• This German village is embracing integration

    #Hebertshausen, a small community in southern Bavaria, has taken in five times as many refugees and migrants as required. Locals explain why Germany depends on immigration and what effective integration into a democracy should look like.

    https://www.infomigrants.net/en/post/54827/this-german-village-is-embracing-integration

    #Allemagne #accueil #migrations #réfugiés #asile #rural #intégration #solidarité #villes-refuge

    voir aussi :
    Migrationskrise ? Eine Gemeinde zeigt, wie es geht
    https://seenthis.net/messages/1023354
    via @_kg_

    –—

    ajouté à la sous-métaliste sur les #villes-refuge en #Europe...

    https://seenthis.net/messages/878327

  • Le barche dei migranti diventano un’orchestra. Alla Scala il primo concerto

    Dal legno delle imbarcazioni arrivate a Lampedusa violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Il 12 febbraio suoneranno Bach e Vivaldi a Milano, in uno teatri più prestigiosi del mondo

    E alla fine approdano alla Scala di Milano. Sono violini, viole, violoncelli e contrabbassi costruiti con i legni delle barche dei migranti, arrivate a Lampedusa cariche di vite e di speranze, ma anche di morte e di lamenti. È l’Orchestra del Mare, quella che lunedì 12 febbraio suonerà per la prima volta, e lo farà nel teatro più famoso al mondo, con i suoi strumenti ancora verdi e azzurri e gialli come le assi dei gozzi che erano pochi mesi fa. Legni ben diversi dai pregiati abeti e aceri utilizzati nella liuteria, legni crepati, intrisi di gasolio e di salsedine, eppure casse armoniche in grado di suonare Bach e Vivaldi…

    Così come crepate sono le mani che hanno saputo trasformare le barche in orchestra, mani di uomini detenuti nel penitenziario milanese di Opera – i loro nomi sono Claudio, Nicolae, Andrea, Zurab –, diventati liutai sotto la guida di maestri esperti.

    Non poteva allora che chiamarsi Metamorfosi il progetto che ha dato vita a tutto questo, ideato dalla “Casa dello spirito e delle arti”, la fondazione creata nel 2012 per offrire all’umanità scartata un’opportunità di riscatto attraverso la forza inesauribile della bellezza e i talenti che ciascuno ha, anche in un carcere. «L’idea è nata come nella parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci – sorride Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Fondazione –: nel carcere di Opera da dieci anni funzionava la liuteria, dove il maestro liutaio Enrico Allorto e le persone detenute realizzavano i violini da donare ai ragazzini rom che al Conservatorio di musica non potevano permettersi uno strumento. Ma nel dicembre del 2021 portai nel laboratorio quattro legni delle barche di Lampedusa per fare un presepe e loro invece ne fecero un violino. Rimasi stupefatto, la loro idea si poteva moltiplicare, già mi immaginavo un’intera orchestra, poi – dissi loro – suonerà alla Scala».

    L’unico a credere subito a quella follia è stato Andrea, anni di carcere pesante in Tunisia e poi in Italia, nome d’arte Spaccabarche, perché lui e Claudio smontano i gozzi, Nicolae e Zurab li “rimontano” in violini e violoncelli. «Fu Andrea a darmi l’idea di rivolgermi all’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e chiedere che quegli scafi, fino a quel momento sotto sequestro per essere polverizzati e poi bruciati, venissero invece dati a noi e da “rifiuti speciali” diventassero memoria viva – continua Mosca Mondadori –. I Tir ne hanno trasportate in carcere un centinaio, così com’erano…».

    «Con all’interno scarpe, biberon, vestiti, salvagenti, tutine da neonato – racconta Andrea “Spaccabarche” –, allora ti chiedi chi era quella gente, se si sono salvati, da quale disperazione dovevano scappare, e rifletti su te stesso: c’è qualcuno che sta molto peggio di me e questo ti dà quel po’ di umiltà che nella vita non fa mai male, anche perché è quella che ti consente di continuare a imparare, quindi di cambiare».

    Metamorfosi, appunto. «Si tratta soprattutto di legni di conifere, che usiamo per il fasciame degli strumenti», spiega Enrico Allorto, che con Carlo Chiesa è il maestro liutaio, «mentre per lo scheletro utilizziamo un altro legno più duro di cui non conosco il nome. Sono alberi africani oppure, chissà, di importazione, non sappiamo quelle barche da dove arrivassero. Ovviamente non hanno la resa dei veri legni di liuteria, ma cerco i pezzi più adatti: i più leggeri per simulare l’abete rosso e i più pesanti per imitare l’acero di cui è fatto il fondo. È chiaro che sono legni difficili, hanno addosso la vernice delle barche, le crepe, i buchi: mentre costruiamo gli strumenti ripariamo i danni, ma c’è una sofferenza in questi difetti e il fatto che riescano comunque a suonare scuote emotivamente. Da quei violini esce un Sos, “non lasciateci morire”, anche i musicisti suonando si commuovono».

    E a suonarli alla Scala saranno alcuni tra i più grandi al mondo: i violoncellisti Mario Brunello e Giovanni Sollima e il violinista francese Gills Apap “dialogheranno” con i tredici strumentisti dell’Accademia dell’Annunciata diretti da Riccardo Doni, mentre l’installazione scenografica sarà un dono di Mimmo Paladino, artista di fama internazionale. «Il suono di questi strumenti viene da lontano: lontano al di là del Mediterraneo, e lontano nel tempo, forse di secoli», commenta Mario Brunello, solista abituato ad esibirsi con le orchestre più prestigiose con il suo prezioso violoncello “Maggini” dei primi del ‘600. «Quel legno che ha attraversato il mare ora suona il Terzo Concerto Brandeburghese di Bach e L’Inverno di Vivaldi, poi una pagina di virtuosismo violinistico come il celebre Preludio di Kreisler o l’affascinante White Man Sleeps di Kevin Volans, compositore sudafricano. Chiude il programma Violoncellos Vibrez di Giovanni Sollima», violoncellista che nei teatri si esibisce con il suo “Francesco Ruggeri” del XVII secolo ed è il compositore italiano contemporaneo più eseguito nel mondo.

    In ouverture lo scrittore Paolo Rumiz, triestino che ha nel sangue la poetica della frontiera e del viaggio, leggerà “La memoria del legno”, testo crudo e tagliente in cui l’albero racconta in prima persona le sue metamorfosi, dalla crescita in Africa come patriarca venerabile abitato dalle anime dei trapassati, a quando viene abbattuto da una scure senz’anima e attraverso il deserto arriva al mare. Lì trova mani delicate che lo trasformano in barca per pescatori. Dimenticato sulla spiaggia, è poi violentato da mani di trafficanti e in mare aperto ode le voci del suo carico umano. All’approdo finale è marchiato a fuoco come corpo del reato e verrebbe bruciato se altre mani delicate non lo trasformassero invece in violini. «L’ho scritto in metrica rigorosamente dispari, endecasillabi e settenari – spiega Rumiz – perché il ritmo pari è quello usato per far marciare gli eserciti». “Voi non mi riconoscerete – comincia l’albero – perché quando sono arrivato puzzavo di vomito e salsedine, ma ora vi racconto la mia storia…”.

    Tutti gli artisti prestano gratuitamente i loro talenti per il progetto Metamorfosi: «L’articolo 27 porta il Vangelo nella Costituzione, dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato – ricorda Mosca Mondadori – e niente come un lavoro ricostruisce la dignità delle persone». Tra le carceri di Opera a Milano), Secondigliano a Napoli, Monza e Rebibbia a Roma «diamo lavoro a venti persone con contratti a tempo indeterminato. Le persone cambiano per davvero, ne ho viste passare tante e tutte ce l’hanno fatta grazie al lavoro, sia in carcere che dopo: la misericordia supera i tempi della giustizia». Sembrano sogni, ma sono realtà imprenditoriali che richiedono grande concretezza, «i conti a fine anno devono tornare e ogni mese abbiamo stipendi da pagare, ci sostengono Intesa Sanpaolo e Confcommercio insieme a generose Fondazioni (Cariplo, Peppino Vismara, Santo Versace, Alberto e Franca Riva, Comunità di Monza e Brianza): non sono idee astratte, sono persone, e tu le vedi rinascere».

    Ne sa qualcosa Nicolae, il liutaio che “rimonta” le barche in viole e contrabbassi: «In liuteria mi dimentico di essere in carcere e mi sento utile, se sono in grado di costruire, allora non sono così scarso da non poter fare niente, solo che non ho avuto fortuna né ho trovato i riferimenti giusti nella vita. Non cerco giustificazioni per ciò che ho fatto, dico solo che ho capito che il mondo non è soldi e bella vita, ci sono tante cose piccole che possiamo dare l’uno all’altro – dice accarezzando il pezzo colorato del futuro violino che sta lavorando –. Io do il mio contributo qui dentro, in silenzio, ma poi quando qualcuno suonerà questo violino io spero che muoverà qualcosa nel mondo», assicura commosso. «A rovinarci è la sete di potere, invece la terra è di tutti e alla fine di nessuno: siamo solo di passaggio».

    L’Orchestra del Mare non si ferma qui, presto si aggiungeranno un clavicembalo, percussioni, chitarre, il liuto arabo, vari strumenti del mondo mediterraneo, «tutto ciò che si può costruire con le barche», e magari dopo la Scala arriveranno altri grandi teatri. Dal carcere di Secondigliano escono già mandolini e chitarre, la prima è stata suonata da Sting in persona l’aprile scorso nel carcere napoletano. «Il mio tormento d’amore è sempre stato la necessità di comunicare il mistero dell’Eucarestia, cioè la presenza del Crocefisso e Risorto nell’Ostia – riprende Mosca Mondadori – e questi sono strumenti eucaristici, perché hanno dentro la morte ma anche la speranza, e il loro suono arriva a tutti i cuori, anche se non credenti». Arriverà certamente ai 1.850 spettatori che hanno già fatto il “tutto esaurito” per il 12 febbraio e ai detenuti delle quattro carceri, gli unici che potranno vedere lo spettacolo in streaming nei loro auditorium.

    Solo i detenuti liutai saranno alla Scala ad ascoltare i “loro” strumenti, come fossero figli loro, due addirittura saranno in palco reale assieme al sindaco Beppe Sala, al cardinale Josè Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione, alla vicepresidente del Senato Maria Domenica Castellone, al capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) Giovanni Russo, al direttore del carcere di Opera Silvio Di Gregorio, tutti lì alla pari. Il perché lo ha spiegato papa Francesco, per il quale nel 2022 ha suonato il primo violino costruito con le barche, quello del presepe mancato: «Quando entro in carcere mi faccio sempre una domanda: perché loro e non io? Avrei potuto agire peggio di loro», che forse sono stati sfortunati, o deboli, o hanno avuto una famiglia difficile. Aiutare i carcerati, ha ricordato Francesco ai volontari della Casa dello Spirito e delle Arti, «è una delle cose che Gesù dice che ci farà entrare in Cielo, ero carcerato e siete venuti a trovarmi. Ma resta quella domanda: perché loro e non io?».

    È la stessa domanda che vale per chi partì su quelle barche diventate orchestra, fossi nato nella loro guerra, piegato dalla loro miseria, non sarei partito anch’io?, conclude Arnoldo Mosca Mondadori. «Se ci fosse mio figlio su quel gozzo, vorrei che fosse rimpatriato in Libia in un campo di concentramento o pregherei perché venisse accolto con umanità nel Paese in cui è arrivato? Questa è la domanda dirimente che, chiunque noi siamo, dobbiamo onestamente farci. Tutta Metamorfosi si riassume in questo unico interrogativo».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/se-le-barche-diventano-un-orchestraalla-scala-lo-s
    #mémoire #embarcations #Méditerranée #migrations #réfugiés #naufrages #musique #instruments_de_musique #concert #Lampedusa #Orchestra_del_Mare #bois

    • #Metamorfosi

      Un progetto di progetti per trasformare il dolore in nuova speranza.

      «Metamorfosi» è un progetto della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti in collaborazione con il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria e l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli.

      Il progetto è reso possibile grazie a Fondazione Cariplo, Intesa Sanpaolo, Fondazione Peppino Vismara, Fondazione della Comunità di Monza e Brianza Onlus.

      Il progetto “Metamorfosi” è stato insignito della Medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 79° Festival del Cinema di Venezia durante il quale è stato proiettato il cortometraggio che racconta il progetto.

      Di fronte alla tragedia contemporanea che vede il Mar Mediterraneo come il più grande cimitero d’Europa e di fronte al dramma a cui stiamo assistendo quotidianamente di milioni di persone in fuga dalla guerra, la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti ha voluto pensare a un progetto culturale e di conoscenza a cui ha dato il nome di «Metamorfosi».

      “Metamorfosi” è innanzitutto un concetto che vuole richiamare l’attenzione verso ogni persona costretta a fuggire dal proprio Paese a causa di guerre, persecuzioni e fame.

      “Metamorfosi” perché la proposta di porre lo sguardo su questi temi avviene attraverso non solo una metafora, ma una vera e propria metamorfosi: quella del legno dei barconi, trasportati dal molo Favarolo di Lampedusa in alcune carceri italiane, che viene trasformato in strumenti musicali e oggetti di testimonianza di carattere sacro.

      «Metamorfosi» affinché le persone e soprattutto i giovani possano conoscere una realtà, quella dei migranti, che viene spesso rimossa, guardata con indifferenza o affrontata e raccontata in modo ideologico.

      “Metamorfosi” perché a trasformare il legno dei barconi provenienti da Lampedusa in oggetti di speranza sono le persone detenute che vengono coinvolte nel progetto.

      Come nasce l’idea

      L’idea del progetto “Metamorfosi” è nata nel dicembre 2021 quando, all’interno del Laboratorio di Liuteria e Falegnameria nella Casa di Reclusione Milano-Opera, progetto istituito dal 2012, la Fondazione ha chiesto al falegname di Lampedusa Francesco Tuccio, di portare dei legni per costruire dei presepi che, nel tempo della pandemia, potessero essere un segnale di speranza per tutti, credenti e non credenti.

      Presepi dunque realizzati, sotto la guida di Francesco Tuccio, dalle persone detenute con il legno di una tragedia contemporanea.

      Nell’ambito di questa iniziativa, con alcuni dei legni è stato costruito un violino, utilizzando una tecnica risalente al 1500, con la quale in Inghilterra venivano costruite le viole da gamba.

      Il violino realizzato produce un suono che ha stupito musicisti e esecutori per la sua limpidezza.

      Il musicista e compositore Nicola Piovani, quando per primo lo ha ascoltato, ha deciso di scrivere una composizione dal titolo “Canto del legno”, che è stata eseguita davanti al Santo Padre dal primo violino dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Carlo Parazzoli.

      Questo primo violino tratto dal legno dei barconi è stato chiamato “Violino del Mare”.

      La collaborazione con il Ministero dell’Interno e con l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli

      Da qui prende spunto la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti per chiedere all’ex Ministro degli Interni Luciana Lamorgese 60 imbarcazioni provenienti dal molo Favarolo di Lampedusa, affinché potessero essere creati, all’interno della Liuteria del carcere di Opera e di altre liuterie presenti in diverse carceri italiane, strumenti musicali: violini, viole e violoncelli per la nascita di una vera e propria “Orchestra del Mare”.

      Le imbarcazioni, grazie alla collaborazione con ADM, sono state trasportate da Lampedusa all’interno del carcere di Opera.

      Il progetto prevede di far suonare questi strumenti musicali ad orchestre italiane e straniere, portando con essi una cultura della conoscenza, dell’accoglienza e dell’integrazione, attraverso la bellezza e le armonie.

      Nello specifico, nel corso del 2022 sono stati costruiti, dalle persone detenute nelle diverse Case di Reclusione, un secondo violino, una viola e un violoncello; nel corso del 2023 saranno costruiti altri 6 violini e nel corso del 2024 saranno costruiti altri 8 strumenti ad arco.

      A coordinare la formazione e il lavoro delle persone detenute sono esperti liutai, come

      il liutaio Enrico Allorto che sta coordinando la Liuteria nel carcere di Opera.

      Strumenti musicali, Croci e Rosari

      Gli strumenti ricavati dai barconi trasportati nel 2022 da Lampedusa nelle diverse carceri, verranno dunque suonati dalle orchestre che aderiranno al progetto e viaggeranno, come segno di testimonianza, in Italia e all’estero. «L’Orchestra del Mare» è perciò un progetto di adesione e prenderà vita nel momento in cui gli strumenti ricavati dai barconi verranno di volta in volta suonati dalle orchestre che aderiranno al progetto. Un viaggio per testimoniare in Italia e all’estero, attraverso l’armonia, il dramma che vivono quotidianamente migliaia di persone migranti in tutto il mondo. Nel triennio 2022- 2024, insieme agli strumenti musicali che comporranno l’"Orchestra del Mare", nei Laboratori di Liuteria e Falegnameria all’interno delle carceri, verranno costruite migliaia di croci da donare alle scuole italiane. Inoltre, con lo stesso legno dei barconi, nel carcere di Monza e in quello di Rebibbia a Roma e con il coinvolgimento della Casa di Accoglienza Profughi Centro Astalli e l’Opera Cardinal Ferrari di Milano che accoglie persone senzatetto, saranno realizzati rosari che verranno donati al Santo Padre.

      La Rete delle Liuterie e Falegnamerie nelle carceri italiane

      Con l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli e il Dap, la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti nell’agosto 2022 ha firmato un Protocollo per la creazione di una Rete di Liuterie e Falegnamerie nelle carceri italiane al fine di dare al Paese un forte segnale di testimonianza che ponga al centro la cultura e la dignità della persona.

      Ad oggi, le Case di Reclusione coinvolte sono quelle di: Milano- Opera, Monza, Rebibbia e Secondigliano.

      In ogni laboratorio, attraverso la Cooperativa Casa dello Spirito e delle Arti, sono assunte dalle tre alle cinque persone detenute.

      L’obiettivo comune delle diverse Liuterie e Falegnamerie è, dunque, la creazione di strumenti musicali che andranno a comporre l’”Orchestra del Mare” e di oggetti dal forte significato simbolico e sacro come, appunto, croci e rosari.

      I liutai e i falegnami coinvolti nelle diverse carceri restano in comunicazione tra di loro per coordinare il lavoro delle persone detenute in coerenza con gli obiettivi del comune progetto “Metamorfosi”.

      Il percorso immersivo per gli studenti

      “Metamorfosi” è un progetto anche di conoscenza.

      Il percorso proposto alle scuole e alle Università si svolgerà, a partire dal 2023, nella Casa di Reclusione Milano-Opera, dove tre barconi sono stati posti all’interno del carcere formando quella che è stata chiamata la «Piazza del Silenzio». All’interno di questa piazza situata al centro del Carcere, i giovani potranno partecipare ad una visita guidata, con la testimonianza di persone migranti che hanno vissuto personalmente il viaggio sui barconi.
      Questa esperienza potrà essere replicata, a partire dal 2024, anche nelle altre quattro carceri in collaborazione con le scuole e le Università locali.

      I momenti del percorso

      Ciascuna uscita didattico - formativa è suddivisa in diversi momenti.

      Il primo momento è nella “Piazza del Silenzio”: un narratore introdurrà il tema partendo dall’immigrazione del passato, in particolare dal racconto dell’emigrazione italiana e di come la storia si ripeta con i suoi pregiudizi e i suoi luoghi comuni.

      Dopo questo momento introduttivo, è prevista la testimonianza diretta di una persona migrante.
      I ragazzi sono invitati poi a meditare, ognuno in silenzio su un testo diverso, sulle testimonianze scritte da persone migranti tratte dal libro “Bibbia e Corano a Lampedusa” (La Scuola editore).

      I musicisti della Piccola Orchestra dei Popoli (progetto della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti) accompagnano questo momento suonando gli strumenti realizzati nel Laboratorio, primo tra i quali il “Violino del Mare”.

      Nella seconda parte del percorso, i ragazzi vengono accompagnati nella Liuteria dove possono conoscere le persone detenute mentre lavorano nella costruzione degli strumenti musicali.

      Un ultimo momento del percorso è di carattere teorico e accademico sui temi cardine del progetto a cura del RiRes - Unità di ricerca sulla Resilienza del Dipartimento di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

      Ai ragazzi infine, è richiesto di restituire le loro emozioni, impressioni e riflessioni attraverso uno scritto personale.

      La Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti curerà una pubblicazione che racconterà l’esperienza, i pensieri e le emozioni degli studenti in collaborazione con l’Associazione Francesco Realmonte e il RiRes.

      Protocollo d’intesa tra la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti e il Museo del Violino di Cremona

      È stato condiviso tra la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti e il Museo del Violino di Cremona, un protocollo di intesa nel quale uno dei violini prodotti nel carcere di Opera, è entrato nella collezione permanente del Museo del Violino e viene utilizzato presso l’Auditorium del Museo, soprattutto per momenti di natura didattica rivolti alle scuole. In queste occasioni, non solo “il Violino del Mare” viene suonato ma viene anche raccontata la sua storia attraverso il racconto delle guide e le immagini che ne testimoniano la storia.

      https://casaspiritoarti.it/it/progetti/metamorfosi

      #douleur #espoir

  • Frontex and deportations, 2006-2022

    Data covering 17 years of Frontex’s deportation operations shows the expanding role of the agency. We have produced a series of visualisations to show the number of people deported in Frontex-coordinated operations, the member states involved, the destination states, and the costs.

    In August 2020 Statewatch published the report Deportation Union, to provide a critical examination of EU measures designed to increase the number of deportations carried out by national authorities and the European Border and Coast Guard Agency, Frontex. The report focuses on three key areas: attempts to reduce or eliminate rights and protections in the law governing deportations; the expansion and interconnection of EU databases and information systems; and the increased budget, powers and personnel awarded to Frontex. The infographics and data here build upon data compiled for that report, covering the period from 2006 to 2022.

    Data collection, compilation and visualisations by Ida Flik.

    A note on this update

    This article has been updated to include data for 2022 (the previous edition covered the years 2006 to 2021), but we filed an access to documents request with Frontex seeking data from 2006 up until the end of 2022. The information they provided for years prior to 2022 in some cases differs significantly from that used for the previous version of this article. There is, for example, some variation in the number of people deported to different destinations. There are also some substantial differences in the number of people deported, and some minor differences in the total number of operations conducted.

    Some of this may be due to errors on our part in compiling the data provided in the first place, which was released by Frontex in the form of non-machine readable PDFs that required substantal amounts of manual transcription. Shortcomings in the data released by Frontex also required that we make estimates for some figures, as we noted in the disclaimer in the dataset released with Deportation Union (available here).

    The biggest variations between the old figures and the new are visible in the data on the amount of money spent by Frontex on deportations. The data releaed in response to access to documents requests filed for this article shows amounts of expenditure that dwarf that shown in the data released following access to documents requests filed for the research for Deportation Union. To take just one example, the old data indicated that in 2015 the agency spent €11.2 million on deportations. The new data pushes that figure up to more than €67 million.

    These are not the only discrepancies in the Frontex data. The information released in response to requests filed for this article says the agency assisted in the removal of 9,919 people in EU territory in 2022, while Frontex’s own report on deportations in the second half of 2022 says that 13,684 people were returned in the months from July to December alone.

    We asked Frontex’s press office to explain the discrepancies and variations described here, but received no response.
    Deporting states and destination states

    This graphic provides a visual representation of the 15 EU member states most invested in Frontex’s deportation operations, and the 15 most popular destinations for those operations. Germany is by far and away the biggest user of Frontex’s services, and Albania the primary destination for Frontex-coordinated deportations.

    Deportations by year, EU member states and destination states

    This graphic makes it possible to examine in more detail the member states involved in Frontex-coordinated deportations to particular destinations. For example: Germany is the only state to have deported anyone to Azerbaijan via a Frontex-coordinated operation since 2019; it is also the only EU member state to have deported anyone to Bosnia via a Frontex coordinated operation since 2018.

    Frontex’s financial contributions to member states

    Member states can claim back from Frontex the costs they incur for participating in deportation operations coordinated by the agency. This graphic shows how much each participating member state has received each year. As the biggest user of Frontex-coordinated deportation operations, Germany remains by far the biggest recipient of these funds. The total it received in 2022 (more than €20.4 million) is lower than the 2021 total, but still a vast amount of money.

    Costs per deportee by destination state

    The financial cost of deporting somebody differs depending on the destination state, as shown in this chart. Burundi is now by far the most expensive destination state, though according to the figures provided by Frontex for this update there have been no Frontex-coordinated operations to that country since 2010. The change from last year (when Ethiopia was by far the most expensive destination, with the cost to remove one person to the east African state coming in at over €42,000) is presumably due to the changes in the data described above.

    Number of operations and people deported, by year and operation type

    This chart shows the number of people deported and the number of deportation operations, by year and operation type. For joint return operations (JROs), Frontex coordinates the actions of multiple member states who wish to deport people to one or more destinations. National return operations involve just one EU member state, but Frontex nevertheless plays a coordinating and financing role. Collecting return operations involve a plane and staff from the destination state travelling to the EU to pick up deportees.

    The updated data provided in 2022 contains the abbreviations VRD, VDO and “Humanitarian VR”. Frontex did not respond to questions on what exactly these stand for. “Humanitarian VR” is presumably “humanitarian voluntary return,” while the VR in VRD may also stand for voluntary return. However, the precise meaning cannot be confirmed without a statement from the agency.

    https://www.statewatch.org/analyses/2024/frontex-and-deportations-2006-22
    #renvois #expulsions #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #données #statistiques #chiffres #coût #budget #évolution #graphiques #visualisation

    • #18_aprile

      Erano partiti di notte da un porto vicino a Zwara, a ovest di Tripoli, in Libia. Quando alcune ore più tardi la balena aveva cominciato a inabissarsi in un mugghiare di metallo dopo aver urtato per una manovra sbagliata il mercantile portoghese che la Capitaneria di porto di Roma aveva inviato a soccorrerla, quelli rinchiusi nella stiva si erano ammassati gli uni sugli altri, arrampicandosi su quelli che avevano davanti e di fianco per cercare di raggiungere la botola, lassù in alto. In due si erano abbracciati in quell’inferno che era la sala macchine. “Lì dentro si sviluppa un calore tale che neanche il macchinista ci mette spesso piede”, raccontano i Vigili del fuoco che li avevano tirati fuori, un anno dopo. Persino in mezzo ai motori avevano ammassato 65 persone. I mercanti li avevano stipati in ogni interstizio, mille persone pigiate come bestie in 23 metri di barca, e li avevano spediti nel Mediterraneo con due litri d’acqua a testa e senza uno straccio di ancora perché anche il gavone di prua doveva servire per farcene entrare ancora, per aumentare il guadagno. Erano riusciti a metterne 5 per ogni metro quadro.

      –-

      Settecento chilometri senza mangiare
      Bevendo sputi, a farsi bruciare
      Da questo sole feroce riflesso dal mare
      Da questo vento che di giorno scortica e di notte gela
      E rimescola il freddo con la paura

      Che quest’acqua buia, infinita e cattiva
      È più salata dei conti che ci han fatto saldare
      Non cura la sete, marcisce le ossa
      E questa Italia non vuole arrivare
      Questa terra che non ci vuole non si fa trovare

      E questo sarcofago sul mare è un cimitero per ottocento
      Sulla tavola fredda e muta che non finisce di violentare
      A perdita d’occhio e di cuore

      Amore mio, che ti ho lasciata a patire
      Tra la fame, la sete e l’orrore
      Tra gli arti amputati spezzati calpestati
      Le bombe esportate
      I bambini soldati
      Amore mio ascoltami bene: tu non morire che ti vengo a salvare
      Appena finisce questo mare io ti vengo a salvare

      E a noi ricchi senza pudore
      Ce lo spiega la televisione
      Un mantenuto ignorante e cafone
      Con la felpa e il ghigno arrogante
      Ce lo spiega lui cosa dobbiamo pensare
      Di questa gente che prende il mare
      Per provare a non morire

      https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=67661&lang=it
      https://www.youtube.com/watch?v=BpCkiqp6zNs&t=64s


      #chanson #musique #musique_et_politique #naufrage #asile #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #18_avril_2015 #mourir_en_mer

      #commémoration #Libye #Méditerranée #mer_Méditerranée #Zouara

  • #Frontex, Cutro è un ricordo sbiadito: sorvegliare dall’alto resta la priorità

    Un anno dopo la strage, l’Agenzia europea della guardia di frontiera investe ancora su velivoli per sorvolare il Mediterraneo. Dal 2016 a oggi la spesa supera mezzo miliardo di euro. Una strategia dagli esiti noti: più respinti e più morti

    Frontex è pronta a investire altri 158 milioni di euro per sorvegliare dall’alto il Mediterraneo. A un anno dal naufragio di Steccato di Cutro (KR), costato la vita a 94 persone, la strategia dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee non cambia. Anzi, si affina con “occhi” sempre più efficaci per rintracciare e osservare dall’alto le imbarcazioni in difficoltà. “Si continua a pensare che Frontex sia un’innocua gregaria degli Stati, senza responsabilità -spiega Laura Salzano, docente di diritto dell’Ue presso l’Università di Barcellona-. Ma in mare, sempre di più, le sue attività hanno conseguenze dirette sulla vita delle persone”.

    Lo racconta, in parte, anche la strage di Cutro del 26 febbraio 2023. Alle 22.26 della sera prima infatti fu l’Agenzia, attraverso il velivolo “Eagle 1”, a individuare per prima la “Summer love” e a segnalarla, quand’era a circa 40 miglia delle coste crotonesi, al Frontex coordination centre. Da Varsavia le coordinate della nave furono girate alle autorità competenti: tra queste anche l’International coordination centre (ICC) di Pratica di mare (RM) in cui, allo stesso tavolo, siedono le autorità italiane e la stessa Agenzia che ha il dovere di monitorare quello che succede. “Nonostante fosse noto che c’erano persone nella ‘pancia della nave’ e il meteo stesse peggiorando, si è deciso di attivare un’operazione di polizia e non di ‘ricerca e soccorso’ -spiega Salzano-. Questa classificazione a mio avviso errata è responsabilità anche dell’Agenzia”. Un errore che potrebbe aver inciso anche sul ritardo nei soccorsi.

    Lo stabilirà la Procura di Crotone che, a metà gennaio 2024, non ha ancora chiuso le indagini sulla strage. Qualcosa di quanto successo quella sera, però, si sa già, perché il processo contro i presunti manovratori dell’imbarcazione è già in fase di dibattimento. “La prima barca della Guardia costiera -spiega Francesco Verri, avvocato di decine di familiari delle vittime- arriva sul luogo del naufragio alle 6.50, quasi tre ore dopo il naufragio: salva due persone ma recupera anche il cadavere di un bambino morto di freddo. Perché ci hanno impiegato così tanto tempo per percorrere poche miglia nautiche? Sulla spiaggia la pattuglia è arrivata un’ora e 35 minuti dopo il naufragio. Da Crotone a Cutro ci vogliono dieci minuti di macchina”. Domande a cui dovranno rispondere le autorità italiane.

    Al di là delle responsabilità penali, però, quanto successo quella notte mostra l’inadeguatezza del sistema dei soccorsi di cui la sorveglianza aerea è un tassello fondamentale su cui Frontex continua a investire. Con importi senza precedenti.

    Quando Altreconomia va in stampa, a metà gennaio, l’Agenzia sta ancora valutando le offerte arrivate per il nuovo bando da 158 milioni di euro per due servizi di monitoraggio aereo: uno a medio raggio, entro le 151 miglia nautiche dall’aeroporto di partenza (budget di 100 milioni), l’altro a lungo raggio che può superare le 401 miglia di distanza (48 milioni).

    https://pixelfed.zoo-logique.org/i/web/post/658926323750966119

    Documenti di gara alla mano, una delle novità più rilevanti riguarda i cosiddetti “Paesi ospitanti” delle attività di monitoraggio: si prevede infatti espressamente che possano essere anche Stati non appartenenti all’Unione europea. In sostanza: il velivolo potrebbe partire da una base in Tunisia o Libia; e, addirittura, si prevede che un host country liaison officer, ovvero un agente di “contatto” delle autorità di quel Paese, possa salire a bordo dell’aeromobile. “Bisogna capire se sarà fattibile operativamente -sottolinea Salzano-. Ma non escludere questa possibilità nel bando è grave: sono Paesi che non sono tenuti a rispettare gli standard europei”.

    Mentre lavora per dispiegare la sua flotta anche sull’altra sponda del Mediterraneo, Frontex investe sulla “qualità” dei servizi richiesti. Nel bando si richiede infatti che il radar installato sopra il velivolo sia in grado di individuare (per poi poter fotografare) un oggetto di piccole dimensioni a quasi dieci chilometri di distanza e uno “medio” a quasi 19. Prendendo ad esempio il caso delle coste libiche, più la “potenza di fuoco” è elevata più il velivolo potrà essere distante dalle coste del Nordafrica ma comunque individuare le imbarcazioni appena partite.

    La distanza, in miglia nautiche, che l’ultimo bando pubblicato da Frontex nel novembre 2023 prevede tra l’aeroporto di partenza del velivolo e l’area di interesse da sorvolare è di 401 miglia. Nella prima gara riguardante questi servizi, pubblicata dall’agenzia nell’agosto 2016, la distanza massima prevista era di 200 miglia

    Frontex sa che, oltre alla componente meccanica, l’efficienza “tecnica” dei suoi droni è fondamentale. Per questo il 6 e 7 settembre 2023 ha riunito a Varsavia 16 aziende del settore per discutere delle nuove frontiere tecnologiche dei “velivoli a pilotaggio remoto”. A presentare i propri prodotti c’era anche l’italiana Leonardo Spa, leader europeo nel settore aerospaziale e militare, che già nel 2018 aveva siglato un accordo da 1,6 milioni di euro per fornire droni all’Agenzia.

    L’ex Finmeccanica è tra le 15 aziende che hanno vinto i bandi pubblicati da Frontex per la sorveglianza aerea. Se si guarda al numero di commesse aggiudicate, il trio formato da DEA Aviation (Regno Unito), CAE Aviation (Stati Uniti) ed EASP Air (Spagna) primeggia con oltre otto contratti siglati. Valutando l’importo delle singole gare, a farla da padrone sono invece due colossi del settore militare: la tedesca Airbus DS e la Elbit System, principale azienda che rifornisce l’esercito israeliano, che si sono aggiudicate in cordata due gare (2020 e 2022) per 125 milioni di euro. Dal 2016 a oggi, il totale investito per questi servizi supera i cinquecento milioni di euro.

    “La sorveglianza è una delle principali voci di spesa dell’Agenzia -spiega Ana Valdivia, professoressa all’Oxford internet institute che da anni analizza i bandi di Frontex- insieme a tutte le tecnologie che trasformano gli ‘eventi reali’ in dati”. E la cosiddetta “datificazione” ha un ruolo di primo piano anche nel Mediterraneo. “La fotografia di una barca in distress ha un duplice scopo: intercettarla ma anche avere un’evidenza digitale, una prova, che una determinata persona era a bordo -aggiunge Valdivia-. Questa è la ‘sorveglianza’: non un occhio che ci guarda giorno e notte, ma una memoria digitale capace di ricostruire in futuro la nostra vita. Anche per i migranti”. E per chi è su un’imbarcazione diretta verso l’Europa è vitale a chi finiscono le informazioni.

