• Pochi rifugiati nei centri e il voto anti-immigrazione cala

    La presenza di centri di accoglienza piccoli e diffusi riduce il voto per i partiti anti-immigrazione. Mentre se i centri sono di grandi dimensioni i consensi verso queste formazioni aumentano. Lo mostrano i risultati di due studi per Italia e Francia.

    Accoglienza e voto anti-immigrazione

    È opinione diffusa che la crisi europea dei migranti, iniziata tra il 2014 e il 2015, sia stata uno dei principali fattori alla base del recente successo dei partiti anti-immigrazione in molti paesi europei. Ma davvero accogliere rifugiati e richiedenti asilo fa aumentare sempre e comunque il voto per quei partiti? La letteratura economica sul tema ha prodotto risultati contrastanti: alcuni studi hanno trovato una relazione positiva (https://academic.oup.com/restud/article/86/5/2035/5112970) tra l’arrivo dei rifugiati e il voto anti-immigrazione (https://www.mitpressjournals.org/doi/abs/10.1162/rest_a_00922?mobileUi=0), e altri una relazione negativa.

    Due nostri recenti studi con dati sui comuni italiani (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3277550) e francesi (https://immigrationlab.org/working-paper-series/dismantling-jungle-migrant-relocation-extreme-voting-france) suggeriscono che la risposta alla domanda è “dipende”. Un’accoglienza sviluppata attraverso centri piccoli e diffusi riduce il consenso per i partiti ostili all’arrivo dei migranti. Al contrario, centri di accoglienza eccessivamente grandi portano a un incremento del voto anti-immigrazione.

    In sostanza, se interpretiamo il voto anti-immigrazione come una misura del pregiudizio dei nativi verso i migranti, i nostri studi indicano che, per costruire un sistema di accoglienza che non generi diffidenza nella popolazione nativa, i governi dovrebbero cercare di ridistribuire i rifugiati e i richiedenti asilo in modo più omogeneo e attraverso l’apertura di piccoli centri di accoglienza.

    Cosa succede in Italia

    Il nostro primo studio si concentra sull’Italia. Negli anni della crisi dei rifugiati, il paese ha vissuto un aumento significativo nel numero di sbarchi e di richieste di asilo e allo stesso tempo un aumento del sostegno politico ai partiti anti-immigrazione, come per esempio la Lega guidata da Matteo Salvini.

    La nostra ricerca prende in esame l’apertura di centri di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo attraverso il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar, rinominato Siproimi a partire dalla fine del 2018), uno dei più importanti programmi di accoglienza in Italia (l’altro rilevante canale di accoglienza sono i “centri di accoglienza straordinaria”, Cas, oggi la tipologia più utilizzata).

    Nel programma Sprar, sono i comuni a gestire direttamente i centri di accoglienza, che mirano a integrare i rifugiati nella comunità locale, per esempio attraverso corsi di lingua e formazione professionale. Spesso poi i comuni impiegano i migranti in lavori di pubblica utilità. Quindi, i centri Sprar offrono la possibilità di una interazione e di un contatto diretto tra i rifugiati e la popolazione locale.

    Per tenere conto delle possibili differenze esistenti tra comuni che decidono di aprire un centro Sprar e comuni che non lo fanno – e così ottenere una stima causale dell’effetto dei centri accoglienza sul voto anti-immigrazione – utilizziamo la tecnica delle variabili strumentali (instrumental variables, IV). Abbiamo codificato come partiti anti-immigrazione Lega, Fratelli d’Italia, Casa Pound, La Destra, Forza Nuova, Fiamma Tricolore, Rifondazione Missina. Seguendo l’esempio di un altro studio sviluppato con dati sui comuni austriaci (https://www.mitpressjournals.org/doi/abs/10.1162/rest_a_00922?mobileUi=0), utilizziamo la presenza nel territorio comunale di edifici adatti a ospitare gruppi di persone e centri collettivi per predire l’apertura di un centro Sprar in un determinato comune. Infatti, come suggerito dalla figura 1, dai dati emerge una forte correlazione positiva tra la presenza di edifici di questo tipo e la presenza di uno Sprar a livello comunale.

    L’utilizzo di questa tecnica ci permette di interpretare i risultati della nostra analisi in termini causali.

    I nostri risultati mostrano come ospitare i rifugiati influisca negativamente sul voto per i partiti anti-immigrazione. Più nel dettaglio, i comuni che hanno aperto un centro Sprar tra le elezioni politiche del 2013 e quelle del 2018 hanno registrato un incremento nelle percentuali di voto per i partiti ostili ai migranti di circa 7 punti percentuali inferiore rispetto ai comuni che non ne hanno aperti. Allo stesso tempo, l’apertura dei centri Sprar ha portato benefici elettorali principalmente a partiti politici che si trovano più al centro dello spettro politico italiano, come il Partito democratico.

    Il ruolo della dimensione dei centri accoglienza

    Uno degli aspetti fondamentali del nostro studio è mostrare come la dimensione dei centri di accoglienza giochi un ruolo cruciale. Come si vede nella figura 2, l’effetto negativo sul voto anti-immigrazione è maggiore per centri Sprar con un basso numero di posti a disposizione per rifugiati e richiedenti asilo. In particolare, la nostra analisi indica che l’effetto negativo si verifica con centri di accoglienza che hanno in media meno di 28 posti ogni mille abitanti. Al contrario, nei comuni con centri Sprar con un numero di posti mediamente superiore a questa soglia si è registrato un incremento nel sostegno elettorale ai partiti anti-immigrazione.

    Cosa succede in Francia

    I risultati sono confermati anche dal nostro secondo studio, che analizza l’effetto sul voto al Front National di Marine Le Pen della ridistribuzione dei migranti, avvenuta in Francia dopo lo smantellamento dell’accampamento di rifugiati e migranti situato nelle vicinanze di Calais (la cosiddetta “Giungla”). Sfruttando il fatto che la ridistribuzione in diversi comuni francesi è avvenuta negli anni tra le due elezioni presidenziali del 2012 e del 2017, il nostro lavoro mostra come l’apertura di centri di accoglienza e orientamento (Centres d’accueil et d’orientation, Cao) di dimensioni contenute abbia avuto un impatto negativo sulla crescita dei voti ottenuti dal Front National. Coerentemente con quanto mostrato nella figura 2, l’effetto sul voto anti-immigrazione diventa positivo quando le dimensioni dei Cao oltrepassano in media la soglia di 32 migranti ospitati ogni mille abitanti.

    Centri di accoglienza piccoli potrebbero dunque aver incoraggiato il contatto diretto tra nativi e rifugiati, causando una riduzione del pregiudizio verso i migranti, in linea con la “#Contact_hypothesis” (https://en.wikipedia.org/wiki/Contact_hypothesis). Al contrario, i risultati relativi ai centri grandi sono coerenti con la “#Realistic_conflict theory” (https://en.wikipedia.org/wiki/Realistic_conflict_theory), che_suggerisce come i nativi possano percepire un gruppo grande di migranti come una minaccia per il loro predominio culturale e socio-economico.

    https://www.lavoce.info/archives/71137/pochi-rifugiati-nei-centri-e-il-voto-anti-immigrazione-cala

    #accueil_diffus #asile #migrations #réfugiés #centres #dimensions #consensus #sprar #italie #France #accueil #anti-migrants #vote #préjugés #menace #rencontre #extrême_droite

  • Figures de styles numériques : que devient le cinéma au contact d’internet ? | ONLINE
    https://www.nova-cinema.org/prog/2020/180-decembre/capture-d-ecrans/article/figures-de-styles-numeriques-que-devient-le-cinema-au-contact-d-interne

    Internet a popularisé des modèles esthétiques : talking heads devant la webcam, caméra grand angle attachée sur la tête, point de vue surplombant de la caméra de surveillance ou encore superpositions d’images et de textes. Cette nouvelle rhétorique audiovisuelle limite autant qu’elle ouvre de nouvelles perspectives : comment la mise en scène cinématographique s’empare-t-elle de ces nouvelles figures de style ?

    samedi 12 décembre 2020 à 16h

    #Rencontre_discussion

  • Entretien de Raoul Vaneigem avec le journal Le Soir

    https://lavoiedujaguar.net/Entretien-de-Raoul-Vaneigem-avec-le-journal-Le-Soir

    Mon enfance s’est déroulée à Lessines, une petite ville ouvrière. Les carrières de porphyre définissaient les bas-quartiers, où j’habitais, par opposition à ceux du haut, tenus principalement par la bourgeoisie. À l’époque, la conscience de classe était pour ainsi dire rythmée par les sirènes qui à des heures précises signalaient le début, la fin du travail, les pauses et les accidents. Mon père, cheminot, regrettait de n’avoir pu, faute de moyens financiers, poursuivre des études. Il rêvait pour moi d’un sort meilleur, non sans me mettre en garde contre ceux qui, en s’élevant dans l’échelle sociale deviennent « traîtres à leur classe ». Je lui suis gré des réserves que j’ai nourries très tôt envers le rôle d’intellectuel — guide, tribun, maître à penser. La répugnance que suscite aujourd’hui l’état de délabrement des prétendues « élites » confirme le bien-fondé de mes réticences. J’ai montré dans La liberté enfin s’éveille au souffle de la vie pourquoi et comment les gouvernants sont devenus de plus en plus stupides. Qui prend un peu de recul avec le harcèlement médiatique du mensonge peut le vérifier sans peine : l’intelligence intellectuelle décline avec le pouvoir, l’intelligence sensible progresse avec l’humain.

    J’ai toujours accordé une place prépondérante au plaisir de savoir, d’explorer, de diffuser les connaissances acquises. Je tiens la curiosité — avec l’amour, la création et la solidarité — pour une des attractions passionnelles les plus indispensables à la construction de l’être humain. (...)

    #Raoul_Vaneigem #entretien #enfance #rencontres #compagnons #Internationale_situationniste #Mai68 #blasphème #christianisme #islam #désobéissance_civile #autodéfense_sanitaire #climat #féminisme #Belgique #jeunesse #La_Boétie

  • Across borders

    Across Borders is a global, collaborative and cross-cultural event directed by #Mayúscula that believes in design as a tool to break boundaries and create a positive impact on society. In a world where 272 million people live outside their countries of origin, #Across_Borders cross-cultural iniciative reclaims our cultural identity, diversity and multiplicity of points of view, deepening our differences and similarities through design. We believe in borders as meeting points, not barriers; crossroads where we can all meet to imagine a better journey.

    http://www.acrossborders.es
    #art #frontières #rencontre #art_et_frontière #femmes #femmes_artistes

    ping @isskein @mobileborders

  • Rencontres de Minerve 2020

    Anne Simon

    https://lavoiedujaguar.net/Rencontres-de-Minerve-2020

    Ces rencontres se sont déroulées du 10 au 15 août, dans un cadre idyllique, ombragé, avec un immense terrain de camping ; les lieux étant situés à 500 mètres d’altitude un petit vent agréable nous a permis d’échapper à la canicule.

    Cet endroit est géré par la Commune du Maquis : « C’est un projet qui regroupe des collectifs et individus autour de valeurs et activités en commun. Nous tentons de mettre en pratique des modes de fonctionnement et de décision collectifs, horizontaux, antiautoritaires et solidaires. Nous faisons vivre cet endroit au quotidien afin d’y exercer des activités qui nous sont chères (agricoles, événements…) et assumer ensemble le développement du lieu ainsi que la charge financière qui va avec. (…) Ni communautaire ni “partidiste”, la Commune du Maquis s’inscrit dans le cadre des luttes sociales pour l’éradication du principe d’autorité sous toutes ses formes : politique, économique et sociale. »

    Ce fut l’occasion de rencontrer des camarades d’horizons variés, de centres d’intérêt et d’activité très différents de ceux que nous avons l’habitude de côtoyer quotidiennement. Rencontres très enrichissantes et créatrices de liens.

    Les sujets abordés, les conférences étaient tous d’une grande qualité et les discussions qui s’ensuivaient se déroulaient dans l’écoute de chacun, sans tensions. Chaque soir, des projections de films ou de la musique. (...)

    #Minerve #rencontres #émancipation #utopie #libre_pensée #monde_arabe

  • Sur et sous les rencontres en ligne. Analyse des multiples usages sociaux des sites de rencontres en ligne #numérique #Internet #rencontres #sexe

    https://sms.hypotheses.org/25214

    Petite topographie des sites de rencontres

    Match, Meetic, Okcupid, GrindR, Tinder, Happn, Bumble… Vous connaissez au moins l’un de ces sites ou application mobile. Objets d’un stigmate social au moment de leur création, les sites de rencontres se sont depuis démocratisés. Le succès est tel que ce marché a vu émerger de nombreux sites spécialisés, dont certains ont été déclinés en applis mobiles. Les rencontres en ligne sont ainsi devenues des rencontres à part. Elles bousculent les pratiques et les représentations, notamment par la privatisation de la rencontre : « spécifiquement et très explicitement consacrés à l’appariement de partenaires, les nouveaux services (…) font de la rencontre une pratique distincte, c’est-à-dire spatialement et temporellement circonscrite et dotée d’une finalité explicite ».

