrôle des migrations. « Ce n’est pas juste le beau temps qui a exposé Lampedusa à l’arrivée de 12 000 migrants en quelques jours en juin, juge Mme Prestianni. Les autorités tunisiennes étaient derrière. La solution est de rester fermes sur nos valeurs. Et dans notre négociation avec la Tunisie, nous ne l’avons pas été. »

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/26/crise-migratoire-le-bilan-mitige-des-accords-passes-par-l-union-europeenne-p

    • EU planning new anti-migration deals with Egypt and Tunisia, unrepentant in support for Libya

      The European Commission wants to agree “new anti-smuggling operational partnerships” with Tunisia and Egypt before the end of the year, despite longstanding reports of abuse against migrants and refugees in Egypt and recent racist violence endorsed by the Tunisian state. Material and financial support is already being stepped up to the two North African countries, along with support for Libya.

      The plan for new “partnerships” is referred to in a newly-revealed annex (pdf) of a letter from European Commission president, Ursula von der Leyen, that was sent to the European Council prior to its meeting in October and published by Statewatch.

      In April, the Commission announced “willingness” from the EU and Tunisia “to establish a stronger operational partnership on anti-smuggling,” which would cover stronger border controls, more police and judicial cooperation, increased cooperation with EU agencies, and anti-migration advertising campaigns.

      The annex includes little further detail on the issue, but says that the agreements with Tunisia and Egypt should build on the anti-smuggling partnerships “in place with Morocco, Niger and the Western Balkans, with the support of Europol and Eurojust,” and that they should include “joint operational teams with prosecutors and law enforcement authorities of Member States and partners.”

      Abuse and impunity

      Last year, Human Rights Watch investigations found that “Egyptian authorities have failed to protect vulnerable refugees and asylum seekers from pervasive sexual violence, including by failing to investigate rape and sexual assault,” and that the police had subjected Sudanese refugee activists to “forced physical labor [sic] and beatings.” Eritrean asylum-seekers have also been detained and deported by the Egyptian authorities.

      The EU’s own report on human rights in Egypt in 2022 (pdf) says the authorities continue to impose “constraints” on “freedom of expression, peaceful assembly and media freedom,” while “concerns remained about broad application of the Terrorism Law against peaceful critics and individuals, and extensive and indiscriminate use of pre-trial detention.”

      Amr Magdi, Human Rights Watch’s Senior Researcher on the Middle East and North Africa, has said more bluntly that “there can be no light at the end of the tunnel without addressing rampant security force abuses and lawlessness.” The Cairo Institute for Human Rights said in August that the country’s “security apparatus continues to surveil and repress Egyptians with impunity. There is little to no access to participatory democracy.”

      The situation in Tunisia for migrants and refugees has worsened substantially since the beginning of the year, when president Kais Said declared a crackdown against sub-Saharan Africans in speeches that appeared to draw heavily from the far-right great replacement theory.

      It is unclear whether the EU will attempt to address this violence, abuse and discrimination as it seeks to strengthen the powers of the countries’ security authorities. The annex to von der Leyen’s letter indicates that cooperation with Tunisia is already underway, even if an anti-smuggling deal has not been finalised:

      “Three mentorship pairs on migrant smuggling TU [Tunisia] with Member States (AT, ES, IT [Austria, Spain and Italy]) to start cooperation in the framework of Euromed Police, in the last quarter of 2023 (implemented by CEPOL [the European Police College] with Europol)”

      Anti-smuggling conference

      The annex to von der Leyen’s letter indicates that the Egyptian foreign minister, Sameh Shoukry, “confirmed interest in a comprehensive partnership on migration, including anti-smuggling and promoting legal pathways,” at a meeting with European Commissioner for Migration and Home Affairs, Ylva Johansson, at the UN General Assembly.

      This month the fourth EU-Egypt High Level Dialogue on Migration and the second Senior Officials Meeting on Security and Law Enforcement would be used to discuss the partnership, the annex notes – “including on the involvement of CEPOL, Europol and Frontex” – but it is unclear when exactly the Commission plans to sign the new agreements. An “International Conference on strengthening international cooperation on countering migrant smuggling” that will take place in Brussels on 28 November would provide an opportune moment to do so.

      The conference will be used to announce a proposal “to reinforce the EU legal framework on migrant smuggling, including elements related to: sanctions, governance, information flows and the role of JHA agencies,” said a Council document published by Statewatch in October.

      Other sources indicate that the proposal will include amendments to the EU’s Facilitation Directive and the Europol Regulation, with measures to boost the role of the European Migrant Smuggling Centre hosted at Europol; step up the exchange of information between member states, EU agencies and third countries; and step up Europol’s support to operations.

      Additional support

      The proposed “partnerships” with Egypt and Tunisia come on top of ongoing support provided by the EU to control migration.

      In July the EU signed a memorandum of understanding with Tunisia covering “macro-economic stability, economy and trade, green energy, people-to-people contacts and migration and mobility.”

      Despite the Tunisian government returning €67 million provided by the EU, the number of refugee boat departures from Tunisia has decreased significantly, following an increase in patrols at sea and the increased destruction of intercepted vessels.

      Violent coercion is also playing a role, as noted by Matthias Monroy:

      “State repression, especially in the port city of Sfax, has also contributed to the decline in numbers, where the authorities have expelled thousands of people from sub-Saharan countries from the centre and driven them by bus to the Libyan and Algerian borders. There, officials force them to cross the border. These measures have also led to more refugees in Tunisia seeking EU-funded IOM programmes for “voluntary return” to their countries of origin.”

      The annex to von der Leyen’s letter notes that the EU has provided “fuel to support anti-smuggling operations,” and that Tunisian officials were shown around Frontex’s headquarters in mid-September for a “familiarisation visit”.

      Egypt, meanwhile, is expected to receive the first of three new patrol boats from the EU in December, €87 million as part of the second phase of a border management project will be disbursed “in the coming months,” and Frontex will pursue a working arrangement with the Egyptian authorities, who visited the agency’s HQ in Warsaw in October.

      Ongoing support to Libya

      Meanwhile, the EU’s support for migration control by actors in Libya continues, despite a UN investigation earlier this year accusing that support of contributing to crimes against humanity in the country.

      The annex to von der Leyen’s letter notes with approval that five search and rescue vessels have been provided to the Libyan Coast Guard this year, and that by 21 September, “more than 10,900 individuals reported as rescued or intercepted by the Libyan authorities in more than 100 operations… Of those disembarked, the largest groups were from Bangladesh, Egypt and Syria”.

      The letter does not clarify what distinguishes “rescue” and “interception” in this context. The organisation Forensic Oceanography has previously described them as “conflicting imperatives” in an analysis of a disaster at sea in which some survivors were taken to Libya, and some to EU territory.

      In a letter (pdf) sent last week to the chairs of three European Parliament committees, three Commissioners – Margaritas Schinas, Ylva Johansson and Oliver Várhelyi – said the Commission remained “convinced that halting EU assistance in the country or disengagement would not improve the situation of those most in need.”

      While evidence that EU support provided to Libya has facilitated the commission of crimes against humanity is not enough to put that policy to a halt, it remains to be seen whether the Egyptian authorities’ violent repression, or state racism in Tunisia, will be deemed worthy of mention in public by Commission officials.

      The annex to von der Leyen’s letter also details EU action in a host of other areas, including the “pilot projects” launched in Bulgaria and Romania to step up border surveillance and speed up asylum proceedings and returns, support for the Moroccan authorities, and cooperation with Western Balkans states, amongst other things.

      https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

      en italien:
      Statewatch. Mentre continua il sostegno alla Libia, l’UE sta pianificando nuovi accordi anti-migrazione con Egitto e Tunisia
      https://www.meltingpot.org/2023/11/statewatch-mentre-continua-il-sostegno-alla-libia-lue-sta-pianificando-n

    • Accord migratoire avec l’Égypte. Des #navires français en eaux troubles

      Les entreprises françaises #Civipol, #Défense_Conseil_International et #Couach vont fournir à la marine du Caire trois navires de recherche et sauvetage dont elles formeront également les équipages, révèle Orient XXI dans une enquête exclusive. Cette livraison, dans le cadre d’un accord migratoire avec l’Égypte, risque de rendre l’Union européenne complice d’exactions perpétrées par les gardes-côtes égyptiens et libyens.

      La France est chaque année un peu plus en première ligne de l’externalisation des frontières de l’Europe. Selon nos informations, Civipol, l’opérateur de coopération internationale du ministère de l’intérieur, ainsi que son sous-traitant Défense Conseil International (DCI), prestataire attitré du ministère des armées pour la formation des militaires étrangers, ont sélectionné le chantier naval girondin Couach pour fournir trois navires de recherche et sauvetage (SAR) aux gardes-côtes égyptiens, dont la formation sera assurée par DCI sur des financements européens de 23 millions d’euros comprenant des outils civils de surveillance des frontières.

      Toujours selon nos sources, d’autres appels d’offres de Civipol et DCI destinés à la surveillance migratoire en Égypte devraient suivre, notamment pour la fourniture de caméras thermiques et de systèmes de positionnement satellite.

      Ces contrats sont directement liés à l’accord migratoire passé en octobre 2022 entre l’Union européenne (UE) et l’Égypte : en échange d’une assistance matérielle de 110 millions d’euros au total, Le Caire est chargé de bloquer, sur son territoire ainsi que dans ses eaux territoriales, le passage des migrants et réfugiés en partance pour l’Europe. Ce projet a pour architecte le commissaire européen à l’élargissement et à la politique de voisinage, Olivér Várhelyi. Diplomate affilié au parti Fidesz de l’illibéral premier ministre hongrois Viktor Orbán, il s’est récemment fait remarquer en annonçant unilatéralement la suspension de l’aide européenne à la Palestine au lendemain du 7 octobre — avant d’être recadré.

      La mise en œuvre de ce pacte a été conjointement confiée à Civipol et à l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) de l’ONU, comme déjà indiqué par le média Africa Intelligence. Depuis, la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen a déjà plaidé pour un nouvel accord migratoire avec le régime du maréchal Sissi. Selon l’UE, il s’agirait d’aider les gardes-côtes égyptiens à venir en aide aux migrants naufragés, via une approche « basée sur les droits, orientée vers la protection et sensible au genre ».
      Circulez, il n’y a rien à voir

      Des éléments de langage qui ne convainquent guère l’ONG Refugees Platform in Egypt (REP), qui a alerté sur cet accord il y a un an. « Depuis 2016, le gouvernement égyptien a durci la répression des migrants et des personnes qui leur viennent en aide, dénonce-t-elle auprès d’Orient XXI. De plus en plus d’Égyptiens émigrent en Europe parce que la jeunesse n’a aucun avenir ici. Ce phénomène va justement être accentué par le soutien de l’UE au gouvernement égyptien. L’immigration est instrumentalisée par les dictatures de la région comme un levier pour obtenir un appui politique et financier de l’Europe. »

      En Égypte, des migrants sont arrêtés et brutalisés après avoir manifesté. Des femmes réfugiées sont agressées sexuellement dans l’impunité. Des demandeurs d’asile sont expulsés vers des pays dangereux comme l’Érythrée ou empêchés d’entrer sur le territoire égyptien. Par ailleurs, les gardes-côtes égyptiens collaborent avec leurs homologues libyens qui, également soutenus par l’UE, rejettent des migrants en mer ou les arrêtent pour les placer en détention dans des conditions inhumaines, et entretiennent des liens avec des milices qui jouent aussi le rôle de passeurs.

      Autant d’informations peu compatibles avec la promesse européenne d’un contrôle des frontières « basé sur les droits, orienté vers la protection et sensible au genre ». Sachant que l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes Frontex s’est elle-même rendue coupable de refoulements illégaux de migrants (pushbacks) et a été accusée de tolérer de mauvais traitements sur ces derniers.

      Contactés à ce sujet, les ministères français de l’intérieur, des affaires étrangères et des armées, l’OIM, Civipol, DCI et Couach n’ont pas répondu à nos questions. Dans le cadre de cette enquête, Orient XXI a aussi effectué le 1er juin une demande de droit à l’information auprès de la Direction générale du voisinage et des négociations d’élargissement (DG NEAR) de la Commission européenne, afin d’accéder aux différents documents liés à l’accord migratoire passé entre l’UE et l’Égypte. Celle-ci a identifié douze documents susceptibles de nous intéresser, mais a décidé de nous refuser l’accès à onze d’entre eux, le douzième ne comprenant aucune information intéressante. La DG NEAR a invoqué une série de motifs allant du cohérent (caractère confidentiel des informations touchant à la politique de sécurité et la politique étrangère de l’UE) au plus surprenant (protection des données personnelles — alors qu’il aurait suffi de masquer lesdites données —, et même secret des affaires). Un premier recours interne a été déposé le 18 juillet, mais en l’absence de réponse de la DG NEAR dans les délais impartis, Orient XXI a saisi fin septembre la Médiatrice européenne, qui a demandé à la Commission de nous répondre avant le 13 octobre. Sans succès.

      Dans un courrier parvenu le 15 novembre, un porte-parole de la DG NEAR indique :

      "L’Égypte reste un partenaire fiable et prévisible pour l’Europe, et la migration constitue un domaine clé de coopération. Le projet ne cible pas seulement le matériel, mais également la formation pour améliorer les connaissances et les compétences [des gardes-côtes et gardes-frontières égyptiens] en matière de gestion humanitaire des frontières (…) Le plein respect des droits de l’homme sera un élément essentiel et intégré de cette action [grâce] à un contrôle rigoureux et régulier de l’utilisation des équipements."

      Paris-Le Caire, une relation particulière

      Cette livraison de navires s’inscrit dans une longue histoire de coopération sécuritaire entre la France et la dictature militaire égyptienne, arrivée au pouvoir après le coup d’État du 3 juillet 2013 et au lendemain du massacre de centaines de partisans du président renversé Mohamed Morsi. Paris a depuis multiplié les ventes d’armes et de logiciels d’espionnage à destination du régime du maréchal Sissi, caractérisé par la mainmise des militaires sur la vie politique et économique du pays et d’effroyables atteintes aux droits humains.

      La mise sous surveillance, la perquisition par la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) et le placement en garde à vue de la journaliste indépendante Ariane Lavrilleux fin septembre étaient notamment liés à ses révélations dans le média Disclose sur Sirli, une opération secrète associant les renseignements militaires français et égyptien, dont la finalité antiterroriste a été détournée par Le Caire vers la répression intérieure. Une enquête pour « compromission du secret de la défense nationale » avait ensuite été ouverte en raison de la publication de documents (faiblement) classifiés par Disclose.

      La mise en œuvre de l’accord migratoire UE-Égypte a donc été indirectement confiée à la France via Civipol. Société dirigée par le préfet Yann Jounot, codétenue par l’État français et des acteurs privés de la sécurité — l’électronicien de défense Thales, le spécialiste de l’identité numérique Idemia, Airbus Defence & Space —, Civipol met en œuvre des projets de coopération internationale visant à renforcer les capacités d’États étrangers en matière de sécurité, notamment en Afrique. Ceux-ci peuvent être portés par la France, notamment via la Direction de la coopération internationale de sécurité (DCIS) du ministère de l’intérieur. Mais l’entreprise travaille aussi pour l’UE.