    Nell’ultimo bando pubblicato da Frontex, si prevede che “il contraente trasferirà i dati a sistemi situati in un Paese terzo se è garantito un livello adeguato di protezione”. “Fanno finta di non sapere che non possono farlo -aggiunge Salzano- non potendo controllare che Paesi come la Tunisia e la Libia non utilizzino quei dati, per esempio, per arrestare le persone in viaggio una volta respinte”. Quello che si sa, invece, è che quei dati -nello specifico le coordinate delle navi- vengono utilizzate per far intervenire le milizie costiere libiche. Per questo motivo i droni si avvicinano sempre di più alla Libia. Se nel 2016 l’Agenzia, nella prima gara pubblicata per questa tipologia di servizi, parlava di area operativa nelle “vicinanze” con le coste italiane e greche, fino a 200 miglia nautiche dall’aeroporto di partenza, dal 2020 in avanti questa distanza ha superato le 401 miglia.

    Lorenzo Pezzani, professore associato di Geografia all’università di Bologna, ha esaminato giorno per giorno i tracciati di “Heron”, il più importante drone della flotta di Frontex: nel 2021 l’attività di volo si è concentrata tra Zuara e Tripoli, il tratto di costa libica da cui partiva la maggior parte delle barche.

    “Il numero di respingimenti delle milizie libiche -spiega Pezzani autore dello studio “Airborne complicity” pubblicato a inizio dicembre 2022- cresce all’aumentare delle ore di volo del drone e allo stesso tempo la mortalità non diminuisce, a differenza di quanto dichiarato dall’Agenzia”. Che tramite il suo direttore Hans Leijtens, entrato in carica a pochi giorni dal naufragio di Cutro, nega di avere accordi o rapporti diretti con la Libia. “Se è così, com’è possibile che un drone voli così vicino alle coste di uno Stato sovrano?”, si chiede Salzano. Chi fornirà il “nuovo” servizio per Frontex dovrà cancellare le registrazioni video entro 72 ore. Meglio non lasciare troppe tracce in giro.

    https://altreconomia.it/frontex-cutro-e-un-ricordo-sbiadito-sorvegliare-dallalto-resta-la-prior
    #migrations #réfugiés #frontières #militarisation_des_frontières #complexe_militaro-industriel #business #Méditerranée #mer_Méditerranée #Cutro #surveillance_aérienne #Leonardo #Elbit_System #Airbus #host_country_liaison_officer #radar #technologie #DEA_Aviation #CAE_Aviation #EASP_Air #Libye #gardes-côtes_libyens

  • Commémor’ action des Mort·es des frontières

    « Migrer pour vivre. Pas pour mourir »

    Depuis 2014, le 6 février est, à l’appel des familles de victimes des frontières la journée mondiale de commémor’action des mort·es des frontières. Une journée pour lutter contre les régimes faisant de la migration un périple trop souvent mortel et exiger la vérité, la justice et la réparation. Dans le Briançonnais, la frontière franco-italienne et le non-accueil ont encore fait au moins 3 mort·es en 2023.

    Les #affiches refusées dans les rues de Briançon :

    https://briancon-solidaire.org

    #commémoraction #commémoration #Briançon #morts_aux_frontières #mémoire #mourir_aux_frontières #migrations #asile #réfugiés #6_février #Hautes-Alpes #Briançonnais #lexique #mots #vocabulaire

  • #UK and France’s small boats pact and doubling in drownings ‘directly linked’

    Report says greater police presence on French beaches and more attempts to stop dinghies increases risks to refugees

    The most recent illegal migration pact between the UK and France is “directly linked” to a doubling of the number of Channel drownings in the last year, a report has found.

    The increased police presence on French beaches – along with more dinghies being stopped from reaching the coast – is leading to more dangerous overcrowding and chaotic attempts to board the boats, the paper said.

    The lives lost in 2023 – when the deal was signed – were close to the French shore and to police patrols on the beaches, in contrast to earlier Channel drownings such as the mass drowning on 24 November 2021, where at least 27 people lost their lives after their boat got into difficulty in the middle of the Channel.

    “We directly link the recent increase in the number of deadly incidents to the agreement between the British and French governments to Stop The Boats,” the report states.

    It adds that the increased police presence and their attacks on some of the migrants trying to cross “create panicked and dangerous situations in which dinghies launch before they are fully inflated”. This scenario can increase the risk of drowning in shallow water.

    The paper, named the Deadly Consequences of the New Deal to Stop the Boats, condemns what it describes as increased police violence as the most visible consequence of last year’s deal.

    The report compares data in the year before the March 2023 deal with last year’s data after the deal was signed.

    The data was analysed by the organisation Alarmphone, which operates an emergency helpline for migrants crossing the seas who get into distress, and passes on location and other information to rescue services.

    In 2022, six lives were lost at sea in three separate incidents. In 2023, at least 13 lives were lost in six separate incidents.

    The most recent incident was on 14 January this year where five people lost their lives near the beach of Wimereux, north of Boulogne-sur-Mer, as more than 70 people tried to board a dinghy.

    The BBC reported that two of those who drowned were Obada Abd Rabbo, 14, and his older brother, Ayser, 24, who lost their lives a few metres from the French coast when people rushed into the sea to try to board the dinghy.

    Crossings reduced by a third in 2023 compared with 2022. But there are indications more migrants are turning to lorries and other methods of transport to reach the UK as the clampdown on sea crossings increases.

    Incidents last year in which people lost their lives close to the French shore include:

    - 12 August 2023: six Afghan men drowned in an overloaded dinghy which got intro trouble close to the French shore

    - 26 September 2023: Eritrean woman, 24, died in Blériot-Plage after being asphyxiated in a crush of 80 people trying to board one dinghy

    - 22 November 2023: three people drowned close to Équihen-Plage as the dinghy collapsed close to the shore. Fifty-seven survivors returned to the beach.

    The report concludes that the UK/French deal has further destabilised an already dangerous situation while police are still unable to prevent most crossings on a busy day. It identifies “victim blaming” of those trying to cross by politicians.

    A Home Office spokesperson said: “Fatal incidents in the Channel are the result of dangerous, illegal and unnecessary journeys in unseaworthy craft, facilitated by criminals in the pursuit of profit.

    “Asylum seekers should seek protection in the first country where it is reasonable for them to do so and we continue to take robust action to crackdown on criminal gangs, deter migrants from making dangerous crossings and intercept vessels.”

    The French interior ministry was approached for comment.

    https://www.theguardian.com/uk-news/2024/jan/29/uk-france-small-boats-pact-doubling-drownings-directly-linked

    #Calais #France #asile #migrations #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #militarisation_des_frontières #rapport #létalité #risques #Manche #La_Manche #violences_policières #accord #Wimereux #Boulogne-sur-Mer #responsabilité #Angleterre

    • The deadly consequences of the new deal to ‘#Stop_the_Boats’

      There were more deadly incidents in the Channel in 2023 due to the new ’Stop the Boats’ deal. Increased funding for the French has meant more police, more violence on the beaches, and thus more of the dangerously overcrowded and chaotic embarkations in which people loose their lives.

      On 14 January 2024, around 2am CET, another five people were killed attempting to cross the Channel to the UK. Survivors report that their dinghy collapsed near the beach of Wimereux, north of Boulogne-sur-Mer, as more than 70 people tried to get onboard during the launch. The Préfecture maritime’s press release states the police forces present first tried rescuing the people returning to the beach, as rescue boats and a helicopter spotted four unconscious people in the sea. Later in the morning, a walker discovered a fifth body washed up on the beach. In addition to the five who died, one person was taken into intensive care in the Boulogne hospital due to severe hypothermia, and another 33 needed additional care ashore after the incident. The identities of those who died have not yet been officially published. Testimonies of survivors identify them as four Syrian nationals; two aged 14 and 16. The fifth person remains unidentified but is thought to be a man from the Middle East.

      This incident is the most recent in a disturbing trend we have observed develop over the latter part of 2023: an increase in the loss of life in the Channel very close to the French beaches and often in the presence of police.

      The increasing activities of French police since the newest Franco-British declaration in March 2023 have had two main consequences:

      - Fewer dinghies are reaching the French coast, causing dangerous overcrowding and chaotic embarkations;
      – More police attacks on the dinghies as they launch, provoking panic and further destabilising an already unsafe situation.

      The result has been not only more dangerous and deadly embarkations, but further injury and trauma for travellers at the hands of police, as well as the increased separation of families.

      In this report we show the evolution in state policy and practices which are responsible for this trend, while drawing attention to those who lost their lives as a result.
      More deadly incidents

      Since the start of 2023 there has been an alarming increase in the number of deadly incidents in the Channel compared with 2022. Of the 29 people1 known to have died at the Franco-British border last year according to Calais Migrant Solidarity, at least 13 lost their lives in six incidents related to sea crossings. This includes the shipwreck of 12 August in which six Afghan men drowned.2 This is significantly more than the six people known to have lost their lives in three events related to sea crossings in 2022.

      There is a common misperception that people most often die in the Channel far out to sea, when the search and rescue response is not properly initiated or help takes too long to arrive. This is understandable considering the shipwreck of 24 November 2021 where the UK and French coastguards refused to assist a group of more than 30 people, passing responsibility back and forth to one another. Only two people survived. The misperception may also have been bolstered by the shipwreck of 14 December, 2022 in which up to four people lost their lives, and more are still missing, despite the authorities being informed of their distress. See our analysis of what really happened here. However, as a result of their previous failures, the Coastguards have since improved their organisation, coordination, and resources for search and rescue missions on both sides of Channel. French boats routinely shadow dinghies as they make their way to the UK to be on hand to rescue if necessary, and the UK Border Force anticipate the arrivals and rescue people as they cross the borderline

      What we observed last year, however, is that the deadly incidents all happened despite the presence or near immediate intervention of French rescue boats, for example on 12 August, 15 December 2023 and 14 January 2024. Even more concerning is that they all occurred on or within sight of French shores. The cause in all of the cases seems to be the same; the dinghies being overcrowded and failing shortly after departure, or dangerous situations created by chaotic launches.
      2023 Deaths during sea crossing attempts
      12 August: 6 Afghan men drown after the sponson of their dinghy of around 65 people collapses off of Sangatte.

      36 survivors are taken to the port of Calais by the French coastguard, and 22 or 23 more are taken to Dover by the British coastguard. 2 people remain missing at sea.

      Survivors told us their dinghy was moving slowly because of the high number of people (65 or 66). One of the sponsons gave out suddenly and half of the travellers were thrown into the water. Some tried to swim to the shore as they reported they could still see Sangatte. The search and rescue operation included 5 French assets, 2 UK assets, a French helicopter and aeroplane. The search and rescue operation was not able to recover all the travellers because most of them were already in the water when the first vessel arrived on scene. Two survivors are in custody in France, accused of piloting the dinghy.
      26 September: A 24-year-old Eritrean woman dies in Blériot-Plage after being asphyxiated in a crush of 80 people trying to board one dinghy.

      Witnesses told us a group approached the dinghy at the last moment before it departed and attempted to get onboard too. The dinghy was already overcrowded and this intervention led to mass panic among travellers. We know of at least two Eritrean families who were separated as some were pushed out of the boat and others unable to leave due to physical pressure from the mass of people. Wudase, a 24 year old woman from Eritrea was unable to get out and died from asphyxiation, crushed underneath the other travellers. Her body was lowered from the boat and around 75 people continued their journey to arrive in the UK.
      8 October: A 23-year-old Eritrean man is found drowned in Merlimont, after 60 people in dinghy collapsed near the beach.

      Around 60 people tried to board a dinghy towards the UK but the craft was unable to take the weight of the people and collapsed. The travellers swam or waded back to the shore but one man, Meron, was unable to swim and drowned at the beach. The emergency services on scene were unable to resuscitate him.
      22 November: Three people drown off of Equihen-Plage as the dinghy collapsed in sight of the shore. 57 survivors return to the beach.

      Two bodies, one man, Aman and a woman, Mulu were recovered on scene. A third body, of Ezekiel, a man also from Ethiopia was found on the beach of Dannes on the 4th of December.
      15 December: One Kurdish man name Rawezh from Iraq drowns 8kms off the coast of Grand-Fort-Philippe after attempting to cross to the UK by sea. 66 other people are rescued.

      As a French Navy vessel military approached the dinghy at around 1am, the crew informed CROSS Gris-Nez that one of the dinghy’s tubes had deflated and that some people were in the water. Despite the fast response of the French, it was already too late to recover all of the people alive. Two young men Hiwa and Nima both Kurdish Iranian are still missing after the incident.
      15 December: A Sudanese man named Ahmed drowns.

      An overloaded boat struggled to leave from Sangatte’s beach amidst a cloud of tear gas launched by the French police. Some people fell into the water as the dinghy turned around due to a non-functioning engine. One young man from Sudan drowned, trapped under the collapsed dinghy, and died later from cardio-respiratory arrest in hospital.
      What changed?: dangerous deals

      We directly link the recent increase in the number of deadly incidents to agreements between the British and French governments to ‘Stop the Boats’. Since the introduction of juxtaposed border controls in the 1990s there has been intense cooperation between the French and British in attacking and harassing people on the move in Northern France to prevent and deter them from crossing to the UK. The UK gives huge sums of money to France to intensify its policing of the border in the North, and secure its ports. From 2014 to 2022 £319m was handed over according to the House of Commons Library. This included £150m in four deals between 2019 and 2022 focused on stopping boat crossings.

      This money paid for an increase of the numbers of gendarmes patrolling the coast under Operation Poseidon; more surveillance tech including night-vision goggles, drones, aeroplanes, and ANPR cameras on the roads; and several all-terrain vehicles for patrolling the beaches and dunes. This equipment has made the French police and gendarmes more effective at detecting stashed dinghies, engines, fuel and life-jackets as well as groups of people while they wait for several hours hidden in the dunes before a crossing. It also marginally increased their ability to disrupt departures on the beach, but they remained unable to prevent most on a busy crossing day. Additionally, the deals increased law enforcement cooperation and intelligence sharing between the French and British to dismantle the networks of those who organise the journeys, as well as disrupt their supply chains.

      Despite the vast sums put up by the British, previous deals were criticised for still not providing the French with enough resources to ‘Stop the Boats’. They also took place in a period of cooler relations between France and Britain in the post-Brexit period of Johnson’s premiership when the French may have been less enthusiastic about being Britain’s border police. Last March, however, both governments doubled-down and made a new declaration in which the UK promised £478m to the French over three years for 500 more police, a new detention centre, and more surveillance capacity ‘to enable swifter detection of crossing attempts’ and ‘monitor a larger area of northern France and prevent more crossings’. It is after this deal that we have really noticed an uptick in the numbers of police interventions to stop dinghies being delivered to the coast, violence on the beaches (and sometimes at sea) to stop them launching, and by consequence the number of deadly incidents occurring at or near the shores.
      Consequences of the new deal
      1: Dangerously overcrowded dinghies

      Despite the fewer overall number of people crossing in 2023 compared to 2022, each dinghy making the trip was more crowded than in any previous year.

      Illustrated in the graphs above, the 47 days with the highest average number of people per dinghy ever all took place in 2023. The highest, 26 September 2023, had an average over 70, and there were 27 days with 56 or more people per dinghy, with all except one being after June. By comparison, the highest average day in 2022 saw not-quite 53 people per dinghy. These averages do not show the actual figures of each dinghy which have recently been stretching to more than 70, and sometimes 80. Meanwhile the number of crossings on any given day has gone down.

      A key factor driving this overcrowding are the police operations against the logistical networks to organise the dinghies used for crossings, which stretch as far as Turkey and other European countries like Germany. The vehicles and drivers which do the deliveries to the French coast during periods of good weather are also targeted by police on the coastal roads. The UK government recently boasted that in 2023 246 people were arrested as ‘people smugglers’ and an international operation led to the seizure of 136 dinghies and 46 outboard motors.

      These attacks on the supply chain, however, do not reduce the overall demand. They simply mean there are fewer total vessels for the overall number of passengers. It has been observed that, with fewer boats reaching the shores on a crossing day, people who are expecting to travel try to force their way onto any dinghy that has been delivered and inflated. This had led to one person being crushed to death inside a dinghy as well as others being pushed out into the sea. It also means that the extremely overcrowded dinghies are failing close to the French shores, like in the case of 12 August 2023.
      2: Increased police violence

      Increased police violence on the French beaches is the most visible consequence of the new ‘Stop the Boats’ deal, and exacerbates the dangers of already overcrowded embarkations.

      In previous years, the fewer numbers of police patrolling the beaches were unable to deal with the large groups of people who gathered during a dinghy launch, and many times they chose to look on rather than intervene. They also had difficulties to cover the whole stretch of coastline between Belgium and Berck. Now with more aerial support, double the number of officers, and increased resources like dune buggies the police are more able to intervene at the moment of departure. Typically they will fire tear gas at the people to try and disperse them and then use knives to slice the dinghy. We have also been told about policing using ‘less-lethal’ grenades and wading into the sea to cut a dinghy as people try to board it and start the motor.

      The police’s presence and their attacks create panicked and dangerous situations in which dinghies launch before they are fully inflated and in which people have to scramble on board whilst in water up to their necks. During these moments people have drowned in the shallow water like on 8 October, and families have been separated like on 26 September 2023. The danger of the police attacks compounds that of overcrowding. It is now common to observe chaotic embarkations where more than 70 or even 80 people all try at once to get on an inflatable of just a few meters length while the police try to stop them. We have also been told that if the police do successfully destroy a dinghy as it launches the would-be travellers will look to get onboard another rather than give up, again increasing the risks of overcrowding.

      The British authorities have proudly acknowledged the increased violence, publicising a French police officer’s bodycam video where we see tear gas being used indiscriminately against a group of people which we know included those in a situation of vulnerability. In a statement celebrating the fact that two people shown in the video trying to hold the violence of the police at bay were arrested and jailed in the UK, the Home Office states:

      “Tension on French beaches is increasing due to the successful efforts of law enforcement in frustrating this organised criminal enterprise. Incidents like this highlight the complex and brave work of our French colleagues in the face of challenging conditions.”

      Despite the increased violence on the shore, for now, it still appears that the policy of the French is to not intervene to stop the boats once they are at sea and underway. This illustrates a clear contradiction between the apparent concern for safety of life while at sea, and creating extremely dangerous situations for people by attacking their dinghies as they launch.
      No borders, not ‘Stop the Boats’

      The hypocrisy of the French and British governments is that their increased border policing activities, which they sanctimoniously describe as protecting people who have to travel to the UK by boat, have only made their crossings more dangerous. Unfortunately it seems these policies will only continue over the coming years, evidenced by the three year funding agreement from March. We must then expect only more victim blaming and lies for each death in the coming years that will occur as a result. The people who continue to have to make this journey, denied access to the safe ferries and trains the rest of us are able to take, are being sacrificed for the sake of politicians’ electoral ambitions. What those politicians understand, but do not want to admit, is that it is impossible to ‘stop the boats’ so long as the border exists. Further militarisation and police intervention will only increase the number of people who die, as we have been seeing. How far the states will go in pursuing their policies of harm and death in the name of protecting their border remains to be seen. In the meantime we must continue doing all we can to not only present them the account of the consequences for their obstinance, but practically organise against it, together with those who already doing so.

      https://alarmphone.org/en/2024/01/28/the-deadly-consequences-of-the-new-deal-to-stop-the-boats
      #Alarmphone #Alarm_phone #bateaux #statistiques #chiffres

    • Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

      Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

      https://seenthis.net/messages/1039671

  • L’#UNRWA a été créé parce que l’état sioniste et ses appuis avaient refusé que les réfugiés palestiniens soient pris en charge par l’ « Agence des Nations Unies pour les #réfugiés » (#HCR).

    In waging war on the UN refugee agency, the West is openly siding with Israeli genocide
    https://www.jonathan-cook.net/blog/2024-01-30/war-un-refugee-israel-genocide

    UNRWA is separate from the UN’s main refugee agency, the UNHCR, and deals only with Palestinian refugees. Although Israel does not want you to know it, the reason for there being two UN refugee agencies is because Israel and its western backers insisted on the division back in 1948. Why? Because Israel was afraid of the Palestinians falling under the responsibility of the UNHCR’s forerunner, the International Refugee Organisation. The IRO was established in the immediate wake of the Second World War in large part to cope with the millions of European Jews fleeing Nazi atrocities.

    Israel did not want the two cases treated as comparable, because it was pushing hard for Jewish refugees to be settled on lands from which it had just expelled Palestinians. Part of the IRO’s mission was to seek the repatriation of European Jews. Israel was worried that very principle might be used both to deny it the Jews it wanted to colonise Palestinian land and to force it to allow the Palestinian refugees to return to their former homes. So in a real sense, UNRWA is Israel’s creature: it was set up to keep the Palestinians a case apart, an anomaly.

    Nonetheless, things did not go exactly to plan for Israel. Given its refusal to allow the refugees to return, and the reluctance of neighbouring Arab states to be complict in Israel’s original act of ethnic cleansing, the Palestinian population in UNRWA’s refugee camps ballooned.

  • Migranti, patto Italia-Albania : sì dalla Corte costituzionale albanese all’accordo

    Cinque giudici supremi su nove non si oppongono all’intesa Roma-Tirana sui centri temporanei di accoglienza. Ora l’ultimo passaggio parlamentare in Albania, poi l’implementazione dell’accordo

    La Corte costituzionale albanese vota a favore dell’accordo per la realizzazione dei centri di accoglienza dei migranti siglato dai governi italiano e albanese. A sostenerlo è una nota della Consulta che conferma così le anticipazioni del Corriere.

    La decisione

    Secondo le fonti 5 giudici – su 9 – della Consulta locale hanno stabilito che l’intesa siglata a Roma dai premier Giorgia Meloni ed Edi Rama risulta «conforme» alla costituzione albanese. Dopo questo pronunciamento ora è atteso un veloce passaggio parlamentare per approvare l’accordo.

    Le motivazioni

    «La Corte ha valutato che il “protocollo sulla migrazione” non stabilisce confini territoriali e neppure altera l’integrità territoriale della Repubblica d’Albania, pertanto non costituisce un accordo relativo al territorio dal punto di vista fisico», si legge nella nota ufficiale. E ancora: «La Corte ha valutato che nelle due zone in cui agisce il protocollo, si applica il diritto albanese, oltre al diritto italiano» e che «la Corte ha constatato che per i diritti e le libertà umane opera una giurisdizione duplice, il che significa che la giurisdizione italiana nelle due zone in questione non esclude la giurisdizione albanese». L’accordo, poi, «non crea nuovi diritti e libertà costituzionali e non impone restrizioni aggiuntive ai diritti e alle libertà umane esistenti, al di là di quanto previsto dall’ordinamento giuridico albanese».

    Il patto

    Lo scorso novembre Meloni e Rama hanno siglato l’intesa che prevede la realizzazione in Albania di due centri per l’identificazione e l’accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo. La prima struttura, quella di «registrazione», secondo l’accordo dovrebbe sorgere al porto di Shëngjin, nel nord del Paese, mentre nell’entroterra dovrebbe essere costruito un centro di permanenza a Gjadër. Tirana si è offerta di accogliere fino a 3 mila migranti in attesa di sapere se possono mettere piede nel territorio italiano o devono essere rimpatriati, il tutto a spese di Roma. Il protocollo ha una validità di cinque anni, prorogabili automaticamente di altri cinque in assenza di rilievi da parte italiana o albanese.

    Il ricorso

    L’accordo era stato però fortemente osteggiato dall’opposizione albanese che, dopo aver raccolto le firme necessarie, aveva portato il patto Roma-Tirana alla Corte costituzionale. Il 13 dicembre scorso i giudici albanesi hanno ammesso il ricorso e lo scorso 18 gennaio hanno iniziato a esaminarlo. Due i punti da chiarire, in particolare: il presunto mancato rispetto della procedura di negoziazione e firma e la possibile violazione dei diritti umani.

    Il voto

    Negli ultimi giorni la Consulta ha poi ricevuto ulteriori documenti dalla parte ricorrente – oltre alle «memorie» difensive del governo – e dopo diverse ore di confronto, anche acceso, 5 giudici non muovono obiezioni all’accordo, gli altri 4 sì.

    https://www.corriere.it/politica/24_gennaio_29/migranti-patto-italia-albania-si-corte-costituzionale-albanese-all-accordo-

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres #cour_constitutionnelle #justice #accord

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Accordo Meloni-Rama: via libera della Corte costituzionale albanese

      Con cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte costituzionale albanese ha convalidato il protocollo stipulato tra il premier Rama e la sua omologa Meloni sulla creazione di centri di accoglienza per migranti sul suolo albanese

      Ieri pomeriggio (29 gennaio) la Corte costituzionale albanese si è pronunciata sulla conformità del protocollo bilaterale stipulato il 6 novembre scorso sul trasferimento dei migranti nei centri situati a Gjadër e presso il Porto di Shëngjin.

      Il protocollo “è conforme alla Costituzione” cita il comunicato stampa della Corte, dando così il via libera al processo di ratifica da parte del Parlamento.

      Nella sua argomentazione, la Corte sostiene che il protocollo non incide sull’integrità territoriale dell’Albania sotto l’aspetto fisico. Nelle due aree previste per l’accoglienza dei migranti vige la giurisdizione albanese, oltre a quella italiana. Rimangono inoltre in vigore le norme del diritto internazionale in materia di migrazione e diritto di asilo, le cui convenzioni sono già ratificate da entrambi i paesi.

      La firma del protocollo tra i due premier si basa sul trattato di amicizia stipulato tra i due paesi nel 1995, il quale secondo la Corte funge da accordo quadro che permette al governo albanese di non necessitare della previa concessione di un mandato plenipotenziario di negoziazione da parte del Presidente della Repubblica.

      Il ricorso per incostituzionalità è stato presentato il 6 dicembre scorso da 30 deputati dell’opposizione provenienti dalle file del Partito Democratico e del Partito della Libertà.

      A seguito del pronunciamento della Corte, immediata è stata la reazione del promotore del ricorso, l’onorevole Gazment Bardhi sui social, il quale ha dichiarato : “Negare la trasparenza e soprattutto eludere l’opportunità di un parere consultivo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono una chiara indicazione che la Corte costituzionale ha perso fin dall’inizio l’opportunità di fare giustizia su questo caso”.

      Non sono mancate neanche le reazioni da parte delle organizzazioni della società civile. “La Corte costituzionale ha ignorato il fatto che sull’accordo non sono stati consultati i cittadini, soprattutto gli abitanti di quelle aree, e non sono stati nemmeno interpellati i gruppi di interesse”, recita il comunicato di Qëndresa Qytetare (Resistenza civica), associazione civica attiva nella promozione dei diritti dei cittadini.

      In segno di protesta, un gruppo di giovani ha deposto simbolicamente una corona di fiori all’ingresso della Corte costituzionale, per simboleggiare il “decesso” della giustizia.

      Nelle prossime settimane verrà pubblicata la decisione della Corte sulla Gazzetta Ufficiale, dando così il via al processo di ratifica da parte del Parlamento. Il Partito Socialista al governo detiene attualmente la maggioranza di 74 deputati sui 140 complessivi.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Accordo-Meloni-Rama-via-libera-della-Corte-costituzionale-albanese-2

    • Albanie : la Cour constitutionnelle approuve l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile

      Bloqué par une procédure judiciaire, l’accord migratoire entre Rome et Tirana a finalement obtenu le feu vert de la Cour constitutionnelle albanaise. D’ici quelques mois, l’Albanie accueillera donc deux centres d’accueil pour les demandeurs d’asile secourus dans les eaux italiennes, malgré les nombreuses critiques visant le projet.

      Feu vert pour le projet italien. Lundi 29 janvier, la Cour constitutionnelle albanaise a approuvé la construction dans le pays de deux centres d’accueil pour les migrants secourus dans les eaux italiennes. L’accord entre Tirana et Rome « ne nuit pas à l’intégrité territoriale de l’Albanie », a tranché la Cour, faisant fi des nombreuses critiques d’ONG et de l’opposition albanaise qui l’avait saisie estimant que l’accord « violait la Constitution albanaise ».

      « Nous ne vendons pas un morceau de terre de l’Albanie », s’est défendu dans une interview à l’AFP le ministre albanais de l’Intérieur, Taulant Balla. « Nous offrons ces terres à l’Italie comme nous le faisons habituellement lorsque nous établissons une ambassade ».

      Cet accord ne nuit pas non plus, selon le communiqué de la Cour, « aux droits humains et aux libertés », et est « conforme à la Constitution albanaise ». Il doit maintenant être ratifié par le Parlement, ce qui devrait être une formalité puisque le Premier ministre et signataire de l’accord, le socialiste Edi Rama, y dispose d’une majorité.

      https://twitter.com/ecre/status/1752248412777353397

      Signé en novembre entre les deux pays, le texte prévoit l’ouverture d’un centre dans le port de Shëngjin (nord), servant à l’enregistrement des demandeurs d’asile. La structure sera construite sur un périmètre d’environ 240 mètres, et sera entouré d’une clôture de 4 mètres de haut, rehaussée de barbelés. Le centre de Gjader, lui, hébergera les migrants dans l’attente d’une réponse à leur demande d’asile.

      Ces deux centres qui seront gérés par l’Italie sur le territoire d’un pays qui ne fait pas partie de l’Union européenne (UE) - mais y aspire - pourront accueillir jusqu’à 3 000 migrants arrivés en Italie par voie maritime.
      Entre 650 et 750 millions d’euros

      Avec ce traité, les migrants récupérés en mer ne débarqueront pas en Italie, et ne fouleront même pas son sol. Ils seront directement emmenés vers les ports albanais. Rome contourne ainsi la responsabilité légale d’accueil qui lui incombe lorsqu’un demandeur d’asile est secouru sur son territoire, maritime en l’occurrence.

      En Italie, l’accord, avant même son éventuelle entrée en vigueur, a suscité de très nombreuses critiques. « Publicité électorale » en vue des élections européennes de juin, « inutile et coûteux », « inhumain et illégitime » : les députés d’opposition italiens n’ont pas manqué de dénoncer durement cet accord au cours du débat parlementaire.

      Ils en ont également critiqué le coût, estimé entre 650 et 750 millions d’euros sur cinq ans. Les dépenses pour la construction de ces deux centres et des infrastructures nécessaires, pour leur fonctionnement, pour la sécurité ainsi que pour les soins médicaux des demandeurs d’asile seront en effet couvertes à 100% par la partie italienne, selon les autorités albanaises.

      Un coût prohibitif qui s’ajoutent aux nombreuses critiques d’ONG et d’institutions contre le projet. L’International Rescue Committee (IRC) a fustigé un accord « déshumanisant », quand Amnesty International dénonçait une « proposition irréalisable, nuisible et illégale ».

      Le Conseil de l’Europe, lui, avait considéré en novembre que ce « régime d’asile extraterritorial se caractérise par de nombreuses ambiguïtés légales ». Il risque « d’aboutir à un traitement différent entre ceux dont les demandes d’asile seront examinées en Albanie et ceux pour qui cela se déroulera en Italie », avait estimé la commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatovic dans un communiqué.

      Cela n’a pas empêché les députés italiens d’adopter le projet le 24 janvier, par 155 voix pour et 115 contre, avec deux abstentions. Le Sénat, où la coalition ultraconservatrice au pouvoir de Giorgia Meloni dispose d’une large majorité parlementaire, devrait aussi l’approuver sans difficulté.
      Faciliter les expulsions

      Le nombre de personnes tentant de rejoindre l’Europe via l’Italie a beaucoup augmenté l’an dernier. Selon le ministère italien de l’Intérieur, 157 652 personnes ont débarqué sur les côtes italiennes en 2023, contre 105 131 en 2022.

      Depuis quelques mois, Rome multiplie donc les mesures pour dissuader les exilés de débarquer sur son sol. Le 28 novembre, la Chambre des députés a voté à la majorité le décret Cutro 2, qui fixe notamment les conditions d’hébergement des exilés sur son sol. Avec la nouvelle législation par exemple, toute personne reconnue coupable, même avec une peine non définitive, de blessures corporelles sur des individus mineurs ou infirmes ne pourra entrer en Italie.

      Aussi, le délai de recours contre l’expulsion d’un étranger titulaire d’un titre de séjour de longue durée dans l’Union européenne est réduit de 30 à 15 jours.

      Le 24 septembre, un centre d’hébergement flambant neuf a par ailleurs été inauguré à Pozzallo en Sicile. Il accueillera uniquement les exilés provenant de « pays sûrs », qui ont donc très peu d’espoir d’obtenir une protection en Italie. Objectif affiché de cette nouvelle structure ? Accélérer le traitement des demandes d’asile, et donc les expulsions.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/54855/albanie--la-cour-constitutionnelle-approuve-laccord-avec-litalie-sur-l

    • La Corte costituzionale albanese approva il Protocollo Meloni-Rama con un voto politico, ma contro la legislazione dell’Unione Europea

      1. Le notizie di agenzia diffuse in Italia non hanno fornito le motivazioni del voto della Corte Costituzionale albanese che, a stretta maggioranza (5 contro 4), ha dichiarato che il Protocollo Italia-Albania sulla esternalizzazione delle procedure di identificazione e asilo non viola la Costituzione albanese. Una decisione che non chiude affatto la questione della conrarietà del Protocollo con la legislazione dell’Unione Europea e con principi altrettanto rilevanti e di immediata applicazione sanciti dalla Costituzione italiana. Rimane poi una consistente parte dei parlamentari albanesi, oggi all’opposizione, che continua a ritenere che non sia stata rispettata la procedura per la negoziazione e la stipula dell’accordo, in quanto il suo oggetto rientrerebbe nella categoria di accordi che necessitano dell’autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 121, co. 1, lett. a) e b) della Costituzione, in quanto riguarda questioni di territorialità e diritti fondamentali. Se la decisione della Corte Costituzionale albanese sembra escludere la necessità della autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica, rimane aperta, anche in Albania la questione della possibile lesione dei diritti fondamentali della persona nei due nuovi centri che l’Italia dovrebbe aprire e gestire sotto giurisdizione italiana in territorio albanese.

      La ratifica del Protocollo da parte della Camera dei deputati in Italia ha lasciato aperte questioni che neppure la Corte costituzionale albanese ha risolto. Il riconoscimento dell’Albania non solo come “paese terzo sicuro”, ma come territorio nel quale si dovrebbe esercitare la “giurisdizione italiana”, non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      La Direttiva “rimpatri” 2008/115/CE si applica esclusivamente ai “cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare” (art.2). salva la possibilità di deroga nei casi di respingimento in frontiera, nel rispetto del principio di non refoulement (art.33 Conv. Ginevra 1951), delle procedure e delle garanzie fissate dall’art. 13 del Codice frontiere Schengen e in ogni caso dei divieti di respingimento collettivo richiamati anche dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Secondo il vigente Regolamento Dublino n.604/2013, “ Ogni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE”. La norma fa però riferimento a persone che comunque abbiano già uno status di richiedente asilo. Al riguardo la direttiva procedure appena citata individua chiaramente come ambito di applicazione il territorio degli Stati membri. In particolare, l’articolo 3 della direttiva 2013/32/UE (procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) prevede che la direttiva si applichi “a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri” e che invece non si applichi “alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri”. Analogamente, l’articolo 3 della direttiva 2013/33/UE (norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) prevede che la direttiva si applichi a “tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali, o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio inqualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale” e che la direttiva non si applica invece “alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri”.

      Non si può neppure ritenere che il Protocollo firmato da Giorgia Meloni e da Edi Rama si collochi al di fuori del diritto dell’Unione europea, come pure era stato rilevato da qualche esponente della Commissione a Bruxelles, perchè se si arrivasse a questa conclusione la discriminazione tra le persone soccorse in acque internazionali e sbarcate in Albania, rispetto a quelle salvate nelle stesse acque internazionali, sempre da navi militari italiane, risulterebbe incompatibile con il principio di non discriminazione, affermato nella Costituzione italiana (art.3), nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nella Convenzione europea sui diritti dell’Uomo. Come rileva la stessa Commissione europea, peraltro, al Protocollo “si applicano le leggi italiane, che comunque devono rispettare quelle comunitarie”.

