• [Exclusif] À Brest, le sous-préfet sucre la subvention d’une télé associative au nom de la loi séparatisme - Splann ! | ONG d’enquêtes journalistiques en Bretagne
    https://splann.org/brest-prefet-subvention-association-loi-separatisme

    Non-respect du contrat d’engagement républicain. C’est la justification, inédite en Bretagne, apportée par le sous-préfet de Brest au retrait d’une subvention à la télé associative Canal Ti Zef. Le média y voit une sanction politique liée à son implication auprès de l’Avenir, un squat culturel rasé sous escorte policière durant l’été 2023. Cette piste est d’autant plus sérieuse que trois autres associations ayant soutenu ou relayé cette lutte viennent également de perdre un financement de l’État.

  • I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

    #Maroc #migrations #criminalisation_de_la_migration #justice (well...) #procès #dissuasion #Melilla #24_juin_2022 #trafiquants_d'êtres_humains #répression #répression_judiciaire #externalisation

  • Qui est Myriam Lebkiri, dirigeante de la CGT, convoquée le 8 décembre par la gendarmerie ?
    https://www.humanite.fr/social-et-economie/cgt/qui-est-myriam-lebkiri-dirigeante-de-la-cgt-convoquee-le-8-decembre-par-la-

    La secrétaire confédérale cégétiste est entendue ce vendredi par la gendarmerie, après des actions contre la réforme des retraites.

    À 39 ans, Myriam Lebkiri n’imaginait pas devoir répondre de son engagement syndical devant les gendarmes. Pas plus que de recevoir, en main propre, sa convocation, un mercredi soir à 20 heures, devant ses enfants. Ce vendredi 8 décembre, la secrétaire confédérale de la #CGT sera pourtant entendue par la brigade de recherche de Pontoise (Val-d’Oise) pour « dégradation ou détérioration légère d’un bien par inscription, signe ou dessin ». Assise dans son bureau au siège de la confédération, à Montreuil, elle rétorque : « Concrètement, on me reproche d’avoir collé des affiches durant le mouvement contre la #réforme_des_retraites. »

    À la différence de Sébastien Menesplier, un autre secrétaire confédéral entendu en septembre, Myriam Lebkiri n’est pas convoquée pour ses responsabilités syndicales, mais bien comme une personne physique. Elle sera aussi entendue pour « menace, violence ou acte d’intimidation envers un élu public pour qu’il accomplisse ou s’abstienne d’acte de son mandat ». Durant le mouvement, les cégétistes avaient multiplié les interpellations de députés pour les convaincre de ne pas voter cette réforme injuste et rejetée par plus de 90 % des actifs.

    #répression_antisyndicale

    • Répression antisyndicale : « Il y a de façon quasi systématique des poursuites et des convocations des dirigeants »

      https://www.liberation.fr/economie/social/repression-antisyndicale-il-y-a-de-facon-quasi-systematique-des-poursuite

      Plusieurs responsables de la CGT s’inquiètent d’un ciblage des syndicats par le gouvernement dans le sillage de la réforme des retraites. Un rassemblement est prévu ce vendredi 8 décembre à Pontoise pour soutenir deux représentants locaux convoqués par les gendarmes.

      Sophie Binet dénonce un « contexte de répression antisyndicale inédit depuis l’après-guerre ». Dans une lettre envoyée mardi 5 décembre à Elisabeth Borne et consultée par Libération, la secrétaire générale de la CGT s’inquiète et s’insurge contre une « réelle volonté politique de porter atteinte à l’action » des syndicats de travailleurs, au premier rang desquels la centrale qu’elle dirige. Dans son courrier, la numéro 1 de la CGT indique que plus de 1 000 militants de son organisation sont aujourd’hui poursuivis devant les tribunaux pour des faits relevant d’actions syndicales, notamment pendant la mobilisation du premier semestre 2023 contre la réforme des retraites. Réclamant une « loi d’amnistie », Sophie Binet dénonce une « judiciarisation des conflits sociaux » et « une grave dérive qui fait peser sur des individus la responsabilité d’actions qui ont été décidées collectivement ».

      Dans ce contexte, deux dirigeants de la CGT du Val-d’Oise, Myriam Lebkiri (par ailleurs membre du bureau confédéral de la CGT, la direction nationale) et Marc Roudet, sont convoqués vendredi matin en audition libre à la gendarmerie de Pontoise, devant laquelle un rassemblement de soutien est organisé. « On me reproche deux choses : détérioration légère et menaces envers un élu, liste Myriam Lebkiri. Mais je ne sais pas à quelle occasion précise, ni de quels faits exacts il s’agit. Par contre, ce que je sais, c’est que c’est dans le cadre de revendications contre la réforme des retraites. »

      Chargée de l’égalité femmes-hommes au sein du syndicat, elle constate une « montée en puissance », ces dernières années, des procédures et des convocations dirigées contre les leaders de la centrale de Montreuil. L’augmentation serait même « exponentielle » depuis le début de l’année. Myriam Lebkiri prend pour exemple la convocation à la gendarmerie de son collègue au bureau confédéral, Sébastien Menesplier, également numéro 1 de la très active Fédération des mines et de l’énergie, le 6 septembre. Deux membres de la direction de la CGT convoqués coup sur coup, « c’est du jamais vu », selon elle.

