• Ventimiglia: persone bloccate e respinte alla frontiera franco-italiana

    #Vietato_Passare – La sfida quotidiana delle persone in transito respinte e bloccate alla frontiera franco-italiana” è il titolo del nostro nuovo rapporto pubblicato oggi sulle condizioni di centinaia di persone migranti in transito nella città di Ventimiglia, che cercano ogni giorno di attraversare il confine italo-francese e raggiungere altri paesi europei.

    Adulti e bambini sistematicamente respinti dalla polizia francese – talvolta con violenza, trattamenti inumani e privazione temporanea della libertà personale – e lasciati senza un’adeguata assistenza sul territorio italiano.

    Vietato passare in Francia

    Tra i 320 pazienti visitati tra febbraio e giugno 2023 durante le nostre attività di clinica mobile e le 684 persone in transito che hanno partecipato ad attività di promozione della salute e orientamento ai servizi socio-sanitari, il 79,8% ha dichiarato di aver tentato più di una volta di raggiungere la Francia e di essere stato respinto.

    Persone che dopo aver lasciato il loro paese di origine per sfuggire a violenze, morte, soprusi e povertà e dopo aver affrontato viaggi estremamente pericolosi, si ritrovano nuovamente esposte a violenze, umiliazioni e abusi nel cuore dell’Unione Europea.

    Molte delle persone in transito che abbiamo incontrato e assistito, hanno raccontato di violazioni da parte delle autorità francesi durante le procedure di notifica del refus d’entré (rifiuto d’ingresso), menzionando ad esempio trascrizioni imprecise dei dati personali, la fornitura imparziale o insufficiente di informazioni da parte delle autorità o l’assenza di mediatori interculturali.

    Tra loro ci sono anche persone vulnerabili, come minori non accompagnati, donne incinte o con bambini, anziani e individui con patologie mediche. Più di un terzo dei 48 minori non accompagnati ha riferito di essere stato respinto, mentre diverse persone hanno raccontato di essere state detenute arbitrariamente dalla polizia francese e trattenute in container durante la notte, in condizioni di promiscuità e senza alcuna protezione specifica per donne e minori.

    Secondo quanto riferito al nostro team, nelle notti trascorse nei container non sempre sono stati forniti cibo e acqua, l’assistenza medica è stata spesso negata, i servizi igienici ritenuti inadeguati e le persone sono state costrette a dormire a terra in spazi ridotti e spesso sovraffollati.

    Inoltre, solo nella prima metà dell’anno, abbiamo registrato almeno quattro casi di separazione familiare durante i respingimenti.

    Assistenza inadeguata sul territorio italiano

    Sul territorio di Ventimiglia, d’altro canto, le persone in transito hanno un accesso estremamente limitato ad alloggi adeguati, all’assistenza sanitaria, all’acqua potabile o ai servizi igienici, con conseguenze dirette sulle loro condizioni di salute.

    Tra i 320 pazienti che abbiamo assistito da febbraio a giugno, 215 persone hanno riportato problemi dermatologici, infezioni respiratorie e gastrointestinali, ferite e dolori articolari – condizioni causate o aggravate dalla vita in strada – mentre 14 soffrivano di malattie croniche come diabete e malattie cardiovascolari con necessità di terapia continuativa e a lungo termine.

    Nonostante siano stati recentemente aperti due nuovi PAD (Punto Assistenza Diffusa) dove i migranti più vulnerabili respinti dalla Francia possono trovare riparo per la notte, decine di persone in transito sono ancora costrette a dormire in strada o in accampamenti di fortuna. Due dei quattro PAD promessi dalle autorità locali non sono ancora operativi e i servizi essenziali come alloggi, assistenza sanitaria e legale vengono forniti dalle associazioni locali e dalla società civile.

    https://www.youtube.com/watch?v=QoMbUmD8yuM&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.medicisenzafron

    https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/ventimiglia-assistenza-migranti

    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #accès_aux_soins #rapport #MSF #Medici_senza_frontiere #frontière_sud-alpine #Alpes

    • “Vietato passare”: il report di Msf sui soprusi contro i migranti alla frontiera franco-italiana

      Bloccati e respinti dalla polizia francese -con violenza, trattamenti inumani e temporanea privazione della libertà-, centinaia di uomini, donne, bambini, persone vulnerabili si ritrovano a Ventimiglia senza un riparo adeguato e con un accesso limitato all’assistenza sanitaria. Il rapporto di Medici Senza Frontiere

      “Siamo stati fermati ieri a Nizza dalla polizia. Mia moglie è incinta. È stata portata in ospedale perché è svenuta mentre la ammanettavano. Io e mio figlio di due anni siamo stati condotti alla stazione di polizia di frontiera di Mentone. Abbiamo passato la notte al freddo e questa mattina siamo stati respinti e portati in Italia, ma non abbiamo notizie di mia moglie. Mio figlio piange, vuole la sua mamma e io non posso contattarla perché non ha il telefono”.

      La testimonianza di questa famiglia originaria della Costa d’Avorio è solo una delle storie di soprusi che si verificano quotidianamente al confine italo-francese di Ventimiglia (IM) e raccolte da Medici Senza Frontiere (Msf) nel nuovo report intitolato “Vietato passare” e pubblicato a inizio agosto 2023.

      “Vediamo persone estremamente vulnerabili che vengono respinte dalla polizia francese in maniera indiscriminata, senza che le loro specifiche condizioni individuali vengano adeguatamente valutate, per poi ritrovarsi sul territorio italiano senza un’adeguata assistenza da parte delle istituzioni”, spiega Sergio Di Dato, coordinatore del progetto di Msf nella cittadina ligure. “Molte delle persone in transito incontrate e assistite da Msf, hanno raccontato di violazioni da parte delle autorità francesi durante le procedure di notifica del refus d’entré (rifiuto d’ingresso), menzionando ad esempio trascrizioni imprecise dei dati personali, la fornitura imparziale o insufficiente di informazioni da parte delle autorità o l’assenza di mediatori interculturali”.

      Il rapporto si basa sui dati raccolti durante l’attività medica dell’équipe di Msf tra febbraio e giugno 2023 a cui si aggiungono 14 interviste semistrutturate con pazienti e membri del personale sanitario. Proprio all’inizio del 2023 l’organizzazione, già presente sul territorio di confine ligure nel 2016, ha deciso di tornare con il proprio staff in risposta al crescente numero di persone bloccate al confine.

      Delle 320 persone assistite la maggioranza proviene da Costa d’Avorio (28,1%), Guinea (27,5%) e Camerun (4,9%) ed è arrivata a Ventimiglia principalmente da Lampedusa (82,2%) e Trieste (5,3%). L’età media dei pazienti è di 23 anni con il gruppo più numeroso compreso tra i 16 e i 20: il 21% del totale, infatti, si è dichiarato minorenne al momento della visita. Oltre un terzo delle persone incontrate (37%) è donna.

      “Entrambi i miei genitori sono morti -racconta una di queste, originaria della Guinea-. Sono rimasta con mia zia che mi ha detto che era arrivato il momento di sposarmi. Avevo 15 anni. Non conoscevo l’uomo che avrei sposato; fu lei a trovarlo. Non ho scelto di sposarmi. L’uomo che è diventato mio marito ha iniziato a picchiarmi, ogni giorno. Era sempre violento con me. Sono finita in ospedale molte volte. Non avevo nessuno che mi proteggesse da lui. Sono passati quattro anni e ne porto ancora le cicatrici sul corpo […]. Ho deciso di andarmene per allontanarmi da quella vita”. Una storia di violenza non isolata. Quasi una persona su due di quelle visitate era infatti portatrice di “bisogni specifici e di estrema vulnerabilità a causa di caratteristiche o vissuti personali particolarmente complessi, correlati al genere, all’etnia, all’orientamento sessuale, alle convinzioni politiche o religiose e alle violazioni subite nei loro Paesi d’origine”.

      Il 38,8% ha impiegato più di un anno per raggiungere l’Italia, per alcuni il percorso è durato oltre cinque anni. Ma il “sogno europeo” sbatte contro l’ennesima frontiera sigillata.

      Su un campione di un migliaio di persone intercettate da Msf, l’80% ha dichiarato di aver già tentato di attraversare il confine tra Italia e Francia; il 25% riportava di essere stato respinto più di una volta “affrontando innumerevoli difficoltà ed esponendosi a rischi sempre maggiori fino a compromettere, a volte, la propria incolumità”, scrive Msf. E questo vale anche per le donne in gravidanza o che stanno allattando, per le persone anziane o gravemente malate e per i minori non accompagnati. Un terzo di quelli incontrati da Msf era stato respinto al confine, “tra cui due sopravvissuti a violenze e naufragi e una madre di 16 anni con un neonato”.

      Emblematica è la storia di A., 17 anni, originario di un Paese dell’Africa subsahariana. In Libia è stato rinchiuso in un centro di detenzione dove ha subito violenze e maltrattamenti di ogni tipo “che gli hanno lasciato cicatrici ancora visibili sulla schiena e un dolore cronico al ginocchio”. Ha deciso di raggiungere la Tunisia ma dopo i rastrellamenti operati dal presidente Kaïs Saïed ai danni delle persone migranti, ha deciso di partire per l’Europa.

      A 35 chilometri da Lampedusa un’imbarcazione, “probabilmente tunisina”, li ha abbordati pretendendo il loro motore. Li ha affiancati sempre di più, minacciandoli con toni aggressivi e creando forti onde che hanno fatto imbarcare acqua al piccolo natante, che alla fine è affondato. Nonostante le grida, le suppliche e le richieste di soccorso, l’altra nave ha abbandonato i passeggeri della barca di A. al loro destino. Lui, è tra i 22 tratti in salvo. “Da Lampedusa A. è arrivato a Ventimiglia. Vuole raggiungere la Francia perché parla francese e pensa che lì potrebbe avere più possibilità per costruirsi un futuro -si legge nel rapporto-. Tuttavia, è stato respinto due volte dalle autorità francesi, anche se è vittima di naufragio, ha subito innumerevoli violenze, si dichiara minore e non è accompagnato”.

      La condizione sanitaria delle persone incontrate dagli operatori presenti a Ventimiglia è pessima. “Tra le persone assistite, 215 pazienti (67,2%) hanno riportato una condizione acuta, tra cui malattie dermatologiche, patologie respiratorie, disturbi gastrointestinali, problemi muscoloscheletrici o lesioni -si legge nel report-. In totale, sono stati segnalati 31 episodi di traumi accidentali acuti, di cui il 90,3% (28) tra la popolazione di sesso maschile e tre (9,7%) tra i minori. Inoltre, 32 individui (10%) hanno presentato sintomi neurologici, la maggior parte dei quali riconducibili a mal di testa o emicrania (25, 78,1%), e per 14 persone (4,4%) sono state individuate patologie croniche con necessità di terapia continuativa e a lungo termine”.

      Sono stati raccolti dati anche rispetto alle vittime di violenza intenzionale (in totale 12, il 3,8%) e alle persone che presentavano sintomi associati a problemi di salute mentale (15, ovvero il 4,7%). Ma su queste stime gli operatori sottolineano la “difficoltà di stabilire relazioni di fiducia con pazienti transitanti che sono concentrati sul proseguimento del loro viaggio, sulla ricerca di sicurezza o sul soddisfacimento dei bisogni primari”.

      Anche la soddisfazione dei bisogni primari a Ventimiglia è un miraggio. “Con la chiusura del campo Roja nel 2020, che rappresentava l’unico centro ufficiale di accoglienza di emergenza nella zona, e gli sgomberi forzati effettuati nel maggio 2023 dalle autorità italiane presso l’insediamento informale sulle rive del fiume Roja -si legge nel rapporto- le persone in transito si trovano costrette a dormire per strada, in edifici abbandonati o in ripari di fortuna. Questa situazione le espone a marginalizzazione, soprusi, condizioni climatiche avverse, rischi per la salute privandole dell’accesso a servizi igienici, all’acqua pulita o a un riparo adeguato”.

      Molti bisogni restano, così, senza risposta. E lo staff di Msf che fornisce assistenza medica a Ventimiglia “misura quotidianamente” l’impatto della mancanza di alloggi e servizi igienici: “Malattie della pelle (48 persone; il 15,8%), infezioni gastrointestinali (25, il 18,2%), infezioni urinarie e del tratto respiratorio superiore (35, l’11,5%) sono solo alcuni dei disturbi che spesso derivano direttamente dalle pessime condizioni di vita e di marginalizzazione sociale in cui è costretta a vivere la popolazione in transito”.

      E di cui soffrono soprattutto donne e minori, i più vulnerabili. L’accesso alle cure per chi dichiara di avere meno di 18 anni è complesso: per richiedere la tessera sanitaria è necessario coinvolgere chi esercita la potestà genitoriale o il responsabile della struttura di accoglienza in cui sono ospitati i minori. Struttura da cui però, nella maggior parte dei casi, è scappato chi arriva a Ventimiglia desideroso di raggiungere altri Paesi europei. Anche per le donne e ragazze, “che presentano bisogni e rischi sanitari specifiche” l’accesso alle cure mediche ginecologiche è difficoltoso. “Sia perché sono riluttanti a interrompere il loro percorso migratorio, sia perché hanno sfiducia nei confronti del sistema sanitario”, spiegano i curatori del report. “Tutto questo si traduce in un’interruzione della continuità delle cure mediche e in un aumento dei rischi di complicazioni e morbilità durante la gravidanza”.

      Salute calpestata, diritti negati. Chi è respinto al confine è spesso vittima di violenza e detenzione arbitraria nei container in cui le persone, una volta intercettate, aspettano di essere riportate sul territorio italiano. Secondo i dati raccolti da Msf dalla prefettura di Nizza, più di 13.395 persone tra il primo gennaio e il 15 giugno 2023 sono state soggette a “respingimenti o trattenimenti al confine italo-francese, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente”. Una media di 80 persone al giorno costrette a tornare indietro, tra cui sempre più minori.

      Le raccomandazioni di Msf che chiudono il report sono così rivolte ai tre principali protagonisti di questa paradossale situazione: alle autorità di Ventimiglia e al governo italiano di garantire l’accesso ai servizi di base e un’accoglienza dignitosa per le persone che transitano dal confine; alle autorità francesi di assicurare il rispetto delle garanzie procedurali durante i controlli di frontiera al confine italo-francese, proteggere i minori e porre fine alla detenzione arbitraria dei migranti. Infine, all’Unione europea, di “impedire i respingimenti alle frontiere interne” e “impedire le espulsioni collettive dagli Stati membri e stabilire meccanismi per valutare le situazioni individuali delle persone in transito”. Per provare a salvare quel che resta di quello spazio Schengen dove, a oggi, le merci attraversano più facilmente i confini di (alcune) persone.

      https://altreconomia.it/vietato-passare-il-report-di-msf-sui-soprusi-contro-i-migranti-alla-fro

  • Migrations : l’Union européenne, droit dans le mur

    La Commission européenne affirme que l’UE ne finance pas de « murs » anti-migrants à ses #frontières_extérieures, malgré les demandes insistantes d’États de l’est de l’Europe. En réalité, cette « ligne rouge » de l’exécutif, qui a toujours été floue, s’efface de plus en plus.

    Le 14 juin dernier, le naufrage d’un bateau entraînait la noyade de centaines de personnes exilées. Quelques jours auparavant, le 8 juin, les États membres de l’Union européenne s’enorgueillissaient d’avoir trouvé un accord sur deux règlements essentiels du « Pacte européen pour l’asile et la migration », qui multipliera les procédures d’asile express dans des centres de détention aux frontières de l’Europe, faisant craindre aux ONG une nouvelle érosion du droit d’asile.

    Dans ce contexte délétère, un groupe d’une douzaine d’États membres, surtout d’Europe de l’Est, réclame que l’Union européenne reconnaisse leur rôle de « protecteurs » des frontières de l’Union en autorisant le financement européen de murs, #clôtures et #barbelés pour contenir le « flux migratoire ». Le premier ministre grec, Kyriákos Mitsotákis, avait même estimé que son pays était en première ligne face à « l’invasion de migrants ».

    Officiellement, la Commission européenne se refuse toujours à financer les multiples projets de clôtures anti-migrants qui s’érigent le long des frontières extérieures de l’UE. « Nous avons un principe bien établi : nous ne finançons pas de murs ni de barbelés. Et je pense que cela ne devrait pas changer », avait encore déclaré Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, le 31 janvier. Pourtant, la ligne rouge semble inexorablement s’effacer.

    Le 7 octobre 2021, les ministres de douze États, dont la #Grèce, la #Pologne, la #Hongrie, la #Bulgarie ou les #Pays_baltes, demandaient par écrit à la Commission que le financement de « #barrières_physiques » aux frontières de l’UE soit une « priorité », car cette « mesure de protection » serait un outil « efficace et légitime » dans l’intérêt de toute l’Union. Une demande qu’ils réitèrent depuis à toute occasion.

    Les États membres n’ont pas attendu un quelconque « feu vert » de la Commission pour ériger des clôtures. Les premières ont été construites par l’Espagne dans les années 1990, dans les enclaves de Ceuta et Melilla. Mais c’est en 2015, après l’exil de centaines de milliers de Syrien·nes fuyant la guerre civile, que les barrières se sont multipliées. Alors que l’Union européenne comptait 315 kilomètres de fil de fer et barbelés à ses frontières en 2014, elle en totalisait 2 048 l’an passé.

    Depuis 2021, ce groupe d’États revient sans cesse à la charge. Lors de son arrivée au sommet des dirigeants européens, le 9 février dernier, Victor Orbán (Hongrie) annonçait la couleur : « Les barrières protègent l’Europe. » Les conclusions de ce sommet, ambiguës, semblaient ouvrir une brèche dans la politique européenne de financement du contrôle aux frontières. Les États demandaient « à la Commission de mobiliser immédiatement des fonds pour aider les États membres à renforcer […] les infrastructures de protection des frontières ».

    Dans ses réponses écrites aux questions de Mediapart, la Commission ne mentionne plus aucune ligne rouge : « Les États membres ont une obligation de protéger les frontières extérieures. Ils sont les mieux placés pour définir comment le faire en pratique d’une manière qui […] respecte les droits fondamentaux. »

    Si l’on en croit le ministre de l’intérieur grec, Panagiótis Mitarákis, les dernières résistances de la Commission seraient en train de tomber. Le 24 février, il affirmait, au sujet du projet grec d’#extension et de renforcement de sa clôture avec la Turquie, le long de la rivière #Evros, que la Commission avait « accepté que certaines dépenses pour la construction de la barrière soient financées par l’Union européenne ».

    Pour Catherine Woollard, de l’ONG Ecre (Conseil européen pour les réfugiés et exilés), « c’est important que la Commission résiste à ces appels de financement des murs et clôtures, car il faut respecter le droit de demander l’asile qui implique un accès au territoire. Mais cette position risque de devenir symbolique si les barrières sont tout de même construites et qu’en plus se développent des barrières d’autres types, numériques et technologiques, surtout dans des États qui utilisent la force et des mesures illégales pour refouler les demandeurs d’asile ».

    D’une ligne rouge à une ligne floue

    Au sein de l’ONG Statewatch, Chris Jones estime que « cette “ligne rouge” de la Commission européenne, c’est du grand n’importe quoi ! Cela fait des années que l’Union européenne finance des dispositifs autour ou sur ces clôtures, des #drones, des #caméras, des #véhicules, des #officiers. Dire que l’UE ne finance pas de clôtures, c’est uniquement sémantique, quand des milliards d’euros sont dépensés pour fortifier les frontières ». Même diagnostic chez Mark Akkerman, chercheur néerlandais au Transnational Institute, pour qui la « #ligne_rouge de la Commission est plutôt une ligne floue ». Dans ses travaux, il avait déjà démontré qu’en 2010, l’UE avait financé l’achat de #caméras_de_vidéosurveillance à #Ceuta et la construction d’un #mirador à #Melilla.

    Lorsqu’il est disponible, le détail des dépenses relatives au contrôle des frontières montre que la politique de non-financement des « murs » est une ligne de crête, car si la Commission ne finance pas le béton ni les barbelés, elle finance bien des #dispositifs qui les accompagnent.

    En 2021, par exemple, la #Lituanie a reçu 14,9 millions d’euros de fonds d’aide d’urgence pour « renforcer » sa frontière extérieure avec la Biélorussie, peut-on lire dans un rapport de la Commission. Une frontière qui, selon le ministère de l’intérieur lituanien, contacté par Mediapart, est « désormais longée d’une clôture de 530 km et d’une barrière surmontée de fils barbelés sur 360 kilomètres ». Si la barrière a pesé 148 millions d’euros sur le #budget de l’État, le ministère de l’intérieur affirme que la rénovation de la route qui la longe et permet aux gardes-frontières de patrouiller a été financée à hauteur de « 10 millions d’euros par des fonds européens ».

    En Grèce, le détail des dépenses du gouvernement, dans le cadre du fonds européen de sécurité intérieur, de 2014 à 2020, est éclairant. Toujours le long de la rivière Evros, là où est érigée la barrière physique, la police grecque a pu bénéficier en 2016 d’un apport de 15 millions d’euros, dont 11,2 millions financés par le fonds européen pour la sécurité intérieure, afin de construire 10 #pylônes et d’y intégrer des #caméras_thermiques, des caméras de surveillance, des #radars et autres systèmes de communication.

    Cet apport financier fut complété la même année par 1,5 million d’euros pour l’achat d’#équipements permettant de détecter les battements de cœur dans les véhicules, coffres ou conteneurs.

    Mais l’enjeu, en Grèce, c’est avant tout la mer, là où des bateaux des gardes-côtes sont impliqués dans des cas de refoulements documentés. Dans son programme d’action national du fonds européen relatif à la gestion des frontières et des visas, écrit en 2021, le gouvernement grec envisage le renouvellement de sa flotte, dont une dizaine de bateaux de #patrouille côtière, équipés de #technologies de #surveillance dernier cri, pour environ 60 millions d’euros. Et malgré les refoulements, la Commission européenne octroie les fonds.

    Technologies et barrières font bon ménage

    Les États membres de l’UE qui font partie de l’espace Schengen ont pour mission de « protéger les frontières extérieures ». Le droit européen leur impose aussi de respecter le droit d’asile. « Les exigences du code Schengen contredisent bien souvent l’acquis européen en matière d’asile. Lorsqu’un grand nombre de personnes arrivent aux frontières de l’Union européenne et qu’il existe des pressions pour faire baisser ce nombre, il est presque impossible de le faire sans violer certaines règles relatives au droit d’asile », reconnaît Atanas Rusev, directeur du programme « sécurité » du Centre pour l’étude de la démocratie, basé en Bulgarie.

    La Bulgarie est au cœur de ces tiraillements européens. En 2022, la police a comptabilisé 164 000 passages dits « irréguliers » de sa frontière, contre 55 000 l’année précédente. Des demandeurs d’asile qui, pour la plupart, souhaitent se rendre dans d’autres pays européens.

    Les Pays-Bas ou l’Autriche ont fait pression pour que la #Bulgarie réduise ce nombre, agitant la menace d’un report de son intégration à l’espace Schengen. Dans le même temps, des ONG locales, comme le Helsinki Committee Center ou le Refugee Help Group, dénoncent la brutalité qui s’exerce sur les exilé·es et les refoulements massifs dont ils sont victimes. Le pays a construit une clôture de 234 kilomètres le long de sa frontière avec la Turquie.

    Dans son plan d’action, le gouvernement bulgare détaille son intention de dépenser l’argent européen du fonds relatif à la gestion des frontières, sur la période 2021-2027, pour renforcer son « système de surveillance intégré » ; une collecte de données en temps réel par des caméras thermiques, des #capteurs_de_mouvements, des systèmes de surveillance mobiles, des #hélicoptères.

    Philip Gounev est consultant dans le domaine de la gestion des frontières. Il fut surtout ministre adjoint des affaires intérieures en Bulgarie, chargé des fonds européens, mais aussi de l’érection de la barrière à la frontière turque. Il explique très clairement la complémentarité, à ses yeux, des différents dispositifs : « Notre barrière ne fait que ralentir les migrants de cinq minutes. Mais ces cinq minutes sont importantes. Grâce aux caméras et capteurs qui détectent des mouvements ou une brèche dans la barrière, l’intervention des gardes-frontières est rapide. »

    L’appétit pour les technologies et le numérique ne fait que croître, au point que des ONG, comme l’EDRi (European Digital Rights) dénoncent la construction par l’UE d’un « #mur_numérique ». Dans ce domaine, le programme de recherche européen #Horizon_Europe et, avant lui, #Horizon_2020, tracent les contours du futur numérisé des contrôles, par le financement de projets portés par l’industrie et des centres de #recherche, au caractère parfois dystopique.

    De 2017 à 2021, « #Roborder » a reçu une aide publique de 8 millions d’euros. L’idée est de déployer une armada de véhicules sans pilotes, sur la mer ou sur terre, ainsi que différents drones, tous munis de caméras et capteurs, et dont les informations seraient croisées et analysées pour donner une image précise des mouvements humains aux abords des frontières. Dans son programme d’action national d’utilisation du fonds européen pour la gestion des frontières, la Hongrie manifeste un intérêt appuyé pour « l’adaptation partielle des résultats » de Roborder via une série de projets pilotes à ses frontières.

    Les #projets_de_recherche dans le domaine des frontières sont nombreux. Citons « #Foldout », dont les 8 millions d’euros servent à développer des technologies de #détection de personnes, à travers des #feuillages épais « dans les zones les plus reculées de l’Union européenne ». « Le développement de technologies et de l’#intelligence_artificielle aux frontières de l’Europe est potentiellement plus puissant que des murs, décrypte Sarah Chandler, de l’EDRi. Notre inquiétude, c’est que ces technologies soient utilisées pour des #refoulements aux frontières. »

    D’autres projets, développés sous l’impulsion de #Frontex, utilisent les croisements de #données et l’intelligence artificielle pour analyser, voire prédire, les mouvements migratoires. « Le déploiement de nouvelles technologies de surveillance, avec la construction de barrières pour bloquer les routes migratoires, est intimement lié à des dangers accrus et provoque davantage de morts des personnes en mouvement », peut-on lire dans un rapport de Statewatch. Dans un contexte de droitisation de nombreux États membres de l’Union européenne, Philip Gounev pense de son côté que « le financement de barrières physiques par l’UE deviendra inévitable ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/170723/migrations-l-union-europeenne-droit-dans-le-mur
    #murs #barrières_frontalières #migrations #financement #UE #EU #Union_européenne #technologie #complexe_militaro-industriel

  • Le Comité anti-torture du Conseil de l’Europe (CPT) publie deux rapports sur l’observation d’une opération de retour soutenue par Frontex depuis la Belgique et Chypre vers la République démocratique du Congo - CPT
    https://www.coe.int/fr/web/cpt/-/council-of-europe-anti-torture-committee-cpt-publishes-two-reports-on-the-monit
    https://www.coe.int/documents/10743412/23703277/0/27071c11-d2e0-c268-03bc-9e4695797c65

    News 2023
    Le Comité anti-torture du Conseil de l’Europe (CPT) publie deux rapports sur l’observation d’une opération de retour soutenue par Frontex depuis la Belgique et Chypre vers la République démocratique du Congo. Le Comité pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) du Conseil de l’Europe publie aujourd’hui deux rapports sur ses visites ad hoc effectuées en Belgique du 7 au 10 novembre et à Chypre du 7 au 9 novembre 2022, dans le cadre d’une opération de retour, organisée avec le soutien de Frontex, vers la République démocratique du Congo, ainsi que les réponses des autorités belges et chypriotes.
    13/07/2023

    Le Comité anti-torture du Conseil de l’Europe (CPT) publie deux rapports sur l’observation d’une opération de retour soutenue par Frontex depuis la Belgique et Chypre vers la République démocratique du Congo
    Les deux rapports examinent le traitement et les conditions de détention des ressortissants étrangers privés de liberté en vertu de la loi sur les étrangers, ainsi que les garanties accordées dans le cadre de leur éloignement. Le CPT a envoyé, pour la première fois, deux délégations pour observer la préparation et le déroulement d’une opération de retour conjointe (JRO) par voie aérienne qui a eu lieu le 8 novembre 2022 depuis la Belgique et Chypre vers la République démocratique du Congo. Le vol de retour a été organisé par la Belgique, avec la participation notamment de Chypre et avec le soutien de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex). Il s’agit de la sixième opération d’éloignement par voie aérienne observée par le CPT au cours des dix dernières années.
    Dans son rapport concernant la visite effectuée en Belgique, le CPT a noté que sa délégation n’a reçu aucune allégation de mauvais traitements de la part des personnes éloignées. Le Comité a constaté qu’elles ont été traitées avec respect par les agents d’escorte de la Police fédérale belge tout au long de l’opération d’éloignement, qui a été menée de manière professionnelle. Néanmoins, le CPT considère que les garanties procédurales contre le refoulement arbitraire, y compris les voies de recours contre l’ordre de quitter le territoire, devraient être renforcées davantage afin de veiller à ce que personne ne soit renvoyé dans un pays où il y a un risque réel de mauvais traitements. Ce risque devrait être évalué de manière adéquate au moment de l’éloignement.
    En ce qui concerne le recours à la force et aux moyens de contrainte, le CPT prend note des lignes directrices détaillées et des instructions opérationnelles émises par les autorités belges, qui reflètent la position du Comité en la matière. Il se félicite du recours proportionné et progressif à la force et aux moyens de contrainte dont tous les agents d’escorte de la Police fédérale ont fait preuve, sur la base d’une approche dynamique de la sécurité. Plusieurs recommandations sont formulées pour améliorer le respect du secret médical et la transmission des informations médicales.
    Dans le rapport sur la visite à Chypre, le CPT a constaté que les personnes renvoyées étaient traitées avec respect par la police chypriote, mais il a souligné la nécessité d’adopter des lignes directrices claires concernant la phase de préparation du vol et la procédure d’embarquement, y compris à l’égard des questions liées à la santé. Le CPT a également pris connaissance d’allégations de mauvais traitements après des tentatives d’éloignement non abouties qui ont eu lieu dans les mois précédant la visite du CPT. Cela implique que les autorités chypriotes adoptent une approche proactive en ce qui concerne la détection et la prévention des mauvais traitements, y compris grâce à un examen médical systématique des ressortissants étrangers, à leur arrivée au centre de rétention administrative et après une tentative d’éloignement non aboutie, ainsi que la consignation et le signalement des indices médicaux de mauvais traitements.
    Le CPT formule également des recommandations spécifiques visant à améliorer les garanties dans le cadre de la préparation à l’éloignement, notamment en ce qui concerne la notification en temps utile de l’éloignement, l’accès à un avocat et l’examen médical par un médecin avant l’éloignement, dans le cadre d’une évaluation de « l’aptitude à voyager en avion ». Dans leur réponse, les autorités belges notent que des mesures ont été prises au niveau européen pour améliorer la manière dont les informations médicales sont partagées par les États membres participant aux JRO avec le médecin accompagnant le vol. Au niveau national, les autorités ont pris des mesures pour améliorer l’accessibilité des informations sur le mécanisme de plainte de Frontex. En outre, les autorités belges se réfèrent aux lois, procédures et pratiques existantes en réponse aux recommandations du CPT de renforcer les garanties contre le refoulement arbitraire. Les autorités notent également les familles avec enfants ne sont pas retenues dans les centres de rétention.
    Dans leur réponse, les autorités chypriotes fournissent des informations sur les enquêtes en cours concernant les cas d’allégations de mauvais traitements soulevés par le CPT. Les autorités indiquent également les mesures prises en ce qui concerne, entre autres, les examens médicaux, la consignation et le signalement de lésions, les procédures pour les agents d’escorte policière lors des retours forcés et volontaires, l’utilisation de moyens de contrainte, et la mise à disposition de services d’interprétation et de formation pour les agents d’escorte. En outre, ils indiquent que, dans le cadre de la politique publique, aucune personne vulnérable n’est placée en rétention, y compris les mineurs non accompagnés ou les familles avec enfants. Les deux rapports et les réponses ont été publiés à la demande des autorités belges et chypriotes.

    #Covid-19#migrant#migration#chypre#belgique#republiqueducongo#frontex#centrerretention#retourforce#droit#refoulement#ue#postcovid

  • En #Algérie, l’#errance des migrants subsahariens menacés d’expulsion

    Ni le rejet violent dont ils sont victimes en #Tunisie ni le #racisme qu’ils subissent de la part des Algériens ne les dissuadent de transiter par le pays pour rallier l’Europe.

    Assis au milieu d’un amas de tissus, le visage d’Osman Issa brille de sueur. Un ventilateur rafraîchit à peine son atelier de 8 mètres carrés en cette journée d’été étouffante du mois de juillet. De sa table de couture, un karakou (tenue algéroise traditionnelle) au-dessus de la tête, Osman se remémore sa traversée du désert pour venir en Algérie voilà vingt-six ans. « J’ai décidé de quitter le Niger sous les encouragements de mon frère qui avait fait la traversée avant moi », raconte-t-il dans un dialecte algérien presque parfait. A son arrivée en 1997, Osman, brodeur de qualité, s’était lancé avec un certain succès dans le commerce de tenues traditionnelles. Désormais, il possède cet atelier de couture dans un quartier populaire d’Alger.

    Alors que le débat sur la place des migrants subsahariens dans les pays nord-africains a été relancé par les événements en Tunisie et les opérations de refoulement à la frontière des autorités algériennes, lui affirme avoir trouvé sa place. « En trois décennies, je n’ai pas été victime d’un acte raciste qui m’a fait regretter d’être venu », promet-il. Comme la plupart des migrants subsahariens, Osman ne considérait pas l’Algérie comme un point d’ancrage, mais un lieu de transit vers l’Europe. « J’ai tenté de traverser à trois reprises, mais j’ai échoué. » Désormais marié à une Algérienne et père de trois enfants, il bénéficie d’une carte de résidence et n’envisage plus de partir vers l’Europe ou de rentrer au Niger, sauf pour les visites familiales.

    « J’avoue qu’il m’a été très difficile de régulariser ma situation, même après mon mariage. Je me compare souvent à mon frère qui est parti en Belgique bien après moi. Il a déjà sa nationalité. Moi, je sais que je ne l’aurai pas. La nationalité algérienne ? Il ne faut pas demander l’impossible », reconnaît-il, sans nier le racisme ambiant. Quand il n’en est pas témoin lui-même, des récits lui arrivent des migrants qu’il emploie : « Ils ont pour but de partir en Europe. Les passeurs demandent jusqu’à 3 000 euros. Ce qui représente trois ans de travail acharné pour un migrant. D’autres préfèrent rentrer dans leur pays avec cette somme et tenter le visa pour l’Europe. Dans les deux cas, cet argent ne peut être amassé qu’en Algérie. C’est ici qu’il y a du travail. »

    « Pour l’amour de Dieu ! »

    A la sortie de l’atelier d’Osman, le wagon climatisé du tramway offre une échappatoire à la canicule. « Une aumône pour l’amour de Dieu ! », supplie une jeune migrante subsaharienne depuis le fond du train. Alors que l’enfant fraie son chemin, certains passagers piochent dans leurs poches pour lui tendre quelques sous, d’autres ne masquent pas leur exaspération. La scène fait désormais partie du quotidien algérois. Les migrants sont d’ailleurs désormais qualifiés par les locaux de sadaka (aumône).

    A #Alger, la vie des #migrants_subsahariens n’a pas été perturbée par les événements récents en Tunisie. Depuis le 3 juillet, après la mort à Sfax d’un Tunisien dans une bagarre avec des migrants, des autochtones ont fait la chasse aux Subsahariens et les autorités en ont expulsé par centaines de la ville où le drame a eu lieu. Même ceux en situation régulière ne sont pas épargnés. Depuis plusieurs semaines, de nombreux Sfaxiens manifestaient contre l’augmentation du nombre de candidats à l’exil vers l’Europe arrivés d’Algérie.

    Ceux-ci franchissaient majoritairement la frontière au niveau de la région montagneuse de #Kasserine, dans le centre ouest de la Tunisie. Un trajet périlleux : neuf migrants y ont perdu la vie à la mi-mai, « morts de soif et de froid », selon la justice tunisienne.

    C’est dans cette même zone que 150 à 200 personnes ont été refoulées par les autorités tunisiennes, selon les estimations de Human Rights Watch (HRW), en plus des 500 à 700 migrants abandonnés dans la zone frontalière avec la Libye. « Ce sont des estimations que nous avons établies après être entrés en contact avec les migrants et après avoir identifié leur localisation, explique Salsabil Chellali, la directrice de HRW pour la Tunisie. Les migrants expulsés du côté algérien se sont dispersés après avoir été contraints à marcher pendant plusieurs kilomètres. »

    « Propos racistes »

    Ces groupes de migrants comptent des enfants et des femmes enceintes. L’une d’elles a accouché aux portes de l’Algérie, comme en atteste une vidéo reçue par Le Monde. D’après HRW, un groupe de migrants, refoulés à la frontière libyenne, a été secouru et pris en charge dans des villes du sud tunisien. D’autres, aux frontières libyennes et algériennes, errent encore dans le #désert, attendant aide et assistance.

    Les propos du président tunisien Kaïs Saïed en février, dénonçant des « hordes de migrants clandestins », source de « violence, de crimes et d’actes inacceptables », ont eu un effet désinhibant, notamment sur des influenceurs et des artistes populaires en Algérie. La
    chanteuse de raï Cheba Warda a ainsi dit soutenir le plan d’expulsion du président Tebboune alors qu’aucun discours n’avait été tenu par ce dernier.

    En juin, l’influenceuse algérienne Baraka Meraia, suivie par plus de 275 000 personnes, a dénoncé le racisme anti-Noirs dont elle a aussi été victime. Originaire d’In Salah, à plus de mille kilomètres au sud d’Alger, la jeune femme a dit avoir été prise à plusieurs reprises pour une migrante subsaharienne. Dans une vidéo, elle est apparue en larmes pour raconter le comportement d’un contrôleur de tramway algérois. « Ce n’est pas la première fois que j’entends des propos racistes, relatait-elle. Parmi toutes les personnes qui ont assisté à la scène, aucune n’a réagi. »

    « Ils errent dans le désert »

    En plus des actes et des propos racistes auxquels ils sont exposés, les migrants vivent sous la menace des opérations d’expulsion. Selon l’ONG Alarm Phone Sahara, qui leur vient en aide, l’Algérie a renvoyé plus de 11 000 personnes vers le #Niger entre janvier et avril 2023. Les opérations sont toujours en cours, d’après la même source, et s’opèrent au rythme minimum d’un convoi par semaine depuis 2018. « Ces expulsions s’opèrent sur la base d’un accord avec le Niger. Toutefois, l’Algérie ne prend pas en considération la nationalité des migrants qu’elle refoule », raconte Moctar Dan Yayé, le responsable de communication d’Alarm Phone Sahara.

    Selon lui, les migrants sont acheminés jusqu’à #Tamanrasset, à l’extrême sud algérien, puis à la frontière avec le Niger. De ce no man’s land, les refoulés doivent marcher environ 15 km pour atteindre le village d’#Assamaka, où l’opération de tri commence. « Nous sommes tombés sur des Yéménites et même sur un migrant du Costa Rica. Ceux-là, comme les autres Africains, ne sont pas pris en charge par le Niger. Parfois, l’Organisation mondiale des migrations (OIM) se charge de les renvoyer chez eux. Dans le cas contraire, ils errent dans le désert en essayant de rentrer en Algérie », rapporte Moctar Dan Yayé. Selon Alarm Phone Sahara, plus de 7 500 migrants expulsés restent bloqués à Assamaka.

    Malgré cette menace de reconduite et les discours incendiaires du président tunisien, ceux-ci gardent les yeux rivés sur la Méditerranée, comme ces deux jeunes Sénégalais, Aliou et Demba*, rencontrés en avril à Tamanrasset. Après avoir traversé le Mali et le Niger, leur errance les a amenés dans cet îlot urbain, planté en plein désert, où ils n’ont trouvé que quelques labeurs sur des chantiers, payés tout juste 1 000 dinars la journée, à peine 7 euros. Demba espérait alors rejoindre la Tunisie, sans crainte que les propos de son dirigeant n’affecte son ambition. Il y a seulement trois mois, il était persuadé que les migrants ne risquaient pas l’expulsion de la Tunisie, contrairement à l’Algérie. Le seul problème qui se posait alors à ses yeux et à ceux de son ami était de trouver l’argent pour payer les passeurs.

    *Les prénoms ont été changés à la demande des interviewés.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/12/en-algerie-l-errance-des-migrants-subsahariens-menaces-d-expulsion_6181703_3
    #migrations #réfugiés #refoulements #push-backs

    ping @_kg_ @rhoumour

  • Il ministero dell’Interno condannato a risarcire un respinto a catena in Bosnia

    Il Tribunale di Roma ha accertato l’illegittimità delle “riammissioni” al confine orientale, ricostruendo il “nesso causale” tra respingimenti e trattamenti inumani. Il Viminale deve farsi carico del danno inflitto a un cittadino pakistano richiedente asilo. Decisivo il lavoro di rete tra attivisti, Ong e avvocati. Una decisione attualissima

    Il ministero dell’Interno è stato condannato dal Tribunale di Roma a pagare 18.200 euro a titolo di risarcimento nei confronti di A., cittadino originario del Pakistan in fuga dal Paese, per averlo prima fermato a Trieste e poi respinto in Slovenia e a catena verso la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina. Nonostante avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale. Cento euro per ogni giorno trascorso tra la “riammissione” in Slovenia avvenuta a metà ottobre 2020 e il rientro in Italia nell’aprile 2021, come prevede la giurisprudenza comunitaria e nazionale su casi assimilabili.

    La decisione della giudice Damiana Colla del 9 maggio è estremamente rilevante non soltanto perché “accerta e dichiara l’illegittimità” delle riammissioni informali attive da parte italiana ma soprattutto perché inchioda l’”evidente nesso di causalità” tra l’operato della polizia italiana e il “danno subito” da A.. “La lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani -scrive infatti la giudice- sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste”.