    Dans un récent travail de recherche, Marie Bergström a mené une enquête se plaçant à la fois du côté des concepteurs des sites (recensement des sites, analyse quantitative et qualitative des plateformes de rencontres, étude de la communication et de la publicité des entreprises) et des utilisateurs (analyse des annonces et des comportements de contacts, entretiens biographiques avec des inscrit(e)s). Elle a notamment constaté que les transformations démographiques sont à l’origine de nouvelles normes qui déterminent les usages des sites de rencontres. Retour sur les usages sociaux d’une pratique inédite (...)

  • Contre RTE et EDF, rencontrons-nous

    L’Amassada

    https://lavoiedujaguar.net/Contre-RTE-et-EDF-rencontrons-nous

    Les juges ont fini par comprendre dans quel état de nécessité se trouvent les lanceurs d’alerte qui se battent contre le transformateur de Saint-Victor-et-Melvieu. Le même état que tous les militants qui résistent ici et ailleurs et partout contre les projets inutiles, liberticides, écocides que les dirigeants de tout poil s’ingénient à promouvoir. En effet le tribunal de Rodez a acquitté les quatre camarades et condamne RTE (Réseau de transport d’électricité, filiale d’EDF) à rendre les terres aux paysans, à verser des dommages et intérêts au village pour troubles de l’ordre social, à réparer les préjudices subis par l’Amassada sous forme de nuits blanches et inhalation de gaz lacrymogène. Il condamne, en outre, à faire publicité de leurs excuses, les nombreux gendarmes qui ont accepté des missions de mercenariat au service d’intérêts industriels criminels.

    Eh bien non, c’est pas vrai, c’est un rêve, c’est une vilaine blague.

    Les inculpé·e·s du 12 octobre 2019 écopent de quatre à sept mois de prison avec sursis, de un mois avec sursis pour refus de se soumettre à la violation de leur ADN, cinq ans d’interdiction de se rendre sur le site de RTE, 100 euros par gendarme plaignant pour préjudice moral. (...)

    #Aveyron #EDF #Amassada #tribunal #rencontres #Mexique #Tehuantepec #ZAD #solidarité

  • Faut-il payer pour trouver un mec ou une meuf ?
    https://art19.com/shows/splash/episodes/c087fdbc-55c3-4870-b32a-7827d84ddc02

    Les applications de rencontre veulent-elles nous voir tomber amoureux ?

    Tinder, Bumble, Okcupid, Happn... ces applications de rencontre caracolent en tête des ventes d’applications. Comment leur business model sert-il à la rencontre amoureuse et sexuelle de ces utilisateur.ice.s, tout en voulant les voir revenir sur l’application ? Comment les stéréotypes de genre influent-ils sur leur algorithme ?

    Ce sont les questions que se pose la journaliste Léa Lejeune dans ce nouvel épisode de Splash. Pour y répondre, elle a rencontré la journaliste Judith Duportail, autrice de l’enquête L’amour sous algorithme (Editions La goutte d’or) et le fondateur de l’application de rencontres Happn, Didier Rappaport.

    Note : Tinder a officiellement déclaré avoir abandonné l’utilisation de « l’elo score ».

    #couple #amour #séduction
    Intéressante émission sur l’#économie des sites de #rencontres.
    #freemium #algorithme
    Et la sociologie de l’amour intéressera aussi : #incels, #femcels, qui sont les groupes désavantagés sur les sites ?

  • Sur et sous les rencontres en ligne. Analyse des multiples usages sociaux des sites de rencontre en ligne #numérique #Internet #rencontres #sexe

    https://sms.hypotheses.org/25214

    Match, Meetic, Okcupid, GrindR, Tinder, Happn, Bumble… Vous connaissez au moins l’un de ces sites ou application mobile. Objets d’un stigmate social au moment de leur création, les sites de rencontres se sont depuis démocratisés. Le succès est tel que ce marché a vu émerger de nombreux sites spécialisés, dont certains ont été déclinés en applis mobiles. Les rencontres en ligne sont ainsi devenues des rencontres à part. Elles bousculent les pratiques et les représentations, notamment par la privatisation de la rencontre : « spécifiquement et très explicitement consacrés à l’appariement de partenaires, les nouveaux services (…) font de la rencontre une pratique distincte, c’est-à-dire spatialement et temporellement circonscrite et dotée d’une finalité explicite ».

    Dans un récent travail de recherche, Marie Bergström a mené une enquête se plaçant à la fois du côté des concepteurs des sites (recensement des sites, analyse quantitative et qualitative des plateformes de rencontres, étude de la communication et de la publicité des entreprises) et des utilisateurs (analyse des annonces et des comportements de contacts, entretiens biographiques avec des inscrit(e)s). Elle a notamment constaté que les transformations démographiques sont à l’origine de nouvelles normes qui déterminent les usages des sites de rencontres. Retour sur les usages sociaux d’une pratique inédite (...)

  • Rencontres : un tiers des Français pense qu’il est plus simple de se faire des amis en ligne qu’en réalité | CNEWS
    https://www.cnews.fr/vie-numerique/2020-06-29/rencontres-un-tiers-des-francais-pense-quil-est-plus-simple-de-se-faire-des

    Le problème est toujours celui de la crédibilité de tels sondages quand on ne connaît pas les questions posées. Et puis, après avoir dit qu’internet permet une expansion de son moi réel, il fallait bien terminer sur les dangers et les prédateurs sexuels. On est sur Cnews, n’oublions pas.

    Les Français se sentent bien dans leur « moi » virtuel pour faire des rencontres, que celles-ci soient sentimentales, amicales ou professionnelles. Voici le constat dressé par une étude publiée ce lundi 29 juin par Arlington Research pour Kaspersky.

    Sans surprise, près de sept sondés sur dix (71,2 %) estiment que « l’usage des technologies numériques les aide à se sentir plus proches de leurs familles et amis », rapporte ce document que CNEWS s’est procuré en avant-première. Surtout, les Français sont 13,2 % à considérer que la technologie encourage à préférer des amitiés virtuelles à des relations réelles.

    « Un chiffre qui rejoint celui de nos voisins allemands (13 %), mais qui reste en deçà des Britanniques, pour qui cette proportion monte à 18 %. Toutefois, les Espagnols sont moins de 10 % à y croire. Ce qui reste finalement en adéquation avec les différences culturelles », souligne Tanguy de Coatpont, directeur général France de Kaspersky, spécialisé dans la cybersécurité.

    Mais les rencontres virtuelles sont aujourd’hui bien installées. Près d’un tiers des répondants (32,6 %) disent avoir « davantage confiance en eux et être plus sociables lors de rencontres virtuelles ». Une réflexion qui est même encore plus installée chez la jeune génération, toujours connectée. Ainsi, 40 % des jeunes issus de la génération Z et même 44 % des millenials y croient.
    Les célibataires moins intéressés que les familles

    Plus étonnant, l’étude démontre que les célibataires ne sont pas les champions des relations virtuelles. Au contraire, c’est dans le cercle familial que chaque membre du foyer préfère construire son « avatar » pour aller à la rencontre de nouvelles personnes. Ainsi, « 36,7 % des personnes vivant dans l’entourage d’enfants, qu’ils soient parents ou non, trouvent qu’il est plus facile de se présenter à leur avantage, via les réseaux sociaux », explique l’étude. L’idée pour les membres d’un même foyer serait ici d’échapper au regard des autres pour se construire une identité différente sur les réseaux et les forums en ligne.

    Le sondage souligne d’ailleurs que 49,2 % des personnes vivant seules « ne considèrent pas qu’il soit plus aisé ou rassurant d’offrir une représentation d’eux-mêmes de façon virtuelle ». « Vivre seul ne serait donc pas en soi un catalyseur de ces nouvelles "rencontres" virtuelles », ajoute le document.
    Des français peu méfiants

    Et si les Français semblent à l’aise avec leur double numérique, ils sont bien souvent trop confiants. « Ils n’ont pas conscience des risques qu’ils encourent. Or, le monde virtuel a des conséquences dans le réel », prévient Tanguy de Coatpont, qui invite d’ailleurs les internautes à se rendre sur le site gouvernemental cybermalveillance.gouv.fr. Tentatives d’escroquerie, rançonnage, cyberharcèlement, vol de photos intimes, pédophilie... « Il faut avoir conscience de tous les risques liés à Internet et avoir de bons réflexes, comme utiliser un logiciel pour gérer ses mots de passe et ne jamais avoir les mêmes, toujours avoir conscience que les personnes avec qui on discute peuvent mentir et si l’on n’a pas confiance à 100 % ne jamais rien donner. De même, après avoir rencontré une personne virtuellement, si vous décidez de la voir vraiment, prévenez toujours une personne de votre entourage avant votre rendez-vous. Enfin, si vous êtes victime n’hésitez pas à porter plainte auprès de la police ou de la gendarmerie. Il y a toujours un membre des forces de l’ordre formé pour prendre en charge les victimes de problèmes en ligne », rappelle Tanguy de Coatpont.

    #Culture_numérique #Comportement #Rencontres

  • *Les revendications des coordinations Facs et Labos en Lutte, « à l’air libre » !*

    Le comité national des coordinations Facs et Labos en lutte a participé jeudi à l’émission quotidienne du journal Mediapart, A l’air libre.

    Alors que Frédérique Vidal a demandé aux universités, par voie de presse, de se préparer à une rentrée mixte en prolongeant voire systématisant le recours à l’enseignement en ligne, Mediapart questionne une des membres du comité de mobilisation national Facs et Labos en lutte, et Mélanie Luce, présidente de l’UNEF, sur la manière dont se profile la rentrée de septembre dans les universités.

    Beaucoup des points abordés reprennent les préoccupations et revendications de la tribune publiée dans Le Monde le 16 mai, puis sur le site Université Ouverte, qui a recueilli plus de 1500 signatures (signez ici). Que ce soit du point du point de vue étudiant comme enseignant, les aspects anti-pédagogiques de l’enseignement à distance ont été dénoncés. Ces nouvelles modalités, instaurées en urgence après le confinement, n’ont fait que souligner la grande précarité étudiante et les inégalités face au distanciel (connexion internet, conditions de vie, de logements notamment pour les étudiant·es boursier·es, salarié·es et étranger·s).

    De même, les deux invitées sont revenues sur le manque de concertation à l’échelle nationale de l’ensemble de la communauté universitaire, qu’ielles soient étudiant·es, enseignant·es, ou agent·es administratifs et techniques, sur les mesures et les moyens à envisager pour aborder la rentrée 2020 dans un contexte d’incertitude sur les mesures sanitaires. L’inquiétude réside aussi dans la volonté ministériel de pérennisation de ces dispositifs d’enseignement à distance, qui constituait déjà, avant la crise sanitaire, un objectif pour casser encore l’emploi dans l’enseignement supérieur, autour d’une conception réductrice de notre métier d’enseignant·e et d’accompagnant·e, alors qu’entre 2012-2018, 40% de postes d’enseignant-chercheur en moins, alors que dans un même temps la population étudiante augmentait de 26%.

    La seule solution pour la rentrée 2020 est un plan d’investissement dans l’enseignement supérieur et la recherche en France un plan de titularisation à la hauteur des besoins dans les universités et dans la recherche, et un plan de soutien massif aux étudiant·es en termes de bourses ou salaire étudiant, d’accompagnement social et médical, de logements et d’équipements.

    La crise sanitaire nous montre bien que les luttes ne sont pas finies et qu’elles prennent de nouvelles formes. Puisons dans notre mobilisation contre la précarité étudiante, contre la contre-réforme des retraites et contre le projet de loi LPPR pour renforcer nos liens, nos réseaux et notre détermination. Pour cela, retrouvons-nous le samedi 6 juin lors de la Rencontre dématérialisée des Facs et Labos en lutte pour en parler tou·tes ensemble !

    A partir de la minute 37’28 :
    https://www.youtube.com/watch?time_continue=2248&v=ACE0VPj_0ck&feature=emb_logo

    #enseignement_distanciel #université #France #coronavirus #covid-19 #septembre_2020 #ERS #fracture_numérique #inégalités

    –---

    Ajouté à la métaliste sur la question de la #rentrée_2020 dans les #facs avec #enseignement_à_distance :
    https://seenthis.net/messages/857580

    • Depuis la #Belgique...

      Non à la rentrée virtuelle à l’#ULB !

      Ce jeudi 28 mai, nous, enseignant·e·s, assistant·e·s, chercheur·euse·s, travailleur·euse·s et étudiant·e·s de l’ULB apprenons par la presse et par un message de nos autorités quelles seront les dispositions prises pour les examens de la seconde session et pour l’organisation de nos enseignements et de notre travail à la rentrée académique. Cette annonce intervient au moment où, partout dans le pays et en Europe, les indicateurs sanitaires passent au vert et où l’on s’apprête à sortir du confinement. Quelle dissonance ! Loin de nous l’idée de remettre en question des mesures visant à assurer la sécurité de toutes et tous quand la situation le justifie, mais il nous semble que le message de nos autorités témoigne surtout d’une fuite en avant vers l’enseignement à distance et l’adoption d’outils standardisés fournis par les multinationales du numérique.

