• Le directeur général de la santé pendant le Covid promu numéro 2 de l’OMS : pourquoi Jérôme Salomon a-t-il été nommé ? - midilibre.fr
    https://www.midilibre.fr/2023/04/17/le-directeur-general-de-la-sante-pendant-le-covid-promu-numero-2-de-loms-p

    Jérôme Salomon est épidémiologue de formation. Lors de la crise sanitaire, il a pris la parole plusieurs fois pour détailler l’évolution de la situation sanitaire ou mettre en lumière la campagne de vaccination. C’est aussi à lui que revenait le funeste décompte des décès et des hospitalisations.

    Le bilan de son passage à la DGS est néanmoins mitigé. En 2020, une commission de sénateurs l’accuse d’être en partie responsable du manque de masques au printemps et à l’été 2020 et d’avoir cherché à dissimuler le rôle essentiel qu’ils tenaient dans la diminution des risques de transmission

  • Topli Do: dalla resistenza la rinascita di un villaggio
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Topli-Do-dalla-resistenza-la-rinascita-di-un-villaggio-224417

    L’unica ricchezza di Topli Do, villaggio in via di spopolamento tra i boschi della Stara Planina, in Serbia, sono i suoi torrenti impetuosi. Quando nel 2019 una centralina idroelettrica stava per portarglieli via, i pochi abitanti rimasti non hanno esitato a erigere delle barricate. Da allora il villaggio vive un’insperata rinascita

  • Retraites : pas un seul mobilier urbain n’a échappé à la violence des casseurs à Rennes
    https://www.francebleu.fr/infos/faits-divers-justice/pas-un-seul-mobilier-urbain-n-a-echappe-a-la-violence-des-casseurs-a-renn

    Clear Channel, qui possède la concession de ce mobilier urbain dans la Métropole rennaise jusqu’en 2025, estime le coût à plus de 80.000 euros pour le seul mois de mars. Le préjudice doit encore être affiné, car il y aura « sans doute des appareils électriques à changer à l’intérieur », explique Johann Thibaudat, le responsable Bretagne. Il faut compter « 200-300 euros la vitre », pas loin de « 15.000 euros le mobilier ». Sans oublier le manque à gagner publicitaire.

    Lassées d’intervenir sur du mobilier qui est de nouveau dégradé la semaine suivante, les équipes, désabusées, et la direction de Clear Channel, ont décidé provisoirement d’arrêter les réparations. Après avoir « fait les mises en sécurité sur les mobiliers dégradés pour éviter que des personnes se blessent ».

    #Rennes

  • Dissolution du « Mouvement Defco » : Communiqué de la Défense collective - expansive.info
    https://expansive.info/Dissolution-du-Mouvement-Defco-Communique-de-la-Defense-collective-3871

    Nous avons appris par voie de presse la volonté du Ministre de l’Intérieur de dissoudre le « mouvement DefCo », à la demande notamment du Front National, et ce au motif d’appels au « soulèvement ».

    à #Rennes, le RN n’a pas digéré le comité d’accueil pour son poulain le 25/9/22. Le poulain élu président du front nazional le 5/11/22 lors du XVIIIe congrès des nazillons à Paris. Darmanin est à l’écoute de ses ami.e.s d’extrême droite, ça, à moins que tu viennes de débarquer sur « seenthis » tu le savais déjà et ça se confirme.
    https://seenthis.net/messages/974193#message974343
    Une vingtaine de groupes antifascistes affirment collectivement leur engagement dans la lutte contre le système et ses chiens de gardes fascistes. Voici leur appel :
    https://lahorde.samizdat.net/Tribune-antifasciste
    #défense_collective #extrême_droite #darmanin #bardella

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

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    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • Bienvenue en première ligne – Au delà de la violence et de la non-violence – collectif Chuang, niet !éditions
    https://niet-editions.fr/blog/bienvenue-en-premiere-ligne-au-dela-de-la-violence-et-de-la-non-violen

    Le collectif Chuang proposait en juin 2020 une très pertinente analyse des derniers développements tactiques et stratégiques dans les manifs qui secouent tout à tour de nombreux endroits du monde. De Hong Kong au Chili, des États-Unis en feu à la France des Gilets jaunes, Chuang revient sur les fameuses “premières lignes” qu’on a vu apparaitre ici et là. Une intelligence collective des affrontements semble montrer son nez…

    #manifestation #tactique

  • Proposition de loi « antisquat » : les experts de l’ONU écrivent à la France leurs inquiétudes
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/04/04/proposition-de-loi-antisquat-les-experts-de-l-onu-ecrivent-a-la-france-leurs

    Le rapporteur spécial de l’ONU sur le logement convenable, Balakrishnan Rajagopal, et le rapporteur spécial sur l’extrême pauvreté et les droits humains, Olivier De Schutter, ont adressé au gouvernement français une communication officielle longue de huit pages, rendue publique mardi 4 avril. « Nous alertons sur la régression que constitue cette proposition de loi, et sur le risque qu’elle conduise la France à violer ses engagements internationaux », résume M. De Schutter. S’il n’est pas exceptionnel que des rapporteurs de l’ONU transmettent une telle communication à un pays membre, c’est, « à ma connaissance, la première fois que la France est saisie au sujet d’un texte de loi relatif au logement », précise-t-il.

    Mais puisqu’on te dit que c’est comme les coups de matraque dans la gueule, c’est pour aider les pauvres qu’ils font ça ! Bon sang, ils sont obtus à l’ONU.

  • Gérald Darmanin annonce la création d’une « cellule anti-ZAD »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/04/02/gerald-darmanin-annonce-la-creation-d-une-cellule-anti-zad_6167915_3224.html

    Alors que se multiplient les accusations de violences policières (...), le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, apporte son soutien aux forces de l’ordre, dans un entretien au Journal du dimanche du 2 avril. Il annonce aussi la création d’une cellule « anti-ZAD » (« zone à défendre »).

    (...) « Je refuse de céder au terrorisme intellectuel de l’extrême gauche qui consiste à renverser les valeurs : les casseurs deviendraient les agressés et les policiers les agresseurs », soutient-il encore.
    Selon le ministre de l’intérieur, « depuis le 16 mars, 1 093 policiers, gendarmes et sapeurs-pompiers ont été blessés » dans les manifestations. Il y a eu « 2 579 incendies volontaires et 316 atteintes à des bâtiments publics ».

    (...)« A Sainte-Soline, comme dans certaines manifestations sauvages, ce n’était pas du maintien de l’ordre : c’était de la guérilla », déclare-t-il.

    Estimant que les politiques avaient « manqué de fermeté face à l’extrême gauche, par complaisance intellectuelle ou par lâcheté », M. Darmanin a affirmé que « plus aucune ZAD ne s’installera dans notre pays. Ni à Sainte-Soline ni ailleurs ». Et d’annoncer la création au ministère de l’intérieur d’une « cellule anti-ZAD, avec des juristes spécialisés ». Elle verra le jour le 1er septembre, selon son entourage.

    Interrogé sur la pétition appelant à la dissolution de la brigade de répression de l’action violente motocycliste (la BRAV-M), qui avait recueilli samedi soir plus de 240 000 signatures, M. Darmanin a jugé que c’était « une pétition politisée, relayée par La France insoumise, qui déteste la police ».
    Quant aux inquiétudes manifestées par le rapporteur spécial de l’ONU et le Conseil de l’Europe sur la manière dont est utilisée la force en France, le ministre a répondu : « J’entends les critiques mais j’encourage leurs auteurs, plutôt que de commenter des extraits vidéos depuis New York ou Bruxelles, à venir sur le terrain. »

    La Nupes « prend en otage la gauche républicaine »

    Questionné sur l’ultragauche, il a assuré que les services de renseignement avaient recensé « en France 2 200 “fichés S” » appartenant à cette mouvance. Il a dénoncé « une complaisance très inquiétante des mouvements politiques qui ont leurs entrées à l’Assemblée nationale ».