      In ogni caso, non si può valutare il Protocollo Italia-Albania, e il relativo Disegno di legge di ratifica in Italia, come se il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo approvato con una intesa politica dal Conisglio dell’Unione Europea del dicembre dello scorso anno, fosse già un atto legislativo. Si deve dunque considerare ancora come termine di paragone la vigente legislazione europea, comprensiva anche della Direttiva rimpatri 2008/115/CE e del Regolamento Dublino n. 604/2013, che non sono stati ancora sostituiti, modificati o rifusi secondo le norme più restrittive che si vorrebbero introdurre con il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, concordato tra rappresentanti del Consiglio, e del Parlamento pochi mesi fa, ma ancora privo di qualsiasi valenza normativa.

      2. Come al solito le notizie sui fatti reali, dunque sulla reale portata della sentenza della Corte costituzionale albanese sono assai rare ma, per quanto accessibili, possiamo riprendere le poche fonti di informazione che hanno riportato i contenuti della decisione dei giudici albanesi, mentre in Italia si è rimasti al livello della propaganda politica a favore, o contro i partiti di governo. Partiti che nel parlamento italiano hanno una tale maggioranza da fare approvare tutti i provvedimenti che varano, anche nelle forme semplificate dei decreti legge, che di fatto espropriano le assemblee elettive, grazie anche al ricorso sistematico al voto di fiducia, di quel potere di controllo sull’esecutivo che rimane l’ultima traccia di un pluralismo democratico che oggi in Italia, come del resto in altri paesi europei, e nella stessa Albania, non esiste più. E la vicenda del Protocollo Italia-Albania lo conferma in pieno, sempre che poi dai progetti di legge e dalle campagne elettorali si passi ai fatti. E dunque alla realizzazione delle due grandi strutture di accoglienza/detenzione che il Protocollo prevede siano costruite in Albania e gestite “sotto la piena giurisdizione italiana”, anche se ormai è chiaro che sarà necessario ricorrere al concorso delle forze di polizia albanesi, quantomeno per i trasferimenti in territorio albanese e per le procedure di rimpatrio forzato dagli aeroporti di quel paese.

      Secondo quanto riferito dal sito “Politiko”, la Corte costituzionale albanese ha ritenuto che “il diritto internazionale vincolante per la Repubblica d’Albania, relativo alle questioni relative all’immigrazione e all’asilo, è applicabile anche dalle autorità italiane a causa della ratifica degli accordi internazionali da parte della Repubblica d’Italia. In base a questa analisi, la Corte non non ha messo in dubbio l’esistenza della responsabilità dello Stato albanese per le questioni regolate dal Protocollo sulle Migrazioni, che trae origine non solo da norme costituzionali, ma anche dal diritto internazionale che regola la responsabilità degli Stati nell’ambito della sua attuazione extraterritoriale”. La Corte Costituzionale albanese ha quindi ritenuto che “in materia di diritti e libertà dell’uomo opera una doppia giurisdizione, il che significa che la giurisdizione italiana nei due ambiti in questione non esclude la giurisdizione albanese,”

      Sulla base di questa considerazione, come riferisce la stessa fonte, la Corte Costituzionale albanese è giunta alla conclusione che il Protocollo sulle migrazioni non rientra nella categoria degli accordi internazionali previsti dalla lettera b) del punto 1 dell’articolo 121 della Costituzione perché, in sostanza, non crea nuovi diritti e libertà costituzionali, né comporta ulteriori restrizioni ai diritti umani e alle libertà esistenti, oltre a quelle previste dall’ordinamento giuridico albanese. E dunque, “tenendo conto che da un lato la questione costituzionale in esame costituisce una innovazione nella giurisprudenza albanese, in particolare per la nozione di accordo internazionale sotto il profilo giurisdizionale relativo alla sovranità, e dall’altro il Protocollo sulla Migrazione non afferma in una qualsiasi delle sue disposizioni che il governo albanese è privato della giurisdizione sul territorio albanese, la Corte ha analizzato se il governo albanese disponesse dei poteri adeguati per la negoziazione e la firma del protocollo in questione. A questo proposito, “la Corte ha valutato che il Trattato di Amicizia e Cooperazione tra la Repubblica d’Albania e la Repubblica Italiana, del 1995, costituisce un accordo quadro internazionale che, ai sensi dell’articolo 180 della Costituzione, si considera ratificato ai sensi della Costituzione e costituisce base sufficiente per il Protocollo sulla migrazione dovrà essere negoziato con l’autorizzazione del Primo Ministro e poteri conferiti dal Ministro degli Affari Esteri, nonché firmato dallo stesso Primo Ministro. Per questi motivi, la Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania, in base agli articoli 131, comma 1, lettera “b” e 134, punto 1, lettera “c”, della Costituzione, nonché degli articoli 52 e 52/a , lettera “a”, della legge n. 8577 del 10.02.2000 “Sull’organizzazione e il funzionamento della Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania”, decide a maggioranza che il Protocollo tra il Consiglio dei Ministri della Repubblica d’Albania e il Governo della Repubblica italiana, “Sul rafforzamento della cooperazione nel campo dell’immigrazione”, è conforme alla Costituzione consentendo la sua ratifica da parte dell’Assemblea. Secondo quanto riportato dalla stessa fonte, “La decisione finale sarà resa motivata entro i termini di legge previsti dalla legge n. 8577 del 10.02.2000 “Sull’organizzazione e il funzionamento della Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania”, come modificato dal Regolamento sulle procedure giudiziarie della Corte Costituzionale. In base all’articolo 52/a, comma 2, della legge organica, la decisione finale è comunicata al Presidente, all’Assemblea e al Consiglio dei ministri ed è inviata per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La decisione definitiva entra in vigore al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e con l’entrata in vigore decade automaticamente la misura sospensiva”.

      3. Fatta la dovuta riserva sulla mancanza di una decisione finale e di un iter parlamentare che in Albania, a differenza di quanto successo in Italia, non si presenta affatto agevole, anche alla luce della strettissima maggioranza con cui la Corte costituzionale albanese ha dato via libera all’approvazione della legge di ratifica del Protocollo Meloni-Rama, le motivazioni della decisione dei giudici albanesi fin qui trapelate sembrerebbero corrispondere alle integrazioni apportate in Italia, in sede di ratifica del Protocollo, con una aggiunta importante sulla doppia giurisdizione, italiana e albanese, alla quale sarebbero sottoposti i due centri di accoglienza/detenzione, ammesso che si riesca ad aprirli, a Shengjin porto nel quale dovrebbe effettuarsi la identificazione e la selezione delle persone migranti e a Gijader struttura ubicata nella regione più interna del paese. Dove si dovrebbe realizzare la coesistenza, all’interno dell’area concessa all’Italia dalle autorità albanesi, di una parte destinata ad Hotspot, per le procedure accelerate in frontiera, ed una parte destinata a funzionare come centro per i rimpatri (CPR), alle quali dovrebbe aggiungersi una terza sezione destinata a carcere vero e proprio per quei migranti che si dovessero rendere responsabili di reati all’interno delle altre strutture. Insomma persino un carcere di alta sicurezza, il tutto formalmente sotto giurisdizione italiana, ma apprendiamo adesso dalla legge di ratifica in Italia, e dalla Corre costituzionale albanese, anche sotto la legislazione albanese, non sappiamo con quale compatibilità con il dettato della Costituzione italiana.

      La previsione che i centri in Albania, e dunque le persone che ci saranno deportate, potranno essere soggette alla legislazione, e dunque alla giurisdizione “europea, italiana ed albanese” costituisce soltanto un sotterfugio per aggirare gli ostacoli che venivano da parte albanese per la ratifica del Protocollo, di fronte alla previsione di una “piena giurisdizione italiana” da esercitare in territorio albanese, come hanno affermato da mesi i politici italiani, ma la soluzione inventata per quadrare il cerchio solleva problemi di compatibilità con il diritto internazionale dei rifugiati, con le normative europee vincolanti (alle quali l’Albania non è tenuta) in materia di procedure di protezione internazionale e di rimpatri forzati, e con le norme della Costituzione italiana in materia di uguaglianza (art.3), di asilo (art.10), di libertà personale (art.13), di diritti di difesa (art.24) e di ordine gerarchico delle fonti normative (art.117). Di certo la presenza di persone private della libertà personale all’interno delle strutture che si dovrebbero aprire in base al Protocollo Italia-Albania rende impossibile qualunque assimilazione al regine territoriale delle ambasciate italiane all’estero. Come rimane una mera dichiarazione di principio che il trattamento e la condizione giuridica delle persone sbarcate in Albania da navi militari italiane possa risultare del tutto corrispondente alla condizione giuridica delle persone migranti sbarcate in Italia e accolte o trattenute in centri italiani, siano Hotspot o Centri per il rimpatrio (CPR). Nè sembra che siano state richiamate con la dovuta evidenza, anche per le persone sbarcate in Albania, le norme che in Italia permettono il riconoscimento di una delle diverse forme di protezione speciale, soprattutto nei casi in cui ricorrano divieti di espulsione o di respingimento, anche con riferimento agli obblighi costituzionali dello Stato italiano.

      Gravi criticità rimangono evidenti nella individuazione dei soggetti cd. “vulnerabili”, che nella maggior parte dei casi dovrebbe avvenire nel tragitto dal luogo dei soccorsi in acque internazionali al porto di sbarco in Albania. Come si ricava dagli atti parlamentari, nella seduta della Camera dei deputati del 15 gennaio 2024, il rappresentante del Governo ha affermato che lo screening dei soggetti vulnerabili (considerando tali, “secondo la vigente normativa, i minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta, persone affette da gravi malattie o disturbi mentali, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali”) dovrebbe essere effettuato “nelle fasi immediatamente successive al loro soccorso o recupero, per mezzo di assetti navali a disposizione delle autorità statali, in modo da escludere che coloro che presentino vulnerabilità siano condotti in Albania”; il rappresentante del Governo ha anche affermato che “l’obiettivo dello screening preventivo da esperire a bordo di strutture idonee in mare, ove il migrante possa trovare un luogo sicuro in attesa della prossima destinazione, sarebbe dunque quello di alleviare l’impatto delle attività sui soggetti fragili riducendo il numero di stranieri da trasportare in Italia in un momento successivo, in relazione alle diverse posizioni accertate”. Il rappresentante del Governo ha rilevato infine che “resta ferma la possibilità di effettuare eventuali, ulteriori valutazioni di condizioni di vulnerabilità successivamente allo sbarco in Albania, presso le strutture adibite all’identificazione e alla primissima accoglienza. Al riguardo, osserva che non di rado la condizione di vulnerabilità può non essere immediatamente rilevabile mediante lo screening preventivo a bordo (ad esempio, coloro che si dichiarano vittime di tratta di esseri umani), richiedendo approfondimenti in una fase successiva” (Camera dei deputati, Commissioni I e III, seduta del 15 gennaio 2024)

      Si nota come nelle prime notizie diffuse dal governo Meloni circa navi di soccorso che trasferissero migranti salvati, o “recuperati” in acque internazionali si facesse ricferimento esclusivamente a navi militari italiane, e nel testo del Protocollo a “mezzi delle competenti autorità italiane, mentre con il disegno di legge di ratifica si è passati alla formula “assetti navali a disposizione delle autorità statali,“,con la previsione di una ingente somma di danaro da destinare evidentememte al noleggio di navi civili, per il trasporto dei naufraghi, perchè di naufraghi si tratta, verso l’Albania (e forse anche dall’Albania verso l’Italia). Rimangono assolutamente oscure, ed a alto rischio di violazione di diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, le modalità di trasferimento e/o trasbordo (in acque internazionali ?) degli stessi naufraghi dalla prima nave soccorritrice, che presumibilmente sarà una nave militare italiana, verso una seconda nave (civile ?) che dovrebbe poi trasferirli e sbarcarli in un porto albanese. Si potrebbe anche configurare una ennesima forma anomala (senza convalida giurisdizionale) di trattenimento amministrativo a bordo dei traghetti, come si è già verificato durante l’emergenza da Covid 19 a bordo delle cd. “navi quarantena”.

      Non sembra comunque ammissibile operare una qualsiasi sorta di pre-idntificazione in assenza di mediatori, interpreti e di una adeguata informazione, già a bordo delle navi militari o civili che siano, che hanno operato i soccorsi in acque internazionali, e ritornare dunque alla prassi degli “sbarchi selettivi”, distinguendo, e separando, già su queste stesse navi soggetti vulnerabili e non vulnerabili, operando di fatto quella stessa distinzione tra i naufraghi già ritenuta illegittima dal Tribunale di Catania lo scorso anno.

      In ogni caso non sembra possibile escludere che, già a bordo degli “assetti navali a disposizione delle autorità statali”, le persone soccorse in acque internazionali godano dei diritti fondamentali riconosciuti dalle Convenzioni internazionali e dall’ordinamento italiano.. Quanti saranno soccorsi in acque internazionali e si trovano a bordo di ” assetti navali a disposizione delle autorità statali”, non possano essere sbarcati in Albania, dove veranno sottoposte anche alla legislazione albanese, ed ai poteri concorrenti della polizia albanese, senza una preventiva convalida giurisdizionale, e dunque sulla base della mera discrezionalità di polizia, subendo nei fatti un respingimento collettivo, senza alcuna possibilità di ricorso. Come se le persone soccorse in mare, dunque naufraghi, fossero riducibili alla condizione di oggetto e non più di soggetto di diritti, forse non “carichi residuali”, ma pur sempre “carichi” da sbarcare in un porto straniero, una volta esclusa, in modo che non potrà che risultare approssimativo, la loro vulnerabilità. Per non parlare dei trattamenti inumani o degradanti ai quali gli stessi naufraghi potrebbero essere sottoposti durante i lunghi trasferimenti, fino a quando rimarranno su navi militari evidentemente prive di adeguati spazi ricettivi, dai luoghi degli eventi di soccorso al porto albanese.

      4. Con il voto della Camera in Italia, e adesso con questa decisione della Corte costituzionale albanese, si è completamente disattesa la dichiarazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che aveva espresso “preoccupazione” per l’accordo. Secondo Turk, “Questi trasferimenti in Albania per adempiere alle procedure di asilo e di rimpatrio evitano importanti questioni relative ai diritti umani, in particolare la libertà dalla detenzione arbitraria e la necessità di garantire adeguate procedure di asilo, compresi lo screening e l’identificazione”.

      Non si vede soprattutto come le “procedure accelerate in frontiera” pure previste da Direttive europee e dalla legislazione italiana, possaono essere applicate sulla base di una finzione, come se la frontiera o il territorio prossimo alla frontiera (italiana) potesse delocalizzarsi fino all’esterno dell’Unione europea, in Albania. E dunque come se il diritto dell’Unione Europea fosse applicabile su persone che si trovano all’esterno degli Stati membri, Ed è proprio la recentissima decisione della Corte costituzionale albanese, che afferma il principio della doppia giurisdizione, a svelare i diversi profili di contrasto tra le prevision delle Direttive europee e il Protocollo Italia-Albania, come specificato nel disegno di legge di ratifica approvato in Italia dalla Camera.

      Per avviare i lavori di costruzione dei nuovi centri di accoglienza detenzione previsti in Albania “sotto giurisdizione italiana”, ma anche albanese, occorre ancora un voto del Parlamento albanese, dopo che la Corte costituzionale albanese avrà pubblicato tutte le sue motivazioni, ed il completamento dell’iter della legge di ratifica in Italia, con il voto del Senato. Non sembra prevedibile che le maggioranze assolute di cui dispongono Giorgia Meloni ed Edi Rama nei rispettivi parlamenti nazionali possano fallire l’obiettivo della ratifica del Protocollo. Dunque si può attendere l’ennesima ventata di propaganda con l’avvio dei lavori di costruzione e di riadattamento delle strutture previste a Shengjin e a Gijader proprio quando la campagna elettorale per le europee entrerà nel vivo. Difficile atttendersi in questa fase una posizione critica da parte di esponenti delle istituzioni europee, come la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, o la Commissaria europea agli Interni Ylva Johansson, che hanno in vista il supporto della Meloni per uno scambio di voti nell’indicazione delle prossime presidenze europee. Al di là della propaganda, imane però il nodo del contrasto tra le norme internazionali, i principi costituzionali italiani, e le previsioni del Protocollo Italia-Albania. Una questione democratica, che non riguarda soltanto le persone migranti che saranno sbarcate in Albania.

      Si dovranno monitorare da vicino tutte le prassi amministrative che potrebbero seguire in materia di “procedure accelerate in frontiera” per i richiedenti asilo, e di trattenimento e di allontanamento forzato, per tutti coloro che neppure saranno ammessi ad una procedura di protezione internazionale, oppure saranno denegati in tempi tanto brevi da non consentire un esercizio effettivo dei diritti di difesa. Ammesso che, oltre la propaganda elettorale, le strutture di contenimento e di deportazione in Albania (perchè di questo si tratta) dei migranti soccorsi nelle acque internazionali del Mediterraneo siano davvero attivate. Anche se, a fronte dei tempi di trattenimento sempre più lunghi, non si raggiungeranno i numeri iperbolici promessi dalla Meloni (3000 persone al mese, 36.000 persone trattenute in un anno), ci si dovrà preparare ad una raffica di ricorsi a difesa delle singole persone soccorse in alto mare, pre-identificate su una nave italiana, deportate in Albania. Ricorsi che si dovranno sostenere ai più alti livelli della giurisdizione nazionale ed internazionale. Perchè fino a quando i governi non riusciranno a controllare del tutto la magistratura, rischio sempre più concreto anche a fronte della prevedibile valanga di destra che caratterizzerà le prossime elezioni europee, la giurisdizione, come l’informazione indipendente, rimangono gli unici argini per la difesa della democrazia e dei diritti umani in Europa, ed anche in Albania, se gli albanesi sperano davvero tanto di entrare nell’Unione Europea.

      https://www.a-dif.org/2024/01/30/la-corte-costituzionale-albanese-approva-il-protocollo-meloni-rama-con-un-vot

    • La Cassazione rinvia il “Decreto Cutro” alla Corte di Giustizia UE: in dubbio le “procedure accelerate in frontiera”, e dunque anche il Protocollo Italia-Albania

      1. Come era prevedibile dopo la requisitoria della Procura generale, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, con una “ordinanza interlocutoria”, ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla norma del Decreto Cutro che prevede il pagamento di una cauzione da parte dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri per evitare il trattenimento amministrativo durante la cd. “procedura accelerata in frontiera”. La stessa Corte di Cassazione ha chiesto che la questione pregiudiziale sia trattata con procedimento d’urgenza; sospendendo il giudizio sui ricorsi presentati dal governo, tramite l’Avvocatura dello Stato, contro la mancata convalida dei decreti di trattenimento emessi dal Questore di Ragusa, pronunciata dai giudici Apostolico e Cupri del Tribunale di Catania. Il procedimento di fronte alla Corte di Cassazione proseguirà dunque dopo la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, ma alcune motivazioni adottate dai giudici della Cassazione potranno avere effetti immediati sulle procedure accelerate in frontiera, in particolare sulle norme che a tale riguardo prevedono il trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri, qualora in assenza di documenti identificativi non venga prestata una garanzia finanziaria , e quindi anche sulla attuazione del Protocollo Italia-Albania, che punta proprio ad esternalizzare le procedure accelerate in frontiera e la detenzione amministrativa prevista nei loro confronti dal “Decreto Cutro”.

      Per quanto la Corte di Cassazione sembri accogliere quasi per intero le motivazioni della Procura generale che, a sua volta, riprendeva le principali tesi del ricorso del governo rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, è evidente che il dubbio e quindi la questione posta dai giudici italiani alla Corte di Giustizia dell’Unione europea riguarda un punto centrale del “Decreto Cutro” (legge 50 del 2023) e dunque la legittinità dei provvedimenti adottati dalla questura di Ragusa, nella fase di prima applicazione del decreto nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo, con il trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri”, trattenimento che non era stato convalidato dai giudici del Tribunale di Catania. Tra le altre motivazioni di fatto e di diritto per cui i decreti di trattenimento adottati dal questore di Ragusa non potevano essere convalidati, i giudici Apostolico e Cupri osservavano che l’art. 6-bis del d.lgs. n. 142 del 2015, come modificato dal cd. “Decreto Cutro”, prevede una garanzia finanziaria la cui prestazione si configura non come misura effettivamente alternativa al trattenimento, ma come un requisito imposto al richiedente asilo, proveniente da un “paese terzo sicuro”, per evitare il trattenimento amministrativo, requisito che nella pratica non si sarebbe mai potuto adempiere.

      La Corte di Cassazione, a sezioni unite, riconduce la maggior parte dei motivi di ricorso del governo alla questione pregiudiziale che solleva davanti alla Corte di Giustizia UE e dunque ” al rapporto tra la valutazione caso per caso – che si richiede sia espressa in motivazione da parte dell’autorità amministrativa per il trattenimento alla frontiera onde stabilirne la necessità, la ragionevolezza e la proporzionalità a fronte della effettiva impraticabilità di misure alternative – e la prestazione della garanzia finanziaria, che, per come disciplinata dal diritto interno, non appare sintonica con il fine perseguito”. Tutte le altre motivazioni dei ricorsi presentati dal governo sembrano dunque assorbite da questa questione, e pertanto la Corte di Cassazione non tratta, e quindi neppure smentisce, i diversi rilievi di fatto e di diritto che avevano spinto il Tribunale di Catania, con diversi provvedimenti, a negare la convalida dei decreti di trattenimento adottati dal Questore di Ragusa. Anche se poi si afferma “La necessità di sollevare questione pregiudiziale interpretativa degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE per emanare la sentenza discende altresì da una prognosi, ad una prima valutazione, di non manifesta infondatezza dei motivi del ricorso del Ministero dell’interno e del Questore della Provincia di Ragusa attinenti al profilo della “erronea affermazione della non applicabilità della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008 e degli artt. 31, 33 e 43, direttiva 2013/32/UE”. “Prognosi ad una prima valutazione” che però non affronta specificamente i diversi problemi di legittimità dei decreti di trattenimento del questore di Ragusa non convalidati dal Tribunale di Catania. Il rinvio alla Corte di Giustizia riguarda comunque i primi casi affrontati dalla dott.ssa Apostolico, mentre la Cassazione si è riservata di decidere su altri otto successivi ricorsi del governo, sui quali potrebbe pronunciarsi dopo la decisione dei giudici di Lussemburgo, magari per giustificare comunque la legittimità degli ulteriori decreti di trattenimento adottati dal Questore di Ragusa.

      2. Dopo un richiamo a vari precedenti della Corte di Giustizia UE, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermano come “Da tali pronunce si evince, tra l’altro, che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 ostano a che un richiedente protezione internazionale venga trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità; ostano pure a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura. L’eccezionalità della misura del trattenimento e la soggezione della stessa ai principi di necessità e proporzionalità inducono a giustificare il trattenimento solo qualora non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive, il cui catalogo è esemplificato dall’art. 8, paragrafo 4. Le misure «alternative» al trattenimento non sono definite nel dettaglio; si tratta comunque di limitazioni dei diritti umani dei richiedenti che, se non ingerenti quanto il trattenimento, non di meno devono applicarsi, quando comunque vi siano motivi legittimi per il trattenimento, sulla base di una valutazione caso per caso di necessità, ragionevolezza e proporzionalità”. Si osserva in particolare come “Il punto fondamentale – allora – è dato dal nesso tra la previsione della garanzia come misura alternativa al trattenimento e la valutazione caso per caso che si richiede ai fini della decisione di trattenimento, da esprimere necessariamente nella motivazione del provvedimento dell’autorità amministrativa”. Sfidiamo chiunque a trovare una qualsiasi traccia di motivazione individuale su questo specifico punto nei decreti di trattenimento adottati dalla questura di Ragusa, nei casi di mancata convalida da parte della giudice Apostolico di Catania. Oggetto a suo tempo di una violenta campagna di odio e di diffamazione. Ma analoghe perplessità sulla motivazione persistono anche nei casi delle successive mancate convalide dei decreti di trattenimento adottati dalla Questura di Ragusa sulle quali è intervenuto il giudice Cupri, dello stesso Tribunale di Catania, a fronte di una parvenza di motivazione, che però le Sezioni Unite della Cassazione non hanno preso in considerazione, limitandosi al rilievo della questione pregiudiziale ed al rinvio ai giudici di Lussemburgo. Questioni complesse, che comunque impongono considerazioni differenziate sui dieci procedimenti, esaminati in tempi diversi dai giudici Apostolico e Cupri, con riferimento ai singoli casi, che non potrano certo essere eluse dopo la soluzione della questione pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Intanto prendiamo atto che i dubbi sollevati dai giudici catanesi che non hanno convaldato i decreti di trattenimento amministrativo disposti dal Questore di Ragusa sono stati, almeno in parte, condivisi anche dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite.

      La Corte, dopo avere affermato con la richiamata ” prognosi ad una prima valutazione”, di condividere i motivi di ricorso del governo e del Questore di Ragusa, afferma infatti un principio di diritto che va decisamente in favore dei provvedimenti di mancata convalida del trattenimento adottati dal Tribunale di Catania, ed a tale riguardo basta leggere le motivazioni dei giudici catanesi e confrontarle con la carente motivazione che si riscontra nei provvedimenti adottati dalla Questura di Ragusa nei confronti dei richiedenti asilo trattenuti in procedura accelerata “in frontiera” nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo. Nelle ordinanze della dott.ssa Apostolico che non convalidava il trattenimento amministrativo si leggeva appunto come il provvedimento del questore non fosse corredato da una motivazione “idonea”, in quanto privo di una “valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, nonché della necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive”.

      Secondo la Corte di Cassazione, “Il provvedimento che dispone il trattenimento deve essere corredato da motivazione, la quale esamini la necessità, la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura rispetto alla specifica finalità, nonché l’effettiva impraticabilità delle misure alternative, sulla base di una valutazione caso per caso. Se così è, dovrebbe ostare all’osservanza del diritto dell’Unione una normativa nazionale che sia interpretata ed applicata nel senso che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente, e ancor più che sia trattenuto perché non abbia prestato idonea garanzia finanziaria, stabilita in maniera rigida e non adattabile alla situazione individuale; vale a dire con modalità come quelle che si evincono nella riportata legislazione nazionale” .Nei provvedimenti adottati dal Questore di Ragusa non si rinviene traccia della valutazione “caso per caso” che la Corte di cassazione sembra ritenere una condizione imprescindibile di legittimità del trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri. Non si vede dunque su quali elementi la Corte di Cassazione, in sede di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, fondi la sua”prognosi, ad una prima valutazione, di non manifesta infondatezza dei motivi del ricorso del Ministero dell’interno e del Questore della Provincia di Ragusa attinenti al profilo della “erronea affermazione della non applicabilità della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008 e degli artt. 31, 33 e 43, direttiva 2013/32/UE“. E’ probabile che i giudici della Cassazione su questo punto dirimente non si pronuncino in attesa della decisione della Corte di giustizia UE, ma comunque. al di là della loro “prognosi ad una prima valutazione” (politica?),sembrano confermare i rilievi del Tribunale di Catania che ha rilevato il carattere illegittimo dei decreti di trattenimento adottati dalla Questura di Ragusa.

      3. Quanto riportato dalle principali agenzie di informazione e contenuto nella parte finale della decisione della Cassazione, secondo cui “ Il rinvio pregiudiziale attiene a una questione sul sistema europeo comune di asilo, il quale costituisce uno degli elementi fondamentali dell’obiettivo dell’Unione europea relativo all’istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nell’Unione”, contiene una affermazione ovvia che non può coprire la contraddizione interna presente nella decisione della stessa Corte di Cassazione. La Corte, a sezioni unite, afferma pregiudizialmente di propendere per le tesi del governo e del questore di Ragusa, ricorrenti rappresentati dall’avvocatura dello Stato, ma fornisce motivazioni che vanno a rafforzare le motivazioni dei giudici catanesi, che non vengono certo definite “apparenti” come nel ricorso presentato dalla stessa avvocatura dello Stato. Motivazioni che, almeno sul punto della “garanzia finanziaria”, vengono sostanzialmente riprese proprio dai giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

      Non sappiamo per quanto tempo resterà sospeso il procedimento davanti alla Corte di Cassazione relativo ai ricorsi del governo e del questore di Ragusa contro i provevdimenti del Tribunale di Catania, in attesa di una decisione, che pure è stata richiesta con procedura d’urgenza, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Procedura d’urgenza che può essere adottata solo” in casi eccezionali”, e su questo punto di ammissibilità dovranno pronunciarsi entro alcune settimane i giudici europei. Di certo questa questione rimane aperta a Lussemburgo e lascia in sospeso l’operatività del cd. Decreto Cutro con riferimento alle procedure accelerate in frontiera previste per i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri. Le conseguenze dei profili dubbi del trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri” , che si sono già tradotti nel blocco delle “procedure accelerate in forntiera” presso il centro Hotspot di Modica-Pozzallo, potrebbero ricadere anche sull’attuazione del Protocollo Italia-Albania, ammesso che si riesca a superare le gravi problematiche attinenti le strutture logistiche e gli adempimenti procedurali, previsti dalla legge di ratifica in corso di approvazione al Senato, per non parlare degli ineludibili profili di conrrasto con la normativa euro-unitaria, se non di incostituzionalità, che sembrano tanto gravi da bloccarne la effettiva applicazione. Se la prestazione di una “garanzia finanziaria” per evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri” desta già tali perplessità per le persone che vengono sbarcate in territorio italiano, cosa potrebbero pensare i giudici italiani e le corti internazionali di una analoga “garanzia finanziaria” nel caso di persone “trasportate” in Albania ? Oppure, queste persone sarebbero escluse dalla possibilità di prestare una analoga garanzia finanziaria, ancora prevista dalla legislazione italiana, con evidente violazione della normativa europea e del principio di non discriminazione?

      Non rimane che attendere un esercizio imparziale della giurisdizione, con provvedimenti motivati sulla base del principio di legalità e non per ragioni politiche, sia in Italia che davanti alla Corte di Giustizia UE, per garantire il prncipio di non discriminazione, la certezza del diritto, le garanzie sulla libertà personale previste dalla Costituzione italiana e dalla normativa cogente europea, i diritti di difesa e, non da ultimo, il diritto alla protezione internazionale ed il divieto di espulsioni o respingimenti collettivi. Intanto nella fase finale della ratifica da parte del Parlamento italiano del controverso Protocollo Italia-Albania, sarebbe opportuno che si tenesse conto di quanto osservato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, e del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europa, anche al fine di evitare i ricorsi alla Corte costituzionale italiana che si potrebbero sollevare se si arriverà ad una prima applicazione del trattenimento amministrativo “generalizzato” nelle “procedure accelerate in frontiera” in territorio albanese, nelle aree concesse in uso alle autorità italiane, ma sotto la “doppia giurisdizione” italiana ed albanese, come ha ribadito ancora di recente la Corte Costituzionale albanese.

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 17.04.27

      == Migranti: avvocata, Cassazione conferma rilievi Apostolico =

      (AGI) – Ragusa, 8 feb. – “La Corte di Cassazione ha confermato i dubbi interpretativi che sono sorti dalla emissione del decreto Cutro”. Lo ha detto all’AGI Rosa Emanuela Lo Faro, avvocata di buona parte dei Migranti coinvolti nel procedimento per il quale la Corte Suprema ha sospeso la decisione sui trattenimenti nel Cpr di Pozzallo rinviado la materia alla Corte di giustizia europea. “Con questa ordinanza interlocutoria – ha proseguito Lo Faro – si chiarisce che le ordinanze della dott.ssa Apostolico avevano il solo scopo di applicare il diritto italiano in maniera conforme al diritto Unionale. Non fare politica o attaccare i politici, ma preservare la liberta’ di ogni singolo individuo”. (AGI) Rg3/Fab 081704 FEB 24

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 16.34.05

      >>>ANSA/’Corte Ue si pronunci su fidejussione per i migranti’

      Ordinanza della Cassazione. Legale,confermati dubbi sul dl Cutro (di Marco Maffettone) (ANSA) – ROMA, 08 FEB – Il decreto Cutro finisce all’attenzione dei giudici della Corte di Giustizia Europea. E’ quanto stabilito dalle Sezioni unite civili di Cassazione che chiedono ai giudici della Ue di pronunciarsi, in tema di migranti provenienti da Paesi sicuri, sul segmento del decreto approvato dal Governo a settembre relativo alla garanzia finanziaria di circa 5mila euro che un richiedente asilo deve versare per evitare di essere trattenuto in un centro alla frontiera in attesa dell’esito dell’iter della domanda di protezione. In due ordinanze “interlocutorie” i giudici della Suprema Corte, accogliendo sostanzialmente la richiesta del procuratore generale, sollecitano ai giudici europei un intervento in via d’urgenza. Le Sezioni unite erano chiamate a vagliare 10 ricorsi del ministero dell’Interno sulle ordinanze con cui il tribunale di Catania non ha convalidato, nei mesi scorsi, i trattenimenti di alcuni migranti tunisini a Pozzallo, in applicazione di quanto disposto dal decreto Cutro. Nei due provvedimenti, entrambi di una ventina di pagine, le Sezioni Unite civili chiedono alla Corte Ue se le norme del Parlamento europeo e del Consiglio del 2013 “ostino”, in tema di garanzia finanziaria, “una normativa di diritto interno”. In particolare il quesito posto ai giudici con sede in Lussemburgo riguarda “gli articoli 8 e 9 della direttiva Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale” e se “ostino a una normativa di diritto interno che contempli, quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa – spiega la Cassazione – anziché in misura variabile senza consentire alcun adattamento dell’importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare”. In questo modo “imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente”. Per il legale di sei dei 10 migranti trattenuti dal questore di Ragusa e poi liberati dai giudici etnei Iolanda Apostolico e Rosario Cuprì, con questa decisione la “Cassazione ha confermato i dubbi interpretativi che sono sorti dalla emissione del decreto Cutro. Qui in Italia le leggi non sono chiare, perché dovrebbero essere compatibili con le norme internazionali e non si capisce se lo sono. Per questo la Suprema Corte ha investito della questione la Corte Ue”, afferma l’avvocato Rosa Maria Lo Faro. In merito alla “proceduta accelerata” nei trattenimenti, nell’udienza del 30 gennaio scorso, l’ufficio del pg rappresentato in aula da dall’avvocato generale Renato Finocchi Ghersi e dal sostituto procuratore generale Luisa De Renzis, l’ha definita “legittima e conforme alla legge”. Nella requisitoria il Pg ha sostenuto che “non si può trascurare quanto affermato dall’Avvocatura dello Stato circa la situazione di emergenza a Lampedusa, caratterizzata da flussi consistenti e ravvicinati in quella zona e dall’elevato numero delle domande di protezione internazionale così da rendere difficilmente gestibile la trattazione della domanda nel luogo di arrivo”. (ANSA). 2024-02-08T16:33:00+01:00 ANSA

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 15.20.22

      Migranti: Albano (Md), verdetto Cassazione conferma Apostolico

      Migranti: Albano (Md), verdetto Cassazione conferma Apostolico (ANSA) – ROMA, 08 FEB – “La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di chiedere la verifica di conformità al diritto Ue di alcune norme del decreto Cutro – dichiara la presidente di Magistratura democratica Sivia Albano – conferma che gli attacchi nei confronti della giudice Apostolico erano privi di senso anche sul piano giuridico. Le Sezioni unite confermano che c’è un problema di conformità alla direttiva delle norme che prevedono una garanzia finanziaria come alternativa alla detenzione nei centri”. “Quando il giudice rileva profili di illegittimità delle norme per la non conformità al diritto della Ue o alla Costituzione, – prosegue Albano – non lo fa certo per fare opposizione al Governo, ma esercita la funzione che la Costituzione e i trattati gli attribuiscono”. “Ciò significa anche – conclude Albano – che la pronuncia delle Sezioni unite non dovrebbe essere caricata di significati, in un senso o nell’altro. E’ un fisiologico controllo di legittimità: quello della Corte di Cassazione, quello della giudice Apostolico, quello di tutti i giudici che hanno ragionevolmente espresso dubbi su quel decreto”. (ANSA). 2024-02-08T15:20:00+01:00 COM-ANSA

      https://www.a-dif.org/2024/02/08/la-cassazione-rinvia-il-decreto-cutro-alla-corte-di-giustizia-ue-in-dubbio-le

  • 4-5-6 mars 2024 : #Procès en #appel concernant l’#incendie des #Tattes

    Non, ce n’est pas fini. Oui, ça fera 10 ans cette année.

