• #Roumanie : le gouvernement veut-il relancer les projets miniers de #Roșia_Montană ?

    Le Premier ministre roumain Mihai Tudose veut demander à l’UNESCO de retirer la candidature du site de Roșia Montană à la liste du patrimoine mondial. Une décision qui pourrait relancer les projets d’extraction minière, alors que la Roumanie est attaquée en justice par le concessionnaire canadien #Gabriel_Resources Ltd.

    https://www.courrierdesbalkans.fr/Roumanie-le-gouvernement-veut-retirer-le-site-de-Ro%C8%99ia-Monta
    #mines #Rosia_Montana #matières_premières

  • Le journalisme sacrifié La Brique - AF - 9 Mai 2017

    La Voix du Nord fait rarement sa Une sur les plans de licenciements ou alors pour critiquer les syndicats et les manifestant.es, créer des « casseurs » et sanctifier le patronat. Quand il s’agit de sa propre liquidation, c’est le vide sidéral. Pourtant un plan de licenciement concerne directement les 700 salarié.es du groupe VDN, 178 vont perdre leur emploi dont 55 journalistes. Pour la holding Rossel, propriétaire de dizaines de quotidiens, un journal se doit d’être rentable. Le combat des syndicats était-il perdu d’avance ?

    La Voix du Nord n’est qu’un des petits rouages de la grosse machine de presse du groupe Rossel. Ce consortium belge possède plus de 160 filiales, dont des dizaines de quotidiens régionaux belges et français parmi lesquels La Voix du Nord, Nord Éclair, La Meuse, L’Aisne nouvelle... En gros quasi toute l’information belge et les quotidiens du Nord-Pas de Calais-Picardie sont à leurs bottes. Le groupe possède aussi dans le Nord les quotidiens gratuits 20 minutes et Direct Matin, des radios (RTL Belgique), des chaînes de TV (Wéo, TV News) . Autant dire que si la famille Hurbain, à la tête de cet ensemble à 560 millions d’euros de chiffre d’affaires par an, ne veut pas qu’une info sorte, elle ne sera pas publiée.

    La Voix du Nord n’en est pas à son premier plan « social ». En 2000, le journal tombe partiellement entre les mains de Rossel. Une grève de dix jours est alors organisée mais la lutte ne payera pas. Dassault (2004-2005) rachète le titre puis le revend l’année suivante à Rossel. Le groupe fait fusionner les deux quotidiens La Voix du Nord et Nord Éclair et débarque les anciens dirigeants empêtrés dans les affaires de revente d’actions1. En 2008, le groupe VDN SA rachète Le Courrier Picard puis L’Union et L’Est Éclair en 2012. Début 2017, la direction annonce un plan de licenciement de 25 % des effectifs du journal, 170 personnes vont être virées.

    Alors que La Brique se paye le traitement journalistique de La Voix du Nord depuis sa création, Robert2, journaliste dans le quotidien depuis 20 ans, a pourtant accepté de répondre à nos questions.


    Télécharger la carte en A3 : http://labrique.net/images/numeros/numero50/rossel_carte.pdf

    Première application de la loi travail

    Pour pouvoir licencier, l’entreprise a trois mois maximum pour négocier les départs volontaires ou les conditions de licenciement avec les syndicats. . . . . .

    La suite : http://labrique.net/index.php/thematiques/histoires-du-bocal/895-le-journalisme-sacrifie

    #Journalisme #Presse #médias #la_voix_du_mort #La_Brique #Nord_Éclair #La_Meuse #L_Aisne_nouvelle #Le_Courrier_Picard #L_Union #L_Est_Éclair #Rossel #RTL_Belgique #Wéo #Le_Soir #Hurbain

  • Rifiuti, prostituzione e caporali: l’inferno di Rosarno

    Viaggio nel #ghetto più grande d’Italia. Più di 2500 migranti ammassati nella baraccopoli della Piana di #Gioia_Tauro. Il rapporto dei Medici per i diritti umani (Medu) si chiama “#Terraingiusta” e racconta “le condizioni spaventose” in cui vivono gli ospiti della spianata in provincia di #Reggio_Calabria


    http://www.repubblica.it/cronaca/2017/04/12/news/rifiuti_droga_e_caporali_l_inferno_di_rosarno_viaggio_nel_ghetto_piu_gran
    #déchets #prostitution #caporalato #Rosarno #rapport #Italie #Calabre

    • Magdalena, che difende i braccianti dal caporalato

      #Magdalena_Jarczak è arrivata in Italia nel 2001, in cerca di lavoro. Ha passato mesi d’inferno nelle campagne pugliesi. Ma ha avuto il coraggio di ribellarsi ai caporali e oggi è diventata la paladina dei braccianti senza diritti


      http://www.donnamoderna.com/news/italia/braccianti-agricoli-caporalato-magdalena-jarczak

    • Red gold and blood money: the fight to end modern slavery in Italy’s agricultural sector

      For #Yvan_Sagnet, a Cameroonian migrant working in a tomato field in Puglia, Italy, the last straw came on a hot summer’s day in 2011. The harvest was in full swing. Teams of undocumented labourers were busy working at 42°C with no access to water or toilet facilities.


      https://www.equaltimes.org/red-gold-and-blood-money-the-fight?lang=en
      #tomate #Pouilles

    • Rosarno, otto anni dopo: nella baraccopoli degli immigrati, senza acqua corrente né elettricità

      Il #ghetto di #San_Ferdinando è rimasto lo stesso, uomini che vivono nel fango e in condizioni igieniche pessime in attesa di una giornata di lavoro a cottimo. Lì dove il 7 gennaio del 2010 era scoppiata una rivolta non è cambiato niente

      http://www.corriere.it/video-articoli/2017/12/28/rosarno-otto-anni-dopo-baraccopoli-immigrati-senza-acqua-corrente-ne-elettricita/e7b13272-ebe2-11e7-9fa2-1bd82b1c1e98.shtml

    • “Bastonati e investiti dagli italiani”. Nell’inferno di Rosarno che attende Salvini

      Nelle baraccopoli 2.500 braccianti vivono in condizioni disumane. Emergency: “Almeno 30 colpiti volontariamente dagli automobilisti”

      http://www.lastampa.it/2018/03/17/italia/cronache/bastonati-e-investiti-dagli-italiani-nellinferno-di-rosarno-che-attende-salvini-XfsEbYNLD5vD2hPYq9aoKJ/pagina.html

    • Caporalato, i nuovi schiavisti minacciano #Marco_Omizzolo. Ma lui non si arrende

      Lui si chiama Marco Omizzolo, sociologo, giornalista, responsabile scientifico della associazione In Migrazione. Da anni studia, scrive e denuncia le infiltrazioni della camorra nell’agro-pontino, ricostruisce la catena del malaffare e della corruzione, ricostruisce e documenta la tragedia del caporalato e le nuove forme della schiavitù che segnano le esistenze di migliaia di esseri umani, a prescindere dal colore della pelle e da luogo di nascita.

      I nuovi schiavisti non fanno distinzione tra bianchi, gialli e neri, inseguono solo l’odore dei soldi. Marco Omizzolo, e con lui altri coraggiosi cronisti di quella terra, non ha solo scritto e descritto, ma è anche andato, accompagnato da un avvocato, e dai sindacalisti della Cgil, davanti ai caporali, e poi li ha denunciati e ha contribuito a mettere in moto indagini e inchieste che hanno infastidito chi ha bisogno del buio per realizzare profitti e affari che, spesso, si intrecciano con lo spaccio della droga e lo sfruttamento della prostituzione.


      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/18/caporalato-i-nuovi-schiavisti-minacciano-marco-omizzolo-ma-lui-non-si-arrende/4233199
      #résistance

    • A Rosarno, la tendopoli delle donne

      Becky Moses, giovane nigeriana, muore carbonizzata in un ennesimo incendio scoppiato nella tendopoli di San Ferdinando a Rosarno. Questa volta è una donna, non è una bracciante e non raccoglie arance. Finora il popolo della tendopoli innalzato alle cronache è maschio, bracciante impiegato nella raccolta degli agrumi.