    Après le lancement de la procédure de dissolution du mouvement Les Soulèvements de la Terre, un des organisateurs de la manifestation de Sainte-Soline, M. Darmanin a annoncé qu’il ferait de même pour Defco (Défense collective), un mouvement de Rennes (Ille-et-Vilaine) qui « appelle au soulèvement » . Sur son site Internet [https://defensecollective.noblogs.org], ce collectif dit avoir « pour but de soutenir les personnes confrontées à la répression policière et judiciaire, mais aussi d’agir en amont par son action dans la rue et par l’expérience tirée de la répression ».

    edit #Rennes comme #zone_autonome, sur cuicui @Defense_Co et @AG_Rennes2
    Face aux ordures qui nous exploitent et nous gouvernent, vive la révolte des poubelles !
    https://seenthis.net/messages/997203

    #blocage #ville #goban #police #justice #renseignement #dissolution

    • „Premier septembre“ ... „plus aucune“ ... ca vous rappelle qc ? Moi si.

      „Seit 5:45 Uhr wird jetzt zurückgeschossen“
      https://www.ardaudiothek.de/episode/archivradio-geschichte-im-original/seit-5-45-uhr-wird-jetzt-zurueckgeschossen-hitler-erklaert-kriegsbeginn-und-pakt-mit-stalin/swr2/66749162

      1.9.1939 | Bei seiner Reichstagsrede zum Kriegsbeginn am 1. September 1939 donnert Adolf Hitler immer wieder frenetischer Applaus entgegen. Er rechtfertigt den Überfall auf Polen mit einem angeblichen polnischen Angriff auf den Sender Gleiwitz in Schlesien. Jetzt schieße man eben „zurück“.

      Drôles de ressemblances. C’est ca le rapprochement franco-allemand?

      M. Darmanin a affirmé que « plus aucune ZAD ne s’installera dans notre pays. Ni à Sainte-Soline ni ailleurs ». Et d’annoncer la création au ministère de l’intérieur d’une « cellule anti-ZAD, avec des juristes spécialisés ». Elle verra le jour le 1er septembre, selon son entourage.

      #wtf

    • Totalement hors-sol et bouché du cerveau, c’est bien un conservateur, ils veulent des chefs, des groupes hiérarchisés, une activité pérennisé, ils se croient au CAC40 de la contestation ? En fait ils ne comprennent rien, n’ont jamais lu, et encore moins Hakim Bey ? #TAZ #ZAT #ZAD
      Le concept des #vivants, du #vivant, leur échappe tellement, qu’il leur faut du matériel, du concret, ficher, trier, arrêter, marquer les corps contestataires par tout moyen, quitte à les éborgner, ou à les tuer.

      Ça rassure leur conception du monde des représentants de commerce de la violence concrète.

      Mais ils ont perdu d’avance, les zombies sont libres, nombreux, impalpables, plus vivants que jamais, et surtout dans la rue et les campagnes, à tout endroit, à tout moment les Camille sont là, dans la lumière.

      #zone_autonomie_temporaire

    • Il y a deux jours :

      Darmanin demande la dissolution de la mouvance Internet : un groupuscule dangereux qui semble s’échanger des données via des réseaux informatiques en dehors de Facebook.

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

      –-

      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • A Bayonne, des milliers de manifestants pour dénoncer les prix de l’immobilier au Pays basque
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/04/01/a-bayonne-des-milliers-de-manifestants-pour-denoncer-les-prix-de-l-immobilie

    Alors que le nombre d’habitants de la région est en hausse constante, le nombre de résidences secondaires a également fortement augmenté et le prix du mètre carré a bondi de plus 35 % en quatre ans.

    #logement #tourisme #rente_foncière #loyers

  • Face aux ordures qui nous exploitent et nous gouvernent, vive la révolte des poubelles !
    Texte de l’Assemblée Générale de Rennes 2 à lire et diffuser sur votre point de blocage favori
    https://www.instagram.com/ag.rennes2

    l’entassement des #poubelles dans la rue nourrit aussi la contestation dans la rue

    (...) à Paris le chiffre d’affaire des hôtels a chuté de 50%


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    .....

    .....

    #Rennes montre la voie

    #grève #blocage #éboueurs #réquisitions #économie #centre_ville #bourgification #retraites #travail #commerce #autoréductions #zone_autonome #Rennes

  • Quand une note des renseignements fait l’éloge des Soulèvements de la Terre, Gaspard d’Allens
    https://reporterre.net/Quand-une-note-des-renseignements-fait-l-eloge-des-Soulevements-de-la-Te

    Depuis plusieurs mois, les autorités ont dans le collimateur Les Soulèvements de la Terre — l’un des collectifs organisateurs de la mobilisation à Sainte-Soline (Deux-Sèvres) contre les mégabassines. Reporterre s’est procuré une note des renseignements généraux datée de novembre 2022 qui révèle le long travail d’investigation mené par les services de police sur le mouvement. À l’époque, Le Parisien l’avait déjà citée dans un article.

    En filigrane, la police reconnaît « l’ingéniosité », « l’intelligence » et « la communication parfaitement maîtrisée » des activistes qui ont su rallier autour d’eux intellectuels, associations et syndicats pour créer un véritable mouvement social de l’eau et devenir « un acteur majeur de la contestation écologique radicale ».

    Les renseignements voient Les Soulèvements de la Terre comme une véritable menace. Ce qui expliquerait d’ailleurs le discours du ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin, qui réclame leur dissolution.

    Les Soulèvements de la Terre : révélations sur le fer de lance de l’écologie radicale en France, 20 décembre 2022
    https://www.leparisien.fr/faits-divers/les-soulevements-de-la-terre-revelations-sur-le-fer-de-lance-de-lecologie

    C’était le 11 décembre en fin d’après-midi, jour de l’arbre de Noël de la société Lafarge à Bouc-Bel-Air (Bouches-du-Rhône). Vêtus de combinaisons blanches et masqués, plus d’une centaine d’activistes se sont introduits en force dans l’usine du cimentier

    #paywall..

    #renseignements #police #écologie #Soulèvements_de_la_Terre #transversalité #écosabotage #désarmement

  • La rénovation urbaine au chevet des inégalités de santé ?
    https://metropolitiques.eu/La-renovation-urbaine-au-chevet-des-inegalites-de-sante.html

    Dans le cadre de son partenariat avec l’ANRU, Métropolitiques fait dialoguer chercheur·ses et professionnel·le·s autour de grands enjeux de la #rénovation_urbaine et des #quartiers_populaires. Ce premier échange traite des #inégalités sociales de santé dans les quartiers de la #politique_de_la_ville et des moyens de les réduire. Entretien réalisé par Anaïs Collet et David Rottmann. La crise sanitaire de la #Covid-19 a révélé l’ampleur des inégalités sociales et spatiales de santé. La surmortalité observée #Entretiens

    / santé, inégalités, Covid-19, #accès_aux_droits, quartiers populaires, rénovation urbaine, politique de la (...)

    #santé
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-interview_anru.pdf

  • Méga-bassines : des élus écologistes mis illégalement sous écoute | L’Humanité
    https://www.humanite.fr/politique/ecologie/mega-bassines-des-elus-ecologistes-mis-illegalement-sous-ecoute-788140

    Avant le rassemblement de samedi, les services de renseignement auraient mis sur écoute des activistes écologistes, mais aussi des élus, selon les révélations du Canard enchaîné, ce qui est interdit par la loi. Ce vendredi, la secrétaire nationale EELV Marine Tondelier a interpellé par courrier la première ministre Elisabeth Borne.

