• #Roma_negata. Percorsi postcoloniali nella città
    Un viaggio attraverso la città per recuperare dall’oblio un passato coloniale disconosciuto.

    Libia, Somalia, Eritrea, Etiopia: quali sono le tracce dell’avventura coloniale italiana a Roma? Roma negata è un viaggio attraverso la città per recuperare dall’oblio un passato coloniale disconosciuto e dare voce a chi proviene da quell’Africa che l’Italia ha prima invaso e poi dimenticato. Igiaba Scego racconta i luoghi simbolo di quel passato coloniale; Rino Bianchi li fotografa, assieme agli eredi di quella storia. Il risultato è una costruzione narrativa e visiva di un’Italia decolonizzata, multiculturale, inclusiva, dove ogni cittadino possa essere finalmente se stesso. Negli anni trenta del secolo scorso Asmara, Mogadiscio, Macallè, Tripoli, Adua erano nomi familiari agli italiani. La propaganda per l’impero voluta da Benito Mussolini era stata battente e ossessiva. Dai giochi dell’oca ai quaderni scolastici, per non parlare delle parate, tutto profumava di colonie. Di quella storia ora si sa poco o niente, anche se in Italia è forte la presenza di chi proviene da quelle terre d’Africa colonizzate: ci sono eritrei, libici, somali, etiopi. Il libro riprende la materia dell’oblio coloniale e la tematizza attraverso alcuni luoghi di Roma che portano le tracce di quel passato dimenticato. I monumenti infatti, più di altre cose, ci parlano di questa storia, dove le ombre sono più delle luci. Prende vita così un’analisi emozionale dei luoghi voluti a celebrazione del colonialismo italiano, attraverso un testo narrativo e delle fotografie. In ogni foto insieme al monumento viene ritratta anche una persona appartenente a quell’Africa che fu colonia dell’Italia. Scego e Bianchi costruiscono così un percorso di riappropriazione della storia da parte di chi è stato subalterno. «Volevamo partire dal Corno D’Africa, dall’umiliazione di quel colonialismo crudele e straccione, perché di fatto era in quel passato che si annidava la xenofobia del presente (…) Da Roma negata emerge quel Corno d’Africa che oggi sta morendo nel Mediterraneo, disconosciuto da tutti e soprattutto da chi un tempo l’aveva sfruttato».

    https://www.ediesseonline.it/prodotto/roma-negata

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    Citations :

    «Ma non tutte le memorie, lo stavo scoprendo con il tempo, avevano lo stesso trattamento.
    C’erano memorie di serie B e serie C. Memorie che nessuno voleva ricordare, perché troppo scomode, troppo vere.»

    (pp.16-17)

    «Ahi, il colonialismo italiano ferita mai risanata, ferita mai ricucita, memoria obliata»

    (p.18)

    «Ora la stele sta ad Axum, insieme alle sue sorelle etiopi. Ma a Piazza di Porta Capena cos’è rimasto di quel passaggio?
    Solo vuoto, solo silenzio, assenza, oblio, smemoratezza in salsa italica».

    (p.18)

    «E anche dimenticare la storia che lega Africa e Italia è un’infamia. Perché dimenticandola si dimentica di essere stati infami, razzisti, colonialisti. Italiani brava gente, ti dicono i più autoassolvendosi, e si continua beatamente a rifare gli stessi errori. Ieri i colonizzati, oggi i migranti, vittime di un sistema che si autogenera e autoassolve. Ecco perché sono ossessionata dai luoghi. E’ da lì che dobbiamo ricominciare un percorso diverso, un’Italia diversa.»

    (p.25)

    Sur le Cinema Impero :

    «Il colonialismo italiano era davanti ai loro occhi tutti i giorni con i suoi massacri, i suoi stupri, la sopraffazione dei corpi e delle menti. Era lì con la sua storia di lacrime e di sangue sparso. Era lì a testimoniare quel legame tra Africa e Italia. Un legame violento, cattivo, sporco e non certo piacevole. Anche nel nome quel cinema era violento. L’impero era quello che Benito Mussolini sognava per aver prestigio davanti alle altre potenze europee e soprattutto davanti a quell’Adolf Hitler che lo preoccupava tanto. L’imprero era quello del Mare Nostrum dove le faccette nere sarebbero state costrette a partorire balilla per la nazione tricolore. L’impero era quello che era riapparso ’sui colli fatali di Roma’. Un impero che Benito Mussolini nel discorso del 9 maggio 1936 aveva dichiarato
    ’Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane’.
    Era la violenza delle squadracce, ma anche gli sventramenti indiscriminati del tessuto urbano delle città africane.
    L’Africa colonizzata dagli italiani si rempì così di archi di trionfo, busti pavoneggianti, palazzi improbabili. In Somalia per esempio De Vecchis, uno dei quadrumviri della marcia su Roma, aveva voluto costruire una cattedrale che fosse l’esatta copia di quella di Cefalù con le sue due torri altissime. Una volta costruita alcuni somali notarono l’altezza sproporzionata delle torri rispetto ai palazzi nei dintorni e cominciarono a definire la costruzione ’la doppia erezione’. E poi come dimenticare il faro di Capo Guardafui trasformato in un fascio littorio? Asmara (ma in generale l’Eritrea) fu quella che però subì più trasformazioni di tutti. Infatti fu chiamata da più parti la piccola Roma. Tra il 1935 e il 1941 gli architetti italiani si sbizzarrirono in questa città creando uno stile assai stravagante che mischiava modernismo, futurismo e un teutonico stile littorio.»

    (pp.32-33)

    Poésie de Ulisse Barbieri (anarchico poeta direttore del giornale « Combattiamo »), Dopo il disastro :

    «No, non è patriottismo, no, per DIO!
    Al massacro mandar nuovi soldati,
    Né tener lì... quei che si son mandati
    Perché dei vostri error paghino il Fio!
    Ma non capire... o branco di cretini...
    Che i patriotti... sono gli Abissini?»

    (p.56)

    «Il Risorgimento, se vogliamo dare anche questa lettura, fu la lotta di liberazione degli italiani dal dominio straniero, dal dominio coloniale. Una liberazione portata avanti da un’élite che si era legata ad uno strano potere monarchico, quello dei Savoia, ma pur sempre una liberazione. Ecco perché il colonialismo italiano è tra quelli europei uno dei più assurdi. Gli italiani, che avevano sperimentato sulla propria pelle il giogo straniero, ora volevano sottoporre lo stesso trattamento brutale a popolazioni che mai si erano sognate di mettersi contro l’Italia. Ma l’Italia voleva il suo posto al sole. Questa espressione sarà usata nel secolo successivo da Benito Mussolini per la guerra d’Etiopia, ma disegna bene le mire espansionistiche italiane anche durante questi primi passi come nazione neocoloniale. L’Italia, questa giovincella, viveva di fatto un complesso di inferiorità verso l’altra Europa, quella ricca, che conquistava e dominava. Si sentiva da meno di Gran Bretagna e Francia. Si sentiva sola e piccolina. Per questo l’Africa si stava affacciando nei pensieri di questa Italietta provinciale e ancora non del tutto formata. L’Italia voleva contare. Voleva un potere negoziale all’interno del continente europeo. E pensò bene (anzi male, malissimo!) di ottenerlo a spese dell’Africa.»

    (pp.56-57)

    «Venne infatti collocato davanti al monumento ai caduti un leone in bronzo proveniente direttamente da Addis Abeba. Non era un leone qualsiasi, bensì il celeberrimo #Leone_di_Giuda, simbolo che suggellava il patto dell’Etiopia con Dio. Sigillo, quindi, della tribù di Giuda, dal quale discendevano molti profeti e Cristo stesso.»

    (p.61)

    #Piazza_dei_cinquecento

    «E chi lo immaginava che proprio questa piazza babilonia fosse legata alal storia del colonialismo italiano? Infatti i cinquecento citati nel nome della piazza sono i cinquecento caduti di Dogali. Non so bene quando l’ho scoperto. Forse l’ho sempre saputo. E forse anche per questo, per un caso fortuito della vita, è diventata la piazza dei somali, degli eritrei, degli etiopi e anche di tutti gli altri migranti. Una piazza postcoloniale suo malgrado, quasi per caso. Perché è qui che la storia degli italiani in Africa orientale è stata cancellata. Nessuno (tranne pochi) sa chi sono stati i cinquecento o che cosa è successo a Dogali».

    (p.68)

    «Quello che successe in quei vent’anni scerellati non era solo il frutto di Benito Mussolini e dei suoi sgherri, ma di una partecipazione allargata del popolo italiano.
    Ed è forse questo il punto su cui non si è mai lavorato in Italia. In Germania per esempio non solo ci fu il processo di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti, ma anche un lavoro incessante e certosino sulla memoria. Nel nostro paese si preferì invece voltare pagina senza capire, interiorizzare, percorrere la memoria delle atrocità vissute e/o perpetrate. In Italia la memoria è divisa o dimenticata. Mai studiata, mai analizzata, mai rivissuta, mai ripensata. Soprattutto la storia in Italia non è mai stata decolonizzata. Il colonialismo fu inghiottito da questo oblio e quelli che furono dei punti di riferimento simbolici del fascismo furono lasciati andare alla deriva come fossero delle zattere fantasma in un fiume di non detto.»

    (p.87)

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    Obelisco di Axum, sur la Piazza Capena :

    «#Piazza_di_Porta_Capena fu teatro di alcune manifestazioni, e alcune riguardarono proprio le proteste per la restituzione dell’obelisco all’Etiopia. Ma in generale si può dire che il monumento era di fatto dimenticato. Stava lì, i romani lo sapevano, ma non ci facevano più tanto caso.
    Era lì, sola, immobile, eretta, dimenticata...
    Era lì lontana da casa...
    Era lì spogliata di ogni significato.
    Era giusto uno spartitraffico. Più imponente e raffinato di altri... certo, ma non tanto dissimile dai tanti alberi spennacchiati che svolgevano la stessa funzione in giro per la città.
    Nessuno per anni si occupò della stele. Qualcuno di tanto in tanto vagheggiava una ipotetica restituzione. Ma tutto era lento, tutto sembrava quasi impossibile.»

    (p.90)
    –-> 2005 :

    «Poi i soldi si trovarono e la stele ritornò a casa tra canti e balli popolari»

    (p.95)
    Et une fois restitué...

    «Ma il vuoto, mi chiedo, non si poteva colmare?
    Improvvisamente Piazza di Porta Capena divenne invisibile. Lo era già prima con la stele. Ma almeno con lei presente capitava che qualche romano la guardasse distrattamente e si interrogasse altrettanto distrattamente. Ma senza la stele il luogo è rimasto un non detto. Tutta la storia, tutto il dolore, tutte le nefandezze sparite con un colpo di spugna.»

