• I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

    #Maroc #migrations #criminalisation_de_la_migration #justice (well...) #procès #dissuasion #Melilla #24_juin_2022 #trafiquants_d'êtres_humains #répression #répression_judiciaire #externalisation

  • Mort de #Nahel : « Ils sont rattrapés par le réel »

    #Ali_Rabeh, maire de #Trappes, et #Amal_Bentounsi, fondatrice du collectif Urgence, notre police assassine, reviennent dans « À l’air libre » sur la mort de Nahel, 17 ans, tué par un policier à Nanterre, et les révoltes qui ont suivi dans de nombreuses villes de France.

    https://www.youtube.com/watch?v=euw03owAwU8&embeds_widget_referrer=https%3A%2F%2Fwww.mediapart.fr%2

    https://www.mediapart.fr/journal/france/290623/mort-de-nahel-ils-sont-rattrapes-par-le-reel
    #violences_policières #banlieues #quartiers_populaires #naïveté

    • « #Emmanuel_Macron ne comprend rien aux banlieues »

      Ali Rabeh, maire de Trappes (Yvelines), a participé à l’Élysée à la rencontre entre le chef de l’État et quelque 200 maires, le 4 juillet, pour évoquer la révolte des quartiers populaires. Il dénonce sans langue de bois l’incapacité du Président à comprendre ce qui se joue dans les banlieues et son manque de perspectives pour l’avenir.

      Vous avez été reçu mardi 4 juillet à l’Élysée par le président de la République avec des dizaines d’autres maires. Comment ça s’est passé ?

      Ali Rabeh : Le Président a fait une introduction très courte pour mettre en scène sa volonté de nous écouter, de nous câliner à court terme, en nous disant à quel point on était formidable. Puis ça a viré à la #thérapie_de_groupe. On se serait cru aux #alcooliques_anonymes. Tout le monde était là à demander son petit bout de subvention, à se plaindre de la suppression de la taxe d’habitation, de la taille des LBD pour la police municipale ou de l’absence du droit de fouiller les coffres de voiture… Chacun a vidé son sac mais, à part ça et nous proposer l’accélération de la prise en charge par les #assurances, c’est le néant. La question primordiale pour moi n’est pas de savoir si on va pouvoir réinstaller des caméras de surveillances en urgence, ou comment réparer quelques mètres de voiries ou des bâtiments incendiés. Si c’est cela, on prend rendez-vous avec le cabinet du ministre de la Ville ou celui des Collectivités territoriales. Mais ce n’est pas du niveau présidentiel.

      Quand on parle avec le président de la nation, c’est pour cerner les #causes_structurelles du problème et fixer un cap afin d’éviter que ça ne se reproduise. Et là-dessus on n’a eu #aucune_réponse, ni #aucune_méthode. Il nous a dit qu’il avait besoin d’y réfléchir cet été. En fait, Emmanuel Macron voulait réunir une assemblée déstructurée, sans discours commun. Il a préféré ça au front commun de l’association #Ville_&_Banlieue réunissant des maires de gauche et de droite qui structurent ensemble un discours et des #revendications. Mais le Président refuse de travailler avec ces maires unis. Il préfère 200 maires en mode grand débat qui va dans tous les sens, parce que ça lui donne le beau rôle. En réalité, on affaire à des #amateurs qui improvisent. Globalement ce n’était pas à la hauteur.

      Le Président n’a donc rien évoqué, par exemple, de l’#appel_de_Grigny ou des nombreuses #propositions déjà faites par le passé sur les problématiques liées aux #banlieues et qui ne datent quand même pas d’hier ?

      Non. Il a fait du « Macron » : il a repris quelques éléments de ce qu’on racontait et il en fait un discours général. Il avait besoin d‘afficher qu’il avait les maires autour de lui, il nous a réunis en urgence pendant que les cendres sont brûlantes, ce qu’il a refusé de faire avant que ça n’explose. Et ce, malgré nos supplications. Pendant des mois, l’association Ville & Banlieue a harcelé le cabinet de Mme Borne pour que soit convoqué un Conseil interministériel des villes conformément à ce qu’avait promis le Président. Cela ne s’est jamais fait. Macron n’a pas tenu sa parole. On a eu du #mépris, de l’#arrogance et de l’#ignorance. Il n’a pas écouté les nombreuses #alertes des maires de banlieue parce qu’il pensait que nous étions des cassandres, des pleureuses qui réclament de l’argent. C’est sa vision des territoires. Elle rappelle celle qu’il a des chômeurs vus comme des gens qui ne veulent pas travailler alors qu’il suffirait de traverser la route. Emmanuel Macron n’a donc pas vu venir l’explosion. Fondamentalement, il ne comprend rien aux banlieues. Il ne comprend rien à ce qu’il s’est passé ces derniers jours.