    • La criminalisation des activistes écologistes jusqu’à celle des élus. Mercredi, le Canard enchaîné a révélé les instructions données par le ministre de l’Intérieur visant à entraver, par tous les moyens, la lutte des militants anti-bassines, qui se réunissent samedi dans les Deux-Sèvres, pour un rassemblement d’une grande ampleur, pour lequel l’exécutif a mobilisé 3200 policiers. « Filatures, infiltrations, piégeage des ordinateurs, surveillance, pose des balises, géolocalisation, écoutes administratives… », le journal satirique l’usage démesuré de moyens judiciaires contre les activistes qualifiés d’ « écoterroristes » par le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin, lors du rassemblement de Sainte-Soline, fin octobre.

      « En branchant un militant écolo, on était amené à écouter des élus. Ce que la loi nous interdit strictement », révèle, dans l’article, un officier de renseignement. Suite à ces révélations, la secrétaire nationale EELV Marine Tondelier, se dit inquiète « d’une criminalisation de l’écologie » et s’insurge que « de tels moyens de surveillance soient déployés contre des militant·es écologistes pacifistes ».

      Dans une lettre ouverte, la responsable écologiste interpelle la Première ministre sur ces dérives, et annonce la saisie de la Commission nationale de contrôle des techniques de renseignement. « Ces écoutes s’ajoutent à l’utilisation de plus en plus fréquente par les services de l’Etat de la loi dite séparatisme pour empêcher les activités d’associations écologistes », écrit-elle, en référence à l’intensification de la répression des militants. Comme en interdisant certains rassemblements, comme ceux prévus le 24,25 et 26 mars, dans les Deux-Sèvres. Un arrêté du 17 mars considère ainsi que les organisations à l’origine de la mobilisation sont « connues pour leurs incitations à la désobéissance civile ainsi que pour leurs actions radicales et violentes. »

      À ces censures s’ajoutent également une série d’interpellations, gardes à vue, procès, menaces de dissolution et perquisitions à l’encontre des opposants aux bassines. Le 17 mars dernier, Julien Le Guet, figure de la lutte, avait été placé en garde à vue pour des faits remontant à octobre 2022. Le collectif Bassines Non Merci, dont il est le porte-parole, dénonce « une tentative grossière d’intimidation des opposants aux bassines et à l’agriculture industrielle », et un « arsenal répressif » révélateur « des angoisses préfectorales à la veille de ce qui s’annonce être une manifestation massive et historique ».

  • Expulsion collective de 34 personnes soumises au règlement Dublin par vol militaire

    L’Office des Étrangers persiste dans une application absurde, arbitraire, et inhumaine du règlement Dublin en déportant une trentaine de personnes par vol militaire vers la #Croatie. Pour rappel, il existe un règlement européen dit ‘Dublin’ qui permet de déterminer le pays responsable de la demande d’asile en application de toute une série de critères. Le critère le plus régulièrement appliqué, est celui du premier pays d’entrée de la personne au sein de l’Union européenne et où les empreintes ont été prises. Cela permet donc à la Belgique de renvoyer les personnes demandeuses d’asile vers le pays dubliné, soit le première pays par lequel elles sont rentrées dans l’Union européenne.

    Un vol militaire a expulsé ce 17/03/2023 trente quatre personnes de différentes nationalités vers la Croatie, pays réputée pour son traitement très violent (tortures, agressions sexuelles…) envers les personnes en situation de migration . Les abus de l’état croate sont pointés par de nombreux rapports et organisations internationales. La Cour Européenne des droits de l’Homme a également rappelé la Croatie à l’ordre dans plusieurs condamnations.
    Nous n’avions pas eu connaissance précédemment d’expulsions par vol ‘militaire’ collectif vers la Croatie organisées par l’Office des Étrangers. Cette approche démontre la volonté de l’Office des Étrangers de vouloir dissuader les personnes demandeuses d’asile, passées par la Croatie d’introduire des demandes en Belgique. L’OE veut envoyer comme message que les personnes seront automatiquement renvoyées.

    Les personnes faisant l’objet de ce renvoi ont tou.te.s été rassemblé.e.s la veille du départ au centre fermé 127 bis à Steenokkerzeel. Plusieurs d’entre elles ont été transférées. D’autres avaient reçu une notification les prévenant d’une expulsion le 17/03 à 10 heures. Le jour J les personnes détenues au centre fermé 127 bis ont été éveillées par l’arrivée de bus et d’un grand nombre de combis de police

    Un détenu présent au moment des faits nous dit : “Un bus de l’aéroport est venu chercher 34 personnes . Six était déjà au 127 bis, les autres venaient d’autres centres et ont été amenés la veille au 127 bis. Nous avons tous été réveillés par ça. Y avait des flics partout. On était tous choqués.”

    Les personnes ont été embarquées une par une dans un véhicule, pour certain.e.s de force. Elles ont ensuite été amenées à l’aéroport sous escorte policière. Nous apprenons que certain.e.s d’entre eux sont bien arrivé.e.s à Zagreb.
    Parmi elles, un nombre important de personnes d’origine burundaise . Des membres de la diaspora burundaise en Belgique étaient présents à l’aéroport pour dénoncer ces expulsions .

    https://www.gettingthevoiceout.org/expulsion-collective-de-34-personnes-soumises-au-reglement-dubli

    #expulsions #renvois #Dublin #règlement_Dublin #armée #vol_militaire #vols #Belgique #renvois_Dublin #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_burundais

  • #CLIC : Un #Projet pour des apprentissages numériques plus interactifs
    https://framablog.org/2023/03/23/clic-un-projet-pour-des-apprentissages-numeriques-plus-interactifs

    La proposition de CLIC est de s’auto-héberger (de faire fonctionner des services web libres sur son propre matériel) et de disposer de ses contenus et données localement, et/ou sur le grand Internet avec un système technique pré-configuré. Le dispositif s’adresse … Lire la suite­­

    #Dans_notre_archipel #Logiciel_libre #Outils_émancipateurs #chatons #CICP #Claviers_invités #Code #coding_party #colibris #Contribution #Hack #hack-design #Linux #Mas_Covado #Odroid #ordinosaures #panneaux_solaires #Piratebox #RasperryPi #récupération #rencontre #ritimo #Wiki #Yunohost

  • #Violences, #interpellations_abusives... : le retour d’un #maintien_de_l’ordre qui sème le chaos

    Alors que le recours au 49-3 a entraîné une multiplication des rassemblements et actions spontanés partout en France, le #dispositif_policier a renoué avec ses travers : #interpellations_massives et mal fondées, violences gratuites, #mépris des libertés fondamentales.

    Les #manifestations unitaires, intersyndicales et globalement pacifiques qui ont rythmé les deux derniers mois ont fait long feu. Elles n’ont ni fait capoter la réforme des retraites, ni infléchi ses modalités. Les responsables syndicaux comme les simples manifestants ont eu beau mettre en garde l’exécutif contre les conséquences de sa sourde oreille – un risque d’exaspération populaire, de « radicalisation » du mouvement et de violences –, il n’a rien fait de cet avertissement.

    Le 49-3 dont personne ne voulait a bien eu lieu, jeudi 16 mars. Depuis, les #rassemblements_spontanés, #blocages, actions coup de poing et #cortèges_sauvages fleurissent partout en France. Comme toujours en pareil cas, des #forces_de_l’ordre sûres de leur légitimité et sujettes à une légère panique mettent un point d’honneur à endiguer tout ce qui déborde du cadre. Lundi 20 mars, le secrétaire général de la CGT, Philippe Martinez, a dénoncé « une augmentation de la #répression des manifestants qui n’est pas justifiée ».