      Civipol a appelé en renfort DCI, société pilotée par un ancien chef adjoint de cabinet de Nicolas Sarkozy passé dans le privé, le gendarme Samuel Fringant. DCI était jusqu’à récemment contrôlée par l’État, aux côtés de l’ancien office d’armement Eurotradia soupçonné de corruption et du vendeur de matériel militaire français reconditionné Sofema. Mais l’entreprise devrait prochainement passer aux mains du groupe français d’intelligence économique ADIT de Philippe Caduc, dont l’actionnaire principal est le fonds Sagard de la famille canadienne Desmarais, au capital duquel figure désormais le fonds souverain émirati.

      DCI assure principalement la formation des armées étrangères à l’utilisation des équipements militaires vendus par la France, surtout au Proche-Orient et notamment en Égypte. Mais à l’image de Civipol, l’entreprise collabore de plus en plus avec l’UE, notamment via la mal nommée « Facilité européenne pour la paix » (FEP).
      Pacte (migratoire) avec le diable

      Plus largement, ce partenariat avec l’Égypte s’inscrit dans une tendance généralisée d’externalisation du contrôle des frontières de l’Europe, qui voit l’UE passer des accords avec les pays situés le long des routes migratoires afin que ceux-ci bloquent les départs de migrants et réfugiés, et que ces derniers déposent leurs demandes d’asile depuis l’Afrique, avant d’arriver sur le territoire européen. Après la Libye, pionnière en la matière, l’UE a notamment signé des partenariats avec l’Égypte, la Tunisie — dont le président Kaïs Saïed a récemment encouragé des émeutes racistes —, le Maroc, et en tout 26 pays africains, selon une enquête du journaliste Andrei Popoviciu pour le magazine américain In These Times.

      Via ces accords, l’UE n’hésite pas à apporter une assistance financière, humaine et matérielle à des acteurs peu soucieux du respect des droits fondamentaux, de la bonne gestion financière et parfois eux-mêmes impliqués dans le trafic d’êtres humains. L’UE peine par ailleurs à tracer l’utilisation de ces centaines de millions d’euros et à évaluer l’efficacité de ces politiques, qui se sont déjà retournées contre elles sous la forme de chantage migratoire, par exemple en Turquie.

      D’autres approches existent pourtant. Mais face à des opinions publiques de plus en plus hostiles à l’immigration, sur fond de banalisation des idées d’extrême droite en politique et dans les médias, les 27 pays membres et les institutions européennes apparaissent enfermés dans une spirale répressive.

      https://orientxxi.info/magazine/accord-migratoire-avec-l-egypte-des-navires-francais-en-eaux-troubles,68

  • #Alpes-Maritimes : à #Menton, près de 3 000 migrants interpellés en deux semaines

    Ce total porte à 32 000 le nombre d’#interpellations depuis le début de l’année le long de la #frontière dans le département, un chiffre en hausse de 20 % par rapport à l’an dernier sur la même période, a précisé vendredi la directrice départementale de la police aux frontières.

    Les renforts des forces de l’ordre ont permis d’interpeller près de 3 000 migrants depuis le 8 septembre à Menton, dans les Alpes-Maritimes, avant l’afflux possible de migrants débarqués en masse à Lampedusa, a annoncé, vendredi 22 septembre, Emmanuelle Joubert, directrice départementale de la police aux frontières.

    Ce total porte à 32 000 le nombre d’interpellations depuis le début de 2023 le long de la frontière dans ce département, un chiffre en hausse de 20 % par rapport à 2022 sur la même période alors que les arrivées en Italie ont plus que doublé par rapport à 2022, a expliqué Mme Joubert lors d’un point de presse.

    Parmi les migrants interpellés, 24 000 ont fait l’objet d’une procédure de non-admission et ont été remis aux autorités italiennes, soit 10 % de plus qu’en 2022. Mais beaucoup ont été comptabilisés plusieurs fois après avoir multiplié les tentatives. Les autres étaient des mineurs non accompagnés, qui ne peuvent être refoulés et dont le nombre a bondi de 50 %, pour atteindre 5 000 arrivées, et des majeurs interceptés au-delà de la bande de 20 kilomètres permettant les réadmissions en Italie.

    Rétablissement des contrôles aux frontières

    Les procédures ont été mises en place en 2015 avec le rétablissement des contrôles aux frontières à la suite des attentats : tous les trains passant par Menton sont contrôlés, des policiers filtrent les postes-frontières et patrouillent dans les montagnes de l’arrière-pays. Seuls les contrôles sur l’autoroute restent beaucoup plus aléatoires.

    Depuis le 1er juin, une force frontière (border force) est déployée, avec des renforts de personnel, l’appui des militaires de l’opération « Sentinelle » et de drones à caméras thermiques. Dans un arrêt rendu jeudi, la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) a estimé que la France ne pouvait pas procéder à des refoulements systématiques de cette manière. « Nous avons été informés. L’Etat réalise une analyse, nous aurons les instructions plus tard », a expliqué Mme Joubert.

    En attendant, les contrôles se sont intensifiés après l’arrivée de plus de 12 000 migrants en quelques jours la semaine dernière sur les côtes italiennes, pour la plupart sur la petite île de Lampedusa. Mais « il s’écoule souvent un délai de plusieurs semaines entre leur arrivée en Italie et le passage de la frontière », a expliqué Mme Joubert. Ainsi, les personnes interpellées jeudi étaient arrivées à la fin d’août ou au début de septembre en Italie. Seuls deux avaient débarqué la semaine dernière à Lampedusa.

    Lors d’un déplacement à Menton, le 12 septembre, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, avait annoncé des renforts dans la lutte contre l’immigration irrégulière à la frontière italienne, où la France constate « une augmentation de 100 % des flux », avait-il dit.

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/09/22/alpes-maritimes-a-menton-pres-de-3-000-migrants-interpelles-en-deux-semaines

    #chiffres #statistiques #2023 #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #militarisation_des_frontières #non-admission #procédure_de_non-admission #réadmissions #push-backs #refoulements #contrôles_systématiques #Vintimille #contrôles_frontaliers #border_force #force_frontière #opération_Sentinelle #Sentinelle #anticipation (par rapport aux arrivées probables en lien avec le nombre important de personnes débarquées à Lampedusa...)

    Lien avec #Lampedusa...
    https://seenthis.net/messages/1017235

    • Militari, elicotteri, droni e cani contro i migranti: la Francia blinda il confine con l’Italia

      Parigi proroga ancora ancora una volta il ripristino dei controlli alle frontiere aboliti da Schengen. «Non accoglieremo migranti da Lampedusa»

      Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva chiarito già lunedì scorso, prima dell’incontro con il suo omologo italiano Matteo Piantedosi, che “la Francia non accoglierà migranti da Lampedusa”. 120 uomini a supporto della Géndarmerie, militari, droni, elicotteri e cani a controllare il confine. Parigi proroga ancora ancora una volta il ripristino dei controlli alle frontiere aboliti dal trattato di Schengen salvo casi particolari. È la tensione che sale per la pressione migratoria che nelle ultime settimane preme dall’Italia e allarma l’Europa. A Lampedusa intanto continuano gli arrivi. 13 in un’ora, 402 le persone sbarcate, oltre 1.800 gli ospiti dell’hotspot di Contrada Imbriacola. Attenzione alta anche sul lato est, a Trieste, sulla rotta balcanica.

      Il totale di migranti sbarcati in Italia nel 2023 ieri è salito a 131mila. A Ventimiglia ieri c’erano circa 400 migranti. Blindato il valico di Ponte San Ludovico per impedire il passaggio da Ventimiglia. I controlli sono molto fitti tra Garavano e Mentone. Parigi smentisce l’impegno sul campo contro i clandestini anche del “Vigipirate”, il reparto speciale collegato al piano di sicurezza anti-terrorismo strutturato nel 1978 dal Presidente Giscard d’Estaing. Proprio vicino alla frontiera si sta lavorando a una nuova struttura di identificazione che servirà a trattenere nelle ore serali i migranti irregolari individuati dalla parte francese del confine e che verranno riportati in Italia la mattina dopo.

      La pressione migratoria è percepita come una “minaccia” a Parigi. I migranti si inerpicano di notte su sentieri anche pericolosi, a strapiombo, per attraversare il confine. “Sono dispiegati 120 militari della Border Force che assicurano, notte e giorno, azioni di sorveglianza della frontiera – spiega la prefettura del dipartimento francese delle Alpes-Maritimes – con missione di dissuasione, raccolta di informazioni sul terreno e individuazione di stranieri in situazione irregolare nella striscia di confine”. Gli agenti del Vigipirate sono chiamati “chasseurs des Alpes”, i cacciatori delle Alpi.

      I migranti intanto “hanno ben compreso che sono aumentati i controlli – ha dichiarato all’Ansa Jacopo Colomba di We World – ma loro hanno vissuto frontiere molto più traumatiche di questa. Hanno capito che c’è più polizia ma non vivono questa cosa come un trauma eccessivo. Dalle prime testimonianze che ci hanno fornito comprendono che ci vorrà più di un tentativo per passare e il turn over sarà più lento ma alla fine passeranno“. Qualora dovesse aumentare il flusso di persone aumenterebbero anche i prezzi dei passeurs.

      https://www.unita.it/2023/09/20/militari-elicotteri-droni-e-cani-contro-i-migranti-la-francia-blinda-il-confin

  • Il ministero dell’Interno condannato a risarcire un respinto a catena in Bosnia

    Il Tribunale di Roma ha accertato l’illegittimità delle “riammissioni” al confine orientale, ricostruendo il “nesso causale” tra respingimenti e trattamenti inumani. Il Viminale deve farsi carico del danno inflitto a un cittadino pakistano richiedente asilo. Decisivo il lavoro di rete tra attivisti, Ong e avvocati. Una decisione attualissima

    Il ministero dell’Interno è stato condannato dal Tribunale di Roma a pagare 18.200 euro a titolo di risarcimento nei confronti di A., cittadino originario del Pakistan in fuga dal Paese, per averlo prima fermato a Trieste e poi respinto in Slovenia e a catena verso la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina. Nonostante avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale. Cento euro per ogni giorno trascorso tra la “riammissione” in Slovenia avvenuta a metà ottobre 2020 e il rientro in Italia nell’aprile 2021, come prevede la giurisprudenza comunitaria e nazionale su casi assimilabili.

    La decisione della giudice Damiana Colla del 9 maggio è estremamente rilevante non soltanto perché “accerta e dichiara l’illegittimità” delle riammissioni informali attive da parte italiana ma soprattutto perché inchioda l’”evidente nesso di causalità” tra l’operato della polizia italiana e il “danno subito” da A.. “La lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani -scrive infatti la giudice- sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste”.

    La decisione ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Asgi, commenta la stessa Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, la Ong ‘Lungo la rotta balcanica’, l’associazione Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment (Pic, in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’Asgi, Ics Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito”.

    Nuove ombre si allungano su una prassi che i governi europei intendono invece elevare sempre più a norma “guida” della brutale gestione delle frontiere, come dimostra l’accordo al Consiglio europeo Giustizia e Affari interni dello scorso 8 giugno sui regolamenti in tema di gestione dell’asilo e della migrazione e delle procedure.

    Non si tratta di un’ordinanza che guarda a un passato ormai superato o a una pagina triste nel frattempo voltata: se è vero infatti che l’Italia ha condotto i respingimenti verso la Slovenia per tutto il 2020 e li ha sospesi nel 2021, è noto che da fine 2022 il nuovo governo abbia annunciato di volerli riprendere (con “risultati” incerti di cui abbiamo già scritto). Il tutto nonostante il precedente dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma a firma della giudice Silvia Albano, emessa nel gennaio 2021 a fronte del ricorso promosso sempre dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla (la vicenda è ben raccontata nel film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore).

    La storia di A. ricostruita nella decisione di Roma è tanto forte quanto emblematica. La sua fuga dal Pakistan inizia nel 2018, quand’è ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan. Sopravvissuto, e temendo ritorsioni da ambo le parti (estremisti ed esercito cui apparteneva), decide di scappare. Resta per un anno in Turchia e per tre volte prova a entrare in Grecia, nell’Unione europea. Al terzo tentativo riesce, attraversando poi la Macedonia del Nord, la Serbia e arrivando nell’estate 2019 in Bosnia ed Erzegovina.

    Per nove volte è respinto dalle polizie croate e per tre da quelle slovene. Il primo ottobre 2020, a “riammissioni informali attive” ormai a pieno regime da parte italiana, gli riesce il “game” che lo porterà a Trieste nella mattinata del 17 ottobre. Qui però alcuni militari lo fermano quasi subito insieme ad altre quattro persone. Finiscono tutti in una stazione di polizia dove sono visitati e gli vengono fatti firmare fogli non tradotti dal contenuto oscuro. A. riferisce però agli agenti di voler chiedere asilo ma questi lo “affidano” alla polizia slovena. Non ha niente in mano: “informale” vuol dire infatti respinto senza lo straccio di un provvedimento scritto, motivato, impugnabile, cioè senza convalida dell’autorità giudiziaria, senza diritto a un ricorso effettivo. A riprova di quanto sia basso e surreale il dibattito sul garantismo in Italia.

    È così che A., con l’etichetta fasulla di “cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente” e non invece di richiedente asilo, si fa una notte in una stazione di polizia slovena e il giorno dopo si vede “consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, comprese percosse”, sempre per citare il giudice di Roma.

    Alla fine della catena lo attende la Bosnia ed Erzegovina. Nel caso di A. è l’insediamento informale di Vedro Polje, poco distante da Bihać, nel Nord-Ovest del Paese. Per via delle “degradanti condizioni di vita al campo”, come si legge nell’ordinanza che ha condannato il Viminale, A. decide di riprovarci. Lì non può rimanere. Ce la fa, di nuovo, perché “frontiere chiuse” è uno slogan vuoto, e ad aprile del 2021 torna nell’Italia che lo aveva illegalmente respinto. Tre mesi prima, come detto, la giudice Albano del Tribunale di Roma aveva già sanzionato il ministero dell’Interno per le stesse riammissioni (caso specifico diverso, naturalmente). A., memore del precedente respingimento, abbandona in fretta Trieste e raggiunge Brescia. Il 10 maggio fa quella domanda d’asilo che gli era stata negata dalla polizia italiana qualche mese prima e a tre giorni da Natale si vede riconoscere lo status di rifugiato. Ma non gli suona come un lieto fine quanto lo sprone a chieder giustizia per quel respingimento illegale subìto.

    Il 31 dicembre 2021 fa perciò ricorso. Il ministero dell’Interno si costituisce in giudizio il 27 settembre 2022 sostenendo che no, non si sarebbe trattato di un’espulsione collettiva vietata dal diritto internazionale ed europeo, che l’intera procedura si sarebbe svolta nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte, che la pratica sarebbe stata pienamente legittima e che il danno subito dal ricorrente (cioè A.) non sarebbe stato dimostrato.

    Il Tribunale di Roma dà però torto a Roma e ragione ad A. e alle avvocate Bove e Brambilla, facendo così squagliare la tesi difensiva del Viminale come il sole fa con la neve. “Il trattamento che il ricorrente ha descritto di aver subito da parte delle autorità di frontiera italiane al momento del suo primo ingresso a Trieste […] è stato pienamente provato in giudizio”, scrive la giudice Colla. Dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione alla presa in consegna da parte delle autorità slovene. È documentata anche la catena: la detenzione in Slovenia al Centro per stranieri di Veliki Otok, nella Postumia (Carniola interna), e la successiva riammissione in Croazia. Fino alla Bosnia. Nessun alibi quindi per il Viminale, che della mancata prova dell’arrivo in Italia dei respinti ne ha fatto fino a oggi un leitmotiv. Questa volta non gli è riuscito nascondere la mano.