    La decisione ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Asgi, commenta la stessa Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, la Ong ‘Lungo la rotta balcanica’, l’associazione Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment (Pic, in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’Asgi, Ics Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito”.

    Nuove ombre si allungano su una prassi che i governi europei intendono invece elevare sempre più a norma “guida” della brutale gestione delle frontiere, come dimostra l’accordo al Consiglio europeo Giustizia e Affari interni dello scorso 8 giugno sui regolamenti in tema di gestione dell’asilo e della migrazione e delle procedure.

    Non si tratta di un’ordinanza che guarda a un passato ormai superato o a una pagina triste nel frattempo voltata: se è vero infatti che l’Italia ha condotto i respingimenti verso la Slovenia per tutto il 2020 e li ha sospesi nel 2021, è noto che da fine 2022 il nuovo governo abbia annunciato di volerli riprendere (con “risultati” incerti di cui abbiamo già scritto). Il tutto nonostante il precedente dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma a firma della giudice Silvia Albano, emessa nel gennaio 2021 a fronte del ricorso promosso sempre dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla (la vicenda è ben raccontata nel film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore).

    La storia di A. ricostruita nella decisione di Roma è tanto forte quanto emblematica. La sua fuga dal Pakistan inizia nel 2018, quand’è ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan. Sopravvissuto, e temendo ritorsioni da ambo le parti (estremisti ed esercito cui apparteneva), decide di scappare. Resta per un anno in Turchia e per tre volte prova a entrare in Grecia, nell’Unione europea. Al terzo tentativo riesce, attraversando poi la Macedonia del Nord, la Serbia e arrivando nell’estate 2019 in Bosnia ed Erzegovina.

    Per nove volte è respinto dalle polizie croate e per tre da quelle slovene. Il primo ottobre 2020, a “riammissioni informali attive” ormai a pieno regime da parte italiana, gli riesce il “game” che lo porterà a Trieste nella mattinata del 17 ottobre. Qui però alcuni militari lo fermano quasi subito insieme ad altre quattro persone. Finiscono tutti in una stazione di polizia dove sono visitati e gli vengono fatti firmare fogli non tradotti dal contenuto oscuro. A. riferisce però agli agenti di voler chiedere asilo ma questi lo “affidano” alla polizia slovena. Non ha niente in mano: “informale” vuol dire infatti respinto senza lo straccio di un provvedimento scritto, motivato, impugnabile, cioè senza convalida dell’autorità giudiziaria, senza diritto a un ricorso effettivo. A riprova di quanto sia basso e surreale il dibattito sul garantismo in Italia.

    È così che A., con l’etichetta fasulla di “cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente” e non invece di richiedente asilo, si fa una notte in una stazione di polizia slovena e il giorno dopo si vede “consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, comprese percosse”, sempre per citare il giudice di Roma.

    Alla fine della catena lo attende la Bosnia ed Erzegovina. Nel caso di A. è l’insediamento informale di Vedro Polje, poco distante da Bihać, nel Nord-Ovest del Paese. Per via delle “degradanti condizioni di vita al campo”, come si legge nell’ordinanza che ha condannato il Viminale, A. decide di riprovarci. Lì non può rimanere. Ce la fa, di nuovo, perché “frontiere chiuse” è uno slogan vuoto, e ad aprile del 2021 torna nell’Italia che lo aveva illegalmente respinto. Tre mesi prima, come detto, la giudice Albano del Tribunale di Roma aveva già sanzionato il ministero dell’Interno per le stesse riammissioni (caso specifico diverso, naturalmente). A., memore del precedente respingimento, abbandona in fretta Trieste e raggiunge Brescia. Il 10 maggio fa quella domanda d’asilo che gli era stata negata dalla polizia italiana qualche mese prima e a tre giorni da Natale si vede riconoscere lo status di rifugiato. Ma non gli suona come un lieto fine quanto lo sprone a chieder giustizia per quel respingimento illegale subìto.

    Il 31 dicembre 2021 fa perciò ricorso. Il ministero dell’Interno si costituisce in giudizio il 27 settembre 2022 sostenendo che no, non si sarebbe trattato di un’espulsione collettiva vietata dal diritto internazionale ed europeo, che l’intera procedura si sarebbe svolta nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte, che la pratica sarebbe stata pienamente legittima e che il danno subito dal ricorrente (cioè A.) non sarebbe stato dimostrato.

    Il Tribunale di Roma dà però torto a Roma e ragione ad A. e alle avvocate Bove e Brambilla, facendo così squagliare la tesi difensiva del Viminale come il sole fa con la neve. “Il trattamento che il ricorrente ha descritto di aver subito da parte delle autorità di frontiera italiane al momento del suo primo ingresso a Trieste […] è stato pienamente provato in giudizio”, scrive la giudice Colla. Dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione alla presa in consegna da parte delle autorità slovene. È documentata anche la catena: la detenzione in Slovenia al Centro per stranieri di Veliki Otok, nella Postumia (Carniola interna), e la successiva riammissione in Croazia. Fino alla Bosnia. Nessun alibi quindi per il Viminale, che della mancata prova dell’arrivo in Italia dei respinti ne ha fatto fino a oggi un leitmotiv. Questa volta non gli è riuscito nascondere la mano.

    Nella “jungle” di Vedro Polje, dove si trova a inizio 2021, A. ha per fortuna incontrato la giornalista Elisa Oddone e l’operatore sociale Diego Saccora dell’associazione “Lungo la rotta balcanica” (e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani). Oddone, che stava curando un reportage per Al Jazeera ed NPR, raccoglie la testimonianza di A. e fa da primo contatto-ponte con le avvocate Bove e Brambilla. Anche Saccora confermerà in Tribunale più incontri con A.. A Vedro Polje infatti l’operatore sociale e ricercatore sul campo portava assistenza e beni di prima necessità. Non solo: lo accompagna di persona presso uno studio notarile di Bihać “per conferire mandato agli attuali difensori al fine di esperire ricorso avverso la riammissione in Slovenia”. A dimostrazione che il supporto incisivo alle persone in transito calpestate dai governi europei alle frontiere può assumere le forme più svariate, e che l’aiuto più distante dalla solidarietà istituzionalizzata può passare persino dalla ceralacca di un notaio. Quante pagine gravi e paradossali faranno scrivere ancora le politiche europee?

    Oddone e Saccora raccontano per filo e per segno al giudice le condizioni proibitive in cui si trovava all’epoca A. insieme ad altri. Riparati nei boschi, con la temperatura fino a venti gradi sotto zero di un inverno bosniaco, senz’acqua, senza accoglienza per via della chiusura dei due campi locali più grandi, praticamente senza cibo, stretti tra “ronde” di cittadini locali ostili e “possibili furti da parte di altri gruppi di richiedenti asilo, alla ricerca di quanto necessario alla sopravvivenza”.

    Secondo il Tribunale di Roma la riammissione “informale” di A. da parte dell’Italia avrebbe “contraddetto” le “norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo (del 1996, ndr) non ratificato con legge”.

    “La Direttiva 2008/115/CE non legittima affatto, anzi contrasta con la descritta pratica di riammissione informale posta in essere dal governo italiano -chiarisce la giudice Colla-. Infatti, sebbene tale direttiva (al suo art. 6, par. 3) consenta agli Stati membri di riammettere nello Stato confinante di provenienza senza una specifica decisione di rimpatrio, qualora sussistano accordi bilaterali tra gli Stati interessati già vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva stessa (essendo tali accordi invece non più consentiti nella vigenza della stessa), tuttavia, nell’esecuzione dell’accordo, lo Stato italiano è comunque vincolato dalla normativa interna anche costituzionale (art 13 Cost.), nonché dal diritto sovranazionale, alla stregua del quale lo Stato ha il dovere di accertare la situazione concreta nella quale la persona riammessa verrà a trovarsi, con particolare riferimento all’eventualità di una violazione dei suoi diritti fondamentali (che si prospettava nel caso di specie secondo le informazioni largamente disponibili). Soprattutto poi, la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di una persona che manifesti l’intenzione di chiedere asilo, come nella specie accaduto”.

    Oltre al regolamento 604/2013 (Dublino III), l’Italia, nella foga di respingere, avrebbe persino violato lo stesso accordo bilaterale con la Slovenia. L’articolo due prevede infatti che ciascuna parte, su richiesta dell’altra, “si impegna a riammettere sul proprio territorio il cittadino di uno Stato terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiedente, non potendosi evidentemente considerare in tale situazione chi abbia espresso la volontà di chiedere protezione”. Proprio come A..

    A titolo di aggravante per le autorità italiane, segnala poi il Tribunale elencando corposa bibliografia, c’è anche il fatto che queste erano “perfettamente” a conoscenza -“o almeno trovandosi nella condizione di avere perfetta conoscenza”- “delle violazioni cui i respinti sarebbero stati esposti in Slovenia”, così come in Croazia, per non parlare delle condizioni orribili in Bosnia ed Erzegovina, denunciate anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović.

    A maggior ragione dopo le tredici pagine dell’ordinanza del Tribunale di Roma nessuno potrà dire “non sapevo”. Nel buio spicca il “lavoro di rete per contrastare le violazioni”, come lo chiamano le avvocate Bove e Brambilla. “La decisione è un importante risultato non solo perché ribadisce l’illegittimità della condotta posta in essere dalle autorità italiane -concludono- ma perché valorizza, anche attraverso l’assunzione della testimonianza diretta di Saccora e Oddone, l’impegno di tante persone che si impegnano a denunciare e contrastare le violazioni dei diritti delle persone in transito”.

    https://altreconomia.it/il-ministero-dellinterno-condannato-a-risarcire-un-respinto-a-catena-in

    #justice #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #frontières #migrations #asile #réfugiés #condamnation #refoulements #refoulements_en_chaîne #push-backs #tribunal #réadmissions #Trieste #réadmissions_informelles_actives #Bihać #Bihac #Vedro_Polje #Veliki_Otok #Croatie #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #forêt #hostile_environment #environnement_hostile #accord_bilatéral

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    ajouté à la #Métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans:
    https://seenthis.net/messages/1009117

  • Respingimenti e ostacoli all’asilo. Ritorno sulla frontiera Italia-Svizzera

    Da gennaio ad aprile 2023 a Como-Ponte Chiasso oltre 1.300 persone migranti sono state “riammesse” indietro dalle autorità elvetiche. È il confine terrestre italiano con i dati più alti. Quattro su 10 sono afghani: la protezione è un miraggio

    Ahmed, diciassettenne afghano, è partito da Kabul nell’autunno del 2021 per non finire tra le fila dell’esercito talebano. A un anno e mezzo dalla partenza, dopo aver percorso una delle diramazioni della rotta balcanica, passa per la stazione di Milano, dove non si ferma neanche una notte: la prossima tappa da raggiungere è Zurigo, l’obiettivo ultimo la Germania. Che cosa lo aspetta al confine italo-svizzero? Seppur poco raccontato, secondo i dati del ministero dell’Interno, su questa frontiera nei primi quattro mesi del 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni passive, ovvero le pratiche di polizia a danno di persone straniere considerate irregolari che, a un passo dall’arrivo sul territorio elvetico, vengono costrette a ritornare in Italia.

    A far da contraltare all’approccio di frontiera finalizzato al respingimento, una parte della società civile su entrambi i lati del confine testimonia ormai da anni un’accoglienza possibile ma sempre più difficile nei confronti dei transitanti. La collaborazione tra i due Paesi si rifà all’accordo italo-svizzero del 1998 “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 31 maggio scorso quell’impegno bilaterale è stato ribadito nell’incontro tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la sua omologa svizzera, Elisabeth Baume-Schneider, per contrastare, parole del Viminale, la “criminalità organizzata”, il “terrorismo internazionale” e monitorare i “foreign fighters di rientro dai teatri di guerra”. Il tutto, ha assicurato la consigliera elvetica, garantendo “sempre il rispetto dei diritti umani dei migranti”. Retorica politica che propone un concetto di sicurezza e promette di proteggere tutti, ma poi nella pratica minaccia le stesse persone in cerca di una maggior sicurezza.

    Già nel 2016 l’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi) aveva evidenziato l’illegittimità delle riammissioni previste dall’accordo bilaterale per diversi motivi: ostacolano la domanda di asilo, implicano controlli sistemici e discriminatori lungo una frontiera Schengen e sono considerabili espulsioni collettive; infine, essendo procedure informali, non permettono di presentare un eventuale ricorso.

    Nonostante le rassicurazioni sul “rispetto dei diritti umani” di Baume-Schneider, le riammissioni, con le annesse criticità sottolineate nel 2016, continuano anche oggi. I dati relativi ai primi mesi dell’anno, comunicati dal Viminale dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia, sono eloquenti. Per quanto riguarda il settore terrestre di Como-Ponte Chiasso, da gennaio ad aprile 2023 sono state registrate 1.341 riammissioni verso l’Italia (numeri alti, basti pensare che per il più conosciuto accordo bilaterale tra Italia e Slovenia erano state 1.240 le persone riammesse nel 2020, anno di picco).

    Quello con la Svizzera si conferma quindi il confine terrestre italiano dove vengono registrate più riammissioni passive (si veda, a questo proposito, l’articolo sui respingimenti ai confini italiani nel numero di febbraio di Altreconomia). Dal gennaio 2022, infatti, in media, 330 persone ogni mese sono costrette dalla polizia svizzera a ritornare sui propri passi. Quattro su dieci sono afghani, proprio come Ahmed. Seguono siriani, turchi, marocchini e poi bengalesi e tunisini.

    Entrare nel merito di ciascun episodio è impossibile, ma si può ipotizzare che in molti casi la riammissione abbia ostacolato l’accesso alla domanda di protezione internazionale per persone provenienti da zone di conflitto. Ciò che permette un così alto numero di riammissioni è l’esteso sistema di controllo elvetico. “Il Ticino ha il più alto numero di poliziotti pro-capite di tutta la Svizzera”, spiega Donato Di Blasi di Casa Astra, centro di prima accoglienza per persone in emergenza abitativa nella Svizzera italiana. Nel territorio, infatti, si conta un agente ogni 305 abitanti, a fronte della media nazionale di uno ogni 466 secondo i dati della Radiotelevisione svizzera. “I pattugliamenti della polizia svizzera si estendono sui treni fino a Lugano, a 30 chilometri dalla stazione di confine di Ponte Chiasso”, continua Di Blasi.

    Spesso i controlli avverrebbero sistematicamente nei confronti di persone con caratteristiche somatiche apparentemente non di origine europea, in violazione delle normative che vietano la profilazione etnica (racial profiling). Un ragazzo egiziano di 16 anni che vive attualmente a Como racconta: “Una volta rientrando da Milano mi sono addormentato sul treno, superando per sbaglio la fermata di Como. Alla stazione di Chiasso mi hanno svegliato i poliziotti, mi hanno perquisito fino a lasciarmi in mutande, poi mi hanno riportato in Italia. Ero l’unico sul treno a cui è successo così”. Il monitoraggio frontaliero delle forze dell’ordine si inoltra anche nelle zone di transito percorribili in auto o a piedi. Per sorvegliare al meglio queste aree, l’ufficio federale dell’armamento (Armasuisse) aveva annunciato già nel 2015 l’acquisto di sei droni di fabbricazione israeliana che entreranno a pieno regime entro la fine del 2024.

    Nonostante la fitta rete di controlli e i numeri delle riammissioni, le realtà comasche che supportano le persone transitanti concordano nel dire che la situazione per le strade di Como non è minimamente paragonabile a quella dell’estate del 2016, quando fino a 500 persone dormivano nei pressi della stazione di San Giovanni in attesa di superare il confine. “Sono sporadici i casi di persone riammesse dalla Svizzera presenti sulle strade di Como”, racconta Anna Merlo di Porta Aperta, sportello di Caritas per i senza dimora. “Dato l’alto numero delle riammissioni, ci chiediamo: dove vanno le persone una volta riportate in Italia?”, si domanda don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, realtà solidale con le persone transitanti e attualmente luogo di accoglienza per decine di minori stranieri non accompagnati in attesa di una sistemazione definitiva. L’impressione è che chi viene riammesso non si fermi in città, provando a continuare il viaggio in altre zone di frontiera, vicine e lontane.

    Ahmed ha avuto fortuna, è riuscito a superare l’ennesimo confine, ma questo non significa la fine degli ostacoli. Infatti, dalle informazioni raccolte, è frequente che le persone transitanti, intercettate dalle forze dell’ordine sul territorio svizzero, dopo aver provato a fare domanda di asilo vengano riportate in Italia alla centrale di polizia di Ponte Chiasso. “Per essere certi che la domanda di asilo venga presa in carico e le persone non vengano respinte, l’unico modo è accompagnarle fisicamente alla questura di Chiasso per contestare un’eventuale riammissione; lo abbiamo fatto più volte in passato -spiega Gabriela Giuria Tasville di Azione posti liberi, fondazione che segue dal punto di vista legale i richiedenti asilo in Ticino-. A peggiorare il quadro, inoltre, è impossibile, per le persone in transito, soggiornare anche temporaneamente in Svizzera, perché dal 2008 è entrata in vigore una legge federale che vieta qualsiasi forma di accoglienza e penalizza chiunque aiuti le persone transitanti in situazione di irregolarità”. Questa legge infatti punisce “con una pena detentiva sino a un anno o con una pena pecuniaria chiunque […] facilita o aiuta a preparare l’entrata, la partenza o il soggiorno illegali di uno straniero” (articolo 116, 1.a). Le autorità, da una parte, non permettono alle persone transitanti di regolarizzare la loro posizione sul territorio e quindi di accedere alle strutture di accoglienza; dall’altra, puniscono chiunque aiuti il soggiorno di una persona che è in una situazione di irregolarità a causa del mancato accesso alla procedura di asilo.

    Questa legge, ormai arrivata al suo quindicesimo anno d’età, ha fatto sì che realtà come Casa Astra, che già nel 2004 accoglieva sans papier provenienti dall’Ecuador, non possano più supportare persone in situazione di emergenza abitativa senza documenti. Ancora più eclatante è il caso del centro sociale autogestito il Molino a Lugano, unica realtà che fino al 2021 accoglieva apertamente le persone transitanti. Nel maggio di due anni fa è stato raso al suolo su provvedimento della polizia cantonale. Al contrario della solida collaborazione tra le autorità di frontiera dei due Paesi, costruire e mantenere una rete solidale a livello locale e transfrontaliero di supporto alle persone in transito, in questo contesto, sembra quasi impossibile.

    https://altreconomia.it/respingimenti-e-ostacoli-allasilo-ritorno-sulla-frontiera-italia-svizze

    #Italie #Suisse #frontières #push-backs #refoulements #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #réadmissions #réadmissions_passives #foreign_fighters #terrorisme #statistiques #chiffres #2023 #2022 #profilage_racial #drones #criminalisation_de_la_solidarité

  • Alert: #Tunisia security forces abused & collectively expelled 20+ West/Central African nationals to a remote area at the Tunisia-#Libya border. (03.07.2023)

    Includes a girl 16 yrs old, 2 pregnant women (1 in very bad condition), 2 registered asylum seekers. They need urgent help.

    2/ Tunisian security forces beat the migrants, threw away their food, smashed their phones, & dropped them on the Libya side of the border, they said.

    They fled back to the Tunisia side after encountering armed men. Spent the night in the desert. Still at risk.
    https://pbs.twimg.com/media/F0Hf8uoX0AE1oQU?format=jpg&name=medium

    3/ Group includes people from Cameroon, Mali, Guinea, Côte d’Ivoire, Chad. 6 women, 1 girl, others men - in initial group.

    Based on my last convo with them, more people may have been expelled overnight. They said 1 man has died - impossible to confirm for now but very worrisome

    4/ These migrants & asylum seekers, including at least 1 child & 2 pregnant women (one ill & bleeding), are stranded in a closed, militarized Tunisia-Libya border zone.⚠️

    We informed UN agencies but #Tunisia authorities have not yet granted access for them to help these people

    5/ Update: just heard from the group of 20 expelled people at #Tunisia-#Libya border. Still stranded. They don’t know if other migrants have been expelled separately. They have no food, only eating when ppl passing by (those trying to cross border) give them bits of bread/water

    6/ #Tunisia expulsions - another update: more migrants reportedly have now been expelled to #Libya border, in addition to the first group of 20. Seeking to verify info/details

    7/ 🚨 Alert: over 100 more African migrants & asylum seekers expelled today by #Tunisia to #Libya border zone (Ben Gardane area). Includes at least 12 children ages 6 months to 5 yrs. This is in addition to the 20 expelled Sun, July 2. They gave permission for me to share videos

    8/ #Tunisia expulsion of 100+ migrants to #Libya border: Since they gave permission to share, here is another video. This one taken by the 1st group - 20 ppl - expelled July 2 (they note the date in the vid). Shows they were forced to sleep overnight on the ground in the desert.

    https://twitter.com/LozSeibert/status/1675865936853696512

    #migrations #asile #réfugiés #Tunisie #Libye #frontières #désert #abandon #refoulements #désert

    –—

    En 2015:
    Refugees left behind in Tunisia’s desert
    https://seenthis.net/messages/351913

    –—

    ajouté à la métaliste “Les ’#left-to-die' dans le désert du Sahara”:
    https://seenthis.net/messages/796051#message1013185

    ping @_kg_

    • En Tunisie, des Subsahariens expulsés de #Sfax, sur le rivage de la Méditerranée, vers le désert

      Selon les témoignages recueillis par « Le Monde », des dizaines de migrants présents dans la ville portuaire ont été emmenés par les forces de sécurité à la frontière libyenne.

      « Nous sommes sur une plage au milieu du désert. » Mercredi 5 juillet vers 10 heures du matin, Ismaël, un jeune Ivoirien installé en Tunisie depuis 2019, vient d’envoyer au Monde sa localisation exacte, grâce à l’application de messagerie instantanée WhatsApp. Le repère placé sur la carte fait la jonction entre la Tunisie, à gauche, la Libye, à droite, et en face, la mer Méditerranée. La nuit précédente, Ismaël et des dizaines d’autres ressortissants d’Afrique subsaharienne ont été transférés de force de la ville portuaire de Sfax (centre-est) vers ce no man’s land, une zone tampon située à proximité du poste-frontière de Ras Jdir, à quelque 350 kilomètres de la deuxième ville du pays.

      Dans une vidéo transmise au Monde vers 17 h 30 par Isaac, un ressortissant guinéen également déplacé dans la nuit de mardi à mercredi, plusieurs dizaines de personnes – voire quelques centaines selon trois témoins sur place – sont toujours amassées sur cette plage, dont des femmes, des enfants et des nourrissons. « On boit l’eau de la mer, on n’a rien mangé depuis hier », alerte une des femmes, son bébé dans les bras, sous le soleil.

      Militaires et agents de la garde nationale nient ces transferts forcés. « Si les migrants sont là-bas, c’est qu’ils doivent venir de Libye », assure l’un d’eux, présent dans la zone frontalière. Les autorités, elles non plus, ne reconnaissent pas ces rafles de migrants. Seul un député, Moez Barkallah, a évoqué ces opérations. Dans une déclaration à l’agence tunisienne de presse, la TAP, il s’est félicité que plus d’un millier de migrants subsahariens aient été expulsés, depuis l’Aïd-el-Kébir, vers les régions frontalières de la Libye et de l’Algérie. Des pays qui, selon lui, parrainent ces opérations.
      Violents affrontements à Sfax

      Les témoignages de ces migrants sont de plus en plus nombreux. D’après Ismaël et ses compagnons, des policiers sont venus les chercher dans leur quartier de Sfax et les ont fait monter à bord de leurs véhicules, sous les acclamations de certains habitants, en leur promettant de les mettre « en sécurité » dans la capitale, Tunis. Mais, au lieu d’aller vers le nord, ils ont roulé vers le sud et le désert.

      Cette opération fait suite à des journées d’extrême tension consécutives à la mort d’un Tunisien, lundi 3 juillet, tué dans une rixe avec des migrants subsahariens, selon le porte-parole du parquet de Sfax. Trois hommes, de nationalité camerounaise, selon les autorités, ont été arrêtés. Dans la foulée, certains quartiers de Sfax ont été le théâtre de violents affrontements. Des habitants tunisiens se sont regroupés pour s’attaquer aux migrants et les déloger. « On ne les veut plus chez nous, on va s’en occuper nous-mêmes, assure l’un d’eux, torse nu, son tee-shirt sur la tête pour masquer son visage, dans une vidéo partagée sur Facebook. Sortez tous, nous allons reprendre nos maisons. »

      Mardi, dans un communiqué, le président tunisien, Kaïs Saïed, a affirmé que son pays refuse d’être « une zone de transit ou d’accueil pour les arrivants de plusieurs pays africains ». A l’intention de l’Union européenne, qui veut obtenir de la Tunisie qu’elle empêche les départs en Méditerranée, il a ajouté que son pays « ne protège que ses propres frontières ».

      Cela fait des mois que la défiance s’installe dans la ville portuaire, où les migrants sont de plus en plus nombreux, y attendant de pouvoir embarquer à bord d’un bateau pour l’Europe. Fin février 2023, alors qu’une campagne contre les migrants subsahariens lancée par le Parti nationaliste tunisien était largement diffusée sur les réseaux sociaux et dans les médias, la haine s’est exacerbée après le discours de Kaïs Saïed accusant des « hordes de migrants clandestins » d’être source de « violence, de crimes et d’actes inacceptables ».
      Partir vers l’Europe

      Dans les semaines qui ont suivi, des organisations de défense des droits humains ont recensé des dizaines d’agressions, d’expulsions et de licenciements de migrants. Le gouvernement tunisien s’est défendu de tout « racisme », évoquant « une campagne orchestrée et de source bien connue ».

      Déjà difficiles, les conditions de vie d’Ismaël, le jeune Ivoirien, se sont encore détériorées. Les manifestations contre les migrants à Sfax se sont multipliées, de même que les accusations de crimes et de violences, reprises une nouvelle fois par le chef de l’Etat. A à peine 30 ans, Ismaël n’a alors plus eu qu’une idée en tête : partir vers l’Europe. Il a tenté de le faire une première fois à la fin de l’hiver, mais son aventure a échoué après l’interception de son bateau par la garde maritime. Il a alors été relâché à Sfax, où il pensait faire profil bas, en attendant des jours meilleurs.

      Depuis que les informations sur les expulsions de migrants ont circulé, mercredi, des dizaines d’autres Subsahariens se sont regroupés dans les gares ferroviaires et les stations de bus pour fuir Sfax. Le soir même, la tension est redescendue d’un cran dans les rues de la ville. Dans un petit parc du centre-ville, près d’une mosquée, des dizaines de migrants sont regroupés, des femmes dorment, quelques-uns discutent, deux sont blessés à la tête.

      Leurs discussions sont rythmées par les sirènes de la police ou le bruit de motards tunisiens qui semblent faire des rondes. « Les policiers sont là pour nous protéger », se rassure Abdallah, même s’il craint d’être attaqué à tout moment. Expulsés de chez eux, empêchés de traverser la mer vers l’Europe, ils attendent de pouvoir fuir la ville ou retrouver des conditions de vie « acceptables ».

      Depuis le sud du pays, alors que le soleil s’apprête à se coucher, Ismaël rappelle, apeuré. « Beaucoup de militaires sont arrivés près de l’endroit où nous sommes, on ne sait pas ce qu’ils vont nous faire », précise-t-il.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/06/en-tunisie-des-subsahariens-expulses-de-sfax-vers-le-desert_6180768_3212.htm

    • „Wenn euch euer Leben lieb ist, geht“

      In Tunesien zwingen Privatleute Mi­gran­t:in­nen und Geflüchtete aus ihren Wohnungen, der Staat setzt sie dann in der Wüste ab – bei 40 Grad im Schatten.

      TUNIS/SFAX taz | Viele Menschen in der langen Schlange vor dem Bahnhof von Sfax sind stumm. In den Gesichtern der meist aus Westafrika kommenden Mi­gran­t:in­nen sind noch ihre Erlebnisse der letzten Stunden geschrieben. In der Nacht auf Mittwoch hatten mit Knüppeln und Messern bewaffnete Jugendliche in der zweitgrößten Stadt Tunesiens Hunderte Mi­gran­t:in­nen aus ihren angemieteten Wohnungen gezwungen und in Gruppen auf die Hauptstraßen getrieben.

      Die von den Angreifern in den sozialen Medien geteilten Videos zeigen verschreckte Menschen mit erhobenen Händen, die von Passanten bedroht und unter üblen Beschimpfungen in Richtung Bahnhof und den Taxistationen getrieben werden. „Ihr müsst Sfax verlassen, eure Answesenheit hier wird nicht mehr akzeptiert. Wenn euch euer Leben lieb ist, dann geht“, erklärt ein bärtiger Mann einer auf dem Boden kauernden Gruppe aus der Elfenbeinküste auf Französisch.

      Anlass der Kampagne ist wohl der Tod eines Tunesiers, der bei einer Auseinandersetzung mit drei Kamerunern am Montag ums Leben kam.

      Dass Mi­gran­t:in­nen mit Gewalt vertrieben werden, passiert in Tunesien nicht zum ersten Mal. Kais Saied hatte bei einem Treffen mit Generälen und Ministern des Nationalen Sicherheitsrats im Februar die aus Libyen Geflohenen oder ohne Visum aus Westafrika Eingereisten als Verschwörung gegen die arabische und islamische Kultur des Landes bezeichnet. Die illegale Migration müsse beendet werden, sagte der 2019 mit überwältigender Mehrheit gewählte Präsident damals. Daraufhin gab es eine erste Welle der gewalttätigen Vertreibung von Mi­gran­t:in­nen, viele von ihnen landeten in Sfax, das bis jetzt als Zufluchtsort galt.
      Die Frustration vieler Tunesier schlägt in Hass um

      Viele Mi­gran­t:in­nen arbeiten als Service- oder Reinigungskraft in Cafés oder in Büros. Mit der Bezahlung unter dem Mindestlohn geben sie sich zufrieden und ermöglichen damit vielen Firmen das Überleben in der seit der Coronapandemie anhaltenden Wirtschaftskrise.

      Doch die Frustration der Tu­ne­sie­r:in­nen über den politischen und wirtschaftlichen Stillstand im Land nutzt die Splitterbewegung Nationale Partei Tunesiens geschickt dafür, Hass gegen Fremde zu befeuern. Zwar ist die Kriminalitätsrate kaum gestiegen – obwohl die Zahl der in Sfax lebenden libyschen Familien und westafrikanischen Mi­gran­t:in­nen stark gewachsen ist. Doch viele in Sfax stimmen der gewaltsamen Verteibung zu.

      „In einigen Stadtteilen sind sie nun in der Mehrheit“, beschwert sich der Gemüsehändler Mohamed Baklouti. Der 48-jährige Familienvater verkauft am Beb-Jebli-Platz im Zentrum von Sfax Obst und Gemüse. Wenige Meter weiter hatten sich – nach den ersten Vertreibungen im Februar – endlich wieder Händler aus der Elfenbeinküste und Ghana getraut, ihre Waren anzubieten. „Wir akzeptieren sie, weil sie das verdiente Geld dazu nutzen, weiter nach Europa zu reisen“, sagte Baklouti noch letzte Woche, vor den Vertreibungen.

      Nun sind die Westafrikaner weg. In Bussen werden sie offenbar von der Staatsmacht an die libysche Grenze gefahren und im Niemandsland abgesetzt. Augenzeugen aus dem Grenzort Ben Guarden berichten von Müttern und Kindern, die bei 40 Grad im Schatten auf eine Weiterreisemöglichkeit warten.
      „Ich weiß nicht, wohin es geht“

      Im Zug von Sfax nach Tunis saßen am Donnerstag zahlreiche Menschen mit Schürfwunden. Tu­ne­sie­r:in­nen reichen den meist ohne ihre Habseligkeiten oder Geld fliehenden Menschen Wasserflaschen. Doch auf der Strecke, in der Stadt Mahdia, stoppte die Polizei den Zug und lud Mi­gran­t:in­nen in Busse. „Ich weiß nicht, wohin es geht“, so ein Ghanaer beim Einsteigen.

      Ein gemeinsamer Besuch von EU-Kommissionschefin Ursula von der Leyen, dem niederländischen Premier Frank Rutte und seiner italienischen Amtskollegin Giorgia Meloni Mitte Juni zeigte, was Europa von Tunesien erwartet: Die Küstenwache und Sicherheitskräfte sollen die in diesem Jahr stark gestiegene Zahl von Booten mit Migranten aus Tunesien eingrenzen, im Gegenzug könnte bald eine Milliarde Euro von Brüssel nach Tunis fließen.

      Meloni hoffte zudem darauf, westafrikanische Mi­gran­t:in­nen mit abgelehntem Asylantrag nach Tunesien zurückschicken zu können. Die blutige Vertreibung der Menschen aus Sfax dürfte Melonis Plan durchkreuzen – denn ein sicheres Drittland ist Tunesien damit nicht mehr.

      https://taz.de/Gewalt-gegen-Migrantinnen-in-Tunesien/!5942175

    • Tunisie : la chasse aux migrants irréguliers reprend son cours

      Un tribunal de la deuxième ville tunisienne de Sfax a indiqué mercredi que quatre Tunisiens ont été arrêtés et inculpés pour avoir hébergé des migrants illégaux, rapporte le média local « Tunisie Numérique ».

      Le porte-parole du tribunal de première instance de Sfax aurait indiqué que 33 migrants illégaux ont été arrêtés et quatre autres Tunisiens également détenus pour les avoir hébergés.

      Les migrants illégaux, a ajouté le tribunal, ont loué un bâtiment entier pour leur séjour avant de prendre la mer en direction des côtes sud de l’Europe. Les arrestations font suite aux instructions du président Kais Saied de renforcer l’ordre et de renforcer la loi dans la ville de Sfax qui a été un théâtre de tensions entre les migrants subsahariens et certains résidents tunisiens de la ville.

      La mêlée a éclaté en début de semaine et a entraîné la mort d’un Tunisien de 38 ans qui aurait été tué à l’arme blanche par trois Subsahariens. La police a arrêté des dizaines de personnes. 34 Subsahariens ont également été arrêtés pour entrer et séjour irrégulier en Tunisie. Le pays est utilisé comme transit par des milliers de migrants désireux d’atteindre les côtes méridionales de l’Europe.

      « 1.200 migrants subsahariens expulsés depuis le 28 juin »

      Depuis le 28 juin, la Tunisie a renvoyé vers les frontières avec la Libye et l’Algérie environ 1.200 migrants sans papiers venus d’Afrique subsaharienne. C’est ce qu’a révélé Moez Barkallah, député de Sfax, à l’agence “Tap”. Il a expliqué que les migrants étaient renvoyés par groupes de 200 et que quatre bus partaient chaque jour de Sfax pour les transporter. Il a aussi espéré “que trois à quatre mille migrants soient expulsés d’ici à la fin de la semaine”. Selon lui, “il y a environ 7.000 ressortissants d’Afrique subsaharienne qui vivent légalement en Tunisie, dont six mille sont des demandeurs d’asile et sept mille autres sont des migrants irréguliers”. Il a ajouté que plus de cent députés avaient signé une pétition pour demander au Premier ministre, Najla Bouden, de tenir une séance plénière pour expliquer la stratégie et la législation du gouvernement sur la question des migrants et la situation à Sfax.

      https://maroc-diplomatique.net/tunisie-la-chasse-aux-migrants-irreguliers-reprend-son-cours

    • #Interview with Ahlam Chemlali

      Sfax a veritable ’pressure cooker’ sparked by migration policy and political, socio-economic crises

      Racial tensions in the Tunisian coastal city of Sfax flared into violence targeting migrants from sub-Saharan Africa, dozens of whom were forcibly evicted from the city or fled, witnesses said Wednesday. Amid the disturbances late Tuesday, police detained some migrants and deported them as far as the Libyan border more than 300 kilometres (over 200 miles) away, according to a local rights group. The latest unrest started after the funeral of a 41-year-old Tunisian man who was stabbed to death Monday in an altercation between locals and migrants, which led to the arrests of three suspects from Cameroon. As tensions escalate considerably between exasperated Tunisians and African migrants seeking a better life, FRANCE 24 is joined by Ahlam Chemlali, Visiting Scholar at Yale University and PhD Fellow at the Danish Institute for International Studies (DIIS).

      https://www.france24.com/en/video/20230705-sfax-a-veritable-pressure-cooker-sparked-by-migration-policy-and-

    • #Achille_Mbembe on racism in #Tunisia.

      LA TUNISIE : LA HONTE

      Le traitement infligé aux Africains du sud du Sahara en Tunisie est criminel, et les autorités de ce pays doivent être tenus pour responsables de chacune des morts qui en découlera.

      Qu’il ne fasse l’objet d’aucune sanction ni de la part des gouvernements africains, ni des grandes institutions continentales est scandaleux.

      Maillon en haillons d’une machine dévorante et infernale mise en place par l’Europe, l’Etat tunisien participe cyniquement au projet, piloté par l’Europe, de transformation du continent africain en une colonie de damnés fermée à double tour sur elle-même.
      L’on prétend ainsi régler les deux épouvantails que sont l’immigration illégale et la bombe démographique que serait devenu le continent.

      Dans cette funeste course, elle rejoint la Libye et d’autres États maghrébins déterminés à se démarquer du reste du continent et à jouer le rôle de cordons sanitaires de l’Europe. Contre des miettes (un milliard d’euros pour la Tunisie), ils contribuent ainsi, à travers ces chasses punitives, à la cristallisation du nouveau régime global de gouvernement des migrations concocté par l’Europe. Mais elle se rapproche aussi, a maints égards, de l’Afrique du Sud. Championne de l’encampement et de la déportation des Africains, l’Afrique du sud n’est en effet pas en reste, elle qui est désormais gangrenée jusqu’aux plus hauts niveaux de l’Etat par l’esprit de xénophobie .

      L’urgence d’un consensus sur la régulation des mobilités intra-continentales n’a donc jamais été aussi criante. L’Afrique doit moderniser et mutualiser ses frontières internes. Au lieu de multiplier des camps, elle doit se transformer en un vaste espace de circulation pour ses gens. Plusieurs propositions concrètes existent. Il faut les mettre à l’œuvre si l’on veut qu’avant la fin de ce siècle émerge un nouveau régime spatial africain - celui-là qui garantit à tous un droit inconditionnel à la mobilité et empêche que des Africains soient traités comme des étrangers en Afrique.

      https://twitter.com/MedDhiaH/status/1677383506325020673

    • Human Rights Watch appelle la Tunisie à mettre fin aux « expulsions collectives » de migrants vers le désert

      Des centaines de Subsahariens se trouvent en situation très précaire dans une zone désertique dans le sud du pays, près de la frontière libyenne.

      L’ONG de défense des droits humains Human Rights Watch (HRW) a exhorté vendredi 7 juin la Tunisie à mettre fin aux « expulsions collectives » de migrants africains vers une zone désertique près de la frontière libyenne.

      Des centaines de migrants d’originaire d’Afrique subsaharienne se trouvent en situation très précaire dans une zone désertique dans le sud de la Tunisie, après avoir été chassés ces derniers jours de la ville de Sfax (centre-est) sur fond de vives tensions avec la population locale qui réclamait leur départ, selon des témoignages recueillis par l’AFP.

      Un déferlement de violence s’est abattu mardi et mercredi sur ces migrants après que l’un d’eux a tué un habitant de la ville lors d’une rixe. « Les forces de sécurité tunisiennes ont expulsé collectivement plusieurs centaines de migrants et demandeurs d’asile africains noirs, dont des enfants et des femmes enceintes, depuis le 2 juillet 2023 vers une zone tampon éloignée et militarisée à la frontière entre la Tunisie et la Libye », a déclaré HRW dans un communiqué.
      Un discours de plus en plus xénophobe

      « De nombreuses personnes ont rapporté des violences de la part des autorités lors de leur arrestation ou de leur expulsion », a ajouté l’ONG. Elle a appelé le gouvernement tunisien à « mettre fin aux expulsions collectives et permettre d’urgence l’accès humanitaire » à ces migrants qui ne disposent que « de peu de nourriture et d’aucune assistance médicale », a déclaré dans le communiqué Lauren Seibert, chercheuse sur les droits des réfugiés à HRW.

      Des migrants interrogés par l’ONG ont affirmé que « plusieurs personnes étaient mortes ou avaient été tuées dans la zone frontalière entre le 2 et le 5 juillet, dont certaines auraient été abattues ou battues par l’armée tunisienne ou la garde nationale », selon le communiqué de HRW, qui précise toutefois ne pas être en mesure de confirmer ces allégations faute d’accès à la zone.

      HRW a appelé la Tunisie à « enquêter sur les forces de sécurité impliquées dans les abus et à les traduire en justice ». « Les migrants africains et les demandeurs d’asile, y compris des enfants, sont désespérés de sortir de la zone frontalière dangereuse et de trouver de la nourriture, des soins médicaux et la sécurité », a ajouté Mme Seibert : « Il n’y a pas de temps à perdre ».

      Un discours de plus en plus ouvertement xénophobe à l’égard de ces migrants s’est répandu depuis que le président tunisien, Kaïs Saïed, a pourfendu en février l’immigration clandestine, la présentant comme une menace démographique pour son pays.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/07/human-rights-watch-appelle-la-tunisie-a-mettre-fin-aux-expulsions-collective

    • Tunisia expulsions: Refugees and migrants stuck on Libyan border

      Twelve hundred migrants including pregnant women and 29 children are stranded there with little food, water or shelter.
      All were rounded up in Tunisia and bussed to the border, but Libyan border guards are refusing to let them in.
      The foreign ministers of both countries have discussed what they call the ‘irregular migration’.
      Human Rights Watch accuses Tunisia of violating international law by ‘collective expulsions’ of black migrants mostly from sub-Saharan Africa.
      And says they need immediate humanitarian aid.