    Depuis jeudi, la majorité des 61 compagnies de #CRS sont missionnées sur le maintien de l’ordre, en particulier à #Paris, #Nantes, #Rennes, #Bordeaux, #Marseille, #Lyon et #Dijon. « Les missions qui relevaient du plan national de sécurité renforcée notamment à Calais ou à Marseille, pour lutter contre la drogue ou l’insécurité, sont passées aux oubliettes, explique un responsable syndical chargé des CRS au niveau national. La priorité pour Darmanin, c’est de sécuriser Paris et les sites institutionnels sensibles comme l’Élysée, et le mot d’ordre est de “disperser tout mouvement non déclaré”, donc illégal. »

    Ce policier n’a pas souhaité témoigner sous son identité. « La situation est difficile. Le jeudi, je manifeste contre cette réforme que je trouve violente, confie-t-il, et je vais continuer », dit-il avant d’ajouter au sujet du 49-3 : « Était-ce vraiment utile vu le déferlement de #colère que cela a provoqué ? »

    « On est à la veille d’une insurrection. J’ai peur qu’un de mes gars tue un manifestant », confie un commandant de compagnie de CRS à Mediapart. « J’espère que la motion passera et que la dissolution de l’Assemblée sera prononcée. On reviendrait ainsi à une gestion plus démocratique du pays. » Ce haut gradé qui dirige près de 70 hommes précise que ce sont les préfets qui transmettent les ordres du ministre.

    « Pour le moment, ceux que j’ai reçus en participant au maintien de l’ordre, dans deux villes importantes, restent relativement “républicains”. Mais il n’y a aucune garantie qu’un drame ne se produise pas », rappelant qu’un CRS a sorti un fusil HK G36 à Nantes, lors de la manifestation du 18 mars.

    « C’est évidemment dangereux et inquiétant que cela ne questionne pas davantage dans nos rangs. Cela montre que des policiers ne sont absolument pas résilients. C’est pour cela que le président s’amuse à un jeu très dangereux qui peut se terminer par un drame, que je redoute : le décès d’un manifestant. »

    « On a été entraînés pour la “percussion” »

    La semaine du 49-3, Mathieu* était, avec sa compagnie de CRS, à Châteaudun, près d’Orléans, pour un « #recyclage », c’est-à-dire une remise à niveau organisée chaque semestre. Le vendredi soir, ces CRS ont été « appelés en renfort pour intervenir dès lundi à Paris ». Pour la seule journée de lundi, plus de trente unités mobiles, CRS et escadrons de #gendarmerie, sont déployées à Paris, soit près de 2 000 fonctionnaires.

    « Depuis le 49-3, le maintien de l’ordre se durcit nettement face aux rassemblements spontanés. Nous avons d’ailleurs été formés durant notre semaine de recyclage à aller davantage au contact des “#nébuleuses”, des #black_blocs », explique-t-il. « On a été entraînés pour la “#percussion”, une technique plus offensive. Dès qu’on les repère, on n’attend pas, on intervient sur eux. »

    Mathieu ne cache pas son embarras sur le contexte actuel et la difficulté de « charger de simples manifestants, dont la cause est juste ». Après les sommations, « si les manifestants restent sur notre passage, il n’y a plus de distinction. Il peut y avoir des dommages collatéraux ».

    Malgré plus de vingt ans d’expérience dans le maintien de l’ordre, Mathieu appréhende cette semaine. « Ce n’est pas tant pour moi, qui suis formé et protégé, mais pour ceux qui manifestent. Sur les rassemblements sauvages à Paris, ça arrange la préfecture de faire appel aux #Brav-M [#Brigades_de_répression_de_l’action_violente_motorisée – ndlr]. Non seulement ils sont utilisés pour intervenir très vite en moto, ce qui peut être terrorisant, mais le préfet a une mainmise directe sur eux contrairement à nous CRS, où on a un commandant ou un capitaine qui relaie les ordres du commissaire sur le terrain et qui peut les adapter. »

    Les Brigades de répression des actions violentes motorisées, Mathieu les a vues à l’œuvre pendant les manifestations des « gilets jaunes ». « Ils mettent le bordel plus qu’autre chose. Ils matraquent dans tous les sens. Après ce sont des collègues parfois mais on n’a pas le même état d’esprit. Il y a pas mal de policiers passés par la BAC dans leur rang et formés à aller au contact, peu importe qui ils ont en face. C’est cela le danger. »

    À Paris, le retour de la BRAV-M

    Les dernières semaines ont marqué un glissement progressif dans l’attitude des forces de l’ordre à Paris. Le 20 janvier dernier, le préfet de police #Laurent_Nuñez revendiquait de tenir ses troupes à distance des cortèges : « Je ne veux pas qu’on nous accuse de faire dégénérer les manifestations. De la sorte, on ne nous voit pas. Ça évite que les militants ultras qui cherchent à en découdre avec les forces de l’ordre ne viennent au contact. En contrepartie, je demande à nos effectifs d’être extrêmement réactifs. Dès la moindre dégradation, ils doivent intervenir. À chaque fois, nous intervenons puis nous nous retirons. »

    À la préfecture de police, certains contestaient ce choix. Les BRAV-M se seraient notamment plaintes de ne plus aller au contact, regrettant l’époque de Didier Lallement. Certaines manifestations ont toutefois été marquées par de violentes charges. Dès le 19 janvier, un jeune photographe grièvement blessé lors d’une charge policière a dû être amputé d’un testicule.

    Depuis deux semaines, les témoignages et vidéos de violences policières se multiplient, de Paris à Rennes en passant par Nantes (où quatre étudiantes accusent des policiers de violences sexuelles lors d’une fouille), tandis que des centaines d’interpellations ont eu lieu. Des journalistes dénoncent aussi diverses atteintes à la liberté de la presse (entrave à leur travail, coups, bris de matériel).

    Selon une source interne à la préfecture de police de Paris, le « #durcissement » du maintien de l’ordre serait lié à « la montée en gamme des violences » de certains manifestants jusqu’ici « inconnus », qui « se radicalisent depuis le début du mouvement » et surtout « depuis le #49-3 ». Le fait que ces manifestants deviennent plus mobiles justifierait un recours accru aux compagnies d’intervention et aux policiers motorisés de la BRAV-M. 

    Mises en place au début des gilets jaunes, fin 2018, et relativement discrète depuis le début du mouvement contre les retraites, la BRAV-M a réinvesti les rues de Paris. Depuis vendredi soir, les images de ces binômes de policiers à moto – souvent comparés aux « #voltigeurs » dissous après la mort de Malik Oussekine en 1986 – matraquant à tout-va, sans raison apparente et sans distinction les manifestants, circulent sur les réseaux sociaux.

    De son côté, la source préfectorale précédemment citée met en avant les six policiers blessés samedi, « dont deux ont reçu un pavé sur la tête », sans s’exprimer sur les violences imputées aux policiers.

    Des #gardes_à_vue sans suites

    À Paris, dès l’annonce du 49-3, la place de la Concorde s’est remplie de manifestants. Le préfet de police de Paris a bien tenté d’interdire ce rassemblement, déposé à l’avance par Solidaires, mais le tribunal administratif lui a donné tort.

    À l’issue de ces quelques heures sur la place, 292 personnes ont été arrêtées à Paris (sur 310 en France). Ces interpellations, mal motivées, ont cependant débouché sur un résultat judiciaire ridicule : seules neuf personnes ont été déférées devant la justice, et encore, pour « des avertissements probatoires solennels, des classements sous condition ou encore une contribution citoyenne », écrit BFMTV. Soit les sanctions les plus basses possibles.