      A-t-il au moins évoqué le #plan_Borloo qu’il a balayé d’un revers de main en 2018 ?

      Je m’attendais justement à ce qu’il annonce quelque chose de cet acabit. Il ne l’a pas fait. Il a fait un petit mea-culpa en disant qu’à l’époque du rapport Borloo, sur la forme il n’avait pas été adroit mais il affirme que la plupart des mesures sont mises en œuvre. Il prétend, tout content de lui, qu’il y a plus de milliards aujourd’hui qu’hier et que le plan Borloo est appliqué sans le dire. C’était #grotesque. J’aurais aimé qu’il nous annonce une reprise de la #méthode_Borloo : on fait travailler ensemble les centaines de maires et d’associatifs. On se donne six mois pour construire des propositions actualisées par rapport au rapport Borloo et s’imposer une méthode. Lui a dit : « J’ai besoin de l’été pour réfléchir. » Mais quelle est notre place là-dedans ?

      Dans ses prises de paroles publiques, le Président a fustigé la #responsabilité des #parents qui seraient incapables de tenir leurs enfants. Qu’en pensez-vous ?

      Qu’il faut commencer par faire respecter les mesures éducatives prescrites par les tribunaux. Pour ces mamans qui n’arrivent pas à gérer leurs enfants dont certains déconnent, les magistrats imposent des éducateurs spécialisés chargés de les accompagner dans leur #fonction_parentale. Or, ces mesures ne sont pas appliquées faute de moyens. C’est facile après de les accabler et de vouloir les taper au porte-monnaie mais commençons par mettre les moyens pour soutenir et accompagner les #familles_monoparentales en difficulté.

      Le deuxième élément avancé ce sont les #réseaux_sociaux

      C’est du niveau café du commerce. C’est ce qu’on entend au comptoir : « Faut que les parents s’occupent de leur môme, faut les taper aux allocs. Le problème ce sont les réseaux sociaux ou les jeux vidéo… » Quand on connaît la réalité c’est un peu court comme réponse. On peut choisir d’aller à la simplicité ou on peut se poser la question fondamentale des #ghettos de pauvres et de riches. Pour moi l’enjeu c’est la #mixité_sociale : comment les quartiers « politique de la ville » restent des quartiers « #politique_de_la_ville » trente ans après. Or personne ne veut vraiment l’aborder car c’est la montagne à gravir.

      Vous avez abordé cette question lors de votre intervention à l’Élysée. Comment le Président a-t-il réagi ?

      Il a semblé réceptif quand j’ai évoqué les ghettos de riches et les #maires_délinquants qui, depuis vingt-deux ans, ne respectent pas la #loi_SRU. Il a improvisé une réponse en évoquant le fait que dans le cadre des J.O, l’État prenait la main sur les permis de construire en décrétant des opérations d’intérêt national, un moyen de déroger au droit classique de l’#urbanisme. Il s’est demandé pourquoi ne pas l’envisager pour les #logements_sociaux. S’il le fait, j’applaudis des deux mains. Ça serait courageux. Mais je pense qu’il a complètement improvisé cette réponse.

      En ce moment, on assiste à une #répression_judiciaire extrêmement ferme : de nombreux jeunes sans casier judiciaire sont condamnés à des peines de prison ferme. Est-ce de nature à calmer les choses, à envoyer un message fort ?

      Non. On l’a toujours fait. À chaque émeute, on a utilisé la matraque. Pareil pour les gilets jaunes. Pensez-vous que la #colère est moins forte et que cela nous prémunit pour demain ? Pas du tout. Que les peines soient sévères pour des gens qui ont mis le feu pourquoi pas, mais ça ne retiendra le bras d’aucun émeutier dans les années qui viennent.

      Vous avez été dans les rues de Trappes pour calmer les jeunes. Qu’est-ce qui vous a marqué ?

      La rupture avec les institutions est vertigineuse. Elle va au-delà de ce que j’imaginais. J’ai vu dans les yeux des jeunes une véritable #haine de la police qui m’a glacé le sang. Certains étaient déterminés à en découdre. Un jeune homme de 16 ans m’a dit « Ce soir on va régler les comptes », comme s’il attendait ce moment depuis longtemps. Il m’a raconté des séances d’#humiliation et de #violence qu’il dit avoir subies il y a quelques mois de la part d’un équipage de police à #Trappes. Beaucoup m’ont dit : « Ça aurait pu être nous à la place de Nahel : on connaît des policiers qui auraient pu nous faire ça. » J’ai tenté de leur dire qu’il fallait laisser la justice faire son travail. Leur réponse a été sans appel : « Jamais ça ne marchera ! Il va ressortir libre comme tous ceux qui nous ont mis la misère. » Ils disent la même chose de l’#impunité des politiques comme Nicolas Sarkozy qui, pour eux, n’ira jamais en prison malgré ses nombreuses condamnations. Qui peut leur donner tort ?