    (p.96)

    «Quello che mi colpisce di questa polemica, di chi era contrario a una nuova stele e chi era a favore di un monumento nel sito del fu obelisco di Axum, è la totale assenza del dibattito del colonialismo italiano.
    Nessuno, da Fuksas a La Rocca, nominò mai i crimini di guerra che l’Italia fascista aveva compiuto contro l’Africa. Nessuno sottolineò il fatto che quella stele era un bottino di guerra. Nessuno percepì quel vuoto nella piazza come un vuoto di memoria. Anche un urbanista serio e sensibile come Italo Insolera disse non a caso che di obelischi era piena la città.
    Ora un monumento è stato messo. Ne ho parlato all’inizio del nostro viaggio. Un monumento per ricordare le vittime dell’11 settembre. Due colonne anonime di cui i romani ignorano il significato.»

    (pp.97-98)

    «La memoria non è negare quello che è stato, ma rielaborare quella vita passata, contestualizzarla e soprattutto non dimenticarla.»

    (p.101)

    «E poi la democrazia non si insegna, non si esporta, non si crea dal nulla. La democrazia è un moto spontaneo dell’anima. Ognuno ha il suo modo, i suoi tempi, le sue sfumature.»

    (p.103)

    Sur l’inscription sur le #Ponte_Principe_Amedeo_di_Savoia :

    «Comandante superiore delle forze armate dell’Africa Orientale Italiana durante unidici mesi di asperrima lotta isolato alla Madre Patria circondato dal nemico soverchiante per mezzo per forze confermava la già sperimentata capacità di condottiero sagace ed eroico. Aviatore arditissimo instancabile animatore delle proprie truppe le guidava ovunque per terra sul mare nel cielo in vittoriose offensive in tenaci difese impegnando rilevanti forze avversarie. Assediato nel ristretto ridotto dell’#Amba_Alagi alla testa di una schiera di prodi resisteva oltre il limite delle umane possibilità in un titanico sforzo che si imponeva all’ammirazione dello stesso nemico. Fedele continuatore delle tradizioni guerriere della stirpe sabauda puro simbolo delle romane virtù dell’Italia Imperiale Fascista. Africa Orientale Italiana 10 Giugno 1940, XVIII 18 maggio 1941. Motivazione della Medaglia d’Oro al valor militare conferita per la difesa dell’Impero.»

    «Ad Asmara gli abitanti del villaggio di Beit Mekae, che occupavano la collina più alta della città, furono cacciati via per creare il campo cintato, ovvero il primo nucleo della città coloniale, una zona interdetta agli eritrei. Una zona solo per bianchi. Quanti conoscono l’apartheid italiano? Quanti se ne vergognano?»

    (p.107)

    «Girando per Roma questo si percepisce molto bene purtroppo. I luoghi del colonialismo in città vengono lasciati nel vouto (Axum), nell’incuria (Dogali), nell’incomprensione (quartiere africano). Si cancella quello che è troppo scomodo. E’ scomodo per l’Italia ammettere di essere stata razzista. E’ scomodo ammettere che il razzismo di oggi ha forti radici in quello di ieri. E’ scomodo ammettere che si è ultimi anche nel prendersi le proprie responsabilità.»

    (p.107)

    «Etiopia e Eritrea avevano imbracciato le armi per una contesa sorta sul confine di Badme. Il confine era stato tracciato in modo incerto nel 1902 tra l’Italia (allora paese colonizzatore dell’Eritrea) e il regno d’Etiopia. E dopo più di un secolo Etiopia ed Eritrea si combattevano per quel mal nato confine coloniale»

    (p.112)

    «L’Europa è colpevole tutta per lo sfacelo di morte e dolore che sta riversando in uno dei mari più belli del mondo.»

    (p.124)

    «Per la maggior parte degli italiani, e dei media, erano semplicemente disperati, i soliti miserabili morti di fame (quasi un’icona, come il bambino del Biafra macilento e schelettrico), in fuga da guerra, dittatura e carestia. Una sorta di stereotipo universale, quello del disperato senza passato, senza presente e con un futuro impossibile da rivendicare.»

    (p.124)

    «Occupare uno spazio è un grido di esistenza.»

    (p.125)

    «La crisi è quando non sai che strada percorrere e soprattutto che strada hai percorso.»

    (p.125)

    «E come si fa a smettere di essere complici?
    In Somalia tutti i nomadi sanno che il miglior antidoto all’ignoranza, a quella jahilia che ci vuole muti e sordi, è il racconto. Io, che per metà vengo da questa antica stirpe di nomadi e cantastorie, so quanto valore può avere una parola messa al posto giusto. La storia va raccontata. Mille e mile volte. Va raccontata dal punto di vista di chi ha subito, di chi è stato calpestato, di chi ha sofferto la fame e la sete. La visione dei vinti, dei sopravvissuti, di chi ha combattuto per la sua libertà. Solo raccontando, solo mettendo in fila fatti, sensazioni, emozioni possiamo davvero farcela. Solo così le narrazioni tossiche che ci avvelenano la vita ci possono abbandonare. Il concetto di narrazione tossica viene dal collettivo Wu Ming:
    ’Per diventare ’narrazione tossica’, una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo sempre gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità.
    E’ sempre narrazione tossica la storia che gli oppressori raccontano agli oppressi per giustificare l’oppressione, che gli sfruttatori raccontano agli sfruttati per giustificare lo sfruttamento, che i ricchi raccontano ai poveri per giustificare la ricchezza.’»

    (p.128)

    –-> sur la #narration_toxique (#narrazione_tossica) :
    https://www.wumingfoundation.com/giap/2013/07/storie-notav-un-anno-e-mezzo-nella-vita-di-marco-bruno

    «La madre patria era nulla senza le sue colonie, per questo amava mostrarle succubi. Si era inventata il fardello dell’uomo bianco, la civilizzazione, la missione di Dio, solo per poter sfruttare il prossimo senza sensi di colpa.»

    (p.130)

    –-

    Sur la gestion des #funérailles et de l’#enterrement des victimes du #naufrage du #3_octobre_2013 :
    https://seenthis.net/messages/971940

    #mémoire #livre #colonialisme_italien #colonisation #Italie #Rome #traces #paysage #géographie_urbaine #post-colonialisme #toponymie #monuments #mémoire #Igiaba_Scego #passé_colonial #photographie #oubli_colonial #histoire #Asmara #Erythrée #architecture #urbanisme #stele_di_dogali #Dogali #Tedali #Adua #massacre #ras_Alula #Saati #maggiore_Boretti #Ras_Alula #Tommaso_De_Cristoforis #Vito_Longo #Luigi_Gattoni #Luigi_Tofanelli #basci-buzuk #Ulisse_Barbieri #Taitù #regina_Taitù #Pietro_Badoglio #Rodolfo_Graziani #italiani_brava_gente #oubli #ponte_Amedeo_d'Aosta #Principe_Amedeo #mémoire #démocratie #troupes_coloniales #dubat #meharisti #Badme #frontières #frontières_coloniales #zaptiè #retour_de_mémoire #Affile #Ercole_Viri

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    ajouté à la métaliste sur la #colonialisme_italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    ping @cede @albertocampiphoto @olivier_aubert

    • Citation tirée du livre «#La_frontiera» de #Alessandro_Leogrande:

      «Si è acceso qualcoa dentro di me quando ho scoperto che alcuni dei campi di concentramento eretti negli ultimi anni da Isaias Afewerki per reprimere gli oppositori sorgono negli stessi luoghi dove erano disposti i vecchi campi di concentramento del colonialismo italiano.
      In particolare nelle isole di #Dahlak, cinquanta chilometri al largo di Massaua, dove le galere italiane sono state prima riutilizzate dagli occupanti etiopici e in seguito dallo stesso regime militare del Fronte.
      Il penitenziario di #Nocra, una delle isole dell’arcipelago, fu attivo dal 1887 (proprio l’anno dell’eccidio di Dogali) al 1941, come ricorda Angelo Del Boca in Italiani, brava gente? Vi furono rinchiusi prigionieri comuni, ascari da punire, detenuti politici, oppositori e, dopo l’inizio della campagna d’Etiopia nel 1935, ufficiali e funzionari dell’impero di Hailé Selassié, perfino preti e monaci. (...) L’idea di fare di Nocra e delle isole limitrofe una gabbia infernale si è tramandata nel tempo, da regime a regime»

      (p.85-86)

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      Sul Campo di concentramento di Nocra

      Il campo di Nocra o carcere di Nocra fu il più grande campo di prigionia italiano nella Colonia eritrea e dal 1936 il più grande dell’Africa Orientale Italiana. Venne aperto nel 1887 e chiuso nel 1941 dagli inglesi. Era situato nell’isola di Nocra, parte dell’Arcipelago di Dahlak, a 55 chilometri al largo di Massaua. Dal 1890 al 1941 fece parte del Commissariato della Dancalia. Arrivò a detenere tra un minimo di 500 prigionieri e un massimo di 1.800[1].


      https://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Nocra

      #camp_de_concentration #Tancredi_Saletta #Oreste_Baratieri

    • #Igiaba_Scego: “Scopriamo i simboli della storia coloniale a Roma per riempire un vuoto di memoria”

      Igiaba Scego, scrittrice italo somala autrice di libri come ‘Roma negata’ e ‘La linea del colore’, racconta e spiega i simboli del colonialismo presenti nella capitale. Spesso sconosciuti, ignorati, o lasciati nel degrado, narrano una storia che l’Italia ha rimosso: quella delle guerre coloniali che ebbero luogo anche prima del fascismo, e che oggi rappresentano il ‘vuoto di memoria’ del nostro paese. Un dibattito che si è accesso a Roma dopo la decisione di intitolare la stazione della metro C al partigiano italo-somalo #Giorgio_Marincola e non chiamarla più #Amba_Aradam.

      A Roma da qualche settimana si parla dei simboli e dei nomi del rimosso coloniale italiano, grazie alla proposta di intitolare la stazione della metro C su via dell’Amba Aradam a Giorgio Marincola, partigiano italo-somalo morto durante la Resistenza. Una proposta diventata realtà con il voto del consiglio comunale che ha deciso che Roma non appellerà una stazione della metropolitana ‘Amba Aradam’, l’altipiano montuoso dove l’esercito italiano massacrò 20.000 uomini e donne con bombardamenti a tappeto e l’utilizzo di armi chimiche. Di questo e altro abbiamo parlato con la scrittrice Igiaba Scego.

      Quali sono i simboli coloniali a Roma che andrebbero spiegati e sui quali bisognerebbe accendere l’attenzione?