    64 personnes ont encore été interpellées vendredi soir à Paris, dont 58 libérées sans aucune charge au bout de quelques heures. Dans certains cas, cela a duré un peu plus longtemps. Dans une séquence filmée par le correspondant de l’agence de presse turc Anadolu, une jeune femme se débat et essaie d’expliquer qu’elle « n’a rien fait ». La scène a lieu aux environs de 21 h 45, place de la Concorde.

    « Je respire pas, s’époumone une jeune femme au visage cramoisi.

    -- Laisse-toi faire, tu respires ! », lui rétorque le policier qui l’étrangle.

    Celle qui est aussi violemment interpellée, Chloé Gence, est développeuse web du Média. Mais comme le précisera dans un communiqué son employeur, elle a l’habitude de couvrir certaines manifestations et mouvements sociaux. Selon Le Média, Chloé était en train de « capter des images » avec d’autres journalistes, vendredi soir, quand elle a été « arrêtée de manière très brutale par les forces de l’ordre ».

    Chloé Gence est ensuite conduite en garde à vue. Malgré l’assistance d’un avocat et « les preuves qu’elle couvrait bien la manifestation pour Le Média », sa garde à vue est prolongée. Dimanche, #Chloé_Gence finit par sortir du commissariat, libre, sans qu’aucune charge ne soit retenue contre elle. Au bout de 40 heures…

    Un autre journaliste, #Paul_Ricaud, a subi le même sort que Chloé. Le Syndicat national des journalistes (SNJ) a dénoncé samedi, dans un communiqué, ces nouvelles atteintes à la liberté de la presse. Le syndicat regrette qu’après une période durant laquelle « les relations entre forces de l’ordre et journalistes paraissaient s’être apaisées », cela ne soit plus le cas depuis le 7 mars. « Nous voyons, à nouveau, des tensions comme sous l’ère Lallement, déplore le SNJ. Les forces de l’ordre semblent désormais vouloir réprimer durement le mouvement d’opposition à la réforme. »

    Depuis samedi, il est de nouveau interdit de manifester place de la Concorde. Ce nouvel arrêté préfectoral (qui n’a toutefois pas été publié) a entraîné une dissémination des rassemblements parisiens vers d’autres lieux. Samedi soir, 169 interpellations ont eu lieu en France, dont 122 à Paris (principalement dans le XIIIe arrondissement et place de la Concorde), donnant lieu à 118 gardes à vue (dont douze mineurs). Sollicité pour connaître les suites judiciaires détaillées des interpellations du weekend, le parquet de Paris n’a pas donné suite. Depuis, la préfecture a pris un nouvel arrêté que nous publions ici.

    Ces arrestations massives, donnant lieu à un maigre résultat judiciaire, rappellent les interpellations « préventives » assumées par le parquet de Paris lors du mouvement des gilets jaunes, en 2018-2019. À l’époque, le procureur Rémy Heitz (désormais procureur général) assumait ses objectifs dans une note interne : empêcher les gardés à vue de « retourner grossir les rangs des fauteurs de troubles », quitte à les priver illégalement de liberté plus longtemps que nécessaire.

    Dans un communiqué diffusé lundi 20 mars, le Syndicat de la magistrature (classé à gauche) rappelle que « l’autorité judiciaire n’est pas au service de la répression du mouvement social », condamne « toutes les violences policières illégales » et déplore une « utilisation dévoyée de la garde à vue qui illustre les dérives du maintien de l’ordre, qui détourne l’appareil judiciaire pour le mettre entièrement à son service ».

    « #Nasses », #charges et « #intimidation »

    De son côté, le Syndicat des avocats de France dénonce une « réaction une fois de plus démesurée et particulièrement violente » face aux mouvements spontanés, citant notamment l’utilisation de la technique de la « nasse », « jugée illégale par le Conseil d’État ».

    Cette #technique_policière, consistant à encercler et retenir un groupe de manifestants sans leur laisser d’issue, avait été largement utilisée pendant les mouvements contre la loi « travail » (2016), des gilets jaunes (2018-2019), contre la loi « sécurité globale » et la précédente réforme des retraites (2019-2020). En juin 2021, le Conseil d’État avait annulé les dispositions sur la « nasse » dans le Schéma national du maintien de l’ordre (SNMO) mis au point par Gérald Darmanin un an plus tôt. Il considérait que cette technique était « susceptible d’affecter significativement la liberté de manifester et de porter atteinte à la liberté d’aller et venir » lorsqu’elle ne laisse pas d’échappatoire.

    Le Syndicat des avocats de France s’inquiète également de #charges_sans_sommation, de #coups_de_matraques aléatoires et d’une « intimidation des manifestant·es ». Il appelle le ministère de l’intérieur à « mettre un terme immédiatement à cette escalade de la violence » et les magistrats à « faire preuve d’indépendance et de responsabilité » devant les affaires qui leur sont confiées par la police.

    De nombreuses vidéos montrent aussi des membres des forces de l’ordre sans #numéro_d’identification sur leur uniforme (numéro #RIO), malgré son caractère obligatoire régulièrement rappelé par la hiérarchie.

    À Lille, le soir du 16 mars, la police a violemment chargé le cortège des Jeunes communistes faisant deux blessés graves parmi leur service d’ordre. L’un a eu des points de suture sur le crâne, le second, l’épaule fracturée. « On s’est retrouvés complètement séparés du cortège syndical, gazés devant et derrière, et finalement seuls dans les petites rues de Lille, explique Pierre Verquin, coordinateur départemental des Jeunes communistes, à Mediapart. On avait deux cents jeunes avec nous, on s’est fait charger à ce moment-là, alors que le cortège ne présentait aucun danger. Tout le monde s’est pris des coups. Les gens à l’arrière se sont pris d’énormes coups de matraque aussi. » La Ligue des droits de l’Homme (LDH) a demandé au préfet du Nord « des explications sur les dérives brutales qui ont émaillé le maintien de l’ordre à Lille en cette soirée du 16 mars ».

    Le même jour, 14 personnes sont interpellées à Rennes pour des violences, des dégradations et des pillages dans le centre-ville. À la différence de Paris, la quasi-totalité fait l’objet de poursuites. Le lendemain, le ministre de l’intérieur annonce l’envoi à Rennes de la #CRS_8, une « #supercompagnie » créée en 2021 pour répondre en urgence à des « #violences_urbaines » sur n’importe quel point du territoire.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/200323/violences-interpellations-abusives-le-retour-d-un-maintien-de-l-ordre-qui-

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    Les déclarations de deux policiers ont été ajoutées à cette métaliste de #témoignages de #forces_de_l'ordre, #CRS, #gardes-frontière, qui témoignent de leur métier :
    https://seenthis.net/messages/723573

  • Nouvelles manifestations, dont celle des pêcheurs, attendues à Rennes : Darmanin débloque des moyens
    https://www.ouest-france.fr/bretagne/rennes-35000/nouvelles-manifestations-dont-celle-des-pecheurs-attendues-a-rennes-dar

    Après une nuit de violences à #Rennes, la maire de Rennes et le ministre de l’Intérieur ont échangé au téléphone ce vendredi 17 mars 2023. Gérald Darmanin a confirmé que la CRS 8 sera déployée dans la capitale bretonne, alors que d’autres mobilisations sont attendues, dont un rassemblement de pêcheurs.

    https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/peche/une-manifestation-pour-defendre-la-peche-cotiere-prevue-rennes-

    Des pêcheurs artisans, mareyeurs et poissonniers de toute la France se donnent rendez-vous le mercredi 22 mars, devant le parlement de Bretagne à Rennes. Ils veulent dénoncer les contraintes de plus en plus fortes sur leur activité.