    Et C. Hauswirth, responsable en 2014 de la sécurité incendie de tous les #CHC (#centres_d’hébergement_collectifs) du canton n’est toujours pas déclaré coupable ni condamné.

    Et les sinistrés (une quarantaine, dont 1 mort et 2 personnes gravement lésées dans leur santé physique et psychique) ne sont toujours pas dédommagés et n’ont toujours pas tous reçu un permis B. Parmi eux, Ayop Aziz, vous vous rappelez ? Maudet avait essayé de l’expulser vers l’Espagne quelques mois après la catastrophe où Ayop s’était gravement blessé en sautant du 3ème étage pour échapper aux flammes. Il est toujours là, avec une balafre sur le front et un « papier blanc » qui ne donne droit qu’à l’aide d’urgence (10 fr. par jour pour vivoter dans notre ville).

    (Pour rappel de ce qui s’est dit au procès de décembre 2022, voir : Procès des Tattes : 8 ans pour rendre l’injustice : https://solidaritetattes.ch/4-5-6-mars-2024-proces-en-appel-concernant-lincendie-des-tattes)

    « La lenteur de la #justice »… on se dit que c’est normal, il y a tellement de cas à traiter, les fonctionnaires ne peuvent pas faire mieux, ne peuvent pas aller plus vite. Mais la lenteur de la justice, ce n’est pas un problème de désorganisation dans les institutions qui doit susciter notre compréhension : c’est une volonté politique malhonnête qui permet à la justice de ne pas s’appliquer.

    Car comment rendre justice dans l’affaire des Tattes, après tellement d’années, pour obtenir les témoignages de personnes qui ont quitté la Suisse pour la plupart d’entre elles ? Comment rendre justice aux plaignants de Giffers qui ont subi les violences des Protectas, alors qu’après plusieurs années ils ont disparu dans d’autres pays européens, vivant dans la rue pour plusieurs d’entre eux ? Comment rendre justice, après plusieurs années, en ce qui concerne le suicide d’Ali Reza, décédé en 2019, alors que sa famille vit à l’autre bout du monde et que ses amis sont dispersés en Suisse et ailleurs ?

    4-5-6 mars 2024 : 10 ans pour rendre l’injustice.

    Réservez déjà ces dates pour venir soutenir les personnes incriminées et les avocates qui les défendent !

    reçu le 29.01.2024, via la mailing-list de #Solidarité_Tattes

    #asile #migrations #réfugiés #Suisse #Genève

    –—

    sur l’incendie des Tattes, voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/910972

    • Interview par Solidarité Tattes de Me Laïla Batou

      À la suite du procès, Viviane Luisier de Solidarité Tattes a interviewé Me Laïla Batou, avocate de cinq parties plaignantes au procès de l’incendie du Foyer des Tattes, afin d’avoir son impression sur les suites de cette affaire.

      Sol. Tattes : Cette semaine se terminait le procès des responsables de l’incendie du Foyer des Tattes devant la Cour d’Appel. Pourquoi s’agit-il d’une affaire d’intérêt public ?

      Me Laïla Batou : Il y a un enjeu humanitaire, car elle interpelle sur la façon dont Genève traite les personnes les plus vulnérables, mais aussi un enjeu démocratique, dans le fait que l’Etat se retrouve à juger l’un de ses agents. Cette procédure met en jeu la séparation des pouvoirs.

      Sol. Tattes : Dix ans après les faits, est-ce que la situation n’est pas complètement embourbée ?

      Me L.B. : Pas du point de vue de la procédure. Au contraire, on commence enfin à y voir plus clair dans le déroulement des faits et les responsabilités qu’ils révèlent. Il a été difficile d’amener le fonctionnaire en charge de la sécurité du Foyer (ci-après : le Coordinateur incendie) sur le banc des accusés. Mais c’est sur ses manquements que se sont focalisés les débats d’appel.

      Sol. Tattes : Pourquoi n’était-il pas en cause depuis le début ?

      Me L.B. : Au lendemain du drame, tout le monde est tombé sur les occupants de la chambre qui a pris feu. C’étaient les coupables idéaux : l’un et l’autre avaient des petits casiers judiciaires, ils étaient ivres au moment des faits et avaient cuisiné et fumé dans une chambre alors que c’était interdit par le règlement du foyer. Et pourtant, on pouvait légitimement s’étonner qu’un départ de feu puisse avoir de telles conséquences : deux asphyxies dont une mortelle, et une quarantaine de défenestrations… N’y avait-il pas un problème plus structurel ? La procureure Viollier, alors en charge du dossier, a accepté de se poser la question.

      Deux explications se sont alors affrontées : la nôtre, qui mettait en cause la sécurité du foyer, et celle du responsable de cette sécurité, pour qui les victimes avaient cédé à la panique pour des raisons « culturelles ». Rapidement, nous sommes parvenus à montrer que les agents de sécurité présents sur le site s’étaient comportés de façon complètement erratique, et que c’est ce qui avait donné cette ampleur au drame. Il a fallu plus de temps pour faire entendre que ces agents n’avaient peut-être pas été correctement instruits et formés, ce qui était de la responsabilité du Coordinateur incendie.

      Sol. Tattes : Quelles ont été les étapes de cette prise de conscience ?

      Me L.B. : Aussi étonnant que cela puisse paraître, après quatre incendies dévastateurs sur le site dont il était responsable, le Coordinateur incendie a d’abord été entendu comme témoin par le Ministère public. La Procureure Viollier a toutefois décidé de faire expertiser le bâtiment, et elle a eu le bon sens de confier cette tâche à des experts non-genevois. L’expertise, livrée en 2017, arrivait à la conclusion que vu son utilisation, notamment son extrême densité de peuplement, le bâtiment était si dangereux que se posait la question de sa fermeture immédiate !

      La responsabilité du Coordinateur incendie ne pouvait plus être écartée d’un revers de main. Il a donc été réentendu en procédure, non plus en qualité de témoin cette fois-ci, mais en qualité de « personne appelée à donner des renseignements », soit un possible futur prévenu. Les déclarations qu’il a faites à ce moment-là étaient particulièrement accablantes pour lui : il en ressortait que les procédures qu’il avait mises en place pour gérer l’apparition d’un sinistre étaient extrêmement confuses, même à ses propres yeux.

      Sol. Tattes : Il a donc été mis en prévention ?

      Me L.B. : Pas du tout. Malgré les conclusions de l’expertise et malgré ses déclarations complètement aberrantes, la nouvelle Procureure en charge du dossier l’a tout simplement sorti de la procédure. Elle a renvoyé en jugement les deux occupants de la chambre d’où était parti le feu et deux agents de sécurité qui avaient eu le réflexe d’éteindre le feu avant d’évacuer le bâtiment.

      Nous avons dû saisir l’autorité de recours pour forcer la Procureure à mettre en accusation le Coordinateur incendie.

      Ce n’était là qu’une étape. Car au procès de première instance, la Procureure a pour ainsi dire plaidé son acquittement dans son réquisitoire, ce qui est pour le moins inhabituel. Plus inhabituel encore : l’un des plaignants, soit l’Hospice général lui-même, présent au procès pour demander l’indemnisation de son dommage matériel, a lui aussi plaidé en faveur de ce prévenu – qui n’était autre que son propre agent !

      Sol. Tattes : Et alors, le résultat des courses ?

      Me L.B. : Le juge ne s’est pas senti contraint d’examiner sérieusement la violation, par le Coordinateur, de son devoir de diligence. Il n’a pas daigné constater que les mesures prises par le Coordinateur sur ce site à hauts risques étaient gravement insuffisantes, voire qu’elles avaient accru le danger pour les résidents. Le juge n’a pas non plus tenu compte de la désinvolture que trahissaient les déclarations confuses et contradictoires du Coordinateur tout au long de la procédure.

      C’est ainsi qu’il a condamné les deux agents de sécurité qui avaient privilégié l’extinction sur le sauvetage, et le résident de la chambre d’où le feu est parti. Il a en revanche été contraint d’acquitter l’autre résident accusé, qui n’avait fait que passer la soirée dans la chambre qui a brûlé.

      Sol. Tattes : Pourquoi dites-vous que les mesures prises par le Coordinateur ont accru le danger pour les résidents ?

      Me L.B. : Pour prévenir le risque incendie, il y a trois axes d’intervention : le constructif, le technique et l’organisationnel.

      S’agissant du constructif, le Coordinateur a fait installer des portes coupe-feu en métal qui, en cas d’incendie, ne peuvent plus s’ouvrir sans clé dans le sens de l’entrée, même avec des outils de force. Or, il a omis d’équiper ces portes de serrures SI. S’agissant du technique, il a fait installer une centrale de détection d’incendie, mais cette dernière n’était pas, ou pas encore, raccordée au SIS. Autrement dit, pour être alertés, et ensuite pour accéder au bâtiment, les pompiers dépendaient de « quelqu’un » sur le site.

      C’est une situation assez dangereuse. En tous cas, cela suppose que ce « quelqu’un » soit défini avec précision, qu’il sache exactement ce qu’il doit faire et qu’il développe des réflexes : c’est l’axe organisationnel.

      Or, les agents de sécurité présents sur le site pensaient tous que la centrale de détection avertissait directement les pompiers ! Ils ignoraient aussi que les pompiers n’avaient pas de clés permettant d’accéder aux étages.

      Sol. Tattes : Mais cela n’explique pas pourquoi les résidents se sont défenestrés…

      Me L.B. : Les agents de sécurité ont manifestement paniqué à la vue du feu. Ils ont cherché à l’éteindre avant que les pompiers aient été alertés et avant d’évacuer le bâtiment, et pour cela ils ont ouvert la chambre en feu. La fumée a envahi le chemin de fuite, bloquant les résidents encore endormis dans leurs chambres. La plupart ont été réveillés en sursaut alors que le bâtiment était déjà sens dessus-dessous. Personne n’avait jamais pris la peine de leur dire ce qu’il fallait faire en cas de feu, ni même de leur fournir le numéro de téléphone des pompiers. Personne n’était là pour leur dire quoi faire, et ils n’avaient aucune instruction à remobiliser pour calmer la panique.

      Sol. Tattes : Le Coordinateur incendie pouvait-il s’attendre à un tel mouvement de panique ?

      Me L.B. : Evidemment. D’abord, parce que les risques liés à la panique en cas d’incendie sont notoires, ce qu’il savait en tant qu’expert. Ensuite et surtout, parce que des personnes s’étaient déjà défenestrées lors de l’incendie de 2011, avec un bilan de 13 blessés dont cinq graves.

      Sol. Tattes : Mais était-il vraiment en mesure de le prévenir ?

      Me L.B. : Bien entendu. Il avait constaté depuis 2011 qu’il devait installer des consignes sur le comportement à adopter en cas d’incendie dans tous les bâtiments, et ne s’est jamais exécuté. De même, il connaissait depuis 2013 son obligation légale de procéder à deux exercices d’évacuation pour entraîner son personnel et les résidents. Non seulement il n’en a organisé qu’un seul, en avril 2014 ; mais en plus il en a exclu un bâtiment entier : celui des hommes célibataires en cours de procédure d’asile ou déboutés, dont il craignait qu’ils prennent d’assaut les bus TPG ou n’investissent le magasin IKEA situé à proximité. Le premier juge n’aurait jamais dû recevoir cet argument : le Coordinateur n’est pas garant des intérêts d’IKEA ou des TPG, c’est à la police de s’en occuper. Lui, son travail, c’est de protéger la vie et la sécurité de tous les résidents du Foyer, sans distinction de sexe ou de statut légal.

      Sol. Tattes : Et maintenant, que va-t-il se passer ? Quels sont vos pronostics ?

      Me L.B. : C’est un dossier sensible, et une page sombre de l’Histoire de Genève, mais Genève peut faire mieux, si elle accepte de se remettre en question sur la base des faits tels qu’ils se sont réellement produits. Ce n’est pas facile, pour l’Etat, d’admettre que l’Etat a fauté, mais ce dossier ne permet pas vraiment de tirer une autre conclusion. Personnellement, je continue de croire à la séparation des pouvoirs.

      reçu le 09.03.2024, via la mailing-list de #Solidarité_Tattes

  • XI #Marcha_po_la_Dignidad - #Tarajal | 3.02.2024 | 10 AÑOS EXIGIENDO VERDAD, JUSTICIA Y REPARACIÓN.

    *English version below.
    **Traduction en Français ci-dessous.

    La XI MARCHA POR LA DIGNIDAD es un acto en memoria de las personas a las que arrebataron la vida la mañana del 6 de febrero de 2014 en la playa del Tarajal en Ceuta, pero también es un acto de denuncia por todas las personas a las que les arrebatan la vida por falta de vías legales y seguras para migrar.

    Los colectivos y organizaciones que quieran adherirse a la XI MARCHA POR LA DIGNIDAD deberán completar el siguiente formulario. Ello supondrá el siguiente compromiso:
    – Su inclusión como firmante en el manifiesto al que se dará lectura al finalizar el recorrido de la marcha en la Playa de El Tarajal.
    – Su inclusión en carteles y publicaciones para difusión del acto.
    – Su compromiso en la promoción y difusión de la iniciativa en redes locales, nacionales e internacionales.
    – El acceder a la información y materiales relacionados con la Marcha.
    – La facilitación de la toma de contacto con cualesquiera otros de los miembros incorporados a la red.
    – Asumir las directrices de las personas que conforman la organización de los actos.

    Os esperamos el próximo 3 de febrero en Ceuta.

    Redes de la Organización de la marcha:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 YEARS DEMANDING TRUTH, JUSTICE AND REPARATION.»

    The XI MARCH FOR DIGNITY is an act in memory of the people whose lives were taken on the morning of February 6, 2014 on the beach of Tarajal, but it is also an act of denunciation for all the people whose lives are taken away from them due to the lack of legal and safe ways to migrate.

    Collectives and organizations wishing to join the XI MARCH FOR DIGNITY must complete the following form. This will involve the following commitment:

    / Their inclusion as a signatory organization in the manifesto that will be read at the end of the march.
    / Their inclusion in posters and publications for the dissemination of the event.
    / Your commitment in the promotion and dissemination of the initiative in local, national and international networks.
    / Access to information related to the march.
    / Facilitating contact with any other members of the network.
    / Assuming the guidelines of the Associations organizing the events.

    We look forward to seeing you on February 3th.

    Social networks of the March Organisation:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 ANS D’EXIGENCE DE VÉRITÉ, DE JUSTICE ET DE RÉPARATION».

    La 11e MARCHE POUR LA DIGNITÉ est un acte en mémoire des personnes dont la vie a été arrachée le matin du 6 février 2014 sur la plage de Tarajal, mais c’est aussi un acte de dénonciation pour toutes les personnes dont la vie leur est enlevée en raison de l’absence de moyens légaux et sûrs de migrer.

    Les collectifs et organisations qui souhaitent se joindre à la 11ème MARCHE POUR LA DIGNITÉ doivent remplir le formulaire suivant. Cela implique l’engagement suivant :

    / Leur inclusion en tant que signataire dans le manifeste qui sera lu à la fin de la marche.
    / Leur inclusion sur les affiches et les publications pour faire connaître l’événement.
    / Votre engagement à promouvoir et à diffuser l’initiative dans les réseaux locaux, nationaux et internationaux.
    / Accès aux informations relatives à la marche.
    / Faciliter le contact avec l’un des autres membres du réseau.
    / Assumer les directives des associations qui organisent les événements.

    Nous vous attendons le 3 février.

    Réseaux sociaux de l’organisation de la mache :
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal

    #commémoration #commémoraction #asile #migrations #réfugiés #Ceuta #Maroc #Espagne #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #2024 #dignité #justice #vérité #mémoire

    • A 10 anni dalla strage del Tarajal la XI Marcha por la dignidad

      Sono passati 10 anni dalla strage del Tarajal a Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco. Quella tragica mattina del 6 febbraio del 2014 un gruppo molto numeroso di migranti (circa 300) prova ad entrare a Ceuta a nuoto, attraverso la spiaggia di Tarajal. La Guardia Civil cerca di fermarli, sparando pallottole di gomma e fumogeni molto vicino alle persone che si trovano in acqua. Alcuni testimoni affermano che vengono lanciati proprio sulle persone, molte delle quali galleggiano a fatica. Gli agenti sparano anche quasi duecento colpi a salve. Si diffonde il panico in acqua. Muoiono 15 persone e altri rimangono feriti.

      Per ricordare questa strage e la brutalità del regime delle frontiere ogni anno a Ceuta si svolge una manifestazione, la Marcha por la Dignidad, un atto in memoria delle persone che sono state uccise, ma anche di denuncia per tutte le persone che vengono uccise a causa della mancanza di vie legali e sicure per migrare. Quest’anno sarà sabato 3 febbraio.

      «Quanto accaduto il 6 febbraio 2014 è un chiaro esempio di razzismo di Stato. È nostro dovere antirazzista sapere cosa sta accadendo al confine meridionale spagnolo, dare eco e denunciare le flagranti violazioni dei diritti umani che vi si verificano» – scrivono dalle pagine della Marcha – «anno dopo anno, manteniamo viva la fiamma della memoria e continuiamo a denunciare le politiche migratorie europee che causano morte».

      La giornata di mobilitazione, che ha raccolto oltre 220 adesioni, è organizzata in due momenti. Nel pomeriggio dalle 15.15 inizierà la manifestazione che attraverserà le strade di Ceuta da Plaza de Los Reyes per raggiungere la spiaggia della strage. Nella tarda mattinata, alle 11.30 nella Sala delle Assemblee dell’IES ABYLA di Ceuta, la tavola rotonda in cui interverranno Patuca Fernández, Viviane Ogou e Mouctar Bah (l’incontro sarà trasmesso in diretta qui).

      «La logica razziale e coloniale ha determinato le politiche migratorie dell’Europa. I confini di Ceuta e Melilla stabiliscono una divisione tra coloro che sono considerati persone e coloro che non lo sono», spiegava nella tavola rotonda del 2023, Youssef M. Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale.
      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi. Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha sottolineato.

      Sono tante, troppe, le date che rappresentano purtroppo i punti più alti del razzismo e della violenza delle frontiere. Fra meno di un mese sarà passato un anno dal 26 febbraio 2023, giorno in cui 94 persone (34 di loro erano bambine/i) sono morte a soli 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro in Calabria: non una fatalità come le istituzioni vogliono far credere, ma un eccidio per omissione di soccorso diventato legge. Anche a Cutro, dopo un anno, si tornerà a manifestare ancora al fianco dei familiari e dei superstiti per non dimenticare e continuare a chiedere verità e giustizia.

      https://www.youtube.com/watch?v=g5fGZLGBVSg


      https://www.meltingpot.org/2024/02/a-10-anni-dalla-strage-del-tarajal-la-xi-marcha-por-la-dignidad

    • En 2023...

      Tarajal. Il dovere della memoria per tutte le vittime di frontiera

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità

      A Ceuta, enclave spagnolo situato a nord nel continente africano, centinaia di persone, tra attivistə e giovani migranti, continuano la Marcha por la Dignidad che da nove anni percorre l’intera cittadina lungo la linea che divide la Spagna dal Marocco per raggiungere la spiaggia del Tarajal dove, il 6 febbraio 2014 furono assassinate oltre 15 persone di origine sub-sahariana delle 300 che tentavano di attraversare il confine a nuoto.

      Quella mattina, all’alba di un’ennesima violenza razzista e coloniale, la Guardia Civil spagnola non solo sparò contro di loro proiettili di gomma per impedire che raggiungessero la costa, provocandone l’annegamento, ma eluse ogni tipo di soccorso delle persone in difficoltà e il recupero dei corpi in mare.

      Alla Frontera Sur sono trascorsi nove anni di impunità, nove anni di ingiustizia e violenza perpetrata verso le vittime di quella tragedia e contro tutte coloro che ogni giorno sfidano una delle frontiere più ineguali al mondo. Vigile e repressiva in modo sempre più assiduo sulle persone che da diversi paesi dell’Africa tentano l’attraversamento per mare e per terra della valla di filo spinato che separa i due continenti.

      Se è vero che nel Mediterraneo è iniziata l’Europa, altrettanto certo è che nel Mediterraneo stesso si esaurisce, tra le colonne di un mito che non ha più eroi ma esseri umani in cerca di sogni brutalmente lacerati. Uomini e donne disumanizzate affinché il fardello di colpe e responsabilità trainato da secoli di imperialismo e gerarchie di potere – ben oltre la colonialità storica – alleggerisca il suo peso.

      «Esistono due morti: quella fisica e quella ermeneutica» ha affermato Patuca Fernandez, l’avvocata di Coordinadora de barrios che prese in carico il caso del Tarajal, nel suo intervento sul dovere della memoria delle vittime di frontiera 1

      La prima costituisce quella biologica mentre la seconda riguarda quella inflitta dal processo di normalizzazione e di riduzione o perdita di rilievo del crimine che l’ha provocata. Un criminale non solo uccide la vittima ma impiega ogni sforzo necessario per trovare forme strategiche di ridurre la carica penale che ricadrebbe sui crimini commessi.

      È il modus operandi di una più profonda logica razziale che tende a interiorizzare e disumanizzare le persone migranti per normalizzare la violenza e gli abusi a loro inflitti.

      Ma queste morti non sono occasionali, né tanto meno naturali. Sono sistematiche e strutturali, legittimate da una necropolitica razzista in quanto applicata esclusivamente sulle persone che provengono da territori direttamente o indirettamente vincolati alle (ex)colonie, mediante accordi in materia di sicurezza e criminalizzazione applicata sulla base della propria origine.

      Ad oggi questo crimine resta ancora impunito, sotto la responsabilità di nessuno se non delle vittime stesse, profanate non soltanto in vita ma calpestate nella propria dignità in morte e in quella dei familiari, privati di verità e di giustizia, del diritto al dolore, al lutto, al risarcimento e alla non ripetizione.

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità.

      Puntare lo sguardo indietro ha un significato estremamente potente per quanto accade nel presente, e dare contenuto a quel passato che continua sistematicamente a ripetersi. Fare memoria vuol dire far conoscere la realtà di quanto accade ed esigere giustizia per ogni vittima di frontiera.

      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi», ha affermato Youssef M.Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale. «Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha continuato ricordando quanto accaduto di recente a Melilla2. Se cambiassero il luogo e la data, l’evidenza della violenza delle frontiere, esterne ed interne al Paese, sarebbero esattamente le medesime.

      https://www.youtube.com/watch?v=4HayyEDFaSc

      Tra le vittime più recenti, Moussa Sylla, espulso dal Ceti (Centro di residenza temporanea per migranti) di Ceuta dove era stato accolto al suo arrivo in territorio spagnolo lo scorso dicembre 2022. Moussa ha dovuto lasciare il centro senza però avere un altro luogo dove andare, allontanato come tanti altri minori che arrivano soli e finiscono abbandonati a sé stessi e alla disperazione. Fino allo scorso 26 gennaio era rimasto davanti alla porta dello stabilimento per chiedere di entrare. Sotto pioggia e freddo supplicava ripetutamente di non esser rilegato al margine ancora una volta. Ma non è stato ascoltato. Espulso dallo Stato che difende le frontiere anziché proteggere le persone, Moussa si è impiccato ad un albero dinanzi le porte dello stabilimento.

      Le colonne di Ercole, erette una di fronte all’altra nello stretto di Gibilterra, non sono più elemento di connessione ed unione tra due mondi inesplorati di un Ulisse che dal suo viaggio fa ritorno in patria. Le colonne dello stretto sono una stretta sul popolo in movimento indesiderato, una strategia ulteriore di chiusura all’Altro per cui l’hospes si è risolto in hostis.

      In questo incrocio di acque – Atlantico e Mediterraneo – e di terre, l‘Europa dall‘Africa, sorge l’inquietudine di una frontiera in cui i paesi e gli uomini non solo stanno di fronte ma sul fronte, in prima linea di guerra, per fronteggiarsi ed ispezionarsi.

      E’ al grido di «Basta violenza alle frontiere» che accompagniamo la marcia di commemor-azione che da nove anni si batte contro l’impunità che vige sul caso: l’inchiesta giudiziaria aperta, che stava per mettere al banco per omicidio colposo 16 guardie civili (scampate applicando la ‘dottrina Loot’), è stata definitivamente archiviata dalla Corte Suprema nel giugno dello scorso anno. La Corte Costituzionale sta ancora studiando se accogliere o meno i ricorsi presentati da diverse organizzazioni non governative e per conto delle famiglie delle vittime (a cui non è stato nemmeno permesso di recarsi in Spagna) per violazione dei loro fondamentali diritti alla vita, protezione giudiziaria effettiva e integrità morale, come indicato nelle dichiarazioni dell’avvocata Fernández.

      In memoria di Roger, Yves, Samba, Larios, Daouda, Luc, Youssouf, Armand, Ousmane, Keita, Jeannot, Oumarou, Blasie e le altre persone non identificate, continuiamo ad esigere che si faccia giustizia, che venga riconosciuta la responsabilità dei crimini di frontiera e garantire equi diritti a tutte le persone senza condizione alcuna.

      https://www.meltingpot.org/2023/02/tarajal-il-dovere-della-memoria-per-tutte-le-vittime-di-frontiera

    • La tomba 147 e l’instancabile lotta di giustizia per la strage del Tarajal

      Ceuta, 10 anni dal 6 febbraio 2014

      Nei tranquilli e placidi passaggi del cimitero di Santa Catalina a Ceuta, situato nel cortile di Santa Beatriz de Silva, c’è un corridoio infinito fiancheggiato da due file di lapidi, in cui si può scoprire un enigmatico labirinto di marmo. È adornato da nomi, cognomi e ornamenti che evocano la memoria di coloro che non ci sono più. Oltre questa fila, nel punto più alto, si trovano tombe meticolosamente numerate, sigillate nel freddo abbraccio del cemento. Questi loculi sono privi di nomi o vasi di fiori che ricordano le anime che riposano al loro interno. Guardando dall’altra parte dello stretto, si vedono le tombe dei migranti che sono morti nel tentativo di raggiungere la spiaggia di Tarajal a Ceuta e di altri che hanno subito lo stesso destino. Si tratta di tombe anonime. Qui giacciono cinque delle quindici persone che, il 6 febbraio 2014, hanno cercato di raggiungere a nuoto la spiaggia di Tarajal a Ceuta, situata al confine tra Marocco e Spagna.
      Ostacoli all’identificazione dei corpi delle vittime di Tarajal

      Solo il corpo di Nana Roger Chimie, un giovane camerunense, è stato identificato; gli altri resti sepolti nel sito rimangono non identificati, nonostante gli sforzi delle famiglie e degli avvocati di Samba, Larios e Ussman Hassan per chiarire l’identità dei corpi trovati dopo il ritrovamento di Nana, che giacciono sepolti lì.

      Patricia Fernández Vicent, avvocata della Coordinadora de Barrios, conferma che «Nana è stato identificato perché il suo corpo è stato ritrovato solo due giorni dopo i fatti e grazie agli oggetti personali che portava con sé quando ha cercato di attraversare il mare per raggiungere la Spagna. Inoltre, le sue condizioni hanno permesso di verificare le sue impronte digitali con i database camerunesi. Roger riposa nella tomba numero 147», che si distingue solo per la data e l’iscrizione: “Tarajal 6-2-14“.

      L’identità degli altri rimane un mistero. L’avvocata aggiunge: «Abbiamo chiesto al tribunale il test del DNA, ma è stato rifiutato in quanto non necessario per chiarire i fatti, quindi non è mai stato effettuato». C’è anche un quinto corpo la cui identità rimane sconosciuta, poiché non è stato fatto alcun tentativo formale di identificarlo.

      A distanza di dieci anni, le famiglie delle vittime sono ancora in cerca di giustizia e lottano senza sosta per ottenere il permesso di recarsi a Ceuta per identificare i loro cari. Tuttavia, il governo spagnolo ha ripetutamente negato i visti necessari per verificare se i resti appartengono a qualcuno dei parenti ancora dispersi.

      A tre anni dagli eventi, le famiglie delle vittime del Tarajal erano state ascoltate dal Congresso dei Deputati, in coincidenza con l’anniversario. Una dozzina di padri, madri, fratelli e sorelle di coloro che morirono sulla spiaggia di Ceuta avevano partecipato a un atto commemorativo in videoconferenza. «Vogliamo che sia fatta giustizia, vogliamo che la loro morte non rimanga impunita», aveva esclamato la madre di uno dei giovani morti di Douala, in Camerun, durante il tributo.

      Le famiglie dei giovani deceduti continuano a chiedere di conoscere la verità su quanto accaduto, chiedendo giustizia affinché queste morti non rimangano dimenticate e senza responsabilità. «Stavano solo cercando una vita migliore per le loro famiglie», ha detto un membro della famiglia.
      Dieci anni senza responsabilità

      A dieci anni dalle morti e dopo otto anni di procedimenti giudiziari, il caso non è ancora arrivato al processo, essendo stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. La vicenda giudiziaria del caso Tarajal è stata complessa e prolungata. È iniziata nel febbraio 2015 quando il Tribunale di Ceuta ha convocato 16 agenti di polizia, con le Ong CEAR, Coordinadora de Barrios e Observatori DESC che hanno agito come parti civili.

      Nelle prime due istanze di archiviazione, nel 2015 e nel 2018, il giudice ha concluso che erano stati compiuti tutti i passi investigativi possibili, senza trovare prove di attività sanzionabile nei confronti dei 16 agenti della Guardia Civil coinvolti negli eventi di quella mattina del febbraio 2014. Tuttavia, il Tribunale Provinciale di Ceuta ha ribaltato entrambe le decisioni nel 2017 e nel 2018, incaricando il giudice di identificare i cinque deceduti e di raccogliere le dichiarazioni dei sopravvissuti. Nell’ottobre 2017, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Spagna per pratiche simili a Melilla.

      Il caso è stato nuovamente chiuso nel gennaio 2018, ma dopo i ricorsi, nell’agosto 2018, il Tribunale Provinciale di Cadice ha deciso di riaprire il caso, sottolineando le inadeguatezze dell’indagine. Nel settembre 2019, 16 agenti della Guardia Civil sono stati processati, ma il fascicolo è stato chiuso per la terza volta nell’ottobre 2019, provocando ulteriori ricorsi. Il Tribunale Provinciale di Cadice ha respinto i ricorsi nel luglio 2020.

      Le Ong hanno presentato un ricorso in Cassazione alla Corte Suprema, che è stato respinto nel maggio 2022. Nel luglio 2022 è stato presentato un ricorso per amparo alla Corte Costituzionale 1. Infine, nel giugno 2023, la Corte Costituzionale ha ammesso il ricorso per amparo, aprendo la possibilità di stabilire una dottrina costituzionale che protegga i diritti dei migranti alle frontiere.

      Nonostante si tratti di uno dei casi più mediatici degli ultimi anni, né i giudici né i pubblici ministeri si sono pronunciati pubblicamente durante il processo, limitandosi a fare riferimento alle ordinanze e ai documenti inviati alle parti. Una fonte giudiziaria ha spiegato a questo corrispondente che “si trattava di un caso insolito, in quanto era la prima volta che si trovavano di fronte a un gruppo di assalto marittimo“. Inoltre, ha sottolineato che le questioni legali sono complicate, in quanto bisogna stabilire “se c’è una responsabilità condivisa per i crimini sconsiderati e qual è stata la partecipazione specifica di ciascuna guardia civile“. Questo perché le sanzioni non possono essere applicate a gruppi, il che solleva questioni di natura strettamente legale.

      Cosa è successo nelle prime ore del 6 febbraio 2014 sulla spiaggia di Tarajal a Ceuta

      Nelle prime ore del 6 febbraio 2014, circa 400 persone hanno tentato di attraversare la barriera di confine che separa il Marocco dall’Europa. La Guardia Civil, dispiegata lungo l’intero perimetro del confine, ha cercato di impedire al gruppo di entrare a Ceuta utilizzando attrezzature antisommossa, proiettili di gomma, gas lacrimogeni e detonazioni acustiche.

      Almeno 15 persone sono state uccise e molte altre gravemente ferite. Coloro che sono sopravvissuti e sono riusciti a raggiungere il lato spagnolo della spiaggia di Tarajal sono stati immediatamente rispediti in Marocco. La mattina successiva furono ritrovati 14 corpi, 5 in Spagna e 9 in Marocco. Ufficialmente, 23 persone sono state riportate in Marocco e solo una persona è stata dichiarata dispersa.

      Secondo le ONG coinvolte nell’accusa popolare contro le guardie civili, “molte testimonianze di sopravvissuti e testimoni, insieme ai video ufficiali rilasciati dalla Guardia Civil, dimostrano che la delegazione governativa a Ceuta era a conoscenza in ogni momento dell’attivazione del livello massimo di allerta, che prevedeva la mobilitazione di varie unità della Guardia Civil dotate di attrezzature anti-sommossa“. L’allerta è stata attivata per impedire al gruppo di circa 400 persone di entrare in territorio spagnolo. Si trattava di coloro che erano riusciti a eludere i controlli delle forze marocchine nei boschi vicino al confine con Ceuta e a raggiungere la spiaggia, nella zona marocchina, dove si sono gettati in mare. Secondo i testimoni, circa 1.500 persone, per lo più africani subsahariani, hanno cercato di entrare in Europa quella mattina, ma solo 400 sono riusciti ad avvicinarsi.

      La Guardia Civil ha affrontato il gruppo in assetto antisommossa mentre nuotava verso la riva, lanciando candelotti fumogeni e palle di gomma dal frangiflutti. Questa azione non è stata inizialmente riconosciuta dal delegato del governo, Francisco Antonio González, e successivamente dal direttore generale della Guardia Civil, Arsenio Fernández de Mesa, che ha negato l’uso di materiale antisommossa in acqua, attribuendo la responsabilità dei morti alle forze marocchine.
      Le bugie del Ministero degli Interni

      Jorge Fernández Díaz, all’epoca Ministro degli Interni, si presentò una settimana dopo al Congresso ammettendo l’uso di materiale antisommossa come deterrente, ma indicando l’acqua. Queste spiegazioni seguirono la diffusione di immagini che mostravano gli agenti della Guardia Civil utilizzare “145 proiettili di gomma e cinque candelotti fumogeni” per impedire ai migranti di raggiungere la Spagna, sparando verso la posizione in cui stavano nuotando, mentre erano inseguiti da una motovedetta marocchina. Nella stessa occasione, il ministro si è rammaricato per la morte delle 15 persone sulla spiaggia di Tarajal ma, come gli ha chiesto un deputato dell’opposizione, non si è scusato con le famiglie delle vittime in quanto capo della Guardia Civil.

      Il Segretario di Stato per la Sicurezza, Francisco Martínez, al Congresso, ha dichiarato che nessuno dei giovani che hanno raggiunto la riva spagnola è rimasto ferito e che la Guardia Civil ha sparato solo mentre erano ancora in acque marocchine, attenuando l’azione dal frangiflutti. Tuttavia, sono sorte delle domande: “Perché nessuno ha cercato di salvare le persone che stavano annegando? Perché non sono stati allertati i soccorsi marittimi e la Croce Rossa?“.