      Non sono molti ma sono collocati in punti simbolici. A Roma, tra piazza della Repubblica e la stazione Termini c’è la Stele di Dogali, a riprova che il colonialismo non è stato solo fascista ma anche ottocentesco. L’obelisco è egiziano ma ha un basamento ottocentesco dedicato alla battaglia avvenuta nel 1887 a Dogali, in Eritrea, dove una colonna italiana venne intercettata e massacrata. Da lì anche il nome di piazza dei 500 davanti la stazione Termini. Di questa battaglia ne ho parlato in due libri, ‘Roma negata’ e ‘La linea del colore’. E nella piazza dove c’è la Stele, s’incontra il colonialismo con le migrazioni di oggi. Questo monumento, che nessuno conosce, è tra l’altro lasciato nel degrado. C’è poi il ponte Duca d’Aosta nei pressi del Vaticano, o il Cinema Impero a Tor Pignattara, che oggi si chiama Spazio Impero. Oltre al fatto di inserire il termine ‘impero’ nel nome, la struttura è quasi uguale a un cinema che è stato realizzato ad Asmara in Eritrea. Ma la cosa che colpisce di più sono i vuoti. Negli anni ’30, venne portata da Mussolini come bottino di guerra dall’Etiopia la Stele di Axum. Questa fu posizionata a piazza di Porta Capena, dove inizia anche il libro ‘Roma negata’. Dopo la guerra, non è stata restituita subito. Nel 1960, Abebe Bikila (campione olimpionico etiope) ha vinto i Giochi di Roma correndo a piedi nudi. Ho sempre pensato che il motivo della sua vittoria non fu solo la sua capacità fisica e la sua caparbietà, ma anche il dover essere costretto a passare per ben due volte davanti la Stele sottratta al suo popolo. Sono convinta che gli abbia dato lo sprint per vincere. La Stele fu poi restituita all’Etiopia negli anni Duemila, tra mille polemiche. Il problema è che ora in quella piazza non c’è nulla, solo due colonnine che rappresentano le Torri Gemelli e di cui nessuno sa nulla. Sarebbe stato giusto ergere sì un monumento per ricordare l’11 settembre, ma soprattutto uno per ricordare le vittime del colonialismo italiano e chi ha resistito ai colonizzatori. Un monumento riparatore per avvicinare i popoli vista la storia scomoda. Quella piazza rappresenta il vuoto di memoria, è come se qualcuno avesse fotografato il rimosso coloniale".

      Quali potrebbero essere i passi da compiere per far emergere il rimosso coloniale?

      Inserirlo nei programmi scolastici e nei libri di testo. Negli ultimi anni è emersa una certa sensibilità e tanti libri sono entrati a scuola grazie agli insegnanti. Sarebbe bello però avere anche nei programmi non solo la storia del colonialismo, ma anche il punto di vista del sud globale. Mi piacerebbe che la storia italiana fosse studiata globalmente, e far emergere le connessioni dell’Italia con l’Europa, l’Africa, l’America Latina e l’Asia. Non penso solo al colonialismo, ma anche alla storia delle migrazioni italiane. Alle superiori andrebbe studiata soprattutto la storia del ‘900. L’altro giorno è scoppiata quella bomba terribile a Beirut: quanti studenti e studentesse sanno della guerra civile in Libano? Sempre nella direzione di far emergere il rimosso coloniale, sarà istituito un museo che si chiamerà ‘Museo italo – africano Ilaria Alpi’. Ma la cosa che servirebbe tantissimo è un film o una serie tv. Presto sarà tratto un film da ‘The Shadow King’, libro di Maaza Mengiste, una scrittrice etiope – americana, che parla delle donne etiopi che resistono all’invasione fascista degli anni ’30. Un libro bellissimo e importante, come è importante che la storia del colonialismo italiano sia raccontata da un prodotto culturale potenzialmente globale. Ma perché un film sul colonialismo italiano lo deve fare Hollywood e non Cinecittà? Perché c’è ancora questa cappa? Non penso a un film nostalgico, ma a una storia che racconti la verità, la violenza. Serve sia lo studio alto sia il livello popolare. Altrimenti il rischio è che diventi solo un argomento per studiosi. È bello che escano libri all’estero, ma dobbiamo fare un lavoro anche qui.

      Quali sono le figure, magari anche femminili, che dovrebbero essere valorizzate e raccontate?

      Metterei in scena la collettività. Un’idea è fare un murales. Nel Medioevo le cattedrali erano piene di affreschi, e attraverso le immagini è stata insegnata la storia della chiesa. Userei la stessa tecnica, mostrando le immagini della resistenza anche delle donne etiope e somali. Servirebbe poi creare qualcosa che racconti anche le violenze subite nel quotidiano, perché non ci sono solo le bombe e i gas, ma anche i rapporti di potere. Mio padre ha vissuto il colonialismo e mi raccontava che prima dell’apartheid in Sudafrica c’era l’apartheid nelle città colonizzate, dove c’erano posti che non potevano essere frequentati dagli autoctoni. Racconterei queste storie sui muri delle nostre città e nelle periferie. È importante ricordare ciò che è stato fatto anche lì.

      https://www.fanpage.it/roma/igiaba-scego-scopriamo-i-simboli-della-storia-coloniale-a-roma-per-riempire-
      #histoire_coloniale #mémoire #symboles

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      –-> sur la nouvelle toponymie de la station de métro:
      https://seenthis.net/messages/871345

    • Citations tirées du livre « #La_frontiera » de #Alessandro_Leogrande :

      «Dopo aver letto Roma negata, il libro di Igiaba Scego sui monumenti, le targhe, le lapidi e i palazzi della capitale che ricordano il colonialismo, sono andato a vedere l’#oblisco_di_Dogali. (...) Il libro è un viaggio nelle pieghe di Roma alla ricerca delle tracce del passato coloniale.
      (...)
      Il paradosso è che la rimozione del passato coloniale riguarda esattamente quelle aree che a un certo punto hanno cominciato a rovesciare i propri figli verso l’Occidente. Sono le nostre ex colonie uno dei principali ventri aperti dell’Africa contemporanea. I luoghi di partenza di molti viaggi della speranza sono stati un tempo cantati ed esaltati come suolo italiano, sulle cui zolle far sorgere l’alba di un nuovo impero»

      (pp.80-81)

      «In realtà il mausoleo [l’obelisco di Dogali], realizzato già nel giugno 1887 dall’architetto #Francesco_Azzurri, fu inizialmente collocato nella vicina piazza dei Cinquecento, l’enorme capolinea degli autobus che sorge davanti alla stazione Termini e si chiama così in onore dei caduti di #Dogali. Ma poi, nei primi anni del regime fascista, fu spostato qualche centinaio di metri in direzione nord-ovest, verso piazza della Repubblica. Ed è lì che è rimasto»

      (pp.82-82)

      https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/la-frontiera

  • laurent joffrin, un homme neuf pour un nouveau parti
    https://www.legrandsoir.info/laurent-joffrin-un-homme-neuf-pour-un-nouveau-parti.html

    A 68 ans, Laurent Joffrin va fonder un parti politique. De gôche. Rien de commun donc avec le FN fondé par Jean-Marie Le Pen (épaulé par des Waffen SS) avec qui le jeune Joffrin (25 ans) passa des vacances non conflictuelles https://www.legrandsoir.info/laurent-joffrin-ou-le-mepris-de-ses-lecteurs.html (photo).

    Erreur de jeunesse ? En politique, les « erreurs » de ce type-là ne sont pas prescriptibles.

    De plus, son nouveau parti participera à l’émiettement des oppositions à Macron pour 2022. Marine Le Pen ne s’en plaindra pas.

    Théophraste R. Eventuellement Président de la future commission d’enquête sur l’origine des fonds du parti de Joffrin.

    PS. Le 3 mars 1957, une patrouille de parachutistes commandée par « un homme grand, fort et blond », fait irruption au domicile des Moulay, dans la Casbah d’Alger. Ahmed Moulay va être soumis à la « question » (gégène, supplice de l’eau) jusqu’à en mourir, sous les yeux de sa femme et de ses six enfants. Le tortionnaire en chef oublie son poignard (photo) https://www.legrandsoir.info/alors-laurent-joffrin-le-pen-ou-le-che.html où son nom est gravé : J.M LE PEN.

    #laurent_joffrin #france
     #fn #marine_le_pen #front_national #le_pen #jean_marie_le_pen #rassemblement_national

  • #Ethiopie : la terre promise des derniers rastas

    Ils sont aujourd’hui quelques centaines de #Jamaïcains, à vivre dans les faubourgs de #Shashaméné. Un monde à part, un lieu sacré, dans lequel le non-rasta, le profane, noir ou blanc, ne pénètre que difficilement. On n’efface pas trois siècles d’#histoire_coloniale.

    Après la découverte des Caraïbes et de l’Amérique par Christophe Colomb, 15 millions d’hommes et de femmes sont arrachés au continent africain. En 1930, #Rastafari_Makonnen, 225e descendant du roi Salomon et de la reine de Saba, selon la légende, est couronné empereur d’Ethiopie sous le nom d’#Hailé_Sélassié, roi des rois. En 1935, les troupes italiennes de #Mussolini envahissent l’Ethiopie. Chassés par la résistance intérieure, avec le soutien des Rastas, l’Empereur retrouve son trône. Pour les remercier, il abolit l’#esclavage et leur offre 500 hectares de ses #terres personnelles, au sud de l’Ethiopie, à Shashaméné.

    Pour les rastas, Haïlé Sélassié, le dernier Négus, est le messie rédempteur, Dès lors, l’Ethiopie est le paradis…

    https://www.arte.tv/fr/videos/081611-000-A/ethiopie-la-terre-promise-des-derniers-rastas
    #rasta #rastas #documentaire #film_documentaire #film #colonisation #colonialisme #Italie

  • Création de l’association des maires « #ma_commune_sans_migrants »

    Communiqué de presse de #Steeve_Briois, Maire d’#Hénin_Beaumont et Président de l’#association des maires « ma commune sans migrants »

    Steeve Briois, maire d’Hénin Beaumont, annonce la création d’une association de maires refusant l’#accueil des migrants. Cette association, intitulée « ma ville sans migrants », fait suite à l’annonce par le ministre de l’intérieur Bernard Cazeneuve, d’un plan de dissémination de 12 000 migrants dans les villages et villes de France à la suite du démantèlement de la jungle de calais. Cette politique folle aurait pour conséquence de multiplier les #mini_Calais sur l’ensemble du territoire national, sans consulter préalablement les populations et les élus locaux. Ce passage en force du gouvernement socialiste est tout simplement inacceptable car il menace gravement l’#ordre_public et la #sécurité de nos administrés.

    C’est pourquoi les maires membres de cette association s’engagent à faire voter par le conseil municipal, une #charte intitulée « ma commune sans migrants ». Cette charte énonce huit points attestant devant les Français, que tous les moyens légaux en la possession des maires, seront mis en œuvre pour s’opposer à l’accueil des migrants.

    Cette association s’adresse aux 36 0000 maires de France sans préjuger de leur appartenance politique. L’opposition à l’#invasion migratoire dans nos communes doit devenir une cause nationale de #salut_public qui dépasse les clivages partisans.

    https://rassemblementnational.fr/communiques/creation-de-lassociation-des-maires-ma-commune-sans-migrants
    #réseau #France #anti-migrants #anti-réfugiés #RN #Rassemblement_national #non-accueil #opposition

    Ajouté en contre-exemple à la métaliste sur les #villes-refuge :
    https://seenthis.net/messages/759145

    ping @isskein @karine4 @thomas_lacroix

  • 20 juin paris : discours contre l’impérialisme, le colonialisme et le capitalisme
    https://ricochets.cc/20-juin-paris-discours-contre-l-imperialisme-le-colonialisme-et-le-capital

    Voici la transcription d’un discours important et clair qui résume bien le problème des #Violences_policières, de l’Etat et du capitalisme : MULTICOLORES SOUS NOS CAGOULES ! discours contre l’impérialisme, le colonialisme et le capitalisme (...) le colonialisme, c’est la mort. Car le colonialisme, c’est l’extension du capitalisme par la violence armée. Sa conclusion : Ce que j’appelle de mes vœux aujourd’hui, ce n’est pas une réforme de la police. Il ne s’agit pas de remplacer la guillotine par la chaise (...) #Les_Articles

    / Violences policières, #Ras-le-bol, Révoltes, insurrections, débordements...

