• « Main invisible du marché », croissance… dernières croyances de l’Occident ?, Stéphane Foucart

    Institution-clé du fonctionnement de nos sociétés, élément central de l’analyse économique, le marché n’est plus seulement, selon le théologien américain, le lieu de la rencontre entre l’offre et la demande, le mécanisme qui forme les prix et distribue la richesse produite dans la société. Il devient une entité transcendante que l’on redoute, dont on étudie les lois et dont on cherche à comprendre et anticiper les humeurs.

    « Autrefois, les prophètes entraient en transe et informaient la populace inquiète de l’humeur des dieux, de l’opportunité d’entreprendre un voyage, de se marier ou de faire la guerre, écrit Harvey Cox. Aujourd’hui, les désirs versatiles du marché sont élucidés par les bulletins quotidiens de Wall Street et des autres organes sensoriels de la finance. Ainsi, nous pouvons savoir au jour le jour si le marché est “inquiet”, “soulagé”, “nerveux” ou parfois “exubérant”. »

    A la fin des années 1990, la mondialisation de l’économie est déjà une réalité, qui se donne notamment à voir à travers ses crises. En juillet 1997, le gouvernement thaïlandais tente de contrer des attaques spéculatives en dévaluant sa monnaie, et enclenche une crise économique qui se propage à tout le Sud-Est asiatique. Le Fonds monétaire international débloque plusieurs dizaines de milliards de dollars en échange de mesures de libéralisation des économies. Les pages économiques des journaux s’emplissent de débats ésotériques sur les déterminants de la croissance, les politiques monétaires et les vertus autorégulatrices du marché. Harvey Cox n’est alors pas le seul théologien à percevoir dans ce dernier le principe central d’une croyance qui irrigue les milieux d’affaires et les élites politiques occidentales. Un de ses pairs, David Loy, alors professeur à l’université Bunkyo de Chigasaki (Japon), publie en 1997 un essai dans le Journal of the American Academy of Religion, l’une des principales revues de la discipline, sobrement intitulé : « La religion du Marché ».
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/03/22/main-invisible-du-marche-croissance-dernieres-croyances-de-l-occident_622359

    On l’on voit, entre autres choses, que la notion de "main invisible du marché", attribuée à Smith, contredit ses écrits.

    https://justpaste.it/errsj

    #économie #marché #religion #religion_du_marché

    • Exploitation, vulnérabilité et résistance : le cas des #ouvriers_agricoles indiens dans l’Agro Pontino

      De nombreuses représentations trompeuses continuent à peser sur l’exploitation des ouvriers agricoles étrangers en Italie, rendant difficile la compréhension du phénomène et l’intervention sur ses causes réelles. Cet article tente de questionner les principaux lieux communs sur le sujet, en analysant un cas particulièrement éclairant : celui de la communauté #Pendjabi de #religion_sikh employée sur l’Agro Pontino, dans le Latium. Cette étude de cas permet, d’une part, de faire ressortir les conditions d’exploitation systémiques, masquées derrière des mécanismes apparemment légaux ; de l’autre, il révèle que même les individus les plus vulnérables peuvent résister à l’exploitation et revendiquer activement leurs droits.

      https://www.cairn.info/revue-confluences-mediterranee-2019-4-page-45.htm

    • #In_migrazione

      In Migrazione è una Società Cooperativa Sociale nata nel 2015 dalla volontà di persone impegnate nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia.

      Diversi percorsi professionali e umani che hanno attraversato un ampio spaccato di esperienze diverse e che con In Migrazione si sono uniti per dare vita ad un soggetto collettivo, innovativo, aperto e trasparente.

      Una Cooperativa nata per sperimentare nuovi progetti di qualità e innovative metodologie al fine di interpretare e concretizzare percorsi d’aiuto efficaci verso i migranti che vivono nel nostro Paese situazioni di disagio e difficoltà. Esperienze concrete che sappiano diventare buone pratiche riproducibili, per contribuire a migliorare quel sistema di accoglienza e inclusione sociale degli stranieri.

      Le nostre ricerche e le concrete sperimentazioni progettuali mettono al centro la persona, con i suoi peculiari bisogni, aspettative e sogni.

      Mettiamo a disposizione queste esperienze e le nostre metodologie alle altre associazioni, cooperative, Enti pubblici e privati, professionisti e volontari del settore, convinti che nel sociale non possano e non debbano esistere copyright.

      https://www.inmigrazione.it

    • Progetto “Dignità-Joban Singh”, contro la schiavitù dei braccianti

      Una serie di sportelli di accoglienza, ascolto e sostegno, ma anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Un progetto per dare voce alle vittime di lavoro schiavo, in memoria del giovane di origini indiane, morto suicida il 6 giugno 2020 a Sabaudia

      Si chiama Dignità-Joban Singh ed è il progetto in corso organizzato dall’associazione Tempi Moderni contro le varie forme di schiavismo e sfruttamento che mortificano e riducono in schiavitù migliaia di persone, immigrati e italiani, indiani e africani, uomini e donne, in questa Italia fondata sul lavoro ma anche su una persistente presenza di razzisti, violenti, mafiosi e di sfruttatori che mortificano la democrazia ed esprimono chiaramente la loro natura predatoria.

      Joban Singh, di appena 25 anni e residente nel residence “Bella Farnia Mare”, nel Comune di Sabaudia, in provincia di Latina, il 6 giugno scorso è stato trovato senza vita all’interno del suo appartamento. Joban decise di impiccarsi dopo essere entrato in Italia mediante un trafficante di esseri umani indiano, essere stato gravemente sfruttato in una delle maggiori aziende agricole dell’Agro Pontino e aver subito il rifiuto da parte del padrone alla sua richiesta di emersione dall’irregolarità mediante art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020) del governo.

      Dedicare questo progetto alla sua memoria, per non dimenticare ciò che significa vivere come uno schiavo in un paese libero, è un impegno che viene sottoscritto da Tempi Moderni ma che può camminare solo sulle gambe di tanti, o meglio di una comunità di persone responsabili e ribelle contro i padroni e i padrini di oggi.

      In questa Italia ci sono, secondo il rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil (2020), tra 400 e 450mila lavoratori e lavoratrici che solo in agricoltura risultano esposti allo sfruttamento e al caporalato. Di queste ultime, più di 180mila sono impiegate in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Secondo il sesto Rapporto Agromafia dell’Eurispes, il business delle agromafie, che comprendono le forme di grave sfruttamento, vale 24,5 miliardi di euro l’anno, con un balzo, nel corso del 2018, del 12,4%.

      Un fiume di denaro che è espressione di un’ideologia della disuguaglianza penetrata nei processi culturali delle società occidentali e troppo spesso relazione fondamentale del mondo del lavoro, in particolare del lavoro di fatica. È questo un sistema che produce lo schiavismo contemporaneo, come più volte il “Rapporto Italia”, ancora dell’Eurispes, ha messo in luce.

      Ancora nel 2019, ad esempio, l’Eurispes aveva esplicitamente dichiarato che lo sfruttamento è una fattispecie criminale le cui principali vittime sono i migranti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina. Lo sfruttamento, infatti, risultava più diffuso nei comparti più esposti alle irregolarità, al sommerso e all’abuso, dove chi fornisce prestazioni lavorative è in condizione di maggiore vulnerabilità.

      Si registrano dunque casi più numerosi, ancora secondo l’Eurispes, nell’agricoltura e pastorizia, a danno di polacchi, bulgari, rumeni, originari dell’ex U.R.S.S., africani e, in misura crescente, pakistani e indiani; nell’edilizia, a danno di europei dell’Est; nel settore tessile e manifatturiero, a danno di cinesi; nel lavoro domestico (soprattutto come badanti), a danno di soggetti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’ex U.R.S.S., dall’Asia e dall’America del Sud.

      Insomma, uomini e donne a cui viene violata la dignità ogni giorno, costretti ad eseguire gli ordini del padrone, a sottostare ai suoi interessi e logiche di dominio. Quando questo potere si esercita nei confronti delle donne, lo sfruttamento assume caratteri devastanti. Ci sono infatti anche casi di violenza sessuale, di subordinazione delle lavoratrici immigrate alle logiche di dominio del boss, del padrone, del capo di turno.

      In provincia di Latina e precisamente a Sabaudia, appena poco prima di Natale, un’operazione denominata “Schiavo” e condotta dalla guardia di finanza, ha permesso di liberare dallo sfruttamento 290 lavoratori, soprattutto di origine indiana, che da anni venivano retribuiti con salari mensili inferiori anche del 60% rispetto a quelli previsti dal contratto provinciale, senza il riconoscimento degli straordinari, con l’obbligo di lavorare anche la domenica, impiegati senza le necessarie misure di sicurezza.