      Al Jazeera’s Malik Traina joins us live from the city of Zuwara, about 30 kilometres from the Libyan border with Tunisia for the latest updates.
      And Amine Snoussi is a journalist and political analyst and joins us from Tunis for his analysis.

      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=whUfQV2Yt90&feature=youtu.be

    • Support Sub-Saharan African in Tunisia

      We are raising a fund to support sub-Saharan migrant and refugees in Tunisia after the violent attacks and the discrimination they faced in Sfax( south of Tunisia).

      They have been chased from their houses, they lost their jobs and had to move to another city. Also, some of them are injured and need medical care (More details in the video).

      We are collecting funds to ensure that the most vulnerable persons can have a roof, food and the bare minimum of a safety and dignity.

      Thank you !

      https://www.gofundme.com/f/support-subsaharan-african-in-tunisia

      #donation

    • Growing tensions in Sfax sparked by Tunisian govt’s inflammatory rhetoric targeting African migrants

      Racial tensions in the Tunisian coastal city of Sfax flared into violence targeting migrants from sub-Saharan Africa, dozens of whom were forcibly evicted from the city or fled. Amid the disturbances late Tuesday, police detained some migrants and deported them as far as the Libyan border more than 300 kilometres (over 200 miles) away, according to a local rights group. For in-depth analysis and a deeper perspective on the unfolding unrest gripping Tunisia’s financial hub and port city, FRANCE 24’s Genie Godula is joined by Katleen Maes. Director Human Mobility Hub Norwegian Refugee Council.

      https://www.youtube.com/watch?v=xJzrYeqb-tA

    • jeudi, 06 juillet 2023

      Stop à la chasse aux migrant.e.s en Tunisie et aux expulsions vers les frontières ! Aide et évacuation pour les personnes expulsées vers le no man’s land à la frontière tuniso-libyenne !

      Alarme Phone Sahara dénonce fortement les attaques racistes, la chasse aux migrant.e.s et les expulsions massives aux frontières de la Libye et d’Algérie qui se sont intensifiés en Tunisie depuis fin juin 2023.

      Dans la ville portuaire de Sfax, la violence raciste contre les migrant.e.s subsaharien.ne.s s’est intensifiée après l’arrestation de plusieurs personnes accusées d’avoir tué un homme tunisien lors d’une altercation. Selon de nombreux rapports, cet acte a été l’occasion pour des groupes de la population et la police de s’en prendre à grande échelle aux personnes Noires. Les personnes concernées racontent qu’elles ont été brutalement battues et attaquées à coups de pierres et que des groupes d’agresseurs ont pénétré violemment jusque dans les logements de migrant.e.s et ont même violé des femmes et des jeunes filles. Plusieurs centaines de personnes ont fui la ville en train en direction de Tunis et des centaines d’autres ont été arrêtées pour être expulsées.

      Cependant, les arrestations massives et les expulsions massives de Sfax, ainsi que de petites localités jusqu’aux environs de Tunis, ont commencé déjà avant la mort violente de l’homme tunisien :

      Selon la déclaration d’un député de Sfax, la Tunisie a renvoyé l’Algérie environ 1.200 migrants sans papiers vers les frontières avec la Libye et l’Algérie entre le 28 Juin et le 6 Juillet 2023. Il a expliqué que les migrant.e.s étaient expulsé.e.s par groupes de 200 personnes et que quatre bus partaient chaque jour de Sfax pour les transporter. Il avait aussi espéré “que trois à quatre mille migrants soient expulsés d’ici à la fin de la semaine”.

      Des centaines de personnes piégé.e.s dans le no man’s land à la frontière tuniso-libyenne

      ©APNEWS - photo prise par un migrant ivoirien agé 29 ans

      Les rapports d’un groupe d’environ 600 personnes qui se sont adressées par téléphone portable aux médias et institutions internationaux pour demander de l’aide après avoir été expulsées vers une plage située dans le no man’s land entre les frontières tunisienne et libyenne sont particulièrement alarmants. Ils sont coincés sans accès à l’eau et à la nourriture parce que les forces de sécurité tunisiennes ne les laissent pas partir et que les forces libyennes, de leur côté, ne laissent pas passer les gens. Même des personnes humanitaires extérieurs qui tentent d’apporter de l’eau et de la nourriture n’ont pas été autorisés à passer auprès des personnes. Selon les témoignages des personnes concernées, certaines ont commencé à boire de l’eau de mer par désespoir. Par ailleurs, des témoignages non confirmés à ce jour indiquent que deux personnes soient déjà décédées sur la plage du no man’s land.

      ©Les Observateurs, France 24 - Vidéo transmise par Adama (pseudonyme).

      La politique raciste en Tunisie et l’externalisation des frontières Européennes

      Les chasses aux migrant.e.s et les expulsions massives en Tunisie sont la conséquence directe d’une politique et d’une ambiance racistes, alimentées entre autres par le président tunisien Kais Saied depuis février 2023. Mais ils sont également la conséquence directe de l’externalisation du régime frontalier des Etats de l’UE, qui exigent de l’Etat tunisien qu’il joue le rôle de gardien des portes de l’Europe et empêche à tout prix les migrant.e.s de passage ainsi que les citoyen.ne.s tunisien.ne.s d’entrer en Europe.

      Ainsi, les accords entre l’UE et la Tunisie sur le contrôle migratoire contribuent directement à l’escalade du racisme, présent également dans la société tunisienne, et signalent à l’État tunisien qu’il est souhaitable de renvoyer des milliers de personnes vers les frontières et le no man’s land.

      Enfin, nous tenons à rappeler que la chasse aux migrant.e.s et aux réfugié.e.s, encouragée par le régime frontalier européen, et les expulsions massives de personnes vers les frontières et le désert ne sont pas des problèmes exclusivement tunisiens, mais concernent également, sous des formes spécifiques, le Maroc, l’Algérie et la Libye.

      Alarme Phone Sahara demande :

      Arrêt immédiat de la chasse aux migrant.e.s, de la violence raciste et des expulsions massives en Tunisie !

      Aide et évacuation immédiate pour les personnes expulsées aux frontières tuniso-algérienne et tuniso-libyenne, surtout pour les centaines de personnes piégées dans le no man’s land à la frontière tuniso-libyenne !

      Diffusez les appels, les rapports et les témoignages des personnes concernées de la chasse aux migrant.e.s et des expulsions massives en Tunisie largement dans le publique internationale !

      Rapports d’actualité sur les événements en Tunisie :

      https://maroc-diplomatique.net/tunisie-la-chasse-aux-migrants-irreguliers-reprend-son-cours

      https://apnews.com/article/migrants-tunisia-africa-europe-7186b742643a77e5b17376c7db7dac60

      Rapport de la situation alarmante des centaines de personnes piégées dans le no man’s land à la frontière tuniso-libyenne :

      https://observers.france24.com/fr/afrique/20230706-tunisie-libye-expulsion-video-sfax

      Rapports sur les personnes qui fuirent la ville de Sfax suite aux attaques racistes :

      https://youtu.be/RSAzYaqkSbs

      https://youtu.be/jeEZ7-Zrj1A

      Vidéo d’arrestation violente de migrant.e.s à Sfax :

      https://twitter.com/nissssim/status/1676328508098768897

      Rapports par refugees in Tunisia sur twitter :

      https://twitter.com/refugeestunisia/status/1676563378196692992?s=12&t=7ooqNDUWXAo1yw4XzaJbkQ

      https://twitter.com/RefugeesTunisia/status/1676213810640609280?t=RnEDkXhIwRBk_R_AGNelyw&s=09

      https://alarmephonesahara.info/fr/blog/posts/stop-a-la-chasse-aux-migrant-e-s-en-tunisie-et-aux-expulsions-ve

      #APS #Sfax

    • Flüchtende an der Grenze zu Libyen: Tunesien deportiert Migranten

      1.200 Menschen harren in einer militärischen Sperrzone aus. Tunesiens Präsident Saied weist Kritik zurück. Hilfsorganisationen sind alarmiert.

      SFAX taz | In einer militärischen Sperrzone zwischen der tunesischen und libyschen Grenze warten mehr als 1.200 Migranten seit Tagen verzweifelt auf Hilfe. Sie waren während der aktuellen Welle von Übergriffen in der tunesischen Hafenstadt Sfax aus ihren Wohnungen vertrieben worden. In Gruppen von bis zu 50 Angreifern waren tunesische Jugendliche durch die Straßen der Stadt gezogen. Sie nahmen den aus West- und Zentralafrika kommenden Menschen Telefone, Geld und Dokumente ab.

      Seit letztem Mittwoch werden die Mi­gran­ten in Bussen an die libysche sowie an die algerische Grenze gefahren. Nach Angaben des aus Sfax stammenden Parlamentsabgeordneten Moez Barkallah schicken die Behörden täglich mehrere Gruppen in das Niemandsland an der libyschen Grenze beim Grenzübergang Ras Jadir.

      Viele der nach Sfax gekommenen Menschen waren zuvor aus Libyen geflohen oder von Schleppern aus Algerien in den tunesischen Grenzort Kasserine gebracht worden. Mit dem Transport der Mi­gran­ten imitiert Tunesien nun die von den EU-Innenministern aktuell angestrebte europäische Asylpolitik: Zukünftig soll es demnach möglich sein, abgelehnte Asylbewerber aus einem EU-Mitgliedsstaat in das Land zu schicken, aus dem sie eingereist waren, auch wenn sie nicht von dort stammen.

      Das Vorgehen Tunesiens, die Menschen in der Wüste auszusetzen, hat offenbar schon zum Tod mehrerer Menschen geführt. Mi­gran­ten in Tunesien stehen mit der täglich größer werdenden Gruppe an der Grenze zu Libyen in Kontakt. Sie berichteten von mindestens acht Todesfällen aufgrund von Dehydrierung und Schwäche. Einem Reporter von Al Jazeera gelang es, in das Sperrgebiet zu gelangen und mit den Gestrandeten zu sprechen. Bis auf die libyschen Grenzbeamten hätte ihnen niemand Wasser oder Lebensmittel gebracht, berichtet der Reporter Malik Traina.

      Temperaturen über 40 Grad

      Die Gruppe harrt am Strand aus und wird von tunesischen und libyschen Beamten an der Weiterreise in die libysche Hauptstadt Tripolis oder der Rückkehr nach Sfax gehindert. Libysche Grenzbeamte berichteten der taz von heftigem Streit mit den tunesischen Kollegen. Man beherberge mehrere Hunderttausend Mi­gran­ten und sei bisher nie auf die Idee gekommen, diese ohne Vorankündigung nach Tunesien zu schicken.

      Der Reporter Traina und Mi­gran­ten, die mit der Gruppe in Kontakt stehen, appellieren an Hilfsorganisationen, der Gruppe so schnell wie möglich Hilfe zukommen zu lassen. Derzeit herrschen in dem Gebiet Temperaturen von über 40 Grad Celsius. Human Rights Watch forderte Tunesien auf, „dringend humanitären Zugang“ zu den Betroffenen zu ermöglichen, die „wenig Nahrung und keine medizinische Hilfe“ hätten.

      Tunesiens Präsident Kais Saied wies Kritik am Samstagabend zurück. „Diese Migranten werden menschlich behandelt, ausgehend von unseren Werten und Charakterzügen“, sagte Saied. Dieses Verhalten stünde im Gegensatz „zu dem, was koloniale Kreise und ihre Agenten verbreiten“. Mit Blick auf die Migranten sagte er: „Tunesien ist keine möblierte Wohnung zum Verkauf oder zur Miete.“

      Bislang völlig unklar ist, warum die tunesischen Behörden die Menschen ohne Absprache mit Hilfsorganisationen deportieren. In Sfax trauen sich nach dem Abflauen der jüngsten Welle der Gewalt gegen Migranten einige nun wieder auf die Straße. Am Freitag forderten mehrere Hundert Menschen mit selbst gemalten Plakaten, ein Ende der Übergriffe und in ihre Heimat ausgeflogen zu werden.

      Hassan Gierdo aus Guinea zeigt auf eine offene Wunde an seinem Unterschenkel. „Jemand hat mit einem Knüppel auf mich eingeschlagen, als ich bereits zusammen mit einem Dutzend anderer zusammengetriebener Menschen auf dem Boden lag. Ich habe kein Geld für einen Arzt und öffentliche Krankenhäuser behandeln uns nicht“, sagt der 24-Jährige. „Man will es uns unmöglich machen, in Tunesien zu bleiben, auch wenn das unser Leben in Gefahr bringt“, glaubt Gierdo.

      https://taz.de/Fluechtende-an-der-Grenze-zu-Libyen/!5943278

    • Tunisia moves hundreds of migrants from desolate border area

      https://www.reuters.com/resizer/RR32b6PLI-TKquPsj8UVRVpNL4k=/960x0/filters:quality(80)/cloudfront-us-east-2.images.arcpublishing.com/reuters/QW3G66MGQRJSLMOK7OGLAOYGHE.jpg

      TUNIS, July 11 (Reuters) - Tunisia has moved hundreds of migrants to shelters in two towns, a local rights group said on Tuesday, after criticism of conditions in a desolate Sahara military area on the border with Libya, where the government transferred them last week.

      Struggling with high numbers of mainly sub-Saharan African migrants seeking to leave the north African country for Europe, President Kais Saied has responded with measures local and international rights groups say are endangering lives.

      “Hundreds of people who were on the Libyan border were transferred finally to shelter centres in Medenine and Tataouine towns after difficult times they spent there in the intense heat”, Ramadan Ben Omar, an official at the non-governmental Tunisian Forum for Economic and Social Rights, told Reuters.

      The interior ministry did not respond to a request for comment.

      The government moved the migrants to the site at the Libyan border following an outbreak of violence in the coastal city of Sfax earlier in July, rights groups said, where travellers and residents clashed.

      The disturbances between migrants and residents in Sfax lasted a week and one Tunisian was killed. Residents complained of disorderly behaviour by migrants and migrants complained of racist harassment.

      Thousands of undocumented migrants have flocked to Sfax in recent months with the goal of setting off for Europe in boats run by human traffickers, leading to an unprecedented migration crisis for Tunisia.

      While overall irregular migration to Europe is up about 12% this year, it more than doubled in the central Mediterranean region, according to data from Europe’s border agency in May.

      The sharp rise in attempted crossings from Tunisia is partly attributable to a crackdown ordered by Saied on migrants from sub-Saharan Africa living in the country illegally.

      Earlier this year, Saied claimed a conspiracy to change Tunisia’s racial makeup. His statement was followed by reports of racist attacks, and by rising numbers of Black Africans resident in Tunisia seeking to leave for Europe.

      Tunisia is now under pressure from Europe to stop migrants departing from its coasts. European countries are considering a package of financial support to help the economy and to deal with migration.

      https://www.reuters.com/world/africa/tunisia-moves-hundreds-migrants-desolate-border-area-2023-07-11

    • A Ellouza, port de pêche tunisien, la mort, l’errance et les retours contraints des migrants qui rêvent d’Europe

      Ce village situé au nord de Sfax n ?est qu ?à 150 km de Lampedusa. Un point de départ à haut risque pour les migrants subsahariens qui tentent de rallier l ?Europe. Dimanche, une nouvelle embarcation a fait naufrage au large des côtes tunisiennes ; une personne a été tuée et une dizaine d ?autres sont portées disparues.

      Monia Ben Hamadi (Ellouza (Tunisie), envoyée spéciale) | Publié le 10/07/2023

      Après cinq heures de mer, Yannick pose finalement pied sur la terre ferme. Mais du mauvais côté de la Méditerranée. Ce Camerounais de 30 ans, avec des dizaines d ?autres migrants subsahariens, vient, jeudi 6 juillet, d ?être intercepté par les garde-côtes tunisiens au large d ?Ellouza, petit village de pêcheurs à 40 km au nord de Sfax. Envolés les 2 500 dinars (800 euros) que lui a coûtés la traversée vers Lampedusa (Italie).

      Sur la plage, une unité de la garde nationale est déjà en poste pour les accueillir. Les agents tentent de contenir les quelques villageois, curieux, venus assister au débarquement. Hommes, femmes, enfants et nourrissons sont ainsi contraints de quitter leur bateau de fortune, devant des spectateurs amusés ? ou au moins habitués ? et face à une police sur les nerfs. Un gendarme, tendu, prend son téléphone pour demander des renforts. « Vous nous laissez seuls, personne n ?est arrivé », reproche-t-il à son interlocuteur. « C ?est tous les jours comme ça, plusieurs fois par jour », maugrée-t-il en raccrochant.

      Les uns après les autres, les migrants quittent le bateau. « Venez ici. Asseyez-vous. Ne bougez pas », crient les agents des forces de l ?ordre qui retirent le moteur de l ?embarcation de métal et éloignent les bidons de kérosène prévus pour assurer la traversée d ?environ 150 km qui séparent Ellouza de Lampedusa. Migrants subsahariens, villageois tunisiens et agents de la garde nationale se regardent en chien de faïence. Dans l ?eau, le petit bateau des garde-côtes qui a escorté les migrants surveille l ?opération. La présence inattendue de journalistes sur place ne fait qu ?augmenter la tension. Yannick, accompagné de son frère cadet, s ?inquiète. « Est-ce qu ?ils vont nous emmener dans le désert, ne les laissez pas nous emmener », supplie-t-il.

      Violents affrontements

      Depuis une semaine, des centaines de migrants subsahariens ont été chassés de Sfax vers une zone tampon désertique bordant la mer, près du poste frontière avec la Libye de Ras Jdir. D ?autres ont été expulsés à la frontière algérienne. Ces opérations font suite aux journées d ?extrême tension qui ont suivi la mort d ?un Tunisien, lundi 3 juillet, tué dans une rixe avec des migrants subsahariens, selon le porte-parole du parquet de Sfax.

      Trois hommes, de nationalité camerounaise, d ?après les autorités, ont été arrêtés. Dans la foulée, des quartiers de Sfax ont été le théâtre de violents affrontements. Des Tunisiens se sont regroupés pour s ?attaquer aux migrants et les déloger de leur habitation. Yannick et son petit frère faisaient partie des expulsés. Les deux hommes ont fui la ville au milieu de la nuit, parcourant des dizaines de kilomètres à pied pour se réfugier dans la « brousse », près d ?Ellouza.

      La région de Sfax est depuis devenue le théâtre d ?un étrange ballet. Toute la journée et toute la nuit, dans l ?obscurité totale, des groupes de migrants subsahariens errent sur les routes communales entourées de champs d ?oliviers et de buissons. « A chaque fois, quelques personnes étaient chargées des courses, de l ?eau et un peu de nourriture. Il fallait transporter le tout à pied sur plusieurs kilomètres », raconte Yannick. Lui et son petit frère de 19 ans ont dormi deux nuits dehors, avant que leur grande s ?ur, qui a réussi à rejoindre la France des années auparavant, ne leur paie leur traversée, prévue le 6 juillet à midi.

      « Commerçants de la mort »

      Ce jour-là, près du port d ?Ellouza, Hamza, 60 ans, repeignait son petit bateau en bois bleu et blanc. Ce pêcheur expérimenté ne cache pas son émotion face au drame dont son village est le théâtre. Lui-même a dû s ?improviser pêcheur de cadavres depuis quelque temps. Des corps sans vie se coincent parfois dans ses filets. « Une fois, j ?ai trouvé la moitié du corps d ?une femme mais elle était dans un état de décomposition tel que je n ?ai pas trouvé par où la tenir. Je l ?ai laissée là. Je n ?ai pas pu dormir pendant des jours », dit-il, la voix tremblante.

      Dimanche 9 juillet, une nouvelle embarcation a fait naufrage au large de cette région : une personne est morte et une dizaine d ?autres sont portées disparues. En plus des cadavres, les épaves des bateaux métalliques qui servent à la traversée des migrants déchirent souvent les filets des pêcheurs. « Je n ?ai pas les moyens de racheter des filets tous les mois », regrette Hamza.

      Le long de la côte autour d ?Ellouza, les bateaux métalliques échoués et rongés par la rouille sont innombrables. Ces bateaux, de « très mauvaise qualité » selon le pêcheur, sont construits en quantités importantes et coûtent moins cher que ceux en bois, les pneumatiques ou les barques en plastique qui servaient auparavant à la traversée. « Ce sont des commerçants de la mort », accuse Hamza en pointant aussi bien les passeurs que les politiques migratoires européennes et les autorités tunisiennes.

      « Je retenterai ma chance »

      La Commission européenne a annoncé en juin le déblocage de 105 millions d ?euros « pour lutter contre les passeurs [et] investir dans le contrôle maritime des frontières par les Tunisiens », sans compter la coopération bilatérale venant de Paris ou Rome. Selon le Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, durant le premier semestre, près de 30 000 migrants sont arrivés à Lampedusa en provenance de Tunisie.

      Sur les rochers recouverts d ?algues, des centaines de pneus de voiture, servant à amarrer les navires, jonchent la côte. Depuis la falaise, on aperçoit le corps en début de décomposition d ?un migrant. Un autre à quelques mètres. Et puis un autre encore, en contrebas, devenu squelette. Personne n ?a cherché à les enterrer, ni à savoir qui ils étaient. Ils font partie des « disparus » en mer. Des chiens rôdent. Le paysage est aussi paradisiaque qu ?infernal.

      Débarqué vers 17 heures, Yannick sera finalement relâché sur la plage avec son groupe. « C ?est grâce à vous, si vous n ?étiez pas restés, ils nous auraient embarqués et emmenés à la frontière », assure-t-il. Le soir même, avec son frère, ils ont parcouru à pied les dizaines de kilomètres qui séparent Ellouza de Sfax. Cette fois dans l ?autre sens. Après être arrivé à la gare ferroviaire à 3 heures du matin, Yannick a convaincu un vieil homme de leur acheter des tickets pour Tunis.

      Ils sont finalement arrivés sains et saufs dans la capitale. « Il faut que je trouve du travail mais la situation est plus acceptable ici », dit-il. Malgré cette expérience, Yannick est toujours convaincu qu ?un avenir meilleur l ?attend de l ?autre côté de la Méditerranée. « Quand j ?aurai l ?argent, je retenterai ma chance, promet-il. Retourner au pays n ?est pas une option. »

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/10/a-ellouza-port-de-peche-tunisien-la-mort-l-errance-et-les-retours-contraints

    • Sfax, triste reflet d’une impasse politique entre Tunis et l’Europe – Jeune Afrique

      Par Frida Dahmani
      8–10 Minuten

      En l’absence de réponse gouvernementale satisfaisante et de révision des politiques publiques, la pression migratoire à Sfax (Centre Est) déclenche une crise qui s’étend à tout le pays, ce que nul n’avait anticipé malgré l’arrivée, ces derniers mois, d’un nombre important de migrants irréguliers dans la région.

      L’assassinat d’un Tunisien par des Subsahariens, le 4 juillet, a ravivé les braises du ressentiment des habitants de la ville, d’ordinaire laborieuse et calme, qui est aussi le second pôle économique du pays vers lequel convergent toutes les routes du sud. Ici, on se trouve à seulement 200 kilomètres de Lampedusa (Italie). Près de 25 000 migrants y auraient trouvé emploi et logement, le plus souvent dans des conditions précaires, en attendant de tenter le voyage vers l’eldorado européen.

      Les propos tenus en février 2021 par le président Kaïs Saïed ont stigmatisé la communauté subsaharienne et déclenché un déferlement de haine raciale. Depuis, malgré quelques tentatives de rapatriement vers leur pays d’origine, le nombre de candidats à la migration n’a cessé d’augmenter, mettant l’agglomération de Sfax en difficulté. La société civile a bien tenté d’alerté sur les risques liés au phénomène, mais il semble que personne n’avait évalué les dangers ni compris les risques de débordements ou d’implosion.
      À LireEn Tunisie, des ONG dénoncent un « discours haineux » contre les migrants africains

      Comme souvent, c’est sur les réseaux sociaux que le déchaînement est le plus violent, certains appelant sans équivoque les citoyens à « partir à la reconquête de leur territoire », tout en fustigeant l’inaction supposée de l’État. L’escalade de violence de ces derniers jours n’a fait qu’ajouter à la confusion, en l’absence d’une réelle communication des autorités à même de désamorcer la désinformation qui prévaut. Entre esquive, non-dits et omerta, quelle est la réalité de la crise migratoire ?
      Une position intenable

      Prise en tenailles entre une Europe qui souhaite qu’elle devienne son garde-frontières, une partie de sa propre population qui aspire à migrer et un flux de ressortissants subsahariens difficile à contenir, la Tunisie peine à trouver un cap sur la question migratoire. La levée des visas avec certains pays africains depuis 2015 a facilité l’accès au territoire tunisien, avec des dépassements de séjour incontrôlables.

      Le conflit libyen a aussi contribué à faire du pays l’une des voies migratoires africaines les plus logiques pour gagner le nord, ce qui, historiquement, correspond au parcours de la traite négrière du XVIIIe siècle. Les esclavagistes d’hier ont cédé la place à un réseau de complicités mafieuses entre passeurs et relais qui tiennent les rênes de la migration irrégulière en plus d’autres trafics.

      L’accord avec l’Union européenne

      Les visites de hauts responsables européens se sont multipliées ces dernières semaines à Tunis, tant Bruxelles semble vouloir faire du pays un allié privilégié. Ou, comme le résume avec agacement le président Kaïs Saïed, l’un de ses « garde-frontières ». Mais au-delà de l’aide financière et des appuis budgétaires annoncés par l’UE, le contenu de l’accord que les Européens tentent de négocier reste un secret bien gardé.

      Qui discute, de quoi et avec qui ? Nul ne le sait : Olivier Várhelyi, Commissaire européen à la Politique de Voisinage et à l’Élargissement, a reporté par deux fois un déplacement prévu à Tunis depuis le 12 juin. La présidente de la Commission européenne, Ursula Von Der Leyen, a, elle, annulé une visite prévue le 6 juillet. Il semble que Tunis renâcle à accepter les conditions de l’UE et souhaite percevoir des dédommagements plus conséquents que ceux qui lui sont proposés en contrepartie du renvoi vers son sol de migrants irréguliers, supposés être arrivés en Italie depuis la Tunisie.

      La réalité de la migration

      Pour une partie des responsables européens, Italiens en tête, la Tunisie est un sujet de préoccupation prioritaire car elle est considérée comme l’un des points de départ privilégiés des migrants africains (Tunisiens compris) souhaitant passer clandestinement en Europe. Pourtant, les chiffres fournis par le département italien de la sécurité publique racontent une histoire légèrement différente : du 1er janvier au 7 avril 2023, 28 886 migrants ont atteint les côtes italiennes. Parmi eux, 16 637 arrivaient de Libye, 12 000 de Tunisie. Pour ce qui est des nationalités d’origine, on dénombrait 5 084 Ivoiriens, 3 921 Guinéens, 2 778 Pakistanais, 2 085 Bengalais, 2 051 Égyptiens, 1 462 Camerounais, 1 164 Syriens, 990 Maliens, 884 Burkinabé. Et 2 110 Tunisiens.

      La composition de ce contingent interroge dans la mesure où, contrairement à ce que les autorités italiennes laissent entendre, le flux des Maghrébins est loin d’être le plus important. L’Italie et l’UE persistent pourtant à mettre la pression sur la Tunisie alors que la Libye, d’où les départs sont bien plus nombreux, ne fait pas l’objet des mêmes avertissements. Il faut dire qu’à la différence de la Tunisie, la Libye est un important fournisseur d’hydrocarbures pour l’Italie. Par ailleurs, l’UE et Rome n’interpellent pas non plus les pays d’origine des migrants. Dans les relations diplomatiques entre Abidjan ou Conakry et Rome, la migration est loin de figurer en tête de l’ordre du jour.

      Une avalanche de fausses informations

      En l’absence de réelles précisions sur la crise qui frappe Sfax, les fausses informations comblent les vides. On peut ainsi lire que, pour diminuer de la pression sur la ville, les autorités auraient décidé de répartir les migrants dans différents gouvernorats du pays. Une rumeur que rien ne confirme. Au contraire, certains migrants qui ont tenté de quitter Sfax pour Tunis, et d’autres qui ont été arrêtés par les forces de l’ordre, ont été conduits par bus aux frontières libyenne et algérienne.

      Des internautes accusent l’Algérie de vouloir déstabiliser la Tunisie en favorisant le passage en masse de migrants depuis son territoire, photos de Subsahariens regroupés dans des bus à l’appui. Vérification faite, il s’agit d’images bien plus anciennes prises dans une zone proche du Mali.

      Les manquements de la Tunisie

      En 2011 déjà, le conflit libyen avait entrainé un flux migratoire sans précédent vers la Tunisie. Avec près d’un million de personnes, les capacités d’accueil avaient été mises à rude épreuve. Pourtant le pays avait su, avec l’appui d’organismes internationaux, s’organiser pour gérer cette situation sans précédent. Hélas, il n’a pas mis à profit les enseignements de cette expérience pour mettre à jour un corpus juridique obsolète, dans lequel ni le statut de réfugiés ni celui de demandeur d’asile n’est clairement défini et encadré.

      À ce flou juridique vient s’ajouter le fait que la Tunisie de 2023, frappée par une crise économique sévère et des difficultés à lever des financements sur la scène internationale, peine à gérer les migrants irréguliers et n’a aucune opportunité d’insertion à leur offrir. Suite à la crise provoquée, au printemps, par ses propos sur les migrants subsahariens, le président Saïed avait appelé à l’application de la loi. Mais depuis, aucune communication officielle n’a été faite pour expliquer aux personnes concernées les conditions dans lesquelles elles peuvent demander leur régularisation, ou les délais à respecter.

      Sans aide internationale, la situation paraît aujourd’hui inextricable. Et laisse la place à un discours populiste et souverainiste dans lequel il ne saurait être question de solutions.

      https://www.jeuneafrique.com/1461227/politique/sfax-triste-reflet-dune-impasse-politique-entre-tunis-et-leurope

    • En Algérie, l’errance des migrants subsahariens menacés d’expulsion

      Ni le rejet violent dont ils sont victimes en Tunisie ni le racisme qu’ils subissent de la part des Algériens ne les dissuadent de transiter par le pays pour rallier l’Europe.

      Assis au milieu d’un amas de tissus, le visage d’Osman Issa brille de sueur. Un ventilateur rafraîchit à peine son atelier de 8 mètres carrés en cette journée d’été étouffante du mois de juillet. De sa table de couture, un karakou (tenue algéroise traditionnelle) au-dessus de la tête, Osman se remémore sa traversée du désert pour venir en Algérie voilà vingt-six ans. « J’ai décidé de quitter le Niger sous les encouragements de mon frère qui avait fait la traversée avant moi », raconte-t-il dans un dialecte algérien presque parfait. A son arrivée en 1997, Osman, brodeur de qualité, s’était lancé avec un certain succès dans le commerce de tenues traditionnelles. Désormais, il possède cet atelier de couture dans un quartier populaire d’Alger.

      Alors que le débat sur la place des migrants subsahariens dans les pays nord-africains a été relancé par les événements en Tunisie et les opérations de refoulement à la frontière des autorités algériennes, lui affirme avoir trouvé sa place. « En trois décennies, je n’ai pas été victime d’un acte raciste qui m’a fait regretter d’être venu », promet-il. Comme la plupart des migrants subsahariens, Osman ne considérait pas l’Algérie comme un point d’ancrage, mais un lieu de transit vers l’Europe. « J’ai tenté de traverser à trois reprises, mais j’ai échoué. » Désormais marié à une Algérienne et père de trois enfants, il bénéficie d’une carte de résidence et n’envisage plus de partir vers l’Europe ou de rentrer au Niger, sauf pour les visites familiales.

      « J’avoue qu’il m’a été très difficile de régulariser ma situation, même après mon mariage. Je me compare souvent à mon frère qui est parti en Belgique bien après moi. Il a déjà sa nationalité. Moi, je sais que je ne l’aurai pas. La nationalité algérienne ? Il ne faut pas demander l’impossible », reconnaît-il, sans nier le racisme ambiant. Quand il n’en est pas témoin lui-même, des récits lui arrivent des migrants qu’il emploie : « Ils ont pour but de partir en Europe. Les passeurs demandent jusqu’à 3 000 euros. Ce qui représente trois ans de travail acharné pour un migrant. D’autres préfèrent rentrer dans leur pays avec cette somme et tenter le visa pour l’Europe. Dans les deux cas, cet argent ne peut être amassé qu’en Algérie. C’est ici qu’il y a du travail. »
      « Pour l’amour de Dieu ! »

      A la sortie de l’atelier d’Osman, le wagon climatisé du tramway offre une échappatoire à la canicule. « Une aumône pour l’amour de Dieu ! », supplie une jeune migrante subsaharienne depuis le fond du train. Alors que l’enfant fraie son chemin, certains passagers piochent dans leurs poches pour lui tendre quelques sous, d’autres ne masquent pas leur exaspération. La scène fait désormais partie du quotidien algérois. Les migrants sont d’ailleurs désormais qualifiés par les locaux de sadaka (aumône).

      A Alger, la vie des migrants subsahariens n’a pas été perturbée par les événements récents en Tunisie. Depuis le 3 juillet, après la mort à Sfax d’un Tunisien dans une bagarre avec des migrants, des autochtones ont fait la chasse aux Subsahariens et les autorités en ont expulsé par centaines de la ville où le drame a eu lieu. Même ceux en situation régulière ne sont pas épargnés. Depuis plusieurs semaines, de nombreux Sfaxiens manifestaient contre l’augmentation du nombre de candidats à l’exil vers l’Europe arrivés d’Algérie.

      Ceux-ci franchissaient majoritairement la frontière au niveau de la région montagneuse de Kasserine, dans le centre ouest de la Tunisie. Un trajet périlleux : neuf migrants y ont perdu la vie à la mi-mai, « morts de soif et de froid », selon la justice tunisienne.

      C’est dans cette même zone que 150 à 200 personnes ont été refoulées par les autorités tunisiennes, selon les estimations de Human Rights Watch (HRW), en plus des 500 à 700 migrants abandonnés dans la zone frontalière avec la Libye. « Ce sont des estimations que nous avons établies après être entrés en contact avec les migrants et après avoir identifié leur localisation, explique Salsabil Chellali, la directrice de HRW pour la Tunisie. Les migrants expulsés du côté algérien se sont dispersés après avoir été contraints à marcher pendant plusieurs kilomètres. »
      « Propos racistes »

      Ces groupes de migrants comptent des enfants et des femmes enceintes. L’une d’elles a accouché aux portes de l’Algérie, comme en atteste une vidéo reçue par Le Monde. D’après HRW, un groupe de migrants, refoulés à la frontière libyenne, a été secouru et pris en charge dans des villes du sud tunisien. D’autres, aux frontières libyennes et algériennes, errent encore dans le désert, attendant aide et assistance.

      Les propos du président tunisien Kaïs Saïed en février, dénonçant des « hordes de migrants clandestins », source de « violence, de crimes et d’actes inacceptables », ont eu un effet désinhibant, notamment sur des influenceurs et des artistes populaires en Algérie. La
      chanteuse de raï Cheba Warda a ainsi dit soutenir le plan d’expulsion du président Tebboune alors qu’aucun discours n’avait été tenu par ce dernier.

      En juin, l’influenceuse algérienne Baraka Meraia, suivie par plus de 275 000 personnes, a dénoncé le racisme anti-Noirs dont elle a aussi été victime. Originaire d’In Salah, à plus de mille kilomètres au sud d’Alger, la jeune femme a dit avoir été prise à plusieurs reprises pour une migrante subsaharienne. Dans une vidéo, elle est apparue en larmes pour raconter le comportement d’un contrôleur de tramway algérois. « Ce n’est pas la première fois que j’entends des propos racistes, relatait-elle. Parmi toutes les personnes qui ont assisté à la scène, aucune n’a réagi. »
      « Ils errent dans le désert »

      En plus des actes et des propos racistes auxquels ils sont exposés, les migrants vivent sous la menace des opérations d’expulsion. Selon l’ONG Alarm Phone Sahara, qui leur vient en aide, l’Algérie a renvoyé plus de 11 000 personnes vers le Niger entre janvier et avril 2023. Les opérations sont toujours en cours, d’après la même source, et s’opèrent au rythme minimum d’un convoi par semaine depuis 2018. « Ces expulsions s’opèrent sur la base d’un accord avec le Niger. Toutefois, l’Algérie ne prend pas en considération la nationalité des migrants qu’elle refoule », raconte Moctar Dan Yayé, le responsable de communication d’Alarm Phone Sahara.

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      Selon lui, les migrants sont acheminés jusqu’à Tamanrasset, à l’extrême sud algérien, puis à la frontière avec le Niger. De ce no man’s land, les refoulés doivent marcher environ 15 km pour atteindre le village d’Assamaka, où l’opération de tri commence. « Nous sommes tombés sur des Yéménites et même sur un migrant du Costa Rica. Ceux-là, comme les autres Africains, ne sont pas pris en charge par le Niger. Parfois, l’Organisation mondiale des migrations (OIM) se charge de les renvoyer chez eux. Dans le cas contraire, ils errent dans le désert en essayant de rentrer en Algérie », rapporte Moctar Dan Yayé. Selon Alarm Phone Sahara, plus de 7 500 migrants expulsés restent bloqués à Assamaka.

      Malgré cette menace de reconduite et les discours incendiaires du président tunisien, ceux-ci gardent les yeux rivés sur la Méditerranée, comme ces deux jeunes Sénégalais, Aliou et Demba*, rencontrés en avril à Tamanrasset. Après avoir traversé le Mali et le Niger, leur errance les a amenés dans cet îlot urbain, planté en plein désert, où ils n’ont trouvé que quelques labeurs sur des chantiers, payés tout juste 1 000 dinars la journée, à peine 7 euros. Demba espérait alors rejoindre la Tunisie, sans crainte que les propos de son dirigeant n’affecte son ambition. Il y a seulement trois mois, il était persuadé que les migrants ne risquaient pas l’expulsion de la Tunisie, contrairement à l’Algérie. Le seul problème qui se posait alors à ses yeux et à ceux de son ami était de trouver l’argent pour payer les passeurs.

      *Les prénoms ont été changés à la demande des interviewés.

      Ténéré Majhoul(Alger, correspondance) et Nour Bahri(Tamanrasset, Algérie, envoyée spéciale)

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/12/en-algerie-l-errance-des-migrants-subsahariens-menaces-d-expulsion_6181703_3

    • Deportierte Migranten in Tunesien: Wo sind die aus Sfax Vertriebenen?

      Mirco Keilberth
      6–7 Minuten

      Von vielen aus der tunesischen Stadt deportierten Migranten aus Subsahara-Afrika fehlt jede Spur. Einige wurden offenbar in der Wüste ausgesetzt.

      Gestrandete afrikanische Migranten aus Tunesien an einem Strand in der Nähe der libyschen Grenze Foto: ap

      TUNIS taz | Das Schicksal von über tausend aus der Hafenstadt Sfax deportierten Mi­gran­ten ist eine Woche nach den gewaltvollen Vertreibungen noch immer unklar. Am Montag letzter Woche kam ein 41-jähriger Tunesier bei Auseinandersetzungen zwischen Migranten aus Subsahara-Afrika und Jugendlichen aus Sfax ums Leben. In der darauffolgenden Nacht begannen die Ausschreitungen gegen die Migranten: Sie wurden aus ihren Wohnungen getrieben, geschlagen, bedroht. Täglich transportieren die Behörden Migranten in Bussen aus der 330.000 Einwohner zählenden Stadt.

      An einem Strandabschnitt direkt neben dem libysch-tunesischen Grenzübergang Ras Jadir stieß am letzten Donnerstag Malik Traina, ein Reporter des katarischen TV-Senders Aljazeera, auf 700 aus Sfax deportierte Migranten, die ohne Wasser und Nahrungsmittel dort ausgesetzt worden waren.

      Libysche Grenzbeamte belieferten die Gruppe mit dem Nötigsten, ließen sie aber nicht – wie von den Behörden in Sfax wohl erhofft – über die Grenze. Man habe selber über 700.000 Migranten im Land aufgenommen, erklärt ein Grenzbeamter gegenüber der taz. „Tunesien will seine sozialen Probleme auf dem Rücken der Migranten und Nachbarländer lösen. Das ist ein gefährlicher Präzedenzfall“, so der Beamte aus der nordwestlibyschen Hafenstadt Zuwara weiter.

      Die Videos der bei über 40 Grad in der sengenden Sonne Gestrandeten sorgten weltweit für Empörung. Die Unnachgiebigkeit der von der Aktion völlig überraschten libyschen Beamten führte zunächst zu einem Nachgeben der tunesischen Behörden. Nachdem am Wochenende Helfer des Roten Halbmondes die lebensbedrohliche Entkräftung der Vertriebenen bestätigten, wurde die Mehrheit mit Bussen in verschiedene Orte Südtunesiens gefahren.
      Unter den im Freien Ausgesetzten sind auch Kinder

      In Ben Guerdane, nahe der Grenze, stehen seitdem 70 Migranten unter Polizeischutz. In Tataouine und Medenine, weiter im Landesinneren gelegen, wurden weitere Gruppen untergebracht.

      Libyscher Grenzbeamter

      „Tunesien will seine sozialen Probleme auf dem Rücken der Migranten lösen“

      Viele der Betroffenen würden in ihre Heimat zurückreisen wollen, so Vertreter des Roten Halbmonds. Deren Rückflug würde man zusammen mit der internationalen Organisation für Migration (IOM) organisieren.

      Doch die humanitäre Krise ist damit nicht zu Ende. Die in der Seenotrettung aktive Zivilorganisation Alarm Phone berichtet von weiteren Bussen aus Sfax, die am Dienstag Migranten bei Ras Jadir im Freien absetzten. Unter den dort Verblieben sind mindestens 30 Kinder.