    #Révoltes,_insurrections,_débordements...
    https://cerveauxnondisponibles.net/2020/06/24/multicolores-sous-nos-cagoules-discours-contre-limperialisme
    https://www.youtube.com/channel/UCyZvhM3scPMcemgiNSv4UtA
    https://ricochets.cc/IMG/distant/html/1IlzH5qtJPE-f6fd-b431b45.html

  • Des analyses de Swisscom soutiennent la lutte contre le coronavirus

    L’#Office_fédéral_de_la_santé_publique (#OFSP) a demandé à Swisscom des analyses pour vérifier si les mesures de protection contre l’infection du #coronavirus sont respectées. Les analyses comprennent des données relatives à la #mobilité et aux #rassemblements de personnes dans l’#espace_public. Les évaluations montrent que la population suisse a fortement réduit ses #déplacements. L’OFSP ne reçoit à aucun moment des #données_géographiques de Swisscom, mais seulement des #statistiques et des #visualisations. Les données qui sous-tendent les analyses et les visualisations sont anonymisées et agrégées. Aucun lien avec des personnes spécifiques ne peut être établi.

    Le 21 mars, le Conseil fédéral a interdit les rassemblements de plus de cinq personnes dans l’espace public (art. 7c, al. 1, Ordonnance 2 COVID-19). Les autorités souhaitent maintenant avoir des preuves pour savoir si ces mesures de protection de la population sont respectées ou non. L’Office fédéral de la santé publique (OFSP) reçoit des analyses sur la mobilité et sur les rassemblements dans l’espace public qui se basent sur la plateforme Mobility Insights de Swisscom. La plateforme et les analyses correspondantes ont déjà été utilisées dans le contexte de la Smart City, comme p. ex. à Montreux ou à Pully.

    Les premières évaluations montrent que les habitants font beaucoup moins de déplacements depuis la première interdiction de rassemblements de plus de cinq personnes. En effet, les déplacements, en termes de kilomètres parcourus, ont diminué d’environ 50% dans toute la Suisse par rapport à un mois antérieur typique. Il faut toutefois souligner que la population du Tessin a réduit ses trajets de la manière la plus prononcée.
    Anonymisation complète et agrégation des données

    Pour localiser les rassemblements de personnes, la plateforme Mobility Insight (en conformité avec l’art. 45b, loi sur les télécommunications) affiche les zones où se trouvent au moins 20 cartes SIM par surface de 100 mètres par 100 mètres. Les analyses se basent sur des données géographiques approximatives sur les 24 heures passées.

    Pour indiquer comment les déplacements de la population ont évolué, la plateforme affiche la mobilité approximative des cartes SIM Swisscom d’une zone (p. ex. d’un canton) au cours d’une période de temps donnée. Les informations qui sont obtenues par des moyens techniques dans le réseau mobile sont anonymisées automatiquement aussitôt après leur création puis regroupées sous forme agrégée en vue des analyses.
    L’OFSP ne reçoit pas de données géographiques, mais seulement des visualisations

    L’OFSP ne reçoit à aucun moment des données géographiques, mais seulement des statistiques et des visualisations que Swisscom peut calculer à partir de ces données. Les analyses/visualisations sont entièrement anonymisées et agrégées, donc uniquement visibles sous forme d’une valeur de groupe. Ainsi, aucun lien ne peut être établi avec des personnes spécifiques ou des profils de déplacement individuels. Les directives de la loi fédérale sur la protection des données et les principes éthiques que suit Swisscom pour le traitement des données sont entièrement respectés. Dès que l’ordonnance 2 COVID-19 ne sera plus applicable, aucune analyse ne sera plus mise à la disposition de l’OFSP.

    Les clients ont le contrôle de leurs données en tout temps

    Les clients peuvent définir eux-mêmes pour quels produits et prestations Smart Data Swisscom est autorisée à utiliser leurs données, sous une forme anonymisée et agrégée, autrement dit très concise (#opt-out). Un opt-out peut être demandé dans le domaine « #Protection_des_données », sous Mon profil, dans l’Espace clients. Les données ne sont donc pas utilisées pour d’autres analyses.

    https://www.swisscom.ch/fr/about/news/2020/03/27-swisscom-coronavirus.html

    #Orange en #France... #Swisscom en #Suisse...

    #données #téléphone #smartphone #surveillance #anonymat #agrégation #anonymisation #données_agrégées

    ping @etraces

  • Hailé Selassié
    Wikiradio del 2/11/2017 - Rai Radio 3
    https://www.raiplayradio.it/audio/2017/10/Hail-Selassi----Wikiradio-del-2112017-8f0e6973-80a7-44b9-9fa7-4923dac0b

    Il 2 novembre 1930 Tafari Maconnen diventa imperatore col nome di Hailé Selassié Primo con Alessandro Triulzi.

    Repertorio

    – vari frammenti da un’intervista di Mario Soldati dal programma A carte scoperte con #HailéSelassié, trasmessa il 18/6/1974 - Archivi Rai

    – intervista di Gianno Bisiach ad Hailé #Selassié da RT - Rotocalco televisivo , realizzata il 28 maggio 1963 nel parco della residenza di Hailé Selassié - Archivi Rai

    – Breve frammento dell’appello in amarico che Hailé Selassié fece a Ginevra il 30 giugno 1936

    Io, Haila Sellase I, Imperatore d’Etiopia sono qui oggi per reclamare quella giustizia che è dovuta al mio popolo e quell’assistenza ad esso promessa otto mesi or sono da cinquantadue nazioni, quando queste affermarono che un atto di aggressione era stato compiuto in violazione dei trattati internazionali. [.] Mai, sinora, vi era stato l’esempio di un governo che procedesse allo sterminio di un popolo usando mezzi barbari, violando le più solenni promesse fatte a tutti i popoli della terra, che non si debba usare contro esseri umani la terribile arma dei gas venefici. È per difendere un popolo che lotta per la sua secolare indipendenza che il capo dell’Impero etiopico è venuto a Ginevra per adempiere a questo supremo dovere, dopo avere egli stesso combattuto alla testa dei suoi eserciti.

    Brani musicali

    – I Love King Selassié, Black Uhuru

    – War, Bob Marley

    #podcast #wikiradio #RaiRadio3 #rasta #secondeGuerreItalo-éthiopienne #italie #1941 #colonialisme #colonialismeitalian #EmpireColonialItalien #WWII #Éthiopie #fascisme #negus

  • RACIST ASSAULT OF NOTTINGHAM DELIVEROO RIDER FOLLOWS MURDER OF TAKIEDDINE BOUDHANE IN LONDON
    https://iwgb.org.uk

    · Delivery worker assaulted in Nottingham after he intervened to prevent an altercation between another delivery worker and two pedestrians on Monday 6 January.

    · The assault comes days after the murder of UberEats and Deliveroo rider Takieddine Boudhane, fatally stabbed in Finsbury Park, north London on Friday.

    · Mr. Boudhane’s death has led to renewed calls for better rights and protections for delivery drivers, who assume high risk for poverty pay at a time IWGB members report a rise in assaults.

    · Delivery workers are routinely denied sick pay and holiday pay, meaning many cannot afford to take time off work following accidents or assaults.

    08 January: The incident took place at approximately 20.00 on Upper Parliament Street in Nottingham. The injured party, whose last name is withheld for his safety, intervened in an altercation between two pedestrians and another delivery rider. Ibraheem witnessed one of the pedestrians kicking his colleague’s moped. Concerned for the driver’s safety, who was physically struck, Ibraheem tried to diffuse the situation and advised the other driver to leave the area. Once he did so, the pedestrians began directing racist abuse towards Ibraheem, calling him a “dirty brown bastard” and telling him to “go back to his country” before police attended the scene.

    Ibraheem says: “It’s hard to express how it feels being told to go back to your country in the very city where you were born and bred. The other driver was hit and I was spat at for trying to help him. Delivery riders are being targeted and intimidated a lot, we’re in danger every day we go to work. I’ve got no entitlement to sick pay or holiday pay, so I’m going back out in the streets to work tonight because I can’t afford to stay home. I got no support from Deliveroo, only other drivers and the IWGB. Deliveroo just suggested I work outside my own city, somewhere I don’t know, which could be even more dangerous. We deserve better than that.”

    Alex Marshall, courier and IWGB Couriers & Logistics Branch Chair, says: "We were appalled to learn of the murder of Takieddine Boudhane. His loved ones are in our thoughts and we send solidarity to everyone affected by his death, which has shaken the courier community. To hear just days later that one of our members in Nottingham has been physically assaulted and subjected to racist abuse at work has been devastating. Delivery workers are putting their lives on the line for poverty pay and BAME workers are among those most at risk.

    The IWGB has seen a worrying rise in reports like this and in the event of an accident or assault at work, companies take no accountability. That is the gig economy culture. If these worker’s rights were respected by the companies they work for the picture would look very different and perhaps lives would be saved.”

    Notes to Editors

    The IWGB is the leading union for so-called “gig economy” workers. In November 2018 it organised the first UK nation-wide strike of Uber drivers, when drivers in London, Birmingham and Nottingham turned off their app in protest to unfair deactivations and low pay.

    In December 2018, the IWGB has defeated Uber at the Court of Appeal, in a landmark decision over the employment rights of its drivers. The Court of Appeal upheld the previous decisions by the Employment Tribunal and Employment Appeal Tribunal, which ruled that Uber had unlawfully classified Uber drivers as independent contractors rather than workers, denying them basic rights such as a guaranteed minimum wage and holiday pay. However, the ruling only applies to Uber minicab drivers, not UberEats delivery workers.

    The IWGB has also taken legal action against other gig economy companies such as Deliveroo, CitySprint and TDL. These include worker recognition cases and claims for backdated holiday pay worth over £1 million.

    https://www.independent.co.uk/news/business/news/nhs-gig-economy-couriers-blood-transfusions-union-recognition-the-doc
    https://iwgb.org.uk/post/5d09f070e04c2/nhs-medical-couriers-landmark-

    @IWGBunion

    #Großbritannien #Nottingham #Rassismus #Arbeit #Gigworking #disruption #Kriminalität

  • Deliveroo driver murder: Calls for more protection for delivery workers after deadly London stabbing | The Independent
    https://www.independent.co.uk/news/uk/crime/deliveroo-driver-murder-finsbury-park-stabbing-london-ubereats-corbyn

    4 days ago - by Eleanor Busby - ‘More members of public are treating delivery drivers with utter contempt,’ union says

    The fatal stabbing of a man in London has prompted calls for better protection for delivery drivers.

    The 30-year-old victim – who is believed to have worked as a delivery rider for UberEats and Deliveroo – was found in the Finsbury Park area on Friday night after reports of a knife attack.

    The Metropolitan Police said the incident appears to have occurred as a result of an isolated traffic altercation.

