• #Pakistan: detenzioni e deportazioni contro i rifugiati afghani

    In corso un’altra catastrofe umanitaria, molte persone a rischio di persecuzione in Afghanistan

    Dal 1° ottobre quasi 400mila persone afgane, di cui circa 220.000 in queste settimane di novembre, hanno abbandonato il Pakistan, in quella che appare sempre più come una pulizia etnica operata contro una minoranza. I numeri sono quelli forniti da UNHCR 1, dopo che il 17 settembre, il governo pakistano ha annunciato che tutte le persone “irregolari” avrebbero dovuto lasciare volontariamente il Paese entro il 1° novembre, pena la deportazione.
    La maggior parte delle persone rientrate e in Afghanistan sono donne e bambini: 1 bambino su quattro è sotto i cinque anni e oltre il 60% dei minori ha meno di 17 anni 2.

    E’ emerso, ultimamente, che le persone afghane senza documenti che lasciano il Pakistan per andare in altri paesi devono pagare una tassa di 830 dollari (760 euro).

    Amnesty International ha denunciato detenzioni di massa in centri di espulsione e che le persone prive di documenti sono state avviate alla deportazione senza che ai loro familiari fosse fornita alcuna informazione sul luogo in cui sono state portate e sulla data della deportazione. L’Ong ha dichiarato che il governo del Pakistan deve interrompere immediatamente le detenzioni, le deportazioni e le vessazioni diffuse nei confronti delle persone afghane.

    Dall’inizio di ottobre, inoltre, Amnesty ha raccolto informazioni relative agli sgomberi: diversi katchi abadis (insediamenti informali) che ospitano rifugiati afghani sono stati demoliti dalla Capital Development Authority (CDA) di Islamabad, le baracche sono state distrutte con i beni ancora al loro interno.

    In tutto il Pakistan, ha illustrato il governo, sono stati istituiti 49 centri di detenzione (chiamati anche centri di “detenzione” o di “transito”). «Questi centri di deportazione – ha affermato Amnesty – non sono stati costruiti in base a una legge specifica e funzionano parallelamente al sistema legale». L’associazione ha verificato che in almeno 7 centri di detenzione non viene esteso alcun diritto legale ai detenuti, come il diritto a un avvocato o alla comunicazione con i familiari. Sono centri che violano il diritto alla libertà e a un giusto processo. Inoltre, nessuna informazione viene resa pubblica, rendendo difficile per le famiglie rintracciare i propri cari. Amnesty ha confermato il livello di segretezza a tal punto che nessun giornalista ha avuto accesso a questi centri.

    Secondo quanto riporta Save the Children, molte famiglie deportate in Afghanistan non hanno un posto dove vivere, né soldi per il cibo, e sono ospitate in rifugi di fortuna, in una situazione disperata e in continuo peggioramento. Molte persone accusano gravi infezioni respiratorie, probabilmente dovute alla prolungata esposizione alle tempeste di polvere, ai centri chiusi e fumosi, al contagio dovuto alla vicinanza di altre persone malate e al freddo estremo, dato che molte famiglie hanno viaggiato verso l’Afghanistan in camion aperti e sovraffollati. Sono, inoltre, ad altissimo rischio di contrarre gravi malattie, che si stanno diffondendo rapidamente, tra cui la dissenteria acuta, altamente contagiosa e pericolosa.

    Una catastrofe umanitaria

    «Migliaia di rifugiati afghani vengono usati come pedine politiche per essere rispediti nell’Afghanistan controllato dai talebani, dove la loro vita e la loro integrità fisica potrebbero essere a rischio, nel contesto di una intensificata repressione dei diritti umani e di una catastrofe umanitaria in corso. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a deportazioni forzate di massa e il Pakistan farebbe bene a ricordare i suoi obblighi legali internazionali, compreso il principio di non respingimento», ha dichiarato Livia Saccardi, vice direttrice regionale di Amnesty International per l’Asia meridionale.

    Il valico di frontiera di Torkham con l’Afghanistan è diventato un grande campo profughi a cielo aperto e le condizioni sono drammatiche. Le organizzazioni umanitarie presenti in loco per fornire assistenza hanno raccolto diverse testimonianze. «La folla a Torkham è opprimente, non è un luogo per bambini e donne. Di notte fa freddo e i bambini non hanno vestiti caldi. Ci sono anche pochi servizi igienici e l’acqua potabile è scarsa. Abbiamo bisogno di almeno un rifugio adeguato», ha raccontato una ragazza di 20 anni.

    «Le condizioni di salute dei bambini non sono buone, la maggior parte ha dolori allo stomaco. A causa della mancanza di acqua pulita e di strutture igieniche adeguate, non possono lavarsi le mani in modo corretto. Non ci sono servizi igienici puliti e questi bambini non ricevono pasti regolari e adeguati» ha dichiarato una dottoressa di Save the Children. «Se rimarranno qui per un periodo più lungo o se la situazione persisterà e il clima diventerà più freddo, ci saranno molti rischi per la salute dei bambini. Di notte la temperatura scende parecchio ed è difficile garantire il benessere dei più piccoli all’interno delle tende. Questo può influire negativamente sulla salute del bambino e della madre. È urgente distribuire vestiti caldi ai bambini e beni necessari, come assorbenti e biancheria intima per le giovani donne e altri articoli essenziali per ridurre i rischi per la salute di donne e bambini».