      Le immagini che ci accompagnano dalla famosa rivolta del 2010 sono di centinaia di migranti uomini africani scesi in piazza, per le vie del paese, pieni di rabbia, per protestare contro le violenze fisiche subite, lo sfruttamento nei campi e la vita da bestie vissuta in casupole fatiscenti sparse nelle campagne della piana di Rosarno e Gioia Tauro. In seguito alla rivolta l’anno dopo viene allestita la prima tendopoli a San Ferdinando, lontano dal paese, nella zona industriale, fatta di capannoni vuoti e abbandonati realizzati con la legge 488, ma le cui attività produttive non sono mai partite.

      Rosarno è da tempo conosciuta come la tendopoli più grande di Italia. Nei periodi di raccolta delle arance, da ottobre a marzo, vi vivono circa 2.500 immigrati e tanti di loro oggi vi risiedono in modo permanente anche tutto l’anno. Da anni si ricercano soluzioni, si investono finanziamenti ma di fatto si moltiplicano solo campi mai del tutto attrezzati. Inconcepibilmente l’ultima tendopoli è stata costruita priva di spazi dove poter cucinare mentre era previsto un servizio di catering, scelta insensata se pensiamo che ad abitare questa tendopoli vi sono una ventina di etnie con culture sul cibo tra loro diversissime. Il cibo, come si sa, è uno degli elementi che permette di mantenere la propria identità. E le persone, nei loro processi migratori, hanno bisogno di poter continuare a prepararsi un pasto secondo le proprie usanze e culture, e molte volte questo contribuisce un po’ ad alleviare le sofferenze che le migrazioni portano con sé, a rimanere ancorati alle proprie identità e radici culturali.

      Nei giorni che hanno proceduto le festività dell’ultimo Natale, Blessing è arrivata nella nostra comunità dopo essere stata presa in una retata della polizia mescolata con maman e sfruttatori che costringevano lei e altre ragazze a prostituirsi in strada. Anch’essa passata dalla tendopoli di Rosarno e poi spostata in altri luoghi della Calabria. Blessing ha dormito per due giorni interi, come se il suo corpo e la sua mente avessero avuto bisogno di allontanare da sé mesi e mesi di violenze e soprusi. Al suo risveglio abbiamo preparato insieme la cena di Natale per tutti, lei il suo piatto nigeriano e io quello calabrese. Ore e ore in cucina e lentamente lievitava quel sapore della vita che nutre identità diverse e dignità uguali.

      Così a San Ferdinando i migranti della nuova tendopoli vanno a cucinare e mangiare nella vecchia tendopoli, dove pur vivendo condizioni di grande degrado, con tende e baracche costruite con legni e plastiche riciclate, preferiscono continuare a preparare con fornelli e bracieri improvvisati i pasti secondo le loro usanze. E come in tutti gli slum qui pullula la vita, tra docce e latrine a cielo aperto, cumuli di rifiuti e spazzatura, dormitori con materassi messi direttamente sulla terra battuta, spazi di vita che non conoscono intimità.

      La tendopoli è anche un luogo di mercato, dove crescono piccoli business, minime attività commerciali avviate tra chi vende carne, chi ripara biciclette, chi gestisce piccoli night, chi vende bevande. Però il cibo viene condiviso, e chi non ne ha viene qui a cercarlo. Si forma così una sorta di “cittadella” tra persone che non sempre parlano la stessa lingua, una cittadella dove si può nascere e si può anche morire. Ma è anche un luogo di violenze, soprusi e sfruttamenti dove il più forte prevarica sul più debole.

      Alla tendopoli non arrivano più soltanto braccianti per la stagione agrumicola, spesso arrivano migranti richiedenti asilo in fase di ricorso contro il diniego da parte delle Commissioni territoriali. L’incertezza sulla regolarità di soggiorno non tocca solo i richiedenti asilo in fase di ricorso ma pure i titolari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro e che in assenza di una forma contrattuale rischiano di non vedersi rinnovato il documento. Sono migranti che vivono condizioni di forte precarietà sia in termini abitativi che lavorativi. Vi è un ritorno in agricoltura anche di lavoratori stranieri che vivevano e lavoravano nel nostro Nord ma che con la crisi delle attività produttive hanno perduto il lavoro. Altri arrivano non sapendo in quale altro luogo andare, cercando un riparo, e trovando un sostegno tra i migranti dello stesso paese o continente. La tendopoli diventa così un luogo di mera sopravvivenza.

      Arrivata in Italia Becky era stata ospite in un progetto Sprar. Alcune settimane prima, però, si è vista rifiutare la richiesta di asilo politico e ha dovuto lasciare il progetto. In alcune realtà territoriali anche se hai fatto ricorso sei comunque costretta ad andar via. Ha cercato cosi, come altri, un appoggio presso i connazionali che vivono stabilmente nella tendopoli di San Ferdinando.

      La tendopoli per alcuni è un luogo di sosta, un momento di transito per proseguire altrove il viaggio, prima di spostarsi in altri territori come Castelvolturno, Foggia, Falerna, Sibari e adoperarsi nella raccolta agricola di altri prodotti stagionali come il pomodoro o la cipolla. Per le donne è un modo di cambiare il territorio dove prostituirsi, assecondando maman e sfruttatori che hanno bisogno continuamente di “nuova merce”. Per altri il viaggio termina qui, in questo luogo non luogo, e qui possono rimanere anche per anni.

      Negli ultimi due anni la tendopoli di San Ferdinando ha visto aumentare la presenza femminile. Prima le donne si contavano sulla punta delle dita, adesso ce ne sono circa un centinaio, quasi tutte giovanissime e per lo più nigeriane. Campavano nella parte dove è scoppiato l’incendio che ha ucciso Becky e gravemente ustionato due sue connazionali. In gran parte né le donne e né gli uomini nigeriani occupano la filiera di coloro che vanno a lavorare nei campi. Molti uomini sono dediti a imbastire le fila dei traffici di droga e dai proventi della prostituzione possono investire sempre più nello spaccio di cocaina. Le donne nella tendopoli sono, quasi tutte, costrette a prostituirsi sia dentro la tendopoli che nei pressi dei paesi vicini o in altre città calabresi raggiungibili in treno. E fanno quest’attività per 10 o 12 ore al giorno. Se devono raggiungere altre città partono la mattina per tornare la sera. Nelle stazioni da Lamezia Terme, Vibo Valentia, Gioia Tauro puoi incontrare in certe ore queste donne che regolarmente vanno e vengono in treno. In tendopoli i clienti sono gli uomini che la abitano, altrove i clienti sono italiani. I prezzi cambiano; per gli africani il costo è di 10 euro, per i vicini clienti italiani sono 20 euro; ma questi prezzi possono arrivare fino a 30-50 euro nei pressi delle città e secondo le prestazioni. Alcune di queste ragazze finiscono per risiedere nei paesi o nelle città.

      Tessy è originaria di Benin City (Nigeria), la città da cui proviene la maggior parte delle nigeriane. Dopo aver attraversato il Niger è giunta a Saba (Libia) dove è rimasta per 5 mesi chiusa in una casa, violentata e costretta con altre ragazze a prostituirsi, per poi essere imbarcata verso l’Italia. Approdata in Sicilia è stata trasferita in un centro di accoglienza del nord. Dopo alcuni giorni vi è stata prelevata da connazionali e trasferita a Foggia, dove una maman le porta i vestiti e le indica i luoghi in cui dovrà prostituirsi e le regole da osservare. Dopo qualche mese viene spostata a Rosarno nella tendopoli, che Tessy definisce una connection house, il nome col quale si indica un luogo di transito. Vi resta per un certo tempo prima di venire ritrasferita a Lamezia Terme, dove l’attende la maman con casa e programma di lavoro su strada. Per sette mesi è sottoposta ininterrottamente alla prostituzione fino a una retata notturna dei carabinieri, quando viene arrestata insieme ad altre sei ragazze oltre la baby maman, un brother e uno sfruttatore italiano. A seguito di vari colloqui con operatori antitratta, decide di denunciare i suoi sfruttatori e di entrare in un sistema di protezione per vittime di tratta.