    La dernière fois que les pêcheurs ont manifesté à Rennes en 1994, ça c’est très, très mal terminé.
    https://metropole.rennes.fr/le-parlement-un-phenix-breton-0

    La « CRS 8 » force d’intervention spéciale, qui compte 200 policiers et qui est basée dans l’Essonne,a été inaugurée en juillet 2021. Elle a été conçue pour pouvoir « être déployée en 15 minutes dans un rayon de 300 kilomètres en cas de troubles grave à l’ordre public et de violences urbaines », expliquait, à sa création, Darmanin.
    « Sauf exception liée à l’urgence opérationnelle », cette unité n’a « pas vocation à rester sur une zone d’intervention plus de quelques jours ».
    Visiblement satisfait par la CRS 8, le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin a décidé de la généraliser. Il a annoncé en septembre 2022 la création de quatre nouvelles unités de CRS « constituées sur le modèle de la CRS 8 » : une à Marseille (13) ; une à Chassieu (69) : une à Nantes (44) et une à Montauban (82). Au total, donc cela représente plus de 800 policiers. « Ces CRS permettent d’assurer une grande rapidité d’intervention avec des moyens ad hoc »

    https://contre-attaque.net/2021/07/02/la-crs-8-une-nouvelle-force-speciale-de-super-flics-pour-mater-les-r

    Composée de 200 agents surarmés et surentraînés, elle sera dotée de nouveaux équipements. Pour commencer, son rayon d’action ne dépassera pas les 300 km. Mais à terme, place Beauvau, les fonctionnaires imaginent déjà cette force spéciale pouvant se déployer avec leur matériel sur tout le territoire par voies aériennes dans un temps record. D’après le ministère, elle sera « à la fois souple et mobile par son organisation, et permettra d’assurer une grande rapidité d’intervention avec des moyens optimisés. Elle constitue une nouvelle lame au couteau suisse des unités de forces mobiles ».

    Comme quoi le sinistre de l’intérieur avait bien sentit dans quel sens allait tourner les nuages de lacrymo. Le voilà fin prêt à déployer ses unités d’élites et justifier son Armageddon.

    • Surpêche : après les jets, les « chalutiers géants » à leur tour traqués en ligne
      https://www.letelegramme.fr/economie/apres-les-jets-les-chalutiers-geants-a-leur-tour-traques-en-ligne-14-03

      Après les jets privés, les bateaux géants à leur tour dénoncés sur les réseaux sociaux ? C’est en tout cas ce qu’escompte l’ONG environnementale Bloom. L’association vient de lancer, sur le même modèle que « L’avion de Bernard », le compte multiplateforme en ligne « Trawl Watch », visant à suivre les déplacements des « méga chalutiers ». Des « navires-usines » dans le collimateur de l’ONG qui, selon elle, « s’approprient » les ressources en mer au détriment de « la santé des océans ». « En Europe, 1 % des plus gros navires pêchent la moitié des poissons », rappellent les membres de l’ONG.

      Durant plusieurs mois, Bloom a notamment suivi les activités en mer de navires comme le Prins Bernhard ou le Scombrus. Deux bateaux « pouvant capturer 400 000 kg de poissons par jour », soit « l’équivalent des captures journalières de 1 000 navires de pêche artisanale », dénonce l’ONG. Le Prins Bernhard et le Scombrus appartiennent à la société France Pélagique. Une société n’ayant « « France » que le nom car elle est en réalité une filiale du géant industriel, le néerlandais Cornelis Vrolijk », tempêtent les défenseurs de la mer.

      https://twitter.com/TrawlWatch

      Ces #bateaux_usines pratiquent des pêches destructrices comme la "senne démersale". Il faut se représenter cette affaire : en une seule opération de #pêche, un senneur démersal impacte une surface de 3 km² soit 1,5 fois Monaco.

      #surpêches #navires_usines #mer

  • Algérie : près de 3 000 migrants renvoyés dans le désert en 10 jours

    Les autorités algériennes ont expulsé 2 852 migrants entre le 23 février et le 5 mars. Les exilés ont été abandonnés en plein désert, à plusieurs kilomètres de la frontière nigérienne, sans eau ni nourriture. Parmi eux, des femmes et des enfants.

    Ils ont été abandonnés en plein milieu du désert, sous un soleil de plomb, sans eau ni nourriture. En seulement 10 jours, 2 852 personnes originaires d’Afrique subsaharienne ont été expulsées d’Algérie vers la frontière nigérienne. Selon Alarme Phone Sahara, qui vient en aide aux exilés dans la région, 993 migrants ont été renvoyés le 23 février, 1 180 le 3 mars et 679 le 5 mars. Parmi eux se trouvaient des femmes et des enfants. L’Organisation internationale pour les migrations (OIM), jointe par InfoMigrants, n’a pas été en mesure de confirmer ces chiffres.

    Ces opérations sont appelées sobrement des « reconduites à la frontière » par les autorités algériennes. Interpellés dans différentes villes du nord de l’Algérie, dans leur appartement, leur travail ou dans la rue, les migrants sont ensuite entassés dans des camions puis déportés vers le centre de refoulement de Tamanrasset, à 1 900 kilomètres de route au sud d’Alger. Là, beaucoup affirment être dépouillés de leurs affaires par les policiers : argent liquide, bijoux, téléphones portables, passeports…

    Ensuite, les exilés sont abandonnés dans le désert, au lieu-dit du Point-Zéro, qui marque la frontière avec le Niger, en plein Sahara.
    Les migrants « ne reçoivent ni nourriture ni d’endroit pour dormir »

    Livrés à eux-mêmes, les exilés doivent marcher des heures pour atteindre le premier village nigérien, Assamaka, à 15km du Point-Zéro. C’est là que se trouve le centre de transit de l’OIM, le bras de l’ONU qui assiste les retours volontaires des migrants vers leur pays d’origine.

    « Elles [les autorités algériennes, ndlr] nous ont abandonnés en plein désert, au milieu de la nuit. Il était environ 3h du matin quand on s’est mis en marche vers les lumières qui scintillaient. Je portais ma fille Maryam, ma femme portait Aminata, et un frère portait mes bagages », avait raconté en novembre dernier à InfoMigrants Burlaye, un père de famille malien de 25 ans qui travaillait comme boulanger en Algérie avant son expulsion.

    Lui et ses proches n’ont pas pu être accueilli dans le camp de l’agence onusienne, qui affichait ce jour-là complet. Burlaye, sa femme et ses enfants ont passé plusieurs nuits dehors.

    C’est aussi le cas des migrants renvoyés par l’Algérie ces dernières semaines. D’après Alarme Phone Sahara, nombre d’entre eux ont dû rester à l’extérieur, faute de places dans le centre de l’OIM. Ils « ne reçoivent ni nourriture, ni d’endroit pour dormir. Ils sont contraints de vivre dans la rue », a déclaré le 10 mars l’organisation sur sa page Twitter.
    « Abandon » de milliers de migrants

    Dans un communiqué publié jeudi 16 mars, Médecins sans frontières (MSF) a dénoncé « l’abandon » de milliers de migrants présents à Assamaka. L’ONG médicale parle même d’une « situation sans précédent ».

    Le Centre de santé intégré (CSI) d’Assamaka, dans lequel MSF « distribue des articles non alimentaires » et propose des « consultations gratuites » de santé, est « débordé ». « La majorité des personnes récemment arrivées se sont installées dans l’enceinte du CSI, en raison du manque d’espace dans le centre de transit », affirme une coordinatrice de MSF à Agadez, Schemssa Kimana, citée dans le communiqué.