      Il se développe aussi un discours politique extrêmement virulent sur le lien de ces #violences_urbaines avec les origines supposément immigrées des jeunes émeutiers. Qu’en pensez-vous ?

      Quand Robert Ménard a frontalement dit, dans cette réunion des maires, que le problème provenait de l’#immigration, le président de la République n’a pas tiqué. Une partie de la salle, principalement des maires LR, a même applaudi des deux mains. Il y a un #glissement_identitaire très inquiétant. Culturellement, l’extrême droite a contaminé la droite qui se lâche désormais sur ces sujets. Ces situations demandent de raisonner pour aller chercher les causes réelles et profondes du malaise comme l’absence d’#équité, la concentration d’#inégalités, d’#injustices, de #frustrations et d’#échecs. C’est beaucoup plus simple de s’intéresser à la pigmentation de la peau ou d’expliquer que ce sont des musulmans ou des Africains violents par nature ou mal élevés.

      Comment ces discours sont-ils perçus par les habitants de Trappes ?

      Comme la confirmation de ce qu’ils pensent déjà : la société française les déteste. Dans les médias, matin, midi et soir, ils subissent continuellement des #discours_haineux et stigmatisant de gens comme Éric Zemmour, Marine le Pen, Éric Ciotti, etc. qui insultent leurs parents et eux-mêmes au regard de leur couleur de peau, leur religion ou leur statut de jeune de banlieue. Ils ont le sentiment d’être les #rebuts_de_la_nation. Quotidiennement, ils ont aussi affaire à une #police qui malheureusement contient en son sein des éléments racistes qui l’expriment sur la voie publique dans l’exercice de leur métier. Ça infuse. Les jeunes ne sont pas surpris de l’interprétation qui est faite des émeutes. En réalité ils l’écoutent très peu, parce qu’ils ont l’habitude d’être insultés.

      D’après vous, que faut-il faire dans l’#urgence ?

      Il faut arrêter de réfléchir dans l’urgence. Il faut s’engager sur une politique qui change les choses sur dix à quinze ans. C’est possible. On peut desserrer l’étau qui pèse sur les quartiers en construisant des logements sociaux dans les villes qui en ont moins. Moi, je ne demande pas plus de subventions. Je veux que dans quinze à vingt ans, on me retire les subventions « politique de la ville » parce que je n’en aurai plus besoin. C’est l’ambition qu’on doit porter.

      Et sur le court terme ?

      Il faut envoyer des signaux. Revenir sur la loi 2017 car cela protégera les policiers qui arrêteront de faire usage de leurs armes à tort et à travers, s’exposant ainsi à des plaintes pour homicide volontaire, et cela protégera les jeunes qui n’auront plus peur de se faire tirer comme des lapins. Il faut aussi engager un grand #dialogue entre la police et les jeunes. On l’a amorcé à Trappes avec le commissaire et ça produit des résultats. Le commissaire a fait l’effort de venir écouter des jeunes hermétiquement hostiles à la police, tout en rappelant le cadre et la règle, la logique des forces de l’ordre. C’était très riche. Quelques semaines plus tard le commissaire m’a dit que ses équipes avaient réussi une intervention dans le quartier parce que ces jeunes ont calmé le jeu en disant « on le connaît, il nous respecte ». Il faut lancer un #cercle_vertueux de #dialogue_police-population, et #jeunesse en particulier, dans les mois qui viennent. La police doit reprendre l’habitude de parler avec sa population et être acceptée par elle. Mettons la police autour de la table avec les jeunes, les parents du quartier, des éducateurs, les élus locaux pour parler paisiblement du ressenti des uns et des autres. Il peut y avoir des signaux constructifs de cet ordre-là. Or là on est dans la culpabilisation des parents. Ça ne va pas dans le bon sens.

      https://www.politis.fr/articles/2023/07/emmanuel-macron-ne-comprend-rien-aux-banlieues
      #Macron #ignorance

    • Entre Emmanuel Macron et les banlieues, le #rendez-vous_manqué

      En 2017, le volontarisme du chef de l’Etat avait fait naître des #espoirs dans les #quartiers_populaires. Malgré la relance de la #rénovation_urbaine, le rejet du plan Borloo comme son discours sur le #séparatisme l’ont peu à peu coupé des habitants.