      La responsabile del poliambulatorio di Emergency di Polistena che eroga prestazioni sociali e sanitarie a donne migranti presenti nella tendopoli racconta che alcune di esse arrivano al poliambulatorio accompagnate da connazionali. Forse tra loro vi sono anche maman, probabilmente sono quelle stesse a richiedere la visita e garantire il trasporto dalla tendopoli. È un servizio tra tanti altri che viene offerto per mantenere “in forma e salute” i loro “oggetti di produzione” (ovviamente a pagamento, aggiungendolo al debito già contratto nel paese di origine dove le ragazze vengono sottoposte a riti voodoo e mantenute sotto ricatto e altre forme di violenza, fisica e psicologica, fino a quando il debito contratto non verrà sanato. Solitamente il debito iniziale va dai 25 ai 30 mila euro). La funzione delle maman può essere duplice, a volte è lei a organizzare insieme ad altri connazionali il viaggio delle ragazze dalla Nigeria fino al luogo di destinazione dove essa stessa provvederà a far prostituire e a sfruttare le ragazze; altre volte sono considerate come baby maman e non sono altro che ragazze che sono state anch’esse vittime di tratta, a servizio dell’organizzazione che le sottopone a compiti di controllo per la consegna dei proventi della prostituzione al trafficante.

      La rendita garantita da una donna su strada è alta. Si stima che le organizzazioni criminali possano guadagnare, da una donna vittima di tratta immessa nel giro della prostituzione, un profitto fino a 150 mila euro in un anno. Svolgendo una ricerca in Calabria, abbiamo calcolato circa mille donne in strada da Rosarno a Gioia Tauro, da Lamezia Terme ad Amantea, dalla piana di Sibari al litorale jonico del Crotonese. Ovviamente i numeri non sono esaustivi della realtà. Basta un dato per capire la dimensione del fenomeno: 150 milioni di euro di guadagno all’anno, un grande business criminale sulla pelle di mille donne disperate.

      Glory racconta: sono arrivata a Rosarno che non sapevo parlare italiano e neppure lo comprendevo. Mi avevano istruita, ai clienti che mi fermavano su strada avrei dovuto mostrare due o tre dita in segno di 20 o 30 euro e dare tutti i soldi alla mia maman per iniziare a pagare il mio debito.

      Qualcuno la chiama “mafia nera” questa organizzazione criminale nigeriana che sta diventando simile alle mafie nostrane. Questa rete ha messo radici in buona parte dell’Europa ed è strutturata in confederazione di gruppi a volte divisi ma pronti a coalizzarsi. In Calabria si constata la presenza di due grandi organizzazioni, denominate “Black Axe” e “Eiye”. Oltre a essere violentissime, si caratterizzano per l’uso dei rituali magico-religiosi riferiti al voodo. Alcuni dicono che superano le modalità violente della ‘drangheta. Per l’affiliazione all’organizzazione utilizzano simboli che ricordano le nostre mafie, ci si entra per cooptazione e gli adepti devono dimostrare di saper agire con spietatezza e crudeltà. Nel mercato clandestino si occupano della bassa fascia della prostituzione, un settore in cui le nostre cosche criminali non intervengono da tempo. Fatti e indagini ci dicono però che stanno entrando sempre più negli affari di droga, grazie anche alle loro reti internazionali. Non dimentichiamo che il porto di Gioia Tauro, il più grande d’Italia e tra i più rilevanti di Europa e del Mediterraneo, è considerato la porta principale di entrata della droga nel nostro continente.

      A chi è utile la tendopoli di Rosarno? È una domanda a cui difficilmente potremmo rispondere se non con il rischio di darne letture circoscritte, punti di vista che ne ignorano altri. Nel corso degli anni i flussi dei finanziamenti arrivati per la tendopoli, non hanno cambiato nulla, il “modus operandi” è sempre lo stesso. Le strutture sono concepite come emergenziali e temporanee, la tendopoli è una misura “ponte” limitata nel tempo per offrire risposte a persone che non possono usufruire immediatamente di una abitazione, ma di fatto diventa permanente. E vi è anche il rischio che molti di questi soldi possano essere utilizzati da clan mafiosi attraverso ditte di costruzione e manutenzione a loro sottomesse, per il completamento dei diversi lavori. Rosarno è uno tra i vari comuni calabresi che è stato sciolto per mafia. Il lavoro nella piana di Rosarno è caratterizzato dalle forme di un’agricoltura assistita, sfruttata dalle multinazionali e dalla grande distribuzione che vi fa sopra ingenti profitti comprando gli agrumi a bassissimo costo. Oggi dei migranti che vivono a Rosarno meno della metà è occupata in agricoltura, oltretutto essi sono sottoposti a turni e ciascuno può fare al massimo due o tre giornate a settimana. San Ferdinando è divenuta lentamente non solo una tendopoli del “tempo della raccolta delle arance”, ma uno slum, un campo, una favela, una bidonville – cioè un insediamento umano densamente popolato con condizioni di vita di forte degrado, e a forte rischio sociale e sanitario. Oltre all’agricoltura vi si vive di occupazioni informali, un brulicare di attività rivolte all’interno e all’esterno dell’insediamento. La prostituzione è una di queste.

      Se la tendopoli non è più per tutti un luogo di transito o di “transumanza”, allora per chi vi rimane stabilmente, che vita può esserci in un contesto come questo? E queste persone aspirano ancora a qualcosa? Resta difficile a persone come noi, noi europei, cogliere la drammaticità della sopravvivenza che spinge a rimanere in luoghi simili quando ogni fatica di poter cambiare è stata troncata. È lo spazio di una umanità espulsa, e questi spazi degli espulsi, come sottolinea Saskia Sassen, “esigono con forza di essere riconosciuti sul piano concettuale. Sono tanti, stanno crescendo e vanno diversificandosi. Sono realtà concettualmente sotterranee che devono essere portate alla luce. Sono potenzialmente i nuovi spazi in cui agire, in cui creare economie locali, nuove storie, nuovi modi di appartenenza.”

      Tra i diseredati e gli espulsi vi sono persone che nonostante le sofferenze a cui sono state sottoposte nelle condizioni più degradanti, riescono ancora a esprimere una capacità di fronteggiare le situazioni dinanzi a circostanze avverse. Anche quando i loro corpi sono stati abusati, violati, schiavizzati hanno avuto la forza e l’energia di non abbrutire, di rimanere ancorati alla vita e di riemergere con capacità vitali tali da mutare il corso delle proprie esistenze e da far tornare nella loro vita quotidiana le aspirazioni sopite o nuovi orizzonti. Spesso si tratta di donne, di donne che hanno ben chiaro che “la vita passata non si dimentica”.

      Faith ventenne, uscita dalla strada, lavora in pizzeria. Sta facendo anche un corso per pizzaiola. Vuole ritornare nei prossimi anni in Nigeria e aprire una pizzeria. “Sai, ho letto che a Lagos stanno aprendo delle pizzerie e che vanno molto bene. La mia pizza sarà di gusto nigeriano-italiano”. E pure Mercy, tornata alla vita dopo un lungo periodo in cui è stata sottoposta a tratta e sfruttamento sessuale, mi racconta di sua figlia oggi diciottenne: “Sai, è tanto brava a scuola, sta finendo le superiori e vuole prendere medicina. Sono orgogliosa di questa mia figlia che sa quello che vuole. Farò di tutto per aiutarla a mantenersi agli studi.”

      http://gliasinirivista.org/2018/04/rosarno-la-tendopoli-delle-donne
      #femmes

    • Shattered dreams: life in Italy’s migrant camps - a photo essay

      Photographer #Sean_Smith went to Camp San Ferdinando and #Campobello in southern Italy to meet the residents.
      When Matteo Salvini took over as Italy’s interior minister in June, he made one thing clear: the “good times” for asylum seekers and migrants were over.

      But at the San Ferdinando ghetto in southern Italy the “good times” never properly arrived in the first place. This was home to Sacko Soumayla, a 29-year-old Malian trade unionist who was fighting for the rights of migrant workers. Soumayla was shot in the head by an Italian while rummaging for metal to repair his makeshift home.

      It is also home to almost 1,000 migrants, who live in 400 shacks resembling cargo containers. These homes are cobbled together with metal, wood and plastic. They are scorching in the summer and bitterly cold in winter.

      Almost all of the inhabitants are from sub-Saharan Africa. They are forced to work for little more than €2 an hour picking “made in Italy” delicacies such as olives and tomatoes. They have been called “new slaves”, and their limbo is San Ferdinando.

      The San Ferdinando camp was established in about 2010. Migrants from all over the country descended on the countryside around Rosarno, in southern Calabria, a stronghold of the ruthless local Mafia, the ‘Ndrangheta.

      The shacks began to increase in number and San Ferdinando was transformed into a shantytown. Some shacks function as a repair shop for the bicycles that migrants use to reach the fields, others serve as butcher shops or taverns.