      Dunque, cosa fare? Avere il coraggio di capire, organizzarsi e agire collettivamente. Non si hanno alternative. La povertà, lo sfruttamento, la schiavitù, la violenza, non si abrogano per decreto. Non basta una legge. Serve un’azione collettiva espressione di una volontà radicale di contrasto di questo fenomeno mediante innanzitutto l’accoglienza e l’ascolto delle sue vittime, la costruzione di una relazione orizzontale con loro, dialettica, professionale e anche in questo coraggiosa, perché si deve prevedere l’azione di denuncia dei padroni insieme a quella della tutela.

      Ed è questa la sintesi perfetta del progetto Dignità–Joban Singh che ha organizzato e avviato una serie di sportelli di accoglienza, ascolto, sostegno e anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Si tratta di sportelli che hanno il compito di accogliere e di fornire assistenza legale gratuita alle donne e agli uomini gravemente sfruttati, di qualunque nazionalità, vittime di tratta e caporalato, di violenze, anche sessuali, obbligati al silenzio o alla subordinazione.

      Insomma, un progetto realizzato grazie all’ausilio di avvocati di grande esperienza e con mediatori culturali affidabili e professionali, fondato sulla pedagogia degli oppressi di Freire e gli insegnamenti di Don Milani, Don Primo Mazzolari e Don Sardelli. Un progetto che vuole anche contrastare le strategie (razziste) mediatiche, politiche e sociali di stigmatizzazione, stereotipizzazione ed esclusione di coloro che sono considerati antropologicamente diversi.

      Un progetto che però ha bisogno del sostegno della maggioranza di questo paese, donne e uomini che non vogliono vivere sotto il ricatto delle mafie, dei violenti, degli sfruttatori, dei neoschiavisti, dei razzisti, in favore di un’Italia che merita un futuro diverso, migliore.

      https://www.nigrizia.it/notizia/progetto-dignita-joban-singh-contro-la-schiavitu-dei-braccianti

    • Marco Omizzolo

      Marco Omizzolo is a sociologist, researcher and journalist, who has been documenting and denoucing human rights violations against Sikh migrant workers exploited in the fields in the province of Latina (central Italy). In a context where “agrimafia” is rampant and many farms are controlled by criminal organisations, migrants have to work for up to 13 hours a day in inhumane conditions and under the orders of “caporali” (gangmasters), they earn well below the minimum wage and they have to live in cramped accommodation. To document their situation, Marco has worked undercover in the fields and he also went to Punjab (India) to follow an Indian human trafficker, where he investigated the connections between human trafficking and the system of agrimafia. Marco is also one of the founders of InMigrazione, an organisation that supports migrant workers informing them about their rights, helping them organise and fight for labour rights, and giving them the legal support they might need. In 2016, Marco and some Sikh activists managed to organise the first mass strike in Latina, joined by over 4000 workers.

      Because of his work - and particularly because of his investigations denouncing the criminal organisations involved in the agribusiness and the local food industry - Marco Omizzolo has been receiving serious threats. His car has been repeatedly damaged, he is often under surveillance and he has been forced to relocate because of the threats received.

      https://www.frontlinedefenders.org/en/profile/marco-omizzolo

    • The Indian migrants lured into forced labor on Mussolini’s farmland

      Gurinder Dhillon still remembers the day he realized he had been tricked. It was 2009, and he had just taken out a $16,000 loan to start a new life. Originally from Punjab, India, Dhillon had met an agent in his home village who promised him the world.

      “He sold me this dream,” Dhillon, 45, said. A new life in Europe. Good money — enough to send back to his family in India. Clothes, a house, plenty of work. He’d work on a farm, picking fruits and vegetables, in a place called the Pontine Marshes, a vast area of farmland in the Lazio region, south of Rome, Italy.

      He took out a sizable loan from the Indian agents, who in return organized his visa, ticket and travel to Italy. The real cost of this is around $2,000 — the agents were making an enormous profit.

      “The thing is, when I got here, the whole situation changed. They played me,” Dhillon said. “They brought me here like a slave.”

      On his first day out in the fields, Dhillon climbed into a trailer with about 60 other people and was then dropped off in his assigned hoop house. That day, he was on the detail for zucchini, tomatoes and eggplant. It was June, and under the plastic, it was infernally hot. It felt like at least 100 degrees, Dhillon remembers. He sweated so much that his socks were soaked. He had to wring them out halfway through the day and then put them back on — there was no time to change his clothes. As they worked, an Italian boss yelled at them constantly to work faster and pick more.

      Within a few hours of that first shift, it dawned on Dhillon that he had been duped. “I didn’t think I had been tricked — I knew I had,” he said. This wasn’t the life or the work he had been promised.

      What he got instead was 3.40 euros (about $3.65) an hour, for a workday of up to 14 hours. The workers weren’t allowed bathroom breaks.

      On these wages, he couldn’t see how he would ever repay the enormous loan he had taken out. He was working alongside some other men, also from India, who had been there for years. ”Will it be like this forever?” he asked them. “Yes,” they said. “It will be like this forever.”

      Ninety years ago, a very different harvest was taking place. Benito Mussolini was celebrating the first successful wheat harvest of the Pontine Marshes. It was a new tradition for the area, which for millennia had been nothing but a vast, brackish, barely-inhabited swamp.

      No one managed to tame it — until Mussolini came to power and launched his “Battle for Grain.” The fascist leader had a dream for the area: It would provide food and sustenance for the whole country.

      Determined to make the country self-sufficient as a food producer, Mussolini spoke of “freeing Italy from the slavery of foreign bread” and promoted the virtues of rural land workers. At the center of his policy was a plan to transform wild, uncultivated areas into farmland. He created a national project to drain Italy’s swamps. And the boggy, mosquito-infested Pontine Marshes were his highest priority.

      His regime shipped in thousands of workers from all over Italy to drain the waterlogged land by building a massive system of pumps and canals. Billions of gallons of water were dredged from the marshes, transforming them into fertile farmland.

      The project bore real fruit in 1933. Thousands of black-shirted Fascists gathered to hear a brawny-armed, suntanned Mussolini mark the first wheat harvest of the Pontine Marshes.

      "The Italian people will have the necessary bread to live,” Il Duce told the crowd, declaring how Italy would never again be reliant on other countries for food. “Comrade farmers, the harvest begins.”

      The Pontine Marshes are still one of the most productive areas of Italy, an agricultural powerhouse with miles of plastic-covered hoop houses, growing fruit and vegetables by the ton. They are also home to herds of buffalo that make Italy’s famous buffalo mozzarella. The area provides food not just for Italy but for Europe and beyond. Jars of artichokes packed in oil, cans of Italian plum tomatoes and plump, ripe kiwi fruits often come from this part of the world. But Mussolini’s “comrade farmers” harvesting the land’s bounty are long gone. Tending the fields today are an estimated 30,000 agricultural workers like Dhillon, most hailing from Punjab, India. For many of them — and by U.N. standards — the working conditions are akin to slave labor.

      When Urmila Bhoola, the U.N. special rapporteur on contemporary slavery, visited the area, she found that many working conditions in Italy’s agricultural sector amounted to forced labor due to the amount of hours people work, the low salaries and the gangmasters, or “caporali,” who control them.

      The workers here are at the mercy of the caporali, who are the intermediaries between the farm workers and the owners. Some workers are brought here with residency and permits, while others are brought fully off the books. Regardless, they report making as little as 3-4 euros an hour. Sometimes, though, they’re barely paid at all. When Samrath, 34, arrived in Italy, he was not paid for three months of work on the farms. His boss claimed his pay had gone entirely into taxes — but when he checked with the government office, he found his taxes hadn’t been paid either.

      Samrath is not the worker’s real name. Some names in this story have been changed to protect the subjects’ safety.

      “I worked for him for all these months, and he didn’t pay me. Nothing. I worked for free for at least three months,” Samrath told me. “I felt so ashamed and sad. I cried so much.” He could hardly bring himself to tell his family at home what had happened.

      I met Samrath and several other workers on a Sunday on the marshes. For the Indian Sikh workers from Punjab, this is usually the only day off for the week. They all gather at the temple, where they pray together and share a meal of pakoras, vegetable curry and rice. The women sit on one side, the men on the other. It’s been a long working week — for the men, out in the fields or tending the buffaloes, while the women mostly work in the enormous packing centers, boxing up fruits and vegetables to be sent out all over Europe.

      Another worker, Ramneet, told me how he waited for his monthly check — usually around 1,300 euros (about $1,280) per month, for six days’ work a week at 12-14 hours per day. But when the check came, the number on it was just 125 euros (about $250).