      Prélèvement ADN

      A la tête de l’union départementale de l’Allier et également membre de la direction confédérale, Laurent Indrusiak situe le « changement de doctrine » à 2016, avec la loi El Khomri du gouvernement Valls. D’après lui, ce tournant a pris de l’ampleur l’année suivante avec les ordonnances travail de septembre 2017 : « A ce moment-là, on a senti qu’il y avait de façon quasi systématique des poursuites et des convocations des dirigeants, dès qu’une action était menée. »

      A titre personnel, « tableau Excel » à l’appui, Laurent Indrusiak a recensé « 28 convocations » le visant nommément. Ce qui fait probablement de lui le syndicaliste français le plus sollicité par la police et la justice ces dernières années. Les prétextes varient d’un jour à l’autre : « Diffamation, entrave à la liberté de circulation [lors de blocages, ndlr], entrave à la liberté du travail, vitesse insuffisante [après une opération escargot], agression sonore ou encore manifestation non-déclarée. » Ce dernier motif, lui a par exemple été signifié après une manifestation à Montluçon (Allier) dans le cadre de la réforme des retraites. Ce jour-là, le cortège s’était scindé en deux et une partie de la foule n’avait pas suivi l’itinéraire prévu : « J’ai dû expliquer à la police que je n’avais pas le pouvoir de commander un cortège de 6 000 personnes », s’amuse-t-il à moitié. Une autre fois, il a été poursuivi pour dégradation de mobilier urbain. La raison ? « Des autocollants de la CGT collés sur des horodateurs. »

      Dernièrement, à l’issue d’une audition, on lui a aussi demandé de soumettre à un prélèvement ADN. « J’ai refusé car j’estime qu’un syndicaliste n’a pas à être fiché comme un criminel. Pour ça, je fais à nouveau l’objet de poursuites. Au moment où je vous parle, j’ai six affaires me concernant en cours d’instruction. » Par le passé, il a été condamné en appel pour manifestation non déclarée et destruction de mobilier urbain (« un feu de palettes et de pneus sur un rond-point ») à 10 000 euros d’amende avec sursis et 16 000 euros de dommages et intérêts au civil.

      « Le gouvernement s’est senti vaciller »

      Au-delà de ce cas extrême, les militants de la CGT ont le sentiment d’être délibérément ciblés par les autorités. A l’issue d’actions ou de manifestations organisées pendant la bataille contre la réforme des retraites, beaucoup de meneurs cégétistes disent avoir été les seuls représentants syndicaux convoqués ou poursuivis. Pourtant, la plupart des actions menées à cette période ont été décidées par l’intersyndicale formée pour l’occasion avec la CFDT, FO, SUD… C’est par exemple le cas en Haute-Vienne, où Arnaud Raffier, secrétaire de l’union locale, rapporte avoir été le seul syndicaliste convoqué après une coupure de courant ayant visé la caisse d’assurance retraite de Limoges : « Les autres meneurs présents devant le bâtiment n’ont pas été inquiétés. »

      Pourquoi s’en prendre uniquement à la CGT ? Laurent Indrusiak a sa petite idée : « Malgré nos difficultés, on reste l’organisation capable de mobiliser le plus de monde dans l’action. C’est ce qui inquiète le gouvernement. » Sollicité à ce sujet par Libération, le ministère de l’Intérieur n’a pas répondu à nos questions. A ce jour, la lettre de Sophie Binet n’a pas non plus reçu de réponse de la part de la Première ministre. « Très en colère » à l’approche de son entrevue avec les gendarmes, Myriam Lebkiri estime, elle, que cette stratégie de « répression syndicale est à la hauteur de la peur qui a frappé le gouvernement » lors de ce dernier mouvement social. Pour elle, pas de doute, « il s’est senti vaciller et nous fait aujourd’hui payer l’addition ».

  • On sait mieux où va la France - Jean-François Bayart, Le Temps
    https://www.letemps.ch/opinions/on-sait-mieux-ou-va-la-france

    Reprenons les faits. La France brûle. Pour un homme qui se faisait fort de l’apaiser et clignait de l’œil à la #banlieue lors de sa première campagne électorale, le constat est amer. Il vient après le mouvement des Gilets jaunes et une succession de mouvements sociaux de grande intensité. Tout cela était prévisible et fut prévu, comme était attendu l’embrasement des #quartiers_populaires, tant était connue la colère sociale qui y couvait. Tellement redouté, même, qu’Emmanuel Macron, Elisabeth Borne et Gérald Darmanin ont immédiatement compris la gravité et le caractère inacceptable de l’#exécution_extra-judiciaire de Nahel – le mot est fort, j’en conviens, mais de quoi s’agit-il d’autre au vu de la vidéo ?
    Les paroles d’apaisement furent vaines. Car la mort de Nahel, loin d’être une simple bavure, était programmée. Elle est la conséquence mécanique de la démission du pouvoir politique, depuis trente ans, sous la pression corporatiste de la #police qui n’a cessé de s’affranchir des règles de l’Etat de droit bien que lui ait été concédée, de gouvernement en gouvernement, une kyrielle de lois liberticides, jamais suffisantes, sous couvert de lutte contre le terrorisme, l’immigration et la délinquance. Jusqu’à la réécriture de l’article 435-1 du Code de la sécurité intérieure, en 2017, qui assouplit les conditions d’emploi des armes à feu par les forces de l’ordre. Annoncé, le résultat ne se fit pas attendre. Le nombre des tués par la police a doublé depuis 2020 par rapport aux années 2010. Le plus souvent pour « refus d’obtempérer à un ordre d’arrêt » :5 fois plus de tirs mortels dans ces circonstances. Nahel est mort de cette modification du Code de la sécurité intérieure.
    Et l’avocat du policier meurtrier de justifier son client : Nahel n’obtempérait pas et il n’y avait pas d’autre moyen de l’arrêter que de tirer. A-t-on besoin d’un avocat pour entendre une insanité pareille alors qu’il suffit de tirer dans les roues ? On se croirait à Moscou ou Minsk, où des hommes politiques promettent à Prigojine une « balle dans la tête ». Aux yeux de certains, le refus d’obtempérer semble désormais passible de la peine de mort. Une grammaire s’installe, qui brutalise les rapports sociaux, et dont on voudrait faire porter la responsabilité à l’« ultragauche », aux « éco-terroristes », à La France insoumise, alors qu’elle émane d’abord de certains médias et des pouvoirs publics, sous influence de l’extrême droite.