      Völlig unklar ist zur Zeit der Verbleib von bis zu 250 Migranten, die in zwei Gruppen aus Sfax an die algerisch-tunesische Grenze im westtunesischen Tozeur gefahren wurden. Offenbar wurden auch sie nach der Zerstörung ihrer Telefone ohne Wasser und Nahrungsmittel ausgesetzt. In Tozeur herrschten am letzten Wochenende auch nachts noch Temperaturen von 38 Grad, am Tag klettern sie auf knapp 50 – das macht das Grenzgebiet zu einer der derzeit heißesten Regionen der Erde.
      Kontakt zu einer Gruppe Migranten ist abgebrochen

      Tunesische Aktivisten sowie Alarm Phone haben offenbar zu den auf die algerische Seite geflohenen Migranten jeglichen Kontakt verloren. Wahrscheinlich sind die Batterien der bei den Migranten verbliebenen Telefone mittlerweile leer. Menschenrechtsaktivisten aus Djerba wurden bei dem Versuch, die beiden Gruppen zu orten, von der tunesischen Polizei festgesetzt.

      In Sfax übernachten viele der aus ihren Wohnungen Vertriebenen weiter auf den Straßen. Und in den Verstecken an einem Strandabschnitt nördlich der Stadt warten weiterhin mehrere tausend Menschen auf die Überfahrt nach Europa.
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      https://taz.de/Deportierte-Migranten-in-Tunesien/!5943662

    • 13 juillet 2023
      Traitements inhumains et dégradants envers les africain·e·s noir·e·s en Tunisie, fruits du racisme institutionnel et de l’externalisation des politiques migratoires européennes

      Les organisations soussignées expriment leurs vives inquiétudes et leur indignation quant à la situation délétère en Tunisie, tout particulièrement ces derniers jours dans la ville de Sfax. Depuis la mort d’un ressortissant Tunisien, présumément aux mains de ressortissants d’origine subsaharienne, survenue le 3 juillet 2023 lors d’une échauffourée [1], cette ville est le théâtre d’affrontements entre une partie de la population chauffée à blanc par des campagnes de haine sur les réseaux sociaux, et des exilé·e·s en provenance d’Afrique subsaharienne installé·e·s dans cette ville, pris·es pour cibles. Cela s’ajoute aux graves événements racistes et xénophobes qu’a déjà connus le pays en mars 2023 [2], ayant notamment entraîné la mort de trois personnes d’origine Subsaharienne.

      Le discours raciste et haineux, véritable « pousse-au-crime », prononcé par le Président tunisien en février 2023 [3] n’a fait qu’encourager ces exactions, et accorder un blanc-seing aux graves violences exercées à l’encontre des personnes exilées. Et c’est bien l’attitude des autorités locales et nationales qui est en cause, laissant libre court aux fausses informations qui pullulent sur les réseaux sociaux, mais également aux violences de certains groupes – policiers, militaires ou issus de la population –, à l’égard des personnes exilées noires, férocement attaquées et violentées en toute impunité [4] .

      Nombre de témoignages, notamment des premier.e.s concerné·e·s, d’associations de la société civile en Tunisie mais aussi de médias étrangers, font ainsi état de graves violations des droits humains à leur encontre : interpellations violentes et arbitraires, défenestrations, agressions à l’arme blanche… Ces acteurs dénoncent une véritable « chasse aux migrant·e·s » et des rafles, suivies du renvoi forcé d’un millier de personnes aux frontières avec la Libye ou l’Algérie, l’objectif des autorités tunisiennes semblant être de regrouper à ces frontières les exilé·e·s originaires d’Afrique subsaharienne pour les y abandonner sans assistance aucune ni moyens de subsistance, y compris s’agissant de demandeur·euse d’asile. Des rafles précédées ou s’accompagnant d’expulsions arbitraires de leurs domiciles, de destructions ou de vols de leurs biens, de traitements inhumains et dégradants, ainsi que de violences physiques [5]. Des violations des droits commises par des forces publiques et/ou des milices privées largement documentées, mais qui restent à ce jour sans condamnation pour leurs auteurs de la part des tribunaux ou des autorités étatiques.

      Tout cela intervient dans un contexte de crise sans précédent en Tunisie, touchant tous les domaines : économique, social, politique, institutionnel, financier… Une crise accentuée par les pressions et le marchandage de l’Union européenne (UE), qui entend via un partenariat « renforcé », mais inégal en matière migratoire, imposer à la Tunisie l’externalisation des contrôles frontaliers et de la gestion migratoire [6]. Cette politique répressive passe par le renvoi depuis les pays européens de tou·te·s les exilé.e.s dépourvu.e.s de droit au séjour ayant transité par la Tunisie, ainsi désignée comme « pays sûr », contrairement à la Libye. Ceci, au motif de faire de la Tunisie le garde-frontière de l’UE, en charge de contenir les migrations « indésirables » et de les éloigner le plus possible du territoire européen, en échange d’une aide financière conséquente venant à point nommé (au moins 900 000 €). Le tout malgré les inquiétudes suscitées par la dérive autoritaire observée en Tunisie [7] et au mépris de l’État de droit et des droits fondamentaux des personnes exilées en Tunisie.
      Une crise également aggravée par l’ambiguïté des autorités algériennes, qui instrumentalisent la question migratoire pour des motifs politiques en déroutant les personnes d’origine subsaharienne de l’Algérie – qui compte des frontières terrestres avec les pays d’Afrique subsaharienne – vers la Tunisie, qui n’en a pas.

      Nous exprimons notre entière solidarité avec toutes les victimes des violences, quelle que soit leur nationalité, condamnons cette violence raciste d’où qu’elle vienne, et exprimons notre indignation face au silence assourdissant et complice des autorités tunisiennes.
      Nous enjoignons la Tunisie à assumer les responsabilités qui lui incombent en protégeant de toute exaction les exilé·e·s sur son territoire, en mettant un terme à ces violences racistes et aux refoulements opérés en toute illégalité aux frontières tunisiennes, et à se conformer au droit international.

      Enfin, nous dénonçons avec la plus grande vigueur les pressions exercées par l’UE sur la Tunisie dans le cadre d’une coopération inégale et marchandée en vue d’imposer à ce pays méditerranéen sa politique ultrasécuritaire en matière d’immigration et d’asile, au mépris du droit international et des droits des personnes exilées.

      Voir la liste des signataires en pièce jointe

      Notes

      [1] « À Sfax, la mort d’un Tunisien lors de heurts avec des migrants fait craindre des violences », 5 juillet 2023, France24, https://www.france24.com/fr/afrique/20230705-%C3%A0-sfax-la-mort-d-un-tunisien-lors-de-heurts-avec-des-migrant

      [2] « Tunisie : La violence raciste cible les migrants et réfugiés noirs », 10 mars 2023, Human Rights Watch, https://www.hrw.org/fr/news/2023/03/10/tunisie-la-violence-raciste-cible-les-migrants-et-refugies-noirs

      [3] « Tunisie. Le discours raciste du président déclenche une vague de violence contre les Africain·e·s Noirs », 10 mars 2023, Amnesty International, https://www.amnesty.org/fr/latest/news/2023/03/tunisia-presidents-racist-speech-incites-a-wave-of-violence-against-black-a

      [4] « Tunisie : à Sfax, les exilés subsahariens subissent la violence de la population », France Info 7 juillet 2023, https://www.francetvinfo.fr/monde/afrique/tunisie/tunisie-a-sfax-les-exiles-subsahariens-subissent-la-violence-de-la-popu

      [5] « Human Rights Watch dénonce des expulsions de migrants vers le désert en Tunisie : "C’est une question de vie ou de mort" », 8 juillet 2023, Human Rights Watch, https://information.tv5monde.com/afrique/human-rights-watch-denonce-des-expulsions-de-migrants-vers-le-

      [6] « Pourquoi l’UE veut renforcer son partenariat avec la Tunisie », 11 juin 2023, L’Express & AFP : https://www.lexpress.fr/monde/pourquoi-lue-veut-renforcer-son-partenariat-avec-la-tunisie-5KUG3YXCSNCWFF2

      [7] « En Tunisie, Kaïs Saïed est seul contre tous », 18 juin 2022, Courrier international : https://www.courrierinternational.com/article/analyse-en-tunisie-kais-saied-est-seul-contre-tous

      https://migreurop.org/article3192.html?lang_article=fr

    • Traitements inhumains et dégradants envers les africain⋅es noir⋅es en Tunisie, fruits du racisme institutionnel et de l’externalisation des politiques migratoires européennes

      Les organisations soussignées expriment leurs vives inquiétudes et leur indignation quant à la situation délétère en Tunisie, tout particulièrement ces derniers jours dans la ville de Sfax. Depuis la mort d’un ressortissant tunisien, présumément aux mains de ressortissants d’origine subsaharienne, survenue le 3 juillet 2023 lors d’une échauffourée [1], cette ville est le théâtre d’affrontements entre une partie de la population chauffée à blanc par des campagnes de haine sur les réseaux sociaux, et des exilé⋅es en provenance d’Afrique subsaharienne installé⋅es dans cette ville, pris⋅es pour cibles. Cela s’ajoute aux graves événements racistes et xénophobes qu’a déjà connus le pays en mars 2023 [2], ayant notamment entraîné la mort de trois personnes d’origine Subsaharienne.

      Le discours raciste et haineux, véritable « pousse-au-crime », prononcé par le Président tunisien en février 2023 [3] n’a fait qu’encourager ces exactions, et accorder un blanc-seing aux graves violences exercées à l’encontre des personnes exilées. Et c’est bien l’attitude des autorités locales et nationales qui est en cause, laissant libre court aux fausses informations qui pullulent sur les réseaux sociaux, mais également aux violences de certains groupes – policiers, militaires ou issus de la population –, à l’égard des personnes exilées noires, férocement attaquées et violentées en toute impunité [4].

      Nombre de témoignages, notamment des premier⋅es concerné⋅es, d’associations de la société civile en Tunisie mais aussi de médias étrangers, font ainsi état de graves violations des droits humains à leur encontre : interpellations violentes et arbitraires, défenestrations, agressions à l’arme blanche… Ces acteurs dénoncent une véritable « chasse aux migrant⋅es » et des rafles, suivies du renvoi forcé d’un millier de personnes aux frontières avec la Libye ou l’Algérie, l’objectif des autorités tunisiennes semblant être de regrouper à ces frontières les exilé⋅es originaires d’Afrique subsaharienne pour les y abandonner sans assistance aucune ni moyens de subsistance, y compris s’agissant de demandeur⋅euse d’asile. Des rafles précédées ou s’accompagnant d’expulsions arbitraires de leurs domiciles, de destructions ou de vols de leurs biens, de traitements inhumains et dégradants, ainsi que de violences physiques [5]. Des violations des droits commises par des forces publiques et/ou des milices privées largement documentées, mais qui restent à ce jour sans condamnation pour leurs auteurs de la part des tribunaux ou des autorités étatiques.

      Tout cela intervient dans un contexte de crise sans précédent en Tunisie, touchant tous les domaines : économique, social, politique, institutionnel, financier… Une crise accentuée par les pressions et le marchandage de l’Union européenne (UE), qui entend via un partenariat « renforcé », mais inégal en matière migratoire, imposer à la Tunisie l’externalisation des contrôles frontaliers et de la gestion migratoire [6]. Cette politique répressive passe par le renvoi depuis les pays européens de tou⋅tes les exilé⋅es dépourvu⋅es de droit au séjour ayant transité par la Tunisie, ainsi désignée comme « pays sûr », contrairement à la Libye. Ceci, au motif de faire de la Tunisie le garde-frontière de l’UE, en charge de contenir les migrations « indésirables » et de les éloigner le plus possible du territoire européen, en échange d’une aide financière conséquente venant à point nommé (au moins 900 000 €). Le tout malgré les inquiétudes suscitées par la dérive autoritaire observée en Tunisie [7] et au mépris de l’État de droit et des droits fondamentaux des personnes exilées en Tunisie.
      Une crise également aggravée par l’ambiguïté des autorités algériennes, qui instrumentalisent la question migratoire pour des motifs politiques en déroutant les personnes d’origine subsaharienne de l’Algérie – qui compte des frontières terrestres avec les pays d’Afrique subsaharienne – vers la Tunisie, qui n’en a pas.

      Nous exprimons notre entière solidarité avec toutes les victimes des violences, quelle que soit leur nationalité, condamnons cette violence raciste d’où qu’elle vienne, et exprimons notre indignation face au silence assourdissant et complice des autorités tunisiennes. Nous enjoignons la Tunisie à assumer les responsabilités qui lui incombent en protégeant de toute exaction les exilé⋅es sur son territoire, en mettant un terme à ces violences racistes et aux refoulements opérés en toute illégalité aux frontières tunisiennes, et à se conformer au droit international.

      Enfin, nous dénonçons avec la plus grande vigueur les pressions exercées par l’UE sur la Tunisie dans le cadre d’une coopération inégale et marchandée en vue d’imposer à ce pays méditerranéen sa politique ultrasécuritaire en matière d’immigration et d’asile, au mépris du droit international et des droits des personnes exilées.

      http://www.gisti.org/article7056

    • La Tunisie et la Libye s’accordent sur une répartition des migrants bloqués à la frontière

      Les deux pays ont indiqué jeudi avoir trouvé un accord pour se répartir les exilés bloqués depuis plus d’un mois dans une zone désertique près du poste frontière de Ras Jdir. InfoMigrants a pu contacter Kelvin. Bloqué à la frontière, ce jeune Nigérian a été envoyé à Tataouine dans un centre de l’Organisation mondiale pour les migrations.

      Après plus d’un mois de souffrance, les exilés bloqués à la frontière entre la Tunisie et la Libye vont enfin pouvoir quitter cet espace inhospitalier. La Tunisie et la Libye ont annoncé jeudi 10 août s’être entendus pour se répartir l’accueil des 300 migrants africains bloqués près du poste frontière de Ras Jdir.

      C’est le ministère de l’Intérieur libyen qui a le premier annoncé la conclusion de cet accord bilatéral « pour une solution consensuelle, afin de mettre fin à la crise des migrants irréguliers, bloqués dans la zone frontalière ». « On s’est mis d’accord pour se partager les groupes de migrants présents sur la frontière », a indiqué de son côté un porte-parole du ministère tunisien.

      Un communiqué officiel tunisien a souligné le besoin d’une « coordination des efforts pour trouver des solutions qui tiennent compte des intérêts des deux pays ».

      « La Tunisie va prendre en charge un groupe de 76 hommes, 42 femmes et 8 enfants », a précisé à l’AFP le porte-parole du ministère de l’Intérieur, Faker Bouzghaya. Les Libyens prendront en charge le reste des migrants bloqués, environ 150, selon le porte-parole officiel tunisien.

      Les autorités libyennes ont annoncé dans un communiqué jeudi qu’"il n’y avait plus aucun migrant irrégulier dans la zone frontalière" après l’accord. « Des patrouilles sont organisées en coordination » entre les deux pays pour « sécuriser la frontière ».

      Côté tunisien, « le transfert du groupe a eu lieu [mercredi] dans des centres d’accueil à Tataouine et Médénine avec la participation du Croissant rouge » tunisien, a ajouté Faker Bouzghaya.
      « Nous avons reçu de l’eau et de la nourriture »

      Un transfert confirmé par Kelvin, un migrant nigérian, en contact avec InfoMigrants. « Nous avons tous été rapatriés hier soir [mercredi 9 août] en Tunisie. Nous sommes à Tataouine, dans un centre de l’OIM, a déclaré le jeune homme. Nous avons reçu de l’eau et de la nourriture. Nous allons bien, les enfants vont déjà mieux. Les malades n’ont pas encore été à l’hôpital, ils sont avec nous... ». Selon lui, l’OIM aurait indiqué aux personnes qu’elles pouvaient rester dans ce centre pendant deux mois. « Je ne sais pas si c’est vrai », met en garde le jeune Nigérian.

      Début juillet, InfoMigrants avait pu entrer en contact avec Kelvin. Ce dernier affirmait avoir été raflé à Sfax, dans le centre-est de la Tunisie, forcé de monter dans un « grand bus » affrété par les autorités tunisiennes, et lâché dans le désert avec « au moins 150 personnes ».

      Trois semaines plus tard, le jeune homme a participé à une manifestation avec d’autres exilés bloqués à la frontière. « Nous avons manifesté pour interpeller les autorités car on nous traite comme des animaux, mais le président tunisien ne veut pas répondre à nos appels », dénonçait-il alors.
      Au moins 27 personnes mortes à la frontière

      Jusqu’à 350 personnes ont été bloquées à Ras Jedir, parmi lesquelles 12 femmes enceintes et 65 enfants et mineurs, selon des sources humanitaires qui ont indiqué à l’AFP que l’essentiel des aides (nourriture, eau, soins médicaux) leur avait été apportée depuis le 20 juillet par le Croissant rouge libyen, soutenu par les agences onusiennes.

      Les arrestations et les envois de migrants vers cette zone frontalière ont débuté après la mort le 3 juillet à Sfax (centre-est) d’un Tunisien lors d’une rixe avec des migrants. Selon des sources humanitaires interrogées par l’AFP, « au moins 2 000 ressortissants subsahariens » ont été « expulsés » par les forces de sécurité tunisiennes et déposés dans des zones désertiques aux frontières libyenne et algérienne.

      Depuis début juillet, « au moins 27 migrants » sont morts dans le désert tuniso-libyen et « 73 sont portés disparus », a indiqué jeudi à l’AFP une source humanitaire. Et jusqu’à « hier [mercredi], tous les deux jours une centaine de migrants continuaient d’arriver de Tunisie et à être secourus par les Libyens dans la zone d’Al Assah ».

      Les personnes ont été abandonnées sans eau, ni nourriture, en plein soleil dans cette zone aride, sans que ni l’Union européenne, ni l’Union africaine ne conteste cette situation.

      Le 12 juillet, le Croissant rouge tunisien (CRT) a mis à l’abri environ 630 personnes récupérées à Ras Jdir et en a pris en charge environ 200 autres, refoulées initialement vers l’Algérie, selon des ONG.

      Parmi les personnes retrouvées mortes se trouvent des femmes et des enfants. Sur une vidéo des garde-frontières libyens relayée par le compte Twitter Refugees in Libya, on peut voir un homme mort allongé par terre, contre un enfant. Tous les deux gisent l’un contre l’autre, sur le sable, le désert tout autour d’eux. Deux autres personnes, décédées, figurent aussi dans la vidéo. « Aujourd’hui c’est encore un père sans visage, son fils et deux autres compagnons dont la vie a été injustement volée », commente le compte.

      La photo d’une femme et de sa petite fille a, elle, fait le tour des réseaux sociaux. Identifiées par Refugees in Libya, Fati, 30 ans, et Marie, 6 ans, sont mortes de soif après leur abandon à cet endroit par les autorités tunisiennes. Ce « crime » est « commis contre des gens qui cherchent une meilleure vie, une deuxième chance ». « Comment pouvons-nous détourner le regard ? », s’est insurgé le porte-parole du compte, David Yambio.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/50985/la-tunisie-et-la-libye-saccordent-sur-une-repartition-des-migrants-blo

    • Une délégation de l’UE refusée en Tunisie

      https://www.youtube.com/watch?v=dybtce0H4cI

      La Tunisie a interdit d’entrée sur son territoire une délégation du Parlement européen, provoquant de vives réactions des eurodéputés qui ont pour certains réclamé la suspension de l’accord migratoire conclu entre l’UE et Tunis. Les précisions de Lilia Blaise, correspondante de France 24 en Tunisie.

    • Septembre 2023 :
      Tunisie : plusieurs centaines de migrants chassés du centre de Sfax

      Les forces de sécurité tunisiennes ont expulsé dimanche quelque 500 migrants subsahariens d’une place dans le centre de Sfax, deuxième ville du pays, après les avoir chassés de leurs logements début juillet. Cette expulsion fait partie d’une vaste campagne sécuritaire menée par les autorités contre les migrants irréguliers.

      La tension persiste dans la deuxième ville de Tunisie. Quelque 500 migrants originaires d’Afrique subsaharienne ont été expulsés dimanche 17 septembre par les forces de sécurité tunisiennes d’une place dans le centre de Sfax après avoir été chassés de leurs logements début juillet, a indiqué une ONG.

      « Les forces de sécurité ont évacué dimanche matin une place sur laquelle environ 500 migrants étaient rassemblés dans le centre de Sfax », a indiqué à l’AFP Romdane Ben Amor, porte-parole du Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES), une ONG qui suit de près le dossier de la migration en Tunisie. Selon lui, les migrants « ont été dispersés par petits groupes en direction de zones rurales et vers d’autres villes ».

      Les autorités mènent depuis samedi une vaste campagne sécuritaire contre les migrants clandestins, originaires pour la plupart de pays d’Afrique subsaharienne. Elles ont annoncé l’arrestation de près de 200 migrants subsahariens « qui s’apprêtaient à effectuer une traversée clandestine » vers les côtes européennes.

      À la suite d’un discours incendiaire en février du président Kaïs Saïed sur l’immigration clandestine, des centaines de migrants subsahariens ont perdu leur travail et leur logement en Tunisie. Des agressions ont été recensées et plusieurs milliers ont dû être rapatriés par leurs ambassades.

      Début juillet, des centaines d’autres ont été chassés de la ville de Sfax et expulsés par les forces de sécurité tunisiennes, notamment vers une zone frontalière désertique avec la Libye où au moins 27 sont morts et 73 portés disparus.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/51869/tunisie--plusieurs-centaines-de-migrants-chasses-du-centre-de-sfax

    • Tunisia expels hundreds of sub-Saharan African migrants from Sfax amid crackdown

      Tunisian authorities expelled hundreds of sub-Saharan African migrants from the port of Sfax Sunday after they were thrown out of their homes during unrest in July, a rights group said.

      “The security forces on Sunday evacuated a square where some 500 migrants were assembled in the centre of Sfax,” Romdane Ben Amor, spokesman for the FTDES non-government organisation, told AFP.

      He said the migrants were “dispersed in small groups towards rural areas and other towns”.

      Since Saturday, authorities in Tunisia have been cracking down on illegal migrants, most of whom are from sub-Saharan African countries.

      According to authorities, around 200 migrants “who were preparing to make the clandestine boat trip” towards Europe were arrested.

      Tunisia is a major gateway for migrants and asylum-seekers attempting perilous sea voyages in hopes of a better life in the European Union.

      Racial tensions flared in Tunisia’s second city of Sfax after the July 3 killing of a Tunisian man following an altercation with migrants.

      Humanitarian sources say that at least 2,000 sub-Saharan Africans were expelled or forcibly transferred by Tunisian security forces to desert regions bordering Libya and Algeria.

      Xenophobic attacks targeting black African migrants and students increased after an incendiary speech in February by President Kais Saied.

      He alleged that “hordes” of illegal migrants were causing crime and posing a demographic threat to the mainly Arab North African country.

      Hundreds of migrants lost their jobs and housing after his remarks.

      At least 27 people died and 73 others were listed as missing after being expelled into desert areas bordering Libya in July.

      https://www.france24.com/en/africa/20230917-tunisia-expels-hundreds-of-sub-saharan-african-migrants-amid-crac

    • ‘I had to drink my own urine to survive’: Africans tell of being forced into the desert at Tunisia border

      As EU prepares to send money as part of €1bn deal, people trying to reach north African country detail border ‘pushbacks’

      Migrants from sub-Saharan Africa have spoken of their horror at being forcibly returned to remote desert regions where some have died of thirst as they attempt to cross the border into Tunisia.

      As the European Union prepares to send money to Tunisia under a €1bn (£870m) migration deal, human rights groups are urging Brussels to take a tougher line on allegations that Tunisian authorities have been pushing people back to deserted border areas, often with fatal results.

      According to an official from a major intergovernmental organisation, Tunisian authorities relocated more than 4,000 people in July alone to military buffer zones at the borders with Libya and Algeria.

      “About 1,200 people were pushed back to the Libyan border in the first week of July alone,” said the source, who was speaking on condition of anonymity. By late August, the source added, their organisation knew of seven people who had died of thirst after being pushed back.

      An NGO working with refugees puts the estimate at between 50 and 70. The Guardian could not independently verify the figure.

      The new claim comes in stark contrast to the picture painted last month by Tunisia’s interior minister, Kamel Fekih, who conceded that “little groups of six to 12 people” were being pushed back, but denied any mistreatment or form of “collective deportation”.

      It is likely to increase pressure on European lawmakers to raise human rights concerns with the Tunisian authorities as they push ahead with a deal aimed at stemming irregular migration. The agreement is increasingly coming under fire, with the German foreign minister, Annalena Baerbock, last week saying human rights and the rule of law had not been “given suitable consideration”.

      In a series of interviews conducted with nearly 50 migrants in Sfax, Zarzis, Medenine and Tunis, the majority confirmed having been forcibly returned to the desert between late June and late July.

      “In early July, the Tunisian police captured us in Sfax,’’ said Salma, a 28-year-old Nigerian woman. “My two-year-old son and I were taken by some policemen and pushed back into the desert at the Libyan border. My husband was captured by other border guards and I don’t know what happened to him. I haven’t heard from him since then because while they were pushing us back I lost my phone.’’

      Michael, 38, from Benin City, Nigeria, said: “They pushed me back three times to the desert, the last time at the end of July … The Tunisian border guards beat us, stole our money and cellphones. In the desert we had no water. I had to drink my own urine to survive.”

      The Guardian also spoke to Pato Crepin, a Cameroonian whose wife and daughter, Fati Dosso and six-year-old Marie, died in mid-July in a remote part of the Libyan desert after being pushed back by Tunisian authorities. “I should have been there in their place,” said Crepin, who has since been sent back, again, to Libya.

      While the border with Libya has long been the focus of such activity, the border with Algeria, which is less controlled, is also seeing people pushed back into its vast no man’s land, reports indicate.

      Fifteen people interviewed by the Guardian said they had been forced back to the Algerian border.

      “They arrested me in Tunis and took me near Kasserine, a border town near Algeria,” said Djibril Tabeté, 22, from Senegal. “They left us at a few kilometres from the border. Then we were ordered to climb a hill. On the other side was Algeria. Problem is when the Algerian guard finds you, they push you to Tunisia. Tunisians push you, Algerians do the same. People die there.”

      Reports of Tunisia removing people to the desert emerged in July, when photos suggesting that asylum seekers were dying of thirst and extreme heat after allegedly being pushed back by Tunisian authorities started circulating on social media. After the allegations, Tunisia’s government faced intense criticism from the international press but denied any wrongdoing.

      “At the beginning, Tunisia dismissed reports of forced returns,” said Hassan Boubakri, a geography and migration professor at the universities of Sousse and Sfax, as well as a migration consultant for the government. “But little by little, they publicly admitted that some sub-Saharans were blocked on the Tunisian-Libyan border. The question is, who put them there? The Tunisian authorities did.”

      According to figures from Italy’s interior ministry, more than 78,000 people have arrived in Italy by crossing the Mediterranean from north Africa since the beginning of the year, more than double the number of arrivals during the same period in 2022.

      The majority, 42,719, departed from Tunisia, indicating that the country has surpassed Libya as the main departure point for migrants.

      The “strategic partnership” signed between the EU and Tunis in July, reached after weeks of negotiations, envisaged money being sent to the north African country to combat human traffickers, tighten borders, and support Tunisia’s struggling economy.

      The first payment of €127m would be disbursed “in the coming days”, a European Commission spokesperson, Ana Pisonero, said last week.

      https://www.theguardian.com/world/2023/sep/28/tunisia-border-africans-forced-into-desert-eu-deal-europe-violent-treat

    • Tunisia: African Migrants Intercepted at Sea, Expelled

      Apparent Policy Shift Endangers Migrants, Asylum Seekers, Children

      The Tunisian National Guard collectively expelled over 100 migrants from multiple African countries to the border with Algeria between September 18 and 20, 2023, Human Rights Watch said today. Those expelled, which included children and possibly asylum seekers, had been intercepted at sea and returned to Tunisia by the Coast Guard, part of the National Guard.

      These operations may signal a dangerous shift in Tunisian policy, as authorities had previously usually released intercepted migrants in Tunisia after disembarkation. The EU signed with Tunisia on July 16 a memorandum of understanding to increase funding to the Tunisian security forces, including the Coast Guard, to stem irregular sea migration to Europe.

      “Only two months after the last inhumane mass expulsions of Black African migrants and asylum seekers to the desert, Tunisian security forces have again exposed people to danger by abandoning them in remote border areas, without food or water,” said Salsabil Chellali, Tunisia director at Human Rights Watch. “The African Union and governments of the people affected should publicly condemn Tunisia’s abuse of fellow Africans, and the European Union should halt all funding to authorities responsible for abuse.”

      Some migrants also said that National Guard agents beat them and stole their belongings, including phones, money, and passports.

      On September 22, the European Commission announced that it would imminently provide €67 million to Tunisia to manage migration, without any clear benchmarks to ensure that Tunisian authorities protect the rights of migrants and asylum seekers. It is unclear how Tunisian President Kais Saied’s public rejection of the funding on October 2 will affect the deal.

      Between September 20 and October 3, Human Rights Watch interviewed a 38-year-old Cameroonian man, a 17-year-old Guinean boy, and an 18-year-old and two 16-year-old boys from Senegal. All had been irregularly staying in Tunisia. The five said that they were among a large group of people of various African nationalities bused to the Algerian border, directly after being intercepted at sea.

      These latest expulsions of migrants to remote border regions follow security forces’ collective expulsions in July to the Libyan and Algerian borders of over 1,300 migrants and asylum seekers, including children. They remained without adequate food and water. According to Libyan authorities, at least 27 people died at the border.

      The Guinean boy and three Senegalese people interviewed said they were intercepted at sea by the Tunisian Coast Guard on September 17, hours after their boat left the coast near Sfax, heading toward Italy. They said their boat carried about 40 passengers, including 15 women and infants. One of the children interviewed said the Coast Guard created waves around their boat to force them to stop, then took them and intercepted migrants from other boats back to shore in Sfax.

      Those interviewed said that once they disembarked, security force members asked for everyone’s documents and appeared to register the information of some of those who carried identification. However, one of the 16-year-olds said officers tore up his passport.

      They said that the National Guard held about 80 people for several hours on September 17, with little water and no food or medical screenings, and confiscated all phones and passports, except for those that some people managed to hide. The officers removed SIM and memory cards and checked that people had not filmed the interception, and kept some phones and passports, two interviewees said. The 18-year-old Senegalese said that an officer slapped him and one of his friends who they accused of filming the interception. He also said that when he got his phone back, it had been reset and wiped of data.

      On the evening of September 17, the National Guard loaded the group onto buses and drove them for 6 hours to somewhere near the city of Le Kef, about 40 kilometers from the Algerian border. There, officers divided them into groups of about 10, loaded them onto pickup trucks, and drove toward a mountainous area. The four interviewees, who were on the same truck, said that another truck with armed agents escorted their truck. The interviewees said road signs indicated they were still in the Le Kef region, which Tunisian nationals they met near the border confirmed to them.

      The officers dropped their group in the mountains near the Tunisia-Algeria border, they said. The Guinean boy said that one officer had threatened, “If you return again [to Tunisia], we will kill you.” One of the Senegalese children said an officer had pointed his gun at the group.

      The four managed to leave the border area and returned to Tunisia’s coastal cities a few days later.

      Separately, the Cameroonian left Sfax by boat with his wife and 5-year-old son in the evening of September 18. The Coast Guard intercepted their boat, carrying about 45 people including 3 pregnant women and the child, on the morning of September 19. The Cameroonian said that when his group refused to stop, the Coast Guard drove in circles around them, creating waves that destabilized their boat, and fired teargas toward them, causing panic. The passengers cut their engine and were then boarded onto the Coast Guard vessel, he said.

      The Coast Guard returned them to Sfax, where they joined other people who had been intercepted. The Cameroonian said that security force members beat everyone in his group after they disembarked – sometimes using truncheons – “because we didn’t cooperate and stop at sea,” the man said the officers had told them.

      Officers confiscated their phones, erasing and resetting some and never returning others, and took money and passports, he said. As he had managed to hide his phone, he shared with Human Rights Watch photos and videos, as well as records of his tracked GPS location from the coast to the border.

      On the evening of September 19, the Cameroonian man was among a group of, by his estimate, about 300 people who the National Guard drove in four buses to different destinations. The man said the only food passengers in his bus received was a piece of bread during the eight-hour journey. When they reached a National Guard station in the Le Kef region, officers transferred the people on his bus onto pickup trucks and drove them to a location near the Algeria border.

      The man and his family were among fifty people in three pickups who were dropped at the same location, he said. He could not account for what happened to the others. National Guard officers pointed guns at them and ordered them to cross the Algerian border, he said. The group tried to cross but Algerian military officers fired warning shots. The next day, the Tunisian National Guard again pushed them back toward the border.

      The group was eventually able to leave the area. On September 24, however, the Tunisian National Guard near Le Kef chased them, which caused the group to scatter. The Cameroonian said that he and his son were among a group that reached Sfax by walking for nine days. His wife reached Sfax on October 6, he said.

      It is not clear whether the Tunisian authorities continue to carry out expulsions after interceptions as of October.

      In transferring migrants or asylum seekers to the border and pushing them toward Algeria, Tunisian authorities attempted collective expulsions, which are prohibited by the African Charter on Human and Peoples’ Rights. Authorities violated due process rights by failing to allow people to challenge their expulsion.

      Authorities also disregarded their obligations to protect children. As a party to the Convention on the Rights of the Child, Tunisia is obliged to respect children’s rights to life and to seek asylum, freedom from discrimination, and to act in their best interests; including by implementing age determination procedures and family tracing, providing appropriate guardians, care, and legal assistance to unaccompanied migrant children.

      The European Commission should suspend all funding for migration control purposes to the Tunisian National Guard and Navy pledged under the July agreement, Human Rights Watch said. The Commission should carry out a priori human rights impact assessments and set clear benchmarks to be met by Tunisian authorities before committing any migration management support.

      https://www.hrw.org/news/2023/10/10/tunisia-african-migrants-intercepted-sea-expelled

  • The Great Robbery: during illegal pushbacks in Greece, refugees are robbed by border guards

    Solomon’s investigation, in collaboration with the Spanish newspaper El País, reveals that Greek security forces have stolen more than €2 million from refugees during pushbacks.

    In January 2022, two Cuban citizens, Lino Antonio Rojas Morell and Yudith Pérez Álvarez, presented themselves to the Greek authorities in the Evros region to request asylum, after entering the country illegally.

    The police officers who the couple approached, didn’t just ignore their request. They forced the couple into a van, and transported them to the police station where they confiscated their backpacks and mobile phones.

    The next day, before the couple was deported to the Turkish side of the border along with dozens of other people of different nationalities, they were again searched by the police.

    “The one who seemed to be the leader put my money, €375, in his pocket,” explains Rojas Morell, adding that “the police were obviously looking for money.”

    “One man wanted to look down my pants. They touched my chest and between my legs,” says Pérez Álvarez, in a claim she recently submitted to the United Nations Human Rights Council (UNHRC).

    A year later, they are still traumatized by the violence they experienced during their alleged deportation to Turkey. Despite it being uncommon for Cubans to enter the EU in this way, their case is far from unprecedented — and highlights a practice that has become more frequent in recent years in the landlocked southeastern tip of the European Union.

    From September 2022 to March 2023, Solomon, in collaboration with El País, conducted interviews with more than a dozen sources, including employees of various institutions connected to the Greek asylum system, active and retired members of the security forces, Frontex officials, lawyers, experts, and residents of the Evros region.

    We also collected the testimonies of eight victims of pushbacks and analyzed each of the 374 claims, as they were recorded by multiple agencies, describing the pushbacks of over 20,000 asylum seekers from Greece to Turkey via Evros during 2017-2022.

    The findings of our investigation indicate a clear modus operandi of the Greek authorities in recent years:

    - asylum seekers are arrested when they enter Greece illegally, without being given the opportunity to apply for asylum (as required by both Greek and international law)

    – sometimes they are arrested in various parts of the mainland, although they may already be registered or have already been granted asylum

    - they are brought to various places (police stations, barracks, abandoned warehouses), where often people in uniform or civilian clothing physically assault them and take their belongings before they are transported to Turkey in inflatable boats

    The data collected allows us to conclude that, during the last six years, members of the Greek security forces have stolen more than €2 million in cash (at least €2.2 – 2.8 million) from asylum seekers.

    This amount is based on conservative estimations, without taking into account the value of mobile phones and other valuables (rings, bracelets) taken from victims. In addition, it is highly likely that these cases are just the tip of the iceberg, as the vast majority of pushbacks go unreported.

    A second key point that our joint investigation revealed, is that a few years ago, the practice of stealing money and personal belongings was not as prevalent, but it has progressively become a systematic tactic.

    “When you confiscate their phones, you eliminate any evidence that they were there. When you confiscate their money, you make their lives more difficult. When you strip them naked, another trend that’s on the rise, you humiliate and demoralize them,” comments Eva Cossé, senior researcher at Human Rights Watch in Greece.

    “It’s part of a strategy to prevent them from trying to cross the border again,” she adds.

    A systematic practice

    “We’re not talking about some isolated incidents, because in recent years they’ve become part of a systematic operational practice,” comments Hope Barker, representative of the Border Violence Monitoring Network (BVMN), which consists of twelve organizations that collect testimonies about illegal pushbacks of asylum seekers at EU borders.

    Barker says that BVMN initially noticed the practice of confiscating the belongings of asylum seekers at the Croatian border around 2017. In that context, however, the clothes, phones, and money that were taken, were thrown into fires to be destroyed.

    “In Greece, around 2019, it was a more random practice. Some were stripped of their possessions, others were not. But in recent years it has become an established tactic. Phones are sometimes kept, sometimes destroyed — but money is definitely kept. And it’s common for them to beat someone even more as punishment if they find out they’ve hidden their money,” Barker says.

    This happened to two young Moroccans, who on November 1, 2022 were deported along with fifty others.

    They were in a detention center, then were transferred to Evros, where they were registered again. The two young men said that “at the detention center the officers had already taken all our belongings, so the [other] officers should have known, at this stage, that we had nothing else on us.”

    When they stated that “we [told them] we had no items left,” the officers then became violent towards them, the BVMN report affirmed.
    Frontex sources confirm the illegal pushbacks

    In a case against the Greek state being heard at the European Court of Human Rights (ECHR), the UN High Commissioner for Refugees has provided evidence of 311 incidents in which “at least 6,680 people” were pushed back through Evros to Turkey.

    Two sources from Frontex, (the European Border and Coast Guard Agency) that have an increased presence in Greece, confirmed to Solomon and El País that pushbacks are now a normalized reality.

    “We do it, just like [other countries] do it. Except that they’re not as hostile [toward asylum seekers] as we are,” acknowledges one of the two sources.

    An institutional source who spoke on the condition of anonymity stated that “asylum seekers who enter Greece and follow the asylum procedure have said that it’s their second or third attempt. Some make even more attempts, because they were previously pushed back to Turkey.”

    The same source adds that there is now a “great escalation in the use of violence and humiliating practices. It’s the lowest level of respect for human life.”
    2022: confiscating their money in 92% of cases

    We asked the Greek authorities specific questions, asking to be informed regarding any ongoing investigations into the recorded pushbacks, and what procedure is being followed in terms of the money and personal belongings that are confiscated from the asylum seekers.

    In its reply to our queries, the Ministry of Migration & Asylum reaffirmed its commitment to the protection of human rights, but did not offer any specific answers.

    From the analysis of the recorded pushbacks of the last six years, an increasingly disturbing pattern emerges: the culmination of the Greek border guards’ interest in stealing money from asylum seekers.

    While in 2017 stealing money was reported just in 11% of pushback cases, by 2022 that figure skyrocketed to 92%.

    The data from our analysis is confirmed by the interim report of the relevant Recording Mechanism created by Greece’s National Commission for Human Rights (GNCHR ). It is noted that the GNCHR is an official, independent advisory body of the Greek state.

    Based on the incidents recorded by the GNCHR alone (which do not include those recorded by UNHCR), the report estimates the minimum number of people pushed back between 2020-2022 to be 2,157 people.

    During the presentation of the report in January 2023, the GNCHR confirmed to Solomon and El País that in 88% of the cases the victims stated that they had suffered violence, and in 93% of the cases that their possessions and money had been taken.

    According to the report, the victims of the pushbacks come from countries with high rates of asylum (Syria, Afghanistan, Turkey, Iran).
    Minors kidnapped from the mainland

    The GNCHR report confirms a trend that has also been highlighted by journalistic investigations in recent years: the abduction and pushback to Turkey of people who were living in Greece, already registered or who were already granted asylum.

    Solomon and El País recorded the testimony of Amir, an unaccompanied minor from Afghanistan who, in the summer of 2020, lived in a hostel in Thessaloniki.

    On August 25, 2020, as Amir waited at the bus station, a group of plainclothes men surrounded him and forced him into a black van with tinted windows.

    Twenty other refugees and migrants were in the van, which traveled eastward for about 350 kilometers, arriving near the Evros River. There they were detained and, hours later, their belongings were confiscated and they were taken by boat to Turkish soil.

    “I tried to explain to them that I had papers, but they were very aggressive. Every time you tried to talk to them, they would hit you,” explains Amir.

    His name has been changed to protect his identity, but his testimony was confirmed by a social worker at the hostel as well as two of his friends. In photos shown to Solomon, Amir is pictured smiling by their side, in Greece.
    Planned operations

    Hope Barker, from the BVMN, comments that since the crisis on the Greek-Turkish border in March 2020, not only have “hot pushbacks” (i.e. pushbacks of people found at the border) taken place. Operations have extended inland for hundreds of kilometers.

    “People are being arrested in different cities, in many cases even though they have valid documents or are in the process of seeking asylum,” she says. “They are detained in these kinds of secret places, unable to communicate, until enough people are rounded up, 80 or 100, and then transported to Turkish soil. This is a large state operation.”

    The range of operations underscores the indications that it’s an organized plan.

    “If raids are carried out in different parts of Greece, there is definitely a government order. Because this requires the mobilization of resources, the existence of detention facilities and the participation of different police units, not just some police officers from the Evros region,” comments Eva Cossé of Human Rights Watch.