      The days are monotonous. With no electricity in the camp it is not easy for the residents to idle away the time. Some fill their days with repairing their shack, while others prepare meals, usually with rice and chicken.

      Thierno shares his shack with Osmane. They both arrived from Senegal in 2015. Thierno, whose wife died during childbirth, has a daughter who lives with her grandmother back at home.

      In Senegal he owned a small factory with five employees. Over the years, Thierno has attempted to turn his dwelling into his notion of “home”. He built a makeshift porch outside his front door, and sourced materials from a nearby dump, such as using car seats from abandoned vehicles as sofas.

      In the kitchen, made from wooden planks and complete with a gas hob, there is a small table with two chairs. Dinner is served here for everyone. The rule is to offer a meal to anyone unable to earn money during the week.

      Thierno’s shack is a meeting point for friends returning home from the fields in the late afternoon. One of them wears a shirt bearing the face of Sacko, the man from Mali killed in June.

      There’s just enough time to smoke a few cigarettes, and chat about their condition. A frequent point of discussion is the exhausting wait that forces them to put their lives on hold while the authorities evaluate their asylum requests.

      Thierno says: “It’s a maze with no way out. To obtain a permit of stay you must have residence, but many of us have no stable home. Some years ago the authorities decided to recognise San Ferdinando as an official residence.

      “It was a brilliant idea for the authorities, who in doing so found a way to keep us out of the cities. San Ferdinando was subsequently transformed into a bona fide ghetto, which every year continues to attract migrants who simply want to request refugee status, and in the meantime they slowly become slaves for the farmers.”

      This is not the Europe that Thierno and his friends dreamed about, nor is it the Italy for which they risked death in the desert, torture in Libya, or drowning at sea, to reach. What’s more, it is not easy for them to admit to their family members back home that their dreams have been shattered.

      In the evening, while a small fire glows to light their shacks, it’s time to phone relatives back home. Asuma Yaw, a 45-year-old Ghanaian, lives next door to Thierno. He left Ghana in 2015 in search of work in Europe and to pay for his daughter’s university education.

      He says: “I left for her, I’m old now. My only hope is my daughter. What would I say to her if one day she told me that she wanted to come to Europe? I’d tell her to have her paperwork in order to avoid falling into a trap like this.”

      The number of informal migrant labour camps is increasing, according to local rights groups.

      In Sicily, a group of about 15 migrants live in a factory in the countryside around Campobello di Mazara in western Sicily. They are survivors of an illegal camp like San Ferdinando, which for four years had housed exploited African migrants during the olive harvest. That camp was razed by the authorities because of mounting concerns about health.

      Today, the survivors of that camp have moved into abandoned buildings in the surrounding countryside. They’ve made repeated requests to the local council to provide public housing they can rent. But the locals have closed their doors.

      According to trade unions and associations, more than a dozen illegal camps have been destroyed in Italy over the past three years. In March 2017, the authorities dismantled a settlement in Rignano Garganico, the largest migrant labour camp in Europe accommodating 3,000 workers . A year earlier, bulldozers had destroyed camps in Nardò, Salento, and Borreano, Basilicata.

      Despite all this, new camps continue to spring up, sometimes on the ruins of the demolished shantytowns. The truth is simple, according to the Italian Union of farmers (UILA), 36% of workers employed in the agricultural sector are foreigners, mainly from Africa.

      Without them, Italy’s agricultural sector would implode. Without Thierno, Asuma, and more than 10,000 other migrants who are exploited in the fields, the ‘‘good times’’ for Salvini’s Italy would be over.


      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/10/life-in-italy-migrant-camps-a-photo-essay?CMP=share_btn_tw
      #photographie

  • L’#Apartheid_migratoire

    Le migrant, l’ennemi à abattre. Quel que soit le pays ou le continent. Qu’il soit de première, de deuxième ou de nième génération. Il est le bouc émissaire de tous les malheurs. Des épidémies sanitaires à la crise de l’emploi. L’idée de cet article sur l’apartheid migratoire m’est venue en me baladant dans le quartier résidentiel et commercial de #Rosebank à la banlieue de #Johannesburg en début d’année. C’était au cours d’une action de monitoring sur la situation des migrants ouest africains vivant en #Afrique_du_Sud. Le contraste est saisissant entre Rosebank, où habite ce nouveau mélange de genre qu’est la nouvelle bourgeoisie sud africaine, et les ghettos de migrants dans le #township d’#Alexandra. J’étais loin de me douter que quelques semaines après ce voyage, une déferlante xénophobe s’abattrait sur ces hommes et femmes dont le crime est de vouloir vivre et travailler en Afrique du Sud. L’occasion de la journée internationale contre les discriminations raciales[2] me permet de revenir sur ce que j’ai vu et entendu des migrants dans cette ville complexe de Johannesburg. De décrire surtout ces nouveaux murs, visibles comme invisibles, de plus en plus épais, érigés à l’intérieur du continent africain et au-delà, à l’encontre des populations migrantes.


    https://visionssolidaires.com/2017/03/20/21-mars-journee-internationale-contre-la-discrimination-raciale
    #xénophobie #discrimination #migrations
    cc @fil

  • Le n°9 de notre revue est sorti de l’imprimerie, et pour bien commencer 2017, on se renomme La revue de l’écoute (en gardant le sous-titre Les Carnets de Syntone pour nos aficionad@s).

    La couv :

    Le sommaire :
    http://syntone.fr/la-revue-de-lecoute/#sommaire


    – Pour ce numéro, l’artiste sonore marseillais #David_Bouvard signe la photographie originale de couverture et un portfolio photographique de 8 pages couleurs.
    – Nous faisons la rencontre du collectif belge indomptable #Radio_Moniek. Une interview à plusieurs voix recueillies par Guillaume Abgrall. Photos de Novella de Giorgi.
    – Dans le nouvel épisode de Quand la radio trompe l’oreille (petite histoire des #faux-semblants radiophoniques), Juliette Volcler s’attarde sur la vogue des mises en abyme et des parodies survenue depuis les années 2000. Au programme : poissons d’avril, canulars et… À votre écoute, coûte que coûte !
    – Pascal Mouneyres consacre la rubrique « œuvre ouverte » à un classique, une des rares œuvres de #Yann_Paranthoën encore disponible pour le grand public : Questionnaire pour Lesconil (Prix Italia 1980), sur les traces du compositeur canadien Raymond Murray Schafer dans ce petit port du Finistère Sud. [voir aussi l’offre spéciale]
    – Nous partons en Isère à la rencontre de #Radio_Dragon, quand radio rurale rime avec #radio_libre. Un reportage (texte et photographies) de Pierre Isnard-Dupuy.
    – Comme toujours, une couverture unique réalisée en sérigraphie par #Rosalie_Peeters, les échos de vos écoutes, le petit lexique récréatif et trois nouvelles rubriques ! Le son de saison de #Marc_Namblard, un conseil pour les « petites oreilles » par Juliette Volcler et une #fiche_pratique à découper (« fabriquez vous-mêmes vos capteurs de son ») signée pali meursault.

    Les librairies où la trouver :
    http://syntone.fr/la-revue-de-lecoute/#librairies

    S’abonner pour nous soutenir :
    http://syntone.fr/la-revue-de-lecoute/#abo

    #création_sonore #création_radio

  • PIANA DI #GIOIA_TAURO: DUEMILA PERSONE NELLE BARACCOPOLI DI SAN FERDINANDO. SI TORNA INDIETRO DI ANNI.