    But Labour leader Jeremy Corbyn and delivery drivers have called for greater protection from attacks following the death of the delivery driver from Algeria.

    Speaking from the scene of the knife attack on Saturday, Mr Corbyn, whose Islington North constituency includes Finsbury Park, said: “There are a lot of people working as delivery drivers, they must have better conditions of employment and employers must take more responsibility for their safety too.”

    “Police cuts have meant fewer officers on the streets and this raises issues of safety in the community in general,” he added. “Delivery drivers do a great job in London all of the time. Yet they are vulnerable.”

    Alex Marshall, chair of the couriers and logistics branch of the Independent Workers’ Union of Great Britain (IWGB), said the union had noticed a rise in delivery drivers facing abuse when out on the road.

    He told The Independent: “More members of the public are treating delivery drivers with utter contempt. The companies they work for treat them awfully.

    “If the companies, who are supposed to be the ones looking after them, are treating riders with a lack of respect then it sets an example to so many other people to treat them in exactly the same way.”

    Mr Marshall believes employers could do more to improve the safety of drivers – such as providing onboard cameras and cars rather than bikes – and the police could provide more support.

    “When it comes to keeping them safe, a lot of the time the police are nowhere to be seen,” he added.

    Some of the delivery drivers gathered at the scene of the fatal stabbing criticised the companies they worked for and the police for not doing enough to protect them from attacks.

    Deliveroo and Uber driver Zakaria Gherabi, who knew the victim as “Taki”, said he has been attacked on multiple occasions while working as a delivery driver and says he no longer feels safe.

    In October last year, Mr Gherabi said an attacker punched him in the eye and dislocated his socket. “My attackers are still on the streets. The police do nothing. It happens. Nobody is going to save you. The company does not care, we are self-employed, but the food we are carrying is insured,” he said.

    Mr Gherabi added: “I knew the victim. He did not do anything, he was a good guy. He was stabbed to death on these busy streets. The job is not safe. I don’t feel safe doing it.”

    One driver said they felt unsafe “100 per cent” of the time. Another said: “I was attacked here by people with a big machete and now this man has been killed for no reason. The police do nothing.

    “They just come, take a statement and then they go.”

    Gulcin Ozdemir, a Labour councillor in Islington, north London, tweeted: “The lack of protection delivery drivers have where many of them have been physically abused, mugged at knifepoint and feel like easy targets. They shouldn’t be going to work in a constant state of fear.

    “My condolences to the family and Algerian community who are so heartbroken.”

    Detective Chief Inspector Neil John, who is leading the investigation, confirmed the victim’s next of kin have been informed, but that a post-mortem and formal identification have yet to take place.

    DCI John said: “The investigation is at a very early stage. It would appear at this time that an altercation has taken place between the victim, who was riding a motorcycle, and the driver of another vehicle in the vicinity of Lennox Road and Charteris Road, Finsbury Park.“

    He added: “The incident itself appears at this early stage to have been spontaneous and not connected to, or as a result of, anything other than a traffic altercation.

    “Specialist officers are working extremely hard to build a clear picture of what happened and I would encourage anyone who may have seen the incident or has information to come forward.

    “A forensic examination of the scene has been undertaken and I expect the road to reopen very soon.”

    #Großbritannien #London #Rassismus #Arbeit #Gigworking #disruption #Kriminalität

  • #Madrid : #La_Emboscada menacée d’expulsion
    https://fr.squat.net/2019/12/20/madrid-la-emboscada-menacee-dexpulsion

    Vendredi 20 décembre Salut, Nous vous écrivons ce communiqué de la Emboscada (Tetuán, Madrid), pour vous informer que le 17 décembre dernier, un juge a ordonné notre expulsion préventive sur la base d’une plainte déposée par l’un des propriétaires de notre espace occupé anarchiste La Emboscada. Selon ce rapport, l’expulsion peut être très proche, dans […]

    #actions_directes #Espagne #gentrification #rassemblement #spéculation #Tetuán

  • #Caluire-et-Cuire (69) : #rassemblement devant le nouveau #squat_Durs_à_Cuire
    https://fr.squat.net/2019/12/19/caluire-et-cuire-69-rassemblement-devant-le-nouveau-squat-durs-a-cuire

    Le 11 septembre 2019, la Métropole a fait appel aux forces de l’ordre, pour faire évacuer le squat #Amphi_Z à Cusset, Villeurbanne, laissant sur le carreau la totalité des 200 habitantEs. Ils ont délibérément choisi de mettre les gens à la rue sans proposer de relogement. Les habitants n’ont pas eu d’autre solution que […]

    #loi_ELAN #Lyon #ouverture #sans-papiers

  • #Grèce : solidarité contre les expulsions de squats et les violences policières
    https://fr.squat.net/2019/11/30/grece-solidarite-contre-les-expulsions-de-squats-et-les-violences-policier

    Le 5 décembre, le gouvernement grec a posé un ultimatum aux squatt.eur.euse.s : s’iels ne partent pas, iels devront faire face à une répression violente. Le parti de droite Nouvelle Démocratie, au pouvoir depuis juillet 2019, affiche son caractère autoritaire en s’attaquant à la gauche radicale et à l’ultra-gauche ainsi qu’aux personnes #sans-papiers et aux […]

    #17_novembre #anti-terrorisme #Athènes #Exarcheia #manifestation #rassemblement #Université

  • #Grèce : Nouvelle Démocratie, le nouveau visage de la violence étatique
    https://fr.squat.net/2019/11/29/grece-nouvelle-democratie-le-nouveau-visage-de-la-violence-etatique

    Un point de vue d’Exarchia à l’approche de l’épreuve de force. Interview d’un anarchiste d’Athènes sur la situation actuelle. Le quartier d’Exarcheia à #Athènes, en Grèce, est connu dans le monde entier comme un épicentre de l’anarchisme combatif. Pendant de nombreuses années, les anarchistes et les réfugiés ont travaillé ensemble pour occuper des bâtiments, créant […]

    #Interviews #17_novembre #actions_directes #anti-terrorisme #Exarcheia #expulsion #Larissa #Lelas_Karagianni_37 #manifestation #perquisition #rassemblement #Rouvikonas #sans-papiers #squat_Libertatia #squat_Palmares #squat_Vancouver #Thessalonique #Université

  • #Marseille : communiqué de presse des délogé.es du #51_Boulevard_Dahdah
    https://fr.squat.net/2019/11/23/marseille-communique-de-presse-des-deloge-es-du-51-boulevard-dahdah

    Ce matin, vendredi 22 novembre, un cortège plein d’énergie s’est rendu devant les locaux de l’Espace Accueil des Personnes Evacués pour dénoncer les conditions d’évacuation du 51 boulevard Dahdah ainsi que l’absence de proposition de relogement pérenne et digne de la part de la mairie. Voici le communiqué de presse rédigé par les délogé.es et […]

    #Collectif_du_5_novembre #expulsion #Manba #rassemblement #sans-papiers

  • #Marseille : Conférence de presse et #rassemblement contre les expulsions et les non-politique de relogement
    https://fr.squat.net/2019/11/22/marseille-conference-de-presse-et-rassemblement

    Jeudi 14 Novembre, les habitant.e.s du #51_Boulevard_Dahdah ont été expulsé.e.s de leur logement suite à une interdiction d’occupation émise par la mairie. Ceux et celles qui n’ont pas pu fournir de baux, victimes des marchands de sommeil, ont été emmené.e.s dans un gymnase rue Ruffi. Ils y sont depuis une semaine et beaucoup […]

    #expulsion #Manba

  • La précarité détruit nos vies

    Communiqué du syndicat Solidaires étudiant-e-s à propos du geste d’un étudiant membre du syndicat de Lyon, qui s’est immolé devant le Crous hier, ainsi que le message qu’il a laissé.
    L’université a réagi, pas encore le ministère, ni le Crous.

    Le message que l’étudiant a laissé :

    #France #immolation #bourse #bourses #suicide #précarité_financière #étudiant #Lyon #Université #CROUS

    • Lyon : un étudiant gravement blessé après s’être immolé devant le Crous

      L’étudiant de 22 ans n’avait pas fait part de ses « difficultés personnelles » à l’université Lyon 2 indique sa présidente, tandis que des syndicats dénoncent « la précarité » de « la vie des étudiant-e-s ».

      Vendredi après-midi, un étudiant de 22 ans originaire de Saint-Étienne a été grièvement brûlé à Lyon après s’être immolé en pleine rue devant un restaurant universitaire situé dans le 7e arrondissement. Le jeune homme, brûlé à 90%, se trouve actuellement « entre la vie et la mort » au Centre des brûlés de l’hôpital Edouard Herriot de Lyon, indiquent les syndicats. Prévenue du geste de son compagnon par un SMS, c’est la petite amie de la victime, étudiante à Lyon 2, qui avait alerté les services de secours.

      Une enquête a été ouverte pour déterminer les raisons de son geste, mais dans un long message publié sur Facebook et relayé ce samedi par le quotidien Le Progrès, l’étudiant avait évoqué ses difficultés financières et justifié son geste par des revendications politiques, accusant notamment « Macron, Hollande, Sarkozy et l’UE ». « Luttons contre la montée du fascisme, qui ne fait que nous diviser, et du libéralisme, qui créé des inégalités. [...] Mon dernier souhait, c’est aussi que mes camarades continuent de lutter pour en finir définitivement avec tout ça », a-t-il souligné dans ce texte.
      Un dispositif de soutien psychologique mis en place

      L’étudiant n’avait pas fait part de ses « difficultés personnelles » à l’université Lyon 2, a appris l’AFP samedi auprès de sa présidente Nathalie Dompnier, qui précise que le jeune homme ne percevait plus sa bourse car il « triplait » sa deuxième année de licence. « L’université lui exprime tout son soutien, ainsi qu’à sa famille, à ses proches et à tou.tes ses camarades », a écrit également la présidente dans un communiqué. Un dispositif de soutien psychologique a été mis en place avec les services d’urgence, tandis qu’une cellule d’écoute sera mise en place dès mardi sur le campus Porte des Alpes pour les étudiants et les équipes, ajoute-t-elle, en précisant qu’un numéro vert spécifique devrait aussi être mis en place la semaine prochaine.
      « La précarité s’étend » pour les syndicats étudiants

      Les fédérations syndicales étudiantes SUD-éducation et Solidaires ont pour leur part dénoncé dans un communiqué commun « la précarité » de « la vie des étudiant-e-s ». « Son acte ne saurait être réduit au seul désespoir, c’est aussi à portée politique. Dans son message, notre camarade décrit la précarité qu’il subit, conséquence des politiques libérales, et le racisme quotidien », pointe le syndicat, qui souligne que « la précarité s’étend » et « broie de plus en plus de vies, y compris la vie des étudiant-e-s ».