    The GNCHR report records seven instances of pushbacks in which the victims were located inland, compared to 24 cases in which they were located in the Evros region.
    The isolation of border residents

    During Byzantine times, “Akrítes”, or citizens who lived in border areas, guarded the borders of the empire from raids from the east.

    Today, the residents of Evros are often compared to the Akrítes, and historically, politicians have always viewed them in special regard. For example, Prime Minister Kyriakos Mitsotakis recently announced that in the upcoming elections he will (also) be a candidate in Evros.

    But today, Evros exudes abandonment. It is not difficult to see that the region’s opportunities are extremely limited.

    A source in the city of Orestiada explains that many young people, who haven’t tried their luck in Thessaloniki or Athens, dream of a job in the border guard or the army: “they earn more than the minimum wage and have a secure job for life.”

    In November 2022, when we visited the village of Nea Vyssa, four kilometers from the Turkish border, the streets were deserted. Activity was minimal, and was limited to the cafe in the village square.

    In the cafe’s courtyard, protected from the cold by a plastic sheet, patrons chatted as they slowly sipped their coffees. They all had gray hair.

    One of them was proud that the village once “was one of the largest villages in Greece” and reminded us that the great mathematician Konstantinos Karatheodoris has roots from Vyssa.

    The village’s population today has dwindled to less than 3,000 residents and many buildings are deteriorating. Another patron explained that during the most recent announcement of job placements, three boys from the village were accepted into the border guard unit.

    In 2020, the president of the European Commission, Ursula Von der Leyen, promised Greece €700 million to protect its borders. Nearby on the Egnatia highway, new Nissan Qashqai police vehicles sped by every few minutes.

    In addition to the military, 1,800 border guards serve in Evros, of which 650 were hired last year (2022) with priority given to locals. In January 2023, the opening of another 400 border guard positions were announced.

    The institutional source who spoke to Solomon and El País asserted that there are also differences between them: while some border guards simply “follow orders” and send the asylum seekers back, others decide to “exploit” the situation.

    “There are police officers who only want to serve along the river,” he comments. “Imagine how much a group can earn if they get €100 or €200 from 100 people. They can make an entire salary in a single shift.”
    Mobile phones for the police officers’ kids

    On April 3, 2022, police officers in balaclavas arrested a 22-year-old Syrian man in a forest near Evros.

    According to the victim’s testimony, (recorded by Josoor, an organization that used to document human rights abuses before it had to disband due to pressure it experienced in Greece and Turkey), the police beat him with clubs and took all his belongings, including his phone, which he was forced to unlock. He was then sent back to Turkey with other asylum seekers.

    “When they put me in the car I realized they had a lot of phones and power banks in there. When one of the men took a cigarette out of his pocket, I saw that he had a wad of bills. I think they were taken from others earlier,” he said.

    It remains unknown where all the phones taken from asylum seekers in recent years have ended up. But sources from Orestiada explain that the police officers keep the best devices.

    “The border guards give them to their kids. They show up at school with new phones and proudly say their parents took them from ‘illegal immigrants’,” they comment, expressing concern about young people who join the security forces and end up adopting “the far-right narrative” that considers refugees to be invaders who threaten the security of the country.
    Refugees adapt

    Both before and during their journey, asylum seekers share information via WhatsApp, Telegram, and Facebook — so news spreads quickly.

    The expectation of their [poor] treatment by the Greek border guards means that they carry less and less money on them. While they used to carry larger amounts, a source from the asylum system explains that now “€50, €100, €150 is the norm”.

    A 2021 report on the Balkan corridor by the Global Initiative against Transnational Organized Crime states that “unlike 2015-2016, asylum seekers and migrants now appear wary of carrying large amounts of cash for fear of being robbed by thieves or the police. They tend to access money along the way using money transfer services.”

    Differences also exist based on the nationality of the asylum seekers.

    In recent years, Cubans (who fly to Russia, then to Serbia, arrive in Greece with the intention of applying for asylum in another country) are the unluckiest: without knowing what awaited them, they often each carried with them several thousand euros.

    “Groups of North Africans tend to travel alone or in small groups of two or three, and carry less money. Groups that include families, Syrians and Afghans, tend to be led by traffickers and carry more money,” explains Barker.

    “But, certainly, in the last 1-2 years people are more aware of the risks and no one expects to reach Greece on the first try,” she adds.

    “They know they will be pushed back to Turkey more than once.”

    Methodology

    We examined the testimonies of the victims of 374 illegal pushbacks that were collected between 2017-2022 by the following: Border Violence Monitoring Network (188), Human Rights Watch (76), the Greek Council for Refugees (55), Amnesty International (4), other NGOs and local reports (43), as well as by the journalists of this investigation (8).

    Some testimonies were rejected because they overlapped in dates or did not include sufficient evidence. In 2022, far fewer incidents were recorded than in the previous two years, because the NGO Josoor, which had collected the most testimonies, decided to disband, due to the judicial and police pressure they experienced by Greek and Turkish authorities.

    Testimonies were organized into structured data to be classified by date, place, nationalities and number of people pushed back. It was also ascertained whether the victims reported theft (232 incidents) or not (142). Using this data, the estimated number of asylum seekers present during the pushbacks where theft occurred was more than 13,500.

    Although migrants are systematically recorded, sometimes there are some who manage to hide their money, also, not all migrants have cash with them (this is especially true for families traveling together, so only one family member has been counted as a target for theft). Therefore, using the demographic profiles of migrant groups developed by UNHCR and the PRAB initiative (which includes various NGOs and foundations), a 30% deflator was applied to the theft victim base.

    Not all testimonies of theft specified the amount stolen but 62 testimonies did specify amounts (five were rejected for the calculation because the amounts stolen were so large that they could be misleading). With this data, a statistical distribution was created, of the most frequently confiscated amounts. The distribution was applied to the deflated victim base in order to derive an estimate of the money stolen from migrants. The results show that between 2017 and 2022, between €2.2 and €2.8 million were stolen – these estimates are conservative, as many victims do not report being deported or robbed.

    https://wearesolomon.com/mag/format/investigation/the-great-robbery-during-illegal-pushbacks-in-greece-refugees-are-robb
    #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #vol #argent #Grèce #Evros #téléphones_portables #confiscation #chiffres #statistiques

    • Greek Border Guards call on Solomon to retract investigation which reveals they stole more than €2 million from refugees

      The Union of Evros Border Guards demands that Solomon removes from its website the investigation that revealed how in recent years members of the Greek security forces have stolen more than €2 million from refugees during pushbacks.

      On March 9, 2023, in collaboration with Spanish newspaper El País, Solomon published the findings of a months-long investigation, which sheds light on the extent of a practice, that in recent years, Greek border guards have allegedly engaged in: confiscating money and personal belongings from refugees during illegal pushbacks.

      To document the research, we conducted interviews with several sources. Among them were employees of the Greek asylum system, active and retired members of the security forces, Frontex officials, lawyers, experts, as well as residents of Evros.

      We collected testimonies from the victims of pushbacks, some of which have been submitted to the European Court of Human Rights (ECHR), and analyzed 374 published testimonies that were recorded by a variety of agencies, which describe the pushbacks of over 20,000 asylum seekers from Greece to Turkey via Evros during the period of 2017-2022.

      The publication of the investigation caused the immediate reaction of MEPs, including the president of the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE), who addressed questions to the Commission.

      But these were not the only reactions that followed.

      We received a legal notice from the Union of Evros Border Guards (ESYFNE), which refutes the findings of our investigation, which it characterizes as “slanderous and untrue” and calls on us “to retract the article and publish a correction”.

      The legal notice, signed by a lawyer in Alexandroupoli on May 23, has a delivery date of May 29. However, during that time, our staff was traveling abroad for professional obligations, and we only became aware of the legal notice on June 15.

      In an interesting turn of events, we found that the delivery date coincided with a remarkable news story: on the very same day, five border guards from the Border Unit of Isaaki Didymotihos were accused of being involved in a refugee smuggling ring and were arrested.

      According to the Hellenic Police, the five border guards had in their possession: €26,550, 59 mobile phones, 12 power banks, 2,120 USD, 850 Turkish lire, 23 GBP, 77 Romanian Leu, a number of banknotes from Asian countries, and a bank card.

      In other words, on the same day that the Evros border guards were calling for the withdrawal of our investigation which described how Greek border guards were taking money and mobile phones from refugees during pushbacks, five of their colleagues were arrested, and large sums of foreign currency and 59 mobile phones were found in their possession.

      The legal notice also refers to the “arbitrary use” of a photo (depicting an ESYFNE member) which was used as a central illustration in our article, which they claim was used to “publicly and brutally insult the honor and dignity” of the said border guard “in the most arbitrary and abusive manner”.

      This reference causes a real doubt, as:

      - the photos that were used were obtained online (specifically from the website of the Ministry of Citizen Protection), and are also used in a multitude of other publications,

      - the photographs were processed by Solomon (to such a degree that the features of the border guard are not distinguishable), to create an artistic composition of the illustration which reflects the various elements of the subject,

      – and above all, a simple reading of the article is enough to make it clear that no mention is made of specific persons.

      In any case, as our purpose is to highlight an alarmingly widespread phenomenon that has also been recorded by a multitude of organisations (eg Human Rights Watch), we will replace the photo in question from our central illustration.

      Therefore, we will defend our work and the belief that it serves the public interest.

      We are at ESYFNE’s disposal for an in-depth interview, and even bring to their attention the recently published interim report of the Greek National Commission for Human Rights (GNCHR).

      The report by GNCHR, an official advisory body of the Greek state, estimates the minimum number of people who were forced back between 2020-2022 at 2,157 persons (without taking into account cases recorded by other organisations, e.g. the High Commission).

      In addition, the report states that in 88% of the cases the victims suffered violence, and in 93% their belongings and money were confiscated.

      In recent years, Solomon has consistently covered migration issues, highlighting human rights violations both on the mainland and on the islands. And we will continue to do so.

      https://wearesolomon.com/mag/our-news/greek-border-guards-call-on-solomon-to-retract-investigation-which-rev
      #pression

  • Verloren in Europas letztem Urwald : Fotos von der polnisch-belarussischen Grenze

    „Der Weg übers Mittelmeer ist gefährlich. Doch die Leute haben gar keine Vorstellung davon, wie gefährlich der Urwald sein kann.“

    An der Grenze zwischen Polen und Belarus liegt der Belowescher Wald, einer der letzten Urwälder Europas. Seit einigen Jahren verstecken sich Flüchtende in diesem Wald vor der Grenzpolizei. Auf dem Weg in die EU durchqueren sie Sümpfe und Flüsse. Sie verirren sich und harren mitunter tagelang im Wald aus. Humanitäre Hilfe hat die polnische Regierung verboten. Trotzdem helfen Freiwillige den Flüchtenden. Die Fotojournalistin Hanna Jarzabek hat sie monatelang begleitet.

    VICE: An der polnischen Grenze zur Ukraine gibt es viel Hilfe für Flüchtende. Menschen aus Deutschland brachten Wasser, Kleidung, Essen und fuhren mit Ukrainerinnen und Ukrainern nach Deutschland. Du hast an einer anderen Grenze Polens recherchiert: die zu Belarus. Warum?
    Hanna Jarzabek: Ich wurde in Polen geboren. Von Anfang an fiel mir auf, wie unterschiedlich die Regierung mit den Flüchtenden aus der Ukraine umgeht und jenen, die Belarus durchqueren. Während es an der ukrainischen Grenze humanitäre Hilfe gibt, müssen Hilfsorganisationen an der belarussischen Grenze ihr Tun geheim halten. Polen wendet dort eine scharfe Einwanderungspolitik an.

    Was bedeutet „scharfe Einwanderungspolitik“?
    Man muss sich klar machen: Aus der Ukraine kamen 1,5 Millionen Menschen nach Polen. Ich finde es großartig, dass sie Hilfe bekommen. Von Belarus kamen etwa 40.000 Menschen. Sie werden auf die belarussische Seite zurückgetrieben und ihre Handys werden zertrümmert. Die polnische Regierung hat dort eine Mauer gebaut.

    Warum wird den einen geholfen und den anderen nicht?
    Ich denke, das hat etwas mit Ethnien, Kultur und religiösem Hintergrund zu tun. Über die belarussische Grenze fliehen Menschen aus afrikanischen Ländern und dem Mittleren Osten.

    Heißt das: Die polnische Regierung handelt rassistisch?
    Ja, das würde ich schon sagen.

    An der Grenze liegt einer der letzten Urwälder Europas: der Belowesche Wald. Du hast viele Monate dort mit Menschen gesprochen und Fotos gemacht. Wem bist du begegnet?
    Ich erinnere mich an eine Frau aus dem Iran. Sie hat an den Demonstrationen für Frauenrechte teilgenommen. Daraufhin hat die iranische Regierung sie auf eine schwarze Liste gesetzt und sie musste fliehen. Eigentlich stünde ihr politisches Asyl zu.

    Das hat sie nicht bekommen?
    Sie wurde von polnischen Grenzbeamten zurück auf die belarussische Seite getrieben. Sie war mit einer Freundin und ihrem Mann unterwegs. Beim zweiten Versuch, nach Polen zu gelangen, schlugen die Beamten die drei Flüchtenden und sprühten mit Tränengas. Die Frau wachte in einem polnischen Krankenhaus auf, aber ihr Mann und ihre Freundin waren weg.

    Wo waren sie?
    Wieder in Belarus. Es dauerte Monate, bis die Frau eine Botschaft an ihren Mann senden konnte und erfuhr, dass er noch lebt.

    Ist sie dann auch zurück nach Belarus gegangen?
    Nein. Als ich mit ihr sprach, hatte jemand sie in Polen bei sich zu Hause aufgenommen. Das ist verboten. Einige machen es trotzdem. Wir haben den Google Übersetzer genutzt, um einander zu verstehen. Ihre Erzählungen waren schlimm. Doch ich erinnere mich vor allem an ihre Augen: Die waren voller Angst.

    Politische Verfolgung ist ein valider Fluchtgrund. Aber wahrscheinlich nicht der einzige, oder?
    Viele fliehen auch vor Krieg oder Armut. Auch das sind meiner Meinung nach sehr nachvollziehbare Gründe. Der Weg übers Mittelmeer ist gefährlich. Doch ich glaube, die Leute haben gar keine Vorstellung davon, wie gefährlich der Urwald sein kann.

    Wie gelangen Menschen vom afrikanischen Kontinent eigentlich nach Belarus?
    Sie fliegen erst nach Russland und dann weiter nach Belarus. Belarus vergibt Visa. Für die Flüchtenden sind diese Visa einfach zu bekommen – und die belarussische Regierung verdient Geld damit. Dann fahren sie von Minsk zur belarussisch-polnischen Grenze und es heißt: Von hier müsst ihr noch zehn Kilometer durch den Wald laufen. Ihr Ziel ist oft gar nicht Polen, sondern Deutschland. Es geht darum, in die Europäische Union zu gelangen und dort einen Asylantrag zu stellen. Doch die polnischen Grenzbeamte halten sie davon ab.

    Wie?
    Die Grenzbeamten fragen gar nicht, ob jemand Asyl beantragen will. Wenn es jemand von sich aus anspricht, ignorieren sie es. Es gibt weder Zeugen, noch Übersetzer. Die Flüchtenden bekommen nie die Chance, einen Antrag zu stellen.

    Sondern?
    Sie werden zurück nach Belarus gedrängt. Die Grenzbeamten trampeln ihre Telefone kaputt. Dann treiben die Beamten die Flüchtenden zurück in den Wald. Ohne GPS ist man dort verloren. Man könnte sagen: Die Grenzpolizei schickt Leute in den Tod.

    Diese Push Backs kennt man vor allem aus dem Mittelmeer.
    An der europäischen Landgrenze passieren sie genauso: Polen schickt Flüchtende nach Belarus und Belarus schickt sie nach Polen. Viele haben mir erzählt, dass sie mehrfach hin und zurück geschickt wurden. Eine Person sagte, sie habe schon 17 Mal die Grenze überqueren müssen. Das verstößt gegen internationales Recht.

    Du sagtest schon, dass Helferinnen und Helfer sich im Geheimen organisieren müssen. Wie machen sie das?
    Ich kann keine Details verraten. Das würde die Helfenden in Gefahr bringen. Nur so viel: Das Rote Kreuz oder andere Organisationen gibt es nicht. Wenn man einen Krankenwagen ruft, kommt auch die Grenzpolizei. Darum gibt es eine Notrufnummer, mit der die Flüchtenden die freiwilligen Helfer erreichen.

    Du bist von August 2022 bis März 2023 mehrmals dorthin gereist. Wie hat sich die Lage verändert?
    Der Winter war schlimm. Einmal bin ich mit zwei Freiwilligen drei Stunden lang durch den Urwald gelaufen. Wir kamen schließlich bei einem syrischen Flüchtenden an, der stark unterkühlt war. Eine Freiwillige war Ärztin. Wir wechselten seine nassen Sachen. Aber es ging ihm immer schlechter. Nach zwei Stunden entschied die Ärztin, einen Krankenwagen zu rufen.

    Obwohl ihr wusstet, dass die Grenzbeamten dann kommen?
    Wir waren nicht sicher, ob er die Nacht überleben würde.

    Und dann?
    Dann warteten wir vier Stunden lang. Es waren minus elf Grad Celsius. Die Rettungsstelle hatte unsere Koordinaten. Als sie endlich ankamen, war kein medizinisches Personal dabei: nur Grenzbeamten und Feuerwehr.

    Kam der Flüchtende trotzdem ins Krankenhaus?
    Sie haben ihn ins Auto gebracht, aber sind nie in ein Krankenhaus gefahren.

    Woher weißt du das?
    Ich war wirklich besorgt und habe ich mich an das Parlament gewandt, um herauszufinden, wo er ist. So ist meine Identität als Fotojournalistin aufgeflogen. Aber ich hatte keine andere Möglichkeit. Immer wenn ich bei der Grenzpolizei anrief, hieß es: Man könne mir nichts sagen – wegen des Datenschutzes.

    Hat er überlebt?
    Ja, die Beamten haben ihn in eine Ausländerunterkunft gebracht.

    Haben dich die Grenzbeamten auch mal aufgegriffen?
    Ja, als ich die Mauer fotografiert habe. Sie steht seit Sommer vergangenen Jahres: 186 Kilometer Stahl und Stacheldraht. Ich kann es gar nicht fassen, dass sich etwa 30 Jahre nach dem Mauerfall wieder eine Mauer durch Europa zieht.

    Hält die Mauer eigentlich Flüchtende auf?
    Nun, sie ist fünfeinhalb Meter hoch und hat eine Krone aus Stacheldraht. Aber die Leute klettern trotzdem drüber. Auf der polnischen Seite fallen sie runter, brechen sich Beine und Füße. Polen hat sich damit mehr Kosten geschaffen. Denn die Menschen müssen ins Krankenhaus.

    Hast du auch Geschichten mit gutem Ende erlebt?
    Ich habe von Menschen gehört, die an sicheren Orten sind. Von Menschen, die es nach Deutschland geschafft haben. Von Menschen, die ihre Verwandten in der EU wiedergefunden haben.

    https://www.vice.com/de/article/xgwwe3/verloren-in-europas-letztem-urwald-fotos-von-der-polnisch-belarussischen-grenz
    #forêt #Pologne #Biélorussie #migrations #réfugiés #asile #frontières #push-backs #refoulements #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #photographie #murs #barrières_frontalières #GPS #téléphones_portables #smartphone #Bohoniki #cimetière

    voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/948199

  • #Vidéo sur l’#externalisation des #politiques_migratoires européennes

    Migreurop documente depuis sa création l’externalisation des politiques migratoires européennes. Ces politiques d’externalisation ont pour objectif de tenir les exilé·e·s au plus loin de l’espace européen en sous-traitant la gestion des mouvements migratoires aux pays dits « tiers » (d’origine ou de transit), quelles qu’en soient les conséquences sur les droits des personnes migrantes. Par le biais d’un #marchandage, l’UE et ses États membres se déchargent ainsi sur des pays non-membres des obligations qui leur incombent en vertu des conventions internationales qu’ils ont ratifiées.

    L’externalisation fonctionne selon quatre principes :

    - #Délocalisation : Les pays européens délocalisent le #contrôle_frontalier et exportent leurs politiques migratoires répressives dans des États dits « tiers » qui ne sont pas soumis aux mêmes lois et obligations en matière de respect des droits des personnes. Ils déplacent ainsi de fait les frontières européennes au-delà du territoire européen.

    - #Sous-traitance : L’UE délègue le contrôle migratoire à des États non-membres, transformés en garde-frontières d’une Union européenne qu’ils aspirent à rejoindre (comme les pays des Balkans) ou dont ils sont en partie dépendants (comme le Maroc, le Niger ou la Turquie).

    #Privatisation : Les États délèguent également de nombreuses prérogatives à des acteurs privés, comme les #compagnies_aériennes qui deviennent elles aussi garde-frontières, tandis que les demandes de #visas sont gérées par des sociétés privées, tout comme la #sécurité dans les camps d’exilés.

    - #Déresponsabilisation : En externalisant leurs politiques migratoires dans des pays non-signataires des principaux textes internationaux de protection des personnes migrant·e·s et réfugié·e·s, l’UE et les États européens contournent le droit. Ils cherchent à invisibiliser les violations des droits des personnes migrantes et fuient leurs #responsabilités.

    L’externalisation bafoue en toute impunité les droits des personnes exilées et met leurs vies en péril. Elle n’empêche pas les migrations, mais les rend plus dangereuses. Stop à l’externalisation et à l’#impunité des États !

    https://vimeo.com/838312263

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #externalisation_des_frontières #droits_humains #refoulements #principe_de_non-refoulement #marchandage #droits_fondamentaux #responsabilité #ressources_pédagogiques

  • Who profits from brutal and muderous Pushbacks?

    The podcast is in English

    Anlässlich des World Refugee Days am 20. Juni hört ihr einen Podcast von unserem Kooperationsradio Radio Mytilini auf Lesvos. Es geht um die brutalen und mörderischen Pushbacks an den Außengrenzen der EU und wer davon finanziell profitiert. Die Menschen die solche Pushbacks durchführen werden dafür bezahlt, wo das Geld herkommt erfahrt ihr in dieser Sendung.

    https://de.cba.fro.at/624115
    #asile #migrations #réfugiés #push-backs #refoulements #frontières #profit #Grèce #responsabilité #mer_Egée #Evros #frontières_terrestres #frontières_maritimes #violence #complexe_militaro-industriel #integrated_border_management_fund #technologie #Thales #Frontex #european_peace_facility #visa #industrie_militaire #consultants #McKinzie #accord_UE-Turquie

    #podcast #audio

    ping @_kg_ @kaparia

  • La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • UK provided £3m to Turkish border forces to stop migrants, FOI reveals

    Investigation shows Home Office funds ‘return and reintegration assistance’ and provides equipment and training to Turkish police

    The Home Office has provided more than £3m in funding to Turkish border forces in the last year to prevent migrants reaching the UK, an investigation for the Guardian has found.

    Funding to Turkey’s border force operations has increased substantially from 2019, when £14,000 was given to Turkish police and coastguard for maritime border security training, according to documents obtained through freedom of information (FOI) requests. That figure rose to £425,000 in 2021-22 for training and equipment and up to £3m this year for “return and reintegration assistance”, training and personnel.

    The funding was diverted from the official development assistance (ODA) budget and delivered through Home Office International Operations, part of the department’s Intelligence Directorate.

    In addition to funding, the Home Office has also supplied Turkish border forces, including the National Police and the coastguard, with equipment and training. In June 2022, nine vehicles were handed over by the UK’s deputy high commissioner to the Turkish National Police on the border with Iran.

    Last year Turkey said it “turned back” 238,448 migrants at its eastern border with Iran. Video evidence seen by the Guardian shows cases of extreme violence and force used against Afghan migrants attempting to cross the border into Turkey. This includes the authorities firing live bullet rounds as people flee, including at the feet of children; beatings using rifle butts; robberies; humiliation tactics and pushing people back to the other side of the border.

    Mahmut Kaçan, a Turkish lawyer working on asylum and human rights abuses, said the deaths and pushbacks on the border began escalating two years ago. “The UNHCR never criticises or mentions what Turkey is doing at the border. They are complicit in the deaths of these people, as are the EU and other countries that are giving money to Turkey for border security.”

    A source with knowledge of the Home Office International Operations team said Turkey had become “a country of emerging importance [to the UK government] in the last two to three years and is now seen as strategically crucial to border securitisation”.

    “We offer our expertise and provide officials [locally] with evidence, showing the routes we think illegal migrants or gangs are operating along,” the source said. “It’ll probably be along the lines of: ‘This is a route smugglers and illegal migrants use to get to the UK, we need to do more to stop it.’ The Turkish government will then respond by saying: ‘This is what we need to be able to do that’, and then we fund it, basically.”

    The source added: “We don’t tend to hold local forces to account with any targets but certainly if we say: ‘We need to bolster X area of border security’, Turkey might respond by saying they need Y in order to boost border officer numbers and we’ll help them to do that.”

    Another source familiar with the work of the Home Office International Operations unit said: “Us paying for stuff like that builds our soft power credentials in other areas, such as possible returns agreements. It’s like a mini FCDO [Foreign, Commonwealth and Development Office] inside the Home Office.”

    Sources added that Home Office operations overseas involved intelligence gathering through interviews with migrants who had arrived in the UK. Information from those interviews is then passed on to border forces locally to “put an operational plan in place to stop it”.

    Documents obtained through an FOI request also show that the Home Office has increased the number of its staff deployed to work at post, with sources from the FCDO saying Home Office staff now outnumbers diplomats working in Turkey.

    “The Home Office is seen by international partners as quite hostile, quite adversarial,” said a senior government source with knowledge of the department’s operations in Turkey. “The FCDO, on the other hand, is viewed as relatively collegiate and collaborative. In this context, there are obvious tensions in the approach and the culture among staff.”

    The department’s 2025 Border Strategy states that one of its key priorities is to “improve our use of upstream illegal migration countermeasures to prevent irregular entry into the UK”.

    It also stipulates the department will “prevent entry into the UK through improved border security and through work with source and transit countries to support them in addressing irregular migration challenges within their region”.

    Mary Atkinson, campaigns and networks manager at JCWI, said: “This government has shown that it will break international law to prevent people from exercising the fundamental human right to seek safety.

    “Whether on the border between Turkey and Iran, or those of France or Belgium, this government is covertly funding others to do its dirty work, while at the same time ramping up its xenophobic rhetoric against the few that do finally make it here.”

    In response to the findings of the investigation, a spokesperson for the Home Office said: “Like many other European states, the UK works tirelessly at home and abroad on a range of priorities, including tackling illegal immigration, drug trafficking, and modern slavery. This includes mutually beneficial close working with our operational counterparts in a range of partner countries, like Turkey, to tackle these and wider socially damaging issues.”

    https://www.theguardian.com/politics/2023/jun/07/uk-provided-3m-to-turkish-border-forces-to-stop-migrants-foi-reveals

    #externalisation #contrôles_frontaliers #UK #Angleterre #Turquie #asile #migrations #réfugiés #frontières #renvois #réintégration #financement #aide_financière #militarisation_des_frontières #aide_au_développement #développement #coopération_au_développement #refoulements #push-backs #complexe_militaro-industriel #2025 _Border_Strategy #Home_Office

  • Frontex mette a bando un servizio di traghetti per riportare i migranti in Turchia

    A metà maggio l’Agenzia europea ha indetto una gara da due milioni di euro per un servizio di “trasferimento” via mare dalla Grecia di minimo 100 persone alla volta in forza del patto tra Ue e Turchia del 2016. Una fase inedita che segna l’avvio di respingimenti alla luce del sole e ignora le gravi e documentate violazioni dei diritti

    A metà maggio di quest’anno l’Agenzia europea Frontex ha pubblicato un bando dal valore di due milioni di euro per organizzare il trasferimento di “passeggeri via mare”, almeno 100 per volta, dall’isola greca di Lesbo alla località di Dikili, sulle coste turche. La documentazione di gara consultata da Altreconomia segna l’inizio di una nuova fase alla luce del sole per la “strategia” di respingimento dei migranti verso la Turchia, a pochi giorni dalla rielezione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e dagli inquietanti video pubblicati dal New York Times sulle brutali modalità di respingimento della Guardia costiera greca.

    È in questo contesto dunque che Frontex è pronta a prendere direttamente in mano la questione, assumendo un ruolo centrale nell’ambito del cosiddetto accordo Ue-Turchia del marzo 2016 sotto il quale “formalmente” dovrebbe rientrare questa nuova attività. “L’Agenzia avrà il monopolio della gestione di queste operazioni assumendo un ruolo che, in questi termini, non ha mai avuto in passato”, spiega Martina Tazzioli, ricercatrice al Goldsmiths College di Londra.

    Le operazioni sono parte del meccanismo “1:1” previsto dall’intesa da sei miliardi di euro annunciata tra le istituzioni comunitarie (Consiglio europeo) e il governo di Ankara nel marzo 2016. Con l’obiettivo dichiarato di scoraggiare le persone ad affidarsi ai trafficanti, lo schema prevedeva che per ogni migrante giunto “irregolarmente” in Grecia e perciò respinto in Turchia, un altro sarebbe dovuto essere ricollocato tramite vie legali in un Paese europeo.

    In realtà non è mai stato implementato in modo significativo: dal 2016 al 2022 sarebbero stati respinti “ufficialmente” indietro, dati dell’International rescue committee, 2.140 rifugiati mentre i reinsediati dal territorio turco verso l’Ue ammonterebbero a 36.763, tutti siriani (fonte è il ministero dell’Intero turco). La “sostanza” di quell’accordo era però quella di bloccare le partenze e, soprattutto, puntare tutto sui respingimenti informali: secondo la Ong Agean boat report, dal 2017 al giugno 2023 più di 284mila persone sarebbero state fermate dalla guardia costiera turca e 60mila respinte da quella greca.

    E la citata inchiesta del New York Times di fine maggio ha ricostruito, con tanto di video in alta definizione, le procedure di respingimento messe in atto dalle autorità di Atene che, dopo aver prelevato a forza i naufraghi arrivati sul territorio, li riportano in mare su assetti della Guardia costiera per poi abbandonarli al largo delle coste turche su “barche di fortuna” per l’ultimo tratto. Una procedura definita “assolutamente inaccettabile” da parte della commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson che però in tutta risposta, attraverso Frontex, investe sui nuovi respingimenti alla luce del sole rispolverando lo zoppicante meccanismo del patto Ue-Turchia.

    “Questi ricollocamenti sono stati sospesi nel marzo 2020 prima con la giustificazione della diffusione del Covid-19 poi perché il presidente Erdoğan ha smesso di accettare i ‘respinti’ di fronte al rifiuto delle istituzioni europee di fornire ulteriori finanziamenti -ricorda Tazzioli-. Evidentemente Frontex ha annunciato che presto queste operazioni riprenderanno”.

    L’appalto da due milioni di euro prevede la fornitura di traghetti che devono garantire “la capacità di imbarcare un minimo di cento passeggeri in aree chiuse [a cui si aggiungono] i ponti aperti e sedili al di fuori delle aree chiuse”. Deve essere prevista la possibilità di “limitare l’accesso al ponte esterno della nave” e i sedili dei “passeggeri” devono essere “singoli, fissi (senza panche) e disposti in file”. I bagni, inoltre, devono essere accessibili direttamente dall’area dei passeggeri senza la necessità di attraversare l’area “aperta”. Almeno uno dei traghetti messi a disposizione deve essere “interamente riservato al personale di Frontex”. Sulla nave deve essere poi garantito un servizio catering per tutti i “passeggeri di Frontex”: nello specifico “due panini confezionati senza carne di maiale: vegetariani o halal”, come se fossero “scontate” le nazionalità dei passeggeri, e soft drinks. Inoltre si sottolinea che è necessaria la presenza di un medico che deve disporre di un “kit di rianimazione di base comprendente farmaci di uso comune”. L’Agenzia sottolinea però che “il servizio medico può non essere richiesto in tutti i trasferimenti”. La stessa tipologia di traghetto utilizzata per i trasferimenti deve essere infine messa a disposizione di Frontex nel porto di Mitilene, a Lesbo, per “permettere all’Agenzia di svolgere esercitazioni per gli ufficiali di scorta al fine di prepararli alle operazioni di ritorno in uno scenario di ‘vita reale’”. Queste esercitazioni dureranno fino a due giorni.

    L’Agenzia stima due servizi di trasporto andata e ritorno al mese e un’esercitazione. Ma queste indicazioni “non sono vincolanti” e possono variare durante i due anni di contratto, rinnovabili per un periodo di 12 mesi e per un massimo di due volte. Appena cinque righe vengono dedicate nel bando al “contesto in cui si rende necessario il servizio” e che quindi giustifica la possibilità di svolgere questi “trasferimenti”. Viene specificato come detto che si tratta di operazioni che avvengono sotto il cappello del mai stipulato accordo Ue-Turchia e che “più informazioni sulla dichiarazione congiunta Ue-Turchia e sul piano per porre fine all’immigrazione irregolare sono disponibili nel comunicato stampa siglato il 18 marzo 2016”.

    Viene citato un “comunicato stampa” perché giuridicamente non è stato firmato nulla di vincolante: come ricordato da Chiara Favilli, professoressa di Diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, è il “paradosso di un accordo che viene definito dichiarazione e sul piano materiale svanisce impedendo che sia contestato sul piano giuridico”. Quello che non c’è nella nota stampa, invece, sono i Paesi di provenienza che nel frattempo sono stati aggiunti tra coloro che vengono ricollocati in forza di quell’accordo: Afghanistan, Siria, Somalia, Bangladesh e Pakistan. “Le persone di queste nazionalità che arrivano in Grecia vivono di fatto in un limbo: la loro richiesta d’asilo viene dichiarata inammissibile ma dal marzo 2020 non venivano neanche riportati sulle coste turche. Una sorta di elefante nella stanza per le autorità greche che non sapevano cosa fare con queste persone”. Ora l’indirizzo dato sembra essere chiaro.

    Il modus operandi è sintetizzato al settimo punto del capitolato. Sono infatti previste condizioni molto rigide per il contraente che deve seguire “prontamente e diligentemente le istruzioni di Frontex e delle autorità greche”, “applicare discrezione e riservatezza in relazione all’attività” con l’impossibilità di “documentare o condividere informazioni sull’attività con mezzi quali foto, video, commenti o condivisioni sui social media” e non può consentire “la presenza a bordo di passeggeri che non siano partecipanti alle attività non espressamente autorizzati da Frontex”.

    Il neo direttore esecutivo Hans Leijtens, che si è insediato all’inizio di aprile di quest’anno, sembra così seguire la via tracciata dal suo predecessore, Fabrice Leggeri. A nulla vale il fatto che il 9 marzo di quest’anno l’Agenzia per la prima volta sia stata costretta a comparire dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea: il caso promosso dall’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia su un volo gestito proprio da Frontex sempre nell’ambito dell’accordo Ue-Turchia.

    La stessa “dinamica” che si vorrebbe replicare per mezzo dei traghetti: l’Agenzia, in altri termini, non si fa problemi nel non attendere l’esito di un procedimento che ha come oggetto proprio la stessa attività che verrebbe riproposta con i ferry. Altreconomia ha domandato a Frontex, a seguito dell’inchiesta del New York Times, quali azioni intenda intraprendere in merito alle pratiche della polizia di frontiera greca chiedendo espressamente se sia in discussione l’attivazione dell’articolo 46 del regolamento dell’Agenzia che prevede il ritiro degli agenti da un Paese qualora non vengano rispettati i diritti umani durante le operazioni di “controllo” dei confini. Nessuna risposta anche se il nuovo bando per traghettare centinaia di persone verso la Turchia parla da sé.

    Le offerte per aggiudicarsi la commessa devono giungere a Frontex entro il 29 giugno, il 30 verranno aperte le buste per aggiudicare la gara e assegnare il servizio. I contraenti così come l’affidatario (cioè l’Agenzia) devono garantire che “si comporteranno in conformità con l’ordine pubblico, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Una clausola che sa di farsa.

    https://altreconomia.it/frontex-mette-a-bando-un-servizio-di-traghetti-per-riportare-i-migranti

    #Grèce #Turquie #refoulements #push-backs #asile #migrations #réfugiés #Frontex #Dikili #Lesbos #accord_UE-Turquie #ferry #limbe

  • Seeking asylum and work, migrants bused out of NYC find hostility | AP News
    https://apnews.com/article/immigration-new-york-asylum-shelters-hotels-3cc5949b12d5c0d155a94230f2eaebab
    https://storage.googleapis.com/afs-prod/media/b9c311b95a644bc8b27557e73d64d124/3000.webp

    Seeking asylum and work, migrants bused out of NYC find hostility
    by JAKE OFFENHARTZan hour ago
    Mohamed, a 19-year-old fleeing political persecution in the northwest African country of Mauritania, poses for a photo that obscures his face to protect his identity, outside the Crossroads Hotel, before heading into town for a work opportunity, Monday, May 22, 2023, in Newburgh, N.Y. Mohamed is one of about 400 international migrants the city has been putting up in a small number of hotels in other parts of the state this month to relieve pressure on its overtaxed homeless shelter system. (AP Photo/John Minchillo)
    NEWBURGH, N.Y. (AP) — Before he left Mauritania, the West African nation of his birth, Mohamed thought of New York as a place of “open arms,” a refuge for immigrants fleeing dire circumstances.Now that he’s here, seeking political asylum from a government he feared would kill him, he doesn’t feel welcome. The 19-year-old has become a pawn in an escalating stand-off between New York City and suburban and upstate communities, which are using lawsuits, emergency orders and political pressure to keep people like him out. Mohamed is one of about 400 international migrants the city has been putting up in a small number of hotels in other parts of the state this month to relieve pressure on its overtaxed homeless shelter system.
    Some of the relocated asylum seekers say they now regret leaving the city, pointing to a lack of job opportunities and resources to pursue their asylum cases, as well as a hostile reception.
    The Associated Press is withholding Mohamed’s full name at his request to protect the safety of his family in Mauritania. In his home country, Mohamed said he had joined a group of young people to decry the government’s corruption and human rights abuses, including allegations of ongoing slavery. Days later, he said a group of men threw him in an unmarked car, took him to a secret room, and beat him viciously for two days.After a journey that took him across the U.S. border with Mexico, he landed in a shelter system in New York City he found frightening and overcrowded. In one Brooklyn shelter, a room with 40 beds, someone stole his few remaining possessions as he slept.So when outreach workers offered him the chance to relocate earlier this month, promising more space and chances to work, Mohamed took it. He joined other asylum seekers at two hotels a few miles outside the small Hudson River Valley city of Newburgh, about two hours north of the city.
    Republican county officials there have accused the city of dumping its problems on its neighbors, while insinuating that the new arrivals pose a danger.
    Last week, Orange County Executive Steven Neuhaus won a temporary restraining order barring the city from sending additional migrants. More than two dozen other counties across New York state have declared emergencies in an attempt to block migrant arrivals, even in places where none are planned.As far as 400 miles (644 kilometers) north of the city, Niagara County officials have warned of an imminent safety threat, vowing criminal penalties for hotels found to be housing asylum seekers.
    New York City Mayor Eric Adams, a Democrat, says he will continue his efforts to disperse some of the more than 40,000 asylum seekers currently in the city’s care.Meanwhile, some who joined the initial wave of relocations have since returned to New York City’s shelter system. Those who don’t have money for transportation, such as Mohamed, say they are stuck.
    “It’s like the desert,” lamented Mohamed, who studied law and taught himself English in Mauritania. “There’s nothing here for us.”
    Some asylum seekers described a sense of being lured upstate on false pretenses, saying outreach workers described local economies in need of off-the-books migrant labor. Instead they have suffered a stream of harassment.“There are people driving by pretty constantly in big pickup trucks telling them to go back to their country,” said Amy Belsher, an attorney for the New York Civil Liberties Union, describing a phenomenon also witnessed by an AP journalist.“It’s a completely predictable outcome of the local county executives jumping on the migrant ban bandwagon,” she added. The NYCLU has brought a lawsuit against Orange and Rockland counties alleging discrimination against migrants. An attorney for Orange County, Richard Golden, said it was “utterly ridiculous” to accuse the county of fostering xenophobia. The county’s lawsuit against the city, he said, rests on a 2006 state administrative directive requiring municipalities to meet certain requirements before transferring homeless individuals.
    Misinformation among local residents has not helped, including a false allegation that migrants displaced homeless veterans inside the hotels — a widely-circulated story that has fallen apart.Peruvian Jhonny Neira offered a more mixed assessment of his time in Newburgh. The 39-year-old asylum seeker described a recent Sunday visit to a church where he felt welcomed by the congregation, even if he couldn’t understand the English sermon.
    “I’m a respectful, hard-working person,” he said in Spanish. “I think after getting to know me, they would trust me.” The number of U.S.-Mexico border crossings has declined since May 11, when the Biden administration put new rules in place intended to encourage migrants to apply for asylum online rather than enter the country illegally. But New York and other migrant destination cities are still dealing with thousands of people who entered the U.S. before the new rules.The Crossroads Hotel in Newburgh is now home to men from South and Central America, Senegal, Egypt, Mauritania, and Russia. They speak in French and English and Spanish, as they kick a soccer ball in the hotel parking lot, beside a diner and a tangle of highways. A few yards away, a man who once worked as a barber in Venezuela offers haircuts for $5, as another sweeps up.In order to gain asylum in the United States, they will have to prove they have a “well-founded fear of persecution” over their race, religion, nationality, political opinion or membership in a particular social group.
    Mohamed’s experience tracks with a report by the U.S. State Department, which found Mauritania has overseen an expanded crackdown on political dissidents since 2021 and cites allegations of torture in unofficial detention centers.If his story passes a credibility check, it would likely constitute a legitimate asylum claim, according to Jaya Ramji-Nogales, an asylum law professor at Temple University. But getting to that stage will require navigating an immigration system under severe strain.“It was always an under-resourced system but now it’s really at a breaking point,” Ramji-Nogales said. “There’s not the political will to put aside the money it needs to function.”Mohamed said his goal is building his asylum case — something he’s come to believe is not possible in Newburgh. A few days ago, he missed a key immigration appointment after a car that was supposed to take him to the city never showed up. “You can’t stay here just sleeping, eating, after that going back to sleeping,” he said. “If you make no progress in your case, they will send you back home. For me, that would be very bad.”