      Il n’y a « pas de solution miracle ». Surtout pas « avec plus d’argent », a prévenu le chef de l’Etat devant quelque 250 maires réunis à l’Elysée, mardi 4 juillet, sur l’air du « trop, c’est trop » : « La santé est gratuite, l’école est gratuite, et on a parfois le sentiment que ce n’est jamais assez. » Dans la crise des violences urbaines qui a meurtri 500 villes, après la mort du jeune Nahel M. tué par un policier, le président de la République a durci le ton, allant jusqu’à rappeler à l’ordre des parents. Une méthode résumée hâtivement la veille par le préfet de l’Hérault, Hugues Moutouh, sur France Bleu : « C’est deux claques, et au lit ! »

      L’urgence politique, dit-on dans le camp présidentiel, est de rassurer une opinion publique encore sous le choc des destructions et des pillages. « Une écrasante majorité de Français se raidit, avec une demande d’autorité forte, confirme Brice Teinturier, directeur général délégué d’Ipsos. Déjà sous Sarkozy, l’idée dominait qu’on en faisait trop pour les banlieues. Les dégradations réactivent cette opinion. Emmanuel Macron est sur une crête difficile à tenir. »

      Ce raidissement intervient sur fond de #fracture territoriale et politique. « L’opposition entre la France des quartiers et celle des campagnes nous revient en pleine figure. Si on met encore de l’argent, on accentuera la fracture », pense Saïd Ahamada, ex-député de la majorité à Marseille. « Les gens en ont ras le bol, ils ne peuvent plus entendre que ces quartiers sont abandonnés », abonde Arnaud Robinet, maire de Reims, qui abrite sept #quartiers_prioritaires_de_la_politique_de_la_ville (#QPV), et membre du parti d’Edouard Philippe.

      (#paywall)

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/07/06/entre-emmanuel-macron-et-les-banlieues-le-rendez-vous-manque_6180759_823448.

  • Sainte-Soline : +6 : le parquet de Niort s’en prend aux organisateurs de la manif du 25 mars | Mediapart | 28.06.23

    https://www.mediapart.fr/journal/france/280623/sainte-soline-le-parquet-de-niort-s-en-prend-aux-organisateurs-de-la-manif

    Six personnes ont été placées en garde à vue, mercredi, accusées d’avoir organisé une manifestation interdite. Parmi eux, des porte-parole des Soulèvements de la terre et de Bassines non merci, mais aussi deux responsables de la Confédération paysanne. Deux autres syndicalistes étaient convoqués en audition libre.

    suite du déroulé de la #repression_judiciaire de #Sainte-Soline

    Les opérations policières contre la mouvance écologiste se sont poursuivies, mercredi, sous la direction du parquet de Niort (Deux-Sèvres), visant cette fois les organisateurs de la manifestation du 25 mars à Sainte-Soline. Le procureur de Niort, Julien Wattebled, a élargi pour la première fois le champ des « suspects » aux dirigeants syndicaux de la Confédération paysanne. L’ancien porte-parole national de la « Conf », Nicolas Girod, et son porte-parole dans les Deux-Sèvres, Benoît Jaunet, ont été placés en garde à vue, le premier à Dole (Jura), le second à Niort, pour « l’organisation d’une manifestation interdite ».

    David Bodin, secrétaire de l’Union départementale CGT des Deux-Sèvres, et Hervé Auguin, codélégué de Solidaires 79 ont été entendus eux aussi sous le régime de l’audition libre à la gendarmerie de Saint-Maixent-l’École.

    Le parquet de Niort a fait savoir que ces interrogatoires étaient conduits dans le cadre « des enquêtes, confiées à la section de recherches de Poitiers, concernant les infractions pénales commises à l’occasion de ces manifestations ».

    Trois militants des Soulèvements de la terre, officiellement dissous, le 21 juin, dont ses deux porte-parole, Basile Dutertre et Benoît Feuillu, ont été conduits dans des lieux d’interrogatoire différents, suivis par des fourgons d’escorte. Les militants ont tous été remis en liberté, mercredi soir. Plusieurs d’entre eux se sont vu remettre une convocation par officier judiciaire (COPJ) à comparaître ultérieurement. À l’issue de la journée de garde à vue, les deux responsables de la « Conf » ont aussi reçu une convocation au tribunal correctionnel le 8 septembre prochain, pour répondre de « l’organisation d’une manifestation interdite sur la voie publique ».

    #Sainte-Soline #Sainte_Soline
    #SLT #Soulèvements_de_la_terre
    #BNM #Bassines_Non_Merci
    #confederation_paysane
    #repression #criminalisation

  • Créativité judiciaire : cinq syndicalistes CFDT poursuivis pour des pochoirs au sol contre la réforme des retraites

    https://www.mediapart.fr/journal/france/080623/cinq-syndicalistes-cfdt-poursuivis-pour-des-pochoirs-au-sol-contre-la-refo

    Des élus du personnel de l’usine Airbus Atlantic d’Albert (Somme) étaient jugés le 8 juin à Amiens pour avoir bombé « #Stop64 » sur la chaussée le 7 mars, pendant une manifestation. Ils dénoncent une atteinte à la liberté d’expression. Le procureur a requis 500 euros d’amende pour chacun.