    «Il Pakistan deve adempiere agli obblighi previsti dalla legge internazionale sui diritti umani per garantire la sicurezza e il benessere dei rifugiati afghani all’interno dei suoi confini e fermare immediatamente le deportazioni per evitare un’ulteriore escalation di questa crisi. Il governo, insieme all’UNHCR, deve accelerare la registrazione dei richiedenti che cercano rifugio in Pakistan, in particolare le donne e le ragazze, i giornalisti e coloro che appartengono a comunità etniche e minoritarie, poiché corrono rischi maggiori. Se il governo pakistano non interrompe immediatamente le deportazioni, negherà a migliaia di afghani a rischio, soprattutto donne e ragazze, l’accesso alla sicurezza, all’istruzione e ai mezzi di sussistenza», ha affermato Livia Saccardi.

    Come si vive nell’Afghanistan con i talebani al potere lo denuncia CISDA, il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane, che ha pubblicato un dossier “I diritti negati delle donne afghane” che racconta la vita quotidiana delle donne afghane e ripercorre la storia del Paese fino ai giorni nostri.

    «L’Afghanistan è un Paese allo stremo, stretto nella morsa dei talebani e alla mercé degli interessi geopolitici ed economici di diversi paesi. Se per tutta la popolazione afghana vivere è una sfida quotidiana, per le donne è un’impresa impervia», ha scritto CISDA che con questa pubblicazione ha voluto ripercorre le tappe principali della storia afghana, cercando di capire chi sono i talebani di oggi e realizzando approfondimenti tematici per comprendere qual è la situazione attuale del paese. E soprattutto ha voluto dar voce alle donne afghane raccogliendo le loro storie.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/pakistan-detenzioni-e-deportazioni-contro-i-rifugiati-afghani
    #réfugiés_afghans #déportations #renvois #asile #migrations #réfugiés #Torkham #camps_de_réfugiés #centres_d'expulsion #détention_de_masse #rétention #détention #katchi_abadis #Capital_Development_Authority (#CDA)

    • Le Pakistan déclenche une vague d’abus contre les Afghans

      Les nouveaux efforts déployés par les autorités pakistanaises pour « convaincre » les Afghans de retourner en Afghanistan peuvent se résumer en un mot : abus.

      La police et d’autres fonctionnaires ont procédé à des #détentions_massives, à des #raids nocturnes et à des #passages_à_tabac contre des Afghans. Ils ont #saisi_des_biens et du bétail et détruit des maisons au bulldozer. Ils ont également exigé des #pots-de-vin, confisqué des bijoux et détruit des documents d’identité. La #police pakistanaise a parfois harcelé sexuellement des femmes et des filles afghanes et les a menacées d’#agression_sexuelle.

      Cette vague de #violence vise à pousser les réfugiés et les demandeurs d’asile afghans à quitter le Pakistan. Les #déportations que nous avons précédemment évoquées ici sont maintenant plus nombreuses – quelque 20 000 personnes ont été déportées depuis la mi-septembre. Les menaces et les abus en ont chassé bien plus : environ 355 000.

      Tout cela est en totale contradiction avec les obligations internationales du Pakistan de ne pas renvoyer de force des personnes vers des pays où elles risquent clairement d’être torturées ou persécutées.

      Parmi les personnes expulsées ou contraintes de partir figurent des personnes qui risqueraient d’être persécutées en Afghanistan, notamment des femmes et des filles, des défenseurs des droits humains, des journalistes et d’anciens fonctionnaires qui ont fui l’Afghanistan après la prise de pouvoir par les talibans en août 2021.

      Certaines des personnes menacées s’étaient vu promettre une réinstallation aux États-Unis, au Royaume-Uni, en Allemagne et au Canada, mais les procédures de #réinstallation n’avancent pas assez vite. Ces gouvernements doivent agir.

      L’arrivée de centaines de milliers de personnes en Afghanistan « ne pouvait pas arriver à un pire moment », comme l’a déclaré le Haut-Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés. Le pays est confronté à une crise économique durable qui a laissé les deux tiers de la population dans le besoin d’une assistance humanitaire. Et maintenant, l’hiver s’installe.

      Les nouveaux arrivants n’ont presque rien, car les autorités pakistanaises ont interdit aux Afghans de retirer plus de 50 000 roupies pakistanaises (175 dollars) chacun. Les agences humanitaires ont fait état de pénuries de tentes et d’autres services de base pour les nouveaux arrivants.

      Forcer des personnes à vivre dans des conditions qui mettent leur vie en danger en Afghanistan est inadmissible. Les autorités pakistanaises ont déclenché une vague d’#abus et mis en danger des centaines de milliers de personnes. Elles doivent faire marche arrière. Rapidement.

      https://www.hrw.org/fr/news/2023/11/29/le-pakistan-declenche-une-vague-dabus-contre-les-afghans
      #destruction #harcèlement

  • Fermes, coopératives... « En #Palestine, une nouvelle forme de #résistance »

    Jardins communautaires, coopératives... En Cisjordanie et à Gaza, les Palestiniens ont développé une « #écologie_de_la_subsistance qui n’est pas séparée de la résistance », raconte l’historienne #Stéphanie_Latte_Abdallah.