      Sans préjuger de la situation sanitaire à la rentrée, nous sommes sidéré.e.s par la nature des « solutions » imposées par nos autorités et par la façon dont celles-ci ont été décidées. Après avoir vu décrocher parfois plus de 50% des étudiant·e·s des cours « digitalisés » (dont certain·e·s ont décidé de mettre fin à leurs études) ; après avoir constaté que près de 80% des étudiant·e·s estiment que le fait de ne plus assister physiquement aux cours a eu un impact négatif sur leur apprentissage ; après avoir expérimenté pendant deux mois et demi la pauvreté des réunions zoom, skype, teams, et autres, et la fatigue mentale qu’elles génèrent ; après avoir goûté l’insipidité des interactions que permettent les outils numériques et l’injustice et le stress qu’entraînent les évaluations organisées sous ces formats, nous disons « ça suffit ». Non, nous ne nous soumettrons pas à ce nouveau dictat.

      http://encourspasenligne.be

      #affiches :

    • Requiem pour les étudiants

      Lancée dans l’épopée médiatique chantant l’héroïsme sanitaire, l’Europe s’invente un étrange « monde d’après » où la vraie vie serait on line. La prochaine rentrée universitaire semble ainsi placée sous le signe de l’#enseignement_virtuel, présenté comme une nécessité moderne face à la menace virale qui, selon la prévision de certains experts, serait encore présente en septembre. Revenant aux sources de l’université, Giorgio Agamben décrit une sclérose de l’institution, l’usage politique du virus précipitant la mort de la forme de #vie_étudiante. Exhortation au sursaut vital, le texte invite à une renaissance, ranimant la flamme de la mémoire afin que surgisse une « nouvelle culture ». Face au pouvoir technologique imposant la séparation par l’écran, le moment est venu de tisser autrement les liens sensibles d’intelligence que toujours suscite le désir d’étudier : pour de futures universitates.

      Comme nous l’avions prévu, les cours universitaires se tiendront à partir de l’an prochain on line. Ce qui, pour un observateur attentif, était évident, à savoir que la “pandémie” serait utilisée comme #prétexte pour la diffusion toujours plus envahissante des #technologies_digitales, s’est exactement réalisé.

      Ce qui nous intéresse ici n’est pas la transformation conséquente de la #didactique, où l’élément de la #présence_physique, de tout temps si importante dans le rapport entre étudiants et enseignants, disparaît définitivement, comme disparaissent les #discussions_collectives dans les #séminaires, qui étaient la partie la plus vivante de l’enseignement. Fait partie de la #barbarie_technologique que nous vivons actuellement l’effacement de la vie de toute expérience des #sens et la perte du #regard, durablement emprisonné dans un #écran_spectral.

      Bien plus décisif dans ce qui advient est quelque chose dont, significativement, on ne parle pas du tout : la fin de la vie étudiante comme forme de vie. Les universités sont nées en Europe des associations d’étudiants – universitates – et c’est à celles-ci qu’elles doivent leur nom. La forme de vie de l’étudiant était donc avant tout celle où étaient certes déterminantes l’étude et l’écoute des cours, mais non moins importants étaient la #rencontre et l’#échange assidu avec les autres scholarii, qui étaient souvent originaires des lieux les plus reculés et se réunissaient selon le lieu d’origine en nationes. Cette forme de vie a évolué de façon diverse au cours des siècles, mais, des clerici vagantes du Moyen Âge aux mouvements étudiants du XXe siècle, était constante la dimension sociale du phénomène. Quiconque a enseigné dans une salle à l’université sait bien comment, pour ainsi dire sous ses yeux, se tissaient des #amitiés et se constituaient, selon les intérêts culturels et politiques, de petits groupes d’étude et de recherche, qui continuaient à se réunir même après la fin du cours.

      Tout cela, qui a duré près de dix siècles, à présent finit pour toujours. Les étudiants ne vivront plus dans la ville où se trouve l’université, mais chacun écoutera les cours enfermé dans sa chambre, séparé parfois par des centaines de kilomètres de ceux qui étaient autrefois ses camarades d’étude. Les petites villes, sièges d’universités autrefois prestigieuses, verront disparaître de leurs rues ces communautés d’étudiants qui constituaient souvent la partie la plus vivante du lieu.

      De chaque phénomène social qui meurt on peut affirmer que, dans un certain sens, il méritait sa fin et il est certain que nos universités avaient atteint un tel point de corruption et d’ignorance spécialisée qu’il n’est pas possible de les pleurer et que la forme de vie des étudiants s’était en conséquence tout autant appauvrie. Deux points doivent pourtant rester entendus :

      - les professeurs qui acceptent – comme ils le font en masse – de se soumettre à la nouvelle #dictature_télématique et de donner leurs cours seulement on line sont le parfait équivalent des enseignants universitaires qui, en 1931, jurèrent fidélité au régime fasciste. Comme il advint alors, il est probable que seuls quinze sur mille s’y refuseront, mais assurément leurs noms resteront en mémoire à côté de ceux des quinze enseignants qui ne jurèrent pas.
      – Les étudiants qui aiment vraiment l’étude devront refuser de s’inscrire à l’université ainsi transformée et, comme à l’origine, se constituer en nouvelles universitates, à l’intérieur desquelles seulement, face à la barbarie technologique, pourra rester vivante la parole du passé et naître – si elle vient à naître – quelque chose comme une nouvelle culture.

      –-> Traduction (Florence Balique), à partir du texte mis en ligne le 23 mai 2020, sur le site de l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici :

      https://www.iisf.it/index.php/attivita/pubblicazioni-e-archivi/diario-della-crisi/giorgio-agamben-requiem-per-gli-studenti.html
      https://lundi.am/Requiem-pour-les-etudiants
      #Giorgio_Agamben #Agamben

    • Et en #Allemagne...

      Zur Verteidigung der Präsenzlehre

      In den letzten Jahren haben sich an den Hochschulen Elemente einer digitalen Lehre immer mehr durchgesetzt: zunächst als Unterstützung der Präsenzlehre, dann als deren Ergänzung oder gar als eine mögliche Alternative, und nun, mit Corona, als glückliche Rettung. Und in der Tat: Ohne digitale und virtuelle Formate hätte sich das Sommersemester 2020 nicht durchführen lassen. Und auch grundsätzlich leisten digitale Elemente mittlerweile einen wertvollen Beitrag zur Hochschullehre. Im Gefühl des plötzlich möglichen digitalen Sprungs nach vorn drohen indes drei Aspekte verloren zu gehen, die unserer Überzeugung nach von grundlegender Bedeutung für das Prinzip und die Praxis der Universität sind:

      1. Die Universität ist ein Ort der Begegnung. Wissen, Erkenntnis, Kritik, Innovation: All dies entsteht nur dank eines gemeinsam belebten sozialen Raumes. Für diesen gesellschaftlichen Raum können virtuelle Formate keinen vollgültigen Ersatz bieten. Sie können womöglich bestimmte Inhalte vermitteln, aber gerade nicht den Prozess ihrer diskursiven, kritischen und selbständigen Aneignung in der Kommunikation der Studierenden.

      2. Studieren ist eine Lebensphase des Kollektiven. Während des Studiums erarbeiten sich die Studierenden Netzwerke, Freundschaften, Kollegialitäten, die für ihre spätere Kreativität, ihre gesellschaftliche Produktivität und Innovationskraft, für ihren beruflichen Erfolg und ihre individuelle Zufriedenheit von substantieller Bedeutung sind. Dieses Leben in einer universitären Gemeinschaft kann in virtuellen Formaten nicht nachgestellt werden.

      3. Die universitäre Lehre beruht auf einem kritischen, kooperativen und vertrauensvollen Austausch zwischen mündigen Menschen. Dafür, so sind sich Soziologie, Erziehungs-, Kognitions- und Geisteswissenschaften völlig einig, ist das Gespräch zwischen Anwesenden noch immer die beste Grundlage. Auch dies lässt sich nicht verlustfrei in virtuelle Formate übertragen.

      Mit Blick auf diese drei Aspekte wollen wir den Wert der Präsenzlehre wieder in Erinnerung rufen. Wir fordern eine – vorsichtige, schrittweise und selbstverantwortliche – Rückkehr zu Präsenzformaten. Was die Schulen zu leisten in der Lage sind, sollte auch Universitäten möglich sein: die Integration von Elementen der Präsenzlehre, etwa in kleineren Gruppen in größeren zeitlichen Abständen, je nach Bedarf, je nach lokalen Gegebenheiten. Einzelne Universitäten, einzelne Fakultäten könnten hier individuelle, verantwortliche Modelle entwickeln.

      Wir weisen auf die Gefahr hin, dass durch die aktuelle Situation die herkömmlichen Präsenzformate an Wertschätzung und Unterstützung durch die Hochschulleitungen, die Bildungsministerien und die Politik verlieren könnten, eine Unterstützung, die sie in der Zeit nach Corona dringend brauchen werden. So sinnvoll und wichtig Maßnahmen zur Bekämpfung des Virus sind: Corona sollte nicht zu einer nachgereichten Begründung für Entwicklungen in der Lehre werden, die vor Corona offen und kritisch diskutiert wurden. Diese kritischen Debatten dürfen nicht durch scheinbare Evidenzeffekte, wie sie die Pandemie bisweilen produziert, abgekürzt werden.

      Die Präsenzlehre als Grundlage eines universitären Lebens in all seinen Aspekten gilt es zu verteidigen.

      https://www.praesenzlehre.com

    • Se non ora, quando? Quattro punti per l’università
      L’articolo che segue ha come punto di partenza la situazione italiana. Ma le considerazioni generali che esso sviluppa ci pare siano di grande interesse per una riflessione su quanto successo (nel quadro della pandemia COVID) e, verosimilmente, potrebbe succedere in tutto il sistema universitario europeo, Svizzera compresa. (Red)

      –-

      In questi giorni riaprono perfino le palestre, con energumeni sudati che sprigionano umori in ambienti chiusi. Ma scuole e università no, ci mancherebbe: classi pollaio, insegnanti anziani, piani di ripresa mai stilati, rischi e timori del tutto indeterminati. E in fondo che fretta c’è? Che diavolo volete? Tanto non producete reddito, lo stipendio vi arriva lo stesso e una lezione si può fare anche attraverso il computer, mentre uno spritz o una corsa sul tapis-roulant (ancora) no. Così il senso comune traveste da ragioni tecnico-economiche un dato primariamente politico, in cui l’ossessione securitaria di oggi si fonde con il mirato, sistematico svilimento delle istituzioni formative che sta massacrando scuola e università da almeno due decenni. E allora teniamole proprio chiuse, queste pericolose istituzioni, perché tanto si può fare lezione da casa: magari anche in autunno, e poi tutto l’anno prossimo, come ha già annunciato la gloriosa università di Cambridge, e poi chissà. Così potremo realizzare il sogno della preside Trinciabue, in un corrosivo romanzo di Roald Dahl: «una scuola perfetta, una scuola finalmente senza bambini!».

      Di cosa significhi insegnare nell’era del Covid-19 si sta discutendo da mesi, strappando faticosamente piccole porzioni di un dibattito pubblico monopolizzato da virologi superstar e dilettanti allo sbaraglio. Da parte mia, ho cercato di farlo in un e-book gratuito pubblicato da Nottetempo, Insegnare (e vivere) ai tempi del virus, mentre si moltiplicano gli interventi su blog, social e anche giornali mainstream. Torno dunque sulla questione per fissare solo quattro punti sintetici, conclusi da altrettanti impegni ad agire subito (in corsivo). E se non ora, quando?