    Nils Wilcke @paul_denton
    https://twitter.com/paul_denton/status/1675117088661286915

    Macron n’a pas activé l’état d’urgence suite aux violences après la mort de Nahel : « En réalité, l’exécutif a à sa disposition un tel arsenal de lois répressif depuis 2015 qu’il n’est presque plus nécessaire d’y avoir recours », observe un conseiller. Vu comme ça... #Off

    #Nahel #racisme #révolte #émeutes #média #extrême_droite

    • Le texte complet:

      Où va la France ? demandai-je le 8 mai, dans Le Temps. Aujourd’hui, on le sait mieux. Vers l’#explosion_sociale, vers son inévitable #répression_policière puisque la fermeture des canaux démocratiques contraint la #protestation à la #violence_émeutière, et vers l’instauration d’un régime paresseusement qualifié d’« illibéral » (c’est le sociologue du politique qui écrit, peu convaincu par cette notion valise qui pourtant fait florès).

      Reprenons les faits. La France brûle. Pour un homme qui se faisait fort de l’apaiser et clignait de l’œil à la #banlieue lors de sa première campagne électorale, le constat est amer. Il vient après le mouvement des Gilets jaunes et une succession de mouvements sociaux de grande intensité. Tout cela était prévisible et fut prévu, comme était attendu l’#embrasement des #quartiers_populaires, tant était connue la #colère_sociale qui y couvait. Tellement redouté, même, qu’Emmanuel Macron, Elisabeth Borne et Gérald Darmanin ont immédiatement compris la gravité et le caractère inacceptable de l’#exécution_extra-judiciaire de #Nahel – le mot est fort, j’en conviens, mais de quoi s’agit-il d’autre au vu de la vidéo ?

      Les paroles d’#apaisement furent vaines. Car la mort de Nahel, loin d’être une simple #bavure, était programmée. Elle est la conséquence mécanique de la #démission du #pouvoir_politique, depuis trente ans, sous la pression corporatiste de la #police qui n’a cessé de s’affranchir des règles de l’#Etat_de_droit bien que lui ait été concédée, de gouvernement en gouvernement, une kyrielle de lois liberticides, jamais suffisantes, sous couvert de lutte contre le #terrorisme, l’#immigration et la #délinquance. Jusqu’à la réécriture de l’article #435-1 du #Code_de_la_sécurité_intérieure, en 2017, qui assouplit les conditions d’emploi des #armes_à_feu par les #forces_de_l’ordre. Annoncé, le résultat ne se fit pas attendre. Le nombre des tués par la police a doublé depuis 2020 par rapport aux années 2010. Le plus souvent pour « refus d’obtempérer à un ordre d’arrêt » :5 fois plus de tirs mortels dans ces circonstances. Nahel est mort de cette modification du Code de la sécurité intérieure.

      Et l’avocat du policier meurtrier de justifier son client : Nahel n’obtempérait pas et il n’y avait pas d’autre moyen de l’arrêter que de tirer. A-t-on besoin d’un avocat pour entendre une insanité pareille alors qu’il suffit de tirer dans les roues ? On se croirait à Moscou ou Minsk, où des hommes politiques promettent à Prigojine une « balle dans la tête ». Aux yeux de certains, le #refus_d’obtempérer semble désormais passible de la #peine_de_mort. Une grammaire s’installe, qui brutalise les #rapports_sociaux, et dont on voudrait faire porter la #responsabilité à l’« #ultragauche », aux « #éco-terroristes », à La France insoumise, alors qu’elle émane d’abord de certains médias et des pouvoirs publics, sous influence de l’extrême droite.

      Une #violence_policière qui est aussi le prix du retrait de l’Etat

      Comme l’ont démontré depuis des années nombre de chercheurs,la violence policière est devenue la règle dans les « quartiers », et le refus des autorités politiques de prononcer ce vilain mot aggrave le #sentiment_d’injustice. Mais la vérité oblige à dire que ladite violence policière est aussi le prix du retrait de l’Etat qui a asphyxié financièrement le tissu associatif de proximité et démantelé les #services_publics en confiant à ses flics une mission impossible : celle de maintenir la #paix_sociale dans un Etat d’#injustice_sociale, prompt à l’#injure_publique à l’encontre de la « #racaille ». Tout cela sur fond de dénonciation hystérique du « #wokisme » et de vociférations sur les chaînes d’information continue des syndicats de police, dont les membres sont de plus en plus nombreux à porter sur leur uniforme la #Thin_Blue_Line prisée de l’extrême droite suprémaciste américaine.

      Bien sûr, l’Etat ne peut laisser sans réagir la banlieue s’embraser. L’ « #ordre_républicain » est en marche, avec son lot d’#arrestations, de #blessés, peut-être au prix de l’#état_d’urgence ou d’un #couvre-feu national, « quoi qu’il en coûte », à un an des #Jeux_Olympiques. Le #piège s’est refermé. Quel « #Grand_débat_national » (ou banlieusard) le magicien Macron va-t-il sortir de son chapeau pendant que les chats de Marine Le Pen se pourlèchent les babines ?

      Certains lecteurs de ma tribune « Où va la France ? » se sont offusqués de la comparaison que j’établissais entre Macron et Orban, voire Poutine ou Erdogan. C’était mal me comprendre. Il ne s’agissait pas d’une question de personnes, bien que les qualités ou les faiblesses d’un homme puissent avoir leur importance. Il s’agit d’une logique de situation, qui me faisait écrire que la France « bascule ». Or, depuis la parution de cette tribune, les signes d’un tel basculement se sont accumulés. Que l’on en juge, en vrac.

      Pour reconquérir l’opinion le président de la République, fébrile, sans jamais se départir de sa condescendance à l’égard de « Jojo » – c’est ainsi qu’il nomme dans l’intimité le Français moyen – ce « Gaulois réfractaire » : « Mon peuple », disait-il en 2017, en monarque frustré – sillonne le pays, court-circuite le gouvernement et multiplie les effets d’annonce, au point que Le Monde titre : « Emmanuel Macron, ministre de tout ». On pourrait ajouter : « et maire de Marseille ».

      #Anticor mis à l’index, dissolution des #Soulèvements_de_la_Terre

      La justice refuse à l’association Anticor (lire « anticorruption »), à l’origine de la plainte qui a conduit à la mise en examen du secrétaire général de l’Elysée, le renouvellement de son « agrément », lequel lui permet de se porter partie civile devant les tribunaux. Cela sent un peu les eaux troubles du Danube, non ?