    #Covid-19#migrant#migration#etatsunis#mexique#afrique#immigration#asile#politiquemigratoire#frontiere#refoulement#newyork

  • Comment la #France verrouille son #passé_colonial

    La polémique en France sur la notion de #crime_contre_l'humanité du temps de la #colonisation rappelle les vifs débats causés dans ce même pays il y a plus de dix ans par l’adoption de la loi du 23 février 2005 qui ne retenait que le « rôle positif de la présence française outre-mer ». L’« #affaire_Macron » met en exergue le profond malaise lié au passé colonial de la France, souligne la professeure de droit Sévane Garibian.

    Quoi que l’on pense des propos récents d’#Emmanuel_Macron sur la #colonisation_française, il est utile d’observer leurs effets en recourant à une temporalité plus longue, dépassant le court terme médiatico-politique. La #polémique née il y a quelques jours en France rappelle, en symétrie inversée, les vifs débats causés dans ce même pays il y a plus de dix ans par l’adoption de la loi du 23 février 2005 qui ne retenait que le « #rôle_positif de la présence française outre-mer ». La disposition litigieuse (finalement abrogée par décret en 2006), tout comme les rebondissements et double discours dans ladite « affaire Macron », auront eu pour mérite de mettre en acte le profond #malaise lié au passé colonial de la France.

    Ce trouble s’est régulièrement nourri de résistances dont nous trouvons de multiples traces dans le champ du #droit, grand absent des commentaires de ces derniers jours. Abordons donc cette polémique de biais : par ce qu’elle ne dit pas, par ce qu’elle occulte. Rappelons ainsi que la Cour de cassation française eut l’occasion de produire une jurisprudence relative aux #crimes commis en #Algérie (#affaires_Lakhdar-Toumi_et_Yacoub, 1988) ainsi qu’en #Indochine (#affaire_Boudarel, 1993). Une #jurisprudence méconnue, ou tombée dans l’oubli, qui soulevait pourtant directement la question de la qualification ou non de crime contre l’humanité pour ces actes.

    Les précédents

    Plusieurs historiens ont pu souligner dernièrement la distinction entre les usages juridiques, historiques et moraux du concept de crime contre l’humanité, tout en rappelant que ce dernier ne peut se trouver, aujourd’hui en France, au cœur de #poursuites_pénales visant les #crimes_coloniaux. Quelle est donc l’histoire du droit menant à un tel constat ? Afin de mieux comprendre ce dont il s’agit, il est possible d’ajouter deux distinctions à la première.

    D’abord, une distinction entre le problème de la #qualification de crime contre l’humanité (qui renvoie à la question complexe de la #définition de ce crime en #droit_français), et celui de l’#amnistie prévue, pour les crimes visés, par des lois de 1966 et 1968. Ces deux points fondent les justifications discutables du refus de poursuivre par la #Cour_de_cassation dans les affaires précitées ; mais seul le premier constituait déjà le réel enjeu. En l’état du droit, et contrairement à ce qu’affirmaient alors les juges de cassation, la qualification de crime contre l’humanité aurait en effet pu permettre, au-delà du symbole, de constater une #imprescriptibilité (inexistante en France pour les crimes de guerre) défiant l’amnistie.

    Plus tard, la Cour de cassation admettra d’ailleurs en creux le caractère « inamnistiable » des crimes contre l’humanité, non reconnus en l’espèce, dans l’affaire de la manifestation du 17 octobre 1961, en 2000, puis dans l’#affaire_Aussaresses en 2003 – toutes deux en relation avec les « évènements d’Algérie ». Entre les deux, elle confirmera dans l’#affaire_Ely_Ould_Dah (2002) la poursuite, en France, d’un officier de l’armée mauritanienne pour des faits de #torture et des actes de #barbarie amnistiés dans son propre pays : il semble manifestement plus aisé d’adopter une attitude claire et exigeante à l’encontre de lois d’amnistie étrangères.

    Volonté de verrouillage

    En outre, et c’est là que se niche la seconde distinction, une analyse plus poussée du raisonnement de la Cour dans les affaires Lakhdar-Toumi, Yacoub et Boudarel met en lumière une volonté des juges de verrouiller toute possibilité de traitement des crimes coloniaux. Il importe donc de distinguer ici les questions de droit et les politiques juridiques qui sont à l’œuvre. L’historienne Sylvie Thénault écrivait récemment que « toute #définition_juridique est le résultat d’une construction par des juristes et d’une évolution de la jurisprudence » (Le Monde du 16 février). Or il n’existait à l’époque des affaires précitées que des définitions jurisprudentielles, plus (#affaire_Barbie) ou moins (#affaire_Touvier) larges du crime contre l’humanité en France, lequel ne fera son apparition dans le Code pénal qu’en 1994.

    A y regarder de plus près, on comprend que les juges de cassation rejettent la qualification de crime contre l’humanité pour les crimes coloniaux à plusieurs reprises, en choisissant de s’appuyer exclusivement sur la #jurisprudence_Touvier. Celle-ci limite, à l’inverse de la #jurisprudence_Barbie, la définition du crime contre l’humanité aux crimes nazis commis « pour le compte d’un pays européen de l’Axe ». Si la jurisprudence Touvier permit en son temps d’esquiver habilement le problème de la #responsabilité de la France de Vichy, elle bloquera aussi, par ricochet, toute possibilité de répression des crimes perpétrés par des Français pour le compte de la France, jusqu’en 1994.

    Le verrouillage est efficace. Et le #refoulement créé par cette configuration juridique, souvent ignorée, est à la mesure du trouble que suscitent encore aujourd’hui les faits historiques survenus dans le contexte de la #décolonisation. Plus généralement, l’ensemble illustre les multiples formes d’usages politiques de l’histoire, comme du droit.

    https://www.letemps.ch/opinions/france-verrouille-passe-colonial

    ping @cede @karine4

  • A la frontière mexicaine, la fin du « Titre 42 » plonge les Etats-Unis dans l’incertitude migratoire – Libération
    https://www.liberation.fr/international/amerique/a-la-frontiere-mexicaine-la-fin-du-titre-42-plonge-les-etats-unis-dans-li
    https://www.liberation.fr/resizer/XwtbP5skmloajZSp5HKsgvrsekk=/1200x630/filters:format(jpg):quality(70)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/liberation/23RJMDPHORAV5EQ2JE2NDZZQZY.jpg

    migration
    A la frontière mexicaine, la fin du « Titre 42 » plonge les Etats-Unis dans l’incertitude migratoire
    Dans la nuit du 11 au 12 mai, le « Titre 42 » sera enfin levé. Pendant trois ans, cette disposition a permis d’expulser des centaines de milliers de personnes venues d’Amérique latine, de manière automatique. L’administration Biden se prépare à une arrivée massive de migrants.
    publié le 11 mai 2023 à 10h52
    « Nos frontières s’effondreront complètement. Nous serons, officiellement, une NATION DU TIERS-MONDE ! », s’est emporté, vendredi, l’ancien président des Etats-Unis Donald Trump sur son réseau Truth Social. Une réaction à peine exagérée du milliardaire à la fin du « Titre 42 » prévue pour ce jeudi 11 mai à 23 h 59 (heure de Washington, D.C.). Ce dispositif, lié à la « déclaration d’urgence sanitaire » décrétée en mars 2020 pour faire face à la pandémie de Covid-19, permettait de refouler immédiatement du territoire américain les migrants dépourvus de visa ainsi que les demandeurs d’asile, sans traiter leurs cas et sans possibilité de recours.

    #Covid-19#migration#migrant#etatsunis#titre42#immigration#asile#politiquemigratoire#refoulement#postcovid

  • France sending unaccompanied minors back to Italy, MSF

    France is pushing back even unaccompanied minor migrants at the Italian border at Ventimiglia, the head of the Doctors Without Borders (MSF) mobile clinic assisting migrants in transit between the two countries told ANSA in an interview. This kind of pushback is a violation of regulations in place, Sergio Di Dato noted.

    In recent days, even unaccompanied minors are among the foreigners pushed back to the Italian border town of Ventimiglia by French gendarme, ANSA was told in an interview last week with Sergio Di Dato, the head of the Doctors Without Borders (MSF) mobile clinic assisting migrants in transit between Italy and France.

    French authorities, Di Dato said, “are no longer able to absorb unaccompanied minors into their reception system and so have started to send them back to Italy, something they should not do according to the regulations in place. ... They are obliged to take care of them.”
    Pushbacks may rise after 150 more police sent to borders

    “On average,” MSF’s Di Dato , “there are 20-25 pushbacks of people from France to Italy every day. There is concern that this number may rise after 150 additional border police were sent to the borders.”

    The activities of the mobile clinic were started in the second half of February and, Di Dato said, “unlike in the past, when in the winter months there was a slowdown in pushbacks at the Menton border by the French police, this year a steady stream has been seen.”

    Di Dato underscored that there had been a “reduction at the same time as protests against pension reform, which probably led to a drop in the number of police deployed for border control.However, afterwards the number returned to about 20-25 [pushbacks] per day.”

    The MSF mobile clinic provides assistance to those pushed back from Menton with a “refusal of entry” document and transferred to containers while waiting to be handed over to the Italian police.

    The vulnerable face risks and deprivation

    “Some have told us that they were left without water for several hours. It also happened that young girls are left in containers alone with several men. These are situations that can be difficult,” Di Dato said, adding that the situation is complicated “also in Ventimiglia, where some of the migrants pushed back — women, children and the vulnerable — are taken care of by associations focusing on these things, while others end up under the Roia Bridge in camps without washing facilities and amid rats.”

    The crackdown by French authorities has now raised concern among humanitarian aid workers in the Italian-French border area.

    “If the unaccompanied minors are sent back systematically and in an arbitrary manner, there is the issue of how to protect these individuals - who are the weakest - in an effective manner, especially since [migrant] facilities in Italy are full,” Di Dato said.

    https://www.infomigrants.net/en/post/48774/france-sending-unaccompanied-minors-back-to-italy-msf
    #refoulements #push-backs #mineurs #MNA #France #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #migrations #réfugiés #France #asile #Italie #Vintimille #Alpes_Maritimes #refus_d'entrée

    –—

    Sur l’annonce du renforcement des contrôles frontaliers dans les Alpes Maritimes :

    Immigration : 150 policiers et gendarmes supplémentaires dès la semaine prochaine à la frontière de #Menton

    https://seenthis.net/messages/1002209#message1002211

    • Migrants : des associations dénoncent les « traitements inadmissibles » des mineurs dans les Alpes-Maritimes

      Une dizaine d’associations co-signent un communiqué ce samedi pour dénoncer « les refoulements, enfermement, et l’absence de prise en charge » des mineurs non-accompagnés à Menton et Nice. Selon elles, la situation se dégrade dans les Alpes-Maritimes.

      Alors que le président du Département des Alpes-Maritimes écrit au gouvernement pour demander des mesures « face à une situation migratoire explosive » à la frontière franco-italienne, les associations dénoncent une dégradation de la situation. Plus de quinze associations co-signent un communiqué ce samedi, pour pointer du doigt les « enfermements, refoulements illégaux et absences de prises en charge » des mineurs non-accompagnés, en particulier à Nice et Menton.

      Selon les signataires, dont Roya citoyenne, et le Secours catholique, de « nombreux·ses jeunes subissent des traitements inadmissibles ». Ces associations demandent « la prise en charge effective de tous les Mineur·es Non Accompagné·es, l’arrêt immédiat des refoulements en Italie sans évaluation préalable et réglementaire par l’ASE, et l’arrêt des enfermements abusifs au poste frontière (...) le respect intégral de la convention internationale des droits de l’enfant dans le département des Alpes-Maritimes ».
      À Menton, « 68 mineurs enfermés » dans les locaux de la PAF

      Selon le communique de presse interassociatif, à Menton "de nombreux·ses jeunes se déclarant mineur·es sont refoulé·es en Italie de façon totalement illégale alors qu’ils et elles doivent être admis·es systématiquement et sans délai sur le territoire français. C’est à l’Aide Sociale à l’Enfance (ASE), service du Département 06, de procéder ensuite à leur évaluation de minorité, et non aux forces de l’ordre. Or ces jeunes sont refoulé·es par la police sans évaluation préalable par l’ASE. De nombreux témoignages font état de fausses dates de naissance enregistrées par les policiers pour justifier ces refoulements. De plus, des mineur·es sont refoulé·es avec une obligation de quitter le territoire français et une interdiction de retour sur le territoire français sans être informé·es de leurs droits, ce qui rend toute contestation très difficile et constitue une atteinte grave à leurs droits.

      « Comme en avril dernier, des mineur·es sont enfermé·es dans les locaux de la police aux frontières (PAF) dans l’attente que le Département 06 vienne les chercher, poursuit le communiqué. 68 mineur·es étaient enfermé·s ce lundi 21 août, dans des locaux totalement inadaptés et dans des conditions sanitaires déplorables : en pleine canicule, entassé·es, dormant à même le sol avec uniquement un lavabo et un WC. Ils et elles étaient jusqu’à 78 le 23 août ! Plusieur·es mineur·es ont été privé·es de liberté durant 3 à 5 jours ce qui constitue une violation manifeste de la convention internationale des droits de l’enfant, dont la France est signataire. »

      « Actuellement de nombreux·ses jeunes seraient encore détenu·es en toute illégalité dans les locaux de la PAF, sans avoir accès ni à un·e avocat·e, ni à un·e traducteur·ice. D’autres sont évacué·es et livré·es à eux·elles-mêmes, sans aucune prise en charge », conclut le communiqué.
      À Nice, les associations pointent du doigt le « traitement des mineurs non accompagnés par les forces de l’ordre »

      À Nice, les associations parlent de mineurs "contraint·es de se rendre au Commissariat Auvare pour demander la protection de l’ASE. Les temps d’attente pour certain·es jeunes au service du « Quart » d’Auvare se sont prolongés jusqu’à 25h sans manger, avant qu’un·e éducateur·ice ne vienne les chercher. Désormais, le commissariat ne laisse même plus entrer les mineur·es : sous prétexte d’être saturé et de ne pouvoir ouvrir de nouveaux locaux, les jeunes sont priés d’attendre dans le jardin public voisin, et de revenir le soir ou le lendemain. Le 23 août, une dizaine d’entre eux·elles attendaient leur prise en charge, certain·es dormant dehors depuis plusieurs jours. Beaucoup partent sans pouvoir faire valoir leur droit à la protection de l’enfance."

      "À Nice, c’est désormais la police qui empêche les mineurs non accompagnés d’être placé·es : en ne les laissant pas entrer, les signalements de « mineur·es en danger » ne sont pas envoyés au procureur et à l’ASE qui ne sont même pas informés de leurs situations. Le traitement des MNA par les forces de l’ordre dans les Alpes-Maritimes est inadmissible. La police manque à ses obligations légales envers ces personnes vulnérables, tout comme le Département 06 qui ne vient pas les chercher dans les locaux de la police dans des délais suffisamment rapides pour une mise à l’abri. Les délaissements de mineur·es et la non-assistance à personne en danger sont manifestes."

      https://www.francebleu.fr/infos/societe/immigration-des-associations-denoncent-des-traitement-inadmissibles-de-mi

  • La frontera infinita

    La mayoría de inmigrantes que quieren viajar a otros países de Europa utilizan el paso fronterizo de #Irún con Francia para hacerlo. Es un tránsito que no es fácil, porque la policía francesa los intercepta y los devuelve a España. Diferentes asociaciones lo califican de controles racistas, porque solo interceptan a las personas que provienen del continente africano.
    En el programa Repor hemos acompañado a diferentes emigrantes en su paso hacia la frontera francesa y hemos sido testigo de diferentes devoluciones por parte de las autoridades francesas.

    https://www.rtve.es/play/videos/repor/frontera-infinita/6884457
    #frontières #Espagne #France #migrations #réfugiés #asile #refoulements #push-backs #racisme #contrôles_au_faciès #reportage #vidéo

  • “Like We Were Just Animals”. Pushbacks of People Seeking Protection from Croatia to Bosnia and Herzegovina

    Laila R. fled Afghanistan with her parents and her two brothers in 2016, when she was 11 or 12 years old. They sought international protection in Iran, then Turkey, and then Greece. Increasingly desperate for stability, they travelled through North Macedonia and arrived in Bosnia and Herzegovina in early 2021. When Laila first spoke to Human Rights Watch in November 2021, she and her family had tried to enter Croatia dozens of times. Croatian police apprehended her and her family each time, ignored their repeated requests for asylum, drove them to the border, and forced them to return to Bosnia and Herzegovina.

    When Croatian police carry out such pushbacks—broadly meaning official operations intended to physically prevent people from reaching, entering, or remaining in a territory and which either lack any screening for protection needs or employ summary screening—they do not contact authorities of Bosnia and Herzegovina to arrange for people’s formal return. Instead, Croatian police simply order people to wade across one of the rivers that mark the international border.

    Laila and many others interviewed by Human Rights Watch said Croatian authorities frequently pushed them back to Bosnia and Herzegovina in the middle of the night. She and others told Human Rights Watch Croatian police sometimes pushed them back near Velika Kladuša or other towns in Bosnia and Herzegovina. But on many occasions, the Croatian police took them somewhere far from populated areas.

    Describing the first pushback she experienced, Laila said, “We had no idea where we were. It was the middle of the night, and the police ordered us to go straight ahead until we crossed the river to Bosnia. We spent that night in the forest.”

    Croatian police had destroyed the family’s phones, so they had no easy way of navigating to safety. The next morning, she and her family eventually came across a road. They walked some 30 kilometers to reach Velika Kladuša.

    As with Laila and her family, many of the people who spoke to Human Rights Watch told us they had first sought asylum in Greece as well as in countries outside the European Union before they attempted to enter Croatia. Laila and her family spent one month in Iran, six months in Turkey, and more than three years in Greece, leaving each country after concluding that authorities in each did not intend to respond to their requests for international protection. They did not seek international protection in Bosnia and Herzegovina because they had heard that the country’s authorities rarely granted asylum.

    Croatia became an increasingly important point of entry to the European Union in 2016, after Hungary effectively closed its borders to people seeking asylum. Croatian police have responded to the increase in the number of people entering Croatia irregularly—without visas and at points other than official border crossings—by pushing them back without considering international protection needs or other individual circumstances. In April 2023, for instance, Farooz D. and Hadi A., both 15 years old, told Human Rights Watch Croatian police had apprehended them the night before, driven them to the border, and ordered them to walk into Bosnia and Herzegovina, disregarding their request for protection and their statements that they were under the age of 18.

    Pushbacks from Croatia to the non-European Union countries it borders are now common. Between January 2020 and December 2022, the Danish Refugee Council recorded nearly 30,000 pushbacks from Croatia to Bosnia and Herzegovina, almost certainly an underestimate. Approximately 13 percent of pushbacks recorded in 2022 were of children, alone or with families. Human rights groups have also recorded pushbacks from Croatia to Serbia and to Montenegro.

    Croatian pushbacks have often included violent police responses, including physical harm and deliberate humiliation. Video images captured by Lighthouse Reports, an investigative journalism group, for a 2021 investigation it conducted in collaboration with Der Spiegel, the Guardian, Libération, and other news outlets showed a group of men in balaclavas forcing a group of people into Bosnia and Herzegovina. Although the men did not wear name tags or police badges, the investigation identified them as Croatian police based on characteristic clothing items, the gear they carried, and the corroboration of other police officers. Der Spiegel recounted, “One of the masked men repeatedly lashes out with his baton, letting it fly at the people’s legs so that they stumble into the border river, where the water is chest-high. Finally, he raises his arm threateningly and shouts, ‘Go! Go to Bosnia!’”[1]

    In most of the accounts Human Rights Watch heard, Croatian police wore uniforms, drove marked police vans, and identified themselves as police, leaving no doubt that they were operating in an official capacity.

    Men and teenage boys have told Human Rights Watch and other groups that Croatian police made them walk back to Bosnia and Herzegovina barefoot and shirtless. In some cases, Croatian police forced them to strip down to their underwear or, in a few cases, to remove their clothing completely. In one particularly egregious case documented by the Danish Refugee Council, a group of men arrived at a refugee camp in Bosnia and Herzegovina with orange crosses spray-painted on their heads by Croatian police, an instance of humiliating and degrading treatment the Croatian ombudswoman concluded was an act of religious hatred.

    Younger children have seen their fathers, older brothers, and other relatives punched, struck with batons, kicked, and shoved. Croatian border police have also discharged firearms close to children or pointed firearms at children. In some cases, Croatian police have also shoved or struck children as young as six.

    Croatian police commonly take or destroy mobile phones. Human Rights Watch also heard frequent reports that Croatian police had burned, scattered, or otherwise disposed of people’s backpacks and their contents. In some cases, people reported that police had taken money from them. “The last time we went to Croatia, the police took everyone’s money and all our telephones. Why are they like this?” asked Amira H., a 29-year-old Kurdish woman from Iraq travelling with her husband and 9-year-old son.[2]

    Pushbacks inflict abuse on everyone. In particular, many people said pushbacks took a toll on their mental well-being. Hakim F., a 35-year-old Algerian man who said Croatian police had pushed him back four times between December 2022 and January 2023, commented, “These pushbacks are so stressful, so very, very stressful.”[3] Stephanie M., a 35-year-old Cameroonian woman, told Human Rights Watch in May 2022, “These pushbacks have been so traumatizing. I find I cannot sleep. I am always thinking of the things that have happened, replaying them in my head. There are days I cry, when I ask myself why I am even living. I find myself thinking, ‘Let everything just end. Let the world just end.’”[4]

    For children and their families, who frequently cannot travel as fast on foot as single adults can, pushbacks may add considerably to the time spent in difficult, often squalid, and potentially unsafe conditions before they are able to make a claim for asylum in an EU country. They increase the time children spend without access to formal schooling. For unaccompanied children in particular, pushbacks can increase the risk that they will be subject to trafficking. Family separation may also result from pushbacks: the nongovernmental organization Are You Syrious has reported cases of women allowed to seek asylum in Croatia with their children while their husbands are pushed back to Bosnia and Herzegovina.

    Croatian police continued to carry out pushbacks throughout 2022, although in the second half of the year police increasingly employed an alternative tactic of issuing summary expulsion orders directing people to leave the European Economic Area within seven days. These summary expulsion orders did not consider protection needs and did not afford due process protections. By late March 2023, Croatian police appeared to have abandoned this practice and resumed their reliance on pushbacks.

    Croatian authorities regularly deny the overwhelming evidence that Croatian police have regularly carried out pushbacks, sometimes inflicting serious injuries, frequently destroying or seizing phones, and nearly always subjecting people to humiliating treatment in the process. The Croatian government did not respond to Human Rights Watch’s request for comment on this report.

    On the initiative of and with funding from the European Union, Croatia has established a border monitoring mechanism, with the ostensible purpose of preventing and addressing pushbacks and other abuses at the border. The mechanism’s parameters and track record have so far not been promising. Its members cannot make unannounced visits and cannot go to unofficial border crossing points. It is not clear how the members are appointed and how the mechanism’s priorities are defined. It has had its reports revised to remove criticism of Croatian police and the Croatian Ministry of the Interior.

    Croatia’s consistent and persistent use of pushbacks violates several international legal norms, including the prohibitions of torture and other cruel, inhuman, or degrading treatment, collective expulsion, and refoulement—the sending of people to places where they would face ill-treatment or other irreparable harm or would be at risk of return to harm. Pushbacks of children violate the international norm that states take children’s best interests into account, including by taking particular care to ensure that returns of children are in their best interests. Excessive force, other ill-treatment, family separation, and other rights violations may also accompany pushback operations.

    Slovenia and other European Union member states are also implicated in the human rights violations committed by Croatian authorities against people transferred to Croatia under “readmission agreements”—arrangements under which states return people to the neighbouring countries through which they have transited, with few, if any, procedural safeguards. For instance, under Slovenia’s readmission agreement with Croatia, Slovenian police summarily transferred irregular migrants to Croatia if they have entered Slovenia from Croatia, regardless of whether they requested asylum in Slovenia. In turn, Croatian authorities generally immediately pushed them on to Bosnia and Herzegovina or to Serbia.

    EU institutions have effectively disregarded the human rights violations committed by Croatian border authorities. The European Union has contributed substantial funds to Croatian border management without securing meaningful guarantees that Croatia’s border management practices will adhere to international human rights norms and comply with EU law.

    Moreover, the European Union’s decision in December 2022 to permit Croatia to join the Schengen area, the 27-country zone where internal border controls have generally been removed, sends a strong signal that it tolerates pushbacks and other abusive practices.

    Croatia should immediately end pushbacks to Bosnia and Herzegovina and to Serbia and instead afford everybody who expresses an intention to seek international protection the opportunity to do so. Croatia should also reform its border monitoring mechanism to ensure that it is a robust and independent safeguard against pushbacks and other official abuse.

    Until such time as Croatia definitively ends pushbacks and other collective expulsions, ensures that people in need of international protection are given access to asylum, and protects the rights of children, Slovenia should not seek to carry out returns under its readmission agreement with Croatia. Austria, Italy, and Switzerland, in turn, should not send people to Slovenia under their readmission agreements as long as Slovenia continues to apply its readmission agreement with Croatia.

    Through enforcement of EU law and as a condition of funding, the European Commission should require Croatian authorities to end pushbacks and other human rights violations at the border and provide concrete, verifiable information on steps taken to investigate reports of pushbacks and other human rights violations against migrants and asylum seekers.

    The European Union and its member states should also fundamentally reorient their migration policy to create pathways for safe, orderly, and regular migration.

    https://www.hrw.org/report/2023/05/03/we-were-just-animals/pushbacks-people-seeking-protection-croatia-bosnia-and
    #renvois #expulsions #asile #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #frontières #push-backs #refoulements #expulsions_de_masse #Croatie #Bosnie #Bosnie-Herzégovine

    • Migrants’ Mass Expulsions from Croatia Raise Legal Doubts

      Croatia and Bosnia say the expulsion of hundreds of migrants and refugees from the first to the second country are regulated by a bilateral agreement – but NGOs, rights groups and a legal expert question its legality.

      Since the end of March 2023, hundreds of migrants and refugees have been returned from Croatia back to Bosnia and Herzegovina.

      Differently from the illegal pushbacks that saw thousands of people being violently sent back from Croatia to Bosnia between 2018 and 2022, these recent operations are happening with cooperation between the two countries and with the open approval of European institutions.

      NGOs and rights groups were the first to condemn this new phenomenon, referring to it as “mass expulsions” implemented by Croatia. With information gathered by direct testimonies and documents collected from the expelled people, they have voiced concerns regarding alleged degrading treatments and human rights violations by Croatian police.

      Besides such abuses, experts also say the procedure could be illegal. “There are some doubts over the legality of what we are seeing happening between Croatia and Bosnia and Herzegovina in terms of European law,” Italian jurist and migration expert Gianfranco Schiavone told BIRN.
      Not allowed to seek asylum

      A few weeks after the first migrants and refugees were returned to Bosnia’s northwest Una-Sana Canton, Mustafa Ruznic, the canton’s Prime Minister, sent an open letter to Bosnia’s state security and foreign ministers, as well as to the head of the Foreigners Affairs Service, SPS, demanding an explanation for the increased number of migrants and refugees reportedly returned from Croatia to Bosnia based on a bilateral readmission agreement.

      Ruznic said a significant number of them were unknown to the authorities and might present security risks, and complained of not being informed about the ongoing construction of a detention centre in the Lipa Temporary Reception Centre, situated in the Canton’s administrative centre, Bihac.

      Croatian and Bosnian authorities later explained that the mass returns were taking place on the basis of a bilateral agreement between the two states signed in 2002 and annexed again in September 2011 with a specific plan for its implementation, but never actually put into use.

      Nenad Nesic, Bosnia’s Minister of Security, denied a new possible crisis in Bosnia’s parliament on April 19, a day after he met Ruznic in Bihac.

      Presenting data for the first three months of 2023, he stated that a total of 768 foreign citizens had been accepted back under the Readmission Agreement between Bosnia and Herzegovina and Croatia.

      He added that, during the same period, 1,816 requests for the admission of foreigners under readmission were rejected because Croatian authorities couldn’t prove they came from Bosnia.

      “This clearly shows that our Foreigners Service is responsibly doing its job and there is no influx of migrants into Bosnia and Herzegovina. Migrants are evenly distributed and currently most of them are in the Sarajevo Canton, where 630 migrants are accommodated,” Nesic stated.

      Sara Kekus, from the Zagreb-based Center for Peace Studies, CMS, who has been monitoring the situation with migrants, told BIRN that they do not have specific data on readmissions, but that the number is clearly increasing.

      “According to the testimonies of our associates, organisations, volunteers, and activists who are present in BiH, the persons returned from Croatia testified that they tried to seek asylum [there], but they were not allowed to do so, or they did not even know who to ask for asylum,” Kekus said.

      According to Kekus, people reported not having access to translators and that they were issued documents mostly in Croatian, which they signed without knowing what they were signing.

      “Complaints are that persons were kept in detention for several days and that the meals were rather meagre, one a day, bread and cheese and water,” he said.

      Among the expelled people, Kekus notes, there were not only adults but also unaccompanied children and families with small children, which is “especially problematic”.

      The Border Violence Monitoring Network, a grassroot watchdog network of NGOs and rights groups, collected testimonies from people subjected to the pushbacks and denounced the lack of translations and the fact that the internationally guaranteed right to ask for asylum was not respected by the Croatian authorities.

      “The police there [in Croatia] asked us to pay for accommodation, food and transport to the border, as if we were in a hotel and not in a prison. We didn’t ask to be taken there. We feel as if we were robbed,” one of the men expelled from Croatia told them. Documents collected by BVMN support this last claim.

      In a written response to BIRN’s inquiry, the Croatian Ministry of Interior, MUP, said that “the BVMN report is not based on information about actual treatment”.

      It said that “every illegal migrant caught by the Croatian police has the right and is adequately informed about the possibility of expressing an intention to seek international protection. If he/she expresses such an intention, an appropriate procedure is initiated.”
      Expulsions or ‘returns’?

      In the same letter, the Croatian MUP stated that implementation of the bilateral agreement had been discussed at several meetings prior to this, and that at the Joint EU-BiH Readmission Committee meeting on March 28 in Brussels, the European Commission reminded Bosnia’s authorities of their obligation to implement the agreement.

      The MUP also said these procedures cannot be called expulsions, but are instead returns of persons as regulated by the bilateral agreement.

      Italian jurist and migration expert Gianfranco Schiavone has a different opinion. “This type of procedure needs to be verified carefully because the notion of readmission applies currently in light of a directive, 115 of 2008, that regulates readmissions, but only among member countries of the European Union.”

      That is not the case for the two countries in question. Croatia is a European Union member since 2015, and it joined the visa-free Schengen zone at the start of 2023. Bosnia, on the other hand, has only recently been granted the status of EU candidate country.

      “This is de facto an expulsion of an alien citizen who irregularly arrived in a European country and should happen under the guarantee of the same European directive,” stated Schiavone.

      Meanwhile, Human Rights Watch published a report on May 3, saying “Croatian police regularly and often violently push back refugees, asylum seekers, and migrants to Bosnia and Herzegovina without assessing their asylum requests or protection needs”. The 94-page report, titled “‘Like We Were Just Animals’: Pushbacks of People Seeking Protection from Croatia to Bosnia and Herzegovina,” finds that Croatian authorities engage in pushbacks, including of unaccompanied children and families with young children.

      “The practice is ongoing despite official denials, purported monitoring efforts, and repeated – and unfulfilled – commitments to respect the right to seek asylum and other human rights norms. Border police frequently steal or destroy phones, money, identity documents, and other personal property, and often subject children and adults to humiliating and degrading treatment, sometimes in ways that are explicitly racist,” the report says.

      “Pushbacks have long been standard operating procedure for Croatia’s border police, and the Croatian government has bamboozled European Union institutions through deflection and empty promises,” said Michael Garcia Bochenek, senior children’s rights counsel at Human Rights Watch and the author of the report. “These abhorrent abuses – and the official duplicity that facilitates them – should end.”

      Croatian authorities have mostly disclaimed responsibility for pushbacks, and the Croatian Ministry of the Interior did not respond to Human Rights Watch’s requests for a meeting or for comment on its findings, it says in the report.

      https://balkaninsight.com/2023/05/05/migrants-mass-expulsions-from-croatia-raise-legal-doubts

    • Croatia accused of new mass expulsions of migrants to Bosnia

      The investigative journalism project BIRN reports that Croatia has been carrying out mass expulsions of migrants to its neighbor, Bosnia. The two countries claim the returns are lawful under a bilateral agreement.

      Migrants are being expelled from Croatia to Bosnia and Herzegovina under a formal agreement between the two countries, rights groups say. Their claims are based on testimonies from migrants who said they were pushed back over the border by Croatian police, sometimes violently.

      In a recent report, the Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) says these alleged pushbacks are a “new phonemenon” and are not the same as the expulsions that took place from Croatia to Bosnia between 2018 and 2022, which have already been documented.

      According to the BIRN report, Croatian authorities have been sending migrants back across the border to Bosnia, which is outside EU territory, under a revived bilateral agreement between the two countries. This was only discovered by the premier of the canton of Una-Sana, in Bosnia’s northwest, after more than 760 migrants returned under the deal had already arrived in his canton.

      Bosnia’s security minister, Nenad Nesic, has denied that there is an influx of migrants into the country. But Sara Kekus, from the Center for Peace Studies in Zagreb, told BIRN that the number is increasing. He also said that those returned from Croatia had testified that they had tried to seek asylum there but had not been allowed to do so, or had not known who to ask. In some cases they had been given documents mostly in Croatian which they signed without understanding what they were.

      According to Kekus, some of the migrants, who included unaccompanied minors and families with young children, said they had been mistreated by Croatian authorities: “Complaints are that persons were kept in detention for several days and that the meals were rather meagre, one a day, bread and cheese and water,” he is quoted as saying.
      ’Illegal practice’

      The pushbacks were also confirmed by the Border Violence Monitoring Networ (BVMN), another NGO, which condemned the fact that Croatian authorities had acted in breach of the internationally guaranteed right to request asylum.

      The Croatian interior ministry denied this, telling BIRN, “every illegal migrant caught by the Croatian police has the right and is adequately informed about the possibility of expressing an intention to seek international protection.” The ministry also said its operations were not “expulsions” but returns, carried out under the bilateral agreement.

      But all returns of migrants from EU countries to ’third countries’ outside the bloc have to happen according to an EU law, Directive 2008/115. As Bosnia is not yet in the EU, these procedures need to be followed for returns from Croatia, as Italian lawyer and migration expert Gianfranco Schiavone told BIRN. “This is de facto an expulsion of an alien citizen who irregularly arrived in a European country and should happen under the guarantee of the same European directive.”

      Migrants ’treated like animals’

      The BIRN investigation into illegal practices being carried out by an EU member state at the bloc’s external border follows a report by Human Rights Watch (HRW), which includes very recent testimonies of migrants who were pushed back from Croatia. In April, 2023, according to the report, two 15-year-old boys, Farooz D. and Hadi A., said Croatian police had caught them, driven them to the border and ordered them to walk into Bosnia, “disregarding their request for protection and their statements that they were under the age of 18.”

      HRW claims that in continuing to expel migrants, often using violent tactics, Croatia is acting in violation of international laws, including the prohibition against torture and inhuman or degrading treatment, and against refoulement – sending people to places where they would face harm. The Croatian government did not respond to HRW’s request for comment.

      https://www.infomigrants.net/en/post/48806/croatia-accused-of-new-mass-expulsions-of-migrants-to-bosnia

    • Croazia: manganelli anche contro i bambini migranti

      La Croazia respinge i migranti, tra i quali molti minori non accompagnati e famiglie con bambini, e rende impossibile l’accesso all’asilo. È ciò che emerge dall’ultimo rapporto di Human Rights Watch, mentre il ministro dell’Interno Božinović continua a smentire.

      A distanza di meno di un mese dalla conferenza stampa in cui il ministro dell’Interno croato Davor Božinović – cercando di giustificare se stesso e i suoi sottoposti di fronte alle prove di violazioni della polizia croata nei confronti dei migranti emerse nell’ambito di un’inchiesta giornalistica – ha dichiarato che la Croazia rispetta i diritti umani e che la polizia croata non effettuai respingimenti di migranti, il titolare del dicastero dell’Interno per l’ennesima volta è stato smentito dalla realtà, nella fattispecie da un rapporto di Human Rights Watch (HRW) che riporta le testimonianze dei migranti e dei rifugiati respinti dalla Croazia verso la Bosnia Erzegovina.

      Il rapporto intitolato “Come se fossimo animali: respingimenti di persone in cerca di protezione”, pubblicato lo scorso 3 maggio, conferma che negli ultimi anni le autorità croate hanno partecipato a respingimenti violenti dei migranti, compresi i minori non accompagnati e intere famiglie con bambini piccoli. Dal rapporto emerge chiaramente che i respingimenti continuano, nonostante le costanti smentite da parte degli alti funzionari dello stato e le ripetute promesse (mai mantenute) di voler garantire l’accesso all’asilo.

      “Da tempo ormai i respingimenti sono diventati una prassi consueta della polizia di frontiera croata, e il governo croato continua a ingannare le istituzioni europee distogliendo l’attenzione dalla questione e facendo vane promesse. Questi deplorevoli abusi, così come l’ambiguità istituzionale che li facilita, devono cessare”, ha dichiarato Michael Garcia Bochenek, consulente senior di Human Rights Watch per i diritti dei bambini e autore del rapporto.

      Nel periodo compreso tra novembre 2021 e aprile 2023 i ricercatori di HRW hanno intervistato oltre cento rifugiati e richiedenti asilo perlopiù provenienti da Afghanistan, Iraq, Iran e Pakistan. La maggior parte delle persone intervistate sostiene di aver subito respingimenti violenti – anche decine di volte – da parte della polizia croata, che ha sempre ignorato le loro richieste di asilo. Ad esempio, il diciassettenne Rozad N., proveniente dal Kurdistan iracheno, racconta che negli ultimi due anni lui e la sua famiglia, compreso suo fratello di sette anni e sua sorella di nove anni, sono stati respinti 45-50 volte. Un ragazzo iraniano, Darius M., oggi diciottenne, tra il 2020 e il 2021, quindi quando era ancora minorenne, è stato rimandato dalla Croazia verso la Bosnia Erzegovina ben 33 volte, mentre un suo connazionale, Farhad K., ventuno anni, insieme ai genitori e alla sorella di quattordici anni, è stato respinto dalla polizia croata più di 20 volte.

      Il Danish Refugee Council solo nel periodo tra gennaio 2020 e dicembre 2022 ha registrato quasi trentamila respingimenti dalla Croazia verso la Bosnia Erzegovina. In molti casi (12% nel 2020, 13% nel 2021) tra i bersagli della polizia croata c’erano anche bambini.

      Nel rapporto di HRW si sottolinea che il numero effettivo di persone respinte dalla Croazia è indubbiamente superiore a quello stimato, soprattutto considerando che gli agenti croati, con il sostegno dell’agenzia Frontex, pattugliano anche il confine con la Serbia e quello con il Montenegro.

      Il copione è quasi sempre lo stesso: quando intercetta i migranti la polizia croata li riporta verso luoghi difficilmente raggiungibili lungo il confine, ordinando loro di allontanarsi dal territorio croato. Nel loro ritorno verso i paesi confinanti, i migranti respinti spesso si trovano costretti ad attraversare fiumi e torrenti, a inerpicarsi sulle rocce e camminare tra fitti boschi. Gli agenti croati non di rado costringono i migranti a ritornare in Bosnia Erzegovina scalzi, indossando solo biancheria intima, o persino completamente spogliati. Secondo la stragrande maggioranza delle testimonianze, ad effettuare i respingimenti sono persone in divisa che guidano veicoli della polizia e si identificano come agenti, lasciando così chiaramente intendere di agire in veste di pubblici ufficiali.

      Quasi tutti i migranti respinti affermano di essere stati picchiati almeno una volta dagli agenti croati o di aver assistito a scene di violenza perpetrate dalla polizia croata. “Ti guardano come se non fossi un essere umano, la violenza semplicemente è parte integrante della procedura”, racconta Zafran R., ventotto anni, descrivendo le percosse che gli sono state inflitte dagli agenti croati. “La prima volta che la mia famiglia ha cercato di attraversare il confine, nell’ottobre 2020, la polizia ci ha catturati, prendendo a botte me e mio padre. Ho detto agli agenti che mia madre era molto malata e che doveva andare in ospedale. Uno di loro ha risposto duramente: ‘Siamo poliziotti, non medici. Vattene in Bosnia, pezzo di merda! Perché siete venuti in Croazia?!’”, racconta un altro giovane migrante. “Alcune persone sono state brutalmente picchiate. La polizia croata si è impossessata dei loro cellulari, per poi distruggerli. Hanno bruciato i nostri effetti personali davanti ai nostri occhi, gridando: ‘Non vi vogliamo nel nostro paese, ritornate in Bosnia!’”, ricorda Laila, sedici anni, fuggita dall’Afghanistan.

      I racconti dei migranti respinti sono corroborati da testimonianze di molti operatori umanitari. Un volontario dell’associazione italiana Strada SiCura spiega che nella primavera del 2022, durante una visita in Bosnia Erzegovina, ha visto molte ferite che corrispondevano ai racconti che aveva sentito in precedenza. “Ho visto costole fratturate, diverse ferite alle gambe, lividi sul viso e altre parti della testa corrispondenti alle testimonianze delle vittime. Una persona riportava un’ustione sul petto che sembrava essere stata causata da un dispositivo elettrico”.