    Alors qu’une trêve vient de commencer au Proche-Orient entre Israël et le Hamas, la chercheuse Stéphanie Latte Abdallah souligne les enjeux écologiques qui se profilent derrière le #conflit_armé. Elle rappelle le lien entre #colonisation et #destruction de l’#environnement, et « la relation symbiotique » qu’entretiennent les Palestiniens avec leur #terre et les êtres qui la peuplent. Ils partagent un même destin, une même #lutte contre l’#effacement et la #disparition.

    Stéphanie Latte Abdallah est historienne et anthropologue du politique, directrice de recherche au CNRS (CéSor-EHESS). Elle a récemment publié La toile carcérale, une histoire de l’enfermement en Palestine (Bayard, 2021).

    Reporterre — Comment analysez-vous à la situation à #Gaza et en #Cisjordanie ?

    Stéphanie Latte Abdallah — L’attaque du #Hamas et ses répercussions prolongent des dynamiques déjà à l’œuvre mais c’est une rupture historique dans le déchaînement de #violence que cela a provoqué. Depuis le 7 octobre, le processus d’#encerclement de la population palestinienne s’est intensifié. #Israël les prive de tout #moyens_de_subsistance, à court terme comme à moyen terme, avec une offensive massive sur leurs conditions matérielles d’existence. À Gaza, il n’y a plus d’accès à l’#eau, à l’#électricité ou à la #nourriture. Des boulangeries et des marchés sont bombardés. Les pêcheurs ne peuvent plus accéder à la mer. Les infrastructures agricoles, les lieux de stockage, les élevages de volailles sont méthodiquement démolis.

    En Cisjordanie, les Palestiniens subissent — depuis quelques années déjà mais de manière accrue maintenant — une forme d’#assiègement. Des #cultures_vivrières sont détruites, des oliviers abattus, des terres volées. Les #raids de colons ont été multipliés par deux, de manière totalement décomplexée, pour pousser la population à partir, notamment la population bédouine qui vit dans des zones plus isolées. On assiste à un approfondissement du phénomène colonial. Certains parlent de nouvelle #Nakba [littéralement « catastrophe » en Arabe. Cette expression fait référence à l’exode forcé de la population palestinienne en 1948]. On compte plus d’1,7 million de #déplacés à Gaza. Où iront-ils demain ?

    « Israël mène une #guerre_totale à une population civile »

    Gaza a connu six guerres en dix-sept ans mais il y a quelque chose d’inédit aujourd’hui, par l’ampleur des #destructions, le nombre de #morts et l’#effet_de_sidération. À défaut d’arriver à véritablement éliminer le Hamas – ce qui est, selon moi, impossible — Israël mène une guerre totale à une population civile. Il pratique la politique de la #terre_brûlée, rase Gaza ville, pilonne des hôpitaux, humilie et terrorise tout un peuple. Cette stratégie a été théorisée dès 2006 par #Gadi_Eizenkot, aujourd’hui ministre et membre du cabinet de guerre, et baptisée « la #doctrine_Dahiya », en référence à la banlieue sud de Beyrouth. Cette doctrine ne fait pas de distinction entre #cibles_civiles et #cibles_militaires et ignore délibérément le #principe_de_proportionnalité_de_la_force. L’objectif est de détruire toutes les infrastructures, de créer un #choc_psychologique suffisamment fort, et de retourner la population contre le Hamas. Cette situation nous enferme dans un #cycle_de_violence.

    Vos travaux les plus récents portent sur les initiatives écologiques palestiniennes. Face à la fureur des armes, on en entend évidemment peu parler. Vous expliquez pourtant qu’elles sont essentielles. Quelles sont-elles ?

    La Palestine est un vivier d’#innovations politiques et écologiques, un lieu de #créativité_sociale. Ces dernières années, suite au constat d’échec des négociations liées aux accords d’Oslo [1] mais aussi de l’échec de la lutte armée, s’est dessinée une #troisième_voie.

    Depuis le début des années 2000, la #société_civile a repris l’initiative. Dans de nombreux villages, des #marches et des #manifestations hebdomadaires sont organisées contre la prédation des colons ou pour l’#accès_aux_ressources. Plus récemment, s’est développée une #économie_alternative, dite de résistance, avec la création de #fermes, parfois communautaires, et un renouveau des #coopératives.

    L’objectif est de reconstruire une autre société libérée du #néolibéralisme, de l’occupation et de la #dépendance à l’#aide_internationale. Des agronomes, des intellectuels, des agriculteurs, des agricultrices, des associations et des syndicats de gauche se sont retrouvés dans cette nouvelle forme de résistance en dehors de la politique institutionnelle. Une jeune génération a rejoint des pionniers. Plutôt qu’une solution nationale et étatique à la colonisation israélienne — un objectif trop abstrait sur lequel personne n’a aujourd’hui de prise — il s’agit de promouvoir des actions à l’échelle citoyenne et locale. L’idée est de retrouver de l’#autonomie et de parvenir à des formes de #souveraineté par le bas. Des terres ont été remises en culture, des #fermes_agroécologiques ont été installées — dont le nombre a explosé ces cinq dernières années — des #banques_de_semences locales créées, des modes d’#échange directs entre producteurs et consommateurs mis en place. On a parlé d’« #intifada_verte ».