      Le mouvement des Soulèvements de la Terre a été dissous sous la pression de la #FNSEA, le grand syndicat de l’agro-industrie dont les militants ou les responsables multiplient les menaces et les violences contre les écologistes, en toute impunité, quitte à faire oublier que dans l’histoire il a à son actif nombre d’assauts contre des préfectures. Le décret de dissolution justifie notamment la mesure par le fait que les militants des Soulèvements de la Terre lisent l’essai d’Andreas Malm Comment saboter un pipeline et mettent en mode avion leur téléphone portable quand ils vont manifester. Olivier Véran, le porte-parole du gouvernement, va jusqu’à les accuser d’intentions homicides à l’encontre des forces de l’ordre, contre toute évidence. Orwell n’est pas loin.

      #Vincent_Bolloré, le grand argentier de la révolution conservatrice en France, fait nommer un journaliste d’extrême droite, un ami d’#Eric_Zemmour, comme rédacteur en chef du Journal du Dimanche,l’un des principaux hebdomadaires du pays. Le piquant de la chose est que ledit journaliste s’était fait congédier par un autre hebdomadaire, d’extrême droite celui-ci, Valeurs actuelles, qui lui reprochait sa radicalité.

      #Laurent_Wauquiez, président de la méga région Auvergne-Rhône-Alpes, prive de subvention un théâtre dont le directeur avait osé critiquer sa politique.

      La Commission nationale de contrôle des techniques de renseignement s’alarme de la hausse des requêtes des services secrets en matière de surveillance du militantisme politique et social.

      #Richard_Ferrand, ancien président de l’Assemblée nationale, l’un des plus proches conseillers d’Emmanuel Macron, lâche un ballon d’essai sur la possibilité d’une révision constitutionnelle qui autoriserait à celui-ci un troisième mandat, pendant que d’autres préparent une candidature de Jean Castex-Medvedev. Sommes-nous à Dakar ou à Moscou ?

      Tout cela en deux petits mois. Oui, la France bascule. Nul doute que l’explosion sociale dans les banlieues accélérera le mouvement. Mais peut-être faut-il rappeler la définition du « #point_de_bascule » que donnent les experts du GIEC : le « degré de changement des propriétés d’un système au-delà duquel le système en question se réorganise, souvent de façon abrupte, et ne retrouve pas son état initial même si les facteurs du changement sont éliminés ».

      Le #climat_politique en France en est bien là, et Macron, qui dans son #immaturité se voulait « maître des horloges » et se piquait de séduire la banlieue par diaspora africaine interposée, n’est que le fondé de pouvoir d’une situation qui échappe à son entendement, mais qu’il a contribué à créer. Comme, par ailleurs, les droites de gouvernement, à l’échelle européenne, de l’Italie à la Suède et à la Finlande, se compromettent de plus en plus avec l’extrême droite, la comparaison que certains m’ont reprochée est hélas politiquement pertinente, et même nécessaire.

      #basculement

    • même à BFM, on s’interroge sur les racines du problème

      mais soyons en certains, "Il n’y a pas de racisme dans la police", Nunez, préfet de Paris.

      l’avocat du flic assassin de Nahel, n’est pas sur la même longues d’onde :_"J’ai un client qui a eu des idées suicidaires parce qu’on parle de son métier. Il est triste parce qu’on parle en mal de son métier. lui il est persuadé de faire le bien. Et son ministre lui a enfoncé la tête Je lui dis ’Changez-de travail’. Il me dit ’Mais je veux être policier ! Je veux interpeller des gens ! Je veux pouvoir les étrangler quand ils luttent !’. Évidemment qu’il y a du racisme dans la police. Et d’ailleurs être raciste c’est autorisé par la loi, ce qui est interdit c’est les manifestations d’opinions racistes", Laurent-Franck Lienard

  • Mort de #Nahel : « Ils sont rattrapés par le réel »

    #Ali_Rabeh, maire de #Trappes, et #Amal_Bentounsi, fondatrice du collectif Urgence, notre police assassine, reviennent dans « À l’air libre » sur la mort de Nahel, 17 ans, tué par un policier à Nanterre, et les révoltes qui ont suivi dans de nombreuses villes de France.

    https://www.youtube.com/watch?v=euw03owAwU8&embeds_widget_referrer=https%3A%2F%2Fwww.mediapart.fr%2

    https://www.mediapart.fr/journal/france/290623/mort-de-nahel-ils-sont-rattrapes-par-le-reel
    #violences_policières #banlieues #quartiers_populaires #naïveté

    • « #Emmanuel_Macron ne comprend rien aux banlieues »

      Ali Rabeh, maire de Trappes (Yvelines), a participé à l’Élysée à la rencontre entre le chef de l’État et quelque 200 maires, le 4 juillet, pour évoquer la révolte des quartiers populaires. Il dénonce sans langue de bois l’incapacité du Président à comprendre ce qui se joue dans les banlieues et son manque de perspectives pour l’avenir.

      Vous avez été reçu mardi 4 juillet à l’Élysée par le président de la République avec des dizaines d’autres maires. Comment ça s’est passé ?

      Ali Rabeh : Le Président a fait une introduction très courte pour mettre en scène sa volonté de nous écouter, de nous câliner à court terme, en nous disant à quel point on était formidable. Puis ça a viré à la #thérapie_de_groupe. On se serait cru aux #alcooliques_anonymes. Tout le monde était là à demander son petit bout de subvention, à se plaindre de la suppression de la taxe d’habitation, de la taille des LBD pour la police municipale ou de l’absence du droit de fouiller les coffres de voiture… Chacun a vidé son sac mais, à part ça et nous proposer l’accélération de la prise en charge par les #assurances, c’est le néant. La question primordiale pour moi n’est pas de savoir si on va pouvoir réinstaller des caméras de surveillances en urgence, ou comment réparer quelques mètres de voiries ou des bâtiments incendiés. Si c’est cela, on prend rendez-vous avec le cabinet du ministre de la Ville ou celui des Collectivités territoriales. Mais ce n’est pas du niveau présidentiel.