      “We were just in shock,” Ramneet said. “We panicked — our monthly rent here is 600 euros.” His boss claimed, again, that the money had gone to taxes. It meant he had worked almost for free the entire month. Other workers explained to me that even when they did have papers, they could risk being pushed out of the system and becoming undocumented if their bosses refused to issue them payslips.

      Ramneet described how Italian workers on the farms are treated differently from Indian workers. Italian workers, he said, get to take an hour for lunch. Indian workers are called back after just 20 minutes — despite having their pay cut for their lunch hour.

      “When Meloni gives her speeches, she talks about getting more for the Italians,” Ramneet’s wife Ishleen said, referring to Italy’s new prime minister and her motto, “Italy and Italians first.” “She doesn’t care about us, even though we’re paying taxes. When we’re working, we can’t even take a five-minute pause, while the Italian workers can take an hour.”

      Today, Italy is entering a new era — or, some people argue, returning to an old one. In September, Italians voted in a new prime minister, Giorgia Meloni. As well as being the country’s first-ever female prime minister, she is also Italy’s most far-right leader since Mussolini. Her supporters — and even some leaders of her party, Brothers of Italy — show a distinct reverence for Mussolini’s National Fascist Party.

      In the first weeks of Meloni’s premiership, thousands of Mussolini admirers made a pilgrimage to Il Duce’s birthplace of Predappio to pay homage to the fascist leader, making the Roman salute and hailing Meloni as a leader who might resurrect the days of fascism. In Latina, the largest city in the marshes, locals interviewed by national newspapers talked of being excited about Meloni’s victory — filled with hopes that she might be true to her word and bring the area back to its glory days in the time of Benito Mussolini. One of Meloni’s undersecretaries has run a campaign calling for a park in Latina to return to its original name: Mussolini Park.

      During her campaign, a video emerged of Meloni discussing Mussolini as a 19-year-old activist. “I think Mussolini was a good politician. Everything he did, he did for Italy,” she told journalists. Meloni has since worked to distance herself from such associations with fascism. In December, she visited Rome’s Jewish ghetto as a way of acknowledging Mussolini’s crimes against humanity. “The racial laws were a disgrace,” she told the crowd.

      A century on from Italy’s fascist takeover, Meloni’s victory has led to a moment of widespread collective reckoning, as a national conversation takes place about how Mussolini should be remembered and whether Meloni’s premiership means Italy is reconnecting with its fascist past.

      Unlike in Germany, which tore down — and outlawed — symbols of Nazi terror, reminders of Mussolini’s rule remain all over Italy. There was no moment of national reckoning after the war ended and Mussolini was executed. Hundreds of fascist monuments and statues dot the country. Slogans left over from the dictatorship can be seen on post offices, municipal buildings and street signs. Collectively, when Italians discuss Mussolini, they do remember his legacy of terror — his alliance with Adolf Hitler, anti-Semitic race laws and the thousands of Italian Jews he sent to the death camps. But across the generations, Italians also talk about other legacies of his regime — they talk of the infrastructure and architecture built during the period and of how he drained the Pontine Marshes and rid them of malaria, making the land into an agricultural haven.

      Today in the Pontine Marshes, which some see as a place brought into existence by Il Duce — and where the slogans on one town tower praise “the land that Mussolini redeemed from deadly sterility” — the past is bristling with the present.

      “The legend that has come back to haunt this town, again and again, is that it’s a fascist city. Of course, it was created in the fascist era, but here we’re not fascists — we’re dismissed as fascists and politically sidelined as a result,” Emilio Andreoli, an author who was born in Latina and has written books about the city’s history, said. Politicians used to target the area as a key campaigning territory, he said, but it has since fallen off most leaders’ agendas. And indeed, in some ways, Latina is a place that feels forgotten. Although it remains a top agricultural producer, other kinds of industry and infrastructure have faltered. Factories that once bustled here lie empty. New, faster roads and railways that were promised to the city by previous governments never materialized.

      Meloni did visit Latina on her campaign trail and gave speeches about reinvigorating the area with its old strength. “This is a land where you can breathe patriotism. Where you breathe the fundamental and traditional values that we continue to defend — despite being considered politically incorrect,” she told the crowd.

      But the people working this land are entirely absent from Meloni’s rhetorical vision. Marco Omizzolo, a professor of sociology at the University of Sapienza in Rome, has for years studied and engaged with the largely Sikh community of laborers from India who work on the marshes.

      Omizzolo explained to me how agricultural production in Italy has systematically relied on the exploitation of migrant workers for decades.

      “Many people are in this,” he told me, when we met for coffee in Rome. “The owners of companies who employ the workers. The people who run the laborers’ daily work. Local and national politicians. Several mafia clans.”

      “Exploitation in the agricultural sector has been going on for centuries in Italy,” Giulia Tranchina, a researcher at Human Rights Watch focusing on migration, said. She described that the Italian peasantry was always exploited but that the system was further entrenched with the arrival of migrant workers. “The system has always treated migrants as manpower — as laborers to exploit, and never as persons carrying equal rights as Italian workers.” From where she’s sitting, Italy’s immigration laws appear to have been designed to leave migrants “dependent on the whims and the wills of their abusive employers,” Tranchina said.

      The system of bringing the workers to Italy — and keeping them there — begins in Punjab, India. Omizzolo described how a group of traffickers recruits prospective workers with promises of lucrative work abroad and often helps to arrange high-interest loans like the one that Gurinder took out. Omizzolo estimates that about a fifth of the Indian workers in the Pontine Marshes come via irregular routes, with some arriving from Libya, while many others are smuggled into Italy from Serbia across land and sea, aided by traffickers. Their situation is more perilous than those who arrived with visas and work permits, as they’re forced to work under the table without contracts, benefits or employment rights.

      Omizzolo knows it all firsthand. A Latina native, he grew up playing football by the vegetable and fruit fields and watching as migrant workers, first from North Africa, then from India, came to the area to work the land. He began studying the forces at play as a sociologist during his doctorate and even traveled undercover to Punjab to understand how workers are picked up and trafficked to Italy.

      As a scholar and advocate for stronger labor protections, he has drawn considerable attention to the exploitative systems that dominate the area. In 2016, he worked alongside Sikh laborers to organize a mass strike in Latina, in which 4,000 people participated. All this has made Omizzolo a target of local mafia forces, Indian traffickers and corrupt farm bosses. He has been surveilled and chased in the street and has had his car tires slashed. Death threats are nothing unusual. These days, he does not travel to Latina without police protection.

      The entire system could become even further entrenched — and more dangerous for anyone speaking out about it — under Meloni’s administration. The prime minister has an aggressively anti-migrant agenda, promising to stop people arriving on Italy’s shores in small boats. Her government has sent out a new fleet of patrol boats to the Libyan Coast Guard to try to block the crossings, while making it harder for NGOs to carry out rescue operations.

      At the end of February, at least 86 migrants drowned off the coast of Calabria in a shipwreck. When Meloni visited Calabria a few weeks later, she did not go to the beach where the migrants’ bodies were found or to the funeral home that took care of their remains. Instead, she announced a new policy: scrapping special protection residency permits for migrants.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      The idealistic image of the harvest was powerful propaganda at the time. Not shown were the workers, brought in from all over the country, who died of malaria while digging the trenches and canals to drain the marsh. It also stands in contrast to today’s reality. Workers are brought here from the other side of the world, on false pretenses, and find themselves trapped in a system with no escape from the brutal work schedule and the resulting physical and mental health risks. In October, a 24-year-old Punjabi farm worker in the town of Sabaudia killed himself. It’s not the first time a worker has died by suicide — depression and opioid addiction are common among the workforce.

      “We are all guilty, without exception. We have decided to lose this battle for democracy. Dear Jaspreet, forgive us. Or perhaps, better, haunt our consciences forever,” Omizzolo wrote on his Facebook page.

      Talwinder, 28, arrived on the marsh last year. “I had no hopes in India. I had no dreams, I had nothing. It is difficult here — in India, it was difficult in a different way. But at least [in India] I was working for myself.” His busiest months of the year are coming up — he’ll work without a day off. And although the mosquitoes no longer carry malaria, they still plague the workers. “They’re fatter than the ones in India,” he laughs. “I heard it’s because this place used to be a jungle.”

      Mussolini’s vision for the marsh was to turn it into an agricultural center for the whole of Italy, giving work to thousands of Italians and building up a strong working peasantry. Today, vegetables, olives and cheeses from the area are shipped to the United States and sold in upmarket stores to shoppers seeking authentic, artisan foods from the heart of the old world. But it comes at an enormous price to those who produce it. And under Meloni’s premiership, they only expect that cost to rise.