    #repression_judiciaire_de_dingue
    #foutage_de_gueule
    #judiciarisation

  • Dijon : des amendes (sur la base de vidéosurveillance) pour des casserolades - Contre Attaque
    https://contre-attaque.net/2023/05/26/dijon-des-amendes-sur-la-base-de-videosurveillance-pour-des-casserol

    À Dijon, plusieurs personnes ont reçu des amendes de 68 euros pour « émission de bruit portant atteinte à la tranquillité du voisinage ou à la santé de l’homme ». En cas de non paiement dans les 45 jours, le montant passe même à 145€ ! Il s’agit de verbalisations suite à une manifestation qui a eu lieu le 7 mai derniers lors d’un anniversaire de la Cité de la Gastronomie, en présence de députés macronistes. Les explosions de grenades de la police, elles, ne semblent pas porter atteinte à la tranquillité…

    Le syndicat Solidaires explique que ces amendes ont été réalisées sur la base d’images de vidéosurveillance, puisque les personnes qui les reçoivent n’ont pas fait l’objet d’interpellation ni de contrôle au moment de la manifestation. D’ailleurs, d’autres participants à différentes casserolades organisées à Dijon commencent à recevoir des amendes.

    Il s’agit d’une atteinte évidente au droit de manifester. Une sorte de racket pour taxer les contestataires, dans un contexte de grande précarité et après un mouvement social qui a déjà coûté de nombreux jours de salaires aux grévistes. Cette mesure d’intimidation est vicieuse : qui peut prendre le risque de perdre des dizaines d’euros à chaque manif un peu bruyante ?

    Cela suppose que des policiers aient reçu la consigner de visionner attentivement les images de vidéosurveillance en quête de frappeurs de casseroles à verbaliser. Et qu’ils disposent déjà d’un fichier de personnes militantes, afin de pouvoir les reconnaître sur les bandes. Une pratique probablement illégale, car une contravention implique un contrôle direct par un agent assermenté, excepté pour les infractions routières.

  • Tir de LBD : une femme estimée partiellement responsable de sa blessure par la justice
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/05/03/tir-de-lbd-une-femme-estimee-partiellement-responsable-de-sa-blessure-par-la

    Egarée avec sa fille dans une ville qu’elle ne connaissait pas, pressant le pas à la vue des fumées, Sophie Lacaille s’est retrouvée non loin de la place Pey-Berland, devant l’hôtel de ville, où de nombreux débordements violents ont eu lieu. La quinquagénaire se souvient d’un « bruit de pas très forts sur le bitume », puis d’une « douleur fulgurante à la nuque ». Elle s’est évanouie dans les bras de sa fille. Un pompier volontaire lui a porté secours, avant qu’elle ne soit évacuée vers les urgences.

    […]

    Cette dernière a estimé que la responsabilité de l’Etat était bien engagée. Mais dans son délibéré, rendu le 23 février, le tribunal administratif de Bordeaux pose le principe d’un partage de cette responsabilité. « Elle s’est maintenue à proximité des attroupements alors même qu’elle constatait une montée en puissance de la violence dans la ville et ne pouvait ignorer les graves incidents intervenus au cours des semaines précédentes à l’occasion de manifestations de “gilets jaunes” », justifient les juges. Pour eux, Sophie Lacaille a commis « une imprudence fautive » et « cette faute est de nature à exonérer partiellement l’Etat de sa responsabilité à hauteur de 25 % ».

  • VIDEO. Julien Le Guet, porte-parole des anti-bassines, placé en garde à vue à la gendarmerie de Niort.
    Le Courrier de l’Ouest Julien RENON Publié le 17/03/2023
    https://www.ouest-france.fr/nouvelle-aquitaine/niort-79000/video-julien-le-guet-porte-parole-des-anti-bassines-place-en-garde-a-vu
    https://media.ouest-france.fr/v1/pictures/MjAyMzAzZWE3MTNlMjc3M2QwNmU0YTk5YTIxMDRlZmExMjk3Y2Y?width=1260&he

    C’est sous les cris de « No bassaran ! » ​lancés par une centaine de militants que Julien Le Guet, revêtu d’un bleu de travail, a poussé la grille de la gendarmerie de Niort ce vendredi 17 mars, à 9 heures. Le poing levé vers son bruyant comité de soutien, le porte-parole de « Bassines non merci ! » ​s’est engouffré sous le porche de la caserne pour répondre aux questions des militaires sur sa présence à la manifestation interdite de Sainte-Soline, les 28 et 29 octobre 2022. Sur sa convocation figuraient deux motifs : « Participation à un groupement formé en vue de la préparation de violences contre les personnes ou de destructions ou de dégradations de biens » ​et ​« Dégradation ou détérioration du bien d’autrui commise en réunion ». Après une heure d’audtion, ce dernier a été placé en garde à vue.