      Quand on parle avec le président de la nation, c’est pour cerner les #causes_structurelles du problème et fixer un cap afin d’éviter que ça ne se reproduise. Et là-dessus on n’a eu #aucune_réponse, ni #aucune_méthode. Il nous a dit qu’il avait besoin d’y réfléchir cet été. En fait, Emmanuel Macron voulait réunir une assemblée déstructurée, sans discours commun. Il a préféré ça au front commun de l’association #Ville_&_Banlieue réunissant des maires de gauche et de droite qui structurent ensemble un discours et des #revendications. Mais le Président refuse de travailler avec ces maires unis. Il préfère 200 maires en mode grand débat qui va dans tous les sens, parce que ça lui donne le beau rôle. En réalité, on affaire à des #amateurs qui improvisent. Globalement ce n’était pas à la hauteur.

      Le Président n’a donc rien évoqué, par exemple, de l’#appel_de_Grigny ou des nombreuses #propositions déjà faites par le passé sur les problématiques liées aux #banlieues et qui ne datent quand même pas d’hier ?

      Non. Il a fait du « Macron » : il a repris quelques éléments de ce qu’on racontait et il en fait un discours général. Il avait besoin d‘afficher qu’il avait les maires autour de lui, il nous a réunis en urgence pendant que les cendres sont brûlantes, ce qu’il a refusé de faire avant que ça n’explose. Et ce, malgré nos supplications. Pendant des mois, l’association Ville & Banlieue a harcelé le cabinet de Mme Borne pour que soit convoqué un Conseil interministériel des villes conformément à ce qu’avait promis le Président. Cela ne s’est jamais fait. Macron n’a pas tenu sa parole. On a eu du #mépris, de l’#arrogance et de l’#ignorance. Il n’a pas écouté les nombreuses #alertes des maires de banlieue parce qu’il pensait que nous étions des cassandres, des pleureuses qui réclament de l’argent. C’est sa vision des territoires. Elle rappelle celle qu’il a des chômeurs vus comme des gens qui ne veulent pas travailler alors qu’il suffirait de traverser la route. Emmanuel Macron n’a donc pas vu venir l’explosion. Fondamentalement, il ne comprend rien aux banlieues. Il ne comprend rien à ce qu’il s’est passé ces derniers jours.

      A-t-il au moins évoqué le #plan_Borloo qu’il a balayé d’un revers de main en 2018 ?

      Je m’attendais justement à ce qu’il annonce quelque chose de cet acabit. Il ne l’a pas fait. Il a fait un petit mea-culpa en disant qu’à l’époque du rapport Borloo, sur la forme il n’avait pas été adroit mais il affirme que la plupart des mesures sont mises en œuvre. Il prétend, tout content de lui, qu’il y a plus de milliards aujourd’hui qu’hier et que le plan Borloo est appliqué sans le dire. C’était #grotesque. J’aurais aimé qu’il nous annonce une reprise de la #méthode_Borloo : on fait travailler ensemble les centaines de maires et d’associatifs. On se donne six mois pour construire des propositions actualisées par rapport au rapport Borloo et s’imposer une méthode. Lui a dit : « J’ai besoin de l’été pour réfléchir. » Mais quelle est notre place là-dedans ?

      Dans ses prises de paroles publiques, le Président a fustigé la #responsabilité des #parents qui seraient incapables de tenir leurs enfants. Qu’en pensez-vous ?

      Qu’il faut commencer par faire respecter les mesures éducatives prescrites par les tribunaux. Pour ces mamans qui n’arrivent pas à gérer leurs enfants dont certains déconnent, les magistrats imposent des éducateurs spécialisés chargés de les accompagner dans leur #fonction_parentale. Or, ces mesures ne sont pas appliquées faute de moyens. C’est facile après de les accabler et de vouloir les taper au porte-monnaie mais commençons par mettre les moyens pour soutenir et accompagner les #familles_monoparentales en difficulté.

      Le deuxième élément avancé ce sont les #réseaux_sociaux

      C’est du niveau café du commerce. C’est ce qu’on entend au comptoir : « Faut que les parents s’occupent de leur môme, faut les taper aux allocs. Le problème ce sont les réseaux sociaux ou les jeux vidéo… » Quand on connaît la réalité c’est un peu court comme réponse. On peut choisir d’aller à la simplicité ou on peut se poser la question fondamentale des #ghettos de pauvres et de riches. Pour moi l’enjeu c’est la #mixité_sociale : comment les quartiers « politique de la ville » restent des quartiers « #politique_de_la_ville » trente ans après. Or personne ne veut vraiment l’aborder car c’est la montagne à gravir.

      Vous avez abordé cette question lors de votre intervention à l’Élysée. Comment le Président a-t-il réagi ?

      Il a semblé réceptif quand j’ai évoqué les ghettos de riches et les #maires_délinquants qui, depuis vingt-deux ans, ne respectent pas la #loi_SRU. Il a improvisé une réponse en évoquant le fait que dans le cadre des J.O, l’État prenait la main sur les permis de construire en décrétant des opérations d’intérêt national, un moyen de déroger au droit classique de l’#urbanisme. Il s’est demandé pourquoi ne pas l’envisager pour les #logements_sociaux. S’il le fait, j’applaudis des deux mains. Ça serait courageux. Mais je pense qu’il a complètement improvisé cette réponse.

      En ce moment, on assiste à une #répression_judiciaire extrêmement ferme : de nombreux jeunes sans casier judiciaire sont condamnés à des peines de prison ferme. Est-ce de nature à calmer les choses, à envoyer un message fort ?

      Non. On l’a toujours fait. À chaque émeute, on a utilisé la matraque. Pareil pour les gilets jaunes. Pensez-vous que la #colère est moins forte et que cela nous prémunit pour demain ? Pas du tout. Que les peines soient sévères pour des gens qui ont mis le feu pourquoi pas, mais ça ne retiendra le bras d’aucun émeutier dans les années qui viennent.

      Vous avez été dans les rues de Trappes pour calmer les jeunes. Qu’est-ce qui vous a marqué ?