    Une « intifada verte » pour retrouver de l’autonomie

    Tout est né d’une #prise_de_conscience. Les #territoires_palestiniens sont un marché captif pour l’#économie israélienne. Il y a très peu de #production. Entre 1975 et 2014, la part des secteurs de l’agriculture et de l’#industrie dans le PIB a diminué de moitié. 65 % des produits consommés en Cisjordanie viennent d’Israël, et plus encore à Gaza. Depuis les accords d’Oslo en 1995, la #production_agricole est passée de 13 % à 6 % du PIB.

    Ces nouvelles actions s’inscrivent aussi dans l’histoire de la résistance : au cours de la première Intifada (1987-1993), le #boycott des taxes et des produits israéliens, les #grèves massives et la mise en place d’une économie alternative autogérée, notamment autour de l’agriculture, avaient été centraux. À l’époque, des #jardins_communautaires, appelés « les #jardins_de_la_victoire » avait été créés. Ce #soulèvement, d’abord conçu comme une #guerre_économique, entendait alors se réapproprier les #ressources captées par l’occupation totale de la Cisjordanie et de la #bande_de_Gaza.

    Comment définiriez-vous l’#écologie palestinienne ?

    C’est une écologie de la subsistance qui n’est pas séparée de la résistance, et même au-delà, une #écologie_existentielle. Le #retour_à_la_terre participe de la lutte. C’est le seul moyen de la conserver, et donc d’empêcher la disparition totale, de continuer à exister. En Cisjordanie, si les terres ne sont pas cultivées pendant 3 ou 10 ans selon les modes de propriété, elles peuvent tomber dans l’escarcelle de l’État d’Israël, en vertu d’une ancienne loi ottomane réactualisée par les autorités israéliennes en 1976. Donc, il y a une nécessité de maintenir et augmenter les cultures, de redevenir paysans, pour limiter l’expansion de la #colonisation. Il y a aussi une nécessité d’aller vers des modes de production plus écologiques pour des raisons autant climatiques que politiques. Les #engrais et les #produits_chimiques proviennent des #multinationales via Israël, ces produits sont coûteux et rendent les sols peu à peu stériles. Il faut donc inventer autre chose.

    Les Palestiniens renouent avec une forme d’#agriculture_économe, ancrée dans des #savoir-faire_ancestraux, une agriculture locale et paysanne (#baladi) et #baaliya, c’est-à-dire basée sur la pluviométrie, tout en s’appuyant sur des savoirs nouveaux. Le manque d’#eau pousse à développer cette méthode sans #irrigation et avec des #semences anciennes résistantes. L’idée est de revenir à des formes d’#agriculture_vivrière.

    La #révolution_verte productiviste avec ses #monocultures de tabac, de fraises et d’avocats destinée à l’export a fragilisé l’#économie_palestinienne. Elle n’est pas compatible avec l’occupation et le contrôle de toutes les frontières extérieures par les autorités israéliennes qui les ferment quand elles le souhaitent. Par ailleurs, en Cisjordanie, il existe environ 600 formes de check-points internes, eux aussi actionnés en fonction de la situation, qui permettent de créer ce que l’armée a nommé des « #cellules_territoriales ». Le #territoire est morcelé. Il faut donc apprendre à survivre dans des zones encerclées, être prêt à affronter des #blocus et développer l’#autosuffisance dans des espaces restreints. Il n’y a quasiment plus de profondeur de #paysage palestinien.

    « Il faut apprendre à survivre dans des zones encerclées »

    À Gaza, on voit poindre une #économie_circulaire, même si elle n’est pas nommée ainsi. C’est un mélange de #débrouille et d’#inventivité. Il faut, en effet, recycler les matériaux des immeubles détruits pour pouvoir faire de nouvelles constructions, parce qu’il y a très peu de matériaux qui peuvent entrer sur le territoire. Un entrepreneur a mis au point un moyen d’utiliser les ordures comme #matériaux. Les modes de construction anciens, en terre ou en sable, apparaissent aussi mieux adaptés au territoire et au climat. On utilise des modes de production agricole innovants, en #hydroponie ou bien à la #verticale, parce que la terre manque, et les sols sont pollués. De nouvelles pratiques énergétiques ont été mises en place, surtout à Gaza, où, outre les #générateurs qui remplacent le peu d’électricité fournie, des #panneaux_solaires ont été installés en nombre pour permettre de maintenir certaines activités, notamment celles des hôpitaux.

    Est-ce qu’on peut parler d’#écocide en ce moment ?