      La ministre de l’Enseignement supérieur Frédérique Vidal s’est rendue samedi matin à Lyon pour rencontrer la présidente de l’université et les équipes du CROUS pour leur faire « part de sa profonde émotion face à l’acte dramatique » du jeune homme, « auquel elle a adressé ses premières pensées », selon le ministère.

      https://www.liberation.fr/france/2019/11/10/lyon-un-etudiant-gravement-blesse-apres-s-etre-immole-devant-le-crous_176

    • L’étudiant de 22 ans n’avait pas fait part de ses « difficultés personnelles » à l’université Lyon 2 indique sa présidente

      Il n’avait pas demandé la charité... Marre de ces bureaux où il faut se battre pour ses droits. Ensuite les autorités prétendent en avoir quelque chose à battre, du non-recours, mais répètent à l’envi qu’il y a des primes au fait de faire des recours à l’amiable, des alertes, et que la machine peut arrêter de broyer quand on le demande avec beaucoup d’ardeur. Merde !

    • Mardi 12/11 Rassemblements en solidarité à l’étudiant de Lyon 2 qui s’est immolé vendredi 8/11

      Ci-joints les différents horaires et lieux de rassemblement en solidarité à l’étudiant de Lyon 2 qui s’est immolé vendredi 8/11 devant le CROUS de La madeleine à Lyon 2.

      Le SNESUP-FSU adresse tout son soutien à cet étudiant, et également aux proches et à la famille de cet étudiant.

      Il appelle, avec la FSU, à se rassembler pour lui témoigner notre solidarité et pour dénoncer la précarité étudiante grandissante.

      Toutes et tous les étudiants doivent pouvoir étudier dans des conditions dignes et décentes.

      Aix-en-Provence 13h – CROUS Aix-Marseille / Avignon, 31 avenue Jules Ferry

      Amiens (FSE Amiens) 10h – CROUS Amiens Picardie (25 rue St Leu)

      Angers 12h puis 18h – Restau U Belle Beille (3 Boulevard de Lavoisier)

      Angoulême 12h – Place New York

      Annecy 12h – Au campus d’Annecy, sur le parvis face au resto universitaire (adresse de l’antenne du CROUS) au 3 chemin de Bellevue à Annecy le Vieux

      Avignon 13h – Devant le nouveau batiment du campus Hannah Arendt

      Besançon 18h – devant le CROUS de Bourgogne-Franche-Comté (38 avenue de l’observatoire)

      Bordeaux 18h – CROUS, place du séminaire

      Boulogne-sur-mer 13h – devant l’antenne du Crous rue du Vivier.

      Caen 12h – RU A, Campus 1 de l’Université

      Clermont-Ferrand 18h – Résidence CROUS 25 Rue Etienne Dolet

      Dijon 19h – Place du Bareuzai

      Grenoble 18h – Bâtiment CROUS 351 Allée de Berlioz (St Martin d’Hères)

      Guyane 12h – Université de Guyane bâtiment E

      La Rochelle 13h – Parvis du campus

      Lille 13h – Siège du CROUS de Lille 74 rue de Cambrai

      Limoges 12h – campus Vanteaux devant le CROUS

      Lyon 10h – CROUS de la Madeleine

      Marseille 18h – Faculté des sciences d’Aix-Marseille (3 place Victor Hugo)

      Montpellier 14h – Crous de montpellier : 2 Rue Monteil, 34093 Montpellier

      Metz 13h30 – CROUS de Lorraine au Saulcy

      Nancy 12h – CROUS Resto U 16 cours Léopold

      Nantes 12h – devant le pôle étudiant du campus Tertre

      Niort 17h – CROUS de Niort 7 rue du Galuchet

      Orléans 18h – Devant l’entrée du Forum, coté Bouillon (antenne du CROUS sur la fac)

      Paris, Ile-de-France 18h – Siège du CROUS Port Royal

      Pau 12h30 – CLOUS, 7 rue Saint John Perse

      Perpignan (Jeunes Communistes 66) 13h30 – devant le CROUS de l’Université de Perpignan, 52 avenue Paul Alduy
      https://www.facebook.com/events/439076413424300

      Poitiers 12h30 – RU Rabelais, campus de Poitiers,

      Rennes 18h – Siège du CROUS Rennes-Bretagne, Place Hoche

      Rouen 13h – CROUS de Rouen Normandie

      Saint-Brieuc 18h – CROUS, 1 boulevard Waldeck-Rousseau

      Saint-Denis 16h30 – Départ groupé de Université Paris 8 – Local A079 vers CROUS Port Royal (Paris)

      Saint-Brieuc 18h- Restaurant Universitaire du CROUS

      Saint-Étienne 10h – devant le CROUS du campus Tréfilerie

      Strasbourg 12h – devant le Patio (campus central) puis siège du Crous 1 Quai du Maire Dietrich

      Toulouse 12h30 – Resto U du Mirail (info lutte université Mirail)
      14h – CROUS de Toulouse-Occitanie 58 rue de Taur
      (Sciences Po Toulouse en Lutte, UNLToulouse, Révolution Permanente Toulouse, La repolitique-Sciences Po Toulouse)

      Tours 18h – 5 rue du docteur bretonneau (résidence CROUS)

      https://www.snesup.fr/article/mardi-1211-rassemblements-en-solidarite-letudiant-de-lyon-2-qui-sest-immole-v

    • Anas, 22 ans, s’immole par le feu et nous regardons ailleurs

      C’est un gamin, mon fils, ou votre frère. Il s’appelle #Anas, un étudiant de 22 ans, venu de Saint-Étienne à Lyon, pour apprendre et avancer. C’est un jeune homme, désespéré autant que déterminé, qui, vendredi, a tenté de se tuer sur la place publique. Depuis, la presse détourne les yeux. Des rassemblements sont prévus ce mardi.

      https://blogs.mediapart.fr/david-dufresne/blog/111119/anas-22-ans-simmole-par-le-feu-et-nous-regardons-ailleurs
      Un article de @davduf

    • « J’arrivais en cours en larmes » : #précarité_étudiante, une vie sur le fil

      Des étudiants témoignent de leurs conditions de vie alors que plusieurs rassemblements ont lieu ce mardi en mémoire de ce jeune homme de 22 ans qui a tenté de s’immoler par le feu à Lyon pour dénoncer une précarité grandissante.

      Pendant sa première année d’études supérieures en archéologie et anthropologie, Laura est devenue familière des petits pains au fromage à quelques centimes du supermarché Lidl en face de sa fac. Ils lui servaient de déjeuner les jours où les 3 à 5 euros de la cafétéria, c’était déjà trop. La précarité étudiante, cette Lyonnaise âgée de 24 ans l’a donc bien connue.

      C’est ce qui l’a poussée à arrêter ses études, en début de licence 2. Et qui a conduit un jeune homme de 22 ans à tenter de s’immoler par le feu, le 8 novembre dernier, devant un restaurant universitaire à Lyon. Ce mardi, le syndicat Solidaires étudiant.e.s appelle à se rassembler devant tous les Crous de France, en soutien à cet étudiant aujourd’hui entre la vie et la mort, brûlé à 90 %. En 2017, selon l’Unef, 20 % des étudiants vivaient en dessous du seuil de pauvreté.

      Quand elle commence sa licence, à Lyon, Laura vit encore chez ses parents. Sa mère, auto-entrepreneuse, essaie de lancer son entreprise de traiteur, elle travaille très peu. Son père gagne « trop bien sa vie » pour que la jeune femme puisse être éligible à une bourse. Mais pas assez pour financer ses études, au-delà des frais d’inscriptions, très peu élevées, à l’université. Laura doit se débrouiller pour les transports et les repas.
      Manger du riz ou des pâtes instantanées

      Elle essaie de faire des petits boulots, « des extras dans des bars ou des restaurants ». Elle aurait pu demander une dispense d’assiduité, pour travailler davantage. « Mais j’étais déjà une élève plutôt moyenne, je ne voulais pas me mettre encore plus en difficulté en ratant des cours pour travailler », explique-t-elle. Elle préfère se priver un peu le midi, quand cela devient trop difficile. Mais surtout ne rien demander à ses parents qui « se sont toujours saignés » pour elle, son frère et sa sœur.

      Selon une étude menée par la Mutuelle générale de l’Education nationale (MGEN), 68 % des étudiants sautent des repas de temps à autre, comme Laura, et seulement 60 % disent « manger un peu de tout ». Pour ceux qui ne vivent plus chez leurs parents, cela se traduit souvent par du riz, des pommes de terre ou « des pâtes instantanées à 30 centimes », confie Margot, 26 ans, en 2ème année de thèse d’histoire de l’art contemporain.
      Compter même les dépenses de santé

      Jusqu’à son master 1, la jeune fille bénéficiait pourtant d’une bourse de 550 euros par mois -l’échelon le plus élevé. Mais une fois le loyer, l’électricité de son logement mal isolé, l’abonnement à Internet - indispensable aujourd’hui pour étudier - et les transports payés… il ne reste pas grand-chose pour vivre. Au quotidien, ce sont des petits arrangements permanents : pas de loisirs, ou alors que des activités gratuites, des vêtements d’occasion et de bons amis pas trop maladroits pour se faire couper les cheveux.

      Une vie sur le fil, qui ne permet aucun écart. « Les mois où il faut acheter des livres pour la fac sont compliqués », explique Margot. Ceux où sa vieille voiture tombe en panne encore plus. Mais impossible de s’en séparer : elle en a besoin pour se rendre à l’Ephad où elle fait des remplacements pour compléter son revenu. Même les soins de santé passent à la trappe : selon l’Insee, 13,5 % des étudiants ont déjà renoncé à aller chez le médecin pour des raisons financières. Margot, elle, n’a pas vu de gynécologue depuis quatre ans.
      Friser le burn-out

      Au bout de plusieurs années d’études à tout compter, mal s’alimenter, travailler sur les jours de pause… C’est le stress et l’épuisement qui l’emportent. Margot n’a pris que 6 jours de congé, l’été dernier, depuis le début de ses études il y a 7 ans. En 2ème année de master, elle a commencé à faire des ulcères à l’estomac à répétition.

      Pauline, étudiante boursière en master d’études de cinéma à Lyon a fait « une sorte de burn-out » pendant sa 3e année de licence. A ce moment-là, elle aussi cumulait un job de caissière à Franprix, 15 heures par semaine, et ses études. Une année difficile : « J’arrivais en cours en larmes, se souvient-elle. J’étais épuisée, je m’énervais tout le temps pour rien… Ça a bousillé mon année ». Ses résultats en ont pâti.

      http://www.leparisien.fr/societe/j-arrivais-en-cours-en-larmes-precarite-etudiante-une-vie-sur-le-fil-12-1

    • #Pierre_Ouzoulias interroge Gabriel Attal sur la précarité étiudiante - 13 novembre 2019

      On nous souffle dans l’oreillette que la Ministre serait dans l’Antarticque…

      Ce mercredi 13 novembre, Pierre Ouzoulias, lors de la séance de questions d’actualité au gouvernement, a interrogé Gabriel Attal (en l’absence de Frédérique Vidal) sur la précarité étudiante.

      Voir ci-dessous le texte de sa question ainsi que le lien vers la captation vidéo de la question.