    Nella zona industriale di San Ferdinando sono più di 2mila i migranti accampati tra tende, baracche e stabili abbandonati in condizioni di vita e di lavoro disastrose. Il Protocollo Operativo in materia di accoglienza e integrazione sottoscritto quasi un anno fa in Prefettura con Regione e Comuni è rimasto lettera morta. Un quadro disperante a sette anni dalla cosiddetta “rivolta di #Rosarno”. Medici per i Diritti Umani chiede che vengano attuate misure immediate e nel lungo periodo volte ad assicurare condizioni dignitose ai lavoratori che ogni anno giungono nella #Piana_di_Gioia_Tauro per la stagione agrumicola.


    http://www.mediciperidirittiumani.org/piana-di-gioia-tauro-duemila-persone-nelle-baraccopoli-di-sa
    #logement #hébergement #asile #migrations #réfugiés #agriculture #travail #exploitation #campement #Italie

    • Subverting neoliberal slavery: migrant struggles against labour exploitation in Italy

      We are witnessing cumulative processes of politicization – struggles and organization involving migrant workers and activists setting out to build awareness locally, and link up globally.

      https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/susi-meret-sergio-goffredo/subverting-neoliberal-slavery-migrant-struggles-agains
      #résistance

    • Tutte le case degli africani di Rosarno

      I silos per l’olio. Il capannone. La cartiera. La fabbrica della Fanta. Le tende fredde del Ministero dell’Interno. I container da dopo terremoto. Le casupole sfondate in campagna. Il più strano di tutti, nella sua normalità, un appartamento vicino la stazione. Sono le tipologie abitative degli africani impegnati nella raccolta delle arance

      https://www.terrelibere.org/tutte-le-case-degli-africani-di-rosarno

    • I DANNATI DELLA TERRA. Rapporto 2018 sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro

      I grandi ghetti di lavoratori migranti nella Piana di Gioia Tauro rappresentano uno scandalo italiano dimenticato dalla politica ed il segno più evidente di tutte le contraddizioni della gestione del fenomeno migratorio nel nostro paese. Sempre di più sono i migranti titolari di protezione internazionale o umanitaria giunti recentemente in Italia che, in assenza di adeguate politiche di integrazione, si ritrovano a lavorare nelle campagne in condizioni di sfruttamento e grave emarginazione.

      Per il quinto anno consecutivo, un team di Medici per i Diritti Umani è tornato a prestare prima assistenza medica e orientamento socio-sanitario agli oltre tremila lavoratori agricoli stranieri che giungono nella Piana di Gioia Tauro per la stagione agrumicola. Una stagione particolarmente critica in cui alle condizioni di vita e di lavoro dei migranti, segnate da una gravissima e cronica precarietà, si è andato ad aggiungere il tragico incendio della baraccopoli di San Ferdinando che ha provocato la morte di Becky Moses, giovane donna nigeriana.

      Nel corso della conferenza stampa, oltre al rapporto I dannati della terra, verranno presentati i dati di cinque anni di attività nella Piana di Gioia Tauro del Progetto Terragiusta in cui il team e la clinica mobile di Medu hanno assistito duemila lavoratori migranti.


      http://www.mediciperidirittiumani.org/conferenza-stampa-rapporto-dannati-della-terra
      #rapport

    • #Il_sangue_verde

      Il #sangue_verde racconta le storie dei protagonisti delle manifestazioni di Rosarno, che nel Gennaio 2010 hanno portato alla luce le condizioni di degrado e ingiustizia di migliaia di braccianti africani.

      Dagli anni ’90 in poi in Italia, in particolare in alcune aree del Sud con forte presenza di organizzazioni mafiose, migliaia di immigrati africani e dell’est Europa sono sfruttati come braccianti agricoli senza alcun tipo di diritto e in condizioni di vita intollerabili.

      A Rosarno in particolare, dove il potere della ‘Ndrangheta è cresciuto moltissimo negli ultimi anni fino a portare al commissariamento per mafia del Comune, gli immigrati sfruttati nella raccolta delle arance sono anche oggetto di intimidazioni e minacce da parte di piccole bande di stampo mafioso.

      Per oltre dieci anni gli immigrati africani hanno cercato di denunciare pacificamente questa situazione, come ben racconta nel film Giuseppe Lavorato, ultimo sindaco di Rosarno che tentò di opporsi al potere della ‘Ndrangheta.

      Il 7 gennaio 2010, dopo l’ennesimo episodio di violenza contro quattro di loro, hanno deciso di far esplodere la rabbia e hanno dato vita ad una manifestazione molto forte, durante la quale vi sono stati anche episodi di saccheggio e distruzione. Così in quelle ore l’Italia si è accorta di loro, si è spaventata e ha reagito con violenza: il Governo Berlusconi, per voce dei Ministri dell’Interno e della Difesa, ha dichiarato che quelle manifestazioni erano frutto di “eccessiva tolleranza nei confronti dell’immigrazione clandestina” e ha ordinato l’espulsione di tutti gli immigrati da Rosarno.

      Nel frattempo nella regione si stava scatenando una vera e proprio caccia al nero da parte di cittadini italiani, probabilmente organizzati dai locali poteri mafiosi. In poche ore Rosarno è stata “sgomberata” e il problema “risolto”: in televisione la classe politica, al fine di mietere consenso nell’opinione pubblica impaurita, ha raccontato che in quel modo era stata riportata la legalità e che gli immigrati sprovvisti di documenti sarebbero stati velocemente espulsi dall’Italia.

      Così non è stato. Nei giorni successivi è calato il silenzio sulla vicenda, ma quasi tutti gli immigrati di Rosarno sono stati rilasciati e abbandonati a sè stessi in giro per l’Italia: da Caserta a Roma, da Napoli a Castelvolturno, mentre alcuni hanno addirittura deciso di tornare di nascosto negli aranceti di Rosarno.

      E’ in questi luoghi di fuga che, pochi giorni dopo le manifestazioni, abbiamo incontrato 7 protagonisti di queste vicende, chiedendo a loro di raccontare non solo cosa fosse successo, ma come fosse la loro vita in Italia.

      Ne è nato un racconto in prima persona che, alternato alla memoria storica rappresentata dalle ricostruzioni di Giuseppe Lavorato e dalle immagini di documentari sul lavoro di contadini italiani nel Meridione degli anni ’60, riporta al centro dell’attenzione la dignità e il coraggio di centinaia di ragazzi, che dalle loro terre di origine si sono messi in viaggio per salvare o cambiare la loro vita.


      http://www.zalab.org/projects/il-sangue-verde
      un #film #documentaire de #Andrea_Segre

    • Migranti: nella Piana di Gioia Tauro vivono “i dannati della terra”

      Condizioni disumane per oltre 3 mila lavoratori migranti impiegati in agricoltura nella Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Lo denuncia “I dannati della terra” (https://www.osservatoriodiritti.it/wp-content/uploads/2018/05/migranti-medu.pdf), il rapporto di Medici per i diritti umani presentato oggi.

      Più di 3 mila persone stanno vivendo tra cumuli di immondizia, bagni maleodoranti, dormendo su materassi a terra o su vecchie reti. Circondati da l’odore nauseabondo di plastica e rifiuti bruciati. A denunciarlo è l’ultimo report di Medici per i diritti umani (Medu) presentato oggi a Roma, “I dannati della terra”. Un’indagine che descrive le “condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro”, in provincia di Reggio Calabria, come recita il sottotitolo dello studio.

      Quello che emerge sono storie di lavoratori migranti che hanno fornito manodopera flessibile e a basso costo ai produttori di arance, clementine e kiwi nei mesi scorsi. Racconti di sfruttamento del lavoro, situazioni abitative degradate, condizioni igienico-sanitarie ai limiti della sopravvivenza e dignità calpestata.
      Gli effetti della riforma Minniti sulla vita dei migranti

      A complicare la situazione, in alcuni casi, ci si è messa anche la recente riforma Minniti, che ha modificato il procedimento che sta alla base della concessione dell’asilo politico e della protezione internazionale. Come nel caso di M.B, un richiedente asilo di 27 anni originario del Burkina Faso.

      A ottobre 2017 l’uomo si è ritrovato senza possibilità di difesa di fronte alla decisione del tribunale di Bari, che aveva respinto il suo ricorso contro il provvedimento di diniego emesso dalla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Il decreto Minniti, infatti, ha cancellato il secondo grado di giudizio nella procedura di valutazione della domanda di protezione. E così M.B non ha potuto presentare ricorso, perdendo anche il posto nel centro di accoglienza dove viveva.

      A quel punto il giovane ha perso pure il diritto a un materasso dove dormire. Fino a quando non l’ha trovato all’interno della Piana di Gioia di Tauro, nella vecchia tendopoli che si trova nel comune di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria. Qui M.B aveva trovato anche un lavoro, nella raccolta degli agrumi: otto ore al giorno senza contratto per 27 euro di paga. Ma ora i “gestori” della tendopoli gli hanno comunicato che dovrà lasciare il suo posto perché sprovvisto di un permesso di soggiorno.
      Dall’Africa sub-sahariana alla Piana di Gioia Tauro

      M.B è tra le centinaia di giovani uomini provenienti dall’Africa sub-sahariana – soprattutto dal Gambia, Costa D’Avorio, Mali, Senegal – che si sono rivolti alla clinica mobile di Medici per i Diritti Umani. Tra dicembre 2017 e lo scorso aprile, l’organizzazione umanitaria ha operato attraverso un camper mobile prestando assistenza socio-sanitaria ai lavoratori migranti che si sono riversati, anche quest’anno, nella zona della Piana di Gioia di Tauro durante la stagione della produzione e commercio degli agrumi.