      In questi mesi molti di noi hanno praticato la didattica a distanza con stati d’animo ambivalenti o apertamente conflittuali. Difficile capirlo senza esperienza diretta. Provare per credere. Da un lato l’incertezza, la novità, l’esperimento, anche l’euforia di reagire attivamente allo stato di minorità del confinamento con la parte migliore del nostro lavoro: insegnare, mettere in comune, cucire un filo con gli studenti, garantire comunque uno dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Dall’altro i dubbi, le perplessità, la sensazione che tutte quelle energie spese con autentico spirito di servizio andassero in gran parte disperse, o che addirittura venissero sfruttate per altri fini. Nel frattempo, alcuni di noi hanno capito che uno straordinario sforzo tecnico e umano stava diventando un clamoroso errore politico (e comunicativo): diceva cioè al governo e al popolo: tranquilli, qui va tutto bene, le università e le scuole possono restare chiuse perché tanto c’è la didattica a distanza. E invece no, lo ribadisco: le cose non vanno affatto bene. Non vanno bene all’università e non vanno bene a scuola, dove la situazione è molto più drammatica, perché la didattica a distanza è una procedura emergenziale e solo un pallido surrogato di quello che deve avvenire in aula, tra muri e corpi, soggetti in carne ed ossa che si fronteggiano in luoghi fisici e politici, non solo per trasferire competenze ma per mettere a confronto idee, modelli di sapere e visioni del mondo. Dunque un primo impegno su cui non cedere nemmeno un millimetro: appena ci saranno le condizioni igienico-sanitarie dovremo tornare in aula, senza variabili o compromessi.
      La tecnologia è un falso problema, un palazzo di Atlante che genera ombre e riflessi, giochi di ruolo in cui ognuno assume una parte per attaccare un nemico fantasma. Così io faccio l’apocalittico, tu fai l’integrato e ci scambiamo sonore mazzate sulla testa, mentre le multinazionali del software e i provider di servizi informatici si fregano le mani. È un falso problema soprattutto all’università, dove non avevamo certo bisogno del Covid-19 per imparare a usare le tecnologie digitali, che sono un normale e istituzionale strumento di lavoro da molti anni, con una gamma di applicativi che ormai copre quasi tutte le attività amministrative, didattiche e di ricerca. E dunque basta con la retorica della “grande occasione”, con il riflesso condizionato di un ingenuo “make it new!”. Basta con l’equazione automatica tra strumenti digitali e innovazione, come se fosse sufficiente mettere un tablet nelle mani di docenti e studenti per realizzare ipso facto una “didattica innovativa”, formula ormai immancabile sulla bocca di dirigenti e rettori. Un bravo (o un cattivo) insegnante resta tale sia in classe che davanti a un computer: è una banalità che non vorremmo più dover ribadire. Anzi, come accade sempre più spesso, la tecnica è uno schermo opaco, alibi perfetto per deresponsabilizzare scelte e interessi: nasconde cioè dietro vincoli esterni e una presunta neutralità operativa decisioni del tutto opinabili e contingenti. Se continuiamo ad accapigliarci sul mezzo perdiamo completamente di vista lo scopo e soprattutto la posta in gioco di questa partita, che non è tecnica ma innanzitutto psicologica, sociale e politica. Se c’è una questione da porre sulla tecnologia, è piuttosto l’uso di software e piattaforme proprietarie da parte delle istituzioni pubbliche. È ormai francamente intollerabile che la scuola, l’università e tutta la pubblica amministrazione foraggino multinazionali come Microsoft o Google e cedano quote incalcolabili di dati sensibili. E dunque un’altra cosa da fare subito: un investimento nazionale per dotarsi di piattaforme informatiche basate su software libero, pubblico, che escluda forme di profitto e garantisca la custodia attenta dei dati personali.
      Blended è la nuova parola magica della neolingua accademica, da aggiungere a quella batteria di keywords che di fatto governano le politiche, i discorsi, la distribuzione dei fondi e soprattutto il funzionamento dei cervelli dentro l’università: premiale, competitivo, efficienza, efficacia, criticità, buone pratiche, accreditamento, autovalutazione, didattica innovativa e naturalmente eccellenza, il più vacuo feticcio ideologico dei nostri tempi, strumento di un marketing passe-partout che va dal made in Italy ai dipartimenti universitari, dagli atleti olimpici al prosciutto di Parma. Blended non designa un tipo di whisky ma un regime misto tra didattica in presenza e didattica a distanza che promette di essere il business del futuro. Sarà una soluzione quasi inevitabile nella prossima fase, quando il paventato calo delle immatricolazioni spingerà gli uffici marketing degli atenei a cercare soluzioni flessibili per accalappiare gli studenti dei paeselli, bloccati dalla crisi economica o da nuove misure di contenimento per un’eventuale ripresa del virus. Così, invece di risolvere i problemi strutturali (ampliare le aule, costruire studentati, ridurre le tasse, aumentare le borse di studio, calmierare gli affitti che taglieggiano i fuori sede), adotteremo una soluzione di compromesso che negli anni successivi potrà andare a regime, trasformandosi nel business perfetto: meno aule, meno docenti, lezioni riproducibili e moltiplicabili a piacere, studenti che pagano le tasse ma che non gravano fisicamente su strutture e costi di gestione. Per capire che non è uno scenario distopico ma una previsione realistica basta guardare la nostra macchina del tempo, gli Stati Uniti, dove tutto questo si sta già realizzando. E così le belle parole della Costituzione (articoli 3 e 34) saranno definitivamente carta straccia: non solo avremo università di serie A e di serie B, come auspicato dall’Anvur e dalla ragione sociale dell’università dell’eccellenza, ma anche studenti di serie A e di serie B, perché la modalità blended realizzerà un’automatica selezione di classe: da un lato lezioni in presenza riservate a studenti privilegiati (cioè non lavoratori, di buona famiglia, capaci di sostenere un affitto fuori sede), e dall’altro corsi online destinati a studenti confinati dietro uno schermo e nei più remoti angoli d’Italia, che resteranno al paesello con mammà e non rischieranno di immaginare un orizzonte diverso per le loro vite. Un cortocircuito perfetto tra il capitalismo avanzato e la morale di padron ‘Ntoni. Ecco dunque un appello rivolto a tutti i miei colleghi: rifiutiamoci di fare didattica blended. Piuttosto, meglio continuare solo online finché le autorità sanitarie ci permetteranno di tornare tutti in aula. Nel caso potremo appellarci all’articolo 33 sulla libertà di insegnamento, oppure fare come Bartleby: “I would prefer not to”.
      Serve dirlo? La didattica a distanza non ha nulla a che fare con il fascismo. È una procedura emergenziale che la stragrande maggioranza dei docenti italiani ha praticato obtorto collo, solo per il bene dell’istituzione e degli studenti. Non stupisce che molti si siano sentiti mortalmente offesi dalla sparata di Giorgio Agamben: «i professori che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura telematica e di tenere i loro corsi solamente on line sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista». Il parallelismo storico, anzi la copula identitaria («sono il perfetto equivalente») è talmente fuori luogo che non servirebbe nemmeno replicare. Se lo faccio, è solo perché la provocazione volutamente incendiaria rischia di appiccare il fuoco dalla parte sbagliata. Bisogna infatti correggere il tiro e scagliare la freccia sul bersaglio giusto: il nemico non è un’improbabile dittatura che toglie la cattedra a chi si ribella (rischio effettivo solo per i precari, a prescindere dalla didattica a distanza), ma un ben diverso modello di potere che Agamben può capire meglio di chiunque altro. Paradossalmente, se un dittatore manesco o anche telematico ci chiedesse di giurare fedeltà al regime sarebbe tutto più semplice. Ma nulla del genere nell’università dell’eccellenza, dove il potere funziona in forma microscopica, capillare, con una serie di deleghe a catena e soprattutto un’interiorizzazione di obiettivi e protocolli da parte di tutti. È vero peraltro che i dispositivi giuridici hanno legittimato de iure queste pratiche diffuse: la Legge 240, che l’ex-Ministra Gelmini ha avuto il coraggio di chiamare “antibaronale”, non ha fatto che accentrare il potere al vertice, ridurre gli spazi deliberativi, avocare a pochi organismi monocratici e oligarchici (rettori, direttori di dipartimento, consigli d’amministrazione, commissioni di soli professori ordinari) tutto il governo formale e sostanziale dell’università. Con questo, un’istituzione che non ha mai brillato per democrazia ha finito per sposare i sistemi tecnocratici del “new public management” e i valori dell’economia neoliberale (eccellenza, merito, valutazione, efficienza, competizione, rating e ranking, quality assurance), prima imposti dall’alto e poi interiorizzati come un seconda natura. È questo il nemico da combattere, innanzitutto dentro di noi. È il condizionamento insensibile, lo slittamento dei confini, la collaborazione in buona fede sfruttata come instrumentum regni. Ed è su questo modello che si innesta a meraviglia non tanto la teledidattica in sé, ma l’uso che se ne potrà fare dopo la fine dell’emergenza. Perché nell’università dell’eccellenza gli studenti non sono cittadini che reclamano il diritto al sapere ma clienti da soddisfare, consumatori di beni e servizi, acquirenti di una cultura in scatola che si preleva come un pacchetto dagli scaffali. Nulla di meglio di una televendita del sapere e di quell’ennesima evoluzione antropologica del capitalismo che chiamiamo smart working. Per questo dobbiamo opporci a forzature tecnologiche prive di qualunque ragione didattica o culturale, costringendo i vertici accademici a condividere ogni decisione con tutta la comunità accademica.

      Su un punto Agamben ha pienamente ragione: dobbiamo prendere partito, stanare tutti dalla zona grigia. Negli ultimi decenni, la supina acquiescenza del corpo docente ha di fatto lasciato campo libero al fanatismo ideologico dei “riformatori”, legittimando più o meno in silenzio qualunque vessazione o degradazione sistemica del nostro lavoro. Quindi su questo c’è davvero poco da offendersi. Ma non è mai troppo tardi per reagire. E ora non dobbiamo scegliere tra il digitale e il giurassico, tra la servitù volontaria e il ribellismo anarchico, ma tra due diversi modelli di università (e di società). In fondo la più grande sconfitta del fascismo è scritta nella lettera e nello spirito della Costituzione, che basterebbe tradurre finalmente nella prassi. E dunque, più che rifiutare giuramenti immaginari, dobbiamo chiederci se siamo disposti a difendere fino in fondo un’idea di università (e di scuola) pubblica, aperta, generalista, bene comune ed essenziale, non solo luogo di trasmissione della conoscenza ma strumento imprescindibile di uguaglianza sociale. Non è troppo tardi. E ne vale ancora la pena. (27 maggio 2020)

      * articolo apparso su www.iisf.it

      https://mps-ti.ch/2020/06/se-non-ora-quando-quattro-punti-per-luniversita

      #Italie

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      Réaction face à la prise de position de #Agamben #Giorgio_Agamben:

      Non stupisce che molti si siano sentiti mortalmente offesi dalla sparata di Giorgio Agamben: «i professori che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura telematica e di tenere i loro corsi solamente on line sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista». Il parallelismo storico, anzi la copula identitaria («sono il perfetto equivalente») è talmente fuori luogo che non servirebbe nemmeno replicare. Se lo faccio, è solo perché la provocazione volutamente incendiaria rischia di appiccare il fuoco dalla parte sbagliata. Bisogna infatti correggere il tiro e scagliare la freccia sul bersaglio giusto: il nemico non è un’improbabile dittatura che toglie la cattedra a chi si ribella (rischio effettivo solo per i precari, a prescindere dalla didattica a distanza), ma un ben diverso modello di potere che Agamben può capire meglio di chiunque altro. Paradossalmente, se un dittatore manesco o anche telematico ci chiedesse di giurare fedeltà al regime sarebbe tutto più semplice. Ma nulla del genere nell’università dell’eccellenza, dove il potere funziona in forma microscopica, capillare, con una serie di deleghe a catena e soprattutto un’interiorizzazione di obiettivi e protocolli da parte di tutti.

      https://www.iisf.it/index.php/attivita/pubblicazioni-e-archivi/diario-della-crisi/giorgio-agamben-requiem-per-gli-studenti.html
      En français: https://lundi.am/Requiem-pour-les-etudiants

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      #Federico_Bertoni, auteur de ce texte, est aussi auteur du #livre:
      Insegnare (e vivere) ai tempi del virus

      Insegnare (e vivere) ai tempi del virus non è il semplice diario dell’emergenza didattica in cui si sono trovate a vivere le scuole e le università italiane. E’ anche e soprattutto una riflessione su cosa potrebbe accadere dopo l’emergenza, nel caso in cui scuole e università decidano di cogliere la dubbia opportunità dell’insegnamento online per applicare una politica profondamente intrisa di disuguaglianza. I più avvantaggiati, in grado di pagarsi tasse e trasferte, ritornerebbero al metodo classico della lezione in presenza: colloqui diretti con professore, seminari, incontri e vita in comune. I meno avvantaggiati, non potendo permettersi di frequentare, sarebbero costretti all’assenza di corpo, di contatto, di comunità.
      Un ascensore sociale al contrario, una disuguaglianza per decreto, di cui è necessario preoccuparsi da subito. Con una scrittura cristallina e partecipe, l’autore indica anche spunti di mobilitazione che potrebbero già ora costituire un’efficace risposta intellettuale e politica. Non è una questione corporativa o settoriale: ciò che accade nelle scuole e nelle università riguarda tutti, per il presente immediato così come per il futuro a lungo termine del nostro Paese.

      https://www.edizioninottetempo.it/it/prodotto/insegnare-e-vivere-ai-tempi-del-virus

    • Enseignement en présentiel ou hybridation : la circulaire du MESRI

      La #circulaire du MESRI sur l’organisation de la rentrée vient d’être rendue publique, sans pour autant clarifier – ou simplifier la tâche de celles et ceux qui vont être chargé·es de s’en occuper. Mais nous sommes rassuré·es :

      « Une fiche visant à accompagner les établissements dans l’#hybridation des enseignement est disponible dans l’ « offre de service » de la DGESIP ».