      2019/11/13 - Question d’actualité au Gouvernement - Pierre Ouzoulias - « Précarité étudiante »

      « Plus d’un étudiant sur deux ne mange pas tous les jours à sa faim, près d’un étudiant sur deux a renoncé à se soigner par manque d’argent, il n’y a que 175 000 places en résidences étudiantes pour 700 000 étudiants boursiers et le loyer représente plus de 70 % du budget moyen des étudiants. Plus d’un étudiant sur deux est obligé de travailler pour étudier et subsister. Ils occupent les emplois les plus précaires, les plus harassants et les moins rémunérés. Ainsi, ils composent près de 60 % de la main-d’œuvre des plate-formes de prestations. À tout cela s’ajoutent des conditions d’enseignement indignes et un sous-encadrement pédagogique chronique.
      La grande majorité de la population estudiantine est en souffrance et l’aggravation de sa situation d’existence conduit à la désespérance, à des drames humains et à des gestes désespérés, comme celui d’Anas, qui sont autant de cris de détresse que vous ne pouvez ignorer.
      Les conséquences de ce mal être endémique sont catastrophiques pour notre pays. De moins en moins d’étudiants poursuivent un cursus complet, le nombre de doctorants baisse chaque année et la fuite des cerveaux est maintenant manifeste.
      À cette crise majeure, vous répondez par une baisse des moyens alloués à l’enseignement supérieur. La dépense par étudiant atteint aujourd’hui son plus bas niveau depuis 2008 et votre projet de loi de finances ne porte pas l’ambition politique d’arrêter cette chute.
      À la jeunesse qui souhaite s’investir dans la connaissance, la culture et les œuvres de la pensée, vous renvoyez le message détestable qu’elle ne serait qu’une charge, qu’un fardeau improductif qu’il vaudrait continûment alléger. »

      http://www.sauvonsluniversite.com/spip.php?article8543

    • Immolation d’un étudiant. La stratégie du chox, et les sinistres connards qui en sont responsables - affordance.info, 13 novembre 2019

      "Dans un monde normal la CPU, la conférence des présidents d’université, aurait suspendu l’ensemble de ses travaux, pour une semaine au moins, le temps de comprendre, le temps d’analyser, le temps de chercher ce qui fait qu’en France au 21ème siècle un étudiant décide de s’immoler par le feu devant un CROUS pour dénoncer la précarité et la misère de la jeunesse. La CPU aurait également pu déclarer un genre de minute de silence. Après tout, dans cette « communauté » qu’est l’université, si l’on n’est pas capable de fermer sa gueule et de se recueillir un instant pour cet étudiant là, alors quand le serons-nous ? Mais il n’y a pas eu de minute de silence. Un vieux président qui meurt (Chirac), minute de silence dans toutes les universités. Mais un étudiant qui s’immole par le feu au 21è siècle, et puis rien. "

      Un étudiant s’est donc immolé par le feu devant une université, devant un CROUS, dans un acte politique pour dénoncer explicitement la précarisation qui touche la jeunesse. En France. En 2019. Au 21ème siècle. Celui que l’on nous vantait encore au siècle précédent comme étant celui de « l’économie de la connaissance ». Cette jeunesse qui brûle.

      Cette immolation par le feu, cette image que je n’ai pas vue, elle ne me quitte pas depuis vendredi. Parce que cet étudiant aurait pu être l’un des miens. Il n’était ni plus fragile, ni moins bien entouré, ni plus précaire que la plupart des miens, que j’ai quitté ce matin, et que je vais retrouver demain. Pour leur dire quoi ?

      Dans un monde normal on aurait espéré que ce geste aboutisse au moins à une forme de trêve. Que nous cessions d’être collectivement d’immenses connards et connasses et que nous nous regroupions pour réfléchir. Pour prendre le temps. Pour laisser la douleur et la colère jaillir. Pour mettre des mots sur l’indicible. En France au 21ème siècle un étudiant de 22 ans s’est immolé par le feu parce qu’il était pauvre, précaire, et qu’il n’avait plus droit à aucune aide. Dans un monde normal on aurait espéré que ce geste aboutisse au moins à une forme de trêve. Comme à chaque basculement dans l’horreur. Comme à chaque effet de sidération qui saisit une société toute entière. Le mois de Novembre semble hélas propice à ce genre de sidération. Mais là, rien. Juste rien.

      La ministre Frédérique Vidal a fait une rapide visite au CROUS de Lyon, le vendredi du drame, pour « assurer la communauté universitaire de son soutien ». Ella a aussi exprimé son « soutien » à la famille de cet homme de 22 ans qui s’est immolé par le feu. Et elle s’est barrée. Au Groenland je crois. Ou en Antarctique, je ne sais plus. Pour un voyage bien sûr aussi légitime qu’important. Quand on est ministre de la recherche et de l’enseignement supérieur on ne va pas non plus trop modifier son agenda sous prétexte qu’un étudiant de 22 ans s’est immolé par le feu pour dénoncer la précarité dont tous les étudiants sont aujourd’hui victimes. Vous êtes une sinistre et cynique connasse madame la ministre Vidal.

      Sur Twitter, la ministre Frédérique Vidal a, depuis le Groenland ou l’antarctique, dénoncé « avec la plus grande fermeté » les actes de dégradation commis par les manifestants réunis devant le CROUS de Lyon en hommage à leur camarade toujours actuellement entre la vie et la mort. Car l’important quand un étudiant s’immole par le feu en France au 21ème siècle c’est de bien rappeler à ses camarades étudiants que l’important c’est l’ordre public et qu’il ne faut pas dégrader des biens matériels. Foutez-vous le feu si vous voulez, immolez-vous, mais ayez l’amabilité de bien nettoyer après et pensez à être à l’heure en amphi. Il faut noter que le fil Twitter de la ministre Vidal est parfaitement exempt du moindre Tweet sur un étudiant qui s’est immolé par le feu en France au 21ème siècle. Vous êtes une sinistre et cynique connasse madame la ministre Vidal.

      Dans un monde normal la CPU, la conférence des présidents d’université, aurait suspendu l’ensemble de ses travaux, pour une semaine au moins, le temps de comprendre, le temps d’analyser, le temps de chercher ce qui fait qu’en France au 21ème siècle un étudiant décide de s’immoler par le feu devant un CROUS pour dénoncer la précarité et la misère de la jeunesse. La CPU aurait également pu déclarer un genre de minute de silence. Après tout, dans cette « communauté » qu’est l’université, si l’on n’est pas capable de fermer sa gueule et de se recueillir un instant pour cet étudiant là, alors quand le serons-nous ? Mais il n’y a pas eu de minute de silence. Un vieux président qui meurt (Chirac), minute de silence dans toutes les universités. Mais un étudiant qui s’immole par le feu au 21è siècle, et puis rien. Il n’est pas mort me direz-vous. Bien sûr. Bien sûr. Dans ce monde qui est le notre et qui est tout sauf normal, la CPU a fait un communiqué qui est à lui seul une épure du laconisme le plus brut. Parlant de « tentative de suicide » pour ne surtout pas dire la vérité. Car oui en France chaque année un grand nombre d’étudiants font des tentatives de suicide. Mais ce mois de Novembre du 21ème siècle, en France, un étudiant s’est immolé par le feu. Les gens qui ont signé le communiqué de la CPU sont de sinistres connards.

      Dans un monde normal la présidence de l’université de Lyon aurait eu la décence de ne pas clore son « communiqué » sur l’immolation par le feu de l’un de ses étudiants par un dernier paragraphe « condamnant les blocages » après 6 autres paragraphes expliquant que ce n’est la faute de personne et surtout pas celle de l’université. Les gens de la présidence de l’université de Lyon qui ont signé ce communiqué sont de sinistres connards.

      Dans un monde normal nous serions tous à l’arrêt. Nous aurions arrêté de faire cours, nous aurions organisé des temps de parole avec nos étudiants. Certains collègues l’ont fait. Probablement. Je n’en sais rien. Moi je ne l’ai pas fait. Pas encore. J’ai eu cours hier et aujourd’hui et je n’ai rien fait. Je suis un sinistre connard. Je le ferai peut-être demain. Probablement même.

      http://www.sauvonsluniversite.fr/spip.php?article8542

    • "J’ai un euro par jour pour manger" : trois étudiants témoignent de leur grande précarité

      Plusieurs centaines d’étudiants ont manifesté en France mardi aux abords d’une quarantaine de Crous et d’universités contre la précarité étudiante. Certains ont raconté à franceinfo leur quotidien fragile.

      « La précarité tue. » Avec ce hashtag, des centaines d’étudiants ont réagi sur Twitter après l’immolation par le feu, vendredi, d’un de leurs camarades, devant le siège du Crous, à Lyon. Brûlé à 90% et entre la vie et la mort, cet étudiant en licence de sciences politiques voulait dénoncer la précarité dans laquelle vivent de nombreux jeunes. « Même quand j’avais 450 euros par mois, était-ce suffisant pour vivre ? », s’interrogeait le jeune homme, dans un message posté sur les réseaux sociaux pour expliquer son geste.

      L’université Lyon 2, où est inscrit le jeune homme, a été de nouveau fermée pour la journée, mercredi 13 novembre, après des blocages, menés dans toute la France pour protester contre la précarité. Trois étudiants racontent leurs difficultés à franceinfo.
      Sophie*, 26 ans, une thèse et deux emplois

      « Pour tenter de vivre dignement, je cumule deux emplois », explique Sophie*, 26 ans, étudiante en histoire de l’art à Pau (Pyrénées-Atlantiques). Comme la jeune femme ne souhaitait pas qu’on lui impose un sujet de recherche, elle a dû faire l’impasse d’un contrat de doctorante, qui aurait pu lui permettre de financer une partie de ses études. Elle ne bénéficie pas non plus de bourse. En 2016, 22,7% des étudiants interrogés déclaraient auprès de l’Observatoire national de la vie étudiante (OVE), avoir été confrontés « à d’importantes difficultés financières durant l’année ».

      Sophie, syndiquée depuis sept ans au sein de l’organisation Solidaires étudiant-e-s, à l’origine de l’appel national à manifester devant les Crous, travaille à la bibliothèque de son université et effectue des remplacements dans un établissement d’hébergement pour personnes âgées dépendantes (Ehpad). « Je peux faire jusqu’à 40 heures par semaine, en plus de mes travaux de recherche, mais c’est variable d’un mois à l’autre ». L’étudiante dit gagner entre 900 et 1 000 euros par mois. Difficile de demander de l’aide. Entre « honte » et « dignité », les étudiants veulent être ces « jeunes adultes responsables que la société attend d’eux », analyse Sophie.

      Avec 680 euros de frais fixe (loyer, électricité et téléphone), il lui reste souvent moins de 300 euros pour la nourriture, les livres et l’épargne, en prévision du second semestre. Sophie économise afin de pouvoir se consacrer pleinement à ses études à partir de janvier. « En général, les étudiants qui s’auto-financent tiennent six années », confie la jeune femme. « Moi, je ne tiendrai pas plus de quatre ans. Si j’arrête avant d’avoir rendu ma thèse, j’aurai perdu toutes ces années et développé des maladies chroniques pour rien. » A cause de son rythme de vie, la jeune femme souffre de fatigue et de troubles dépressifs chroniques. Selon l’Observatoire de la vie étudiante, environ 60% des étudiants interrogés en 2016 éprouvaient de la fatigue, autant souffraient de stress quand 45% évoquaient des troubles du sommeil et 32% parlaient de déprime.
      Ugo, 19 ans, un euro par jour pour manger

      « Je me suis fixé cette somme de 1 euro par jour pour manger, pour tenir le mois », explique Ugo, 19 ans, étudiant en deuxième année d’histoire et sociologie à Rennes (Ille-et-Vilaine). Boursier « échelon zéro bis », le plus bas de l’échelle des bourses, le jeune homme touche environ 100 euros par mois. Ses parents, qui ont aussi ses deux petites sœurs à charge, financent son appartement, car il n’est pas éligible pour une chambre au Centre régional des œuvres universitaires et scolaires, le Crous. Ugo gère le reste de ses frais fixes en alternant les pâtes, le riz et les pommes de terre. « Je compte toutes mes sorties », ajoute-t-il.