      Il governo del PP, attraverso il ministro, ha ufficializzato la sua versione dei fatti e ha respinto la richiesta di aprire una commissione d’inchiesta richiesta dall’opposizione, approfittando della maggioranza assoluta di cui godeva nel 2014. Ma le registrazioni e gli audio forniti delle comunicazioni tra gli agenti e il COS mettono in dubbio la versione di Martínez. In una delle comunicazioni, gli agenti hanno avvertito della presenza di migranti che nuotavano e hanno chiesto istruzioni: “Dobbiamo fermarli?“. Dalla centrale operativa hanno risposto con incertezza: “Non sono sicuro, almeno cerchiamo di fermarli dall’avanzare, si stanno dirigendo verso Ceuta“. La risposta è stata: “Non è possibile, hanno attraversato da dietro e l’unica opzione era catturarli o lasciarli proseguire“. Le contraddizioni del delegato del governo a Ceuta e del direttore della Guardia Civil sono venute alla luce, mettendo a nudo la leadership del Ministero degli Interni. Nessuno si è dimesso.

      Persino il presidente del governo della città autonoma, Juan Jesús Vivas, si è spinto a definire “miserabili” sul suo account Facebook le organizzazioni che hanno accusato direttamente le guardie civili di essere responsabili delle morti. L’Ong Caminando Fronteras ha pubblicato un rapporto che includeva i referti delle ferite e le testimonianze dei sopravvissuti, tutti sono concordi nell’affermare che i proiettili di gomma erano diretti contro i migranti. Dopo essere venuto a conoscenza del rapporto, Francisco Antonio González ha consigliato alle guardie civili di sporgere denuncia contro l’organizzazione.
      Il vescovo di Tangeri critica l’azione della Guardia Civil

      L’arcivescovo emerito di Tangeri, Santiago Agrelo, ha criticato le azioni della Guardia Civil durante gli eventi del 6 febbraio 2014 a il Tarajal. “Quel giorno, quei giovani non si sono gettati in acqua contro nessuno: cercavano solo un futuro migliore, al quale sicuramente avevano diritto almeno quanto me“. Ha sottolineato la responsabilità delle forze dell’ordine, affermando che “le forze dell’ordine del Regno di Spagna hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per impedire a quei giovani di raggiungere la spiaggia, un fatto che non solo è stato riconosciuto ma anche rivendicato: hanno fatto ciò che dovevano fare“.

      Nessuno si è assunto la responsabilità e nessuno sa chi abbia dato l’ordine di autorizzare gli agenti spagnoli ad agire sulla spiaggia di Tarajal. A distanza di dieci anni, nessuno a nome dello Stato spagnolo si è scusato con le famiglie delle vittime di quella fatidica mattina del febbraio 2014. La tomba 147 nel cimitero di Ceuta rimarrà in silenzio.

      La mattina di domenica 4 febbraio, la tomba di Roger Nana è stata resa dignitosa. L’associazione ELIN, la Coordinadora de Barrios e alcuni attivisti hanno dedicato un poster che è stato collocato sulla tomba di Nana. Dopo un breve funerale, Javier Baeza, presidente dell’organizzazione di Madrid, ha dedicato alcune parole di omaggio alle vittime. Le altre tombe sono già segnate come “persona non identificata 6 febbraio 2014“.

      https://www.meltingpot.org/2024/02/la-tomba-147-e-linstancabile-lotta-di-giustizia-per-la-strage-del-taraja

      #responsabilité

    • #Ceuta: di tutte le stragi, una Memoria Mediterranea

      A dieci anni dalla strage del Tarajal, in cui furono uccise almeno 14 persone nel tentativo di raggiungere la Spagna a nuoto, Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco, continua a essere tra le frontiere più violente del regime necropolitico europeo: il mare da un lato, la valla di concertina tagliente dall’altro, sistematicamente iper vigilati e militarizzati per impedire il transito delle persone verso l’Europa. Luogo di incessante approccio securitario, Ceuta, come Melilla, in territorio nordafricano, è da anni scenario di morte e negazione della vita umana, non solo delle persone che tentano di sfidarlo ma di tutte coloro che restano dall’altro lato in attesa di verità sui propri familiari.

      Sono trascorsi 10 anni di silenzio sul massacro del Tarajal, quando, all’alba del 6 febbraio 2014, la Guardia Civil spagnola sparava brutalmente centinaia di proiettili di gomma contro un gruppo di oltre 300 persone migranti di origine sub – sahariana provocandone la morte per annegamento e omettendo il loro soccorso e il recupero dei corpi. Decine di persone sono annegate davanti allo sguardo inerme delle guardie che ad oggi continuano impunemente a perpetrare violenza e repressione contro le persone migranti direttamente coinvolte e contro le famiglie a cui viene negato l’accesso per poter raggiungere l’Europa e cercarli.

      Le persone che tentano di varcare il confine al costo della propria vita, vengono sottoposte a ripetute umiliazioni e procedure di controllo, trattenimento e maltrattamento propedeutiche allo smistamento e alla loro espulsione, sorte di cui spesso le famiglie rimangono ignare e lontane dalle possibilità di richiesta per verità e giustizia dai territori di origine.

      Dal massacro, il governo spagnolo ha ripetutamente respinto la richiesta dei visti ai familiari delle persone disperse e il prelievo del DNA dai resti recuperati affinché procedessero con l’eventuale identificazione dei corpi, ignorando di fatto la loro richiesta di giustizia e verità.

      Infatti, il caso del 6 febbraio fu ripetutamente archiviato dalle responsabilità di una ennesima strage di Stato, riaperto successivamente e in corso di risoluzione, solo lo scorso giugno 2023, grazie alla pressione delle stesse persone sopravvissute e delle famiglie, alle avvocate e attiviste solidali che con loro sostengono la rivendicazione contro la negazione politica della vita e della morte.

      In accordo con il Marocco – da Rajoy e i successori fino all’attuale Sanchez – lo Stato spagnolo ribadisce da decenni il proprio compromesso sul controllo bilaterale della frontiera elogiando l’impegno sempre più mirato all’esternalizzazione della frontiera sul territorio marrocchino in un’ottica di governance migratoria, disattendendo i principi democratici e i diritti di libertà e dignità per la vita delle persone migranti, in fuga da altrettante situazioni di violenze ed abuso, spesso dipese dalla onerosa precarizzazione economica.

      In questo senso, la violenza di cui Ceuta si fa testimone, la medesima che interessa Melilla e la rotta canaria in Spagna o i luoghi in cui vige la procedura di frontiera sull’intero suolo europeo – da Lampedusa a Ventimiglia e lungo i Balcani – non è rappresentata da “ assalti” ed “invasioni” illegali come mediaticamente cerca di strumentalizzare la difesa politica, ma insita nella rimozione sistematica del diritto a partire, a circolare ed arrivare liberamente, alla possibilità per tutte e tutti di avere riconosciuta un’identità ante e post mortem, il diritto a sapere e al lutto.

      Accordi con paesi terzi come il Marocco, esattamente come accade tra Italia e Libia e Tunisia, ledono ogni diritto umano, in primis quello alla vita, abusata e fatta prigioniera dietro e dentro le mura di cinta, potenziate nel meccanismo di controllo e respingimento in mare, nei dispositivi detentivi e di sorveglianza dei centri per il rimpatrio (In Spagna C.I.E.), luoghi di trattenimento forzato e punitivo senza alcuna condanna, dove però non si spengono manifestazioni per la libertà e la liberazione dalle persone trattenute e recluse, in protesta anche in questi giorni dai vari centri in Italia a seguito del suicidio di Stato di Ousmane Sylla .

      La strage di Tarajal è l’espressione di quanto accade ogni giorno da anni in cui impunità, ingiustizia e violenza assumono le sembianze della lotta alla criminalità e alla sicurezza nazionale. Massacri senza giustizia, tombe senza nome, corpi senza volto, morti senza corpo, non sono che l’espressione ultima.

      Ma non l’unica.

      Alla Frontera Sur, una ‘Marcha por la Dignidad’, organizzata da centinaia di persone migranti, familiari, attivisti e diverse organizzazioni solidali, tra cui @Caravana Abriendo Fronteras e @CarovaneMigranti, continua da 10 anni a reclamare ed esigere verità e giustizia per tutte le persone morte nel massacro di Ceuta e per tutte coloro che muoiono e scompaiono per mano della indifferente violenza sistemica di un regime politico mortifero che vigila e reprime le persone migranti alle frontiere interne ed esternalizzate.

      Anche quest’anno la Marcha, partita dalla sede della Delegazione del Governo di Ceuta, ha raggiunto la spiaggia del Tarajal, dove la commemorazione diviene strumento di lotta non solo per ricordare il Tarajal ma per parlare di tutte le ennesime stragi che si ripetono. Quanto accaduto nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma rigorosamente sistematico, lo abbiamo visto a Melilla, a Nador, ad Ouija, in Tunisia, in Sicilia, a Cutro. Tante, troppe e ininterrotte stragi, in altrettante date del calendario, si verificano nel silenzio politico di turno.

      Ma la lotta per la Memoria viva è un riscatto mediterraneo che unisce la rabbia per trasformare il dolore in un grido collettivo per ogni Memoria negata e inabissata che vive attraverso chi può raccontare, dalle lotte familiari e collettive.

      A dieci anni dalla strage di Ceuta, per tutte le stragi invisibili di cui non si racconta, per ogni persona coinvolta in un massacro rimosso, continuiamo a tessere un’unica Memoria Mediterranea, quella praticata tutti i giorni come strumento di denuncia e di ricerca di giustizia, custode di dignità e resistenza.

      Non lasceremo il Mediterraneo agli abissi, ce ne impossessiamo senza timore per combattere dove si combatte, per elevare la voce dove si protesta, per piantare dove si cerca di seppellire.

      Tarajal, no olvidamos!

      https://memoriamediterranea.org/ceuta-di-tutte-le-stragi-una-memoria-mediterranea
      #mémoire_méditerranéenne

  • Loi « immigration » : avec finalement 51 articles, un texte plus fourni que le projet initial du gouvernement

    Le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a estimé, après la #censure partielle du Conseil constitutionnel, que la version définitive correspond au texte « voulu par le gouvernement ». La première mouture, de 27 articles, a cependant été augmentée par la droite sénatoriale. De nombreux articles continuent d’inquiéter juristes et associations.

    C’est une loi « immigration » composée de 51 articles que le président de la République, Emmanuel Macron, devrait promulguer de façon imminente. A l’issue de la censure partielle du texte par le Conseil constitutionnel, jeudi 25 janvier, environ 40 % de ses dispositions ont été invalidées, principalement pour des motifs de forme. Il s’agit quasi exclusivement d’éléments introduits par la droite parlementaire.

    La version définitive correspond donc au « texte voulu par le gouvernement », s’est félicité le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, jeudi soir sur TF1. « Jamais la République n’a eu une loi aussi dure contre les étrangers délinquants », a-t-il insisté, soulignant que les dispositions initialement prévues par le gouvernement sont contenues dans le texte final (26 articles sur les 27 du projet présenté en février 2023).

    Les juges constitutionnels ont, jeudi, estimé conformes dix mesures sur la quarantaine dont ils étaient saisis. Ainsi ont-ils validé la levée des protections à l’éloignement dont bénéficient certaines catégories d’étrangers, comme ceux arrivés en France avant l’âge de 13 ans. Cette disposition est censée permettre 4 000 expulsions supplémentaires de délinquants étrangers, promet la Place Beauvau. Elle est assimilée par ses opposants au rétablissement d’une forme de « double peine ».

    De même, le Conseil a jugé conforme à la Constitution la généralisation du juge unique, au détriment des formations collégiales de trois juges, pour statuer plus rapidement sur les demandes d’asile devant la Cour nationale du droit d’asile (CNDA). La possibilité de recourir à des vidéoaudiences pour juger du maintien en rétention des étrangers a aussi été avalisée.

    Quatre instructions d’application immédiate

    Le Conseil a en outre déclaré conforme l’article imposant à l’étranger de signer un contrat d’engagement au respect des principes de la République. Alors qu’une disposition similaire avait été censurée dans la loi dite de lutte contre le séparatisme, en 2021, les juges constitutionnels ont cette fois considéré que le gouvernement avait listé les principes de la République de façon suffisamment détaillée, qui comprennent « la liberté personnelle, la liberté d’expression et de conscience, l’égalité entre les femmes et les hommes, la dignité de la personne humaine, la devise et les symboles de la République ».

    Des dispositions introduites par la droite sénatoriale ont également été approuvées, et notamment celles conditionnant la délivrance de visas à la bonne coopération des pays d’origine en matière de réadmission de leurs ressortissants en situation irrégulière.

    Validée aussi, la possibilité, ajoutée par la droite parlementaire, pour un département de refuser la prise en charge au titre de l’aide sociale à l’enfance des jeunes majeurs lorsqu’ils ont fait l’objet d’une obligation de quitter le territoire (OQTF), ou encore la création d’un fichier des mineurs étrangers suspectés d’être des délinquants.

    Dans un registre satisfait, le ministre de l’intérieur a prévenu, jeudi soir sur TF1, qu’il réunirait dès vendredi 26 janvier les préfets pour leur transmettre au moins quatre instructions d’application immédiate. D’abord, M. Darmanin souhaite que l’intégralité des dossiers des étrangers délinquants soit réétudiée, afin d’envisager des expulsions sur la base de la nouvelle loi. Ensuite, il entend demander de régulariser certains travailleurs sans-papiers évoluant dans les secteurs en tension, ainsi que le facilite une disposition de la loi.

    M. Darmanin souhaite aussi s’appuyer sur la loi pour accentuer la lutte contre l’immigration irrégulière, contre les marchands de sommeil ou contre le travail des autoentrepreneurs sans-papiers, à l’image des livreurs à domicile. Le ministère de l’intérieur veut enfin appliquer sans attendre l’interdiction en métropole du placement en rétention des mineurs. Dans les faits, la mesure est déjà pratiquement à l’œuvre.

    « C’est un texte très mal rédigé »

    Du côté des associations et des juristes, si la censure partielle de la loi a été accueillie positivement car elle balaye les mesures les plus dures, de vives inquiétudes demeurent sur les dispositions du texte restantes. Président d’Amnesty International France, Jean-Claude Samouiller a appelé le gouvernement à ne pas mettre en œuvre les mesures qui, « si elles ne sont pas jugées comme anticonstitutionnelles, n‘en sont pas moins attentatoires aux droits et aux libertés des personnes exilées ».

    Par la voix de sa présidente, Adeline Hazan, l’Unicef France se dit également « préoccupé par le maintien de plusieurs dispositions qui, si elles n’ont pas été déclarées inconstitutionnelles, semblent toutefois incompatibles avec le respect des droits de l’enfant ». « Retour de la “double peine”, instauration d’un juge unique à la CNDA ou nouvelles conditions mises à la délivrance de titres de séjour. Ces dispositions, nous continuerons à les contester », a appuyé Dominique Sopo, le président de SOS Racisme.

    Une série de 41 articles n’ont en outre pas été soumis au contrôle des juges constitutionnels. Parmi ceux-là : la possibilité de placer en rétention certains demandeurs d’asile à la frontière ; le fait qu’un parent étranger doit s’engager à éduquer ses enfants dans le respect « des valeurs et principes de la République », ou encore le passage d’un examen de français pour l’obtention d’une carte pluriannuelle de séjour. « Le Conseil ne s’est pas prononcé sur de nombreux articles, comme les mesures spécifiques à Mayotte », regrette Marie-Laure Basilien-Gainche, professeure de droit à l’université Lyon-3 et « membre sénior » de l’Institut universitaire de France.

    « C’est un texte très mal rédigé, sa procédure d’adoption a été catastrophique », ajoute encore Samy Benzina, professeur de droit public à l’université de Poitiers, qui, comme d’autres de ses collègues, estime que la loi devrait engendrer de nombreux contentieux. « On peut déposer des questions prioritaires de constitutionnalité à l’occasion de la contestation des décrets d’application par exemple, prévient Serge Slama, professeur de droit public à l’université de Grenoble. Il peut aussi y avoir des contrôles de conventionnalité et de conformité au droit de l’Union européenne dans le cadre de contentieux individuels. » Des procédures qui prendront nécessairement du temps.

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/26/loi-immigration-avec-51-articles-au-final-un-texte-plus-fourni-que-le-projet

    #loi_immigration #conseil_constitutionnel #migrations #asile #réfugiés #France

    • Loi immigration : Un pouvoir de nuisance intact

      À l’issue d’un épisode inédit qui a vu l’exécutif se défausser sur le Conseil constitutionnel pour éliminer des dispositions nauséabondes qu’il avait lui-même complaisamment validées, reste une loi qui s’en prend violemment aux droits des personnes étrangères.

      Non seulement le tri opéré par le Conseil constitutionnel laisse subsister près des deux tiers d’une loi marquée du sceau de la suspicion envers un étranger présumé délinquant ou hostile aux principes de la République, mais celles qui ont été écartées ne l’ont été qu’au motif de leur absence de lien direct ou indirect avec l’objet de la loi. Autant dire que cette censure, aussi large soit-elle, ne dit rien de leur contrariété avec les principes constitutionnels. Elle ne peut donc rassurer personne.

      Le Conseil constitutionnel est satisfait : il a fait son travail.
      L’exécutif est satisfait : il a sa loi.
      Les commentateurs de tous bords sont satisfaits : les uns pensent tenir là l’occasion de crier haro sur la Constitution, les autres de crier victoire après « une large censure » de la loi.

      Qui pour évaluer et dénoncer les conséquences à venir, pour les personnes étrangères, des 27 articles du projet de loi initial, quasiment tous épargnés par la censure, auxquels s’ajoute un nombre équivalent de dispositions issues des surenchères xénophobes de la droite sénatoriale et qui restent dans la loi ?

      Un droit au séjour désintégré par des dispositions qui en limitent drastiquement l’accès, le mettent en sursis permanent ou en dégradent les conditions d’exercice.

      Des familles qui voleront en éclats sous les coups de boutoir d’une omni-présente « menace pour l’ordre public » valant blanc seing pour les préfets ou du simple fait de la perte du droit au séjour de l’un de leurs membres.

      Des obligations de quitter le territoire ouvrant la voie à la traque policière pendant trois ans et un arsenal répressif toujours plus fourni avec une « double peine » d’interdiction du territoire banalisée.

      Un parcours toujours plus restrictif et expéditif pour les demandeurs d’asile, privés de leurs droits au moindre accident et, pour nombre d’entre eux, assignés à résidence ou placés en rétention avant même d’avoir pu déposer leur dossier.

      Qui se souvient que le gouvernement prétendait « intégrer par le travail » en donnant un titre de séjour d’un an aux sans-papiers travaillant dans les métiers en tension ? Inutile de souligner qu’il ne reste rien de ce dispositif : là encore c’est l’arbitraire des préfets qui fera loi.

      Une fois passée la colère, il restera à forger les outils destinés, dans les tribunaux et ailleurs, à enrayer le fol engrenage qui prend les personnes étrangères pour cibles.

      http://www.gisti.org/article7167

  • Nuovo patto UE: schedare e rimpatriare
    https://www.meltingpot.org/2024/01/nuovo-patto-ue-schedare-e-rimpatriare

    A fine dicembre i ventisei Stati membri dell’Ue hanno concluso un accordo in cinque punti che stravolge la concezione e l’applicazione del diritto europeo: è il nuovo Patto UE sulla migrazione e l’asilo le cui ripercussioni saranno molte e già si potranno percepire gli effetti nel breve termine. Uno dei punti più dolenti è quello inerente i minori stranieri: le impronte digitali, precedentemente da rilevare solo ai minorenni non inferiori all’età di quattordici anni, verranno prese ai bambini a partire dai sei anni di età. Ci sono dei provvedimenti che sono la metafora del modus operandi del governante e questo è (...)

    #Approfondimenti #Liliya_Chorna

  • Royaume-Uni : la Chambre des lords désapprouve le projet de loi qui organise le transfert des migrants vers le Rwanda

    La chambre haute du Parlement britannique a voté une #motion demandant au gouvernement de repousser la ratification d’un traité signé avec Kigali, sur lequel doit s’adosser la future loi.

    Un nouvel écueil pour le projet de loi controversé de Rishi Sunak sur l’immigration. Les lords britanniques ont exprimé, lundi 22 janvier au soir, leur désapprobation à l’égard du texte porté par le premier ministre britannique, qui vise à expulser les migrants au Rwanda – défini comme un pays tiers sûr – et empêche leur renvoi vers leurs pays d’origine.

    Une majorité de représentants siégeant à la chambre haute du Parlement ont demandé au gouvernement de repousser la ratification du traité signé avec Kigali, tant qu’il n’a pas été effectivement démontré que le Rwanda est un pays d’accueil sûr pour les migrants qui y seront expulsés. C’est sur la base de ce traité que le projet de loi du gouvernement conservateur, socle de la politique de lutte du gouvernement contre l’immigration clandestine, a été élaboré.

    Ainsi, 214 lords ont suivi la recommandation d’un comité transpartisan, qui a estimé, dans un rapport publié la semaine dernière, que les garanties fournies par le traité étaient « incomplètes », tandis que 171 d’entre eux se sont opposés à la motion.

    Le texte signé en décembre 2023 avec le Rwanda est, en effet, censé répondre aux préoccupations de la Cour suprême britannique, qui avait jugé le projet illégal dans sa précédente version par crainte que les demandeurs d’asile soient ensuite transférés vers d’autres pays où ils seraient en danger.
    Un texte critiqué par les associations humanitaires

    Il s’agit de l’une des dernières cartes du gouvernement conservateur pour sauver ce projet emblématique, maintes fois mis en échec depuis son annonce, en 2022, par l’ancien premier ministre Boris Johnson.

    La Chambre des communes, où siègent les députés élus, l’a adopté la semaine dernière à une confortable majorité, après un examen chahuté par la droite du Parti conservateur, encline à durcir le texte, et la démission de plusieurs de ses cadres. Dans la foulée, M. Sunak a enjoint aux lords d’adopter eux aussi au plus vite le projet, vivement critiqué par les associations humanitaires, qu’il espère mettre en application avant les élections législatives prévues à la fin de l’année.
    Le texte doit être débattu à la chambre haute du Parlement britannique la semaine prochaine. Contrairement aux membres élus de la Chambre des communes, les lords n’ont pas le pouvoir de bloquer la ratification d’un traité. Mais le vote de cette motion, à laquelle le gouvernement devra apporter une réponse, laisse présager de nouvelles difficultés pour ce projet de loi.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/23/royaume-uni-la-chambre-des-lords-desapprouve-le-projet-de-loi-qui-organise-l

    #UK #Angleterre #asile #migrations #réfugiés #externalisation #offshore_asylum_processing

    –-

    ajouté à cette métaliste sur la mise en place de l’#externalisation des #procédures_d'asile au #Rwanda par l’#Angleterre
    https://seenthis.net/messages/966443

    • Au Royaume-Uni, les Lords repoussent le projet d’expulsion de migrants vers le Rwanda

      La chambre haute britannique a adopté lundi 22 janvier une motion demandant de repousser la ratification d’un traité avec Kigali tant qu’il n’a pas été démontré que le Rwanda est un pays sûr pour les migrants qui y seront expulsés.

      It’s a “No”. Les Lords britanniques ont exprimé lundi 22 janvier au soir leur désapprobation à l’égard du projet controversé du Premier ministre Rishi Sunak visant à expulser les migrants au Rwanda, s’opposant à la ratification du traité signé avec Kigali sur lequel doit s’adosser sa future loi. Une majorité de représentants siégeant à la chambre haute du Parlement ont demandé au gouvernement de repousser la ratification de ce traité tant qu’il n’a pas été effectivement démontré que le Rwanda est un pays d’accueil sûr pour les migrants qui y seront expulsés.

      214 Lords ont ainsi suivi la recommandation d’un comité transpartisan, qui a estimé dans un rapport publié la semaine dernière que les garanties fournies par le traité étaient « incomplètes », tandis que 171 d’entre eux se sont opposés à la motion.
      Projet maintes fois mis en échec

      Le texte signé en décembre avec Kigali est censé répondre aux préoccupations de la Cour suprême britannique, qui avait jugé le projet illégal dans sa précédente version par crainte que les demandeurs d’asile soient ensuite transférés vers d’autres pays où ils seraient en danger. Il s’agit de l’une des dernières cartes du gouvernement conservateur pour sauver ce projet emblématique, maintes fois mis en échec depuis son annonce en 2022 par l’ancien Premier ministre Boris Johnson.

      La Chambre des Communes, où siègent les députés élus, l’a adopté la semaine dernière à une confortable majorité, après un examen chahuté par la droite du parti conservateur encline à durcir le texte et la démission de plusieurs de ses cadres. Dans la foulée, Rishi Sunak a enjoint aux Lords d’adopter eux aussi au plus vite ce projet, vivement critiqué par les associations humanitaires, qu’il espère mettre en application avant les élections législatives prévues à la fin de l’année 2024.

      Contrairement aux membres élus de la Chambre des Communes, les Lords n’ont pas le pouvoir de bloquer la ratification d’un traité. Mais le vote de cette motion, à laquelle le gouvernement devra apporter une réponse, laisse présager de nouvelles difficultés pour ce projet de loi controversé. Le texte, qui définit le Rwanda comme un pays-tiers sûr et empêche le renvoi des migrants vers leurs pays d’origine, doit être débattu à la chambre haute du Parlement britannique la semaine prochaine.

      https://www.liberation.fr/international/europe/au-royaume-uni-les-lords-repoussent-le-projet-dexpulsion-de-migrants-vers

  • Une #île_artificielle pour déporter les palestiniens ?

    Ce lundi 22 janvier à Bruxelles, une réunion du Conseil des affaires étrangères de l’Union Européenne était organisée, en présence de Ministres des 27 États membres ainsi que du représentant d’Israël, invité pour parler de la situation au Proche-Orient.

    À cette occasion, le chef de la diplomatie Israélienne, #Israël_Katz, a proposé la construction d’une île artificielle en #Méditerranée, au large de Gaza, pour y “loger” la population palestinienne, selon les mot du journal anglais The Guardian. Le ministre a montré deux vidéos lors de cette réunion, l’une montrant une ligne de train reliant Gaza à la Cisjordanie, et l’autre montrant ce projet d’île artificielle comprenant un port, une zone industrielle et des habitations. Cette modélisation d’île hautement militarisée et comprenant des checkpoints parait toutefois bien trop petite pour y déporter un grand nombre de palestiniens.

    Cette proposition semble aussi dystopique que déplacée, car cette réunion avait pour objectif de discuter de la crise humanitaire qui frappe Gaza et les moyens d’aller vers une désescalade de la violence. Josep Borell, le représentant des affaires étrangères pour l’Union Européenne, a déclaré aux journalistes : « Je pense que le ministre aurait pu mieux utiliser son temps pour s’inquiéter de la situation dans son pays ou du nombre élevé de morts à Gaza ». Plusieurs ministres ont exprimé leur « perplexité ». C’est un euphémisme.

    Ce projet d’île remonterait à l’époque où Katz était ministre israélien des Transports et a été présenté pour la première fois dans une vidéo de 2017 comme « une réponse à une réalité qui est mauvaise pour les Palestiniens et pas bonne pour Israël », selon Reuters.

    La réunion avait lieu après que le Premier ministre israélien Benjamin Netanyahou ait répété son opposition à la création d’un État palestinien. Sachant que la « solution à deux États », palestinien et israélien, est celle proposée par les États européens. Une idée hypocrite, puisque l’extrême droite israélienne est en train de raser Gaza et d’éliminer ses habitants tout en colonisant morceaux par morceaux la Cisjordanie. Tout ceci vise à rendre impossible toute création d’un futur État palestinien viable. La seule option réaliste est celle d’un seul État, multiconfessionnel, avec une égalité des droits, sans murs, sans discrimination, sans colonisation.

    Netanyahou et ses complices n’ont jamais caché leur volonté d’annexer toute la terre palestinienne, au nom de textes religieux vieux de plus de 2000 ans attribuant, selon eux, ce territoire au seul peuple juif. Dans cette logique messianique, il faudrait donc chasser tous les palestiniens.

    Il y a quelques jours, les médias révélaient un autre projet du gouvernement israélien : celui de déporter la population de Gaza vers un pays africain, affirmant même que des négociations avaient lieu avec le Congo. Une proposition finalement démentie face au scandale.

    Au début de la seconde guerre mondiale, les nazis annonçaient leur projet de chasser tous les juifs d’Europe et envisageaient sérieusement de les déporter sur l’île de Madagascar. Un plan appelé « Madagaskar Projekt » a même été élaboré par des cadres du Reich. Face aux contraintes logistiques posées par la guerre, et animé par un antisémitisme exterminateur, Hitler avait opté pour la solution finale et les camps de la mort.

    L’idée d’îles « ghettos » ou d’îles « prison » pour parquer les indésirables n’est pas unique dans l’histoire. Au large de l’Australie, l’île de Nauru et celle de Manus ont été transformées en camps visant à enfermer des personnes sans-papiers pendant des mois voire des années. Ce modèle inspire l’Europe, qui installe des points de contrôles et des camps de réfugiés sur les îles aux portes de l’Europe.

    Cependant, le projet israélien serait d’une ampleur sans commune mesure, et paraît difficilement réalisable s’il fallait y déplacer des centaines de milliers de personnes. Mais le fait même qu’une telle idée soit évoquée témoigne d’une volonté d’épuration ethnique de la part de l’État israélien.

    https://contre-attaque.net/2024/01/22/une-ile-artificielle-pour-deporter-les-palestiniens

    #île #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_palestiniens #Palestine #îles #Israël

    voir aussi, signalé par @gonzo :
    Sources, Katz proposes artificial island in front of Gaza.
    https://seenthis.net/messages/1037778

    ajouté à la métaliste autour des #îles qui sont utilisées (ou dont il a été question d’imaginer de le faire) pour y envoyer des #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/881889

  • Ce que coûte vraiment l’aide médicale d’État

    En décembre 2023, le projet de loi « immigration » a finalement été adopté en excluant le volet dédié à l’aide Médicale d’État (AME). Mais la première ministre d’alors, Élisabeth Borne, avait promis, dans un courrier envoyé au président du Sénat, d’engager une réforme de l’AME au premier trimestre 2024. La question est de savoir si cet engagement est toujours d’actualité avec l’arrivée à Matignon d’un nouveau premier ministre, Gabriel Attal.

    Le projet de loi « immigration » illustre combien les idées défendues par l’extrême droite trouvent aujourd’hui une nouvelle audience jusque dans la majorité présidentielle.
    Un droit non automatique et complexe à obtenir

    L’AME permet aux sans-papiers de bénéficier d’une couverture des frais médicaux pendant un an renouvelable s’ils peuvent prouver leur présence en France depuis au moins 3 mois et si leurs ressources ne sont pas supérieures à 810 euros mensuels.

    L’AME ne concerne qu’une partie des migrants, les plus précaires par leur statut administratif et les plus pauvres. Il s’agit d’un droit quérable (il faut le demander), qui plus est particulièrement complexe à obtenir du fait de la lourdeur des démarches administratives pour des personnes en difficultés financières et linguistiques qui craignent d’être signalées aux autorités et expulsées.
    Remplacer l’AME par une aide médicale d’urgence présentée comme moins onéreuse

    Dans le projet de loi « immigration » qui a finalement été adopté en décembre 2023, il n’est plus fait état de l’AME. Mais une réforme de l’AME était intégrée dans une version précédente proposée par le Sénat. Elle visait à « transformer » l’AME en aide médicale d’urgence (AMU) pour la réserver aux soins vitaux. Reste à savoir si c’est sur cette base que pourrait être modifié ce dispositif en 2024.

    Si la réforme de l’AME devait suivre les préconisations du Sénat, les soins de premier recours ne seraient plus pris en charge par l’Assurance maladie et il faudrait attendre d’être à l’article de la mort pour pouvoir être soigné à l’hôpital. L’AMU existe déjà. Il ne s’agit donc pas de transformer l’AME en AMU mais tout simplement de supprimer l’AME.
    L’AME, c’est 0,5 % des dépenses annuelles de santé

    C’est un rapport parlementaire récent qui est à l’origine du projet de remplacement de l’AME par une AMU. Selon ce rapport, l’AMU ne coûterait que 70 millions d’euros contre 1,1 milliard d’euros pour l’AME de droit commun dont bénéficiaient 350 000 patients en 2021.

    Or l’AME en tant que telle ne représente qu’une goutte d’eau dans les dépenses de santé, soit 0,468 %. Ainsi on peut se demander si c’est vraiment son coût qui pose problème, ou si ce ne sont pas plutôt les patients concernés qui sont visés, c’est-à-dire les sans-papiers.

    Pour obtenir ce pourcentage de presque 0,5 %, les dépenses de 1,1 milliard d’euros correspondants à l’AME sont comparés à l’ensemble des dépenses de santé qui s’établissaient à 235,8 milliards d’euros pour l’année 2022.

    Le montant de 1,1 milliard est jugé trop élevé pour sauver des migrants. Mais à titre de comparaison, selon certaines estimations, les assurés paient, par exemple, 3 milliards d’euros par an en dépassements d’honoraires à l’hôpital ou chez le médecin de ville (on parle de « dépassements d’honoraires » quand les soins sont facturés à des tarifs qui dépassent ceux fixés par l’Assurance maladie).

    De plus, s’il faut attendre que les patients soient gravement malades pour les prendre en charge, la dépense de santé ne sera pas seulement différée, elle sera majorée. Les malades seront soignés dans des situations plus critiques qui nécessiteront des soins plus lourds donc plus coûteux. La collectivité a toujours intérêt à prendre en charge précocement les malades à la fois au nom de la santé publique mais aussi au nom des finances publiques.
    Le risque d’aggraver la surcharge des services dédiés aux plus précaires

    Il en va particulièrement des sans-papiers dont la vie en France est particulièrement difficile du fait de la précarité des revenus et du délabrement des logements qui accroissent substantiellement la probabilité d’être malade. On ne comprend pas bien ce que la collectivité a à gagner à laisser les problèmes de santé physique et mentale s’aggraver. La santé des uns dépend aussi de celle des autres.

    La transformation de l’AME en AMU ne supprimerait pas la maladie. Elle ne ferait qu’interdire la prise en charge des frais de santé si le pronostic vital n’est pas engagé. En supprimant l’AME, on organiserait le renoncement aux soins et on planifierait le retard de soin. Le risque serait d’aggraver le marasme de l’hôpital, épuisé par la crise Covid.

    On programmerait ainsi une surcharge insoutenable des Permanences d’accès aux soins de santé dédiées aux personnes démunies (PASS) et des Services d’accueil et d’urgences (SAU) déjà saturés. Cela planifierait aussi un surcroît de mortalité chez les migrants comme le montre le cas espagnol.
    Les sans-papiers avec AME ne vont pas davantage chez le médecin

    L’hôpital, et notamment ses services d’urgence, serait impacté par une suppression de l’AME du fait de l’arrivée des personnes malades dans des situations de santé plus dégradées. Toutefois, il ne faut pas perdre de vue le fait que ce sont les soins de ville, les séances chez le généraliste, qui sont visés par cette mesure.

    l’Institut de recherche et documentation en économie de la santé IRDES a comparé la consommation de soins en médecine de ville d’un échantillon de la population bénéficiaire de l’AME avec un échantillon de la population couverte par la Couverture maladie universelle complémentaire (la CMU-C, qui s’appelle aujourd’hui la Complémentaire santé solidaire, est destinée aux personnes à faibles revenus en situation régulière).