    #mégabassines #Bassines #no_bassaran #méga-bassines

  • La Coordination des collectifs de solidarité avec #Pınar_Selek 2000 - 2021

    2000 ........ 2020 ........
    Chère Pınar,
    Il y 20 ans, tu sortais enfin de prison, après deux ans d’enfermement et de tortures.
    20 ans plus tard, la géopolitique de la Turquie est bouleversée...
    Mais ton procès et les menaces contre toi continuent.
    Toi, tu continues tes luttes, comme tu l’avais promis en sortant de prison.
    Nous, nous continuons à tes cotés.
    Merci à toutes les personnalités qui ont accepté de joindre leur voix à la nôtre dans ce film pour te le dire.

    La Coordination des collectifs de solidarité avec Pınar Selek.

    https://www.youtube.com/watch?v=U24A7FiPxAc


    #Pinar_Selek #procès #droit_à_la_vie #torture #Turquie #prison #emprisonnement #lutte #témoignage #solidarité #solidarité_internationale #justice (!) #résistance #haine #arbitraire #arbitraire_du_pouvoir #répression_judiciaire #expliquer_c'est_excuser #terrorisme #Etat_de_droit #minorités #kurdes #islamisme #déradicalisation #évangélisation_de_l'islamisme #AKP #armée #processus_du_28_février #re-radicalisation #complotisme #conspirationnisme #nationalisme_turc #étatisation #Erdogan #stock_cognitif #amis_de_2071 #ennemis_de_2071 #2071 #pétitions #espoir
    #film #film_documentaire

    ping @isskein @cede @karine4

    • Pinar Selek et la faillite de l’état de droit en Turquie

      Plus de vingt ans ont passé depuis sa sortie de prison. Pinar Selek, toujours menacée d’une condamnation à perpétuité par le pouvoir turc, poursuit ses luttes en France et en Europe. Un film témoigne aujourd’hui des multiples combats de l’écrivaine et sociologue. L’histoire de Pinar Selek est devenue une part de l’Histoire de la Turquie. Et de la nôtre.

      La Coordination des collectifs de solidarité avec Pinar Selek (https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/160917/la-coordination-des-collectifs-de-solidarite-avec-pinar-selek-est-ne) diffuse un petit film sur l’écrivaine et sociologue. Ce film est important. Ute Müller en est la réalisatrice. Le film s’ouvre par les phrases fortes de l’écrivaine et journaliste Karin Karakasli : « Vous ne pouvez pas vous empêcher de répéter le nom de la personne que vous aimez comme un mantra », dit-elle. L’amie de Pinar la nomme ainsi : « la personne qui est mon honneur, ma fierté et mon bonheur ». Elle définit le procès de Pinar Selek de manière cinglante et précise : « Une violation du droit à la vie, un meurtre légal et une torture psychologique ». Tout est dit par la bouche de Karin Karakasli, qui prend soin de rappeler les faits de cette persécution invraisemblable.

      L’économiste et politologue Ahmet Insel souligne ensuite à quel point l’histoire de Pinar Selek est exemplaire de « l’arbitraire du pouvoir exercé par une répression judiciaire » et de « la faillite de d’état de droit en Turquie ». S’il rappelle que Pinar a été condamnée au moyen de preuves totalement inventées, c’est aussi pour observer une évolution de la répression politique en Turquie : le pouvoir accuse désormais ses opposants de terrorisme et les enferme sans avoir besoin de la moindre preuve. Suivent cinq autres témoignages et analyses, qu’il faut écouter attentivement, tous aussi importants les uns que les autres : celui de Umit Metin, Coordinateur général de l’ACORT (Assemblée Citoyenne des Originaires de Turquie), ceux de l’historien Hamit Bozarslan et du juriste Yériché Gorizian, celui de la journaliste Naz Oke et enfin les propos de Stéphanie, membre du Collectif de solidarité de la ville de Lyon.

      Parmi tous ces témoignages, il y a une phrase de Karin Karakasli qui résonne très fort et restera dans nos mémoires : « Vivre dans une Turquie où Pinar ne peut revenir, ne diffère pas d’une condamnation à vivre dans une prison en plein air ». Il faut en finir avec les prisons de pierre et les prisons en plein air. Pinar Selek, qui tient un blog sur Mediapart, invente des cerfs-volants qui traversent les frontières. Un jour les membres de ses collectifs de solidarité feront avec elle le voyage jusqu’à La Maison du Bosphore, où ils retrouveront Rafi, le joueur de Doudouk, cet instrument qui symbolise dans le roman de l’écrivaine la fraternité entre les kurdes, les arméniens et les turcs.