      “These days, if my family ask me if they should come here, like my nephew or relatives, I tell them no,” said Samrath. “Don’t come here. Stay where you are.”

      https://www.codastory.com/rewriting-history/indian-migrants-italy-pontine-marshes

  • Macron défend la « riche cohabitation » entre la #raison et la religion, permise grâce à la laïcité

    Le président de la République détaille dans L’Express les nombreuses « #continuités » qu’il décèle entre « #Dieu et la science ».

    C’est l’un des sujets sur lesquels le mystère demeure. Quel est le véritable rapport d’Emmanuel Macron au #spirituel ? Élevé dans un établissement jésuite de Picardie - à sa demande -, avant de multiplier ensuite les grandes écoles et les diplômes dans la capitale, le président de la République est-il un cartésien rationnel, ou un croyant qui se fait violence ? Pense-t-il qu’il faut « réparer » le lien entre l’Église et l’État qui « s’est abîmé », ou considère-t-il que les questions de mœurs - religieuses - ne sont « pas (s)on affaire » ?

    Pour répondre à toutes ces questions, L’Express a recueilli un texte du chef de l’État, publié ce mardi, jour de son quarante-quatrième anniversaire. Dans l’hebdomadaire, le locataire de l’Élysée débute par un éloge de la science dont, « jamais, sans doute, l’humanité » n’aura « autant eu besoin » qu’aujourd’hui. À la fois pour faire face à la pandémie, bien sûr, mais aussi pour affronter les bouleversements écologiques et environnementaux, ou encore pour permettre les innovations indispensables au progrès.

    L’#égalité des droits en dignité, nouvelle égalité des hommes devant Dieu ?

    « Et Dieu dans tout ça ? », interroge ensuite Emmanuel Macron. « Contrairement à ce que l’interprétation toute voltairienne des #Lumières françaises a longtemps imposé comme grille de lecture, ce programme de développement de l’#esprit_scientifique ne s’oppose en rien à l’expression des religions », estime le président de la République, rappelant « qu’il ne s’agit pas d’imposer un #positivisme_forcené, une #religion_de_la_science qui se substituerait à toutes les interprétations du monde ».

    À l’échelle de l’Europe, de nombreuses « continuités entre Dieu et la science, (entre) religion et raison », apparaissent ainsi aux yeux d’Emmanuel Macron. « L’égalité des droits de l’homme en #dignité et en #droits n’a-t-elle pas été préparée par l’égalité des hommes devant Dieu pensée par le #christianisme ? De même l’#esprit_critique défendu par les Lumières n’a-t-il pas été précédé par le rapport individuel au texte sacré défendu par le #protestantisme ? », feint-il d’interroger pour appuyer sa thèse.

    « Séparer l’#ordre_temporel de l’#ordre_spirituel »

    S’inspirant ensuite tour à tour de l’écrivain humaniste de la Renaissance Rabelais, du « penseur anglais Tom McLeish », ou encore du « grand Jürgen Habermas », Emmanuel Macron termine sa démonstration en citant Aristide Briand, célèbre porteur de la loi de 1905 sur la séparation des Églises et de l’État. « C’est en étant fidèle à (son) esprit, en suivant le chemin de concorde qu’il traçait que la France continuera à être une nation infiniment rationnelle et résolument spirituelle », estime le chef de l’État.

    Défenseur de la « riche cohabitation » - qui existe selon lui « en chacun de nous » - entre « aspiration à la raison et besoin de #transcendance », Emmanuel Macron affirme que « oui, la science et Dieu, la raison et la religion peuvent vivre côte à côte, parfois même se nourrir ». Ce que, d’ailleurs, il juge « même souhaitable ». Le tout, insiste-t-il cependant, grâce à au « cadre unique » de la laïcité, une « belle idée » dont la France dispose depuis un siècle. Et qui, en « séparant l’ordre temporel de l’ordre spirituel, rend (cela) possible ».

    https://www.lefigaro.fr/politique/macron-defend-la-riche-cohabitation-entre-la-raison-et-la-religion-permise-

    #Macron #Emmanuel_Macron #laïcité #religion #science

    • EXCLUSIF. Emmanuel Macron : «Ce en quoi je crois»

      Le chef de l’Etat expose sa vision de l’articulation entre rationalité et religion. L’une et l’autre peuvent se nourrir. « Cela est même souhaitable », écrit-il. Inattendu.

      Parce qu’il avait prévenu dès la campagne de 2017 - « Je ne sépare pas Dieu du reste » (confidence soufflée au JDD) -, nous avons eu envie de demander au chef de l’Etat : rationalité et spiritualité peuvent-elles, doivent-elles, vivre ensemble dans la France de 2022 ? Après une épidémie qui a mis la raison des uns sens dessus dessous, qui a vu la parole scientifique reléguée par les autres au rang de croyance en laquelle il est possible de ne pas avoir foi, Emmanuel Macron érige-t-il un mur entre science et religion ? Lui qui dans le passé n’a pas hésité à évoquer l’existence d’"une transcendance" le formule clairement dans le texte qu’il a écrit pour L’Express : « Aspiration à la raison et besoin de transcendance cohabitent en chacun de nous. »

      Cette certitude ne lui fait pas perdre de vue le nécessaire combat pour que « la science demeure un idéal et une méthode ». Inquiet de constater notamment la montée de l’intégrisme religieux, le président refait ici l’éloge de la laïcité, qui seule rend possible cette « cohabitation » en laquelle il croit de la rationalité et de la spiritualité.

      La pandémie que nous traversons en est l’exemple le plus prégnant. Sans la science qui, avec le conseil scientifique, les sociétés savantes, les médecins et les chercheurs du monde entier, a éclairé chacun de nos choix depuis le premier jour, nous aurions à déplorer beaucoup plus de décès. Sans la science qui, en quelques mois, a su inventer un vaccin, le produire et le distribuer, le monde continuerait de vivre au ralenti, de confinements en confinements, de drames en drames.

      La résolution du défi du siècle, le réchauffement climatique, est également indissociable de la science. A la fois pour comprendre la mécanique de ce phénomène, ce à quoi s’attellent régulièrement les milliers de scientifiques du Groupement international d’experts sur le climat. Et pour élaborer les solutions qui, énergies propres, stockage de carbone, matériaux biosourcés ou solutions agroécologiques, nous permettront de concilier développement humain et réduction des émissions de gaz à effet de serre, progrès et écologie.

      La science enfin se trouve au fondement des innovations qui changent et vont changer nos vies, elle est le moteur du progrès. Numérique, véhicules électriques, nouveau spatial : l’ensemble des produits et services qui façonnent notre époque de même que les révolutions qui, assises sur le quantique ou l’intelligence artificielle, feront la décennie sont marqués par une empreinte scientifique forte.

      Cette part croissante de la science dans le cours du monde exige des grandes puissances qu’elles investissent massivement dans ceux qui, chercheurs, techniciens, innovateurs, sont les artisans de la recherche et de l’innovation.

      Les acteurs privés bien sûr s’engagent qui, pour les plus importants, assument d’explorer des voies qui ne trouveront pas toujours d’issue marchande. Mais c’est d’abord à la sphère publique que revient la mission de constituer un terreau favorable à l’excellence scientifique.

      Depuis cinq ans, la France qui, de Louis Pasteur à Pierre et Marie Curie, se distingue par une tradition hors norme confirmée par les récents prix Nobel et médaille Fields obtenus par ses ressortissants, renoue avec une stratégie d’investissement massif dans ce domaine. La loi de programmation pour la recherche, dotée de 25 milliards d’euros sur dix ans, scelle un effort inédit pour rattraper le retard pris et permettre la montée en gamme de nos universités et de nos laboratoires de recherche. Nous avons aussi, dès 2017 puis à la faveur de France relance et de France 2030, acté de grandes ambitions pour l’intelligence artificielle, le quantique ou encore la santé.

      Au niveau européen, notre pays a été à l’initiative pour que le programme-cadre de recherche et développement de la Commission se dote d’un budget à la hauteur des enjeux - près de 100 milliards d’euros - et consente enfin un effort pour la recherche fondamentale et les jeunes chercheurs.

      Il ne s’agit toutefois là que d’un début, un rattrapage et une indispensable modernisation qui nous permettent plus d’ambition de changement et d’investissement pour l’avenir.

      Mais l’enjeu n’est pas seulement budgétaire, il est culturel. Car, parallèlement à l’augmentation du besoin de science, la remise en cause du discours scientifique n’a cessé de se développer dans nos sociétés.