      I ricercatori di HRW hanno raccolto anche numerose testimonianze dei migranti che sono finiti in ospedale dopo essere stati picchiati dalla polizia croata affrontando poi un lungo periodo di convalescenza. Così il diciannovenne Ibrahim F., proveniente dal Camerun, ha spiegato che alla fine del 2021 gli agenti croati lo avevano picchiato così fortemente che non poteva camminare per due mesi.

      “Abbiamo sentito anche alcune testimonianze secondo cui le donne migranti avrebbero subito molestie e abusi sessuali da parte degli agenti croati. Così ad esempio un migrante ghanese, Emmanuel J., ha raccontato che quando, nel maggio 2022, la polizia croata aveva intercettato un grande gruppo di migranti con cui lui viaggiava e tra i quali c’erano anche otto donne, alcuni agenti avevano ‘molestato le donne’ palpeggiandole nelle parti intime”, scrive HRW, ricordando che anche in precedenza alcuni rifugiati avevano riferito di essere stati stuprati con rami e costretti dalla polizia croata a spogliarsi completamente e sdraiarsi l’uno sopra l’altro.

      I ricercatori sono venuti a conoscenza anche di diversi episodi di violenza nei confronti dei bambini. “Molti bambini piccoli sono stati costretti ad assistere a scene in cui i loro padri, fratelli maggiori e cugini venivano pestati a pugni e calci e presi a manganellate. Gli agenti della polizia di frontiera croata più volte hanno sparato vicino ai bambini e puntato le armi contro di loro. Sono stati registrati anche alcuni episodi che hanno visto gli agenti croati spintonare e picchiare bambini di sei anni”.

      Nel suo rapporto, HRW riporta anche la testimonianza di una donna proveniente dall’Afghanistan che nel febbraio del 2021 è stata respinta dalla Croazia insieme alla sua famiglia. “Ad un certo punto [gli agenti croati] hanno iniziato a prendere a schiaffi e picchiare i bambini. Poi hanno ordinato loro di addentrarsi in un bosco. Quando poi li ho raggiunti, i bambini erano sdraiati a terra. Un agente ha detto loro di alzarsi e togliersi i vestiti. La polizia li picchiava con manganelli mentre si spogliavano”, ha raccontato la donna, spiegando che dopo le prime violenze e umiliazioni gli agenti hanno ordinato alla sua famiglia di ritornare a piedi in Bosnia Erzegovina. “Per tutto il percorso ci colpivano con bastoni alla schiena e alle gambe, scagliandosi in particolare contro i bambini”.

      Lorena Fornasir, medico in pensione e una delle fondatrici dell’organizzazione umanitaria Linea d’Ombra di Trieste, conferma che simili violenze comportano conseguenze psicologiche incommensurabili per le vittime, conseguenze che di solito si manifestano come disturbo da stress post-traumatico. Le osservazioni di Lorena Fornasir corroborano i dati emersi da una recente ricerca sulla situazione dei rifugiati in Serbia, secondo cui le persone respinte dalla Croazia mostrano sintomi più pronunciati di depressione, ansia e stress post-traumatico rispetto ad altri migranti.

      Nel frattempo, come si sottolinea anche nel rapporto di HRW, le autorità croate continuano a negare qualsiasi responsabilità dei respingimenti alle frontiere, sforzandosi di confutare le prove, ormai indiscutibili, di violenze della polizia che spesso infligge gravi lesioni ai migranti, confisca e distrugge i loro effetti personali e li sottopone a trattamenti umilianti e degradanti. Michael Garcia Bochenek ha confermato a Novosti, che il governo croato non ha voluto commentare i dati emersi dal rapporto, né tanto meno ha voluto rispondere alle domande di HRW che ha chiesto un incontro con i rappresentanti del governo per discutere anche del controverso meccanismo indipendente di monitoraggio dell’operato della polizia.

      Si tratta di uno strumento creato su iniziativa della Commissione europea nell’ambito del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Pur trattandosi formalmente di un meccanismo indipendente, è stato il ministero dell’Interno croato a decidere a chi affidare il monitoraggio e quali metodi utilizzare. Il primo rapporto, pubblicato nel 2022, ha confermato i dubbi sull’effettiva indipendenza del meccanismo creato dal governo croato. È infatti emerso che l’unico scopo di questo strumento, peraltro finanziato con risorse europee, è quello di legittimare l’attuale stato delle cose alle frontiere esterne dell’UE, completamente ignorando le violenze nei confronti dei migranti.

      Che anche l’UE continui a chiudere un occhio di fronte alle violazioni dei diritti umani alle sue frontiere esterne, lo conferma il fatto che nel dicembre 2022 gli stati membri hanno dato il via libera all’ingresso di Zagabria nell’area Schengen, inviando così un forte messaggio che l’Europa tollera respingimenti e altri abusi. C’è però ancora tempo per invertire la tendenza. HRW ritiene infatti che la Commissione europea debba sollecitare le autorità croate affinché pongano fine ai respingimenti e forniscano informazioni attendibili sulle azioni intraprese per indagare sulle violazioni dei diritti dei migranti.

      “I respingimenti non devono diventare una consuetudine. Le istituzioni europee devono dimostrare fermezza nel chiedere alla Croazia di assumersi la propria responsabilità delle sistematiche violazioni del diritto dell’UE e delle norme internazionali”, conclude HRW.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Croazia-manganelli-anche-contro-i-bambini-migranti-225073

      aussi ici:
      https://seenthis.net/messages/1002500

  • Respingimenti alla frontiera con la Slovenia: i dati che smontano gli annunci del governo

    A fine 2022 il Viminale aveva prefigurato la ripresa delle riammissioni dei migranti, già dichiarate illegittime. Lubiana si è però rifiutata di accettarle nel 90% dei casi. Le autorità di frontiera hanno dovuto perciò virare sui provvedimenti di espulsione: oltre 650 in pochi mesi, di cui 500 a carico di cittadini afghani tecnicamente inespellibili

    Le “riammissioni” dei migranti verso la Slovenia annunciate dal governo italiano a fine 2022 sono state un flop. Dati inediti trasmessi dal Viminale ad Altreconomia mostrano infatti che quasi tutte quelle “proposte” dall’Italia tra dicembre 2022 e metà marzo 2023 sono state rifiutate da Lubiana: ben 167 sulle 190 “tentate” dalle autorità di frontiera italiane.
    “L’annuncio trionfale delle riammissioni rivela la sua autentica natura -commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e membro della rete RiVolti ai Balcani-: un annuncio politico volutamente vago che celava la consapevolezza che quelle pratiche erano e restano illegali”.

    Per comprendere ragioni e proporzioni della bolla propagandistica “esplosa” alla frontiera orientale occorre fare un passo indietro al dicembre del 2022, quando cioè il Viminale diffonde tramite agenzie la notizia di una nuova direttiva finalizzata al “rafforzamento dei controlli sui flussi della rotta balcanica”. Viene prefigurata la ripresa delle riammissioni -cioè dei respingimenti- verso la Slovenia, con tanto di invito rivolto ai prefetti di Trieste, Gorizia e Udine di “adottare iniziative volte a dare ulteriore impulso all’attività di vigilanza sulla fascia di confine”.

    Non è il ministro Piantedosi a firmare quella “direttiva” ma la sua capa di gabinetto, la prefetta Maria Teresa Sempreviva. Lo schema sembra voler replicare quanto già visto nella primavera 2020, quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, il suo capo di gabinetto era Piantedosi e il prefetto di Trieste si chiamava Valerio Valenti, appena nominato Commissario governativo “all’emergenza migranti”. Sappiamo come è andata a finire: quasi 1.300 persone riammesse “informalmente” (https://altreconomia.it/rotta-balcanica-nel-2020-record-di-respingimenti-dallitalia-verso-la-sl), cioè senza avere in mano alcun provvedimento scritto, tra maggio e dicembre di quell’anno, in forza di una circolare ministeriale a firma di Piantedosi -mai resa pubblica- che si richiamava al contestato accordo bilaterale tra Italia e il Paese di confine datato 1996, mai ratificato dal Parlamento, in contrasto con la Costituzione. Dietro l’espressione burocratica delle “riammissioni” c’erano in realtà veri e propri respingimenti a catena, con le persone, richiedenti asilo inclusi, spostate come pacchi tra le polizie di frontiera, per finire poi scaricate nell’arco di poche ore in Bosnia ed Erzegovina. Nel gennaio 2021, con un’ordinanza di capitale importanza, il tribunale di Roma, per mano della giudice Silvia Albano e sulla base di un ricorso presentato dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla, dichiarò la grave illegittimità di quelle riammissioni-respingimenti (https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min), costringendo il Viminale a fare un’imbarazzata marcia indietro: l’Italia aveva consapevolmente esposto le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. E nessuno dei governi che si sono succeduti da allora ha mai riconosciuto il carattere illegale di quelle procedure, come ben racconta anche il film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore.

    Trascorsi nemmeno due anni dall’ordinanza di Roma, a dicembre 2022 arriva come detto l’annuncio della nuova “circolare Sempreviva”, tanto pubblicizzata a bocconi e virgolettati estratti sui media quanto sottratta nella sua interezza all’opinione pubblica. L’accesso civico presentato da Altreconomia nei mesi scorsi è stato infatti negato dal gabinetto del ministro dell’Interno per presunte ragioni di cooperazione di polizia e del “concreto pregiudizio” alla “integrità dei rapporti internazionali” con Slovenia e Austria. Ancora una volta rifacendosi al decreto ministeriale Lamorgese del marzo 2022 che ha dato un colpo durissimo alla trasparenza lungo le frontiere.

    I dati ottenuti oggi chiariscono la natura propagandistica di quegli annunci. Ma c’è di più. In questo scenario prossimo alla farsa si inserisce infatti anche Lubiana. Interpellata sulle ragioni del “no” opposto alle riammissioni tentate dall’Italia, la polizia slovena, per bocca del rappresentante Drago Menegalija, ci ha fatto sapere che il “motivo principale del rifiuto di riammissione […] è la mancanza di prove presentate nella richiesta di riammissione alla polizia slovena in relazione al fatto che i migranti avrebbero (precedentemente) soggiornato nel territorio della Slovenia”. Aggiungendo poi che “in base all’accordo tra i Paesi, i rimpatri avvengono continuamente” e che “l’accordo definisce chiaramente i criteri in base ai quali possiamo accogliere solo i migranti che sono entrati in Italia attraverso la Slovenia, che sono stati fermati nella fascia di confine e che non hanno fatto richiesta di protezione internazionale in Italia”.

    L’avvocata Caterina Bove aiuta a capire le ragioni del mutato atteggiamento della Slovenia: “Quel Paese non ha alcun interesse a riammettere sul proprio territorio coloro che sono giunti in Italia -spiega-. Il cambio di governo da un lato e l’ingresso della Croazia nell’area Schengen (avvenuto il primo gennaio 2023) dall’altro, consentono ora alla Slovenia di ricoprire un ruolo più ‘leggero’ nel contrasto ai flussi, ricevendo una minore pressione dall’Europa. Questo escamotage le consente di tenere anche i buoni rapporti con l’Italia, senza troppo colpo ferire. Tanto sa che le persone non intendono fermarsi lì”.

    La risposta della polizia slovena, pur orientata a preservare le relazioni diplomatiche con l’Italia (“The relations between the police forces of both countries are very good”, si legge nella risposta), fa però trasparire alcuni aspetti importanti. Il primo, secondo Gianfranco Schiavone, è l’”evidente preoccupazione rispetto all’operato della polizia italiana”. “La nota slovena evidenzia infatti come le riammissioni, secondo il diritto interno di quello Stato, non possono avere seguito quando non sia stata provata la provenienza degli stranieri dal territorio sloveno né soprattutto quando gli stranieri abbiano manifestato l’intenzione di chiedere protezione internazionale in Italia. Con tale risposta le autorità slovene mettono una pietra tombale sulla questione, lampante dal punto di vista giuridico, ma mai ammessa formalmente dalle autorità italiane, che è tassativamente proibita la riammissione degli stranieri che intendono chiedere asilo in Italia. L’abnorme numero delle tentate riammissioni chieste da parte italiana, pressoché tutte rigettate, fa emergere un quadro oscuro sull’operato italiano poiché, a seconda degli ordini politici del momento, stranieri che si trovano nella medesima condizione giuridica finiscono per subire trattamenti completamente diversi; così al medesimo cittadino afghano può accadere di accedere alla domanda di asilo oppure di vedersi oggetto di una tentata la riammissione illegittima in Slovenia, o infine essere espulso dall’Unione europea con provvedimento delle autorità italiane benché inespellibile”.

    Quella di Schiavone non è una forzatura. Non potendo compiere le riammissioni ordinate dall’alto perché palesemente illegali ma essendo costrette al contempo a dar l’idea del “pugno duro”, le autorità di frontiera hanno dovuto così virare sui provvedimenti di espulsione. Lo dimostrano i dati relativi ai provvedimenti di espulsione e allontanamento trasmessi ad Altreconomia dalla prefettura di Trieste: tra la fine del 2022 e il primo trimestre 2023 ne sono stati adottati oltre 650, di cui oltre 500 a carico di persone in fuga dall’Afghanistan e giunte a Trieste dalla “rotta balcanica”. Un numero impressionante se confrontato con i mesi precedenti e che risponde appunto alla necessità di dar seguito, anche solo sulla carta, alle indicazioni governative. Indicazioni disposte a tutto, anche a negare l’evidente bisogno di protezione di persone tecnicamente inespellibili, e che sollevano forti dubbi sulla corretta attività informativa in tema di diritto d’asilo condotta dalle autorità di frontiera.

    Schiavone parla di una dinamica “sconcertante”. “In primo luogo va evidenziata la radicale illegittimità dei provvedimenti di espulsione che sono stati emanati”. Il Testo unico sull’immigrazione prevede infatti che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Di più: la norma aggiunge che “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. “Questa disposizione è di inequivoca interpretazione dal momento che l’espressione ‘in nessun caso’ rappresenta un divieto assoluto che non ammette eccezioni di sorta -chiarisce Schiavone-. L’indiscutibile condizione di estremo pericolo in cui si trova oggi qualsiasi cittadino afghano che sia fuggito dal suo Paese configura l’assoluta proibizione di emettere nei suoi confronti un provvedimento di espulsione verso il suo Paese. Tutto ciò era pienamente noto alla prefettura di Trieste che però ha agito in contrasto con la normativa e alla quale andrebbe dunque chiesto di fornire precise spiegazioni di tale condotta”.

    “Una motivazione che immagino potrebbe essere avanzata da quella amministrazione al fine di sostenere le proprie scelte -non si nasconde Schiavone- è che i cittadini afghani, pur essendo palesemente persone con chiaro bisogno di protezione, non avevano manifestato alle autorità di frontiera la loro volontà di chiedere protezione internazionale in Italia e che, fallita la loro tentata riammissione in Slovenia, l’unica ‘via d’uscita’ per le autorità italiane era stata quella di emettere nei confronti di questi stranieri un provvedimento di espulsione confidando che tutti gli interessati si sarebbero dispersi, come in effetti è accaduto. Una simile motivazione è radicalmente infondata e semmai solleva ulteriori gravi interrogativi su che cosa sia accaduto ancora una volta alla sempre inquieta frontiera italo-slovena nell’inverno 2022-2023. Oltre ai già evidenziati profili di illegittimità dei provvedimenti per inespellibilità degli stranieri verso il loro Paese appare necessario sapere se a quegli stranieri sia stata fornita o no l’assistenza e l’informazione sull’esercizio dei loro diritti che il diritto dell’Unione europea prevede”.

    Il presidente dell’Ics di Trieste si rifà al “Manuale comune ad uso delle autorità competenti degli Stati membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone” diramato dalla Commissione europea. È lì dentro, nel cosiddetto Manuale Schengen, che si evidenzia come “un cittadino di Paese terzo deve essere considerato un richiedente asilo/protezione internazionale se esprime in un qualsiasi modo il timore di subire persecuzioni o danni gravi facendo ritorno al proprio Paese di origine o nel paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale”. È una sottolineatura importante perché “l’intenzione di chiedere protezione internazionale non deve essere manifestata in una forma particolare”. Non occorre dunque che la parola “asilo” sia pronunciata espressamente: “l’elemento determinante è l’espressione del timore di quanto potrebbe accadere in caso di ritorno”.

    Non si può strumentalmente fraintendere l’eventuale silenzio delle persone in transito: “L’attività della polizia di frontiera deve essere orientata perciò a escludere ogni ragionevole dubbio sull’esistenza di una situazione di pericolo verso persone che potrebbero non formulare in modo esplicito la domanda di protezione in modo diretto, perché vogliono ad esempio proseguire il viaggio per raggiungere famigliari o parenti in altri Paesi, come è noto accade per gran parte dei rifugiati che entrano in Italia”, aggiunge ancora Schiavone.

    Affinché sia effettivo il diritto di chiedere asilo o protezione alla frontiera (dovrebbe valere via terra così come via mare) e di presentare la relativa domanda il prima possibile, continua il Manuale Schengen, “le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire (come e dove presentare la domanda), nonché dei loro diritti e doveri, incluse le conseguenze possibili dell’inosservanza dei loro obblighi e di una mancata collaborazione con le autorità”.

    Gli fa eco l’avvocata Anna Brambilla: “Che tipo di informativa legale viene fatta a queste persone in arrivo dalla Slovenia e per le quali è adottato un provvedimento di espulsione? Dai dati ottenuti possiamo concludere che delle due l’una: o le autorità italiane non fanno un’informativa adeguata oppure tentano di riammettere nell’altro territorio persone che non dovrebbero essere espulse”.

    “Il riferimento all’obbligo di informare gli stranieri delle possibili conseguenze dell’inosservanza dei loro obblighi di cooperazione con le autorità è un elemento cruciale per valutare la corretta condotta delle forze di polizia di frontiera -riprende Schiavone-. Ci sono chiari motivi per ritenere che la condotta della polizia di frontiera terrestre a Trieste nella gestione dell’ammissione al territorio degli stranieri con chiaro bisogno di protezione sia stata impostata su un modus operandi assai lontano rispetto a quello prescritto dalle indicazioni sopra riportate. Non sappiamo come sono stati condotti i colloqui con gli stranieri, se e quanti erano i mediatori in servizio nelle diverse lingue e quale informazione sia stata fornita agli stranieri. Ciò che sappiamo è che nessun osservatore terzo indipendente è mai stato ammesso a quella frontiera e che anche la presenza di funzionari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stata, almeno in alcuni periodi, assai intermittente”.

    Quello che è certo è che centinaia di persone alla frontiera hanno affrontato in questi mesi le sorti più diverse. Ma non per l’applicazione di norme -e delle loro relative garanzie- quanto per l’obbedienza a ordini e umori del governo: “La certezza del diritto è totalmente assente -denuncia Schiavone-. Siamo in una sorta di terra di nessuno dove ogni irregolarità diviene sempre possibile e l’arbitrio diventa l’unica certezza”.

    https://altreconomia.it/respingimenti-alla-frontiera-con-la-slovenia-i-dati-che-smontano-gli-an
    #asile #migrations #frontières #frontière_sud-alpine #Alpes #Slovénie #Italie #push-backs #refoulements #chiffres #statistiques #réadmissions #réfugiés_afghans #Maria_Teresa_Sempreviva #refoulements_en_chaîne #circolare_Sempreviva

  • Lithuania: Legalizing illegal pushbacks gives green-light to torture

    Responding to the passing of amendments to the Lithuanian Law on the State Border and its Protection which effectively enshrine in domestic legislation the ongoing practice of border pushbacks, Amnesty International’s Europe Director, Nils Muižnieks, said:

    “Today is a dark day for justice as Lithuania’s Parliament has voted to enshrine in law illegal and abusive practices. By codifying what is illegal and forcibly returning refugees and migrants to places where they face a risk of torture and other ill-treatment, the government is trampling on their rights and on Lithuania’s own international obligations.

    “Rather than taking the urgent steps necessary to stop these unlawful returns to widespread violence, intimidation and ill-treatment in Belarus, this law effectively green-lights pushing people back to torture.

    “By passing this law, Lithuania has set itself on a collision course with EU law and the EU Court of Justice, which has already censured the member state over previous legislation. Lithuania cannot claim to be a rights-abiding country when it circumvents the rule of law.”

    Background

    The amendment was passed 69 votes to 7 with 24 abstentions. There will be a final formal approval given by the Parliament next Tuesday.

    The vote comes just weeks after Europe’s top anti-torture body, the Council of Europe’s Committee for the Prevention of Torture, published a report that found that authorities in countries across Europe have used practices that amount to torture when targeting refugees and migrants who tried to cross Europe’s borders.

    Research by Amnesty International published in June 2022 found that Lithuanian border guards subjected non-European refugees and migrants arriving from Belarus to thousands of violent pushbacks to Belarus, despite the risk of torture and other ill-treatment by Belarusian authorities, as well as to arbitrary detention and other violations.

    International law prohibits collective expulsions and the return of anyone to a country where they could face serious human rights violations.

    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/04/lithuania-legalizing-illegal-pushbacks-gives-green-light-to-torture
    #Lituanie #frontières #push-backs #frontières #refoulements #asile #migrations #réfugiés #Biélorussie

    • Lithuania law to allow ’volunteer’ border guards to use violence

      Lithuania’s parliament passed a controversial new law allowing volunteers from around Europe to join its national border guard force — while giving them the right to use violence against asylum seekers and migrants crossing in from Belarus.

      https://euobserver.com/migration/156944
      #volontaires #bénévoles #milices

    • La Lituanie s’apprête à légaliser les refoulements de migrants

      Le projet d’amendement à la loi sur les frontières prévoit d’expulser les demandeurs d’asile arrivés illégalement sur le territoire, et de créer une force civile en soutien des gardes-frontières.

      Selon le ministère de l’intérieur à Vilnius, le texte qui devrait être adopté définitivement par les députés lituaniens, mardi 25 avril, a pour but de garantir la sécurité du petit Etat balte contre d’éventuelles tentatives de déstabilisation menées par son voisin biélorusse. Les ONG y voient surtout un moyen de pérenniser les « pushbacks », qui consistent à refouler illégalement les migrants sans leur donner la possibilité de déposer une demande d’asile, pratiqués par la Lituanie depuis l’été 2021.

      Voté en seconde lecture par une grosse majorité des parlementaires, jeudi 20 avril, l’amendement à la loi sur les frontières de l’Etat prévoit qu’en « situation d’urgence », face à l’afflux massif de ressortissants étrangers aux frontières du pays, le gouvernement pourra limiter l’accès au territoire. Les gardes-frontières seront alors autorisés à expulser les migrants entrés illégalement et se trouvant dans une zone large de 5 kilomètres depuis la frontière. Une exception a été ajoutée par les députés pour les personnes fuyant un conflit armé, des persécutions, ou nécessitant une assistance humanitaire.

      « A première vue, la proposition semble assez équilibrée et inclut même des garanties », note Viktor Ostrovnoj, en charge de l’asile et de l’immigration à la Croix-Rouge lituanienne. Il rappelle cependant que l’état d’urgence − le premier décret déclarant l’urgence à la frontière avec la Biélorussie est entré en vigueur le 3 août 2021 − est toujours en place. Avec le vote des députés, « ce qui était censé être une mesure temporaire, permettant de faire face à des crises de courte durée, risque de devenir un nouveau statu quo », remarque Viktor Ostrovnoj.

      Plus de 20 000 « pushbacks »

      Directrice du bureau du Défenseur des droits au Parlement, à Vilnius, Erika Leonaite critique elle aussi le texte. Celui-ci crée, selon elle, « l’illusion » que la Lituanie pourra continuer de garantir le droit d’asile. Or, objecte-t-elle, « c’est un service de l’immigration et non pas les gardes-frontières dans la forêt qui est compétent pour déterminer si une personne fuit des persécutions, telles qu’elles sont définies par la Convention relative au statut des réfugiés ».

      A titre d’exemple, Mme Leonaite mentionne le cas de quatre ressortissants cubains, refoulés en avril 2022 alors qu’ils tentaient d’entrer en Lituanie. Ils ont finalement obtenu l’asile en mars, après l’intervention de la Cour européenne des droits de l’homme. « C’est la preuve que le système ne fonctionne pas », affirme la Défenseure des droits.

      Selon les statistiques officielles, les gardes-frontières ont mené 20 150 « pushbacks » depuis le 3 août 2021 et le premier décret ministériel autorisant les refoulements. Des chiffres difficiles à vérifier car peu d’observateurs sont autorisés sur place. En août 2022, la Lituanie a achevé la construction d’une barrière d’environ 550 kilomètres sur sa frontière commune avec la Biélorussie, longue de 700 kilomètres. Les demandeurs d’asile ne peuvent entrer qu’aux postes-frontières, à condition de disposer de papiers d’identité.

      « De très gros risques de dérapage »

      A plusieurs occasions, les ONG ont dénoncé les conditions désastreuses dans lesquelles vivent les migrants. Plusieurs ont dû être amputés à cause du froid. Le 6 avril, les gardes-frontières lituaniens ont découvert le corps sans vie d’un Indien d’une quarantaine d’années près de la ligne de séparation avec la Biélorussie. En août 2022, un homme originaire du Sri Lanka avait déjà été trouvé mort à la frontière.

      La violence et les mauvais traitements risquent aussi de s’intensifier avec la nouvelle loi, qui prévoit d’embaucher des civils pour venir en aide aux gardes-frontières, sur le modèle des « chasseurs frontaliers » recrutés par la Hongrie en 2017. « Il y a de très gros risques de dérapage car ces personnes, qui ne sont pas bien formées, ni entraînées, devraient être armées », révèle Lina Vosyliute, de l’association Global Lithuanian Leaders.

      Depuis le 18 avril, plus d’une trentaine d’organisations européennes et 140 universitaires originaires du monde entier ont signé une lettre ouverte, adressée aux députés lituaniens et à la première ministre, Ingrida Simonyte. Ils dénoncent une loi qui « viole non seulement le droit à une procédure d’asile équitable et efficace et le principe de non-refoulement, mais restreint également l’aide humanitaire et les activités indépendantes de surveillance des droits de l’homme par les ONG ».

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/04/21/la-lituanie-s-apprete-a-legaliser-les-refoulements-de-migrants_6170474_3210.

    • Lithuania’s border protection law to allow ‘volunteer’ patrols to use violence against asylum seekers

      A controversial law on border protection, which is making its way in the Lithuanian parliament, may allow volunteers from around Europe to join border guard service and use violence against migrants, EUObserver reports.

      The bill, which legalises the controversial practise of forcing irregular migrants back into Belarus, passed the first reading on Thursday with 69 votes in favour, seven against and 24 abstentions. The legislation is being pushed via a fast-track procedure and is scheduled for the final vote on April 25.

      Among other things, it institutes border guard service “sponsors” – volunteers who can patrol and use coercion against migrants and asylum seekers, help make arrests, and perform other patrol guard-like duties.

      “There is no restriction for people from abroad to come,” Emilija Švobaitė, a lawyer and rights campaigner at the Sienos Grupė (Border Group) NGO, told EUobserver ahead of Thursday’s vote.

      She said it means that, for example, radical right-wing groups from Germany could come and patrol alongside national border guards.

      Meanwhile, journalists and independent monitors will be banned from the border, she said.

      Sponsors can be citizens of any EU member state so long as they speak some Lithuanian and have declared their residence in the country, are at least 18 years old, and are not currently serving as a border guard somewhere else.

      Rights groups have also criticised the practice of Lithuanian border guard service to force people back into Belarus. The policy was performed under a decree by the Interior Ministry, but is now being transposed into law.

      “Basically they are legalising the pushbacks at the border,” EUObserver quotes Monika Guliakaitė-Danisevičienė of the Lithuanian Human Rights Centre NGO.

      Similar comments were made by Amnesty International earlier this week, which described the Lithuanian bill as a green-light to torture.

      According to EUObserver, the European Commission said it was not yet able to comment on the draft law.

      https://www.lrt.lt/en/news-in-english/19/1968329/lithuania-s-border-protection-law-to-allow-volunteer-patrols-to-use-violence-aga

    • Le texte légal :

      Projektas Nr. XIVP-2383(2)

      LIETUVOS RESPUBLIKOS

      VALSTYBĖS SIENOS IR JOS APSAUGOS ĮSTATYMo Nr.VIII-1666 1, 2, 4, 10, 11, 14, 15, 16, 18, 23, 26 straipsnių pakeitimo ir ĮSTATYMO PAPILDYMO 231 straipsniu ir NAUJU IX SKYRIUMI

      įstatymas

      2023 m. d. Nr.

      Vilnius

      1 straipsnis. 1 straipsnio pakeitimas

      Pakeisti 1 straipsnio 1 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „1. Šis įstatymas nustato Lietuvos Respublikos valstybės sienos ir pasienio teisinius režimus, pasienio kontrolės punktų veiklą, valstybės sienos apsaugos organizavimą, Valstybės sienos apsaugos tarnybos prie Lietuvos Respublikos vidaus reikalų ministerijos (toliau – Valstybės sienos apsaugos tarnyba) struktūrą, jos organizavimo pagrindus, finansavimą, funkcijas, bendradarbiavimą su kitomis valstybės ir savivaldybių institucijomis ir įstaigomis bei visuomene, pareigūnų teises ir pareigas, taip pat prievartos panaudojimo teisėtumo sąlygas, Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjų veiklos teisinius pagrindus.“

      2 straipsnis. 2 straipsnio pakeitimas

      1. Pakeisti 2 straipsnio 8 dalies nuostatą iki dvitaškio ir ją išdėstyti taip :

      „8. Lietuvos Respublikos valstybės sienos apsauga (toliau – valstybės sienos apsauga) –veikla, kuria siekiama :“.

      2. Pakeisti 2 straipsnio 20 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „20. Prievarta – veiklos metodas, kuris taikomas, kai nevykdomi Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūno ar Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjo reikalavimai ar nurodymai arba siekiama išvengti pavojaus, ir kuriuo siekiama įgyvendinti Valstybės sienos apsaugos tarnybai pavestas funkcijas.“

      3. Papildyti 2 straipsnį 221 dalimi :

      „221. Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjas (toliau – rėmėjas) – šiame įstatyme nustatytus reikalavimus atitinkantis fizinis asmuo, savo noru padedantis Valstybės sienos apsaugos tarnybai vykdyti šiame įstatyme jai nustatytas funkcijas.“

      4. Pakeisti 2 straipsnio 26 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „26. Kitos šiame įstatyme vartojamos sąvokos suprantamos taip, kaip jos apibrėžiamos Lietuvos Respublikos asmens duomenų, tvarkomų nusikalstamų veikų prevencijos, tyrimo, atskleidimo ar baudžiamojo persekiojimo už jas, bausmių vykdymo arba nacionalinio saugumo ar gynybos tikslais, teisinės apsaugos įstatyme (toliau – Asmens duomenų, tvarkomų teisėsaugos ar nacionalinio saugumo tikslais, įstatymas), Lietuvos Respublikos civiliniame kodekse, Lietuvos Respublikos atliekų tvarkymo įstatyme, Lietuvos Respublikos aviacijos įstatyme, Lietuvos Respublikos cheminių medžiagų ir preparatų įstatyme, Lietuvos Respublikos krizių valdymo ir civilinės saugos įstatyme, Lietuvos Respublikos ginklų ir šaudmenų kontrolės įstatyme, Lietuvos Respublikos įstatyme „Dėl užsieniečių teisinės padėties“, Lietuvos Respublikos jūros aplinkos apsaugos įstatyme, Lietuvos Respublikos krašto apsaugos sistemos organizavimo ir karo tarnybos įstatyme, Lietuvos Respublikos narkotinių ir psichotropinių medžiagų kontrolės įstatyme, Lietuvos Respublikos nuodingųjų medžiagų priežiūros įstatyme, Lietuvos Respublikos policijos įstatyme, Lietuvos Respublikos sprogmenų apyvartos kontrolės įstatyme, Lietuvos Respublikos saugios laivybos įstatyme, Lietuvos Respublikos vidaus tarnybos statute, Lietuvos Respublikos valstybės ir savivaldybių turto valdymo, naudojimo ir disponavimo juo įstatyme ir Reglamente (ES) Nr. 2016/399, 2016 m. balandžio 27 d. Europos Parlamento ir Tarybos reglamente (ES) 2016/679 dėl fizinių asmenų apsaugos tvarkant asmens duomenis ir dėl laisvo tokių duomenų judėjimo ir kuriuo panaikinama Direktyva 95/46/EB (Bendrasis duomenų apsaugos reglamentas), 1951 m. Konvencijoje dėl pabėgėlių statuso, 1982 m. Jungtinių Tautų jūrų teisės konvencijoje.“

      3 straipsnis. 4 straipsnio pakeitimas

      1. Pakeisti 4 straipsnio 6 dalies 2 punktą ir jį išdėstyti taip :

      „2) Vyriausybės nustatyta tvarka laikinai atnaujinus patikrinimus prie vidaus sienos siekiant užtikrinti viešąją tvarką, Lietuvos Respublikos nacionalinį saugumą.“

      2. Papildyti 4 straipsnį 13 dalimi :

      „13. Esant paskelbtai valstybės lygio ekstremaliajai situacijai dėl masinio užsieniečių antplūdžio ir siekiant užtikrinti Lietuvos Respublikos nacionalinį saugumą ir viešąją tvarką, Vyriausybė Nacionalinio saugumo komisijos pasiūlymu gali priimti sprendimą, kad užsieniečiai, ketinantys kirsti ar kirtę valstybės sieną tam nenustatytose vietose arba tam nustatytose vietose, tačiau pažeidę valstybės sienos kirtimo tvarką, ir esantys pasienio ruože, į Lietuvos Respublikos teritoriją neįleidžiami. Ši nuostata taikoma individualiai kiekvienam minėtam užsieniečiui. Jeigu nustatoma, kad užsienietis traukiasi nuo Vyriausybės sprendime nurodytų ginkluotų konfliktų, taip pat persekiojimo, kaip jis apibrėžtas Konvencijoje dėl pabėgėlių statuso, arba siekia patekti į Lietuvos Respublikos teritoriją humanitariniais tikslais, nuostata dėl užsieniečių neįleidimo į Lietuvos Respubliką netaikoma. Užsieniečių, kirtusių valstybės sieną tam nenustatytose vietose arba tam nustatytose vietose, tačiau pažeidusių valstybės sienos kirtimo tvarką, buvimas pasienio ruože nelaikomas buvimu Lietuvos Respublikos teritorijoje. Į Lietuvos Respublikos teritoriją neįleidžiamiems užsieniečiams turi būti atliktas pagalbos poreikio įvertinimas ir, esant pagalbos poreikiui, šiems užsieniečiams suteikiama reikalinga neatidėliotina medicinos ar humanitarinė pagalba. Šioje dalyje nurodyto Vyriausybės sprendimo neįleisti užsieniečių į Lietuvos Respublikos teritoriją vykdymo ir pagalbos poreikio įvertinimo tvarką nustato Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.“

      4 straipsnis. 10 straipsnio pakeitimas

      Pakeisti 10 straipsnį ir jį išdėstyti taip :

      „10 straipsnis. Valstybės sienos kirtimo laikinas apribojimas arba nutraukimas

      Vyriausybė, užtikrindama Lietuvos Respublikos nacionalinį saugumą, visuomenės rimtį, siekdama apsaugoti gyventojus ir aplinką nuo pavojingų ir ypač pavojingų užkrečiamųjų ligų ar jų sukėlėjų įvežimo ir išplitimo, esant paskelbtai ekstremaliajai situacijai, taip pat gretimos valstybės prašymu gali laikinai apriboti arba nutraukti vykimą per valstybės sieną ar tam tikrus pasienio kontrolės punktus.“

      5 straipsnis. 11 straipsnio pakeitimas

      1. Pakeisti 11 straipsnio 3 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „3. Pasienio ruožas nustatomas iki 5 km pločio į Lietuvos Respublikos teritorijos gilumą nuo valstybės sienos, einančios sausuma, pasienio vandenimis. Pasienio ruožo ribas tvirtina Vyriausybė vidaus reikalų ministro teikimu.“

      2. Papildyti 11 straipsnį 10 dalimi :

      „10. Esant paskelbtai valstybės lygio ekstremaliajai situacijai dėl masinio užsieniečių antplūdžio, asmenys į pasienio ruožą gali patekti tik turėdami Valstybės sienos apsaugos tarnybos išduotą leidimą. Šis leidimas išduodamas Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado nustatytais atvejais. Reikalavimas turėti Valstybės sienos apsaugos tarnybos išduotą leidimą netaikomas asmenims :

      1) gyvenantiems pasienio ruože ir (ar) esantiems nekilnojamojo turto, kuris yra pasienio ruože, savininkais ar naudotojais ;

      2) dirbantiems ar besimokantiems pasienio ruože ;

      3) vykdantiems ūkinę, komercinę veiklą ar kelių, ryšio linijų ir kitų viešojo intereso objektų priežiūros veiklą pasienio ruože ;

      4) vykstantiems magistraliniais, krašto ar rajoniniais keliais arba geležinkeliais, esančiais pasienio ruože ar kertančiais pasienio ruožą ;

      5) kertantiems valstybės sieną per pasienio kontrolės punktus ar vykstantiems į darbo vietą, esančią pasienio kontrolės punkte ;

      6) vykdantiems valstybės sienos apsaugos objektų ir įrenginių statybą, įrengimą ir (ar) priežiūrą.“

      6 straipsnis. 14 straipsnio pakeitimas

      1. Pakeisti 14 straipsnio 2 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „2. Sąrašas sudaromas Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado nustatyta tvarka. Į sąrašą gali būti įrašyti motyvuotą prašymą pateikę fiziniai ir juridiniai asmenys, juridinių asmenų filialai, atstovybės bei juridinio asmens statuso neturintys asmenys. Šioje dalyje nurodyti subjektai į sąrašą negali būti įrašyti, jeigu :

      1) fizinis asmuo, juridinio asmens, juridinio asmens filialo, atstovybės ar juridinio asmens statuso neturinčio asmens vadovas arba kitas atsakingas asmuo turi neišnykusį ar nepanaikintą teistumą už tyčinį nusikaltimą ;

      2) nėra praėję vieneri metai nuo fiziniam asmeniui, juridinio asmens, juridinio asmens filialo, atstovybės ar juridinio asmens statuso neturinčio asmens vadovui arba kitam atsakingam asmeniui paskirtos administracinės nuobaudos ar administracinio poveikio priemonės už teisės aktų, reglamentuojančių valstybės sienos kirtimą ir patikrinimą arba pasienio teisinį režimą, pažeidimą, kontrabandą arba akcizais apmokestinamų prekių įsigijimą, laikymą, gabenimą, naudojimą ar realizavimą pažeidžiant nustatytą tvarką, neteisėtą valstybės sienos perėjimą dėl neatsargumo įvykdymo dienos ;

      3) juridiniam asmeniui yra įsiteisėjęs apkaltinamasis teismo nuosprendis dėl tyčinio nusikaltimo ir yra bent viena iš šių sąlygų :

      a) po bausmės atlikimo nėra praėję treji metai, kai padarytas nusikaltimas pagal Lietuvos Respublikos baudžiamąjį kodeksą priskiriamas nesunkiems arba apysunkiams nusikaltimams ;

      b) po bausmės atlikimo nėra praėję penkeri metai, kai padarytas nusikaltimas pagal Baudžiamąjį kodeksą priskiriamas sunkiems nusikaltimams ;

      c) po bausmės atlikimo nėra praėję aštuoneri metai, kai padarytas nusikaltimas pagal Baudžiamąjį kodeksą priskiriamas labai sunkiems nusikaltimams.“

      2. Pakeisti 14 straipsnio 3 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „3. Sprendimas atsisakyti įrašyti fizinius ir juridinius asmenis, juridinių asmenų filialus, atstovybes bei juridinio asmens statuso neturinčius asmenis į sąrašą gali būti priimamas, kai :

      1) fizinis ir juridinis asmuo, juridinio asmens filialas, atstovybė bei juridinio asmens statuso neturintis asmuo, pateikdamas prašymą, jame ar kartu su prašymu pateiktuose dokumentuose sąmoningai nurodė tikrovės neatitinkančius duomenis ;

      2) fizinis ir juridinis asmuo, juridinio asmens filialas, atstovybė bei juridinio asmens statuso neturintis asmuo pateikė ne visus reikiamus dokumentus, nurodytus sąrašo sudarymo tvarkos apraše ;

      3) fizinis ir juridinis asmuo, juridinio asmens filialas, atstovybė bei juridinio asmens statuso neturintis asmuo kartu su prašymu pateikė negaliojančius dokumentus ;

      4) nustatomos šio straipsnio 2 dalyje nurodytos aplinkybės, dėl kurių fizinis asmuo, juridinis asmuo, juridinio asmens filialas, atstovybė ar juridinio asmens statuso neturintis asmuo negali būti įrašytas į sąrašą ;

      5) asmuo, kurio buvimas valstybės sienos apsaugos zonoje, pasienio juostoje, pasienio vandenyse, kurių vandenimis arba krantais eina išorės siena, gali kelti grėsmę viešajai tvarkai ar visuomenės saugumui ;

      6) fizinio ir juridinio asmens, juridinio asmens filialo, atstovybės bei juridinio asmens statuso neturinčio asmens vykdoma veikla pasienio juostos dalyje, kuri yra sausumoje, nesusijusi su valstybės sienos apsaugos objektų bei įrenginių statyba, įrengimu ir (ar) priežiūra.“

      3. Pakeisti 14 straipsnio 5 dalies 1 punktą ir jį išdėstyti taip :

      „1) paaiškėja šio straipsnio 3 dalies 1, 3, 4 ir 5 punktuose nurodytos aplinkybės arba, kad fizinis ir juridinis asmuo, juridinio asmens filialas, atstovybė bei juridinio asmens statuso neturintis asmuo kartu su prašymu pateikė suklastotus dokumentus ;“

      4. Papildyti 14 straipsnio 5 dalį 6 punktu :

      „6) paaiškėja, kad nebevykdoma veikla pasienio juostos dalyje, kuri yra sausumoje, susijusi su valstybės sienos apsaugos objektų bei įrenginių statyba, įrengimu ir (ar) priežiūra.“

      7 straipsnis. 15 straipsnio pakeitimas

      Pakeisti 15 straipsnio 3 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „3. Draudžiama gadinti, naikinti valstybės sienos ženklus, kitus valstybės sienos apsaugos objektus ir įrenginius ar kitaip daryti žalą pasienio juostai. Valstybės sienos apsaugos objektų ir įrenginių apsaugos zonos ir jose taikomos specialiosios žemės naudojimo sąlygos nustatytos Lietuvos Respublikos specialiųjų žemės naudojimo sąlygų įstatyme.“

      8 straipsnis. 16 straipsnio pakeitimas

      1. Pakeisti 16 straipsnio 4 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „4. Juridiniai asmenys, juridinių asmenų filialai, atstovybės ar juridinio asmens statuso neturintys asmenys, kurių teritorijoje yra steigiamas ar įsteigtas pasienio kontrolės punktas, privalo patikrinimų įstaigoms suteikti patikrinimams atlikti reikalingą infrastruktūrą. Už naudojimąsi juridiniams asmenims, juridinių asmenų filialams, atstovybėms ar juridinio asmens statuso neturintiems asmenims priklausančia infrastruktūra, išskyrus šio straipsnio 41 dalyje nurodytą infrastruktūrą, atlyginama Vyriausybės nustatytomis sąlygomis ir tvarka.“

      2. Papildyti 16 straipsnį 41 dalimi :

      „41. Jeigu valstybės ir savivaldybių institucijų ir įstaigų, valstybės ir savivaldybės valdomų įmonių, valstybės ir savivaldybės valdomų bendrovių dukterinių akcinių ir uždarųjų akcinių bendrovių, kaip šios bendrovės suprantamos Lietuvos Respublikos akcinių bendrovių įstatyme, kurių teritorijoje yra steigiamas ar įsteigtas pasienio kontrolės punktas, patikėjimo teise valdomos, naudojamos ir disponuojamos valstybės infrastruktūros ar jos dalies reikia patikrinimų įstaigoms patikrinimams atlikti, tokia valstybės infrastruktūra ar jos dalis atitinkamų patikrinimų įstaigų prašymu ir vadovaujantis Valstybės ir savivaldybių turto valdymo, naudojimo ir disponavimo juo įstatymu perduodama panaudos pagrindais neatlygintinai valdyti ir naudotis patikrinimų įstaigoms patikrinimams atlikti.“

      3. Pakeisti 16 straipsnio 6 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „6. Pasienio kontrolės punkto teritorijos schemą ir pasienio kontrolės punkto darbo nuostatus tvirtina Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas ir Muitinės departamento generalinis direktorius. Pasienio kontrolės punkto, kuriame nėra muitinės įstaigos, teritorijos schemą ir darbo nuostatus tvirtina Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.“

      9 straipsnis. 18 straipsnio pakeitimas

      Pakeisti 18 straipsnį ir jį išdėstyti taip :

      „18 straipsnis. Valstybės sienos apsaugos subjektai, kitų subjektų pasitelkimas, valstybės sienos apsauga ginkluoto užpuolimo, karo, nepaprastosios padėties ar ekstremaliosios situacijos atveju

      1. Valstybės sienos apsaugą atlieka Valstybės sienos apsaugos tarnyba.

      2. Valstybės sienos apsauga sustiprinama vadovaujantis valstybės sienos apsaugos priedangos planu, kurį tvirtina Vyriausybė.