      Au vu de la qualité des fiches précédentes — incitation à utiliser des outils privés, non protecteurs des données personnelles, absence de réflexion pédagogique, etc. — nous avons tout lieu d’être reconnaissant·es.

      Lien vers la circulaire : https://f.hypotheses.org/wp-content/blogs.dir/793/files/2020/06/Circulaire-Orientations-pour-les-op%C3%A9rateurs-MESRI-relatives-%C3%A
      https://academia.hypotheses.org/24596

    • Rencontre avec #Frédérique_Vidal – AEF info Live. Un compte rendu

      En dépit de nombreux problèmes de connection, la rencontre en visio-conférence s’est tenue. Une auditrice a eu l’amabilité de prendre des notes que nous publions sans filtre en faisant remarquer le contraste entre la qualité des réponses et celle des réponses de la Ministres.

      Q- impact financier de la crise sanitaire sur secteur ESRI ? Quels moyens pour la rentrée ? Allemagne : plan de relance 130 Md€, dont la moitié pour ESR.

      Vidal : crise inédite, impact sur bcp de secteurs, dont ESRI. Impact complet pas encore connu. Les établissements font remonter un décompte des difficultés rencontrées (baisse ressources propres avec formation continue, contrats de recherche…). Plusieurs outils : abondement sur programme vie étudiante, Contrat de Plan Etat-Régions (bâtiments) avec régions (CPER), programme d’investissement d’avenir (PIA), plan de relance (remettre de l’humain, accompagnement des jeunes et étudiants) investissement de long terme via LPPR.

      Q- Calendrier CPER maintenu ?

      Vidal- Lettres d’intentions partagées qui vont alimenter le plan de relance idéalement avant l’été, signatures de contrat fin d’année ou début 2021 pour ne pas prendre de retard.

      Q- PIA4 : est-ce que la crise sanitaire rebat les cartes sur les priorités (innovation, numérique avec AAP récent) ? Est-ce que ça fait partie des leviers à activer en termes d’investissement ?

      Vidal- oui, numérique, infrastructures, pour soutenir R&D ; nous avons des équipes qui font le lien avec monde socio-économique. On repense les outils pour en renforcer certains.

      Q- Calendrier PIA4 déjà connu sur les grandes orientations ?

      Vidal- Non, objectif : le lancer pour 2021. Quasiment terminé, peut-être un peu de retard à cause des remaniements actuels.

      Q- Ca peut être un levier pour la transformation numérique de l’ESR ?

      Vidal- oui, il y a déjà eu bcp d’initiatives pour transformation de pédagogie avec de nouveaux usages pour le numérique, on a vu à quel point il fallait qu’on soit mieux préparés, établissements ont fait des miracles (fourniture d’ordis au étudiants, repenser les formations, utiliser les outils collaboratifs, maintien de liens avec les étudiants). Très compliqué de n’utiliser que le distanciel pour enseigner, impact de la relation humaine dans l’acte même de transmettre des connaissances. Néanmoins, outils numériques permettent d’enseigner autrement et faire d’autres formes de pédagogie, ça a été testé en temps réel et je suis admirative par le travail qui a été fait par l’immense majorité des équipes.

      Q- Et le plan de relance, est-ce que vous espérez que l’ESR aura une bonne place ou est-ce que pour l’ESR c’est le CPER qui va jouer ce rôle-là, ou est-ce qu’il y aura d’autres volets dans ce plan de relance qui pourraient nous concerner ?

      Vidal- Bien sûr, il y a aura des volets sur l’ESR, un certain nombre d’annonces ont été faites (soutien à l’apprentissage, propositions pour impact le plus contenu possible de cette crise sur les étudiants et sur les labos de recherche – bcp ont dû arrêter des expérimentations, ça signifie des semaines et des mois de travail à ré-initier, on a perdu toute la saison de printemps, par exemple semences [semis ?] pas pu être faites dans un centre INRAE donc 1 année de retard). Il faudra qu’on accompagne par le plan de relance tout le secteur de l’ESRI.

      Q- Quel calendrier pour le plan de relance ?

      Vidal- On y travaille, ça fait partie de ce que le président de la république souhaite faire dans les prochaines semaines, juste avant ou juste après le mois d’aout, tous les ministères y travaillent, nous y participons très activement.

      Q- Donc la LPPR ne sera pas le plan de relance de l’ESR, il y aura sans doute d’autres leviers à activer ?

      Vidal- Ça fait 18 mois qu’on travaille à la LPPR, lancée par le premier ministre en février 2019, confirmée par président fin 2019, son ambition a été annoncée par le président pendant la crise. On était déjà convaincus qu’il fallait réinvestir dans la recherche, c’est une brique essentielle de la souveraineté d’un pays que la production de la connaissance. La crise nous a convaincus plus encore qu’il fallait le faire, que dès 2021 les premiers budgets de programmation de la recherche puissent être inscrits dans les projets de loi de finance. Tout était quasiment prêt pour le mois de mars, planification en conseil des ministres prévue fin mars, avec crise du covid, on s’est concentrés sur d’autres sujets, mais président et premier ministre ont souhaité que la LPPR soit remise le plus vite possible dans le circuit, car cette crise a démontré l’importance de la connaissance dans la gestion des crises.

      Q- Comment vous comparez les 50 ou 60 milliards de l’Allemagne, dont on ne sait pas encore quelle est la planification, mais c’est assez énorme, avec ces 25 milliards ; et 2è question, 92 millions d’euros par an de revalorisation pour les personnels, est-ce qu’il y a un lien, une condition de suspension liée à la loi-retraite dont on ne connait pas encore le sort aujourd’hui, ou est-ce que c’est complètement indépendant ?

      Vidal- Non, pas du tout, la question de l’attractivité, de la revalorisation de ces carrières est prégnante depuis plusieurs années, c’est totalement disjoint de la question de la réforme des retraites. Il y a un vrai besoin, pour continuer à former des jeunes et accueillir de nouveaux talents dans le monde de la recherche, un vrai besoin de revalorisation. Quand on est recruté après 8 ans d’études et plusieurs années de postdoc, à des salaires de l’ordre de 1,4 ou 1,5 SMIC, on est dans un pays qui maltraite sa recherche et ses jeunes chercheurs. C’est essentiel qu’on puisse travailler à ces revalorisations et c’est totalement disjoint.

      Q- Et les 60 Mds allemands, par rapport aux 25 Mds en France ?

      Vidal- là encore, vous le savez, en France ça faisait un moment, une vingtaine d’années quasiment, qu’on avait pour ambition d’atteindre les 3% du PIB, l’Allemagne les avait atteints, et l’Allemagne avait annoncé que la marche suivante serait 3,5% du PIB. Ce que permet la LPPR, c’est de tenir cet engagement de 3% du PIB, le principe même de l’organisation en Allemagne est extrêmement différent, les universités sont régionales, la recherche est dispatchée dans des instituts, le mode d’organisation est totalement différent, je crois que ce qui est important est qu’on fasse le meilleur usage de cet investissement massif dans la recherche qui n’a pas été vu depuis les années 50.

      René-Luc (fait la synthèse des questions des internautes)- question urgente qui concerne la prolongation des contrats doctoraux et post-doctoraux, inquiétude sur les moyens disponibles pour ces prolongations.

      Vidal- La première étape, l’autorisation de prolonger ces contrats, a été franchie. Je me suis engagée à ce que les doctorants, en lien avec un directeur de thèse et leurs écoles doctorales puissent faire valoir une demande de prolongation de la durée de leur contrat, qui évidemment, lorsque ce sont des contrats financés par l’Etat, sera assorti à une prolongation du financement. Y’a aucune ambigüité là-dessus, que ce soit des contrats doctoraux dans le cadre de la subvention de chargé de service public, et que ce soit des contrats doctoraux dans le cadre des projets et programmes de l’ANR, c’est un engagement qui avait été pris, évidemment ça n’avait pas de sens de prolonger les contrats doctoraux sans prolonger leur financement. Donc ça, c’est un engagement de la part de l’Etat. Je suis aussi en train de travailler avec les régions, puisqu’un certain nombre de contrats doctoraux sont financés aussi par les régions, de manière à voir avec eux quels critères les régions souhaitent mettre pour la prolongation de ces contrats, de manière à ce qu’on puisse avancer. Ça concerne tous les doctorants qui sont inscrits, ce qui signifie que ça peut être des prolongations pour des doctorants qui sont déjà en troisième année, ou des doctorants qui sont en deuxième année mais qui ont eu un impact très fort sur leur recherche de par cette crise, et c’est à la demande des doctorants, des directeurs de thèse et des écoles doctorales. Le ministère assurera derrière les financements. On a aussi des doctorats qui sont financés par d’autres voies, des associations, dans ce cas-là on regardera au cas par cas comment on peut travailler ; ce sont des volumes de doctorants beaucoup plus petits, mais il n’empêche que derrière il y a aussi des étudiants, donc on y portera une attention particulière.

      Q- Vous n’avez pas une enveloppe prédéfinie pour la prolongation ?

      Vidal- Non, en fait c’est un vrai droit de tirage, donc on assumera cette prolongation.

      RL- la LPPR prévoit une revalorisation du montant accordé aux doctorants qui bénéficient d’un contrat doctoral à partir de 2021. Est-ce que ça concerne seulement les nouveaux doctorants ou l’intégralité des doctorants qui ont déjà un contrat doctoral ?

      Vidal- C’est une revalorisation à hauteur de 30% des contrats doctoraux, c’est une augmentation aussi du nombre de contrats doctoraux, vous savez que mon souhait, mon ambition est que tous les doctorants en formation initiale aient une source de financement. Je trouve que c’est extrêmement compliqué d’avoir des doctorants sans financements, ils sont certes encore en formation car ils sont encore étudiants et ils ont à obtenir un diplôme, mais ils sont aussi les forces vives de la recherche. Donc ça me parait normal de ce point de vue-là qu’ils puissent avoir des financements.

      Q- Est-ce que ça veut dire qu’il faut interdire les doctorats sans financement ?

      Vidal- Non, la question, c’est jamais d’interdire, ça n’a pas beaucoup de sens, il y a des cas particuliers. Mais avoir pour objectif le fait que tous les doctorants aient un financement, je crois que c’est un objectif que nous avons tous intérêt à porter et à travailler ensemble et c’est pour ça qu’on augmente le nombre de contrats doctoraux financés par l’Etat, on va aussi augmenter le nombre de contrats CIFRE et on va aussi travailler à avoir de plus en plus de financements possibles pour financer un maximum de doctorants. Sur la question de comment ça se met en place dans le temps, c’est au cœur même des discussions que nous avons actuellement avec l’ensemble des représentants des personnels et des corps constitués, y compris avec les associations de doctorants et de jeunes docteurs, tout ça c’est en train d’être calé, en tous cas l’objectif est celui qui est inscrit dans la loi.

      RL- Dans la LPPR, on voit arriver de nouvelles formes de contrats, dont l’une ressemble étrangement à ce que les anglo-saxons appellent la tenure-track, et il y a plusieurs questions au sujet de ces chaires de professeurs juniors, pour savoir quel est l’avantage d’introduire ce type de contrat à l’université d’une part, et d’autre part pourquoi ces chaires sont contingentés alors que les universités sont autonomes.

      Vidal- ce sont des questions très différentes. L’une est une question d’observation de ce qui se passe. On a en France deux niveaux de recrutement actuellement, maître de conférences ou chargé de recherche, et puis un deuxième niveau de recrutement qui est professeur d’université ou directeur de recherche. Il nous manque un métier intermédiaire pour des jeunes qui sont partis, qui ont démarré leur carrière à l’étranger, qui souhaitent revenir en France, ou pour des jeunes qui souhaitent, après avoir fait leurs études ou leur début de carrière à l’étranger, revenir en France, qui n’ont pas encore un dossier suffisant pour concourir sur un emploi de professeur, et qui ont un dossier qui leur permet d’espérer un recrutement un peu plus haut que les maîtres de conférences. Il y a eu plusieurs tentatives par le passé pour essayer de résoudre ces sujets-là, il y a eu les chaires partagées entre les universités et les organismes, où on rajoutait un morceau de salaire supplémentaire pendant 5 ans, et puis au bout de 5 ans ça s’arrêtait et puis voilà. Plusieurs choses ont été testées. Ce qui nous semblait important de faire, c’était d’en faire une nouvelle voie possible d’entrée dans la carrière, sur des populations intermédiaires qui ont déjà une expérience reconnue en recherche, et qui n’ont pas encore le niveau nécessaire pour être recrutés comme directeur de recherche ou comme prof d’université. Quand je dis le niveau, c’est les antécédents, le background, les publications, les compétences, etc. Le principe de ces chaires de professeur junior c’est qu’on peut donc être recrutés avec une période de transition qui conduit à une titularisation comme professeur ou comme directeur de recherche au bout de 3 à 5 ans. Donc c’est une sorte de pré-embauche sur la fonction publique, où on donne l’opportunité à ces personnes pendant 3 à 5 ans de faire définitivement leurs preuves pour qu’elles puissent rejoindre le corps des DR ou des profs. Ce qui nous est apparu comme essentiel c’est évidemment, qu’on n’utilise pas les emplois de MC ou profs offerts chaque année, et qu’on soit capables de créer de nouveaux emplois sous plafond. C’est ce que prévoit la loi de programmation de la recherche, elle prévoit de créer 5200, de mémoire, nouveaux emplois sous plafond Etat sur la période qui vient. Et donc c’est aussi pour ça que, évidemment, pour le moment nous avons souhaité limiter le nombre de chaires de professeur junior, car c’est important qu’on garantisse derrière qu’il y ait bien possibilité de titularisation. C’est une autre voie d’accès à la fonction publique qui a été pensée pour ces catégories intermédiaires pour des personnes qu’on avait du mal à attirer ou à réattirer en France après un séjour dans d’autres pays. Donc voilà, c’est le choix qui a été fait, c’est effectivement de les limiter à, au maximum, 25% des recrutements.