    Nella “jungle” di Vedro Polje, dove si trova a inizio 2021, A. ha per fortuna incontrato la giornalista Elisa Oddone e l’operatore sociale Diego Saccora dell’associazione “Lungo la rotta balcanica” (e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani). Oddone, che stava curando un reportage per Al Jazeera ed NPR, raccoglie la testimonianza di A. e fa da primo contatto-ponte con le avvocate Bove e Brambilla. Anche Saccora confermerà in Tribunale più incontri con A.. A Vedro Polje infatti l’operatore sociale e ricercatore sul campo portava assistenza e beni di prima necessità. Non solo: lo accompagna di persona presso uno studio notarile di Bihać “per conferire mandato agli attuali difensori al fine di esperire ricorso avverso la riammissione in Slovenia”. A dimostrazione che il supporto incisivo alle persone in transito calpestate dai governi europei alle frontiere può assumere le forme più svariate, e che l’aiuto più distante dalla solidarietà istituzionalizzata può passare persino dalla ceralacca di un notaio. Quante pagine gravi e paradossali faranno scrivere ancora le politiche europee?

    Oddone e Saccora raccontano per filo e per segno al giudice le condizioni proibitive in cui si trovava all’epoca A. insieme ad altri. Riparati nei boschi, con la temperatura fino a venti gradi sotto zero di un inverno bosniaco, senz’acqua, senza accoglienza per via della chiusura dei due campi locali più grandi, praticamente senza cibo, stretti tra “ronde” di cittadini locali ostili e “possibili furti da parte di altri gruppi di richiedenti asilo, alla ricerca di quanto necessario alla sopravvivenza”.

    Secondo il Tribunale di Roma la riammissione “informale” di A. da parte dell’Italia avrebbe “contraddetto” le “norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo (del 1996, ndr) non ratificato con legge”.

    “La Direttiva 2008/115/CE non legittima affatto, anzi contrasta con la descritta pratica di riammissione informale posta in essere dal governo italiano -chiarisce la giudice Colla-. Infatti, sebbene tale direttiva (al suo art. 6, par. 3) consenta agli Stati membri di riammettere nello Stato confinante di provenienza senza una specifica decisione di rimpatrio, qualora sussistano accordi bilaterali tra gli Stati interessati già vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva stessa (essendo tali accordi invece non più consentiti nella vigenza della stessa), tuttavia, nell’esecuzione dell’accordo, lo Stato italiano è comunque vincolato dalla normativa interna anche costituzionale (art 13 Cost.), nonché dal diritto sovranazionale, alla stregua del quale lo Stato ha il dovere di accertare la situazione concreta nella quale la persona riammessa verrà a trovarsi, con particolare riferimento all’eventualità di una violazione dei suoi diritti fondamentali (che si prospettava nel caso di specie secondo le informazioni largamente disponibili). Soprattutto poi, la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di una persona che manifesti l’intenzione di chiedere asilo, come nella specie accaduto”.

    Oltre al regolamento 604/2013 (Dublino III), l’Italia, nella foga di respingere, avrebbe persino violato lo stesso accordo bilaterale con la Slovenia. L’articolo due prevede infatti che ciascuna parte, su richiesta dell’altra, “si impegna a riammettere sul proprio territorio il cittadino di uno Stato terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiedente, non potendosi evidentemente considerare in tale situazione chi abbia espresso la volontà di chiedere protezione”. Proprio come A..

    A titolo di aggravante per le autorità italiane, segnala poi il Tribunale elencando corposa bibliografia, c’è anche il fatto che queste erano “perfettamente” a conoscenza -“o almeno trovandosi nella condizione di avere perfetta conoscenza”- “delle violazioni cui i respinti sarebbero stati esposti in Slovenia”, così come in Croazia, per non parlare delle condizioni orribili in Bosnia ed Erzegovina, denunciate anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović.

    A maggior ragione dopo le tredici pagine dell’ordinanza del Tribunale di Roma nessuno potrà dire “non sapevo”. Nel buio spicca il “lavoro di rete per contrastare le violazioni”, come lo chiamano le avvocate Bove e Brambilla. “La decisione è un importante risultato non solo perché ribadisce l’illegittimità della condotta posta in essere dalle autorità italiane -concludono- ma perché valorizza, anche attraverso l’assunzione della testimonianza diretta di Saccora e Oddone, l’impegno di tante persone che si impegnano a denunciare e contrastare le violazioni dei diritti delle persone in transito”.

    https://altreconomia.it/il-ministero-dellinterno-condannato-a-risarcire-un-respinto-a-catena-in

    #justice #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #frontières #migrations #asile #réfugiés #condamnation #refoulements #refoulements_en_chaîne #push-backs #tribunal #réadmissions #Trieste #réadmissions_informelles_actives #Bihać #Bihac #Vedro_Polje #Veliki_Otok #Croatie #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #forêt #hostile_environment #environnement_hostile #accord_bilatéral

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    ajouté à la #Métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans:
    https://seenthis.net/messages/1009117

  • Respingimenti e ostacoli all’asilo. Ritorno sulla frontiera Italia-Svizzera

    Da gennaio ad aprile 2023 a Como-Ponte Chiasso oltre 1.300 persone migranti sono state “riammesse” indietro dalle autorità elvetiche. È il confine terrestre italiano con i dati più alti. Quattro su 10 sono afghani: la protezione è un miraggio

    Ahmed, diciassettenne afghano, è partito da Kabul nell’autunno del 2021 per non finire tra le fila dell’esercito talebano. A un anno e mezzo dalla partenza, dopo aver percorso una delle diramazioni della rotta balcanica, passa per la stazione di Milano, dove non si ferma neanche una notte: la prossima tappa da raggiungere è Zurigo, l’obiettivo ultimo la Germania. Che cosa lo aspetta al confine italo-svizzero? Seppur poco raccontato, secondo i dati del ministero dell’Interno, su questa frontiera nei primi quattro mesi del 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni passive, ovvero le pratiche di polizia a danno di persone straniere considerate irregolari che, a un passo dall’arrivo sul territorio elvetico, vengono costrette a ritornare in Italia.

    A far da contraltare all’approccio di frontiera finalizzato al respingimento, una parte della società civile su entrambi i lati del confine testimonia ormai da anni un’accoglienza possibile ma sempre più difficile nei confronti dei transitanti. La collaborazione tra i due Paesi si rifà all’accordo italo-svizzero del 1998 “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 31 maggio scorso quell’impegno bilaterale è stato ribadito nell’incontro tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la sua omologa svizzera, Elisabeth Baume-Schneider, per contrastare, parole del Viminale, la “criminalità organizzata”, il “terrorismo internazionale” e monitorare i “foreign fighters di rientro dai teatri di guerra”. Il tutto, ha assicurato la consigliera elvetica, garantendo “sempre il rispetto dei diritti umani dei migranti”. Retorica politica che propone un concetto di sicurezza e promette di proteggere tutti, ma poi nella pratica minaccia le stesse persone in cerca di una maggior sicurezza.

    Già nel 2016 l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) aveva evidenziato l’illegittimità delle riammissioni previste dall’accordo bilaterale per diversi motivi: ostacolano la domanda di asilo, implicano controlli sistemici e discriminatori lungo una frontiera Schengen e sono considerabili espulsioni collettive; infine, essendo procedure informali, non permettono di presentare un eventuale ricorso.

    Nonostante le rassicurazioni sul “rispetto dei diritti umani” di Baume-Schneider, le riammissioni, con le annesse criticità sottolineate nel 2016, continuano anche oggi. I dati relativi ai primi mesi dell’anno, comunicati dal Viminale dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia, sono eloquenti. Per quanto riguarda il settore terrestre di Como-Ponte Chiasso, da gennaio ad aprile 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni verso l’Italia (numeri alti, basti pensare che per il più conosciuto accordo bilaterale tra Italia e Slovenia erano state 1.240 le persone riammesse nel 2020, anno di picco).

    Quello con la Svizzera si conferma quindi il confine terrestre italiano dove vengono registrate più riammissioni passive (si veda, a questo proposito, l’articolo sui respingimenti ai confini italiani nel numero di febbraio di Altreconomia). Dal gennaio 2022, infatti, in media, 330 persone ogni mese sono costrette dalla polizia svizzera a ritornare sui propri passi. Quattro su dieci sono afghani, proprio come Ahmed. Seguono siriani, turchi, marocchini e poi bengalesi e tunisini.

    Entrare nel merito di ciascun episodio è impossibile, ma si può ipotizzare che in molti casi la riammissione abbia ostacolato l’accesso alla domanda di protezione internazionale per persone provenienti da zone di conflitto. Ciò che permette un così alto numero di riammissioni è l’esteso sistema di controllo elvetico. “Il Ticino ha il più alto numero di poliziotti pro-capite di tutta la Svizzera”, spiega Donato Di Blasi di Casa Astra, centro di prima accoglienza per persone in emergenza abitativa nella Svizzera italiana. Nel territorio, infatti, si conta un agente ogni 305 abitanti, a fronte della media nazionale di uno ogni 466 secondo i dati della Radiotelevisione svizzera. “I pattugliamenti della polizia svizzera si estendono sui treni fino a Lugano, a 30 chilometri dalla stazione di confine di Ponte Chiasso”, continua Di Blasi.

    Spesso i controlli avverrebbero sistematicamente nei confronti di persone con caratteristiche somatiche apparentemente non di origine europea, in violazione delle normative che vietano la profilazione etnica (racial profiling). Un ragazzo egiziano di 16 anni che vive attualmente a Como racconta: “Una volta rientrando da Milano mi sono addormentato sul treno, superando per sbaglio la fermata di Como. Alla stazione di Chiasso mi hanno svegliato i poliziotti, mi hanno perquisito fino a lasciarmi in mutande, poi mi hanno riportato in Italia. Ero l’unico sul treno a cui è successo così”. Il monitoraggio frontaliero delle forze dell’ordine si inoltra anche nelle zone di transito percorribili in auto o a piedi. Per sorvegliare al meglio queste aree, l’ufficio federale dell’armamento (Armasuisse) aveva annunciato già nel 2015 l’acquisto di sei droni di fabbricazione israeliana che entreranno a pieno regime entro la fine del 2024.

    Nonostante la fitta rete di controlli e i numeri delle riammissioni, le realtà comasche che supportano le persone transitanti concordano nel dire che la situazione per le strade di Como non è minimamente paragonabile a quella dell’estate del 2016, quando fino a 500 persone dormivano nei pressi della stazione di San Giovanni in attesa di superare il confine. “Sono sporadici i casi di persone riammesse dalla Svizzera presenti sulle strade di Como”, racconta Anna Merlo di Porta Aperta, sportello di Caritas per i senza dimora. “Dato l’alto numero delle riammissioni, ci chiediamo: dove vanno le persone una volta riportate in Italia?”, si domanda don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, realtà solidale con le persone transitanti e attualmente luogo di accoglienza per decine di minori stranieri non accompagnati in attesa di una sistemazione definitiva. L’impressione è che chi viene riammesso non si fermi in città, provando a continuare il viaggio in altre zone di frontiera, vicine e lontane.

    Ahmed ha avuto fortuna, è riuscito a superare l’ennesimo confine, ma questo non significa la fine degli ostacoli. Infatti, dalle informazioni raccolte, è frequente che le persone transitanti, intercettate dalle forze dell’ordine sul territorio svizzero, dopo aver provato a fare domanda di asilo vengano riportate in Italia alla centrale di polizia di Ponte Chiasso. “Per essere certi che la domanda di asilo venga presa in carico e le persone non vengano respinte, l’unico modo è accompagnarle fisicamente alla questura di Chiasso per contestare un’eventuale riammissione; lo abbiamo fatto più volte in passato -spiega Gabriela Giuria Tasville di Azione posti liberi, fondazione che segue dal punto di vista legale i richiedenti asilo in Ticino-. A peggiorare il quadro, inoltre, è impossibile, per le persone in transito, soggiornare anche temporaneamente in Svizzera, perché dal 2008 è entrata in vigore una legge federale che vieta qualsiasi forma di accoglienza e penalizza chiunque aiuti le persone transitanti in situazione di irregolarità”. Questa legge infatti punisce “con una pena detentiva sino a un anno o con una pena pecuniaria chiunque […] facilita o aiuta a preparare l’entrata, la partenza o il soggiorno illegali di uno straniero” (articolo 116, 1.a). Le autorità, da una parte, non permettono alle persone transitanti di regolarizzare la loro posizione sul territorio e quindi di accedere alle strutture di accoglienza; dall’altra, puniscono chiunque aiuti il soggiorno di una persona che è in una situazione di irregolarità a causa del mancato accesso alla procedura di asilo.

    Questa legge, ormai arrivata al suo quindicesimo anno d’età, ha fatto sì che realtà come Casa Astra, che già nel 2004 accoglieva sans papier provenienti dall’Ecuador, non possano più supportare persone in situazione di emergenza abitativa senza documenti. Ancora più eclatante è il caso del centro sociale autogestito il Molino a Lugano, unica realtà che fino al 2021 accoglieva apertamente le persone transitanti. Nel maggio di due anni fa è stato raso al suolo su provvedimento della polizia cantonale. Al contrario della solida collaborazione tra le autorità di frontiera dei due Paesi, costruire e mantenere una rete solidale a livello locale e transfrontaliero di supporto alle persone in transito, in questo contesto, sembra quasi impossibile.

    https://altreconomia.it/respingimenti-e-ostacoli-allasilo-ritorno-sulla-frontiera-italia-svizze

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  • Respingimenti alla frontiera con la Slovenia: i dati che smontano gli annunci del governo

    A fine 2022 il Viminale aveva prefigurato la ripresa delle riammissioni dei migranti, già dichiarate illegittime. Lubiana si è però rifiutata di accettarle nel 90% dei casi. Le autorità di frontiera hanno dovuto perciò virare sui provvedimenti di espulsione: oltre 650 in pochi mesi, di cui 500 a carico di cittadini afghani tecnicamente inespellibili

    Le “riammissioni” dei migranti verso la Slovenia annunciate dal governo italiano a fine 2022 sono state un flop. Dati inediti trasmessi dal Viminale ad Altreconomia mostrano infatti che quasi tutte quelle “proposte” dall’Italia tra dicembre 2022 e metà marzo 2023 sono state rifiutate da Lubiana: ben 167 sulle 190 “tentate” dalle autorità di frontiera italiane.
    “L’annuncio trionfale delle riammissioni rivela la sua autentica natura -commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e membro della rete RiVolti ai Balcani-: un annuncio politico volutamente vago che celava la consapevolezza che quelle pratiche erano e restano illegali”.

    Per comprendere ragioni e proporzioni della bolla propagandistica “esplosa” alla frontiera orientale occorre fare un passo indietro al dicembre del 2022, quando cioè il Viminale diffonde tramite agenzie la notizia di una nuova direttiva finalizzata al “rafforzamento dei controlli sui flussi della rotta balcanica”. Viene prefigurata la ripresa delle riammissioni -cioè dei respingimenti- verso la Slovenia, con tanto di invito rivolto ai prefetti di Trieste, Gorizia e Udine di “adottare iniziative volte a dare ulteriore impulso all’attività di vigilanza sulla fascia di confine”.