      Raccontano dall’associazione: «Almeno 3.500 persone, distribuite tra i vari insediamenti informali sparsi nella Piana, hanno fornito in questo periodo manodopera flessibile e a basso costo, ai produttori locali di arance, clementine e kiwi». Non soltanto. «Alle condizioni di grave sfruttamento lavorativo, si aggiungono quelle abitative, che sono altamente drammatiche».

      Secondo Medu, «nella Piana di Gioia Tauro più di 3000 persone vivono tra cumuli di immondizia, dormono su materassi posizionati per terra sull’erba o su vecchie reti, usano per i bisogni latrine fatiscenti. Bruciano plastica bruciata per potersi scaldare».

      Nella tendopoli di San Ferdinando, a causa di questa abitudine-necessità, spesso, avvengono incendi. E in uno degli ultimi roghi, quello del 27 gennaio, è morta anche una persona, Becky Moses, e ha lasciato circa 600 persone senza una “casa”.
      Migranti lavoratori: 7 su 10 sfruttati e senza contratto

      La fotografia scattata da “I dannati della terra” è impietosa: «Sette persone su dieci lavorano senza un contratto, e, degli altri, quasi la totalità ha ricevuto una paga iniqua, lamentato orari di lavoro eccessivi e assenza completa di tutele».

      Nel rapporto si incontrano racconti di alienazione e sfruttamento vissuti dai migranti nella Piana di Gioia Tauro. Souleyman (il nome è di fantasia) ha raccontato al team di Medu:

      «Mi fa male la schiena, ho lavorato tanto oggi. E non riesco a dormire bene. Penso al documento che ancora non c’è, alla mia famiglia, si guadagna sempre troppo poco qui, sempre senza contratto. E poi fa tanto freddo la notte».

      Pensa di continuo a come ottenere il “documento” (cioè un titolo di soggiorno valido per vivere e lavorare regolarmente in Italia) anche M.B., 20enne senegalese arrivato da minore, finito a lavorare a Rosarno dopo aver conseguito in Italia la licenza media e la qualifica triennale di idraulico. Ha detto M.B:

      «Finora sono riuscito ad avere un contratto di 3 mesi per 30 giorni lavorativi totali. A gennaio ho lavorato sedici giorni, ma sulla busta paga compaiono solo 2 giorni».

      Invisibile e senza assistenza sanitaria per 10 anni

      O.G. è un uomo di 53 anni nato in Burkina Faso, in Italia dal 1990. Ha rinnovato il suo permesso di soggiorno per 18 anni. Poi non è più riuscito a rispettare i requisiti economici previsti per rinnovarlo, così ha passato gli ultimi 10 anni della sua vita da invisibile, tra i ghetti di Foggia e Rosarno.

      Qualche settimana fa O.G si è presentato all’unità mobile di Medu per farsi visitare. Gli operatori lo hanno accompagnato al pronto soccorso più vicino ed è poi stato trasferito in un reparto di cardiologia a Reggio Calabria. Aveva gravi problemi di salute, ma non era mai riuscito a curarsi perché non sapeva che i trattamenti sanitari, in Italia, sono garantiti anche a chi non è in regola con il permesso di soggiorno.
      La filiera dello sfruttamento economico dei migranti

      Sono storie di esclusione legate alla filiera dello sfruttamento economico che governa le vite di queste persone. Otto anni dopo la “rivolta di Rosarno”, i ghetti di lavoratori migranti nella Piana di Gioia Tauro sono ancora uno scandalo per il nostro Paese. Dice Antonello Mangano, curatore del sito internet di inchiesta, ricerca e documentazione terrelibere.org:

      «Rosarno è uno dei luoghi centrali dell’economia globale. La manodopera arriva dall’Africa occidentale, i contributi alle coltivazioni vengono da Bruxelles e infine le arance sono esportate in mezzo mondo: Romania, Russia, Repubblica Ceca, Germania, Polonia, Emirati Arabi, Stati Uniti.

      In questo modo, aggiunge Mangano, «braccia migranti, multinazionali del succo, grandi commercianti e supermercati sono gli attori del gioco».
      Medici per i diritti umani: il progetto Terra Giusta

      Medici per i diritti umani ha operato per il quinto anno consecutivo nella Piana di Gioia Tauro per fornire assistenza sanitaria e orientamento socio-legale ai lavoratori agricoli stagionali che vivono in situazioni di estremo disagio lavorativo e abitativo.

      È il cuore del progetto Terra Giusta, che dal 2014 porta assistenza a migliaia di persone che vivono all’interno dei ghetti etnico-agricoli dell’Italia meridionale: nella Capitanata, vicino Foggia; nei territori del Vulture Alto Bradano, in provincia di Potenza; nella piana di Gioia Tauro, in Calabria, durante l’ultima stagione degli agrumi, appunto.

      https://www.osservatoriodiritti.it/2018/05/03/migranti-piana-di-gioia-tauro-medu

  • Rediscovering WWII’s female ’computers’ - CNN.com
    http://edition.cnn.com/2011/TECH/innovation/02/08/women.rosies.math

    Computer, at that point, was a job title, not a machine. Long before the sisters were businesswomen, community activists, mothers or grandmothers, they were recruited by the U.S. military to do ballistics research. They worked six days a week, sometimes pulling double or triple shifts, along with dozens of other women.

    The weapons trajectories they calculated were passed out to soldiers in the field and bombardiers in the air. Some of their colleagues went on to program the earliest of general-purpose computers, the ENIAC.

    It wasn’t factory work, but they were “Rosies” nonetheless, filling jobs that men would’ve taken if they hadn’t been at war or wrapped up in other military research.

    Le film
    https://sites.temple.edu/topsecretrosies/project-background
    https://www.youtube.com/watch?v=CE4Tf4JVl-E

    #femmes #computer #rosies #scientifiques #mathématique

  • Quand tu trouves une version de ouf de For Sephora où Stochelo joue avec Biréli

    For Sephora BEST VERSION EVER !! Rosenberg Trio and Bireli
    https://www.youtube.com/watch?v=IkOfKmGWdnU

    Pour rappel, la version classique, magnifique quand même, la plus connue est celle du live Jazz à Vienne ici :
    https://www.youtube.com/watch?v=Kp4K-DLv4oQ

    #musique #jazz #jazz_manouche #Rosenberg_Trio #Stochelo_Rosenberg #Biréli_Lagrène #guitare

  • In the Depths of the Net
    (Sue Halpern, Oct 2015)

    She wrote a review in the New York Review of Books about The Dark Net: Inside The Digital Underworld by Jamie Bartlett
    (cf https://seenthis.net/messages/405584)

    http://www.nybooks.com/articles/2015/10/08/depths-net

    The same article also appeared here a week later, accessible in full (without an account):

    http://www.afr.com/technology/social-media/in-the-depths-of-the-internet-20150930-gjy14n

    It turns out that even without resorting to intensive detective work, Tor’s anonymity can be penetrated. In a paper published online, Paul Syverson, one of Tor’s original developers at the Naval Research Laboratory, along with four colleagues, demonstrated that users who regularly browsed the internet with Tor could be easily identified. “Our analysis,” they wrote,

    “shows that 80 per cent of all types of users may be deanonymised ... within six months [and] roughly 100 per cent of users in some common locations are deanonymised within three months.”

    More recently, security experts have devised a simple way to distinguish Tor users by their particular style of typing. Add to these a new search engine called Memex, designed specifically to troll the dark net, developed by the Defence Department’s research arm, DARPA. It already has successfully unmasked human traffickers working in secret.