      Q- Et par ailleurs c’est aussi une mesure qui crispe une partie de la communauté, est-ce que vous le comprenez, est-ce que ça ne risque pas de polluer un peu le débat sur les moyens, parce qu’il y a ces tenure-track, il y a aussi le CDI de mission scientifique qui n’est pas toujours accueilli avec grand enthousiasme, et plusieurs types de contrats, est-ce que ces contrats-là, ça risque pas de polluer un peu l’accueil des moyens supplémentaires que vous soulez dégager pour la recherche ?

      Vidal- Il faut vraiment comprendre que ce sont des outils supplémentaires. Si les établissements estiment qu’ils ne cherchent pas à faire cela, et moi ce n’est pas ce que j’ai entendu quand je me suis déplacée, que ce soit dans les labos, que ce soit auprès des instances de pilotage des universités, c’est un outil intermédiaire qui m’a été demandé. Après c’est un outil, c’est-à-dire que je n’impose pas un minimum de recrutements par cette voie-là. C’est un outil supplémentaire qui est offert parce que, là encore, on a des disciplines où les doctorants ne terminent même pas leur doctorat. On a des disciplines où on a une aspiration de toute la force de recherche qu’il est difficile de contrer si on n’a pas des mesures d’attractivité un peu innovantes. C’est aussi une demande que j’ai entendue de la part des personnes qui ont pu être recrutées sur les programmes prioritaires de recherche sur le climat, qui nous disent ‘nous on est venus pour 3-5 ans et qu’est-ce qui se passe dans 5 ans’. On a le choix dans les établissements et c’est toujours possible de le faire, de faire des CDI. Ça c’est déjà faisable, mais quand on est en CDI on n’a pas un statut de professeur d’université ou de DR donc parfois c’est compliqué à comprendre de l’étranger. Donc il vaut mieux avoir un statut de prof car globalement c’est plus reconnu dans le monde, quand on dit prof d’université tout le monde voit dans le monde universitaire à quoi ça correspond. Donc voilà, c’est un outil de plus qui a été donné. Les CDI de mission, c’est autre chose, c’est vraiment une demande très très forte pour lutter contre ce qui se passe actuellement dans les établissements où on recrute des gens sur contrat, et par exemple ils s’occupent de plateformes ou de données et au bout de 3, 4, 5 ans maximum on a peur de prolonger leur contrat parce qu’on ne veut pas les CDIser parce que là encore les CDIser signifie supprimer un emploi de fonctionnaire pour pouvoir continuer à les payer sur les fonds de l’établissement. Donc ce qu’on a créé c’est un CDI de mission et là aussi on a augmenté les plafonds d’emploi pour faire en sorte que ces CDI de mission permettent de conserver les gens, leurs compétences, tout ce qu’ils apportent à des équipes, vous savez, c’est très long de constituer des équipes en recherche, il faut plusieurs mois, plusieurs années pour vraiment s’imprégner de la recherche qu’on fait, et pour pouvoir les conserver, y compris si les sources de financement varient. On peut avoir une première ANR, une ERC, ensuite vouloir les payer sur d’autres fonds du labo ou de l’établissement et on ne pouvait pas aller au-delà de 5 ans sinon on avait une CDIsation obligatoire. Et ce côté obligatoire de la CDIsation, avec ce que ça impactait en termes d’absence de recrutement en parallèle de fonctionnaire, bloquait le système. Donc ces CDI de mission scientifique permettent de garder ces gens, de garder ces compétences, de faire en sorte qu’ils puissent être financés sur du long terme, en utilisant différentes sources de financement et différents contrats de recherche. Et pour répondre par anticipation à une question qui revient très régulièrement qui est puisque vous faites des CDI de mission sous plafond, pourquoi vous ne créez pas directement des postes d’ingénieur ou de technicien, la réponse est qu’on ne peut recruter un fonctionnaire d’Etat que sur le financement de subvention pour charge de service public. On ne peut pas les recruter avec d’autres sources de financement. Or l’immense majorité de ces personnes sont payées au travers d’autres sources de financement. Donc pour faire en sorte qu’ils puissent continuer à travailler pour leurs équipes et dans leur établissement on a inventé ce CDI de mission scientifique. Ce sont les deux nouveaux outils, et une fois de plus ce sera aux labos de s’en emparer, en tous cas ils ont été demandés par une partie de la communauté, et donc comme une nécessité de quelque chose de législatif, j’ai utilisé la LPPR qui est une loi budgétaire pour autoriser ces deux nouvelles façons de recruter les gens.

      Ratrick Lemaire (PL)- des participants attentifs ont regardé l’étude d’impact de la loi et qui ont une question à propos de l’évolution du nombre de postes mis au concours, et de l’évolution des départs en retraite. La question est de savoir si finalement il y aura des créations de postes d’enseignants-chercheurs, ou si on se contentera de remplacer les départs en retraite.

      Vidal- Ce que prévoit la LPPR dans sa volumétrie sous plafond Etat c’est qu’on puisse recruter des titulaires, c’est qu’on puisse titulariser les chaires de prof junior et que l’on puisse asseoir les CDI de mission scientifique sur des emplois pérennes. Donc les trois choses sont prévues dans la trajectoire, et j’ajouterais une particularité, c’est que les financements qui vont avec sont prévus. Quand on a vécu la période précédente on s’est rendu compte que, certes, le nombre d’emplois pouvait augmenter, mais en réalité pour supporter les augmentations de masse salariale, alors qu’on avait autorisation de créer des emplois, en réalité en supprimer pour continuer à payer les gens qui étaient là, on avait une véritable érosion de l’emploi scientifique. Là, l’objectif c’est qu’au travers de cette loi on puisse non seulement annoncer des ouvertures de postes, mais aussi les financer.

      RL- Pourquoi faire le choix de renforcer, de manière importante quand même, puisque c’est un milliard de plus à terme qui vont aller au budget de l’ANR, donc de renforcer considérablement la logique des appels à projet plutôt que de renforcer plus directement les crédits récurrents, donc la subvention pour charge de service public qui serait versée directement aux établissement et aux organismes de recherche et qui pourrait irriguer de cette manière directement les laboratoire ?

      Vidal- C’est pas parce qu’on augmente les financements au travers de l’ANR qu’on refuse de soutenir la recherche de base. Je dirai même que la façon dont nous allons le faire, c’est l’inverse. Nous avons une ANR qui aujourd’hui finance environ 16% des projets qui sont déposés, ce qui est infiniment plus faible que toutes les agences nationales de recherche, et donc une revendication depuis longtemps est de dire que tant que l’ANR ne financera pas au moins 25% des projets qui lui sont présentés on aura toujours une part de très bons projets qu’on arrive pas à financer parce que les financements de l’ANR ne sont pas suffisants. Donc nous avons choisi d’avoir pour ambition que 30% des projets déposés à l’ANR soient financés. La 2e chose que nous avons choisi de faire est de faire arriver le plus possible l’argent directement dans les labos. Ça veut dire que quand on aura une équipe qui dans un labo demandera 100 pour faire un projet, l’équipe aura 100 et l’ANR donnera 40 de plus. Une partie de ces 40, c’est normal, ce sera les frais de gestion, ce sera les frais d’hébergement, et actuellement c’est parfois payé sur les budgets des projets eux-mêmes, ce qui déjà pose un problème, ce ne sera plus le cas, ce sera à part. Mais une partie de ces 40 ira aussi au labo auquel l’équipe qui a gagné son ANR appartient. Parce que c’est très important qu’il y ait un soutien à la recherche collective et à la politique scientifique de l’ensemble du labo, pas seulement des équipes qui remportent des ANR dans les labos. Parce que si une équipe remporte une ANR dans un labo, en réalité c’est l’ensemble du labo qui l’a aidée, qui a facilité les choses donc c’est normal qu’il y ait un retour collectif sur le labo qui lui évidemment est totalement libre et qui doit aller à d’autres équipes que celle qui a gagné l’ANR et qui permet de soutenir de l’émergence, des jeunes équipes, des projets dont on a l’impression qu’ils sont très brillants mais qui à leur stade de maturité ne sont pas éligibles sur des financements de type projets de recherche. Et puis une partie ira abonder la politique scientifique au travers des organismes et des universités. Et donc finalement c’est une façon d’utiliser un tuyau qui existe déjà pour amener les financements au plus près et qu’une partie de ces financements aille au labo qui abrite l’équipe et une partie des financements supplémentaire aille à la politique de site et à la politique scientifique des établissements. Pour donner un ordre de grandeur actuellement il y a environ 50 millions d’euros de financements autres que les financements des projets qui sont versés par l’ANR aux établissements. On passera à 450 millions d’euros par an. Donc c’est un investissement massif dans la recherche totalement dicté par les politiques scientifiques des labos et par les politiques de site et d’établissement.

      RL- Une question porte sur le périmètre des mesures qui sont portées par la LPPR : concerne-t-elle les enseignants chercheurs qui relèvent d’autres ministères, par exemple le ministère de l’agriculture ? Est-ce que cette loi est universelle à ce sens-là ?

      Vidal- oui, absolument, c’est la raison pour laquelle nous commençons l’ensemble des consultations qui sont nécessaires et qui concernent tous les ministères. Les processus qui sont prévus, en termes de revalorisation, sont des processus, en termes de financements, qui concernent les EPST comme les EPIC, les écoles comme les universités, et donc nous passons devant les comités techniques et les comités consultatifs de l’ensemble des ministères, c’est 17 instances consultatives qui vont être consultées dans les semaines qui viennent.

      Q- Vous avez évoqué une certaine défiance de la communauté, est-ce que vous pensez que cette loi va créer de la confiance, restaurer de l’enthousiasme, comment vous pensez que cette loi va pouvoir restaurer cette confiance ? On sent quand même qu’il y a des attentes fortes, avec beaucoup de craintes d’être déçus, qu’est-ce que vous pouvez répondre à la communauté sur ce sujet ?

      Vidal- Je connais les attentes, d’autant plus qu’à une autre époque j’ai participé à toutes les consultations qui ont eu lieu. Comme je vous le disais lundi, il y a eu beaucoup de livres blancs, beaucoup de stratégies nationales qui ont été écrites, il y a eu beaucoup de choses, et on attendait toujours l’investissement. Passer de 15Md€ par an à 20Md€ par an pour la recherche en disant injecter 25 Md€ par an pour la recherche, c’est quelque chose qui n’a jamais été fait depuis la fin des années 50. Alors on se focalise sur des points qui ne sont que des outils offerts, si les gens n’en veulent pas ils ne le feront pas, par définition c’est comme ça que ça fonctionne, et donc l’objectif c’est de redonner de la respiration. On n’a pas parlé des autres mesures, de la possibilité d’années sabbatiques, d’avoir des promotions et des avancements de carrière qui soient liés à autre chose que la seule évaluation bibliométrique de la production scientifique, on n’a pas parlé de la capacité à reconnaitre qu’une université c’est un ensemble de personnes qui travaillent à des objectifs majeurs qui sont de produire la connaissance , de diffuser cette connaissance, de prendre soin des étudiants, de regarder comment on peut les insérer professionnellement, de diffuser de la culture scientifique vers l’ensemble de la société, c’est tout ça, une université, et pour que ça fonctionne on a besoin de tout un tas de gens extrêmement différents. Pendant trop longtemps on a fait des choses qui s’imposaient à tous, et qui ne correspondaient pas aux attentes de chacun. On n’a pas aussi évoqué que les financements de l’ANR vont être adaptés en fonction des disciplines, vont porter des choses différentes. On va augmenter aussi les possibilités d’accueil à l’institut universitaire de France. Je crois qu’il faut redonner du temps, redonner des moyens, de la visibilité, c’est comme ça qu’on redonnera de la confiance. Je sais que les attentes sont très fortes, j’espère qu’elles ne seront pas déçues. Je n’ai rencontré personne qui a dit que le système dans lequel nous avons vécu dans l’ESR n’était pas perfectible. J’ai écouté les demandes des uns et des autres, j’ai rajouté les outils nécessaires et surtout j’ai fait en sorte que nous investissions 25 Md€ sur 10 ans. Ce sera à la communauté de faire au mieux avec ces financements supplémentaires. Il y a des choses auxquelles je tiens, qui consistent à revaloriser les salaires, revaloriser les carrières, l’ensemble des missions des personnels de l’ESR, quelle que soit leur catégorie, quelle que soit leur fonction. Le reste, c’est à l’ensemble de la communauté de s’en emparer de façon à ce qu’on puisse continuer à produire ces connaissances qui est essentielle pour notre pays, et essentielle de façon générale.