    Non è il ministro Piantedosi a firmare quella “direttiva” ma la sua capa di gabinetto, la prefetta Maria Teresa Sempreviva. Lo schema sembra voler replicare quanto già visto nella primavera 2020, quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, il suo capo di gabinetto era Piantedosi e il prefetto di Trieste si chiamava Valerio Valenti, appena nominato Commissario governativo “all’emergenza migranti”. Sappiamo come è andata a finire: quasi 1.300 persone riammesse “informalmente” (https://altreconomia.it/rotta-balcanica-nel-2020-record-di-respingimenti-dallitalia-verso-la-sl), cioè senza avere in mano alcun provvedimento scritto, tra maggio e dicembre di quell’anno, in forza di una circolare ministeriale a firma di Piantedosi -mai resa pubblica- che si richiamava al contestato accordo bilaterale tra Italia e il Paese di confine datato 1996, mai ratificato dal Parlamento, in contrasto con la Costituzione. Dietro l’espressione burocratica delle “riammissioni” c’erano in realtà veri e propri respingimenti a catena, con le persone, richiedenti asilo inclusi, spostate come pacchi tra le polizie di frontiera, per finire poi scaricate nell’arco di poche ore in Bosnia ed Erzegovina. Nel gennaio 2021, con un’ordinanza di capitale importanza, il tribunale di Roma, per mano della giudice Silvia Albano e sulla base di un ricorso presentato dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla, dichiarò la grave illegittimità di quelle riammissioni-respingimenti (https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min), costringendo il Viminale a fare un’imbarazzata marcia indietro: l’Italia aveva consapevolmente esposto le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. E nessuno dei governi che si sono succeduti da allora ha mai riconosciuto il carattere illegale di quelle procedure, come ben racconta anche il film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore.

    Trascorsi nemmeno due anni dall’ordinanza di Roma, a dicembre 2022 arriva come detto l’annuncio della nuova “circolare Sempreviva”, tanto pubblicizzata a bocconi e virgolettati estratti sui media quanto sottratta nella sua interezza all’opinione pubblica. L’accesso civico presentato da Altreconomia nei mesi scorsi è stato infatti negato dal gabinetto del ministro dell’Interno per presunte ragioni di cooperazione di polizia e del “concreto pregiudizio” alla “integrità dei rapporti internazionali” con Slovenia e Austria. Ancora una volta rifacendosi al decreto ministeriale Lamorgese del marzo 2022 che ha dato un colpo durissimo alla trasparenza lungo le frontiere.

    I dati ottenuti oggi chiariscono la natura propagandistica di quegli annunci. Ma c’è di più. In questo scenario prossimo alla farsa si inserisce infatti anche Lubiana. Interpellata sulle ragioni del “no” opposto alle riammissioni tentate dall’Italia, la polizia slovena, per bocca del rappresentante Drago Menegalija, ci ha fatto sapere che il “motivo principale del rifiuto di riammissione […] è la mancanza di prove presentate nella richiesta di riammissione alla polizia slovena in relazione al fatto che i migranti avrebbero (precedentemente) soggiornato nel territorio della Slovenia”. Aggiungendo poi che “in base all’accordo tra i Paesi, i rimpatri avvengono continuamente” e che “l’accordo definisce chiaramente i criteri in base ai quali possiamo accogliere solo i migranti che sono entrati in Italia attraverso la Slovenia, che sono stati fermati nella fascia di confine e che non hanno fatto richiesta di protezione internazionale in Italia”.

    L’avvocata Caterina Bove aiuta a capire le ragioni del mutato atteggiamento della Slovenia: “Quel Paese non ha alcun interesse a riammettere sul proprio territorio coloro che sono giunti in Italia -spiega-. Il cambio di governo da un lato e l’ingresso della Croazia nell’area Schengen (avvenuto il primo gennaio 2023) dall’altro, consentono ora alla Slovenia di ricoprire un ruolo più ‘leggero’ nel contrasto ai flussi, ricevendo una minore pressione dall’Europa. Questo escamotage le consente di tenere anche i buoni rapporti con l’Italia, senza troppo colpo ferire. Tanto sa che le persone non intendono fermarsi lì”.

    La risposta della polizia slovena, pur orientata a preservare le relazioni diplomatiche con l’Italia (“The relations between the police forces of both countries are very good”, si legge nella risposta), fa però trasparire alcuni aspetti importanti. Il primo, secondo Gianfranco Schiavone, è l’”evidente preoccupazione rispetto all’operato della polizia italiana”. “La nota slovena evidenzia infatti come le riammissioni, secondo il diritto interno di quello Stato, non possono avere seguito quando non sia stata provata la provenienza degli stranieri dal territorio sloveno né soprattutto quando gli stranieri abbiano manifestato l’intenzione di chiedere protezione internazionale in Italia. Con tale risposta le autorità slovene mettono una pietra tombale sulla questione, lampante dal punto di vista giuridico, ma mai ammessa formalmente dalle autorità italiane, che è tassativamente proibita la riammissione degli stranieri che intendono chiedere asilo in Italia. L’abnorme numero delle tentate riammissioni chieste da parte italiana, pressoché tutte rigettate, fa emergere un quadro oscuro sull’operato italiano poiché, a seconda degli ordini politici del momento, stranieri che si trovano nella medesima condizione giuridica finiscono per subire trattamenti completamente diversi; così al medesimo cittadino afghano può accadere di accedere alla domanda di asilo oppure di vedersi oggetto di una tentata la riammissione illegittima in Slovenia, o infine essere espulso dall’Unione europea con provvedimento delle autorità italiane benché inespellibile”.

    Quella di Schiavone non è una forzatura. Non potendo compiere le riammissioni ordinate dall’alto perché palesemente illegali ma essendo costrette al contempo a dar l’idea del “pugno duro”, le autorità di frontiera hanno dovuto così virare sui provvedimenti di espulsione. Lo dimostrano i dati relativi ai provvedimenti di espulsione e allontanamento trasmessi ad Altreconomia dalla prefettura di Trieste: tra la fine del 2022 e il primo trimestre 2023 ne sono stati adottati oltre 650, di cui oltre 500 a carico di persone in fuga dall’Afghanistan e giunte a Trieste dalla “rotta balcanica”. Un numero impressionante se confrontato con i mesi precedenti e che risponde appunto alla necessità di dar seguito, anche solo sulla carta, alle indicazioni governative. Indicazioni disposte a tutto, anche a negare l’evidente bisogno di protezione di persone tecnicamente inespellibili, e che sollevano forti dubbi sulla corretta attività informativa in tema di diritto d’asilo condotta dalle autorità di frontiera.

    Schiavone parla di una dinamica “sconcertante”. “In primo luogo va evidenziata la radicale illegittimità dei provvedimenti di espulsione che sono stati emanati”. Il Testo unico sull’immigrazione prevede infatti che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Di più: la norma aggiunge che “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. “Questa disposizione è di inequivoca interpretazione dal momento che l’espressione ‘in nessun caso’ rappresenta un divieto assoluto che non ammette eccezioni di sorta -chiarisce Schiavone-. L’indiscutibile condizione di estremo pericolo in cui si trova oggi qualsiasi cittadino afghano che sia fuggito dal suo Paese configura l’assoluta proibizione di emettere nei suoi confronti un provvedimento di espulsione verso il suo Paese. Tutto ciò era pienamente noto alla prefettura di Trieste che però ha agito in contrasto con la normativa e alla quale andrebbe dunque chiesto di fornire precise spiegazioni di tale condotta”.

    “Una motivazione che immagino potrebbe essere avanzata da quella amministrazione al fine di sostenere le proprie scelte -non si nasconde Schiavone- è che i cittadini afghani, pur essendo palesemente persone con chiaro bisogno di protezione, non avevano manifestato alle autorità di frontiera la loro volontà di chiedere protezione internazionale in Italia e che, fallita la loro tentata riammissione in Slovenia, l’unica ‘via d’uscita’ per le autorità italiane era stata quella di emettere nei confronti di questi stranieri un provvedimento di espulsione confidando che tutti gli interessati si sarebbero dispersi, come in effetti è accaduto. Una simile motivazione è radicalmente infondata e semmai solleva ulteriori gravi interrogativi su che cosa sia accaduto ancora una volta alla sempre inquieta frontiera italo-slovena nell’inverno 2022-2023. Oltre ai già evidenziati profili di illegittimità dei provvedimenti per inespellibilità degli stranieri verso il loro Paese appare necessario sapere se a quegli stranieri sia stata fornita o no l’assistenza e l’informazione sull’esercizio dei loro diritti che il diritto dell’Unione europea prevede”.

    Il presidente dell’Ics di Trieste si rifà al “Manuale comune ad uso delle autorità competenti degli Stati membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone” diramato dalla Commissione europea. È lì dentro, nel cosiddetto Manuale Schengen, che si evidenzia come “un cittadino di Paese terzo deve essere considerato un richiedente asilo/protezione internazionale se esprime in un qualsiasi modo il timore di subire persecuzioni o danni gravi facendo ritorno al proprio Paese di origine o nel paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale”. È una sottolineatura importante perché “l’intenzione di chiedere protezione internazionale non deve essere manifestata in una forma particolare”. Non occorre dunque che la parola “asilo” sia pronunciata espressamente: “l’elemento determinante è l’espressione del timore di quanto potrebbe accadere in caso di ritorno”.

    Non si può strumentalmente fraintendere l’eventuale silenzio delle persone in transito: “L’attività della polizia di frontiera deve essere orientata perciò a escludere ogni ragionevole dubbio sull’esistenza di una situazione di pericolo verso persone che potrebbero non formulare in modo esplicito la domanda di protezione in modo diretto, perché vogliono ad esempio proseguire il viaggio per raggiungere famigliari o parenti in altri Paesi, come è noto accade per gran parte dei rifugiati che entrano in Italia”, aggiunge ancora Schiavone.

    Affinché sia effettivo il diritto di chiedere asilo o protezione alla frontiera (dovrebbe valere via terra così come via mare) e di presentare la relativa domanda il prima possibile, continua il Manuale Schengen, “le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire (come e dove presentare la domanda), nonché dei loro diritti e doveri, incluse le conseguenze possibili dell’inosservanza dei loro obblighi e di una mancata collaborazione con le autorità”.

    Gli fa eco l’avvocata Anna Brambilla: “Che tipo di informativa legale viene fatta a queste persone in arrivo dalla Slovenia e per le quali è adottato un provvedimento di espulsione? Dai dati ottenuti possiamo concludere che delle due l’una: o le autorità italiane non fanno un’informativa adeguata oppure tentano di riammettere nell’altro territorio persone che non dovrebbero essere espulse”.

    “Il riferimento all’obbligo di informare gli stranieri delle possibili conseguenze dell’inosservanza dei loro obblighi di cooperazione con le autorità è un elemento cruciale per valutare la corretta condotta delle forze di polizia di frontiera -riprende Schiavone-. Ci sono chiari motivi per ritenere che la condotta della polizia di frontiera terrestre a Trieste nella gestione dell’ammissione al territorio degli stranieri con chiaro bisogno di protezione sia stata impostata su un modus operandi assai lontano rispetto a quello prescritto dalle indicazioni sopra riportate. Non sappiamo come sono stati condotti i colloqui con gli stranieri, se e quanti erano i mediatori in servizio nelle diverse lingue e quale informazione sia stata fornita agli stranieri. Ciò che sappiamo è che nessun osservatore terzo indipendente è mai stato ammesso a quella frontiera e che anche la presenza di funzionari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stata, almeno in alcuni periodi, assai intermittente”.

    Quello che è certo è che centinaia di persone alla frontiera hanno affrontato in questi mesi le sorti più diverse. Ma non per l’applicazione di norme -e delle loro relative garanzie- quanto per l’obbedienza a ordini e umori del governo: “La certezza del diritto è totalmente assente -denuncia Schiavone-. Siamo in una sorta di terra di nessuno dove ogni irregolarità diviene sempre possibile e l’arbitrio diventa l’unica certezza”.

    https://altreconomia.it/respingimenti-alla-frontiera-con-la-slovenia-i-dati-che-smontano-gli-an
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  • Reportage tra i “nuovi” respinti dalla Croazia verso i campi della Bosnia ed Erzegovina

    Da fine marzo la polizia croata ha attivato una “inedita” pratica di rintraccio, detenzione ed espulsione collettiva delle persone in movimento verso la Bosnia, trasportandole in bus alla frontiera o ai centri di detenzione. Il tutto con una parvenza di formalità. Le Ong ne denunciano la palese illegittimità. E la complicità europea

    Con l’inizio del Ramadan, Riaz (nome di fantasia) ha interrotto i tentativi di attraversare il confine verso la Croazia. Si trova nel campo di Lipa, centro di transito ma soprattutto di detenzione nel Nord-Ovest della Bosnia ed Erzegovina, nel Cantone di Una-sana. Si è svegliato tardi, fa freddo e ha una sciarpa nuova con i colori della vecchia bandiera afghana. “Qui hanno riportato tante persone dalla Croazia. Stanno arrivando autobus pieni”, dice.

    Da marzo, infatti, le autorità del cantone bosniaco confermano che i campi di Borici e Lipa stanno ricevendo persone espulse collettivamente dalla Croazia sulla base di accordi bilaterali stipulati proprio con la Bosnia. Rintracciate sul territorio croato, le persone in movimento vengono detenute per poi essere trasportate in autobus al confine e consegnate alla polizia bosniaca (l’ha denunciato il Border violence monitoring network, ripreso in Italia dalla rete RiVolti ai Balcani).

    “Abbiamo parlato con una famiglia curda riammessa nel campo per famiglie di Borici, a Bihać: fermati vicino Slavonski Brod, in Croazia, sono stati portati in un seminterrato e poi dopo qualche giorno in un magazzino dove hanno ricevuto un foglio di espulsione di un anno dall’area economica europea, con la minaccia di 18 mesi di detenzione”, racconta Marta Aranguren, dell’organizzazione No Name Kitchen. Anche Ines dell’associazione locale Kompas 071 descrive dinamiche simili: “Diversi testimoni riferiscono di aver dormito a terra su cartoni per giorni, senza cibo e poca acqua, alcuni minacciati con cani in caso di lamentele”. Esprime la sua preoccupazione: “Improvvisamente è apparso un foglio che legalizza ogni sopruso: uno per far pagare il trasporto della riammissione o le notti in detenzione e uno che giustifica la confisca di telefoni o oggetti personali”.

    Si tratta di riammissioni dalla parvenza solo formale che a differenza dei respingimenti praticati per anni (e ancora oggi) cercano di presentarsi con una base legale. Milena Zajović Milka, attivista dell’organizzazione Are you syrious? e del Border violence monitoring network spiega che “l’ordine di espulsione dall’area economica fa riferimento alla legge sugli stranieri della Croazia, mentre la riammissione si basa su un accordo bilaterale tra due Paesi, che non può prevalere sulla Convenzione di Ginevra e su altre dichiarazioni internazionali”.

    Le criticità sono diverse. Non sempre è stata fornita una copia dei documenti di riammissione nella lingua delle persone espulse, né sarebbero stati presenti traduttori. In più non è chiaro come venga dimostrato che le persone riammesse siano entrate dalla Bosnia ed Erzegovina. “Dalle testimonianze sembra che non abbiano avuto opportunità di chiedere asilo, né di poter far ricorso alla decisione di riammissione, come previsto invece dalla stessa Legge sugli stranieri croata”, spiega Silvia Maraone operatrice di Ipsia Acli, organizzazione che opera dentro il campo di Lipa.