    La comparaison est menée avec les mêmes caractéristiques d’âge et de sexe, les mêmes critères de revenus pour être éligibles (moins de 810 euros mensuels) et sur un panier de soins à couverture identique, ce qui exclue de l’étude les soins dentaires et d’optique qui sont moins bien pris en charge par l’AME que par la CMU-C.

    Il en ressort que pour les deux populations, l’assurance santé permet surtout d’accéder aux généralistes avant d’arriver à l’hôpital ou aux urgences quand les choses sont aggravées, ce que précisément le projet de loi veut supprimer.

    Il n’y a pas de surcroît de consommation de soins par les sans-papiers. En d’autres termes, les sans-papiers qui bénéficient de l’AME ne se rendent pas plus chez le médecin que les personnes en situation régulière dont la situation de vie est comparable. Ce n’est pas le titre de séjour qui dicte la consommation mais l’état de santé.
    Près d’une personne éligible sur deux n’a pas l’AME

    Le mythe de « l’appel d’air » a pourtant la vie dure. Ce serait pour séjourner à l’hôpital Avicenne de Bobigny en Seine-Saint-Denis, ou ailleurs en France, que les migrants prendraient la mer sur des canots de fortune. Ils décideraient de traverser le désert libyen, d’affronter les passeurs et de risquer leur vie pour se précipiter gaiement aux guichets de l’administration française et affronter le labyrinthe administratif décuplé par la détérioration des services publics.

    La réalité est tout autre. Comment l’AME pourrait-elle décider des migrations alors que les migrants ne la demandent pas ? Alors même qu’ils tombent malades sur le sol français ? En effet, l’une des caractéristiques essentielles de l’AME est qu’elle fait l’objet d’un non recours exceptionnel de 49 %. Même après cinq années ou plus de résidence en France, 35 % des personnes sans titre de séjour n’ont pas l’AME.
    Le mythe de « l’appel d’air » battu en brèche par les études scientifiques

    La thèse du tourisme médical ou de l’appel d’air est absurde. Selon un rapport du Comede (2019), dans la plupart des cas (70 % pour l’ensemble des pathologies), les migrants découvrent leur maladie après leur arrivée en France. Rien dans les travaux scientifiques ne vient corroborer la thèse de l’appel d’air.

    Aucune étude n’a montré que les migrants venaient en France pour des raisons de santé. Au contraire, la santé est une raison secondaire. Aucune justification médicale ne vient soutenir la suppression de l’AME. Les médecins y voient au contraire une atteinte à ce qui fait la fierté de leur métier. Le débat sur l’AME est exemplaire de l’impuissance des scientifiques à ébranler les spéculations des dogmatiques.
    Les immigrés contribuent aux budgets sociaux

    Alors qu’il n’y a pas de spécificité de la santé des migrants, la prise en charge de leurs soins est systématiquement agitée en problème politique distinctif. Tout ça parce que derrière la dénonciation de l’AME, c’est l’immigration qui est attaquée en brandissant une AME fantasmée alimentée par de nombreuses désinformations listées par Médecins du monde.

    Les immigrés sont des contributeurs nets aux budgets sociaux (ils contribuent davantage qu’ils ne reçoivent de prestations sociales). Les immigrés actifs, âgés de 25 à 54 ans et représentant environ 50 % de la population immigrée en moyenne entre 2016 et 2022, ne génèrent initialement aucun coût en matière d’éducation ou de prestations sociales à leur arrivée en France.

    En bonne santé, en raison des exigences d’entrée strictes de l’Office français de l’immigration et de l’intégration (OFII), ces travailleurs étrangers cotisent et ont un faible impact sur les dépenses des caisses de sécurité sociale. Les immigrés âgés de 55 ans et plus, représentant environ 30 % des immigrés en moyenne entre 2016 et 2022, contribuent de manière indirecte à alléger les dépenses de santé en France.
    L’AME : un problème d’intégration dans le système de santé, non d’immigration

    Les problèmes de l’AME ne sont pas ceux de l’immigration mais ceux de l’absence d’intégration. L’AME est un système administratif parallèle à la Sécurité sociale et un loupé de l’universalisation de la protection santé. Toute l’histoire de la sécurité sociale a consisté à permettre à tous les résidents de bénéficier de la même couverture de base.

    En isolant les sans-papiers des autres, il devient facile de les montrer du doigt pour laisser s’exprimer le ressentiment d’une partie de la population dont les frais de santé sont en augmentation, du fait des stratégies de privatisation de la santé.

    L’absence de régime commun permet de sortir les personnes sans titre de séjour de la société comme s’ils n’étaient pas des égaux ou des semblables. C’est au contraire la fusion de l’AME dans le régime général de Sécurité sociale qui garantira un droit inaliénable aux soins de santé, protégeant la dignité de tout être humain.

    https://www.latribune.fr/opinions/tribunes/ce-que-coute-vraiment-l-aide-medicale-d-etat-988286.html

    #France #coût #économie #aide_médicale_d'Etat (#AME) #santé #migrations #asile #réfugiés #budget #aide_médicale_d'urgence (#AMU) #sans-papiers #appel_d'air #welfare_state

    via @karine4

    –—

    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration :
    https://seenthis.net/messages/971875

    • Le mythe de « l’appel d’air » battu en brèche par les études scientifiques
      La thèse du tourisme médical ou de l’appel d’air est absurde. Selon un rapport du Comede (2019), dans la plupart des cas (70 % pour l’ensemble des pathologies), les migrants découvrent leur maladie après leur arrivée en France. Rien dans les travaux scientifiques ne vient corroborer la thèse de l’appel d’air.
      Aucune étude n’a montré que les migrants venaient en France pour des raisons de santé. Au contraire, la santé est une raison secondaire. Aucune justification médicale ne vient soutenir la suppression de l’AME. Les médecins y voient au contraire une atteinte à ce qui fait la fierté de leur métier. Le débat sur l’AME est exemplaire de l’impuissance des scientifiques à ébranler les spéculations des dogmatiques.

      #appel_d'air

  • Decoding #Balkandac : Navigating the EU’s Biometric Blueprint

    This report, authored by the Border Violence Monitoring Network with support from Privacy International, investigates the development of interoperable biometric databases, akin to Eurodac, in the Western Balkans, referred to as the “Balkandac” system. It highlights a lack of transparency in current regional data-sharing systems and underscores the significant role of EU institutions in their creation.

    The report employs a comprehensive methodology, combining grassroots observations, open-source research, and Freedom of Information Requests (FOI) submissions to address human rights violations.

    This report aims to contextualise recent developments towards the digitalisation of biometric data collection in the Western Balkans into wider shifts in migration policy and data-sharing frameworks at the EU level. In order to achieve this, the report first unpacks the key regulations envisioned under the EU’s New Pact on Migration and Asylum and how these are envisioned to operate within EU Member States. Collectively, they establish a system whereby people on the move are prevented from entering the territory of Member States, subjected to expedited procedures, and returned directly to “safe third countries”. This manifests as a legalisation of the pushback process; individual claims will undergo insufficient scrutiny within compressed timeframes and procedural rights, such as access to free legal aid and the suspensive effect of appeals against inadmissabiliy decisions, are not yet guaranteed at the time of writing. These legal shifts unequivocally obstruct access to the right to asylum within the new regulatory framework.

    A key ongoing development in this line is the development of biometric data collection systems that are modelled off the EURODAC system, allowing for seamless interoperability in the future. Funding from the EU’s Instruments for Pre-Accession Assistance and bilateral agreements with Member States have supported these data systems in the Western Balkans, mirroring Eurodac. Critiques arise from increased interoperability of EU databases, which blur immigration and criminal law purposes, lack anti-discrimination safeguards, and bypass key data protection principles.

    The core issue lies in the balance between personal data protection and fundamental rights, contrasted with the use of biometric systems for mass surveillance and data analysis. The report emphasizes the merging of migration and security discourses, underscoring the potential for unjust criminalisation of migrants, making it harder for them to seek asylum and international protection.

    https://borderviolence.eu/reports/balkandac
    #biométrie #Balkans #rapport #Border_Violence_Monitoring_Network (#BVMN) #interopérabilité #données #base_de_données #Balkans_occidentaux #données_biométriques #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #migrations #asile #réfugiés #frontières #pays-tiers_sûrs #accès_à_l'asile #eurodac #Instruments_for_Pre-Accession_Assistance #droits_fondamentaux

    • You’re welcome, @kassem. J’avais vu la publication. Que tu la signale m’a donné l’occasion de trouver et lire l’article. Ce qui n’a pas été sans désagrément.

      à l’est de Detroit, une autre enclave de la communauté arabe et une tout autre ambiance : Hamtramck, vingt-deux mille habitants et 40 % de la population née à l’étranger. Les courants migratoires viennent désormais essentiellement du #Yémen, où se déroule depuis des années une guerre civile dans laquelle les Etats-Unis ont longtemps apporté leur soutien à la coalition sunnite menée par l’Arabie saoudite. Et, comme à chaque fois, une guerre lointaine dépose un flot de #réfugiés pauvres sur les porches des petites maisons ouvrières américaines construites pour d’autres migrants, au début du XXe siècle.

      Le visage et le corps des femmes disparaissent sous le voile et la robe islamique, celui des hommes reste fermé, tandis que leurs enfants affichent un sourire inversement ­proportionnel à la discrétion de leurs parents. Ils ont défilé en famille dans les rues de Hamtramck pour un cessez-le-feu à #Gaza et pour la #Palestine. La petite ville, naguère majoritairement polonaise, a longtemps connu au sein de son conseil municipal la mixité des origines et des religions, sous la houlette d’une femme, Karen Majewski. La maire avait autorisé, il y a vingt ans déjà, les appels à la prière musulmane, puisque sonnent ici les cloches de l’église catholique.

      Mais, depuis les dernières élections locales, le conseil municipal est désormais exclusivement arabe, musulman et masculin. Et l’ambiance a radicalement changé. « Est-ce que l’Holocauste n’était pas une punition préventive de Dieu contre “le peuple élu” et sa sauvagerie actuelle contre les enfants et les civils palestiniens ? », a écrit Nasr Hussain, un proche du maire sur l’une des pages Facebook d’un groupe dédié à la ville. L’édile, Amer Ghalib, d’origine yéménite et sans étiquette politique, a refusé de se désolidariser de ces propos ouvertement antisémites.

      Une immense brèche s’était déjà ouverte, il y a six mois, quand le conseil municipal avait fait retirer du fronton des édifices publics et sur l’avenue centrale tous les drapeaux autres que celui des Etats-Unis. C’était en réalité pour éradiquer l’arc-en-ciel LGBTQ qui flottait dans la ville, parmi les bannières des pays d’origine de ses habitants. Des membres des minorités sexuelles sont venus s’embrasser sous les yeux horrifiés des élus, lors du temps de parole accordé au public par le conseil municipal.

      Des haines à géométrie variable

      Des plaintes pour discrimination ont été déposées contre la ville. Ce qui n’a pas empêché le maire, comme un immense bras d’honneur, de poser, en août et en septembre, avec l’ancien conseiller à la sécurité de Donald Trump Michael Flynn. Ce républicain congédié par l’ancien président (qui l’a depuis publiquement regretté) pour ses liens avec la Russie en 2017, connu également pour sa proximité avec le groupe conspirationniste d’extrême droite QAnon, est aujourd’hui en tournée aux Etats-Unis pour lancer un mouvement chrétien et nationaliste. En d’autres temps, il dénonçait l’islam comme un « cancer vicieux », mais la politique a des frontières et des haines à géométrie variable. Et les religieux, des ennemis en commun.

      Mais c’est sur l’autre versant que pleuvent les accusations d’antisémitisme. (...)

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Arabes_américains

  • Royaume-Uni : le premier ministre, #Rishi_Sunak, parvient à faire voter le projet de loi visant à expulser des migrants vers le #Rwanda

    La Chambre des communes a approuvé le texte soutenu par le premier ministre conservateur, qui a réussi à surmonter une tentative de fronde au sein de sa majorité.

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    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/18/royaume-uni-le-premier-ministre-rishi-sunak-parvient-a-faire-voter-le-projet

    Le premier ministre britannique, Rishi Sunak, a franchi une étape cruciale pour sa survie politique. Après deux jours sous haute tension au palais de Westminster avec des débats houleux, des tractations à huis clos et des démissions retentissantes, les députés ont adopté, mercredi 17 janvier au soir, le projet de loi controversé sur l’expulsion de migrants vers le Rwanda. Avec le retour dans le rang des dissidents, le texte a été approuvé en troisième lecture à la Chambre des communes par 320 votes pour et 276 contre.

    Chef d’une majorité largement devancée dans les sondages par les travaillistes en ce début d’année électorale, Rishi Sunak a mis tout son poids dans la balance pour faire aboutir ce projet censé montrer sa fermeté sur une préoccupation majeure de sa base électorale, mais qui aura exposé à vif les divisions de sa majorité, les modérés redoutant une atteinte au droit international et les plus à droite voulant aller plus loin.

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    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/18/royaume-uni-le-premier-ministre-rishi-sunak-parvient-a-faire-voter-le-projet

    Ce texte vise à répondre aux objections de la Cour suprême britannique, qui a jugé le projet illégal dans sa version précédente par crainte notamment pour la sécurité des demandeurs d’asile expulsés envoyés au Rwanda. Selon le projet, ces derniers, d’où qu’ils viennent, verraient leur dossier examiné au Rwanda et ne pourraient ensuite en aucun cas retourner au Royaume-Uni, ne pouvant obtenir l’asile que dans le pays africain.
    Démission de deux vice-présidents des tories

    Lors de son examen, des dizaines de députés conservateurs ont soutenu, en vain, des amendements visant à durcir le texte, tentant notamment de limiter le droit des migrants à faire appel de leur expulsion. La tension est également montée d’un cran après la démission, mardi, de deux vice-présidents des tories, partisans d’une ligne plus dure, qui ont reçu le soutien de l’ancien premier ministre Boris Johnson.

    Annoncé en avril 2022 par ce dernier, ce projet visait à décourager l’afflux de migrants dans des petites embarcations à travers la Manche : près de 30 000 en 2023 après un sommet de 45 000 en 2022.

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    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/18/royaume-uni-le-premier-ministre-rishi-sunak-parvient-a-faire-voter-le-projet

    Ce week-end, cinq migrants sont morts alors qu’ils tentaient de rejoindre une embarcation dans une eau glaciale. Mercredi matin, d’autres bateaux ont été vus en train de tenter cette traversée périlleuse, a constaté un photographe de l’Agence France-Presse. Le texte n’a jusque-là jamais pu être mis en œuvre. Un premier avion a été bloqué in extremis par une décision de la justice européenne, puis la justice britannique avait, jusqu’à la Cour suprême, déclaré le projet illégal dans sa version initiale.
    Nouveau traité avec le Rwanda

    Pour tenter de sauver son texte, vivement critiqué par les associations humanitaires, le gouvernement a signé un nouveau traité avec Kigali. Il est adossé à ce nouveau projet de loi qui définit le Rwanda comme un pays tiers sûr et empêche le renvoi des migrants vers leurs pays d’origine. Il propose également de ne pas appliquer aux expulsions certaines dispositions de la loi britannique sur les droits humains, pour limiter les recours en justice. Le Haut-Commissariat pour les réfugiés des Nations unies a estimé, mercredi, que la dernière version du projet n’était « pas compatible » avec le droit international.

    Un peu plus d’un an après son entrée à Downing Street, M. Sunak compte bien sur le succès de ce projet pour montrer qu’il est capable de tenir l’une de ses promesses-phares : celle de mettre fin à l’arrivée des bateaux de migrants sur les côtes britanniques.

    Son projet de loi devra désormais être approuvé par les membres non élus de la Chambre des lords, qui pourraient fort bien l’amender. Et s’il est adopté à temps avant les législatives, prévues en l’état à l’automne, le Labour, mené par Keir Starmer, a promis de l’abroger s’il arrive au pouvoir après quatorze ans dans l’opposition.

    Un durcissement trop important pourrait par ailleurs fragiliser le partenariat avec le Rwanda, qui a déjà reçu près de 240 millions de livres (280 millions d’euros) de la part du Royaume-Uni. « Cet argent ne sera utilisé que si les [migrants] viennent. Si ce n’est pas le cas, nous pourrons le rendre », a assuré le président rwandais, Paul Kagame, interrogé mercredi au Forum économique mondial à Davos, en Suisse.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/18/royaume-uni-le-premier-ministre-rishi-sunak-parvient-a-faire-voter-le-projet

    #UK #Angleterre #asile #migrations #réfugiés #externalisation #offshore_asylum_processing

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    ajouté à cette métaliste sur la mise en place de l’#externalisation des #procédures_d'asile au #Rwanda par l’#Angleterre
    https://seenthis.net/messages/966443

  • Reportages : InfoMigrants à la rencontre des Sénégalais tentés par le rêve européen

    InfoMigrants est allé au Sénégal, en banlieue de Dakar, à la rencontre de jeunes - et moins jeunes - tentés par un départ vers l’Europe. En cause : l’inflation, la crise du Covid et de la pêche... Certains sont restés mais ont aussi perdu un proche dans la traversée de l’Atlantique vers les Canaries espagnoles. D’autres encore sont rentrés après l’échec de leur rêve européen. Retrouvez tous nos reportages.

    La situation économique du Sénégal pousse de plus en plus d’hommes et de femmes à prendre la mer en direction des îles Canaries, distantes d’environ 1 500 km. Les Sénégalais fuient généralement une vie sans perspective, aggravée par les changements climatiques.

    https://www.youtube.com/watch?v=ZuLD1UbvL5Y&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À l’été 2023, les départs se sont notamment succédé vers l’archipel espagnol depuis les côtes sénégalaises. Sur l’ensemble de l’année 2023, plus de 37 000 personnes ont tenté de rejoindre le pays européen, du jamais vu.

    https://www.youtube.com/watch?v=4N-_aCjoA-c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Beaucoup prennent la mer sans en mesurer les dangers. Selon l’ONG espagnole Caminando fronteras, plus de 6 000 migrants sont morts en mer l’année dernière. Ce chiffre, qui a pratiquement triplé (+177%) par rapport à celui de 2022, est « le plus élevé » comptabilisé par l’ONG depuis le début de ses recensements.

    https://www.youtube.com/watch?v=QMMuxSFfSS4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Dans le même temps, des Sénégalais, déçus par leur exil, sont aussi rentrés au pays après des années passées en Europe. Souvent, ils reviennent avec l’aide de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le soutien financier de l’Union européenne. Mais en rentrant « les mains vides », ils doivent faire face à la déception de leurs proches.

    https://www.youtube.com/watch?v=LsbHTBTn3fY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    À Dakar, on croise aussi des Centrafricains, des Congolais, des Sierra-léonais, des Ivoiriens… Certains sont réfugiés, d’autres sont en transit, d’autres encore sont « bloqués » au Sénégal et attendent de pouvoir rejoindre rentrer chez eux.

    https://www.youtube.com/watch?v=apA6oKCDlOE&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    Enfin, il y a ceux qui refusent de risquer leur vie et s’échinent à demander un visa pour atteindre l’Europe, malgré les refus successifs et le coût de la procédure. Comme partout, des trafiquants profitent de la situation et organisent des trafics de rendez-vous en ambassades. Des mafias prennent ainsi tous les créneaux sur internet et les revendent à prix d’or à des Sénégalais désespérés.

    https://www.youtube.com/watch?v=IgyUa9priPY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.infomigrants.ne

    https://www.infomigrants.net/fr/post/54517/reportages--infomigrants-a-la-rencontre-des-senegalais-tentes-par-le-r

    #Sénégal #asile #migrations #réfugiés #reportage #vidéo #jeunes #jeunesse #Dakar #facteurs_push #push-factors #inflation #pêche #route_atlantique #Canaries #îles_Canaries #perpectives #climat #changement_climatique #décès #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #Caminando_fronteras #OIM #réintégration #retour #IOM #visas

  • La #Grèce condamnée par la #Cour_européenne_des_droits_de_l’homme après les tirs de gardes-côtes sur des embarcations de migrants

    La CEDH a condamné le pays à verser 80 000 euros aux proches d’un migrant syrien mort après avoir été blessé par balle par les gardes-côtes grecs, en 2014.

    Le #22_septembre_2014, à l’aube, non loin des côtes turques et près de l’îlot grec de #Psérimos, un bateau à moteur transportant quatorze migrants est repéré par les #gardes-côtes_grecs. Le commandant du navire militaire demande au conducteur d’arrêter l’embarcation. Ce dernier refuse. Les gardes-côtes tirent alors vingt balles pour immobiliser la vedette – sept coups de semonce et treize tirs ciblés sur le moteur. Deux ressortissants syriens sont blessés. L’un d’eux, Belal Tello est touché à la tête et conduit par hélicoptère à l’hôpital de Rhodes, une île grecque voisine. En août 215, il est transféré en Suède où habitent sa femme et ses enfants (les requérants). Il est pris en charge à l’hôpital universitaire Karolinska, à Stockholm. Mais il meurt quatre mois plus tard.

    Les proches de #Belal_Tello ont attendu près de dix ans pour obtenir le verdict de la Cour européenne des droits de l’Homme (CEDH), qui a finalement condamné la Grèce à leur verser 80 000 euros. D’après la cour, Athènes n’a pas prouvé « que l’usage de la force était absolument nécessaire » pour arrêter le bateau qui s’approchait des côtes grecques. « Les treize coups de feu tirés exposaient forcément les passagers de la vedette à un risque », ont estimé les sept juges européens.

    « La condamnation concerne également l’enquête inefficace menée par les autorités grecques sur l’incident », souligne, dans un communiqué, l’ONG Refugee Support Aegean (RSA), qui représentait, avec l’association Pro Asyl, la famille de la victime. Le parquet grec avait ouvert une enquête préliminaire sur cet incident, mais la justice avait rapidement classé l’affaire en 2015. D’après la CEDH, l’enquête menée par les autorités nationales comportait « de nombreuses lacunes qui ont conduit notamment à la perte d’éléments de preuve ». « Au cours de la procédure pénale, les deux réfugiés blessés par balle n’ont jamais été appelés à témoigner. Les déclarations des témoins recueillies lors des interrogatoires préliminaires semblent identiques », souligne RSA. La CEDH s’est aussi étonnée que plusieurs mesures pouvant faire avancer l’enquête n’aient pas été prises : une expertise médico-légale sur la blessure à la tête du réfugié syrien ; un rapport balistique établissant les trajectoires des tirs…
    « Impunité généralisée »

    Ce n’est pas la première fois que les agissements des gardes-côtes grecs sont condamnés ou mis en cause. En juillet 2022, la CEDH avait accordé 330 000 euros à seize requérants dont le bateau avait coulé en mer Egée, près de l’île de Farmakonisi, en janvier 2014. Onze personnes, dont huit enfants, avaient trouvé la mort dans ce naufrage provoqué par un navire garde-côtes grec, qui aurait navigué à grande vitesse à proximité de l’embarcation, entraînant le chavirement de celle-ci.
    La CEDH avait déjà noté que les autorités grecques n’avaient pas mené une « enquête approfondie et effective permettant de faire la lumière sur les circonstances du naufrage ». L’une des avocates des requérants, Maria Papamina, du Conseil pour les réfugiés grec, avait déclaré, lors du rendu de cette décision de justice : « Nous avions l’impression que l’intention [des autorités grecques] était de clore rapidement l’affaire. »

    Et c’est justement ce que les défenseurs des droits de l’homme souhaitent éviter, que le cas d’un autre naufrage survenu il y a quelques mois, au large du Péloponnèse, à Pylos, ne soit classé, lui aussi, sans suite. Le 14 juin 2023, un chalutier, l’Adriana, parti de Libye, a coulé avec près de 750 migrants à son bord, dans les eaux territoriales grecques. Seules 104 personnes ont survécu et 82 corps ont été retrouvés.

    Les témoignages des survivants suggèrent qu’un patrouilleur garde-côtes grec a attaché une corde à l’Adriana et tiré dessus, ce qui aurait conduit à faire chavirer le bateau surchargé de migrants. D’après plusieurs enquêtes journalistiques, les opérations de sauvetage ont été également tardivement mises en place.
    Dans un rapport publié en décembre 2023, Amnesty International et Human Rights Watch déploraient, six mois après le drame, le « peu de progrès » dans les investigations menées par les autorités grecques. Selon les deux ONG, « les échecs historiques des enquêtes grecques sur les naufrages (…) et l’impunité généralisée pour les violations systémiques des droits humains à ses frontières suscitent des inquiétudes quant à l’adéquation des enquêtes judiciaires en cours sur la tragédie de Pylos ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/17/la-grece-condamnee-par-la-cour-europeenne-des-droits-de-l-homme-apres-les-ti
    #CEDH #justice #condamnation #asile #migrations #réfugiés #gardes-côtes #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès #naufrage #tir

  • EU grants €87m to Egypt for migration management in 2024

    Over 2024, the EU will provide €87 million and new equipment to Egypt for a migration management project started in 2022, implemented by the UN migration agency and the French Interior Ministry operator Civipol, three sources close to the matter confirmed to Euractiv.

    The €87 million may increase up to €110 million after the next EU-Egypt Association Council meeting on 23 January, two sources confirmed to Euractiv.

    The European Commission is also conducting parallel negotiations with Cairo to make a raft of funding for other projects which regards a wide range of sectors, including migration, conditional under the International Monetary Fund requests for reforms, a source close to the negotiations told Euractiv.

    The €87 million will be dedicated to increasing the operation capacity of the Egyptian navy and border guards for border surveillance and search and rescue operations at sea.

    The EU-Egypt migration management project started in 2022 with an initial €23 million, with a further €115 million approved for 2023, one of the three sources confirmed to Euractiv.

    The funds for 2022 and 2023 were used for border management, anti-smuggling and anti-trafficking activities, voluntary returns and reintegration projects.

    “With these EU funds, IOM [the UN’s migration agency, the International Organisation of Migration] is supporting Egyptian authorities through capacity building activities which promote rights-based border management and the respect of international law and standards, also with regard to search and rescue operations,” an official source from IOM told Euractiv. IOM is involved in the training and capacity building of the Egyptian authorities.

    French operator Civipol is working on the tendering, producing and delivering the search new rescue boats for 2024, one of the three sources confirmed to Euractiv.

    However, according to the EU’s asylum agency’s (EUAA) 2023 migration report, there have been almost no irregular departures from the Egyptian coasts since 2016, with most Egyptian irregular migrants to the EU having departed from Libya.

    At the same time, there has been a significant increase in Egyptian citizens applying for visas in EU countries in recent years, the EUAA report said, mainly due to the deteriorating domestic situation in the country.
    Deepening crisis in Egypt

    Egypt, a strategic partner of the EU, is experiencing a deepening economic and political crisis, with the country’s population of 107 million facing increasing instability and a lack of human rights guarantees.

    In a letter to heads of state and EU institutions last December, the NGO Human Rights Watch asked the EU to “ensure that any recalibration of its partnership with Egypt and related macro-financial assistance provide[s] an opportunity to improve the civil, political, and economic rights of the Egyptian people”.

    “Its impact will only be long-lasting if linked to structural progress and reforms to address the government’s abuses and oppression, that have strangled people’s rights as much as the country’s economy,” the NGO wrote.

    The human rights crisis cannot be treated as separate from the economic crisis, Timothy E. Kaldas, deputy director of the Tahrir Institute for Middle East Policy, told Euractiv. “Political decisions and political practices of the regime play a central role in why Egypt’s economy is the way that it is,” he said.

    “The regime, in an exploitative manner, leverages the Egyptian state. For instance, it forces the making of contracts to regime-owned companies to do infrastructure projects that are extremely costly, and not necessarily contributing to the public good,” Kaldas argued, citing the construction of wholly new cities, or “new palaces for the president”.

    While such projects are making the Egyptian elites richer, the Egyptian people are increasingly poor, and in certain cases, forced to leave the country, Kaldas explained.

    With food and beverage inflation exceeding 70% in Egypt in 2023, the currency facing multiple shocks and collapses reducing Egyptians’ purchasing power and private investors not seeing the North African country as a good place to invest, “the situation is very bleak”, the expert said.

    The independence of the private sector was slammed in a report by Human Rights Watch in November 2018. In the case of Juhayna Owners, two Egyptian businessmen were detained for months after refusing to surrender their shares in their company to a state-owned business.

    Recent events at the Rafah crossing in Gaza, frictions in the Red Sea with Houthi rebels in Yemen and war in the border country of Sudan have compounded the instability.
    Past EU-Egypt relations

    During the last EU-Egypt Association Council in June 2022, the two partners outlined a list of partnership priorities “to promote joint interests, to guarantee long-term stability and sustainable development on both sides of the Mediterranean and to reinforce the cooperation and realise the untapped potential of the relationship”.

    The list of priorities regards a wide range of sectors that the EU is willing to help Egypt. Among others, the document which outlines the outcomes of the meeting, highlights the transition to digitalisation, sustainability and green economy, trade and investment, social development and social justice, energy, environment and climate action, the reform of the public sector, security and terrorism, and migration.

    https://www.euractiv.com/section/politics/news/eu-grants-e87m-to-egypt-for-migration-management-in-2024

    #Egypte #asile #migrations #réfugiés #externalisation #EU #aide_financière #Europe #UE #équipement #Civipol #gardes-frontières #surveillance #technologie #complexe_militaro-industriel #réintégration #retours_volontaires #IOM #OIM

    • L’UE offre à l’Egypte une aide économique contre un meilleur contrôle des migrants

      Les représentants de l’Union européenne signeront dimanche au Caire un partenariat avec le gouvernement d’Abdel Fattah Al-Sissi. Il apportera un soutien de plus de 7 milliards d’euros en échange d’une plus grande surveillance des frontières.

      Après la Tunisie, l’Egypte. Trois premiers ministres européens – Giorgia Meloni, la présidente du conseil italien, Alexander De Croo et Kyriakos Mitsotakis, les premiers ministres belge et grec – et Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission européenne, sont attendus dimanche 17 mars au Caire. Ils doivent parapher une « #déclaration_commune » avec Abdel Fattah #Al-Sissi, le président égyptien, pour la mise en place d’un #partenariat global avec l’Union européenne (UE). A la clé pour l’Egypte un chèque de 7,4 milliards d’euros, comme l’a révélé le Financial Times le 13 mars.

      Cet accord survient après l’annonce, au début de mars, d’un #prêt de 8 milliards de dollars (plus de 7,3 milliards d’euros) du #Fonds_monétaire_international à l’Egypte et, surtout, à la mi-février d’un vaste plan d’investissements de 35 milliards de dollars des #Emirats_arabes_unis. A cette aune, l’aide européenne semble plutôt chiche.

      Pour Bruxelles, l’urgence est d’éviter un écroulement de l’économie égyptienne, très dépendante de l’extérieur. Depuis le Covid-19 et la guerre en Ukraine, elle est plongée dans le marasme et les déficits budgétaires s’enchaînent. De surcroît, le pays doit faire face aux conséquences de la guerre à Gaza et, notamment, aux attaques houthistes en mer Rouge, qui ont entraîné une réduction du nombre de cargos dans le canal de Suez et fait chuter les revenus du pays. Enfin, le tourisme, qui avait atteint des records en 2023 avec plus de quinze millions de visiteurs, pourrait pâtir de la guerre aux portes du pays.

      Crainte d’une arrivée massive de Palestiniens

      Dans le détail, la Commission européenne devrait apporter 5 milliards d’euros de soutien budgétaire à l’Egypte, dont 1 milliard déboursé d’ici au mois de juin, selon une procédure d’urgence. Les 4 autres milliards suivront à plus long terme. Le ministre des finances égyptien, Mohamed Maait, a confirmé cette somme, évoquant une aide de « 5 milliards à 6 milliards de dollars » (4,5 milliards à 5,5 milliards d’euros).

      (#paywall)
      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/03/16/l-ue-offre-a-l-egypte-une-aide-economique-contre-un-meilleur-controle-des-mi

    • Egitto-Ue, l’accoglienza? Tocca ai Paesi di transito

      La visita di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e altri leader nazionali dell’Ue in Egitto rilancia l’attenzione sulla dimensione esterna delle politiche migratorie. In ballo ci sono oltre 7 miliardi di euro di aiuti per il bilancio pubblico egiziano in affanno. Non si tratta di un’iniziativa estemporanea. Il nuovo patto Ue sull’immigrazione e l’asilo definito nel dicembre scorso dedica un capitolo all’argomento, con cinque obiettivi: sostenere i Paesi che ospitano rifugiati e comunità di accoglienza; creare opportunità economiche vicino a casa, in particolare per i giovani; lottare contro il traffico di migranti; migliorare il rimpatrio e la riammissione; sviluppare canali regolamentati per la migrazione legale.

      Le istituzioni europee adottano un linguaggio felpato, ma esprimono una linea politica molto netta: l’Ue intende far sì che i profughi vengano accolti lungo la rotta, nei Paesi di transito. Parla di sviluppo dei luoghi di provenienza, facendo mostra d’ignorare sia l’impatto di guerre e repressioni (si pensi al Sudan e all’Etiopia), sia le evidenze circa i legami tra la prima fase di un processo di sviluppo e l’aumento delle partenze. Insiste molto sui rimpatri, volontari e forzati, e sul reinserimento in patria. Rilancia la criminalizzazione dei trasportatori, assemblati sotto l’etichetta di trafficanti, nascondendo il fatto che per i profughi dal Sud del mondo non vi sono alternative: la lotta ai trafficanti è in realtà una lotta contro i rifugiati. In cambio, le istituzioni europee e i governi nazionali offrono una cauta apertura agli ingressi per lavoro, guardando a paesi amici o presunti tali, come appunto l’Egitto, non paesi in guerra o sotto regimi brutali come la Siria o l’Afghanistan.

      Non si tratta peraltro di una novità. L’Ue ha già sottoscritto numerosi accordi con vari Stati che la attorniano o che sono collocati sulle rotte delle migrazioni spontanee: dalle operazioni di Frontex nei Balcani Occidentali, alle intese con i governi dei paesi rivieraschi, dal Marocco alla Turchia, spingendosi anche all’interno dell’Africa in casi come quello del Niger, posto sulla rotta che dall’Africa occidentale arriva al Mediterraneo. Quando si discute di questi accordi, si fronteggiano due posizioni preconcette: quella pro-accoglienza, secondo cui sono inutili, perché migranti e rifugiati arriveranno comunque; dall’altra parte, quella del fronte del rifiuto, che li saluta con entusiasmo come la soluzione del problema, senza badare alle implicazioni e conseguenze. Cercando di arrecare al dibattito un po’ di chiarezza, va anzitutto notato: l’esternalizzazione delle frontiere, tramite gli accordi, (purtroppo) funziona, quando dall’altra parte i governi hanno i mezzi, una certa efficienza e la volontà politica di compiacere i partner europei. Soprattutto reprimendo i migranti in transito, una politica che non comporta sgradevoli contraccolpi in termini di consenso interno. I casi di Turchia e Marocco lo dimostrano. I viaggi della speranza non cessano, ma diventano più lunghi, costosi e pericolosi. Dunque meno praticabili.