      Je vais soutenir les établissements qui souhaitent préparer une rentrée dans laquelle les outils numériques auront une place particulière, notamment pour pouvoir accueillir les étudiants internationaux, et pour pouvoir anticiper au cas où nous aurions une 2e vague épidémique au cours de l’hiver, mais qui ont aussi décidé de s’emparer de ce moment pour transformer leur pédagogie et leur façon d’enseigner. Je n’ai en aucun cas exigé ni imposé que la rentrée universitaire se fasse 100% en formation à distance donc je ne sais pas d’où vient cette rumeur. J’aiderai tous les établissements qui souhaitent mettre en place ces formations à distance. Je pense que ceux qui anticipent une rentrée difficile pour les étudiants internationaux, une rentrée qui peut être compliquée par un retour de l’épidémie ont évidemment raison de le faire parce qu’on ne sait pas ce qui nous attend, mais une fois de plus je fais confiance à la communauté des universitaires pour savoir comment préparer au mieux la rentrée. C’est eux qui savent, qui sont sur le terrain, au contact.

      https://academia.hypotheses.org/24568
      #Vidal #France #recherche #financement #MESRI #ESR #enseignement_supérieur #PIA4 #pédagogie #numérique #distanciel

    • « Imaginer une université à distance, c’est renoncer à sa #fonction_sociale »

      Au nom de la commission permanente du Conseil national des universités (#CNU), sa présidente, Sylvie Bauer, demande à la ministre de l’enseignement supérieur et de la recherche, dans une tribune au « Monde », le retour du présentiel à la rentrée de septembre.

      Le Conseil national des universités (CNU) qui représente l’ensemble des enseignants-chercheurs, toutes disciplines confondues, demande, fort de sa représentativité, par la voie de sa Commission permanente, la reprise des cours en présentiel dès la rentrée cet automne.

      L’université est un lieu d’échange. Un cours est une représentation théâtrale : il ne s’agit aucunement de clamer des vérités académiques et scientifiques, ni de lire sans vie un cours. L’universitaire doit séduire et intéresser pour transmettre. Son regard doit détecter l’inattention de son auditoire. Nombre d’étudiants ont la croyance qu’il existe un écran invisible entre l’enseignant et eux. N’en faites pas une réalité qui détruira l’université.

      L’amphithéâtre est un théâtre. Tout cela n’est pas anecdotique : le collectif est l’essence même de l’université. A son détriment parfois, lorsque l’enseignant ressent cette impression désagréable qu’un mur d’étudiants se dresse devant lui en signe de contestation à une décision ou une position. Avec un plaisir incomparable lorsque la fusion prend : le bruit de l’amphithéâtre est un souffle qui rythme nos enseignements.
      Dans l’air du temps

      L’université est d’abord un collectif qui s’incarne dans un lieu, physique. L’étudiant y fait ses premiers vrais choix de formation. L’université tisse les liens entre les étudiants d’aujourd’hui, les professionnels et amis de demain. Rien de tout cela ne surgira d’un auditoire « confiné » totalement ou partiellement.

      Depuis la mi-mars, l’université française suit le rythme de la crise sanitaire mondiale. L’enseignement est devenu à distance et il convient néanmoins « d’assurer la continuité pédagogique ». Au pays des confinés, dans un univers connecté, l’activité universitaire battait son plein. A l’heure du déconfinement, les universités élaborent leur plan de reprise d’activité et personne ne semble s’émouvoir du fait que ceci indique qu’une certaine activité aurait cessé. Mais de quelle activité s’agit-il ?

      Alors que partout l’activité économique et sociale reprend,
      d’aucuns s’interrogent sur la pertinence d’une reprise des cours universitaires en présentiel à l’automne prochain. De réunions Zoom en cours par visioconférences, les enseignants-chercheurs ont poursuivi enseignement et recherche avec l’aide efficace des outils numériques de communication. Faut-il-en déduire que ces pratiques doivent être généralisées ?
      Les amphis doivent-ils être renvoyés à des accessoires désuets appartenant à un siècle antérieur ? A faible taux de carbone et
      parées des vertus de frugalité économique, les rencontres virtuelles sont dans l’air du temps.
      Le distanciel, ce n’est ni le collectif ni l’individuel… C’est la solitude de l’étudiant et de l’enseignant. Pire, nombre de nos étudiants travaillent dans des conditions difficiles. La vie collective est un moyen de les éloigner quelques heures de réalités financières et sociales parfois désastreuses.
      Imaginer une université à distance, c’est renoncer à sa fonction sociale. Çà et là, on voit poindre les défaillances de ce trop bel édifice basé sur le tout à distance.
      Alors qu’on s’émeut de l’accroissement du nombre d’étudiants décrocheurs, que pourra signifier une continuité pédagogique pour des étudiants découvrant l’université ?
      Le temps des études supérieures participe à la consolidation
      du statut de citoyen au sein de nos sociétés complexes. La
      confrontation d’opinions entre condisciples est souvent la base de l’affirmation des personnalités de ces acteurs de la société de demain. La #distanciation_physique est devenue, dans les faits et les discours, une #distanciation_sociale dont on ne peut supporter qu’elle perdure.

      Dialogue direct
      Si les activités de recherche semblent s’accommoder plus que
      d’autres de la distanciation physique, elles sont fondées sur le dialogue et la confrontation. La période que nous traversons sera dommageable : mise en sommeil des expériences, annulations de colloques, reports en cascade de
      congrès internationaux. L’urgence est à la reprise de ces activités d’échanges scientifiques plutôt qu’au développement viral de controverses stériles sur les réseaux sociaux. Alors que les citoyens attendent de la recherche qu’elle propose des réponses adaptées, en particulier en période
      de crise, nous savons que la
      construction de projets de recherche
      collaboratifs nécessite
      des rencontres réelles.
      Le dialogue direct est coextensif
      du développement de l’activité
      de recherche. Il n’est nullement
      question de remettre en cause
      des décisions nécessaires lorsque
      surgit le danger sanitaire. Mais le
      distanciel, sous toutes ses formes,
      doit demeurer l’exception et
      ne peut l’emporter sur le principe
      du présentiel sur le seul fondement
      du risque. Pourquoi le principe de précaution s’appliqueraitil
      plus ici que dans les commerces
      et les transports ?
      Ainsi, de l’activité de chercheur
      à celle d’enseignant, de la construction
      de la connaissance à sa
      transmission, le travail des enseignantschercheurs
      est intrinsèquement
      lié au dialogue direct.
      Les rencontres fortuites, les interpellations
      inattendues ou impromptues,
      la dispute parfois, ne
      sont pas accessoires, elles sont
      l’essence même de l’activité universitaire.
      A l’heure où nous écrivons ces
      lignes, nous prenons connaissance
      du projet de loi de programmation
      pluriannuelle de la
      recherche, dite LPPR, qui, audelà
      des mesures budgétaires, interroge
      les fondements de l’université.
      Ce projet, qui suscite d’ores et
      déjà de vives réactions, rappelle
      néanmoins opportunément la
      fonction essentielle de l’université
      dans le développement et la
      diffusion de la recherche.
      L’activité scientifique est un socle
      évident de notre métier, indissociable
      de l’activité de formation,
      indissociable également de
      la fonction sociale de l’université,
      lieu d’échange ouvert, accessible
      à tous et qui doit le rester.
      Pour que vive l’université, nous serons présents, dès septembre, auprès de nos étudiants et avec nos collègues.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/06/18/imaginer-une-universite-a-distance-c-est-renoncer-a-sa-fonction-sociale_6043

    • Pétition des étudiants des #Pays-Bas contre l’enseignement en ligne :
      Studenten tegen online onderwijs : geef ons de ruimte

      Door het reisverbod voor studenten in de spits maakt de regering onderwijs op locatie onmogelijk. Universiteiten en hogescholen zijn gedwongen om het grootste deel van het onderwijs online te geven. Dit is een enorme achteruitgang. Meer fysiek onderwijs is mogelijk. Geef het onderwijs de ruimte!

      https://petities.nl/petitions/studenten-tegen-online-onderwijs-geef-ons-de-ruimte?locale=nl

  • L’amour (et les femmes) au temps du numérique – Egalitaria
    https://egalitaria.fr/2020/02/06/lamour-et-les-femmes-au-temps-du-numerique

    Une lassitude collective que les Anglo-saxons nomment « dating burnout », et qui survient souvent après de longs mois à écumer les sites de rencontre (ou les bars), entretenir des centaines de conversations virtuelles et multiplier les rendez-vous sans intérêt.

    Après les énièmes profils de l’étudiant à HEC qui n’est pas là pour se prendre la tête, du mec qui pose noyé dans sa bande d’amis (qui est qui ?) ou au bras d’une charmante demoiselle (qu’est-on censée en déduire ?), du cœur tendre posant avec son chat/son neveu/sa guitare en pensant que cela va le transformer en piège à filles, du fuckboy livré avec option fautes d’orthographe et du baroudeur posant négligemment devant le Macchu Pichu (est-ce que tout le monde part en vacances au Pérou désormais ?!), j’ai fini par ressentir cette désagréable sensation qu’on éprouve après avoir trop mangé. Trop de choix, trop de possibilités, et pourtant aucune ne me faisait envie. Pire encore : toutes me repoussaient.

    L’amour reste paradoxalement une valeur sûre, un idéal indétrônable. Pour plus de 50% des Français-e-s entre 15 et 34 ans, les relations amoureuses sont « importantes » (et même « primordiales » pour 25% d’entre eux et elles). Néanmoins, le paradigme amoureux a changé, et la nouvelle norme repose sur un équilibre instable qui peut générer beaucoup d’inconfort.

    (Notamment au niveau des parties génitales : en moins de 4 ans, les infections sexuellement transmissibles ont en effet explosé en France.

    Mais venons-en à la question qui nous intéresse : en quoi ces nouveaux comportements sont-ils particulièrement délétères pour les femmes ?

    Tout d’abord, le modèle standard de relations (amoureuses et/ou sexuelles) sans engagement va à l’encontre de la façon dont les femmes sont socialisées. Celles-ci grandissent en effet – et sont ensuite pressurisées par la société – avec l’idée qu’elles doivent trouver l’amour, le grand chevalier blanc. Elles sont éduquées à surinvestir la sphère amoureuse, leur identité sociale y étant étroitement liée.

    Or, la connexion véritable à laquelle nombre d’entre elles aspirent est peu compatible avec la logique consumériste actuelle.

    Et puisque la sexualité féminine n’a toujours pas fait son entière révolution, les femmes se retrouvent désormais au cœur d’un immense paradoxe. Incitées à laisser libre cours à leurs désirs et à profiter d’une liberté sexuelle censée être à leur avantage, elles sont pourtant punies lorsqu’elles abusent de cette liberté – ou le font sans la discrétion qu’on attend d’elles.

    Soucieuses de ne pas faire peur à leurs prétendants potentiels, elles taisent alors leurs véritables désirs et besoins. Quitte à se retrouver embarquées dans des relations dont elles n’ont pas défini les termes, et qui ne leur conviennent pas.

    Par ailleurs, les relations sans attaches semblent peu propices au plaisir des femmes. Une étude américaine d’envergure a ainsi montré que 55% des hommes avaient reçu du sexe oral lors de leur dernière relation sexuelle (sans engagement), contre seulement 19% des femmes. Et 80% des hommes avaient eu un orgasme lors de leur dernière relation sexuelle, contre 40% des femmes.

    Enfin, on peut déplorer que la liberté sexuelle, qui se targue d’être un vecteur d’émancipation des corps, ait paradoxalement fini par se transformer en une énième injonction – à prendre son pied, à explorer, à s’amuser (selon une conception universelle de l’amusement qui en laisse beaucoup sur le carreau).

    Mais il y a peu de chances que les femmes soient les grandes gagnantes de cette « révolution » sexuelle. Et ce, pour une raison simple : celle-ci a été élaborée selon les termes des hommes, en ne laissant à l’autre moitié de l’humanité pas d’autre choix que de s’y plier. En matière d’amour 2.0, femmes et hommes ne jouent donc pas à jeu égal.