    “In sintesi sono tre le fasi che hanno portato alla nuova pratica delle riammissioni collettive a cui stiamo assistendo da fine marzo”, riprende Zajović Milka. “Dopo anni di respingimenti illegali, a fine del 2021 numerose prove hanno costretto la Croazia a cambiare per la prima volta il suo modus operandi. Poi, l’anno scorso, è stato introdotto un foglio di espulsione di sette giorni, un primo tentativo di regolarizzare l’allontanamento delle persone dal Paese”.

    Non solo la Croazia ma anche la Commissione europea, che ha finanziato e finanzia il Paese per la gestione delle frontiere europee (così come la Bosnia ed Erzegovina, si veda anche il caso di Lipa), si sono trovate nell’imbarazzante situazione di dover rispondere delle illegalità commesse alle frontiere. “Con questo foglio è diventato più facile passare attraverso la Croazia -prosegue Zajović Milka-. Nel frattempo, dall’inizio di quest’anno, centinaia di persone vengono rimpatriate in Croazia per via del regolamento di Dublino, che prevede il ritorno nel primo Paese di ingresso nell’Unione europea”. La Croazia, entrata questo gennaio nell’area Schengen, deve gestire le persone in arrivo nell’Ue, provando a evitare (o a tentare di celare) le violenze per cui è stata sanzionata. D’altra parte, la Bosnia, recentemente promossa a candidata nell’Ue, è disponibile ad accogliere le persone riammesse, non senza tensioni interne.

    Nonostante negli scorsi anni diversi tribunali, in Italia, Austria e Slovenia, si siano pronunciati contro le riammissioni basate su accordi bilaterali, la Commissione europea incoraggia questa pratica. Il Patto sulla migrazione e asilo proposto nel settembre 2020 pone l’enfasi sugli accordi bilaterali tra Paesi per implementare le procedure di ritorno e riammissione in Paesi terzi o di origine. “Stiamo vedendo un rafforzamento di Frontex, la creazione di nuovi centri di detenzione alle frontiere esterne europee e a maggiori finanziamenti per nuovi database volti a facilitare le deportazioni da Bosnia e Serbia, incoraggiate a firmare accordi di ritorno con i Paesi di origine”, riflette Zajović Milka. Il campo di Lipa, finanziato dall’Unione europea, ne è la prova, come aveva pronosticato anche la rete RiVolti ai Balcani.

    Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, inoltre, nel periodo tra il 6 e il 19 marzo 2023 solo 132 persone sono state registrate a Lipa, su un totale di 1.512 posti.

    Riaz cammina tra i container vuoti con il telefono in mano mentre sistema la sua felpa verde militare. Gli piace perché gli ricorda la sua uniforme da poliziotto che indossava prima del ritorno al potere dei Talebani. Abbandonato da tutti gli eserciti internazionali, non ha avuto altra scelta se non intraprendere il viaggio in forma forzatamente irregolare dall’Afghanistan fino alla Bosnia ed Erzegovina.

    “La maggior parte delle persone deportate se ne va subito. Alcuni sono deportati con gli autobus, altri lasciati nella foresta”, spiega. Usa erroneamente il termine “deportazione” per descrivere pratiche diverse che ai suoi occhi hanno lo stesso effetto. Le recenti riammissioni non hanno infatti fermato i respingimenti illegali. Mentre viaggia verso il confine sloveno Suleyman (nome di fantasia), ragazzo afghano, racconta al telefono l’esperienza di qualche giorno prima. “Sono stato sette giorni in detenzione senza cibo e da bere solo acqua sporca. Ci hanno preso i telefoni, i soldi; hanno bruciato i vestiti e gli zaini”. Lasciato in un bosco sul confine bosniaco è tornato a piedi a Lipa, per ripartire tre giorni dopo verso la Croazia. Il racconto si interrompe, chiude la chiamata. “Ci ha fermato la polizia, non so che cosa ci succederà”, scrive in un messaggio.

    “Tutto sembra lasciato al caso -osserva Zajović Milka-: alcune persone saranno riammesse in Bosnia, altre respinte illegalmente, altre potranno chiedere asilo e altre otterranno il documento di espulsione di sette giorni. Secondo Ines di Kompas 071 l’effetto è chiaro: “La Bosnia è una sorta di purgatorio per le persone in transito, continuamente respinte. È un gioco che va avanti da anni ma ora stanno cercando di rendere questa pratica legale”.

    https://altreconomia.it/reportage-tra-i-nuovi-respinti-dalla-croazia-verso-i-campi-della-bosnia

    #Croatie #refoulements #push-backs #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #Balkans #route_des_Balkans #Lipa #réadmissions #accords_de_réadmission

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    ajouté à la liste métaliste sur les accords de réadmission en Europe :
    https://seenthis.net/messages/736091

  • Al Brennero profilazione razziale e respingimenti, mentre l’Austria ripropone la costruzione di una barriera

    Il passo del Brennero, 1372 metri sul livello del mare, è una delle località più fredde del territorio altoatesino, ma già da settimane è quasi sgombro di neve, segnale inequivocabile del repentino cambiamento climatico in atto.

    La zona di confine, sebbene possa sembrare una frontiera come tante in Europa, non lo è. Da ormai diversi anni, il passaggio di persone è altamente monitorato. Ogni treno che transita per il confine viene fermato per almeno 20 minuti e ispezionato da cima a fondo da forze di polizia in uniforme, in borghese e da militari, sia austriache e sia italiane a seconda della provenienza del treno, in cerca degli “irregolari”. Diverse testimonianze confermano che anche altri mezzi pubblici, come gli autobus delle compagnie private tipo Flixbus, vengono controllati regolarmente. Una vera e propria caccia all’essere umano svolta con un solo criterio: la profilazione razziale.

    Questo modus operandi vietato dalle convenzioni internazionali, ma ben radicato nelle prassi quotidiane di controllo dei confini, costringe le persone a scegliere percorsi sempre più impervi per riuscire a oltrepassarlo: ricordiamo quanto accaduto il 18 dicembre del 2021 a Mohamed Basser e Mostapha Zahrakame, morti travolti lungi i binari del treno mentre cercavano di evitare a piedi questo imponente dispiegamento di forze. Nel 2022 sono state fermate 949 persone migranti in posizione irregolare tra il valico del Tarvisio e del Brennero. Il numero delle persone controllate, secondo i dati della polizia ferroviaria, è di 4.474.

    Difficile avere i numeri di quanti sono stati complessivamente i respingimenti nell’uno e nell’altro verso perché è ormai appurato che la buona parte di questi avvengono senza il rilascio di un provvedimento scritto, in modo del tutto illegittimo. Dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia 1, il ministero dell’Interno ha comunicato alla rivista le cifre riguardanti il periodo gennaio-metà novembre 2022. “In questo lasso di tempo – secondo i parziali dati ottenuti, privi di qualsiasi dettaglio rispetto allo specifico punto di frontiera – l’Italia avrebbe “riammesso” attivamente 2.418 persone: 1.080 verso la Francia, 883 in Austria, 410 in Svizzera e 45 in Slovenia. I dieci Paesi di provenienza più rappresentativi (che sommati superano il 50% dei casi a fronte di 77 nazionalità registrate) sono Pakistan, Marocco, Tunisia, Egitto, Nigeria, Algeria, Afghanistan, India e Bangladesh”.

    Il giornalista Duccio Facchini spiega poi che è stato negato l’accesso agli accordi di riammissione “per via del possibile “pregiudizio” alla “integrità dei rapporti internazionali del nostro Paese con la Slovenia e con l’Austria. La cortina fumogena fa parte della strategia”. Sulle “riammissioni passive”, l’Austria ha riammesso solo 497 persone, con “dati talmente bassi – sottolinea Facchini – da farli apparire quasi delle comparse inerti. In realtà anche questi numeri, come quelli delle riammissioni attive, vanno letti con estrema attenzione”.

    Al Brennero, oltre alle forze di polizia, è ancora presente un presidio permanente di Volontarius, una organizzazione di volontariato finanziata dalla Provincia Autonoma di Bolzano. Gli operatori e i mediatori offrono informazioni basilari e, quando necessario, indirizzano le persone respinte verso l’Italia alle strutture di accoglienza a Bolzano. L’organizzazione gestisce una struttura al confine relativamente grande, che è dedicata all’accoglienza di famiglie e minori. Il personale cerca di assicurarsi che nessuno dorma fuori la notte, anche se la struttura viene chiusa alle ore 23 e durante le ore notturne non ci sono possibilità di venire accolti. Assente qualsiasi attività di consulenza legale e di prevenzione di prassi illegittime.

    In questi mesi abbiamo notato come la celerità delle forze di Polizia nella localizzazione di persone sul treno sia aumentata. La cosa è talmente evidente che presumiamo una possibile collaborazione del personale ferroviario nell’identificazione degli “irregolari”. Un altro elemento di novità, che però nel biennio 2016-2017 era considerato una normalità, è la presenza di forze di polizia austriache in Italia. Sembra che in quest’ultimo periodo sia ricominciata una “collaborazione” tra le due forze di polizie, ma potrebbe essere che quella austriaca controlli l’operato di quella italiana, un po’ come successo anni addietro 2. Una situazione alquanto paradossale considerata la retorica sovranista di chi siede al governo a Roma. Non sembra invece esserci una presenza rilevata, almeno nelle nostre azioni di monitoraggio, di polizia Italiana nel primo tratto di confine austriaco o alla stazione di Gries am Brenner.

    Del resto il dibattito in Austria sta assumendo toni nuovamente allarmistici: “Abbiamo bisogno di barriere efficaci che devono essere molto alte, andare in profondità nel terreno ed essere costantemente monitorate, tecnicamente e personalmente. Solo così si può contenere l’immigrazione clandestina“. Sono infatti queste le frasi ad effetto del cancelliere austriaco Karl Nehammer in un’intervista al quotidiano tedesco ‘Bild’ del 18 marzo.

    Nehammer ha detto che vuole una recinzione simile a quella tra Stati Uniti e Messico aggiungendo che il capo della polizia federale si è recato su quel confine per “vedere quali misure stanno funzionando. Il nostro obiettivo è condividere questa conoscenza con altri Paesi dell’Ue come la Bulgaria al fine di migliorare la nostra protezione delle frontiere dell’Ue“. Chissà se il capo della polizia austriaca avrà anche chiesto come funzionano i centri detentivi negli Stati messicani a ridosso del confine?

    Ha poi sostenuto che lo sviluppo dell’immigrazione è “decisamente drammatico, solo in Iran ci sono tre milioni di afgani che vogliono andare in Europa e a questo si aggiunge la situazione nell’area terremotata in Turchia e nel nord della Siria, dove vivono più di un milione di profughi siriani che ora hanno perso di nuovo tutto“. Infine, parlando delle procedure di asilo, ha detto che “l’Ue è sinonimo di rispetto dei diritti umani ma bisogna evitare che si attraversino più Paesi sicuri per poi chiedere asilo nei Paesi con i migliori sistemi sociali“.

    Seppur contenuto, quello del Brennero è un transito costante, inesorabile, che viene percorso nei due sensi da diverse tipologie di persone. Dall’Italia all’Austria, abbiamo conosciuto persone provenienti dalla Rotta balcanica, che vogliono proseguire il loro viaggio verso i Paesi nord europei; persone registrate al primo ingresso in Italia, ma che vorrebbero raggiungere amici, parenti o semplicemente vivere in altri paesi nordeuropei, i cosiddetti “dublinati”.

    Ci sono persone che hanno una vita stabile soprattutto in Paesi scandinavi e che cercano di tornare in Italia solo per rinnovare i documenti, ma che spesso si ritrovano bloccati nell’impossibilità di fare rientro in Italia, oppure nel viaggio di ritorno, a causa di un respingimento.

    Ci sono persone che dall’Austria o dalla Germania vengono in Italia a causa di richieste d’asilo negate. Molti afgani o iraniani raccontano questa storia, per esempio. Ci dicono che nemmeno con l’arrivo dei talebani i due Paesi hanno cambiato la loro politica in materia di asilo e che non sempre rinnovano la protezione. Dopo una permanenza più o meno lunga, sono costretti ad andarsene e una volta arrivati in Italia si stabiliscono in Alto Adige sapendo già il tedesco.

    Persone che vengono continuamente criminalizzate dalle politiche europee, i cui basilari diritti e l’accesso a una vita dignitosa vengono costantemente calpestati e negati. Non è sufficiente che a Vienna, Berlino o Bruxelles si indignino di fronte ai regimi autoritari e alle condizioni di repressione e assenza dei diritti umani, se poi non viene data protezione e libertà di muoversi a chi scappa da quei paesi. Dobbiamo prendere atto che questa indignazione e questo sgomento serve solo a dare una parvenza di umanità e democrazia alla comunità Europea e ai paesi che ne fanno parte, che sempre meno si traduce in fatti.

    Persone che versano in condizioni di estrema repressione, spesso private di diritti umani nei loro paesi di origine, arrivano in una Unione europea che invece di conferire loro dignità, le criminalizza e le priva dei diritti fondamentali attuando percorsi burocratici impossibili e regole ingiuste.

    Le parole del cancelliere austriaco sono di fatto quello che pensano gli altri leader europei: siamo solidali purché poi non veniate qua, e se proprio non siete affogati o respinti dalle polizie che lautamente finanziamo nei paesi extra Ue, potete rimanere purché stiate nel paese limitrofo al mio!

    1. Dati riportati nel numero di febbraio 2023 di Altreconomia.
    2. https://www.aduc.it/articolo/scorta+trilaterale+poliziotti+al+brennero_24356.php

    https://www.meltingpot.org/2023/03/al-brennero-profilazione-razziale-e-respingimenti-mentre-laustria-riprop

    #frontière_sud-alpine #Alpes #frontières #migrations #Autriche #Italie #Brenner #profilage_racial #asile #réfugiés #push-backs #refoulements #chiffres #statistiques #réadmissions #réadmissions_passives #Volontarius #patrouilles_mixtes #murs #barrières_frontalières

  • Sulla sconcertante ripresa delle “riammissioni informali” al confine italo-sloveno

    La riattivazione da parte del governo dei respingimenti dei cittadini stranieri che giungono alla frontiera orientale lascia un senso di afflizione e sconcerto, osserva l’avvocata Caterina Bove. E non solo sul piano umano quanto su quello giuridico. Solo un anno fa, infatti, quelle procedure erano state “demolite” dal Tribunale di Roma

    La notizia della ripresa delle operazioni di “riammissione informale” dei cittadini stranieri che giungono alla frontiera orientale italiana ci ha lasciato un senso di afflizione e sconcerto. Questo perché ci è noto -come è noto al governo- il destino che attende le persone riconsegnate alla rotta balcanica. Un destino che le vedrà con ogni probabilità divenire soggetti o meglio oggetti di riammissioni a catena dall’Italia alla Slovenia e dalla Slovenia alla Croazia e poi di un respingimento alle porte dell’Unione europea in Bosnia ed Erzegovina o Serbia.

    Ma soprattutto un destino che li costringerà ad affrontare -di nuovo- la violenza di questa rotta e in particolare le violenze perpetrate ai confini croati nonostante le denunce espresse e pubblicate in questi anni dai media, dalle Ong ma anche da alcuni organismi europei. Penso ad esempio al report del Cpt, cioè del Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti.