    #dark_net
    #Ross_Ulbricht #Silk_Road

  • #Seine-Saint-Denis : quatre policiers en garde à vue pour #viol

    #Aulnay-sous-bois (Seine-Saint-Denis). Un jeune homme a été sérieusement blessé jeudi après-midi, en marge d’un contrôle de police effectué dans le quartier de la #Rose-des-Vents.


    http://m.leparisien.fr/faits-divers/seine-saint-denis-quatre-policiers-en-garde-a-vue-pour-viol-04-02-2017-

    #viols #police #violences_policières #France

  • Rosia Montana: how Romanians united to save a mountain village from mining apocalypse - The Ecologist
    http://www.theecologist.org/campaigning/2988513/rosia_montana_how_romanians_united_to_save_a_mountain_village_from_min

    Local farmers and activists in the Romanian village of #Rosia_Montana - located in the western part of the Carpathian Mountains - gathered for a special celebration last week.

    Filling their glasses with palinca, a local homemade spirit, they toasted not the new year, but rather the Romanian government’s decision to sign off on an application requesting that UNESCO make their village a World Heritage site.

    If approved, such a status would protect the picturesque commune - a green haven for tourists and travelers alike - from the ecologically and socially-damaging impacts of a gold mining project led by the Canadian firm Gabriel Resources.

    It would also cement a victory 15 years in the making, thanks to the efforts of local farmers, environmental activists and Romanian civil society as a whole.

    #extractivisme #contestation #environnement #site_protégé #Roumanie

  • "La gauche contre le peuple ?"

    Les matins de France Culture. Entretien avec le philosophe #Jean-Claude_Michéa.

    Ne se définissant pas comme conservateur mais reconnaît qu’ « Il y a un moment conservateur dans la critique socialiste du capitalisme ». Il fait la distinction entre la gauche et le socialisme. La gauche ayant les mêmes aspirations que les libéraux ; la disparition du « vieux monde ».

    https://www.franceculture.fr/emissions/linvite-des-matins/la-gauche-contre-le-peuple

    https://www.franceculture.fr/emissions/linvite-des-matins-2eme-partie/la-gauche-contre-le-peuple-2eme-partie

    "Notre ennemi, le capital"
    Climats, 2017 Jean-Claude #Michéa

    Le philosophe critique la gauche libérale, son égoïsme et son individualisme. Il explique comment elle manipule la population et analyse les propositions de nouveaux mouvements politiques pour revenir vers un monde décent.

    Si l’on veut réellement rassembler la grande majorité des classes populaires autour d’un programme de déconstruction graduelle du système capitaliste (et non pas simplement accroître ses privilèges électoraux), il faut impérativement commencer par remettre en question ce vieux système de clivages fondé sur la « confiance aveugle dans l’idée de progrès », dont les présupposés philosophiques de plus en plus paralysants (du type « parti de demain » – celui de la Silicon Valley – contre « parti d’hier » – celui de l’agriculture paysanne ou de la culture du livre ) ne cessent d’offrir depuis plus de trente ans à la gauche européenne le moyen idéal de dissimuler sa réconciliation totale avec le capitalisme sous les dehors beaucoup plus séduisants d’une lutte « citoyenne » permanente contre toutes les idées « réactionnaires » et « passéistes ».

    Jean-Claude Michéa est l’auteur de nombreux ouvrages, tous publiés chez Climats, parmi lesquels : L’Enseignement de l’ignorance, Impasse Adam Smith, L’Empire du moindre mal, Orwell anarchiste tory, Le Complexe d’Orphée, Les Mystères de la Gauche, et, avec Jacques Julliard, La Gauche et le Peuple.

    #Orwell #George_Orwell #Populisme #Populisme_Russe #Libéralisme #Gauche #Rose_Luxembourg #progressisme #lutte_des_classes #élection #macron

    • Utilisation de sa pensée par l’extrême droite
      Après La Double Pensée, Michéa se répète et exprime une aigreur toujours plus vive à l’égard de la gauche. Sa critique de la modernité, si elle est, à certains égards, perspicace, finit par atteindre ses limites politiques. Car il y a bien un moment où Michéa doit servir politiquement. Il s’est exprimé dans diverses tribunes libertaires ou décroissantes. Mais c’est plutôt dans les milieux nationalistes ou conservateurs qu’il intéresse. Outre le nationalisme de gauche version Mélenchon, ce sont quasiment l’ensemble des courants d’extrême droite qui le trouve utile. Forcément, à force de taper sans fin sur la gauche, on finit par intéresser la droite. C’est très grossièrement ce que les critiques de Michéa pensent. Luc Boltanski, Serge Halimi, Frédéric Lordon, Philippe Corcuff, Max Vincent ou Anselm Jappe à des degrés divers estiment que sa critique du progrès est réactionnaire. En réponse à Philippe Corcuff, Michéa affirme que peu importe ce à quoi servent ses idées du moment qu’elles sont vraies.
      Dans une interview à Marianne, il répond sur cette utilisation par l’extrême droite. Et, au fond, on a presque l’impression qu’il se réjouit que sa pensée circule dans les caniveaux néofascistes. Bien sûr, on sent confusément que ce n’est pas ce combat-là qu’il veut servir. Mais, après tout, ce n’est pas grave si l’extrême droite est l’antithèse absolue de toute émancipation. Pas grave puisqu’elle aussi prétend vouloir combattre le capitalisme et qu’elle produit même des analyses « lucides » qui ont toutefois l’inconvénient d’être ambiguës et antisémites… Or, si l’extrême droite utilise cette rhétorique anticapitaliste, en puisant notamment chez Michéa, c’est par ce qu’elle veut le pouvoir. L’extrême droite a besoin des masses pour accéder à l’État. Pour cela, elle doit utiliser un discours vaguement anticapitaliste. Michéa constitue un penseur de choix pour ce faire, car il cible quasi exclusivement et outrancièrement la gauche sans démonter franchement l’extrême droite. C’est donc en partie parce que son discours n’est pas juste qu’il est récupéré.
      C’est de sa responsabilité de ne pas analyser clairement cette utilisation par les nationalistes de droite ou de gauche. Clairement parce que Michéa aime parler et écrire tout en circonvolutions à la manière d’un prof faisant d’interminables digressions pour placer telle ou telle référence. C’est intéressant, mais il ne condamne pas un instant sa récupération. Il préfère cibler seul le capitalisme. Or, si le patriotisme se médiatise comme l’unique solution au libéralisme, c’est que le capital a toujours su habilement jouer avec lui. Inciter les dominés à s’opposer en fonction de leurs origines dissout la lutte de classes, sert la bourgeoisie et l’État. Le libéralisme provoque le repli identitaire, il se crée ainsi un bien utile faux ennemi. Évidemment, l’antifascisme ne mène à rien tant que l’on ne propose pas d’alternative radicale au capital et à l’État ce que font les anarchistes. Mais cela n’enlève aucune responsabilité à l’extrême droite en elle-même.
      Orwell savait sublimer sa pensée en des romans qui s’adressaient à tous. Il a combattu physiquement le fascisme en Espagne. Il s’est intéressé de très près aux marginaux. Il ne se gargarisait pas de citations de Marx ou d’Engels. Il s’est refusé à toute récupération de droite lorsqu’il dénonçait les crimes staliniens. Il s’est toujours placé à gauche. Ce n’est pas le cas de Michéa, dont l’expression tourne en rond et dont on s’interroge sur les actes. C’est toujours moins inquiétant, dit-il, d’être utilisé par le FN que par le Medef. Pas certain que préférer la peste au choléra relève du plus grand discernement intellectuel et combatif.

      Alexis
      Groupe George-Orwell de la Fédération anarchiste

    • @marielle
      Ca me fait un peu sourire « elle est, à certains égards, perspicace, finit par atteindre ses limites politiques ». C’est perspicace c’est pour ça qu’on le lit. Non ?
      Je suis pas là pour défendre tout ce que dit Michéa, il aime le foot « populaire » par exemple. Quand je lit Proudhon je ne valide pas ses thèse sexiste..

      1) L’extrême droite utilise tout. Nos erreurs d’avantage que nos textes clairvoyants. Désolé de le dire, c’est un procédé malhonnête. Marine Le Pen cite Jaurès, donc Jaurès est fasciste.

      2) « Dans une interview à Marianne, il répond sur cette utilisation par l’extrême droite 12. Et, au fond, on a presque l’impression qu’il se réjouit que sa pensée circule dans les caniveaux néofascistes. »
      (12) L’article est là :
      http://www.marianne.net/Michea-face-a-la-strategie-Godwin_a234731.html

      Je suis encore étonné de la réception de ce texte chez mes amis. Michéa ne déclare pas dans ce texte qu’il est de gauche ou antifa cela viendrai à dire l’inverse de ce qu’il dit tout le temps.