    Tout à fait. Nombre de Palestiniens emploient maintenant le terme, de même qu’ils mettent en avant la notion d’#inégalités_environnementales avec la captation des #ressources_naturelles par Israël (terre, ressources en eau…). Cela permet de comprendre dans leur ensemble les dégradations faites à l’#environnement, et leur sens politique. Cela permet aussi d’interpeller le mouvement écologiste israélien, peu concerné jusque-là, et de dénoncer le #greenwashing des autorités. À Gaza, des #pesticides sont épandus par avion sur les zones frontalières, des #oliveraies et des #orangeraies ont été arrachées. Partout, les #sols sont pollués par la toxicité de la guerre et la pluie de #bombes, dont certaines au #phosphore. En Cisjordanie, les autorités israéliennes et des acteurs privés externalisent certaines #nuisances_environnementales. À Hébron, une décharge de déchets électroniques a ainsi été créée. Les eaux usées ne sont pas également réparties. À Tulkarem, une usine chimique considérée trop toxique a été également déplacée de l’autre côté du Mur et pollue massivement les habitants, les terres et les fermes palestiniennes alentour.

    « Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement »

    Les habitants des territoires occupés, et leur environnement — les plantes, les arbres, le paysage et les espèces qui le composent — sont attaqués et visés de manière similaire. Ils sont placés dans une même #vulnérabilité. Pour certains, il apparaît clair que leur destin est commun, et qu’ils doivent donc d’une certaine manière résister ensemble. C’est ce que j’appelle des « #résistances_multispécifiques », en écho à la pensée de la [philosophe féministe étasunienne] #Donna_Haraway. [2] Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement. Une même crainte pour l’existence. La même menace d’#effacement. C’est très palpable dans le discours de certaines personnes. Il y a une lutte commune pour la #survie, qui concerne autant les humains que le reste du vivant, une nécessité écologique encore plus aigüe. C’est pour cette raison que je parle d’#écologisme_existentiel en Palestine.

    Aujourd’hui, ces initiatives écologistes ne sont-elles pas cependant menacées ? Cet élan écologiste ne risque-t-il pas d’être brisé par la guerre ?

    Il est évidemment difficile d’exister dans une guerre totale mais on ne sait pas encore comment cela va finir. D’un côté, on assiste à un réarmement des esprits, les attaques de colons s’accélèrent et les populations palestiniennes en Cisjordanie réfléchissent à comment se défendre. De l’autre côté, ces initiatives restent une nécessité pour les Palestiniens. J’ai pu le constater lors de mon dernier voyage en juin, l’engouement est réel, la dynamique importante. Ce sont des #utopies qui tentent de vivre en pleine #dystopie.

    https://reporterre.net/En-Palestine-l-ecologie-n-est-pas-separee-de-la-resistance
    #agriculture #humiliation #pollution #recyclage #réusage #utopie

    • La toile carcérale. Une histoire de l’enfermement en Palestine

      Dans les Territoires palestiniens, depuis l’occupation de 1967, le passage par la prison a marqué les vécus et l’histoire collective. Les arrestations et les incarcérations massives ont installé une toile carcérale, une détention suspendue. Environ 40 % des hommes palestiniens sont passés par les prisons israéliennes depuis 1967. Cet ouvrage remarquable permet de comprendre en quoi et comment le système pénal et pénitentiaire est un mode de contrôle fractal des Territoires palestiniens qui participe de la gestion des frontières. Il raconte l’envahissement carcéral mais aussi la manière dont la politique s’exerce entre Dedans et Dehors, ses effets sur les masculinités et les féminités, les intimités. Stéphanie Latte Abdallah a conduit une longue enquête ethnographique, elle a réalisé plus de 350 entretiens et a travaillé à partir d’archives et de documents institutionnels. Grâce à une narration sensible s’apparentant souvent au documentaire, le lecteur met ses pas dans ceux de l’auteure à la rencontre des protagonistes de cette histoire contemporaine méconnue.

      https://livres.bayard-editions.com/livres/66002-la-toile-carcerale-une-histoire-de-lenfermement-en-pal
      #livre

  • Le calvaire des #femmes palestiniennes dans les #prisons israéliennes

    Au cours des 74 dernières années, Israël a arrêté plus de 10 000 femmes palestiniennes, les soumettant à des traitements cruels et brutaux… Elles sont anciennes détenues ou membres d’association de défense des droits des prisonniers. Elles dénoncent les #conditions_de_détention, les #agressions, le #harcèlement, les #attouchements, le retrait du voile, mais aussi la #torture, les #raids ou la #négligence_médicale. Car au-delà de l’enfermement, la peine est aussi politique et religieuse.

    https://www.rfi.fr/fr/podcasts/grand-reportage/20230324-le-calvaire-des-femmes-palestiniennes-dans-les-prisons-isra%C3%A9lienne
    #emprisonnement #femmes_palestiniennes #Israël #audio #podcast #patriarcat

  • #Libye : preuves de #crimes_de_guerre et de #crimes_contre_l’humanité, selon des experts de l’#ONU

    Parmi les exactions dénoncées par la mission onusienne : des attaques contre des écoles ou des hôpitaux ou encore les violences subies par les migrants.

    Des crimes de guerre et des crimes contre l’humanité ont été commis en Libye depuis 2016, a conclu une #mission d’#enquête d’experts de l’ONU après une enquête sur place, indique l’AFP ce lundi, confirmant des faits dénoncés de longue date.