      Pascal Maillard,

      Membre de la Coordination des collectifs de solidarité

      https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/270421/pinar-selek-et-la-faillite-de-letat-de-droit-en-turquie

  • Bâillonner les #quartiers. Comment le #pouvoir réprime les #mobilisations populaires

    Pourquoi les quartiers populaires ne se révoltent-ils pas plus souvent ? Alors qu’ils sont ravagés depuis des décennies par un #urbanisme au rabais, le #chômage de masse et les #humiliations policières, #Julien_Talpin explore les raisons pour lesquelles ces quartiers peinent à asseoir leurs intérêts. Il montre que les entraves aux mobilisations collectives tiennent moins à ce qui serait l’apathie fataliste des habitants qu’aux multiples tactiques répressives déployées par les #pouvoirs_publics.
    Les différents chapitres décortiquent les logiques disciplinaires qui, sans avoir même besoin d’être coordonnées, garantissent le maintien du #statu_quo. À l’arrière-plan de la #répression_policière et judiciaire, se déploient quotidiennement le #chantage clientélaire aux subventions, la #disqualification islamophobe des opposants ou les piqures anesthésiantes de la #démocratie_participative.
    En documentant la manière dont cette #répression à bas bruit traverse les mobilisations contemporaines, ce livre en dégage la dimension systémique. Il place sous les projecteurs cette trappe à révolte qui fabrique la #domestication_politique, encourage l’#autocensure_collective et suscite la #résignation_individuelle. En livrant les recettes de l’adversaire, il veut contribuer au long chemin des luttes autonomes pour l’#égalité.

    https://lesetaques.org/2020/01/29/baillonner-les-quartiers
    #livre #quartiers_populaires #résistance #révoltes #répression_judiciaire #Julien_Talpin

    ping @cede @karine4

  • Maintien de l’ordre et violences policières : ce que l’histoire nous apprend
    http://theconversation.com/maintien-de-lordre-et-violences-policieres-ce-que-lhistoire-nous-ap

    Les manifestations des gilets jaunes de ces dernières semaines ont soulevé à nouveau la question des violences policières et d’un usage accru de la violence par les forces de l’ordre, une question déjà posée en 2016 à l’occasion du mouvement contre la « loi travail ». On voudrait apporter un éclairage historique sur ce phénomène supposé de « retour » de la violence. Il ne s’agit pas de relativiser les agissements policiers, mais d’inscrire les événements dans l’évolution du maintien de l’ordre en France.
    Calmer le « citoyen momentanément en colère »

    Le maintien de l’ordre repose en France depuis longtemps sur des unités spécialisées : les gendarmes mobiles, apparus en 1921, complétés par les CRS, à partir de 1944, avec le recours à certaines périodes à des unités non permanentes comme les compagnies d’intervention de la Préfecture de Police à Paris dans les années 1950-1960.

    A l’origine de ces forces se trouve la préoccupation de ne plus recourir à l’armée, de ne plus traiter le manifestant comme un « ennemi » mais un « citoyen momentanément en colère ».

    La montée de ces forces est aussi liée au développement de la manifestation canonique dans les formes légitimes d’expression politique depuis la fin du XIXème siècle. Les moyens mortels (armes à feu) sont évacués, remplacés après-guerre par des instruments en principe non létaux dont la matraque est l’emblème, puis les gaz à partir de 1947 et enfin les grenades assourdissantes.
    Les grévistes forcent le barrage de police le 20 mars 1906. Wikimedia
    Un matériel plus sophistiqué

    Depuis Mai 68 (qui avait pris la police au dépourvu), la sophistication du matériel s’est accentuée avec le développement des protections individuelles et des véhicules, le perfectionnement de l’armement. Le maintien de l’ordre s’est aussi technicisé, puisqu’après de longues décennies d’apprentissage « sur le tas » au sein des unités, il fait l’objet d’un enseignement spécifique, comme au centre de Saint-Astier, créé par la gendarmerie au lendemain de Mai 68 puis devenu permanent, où les unités s’entraînent régulièrement dans le décor d’une ville fictive. Les agents s’aguerrissent aux manoeuvres et aussi à la maîtrise de soi nécessaire au métier. Un répertoire s’est alors fixé, fondé sur son caractère défensif, la planification, le contrôle à distance des manifestants, le retardement de l’usage de la force, et le dialogue, voire la cogestion avec les organisateurs des manifestations pour faciliter leur encadrement policier. Depuis quarante ans, les effectifs de ces forces sont restés stables, autour de 30 000 hommes (17 000 gendarmes mobiles, 13 000 CRS). Elles peuvent recevoir le renfort d’autres forces de police, dont le maintien de l’ordre n’est cependant pas le « métier ». Ces interventions ont été à l’origine de violences policières (comme la mort de Malik Oussekine à Paris le 6 décembre 1986).
    CRS et manifestants pendant la lutte contre l’extension du camp militaire, Larzac, France, années 1970. Community of the Ark of Lanza del Vasto/Wikimedia, CC BY-ND
    Quel critère pour définir la violence policière ?