      La rupture avec les institutions est vertigineuse. Elle va au-delà de ce que j’imaginais. J’ai vu dans les yeux des jeunes une véritable #haine de la police qui m’a glacé le sang. Certains étaient déterminés à en découdre. Un jeune homme de 16 ans m’a dit « Ce soir on va régler les comptes », comme s’il attendait ce moment depuis longtemps. Il m’a raconté des séances d’#humiliation et de #violence qu’il dit avoir subies il y a quelques mois de la part d’un équipage de police à #Trappes. Beaucoup m’ont dit : « Ça aurait pu être nous à la place de Nahel : on connaît des policiers qui auraient pu nous faire ça. » J’ai tenté de leur dire qu’il fallait laisser la justice faire son travail. Leur réponse a été sans appel : « Jamais ça ne marchera ! Il va ressortir libre comme tous ceux qui nous ont mis la misère. » Ils disent la même chose de l’#impunité des politiques comme Nicolas Sarkozy qui, pour eux, n’ira jamais en prison malgré ses nombreuses condamnations. Qui peut leur donner tort ?

      Il se développe aussi un discours politique extrêmement virulent sur le lien de ces #violences_urbaines avec les origines supposément immigrées des jeunes émeutiers. Qu’en pensez-vous ?

      Quand Robert Ménard a frontalement dit, dans cette réunion des maires, que le problème provenait de l’#immigration, le président de la République n’a pas tiqué. Une partie de la salle, principalement des maires LR, a même applaudi des deux mains. Il y a un #glissement_identitaire très inquiétant. Culturellement, l’extrême droite a contaminé la droite qui se lâche désormais sur ces sujets. Ces situations demandent de raisonner pour aller chercher les causes réelles et profondes du malaise comme l’absence d’#équité, la concentration d’#inégalités, d’#injustices, de #frustrations et d’#échecs. C’est beaucoup plus simple de s’intéresser à la pigmentation de la peau ou d’expliquer que ce sont des musulmans ou des Africains violents par nature ou mal élevés.

      Comment ces discours sont-ils perçus par les habitants de Trappes ?

      Comme la confirmation de ce qu’ils pensent déjà : la société française les déteste. Dans les médias, matin, midi et soir, ils subissent continuellement des #discours_haineux et stigmatisant de gens comme Éric Zemmour, Marine le Pen, Éric Ciotti, etc. qui insultent leurs parents et eux-mêmes au regard de leur couleur de peau, leur religion ou leur statut de jeune de banlieue. Ils ont le sentiment d’être les #rebuts_de_la_nation. Quotidiennement, ils ont aussi affaire à une #police qui malheureusement contient en son sein des éléments racistes qui l’expriment sur la voie publique dans l’exercice de leur métier. Ça infuse. Les jeunes ne sont pas surpris de l’interprétation qui est faite des émeutes. En réalité ils l’écoutent très peu, parce qu’ils ont l’habitude d’être insultés.

      D’après vous, que faut-il faire dans l’#urgence ?

      Il faut arrêter de réfléchir dans l’urgence. Il faut s’engager sur une politique qui change les choses sur dix à quinze ans. C’est possible. On peut desserrer l’étau qui pèse sur les quartiers en construisant des logements sociaux dans les villes qui en ont moins. Moi, je ne demande pas plus de subventions. Je veux que dans quinze à vingt ans, on me retire les subventions « politique de la ville » parce que je n’en aurai plus besoin. C’est l’ambition qu’on doit porter.

      Et sur le court terme ?

      Il faut envoyer des signaux. Revenir sur la loi 2017 car cela protégera les policiers qui arrêteront de faire usage de leurs armes à tort et à travers, s’exposant ainsi à des plaintes pour homicide volontaire, et cela protégera les jeunes qui n’auront plus peur de se faire tirer comme des lapins. Il faut aussi engager un grand #dialogue entre la police et les jeunes. On l’a amorcé à Trappes avec le commissaire et ça produit des résultats. Le commissaire a fait l’effort de venir écouter des jeunes hermétiquement hostiles à la police, tout en rappelant le cadre et la règle, la logique des forces de l’ordre. C’était très riche. Quelques semaines plus tard le commissaire m’a dit que ses équipes avaient réussi une intervention dans le quartier parce que ces jeunes ont calmé le jeu en disant « on le connaît, il nous respecte ». Il faut lancer un #cercle_vertueux de #dialogue_police-population, et #jeunesse en particulier, dans les mois qui viennent. La police doit reprendre l’habitude de parler avec sa population et être acceptée par elle. Mettons la police autour de la table avec les jeunes, les parents du quartier, des éducateurs, les élus locaux pour parler paisiblement du ressenti des uns et des autres. Il peut y avoir des signaux constructifs de cet ordre-là. Or là on est dans la culpabilisation des parents. Ça ne va pas dans le bon sens.

      https://www.politis.fr/articles/2023/07/emmanuel-macron-ne-comprend-rien-aux-banlieues
      #Macron #ignorance

    • Entre Emmanuel Macron et les banlieues, le #rendez-vous_manqué

      En 2017, le volontarisme du chef de l’Etat avait fait naître des #espoirs dans les #quartiers_populaires. Malgré la relance de la #rénovation_urbaine, le rejet du plan Borloo comme son discours sur le #séparatisme l’ont peu à peu coupé des habitants.