    La mission souligne que « les civils ont payé un lourd tribut » aux #violences qui déchirent la Libye depuis cinq ans, notamment en raison des attaques contre des écoles ou des hôpitaux. « Les #raids_aériens ont tué des dizaines de familles. La destruction d’infrastructures de santé a eu un impact sur l’#accès_aux_soins et les #mines_antipersonnel laissées par des #mercenaires dans des zones résidentielles ont tué et blessé des civils », souligne le rapport.

    Par ailleurs, les #migrants sont soumis à toutes sortes de violences « dans les #centres_de_détention et du fait des trafiquants », en tentant de trouver un passage vers l’Europe en Libye, a dénoncé l’un des auteurs de l’enquête. « Notre enquête montre que les #agressions contre les migrants sont commises à une large échelle par des acteurs étatiques et non étatiques, avec un haut degré d’organisation et avec les encouragements de l’Etat - autant d’aspects qui laissent à penser qu’il s’agit de crimes contre l’humanité ».

    Les #prisons

    Les experts soulignent aussi la situation dramatique dans les prisons libyennes, où les détenus sont parfois torturés quotidiennement et les familles empêchées de visiter. La #détention_arbitraire dans des #prisons_secrètes et dans des conditions insupportables est utilisée par l’Etat et les #milices contre tous ceux qui sont perçus comme une menace.

    « La violence est utilisée à une telle échelle dans les prisons libyennes et à un tel degré d’organisation que cela peut aussi potentiellement constituer un crime contre l’humanité », a souligné Tracy Robinson.

    Les auteurs du rapport notent que la justice libyenne enquête également sur la plupart des cas évoqués par la mission de l’ONU, mais notent que « le processus pour punir les gens coupables de violations ou de #maltraitances est confronté à des défis importants ».

    La mission composée de trois experts, Mohamed Auajjar, Chaloka Beyani et Tracy Robinson, a rassemblé des centaines de documents, interviewé 150 personnes et menée l’enquête en Libye même, mais aussi en Tunisie et en Italie.

    Cette mission indépendante a toutefois décidé de ne pas publier « la liste des individus et groupes (aussi bien libyens qu’étrangers) qui pourraient être responsables pour les violations, les abus et les crimes commis en Libye depuis 2016 ». « Cette liste confidentielle le restera, jusqu’à ce que se fasse jour le besoin de la publier ou de la partager » avec d’autres instances pouvant demander des comptes aux responsables.

    Le rapport doit être présenté au Conseil des droits de l’homme à Genève - la plus haute instance de l’ONU dans ce domaine - le 7 octobre.

    https://www.liberation.fr/international/afrique/libye-preuves-de-crimes-de-guerre-et-de-crimes-contre-lhumanite-selon-des

    #torture #migrations #rapport

  • #SalePute

    Loin d’être un phénomène isolé, le #cyberharcèlement touche en majorité les #femmes. Une enquête édifiante sur ce déferlement de #haine virtuelle, aux conséquences bien réelles. Avec le #témoignage d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, et de spécialistes de la question, qui en décryptent les dimensions sociologiques, juridiques et sociétales.

    Les femmes sont vingt-sept fois plus susceptibles que les hommes d’être harcelées via #Internet et les #réseaux_sociaux. Ce constat, dressé par l’European Women’s Lobby en 2017, prouve que les #cyberviolences envers les femmes ne sont pas une addition d’actes isolés, mais un fléau systémique. Plusieurs études sociologiques ont montré qu’il était, en majorité, le fait d’hommes, qui, contrairement aux idées reçues, appartiendraient à des milieux plutôt socio-économiques plutôt favorisés. Se sentant protégés par le caractère virtuel de leurs actions, les auteurs de ces violences s’organisent et mènent parfois des « #raids_numériques », ou #harcèlement_en_meute, aux conséquences, à la fois personnelles et professionnelles, terribles pour les victimes. Celles-ci, lorsqu’elles portent plainte, n’obtiennent que rarement #justice puisqu’elles font face à une administration peu formée sur le sujet, à une législation inadaptée et à une jurisprudence quasi inexistante. Les plates-formes numériques, quant à elles, sont encore très peu régulées et luttent insuffisamment contre le harcèlement. Pour Anna-Lena von Hodenberg, directrice d’une association allemande d’aide aux victimes de cyberharcèlement, le phénomène est une menace directe à la #démocratie : « Si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se fassent écarter de cet #espace_public [Internet, NDLR] et disparaissent, alors nous n’aurons plus de #débat_démocratique, il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort ».

    Acharnement haineux
    #Florence_Hainaut et #Myriam_Leroy, deux journalistes belges cyberharcelées, recueillent les témoignages d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, (dont la chroniqueuse de 28 minutes #Nadia_Daam, l’humoriste #Florence_Mendez ou encore l’auteure #Pauline_Harmange), elles aussi insultées et menacées sur le Net. En partant des messages malveillants reçus par ces dernières, le duo de réalisatrices enquête sur la prolifération de la haine en ligne auprès de différents spécialistes de la question, qui décryptent les aspects sociologiques, juridiques ou encore sociétaux du cyberharcèlement.

    https://www.arte.tv/fr/videos/098404-000-A/salepute

    –-> déjà signalé sur seenthis (https://seenthis.net/messages/919957 et https://seenthis.net/messages/920100), mais je voulais y ajouter des mots-clé et citations...