    La question du niveau de violence policière et de son évolution est éminemment complexe. Quel critère retenir en effet ?

    Le seul nombre de morts, souvent retenu, montrerait cependant que le maintien de l’ordre devient plus meurtrier en France à partir de 1879, en particulier pendant la période de l’après-guerre, marquée par la guerre froide et la guerre d’Algérie.

    En témoignent les épisodes sanglants du 17 octobre 1961 et du 8 février 1962, qui ont fait respectivement au moins cent morts et 8 morts à Paris.

    Cette seule courbe contredit l’existence d’un processus séculaire graduel de « réduction de la violence » et de pacification du maintien de l’ordre. En dehors de rares grands événements très meurtriers, il est difficile pour certains spécialistes de juger du niveau de violence policière le critère du nombre de morts dissimule d’autres formes de violence (charges, interpellations et intensité de la répression) et le « niveau de violence » renverrait avant tout aux perceptions de la manifestation.

    Si on s’en tient à ce seul critère mesurable, depuis un siècle, des phases d’apaisement relatif alternent avec des cycles de violence : celui qui oppose les organisations communistes à la police et culmine avec les manifestations contre le général Ridgway en mai 1952, puis la police aux Algériens en 1960-1962. Ces épisodes montrent que la violence policière fait toujours partie du répertoire d’action de l’État et a pu être un recours dans certaines circonstances.
    Contact plus fréquent

    La question du « retour » des violences policières doit être lue à la lumière des transformations du maintien de l’ordre depuis les années 2000. Celui-ci a été modifié par la lutte contre les « violences urbaines », autrement dit les émeutes des quartiers populaires (2005 et 2007). Les unités sont devenues plus mobiles et plus offensives, tant grâce à un armement plus agressif qu’en projetant des forces destinées à interpeller les émeutiers en vue d’une répression judiciaire.

    Il s’ensuit une transformation notable des formes de maintien de l’ordre, où le contact est plus fréquent, avec toutes les occasions de violence que peuvent provoquer de telles situations. Aux dispositifs adoptés lors des manifestations parisiennes des gilets jaunes, on peut appliquer des constats dressés à l’occasion du mouvement contre la loi travail en 2016 .
    Manif du 11 novembre 2018 contre l’invitation de Donald Trump pour les commémorations du 11 novembre 1918 par M. Macron. Jeanne Menjoulet/Flickr, CC BY-SA

    On note ainsi une dimension offensive marquée, avec des tirs de lanceur de balle de défense (LBD) (communément appelé Flashball), le déploiement massif d’unités dédiées à l’interpellation de manifestants par un pouvoir politique désireux d’afficher le soir même « la restauration de l’ordre », en utilisant des agents venus des BAC et de la BRI, et non des professionnels du maintien de l’ordre.

    Tout cela tend à brouiller les frontières entre encadrement des manifestations et police des « violences urbaines ». De telles interventions, perçues comme un usage indiscriminé de la force, ne manquent pas de générer des phénomènes de solidarisation des manifestants et de nouvelles violences.
    Des pratiques françaises pointées du doigt

    A cet égard, les spécialistes pointent des pratiques françaises à rebours des stratégies de « désescalade » menées dans d’autres pays européens, qui passent par le dialogue continu avec les organisateurs et les manifestants : depuis la présence d’officiers de liaison médiateurs, comme les Peace Units aux Pays-Bas, les « officiers de dialogue » en Suède, jusqu’à des panneaux lumineux donnant les instructions de la police à ceux qui défilent.
    Intervention de ‘Peace Units’ néerlandais lors d’une manifestation sportive.

    La sophistication de l’arsenal n’est pas non plus synonyme de pacification : le LBD et les grenades de désencerclement sont des armes susceptibles d’entraîner de graves blessures. Les forces de l’ordre conservent aussi des instruments archaïques, comme les grenades offensives (responsables de la mort de Rémi Fraisse à Sivens en 2014).

    Si l’on peut évoquer un apaisement tendanciel ou relatif de la violence du maintien de l’ordre depuis 1968, la situation reste ouverte : l’usage de la violence dépend in fine du degré de légitimité des protestataires aux yeux de l’autorité politique et des forces de l’ordre.

    #maintien_de_l'ordre