    MSF ajoute que des personnes « cherchent à s’abriter de la chaleur » qui peut « atteindre 48°C » à Assamaka, jusqu’à dormir dans des « tentes de fortune », « devant la maternité, sur le toit ou dans la zone de déchets ». Dans les endroits « peu hygiéniques », ces personnes sont exposées « à des risques sanitaires tels que les maladies contagieuses et les infections cutanées », indique l’ONG.

    Les expulsions opérées par les autorités algériennes sont fréquentes dans la région. Le 12 février déjà, 899 personnes avaient été renvoyées à la frontière nigérienne, dans les mêmes conditions. Selon les chiffres de MSF, entre le 11 janvier et le 3 mars 2023, près de 5 000 migrants ont connu le même sort. Et pour certains, l’issue peut être fatale. Nombre d’exilés, livrés à eux-mêmes dans le désert, sans carte ni moyen de localisation, se perdent et errent plusieurs jours à la recherche d’un village. En 2020 et 2021, 38 corps ont été retrouvés dans la zone, à quelques kilomètres d’Assamaka.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/47523/algerie--pres-de-3-000-migrants-renvoyes-dans-le-desert-en-10-jours

    #asile #migrations #réfugiés #abandon #expulsions #renvois #déportation #désert #Algérie #Niger #Sahara #désert_du_Sahara
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    Ajouté à la métaliste des « #left-to-die in the Sahara desert »
    https://seenthis.net/messages/796051

    • MSF condemns appalling conditions for migrants abandoned in #Assamaka

      Thousands of migrants deported from Algeria and abandoned in the desert of northern Niger are stranded without access to shelter, healthcare, protection, or basic necessities, Médecins Sans Frontières (MSF) said today.

      Between 11 January and 3 March 2023, 4,677 migrants arrived into Assamaka – a town in northern Niger’s Agadez region – on foot after being deported from Algeria and stranded in the desert. Fewer than 15 per cent of them were able to access shelter or protection when they arrived.

      MSF calls on the Economic Community of West African States (ECOWAS) to immediately provide protection for the people abandoned in extremely precarious conditions in Assamaka.

      The Integrated Health Centre (IHC) in Assamaka supported by MSF is overwhelmed as thousands of migrants are seeking shelter in the facility. “The situation is worrying,” says Schemssa Kimana, MSF project coordinator for Agadez.

      “Today, the health centre that we support in Assamaka is overflowing. The majority of people who have recently arrived in Assamaka have settled in the IHC compound, due to a lack of space in the transit centre,” says Kimana.

      According to Kimana, there are people sleeping in every corner of the facility. Some have set up makeshift tents at the entrance or in the courtyard. Others are camping in front of the maternity ward, on the roof, or in the waste area. MSF staff say the situation is unprecedented.

      Temperatures in Assamaka – an arid town – can reach 48 degrees Celsius, so people seek refuge from the heat wherever they can find it. This has led people to sleep in very unhygienic places, such as waste areas, which can expose them to health risks including contagious diseases and skin infections.

      The lack of available shelter forcing people to sleep in these conditions is appalling. This situation is now an emergency – it is untenable for anyone to remain living in these conditions.

      “We are worried because no one gives us an answer as to when we will return back to our country of origin,” says a migrant from Cameroon taking shelter at the IHC.

      “We don’t know when we will leave Assamaka. It’s like being in an open-air prison. For meals, all that we receive is very badly prepared. There is more sand in it than food. It makes us sick and gives us diarrhoea and stomach aches,” she says.

      “The rations are so minimal that we don’t eat enough. We live at the IHC in sheds that were built for COVID-19 patients. At night, the police patrol the village to catch migrants who have scattered and send them back to the IHC.”

      “This is an unparalleled situation that requires an urgent humanitarian response from the ECOWAS, from where the majority of these people are from,” says Jamal Mrrouch, MSF Head of Mission in Niger.

      “As a medical humanitarian organisation, it is our duty to highlight the visible gap in assistance for people – including children – who are in a precarious situation in the Assamaka desert, and the risks to their health.”

      https://www.msf.org/niger-msf-denounces-appalling-conditions-migrants-abandoned-assamaka

    • Entre 30/03 et 01/04/23, 776 personnes étaient expulsées

      #Expulsions de l‘#Algerie : Aussi le mars termine et l’avril commence avec la continuation des expulsions à #Assamaka… Entre 30/03 et 01/04/23, 776 personnes étaient expulsées !

      Voilà les détails d’arrivé des 297 piétons avec des convois non-officiels du 30/03/23 :
      G/Conakry : 158
      G/Bissau : 3
      Mali : 43
      Nigeria : 1
      RCI : 2

      Un autre convoi est arrivé au #PointZero le 31/03/23 avec 386 migrant.e.s des nationalités suivantes :
      Bénin : 1
      Cameroun : 3
      G/Conakry : 181
      Gambie : 50
      Libéria : 1
      Mali : 42
      Sénégal : 22
      S/Léone : 19
      Syrie : 1
      RCI : 59

      Finalement, on était informé d’un autre arrivé d’un convoi officiel avec 93 ressortissant.e.s http://nigérien.ne.s le 01/04/23.

      La situation humanitaire à #Assamaka s’aggrave jour par jour. La communauté internationale doit agir !!

      https://twitter.com/AlarmephoneS/status/1644053251527004161

    • Expulsion du 11 avril 2023 :

      Expulsions from the #Algerian side continue😡
      On 11/4/23 around 11pm (so during the night when it is more dangerous and difficult to orientate oneself in the desert!!) 487 migrants of different nationalities were chased from the trucks at #PointZero to walk 15km to #Assamaka


      They are nationals of the following laya:
      Burkina Faso: 3
      Cameroon: 2
      Central Africa: 1
      RCI: 33
      Gambia: 20
      G/Conakry: 249
      G/Bissau: 3
      Liberia: 1
      Mali: 121
      Niger: 5
      Senegal: 21
      Sierra Leone: 14
      Togo: 1

      https://twitter.com/AlarmephoneS/status/1647857635104792577

  • La politica dell’Unione europea sui biocarburanti fa male al clima e ai sistemi alimentari

    Per produrre gli eco-combustibili utilizzati oggi in Europa si coltivano mais, colza e palma da olio su una superficie di 9,6 milioni di ettari, che basterebbe a sfamare 120 milioni di persone. “L’Ue non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi”, denunciano T&E e Oxfam

    “I biocarburanti vegetali sono probabilmente la cosa più stupida mai promossa in nome del clima”. Non ha usato mezzi termini Maik Marahrens, biofuels manager di Transport&Environment nel commentare il nuovo rapporto pubblicato il 9 marzo che la federazione europea per i trasporti e l’ambiente ha curato insieme all’Ong Oxfam.

    Oggi l’Europa utilizza l’equivalente di circa 9,6 milioni di ettari di terre agricole (una superficie pari a quella dell’Irlanda) per coltivare colza, mais, soia, barbabietole da zucchero, grano e altre derrate alimentari che, invece di finire sulle nostre tavole, vengono utilizzati per produrre bioetanolo, biodiesel e biometano. “Stiamo cedendo vaste porzioni di terra per coltivazioni che poi bruciamo nelle nostre automobili -riprende Marahrens-. È uno spreco scandaloso: questi terreni potrebbero sfamare milioni di persone o, se restituiti alla natura, potrebbero diventare serbatoi di carbonio ricchi di biodiversità”.