    Dunque su un piano umano ancor prima che giuridico la notizia ci desta afflizione per ciò che di nuovo accadrà partendo dal territorio italiano. Ma lo sconcerto è anche e per quanto ci compete di tipo strettamente tecnico giuridico. Solo un anno fa il Tribunale di Roma ha dato conforto a ciò che come Asgi avevamo sostenuto e scritto circa l’illegittimità di queste procedure.

    Il Tribunale –con ordinanza del 18 gennaio 2021– ha chiarito come queste operazioni fondavano la propria base giuridica su un accordo -quello siglato tra il governo italiano e quello sloveno nel 1996, che non è mai stato ratificato dal Parlamento, come prevede l’art. 80 della Costituzione- che in quanto tale non poteva e non può derogare alle leggi vigenti interne, europee ed internazionali e che invece vi derogava drasticamente. Il Tribunale aveva appurato e sancito che si trattava di operazioni che, per il modo in cui venivano espletate, violavano apertamente e per esplicita ammissione scritta del governo, il diritto interno ed europeo sull’accesso alle procedure di asilo.

    Inoltre che violavano anche tutte le garanzie e le procedure previste dal Regolamento Dublino sull’attribuzione a uno Stato membro della responsabilità sull’esame di una determinata domanda di asilo e quindi sul trasferimento di una determinata persona verso quello Stato. Persona che prima di essere trasferita verso lo Stato astrattamente competente a esaminare la propria domanda di asilo deve avere la possibilità di interpellare un giudice e rappresentare le ragioni di insicurezza del trasferimento e dello stato di destinazione.

    Il Tribunale aveva anche appurato che le operazioni avvenivano senza la consegna agli interessati di alcun provvedimento scritto e anche senza alcuna informazione su ciò che stava accadendo loro, cioè sulla decisione di riconsegna alle autorità slovene. Le persone di fatto attendevano inermi in una condizione di detenzione de facto, in caserma, per poi venire coattivamente fatte salire su un furgone e consegnate appunto alle autorità slovene.

    Questo, secondo il Tribunale, era due o anzi tre volte illegittimo: perché violava il diritto di difesa di queste persone non mettendole in condizione di presentare un ricorso effettivo contro una decisione che ledeva fortemente i loro diritti, perché violava il procedimento amministrativo interno che prevede vengano informati i destinatari di una decisione amministrativa dell’esito di una certa decisione e delle motivazioni che la sorreggono, e perché violava l’art. 13 della Costituzione perché comportava una limitazione della libertà personale e un respingimento coattivo in uno Stato estero senza alcuna previa convalida giudiziaria.

    Ma ancora più in generale, dunque, a prescindere dallo status giuridico delle persone interessate, cioè indipendentemente dalla circostanza si trattasse di richiedenti asilo, e dalle modalità in cui le riammissioni avvenivano, il Tribunale ravvisava che queste operazioni violassero il principio di non respingimento, l’art 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, norme che impongono agli Stati di non respingere qualcuno verso un contesto dove rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. E questo in considerazione della violenza esistente lunga la rotta balcanica e alla quale queste persone venivano riconsegnate.

    Dopo il pronunciamento del Tribunale di Roma, ragionevolmente mi viene da dire, il governo ha sospeso le riammissioni -almeno al confine orientale- e questo fino ad ora. Eppure a oggi le ragioni -e anche le circostanze- che avevano motivato questa dura pronuncia di illegittimità nel 2021 non sono cambiate. Quella decisione del Tribunale è stata oggetto di reclamo e in pochi mesi è stata annullata perché il Tribunale ha ritenuto non provata la legittimazione attiva del ricorrente (cioè la prova del suo effettivo coinvolgimento nell’operazione di riammissione riferita) ma la seconda decisione (di pochi mesi successiva, maggio 2021) in nessun modo –neanche tra le righe– ha inteso o sottinteso svilire la ricostruzione giuridica e i profili di illegittimità enucleati dalla prima decisione e non lo ha fatto perché sono profili di illegittimità chiari e incontestabili.

    A nostro modo di vedere, a prescindere dalle modalità concrete con cui le riammissioni informali sono state riprese e verranno espletate, queste procedure sono illegittime e non c’è modo di renderle o anche solo di farle apparire il contrario. Per questo chiediamo -come Asgi- che le procedure vengano bloccate ancor prima che un nuovo giudice debba pronunciarsi sulla loro illegittimità già così lucidamente evidenziata.

    https://altreconomia.it/sulla-sconcertante-ripresa-delle-riammissioni-informali-al-confine-ital

    #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #réadmissions_informelles #refoulements_en_chaîne #Balkans #route_des_Balkans

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    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

  • Respingimenti alla frontiera: la nomina di Matteo Piantedosi al Viminale vista da Trieste

    Il nuovo governo Meloni non si è ancora praticamente insediato che già a livello locale in Friuli-Venezia Giulia le forze politiche dell’estrema destra propongono di tornare ai respingimenti illegali delle persone, richiedenti asilo inclusi, alla frontiera tra Italia e Slovenia. Siamo stati a Trieste per fare il punto della situazione

    Il nuovo governo Meloni non si è ancora praticamente insediato che già a livello locale in Friuli-Venezia Giulia le forze politiche dell’estrema destra propongono di tornare alle “riammissioni informali attive” -cioè ai respingimenti illegali delle persone, richiedenti asilo inclusi- alla frontiera tra Italia e Slovenia.
    Una misura (https://altreconomia.it/respingimenti-migranti-trieste-documenti-negati) attivata nella primavera 2020 proprio dall’allora capo di gabinetto al ministero dell’Interno, Matteo Piantedosi, appena nominato al Viminale. Siamo stati a Trieste per fare il punto della situazione anche dell’operato del centro diurno a pochi passi dalla piazza della stazione ferroviaria.

    https://www.youtube.com/watch?v=JsiIm6NH1zA&feature=emb_logo


    https://altreconomia.it/respingimenti-alla-frontiera-la-nomina-di-matteo-piantedosi-al-viminale

    #frontière_sud-alpine #Italie #Slovénie #push-backs #refoulements #réadmissions #Matteo_Piantedosi #Trieste

  • Denying aid on the basis of EU migration objectives is wrong

    –-> extrait du communiqué de presse de CONCORD:

    The Development Committee of the European Parliament has been working on the report “Improving development effectiveness and efficiency of aid” since January 2020. However, shortly before the plenary vote on Wednesday, #Tomas_Tobé of the EPP group, suddenly added an amendment to allow the EU to refuse to give aid to partner countries that don’t comply with EU migration requirements.

    https://concordeurope.org/2020/11/27/denying-aid-on-the-basis-of-eu-migration-objectives-is-wrong

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    Le rapport du Parlement européen (novembre 2020):

    REPORT on improving development effectiveness and the efficiency of aid (2019/2184(INI))

    E. whereas aid effectiveness depends on the way the principle of Policy Coherence for Development (PCD) is implemented; whereas more efforts are still needed to comply with PCD principles, especially in the field of EU migration, trade, climate and agriculture policies;
    3. Stresses that the EU should take the lead in using the principles of aid effectiveness and aid efficiency, in order to secure real impact and the achievement of the SDGs, while leaving no-one behind, in its partner countries; stresses, in this regard, the impact that EU use of development aid and FDI could have on tackling the root causes of migration and forced displacement;
    7. Calls on the EU to engage directly with and to build inclusive sustainable partnerships with countries of origin and transit of migration, based on the specific needs of each country and the individual circumstances of migrants;
    62. Notes with grave concern that the EU and Member States are currently attaching conditions to aid related to cooperation by developing countries on migration and border control efforts, which is clearly a donor concern in contradiction with key internationally agreed development effectiveness principles; recalls that aid must keep its purposes of eradicating poverty, reducing inequality, respecting and supporting human rights and meeting humanitarian needs, and must never be conditional on migration control;
    63. Reiterates that making aid allocation conditional on cooperation with the EU on migration or security issues is not compatible with agreed development effectiveness principles;

    EXPLANATORY STATEMENT

    As agreed in the #European_Consensus_on_Development, the #EU is committed to support the implementation of the #Sustainable_Development_Goals in our development partner countries by 2030. With this report, your rapporteur would like to stress the urgency that all EU development actors strategically use the existing tools on aid effectiveness and efficiency.

    Business is not as usual. The world is becoming more complex. Geopolitical rivalry for influence and resources as well as internal conflicts are escalating. The impact of climate change affects the most vulnerable. The world’s population is growing faster than gross national income, which increases the number of people living in poverty and unemployment. As of 2030, 30 million young Africans are expected to enter the job market per year. These challenges point at the urgency for development cooperation to have a real impact and contribute to peaceful sustainable development with livelihood security and opportunities.

    Despite good intentions, EU institutions and Member States are still mainly guided by their institutional or national goals and interests. By coordinating our efforts in a comprehensive manner and by using the aid effectiveness and efficiency tools we have at our disposal our financial commitment can have a strong impact and enable our partner countries to reach the Sustainable Development Goals.

    The EU, as the world’s biggest donor, as well as the strongest international actor promoting democracy and human rights, should take the lead. We need to implement the policy objectives in the EU Consensus on Development in a more strategic and targeted manner in each partner country, reinforcing and complementing the EU foreign policy goals and values. The commitments and principles on aid effectiveness and efficiency as well as international commitments towards financing needs are in place. The Union has a powerful toolbox of instruments and aid modalities.

    There are plenty of opportunities for the EU to move forward in a more comprehensive and coordinated manner:

    First, by using the ongoing programming exercise linked to NDICI as an opportunity to reinforce coordination. Joint programming needs to go hand in hand with joint implementation: the EU should collectively set strategic priorities and identify investment needs/gaps in the pre-programming phase and subsequently look at ways to optimise the range of modalities in the EU institutions’ toolbox, including grants, budget support and EIB loans, as well as financing from EU Member States.

    Second, continue to support sectors where projects have been successful and there is a high potential for future sustainability. Use a catalyst approach: choose sectors where a partner country has incentives to continue a project in the absence of funding.

    Third, using lessons learned from a common EU knowledge base in a strategic and results-oriented manner when defining prioritised sectors in a country.

    Fourth, review assessments of successful and failed projects where the possibilities for sustainability are high. For example, choose sectors that to date have been received budget support and where investment needs can be addressed through a combination of EIB loans/Member State financial institutions and expertise.

    Fifth, using EU and Member State headquarters/delegations’ extensive knowledge of successful and unsuccessful aid modalities in certain sectors on the ground. Continue to tailor EU aid modalities to the local context reflecting the needs and capacity in the country.

    Sixth, use the aid effectiveness and efficiency tools with the aim of improving transparency with our partner countries.

    We do not need to reinvent the wheel. Given the magnitude of the funding gap and limited progress towards achieving the SDGs, it is time to be strategic and take full advantage of the combined financial weight and knowledge of all EU institutions and EU Member States - and to use the unique aid effectiveness and efficiency tools at our disposal - to achieve real impact and progress.

    https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2020-0212_EN.html

    –—

    L’#amendement de Tomas Tobé (modification de l’article 25.):
    25.Reiterates that in order for the EU’s development aid to contribute to long-term sustainable development and becompatible with agreed development effectiveness principles, aid allocation should be based on and promote the EU’s core values of the rule of law, human rights and democracy, and be aligned with its policy objectives, especially in relation to climate, trade, security and migration issues;

    Article dans le rapport:
    25.Reiterates that making aid allocation conditional on cooperation with the EU on migration issues is notcompatible with agreed development effectiveness principles;

    https://concordeurope.org/2020/11/27/denying-aid-on-the-basis-of-eu-migration-objectives-is-wrong
    https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/B-9-2019-0175-AM-001-002_EN.pdf

    –—

    Texte amendé
    https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0323_EN.html
    –-> Texte adopté le 25.11.2020 par le parlement européen avec 331 votes pour 294 contre et 72 abstentions.

    https://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20201120IPR92142/parliament-calls-for-better-use-of-the-eu-development-aid

    –-

    La chronologie de ce texte:

    On 29 October, the Committee on Development adopted an own-initiative report on “improving development effectiveness and efficiency of aid” presented by the Committee Chair, Tomas Tobé (EPP, Sweden). The vote was 23 in favour, 1 against and 0 abstentions: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0323_EN.html.

    According to the report, improving effectiveness and efficiency in development cooperation is vital to help partner countries to reach the Sustainable Development Goals and to realise the UN 2030 Agenda. Facing enormous development setbacks, limited resources and increasing needs in the wake of the Covid-19 pandemic, the report by the Development Committee calls for a new impetus to scale-up the effectiveness of European development assistance through better alignment and coordination with EU Member States, with other agencies, donors and with the priorities of aid recipient countries.

    On 25 November, the report was adopted by the plenary (331 in favour, 294 against, 72 abstentions): https://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20201120IPR92142/parliament-calls-for-better-use-of-the-eu-development-aid

    https://www.europarl.europa.eu/committees/en/improving-development-effectiveness-and-/product-details/20200921CDT04141

    #SDGs #développement #pauvreté #chômage #coopération_au_développement #aide_au_développement #UE #Union_européenne #NDICI #Rapport_Tobé #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #migrations #frontières #contrôles_frontaliers #root_causes #causes_profondes

    ping @_kg_ @karine4 @isskein @rhoumour

    –—

    Ajouté dans la métaliste autour du lien développement et migrations:
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    • Le #Parlement_européen vote pour conditionner son aide au développement au contrôle des migrations

      Le Parlement européen a adopté hier un rapport sur “l’#amélioration de l’#efficacité et de l’#efficience de l’aide au développement”, qui soutient la conditionnalité de l’aide au développement au contrôle des migrations.

      Cette position était soutenue par le gouvernement français dans une note adressée aux eurodéputés français.

      Najat Vallaud-Belkacem, directrice France de ONE, réagit : « Le Parlement européen a décidé de modifier soudainement son approche et de se mettre de surcroit en porte-à-faux du #traité_européen qui définit l’objectif et les valeurs de l’aide au développement européenne. Cela pourrait encore retarder les négociations autour de ce budget, et donc repousser sa mise en œuvre, en pleine urgence sanitaire et économique. »

      « Les études montrent justement que lier l’aide au développement aux #retours et #réadmissions des ressortissants étrangers dans leurs pays d’origine ne fonctionne pas, et peut même avoir des effets contre-productifs. L’UE doit tirer les leçons de ses erreurs passées en alignant sa politique migratoire sur les besoins de ses partenaires, pas sur des priorités politiques à court terme. »

      « On prévoit que 100 millions de personnes supplémentaires tomberont dans l’extrême pauvreté à cause de la pandémie, et que fait le Parlement européen ? Il tourne le dos aux populations les plus fragiles, qui souffriraient directement de cette décision. L’aide au développement doit, sans concessions, se concentrer sur des solutions pour lutter contre l’extrême #pauvreté, renforcer les systèmes de santé et créer des emplois décents. »

      https://www.one.org/fr/press/alerte-le-parlement-europeen-vote-pour-conditionner-son-aide-au-developpement-a

  • Rapporti di monitoraggio

    Sin dal 2016 il progetto ha pubblicato report di approfondimento giuridico sulle situazioni di violazione riscontrate presso le diverse frontiere oggetto delle attività di monitoraggio. Ciascun report affronta questioni ed aspetti contingenti e particolarmente interessanti al fine di sviluppare azioni di contenzioso strategico.