      Il n’y a « pas de solution miracle ». Surtout pas « avec plus d’argent », a prévenu le chef de l’Etat devant quelque 250 maires réunis à l’Elysée, mardi 4 juillet, sur l’air du « trop, c’est trop » : « La santé est gratuite, l’école est gratuite, et on a parfois le sentiment que ce n’est jamais assez. » Dans la crise des violences urbaines qui a meurtri 500 villes, après la mort du jeune Nahel M. tué par un policier, le président de la République a durci le ton, allant jusqu’à rappeler à l’ordre des parents. Une méthode résumée hâtivement la veille par le préfet de l’Hérault, Hugues Moutouh, sur France Bleu : « C’est deux claques, et au lit ! »

      L’urgence politique, dit-on dans le camp présidentiel, est de rassurer une opinion publique encore sous le choc des destructions et des pillages. « Une écrasante majorité de Français se raidit, avec une demande d’autorité forte, confirme Brice Teinturier, directeur général délégué d’Ipsos. Déjà sous Sarkozy, l’idée dominait qu’on en faisait trop pour les banlieues. Les dégradations réactivent cette opinion. Emmanuel Macron est sur une crête difficile à tenir. »

      Ce raidissement intervient sur fond de #fracture territoriale et politique. « L’opposition entre la France des quartiers et celle des campagnes nous revient en pleine figure. Si on met encore de l’argent, on accentuera la fracture », pense Saïd Ahamada, ex-député de la majorité à Marseille. « Les gens en ont ras le bol, ils ne peuvent plus entendre que ces quartiers sont abandonnés », abonde Arnaud Robinet, maire de Reims, qui abrite sept #quartiers_prioritaires_de_la_politique_de_la_ville (#QPV), et membre du parti d’Edouard Philippe.

      (#paywall)

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/07/06/entre-emmanuel-macron-et-les-banlieues-le-rendez-vous-manque_6180759_823448.

  • Sainte-Soline : +6 : le parquet de Niort s’en prend aux organisateurs de la manif du 25 mars | Mediapart | 28.06.23

    https://www.mediapart.fr/journal/france/280623/sainte-soline-le-parquet-de-niort-s-en-prend-aux-organisateurs-de-la-manif

    Six personnes ont été placées en garde à vue, mercredi, accusées d’avoir organisé une manifestation interdite. Parmi eux, des porte-parole des Soulèvements de la terre et de Bassines non merci, mais aussi deux responsables de la Confédération paysanne. Deux autres syndicalistes étaient convoqués en audition libre.

    suite du déroulé de la #repression_judiciaire de #Sainte-Soline

    Les opérations policières contre la mouvance écologiste se sont poursuivies, mercredi, sous la direction du parquet de Niort (Deux-Sèvres), visant cette fois les organisateurs de la manifestation du 25 mars à Sainte-Soline. Le procureur de Niort, Julien Wattebled, a élargi pour la première fois le champ des « suspects » aux dirigeants syndicaux de la Confédération paysanne. L’ancien porte-parole national de la « Conf », Nicolas Girod, et son porte-parole dans les Deux-Sèvres, Benoît Jaunet, ont été placés en garde à vue, le premier à Dole (Jura), le second à Niort, pour « l’organisation d’une manifestation interdite ».

    David Bodin, secrétaire de l’Union départementale CGT des Deux-Sèvres, et Hervé Auguin, codélégué de Solidaires 79 ont été entendus eux aussi sous le régime de l’audition libre à la gendarmerie de Saint-Maixent-l’École.

    Le parquet de Niort a fait savoir que ces interrogatoires étaient conduits dans le cadre « des enquêtes, confiées à la section de recherches de Poitiers, concernant les infractions pénales commises à l’occasion de ces manifestations ».

    Trois militants des Soulèvements de la terre, officiellement dissous, le 21 juin, dont ses deux porte-parole, Basile Dutertre et Benoît Feuillu, ont été conduits dans des lieux d’interrogatoire différents, suivis par des fourgons d’escorte. Les militants ont tous été remis en liberté, mercredi soir. Plusieurs d’entre eux se sont vu remettre une convocation par officier judiciaire (COPJ) à comparaître ultérieurement. À l’issue de la journée de garde à vue, les deux responsables de la « Conf » ont aussi reçu une convocation au tribunal correctionnel le 8 septembre prochain, pour répondre de « l’organisation d’une manifestation interdite sur la voie publique ».

    #Sainte-Soline #Sainte_Soline
    #SLT #Soulèvements_de_la_terre
    #BNM #Bassines_Non_Merci
    #confederation_paysane
    #repression #criminalisation

  • Créativité judiciaire : cinq syndicalistes CFDT poursuivis pour des pochoirs au sol contre la réforme des retraites

    https://www.mediapart.fr/journal/france/080623/cinq-syndicalistes-cfdt-poursuivis-pour-des-pochoirs-au-sol-contre-la-refo

    Des élus du personnel de l’usine Airbus Atlantic d’Albert (Somme) étaient jugés le 8 juin à Amiens pour avoir bombé « #Stop64 » sur la chaussée le 7 mars, pendant une manifestation. Ils dénoncent une atteinte à la liberté d’expression. Le procureur a requis 500 euros d’amende pour chacun.

    #repression_judiciaire_de_dingue
    #foutage_de_gueule
    #judiciarisation

  • Seriously Injured Child Dies from His Wounds
    Jun 6, 2023 - IMEMC News
    https://imemc.org/article/army-critically-injures-a-toddler-seriously-wounds-his-father-near-ramallah

    On Monday, a seriously wounded Palestinian child whom Israeli soldiers shot last Thursday in Nabi Saleh village, northwest of the central West Bank city of Ramallah, succumbed to his wounds.

    The child, Mohammad Haitham Tamimi, 3 years of age , was shot in the head, and his father was shot in the shoulder last Thursday while standing in the front yard of their home near an Israeli military roadblock at the entrance of Nabi Saleh.

    The seriously wounded child was rushed to Tal HaShomer Israeli Medical Center, where he was treated for his wounds but remained in critical condition until he succumbed to his injuries.

    On Monday night, the child’s corpse was transferred to Palestine Medical Complex In Ramallah ahead of the funeral ceremony and burial procession that would be held Tuesday. (...)

    https://seenthis.net/messages/1004917
    #Palestine_assassinée 159

    • Israeli Soldiers Injure Many Palestinians After Funeral Of Slain Child
      Jun 7, 2023
      https://imemc.org/article/israeli-soldiers-injure-many-palestinians-after-funeral-of-slain-child

      On Tuesday, Israeli soldiers injured many Palestinians, including one shot with a live round, after the funeral ceremony of a child whom Israeli soldiers killed.

      Media sources said hundreds of Palestinians participated in the funeral ceremony and procession of the slain child, Mohammad Haitham Tamimi, 3.