      Après avoir été livreur dans diverses enseignes, le jeune homme a trouvé un emploi fixe comme agent d’escale à la gare de Rennes. Près d’un étudiant sur deux (46%) travaille en dehors de ses études, selon l’OVE. Intérimaire, son nombre d’heures est variable et il gagne entre 600 et 900 euros par mois.

      J’ai peur de perdre mes aides, alors j’essaie de mettre un maximum de côté cette année, pour ensuite faire un master à Paris.Ugo, étudiantà franceinfo

      Pour pouvoir travailler, Ugo bénéficie d’une « dispense d’assiduité » qui lui permet de « rater » certains cours. En contrepartie, il ne bénéficie pas du contrôle continu et joue « son année » uniquement au moment des examens de fin de semestre. Une absence que toutes les facultés ne permettent pas.
      Karine*, 22 ans, endettée, a arrêté ses études

      « J’étais tellement stressée et dépressive que je n’arrivais plus à aller en cours », lâche Karine, 22 ans. Prise dans un engrenage entre petits boulots, soins psychologiques et cours de sociologie à la faculté de Poitiers (Vienne), la jeune femme a tout arrêté en fin de deuxième année, en 2018.

      Elle a grandi avec peu, sa mère touchant le revenu minimum d’insertion (RSA), mais l’étudiante bouclait difficilement les fins de mois avec 350 euros pour vivre. Karine cumule encore les dettes. Ses petits emplois lui faisaient manquer certains enseignements. « Quand vous êtes boursier, vous avez une obligation d’aller en cours, sinon le Crous vous demande de rembourser », explique la jeune femme qui, un an après, est toujours en litige avec l’organisme. Sollicité par franceinfo, le Crous n’a pas souhaité répondre.

      https://www.francetvinfo.fr/societe/education/j-ai-un-euro-par-jour-pour-manger-trois-etudiants-temoignent-de-leur-gr
      #alimentation

  • Hurler son ras-le-bol

    Plusieurs petites gouttes d’eau ont fait récemment déborder plusieurs grands vases.

    Au Liban, la colère populaire a germé instantanément au milieu du mois autour d’une taxe sur les applications gratuites de téléphonie.

    Au Chili, en même temps, il a suffi d’une hausse de 6 ¢ du prix du ticket de métro pour déclencher des manifestations monstres.

    À Hong Kong, jeudi, des dizaines de milliers de personnes ont profité de l’Halloween pour manifester masquées en contravention d’un règlement. La fronde dure là depuis cinq mois.

    Les exemples semblables de minicauses aux mégaeffets se multiplient partout sur la planète. Il y a eu des mouvements contestataires populaires plus ou moins semblables en Russie, en Serbie, en Ukraine, en Albanie, en Algérie et bien sûr en France, où les gilets jaunes ont lancé leurs premières protestations il y a tout juste un an, d’abord pour s’en prendre à la hausse du prix du diesel.

    À tout coup, à l’évidence, de larges portions de la population utilisent un prétexte pour descendre dans la rue, le plus souvent pacifiquement, et crier leurs ras-le-bol devant la vie chère, les inégalités sociales, l’avenir bouché. Oxfam a révélé en début d’année que 26 multimilliardaires possèdent autant que la moitié de la planète.

    Il y a en fait autant de mouvements de colère populaires en cette fin de décennies que dans les turbulentes années 1960. Seulement, les chances de succès de cette effervescence sociopolitique, très souvent pacifique, semblent moins assurées qu’à l’époque.

    La répression « intelligente »

    Une étude éclairante de la professeure Érica Chenoweth, de l’Université Harvard, publiée en 2017 (Trends in Non Violent Resistance and State Response) montre que la manifestation non violente impliquant un millier de personnes et plus est devenue la norme au cours des dernières décennies. Mais si cette mécanique de changement social semblait jusqu’à récemment d’une « efficacité surprenante », selon la spécialiste, la décennie qui achève a vu ses succès « décliner dramatiquement ».

    La résistance non violente a pour ainsi dire été inventée pour libérer l’Inde de l’Empire britannique dans les années 1940. Le monde vient de célébrer en octobre le 150e anniversaire de naissance de Gandhi, père de cette stratégie politique.

    Les données de Mme Chenoweth établissent qu’entre cette période fondatrice et 2010, la moitié des manifestations suivant ce modèle ont obtenu une part du succès escompté avec une forte poussée du recours au modèle depuis les années 1980, avec la fin de la guerre froide. Le rideau de fer est d’ailleurs en partie tombé quand des millions d’Européens de l’Est ont marché dans les rues.

    Faire tomber des régimes, ce n’est pas le seul critère de la réussite. Ce n’est pas parce qu’on n’a pas la tête du gouvernement qu’on ne parvient pas à lui arracher des concessions et à consolider un rapport social et politique favorable.
    — Ricardo Pinafiel

    L’étude montre aussi que la répression violente n’a stoppé que 15 % des campagnes de revendications, comme à la place Tian’anmen en 1989. De plus, si toutes les formes de protestations, ou presque, déclenchent une réaction plus ou moins coercitive, les États sous pression ont maintenant appris à résister en jouant de diverses tactiques. Les régimes plus ou moins autoritaires savent renforcer la loyauté des élites partisanes (par exemple en brutalisant les « traîtres » pour servir de leçon), stimuler l’adhésion populaire (par exemple en présentant les manifestants comme des agents manipulés par l’étranger), miner les mouvements contestataires (par exemple par la censure ou des campagnes de salissage des réputations des leaders).

    La politicologue parle de « smart repression », la répression intelligente utilisant aussi des agents provocateurs, des agents infiltrés ou la surveillance de masse. De sorte que de 2010 à 2016, le taux de succès des manifs a chuté à environ 20 % sous la moyenne. Bref, l’espace civique s’est refermé.

    De la « démocrature »

    « On observe mondialement une tendance à la criminalisation de l’action collective », commente Ricardo Pinafiel, professeur de sciences politiques de l’UQAM. « C’est malheureusement une tendance forte et elle affecte aussi toutes les démocraties libérales, y compris les plus consolidées. Comme dans la France des gilets jaunes, il y a partout une manière généralisée de discréditer ce type d’action. »

    Sa spécialité se concentre sur l’Amérique latine, qui a rejeté le modèle des dictatures militaires à la fin du XXe siècle avant de migrer en partie récemment vers ce que M. Pinafiel appelle la « démocratie autoritaire » (d’autres disent démocrature), capable de réprimer les contestations.

    « C’est le modèle d’Erdogan en Turquie, celui de Poutine en Russie et celui de Maduro au Venezuela. On est face à de l’abus de pouvoir, à une trop grande centralisation du pouvoir et souvent à une politique antilibérale ancrée dans des récits révolutionnaires ou nationalistes, avec un seul leader pour guider le peuple. J’applique également ce concept de démocratie autoritaire au Chili, et même au Chili de la présidente Michelle Bachelet. »

    Le professeur québécois préfère une perspective qualitative à l’approche quantitative adoptée par sa collègue de Harvard tout en reconnaissant la valeur de ses conclusions. Avec le politologue canadien Martin Breaugh (L’expérience plébéienne. Une histoire discontinue de la liberté politique, PUF), Ricardo Pinafiel suggère de parler de « plèbe » pour comprendre l’explosion de manifestations dans le monde.

    « La plèbe est faite des citoyens qui n’ont pas de titre à gouverner. Ils peuvent représenter jusqu’à 99 % des gens. Leur parole ne compte pour rien. Ce sont des locuteurs non autorisés de la scène politique. Leur seule forme d’expression c’est le nombre, la masse, c’est le fait de sortir dans la rue. Et si ce seul espace de manifestation qu’il leur reste est censuré, à ce moment, il n’y a plus de démocratie possible. »

    En fait, parfois, à quelque chose malheur est bon. Le professeur québécois n’aime pas trop ce concept d’« efficacité » qui oublie de considérer l’ensemble des retombées des mouvements sociaux.

    « En Amérique latine, beaucoup de présidents sont autrefois tombés à la suite de manifestations, rappelle-t-il. Maintenant, Maduro ne tombe pas au Venezuela. Piñera ne tombera peut-être pas au Chili. Il a été d’une brutalité extrême et il s’est excusé. Les équipes de communications ont tiré des leçons. Mais faire tomber des régimes, ce n’est pas le seul critère de la réussite. Ce n’est pas parce qu’on n’a pas la tête du gouvernement qu’on ne parvient pas à lui arracher des concessions et à consolider un rapport social et politique favorable. »

    https://www.ledevoir.com/monde/566182/comment-les-etats-ont-appris-a-reagir-aux-protestations-non-violentes
    #conflits #manifestations #résistance #révoltes #pacifisme #Liban #Chili #Equateur #Catalogne #Hong-Kong #activisme

    Avec ce commentaire du Devoir sur twitter :

    Plusieurs peuples dans le monde hurlent en ce moment leur #ras-le-bol du pouvoir en place et de ses actions. Mais les révoltes pacifiques sont-elles encore efficaces ?

    https://twitter.com/LeDevoir/status/1191100471081152517
    ping @cede @karine4
    et ping @davduf autour de la question du #maintien_de_l'ordre et de la #répression de ces mouvements

  • #Caen : appel de l’assemblée de défense du Marais
    https://fr.squat.net/2019/10/27/caen-appel-de-lassemblee-de-defense-du-marais

    Le mardi 22 octobre, #Le_Marais, squat d’habitation et de convergence des luttes ouvert depuis un an et demi à Caen, a été pris d’assaut par un important dispositif policier. Plus de 250 membres des forces de répression ont été mobilisés pour expulser ce lieu, symbole de la lutte pour l’accueil solidaire de toutes les […]

    #5_rue_du_Marais #AG_de_lutte_contre_les_expulsions #expulsion #GIPN/RAID #rassemblement #sans-papiers

  • #Croatie : vague de #colère après le #viol, collectif et impuni, d’une jeune fille de 15 ans

    C’est une véritable marée humaine et indignée qui a envahi les villes de Croatie, ce samedi. Les #rassemblements dénonçaient la remise en liberté des auteurs du viol collectif et répété d’une jeune fille de quinze ans à #Zadar, et l’impunité dont continuent de jouir les auteurs de #violences contre les #femmes.


    https://www.courrierdesbalkans.fr/Une-vague-de-colere-en-Croatie-apres-le-viol-collectif-d-une-fill
    #viol_collectif #impunité #manifestation #résistance