    #Renaud_Maes, sociologue (à partir de la min 16’30)

    « Généralement c’est plutôt des hommes qui agressent sur internet et c’est plutôt des gens qui viennent de milieux socio-économiques plus favorisés (...), des gens qui viennent de la classe moyenne, voire de la classe moyenne supérieure. Cela permet de révéler quelque chose qu’on croit relativement absent : il existe une violence structurelle dans nos société, il existe une domination structurelle et on s’en est pas débarrassés. Clairement, encore aujourd’hui, c’est pas facile d’être un homosexuel, c’est pas facile d’être une femme, c’est pas facile d’être une personne racisée, c’est encore moins facile si on commence à avoir plusieurs attributs au même temps. C’est quelque chose qui parfait ne transparaît pas dans le monde social, parce qu’on a plus de self-control. Avec internet on voit bien que le problème est bien là et que dès qu’on a eu l’occasion d’enlever un peu de #contrôle_social, d’avoir, ne fut-ce que l’illusion, car ce n’est pas forcément vrai, moins de conséquences immédiatement les choses sont mises à nu. Et on voit qu’il y a de la violence, il y a du #rejet des personnes homosexuelles, il y a de la misogynie, il y a du racisme. »

    #Ketsia_Mutombo, co-fondatrice du collectif « Féministes contre le harcèlement » (à partir de la min 22’30) :

    « On est encore dans des sociétés où la parole publique ou l’espace public n’est pas fait pour les femmes, n’est pas fait pour les groupes minorés. On est pensé comme des personnes qui doivent rester dans l’espace domestique, s’acquitter du travail domestique, familial, relationnel, mais ne pas prendre la place. »

    #Laurence_Rosier, linguiste (à partir de la min 22’45) :

    "Les femmes qui s’expriment, elles s’expriment dans la place publique. (...) Et à partir du moment où ’elles l’ouvrent’, elles se mettent en #danger parce qu’elles vont en général tenir une parole qui n’est pas la parole nécessairement attendue. C’est quoi une parole attendue depuis des lustres ? C’est que la femme au départ elle doit respecter les #convenances, donc elle doit être polie, c’est elle qui fait l’éducation à la politesse des enfants, elle doit être mesurée, en retenue, pas violente. Et dès qu’elle adopte un ton qui n’est pas celui-là, qui est véhément, qui est agressif, qui est trivial, sexuel... et bien, on va lui faire sentir que justement elle sort des codes établis et elle va être punie

    #Lauren_Bastide (à partir de la minute 22’18) :

    « Je trouve que le cyberhacèlement a beaucoup de résonance avec le #viol et la #culture_du_viol, qu’il y a ce continuum de la simple interpellation dans la rue au viol. Pour moi c’est pareil, il y a le petit mot écrit, le petit commentaire un peu haineux sous ta photo et puis le raid qui fout ta vie par terre. Il y a cette espèce de #tolérance de la société pour ça... ’c’est le tarif en fait... il ne fallait pas sortir la nuit, il ne fallait pas te mettre en jupe’. ’Bhein, oui, c’est le tarif, t’avais qu’à pas avoir d’opinion politique, t’avais qu’à pas avoir un métier visible. Les conséquences qu’il peut y avoir c’est que les femmes sont moins prêtes à parler, c’est plus difficile pour elles. Prendre la parole dans l’espace public quand on est une femme c’est l’#enfer. Il faut vraiment être très blindée, très sure de soi pour avoir la force d’y aller. Surtout quand on va exprimer une opinion politique »

    #Anna-Lena_von_Hodenberg, Hate aid (à partir de la minute 33’48) :

    « Nous devons réaliser qu’internet c’est l’espace public au même titre que la vie physique. »

    #Emma_Jane, autrice du livre Misogyny Online (à partir de la minute 35’30), en se référant au fait que le sujet n’est pas vraiment traité sérieusement...

    "La plupart des politiciens sont de vieux hommes blancs, ils ne reçoivent pas d’insulte raciste, ils ne reçoivent pas d’insultes sexistes, ils n’ont pas grandi avec internet.