    Elenco dei rapporti pubblicati in ordine cronologico:

    “Le riammissioni di cittadini stranieri a Ventimiglia (giugno 2015): profili di illegittimità“

    Il report è stato redatto nel giugno del 2015 è costituisce una prima analisi delle principali criticità riscontrabili alla frontiera italo-francese verosimilmente sulla base dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana (Accordo di Chambery)
    #Vintimille #Ventimiglia #frontière_sud-alpine #Alpes #Menton #accord_bilatéral #Accord_de_Chambéry #réadmissions

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887941

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    “Le riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso: profili di illegittimità”

    Il report è stato redatto nell’estate del 2016 per evidenziare la situazione critica che si era venuta a creare in seguito al massiccio afflusso di cittadini stranieri in Italia attraverso la rotta balcanica scatenata dalla crisi siriana. La frontiera italo-svizzera è stata particolarmente interessata da numerosi tentativi di attraversamento del confine nei pressi di Como e il presente documento fornisce una analisi giuridica delle criticità riscontrate.

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887940

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    “Lungo la rotta del Brennero”

    Il report, redatto con la collaborazione della associazione Antenne Migranti e il contributo della fondazione Alex Langer nel 2017, analizza le dinamiche della frontiera altoatesina e sviluppa una parte di approfondimento sulle violazioni relative al diritto all’accoglienza per richiedenti asilo e minori, alle violazioni all’accesso alla procedura di asilo e ad una analisi delle modalità di attuazione delle riammissioni alla frontiera.

    #Brenner #Autriche

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    “Attività di monitoraggio ai confini interni italiani – Periodo giugno 2018 – giugno 2019”

    Report analitico che riporta i dati raccolti e le prassi di interesse alle frontiere italo-francesi, italo-svizzere, italo-austriache e italo slovene. Contiene inoltre un approfondimento sui trasferimenti di cittadini di paesi terzi dalle zone di frontiera indicate all’#hotspot di #Taranto e centri di accoglienza del sud Italia.

    #Italie_du_Sud

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    “Report interno sopralluogo Bosnia 27-31 ottobre 2019”

    Report descrittivo a seguito del sopralluogo effettuato da soci coinvolti nel progetto Medea dal 27 al 31 ottobre sulla condizione delle persone in transito in Bosnia. Il rapporto si concentra sulla descrizione delle strutture di accoglienza presenti nel paese, sull’accesso alla procedura di protezione internazionale e sulle strategie di intervento future.

    #Bosnie #Bosnie-Herzégovine

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    “Report attività frontiere interne terrestri, porti adriatici e Bosnia”

    Rapporto di analisi dettagliata sulle progettualità sviluppate nel corso del periodo luglio 2019 – luglio 2020 sulle diverse frontiere coinvolte (in particolare la frontiera italo-francese, italo-slovena, la frontiera adriatica e le frontiere coinvolte nella rotta balcanica). Le novità progettuali più interessanti riguardano proprio l’espansione delle progettualità rivolte ai paesi della rotta balcanica e alla Grecia coinvolta nelle riammissioni dall’Italia. Nel periodo ad oggetto del rapporto il lavoro ha avuto un focus principale legato ad iniziative di monitoraggio, costituzione della rete ed azioni di advocacy.

    #Slovénie #mer_Adriatique #Adriatique

    https://medea.asgi.it/rapporti

    #rapport #monitoring #medea #ASGI
    #asile #migrations #réfugiés #frontières
    #frontières_internes #frontières_intérieures #Balkans #route_des_balkans

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  • #Trieste, valico con la Slovenia. Le «riammissioni» dei migranti. Dopo settimane di marcia nei boschi rimandati indietro anche se arrivati su territorio italiano.

    La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

    «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di #Schengen che stabilisce la sua sorte.

    Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

    È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore.

    C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

    Il database nazionale
    In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

    Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa.

    E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).

    Le accuse contro Zagabria
    Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata.

    L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

    https://www.diritti-umani.org/2018/11/trieste-valico-con-la-slovenia-le.html
    #Italie #Slovénie #réadmissions #migrations #asile #réfugiés #frontières #push-back #renvois #expulsions #refoulement #frontière_sud-alpine #Croatie #accord_bilatéral #accords_bilatéraux

    • “Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani

      Il racconto di due pakistani: «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta d’asilo ma ci hanno rimandati in Slovenia». Poi una nuova odissea fino alla Bosnia. «Le autorità croate ci hanno picchiato e lasciato nei boschi al confine»

      https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/caricati-a-forza-nei-furgoni-cos-la-polizia-italiana-riporta-i-migranti-nei-balcani-K775KFcYpdofE4r0eNJTFI/premium.html

    • Il caso dei migranti riportati in Slovenia. La polizia: “Agiamo seguendo le regole”

      La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

      «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di Schengen che stabilisce la sua sorte.

      Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

      È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore. C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

      Il database nazionale

      In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

      Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa. E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).
      Le accuse contro Zagabria

      Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata. L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/03/italia/il-caso-dei-migranti-riportati-in-slovenia-la-polizia-agiamo-seguendo-le-regole-KLb7LoSe5l5uv8XggFl7FN/pagina.html

    • Fingersi minore per sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” in Bosnia non è reato

      Il Tribunale di Trieste ha assolto un giovane del Pakistan che a fine 2020 aveva dichiarato il falso alla polizia per tentare di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo” e di salvarsi dal male ingiusto delle “riammissioni”. “È una sentenza di estrema importanza, un monito per il governo”, spiega l’avvocata Bove.

      Dichiarare falsamente di essere minorenne per tentare di sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina non è reato. Lo ha riconosciuto il Tribunale ordinario di Trieste a fine novembre 2022 -la sentenza (del giudice Massimo Tomassini) è stata depositata a metà febbraio di quest’anno-, assolvendo un giovane originario del Pakistan per “evidente” stato di necessità. Aveva solamente cercato di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo personale”, al male ingiusto delle riammissioni.

      Le motivazioni del giudice penale, che hanno confermato in pieno la linea difensiva dell’avvocata Caterina Bove (socia Asgi) e accolto la richiesta di assoluzione della Procura, rappresentano un altro duro colpo del diritto alla pratica illegittima delle cosiddette “riammissioni informali”, riattivate dal nostro Paese al confine italo-sloveno tra metà 2020 e inizio 2021 sulla pelle di 1.300 persone. Procedure che il Governo Meloni ha annunciato di voler ripristinare a fine novembre 2022, proprio nei giorni in cui il Tribunale di Trieste, come già aveva fatto quello di Roma nel gennaio 2021, ne demoliva un’altra volta l’impianto.

      Veniamo ai fatti. Il 20 novembre 2020, a riammissioni ancora in vigore, il giovane K. viene fermato da una pattuglia della polizia italiana a Trieste. Identificano lui e le altre due persone con cui si trova. Non hanno i documenti e sono formalmente “irregolari”. È allora che K. dichiara di essere nato nell’agosto 2005 e di aver raggiunto l’Italia dalla Bosnia ed Erzegovina dopo aver attraversato Croazia e Slovenia. Ha già patito più volte la pratica dei respingimenti violenti lungo la rotta balcanica. Racconta il falso in merito all’età perché vuole evitare di essere “riammesso” e picchiato di nuovo, contando sulla “inespellibilità” del minore anche se “irregolare”. Addosso quel giorno gli viene trovato però un documento serbo nel quale è riportato che sarebbe nato nel 1995. Di anni ne avrebbe quindi 25 e non 15 (siamo nel 2020). La polizia italiana non ci pensa due volte e lo respinge in Slovenia: “Alle successive ore 16 -recita il verbale della pattuglia- i tre stranieri venivano quindi riammessi in territorio sloveno come previsto dagli accordi bilaterali esistenti (del 1996, ndr)”. Senza un pezzo di carta in mano, K. passa così dalla Slovenia alla Croazia nel giro di pochissime ore, viene nuovamente “picchiato” e poi finisce in Bosnia ed Erzegovina. Solo mesi dopo riuscirà a tornare in Italia e a presentare la domanda di asilo.

      K. aveva tutte le ragioni per “spacciarsi per minore”, scrive il Tribunale, e quindi sfuggire ai “trattamenti di dubbia umanità e di altrettanto dubbio rispetto di diritti umani minimi”. Non era mosso da “bieca intenzione di trarre in inganno le autorità” e nemmeno voleva porre le basi per “ulteriori condotte criminose”, voleva “solo ed esclusivamente evitare, di fatto, guai molto peggiori qualora ‘rimandato’ al di fuori dell’Italia, e dunque potenzialmente esposto a maltrattamenti al fine di essere nuovamente portato extra Unione europea”.

      Per dar conto della “gravissima” situazione ai confini, dove di fatto “la Croazia è divenuta lo scudo europeo contro la rotta balcanica”, il giudice cita la vasta documentazione portata dall’avvocata Bove e accumulata in questi anni: i report del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, del network Protecting rights at borders (Prab), di Human Rights Watch, Amnesty International e Oxfam, del Border violence monitoring network, e anche il lavoro di inchiesta di Altreconomia. Per non parlare del precedente giurisprudenziale che è l’ordinanza del Tribunale di Roma del gennaio 2021, che già aveva messo in fila i punti di contrasto tra i respingimenti informali e la normativa europea, interna e costituzionale (circostanza ben rievocata nel film “Trieste è bella di notte” di Andrea Segre, Stefano Collizzoli e Matteo Calore, realizzato anche con la preziosa collaborazione della rete RiVolti ai Balcani).

      Il giudice di Trieste passa quindi in rassegna le pratiche volte a “rintracciare” e “stanare” i migranti con “droni, termocamere, scanner”: strumenti “impiegati come armi contro persone in movimento”. Il tutto mentre viene “soppressa la tecnologia adoperata dalle persone migranti”, con il “sequestro e distruzione di telefoni cellulari e batterie”. È quindi “indiscutibile che il respingimento informale avrebbe portato K. a dover affrontare una situazione di questo tipo, e cioè una situazione di franco ed innegabile pericolo personale”.

      Le motivazioni si concludono su quello che il Tribunale chiama il “vero punto della questione”, e cioè la strumentalizzazione del Regolamento di Dublino. Anche a parere del giudice, infatti, se anche -ma non lo si può dire con certezza- fosse stata la Croazia il Paese europeo competente all’esame della domanda di asilo di K., di certo il “modo” delle riammissioni informali è incompatibile con le garanzie della cosiddetta “procedura Dublino” per il trasferimento. Inoltre la “vera ed unica destinazione dell’imputato era la Bosnia, non già la Croazia -conclude la sentenza-, ed è tale convinzione che […] dimostra come egli, al momento della dichiarazione attestante le proprie generalità, si trovasse nella necessità, penalmente rilevante quale scriminante, di evitare a sé stesso un grave pericolo, e cioè quello, appunto, di essere respinto in Slovenia, e da lì a catena in Bosnia, nelle maniere dinanzi descritte, pericolo che avrebbe potuto evitare solo ‘spacciandosi’ quale minorenne”.

      Per l’avvocata Caterina Bove questa sentenza è “di estrema importanza perché chiarisce come le pratiche di riammissione e successivo respingimento a catena con esposizione dell’interessato a gravi trattamenti inumani e degradanti, in questo caso a opera delle autorità croate, le cui modalità di azione costituiscono ormai fatto notorio, rappresentano un pericolo concreto di grave danno alla persona, tale da giustificare il comportamento di informare falsamente circa la propria età”. Nel caso di specie, ricorda Bove, K. “aveva chiesto asilo e poi avuto il riconoscimento dello status di rifugiato quando, dopo aver patito nuovamente la violenza della rotta balcanica, è riuscito con le proprie forze a tornare”.
      La portata della sentenza secondo l’avvocata è ampia “perché si estende a tutti coloro i quali, trovandosi in frontiera, rischiano un simile trattamento inumano, con negata consegna di provvedimenti scritti, negata convalida giudiziaria dell’agire delle forze di sicurezza ed esposizione a elevato pericolo per l’incolumità personale. Il giudice penale di Trieste ha evidenziato come la ricostruzione giuridica operata dal Tribunale di Roma circa l’illegittimità di tale pratiche sia del tutto valida, nulla potendo incidere il successivo annullamento di quella ordinanza del 18 gennaio 2021 sulla fondatezza delle argomentazioni giuridiche”.

      È un “chiaro monito” dunque per il ministero dell’Interno e in generale per il governo che ha annunciato, nonostante tutto, la ripresa delle procedure di riammissione al confine orientale. “E più in generale -conclude Bove- è un monito per l’esecuzione di queste procedure di riammissione e respingimento, dirette e indirette, anche alle altre frontiere italiane”.

      https://altreconomia.it/fingersi-minore-per-sfuggire-ai-respingimenti-italiani-a-catena-in-bosn

    • Accordo tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera

      Contesto

      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      Contenuto

      Casi e diritto derivato (applicazione)

      Questioni critiche
      Contesto

      La vicinanza geografica tra Italia e Slovenia ha sicuramente condizionato l’organizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, la storia delle relazioni tra i due paesi può essere rintracciata negli ultimi anni con la Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche, conclusa a Lubiana il 17/10/1992 ed entrata in vigore lo stesso anno. Da quel momento in poi, le relazioni tra i due stati si sono potute normalizzare con atti come l’accordo bilaterale del 1996 e l’accordo sulla cooperazione transfrontaliera e di polizia del 2011, che mirano a contrastare la criminalità organizzata e i flussi di immigrazione clandestina.

      Questi accordi e, in generale, la storia delle relazioni tra questi due paesi devono essere visti nell’ampio contesto della «rotta balcanica», da anni espressione di una vera e propria tragedia umanitaria con migliaia di migranti che vivono in condizioni precarie, persecuzioni e violenze. Questa rotta rappresenta il viaggio che i migranti devono affrontare, fuggendo dalla guerra o dal regime totalitario in Medio Oriente. Secondo i dati Eurostat, pubblicati dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tra le richieste di asilo in Europa il biennio 2018/2019, il 32,72% proviene dall’Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l’8,03% dalla Siria, il 6,56% dall’Iraq e infine il 4,61% dall’Iran.

      Dopo un estenuante viaggio, i richiedenti asilo vengono respinti dalle autorità pubbliche italiane presenti alla frontiera di Trieste verso la Slovenia, da dove vengono rimandati in Croazia e successivamente in Bosnia. In particolare, i principali luoghi strategici del traffico migratorio sono Tuzla e Sarajevo, che rappresentano due punti di transito per chi arriva da Serbia e Montenegro. Bihać e Velika Kladuša, invece, sono diventati due hotspot per le persone che aspettano di attraversare il territorio dell’Unione Europea. Infatti, molte testimonianze nel merito sono state raccolte soprattutto da ONG internazionali che descrivono la brutalità e le atrocità fisico-psicologiche a cui sono sottoposti i migranti al confine tra Croazia e Bosnia. In particolare, Amnesty International, in un Rapporto del 2019, denuncia la negazione del diritto d’asilo e il mancato rispetto delle garanzie procedurali relative alle espulsioni collettive, nonostante l’esistenza di riscontri pubblici di violenza questi territori. L’UNHCR ha anche pubblicato diversi rapporti che denunciano i comportamenti della polizia alle frontiere dei paesi interessati, spesso consistenti in trattamenti inumani e degradanti come la tortura, la distruzione di proprietà e le percosse. Queste condotte sono state tenute al fine di danneggiare i migranti e spesso persone vulnerabili come i minori, le donne incinte e le persone con disabilità.
      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      L’accordo venne concluso in forma semplificata fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovena. Venne firmato a Roma il 3 settembre 1996, senza fare riferimento ad alcun accordo precedente. L’accordo è ’auto-legittimato’.