      Je comprens en gros « parmi ce qui me cite : »

      "Il y a :
      1) Les menteurs qui sont néo-conservateur et libéraux
      2) L’extrême droite plus dure et plus ancienne qui a une culture anticapitaliste

      Mais que cette droite puisse me citer aux côtés de ces grandes figures de la tradition radicale n’a donc, en soi, rien d’illogique.

      « rien d’illogique », c’est pas ce que j’appelle se réjouir.

      Et il les démolie de suite :

      J’entends à la fois les ultras qui rêvaient de restaurer l’Ancien Régime et les partisans de ce « socialisme national » - né des effets croisés de la défaite de Sedan et de l’écrasement de la Commune - qui, dès qu’il rencontre les conditions historiques de ce que George Mosse nommait la « brutalisation », risque toujours de basculer dans le « national-socialisme » et le « fascisme ». Or, ici, l’horreur absolue que doivent susciter les crimes abominables accomplis au nom de ces deux dernières doctrines a conduit à oublier un fait majeur de l’histoire des idées.

      Mais la question que je me pose c’est sommes nous capable de dépasser des clivages en creux (des anti-) et se questionner sur se que l’on veux. Douter de nos propres appuis (se remettre en question) c’est le propre d’une penser constructive.

  • Once Upon a Time: The amazing adventures of #Rosetta and #Philae
    http://blogs.esa.int/rosetta/2016/12/23/once-upon-a-time-the-amazing-adventures-of-rosetta-and-philae

    Watch the amazing cartoon adventures of Rosetta and Philae, now back-to-back in one special feature-length production. Find out how Rosetta and Philae first got inspired to visit a comet, and follow them on their incredible ten-year journey through the Solar System to their destination, flying around planets and past asteroids along the way. Watch as Philae tries to land on the comet and deals with some unexpected challenges! Learn about the fascinating observations that Rosetta made as she watched the comet change before her eyes as they got closer to the Sun and then further away again. Finally, wish Rosetta farewell, as she, too, finishes her amazing adventure on the surface of the comet. Keep watching for one last surprise! French version: Italian version: Spanish version: German version (...)

    #Comet_67P #Comets #Fun_stuff #Outreach #video

  • Impressions of #Rosetta’s legacy
    http://blogs.esa.int/rosetta/2016/12/23/impressions-of-rosettas-legacy

    In September–October 2016, over 200 people contributed to the #rosetta Legacy campaign, sharing stories, images, videos, creations and experiences to convey what the mission had meant to them. We decided to collect all contributions in an e-book, to keep a long-lasting record of the mission’s impact on a variety of public audiences. This publication presents a collection of these outstanding contributions and provides a taste of Rosetta’s legacy for fellow science communicators, scientists and engineers, educators, space enthusiasts – anyone who was fascinated by the mission. The e-book (pdf, 33MB) is available here. Thanks again to everyone who shared with us their impressions of the mission, and to all followers of Rosetta and #Philae (...)

    #Comet_67P #Fun_stuff #Outreach ##rosettalegacy #comet #engagement #inspiration #outreach #philae

  • #Rosetta’s complete journey – #animation
    http://blogs.esa.int/rosetta/2016/12/23/rosettas-complete-journey-animation

    Now in one complete animation: #rosetta’s #trajectory around #Comet_67P/Churyumov–Gerasimenko, from arrival to mission end. The animation begins on 31 July 2014, during Rosetta’s final approach to the comet after its ten-year journey through space. The spacecraft arrived at a distance of 100 km on 6 August, from where it gradually approached the comet and entered initial mapping orbits that were needed to select a #Landing site for Philae. These observations also enabled the first comet science of the mission. The manoeuvres in the lead up to, during and after Philae’s release on 12 November are seen, before Rosetta settled into longer-term science orbits. In February and March 2015 the spacecraft made several flybys. One of the closest triggered a ‘safe mode’ that forced it to retreat (...)

    #Fun_stuff #Operations #video ##CometLanding #flyby #manoeuvre

  • #osiris Data Release : March–May 2015
    http://blogs.esa.int/rosetta/2016/12/22/osiris-data-release-march-may-2015

    A new batch of thousands of #Images from #Rosetta's OSIRIS imaging system have been released into ESA’s Archive Image Browser and the Planetary Science Archive. This latest OSIRIS data release comprises 2423 narrow-angle camera #images and 4378 wide-angle camera images from the period 11 March – 24 May 2015. You can browse through the new images in the MTP 014, 015 and 016 albums here. 

    #Comet_67P #Instruments #comet #rosetta

  • #Rosetta’s last words: #Science descending to a #comet
    http://blogs.esa.int/rosetta/2016/12/15/rosettas-last-words-science-descending-to-a-comet

    On 30 September 2016, at 11:19:37 UT in ESA’s mission control, #rosetta’s signal flat-lined, confirming that the spacecraft had completed its incredible mission on the surface of #Comet_67P/Churyumov-Gerasimenko some 40 minutes earlier and 720 million km from Earth. Rosetta was working up to the very end, collecting reams of #science data as it descended towards a region of pits in the Ma’at region on the comet’s ‘head’. Before we ‘retire’ the blog, we wanted to catch up with the instrument teams following this grand finale to find out how their #Instruments performed and if there were any surprises in Rosetta’s last ‘words’ from the comet. First a reminder of the impact site: Rosetta was targeting a point within a 700 x 500 m ellipse, between two pits in the Ma’at region. Reconstruction of the (...)

    #Images #Landing #Operations ##CometLanding #instruments #landing_day

  • Le Carnet nouveau est arrivé et c’est le n°8 ! En librairies et dans la boîte aux lettres des abonné·es cette semaine. D’ailleurs, on en profite pour rappeler qu’on a besoin de sous pour continuer : offrez un abonnement aux Carnets à Noël, ou même un coffret 2016 + 2017, faites abonner votre bibliothèque universitaire, misez trois euros par mois pour vous abonner vous-même...
    http://syntone.fr/pour-que-syntone-continue

    La couv de ce n°8 :

    Le sommaire :

    – Nous faisons la rencontre d’#Antoine_Chao, infatigable reporter, pédagogue et cheville ouvrière de nombreuses radios temporaires. Avec lui, nous parlons de l’émission Comme un bruit qui court sur France Inter, mais aussi de Radio Uz, la Radio des Suds, Radio Debout, etc. Propos recueillis par Étienne Noiseau, dessins d’Antoine Blanquart.
    – Juliette Volcler poursuit sa Petite histoire des #faux-semblants_radiophoniques (ces fictions qui se font passer pour le réel), en s’intéressant aux années 1970 à 1990 où l’on commence à parler de #docu-fiction quand le « faux-semblant » s’assume comme un genre à part entière.
    – Nous nous glissons « dans les oreilles d’#Alessandro_Bosetti » : l’artiste italien nous offre cinq pages de bande-dessinée signées de sa main.
    – Dans la rubrique « œuvre ouverte », Pascal Mouneyres revient sur une œuvre récente, marquante et remarquée par plusieurs prix : Les mots de ma mère , d’#Aurélia_Balboni.
    – Pour finir, nous partons en Allemagne au festival #Radio_Revolten grâce à Alexandra Baraille, qui durant 30 jours et 30 nuits d’octobre a érigé la radio comme art de la rencontre.
    – Et puis les échos de vos écoutes, le petit #lexique récréatif de la #création_sonore_&_radiophonique, une image de #Rosalie_Peeters, et une couverture toujours unique car réalisée en atelier de sérigraphie au pied des Pyrénées.

    Les librairies où le trouver :
    http://syntone.fr/projets/les-carnets-de-syntone/#librairies

  • Reflections
    http://blogs.esa.int/rosetta/2016/12/12/reflections

    Some ten weeks have passed since #Rosetta ended its mission on the surface of Comet 67P/Churyumov–Gerasimenko, and it is time for a little reflection here on the #rosetta #blog... Over the past three years, we have written over 670 posts covering mission operations, science highlights, special events, images of the comet, and so much more. The blog has become a reference for a wide audience, ranging from science journalists to space enthusiasts, from casual readers to educators and even Rosetta mission scientists and operators. Beyond that, it has become a place for people to share their ideas and concerns. When we re-launched the blog in 2013, we did not expect the huge number of #comments that came in – almost 18,600 to date – and certainly we didn’t envision the considerable amount of time (...)

    #Fun_stuff