    #Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 39’20) :

    « Ce qui est choquant ce n’est pas seulement la haine dont j’ai été la cible, mais le fait que beaucoup de femmes sont visées par ce type de violence sexualisée. (...) On se sent personnellement visé, mais il s’agit d’un problème systémique, c’est caractéristique de l’extrême droite qui ne supporte pas que les femmes soient autre chose que des femmes au foyer et qu’elles jouent un rôle actif dans la société. (...) Il ne s’agissait pas d’une phrase, mais de milliers de messages qui ne disparaîtraient jamais. Pour toutes ces raisons j’ai porté plainte. Et j’ai été stupéfaite quand la réponse, se basant selon moi sur une mauvaise interprétation de la jurisprudence a été qu’en tant que femme politique je devais accepter ce genre de messages. (...) ’Détritus de chatte’, pour les juges en Allemagne, c’était de la liberté d’expression’. »

    #Laurence_Rosier (à partir de la minute 41’35) :

    « La liberté d’expression est invoquée aujourd’hui, pas dans tous les cas, mais dans beaucoup de cas, pour justifier des discours de haine. Et les discours de haine c’est pas soudain que la haine sort, c’est parce que ça a été permis et favorisé par ’oh, une petite blague sexiste, une petite tape sur l’épaule, un petit mot d’abord gentil’ et que progressivement on libère le niveau du caniveau. »

    #Florence_Mendez, humoriste (à partir de la minute 43’01) :

    « Le sexisme que même pour moi était acceptable avant, parce qu’on a toutes nagé dans cette mer en ce disant ’ça va, l’eau n’est pas si salée, je peux en boire encore un peu !’... On a toutes laissé passé ça. Et maintenant il y a des choses qui sont juste insupportables. (...) Je ne laisse plus rien passer du tout, rien passer du tout dans ma vie de tous les jours. »

    #Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 43’25) :

    « ça me rappelle ce slogan des mouvements féministes des années 1970 : ’Le pouvoir des hommes est la patience des femmes’. Il faut juste qu’on arrête d’être patientes. »

    Anna-Lena von Hodenberg (à partir de la minute 47’32) :

    « Si on laisse courir les choses, sans régulation, sans poursuites judiciaires, si en tant que société on continue à rester des témoins passifs, alors ça aura des conséquences massives sur nos démocraties. Nous voyons déjà maintenant aux Etats-Unis : la polarisation. Nous l’avons vu en Grande-Bretagne pendant le Brexit. Et ça, c’est juste un avant-goût. Le net est l’espace public le plus important que nous avons, si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se font écarter de cet espace public, qu’elles disparaissent, alors nous n’avons plus de débat démocratique, alors il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort et par conséquent, dans le débat public, régnera la loi du plus fort. Et ça, dans nos cultures démocratiques, nous ne pouvons pas l’accepter. »

    Voix off (à partir de la minute 52’40) :

    « ’Fermer sa gueule’, c’est déserter les réseaux, c’est changer de métier, adopter un ton très polissé, c’est refuser des opportunités quand elles sont trop exposées. Et serrer les dents quand on est attaqué, ne surtout pas donner l’impression de se plaindre. »

    #Florence_Mendez (à partir de la minute 53’40) :

    «C’est la fin de la tranquillité.»

    #fait_de_société #cyber-harcèlement #menaces #santé_mentale #violence_structurelle #domination_structurelle #misogynie #racisme #sexisme #intersectionnalité #insulte #espace_numérique #punition #code_établi #plainte #impunité #extrême_droite #fachosphère #liberté_d'expression #polarisation #démocratie #invisibilisation #silenciation #principe_de_la_nasse #nasse
    #documentaire #film_documentaire

    ping @isskein @_kg_ @karine4 @cede

  • #Syrie : #raids sanglants du régime près de Damas

    Au moins 82 personnes, en majorité des civils, ont été tuées dimanche 16 août par des frappes aériennes du régime de Bachar Al-Assad sur un fief rebelle près de Damas, et 250 autres ont été blessées.


    http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2015/08/16/syrie-raids-sanglants-du-regime-pres-de-damas_4727077_3218.html
    #conflit

  • Reportage photographique : les civils yéménites pris entre deux feux

    A l’amorce d’une troisième semaine de #raids_aériens sur le Yémen, et alors que la guerre civile fait toujours rage, un nombre croissant de civils se retrouvent pris entre deux feux. Les Yéménites ordinaires, depuis longtemps parmi les habitants les plus pauvres du Moyen-Orient, subissent de plus en plus les raids aériens menés par les Saoudiens et les représailles des rebelles houthistes.

    http://newirin.irinnews.org/divers/2015/4/9/reportage-photographique-les-civils-ymnites-pris-entre-deux-feux
    #Yémen #photographie
    cc @albertocampiphoto

  • Israeli #assault on Palestinians: Live Coverage
    http://english.al-akhbar.com/node/20496

    At least 103 Palestinians — the vast majority of whom are civilians — have been killed and over 700 injured so far since a massive Israeli air and naval assault against the besieged #Gaza Strip was launched on July 8. Homes, markets, and vital infrastructure have been targeted by the Israeli military, causing destruction and over 1,000 displaced people.

    #Articles #deaths #illegal_settlements #Israel #Palestine #Protests #raids #west_bank

  • A #Naples, des #raids nocturnes anti-immigrés
    http://fr.myeurop.info/2013/08/28/a-naples-des-raids-nocturnes-anti-immigr-s-12054

    Benjamin Leclercq

    En ce mois d’août, dans les rues désertées par des Napolitains en vacances et évitées par les touristes prudents, de très jeunes Italiens mènent, la nuit, des raids anti-immigrés. Deux Africains ont été blessés ces derniers jours.

    Sur leurs scooters, de jeunes Italiens, arme à feu à la main, (...)

    #Société #Italie #actes_racistes #extrême_droite #immigration #racisme