    L’utilizzo di questi combustibili era stato introdotto a livello europeo con la Eu Renewable energy directive (Red) del 2009 con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili; ma già le successive direttive in materia (2015 e 2018) hanno introdotto delle limitazioni all’uso di biocarburanti di origine alimentare. Oggi Germania e Francia sono i due Paesi che ne consumano le maggiori quantità (facendo affidamento rispettivamente sull’olio di palma, che viene importato, e sulla colza) seguiti da Svezia, Regno Unito, Spagna e Italia.

    “Il consumo di biocarburanti di origine vegetale in Europa richiede un’area totale di 9,6 milioni di ettari, pari al 9,2% del totale dei terreni coltivati nel continente”, si legge nel report che evidenzia come la gran parte di questa superficie (circa due terzi) si trovi in Europa. Mentre la quota restante, dove vengono coltivate soprattutto palma da olio e soia, si trova in Asia e in America Latina.

    Ma che cosa succederebbe se queste superfici venissero destinate ad altri scopi? La prima opzione presa in considerazione nel report riguarda la possibilità di abbandonare le monocolture per la produzione di mais e colza per da trasformare in biocombustibili per lasciare spazio al ritorno della vegetazione naturale e al ripristino dei boschi: “Questo permetterebbe di rimuovere dall’atmosfera 64,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno -si legge nel report- circa il doppio del risparmio netto generato, in termini di minori emissioni, dall’utilizzo di biocarburanti pari a circa 32,9 milioni di tonnellate”. La rinaturalizzazione di queste aree avrebbe poi ulteriori benefici, rappresentando un argine alla perdita di biodiversità che oggi interessa circa l’80% degli habitat del continente, secondo una stima della Commissione europea: “L’occupazione di vaste aree con monocolture per i biocarburanti significa invariabilmente meno spazio per gli ecosistemi naturali e meno habitat per piante e animali selvatici”, sottolinea il report.

    La seconda possibilità prevede la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. I biocarburanti consumati in Europa consentono di percorrere circa 329mila milioni di chilometri: “Per coprire la stessa distanza con auto elettriche alimentate con energia prodotta da pannelli fotovoltaici servirebbe una superficie di 0,133 milioni di ettari -spiega Horst Fehrenbach dell’Istituto per l’energia e la ricerca ambientale (Ifeu), che ha curato la ricerca per conto di T&E e Oxfam-. In questo modo il 97,5% della superficie oggi utilizzata per produrre biocombustibili potrebbe essere destinata ad altro uso”.

    La terza possibile alternativa riguarda l’utilizzo dei terreni oggi destinati alla produzione di biocarburanti per coltivare generi alimentari destinati al consumo umano: secondo le stime contenuta nel report se la superficie oggi utilizzata solo in Europa (escludendo quindi dal conteggio le piantagioni in altri continenti) venisse utilizzata per produrre grano questo permetterebbe di soddisfare il fabbisogno calorico di circa 120 milioni di persone, circa un quarto della popolazione del continente. “La politica dell’Unione europea sui biocarburanti è una catastrofe per centinaia di milioni di persone che lottano per portare in tavola il loro prossimo pasto -commenta Julie Bos, consulente per la giustizia climatica dell’Unione europea di Oxfam-. Non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi dei prodotti alimentari. I Paesi europei devono smettere una volta per tutte di usare il cibo per produrre carburante”.

    Marahrens ricorda poi come “ogni giorno 15 milioni di pagnotte e 19 milioni di bottiglie di olio di girasole e di colza vengono bruciati nei motori di camion e automobili. Continuare a farlo mentre il mondo sta affrontando una crescente crisi alimentare globale è al limite del criminale. Paesi come la Germania e il Belgio stanno discutendo di limitare i biocarburanti per le colture alimentari. Il resto dell’Europa deve seguirne l’esempio”.

    https://altreconomia.it/la-politica-dellunione-europea-sui-biocarburanti-fa-male-al-clima-e-ai-

    #biocarburants #alimentation #terres #agriculture #maïs #colza #huile_de_palme

    • Biofuels: An obstacle to real climate solutions

      The EU wastes land the size of Ireland on biofuels, missing enormous opportunities to fight climate change, biodiversity loss and the global food crisis.

      A new study by the IFEU institute quantifies for the first time the enormous opportunity costs across Europe of dedicating millions of hectares of fertile cropland to the production of biofuels. The results are clear – this land could be used much better in the interest of mitigating climate change, stemming biodiversity loss or increasing global food security.

      In 2009, the European Union (EU) introduced a biofuels mandate as part of its green fuels law, the ‘#Renewable_Energy_Directive’ (RED). The proposition at the time was attractive: farmers would be supported to produce ‘green fuels’. In reality, biofuels have harmed food security and obstructed climate change mitigation.

      The study carried out by the Institut für Energie- und Umweltforschung (IFEU) on behalf of T&E shows that production of crops for biofuels consumed in Europe requires 9.6 Mha of land – an area larger than the island of Ireland. This is 5.3 Mha if the production of co-products, mainly feed for industrial livestock farming, is taken into account.
      Key findings

      - If this land were returned to its natural state (‘rewilded’) it could absorb around 65 million tonnes of CO2 from the atmosphere – nearly twice the officially reported net CO2 savings from biofuels replacing fossil fuels.
      - Using the land for solar farms would be far more efficient. You need 40 times more land to power a car using biofuels vs an electric car powered by solar. Using an area equivalent to just 2.5% of this land for solar panels would produce the same amount of energy.
      - Crops cultivated on these lands could be used to provide the calorie needs of at least 120 million people.

      https://www.transportenvironment.org/discover/biofuels-an-obstacle-to-real-climate-solutions

      #rapport

  • #Suisse Moins convaincant, le télétravail disparaît peu à peu des entreprises RTS - Sylvie Belzer - Julie Marty

    L’engouement pour le télétravail est en train de retomber. Aux Etats-Unis, certaines entreprises ont même déjà sonné le rappel des troupes au bureau. La tendance se vérifie aussi en Suisse.

    Le nouveau patron de Disney a demandé à ses employés d’être présents sur site du lundi au jeudi. Idem chez Twitter ou chez d’autres géants de la technologie.

    Du côté des différentes associations faîtières, les retours sont tous les mêmes. Le virtuel a perdu de son attrait, confirme Olivia Guyot Unger, directrice du service juridique à la Fédération des entreprises romandes, lundi dans La Matinale : « Ce mode de travail relativement nouveau fait l’objet d’une lassitude aussi bien du côté des employeurs que des employés. »

    Manque de contacts humains
    Cette manière de travailler raréfie les contacts humains et les échanges. Pourtant, ces interactions sont essentielles. Philippe Cordonier, responsable romand de Swissmem, la faîtière de l’industrie des machines, ne s’en cache pas, le présentiel favorise ces interactions.

    « On constate que, dans ce contexte de retour à la normale que nous connaissons actuellement, de nombreux collaborateurs et entreprises souhaitent moins de télétravail. On peut dire en général un jour par semaine pour autant que ce soit possible. Pour les entreprises et les collaborateurs, les échanges entre collègues sont importants et nécessaires. C’est une valeur ajoutée indispensable à la vie d’une entreprise. C’est pour ça que ce retour à une certaine normalité avec des contacts inter-entreprise est important pour les deux parties », relève-t-il.

    Le consensus qui commence à se dégager limite le télétravail à un jour par semaine. C’est assez pour permettre une certaine flexibilité sans nuire à la créativité et à la bonne cohésion de l’équipe.

    Source : https://www.rts.ch/info/suisse/13854960-moins-convaincant-le-teletravail-disparait-peu-a-peu-des-entreprises.ht

    #télétravail #fumisterie #travail #rendement #surveillance #algorithme #gigeconomy #virtuel #visioconférence #microsoft #inégalités #technologisme #économie #capitalisme #lien_social