      Le complotisme gagne du terrain et prend des formes de plus en plus extrêmes, comme en témoigne l’emprise croissante de la mouvance QAnon.

      L’intégrisme religieux, et ses explications totalisantes qui privilégient la foi sur la raison, la croyance sur le savoir et excluent le doute constructif, devient de plus en plus prégnant.

      L’avènement de l’ère du « tout-se-vaut » disqualifie chaque jour un peu plus l’autorité du chercheur, dont la parole est mise au même niveau que celle des commentateurs.

      En même temps que nous nous donnons les moyens d’atteindre l’excellence scientifique, il est donc nécessaire d’agir pour que la science demeure un idéal et une méthode, que le « vrai » retrouve ce statut d’"évidence lumineuse" que décrivait Descartes.

      Voilà pourquoi j’ai lancé le 29 septembre 2021 la commission les Lumières à l’ère numérique. Présidé par le sociologue Gérald Bronner, ce collectif de 14 experts reconnus formulera des propositions pour faire reculer le complotisme et éviter que le flux informationnel auquel chacun est confronté ne présente des faits orthogonaux à ce qui dit le consensus scientifique, ce qui est trop souvent le cas.

      Voilà pourquoi aussi la nation tout entière doit se mobiliser pour opposer au complotisme le raisonnement éclairé, au relativisme la culture des faits et la reconnaissance de l’autorité scientifique, à l’intégrisme une République ferme dans sa défense, forte de ses valeurs, nourrie par ses débats. Gaston Bachelard définissait « l’esprit scientifique » comme la faculté à « se défaire de l’expérience commune » et à accéder à cette idée que « rien ne va de soi, rien n’est donné, tout est construit ». Il nous faut faire de la formation à l’esprit scientifique dès le cycle primaire. L’école en effet ne saurait seulement instruire. Elle doit faire des républicains, c’est-à-dire forger des êtres informés et libres. Citoyens. Ce sera là un grand défi des années à venir.

      Et Dieu dans tout ça ? Contrairement à ce que l’interprétation toute voltairienne des Lumières françaises a longtemps imposé comme grille de lecture, ce programme de développement de l’esprit scientifique ne s’oppose en rien à l’expression des religions.

      D’une part parce qu’il ne s’agit pas d’imposer un positivisme forcené, une religion de la science qui se substituerait à toutes les interprétations du monde. Comme l’a si bien résumé Rabelais, la science ne vaut en effet que lorsqu’elle est éclairée et guidée par les sciences humaines, la philosophie, le politique et s’inscrit dans un débat démocratique visant à construire l’intérêt général.

      Dieu et la science ne s’opposent pas ensuite parce que la croyance en l’un est souvent allée historiquement avec le développement de l’autre. Les travaux sont anciens qui ont montré combien l’islam avait nourri une tradition d’algèbre, d’astronomie et de médecine puissante. Plus récemment, le penseur anglais Tom McLeish a fait état des apports réciproques entre développement de la science et développement du fait religieux lors de la petite Renaissance du XIIIe siècle - un évêque anglais aurait même eu l’intuition du big bang. Dans son dernier ouvrage, le grand Jürgen Habermas a montré comment la philosophie grecque a pu se nourrir du religieux, et notamment de la rupture avec les mythes à l’âge coaxial (de 800 à 200 av. J.-C.).

      Au-delà, je crois profondément qu’il peut exister des continuités entre Dieu et la science, religion et raison. Regardons notre Europe ! L’égalité des droits de l’homme en dignité et en droits n’a-t-elle pas été préparée par l’égalité des hommes devant Dieu pensée par le christianisme ? De même l’esprit critique défendu par les Lumières n’a-t-il pas été précédé par le rapport individuel au texte sacré défendu par le protestantisme ?

      Oui, la science et Dieu, la raison et la religion peuvent donc vivre côte à côte, parfois même se nourrir. Cela est même souhaitable tant aspiration à la raison et besoin de transcendance cohabitent en chacun de nous.

      Nous avons, en France, un cadre unique qui, séparant l’ordre temporel de l’ordre spirituel, rend possible cette riche cohabitation : la laïcité. Artisan de cette belle idée, Aristide Briand disait : « Il fallait que la séparation ne donnât pas le signal de luttes confessionnelles ; il fallait que la loi se montrât respectueuse de toutes les croyances et leur laissât la faculté de s’exprimer librement. »

      C’est en étant fidèle à l’esprit de Briand, en suivant le chemin de concorde qu’il traçait que la France continuera à être une nation infiniment rationnelle et résolument spirituelle.

      Nation de citoyens libres de critiquer et libres de croire.

      https://www.lexpress.fr/actualite/politique/exclusif-emmanuel-macron-ce-en-quoi-je-crois_2164676.html

      déjà signalé par @arno ici:
      https://seenthis.net/messages/940839

  • France attacks religion secularism radicalism blasphemy
    –-> article retiré:


    https://www.politico.eu/article/france-attacks-religion-secularism-radicalism-blasphemy-islam

    –—

    Copié ici:

    Another string of jihadist attacks has shaken France. The most recent, at a church in Nice, left three people dead, only two weeks after a teacher was beheaded on the outskirts of Paris after he displayed cartoons of the prophet Mohammed in his classroom.

    Why is France targeted, over and over again, by violent extremists? Germany, England, Italy and even Denmark — where cartoons of controversial Mohammed were first published — have not seen comparable violence.

    The reason is simple: France’s extreme form of secularism and its embrace of blasphemy, which has fueled radicalism among a marginalized minority.

    Specifically, the latest round of violence follows the decision earlier this month by the satirical newspaper Charlie Hebdo to mark the beginning of a trial over a murderous attack on its newsroom in 2015 by republishing the blasphemous cartoons of Mohammed that prompted the original assault.

    This duo — radical secularism and religious radicalism — have been engaged in a deadly dance ever since.

    Traditionally, French secularism requires the state to be neutral and calls for respect for religions in the public space, in order to avoid the rise of religious intolerance.

    In modern times, however, it has become something far more extreme. The moderate secularism that prevailed as recently as the 1970s has been replaced with something more like a civil religion.

    It’s a belief system that has its own priests (government ministers), its pontiff (the president of the republic), its acolytes (intellectuals) and its heretics (anyone who calls for a less antagonistic attitude toward Islam is rejected and branded an “Islamo-leftist”).

    One of the defining features of this new secularism is the promotion of religious blasphemy — and, in particular, its extreme expression in the form of caricatures like those of Mohammed.

    This embrace was on full display following the murder of the teacher who showed cartoons of Mohammed in his classes, when many French intellectuals came out in praise of blasphemy and defended the government’s unequivocal defense of the right to free expression.

    They should have considered their words more carefully.

    In Western Europe the right to blaspheme is legally recognized. But it is one thing to protect the freedom to blaspheme and another to enthusiastically exhort blasphemy, as is the case in France.

    Blasphemy is a non-argumentative and sarcastic form of free speech. It should be used, at best, with moderation in a country where between 6 percent and 8 percent of the population is Muslim, most of whose parents or grandparents emigrated from French colonies in North Africa.

    Defenders of blasphemy invoke freedom of expression, but what blasphemy does, in fact, is trap France in a vicious cycle of reactivity to jihadist terror that makes it less free and less autonomous.

    The immoderate use of caricatures in name of the right to blaspheme ultimately undermines public debate: It stigmatizes and humiliates even the most moderate or secular Muslims, many of whom do not understand French secularists’ obsessive focus on Islam, the veil, daily prayers or Islamic teachings.

    The result is a harmful cycle: provocation, counter-provocation, and a society’s descent into hell. As French secularism has become radicalized, the number of jihadist attacks in the country has multiplied.

    French secularists claim to be fighting for freedom of expression. As they do so, innocent people are dying, Muslims around the world are rejecting French values and boycotting the country’s products, and French Muslims are facing restrictions on their freedom of expression in the name of thwarting Islamist propaganda.

    France is paying a heavy price for its fundamentalist secularism, both inside and outside its own borders.

    https://www.1news.info/european-news/france-s-dangerous-religion-of-secularism-798875

    #Farhad_Khosrokhavar #terrorisme #religion #sécularisme #blasphème #extrémisme #France #violence #minorité_marginalisée #radicalisme #radicalisation #Charlie_Hebdo #radicalisme_religieux #sécularisme_radical #religion_civile #islamo-gauchisme #caricatures #liberté_d'expression #débat_public #provocation #contre-provocation #sécularisme_fondamentaliste

    ping @karine4 @cede @isskein

    • « On a oublié le rôle de l’#humiliation dans l’Histoire », par #Olivier_Abel

      Pour le philosophe, « en sacralisant les #caricatures, nous sommes devenus incapables de percevoir ce que les Grecs anciens désignaient par le #tragique ».