      3. Siekiant sustiprinti valstybės sienos apsaugą, į pagalbą Valstybės sienos apsaugos tarnybai pasitelkiami :

      1) vidaus reikalų ministro nustatyta tvarka – vidaus reikalų ministro valdymo srities statutinių įstaigų vidaus tarnybos sistemos pareigūnai ;

      2) Krašto apsaugos sistemos organizavimo ir karo tarnybos įstatymo nustatyta tvarka – Lietuvos kariuomenė ;

      3) Lietuvos Respublikos Lietuvos šaulių sąjungos įstatymo nustatyta tvarka – Lietuvos šaulių sąjunga ;

      4) valstybės sienos apsaugos priedangos plane nustatyta tvarka – patikrinimų įstaigos, Aplinkos apsaugos departamentas prie Aplinkos ministerijos ir kiti subjektai.

      4. Ginkluoto užpuolimo, karo ar nepaprastosios padėties atveju valstybės siena saugoma šio įstatymo, Lietuvos Respublikos karo padėties įstatymo, Lietuvos Respublikos ginkluotos gynybos ir pasipriešinimo agresijai įstatymo, Lietuvos Respublikos nepaprastosios padėties įstatymo nustatyta tvarka.“

      10 straipsnis. 23 straipsnio pakeitimas

      1. Pripažinti netekusia galios 23 straipsnio 5 dalį.

      2. Pakeisti 23 straipsnio 6 dalį ir ją išdėstyti taip :

      „6. Valstybės sienos apsaugos tarnyba vidaus reikalų ministro valdymo srities centrinių statutinių įstaigų vadovų prašymu padeda atlikti vidaus reikalų ministro valdymo srities statutinėms įstaigoms pavestas funkcijas. Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūnų pasitelkimo tvarką ir konkrečias užduotis nustato vidaus reikalų ministras.“

      11 straipsnis. Įstatymo papildymas 231 straipsniu

      Papildyti Įstatymo VI skyrių 231 straipsniu :

      „231 straipsnis. Valstybės sienos apsaugos tarnybos bendradarbiavimas su kitomis valstybės ir savivaldybių institucijomis ir įstaigomis bei visuomene

      1. Valstybės sienos apsaugos tarnyba, įgyvendindama šio įstatymo 23 straipsnyje nustatytas funkcijas, bendradarbiauja su kitomis valstybės ir savivaldybių institucijomis ir įstaigomis, asociacijomis bei kitais asmenimis.

      2. Valstybės sienos apsaugos tarnyba bendradarbiauja su viešosios informacijos rengėjais ir skleidėjais. Valstybės sienos apsaugos tarnyba gali rengti ir leisti visuomenės informavimo priemones, kuriose teikiama informacija apie valstybės sienos apsaugai užtikrinti skirtas priemones, nusikalstamų veikų ir administracinių nusižengimų prevencijos priemonių, Valstybės sienos apsaugos tarnybos funkcijų įgyvendinimą ir skelbiama kita su Valstybės sienos apsaugos tarnybos veikla susijusi informacija.

      3. Valstybės sienos apsaugos tarnyba remia ir inicijuoja prevencines ir teisinio švietimo programas, skleidžia teisines, ekspertines, profesines žinias mokymo įstaigose, visuomenės informavimo priemonėse.“

      12 straipsnis. 26 straipsnio pakeitimas

      Pakeisti 26 straipsnio 1 dalies 12 punktą ir jį išdėstyti taip :

      „12) vidaus reikalų ministro nustatyta tvarka konvojuoti sulaikytus ir suimtus asmenis.“

      13 straipsnis. Įstatymo papildymas nauju IX skyriumi

      Papildyti Įstatymą nauju IX skyriumi :

      „IX SKYRIUS

      RĖMĖJŲ VEIKLOS TEISINIAI PAGRINDAI

      31 straipsnis. Rėmėjų veiklos organizavimas

      1. Rėmėjų veikla organizuojama vadovaujantis šiuo įstatymu ir Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado patvirtintais Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjų nuostatais.

      2. Rėmėjui išduodamas pažymėjimas, atpažinimo ženklas, liemenė su užrašu „Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjas“. Jų išdavimo, nešiojimo ir grąžinimo tvarką, pažymėjimo blanko ir atpažinimo ženklo pavyzdį bei liemenės su užrašu „Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjas“ formą nustato Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.

      3. Rėmėjų veikla finansuojama iš Lietuvos Respublikos valstybės biudžete Valstybės sienos apsaugos tarnybai skirtų lėšų.

      32 straipsnis. Priėmimas į rėmėjus

      1. Rėmėju gali tapti ne jaunesnis kaip 18 metų mokantis lietuvių kalbą Valstybės sienos apsaugos tarnyboje netarnaujantis ir neatliekantis tikrosios karo tarnybos Lietuvos Respublikos pilietis ar Lietuvos Respublikoje nuolat gyvenantis kitos Europos Sąjungos valstybės narės pilietis, turintis ne žemesnį kaip vidurinį ar jam prilygintą išsilavinimą. Europos Sąjungos valstybės narės pilietis yra laikomas nuolat gyvenančiu Lietuvos Respublikoje, jeigu jis deklaravo gyvenamąją vietą Lietuvos Respublikoje ir kurio duomenys apie gyvenamąją vietą Lietuvos Respublikoje įrašyti į Lietuvos Respublikos gyventojų registrą.

      2. Norintis tapti rėmėju asmuo pateikia prašymą Valstybės sienos apsaugos tarnybai. Lietuvos šaulių sąjungos, kitų asociacijų, kurių įstatuose viena iš funkcijų numatytas viešojo saugumo užtikrinimas, vadovai gali pateikti Valstybės sienos apsaugos tarnybai rekomenduojamų būti rėmėjais asmenų sąrašus kartu su šiuose sąrašuose esančių asmenų prašymais tapti rėmėjais.

      3. Valstybės sienos apsaugos tarnyba, gavusi šio straipsnio 2 dalyje nurodytus prašymus, tikrina, ar norintis tapti rėmėju asmuo atitinka šio straipsnio 1 dalyje nustatytus reikalavimus ir ar nėra šio straipsnio 4 dalyje nustatytų aplinkybių. Jeigu norintis tapti rėmėju asmuo atitinka šio straipsnio 1 dalyje nustatytus reikalavimus ir nėra šio straipsnio 4 dalyje nustatytų aplinkybių, jam Valstybės sienos apsaugos tarnyba organizuoja mokymą, kurį baigęs, šis asmuo laiko egzaminą. Reikalavimas dėl mokymo baigimo ir egzamino laikymo netaikomas buvusiems Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūnams, kitiems einantiems pareigas ir buvusiems vidaus tarnybos sistemos pareigūnams, šauliams ir buvusiems tikrosios karo tarnybos kariams. Norintis tapti rėmėju asmuo, išlaikęs šioje dalyje nurodytą egzaminą, Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado ar jo įgalioto asmens sprendimu įrašomas į rėmėjų sąrašą. Jeigu norintis tapti rėmėju asmuo neatitinka šio straipsnio 1 dalyje nustatytų reikalavimų arba yra šio straipsnio 4 dalyje nustatytų aplinkybių arba neišlaikomas šioje dalyje nurodytas egzaminas, asmens prašymas tapti rėmėju netenkinamas. Rėmėjų mokymo organizavimo tvarką, mokymo programai taikomus reikalavimus ir egzamino organizavimo, laikymo, vertinimo tvarką nustato Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.

      4. Rėmėju negali būti :

      1) asmuo, turintis teistumą už nusikaltimą, taip pat už baudžiamąjį nusižengimą nuteistas asmuo, jeigu nuo teismo nuosprendžio įsiteisėjimo dienos nepraėjo 1 metai, taip pat asmuo, kuriam Lietuvos Respublikos organizuoto nusikalstamumo prevencijos įstatymo nustatyta tvarka taikomi teismo įpareigojimai ;

      2) asmuo, kuris anksčiau dirbo statutiniu valstybės tarnautoju, teisėju, notaru, prokuroru, advokatu, antstoliu ar atliko tikrąją karo tarnybą ir buvo atleistas atitinkamai už pareigūno vardo pažeminimą, teisėjo vardą žeminantį poelgį, notarų profesinės etikos ir tarnybinius nusižengimus, prokuroro vardą žeminantį poelgį, advokato profesinės etikos bei profesinės veiklos pažeidimus, antstolio profesinės ar tarnybinės veiklos pažeidimus ar kario vardą žeminančias arba krašto apsaugos sistemos institucijas diskredituojančias veikas ir nuo šio atleidimo dienos nepraėjo 5 metai ;

      3) asmuo, kuris yra įstatymų nustatyta tvarka uždraustos organizacijos narys.

      5. Į rėmėjų sąrašą įrašytas asmuo pasirašo 3 metų sutartį su Valstybės sienos apsaugos tarnyba, kurioje įsipareigoja neatlygintinai padėti Valstybės sienos apsaugos tarnybai vykdyti šio įstatymo 23 straipsnio 1 dalies 1–5 punktuose nustatytas funkcijas (toliau – sutartis). Praėjus 3 metų laikotarpiui, jeigu rėmėjas be pažeidimų vykdė jam keliamas užduotis, sutarties galiojimas šalių sutarimu pratęsiamas tam pačiam laikotarpiui. Sutarties sudarymo tvarką ir sutarties sąlygas nustato Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.

      6. Apie nepatenkintą asmens prašymą tapti rėmėju, šio sprendimo apskundimo galimybę ir asmens įrašymą į rėmėjų sąrašą Valstybės sienos apsaugos tarnyba informuoja prašymą pateikusį asmenį ir jį rekomendavusią asociaciją Viešojo administravimo įstatymo nustatyta tvarka. Sprendimas netenkinti asmens prašymo tapti rėmėju gali būti Lietuvos Respublikos administracinių bylų teisenos įstatymo nustatyta tvarka skundžiamas apygardos administraciniam teismui.

      33 straipsnis. Išbraukimas iš rėmėjų sąrašo ir sutarties su rėmėju nutraukimas

      1. Rėmėjas Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado ar jo įgalioto asmens sprendimu išbraukiamas iš rėmėjų sąrašo ir su juo nutraukiama sutartis :

      1) rėmėjo prašymu ;

      2) dėl rėmėjo vardo diskreditavimo ;

      3) jei rėmėjas nebeatitinka šio įstatymo 32 straipsnio 1 dalyje nustatytų reikalavimų arba atsiranda, paaiškėja šio įstatymo 32 straipsnio 4 dalyje nustatytos aplinkybės ;

      4) jei rėmėjas ilgiau negu 6 mėnesius iš eilės nedalyvauja rėmėjų veikloje.

      2. Šio straipsnio 1 dalyje nurodytas Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado ar jo įgalioto asmens sprendimas gali būti Administracinių bylų teisenos įstatymo nustatyta tvarka skundžiamas apygardos administraciniam teismui.

      34 straipsnis. Rėmėjų funkcijos, teisės ir pareigos

      1. Rėmėjai padeda Valstybės sienos apsaugos tarnybai vykdyti šio įstatymo 23 straipsnio 1 dalies 1–5 punktuose nustatytas funkcijas, kurias atlieka kartu su Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūnais.

      2. Rėmėjai, atlikdami jiems pavestas funkcijas, turi teisę :

      1) šio įstatymo nustatyta tvarka ir atvejais panaudoti prievartą bei specialiąsias priemones ;

      2) nustatyti pažeidėjo asmens tapatybę ;

      3) padėti sulaikyti asmenį, įtariamą padariusį pažeidimą ;

      4) padėti stabdyti transporto priemones, kai įtariama, kad yra daroma ar padaryta nusikalstama veika ;

      5) padėti atlikti asmens apžiūrą ir daiktų, krovinių, dokumentų, patalpų patikrinimą ;

      6) siekiant užkirsti kelią daromiems nusikaltimams, persekiojant ir sulaikant teisės pažeidėjus, įeiti į fiziniams ir juridiniams asmenims, juridinių asmenų filialams, atstovybėms bei juridinio asmens statuso neturintiems asmenims priklausiančias gyvenamąsias ir negyvenamąsias patalpas, teritorijas ;

      7) padėti pristatyti administracinėn atsakomybėn traukiamą asmenį šio sutikimu į Valstybės sienos apsaugos tarnybos, policijos tarnybines patalpas ar seniūnijos patalpas kaimo gyvenamosiose vietovėse ;

      8) reikalauti, kad asmenys vykdytų teisėtus reikalavimus ir nurodymus.

      3. Rėmėjai, atlikdami jiems pavestas funkcijas, privalo :

      1) gerbti ir ginti žmogaus orumą, užtikrinti ir saugoti žmogaus teises ir laisves ;

      2) suteikti nukentėjusiems asmenims, taip pat į Lietuvos Respublikos teritoriją neįleidžiamiems užsieniečiams neatidėliotiną medicinos ar kitą būtinąją pagalbą ;

      3) imtis priemonių asmenų, valstybės ir savivaldybės turtui gelbėti įvykių, ekstremaliųjų įvykių ar ekstremaliųjų situacijų atvejais ;

      4) saugoti jiems patikėtas ar sužinotas valstybės, tarnybos ar komercines paslaptis ;

      5) nešioti atpažinimo ženklą, liemenę su užrašu „Valstybės sienos apsaugos tarnybos rėmėjas“, prisistatyti, parodyti rėmėjo pažymėjimą ;

      6) gavę pranešimą apie rengiamą ar daromą teisės pažeidimą, pastebėję rengiamą ar daromą teisės pažeidimą, imtis neatidėliotinų priemonių užkirsti kelią rengiamam arba daromam teisės pažeidimui ;

      7) gavę pranešimą apie padarytą teisės pažeidimą, nedelsdami pranešti apie tai policijai arba kitai kompetentingai institucijai ar įstaigai, imtis neatidėliotinų priemonių įvykio vietai apsaugoti, liudytojams nustatyti ;

      8) vadovautis teisės aktais, pavestas užduotis atlikti laiku ir tiksliai.

      35 straipsnis. Rėmėjų įgaliojimai

      1. Rėmėjai, atlikdami jiems pavestas funkcijas, vadovaujasi Lietuvos Respublikos Konstitucija, šiuo ir kitais įstatymais.

      2. Teisėti rėmėjų reikalavimai ir nurodymai yra privalomi asmenims.

      3. Už rėmėjų teisėtų reikalavimų ir nurodymų nevykdymą asmenys atsako įstatymų, reglamentuojančių teisinę atsakomybę, nustatyta tvarka.

      36 straipsnis. Rėmėjų socialinės ir kitos garantijos

      1. Valstybės sienos apsaugos tarnyba išmoka vienkartinę išmoką rėmėjui, jeigu atliekant jam pavestas funkcijas rėmėjas buvo sužalotas ir dėl šio sužalojimo nustatytas :

      1) sunkus sveikatos sutrikdymo mastas − 60 bazinių socialinių išmokų dydžio ;

      2) nesunkus ar nežymus sveikatos sutrikdymo mastas − 40 bazinių socialinių išmokų dydžio.

      2. Valstybės sienos apsaugos tarnyba 120 bazinių socialinių išmokų dydžio vienkartinę išmoką lygiomis dalimis išmoka :

      1) rėmėjo, kuris žuvo atlikdamas jam pavestas funkcijas, šeimos nariams – vaikams (įvaikiams) (įskaitant vaikus, gimusius po rėmėjo mirties), ne vyresniems kaip 18 metų, taip pat vyresniems vaikams (įvaikiams), kurie mokosi įregistruotose bendrojo ugdymo mokyklose ir statutinėse profesinio mokymo įstaigose pagal bendrojo ugdymo ir profesinio mokymo programas grupinio mokymosi forma kasdieniu, neakivaizdiniu ir nuotoliniu mokymo proceso organizavimo būdais ar pavienio mokymosi forma savarankišku ir nuotoliniu mokymo proceso organizavimo būdais arba studijuoja Lietuvos aukštojoje mokykloje pagal nuolatinės formos studijų programas, ne vyresniems kaip 24 metai, sutuoktiniui, sugyventiniui (partneriui), tėvui (įtėviui), motinai (įmotei) ;

      2) asmenims, kuriems nustatytas neįgalumo lygis, 0–25 procentų darbingumo lygis arba senatvės pensijos amžių sukakusiems asmenims, kuriems nustatytas didelių specialiųjų poreikių lygis, jeigu jie buvo rėmėjo, kuris žuvo atlikdamas jam pavestas funkcijas, išlaikomi ar jo žuvimo dieną turėjo teisę gauti jo išlaikymą.

      3. Šiame straipsnyje nustatytos išmokos nemokamos, jeigu :

      1) rėmėjas žuvo ar susižalojo darydamas tyčinę nusikalstamą veiką ;

      2) rėmėjo žuvimo ar susižalojimo priežastis buvo apsvaigimas nuo alkoholio, narkotinių ir kitų psichiką veikiančių medžiagų ;

      3) rėmėjas nusižudė, kėsinosi nusižudyti ar tyčia susižalojo ;

      4) rėmėjo žuvimo ar susižalojimo priežastis buvo transporto priemonės vairavimas neturint teisės ją vairuoti arba perdavimas vairuoti transporto priemonę asmeniui, apsvaigusiam nuo alkoholio, narkotinių ir kitų psichiką veikiančių medžiagų arba neturinčiam teisės ją vairuoti ;

      5) rėmėjo sveikata sutriko ar jis mirė dėl ligos ar karo veiksmų ir tai nesusiję su rėmėjų funkcijų atlikimu.

      4. Šiame straipsnyje nustatytų išmokų mokėjimo rėmėjams tvarką nustato Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.

      5. Kai dėl teisės pažeidėjo veikos rėmėjas sužalojamas, Lietuvos Respublikos civilinio kodekso nustatyta tvarka jam atlyginama turtinė ir neturtinė žala.

      6. Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado nustatyta tvarka ir sąlygomis rėmėjams gali būti atlygintos transporto, ryšių ir kitos išlaidos, patirtos atliekant jiems pavestas funkcijas.

      37 straipsnis. Prievartos naudojimo sąlygos

      1. Rėmėjai, atlikdami jiems pavestas funkcijas, kartu su Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūnais turi teisę panaudoti prievartą šio įstatymo nustatytais atvejais ir tvarka. Rėmėjai turi teisę panaudoti prievartą tik tarnybinio būtinumo atveju ir tik tiek, kiek to reikia jiems pavestoms funkcijoms atlikti. Rėmėjai naudoti prievartą privalo adekvačiai esamoms aplinkybėms ir proporcingai esamam pavojui, atsižvelgdami į konkrečią situaciją, teisės pažeidimo pobūdį, intensyvumą ir individualias teisės pažeidėjo savybes. Fizinė prievarta naudojama tik tada, kai psichinė prievarta buvo neveiksminga arba kai bet koks delsimas kelia pavojų rėmėjo ar kito asmens gyvybei ar sveikatai.

      2. Psichinę ar fizinę prievartą rėmėjas turi teisę panaudoti šiais atvejais :

      1) apsisaugodamas ar apsaugodamas kitus asmenis nuo gresiančio pavojaus gyvybei ar sveikatai ;

      2) asmenims vengiant vykdyti rėmėjo ar Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūno reikalavimus ir nurodymus (siekdamas priversti asmenis paklusti) ;

      3) padėdamas sulaikyti asmenis (jeigu jie priešinasi) ;

      4) atremdamas kėsinimąsi į Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūno šaunamąjį ginklą, sprogmenis, specialiąsias bei ryšio priemones ir siekiamas šiuos objektus susigrąžinti ;

      5) atremdamas statinių (įskaitant patalpas), transporto priemonių ar kito turto, teritorijų užpuolimą ;

      6) padėdamas stabdyti transporto priemonę ;

      7) užkirsdamas kelią administraciniams nusižengimams ar nusikalstamoms veikoms.

      3. Rėmėjas turi teisę naudoti antrankius ir surišimo priemones šio įstatymo 28 straipsnio 4 dalyje nustatytais atvejais.

      4. Specialiąsias priemones (išskyrus antrankius ir surišimo priemones) naudoti draudžiama šio įstatymo 28 straipsnio 7 dalyje nustatytais atvejais.

      5. Rėmėjas, panaudojęs psichinę ar fizinę prievartą ir taip sukėlęs pavojų asmens gyvybei ar sveikatai, turi suteikti asmeniui reikalingą neatidėliotiną medicinos ar kitą būtinąją pagalbą ir imtis kitų reikalingų priemonių pavojingiems savo veiksmų padariniams pašalinti. Apie rėmėjo panaudotą psichinę ar fizinę prievartą, jei tai lėmė asmens mirtį arba gyvybei pavojingą sveikatos sutrikdymą, nedelsiant pranešama prokurorui.

      6. Rėmėjai turi būti specialiai parengti ir reguliariai tikrinami, ar jie geba veikti situacijomis, susijusiomis su psichinės ar fizinės prievartos panaudojimu. Specialiosios priemonės gali būti išduodamos rėmėjams atlikti jiems pavestas funkcijas tik kartu su Valstybės sienos apsaugos tarnybos pareigūnais. Rėmėjų parengimo, tikrinimo bei specialiųjų priemonių išdavimo rėmėjams tvarką nustato Valstybės sienos apsaugos tarnybos vadas.

      38 straipsnis. Rėmėjų skatinimas ir atsakomybė

      1. Rėmėjai, pasižymėję saugant valstybės sieną, gali būti Valstybės sienos apsaugos tarnybos vado ar kitų institucijų paskatinti (apdovanoti).

      2. Rėmėjai gali būti teikiami valstybiniam apdovanojimui Lietuvos Respublikos valstybės apdovanojimų įstatymo nustatyta tvarka.

      3. Rėmėjai už neteisėtas veikas atsako įstatymų, reglamentuojančių teisinę atsakomybę, nustatyta tvarka.“

      14 straipsnis. Buvusio IX skyriaus ir 31 straipsnio pernumeravimas

      1. Buvusį IX skyrių laikyti X skyriumi.

      2. Buvusį 31 straipsnį laikyti 39 straipsniu.

      15 straipsnis. Įstatymo įsigaliojimas, įgyvendinimas ir taikymas

      1. Šis įstatymas, išskyrus šio straipsnio 2 dalį, įsigalioja 2023 m. gegužės 3 d.

      2. Lietuvos Respublikos Vyriausybė, Valstybės sienos apsaugos tarnybos prie Lietuvos Respublikos vidaus reikalų ministerijos vadas ir Muitinės departamento prie Lietuvos Respublikos finansų ministerijos generalinis direktorius iki 2023 m. gegužės 2 d. priima šio įstatymo įgyvendinamuosius teisės aktus.

      3. Šio įstatymo 8 straipsnio 2 dalyje išdėstyto Lietuvos Respublikos valstybės sienos ir jos apsaugos įstatymo 16 straipsnio 41 dalies nuostatos taikomos valstybės infrastruktūrai ar jos daliai, kuri toje dalyje nurodytiems juridiniams asmenims perduota patikėjimo teise valdyti, naudoti ir disponuoti pagal sutartis, sudarytas iki šio įstatymo įsigaliojimo dienos.

      4. 2024 m. sausio 1 d. įsigalioja tokia šio įstatymo 13 straipsnyje išdėstyto Lietuvos Respublikos valstybės sienos ir jos apsaugos įstatymo 36 straipsnio 2 dalies 2 punkto redakcija :

      „2) asmenims, kuriems nustatytas neįgalumo lygis, 0–25 procentų dalyvumo lygis arba senatvės pensijos amžių sukakusiems asmenims, kuriems nustatytas 15 procentų dalyvumo lygis, jeigu jie buvo rėmėjo, kuris žuvo atlikdamas jam pavestas funkcijas, išlaikomi ar jo žuvimo dieną turėjo teisę gauti jo išlaikymą.“

      Skelbiu šį Lietuvos Respublikos Seimo priimtą įstatymą.

      Respublikos Prezidentas

      https://e-seimas.lrs.lt/portal/legalAct/lt/TAP/69c45250dd1c11eda305cb3bdf2af4d8

  • Les mineurs isolés doivent être protégés, pas refoulés !
    ALERTE PRESSE

    Vendredi 21 avril 2023

    Les mineurs isolés doivent être protégés, pas refoulés !

    Depuis le 17 avril, l’Anafé, Médecins du Monde, Amnesty International France, La Cimade et Médecins sans Frontières suivent avec attention la situation à la frontière franco-italienne entre #Vintimille et #Menton, et notamment en ce qui concerne la protection des #mineurs_isolés.

    Au moins une cinquantaine d’entre eux ont rejoint un gymnase à Menton en fin de matinée le 19 avril dans l’attente d’une prise en charge par le département. Avant d’y être transférés, ces mineurs avaient été enfermés (de quelques heures à 2 jours) dans des locaux privatifs de liberté attenants au poste de la #police_aux_frontières de Menton pont Saint-Louis. Cet #enfermement est contraire à la Convention internationale des #droits_de_l’enfant. Nous avons été informés qu’au moins 5 mineurs ont été refoulés vers l’Italie jeudi matin en toute illégalité car ils auraient dû être protégés par l’Aide sociale à l’enfance. Nos associations demandent aux autorités de respecter la Convention internationale des droits de l’enfant, dont la France est signataire, et d’appliquer les procédures prévues dans l’accueil provisoire d’urgence.

    Les mineurs isolés doivent être admis systématiquement et sans délai sur le territoire français. Les autorités compétentes à la frontière doivent donc prendre toutes les mesures et garanties spécifiques pour assurer l’effectivité de leurs droits, leur protection, en particulier la conduite d’un entretien individuel, la notification des droits dans une langue comprise par l’enfant, la désignation sans délai d’un administrateur ad hoc et la possibilité de formuler une demande d’asile.

    Nous rappelons que ces mineurs sont des enfants en danger qu’il faut protéger.

    Signataires :
    Amnesty International France
    Anafé
    La Cimade
    Médecins du Monde
    Médecins sans frontières

    Complément d’informations

    Tous les jours, des dizaines de personnes exilées sont interpellées, privées illégalement de liberté et refoulées à Menton. Parmi elles se trouvent des mineurs isolés, mais également des familles et des demandeurs d’asile. Nos organisations dénoncent des procédures expéditives, qui ne respectent pas les droits de ces personnes, notamment le droit de demander l’asile, d’avoir accès à un interprète, à un avocat et à un médecin. Ces personnes sont enfermées avant d’être refoulées sans examen de leurs situations individuelles - ce qui est illégal. D’après les chiffres transmis par les autorités, 30 146 personnes ont ainsi été refoulées à Menton pont Saint-Louis suite à un refus d’entrée en 2021, parmi lesquelles 1 108 mineurs isolés.

    http://www.anafe.org/spip.php?article673
    #MNA #mineurs #enfants #enfance #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #PAF #France #Italie #push-backs #refoulements #chiffres #statistiques

  • Ces méthodes secrètes d’expulsion

    Renvoyer par tous les moyens et à n’importe quel coût. Voici à quoi font penser les méthodes du Secrétariat d’Etat aux migrations (#SEM). Peu importe si les pratiques utilisées contournent les règles établies par d’autres Etats. Entre 2012 et 2014 au moins, la Suisse a recouru aux services d’une petite compagnie française pour renvoyer à bord de jets des personnes migrantes vers l’Italie.

    Tout laisse à penser qu’il s’agissait de #vols_spéciaux camouflés. Ils étaient enregistrés comme des #vols_de_ligne, mais seules les personnes à renvoyer et du personnel de sécurité et d’encadrement étaient à bord. Il s’agissait d’un moyen de procéder à des renvois difficiles, en contournant les directives italiennes qui refusaient les vols spéciaux. Cette méthode permettait également de ne pas attirer l’attention de la Commission nationale de prévention de la torture (CNPT) qui accompagne tous les vols spéciaux mais pas l’entier des autres renvois par les airs.

    Entre 2014 et 2016, la Confédération avait tout fait pour garder secrètes ces méthodes et ne pas dévoiler les contrats qu’elle avait conclus avec des compagnies aériennes dans le cadre de ces expulsions. Elle craignait de voir les relations entre la Suisse et l’#Italie se détériorer et ces expulsions compromises si le public l’apprenait. Le Tribunal administratif fédéral a finalement contraint Berne à divulguer certains contrats que Le Courrier a obtenus.

    Une enquête du média alémanique Republik révèle que cette pratique n’est pas enterrée. Deux Algériens ont été renvoyés par ce type d’avion en mai dernier. Interrogé, le SEM use de la langue de bois. Il dit ne pas avoir de statistiques sur la taille des avions utilisés. Les contrats transmis sont caviardés. Nous ne savons pas combien d’argent l’Etat engage pour refouler les requérant·es d’asile débouté·es. Ni comment se déroulent ces renvois potentiellement susceptibles de violer des #droits_humains puisqu’aucun civil ne se trouve à bord. On peut sérieusement se questionner sur le coût financier et environnemental du recours à ce type de #refoulement aux frais du contribuable.

    Dans un contexte où les renvois vers la Croatie sont de plus en plus contestés et que l’Italie a suspendu temporairement l’application des accords de Dublin, on peut craindre que de nouvelles méthodes discutables soient mises en place. Le Secrétariat d’Etat aux migrations doit faire preuve de davantage de transparence sur l’exécution des renvois afin de prouver que ceux-ci respectent les droits humains. Il s’agit d’un sujet d’intérêt public majeur, celui du respect élémentaire de la dignité humaine !

    https://lecourrier.ch/2023/04/20/ces-methodes-secretes-dexpulsion

    #expulsions #asile #migrations #réfugiés #Suisse #renvois #jets_privés #compagnies_aériennes #déboutés #refoulements

    • Expulsés par jet

      Des personnes migrantes ont été renvoyées à bord de jets, enregistrés par la Suisse comme des vols de ligne. Une pratique controversée que les autorités veulent garder secrète.

      Ligotés et escortés par douze policiers à bord d’un avion de 19 places. Voici comment deux Algériens affirment avoir été expulsés par la Suisse vers Lyon, puis Alger l’an dernier, dans une enquête du média alémanique Republik, publiée en début d’année. La Suisse a recouru par le passé à de petits avions pour refouler de force des personnes migrantes vers des Etats européens. Ces liaisons étaient enregistrées comme des vols de ligne réguliers. Pourtant, seules les personnes à expulser et du personnel de sécurité ou d’encadrement se trouvaient à bord.

      Une pratique qui soulève de nombreuses questions. Ce moyen permettrait à la Suisse de dissimuler aux pays de destination qu’il s’agit de retours sous la contrainte. Il permettrait également de passer, au moins en partie, entre les filets de la Commission nationale de prévention de la torture (CNPT). En effet, celle-ci n’accompagne que rarement les expulsions par vols de ligne, alors qu’elle le fait pour tous les vols spéciaux, bien plus sensibles au risque de violations des droits humains. Le Courrier a voulu savoir dans quelles conditions ces moyens étaient utilisés et s’ils étaient encore d’actualité, mais le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) semble vouloir garder ces pratiques secrètes.

      D’après Republik, deux Algériens ont été renvoyés depuis Zurich vers Lyon le 31 mai 2022 dans un petit bimoteur à hélices de 19 places, de la compagnie aérienne française #Twin_Jet. Ils auraient ensuite été transférés dans un avion de la compagnie #ASL_Airlines qui les a expulsés vers Alger, avec l’aide de la police française. A cette époque, l’Algérie n’acceptait pas les retours sous contraintes de ses ressortissant·es.

      Vol spécial camouflé ?

      Selon le témoignage de l’un des deux hommes, recueilli par le média alémanique, l’un d’entre eux aurait été attaché à un fauteuil roulant afin d’être entièrement immobilisé. Ils étaient escortés par douze policiers au total, six par personne. Le Courrier a contacté Tana Ibarra, conseillère juridique bénévole de l’association Asylex chargée de représenter l’une de ces deux personnes. « C’est la première fois que j’observe un renvoi effectué de cette façon. Pour moi, il s’apparente clairement à un vol spécial de degré 4 (lire ci-dessous). Ce n’est que dans des cas extrêmes que la Suisse réserve un avion pour renvoyer uniquement deux personnes, car c’est extrêmement cher. »

      L’avocate, qui vient en aide aux personnes migrantes détenues, explique que son client était sous le coup d’une ordonnance pénale et d’une interdiction à vie d’entrée sur le territoire suisse. Elle ne connaît pas la nature du délit commis. « Il vivait en Suisse depuis plusieurs années et était bien intégré. Les autorités avaient déjà tenté de le renvoyer à plusieurs reprises. »

      Ce n’est pas la première fois que #swissREPAT, la section du SEM responsable des voyages de retour, a recours à des jets pour expulser des personnes déboutées. Entre octobre 2012 et 2014 au moins, Twin Jet lui réservait sa liaison Genève-Milan/ Malpensa à une fréquence hebdomadaire ou bimensuelle. Le Courrier a obtenu quatre contrats (lire ci-dessous) qui le confirment. La compagnie française basée à Aix-en-Provence garantissait à SwissREPAT 19 places. Les montants des contrats en jeu sont en revanche caviardés. Impossible de connaître la facture de ces renvois. En 2017, le média français Buzzfeed.News révélait des accords similaires entre Twin Jet et la France. Trente-quatre millions d’euros auraient été dépensés entre 2006 et 2017 par l’Etat français.

      Billets impossibles à obtenir

      En Suisse, le SEM affirme que ce sont des vols de ligne réguliers. Pourtant, lorsqu’un journaliste de l’hebdomadaire die Wochenzeitung (WOZ) avait tenté en 2014 d’y réserver un siège, Twin Jet lui avait répondu qu’il s’agissait de vols privés. Aujourd’hui, aucune liaison Zurich- Lyon n’apparaît sur le site internet de la compagnie. Tout laisse à penser que ces avions étaient affrétés par SwissREPAT dans le but unique d’expulser des requérant·es d’asile.

      Cette pratique questionne également d’un point de vue du respect des droits humains. En 2010, le décès d’un ressortissant nigérian peu avant d’embarquer à bord d’un vol spécial avait eu l’effet d’un électrochoc et poussé le SEM à accepter la présence d’observateurs et observatrices indépendant·es à bord à la suite des critiques de l’ONU. Depuis 2012, la CNPT accompagne toutes les expulsions par vols spéciaux. Chaque année, son rapport dénonce de manière récurrente des pratiques policières inappropriées et un recours excessif aux entraves préventives.

      « Nous sommes notifiés de tous les renvois par les airs. Nous recevons le nom des compagnies par lesquelles sont effectuées les expulsions, nous partons donc du principe qu’il s’agit de vols de ligne et de renvois de niveau 2 et 3 », explique Livia Hadorn, cheffe du secrétariat de la CNPT. « Nos capacités sont limitées, nous ne pouvons pas assister à tous ces types de rapatriements qui sont beaucoup plus nombreux que les vols spéciaux. »

      Le renvoi des deux Algériens de Zurich vers Lyon en 2022 montre que cette méthode a à nouveau été utilisée en 2022. « Nous n’avons reçu les détails du renvoi que longtemps après qu’il a été opéré et à la suite de nombreuses demandes », relate Tana Ibarra, qui représente juridiquement l’un d’entre eux. « Il est très choquant de constater que la Suisse a explicitement demandé l’assistance de la France pour renvoyer ces personnes via son territoire. Elle contourne ainsi la décision de l’Algérie et ne veut pas que le public l’apprenne. »

      Aucun témoin

      Si la cheffe du secrétariat de la CNPT ne se prononce pas au sujet de ce cas précis, elle juge toutefois la pratique ambiguë : « Effectivement, si le vol est présenté comme un vol de ligne mais qu’il n’y a aucun autre passager à même d’observer et de dénoncer d’éventuelles violations des droits humains, cela rend l’opération plus sensible que les autres renvois de niveau 2 et 3. »

      Depuis l’enquête de Republik, la commission se dit plus attentive à ce type de renvois. « Nous dialoguons régulièrement avec le SEM et avons abordé la question de ces vols particuliers. Nos conclusions figureront dans le rapport que nous publierons en juin », poursuit Livia Hadorn. Elle n’a pas souhaité nous dire si ces pratiques étaient encore d’actualité.

      Interrogé sur les conditions dans lesquelles de petits avions sont utilisés lors d’expulsions, le SEM botte en touche. « Nous utilisons toutes les liaisons disponibles pour effectuer des rapatriements. La taille des avions n’a aucune importance et nous n’avons aucune influence sur le type d’avions proposés par les compagnies aériennes », avance son porte-parole, Lukas Rieder. Lorsqu’on le questionne sur le nombre de renvois effectués par ce biais, il affirme ne pas disposer de statistiques sur la taille des engins utilisés.

      En épluchant les rapports de la CNPT, on apprend qu’au moins 50 vols « T7 » ont eu lieu en 2013 et 2014. Les rapports concernant les années suivantes ne font plus état de renvois de ce type. Il est mentionné que dès 2015, un autre type d’avion a été choisi. Le porte-parole du SEM indique que la ligne Genève-Milan/Malpensa a été supprimée en 2017

      En mai dernier, d’après Republik, la CNPT a bien été notifiée d’un renvoi forcé par les airs entre Zurich et Lyon. Le vol n’a pourtant pas été annoncé comme un vol T7, comme par le passé, ni comme un vol spécial. Si ça avait été le cas, un membre de la commission aurait été présent pour documenter le renvoi.

      LUTTE POUR LA TRANSPARENCE

      En 2014, en marge d’une enquête dévoilant le recours aux vols « T7 », l’hebdomadaire alémanique Wochenzeitung (WOZ), invoquant la loi sur la transparence, demandait l’accès aux contrats liant la Confédération à différentes compagnies aériennes dans le cadre des renvois. Le SEM, de concert avec le Département fédéral des affaires étrangères, refusait. Les autorités sont allées jusqu’au Tribunal administratif fédéral (TAF) afin de garder ces accords secrets. En 2016, le TAF a donné partiellement gain de cause à la WOZ. Le SEM a ainsi été obligé de divulguer certains contrats, que Le Courrier a pu ensuite obtenir.

      L’arrêt stipule que les autorités refusaient de rendre public les contrats pour « garder secrète et protéger une pratique de rapatriement qui contourne les directives relatives au rapatriement de requérants d’asile vers l’Italie par voie aérienne ». Dans sa défense, la Confédération invoquait une potentielle détérioration des relations entre les deux pays, si les documents étaient rendus publics. Le TAF n’a pas jugé ces arguments convaincants et a même qualifié la pratique du SEM de « discutable d’un point de vue de l’Etat de droit ». Il affirme que l’intérêt public à connaître cette pratique et pouvoir la critiquer prime.

      https://lecourrier.ch/2023/04/20/expulses-par-jet