      Occorre però considerare i costi umani e politici di questo apparente progresso. Sotto il profilo politico, l’Ue diventa più dipendente dai gendarmi di frontiera stranieri che ha ingaggiato, e la tolleranza verso Erdogan e ora verso Al-Sisi ne è un’eloquente espressione. Al Cairo solo il premier belga ha speso qualche parola in difesa dei diritti umani. Sotto il profilo umano, tra violenze, ricatti, detenzione e abbandono, i profughi pagano il conto della riaffermazione (selettiva) dei confini e della presunta sicurezza che i governi europei dichiarano di voler difendere. Solo una visione cinica e angusta può inalberare come un successo la diminuzione degli sbarchi: meno persone possono sperare in una vita migliore, molte altre sono destinate a perdere la vita nel viaggio, a languire in una terra di mezzo, a rinunciare a sognare libertà e dignità nel continente che se ne fa paladino.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/egittoue-laccoglienza-tocca-ai-paesi-di-transito

  • #Allemagne : l’extrême droite prévoit des expulsions massives

    Il est ressorti de recherches menées par le média d’investigation Correctiv que des politiques AfD, des personnalités de l’extrême-droite allemande et des entrepreneurs triés sur le volet, entre autres individus, se sont retrouvés dans un hôtel près de Potsdam en novembre 2023. A l’ordre du jour : des projets d’expulsion de millions de citoyens allemands issus de l’immigration. Bronca dans la presse européenne, toutefois rassurée par l’importante mobilisation contre l’extrême droite.

    https://www.eurotopics.net/fr/313676/allemagne-l-extrme-droite-prevoit-des-expulsions-massives

    #renvois #expulsions #machine_à_expulser #asile #migrations #réfugiés #expulsions #extrême_droite

    voir aussi :


    https://seenthis.net/messages/1022396

    ping @karine4 @_kg_

    • German government urged to tighten asylum policy as #AfD grows in popularity

      Germany’s main opposition party, the CDU, is urging the country’s three-way coalition government to work with the states to tighten asylum policy, fearing that the issue could be left to the far-right AfD party, which is currently performing well in the polls.

      Under pressure from the opposition and the German states, Chancellor Olaf Scholz met with the heads of the German states in November to discuss ways of tightening the country’s asylum policy. Now, there are growing calls for the results to be discussed.

      “The power of populists and extremists is always fuelled by the democrats’ inability to act. This is especially true when it comes to one of the major problems of our time: the migration question,” Minister-President of the state of North Rhine-Westphalia, Hendrik Wüst (CDU/EPP), told Tagesspiegel.

      Wüst called for another meeting between the heads of state and government and Scholz to assess the asylum measures taken so far.

      His demand follows the rising popularity of AfD, which is currently polling above any of the governing parties at 22%, which sets them only behind the CDU, a recent poll has shown.

      However, the matter has become especially sensitive after independent and investigative not-for-profit newsroom Correctiv revealed that AfD members met with influential businessmen and extremist businesses in November at a hotel in secret and discussed plans to expel unwanted residents, questioning the fundamental rights of German citizens who do not fit into their viewpoint.

      Berlin Mayor Kai Wegner (also CDU) joined the call for the government to work with the states, calling for “another migration summit between the federal and state governments”.

      “We need a joint effort by the democratic parties to overcome the challenges of our time,” Wegner told Tagesspiegel. “We must finally change course in migration policy, for example,” he added.

      But Kevin Kühnert, the General Secretary of Scholz’s ruling SPD, rejected the proposal and called “Wüst’s demand tactless, especially in these times”, referring to the recent revelations.

      MEP Dennis Radtke (CDU/EPP) commented on X, saying, “A cross-party solution to the refugee issue is not a concession to the AfD, but would be an important contribution to the fight against migration.”

      Germany, which saw almost one in three asylum seekers applying to EU countries, Switzerland and Norway in 2023, apply there, according to unpublished figures from the EU’s Asylum Agency (EUAA) seen by Die Welt, may well see a drop in numbers as a result of stricter asylum rules.

      Although Germany’s status as an economic powerhouse in the European Union may continue to attract many, if a more restrictive asylum policy has the same effect as Denmark’s, it could end up not only making it more difficult to enter the country but also as Die Welt reports, potentially deter future attempts to enter in the first place.

      https://www.euractiv.com/section/politics/news/german-government-urged-to-tighten-asylum-policy-as-afd-grows-in-popularit

    • En Allemagne, l’extrême droite planifie secrètement la « #remigration » de millions de citoyens

      Personne ne devait être au courant de cette réunion. Des personnalités politiques du parti AfD, des néonazis et de riches entrepreneurs se sont rencontrés dans un hôtel près de Potsdam en novembre. Ils n’ont planifié rien de moins que l’expulsion de millions de personnes d’Allemagne.

      UneUne bonne vingtaine de personnes pénètrent dans la salle à manger d’un hôtel de campagne, près de la ville de Potsdam, à l’ouest de Berlin. Certaines sont des figures d’Alternative pour l’Allemagne (AfD, le principal parti d’extrême droite outre-Rhin). D’autres sont membres de corporations étudiantes ; il y a des bourgeois, des avocats, des hommes politiques, des entrepreneurs, des médecins. Il y a une tête d’affiche de la mouvance identitaire. Sont également présents deux représentants de l’Union chrétienne-démocrate (CDU), issus de la Werteunion (« Union des valeurs »), un courant qui se positionne à l’aile droite du grand parti conservateur.

      Un article récemment publié dans l’hebdomadaire Die Zeit soulignait la proximité des tenanciers de l’hôtel avec les milieux d’extrême droite.

      Deux hommes sont à l’initiative de ce rendez-vous : Gernot Mörig, la soixantaine, ancien dentiste à Düsseldorf (Ouest), et Hans-Christian Limmer, un homme d’affaires bien connu dans le secteur de la restauration, qui a notamment été associé dans l’enseigne de boulangerie industrielle Backwerk, la chaîne de hamburgers Hans im Glück et le service de livraison de produits alimentaires Pottsalat. Contrairement à Gernot Mörig, Hans-Christian Limmer n’est pas présent. Interrogé par Correctiv (voir la Boîte noire), il a expliqué avoir pris ses distances avec l’ordre du jour de la réunion et n’avoir « joué aucun rôle » dans sa préparation.
      Prologue. Dans les coulisses

      Nous sommes le samedi 25 novembre 2023, peu avant 9 heures. La neige s’accumule sur les voitures garées dans la cour. Ce qui se passe ce jour-là dans la maison d’hôtes Adlon ressemble à une pièce de théâtre de chambre, mais tout est vrai. Cela montre ce qui peut arriver lorsque des promoteurs d’idées d’extrême droite, des représentants de l’AfD et des partisans fortunés de l’extrême droite se mélangent. Leur objectif commun : que des personnes puissent être expulsées d’Allemagne sur la base de critères racistes, qu’elles possèdent ou non un passeport allemand.

      La réunion était censée rester secrète. La communication entre les organisateurs et les invités ne s’est faite que par courrier postal. Des copies de ces correspondances ont néanmoins été remises à Correctiv. Nous avons pris des photos, à l’avant et à l’arrière du bâtiment, et avons également pu filmer en caméra discrète dans le bâtiment. Un de nos journalistes s’est enregistré à l’hôtel sous une fausse identité. Il a suivi la réunion de près et a pu observer qui y assistait. L’ONG écologiste Greenpeace a par ailleurs effectué ses propres recherches et a fourni à Correctiv des photos et des documents. Nos journalistes se sont entretenus avec des membres de l’AfD. Plusieurs sources ont confirmé les déclarations des participants à Correctiv.

      Nous avons donc pu reconstituer la rencontre.

      Il s’agit de bien plus qu’une simple réunion d’adeptes de l’extrême droite. Parmi les participants figurent des personnalités influentes au sein de l’AfD. L’un d’eux jouera un rôle clé dans cette histoire. Il se vante de parler ce jour-là au nom du comité exécutif du parti fédéral de l’AfD. Il est le conseiller personnel d’Alice Weidel, cheffe de cette organisation politique anti-immigration fondée en 2013, partenaire du Rassemblement national au niveau européen.

      Organisée dix mois avant les élections régionales dans les Länder de Thuringe, de Saxe et de Brandebourg, prévues en septembre 2024, cette réunion montre que l’idéologie raciste imprègne le parti jusqu’à l’échelon fédéral. Et cela ne devrait pas s’arrêter aux intentions : certains responsables politiques souhaitent également agir en conséquence, même si l’AfD affirme ne pas être un parti d’extrême droite.

      C’est un sujet juridiquement sensible pour l’AfD, en plein débat sur une éventuelle procédure d’interdiction dirigée contre le parti. En même temps, c’est un avant-goût de ce qui pourrait arriver si l’AfD arrivait au pouvoir en Allemagne. Ce qui se mijote ce week-end-là n’est rien de moins qu’une attaque contre la Constitution de la République fédérale.

      Acte 1, scène 1. Un hôtel de campagne au bord du lac

      La villa est située sur le lac Lehnitz, non loin de Potsdam. C’est un bâtiment des années 1920 avec un toit de tuiles et une vue sur l’eau. Les premiers invités arrivent la veille. Un SUV blanc immatriculé à Stade (Basse-Saxe) se gare dans la cour, la musique du groupe italien de rock allemand Frei.Wild résonne à travers ses fenêtres : « Nous, nous, nous, nous créons l’Allemagne. »

      De nombreux invités arrivent le samedi matin, se dirigeant vers une table où sont dressées une trentaine d’assiettes, chacune avec une serviette pliée.

      Beaucoup ont reçu des invitations personnelles où l’on évoque un « réseau exclusif » et un « don minimum » de 5 000 euros recommandé pour participer. Objectif du « Forum de Düsseldorf », ainsi que s’est nommé le groupe : collecter les dons de personnalités fortunées et d’entrepreneurs qui souhaitent secrètement soutenir des alliances d’extrême droite. « Nous avons besoin de patriotes qui font activement quelque chose et de personnalités qui soutiennent financièrement ces activités », indique l’invitation.

      Mais quelle est la finalité de ces dons ?

      La première indication est l’invitation signée par les organisateurs Gernot Mörig, le dentiste, et Hans-Christian Limmer, l’homme d’affaires. Dans une autre lettre d’invitation consultée par Correctiv, Gernot Mörig écrit : il existe un « concept global, au sens d’un plan stratégique », qui sera introduit par un orateur, Martin Sellner, cofondateur du Mouvement identitaire d’Autriche, branche de l’organisation française – dissoute en 2021 – Génération identitaire. Tous ceux qui ont participé au week-end savaient donc où ils mettaient les pieds.
      Acte 1, scène 2. Une « feuille de route » pour se débarrasser des immigrés

      Martin Sellner, auteur et figure de proue de la Nouvelle Droite, est le premier intervenant de la réunion. Gernot Mörig arrive rapidement au point dont il est censé être question aujourd’hui : la « remigration ».

      Dans l’introduction, l’organisateur accorde un poids particulier à la thèse de Martin Sellner : tout le reste – les mesures liées au coronavirus et à la vaccination, la situation en Ukraine et au Proche-Orient – sont autant de points de discorde à droite. La seule question qui les rassemble est de savoir « si nous, en tant que peuple, allons survivre en Occident ou non ».

      Martin Sellner explique le concept de « remigration » comme suit : il existe trois groupes cibles de migrants qui doivent quitter l’Allemagne pour, dit-il, « inverser l’installation des étrangers ». Il précise de qui il s’agit : les demandeurs d’asile, les étrangers ayant le droit de rester et les « citoyens non assimilés ». Selon lui, ces derniers constituent le plus gros « problème ». En d’autres termes : Martin Sellner divise la population entre ceux qui devraient vivre sans être inquiétés en Allemagne et ceux auxquels ce droit fondamental ne devrait pas s’appliquer.

      Les réflexions du jour se résument finalement à une chose : les gens devraient pouvoir être expulsés d’Allemagne s’ils ont la mauvaise couleur de peau, la mauvaise origine ou s’ils ne sont pas suffisamment « assimilés ». Même s’ils sont citoyens allemands. Ce serait une attaque contre la Loi fondamentale, contre la citoyenneté et contre le principe d’égalité.
      Acte 1, scène 3. Aucune objection de la part de l’AfD

      Sur le fond, aucune critique de l’idée du « plan stratégique » n’émerge dans l’assemblée. La plupart des participants émettent des avis favorables, n’exprimant des doutes que sur sa faisabilité.

      Silke Schröder, entrepreneuse dans l’immobilier et membre du conseil d’administration de l’Association de langue allemande, proche de la CDU, se demande comment cela devrait fonctionner dans la pratique. Car dès qu’une personne possède un passeport « approprié », c’est « une impossibilité ».

      Pour Martin Sellner, ce n’est pas un obstacle. Selon lui, il faut mettre une « forte pression » sur les gens pour qu’ils s’adaptent, au travers par exemple de « lois sur mesure ». La remigration ne peut pas se faire rapidement, c’est « un projet qui s’étend sur dix ans ».

      Les membres de l’AfD présents n’énoncent également aucune objection, bien au contraire. Gerrit Huy, députée de l’AfD au Bundestag, souligne qu’elle poursuit depuis longtemps l’objectif fixé.

      Lorsqu’elle a rejoint le parti il ​​y a sept ans, elle « portait déjà le concept de remigration ». C’est pour cette raison que l’AfD ne s’oppose plus à la double nationalité. « Parce qu’on peut alors leur retirer le passeport allemand, ils en ont toujours un. » Comme le dit Gerrit Huy, les immigrés possédant un passeport allemand sont censés être attirés dans un piège.

      Le chef du groupe parlementaire AfD en Saxe-Anhalt (Est), Ulrich Siegmund, est également présent dans la salle. Il est influent au sein de son parti, notamment parce que sa fédération régionale bénéficie d’une belle cote de popularité. Il estime qu’il faudrait transformer le paysage urbain et mettre la pression sur les restaurants étrangers. Il devrait être « le moins attrayant possible pour cette clientèle de vivre en Saxe-Anhalt ». Et cela pourrait être fait très facilement. Ses propos pourraient avoir des conséquences lors des élections à venir.

      Correctiv a envoyé aux participants des questions sur la réunion, demandant, entre autres, ce qu’ils pensaient des principales déclarations qui y avaient été faites. Au moment de la publication de l’article, Gerrit Huy, députée de l’AfD au Bundestag, n’a pas répondu à nos questions, pas plus que le cadre de l’AfD Roland Hartwig ou le comité exécutif fédéral du parti.

      Ulrich Siegmund, le parlementaire de Saxe-Anhalt, a demandé à un cabinet d’avocats d’écrire qu’il n’était pas là en tant que député de l’AfD mais à titre « privé ». Dans sa réponse, le cabinet d’avocats laisse ouverte la manière dont Siegmund perçoit le concept de « remigration ». Il déclare simplement qu’il ne veut pas « expulser illégalement » des personnes.

      Gernot Mörig, lui, prend ses distances. Il « se souvient » différemment des déclarations de Martin Sellner. S’il avait entendu de telles déclarations, écrit-il, elles « n’auraient pas été sans objection de [sa] part » – notamment en ce qui concerne le traitement inégal des citoyens allemands.

      L’AfD a récemment engrangé plusieurs succès électoraux et ne compte pas s’arrêter en si bon chemin. Selon de récents sondages, il cumulerait plus de 30 % des intentions de vote dans les Länder de Saxe et de Thuringe, devant la CDU, les sociaux-démocrates ou les Verts. Mais dans le même temps, le parti est sous pression. L’Office fédéral de protection de la Constitution, le service de renseignement intérieur allemand, qualifie les fédérations de l’AfD en Thuringe, en Saxe-Anhalt et en Saxe d’extrême droite.

      L’interdiction du parti est de plus en plus discutée ces temps-ci. Plus de 660 000 personnes ont signé une pétition en faveur de cette mesure et le député CDU Marco Wanderwitz envisage de déposer une motion d’interdiction au Bundestag.

      L’AfD se présente pourtant comme une force politique démocratique. « En tant que parti fondé sur l’État de droit, l’AfD s’engage sans réserve envers le peuple allemand en tant que somme de tous les citoyens allemands », indique-t-il sur son site internet. Les immigrés titulaires d’un passeport allemand sont « tout aussi Allemands que les descendants d’une famille qui vit en Allemagne depuis des siècles » et, « pour [le parti], il n’y a pas de citoyens de première ou de deuxième classe ».

      Les propos tenus au cours de la réunion tranchent avec ce discours de façade : les femmes et hommes politiques de l’AfD y ont professé librement leurs idéaux nationalistes, sans se distinguer des positions des idéologues d’extrême droite présents à leurs côtés.
      Acte 1, scène 4. L’utopie des nazis

      Dehors, la neige fond. L’organisateur Gernot Mörig se dit généralement pessimiste. Mais ce jour-là, il a de l’espoir. Et cela a notamment à voir avec le « plan stratégique » du militant d’extrême droite Martin Sellner.

      L’idée d’instaurer un « État modèle » en Afrique du Nord surgit. Martin Sellner explique que jusqu’à deux millions de personnes « déplacées » pourraient vivre dans une telle zone. Tous ceux qui soutiennent les réfugiés pourraient y aller aussi.

      Ce que conçoit Martin Sellner n’est pas sans rappeler le projet des nationaux-socialistes de déporter quatre millions de juifs vers l’île de Madagascar en 1940. On ne sait pas si Martin Sellner a en tête ce parallèle historique. Autre coïncidence : pour leur réunion conspiratrice, les organisateurs ont choisi un hôtel situé à huit kilomètres de la villa de la conférence de Wannsee, où les nazis ont mis au point la « solution finale de la question juive ».

      Martin Sellner évoque ensuite le « vote ethnique », un autre terme issu du vocable de l’extrême droite. « Ce n’est pas seulement que les étrangers vivent ici. Ici aussi, ils votent », explique-t-il. « Vote ethnique » signifie pour lui que les personnes issues de l’immigration voteraient principalement pour des partis « favorables aux migrants ».

      Non seulement Martin Sellner délégitime ainsi les élections en elles-mêmes, mais il transforme également les Allemands en étrangers dans leur propre pays. Selon les données de l’Office fédéral de la statistique, 20,2 millions de personnes ont en Allemagne un « passé d’immigration », c’est-à-dire qu’elles ont elles-mêmes immigré depuis 1950 ou qu’elles descendent de ces immigrant·es.

      Il apparaît clairement que les stratégies de ces différents acteurs d’extrême droite s’entrelacent : Martin Sellner fournit les idées, l’AfD les reprend et les porte dans le parti. En arrière-plan, des personnes fortunées s’occupent du réseautage. Les débats tournent toujours autour d’une seule question : comment parvenir à une communauté ethnique unifiée ?

      Acte 2, scène 1. L’influenceur au service du plan d’expulsions

      Il s’agit maintenant d’évoquer les détails pratiques, les prochaines étapes. Gernot Mörig, qui se décrit plus tard comme « l’unique organisateur » en réponse aux questions de Correctiv, parle d’un comité d’experts qui élaborera ce plan – l’expulsion des personnes d’origine immigrée, y compris de citoyens allemands – d’un « point de vue éthique, juridique et logistique ». Gernot Mörig a déjà une idée de qui pourrait prendre la tête de ce comité : Hans-Georg Maaßen, ancien chef de l’Office pour la protection de la Constitution et grand promoteur de l’union des droites.

      Le nom de Maaßen revient fréquemment ce jour-là. Selon plusieurs médias, l’ancien haut fonctionnaire et membre de la CDU envisage d’annoncer la création de son propre parti en janvier. Les gens présents dans la salle le savent déjà, ils évoquent cette future formation à plusieurs reprises lors de la conférence.

      Mais les participants ne semblent pas prendre ce nouveau parti très au sérieux. Ils sont davantage préoccupés par leurs propres projets et se donnent pour but d’être prêts lorsqu’« une force patriotique dans ce pays aura pris ses responsabilités », expose Gernot Mörig.

      La discussion porte sur la manière dont l’idée de « remigration » devrait devenir une stratégie politique. Martin Sellner indique que pour y parvenir, il faut construire un « pouvoir métapolitique et prépolitique » afin de « changer le climat de l’opinion ».

      Si l’on suit le contenu des conférences, cela signifie en pratique que l’argent doit aussi couler dans des projets d’influence, de propagande, dans des mouvements d’action et des projets universitaires. D’un côté, pour construire une opinion publique d’extrême droite ; de l’autre, pour affaiblir la démocratie, ce qui signifie mettre en doute les élections, discréditer la Cour constitutionnelle, dénigrer les opinions divergentes et combattre les médias publics.
      Acte 2, scène 2. Comme si le rapport de force avait déjà basculé

      Les intervenants se succèdent et chaque conférence dure environ une heure. Entre-temps, le déjeuner est apporté et une employée de l’hôtel semble agacée par le nombre de convives qu’elle doit servir.

      Dans l’après-midi, Ulrich Vosgerau s’avance. Il est avocat et membre du conseil d’administration de la Fondation Desiderius-Erasmus, affiliée à l’AfD, et a représenté le parti devant la Cour constitutionnelle fédérale dans le litige concernant le financement de la fondation.

      Le constitutionnaliste parle du vote par correspondance : il s’interroge sur le processus, le secret du vote, partage ses inquiétudes concernant ces jeunes électeurs d’origine turque qui seraient incapables de se forger une opinion indépendante. En réponse aux questions de Correctiv, il confirme avoir tenu ces propos mais affirme ne pas se souvenir de l’idée d’expulser des citoyens, pourtant abordée dans la conférence de Martin Sellner.

      Ulrich Vosgerau considère comme envisageable la suggestion selon laquelle un modèle de lettre-type pourrait être élaboré avant les prochaines élections afin de contester leur légalité : plus il y aurait de participants à envoyer ces lettres aux autorités, expose-t-il, plus les chances que leurs revendications soient prises en compte seraient élevées. Des applaudissements ponctuent la fin de son intervention.

      D’autres estiment que le rapport de force entre les partis traditionnels et l’extrême droite a déjà basculé. Mario Müller, identitaire condamné à plusieurs reprises pour violences, actuellement assistant du député de l’AfD au Bundestag Jan Wenzel Schmidt, s’est exprimé en ce sens lors de sa conférence.
      Acte 3, scène 1. Le clan Mörig

      À travers les fenêtres à croisillons de la maison de campagne, une vue s’ouvre sur l’assemblée présente. La salle respire la splendeur d’antan : une épinette dans le coin, une horloge ancestrale au mur ; de nombreux invités portent des chemises et des vestes.

      Les plans sont définis, du moins dans leurs grandes lignes. Mais tout dépend de l’argent. Gernot Mörig le sait bien : dans les années 1970, il était le dirigeant fédéral de la Bundes Heimattreuer Jugend (« Association des jeunes fidèles à la patrie »), un groupuscule d’extrême droite promouvant l’idéologie « Blut und Boden » (« sang et sol »). L’association qui lui a succédé, Heimattreu deutsche Jugend, a été interdite en 2009 en raison de son idéologie néonazie. Andreas Kalbitz, ancien chef de l’AfD dans le Land de Brandebourg, a été exclu du parti car il avait été invité à un camp d’été du groupe.

      C’est Gernot Mörig qui a sélectionné les invités et établi le programme. C’est lui qui a parlé du « plan stratégique » dans sa lettre et a demandé des dons aux invités. L’argent qu’il collecte sera utilisé pour soutenir des organisations comme celles de Martin Sellner, explique-t-il plus tard.

      Il montre une liste de soutiens qui ont fait des promesses de dons ou ont déjà versé de l’argent. Il cite aussi ceux qui ne sont pas présents. Comme Christian Goldschagg, fondateur de la chaîne de fitness Fit-Plus et ancien associé de l’éditeur de presse Süddeutscher Verlag. À Correctiv, celui-ci explique qu’il n’a « transféré aucune somme pour cet événement ou le projet décrit » et qu’il n’avait rien à voir avec l’AfD. Ou comme Klaus Nordmann, homme d’affaires de Rhénanie du Nord-Westphalie et grand donateur de l’AfD. En réponse aux questions de la rédaction, il assure qu’il n’a pas fait don de 5 000 euros et qu’il ne s’est pas senti obligé de le faire.

      Gernot Mörig donne d’autres noms. Alexander von Bismarck, qui a attiré l’attention par son action de soutien à l’invasion russe de l’Ukraine, est également dans la salle. Gernot Mörig se vante de cette autre personne qui a transféré une « somme élevée à quatre chiffres en guise de don » ou qui compte encore le faire.

      Jusqu’à présent, les dons ont été effectués via le compte privé de son beau-frère banquier. Gernot Mörig annonce que « la prochaine fois, ils auront probablement une association non enregistrée » à travers laquelle les versements pourront être effectués.
      Acte 3, scène 2. Un homme politique de l’AfD réclame plus d’un million d’euros

      Ulrich Siegmund, chef du groupe parlementaire de l’AfD en Saxe-Anhalt, a apparemment lui aussi besoin d’argent. Le politicien sollicite ouvertement des dons lors de la réunion : il pense déjà aux élections et à la propagande électorale qu’il aimerait envoyer, de préférence directement dans les boîtes aux lettres des électeurs et électrices.

      Ulrich Siegmund dit qu’il aimerait que tout le monde reçoive une lettre au moins une fois. Une campagne de publicité traditionnelle à la radio et à la télévision est nécessaire. Mais il veut plus : il lui faut 1,37 million d’euros, « en plus de ce qui est fourni par le parti ». Les dons aux partis sont « bien sûr, et de loin, la chose la plus propre », déclare Ulrich Siegmund. « Néanmoins », selon lui, il existe « des moyens tout à fait légaux de faire des dons directs » en contournant les caisses du parti – ce qui n’est pas nécessairement illégal.
      Acte 3, scène 3. Le bras droit d’Alice Weidel

      Le fait qu’une partie de l’AfD entretient des liens étroits avec les néonazis et la Nouvelle Droite n’a rien de nouveau. Jusqu’à présent, cependant, le parti a imputé le problème à certaines de ses fédérations locales ou à des cas individuels isolés.

      Un représentant de la direction du parti est également présent à la réunion secrète à l’hôtel : Roland Hartwig, ancien député de l’AfD, assistant personnel de la dirigeante de l’AfD Alice Weidel et, selon plusieurs sources, « secrétaire général non officiel du parti politique ». En somme, quelqu’un qui exerce une influence en coulisses sur les plus hauts niveaux décisionnels du parti.

      Devant les invités, Roland Hartwig avoue être un fan du militant Martin Sellner, dont il a lu le livre « avec grand plaisir ». Il fait également référence au « plan stratégique » discuté précédemment et évoqué par Gernot Mörig. Roland Hartwig poursuit en affirmant que l’AfD envisage actuellement un procès contre l’audiovisuel public et une campagne qui montrera à quel point ses antennes sont luxueusement équipées.

      Le projet présenté par le fils de Gernot Mörig lors de la réunion doit également être replacé dans le contexte de la conférence de Martin Sellner : Arne Friedrich Mörig souhaite créer une agence regroupant des influenceurs de droite. Roland Hartwig évoque la possibilité que l’AfD cofinance cette structure. L’objectif, selon Roland Hartwig, est d’influer sur les élections, en particulier à travers les jeunes : « La génération qui doit inverser la tendance est là. » Ce projet vise à attirer les jeunes sur des plateformes comme TikTok ou YouTube pour consulter des contenus politiques qui seraient produits par ces influenceurs.

      Selon Roland Hartwig, la prochaine étape consistera désormais à présenter le projet au conseil exécutif fédéral et à convaincre le parti qu’il en bénéficiera également.

      Roland Hartwig prononce une phrase cruciale : « Le nouveau directoire fédéral, en fonction depuis un an et demi, est ouvert à cette question. Nous sommes donc prêts à dépenser de l’argent et à nous emparer de sujets qui ne profitent pas directement au seul parti. »

      On a l’impression que Roland Hartwig, bras droit d’Alice Weidel, joue le rôle d’intermédiaire auprès du comité exécutif fédéral de l’AfD, afin de transmettre au parti les projets qui naîtraient de cette réunion. Roland Hartwig n’a pas répondu à nos questions au moment de la publication de cet article.
      Épilogue

      Le soir d’après, tout est calme. L’hôtel a l’air désert. Ce qu’il reste c’est :

      - un dentiste d’extrême droite qui a dévoilé son réseau conspirateur ;
      - une réunion d’extrémistes de droite radicaux avec des représentants fédéraux de l’AfD ;
      - un « plan stratégique » visant à expulser massivement des citoyens allemands, sapant les articles 3, 16 et 21 de la Loi fondamentale ;
      - la révélation de plusieurs donateurs potentiels d’extrême droite issus de la bourgeoise allemande ;
      – un constitutionnaliste qui décrit les méthodes juridiques pour mettre systématiquement en doute les élections démocratiques ;
      - un chef de groupe parlementaire de l’AfD qui sollicite des dons électoraux en contournant son parti ;
      - un propriétaire d’hôtel qui a pu gagner un peu d’argent pour couvrir ses frais.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/150124/en-allemagne-l-extreme-droite-planifie-secretement-la-remigration-de-milli

    • 15.01.2024
      +++ Demokratie schützen, AFD bekämpfen +++
      Aufruf zur Kundgebung auf dem Alter Markt Köln, Sonntag, 21.01.2024, 12 Uhr

      Mit großer Besorgnis haben wir die Recherchen von „Correctiv“ zum Treffen von AFD Politikern und Mitgliedern der Werteunion mit der identitären Bewegung zur Kenntnis genommen.

      Wir danken Correctiv und den Medien für die Berichterstattung zum „Geheimplan gegen Deutschland“, einem Masterplan zur „Remigration“, der die Vertreibung von Millionen von Menschen aus Deutschland beinhaltet, einem Plan, um die Artikel 3, 16 und Artikel 21 des Grundgesetzes zu unterlaufen. Asylbewerber:innen, Ausländer:innen mit Bleiberecht und „nicht assimilierte dt. Staatsbürger“ aber auch Menschen mit deutschem Pass die eine Migrationsgeschichte haben, sollen mit „maßgeschneiderten Gesetzen“ aus Deutschland ausgewiesen werden. Dazu wird ein „afrikanischer Musterstaat“ für bis zu zwei Mio. Vertriebene anvisiert. Dieser Vorschlag erinnert fatal an eine Idee der Nationalsozialisten von 1940, alle europäischen Jüdinnen und Juden auf die Insel Madagaskar umzusiedeln.

      Die Recherchen von „Correctiv“ haben einmal mehr offengelegt, wie weit wichtige Mitglieder und Funktionäre der AFD offen für rechtsextremistische, verfassungswidrige Ideen und Pläne sind.

      Sie haben offengelegt, wie systematisch Finanziers für solche verfassungswidrige Ideen angeworben werden. Und sie haben gefährliche Netzwerke gleichermaßen zu Mitgliedern und Funktionären der Werte Union offengelegt, die gleichzeitig Mitglieder der CDU sind.

      Alles das erinnert fatal an die schlimmsten rassistischen Traditionen des deutschen Faschismus von Ausgrenzung und Diskriminierung. Es ist höchste Zeit zu handeln!

      Wir warnen alle demokratischen Parteien vor einem Wettbewerb um eine möglichst repressive Flüchtlingspolitik. Dabei gewinnt nur die AFD.

      Wir fordern angesichts der bevorstehenden Europawahl und der Landtagswahlen in diesem Jahr, dass die Brandmauern der demokratischen Parteien gegen die AFD erhöht werden.

      Für die großen ökologischen, wirtschaftlichen und sozialen Herausforderungen bietet die AFD keine Lösungen. Im Gegenteil: Sie leugnet den menschengemachten Klimawandel, sie ist für Sozialabbau und gegen Mindestlöhne sowie gegen Steuererhöhungen für Wohlhabende und will die EU abschaffen.

      Es ist höchste Zeit, das Verbindende der demokratischen Kräfte in den Vordergrund zu stellen im Einsatz für ein demokratisches, soziales Europa ohne Rassismus, Antisemitismus und Nationalismus.

      Wer die AFD unterstützt und wählt, gibt Personen ein Mandat, die menschenverachtende Verfassungsfeinde sind, die die Demokratie missbrauchen, um sie abzuschaffen, und die selbst vor Deportationen nicht zurückschrecken.

      KSSQ setzt sich ein für ein breites Kölner Bündnis für den Schutz der Demokratie und zur Bekämpfung aller Rechtsextremisten und der AFD als ihrem parlamentarischen Arm.

      Wir rufen auf zur Kundgebung „Demokratie schützen, AFD bekämpfen“
      Auf dem Alter Markt , Sonntag, 21.01.2024, 12 Uhr

      https://koeln-bonn.dgb.de/++co++d40cdb26-b392-11ee-aad6-001a4a160123/scaled/size/2048

      https://koeln-bonn.dgb.de/themen/++co++eb8ca2c8-b391-11ee-8318-001a4a160123

      #ver.di #demonstration

    • En Allemagne, des responsables du parti d’extrême droite AfD envisagent l’expulsion en masse d’Allemands d’origine étrangère
      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/10/en-allemagne-des-responsables-du-parti-d-extreme-droite-afd-envisagent-l-exp

      Le site d’investigation « Correctiv » a révélé que des cadres d’Alternative pour l’Allemagne se sont réunis avec des représentants de la mouvance néonazie pour envisager des « lois sur mesure » poussant les « citoyens allemands non assimilés » à partir vers l’Afrique du Nord.
      Par Thomas Wieder (Berlin, correspondant), 10 janvier 2024

      Depuis sa création en 2013, le parti d’extrême droite Alternative pour l’Allemagne (AfD) n’a cessé de se radicaliser, alors qu’il n’a jamais atteint de tels niveaux dans les intentions de vote : de 21 %-23 % à l’échelle nationale, autour de 30 % dans les six Länder d’ex-Allemagne de l’Est, et même 35 % dans deux d’entre eux, la Saxe et la Thuringe, où auront lieu des élections régionales le 1er septembre.

      Mais que ferait l’AfD en cas d’arrivée au pouvoir ? Selon une enquête publiée mercredi 10 janvier par le site d’investigation Correctiv, plusieurs de ses responsables se sont retrouvés, en présence de donateurs du parti et de membres de la mouvance néonazie, dans un hôtel de Potsdam, le 25 novembre 2023, pour discuter d’un projet d’expulsion à grande échelle visant des Allemands d’origine étrangère.
      Présenté par Martin Sellner, fondateur du Mouvement des identitaires d’Autriche et figure influente des droites radicales germanophones, ce plan de « remigration » nécessiterait des « lois sur mesure » afin de « mettre sous forte pression » les « citoyens allemands non assimilés ». Pour être mis en œuvre, il aurait besoin d’un « Etat modèle » en Afrique du Nord, où seraient « déplacées » jusqu’à deux millions de personnes, parmi lesquelles « des individus qui aident les réfugiés en #Allemagne ».

      « Remigration »

      Selon Correctiv, les responsables de l’AfD qui ont assisté à cette rencontre tenue secrète et pour laquelle une contribution de 5 000 euros était exigée à chaque participant – une trentaine au total – n’ont pas exprimé la moindre réserve.
      Parmi eux figuraient Roland Hartwig, ancien député et proche conseiller d’Alice Weidel, la présidente du parti d’extrême droite ; Ulrich Siegmund, chef de file des députés AfD au Parlement de Saxe-Anhalt, un Land de l’est du pays, où les services de renseignement ont récemment publié un rapport alarmiste sur la menace que constitue le parti pour « l’ordre démocratique et constitutionnel » ; et la députée fédérale Gerrit Huy, qui s’est vantée, lors de la réunion, d’avoir déjà « mis sur la table le concept de remigration au moment de [son] entrée à l’AfD il y a sept ans ».

      Officiellement, l’AfD ne prône pas la « remigration », notion chère à la droite identitaire. Sur son site, le parti assure qu’il considère « le peuple allemand comme la somme de toutes les personnes ayant la nationalité allemande, et s’inscrit en faux contre l’idée qu’il y aurait “des citoyens de première et de deuxième classe” ».

      Il n’empêche. A son dernier congrès, qui s’est tenu à Magdebourg (Saxe-Anhalt) en juillet 2023, le mot a été prononcé à la tribune par Irmhild Bossdorf, qui figure en neuvième place sur la liste de l’AfD pour les européennes du 9 juin. Cette dernière a notamment réclamé une « #remigration se chiffrant en millions [de personnes] », estimant que les Allemands devraient se préoccuper du « changement démographique » plutôt que du « changement climatique ».