      Quel rapport entre les crimes abjects des djihadistes, le danger que représentent à certains égards les « réseaux sociaux » pour la démocratie et la civilité, la question de la liberté d’expression et du blasphème, le durcissement quasi-guerrier de la laïcité, les gilets jaunes, les majorités dangereuses qui ont porté Trump ou Erdogan au pouvoir, et qui poussent à nos portes ? Nous ne comprenons pas ce qui nous arrive, ces colères qui montent en miroir sans plus rien chercher à comprendre, nous ne savons et sentons plus ce que nous faisons. Je voudrais proposer ici une hypothèse.

      Nous avons globalement fait fausse route. Le drame des caricatures n’est que la partie visible d’un énorme problème. Nous nous sommes enfoncés dans le #déni de l’humiliation, de son importance, de sa gravité, de son existence même. Nous sommes sensibles aux #violences, comme aux #inégalités, mais insensibles à l’humiliation qui les empoisonne. Comme l’observait le philosophe israélien Avishaï Margalit, nous n’imaginons même pas ce que serait une société dont les institutions (police, préfectures, administrations, prisons, hôpitaux, écoles, etc.) seraient non-humiliantes. Dans l’état actuel de rétrécissement des ressources planétaires, on aura beaucoup de mal à faire une société plus juste, mais pourquoi déjà ne pas essayer une société moins humiliante ?

      Ni quantifiable, ni mesurable

      Il faut dire que l’humiliation est une notion – et une réalité - compliquée. L’#offense est subjective, et dépend au moins autant de ceux qui la reçoivent que de ceux qui l’émettent. Ce qui humiliera l’un laissera l’autre indifférent, et cela dépend même du moment où ça tombe. L’humiliation n’est pas quantifiable, mesurable, comme le sont les coups et blessures. D’où la tentation de dire que là où il n’y a pas de #dommage ni #préjudice il n’y a pas de #tort. Ce n’est pas une affaire de #droit mais seulement de #sentiment ou de #morale personnelle, donc circulez, il n’y a rien à dire.

      Et pourtant… Si les violences s’attaquent au #corps de l’autre, dans ses capacités et sa #vulnérabilité, l’humiliation fait encore pire : elle s’attaque au visage de l’autre, dans son #estime et son #respect_de_soi : elle le fait blanchir ou rougir, et souvent les deux en même temps.

      Car l’humiliation se présente de deux façons, en apparence contradictoires. Par un côté, elle porte atteinte à l’estime de soi, en faisant #honte à l’individu de son expression, de ce qu’il voudrait montrer et faire valoir, elle le rabroue et l’exclut du cercle de ceux qui sont autorisés à parler. Mais, par un autre côté, elle porte atteinte également au #respect et à la #pudeur, en dévoilant ce qui voulait se cacher, en forçant l’individu à montrer ce qui constitue sa réserve, en le surexposant au #regard_public, en lui interdisant de se retirer.

      L’humiliation s’attaque au sujet parlant. Les humains ne se nourrissent pas de pain et de cirques seulement, mais de #paroles_vives en vis-à-vis : ils n’existent qu’à se reconnaître mutuellement comme des sujets parlants, crédités comme tels, et reconnus dans leur crédibilité. L’humiliation fait taire le sujet parlant, elle lui fait honte de son expression, elle ruine sa confiance en soi.

      Quand le faible est trop faible

      Elle peut également atteindre des formes de vie, des minorités langagières, sexuelles, raciales, religieuses, sociales, etc. Il peut même arriver qu’une majorité endormie dans sa complaisance soit humiliée par une minorité active. Elle devient ce que j’appelais plus haut une majorité « dangereuse », pour elle-même et pour les autres.

      Une #parole_humiliée devient sujette à ces deux maladies du langage que sont la #dévalorisation ou la #survalorisation de soi. Ou, pour le dire autrement : la #dérision ou le #fanatisme. Commençons par la genèse du fanatisme. Simone Weil avait proposé d’expliquer les affaires humaines par cette loi : « on est toujours #barbares avec les faibles ». Il faudrait donc que nul ne soit laissé trop faible et sans aucun #contre-pouvoir, et que le plus fort soit suffisamment « déprotégé » pour rester sensible au faible, bon gagnant si je puis dire, et conscient qu’il ne sera pas toujours le plus fort.

      Mais quand le faible est trop faible pour infliger quelque tort que ce soit au plus fort, le pacte politique posé par Hobbes est rompu. Les faibles n’ont plus rien à perdre, ne sont plus tenus par le souci de la sécurité des biens et des corps, il ne leur reste que l’au-delà et ils basculent dans le #sacrifice_de_soi, dans une parole portée à la folie. Ici la #religion vient juste au dernier moment pour habiller, nommer, justifier cette mutation terrible.

      « C’est à l’humiliation que répond la #barbarie »

      La violence appelle la violence, dans un échange réciproque qui devrait rester à peu près proportionné, même si bien souvent la #violence s’exerce elle-même de manière humiliante, et nous ne savons pas ce que serait une violence vraiment non-humiliante. Avec l’humiliation cependant, le cercle des échanges devient vicieux, les retours sont longuement différés, comme sans rapport, et ils ont quelque chose de démesuré. Ils sont parallèles, mais en négatif, aux circuits de la #reconnaissance dont on sait qu’ils prennent du temps.

      C’est pourquoi les effets de l’humiliation sont si dévastateurs. Ils courent dans le temps, car les humiliés seront humiliants au centuple. Comme le remarquait #Ariane_Bazan, ils peuvent aller jusqu’à détruire méthodiquement toute scène de reconnaissance possible, toute réparation possible : la mère tuera tous ses enfants, comme le fait Médée rejetée par Jason. Lisant Euripide, elle concluait : « c’est à l’humiliation que répond la barbarie ». Les grandes tragédies sont des scènes de la reconnaissance non seulement manquée, mais écrabouillée.

      Pourquoi nos sociétés occidentales sont-elles collectivement aussi insensibles à l’humiliation ? Est-ce la différence avec ce qu’on a appelé les sociétés de honte, le Japon, le monde arabe ? Sans doute est-ce d’abord aujourd’hui parce que nous sommes une société managée par des unités de mesure quantifiable, la monnaie, l’audimat, et par une juridicisation qui ne reconnaît que les torts mesurables, compensables, sinon monnayables.

      Cette évolution a été accélérée par une #morale_libérale, qui est une #morale_minimale, où tout est permis si l’autre est consentant : or on n’a pas besoin du #consentement de l’autre pour afficher sa #liberté, tant que son expression n’est ni violente ni discriminante à l’égard des personnes, et ne porte aucun dommage objectif — les croyances n’existent pas, on peut en faire ce qu’on veut. Le facteur aggravant de l’humiliation, dans une société de réseaux, c’est la diffusion immédiate et sans écrans ralentisseurs des atteintes à la réputation : la #calomnie, la #moquerie, le #harcèlement.

      L’angle mort de notre civilisation

      Mais plus profondément encore, plus anciennement, notre insensibilité à l’humiliation est due à l’entrecroisement, dans nos sociétés, d’une morale stoïcienne de la #modestie, et d’une morale chrétienne de l’#humilité. Celle-ci, en rupture avec les religions de l’imperium, de la victoire, propose en modèle un divin abaissé et humilié dans l’ignominie du supplice de la croix, réservé aux esclaves. Le #stoïcisme est une sagesse dont la stratégie consiste à décomposer l’opinion d’autrui en des énoncés creux dont aucun ne saurait nous atteindre : l’esclave stoïcien n’est pas plus humiliable que l’empereur stoïcien.

      La dialectique hégélienne du maître et de l’esclave est d’ailleurs héritière de ces deux traditions mêlées, quand il fait de l’expérience de l’esclavage une étape nécessaire sur le chemin de la liberté. Cette vertu d’humilité a paradoxalement creusé dans le monde de la chevalerie médiévale, puis dans la société française de cour, et finalement dans le dévouement de l’idéal scientifique, un sillon profond, qui est comme l’angle mort de notre civilisation.

      Et cet angle mort nous a empêchés de voir le rôle de l’humiliation dans l’histoire : c’est l’humiliation du Traité de Versailles qui prépare la venue d’Hitler au pouvoir, celle de la Russie ou de la Turquie qui y maintient Poutine et Erdogan, c’est la manipulation du sentiment d’humiliation qui a propulsé la figure de Trump. Et cette histoire n’est pas finie. Les manipulations machiavéliques des sentiments de peur et les politiques du #ressentiment n’ont jamais atteint, dans tous nos pays simultanément, un tel niveau de dangerosité. Les djihadistes ici jouent sur du velours, car à l’humiliation ancienne de la #colonisation militaire, économique, et culturelle, s’est ajoutée celle des #banlieues et du #chômage, et maintenant les caricatures du prophète, répétées à l’envi.