      L’obiettivo è combattare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, controllare i confini italo-sloveni, regolamentare la riammissione di richiedenti asilo nei rispettivi territori, attraverso disposizioni volte al supporto della riammissione in tutto il territorio dei due Stati dei cittadini di una delle due Parti o provenienti da Stati terzi.
      Contenuto

      Articolo 1: L’Italia e la Slovenia prevedono la riammissione nel proprio territorio - su richiesta dell’altra Parte - di tutte le persone che non soddisfano, o non soddisfano più, gli obblighi relativi alle condizioni di ingresso o soggiorno nel territorio della Parte contraente richiedente sulla verifica del possesso della cittadinanza della Parte (obbligatoria). Il secondo paragrafo specifica che questa verifica può essere basata su più documenti (carta d’identità, passaporto), anche se sono irregolarmente rilasciati o scaduti (non più di 10 anni fa). Nel terzo paragrafo, la Parte contraente richiedente accetta di nuovo la persona se è provato che la mancanza di possesso della cittadinanza della Parte contraente richiesta una volta fuori dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 2: L’Italia e la Slovenia riammettono sul loro territorio, su richiesta dell’altra parte, i cittadini di un Paese terzo che non hanno, o non hanno più, i requisiti di ingresso o di soggiorno avviati sul territorio della Parte contraente richiedente, una volta accertato che questi cittadini hanno soggiornato o sono transitati sul territorio della Parte richiesta e sono successivamente entrati sul territorio della Parte (contraente) richiedente. Allo stesso modo, l’Italia e la Slovenia riammettono i cittadini del paragrafo precedente sul loro territorio, quando hanno un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla parte contraente richiesta.

      Articolo 3: L’obbligo di riammissione previsto dall’articolo precedente non si applica in 5 casi: (a) cittadini di paesi terzi che confinano con la Parte contraente richiedente; (b) cittadini di Stati terzi ai quali la Parte contraente richiedente ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto; (c) cittadini di paesi terzi che rimangono nel territorio della Parte richiedente per più di 6 mesi; (d) i cittadini di Stati terzi ai quali la Parte richiedente ha riconosciuto sia lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra 1951) che quello di apolide (Convenzione di New York 1954); (e) i cittadini di Stati terzi espulsi per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale dalla Parte contraente richiedente verso il loro paese di origine o verso un paese terzo.

      Articolo 4: La Parte richiedente accetta sul suo territorio i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni - in base al controllo effettuato dall’altra Parte - richieste dagli articoli 2 e 3 in occasione dell’uscita dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 5: Il Ministero degli Affari Interni dei due Stati contraenti si occuperà delle domande di riammissione. La domanda di riammissione deve includere l’identità della persona e i dati personali del cittadino del terzo Stato, del suo soggiorno nel territorio della parte richiesta e delle circostanze del suo ingresso illegale nel territorio della parte richiedente. La parte richiesta deve comunicare la sua decisione per iscritto alla parte richiedente entro otto giorni. L’autorizzazione dopo la ratifica è valida per un mese dalla data della sua notifica.

      Articolo 6: Le autorità di frontiera dello Stato richiesto riammettono senza formalità, su richiesta dello Stato richiedente, i cittadini irregolari di Stati terzi consegnati entro 26 ore dal passaggio o se controllati e trovati irregolari entro dieci chilometri dalla frontiera comune.

      Articolo 7: La parte richiedente deve sostenere le spese di trasporto alla frontiera della parte richiesta delle persone di cui si chiede la riammissione. Se necessario, la parte richiedente si fa carico delle spese di ritorno.

      Articolo 8: Le parti contraenti, previa autorizzazione reciproca, possono permettere il movimento dei cittadini stranieri contro i quali è applicato un ordine di espulsione. I paragrafi seguenti stabiliscono inoltre che la parte richiedente è responsabile del viaggio della persona in questione, di riprenderla in caso di superamento dell’inapplicabilità dell’ordine di allontanamento e di garantire il possesso di un documento di viaggio adeguato da parte dello straniero.

      Articolo 9: La parte contraente che emette il provvedimento di espulsione deve notificare alla parte contraente richiesta la necessità, durante il transito, di fornire una scorta alla persona espulsa attraverso il personale dello Stato richiesto o in collaborazione tra i due paesi.

      Articolo 10: La richiesta di transito, che contiene le informazioni essenziali relative allo straniero e al suo movimento, nonché la garanzia di ammissione nel paese di destinazione, è inviata direttamente dai Ministeri dell’Interno delle parti contraenti.

      Articolo 11: Legittimo il rifiuto del transito per l’allontanamento, che può avvenire: (a) per i rischi di persecuzione presenti e attuali a cui lo straniero sarebbe sottoposto nel paese di destinazione; (b) per i rischi di accuse o condanne penali nel paese di destinazione; (c) per l’inammissibilità dello straniero o per essere sottoposto a procedimenti penali nello Stato richiesto.

      Article 12: Le spese di trasporto alle frontiere dello Stato di destinazione sono a carico del paese firmatario.

      Articolo 13: Persistenza degli obblighi delle parti contraenti che derivano dall’applicazione di altri accordi internazionali.

      Articolo 14: Responsabilità del Ministero degli Affari Interni delle Parti contraenti per la decisione sui luoghi di frontiera in cui sarà concessa la riammissione e il transito delle persone straniere. Responsabilità delle stesse istituzioni anche per quanto riguarda la lista degli aeroporti dove sarà concesso il transito di queste persone.

      Articolo 15: Risoluzione delle possibili controversie generate da questo accordo attraverso i canali diplomatici.

      Disposizioni finali – Article 16: 1. Il presente accordo entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla notifica reciproca del completamento di ogni procedura nazionale di approvazione. 2. Può essere denunciato mediante notifiche inviate per via diplomatica, che hanno effetto per novanta giorni dopo la sua entrata in vigore.
      Casi diritto derivato (applicazione)

      Primo precedente giuridico in materia di casi di illegittima espulsione collettiva è il caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia (sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 ottobre 2014 - ricorso n. 16643/09), in seguito al quale l’Italia è stata condannata - in virtù dell’accordo bilaterale firmato nel 1999 - dalla CEDU per la riammissione non registrata e non discriminata di individui stranieri verso il territorio ellenico.

      Per quanto riguarda il divieto dei cosiddetti respingimenti a catena, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo consiste in diversi casi: Ilias e Ahmed c. Ungheria, 14 marzo 2017; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014 e Tarakhel c. Svizzera, 4 novembre 2014, casi che hanno portato gli organi legislativi dell’Unione Europea alla decisione di modificare il preesistente Regolamento n. 604/2013 (attuale Regolamento Dublino 3).

      Infine, è da tenere in considerazione l’Ordinanza n. 56420/2020 firmata dal Tribunale di Roma.
      Questioni critiche

      Per quanto riguarda le criticità presenti nel testo dell’accordo bilaterale concluso tra Italia e Slovenia, di cui al testo dell’ordinanza 56420/2020 del Tribunale di Roma, sono rilevanti sia le fonti sovranazionali che quelle di diritto interno. Riguardo a queste ultime, vi è un’incongruenza con l’art. 10 comma 2 della Costituzione italiana, che stabilisce la conformità delle fonti sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati di diritto internazionale, che alcuni aspetti dell’accordo stentano a raggiungere.

      In secondo luogo, vi è un’ulteriore discrepanza con l’obbligo di preventiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria in merito ai provvedimenti di libertà personale in sede di respingimento ed espulsione dello straniero, obbligo delineato dal secondo comma dell’articolo 13 della Costituzione italiana.

      Altra questione costituzionale rilevante è la dubbia legittimità di accordi, come quello in questione, che non siano stati ratificati dalle Camere - nei casi previsti dall’articolo 80 - e dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 87. Data la natura politica di questo accordo concluso in forma semplificata, in questo senso vi è anche una minore centralità del dibattito parlamentare da cui deriva l’assenza di informazione pubblica sull’argomento.

      È necessario ricordare come gli accordi conclusi tra l’Italia e un paese terzo siano espressione della sovranità statale, che tuttavia non deve pregiudicare la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, emerge una prima criticità relativa alla tutela dell’effettivo diritto di ricorso, in quanto il respingimento non viene notificato ai diretti interessati, privandoli della possibilità di difendersi in contrasto con la tutela prevista dall’articolo 13 della CEDU e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di difesa.

      In secondo luogo, la prassi stabilita dall’art. 2 dell’accordo bilaterale è in contrasto con il diritto fondamentale del richiedente di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale (prevista dalla direttiva 2013/31 UE); articolo in base al quale «ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio territorio il cittadino di un paese terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso e soggiorno». L’incongruenza deriva in particolare dal fatto che, come riportato nella citata ordinanza, «il richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale può essere espressa oralmente non può mai essere considerato irregolare sul territorio».

      Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla compatibilità dell’accordo con la tutela del diritto d’asilo. In particolare, secondo quanto dettato dal testo della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal disposto dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli Stati membri dovranno verificare individualmente la domanda compilata dal richiedente asilo e informare i soggetti coinvolti dell’esistenza di questa procedura. Sulla stessa nota, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che in presenza di una richiesta di riammissione non è necessario inviare alla questura questa formalizzazione della richiesta di asilo. Questa particolare situazione determina la riammissione sul territorio dell’altra parte dei richiedenti asilo e giustifica anche la qualificazione di questi soggetti come immigrati irregolari.

      Conseguenza di questa procedura è una lesione del diritto all’asilo dell’individuo che, come ulteriore effetto, determina una violazione del principio di non refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra). Quegli stessi doveri di protezione sussidiaria sono sanciti dall’art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: si può quindi sostenere l’inadempimento dell’Italia - in quanto Stato membro dell’Unione europea - ai doveri imposti dall’istituzione di una politica comune in materia di richiesta d’asilo. Dal mancato esame individuale delle domande d’asilo ha origine un respingimento a catena verso la cosiddetta «rotta balcanica», che conduce gli immigrati verso Paesi in cui sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 CEDU e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Per quanto riguarda il diritto nazionale, il decreto legislativo n. 286/1988 vieta chiaramente, al suo articolo 19, il trasferimento di soggetti stranieri verso Paesi in cui persiste il rischio di essere sottoposti a torture, persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti

      Un’ultima considerazione riguarda la sussistenza di una situazione di responsabilità condivisa tra le parti dell’accordo, dovuta alla sistematica mancanza di tutela dei diritti e principi fondamentali considerati. Questa stessa mancanza di protezione avrebbe potuto essere evitata per mezzo di un più attento e impegnato rispetto della difesa internazionale.

      https://www.migrationtreaties.unito.it/slovenia/accordo-tra-italia-e-slovenia-sulla-riammissione-delle-perso

    • Brambilla (Asgi): “L’accordo con la Slovenia sulle riammissioni dei migranti ha profili di illegittimità”

      L’avvocata ha seguito i ricorsi dei richiedenti asilo rimandati indietro dal confine orientale: «Manca la ratifica del parlamento in violazione dell’articolo 80 della Costituzione e comunque le riammissioni non possono avvenire a livello informale»

      Anna Brambilla è avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e ha seguito i ricorsi di richiedenti asilo contro le riammissioni in Slovenia.

      Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi le riammissioni «sono uno strumento pienamente legittimo». In ogni caso?

      No, non possono essere riammessi richiedenti asilo o minori. Più in generale riteniamo che non possano essere effettuate riammissioni informali, cioè quelle che avvengono solo tramite scambio di informazioni tra le autorità di polizia di due Stati membri senza che alla persona riammessa sia notificato il provvedimento, impedendole di difendersi. Succede qualcosa di simile nei porti dell’Adriatico dove le persone sono riconsegnate senza alcuna notifica ai comandanti della nave su cui si erano nascoste per riammetterle in Grecia.

      Nell’accordo bilaterale italo-sloveno del 1996, però, le «riammissioni informali» sono esplicitamente previste.

      Sì, l’accordo permette le riammissioni informali di chi è entrato prima di 26 ore o è trovato entro 10 chilometri dalla frontiera. Ma l’accordo non può essere letto senza considerare le disposizioni di diritto interno e quelle Ue. Perciò le riammissioni informali, numericamente prevalenti, sono illegittime: violano il diritto di difesa che si concretizza attraverso i ricorsi.

      Quindi contestate l’accordo con la Slovenia.

      Ha dei profili di illegittimità perché non è stato sottoposto al controllo del parlamento, ma concluso in forma semplificata senza la ratifica ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione.

      Tecnicamente cosa cambia tra riammissioni ed espulsioni.

      La riammissione può avvenire tra due Stati membri, in questo caso Italia e Slovenia, oppure ci possono essere accordi tra un paese membro o la Ue con uno Stato terzo. Tra due paesi membri la riammissione è da considerarsi funzionale all’espulsione. In pratica l’Italia trova un cittadino irregolarmente soggiornante e invece di adottare direttamente un provvedimento di espulsione lo riammette in Slovenia che poi dovrà espellerlo.

      Piantedosi si è confrontato con le riammissioni in Slovenia anche quando era capo di gabinetto di Salvini. Cosa è emerso, rispetto a quel periodo, dai procedimenti giudiziari che avete avviato?

      Nonostante il Viminale affermasse che le riammissioni potevano essere legittimamente effettuate anche per chi aveva manifestato intenzione di chiedere protezione internazionale il tribunale di Roma, nel caso presentato con un ricorso di urgenza, ha riconosciuto l’illegittimità della riammissione. Perché l’accordo non è stato sottoposto a legge di ratifica e, nel caso specifico, perché la persona aveva manifestato intenzione di fare domanda di asilo.

      A livello Ue qual è l’approccio?

      La Commissione ha sempre cercato di spingere gli Stati membri a rafforzare la cooperazione di polizia, necessaria per le riammissioni, invece di reintrodurre controlli ai confini interni. Come fa la Francia al confine con l’Italia o l’Austria alla frontiera con la Slovenia. Adesso nella proposta di riforma del codice frontiere Schengen si parla di trasferimento tra Stati membri, cioè una procedura simile a quella prevista dagli accordi bilaterali di riammissione. Per quanto noi siamo contrari a questa procedura, essa è comunque di tipo formale e prevede la possibilità di fare ricorso. Il problema è che se l’informativa sulla protezione internazionale non è realizzata correttamente le persone non sono in condizione di fare domanda e vengono considerate migranti irregolari. Le procedure sono formalmente corrette ma nella sostanza violano il diritto d’asilo.

      https://ilmanifesto.it/brambilla-asgi-laccordo-con-la-slovenia-sulle-riammissioni-dei-migranti-

  • Readmission of asylum seekers to Turkey: What that means for human rights and integration possibilities?

    Recent research into the readmission of asylum seekers to Turkey under the EU-Turkey Statement has shed light on key concerns, such as discrimination on the grounds of nationality and barriers to effective human rights monitoring. Likewise, implementation of the Statement was found to prioritise returns, rather than people’s access to asylum.

    This Statement which came into force in March 2016 was put forward as a solution to the refugee crisis as it aimed “to end the flow of irregular migration from Turkey to the EU and replace it with organised, safe and legal channels to Europe.” It further aimed to fast-track asylum procedures and, in the case of negative decisions, facilitated returns to Turkey. In exchange, EU member states agreed to take one Syrian refugee from Turkey for every Syrian readmitted from Greece to Turkey.

    http://www.migrationnewssheet.eu/features/readmission-of-asylum-seekers-to-turkey-what-that-means-for-human
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    cc @i_s_