      Après le congrès, Thomas Haldenwang, président de l’Office fédéral de protection de la Constitution (BfV), le renseignement intérieur allemand, s’était inquiété des « théories conspirationnistes d’extrême droite » entendues à Magdebourg. « Il est clair que des personnes qui se sont fait remarquer dans le passé par des positions incompatibles avec notre ordre fondamental libéral et démocratique feront partie de la délégation de l’AfD au prochain Parlement européen », avait-il déclaré.

      « Interdire un parti est très compliqué »

      « Nous voyons combien il est nécessaire que le BfV observe très attentivement les contacts qui se nouent à l’#extrême_droite, comment les ennemis de la Constitution tissent des liens avec les représentants de l’AfD et quelles idéees abjectes sont propagées », a déclaré au magazine Stern la ministre fédérale de l’intérieur, Nancy Faeser, en réaction à l’article de Correctiv.
      En #Autriche, le parti d’extrême droite FPÖ, qui est en tête dans les intentions de vote (autour de 30 %) et a des liens étroits avec le mouvement identitaire de Martin Sellner, s’est étonné de l’indignation suscitée par les révélations du site d’investigation allemand. « Que des responsables politiques patriotes tentent de réparer les dégâts causés pendant des décennies par la gauche en matière migratoire n’est pas un secret mais un devoir dans l’intérêt de notre population », a réagi le secrétaire général du FPÖ, Christian Hafenecker, pour qui « la remigration est le mot d’ordre du moment ».
      Les révélations de Correctiv pourraient donner des arguments à ceux qui estiment que l’AfD devrait être interdit. C’est le cas du député chrétien-démocrate Marco Wanderwitz, élu de Saxe et ex-délégué du gouvernement fédéral pour les Länder de l’Est (2020-2021). « L’AfD devient ce qu’était le [parti néonazi] NPD. On ne peut pas faire plus radicalement d’extrême droite », a-t-il déclaré, dimanche, à la DPA.

      Si une pétition, lancée en août 2023 par des personnalités de la culture et des médias pour réclamer une interdiction, a déjà recueilli plus 400 000 signatures, l’idée – à laquelle l’hebdomadaire Der Spiegel a récemment consacré sa « une » – est loin de faire l’unanimité dans les grands partis de gouvernement.
      Membre du Parti social-démocrate du chancelier Olaf Scholz, l’actuel délégué du gouvernement fédéral pour les Länder de l’Est, Carsten Schneider, est ainsi en désaccord avec son prédécesseur, pour des raisons juridiques et politiques. « Interdire un parti est très compliqué. Sur le plan du droit, les chances sont minces, a-t-il affirmé à la Süddeutsche Zeitung, le 3 janvier. Vouloir interdire un parti qui ne nous convient pas, mais est durablement installé à un niveau élevé dans les sondages, ne peut que créer un réflexe de solidarité à son égard, et ce, même de personnes qui ne sont ni des électeurs ni des sympathisants de l’#AfD. A ce titre, les dommages collatéraux pourraient être considérables. »

      (pas pigé si ils envisageait de déchoir de leur nationalité les étrangers naturalisés ou si ils considéraient ces derniers comme suffisamment assimilés au vu des obstacles à l’acquisition de la nationalité allemande)

      #néonazis #citoyens_non_assimilés #fascisation

      @_kg_, en publiant les citations de textes en allemand
      entre

      nous pourrions utiliser la traduction automatique...

    • –> as theater play; livestream (free access) below

      Livestream: „Geheimplan gegen Deutschland“ im Berliner Ensemble

      Neue investigative Recherche zum Geheimtreffen von einflussreichen AfD-Politikern, Geldgebern und Neonazis als szenische Lesung im Berliner Ensemble.
      12. Januar 2024
      Hartwig

      Die szenische Lesung haben wir als kostenloser Stream zusammen mit dem Berliner Ensemble, dem Volkstheater Wien und nachtkritik.de auf www.berliner-ensemble.de und www.volkstheater.at bereitgestellt.

      Die investigative Redaktion von CORRECTIV veröffentlichte am 10. Januar eine Recherche rund um ein Treffen, von dem niemand erfahren sollte: AfD-Politiker, Neonazis und finanzstarke Unternehmer kamen im November 2023 in einem Hotel bei Potsdam zusammen. Sie planten nichts Geringeres als die Vertreibung von Millionen von Menschen aus Deutschland. CORRECTIV war auch im Hotel – und hat das Treffen dokumentiert.

      Regisseur und Intendant des Volkstheaters Wien Kay Voges bringt die Recherche als Koproduktion des Berliner Ensembles und des Volkstheaters Wien in Form einer szenischen Lesung auf die Bühne des Berliner Ensembles. Während der szenischen Lesung enthüllen wir gemeinsam weitere Details, die parallel auf unserer Webseite veröffentlicht werden.

      Das Stück kann hier frei herunter geladen werden. Jeder der will, kann es tantiemenfrei aufführen. So wollen wir ermöglichen, dass mehr Theater die Debatte weitertragen können. Es wäre toll, wenn die Vorstellungen genutzt werden, um die politische Auseinandersetzung mit den menschenfeindlichen Gedankengut der AfD zu ermöglichen. Wir sehen in Theatern einen zentralen Ort der Kommunikation in unserer Gesellschaft.

      Besetzung:

      Andreas Beck
      Constanze Becker
      Max Gindorff
      Oliver Kraushaar
      Veit Schubert
      Laura Talenti

      Regieteam:

      Lolita Lax (Text)
      Jean Peters (Co-Autor)
      Kay Voges (Szenische Einrichtung)
      Max Hammel (Video)
      Mona Ulrich (Kostüme)

      Link (starts min 19):
      https://youtu.be/kJMQODymCsQ

      https://correctiv.org/events/2024/01/12/correctiv-recherche-geheimplan-gegen-deutschland-im-berliner-ensemble

      #theater_play #Berliner_Ensemble

    • En Autriche, l’extrême droite (en tête des sondages...) envisage bien des déchéance de nationalité

      Qui est vraiment… Martin Sellner, l’identitaire qui inspire les extrêmes droites européennes
      https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2024/01/18/qui-est-vraiment-martin-sellner-l-identitaire-qui-inspire-les-extremes-droit
      L’Autrichien a suscité une vive polémique outre-Rhin avec son projet de « remigration » d’Allemands d’origine étrangère, présenté aux cadres du parti Alternative pour l’Allemagne (AfD). Une radicalité dont se nourrissent plusieurs mouvements d’extrême droite européens.
      Par Jean-Baptiste Chastand


      Martin Sellner, à Vienne, le 13 avril 2019. MICHAEL GRUBER/GETTY IMAGES VIA AFP

      Martin Sellner a suscité la polémique en Allemagne avec un projet, présenté aux cadres du parti d’extrême droite Alternative pour l’Allemagne (AfD), de « remigration » d’étrangers et d’Allemands d’origine étrangère vers un « Etat modèle » en Afrique du Nord.

      Un idéologue qui scandalise l’Allemagne
      Grandes lunettes et look sportif, Martin Sellner était au cœur du rendez-vous d’extrême droite organisé à Potsdam en novembre 2023 qui fait scandale dans toute l’Allemagne.
      Mercredi 10 janvier, le site d’investigation Correctiv a révélé que des cadres du parti Alternative pour l’Allemagne (AfD) s’étaient discrètement réunis dans un hôtel de cette ville proche de Berlin pour écouter l’idéologue d’ultradroite autrichien prôner « la remigration » vers un « Etat modèle » en Afrique du Nord de « millions » d’étrangers et d’Allemands d’origine étrangère jugés indésirables.
      Martin Sellner a pu leur expliquer en détail le « système d’#incitation_au_départ_volontaire » qu’il rêve d’établir pour débarrasser l’Allemagne et l’Autriche de « ceux qui sont un fardeau ­économique, criminel et culturel ».

      Un des inspirateurs du tueur de Christchurch
      A 35 ans, la renommée de Martin Sellner n’est plus à faire. Après avoir participé à la fondation de la branche autrichienne du Mouvement identitaire en 2012, sur le modèle du groupe Génération identitaire français (dissous en 2021), son nom est apparu dans les médias du monde entier après la tuerie islamophobe de Christchurch, en Nouvelle-Zélande, en 2019. Avant d’assassiner cinquante et une personnes dans deux mosquées différentes, le tueur, Brenton Tarrant, avait entretenu une correspondance avec Martin Sellner et fait un don de 1 500 euros à son mouvement.
      Ces liens avaient valu à l’Autrichien de faire l’objet d’une enquête pour « participation à une organisation terroriste » finalement ­classée sans suite par la justice autrichienne en 2021. En 2018, Martin Sellner avait déjà échappé à une condamnation pour ­appartenance à une « organisation criminelle ».

      Un nostalgique du régime nazi
      Martin Sellner s’est fait remarquer par les forces de l’ordre dès 2006, lorsque, à 17 ans, il collait des autocollants avec des croix gammées sur le mur de la synagogue de sa ville d’origine, Baden, dans les environs de Vienne. S’il assure depuis qu’il s’agissait d’« une provocation » de jeunesse « effectivement raciste, xénophobe et antisémite », il joue ­toujours avec les symboles ambigus. L’homme apprécie, par exemple, organiser des retraites aux flambeaux à l’occasion des célébrations du 8 mai 1945.
      L’hôtel où s’est tenue la ­rencontre en novembre 2023 se situe par ailleurs à une dizaine de kilomètres seulement de la tristement célèbre villa des bords du lac de Wannsee où les nazis prirent, en 1942, la décision d’exterminer les juifs. « Un rapprochement qui défie l’entendement », s’est défendu Martin Sellner, qui affirme avoir quitté le mouvement identitaire en 2023.

      Un modèle pour les extrêmes droites germaniques
      Bien loin d’une Marine Le Pen qui fait tout pour policer son image, l’AfD allemande et le Parti pour la liberté d’Autriche (FPÖ) – deux formations avec qui le Rassemblemant national siège au Parlement européen – basculent sur une ligne toujours plus radicale en multipliant les contacts avec les identitaires.
      Après les révélations de Correctiv, les deux partis ont repris à leur compte le concept de « remigration » défendu par Martin Sellner. En débattant de ses modalités, Herbert Kickl, le chef du FPÖ, a confirmé qu’il envisageait jusqu’à la #déchéance_de_nationalité et à l’expulsion de citoyens ­autrichiens d’origine étrangère qui « méprisent notre société ».
      A la faveur des sondages historiquement élevés pour l’AfD et le FPÖ, Martin Sellner espère bien que l’heure de la concrétisation de son grand plan approche.

      #expulsion_de_citoyens

    • Geheimtreffen in Potsdam: AfD-Mitarbeiter brüstet sich mit Gewalt

      Gewalt und Medienarbeit – Mario Müller, langjähriger führender Kopf der Identitären, vorbestraft wegen Körperverletzung, gab in einem Vortrag in Potsdam verstörende Einblicke in seine Strategie im Kampf gegen Linke. Für die AfD könnte sich dies in Bezug auf ein Verbotsverfahren als brisant erweisen. Denn Müller ist Mitarbeiter im Büro eines AfD-Abgeordneten. Auf Anfrage bestreitet er, die Aussagen getroffen zu haben.

      von Jean Peters , Gabriela Keller , Till Eckert , Anette Dowideit , Marcus Bensmann
      17. Januar 2024

      Mario Müller, ein mehrfach wegen Körperverletzung verurteilter Rechtsextremer und Mitarbeiter eines AfD-Bundestagsabgeordneten, am 25. November 2023 im Landhaus Adlon in Potsdam. (Fotos und Collage: CORRECTIV)

      Mario Müller schämt sich nicht für seine Vorstrafen, im Gegenteil: Er gibt damit an.

      „Mein Name ist Mario Müller“, so stellt er sich bei dem Geheimtreffen vor, „ich bin gewaltbereiter Neonazi.“ Im ironischen Ton sagt er das laut Quellen, zieht es gleich ins Lächerliche: Das gelte nur, wenn man linken „Denunziationsportalen“ glaube. Und das tut natürlich niemand hier, bei dieser Zusammenkunft nahe Potsdam, die CORRECTIV in der vergangenen Woche aufgedeckt hat.

      Knapp 30 Leute, Rechtsextreme, AfD-Funktionäre, private Unterstützer kamen am 25. November 2023 in dem Hotel „Landhaus Adlon“ zusammen. Sie berieten über Vertreibungen von Menschen mit Migrationshintergrund, und er, Mario Müller, war mittendrin.

      Sein Fokus: Der Kampf gegen die Linke. Dafür setzt er auf zwei Waffen: Gewalt und Medienarbeit. Beides greift bei ihm offenbar ineinander. In seinem Vortrag macht er dies mit einem Beispiel anschaulich: Er habe 2021 den Aufenthaltsort eines deutschen Antifa-Aktivisten in Polen verbreitet und einen Schlägertrupp auf ihn angesetzt.
      Der AfD-Mitarbeiter und die Gewalt: Erst Bekenntnis, dann Dementi

      Als CORRECTIV Müller mit seinen Aussagen konfrontiert, streitet er dies kategorisch ab: „Ich habe niemals einen „Schlägertrupp“ auf irgendjemanden angesetzt“, teilt er mit. Er habe sich nur „mit polnischen Journalisten“ über den Aufenthaltsort des Mannes „ausgetauscht“ und später „aus dem Internet“ von dem Angriff erfahren.

      Dagegen steht Müllers Vortrag. Im Landhaus Adlon brüstete er sich nicht nur mit der Attacke, sondern auch damit, den reichweitenstarken Kanal „Dokumentation Linksextremismus“ auf der Plattform X zu betreiben, der geleakte Details über linke Akteure verbreitet und sie dort wie auf dem Präsentierteller preisgibt – mit Foto, Klarnamen und anderen Angaben. Wer hinter dem Kanal steht, war bisher nicht bekannt. Einige Medien scheinen ihn als Informationsquelle zu nutzen. Auf Anfrage von CORRECTIV leugnet Müller seine Rolle als Betreiber des Kanals pauschal, ohne dazu Details zu nennen.

      Sollte es zu einem Verbotsverfahren gegen die AfD kommen, könnte sich die Personalie Müller als relevant erweisen: Denn bei Verbotsverfahren kommt es nicht nur darauf an, ob eine Partei eine verfassungsfeindliche Haltung vertritt. Sondern auch darauf, ob sie versucht, diese Haltung in aggressiver, kämpferischer Weise umzusetzen.

      Müller steht beispielhaft für die enge Verstrickung der AfD mit gewaltbereiten Rechtsextremen: Der Aktivist, mehrfach vorbestraft, unter anderem wegen gefährlicher Körperverletzung, ist Mitarbeiter des Bundestagsabgeordneten Jan Wenzel Schmidt, wie seit Ende 2022 bekannt ist.

      Allein die Anwesenheit Müllers auf dem Treffen bei Potsdam wirft Fragen auf. Gegenüber CORRECTIV teilt er mit, er sei dazu eingeladen worden. Die AfD-Fraktion habe von seiner Teilnahme dort keine Kenntnis gehabt. Wie sein Arbeitgeber dies bewertet? Der AfD-Politiker Schmidt schreibt dazu auf CORRECTIV-Anfrage: „Die Freizeitaktivitäten von Mitarbeitern überwache ich nicht.“

      Beobachter und Rechtsextremismus-Expertinnen sehen die Tätigkeit Müllers im Büro des Bundestagsabgeordneten kritisch: „Mario Müller ist ein gefährlicher Neonazi, mit Verbindungen, die das ganze extrem rechte Spektrum abdecken“, sagt die Thüringer Landtagsabgeordnete Katharina König-Preuss (Linke).

      Das sei nicht das einzige Problem: „Zudem hat er Zugriff auf Informationen, an die nicht jeder kommt“, sagt sie. Er könne über parlamentarische Informationssysteme verfügen, Flurgespräche oder Inhalte aus Ausschüssen mitbekommen, Kontakte aufbauen: „Ein extrem rechter Gewalttäter bekommt darüber die Zeit, die Infrastruktur und Möglichkeiten, um seine politische Agenda zu betreiben.“

      Mit anderen Worten: Es sei gut möglich, dass er an sensible Informationen komme – und diese nutzen könne, um politische Widersacher einzuschüchtern oder anzugreifen. Dazu teilt Müller auf Nachfrage von CORRECTIV mit: Bei seiner Tätigkeit als wissenschaftlicher Mitarbeiter für Schmidt beschäftige er sich ausschließlich mit mandatsbezogener Sach- und Öffentlichkeitsarbeit.
      Ein Foto zeigt Müller mit geballter Faust auf Lesbos

      Rechtsextremismus-Fachleuten war Müller bereits lange vor dem Treffen nahe Potsdam ein Begriff: Er spielte laut Verfassungsschutz, Fachleuten und Beobachtern innerhalb der sogenannten Identitären Bewegung lange eine zentrale Rolle und schrieb als Reporter des stramm rechten Magazins Compact. Als im März 2020 mehrere Dutzend Neonazis nach Lesbos reisten, war auch Müller mit vor Ort, angeblich als Reporter. Laut Berichten sollen einige versucht haben, Boote von Geflüchteten zu behindern. Offenbar wurde die Gruppe von Antifaschisten angegriffen: Ein Foto zeigt Müller mit geballter Faust, neben einem Mann mit blutverschmierter Glatze.

      Er schätze die Identitäre Bewegung zwar nach wie vor, antwortet er auf die Frage von CORRECTIV nach seiner heutigen Funktion. An deren Aktionen beteilige er sich seit Jahren nicht mehr.

      Das Treffen im Landhaus Adlon eröffnet seltene Einblicke in das Selbstbild der Rechtsextremen. In Müllers Vortrag dreht sich den Quellen zufolge alles um den Kampf gegen den politischen Gegner: Die Antifa sei das größte Hindernis für die Rechten. Sie stehe „der patriotischen Wende“ und damit auch „dem Aufstieg der AfD“ im Weg, sagte Müller, wie es die Quellen bestätigen. Und nur deswegen könnten sich die Rechten nicht offen zum Rechtssein bekennen.

      Müller spricht von der Antifa. Aber in seinem Vortrag wird deutlich: Er hat offenbar ein sehr weit gefasstes Verständnis davon, wer seine Gegner sind. Er nennt auch Politiker, Journalisten, linke Zivilgesellschaft, Gerhard Schröders „Aufstand der Anständigen“. Antifa, so versteigt er sich Quellen zufolge, sei sogar die „Staatsdoktrin“ in Deutschland, und zudem „Handlanger der Ampelregierung”.

      Auf CORRECTIV-Anfrage schreibt er, diese Bewertung sei „substanzlos und falsch“. Er engagiere sich gegen die „linksextreme, gewalttätige Antifa.”

      In seinem Vortrag bezeichnete er die linke Szene als das „Grundproblem“ und erklärte auch, was man dagegen tun kann. Er erwähnt zum Beispiel den Angriff auf den Autonomen in Warschau namens Johannes D. im November 2021. Die Geschichte dahinter ist verworren: Gut einen Monat zuvor verbreiteten linke Websites Vergewaltigungsvorwürfe gegen D.; er wurde deswegen von mehreren deutschen Antifa-Gruppen geoutet und ausgeschlossen. Der Aktivist wollte offenbar neu anfangen und arbeitete zu der Zeit als Erzieher in einer Kita in Polen.

      „Wir haben das rausgefunden“, sagt Müller und diese Informationen „polnischen erlebnisorientierten Fußballkreisen“ übergeben. Also Hooligans. Wie Quellen bestätigen, sagte er, D. sei daraufhin auf der Straße „sehr handfest und sportlich” konfrontiert worden und habe in der Folge einen Nervenzusammenbruch erlitten.

      Mehrere AfD-Politiker sind bei dem Treffen in der Nähe von Potsdam dabei, darunter die Bundestagsabgeordnete Gerrit Huy und Roland Hartwig, der inzwischen entlassene Referent von Parteichefin Alice Weidel. Aber niemand äußert Kritik oder Unwohlsein. Im Gegenteil: Laut Quellen wird während des Vortrags gelacht – gerade während der Schilderung von Gewalt.

      Auf Anfrage will Müller davon jetzt nichts wissen. Er wirft CORRECTIV vor, „falsch informiert“ zu sein oder bewusst zu verzerren: In seinem Vortrag habe er ausgeführt, dass D. nach eigener Aussage vor Gericht zum Kronzeugen wurde, „nachdem seine Anwesenheit in Polen bekannt geworden war.“ Dazu habe die Berichterstattung polnischer Journalisten beigetragen, mit denen er in Verbindung stand. Dass er den Angriff auf D. organisiert oder herbeigeführt habe, weist er vehement zurück.
      Der Kronzeuge wurde nach eigener Aussage in Polen von Neonazis drangsaliert

      Es steht dieser Tage vieles auf dem Spiel für die AfD. Was Müller laut Quellen in dem Vortrag sagte, war brisant, und zwar nicht nur wegen des Bekenntnisses zur Gewalt, das er nun bestreitet. Denn Johannes D. ist nicht irgendwer: Als Kronzeuge sollte er einige Monate nach dem Angriff auf ihn im Verfahren gegen die linksextreme Gruppe um Lina E. eine Schlüsselrolle spielen – den Angeklagten werden die Bildung einer kriminellen Vereinigung und Angriffe auf Rechtsextreme vorgeworfen.

      Auf dem Treffen nahe Potsdam stellte Müller es so dar, als hätten er und seine Mitstreiter dafür gesorgt, dass D. aussagt. Ohne seine „Outing-Aktivitäten“ wäre der Kronzeuge „natürlich immer noch Kindergärtner in Warschau”, behauptete er laut Quellen vor den Zuhörern. Allerdings wirkt es so, als habe er dabei seine Rolle übertrieben: Nach Johannes D.s eigenen Aussagen im Thüringer Untersuchungsausschuss gaben eher persönliche Gründe und seine Ächtung in der linken Szene den Ausschlag.

      Prüfen lassen sich die Vorfälle nur teilweise: Auf einem rechten Profil auf der Plattform X gibt es ein Video, datiert auf den 13. November 2021. Angeblich dokumentiert es den Angriff auf Johannes D. Zu sehen ist, wie eine Person wegrennt, gejagt von mehreren Männern. Das Material lässt nach Videoanalyse von CORRECTIV keine eindeutigen Rückschlüsse zu: Die Bildqualität ist zu schlecht, um D. eindeutig identifizieren zu können.

      Nur der Aufnahmeort lässt sich ermitteln: Das Video entstand vor einem Supermarkt in Warschau, an der Straßenecke Jerozolimskie und Krucza. Ringsum sind mehrere Menschen zu sehen, offenbar bei einer Demonstration. Nach Recherchen von CORRECTIV handelt es sich um den Nationalfeiertag in Polen. Das passt zur Berichterstattung über einen Protest von Rechtsextremen am 11.November 2021 in Warschau, also zwei Tage, bevor das Video hochgeladen wurde. Johannes D. soll an dem Tag an einer Gegendemonstration teilgenommen haben. Er selbst hat selbst mehrfach ausgesagt, dass er in Warschau von Neonazis drangsaliert wurde, vor Gericht und im Untersuchungsausschuss im Thüringer Landtag. Nachfragen kann man bei D. nicht; er ist in einem Zeugenschutzprogramm. Belege für seine Aussagen liegen CORRECTIV aber vor.

      Ob Müller den Angriff herbeigeführt hat, ist damit aber nicht gesagt: Er selbst behauptete das in seinem Vortrag und dementiert später per Mail auf CORRECTIV-Anfrage. Fest steht nur: Der Rechtsextreme hatte Informationen über den Linksautonomen. Und er ist international vernetzt.
      Vom niedersächsischen Neonazi-Milieu in die Identitäre Bewegung

      Müller ist 35 Jahre alt, stammt aus dem niedersächsischen Neonazi-Milieu und war unter anderem bei den „Jungen Nationaldemokraten“ aktiv, der damaligen NPD- Jugendorganisation. 2013 wurde er in Delmenhorst wegen gefährlicher Körperverletzung verurteilt. Laut Lokalpresse soll er einen Jugendlichen mit einem Totschläger angegriffen und schwer verletzt haben – einem 200 Gramm schweren Stück Metall in einer Socke.

      Aus Behörden in Niedersachsen heißt es, damals seien in der Gegend häufiger rechte und linke Aktivisten aneinandergeraten, es gab Schlägereien und Sachbeschädigungen. Müller sei mehrfach auffällig geworden, dann aber weggezogen; die Scharmützel in den Straßen seien in derselben Zeit abgeklungen.

      Einige Jahre später tauchte Müller in Halle wieder auf, studierte Politik und Geschichte – und galt als führender Kopf der identitären Gruppe „Kontrakultur“ und Mitorganisator eines Hausprojekt der Identitären, das zwischen 2017 und 2019 als örtlicher Dreh- und Angelpunkt der rechtsextremen Bewegung diente.

      Müller sei damals in der Stadt sehr präsent gewesen, sagt Torsten Hahnel, Mitarbeiter der Arbeitsstelle Rechtsextremismus beim Verein „Miteinander.“ in Halle: „Es war klar, dass er einer der Hauptakteure war und in der Strukturentwicklung der Neuen Rechten eine wichtige Rolle spielte.“

      Seit Jahren agiert Müller auch international, kreuzte bei einer Kampagne der Identitären gegen Seenotretter auf einem Schiff im Mittelmeer, reiste nach Syrien und posierte mit dem rechtsextremen ukrainische Asow-Bataillon, all das ist mit Fotos dokumentiert. „Müller ist wie ein Handlungsreisender für die extreme Rechte“, so Hahnels Einschätzung, „er scheint sich als wichtigen Akteur der internationalen Vernetzung zu sehen.“
      Müller hält beim Geheimtreffen einen Vortrag über den Kampf gegen die linke Szene

      Bei seinem Vortrag Ende November, zwischen AfD-Politikern, Mitgliedern der Werteunion und privaten Unterstützern, spricht Müller offen von seiner Strategie; er glaubt sich unter Gleichgesinnten: Die linke Szene soll ausgeschaltet werden – vor allem mit Recherchen und gezielt verbreiteten Informationen.

      Es ist unklar, ob Müller tatsächlich den X-Kanal „Dokumentation Linksextremismus“ verantwortet, wie er in dem Vortrag behauptete. Der Account kommt dem, was er in seinem Vortrag beschreibt, jedenfalls recht nahe: Dort tauchen nicht nur mutmaßliche Gewalttäter aus dem Antifa-Milieu auf, sondern auch Journalisten, ein Mitarbeiter der Amadeu-Antonio-Stiftung oder Politiker der SPD oder Grünen.

      Die Thüringer Linken-Abgeordnete König-Preuss kennt den Kanal; sie war dort schon Thema. In Bezug auf Müllers angebliche Rolle als Betreiber sagt sie: „Damit ließe sich erklären, wofür er seine Arbeitszeit nutzt.“ Auf dem Account werde Stimmung gemacht, um Personen in den Fokus der rechten Szene zu rücken, so ihr Eindruck. Das Profil diene als „eine Kampagnenplattform um Leute zu diffamieren, die sich gegen Rechtsextremismus stark machen.“

      Müller gibt bei diesem Treffen preis, er betreibe den Kanal gemeinsam mit dem IT-Marketing-Fachmann Dorian Schubert – der ist ebenfalls langjähriger Neonazi, war mit Müller beteiligt an Hausprojekt in Halle und stand auch mit ihm gemeinsam vor Gericht: Nach dem Angriffs auf einen Zivilpolizisten im November 2017 waren beiden wegen gefährlicher Körperverletzung angeklagt.: Müller hatte sich offenbar mit Schutzhelm, Stock und Pfefferspray gewappnet, Schubert soll Sturmmaske und Baseballschläger getragen haben. Schubert wurde freigesprochen, Müller zu sechs Monaten auf Bewährung verurteilt; das Urteil liegt CORRECTIV vor.

      CORRECTIV hat eine Bitte um Stellungnahme an Schuberts Anwalt geschickt. Die Anfrage blieb bis Redaktionsschluss unbeantwortet.

      Müller teilt dazu auf Anfrage mit, er empfinde die Verurteilungen „als Unrecht.“ Er habe „in Notwehr“ gegen „Angriffe von Linksextremisten“ gehandelt, die ihn und sein Wohnhaus zuvor attackiert hätten. Tatsächlich seien er und sein Mitbewohner dann mit Zivilpolizisten zusammengestoßen, die sich nicht zu erkennen gegeben hätten.

      Die Identitäre Bewegung steht auf der Unvereinbarkeitsliste der AfD. Das wäre bei Müller eigentlich ein Ausschlusskriterium für Tätigkeiten innerhalb der Partei. Der Abgeordnete Jan Wenzel Schmidt stört sich daran offenbar nicht. Wie er CORRECTIV mitteilt, sei er sehr zufrieden mit seinem Mitarbeiters: „Herr Müller hat ein abgeschlossenes Studium und wäre somit vermutlich bei den Grünen überqualifiziert“, schreibt er: „Deshalb habe ich ihm eine Chance gegeben.“

      Für Schmidt dürfte die Personalie durchaus politische Vorteile bringen, meint ein Insider aus der AfD-Fraktion: „Ein Großteil der Gelder, die Abgeordnete für Mitarbeiter haben, werden nicht ausschließlich dafür ausgegeben, damit die Leute Bundestagsarbeit machen.“

      Vielmehr kauften sich manche Parlamentarier über ihre Mitarbeiter quasi Rückhalt in bestimmten für ihre Partei relevanten Kreisen oder Organisationen. „Dann beschäftigen Sie Leute, die Ihnen Stimmen organisieren oder medial oder im Vorfeld Unterstützung sichern.“ Er vermutet, dass Müller in diese Kategorie falle.

      Müller weist diesen Eindruck auf Anfrage zurück.
      Sorgen im Bundestag: „Man guckt schon, mit wem man im Aufzug steht“

      Als Rechtsextremer im Dienst für einen AfD-Politiker stellt Müller keine Ausnahme dar: Im Juli 2023 wurde bekannt, dass der ehemalige Neonazi Benedikt Kaiser beim AfD-Abgeordneten Jürgen Pohl als wissenschaftlicher Mitarbeiter beschäftigt ist.

      Aus Sicht von Politikern und Politikerinnen anderer Parteien ist das ein Sicherheitsproblem: „Wir finden das schwierig, weil die Mitarbeiter hier bis vor Kurzem ohne Sicherheitscheck rein und raus konnten und jetzt nur sporadisch kontrolliert werden“, sagt die Linke Bundestagsabgeordnete Martina Renner. Bei 7.000 Mitarbeitern der Abgeordneten und Fraktionen könne sie bei Weitem nicht jeden auf Anhieb zuordnen. Aber generell empfinde sie die Situation als unangenehm, sagt sie: „Man guckt schon, mit wem man im Fahrstuhl steht.“

      Aus Sicht Renners teilten sich die Teilnehmenden bei dem Geheimtreffen in Potsdam in drei Gruppen: „Strategen, Finanziers, Vollstrecker.“ Müller, sagt sie, würde sie zu den Vollstreckern zählen.

      Müller teilt dazu mit, von ihm gehe für niemanden im Bundestag oder anderswo ein Risiko aus: „Die Gewalt lehne ich aus Überzeugung ab.“

      Zurück ins „Landhaus Adlon“. Die Gespräche kreisten auf der Tagung um einen zentralen Punkt: Die Vertreibung von Menschen mit aus völkischer Sicht falscher Hautfarbe, falscher Herkunft, falscher politischer Einstellung. Das ist es, was Rechtsradikale mit dem Begriff „Remigration“ meinen – sie wollen entscheiden, wer sich in Deutschland wohl und sicher fühlen darf.

      Müller spricht nicht direkt über dieses Thema. Bei ihm geht es um die Frage, wie die extreme Rechte zur tonangebenden Macht in Deutschland werden kann. Er behauptete, mit dem X-Kanal „Dokumentation Linksextremismus“ füttere er Medien mit Informationen, setze „Narrative“ und arbeite zum Teil eng mit Journalisten, wie er sagt: „Die Antifa muss mit „Gewalt und Terror in Verbindung gebracht werden.“

      An diesem Ziel arbeite er – und dafür möchte er Geld, zunächst gleich, als Spende von den Teilnehmern. Und künftig auch offiziell: Er sehe vor allem „die Politik“ in der Pflicht, in den Parlamenten auf Landes- und Bundesebene „Recherchestellen“ zu schaffen. Mit „finanzieller Unterstützung könne er noch mehr Kraft in seine „wichtige Arbeit“ stecken, sagte er laut Quellen, und „das Projekt weiter professionalisieren.“

      Bei dem Treffen inszeniert er sich als umtriebiger Antifa-Jäger. Im Nachgang, auf Anfrage von CORRECTIV, weist er all das schriftlich zurück. Nach Angaben von Quellen sprach er dagegen in seinem Vortrag lange und stolz über seine Recherchen, die er und sein Mitstreiter auf dem Kanal präsentierten.

      Knapp 14.000 Nutzer folgen dem X-Account. Nach Einschätzung von Fachleuten sticht der Kanal durchaus hervor: „Immer wieder scheint der Account exklusive Informationen zu haben, beispielsweise Namen, Fotos, Tatvorwürfe“, sagt der Rechtsextremismus-Experte Sebastian Wehrhahn. Ob diese von der Polizei, der Staatsanwaltschaft oder Verfahrensbeteiligten stammen, lasse sich nicht sagen. „Mein Eindruck ist, dass die Betreiber einigermaßen gut vernetzt sind und in der Lage, Informationen zu verknüpfen und zuzuspitzen.“ Für solche Recherchen brauche es Kontakte und vor allem viel Zeit. Er fragt sich: „Wenn Müller dahinter steckt, wurde er als Mitarbeiter von Schmidt vielleicht genau dafür angestellt?“

      Müller behauptete, Behörden zählten zu seinen Informationsquellen. Auch pflege er enge Beziehungen zu einigen Journalisten; mehrere Medien „schrieben“ bei ihm „ab“.

      In einem Fall scheint es, als ließe sich ein Informationsfluss nachzeichnen: Am 18. Oktober 2023 verbreitete der Account ein Dokument der Staatsanwaltschaft Dessau. Daraus geht hervor, dass gegen die Linksextremistin Lina E. auch wegen versuchten Mordes ermittelt wird. Zwei Tage später berichteten Bild, Leipziger Volkszeitung und MDR über die Vorwürfe – unter Berufung auf dieses Dokument. Die Leipziger Volkszeitung nennt den Account „Dokumentation Linksextremismus“ ausdrücklich als Quelle. Im Bericht des MDR ist die Rede von einem Brief, der „im sozialen Netzwerk X, vormals Twitter“ kursiere. Ein Scoop für Müller, mit dem er sich auch auf dem Treffen der Rechtsextremen Ende November brüstete – für ihn zeigt der Fall, dass seine Strategie aufgeht.

      https://correctiv.org/aktuelles/neue-rechte/2024/01/17/geheimtreffen-in-potsdam-afd-mitarbeiter-bruestet-sich-mit-gewalt

      #Mario_Müller

    • Einblick hinter die Recherche | CORRECTIV

      Von diesem Treffen sollte niemand erfahren: Hochrangige AfD-Politiker, Neonazis und finanzstarke Unternehmer kamen im November in einem Hotel bei Potsdam zusammen. Sie planten nichts Geringeres als die Vertreibung von Millionen von Menschen aus Deutschland.

      Seit der Veröffentlichung der Geheimplan-Recherche ist vieles in Bewegung gekommen. Dieser Film erzählt, wie es überhaupt zur Recherche kam und wie die Reporter vorgegangen sind.

      https://www.youtube.com/watch?v=c9gNQOFZHSI