      #Fanatisme et #dérision

      Car la genèse de la dérision est non moins importante, et concomitante à celle du fanatisme. On a beaucoup entendu parler du #droit_de_blasphémer : curieuse expression, de la part de tous ceux (et j’en suis) qui ne croient pas au #blasphème ! Réclamer le droit de blasphémer, s’acharner à blasphémer, n’est-ce pas encore y croire, y attacher de l’importance ? N’est-ce pas comme les bandes iconoclastes de la Réforme ou de la Révolution qui saccagent les églises, dans une sorte de superstition anti-superstitieuse ?

      Tout le tragique de l’affaire tient justement au fait que ce qui est important pour les uns est négligeable pour les autres. Il faudrait que les uns apprennent à ne pas accorder tant d’importance à de telles #satires, et que les autres apprennent à mesurer l’importance de ce qu’ils font et disent. Ce qui m’inquiète aujourd’hui c’est le sentiment qu’il n’y a plus rien d’important, sauf le droit de dire que rien n’est important.

      Une société où tout est « cool » et « fun » est une société insensible à l’humiliation, immunisée à l’égard de tout scandale, puisqu’il n’y reste rien à transgresser, rien à profaner. Or la fonction du #scandale est vitale pour briser la complaisance d’une société à elle-même. Pire, lorsque l’ironiste adopte un point de vue en surplomb, pointant l’idiotie des autres, il interrompt toute possibilité de #conversation. On peut rire, mais encore faut-il que cela puisse relancer la conversation !

      Sacralisation des caricatures ?

      Le différend tient peut-être aussi au fait que nous ne disposons pas exactement des mêmes genres littéraires. #Salman_Rushdie et #Milan_Kundera observaient que le monde musulman a du mal à comprendre ce que c’est qu’un « roman », comme une forme littéraire typique d’une certaine époque européenne, et qui met en suspens le jugement moral. Nous aussi, nous avons un problème : on dirait parfois que le genre littéraire éminent qui fonde notre culture est la caricature, la dérision, le #comique.

      Ce qui est proprement caricatural, c’est que les caricatures, le #droit_de_rire, soient devenues notre seul sacré. Serions-nous devenus incapables de percevoir ce que les Grecs anciens désignaient par le tragique ? N’avons-nous pas perdu aussi le sens de l’#épopée véritable (celle qui honore les ennemis), et le sens de quoi que ce soit qui nous dépasse nos gentilles libertés bien protégées ?

      Aujourd’hui, aux manipulations de la peur et de la xénophobie par les néonationalistes français, qui sacralisent la #laïcité comme si elle n’était plus le cadre neutre d’une #liberté_d’expression capable de cohabiter paisiblement avec celle des autres, mais la substance même de l’#identité française (une identité aussi moniste et exclusive que jadis l’était le catholicisme pour l’Action française), répond la manipulation cynique du sentiment d’humiliation des musulmans français par les prédicateurs-guerriers du djihadisme, qui n’ont de cesse d’instrumentaliser le ressentiment, dans le monde et en France.

      Liberté d’abjurer et laïcité réelle

      Aux organisations musulmanes françaises, nous dirons : demandez aux pays dominés par l’islam politique d’accorder à leurs minorités les mêmes libertés réelles qui sont celles des musulmans de France, et accordez solennellement à toutes les musulmanes et à tous les musulmans le droit d’abjurer, de se convertir, ou simplement de se marier en dehors de leur communauté.

      Aux néonationalistes, nous dirons : si la laïcité n’est plus que cette identité sacrée, c’est-à-dire le contraire de ce qu’elle a été dans l’histoire réelle (oui, enseignons d’abord l’histoire réelle dans son long cours, ses compromis complexes, et pas les histoires simplistes que nous nous racontons !), le #pacte_laïque sera rompu, et nous ferons sécession, il faudra tout recommencer, ensemble et avec les nouveaux venus.

      Car ce pacte est ce qui, au nom de notre histoire commune, et inachevée, autorise, au sens fort, la #reconnaissance_mutuelle. Il cherche à instituer un théâtre commun d’apparition qui fasse pleinement crédit à la parole des uns et des autres. C’est bien ce qui nous manque le plus aujourd’hui.

      https://www.nouvelobs.com/idees/20201122.OBS36427/on-a-oublie-le-role-de-l-humiliation-dans-l-histoire-par-olivier-abel.htm

  • Et la croix de Lorraine est discrètement apparue sur le logo de l’Elysée
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2018/10/05/quand-la-croix-de-lorraine-s-invite-sur-le-logo-de-l-elysee_5365102_823448.h

    A l’occasion de la présentation par Emmanuel Macron du plan de lutte contre la pauvreté, le 13 septembre, une discrète croix de Lorraine a fait son apparition sur le logo de l’Elysée, utilisé notamment sur le bandeau ornant le pupitre du chef de l’Etat.

    Jusqu’ici, ce dessin censé identifier la présidence de la République était uniquement composé d’un faisceau de licteur (des branches entourées de lanières et surmontées d’une hache, un symbole de la République hérité de l’Antiquité), d’une branche de chêne et d’olivier (pour la justice et la paix), de deux têtes de lion (pour la force), et d’un bouclier avec l’inscription RF (pour République française).

    Traditionnellement, chaque nouveau président modifie, à la marge, ce blason. Mais c’est la première fois qu’un nouveau symbole [PARTISAN] y apparaît. « C’est un choix d’Emmanuel Macron, reconnaît-on à l’Elysée. Le chef de l’Etat voulait y inscrire la croix de Lorraine parce que son quinquennat sera marqué par trois anniversaires liés à Charles de Gaulle : les 60 ans de la constitution de 1958, les 80 ans de l’appel du 18 juin et les 50 ans de la mort du général. »

    #symbole #gaullisme not dead ? #religion_politique
    Ça date d’octobre 2018 mais je n’avais pas vu passer.

  • A l’église de la Madeleine, saint Johnny, 13e apôtre
    https://www.lemonde.fr/m-perso/article/2019/03/01/a-l-eglise-de-la-madeleine-saint-johnny-13e-apotre_5430121_4497916.html

    Combien sont-ils, alignés sur des chaises en bois, dans cette monumentale église bondée ? Le sacristain a l’œil : « 850 personnes. » Pensez ! Ni à Noël ni à Pâques la messe à la Madeleine, à Paris, ne fait nef comble à ce point. Le miracle, c’est Johnny Hallyday qui l’accomplit. Il le réitère même tous les 9 du mois depuis ses obsèques, en décembre 2017, avec l’aide providentielle du curé de la paroisse, d’un missionnaire breton auteur de chansons, de l’organiste et d’un chantre à voix de stentor.

    Pour pénétrer backstage, explorer les coulisses du miracle, ce samedi 9 février, il faut arriver dès l’ouverture de l’édifice aux allures de temple grec, dans le 8e arrondissement parisien. Remonter prestement l’allée centrale pour retenir une place au pied des marches en marbre qui montent vers l’autel. C’est là que, trois heures avant la célébration de mi-journée, les fans toujours endeuillés se retrouvent, exhibent pour la millième fois leurs reliques, le billet du concert grenoblois de 1975 ou la photo dédicacée sous pochette plastique, puis installent de grands portraits du rockeur devant lesquels ils ­sacrifient au rituel du selfie.

    « Johnny, il ne croyait pas à ça, même s’il respectait. Il croyait aux bécanes et à la bagarre ! On ne pensait pas qu’on viendrait dans une église lui rendre hommage… » Joëlle et Manu

    Le cuir des blousons a vieilli, les catogans ont viré au gris. Ils sont proches en âge de feu leur idole septuagénaire mais pas plus que lui grenouilles de bénitier. « Johnny, il ne croyait pas à ça, même s’il respectait. Il croyait aux bécanes et à la bagarre ! Franchement, on ne pensait pas qu’on viendrait dans une église lui rendre hommage… Mais on le suit. » Dixit « Joëlle et Manu », fratrie sexagénaire portant tous les stigmates de la passion hallydienne – clous, cuir, bijoux, tatouages. Leur voisin de travée, Laurent Lefort, un agent de sécurité en longue maladie « sauvé » par Johnny (« Sans lui, à l’hôpital, je me serais laissé dépérir »), se souvient même qu’en 1970 le boss « était passé proche de l’excommunication avec sa chanson Jésus-Christ ».