    Excellent texte sur les #femmes, les hommes, la #sexualité et l’#amour.
    #libéralisation_sexuelle

  • Sortie de « B.A.BA du sexe entre meufs et personnes queer »
    https://infokiosques.net/spip.php?article1750

    Un groupe de meufs et personnes queer a bossé sur la traduction depuis l’anglais de Girl Sex 101, d’Allison Moon : un manuel de cul entre meufs (trans comme cis, bien entendu) mais aussi avec et entre personnes queer. Il est publié aux éditions Goater, une petite maison d’édition militante de Rennes. Les pré-commandes sont closes pour le moment, mais vous pouvez quand même trouver pas mal d’infos sur le livre sur la page de la cagnotte. Le livre est en vente auprès des éditions Goater à Rennes à 16 (...) #ailleurs

    https://www.kengo.bzh/projet/2341/baba-du-sexe-entre-meufs-et-personnes-queer
    https://www.calameo.com/read/00525597391a9f29d2a4a

  • #Déplacer_les_montagnes

    Dans nos montagnes, là où nous avons choisi de vivre, nous voyions des espaces de liberté, des cols, des passages et des invitations au voyage. Nous avons vu une frontière se dessiner, de la #violence contre les personnes exilées, des drames et des élans de solidarité. Nous avons vu des portes s’ouvrir, des liens se nouer à la croisée de ces chemins d’#exil et d’#hospitalité. Nous avons eu envie de faire raconter cette aventure par ceux qui arrivent et celles et ceux qui accueillent. Parce que cette histoire de rencontres dit quelque chose de nous et du monde dans lequel nous vivons. Anne, Yves, Fanfan, Max et Alia habitent les vallées du Briançonnais. Les chemins de l’exil ont conduit Ossoul, Abdallah, Ali et Boubacar dans ces montagnes frontière et #refuge. Comment se rencontrent-ils ? Quels sont leurs rêves, leurs colères et leurs espoirs ? Comment tentent-ils de déplacer des montagnes ? Dans leurs récits et dans les moments de fraternité qu’ils partagent, s’esquissent des réponses et d’autres interrogations...

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/56196_1
    #film #documentaire #film_documentaire #montagne #asile #migrations #réfugiés #Briançon #Hautes-Alpes #Briançonnais #France #frontières #frontière_sud-alpine #accueil #solidarité #rencontres #Lætitia_Cuvelier #Isabelle_Mahenc #rencontre #maraude #maraudeurs

  • Souvenirs, souvenirs
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#venise

    En 1984, une rencontre internationale anarchiste, rassemblant plusieurs milliers de personnes venues de plus de trente pays, s’est tenue à Venise du 25 au 30 septembre. Un site rend hommage à cet événement et dresse une sorte de bilan, avec les différentes interventions (dans leurs langues d’origine), des photographies, des récits, des articles de presse, des entretiens avec des participant·e·s trente-six ans plus tard (...)

    #anarchisme #venise #rencontre-internationale

  • #The_island_of_all_together

    Chaque été, des nombreux touristes européens se rendent à l’île grecque de Lesbos pour des vacances ensoleillées. Cette année, des milliers de réfugiés ont traversés la mer à partir de la Turquie et arrivés aussi sur l’île, à la recherche d’une forteresse securisee dans l’Union européenne. Réalisateur #Philip_Brink et #Marieke_van_der_Velden ont invités les touristes et les réfugiés à parler les uns avec les autres sur la vie alors qu’ils était assis sur un petit banc ayant vue sur la mer. Le résultat est un court documentaire avec des conversations de la guerre, la fuite, la maison, le travail, l’amour, mais aussi des voitures et des animaux. C’est une ode à l’humanisme et montrer ce qui se passe quand nous prenons le temps de nous asseoir et parler les uns avec les autres au lieu de parler sur les uns des autres (23 minutes).


    http://www.theislandofalltogether.com
    #film #film_documentaire #Lesbos #tourisme #rencontre #dialogue #réfugiés #réfugiés_syriens #asile #migrations #réfugiés #Grèce

    –---

    ça rappelle cette autre vidéo, très émouvante :
    Look Beyond Borders - 4 minutes experiment
    https://seenthis.net/messages/619838

    ping @isskein @karine4 @reka

  • Toutes les couleurs de la Terre - Ces liens qui peuvent sauver le monde

    Et si tout n’était qu’une question de liens ? C’est l’hypothèse de laquelle sont partis #Damien_Deville et #Pierre_Spielewoy pour élaborer le cheminement théorique et politique de l’#écologie_relationnelle. Fils de la fin du XXe siècle, les auteurs font partie de cette génération qui a vécu à la fois la diversité du monde et sa #destruction précipitée. S’ils formulent une puissante critique de l’#uniformisation des territoires et des #paysages actuellement à l’œuvre, c’est pour mieux dynamiter les barrières qui nous empêchent de penser pour et par la #diversité, et nous inciter à redécouvrir la #complexité du vivant, des individus et des cultures, ferment d’une société empreinte de #justice et riche de #rencontres. En renouvelant notre façon d’#habiter_la_Terre et en définissant avec justesse la place de l’humanité dans la grande fresque du vivant, l’écologie relationnelle devient une ode à la #pluralité et à la #solidarité. Elle est le point de départ d’un projet politique qui porte avec fierté des #métissages_territoriaux par-delà les individus et par-delà l’Occident.


    https://www.lisez.com/livre-grand-format/toutes-les-couleurs-de-la-terre-ces-liens-qui-peuvent-sauver-le-monde/9791030103038
    #livre #liens #relations #écologie #géographie_culturelle

    #faire_monde

    ping @karine4 @cede

  • Paroles des femmes zapatistes lors de la clôture
    de la Deuxième Rencontre internationale des femmes qui luttent

    EZLN

    https://lavoiedujaguar.net/Paroles-des-femmes-zapatistes-lors-de-la-cloture-de-la-Deuxieme-Renc

    Compañeras et sœurs,

    Nous tenons à dire et à formuler quelques mots en cette clôture de la Deuxième Rencontre internationale de femmes qui luttent. Nous avons déjà entendu la parole des tables de travail et leurs propositions et d’autres propositions qui sont faites.

    Ces propositions et d’autres qui sortiront quand vous serez dans vos géographies, que vous y penserez et réfléchirez dans votre cœur ce que nous avons vu ici et écouté ces jours-ci, nous veillerons à ce que toutes celles qui y ont assisté, et surtout celles qui n’ont pas pu venir, puissent en prendre connaissance, donner leur opinion et avoir leur mot à dire.

    Nous pensons que c’est important parce que, si nous ne nous écoutons pas nous-mêmes en tant que femmes que nous sommes, ça ne sert à rien de le faire, parce que ça veut dire que nous ne sommes pas des femmes qui se battent pour toutes les femmes mais seulement pour notre propre idée ou pour notre groupe ou pour notre organisation. (...)

    #EZLN #femmes #zapatistes #rencontre_internationale #féminicide #propositions #engagement #autodéfense #solidarité

  • Paroles des femmes zapatistes lors de l’inauguration
    de la Deuxième Rencontre internationale de femmes qui luttent

    EZLN

    https://lavoiedujaguar.net/Paroles-des-femmes-zapatistes-lors-de-l-inauguration-de-la-Deuxieme-

    Compañera et sœur,

    Nous sommes très contentes que tu aies pu arriver jusqu’à nos montagnes et, si tu n’as pas pu venir, nous te saluons aussi parce que tu es attentive à ce qui se passera ici lors de cette Deuxième Rencontre internationale de femmes qui luttent.

    Nous savons bien que tu as souffert pour arriver jusqu’ici. Nous savons que tu as dû laisser ta famille et tes amis. Nous savons bien quel effort et quel travail tu as dû faire pour pouvoir te payer le voyage et venir de ta géographie jusqu’à la nôtre.

    Mais nous savons bien aussi que ton cœur est content car ici tu vas rencontrer d’autres femmes qui luttent.
    Peut-être que soudain cela t’aidera dans ta lutte d’écouter et de connaître d’autres luttes menées en tant que femmes que nous sommes.
    Que nous soyons en accord ou pas avec d’autres luttes et leurs manières et leurs géographies, à toutes, cela nous sert d’écouter et d’apprendre.
    C’est pour cela qu’il ne s’agit pas d’entrer en compétition pour voir quelle est la meilleure lutte ; l’idée, c’est de partager et de partager avec nous.
    C’est pour cette raison que nous te demandons de toujours respecter les différentes pensées et les différentes manières. (...)

    #zapatistes #femmes #lutte #EZLN #rencontre_internationale #bienvenue #différences #assassinats #patriarcat #capitalisme #guerre #autodéfense #solidarité #colère

  • Des millions de personnes pratiquent l’amour via Internet. Les chemins pour rencontrer l’amour en ligne sont multiples et pavés de surprises, bonnes et mauvaises #Amour, #numérique, #internet, #rencontres https://sms.hypotheses.org/12917

    La France compte 15 millions de célibataires, dont la moitié fréquente plus ou moins régulièrement un site de rencontres. Ainsi, quotidiennement, s’organisent sur Internet des dizaines de milliers de rencontres, qui vont durer quelques heures ou quelques jours, et parfois devenir de vraies relations.

    Ce phénomène de société intéresse les sciences humaines et sociales. Pascal Lardellier, professeur de sciences de l’information et de la communication à l’Université de Bourgogne, a mené une recherche socio-historique sur ce qu’il nomme le « Net sentimental », dans son article « À corps joie, à cœur perdu », publié dans la Revue des Sciences Sociales. Il interroge différentes dimensions de l’amour en ligne : pourquoi des millions d’hommes et de femmes privilégient-elles par rapport au contact humain ces moyens pourtant lourds et aléatoires pour se rencontrer ? Quelles nouvelles formes de séduction ces pratiques impliquent-elles ? Comment les émotions naissent-elles par-delà l’absence physique de l’autre, doublée de la présence massive des autres ?

  • Migrants gather at US-Mexico border for Christmas party

    A traditional Mexican “#posada” or holiday party has been held at the US-Mexico border wall. Some families separated by the border hoped they would see relatives but US authorities would not allow people on the US side to approach the border wall.


    https://www.sbs.com.au/news/migrants-gather-at-us-mexico-border-for-christmas-party
    #frontières #murs #USA #Etats-Unis #Mexique #Noël #rencontre #migrations

  • On me murmure à l’Oreillette
    https://www.nova-cinema.org/prog/2019/175-decembre/ear-you-are/article/on-me-murmure-a-l-oreillette

    FR ,90’

    Un son vaut mille mots. Et pourquoi pas mille mots pour dévoiler un son ? Tour à tour au micro, des créateur.rice.s à l’ouïe fine vous raconteront l’histoire d’une bribe sonore. Ou comment une captation à la dérobée, un morceau de montage non finalisé, un entremêlement acoustique improvisé... a subrepticement bouleversé leurs oreilles à tout jamais !

    vendredi 6 décembre 2019 à 19h

    #Rencontre_discussion

  • Attribution des terres de la ZAD de NDDL - Notre Dame des Landes
    https://www.passerelleco.info/article.php?id_article=2297

    Appel à une nouvelle mobilisation le 26 octobre L’enjeu de ce rassemblement pour le mouvement, c’est que les terres préservées du bétonnage par la lutte n’aillent pas à l’agrandissement des exploitations existantes mais à de nouvelles installations porteuse d’une agriculture bio, locale, collective et respectueuse du bocage. Nous portons deux revendications simples : l’attribution des autorisations d’exploiter à l’ensemble des installations issues du mouvement qui en faisaient la demande aujourd’hui. (...)

    #ZAD #NDDL #paysannerie #SAFER #AGRICULTURE #BIO #RELOCALISATION #LUTTE #RENDEZVOUS #RENCONTRE #MANIFESTATION

  • L’autonomie zapatiste avance et nous interpelle

    Jérôme Baschet

    https://lavoiedujaguar.net/L-autonomie-zapatiste-avance-et-nous-interpelle

    Au Chiapas, le mois d’août a apporté une nouvelle réjouissante qui devrait susciter l’intérêt de toutes celles et ceux qu’atterrent l’emballement productiviste et sa spirale destructrice. Dans un contexte pourtant difficile, marqué par la nécessité de défendre leurs territoires face aux mégaprojets très offensifs du nouveau gouvernement mexicain, les zapatistes ont annoncé d’importantes avancées dans la construction de leurs instances d’autogouvernement, ainsi qu’une nouvelle phase d’échanges et d’interactions avec d’autres luttes, au Mexique et ailleurs.

    Quatre nouvelles communes autonomes viennent s’ajouter aux vingt-sept qui existaient depuis 1994 et sept nouveaux caracoles, avec leurs « conseils de bon gouvernement » respectifs, s’ajoutent aux cinq déjà créés en 2003. Tout en invitant à participer à la construction de ces nouveaux caracoles (selon des modalités qui seront précisés ultérieurement), le même communiqué, signé par le sous-commandant Moisés, porte-parole de l’EZLN, annonce une impressionnante salve de rencontres, nationales et internationales (...)

    #Mexique #Chiapas #EZLN #zapatistes #autonomie #autogouvernement #peuples_originaires #avancées #rencontres #territoires #femmes #arts #sciences #cinéma #Samir_Flores #López_Obrador #gilets_jaunes