    Tintement de cloche. Silence. Chant puis lecture de saint Paul aux Hébreux. Pas de doute, c’est bien une messe. Sauf que la bande-son est signée Johnny. Les paroles, elles, ont été revues et corrigées par la sainte Eglise catholique. Sur l’air du Requiem pour un fou, l’assemblée chante « Seigneur mon Dieu, je viens vers toi ». Sur celui du Pénitentier, « Oui le seigneur est mon berger/Rien ne saurait me manquer ». Et ainsi de suite jusqu’au grand finale, le Que je t’aime dispensé par un ténor. « Quand l’ange entre chez toi/Et te dit : Réjouis-toi !/Voici tu enfan­teras/Le Christ roi des rois ». Des bras oscillent en rythme, des larmes coulent. Pas vraiment le Stade de France, mais une drôle de célébration, tout de même.

    #Johnny #Religion_catholique #Gérontophilie

  • Divorce juif : à Grenoble, coup d’arrêt au « chantage au guett » Mélinée Le Priol - La Croix - 23 Juillet 2018

    https://harissa.com/news555/fr/divorce-juif-grenoble-coup-darret-au-chantage-au-guett

    Alors que dans le judaïsme, le divorce ne se fait pas sans l’accord du mari, une décision forte a été prise récemment à Grenoble pour sanctionner un époux récalcitrant.

    Quatre ans après un scandale retentissant à Paris, les « chantages au guett » continuent de se pratiquer en France.

    Un communiqué placardé à la mi-juin dans les synagogues de Grenoble (Isère) annonçait que des sanctions religieuses avaient été prises à l’encontre d’un fidèle qui refusait de remettre à son ex-femme le guett, l’acte de divorce religieux juif. / Benjamin Barda/CIRIC
    https://harissa.com/news555/sites/default/files/styles/large/public/field/image/mariage-juif.jpg

    Le communiqué a été placardé à la mi-juin dans les synagogues grenobloises. Il annonçait que des sanctions religieuses avaient été prises à l’encontre d’un fidèle qui refusait de remettre à son ex-femme le guett (acte de divorce religieux juif, lire ci-dessous). Le mari récalcitrant, cité nominativement dans ce document public, ne peut désormais plus participer à la prière synagogale et se trouve exclu du minian (quorum de dix hommes nécessaire à la prière).

    Radicale, cette mesure est inédite en France. Inspirée des pratiques de shaming qui ont cours en Israël ou aux États-Unis pour dénoncer le « chantage au guett » – il arrive même que la photo de l’homme soit publiée –, elle a été prise par deux rabbins grenoblois, sous l’autorité du grand rabbin de France Haïm Korsia. Celui-ci assume la sévérité de sa décision : « Il faut une condamnation unanime, une sorte de mise au ban sociale de ces hommes qui n’ont pas la dignité de rendre sa liberté à leur femme », explique-t-il à La Croix.
     
    Pratiques de chantage
    Connu pour sa bienveillance vis-à-vis des femmes dans ces affaires de divorces conflictuels, où l’homme se venge parfois d’une procédure civile qui lui a été défavorable, Haïm Korsia aimerait voir l’ensemble des juifs de France participer au « rejet moral » des pratiques de chantage, « sans la moindre compassion »pour ces hommes. Mais il sait que du chemin reste à faire. Ces dernières semaines, il a reçu plusieurs lettres lui demandant de revenir sur sa décision prise à Grenoble, arguant que ce mari était « un homme bien » et qu’il ne méritait pas une telle marginalisation.

    Si la position de l’actuel grand rabbin de France ne souffre pas d’ambiguïté sur cette question, ce n’est pas le cas de celle de son prédécesseur par intérim, Michel Gugenheim, aujourd’hui grand rabbin de Paris : en 2014, le tribunal rabbinique de Paris avait été accusé d’avoir cautionné une forme de « chantage au guett » en présence du rabbin Gugenheim. L’affaire avait défrayé la chronique et déchiré la communauté juive de France.

    « Le scandale du guett de 2014 a révélé des dysfonctionnements graves dans le tribunal rabbinique de Paris, dont les membres et le président ne sont pas des juges rabbiniques. Les règles de procédure n’y sont pas respectées, et les décisions y sont parfois prises à la tête du client. Ni la composition du tribunal ni l’équipe du service du divorce n’ont changé depuis 2014 », assure Liliane Vana, spécialiste en droit hébraïque et talmudiste, très mobilisée auprès des femmes dans le judaïsme. Avec l’écrivaine Éliette Abécassis (1), cette juive orthodoxe vient de créer un hashtag pour inviter ces femmes à sortir du silence sur les réseaux sociaux : #stopchantageauguett.
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    #Divorce #chantage #femmes #religion_juive #guett #religion #tribunal_rabbinique #domination_masculine #couple #violence #france

  • Portrait du travailleur intellectuel en « capitaliste du savoir »

    Lola Miesseroff

    https://lavoiedujaguar.net/Portrait-du-travailleur-intellectuel-en-capitaliste-du-savoir

    À la jonction entre les XIXe et XXe siècles, le révolutionnaire polonais Jan Makhaïski (1866-1926) entendait démontrer que les « travailleurs intellectuels », ceux qui sont rétribués pour penser (ingénieurs, gestionnaires, comptables, professeurs, journalistes, écrivains…), constituent une fraction de la bourgeoisie aux intérêts de classe opposés à ceux des ouvriers. Grâce à leurs études, payées par une partie des dividendes du travail des ouvriers, ils acquièrent un capital de connaissance qu’ils vont mettre au service de l’entreprise ou de l’État. Les diverses fonctions de gestion, de contrôle, d’encadrement, de « dressage » du prolétariat qu’ils occupent ensuite les situent du côté de la classe dirigeante. C’est aussi cette intelligentsia qui fournit au capital l’idéologie du progrès nécessaire à sa croissance, d’où naît une « nouvelle classe moyenne » bénéficiant d’une partie du « profit national net ». (...)

    #Makhaïski #socialisme_étatique #intelligentsia #religion_scientifique

  • #Soraya_Chemaly : « Sous Trump, nous sommes tous et toutes des femmes »

    Les mêmes stratégies utilisées contre les femmes pendant des décennies par la droite chrétienne et le mouvement anti-avortement sont maintenant, sous la présidence de #Donald_Trump, en voie d’être tournées contre le peuple américain dans son ensemble. (...)


    Des milliers de personnes se sont rassemblées hier à Washington, DC, comme elles le font depuis 44 ans, pour ce qu’on appelle la March for Life. Ce défilé contre le droit à l’avortement a lieu chaque année, à proximité de la date anniversaire de l’adoption en 1973 de Roe v. Wade, la décision de la Cour suprême des États-Unis sur les droits à l’avortement. Les marcheurs d’hier, qu’ils aiment individuellement ou non Trump, étaient heureux, plein d’espoir et enthousiastes de savoir que son administration est si clairement et explicitement « pro-vie ».
    Ce défilé était une célébration de la victoire électorale de la droite, le résultat de décennies de travail qui n’avaient presque rien à voir avec Donald Trump ou ses visées et pathologies personnelles. Son élection a permis au mouvement de la droite religieuse, une force coalisée depuis des décennies contre les droits à l’avortement, d’acquérir le pouvoir politique. Ce défilé, et non l’inauguration de Trump, devrait être notre point focal pour comprendre le rejet par la nouvelle administration de la modernité, de la science et de la laïcité, ainsi que ses objectifs politiques non démocratiques.

    Traduction : #Tradfem
    Version originale : https://www.opendemocracy.net/5050/soraya-chemaly/under-trump-we-are-all-women

    Soraya Chemaly est féministe, écrivaine et satiriste (pas toujours dans cet ordre). Elle soutient l’égalité des sexes et la liberté d’expression des femmes.
    #pro-vie #avortement #droite_conservatrice #religion_catholique

  • Une ado expulsée de son lycée à cause de sa robe jugée trop longue (L’Obs)
    http://tempsreel.nouvelobs.com/societe/20160504.OBS9867/une-ado-expulsee-de-son-lycee-a-cause-de-sa-robe-jugee-trop-lon

    Elève de première au lycée Flora Tristan à Montereau-Fault-Yonne (Seine-et-Marne), K., 16 ans, s’est vu refuser l’accès de son établissement, mardi 3 mai, en raison de sa robe, jugée trop longue. La veille, la proviseure lui avait signifié que sa tenue vestimentaire était un « signe ostentatoire religieux », et donc qu’elle ne pouvait pas la porter dans le lycée.

    #éducation #lycée #laïcité #islamophobie #tenue_vestimentaire