      Bilal Tamimi, a local nonviolent activist against Israel’s illegal occupation and colonialist activities, said the soldiers shot a young man with a live round in the leg. (...)

      #répression_funérailles

    • Tuer Mohammed Tamimi, âgé de deux ans et demi, fait partie de la norme pour l’occupant israélien
      Gideon Levy | 6 juin 2023 – Haaretz – Traduction : Chronique de Palestine
      https://www.chroniquepalestine.com/tuer-mohammed-tamimi-deux-ans-norme-pour-occupant-israelien

      La lunette de visée ultramoderne n’était-elle pas suffisante pour permettre à un soldat de voir qu’il tirait sur la tête d’un enfant en bas âge ? S’il ne savait pas sur qui il tirait, pourquoi tirer ? Et s’il le savait, pourquoi tirer ?

      Que dire à un père quelques minutes après avoir appris l’horrible nouvelle que son petit garçon a succombé à ses blessures ? Que dire à un père dont le petit garçon a été tué sous ses yeux par un tireur d’élite de l’armée israélienne ?

      Le petit Mohammad Tamimi, âgé de deux ans et demi… – Photo : réseaux sociaux

      Que dire à un père dont le petit garçon a été tué sous ses yeux par un tireur d’élite de l’armée israélienne ?

      Que dire à un père qui a vu des tirs en direction de sa voiture, qui a rapidement fermé la portière et qui a immédiatement vu son enfant couché sur le côté sur le siège arrière, saignant du côté droit de la tête où une blessure par balle s’est ouverte ? Quelques instants plus tôt, il était assis là, en route pour une fête d’anniversaire.

      Que dire à un père qui vient d’apprendre qu’il n’y a plus d’espoir et que son petit Mohammed, l’un de ses deux enfants, est mort ?

      Que dire alors qu’il est en état de choc, blessé par une balle qui l’a atteint à l’épaule, qu’il gémit de douleur et qu’il continue à réciter à voix basse des versets de prière, comme s’il priait encore pour la vie de son fils ?

      Lundi après-midi, lorsque nous sommes arrivés au village de Nabi Saleh, nous avons rencontré pour la première fois des témoins directs de la fusillade qui s’y est déroulée jeudi soir. Un peu avant 14 heures, nous avons appelé le père du bébé blessé et avons demandé à le voir. « Venez vite », nous ont conseillé des proches. « Nous ne savons pas ce qui va se passer. »

      Très peu de temps après, nous sommes entrés dans la maison du grand-père du bébé Mohammed. Un terrible silence régnait dans la petite chambre d’amis, percé soudain par un cri de douleur provenant de l’autre pièce, où étaient assises les femmes de la famille. Nous avons immédiatement pris conscience de la situation : Mohammed était mort.

      Mohammed Tamimi est décédé lundi après-midi à l’unité de soins intensifs de l’hôpital pour enfants Safra, à Tel Hashomer. Il avait deux ans et demi. Sa mère et sa grand-mère étaient à ses côtés. Son père a réussi à lui rendre visite dimanche pendant quelques heures, mais il n’a pas pu rester en raison de sa propre blessure par balle.

      Quatre-vingt pour cent du petit cerveau de Mohammed a été endommagé par la balle mortelle qui a explosé dans sa tête et l’a détruit. C’était un enfant aux cheveux clairs, comme la plupart des enfants de ce village particulier.

      Comme eux, il est né dans un village-prison, avec une tour de garde fortifiée à l’entrée. C’est de cette tour que des tireurs d’élite ont tiré une balle dans la tête de Mohammed.

      L’armée a publié les résultats de sa prétendue enquête interne et a conclu qu’il s’agissait d’une « erreur d’identification »… Les tireurs d’élite utilisaient des lunettes télescopiques, mais se seraient trompés de cible.

      Haitham Tamimi (à droite) après avoir appris la mort de son fils, lundi – Photo : Alex Levac

      Leurs lunettes ultramodernes étaient-elles insuffisantes pour leur permettre de voir qu’ils tiraient sur la tête d’un tout petit enfant ?

      N’auraient-ils pas pu voir le père, un instant plus tôt, porter Mohammed et le placer sur le siège arrière, se déplacer vers le siège du conducteur et se faire tirer dessus avant d’arriver à l’intérieur ? Une erreur d’identification signifie-t-elle aussi une incapacité totale à estimer l’âge de « l’ennemi » ? Le soldat savait-il sur qui il tirait ? Si ce n’est pas le cas, pourquoi a-t-il ouvert le feu ?

      Et s’il le savait, encore une fois, pourquoi a-t-il ouvert le feu ?

      Haitham, le père touché par les tirs, nous a dit qu’il n’avait pas entendu de coups de feu avant de mettre Mohammed dans la Skoda familiale. Cela contredit la version officielle du porte-parole de l’armée d’occupation, qui a prétendu qu’il y avait eu des coups de feu avant que l’enfant ne soit tué.

      Le cousin de Haitham, Sameh Tamimi, ingénieur informaticien qui vit à San Francisco, était en visite à Nabi Saleh. Il a suggéré que le soldat devait être un psychopathe. « En effet, quel autre soldat tirerait une balle dans la tête d’un enfant ? »

      Lire également : Pour Israël, les enfants assassinés à Gaza ne sont que des « dommages collatéraux » par Tareq S. Hajjaj

      Les médias israéliens se sont empressés de déclarer qu’il s’agissait d’un « tir accidentel ». Comment le savent-ils ? Étaient-ils sur place ? Pour eux, il suffit que le porte-parole de l’armée leur ait donné l’ordre de le dire.

      Mais le porte-parole de Tsahal a également déclaré qu’il y avait eu des tirs avant l’incident, alors que personne dans le village n’a entendu quoi que ce soit de tel. Et en réalité, il est impossible qu’un père ait emmené son enfant à l’extérieur s’il y avait eu des tirs dans le village.

      Le père et son fils se rendaient dans le village voisin de Dir Nizam pour l’anniversaire de la tante maternelle de l’enfant.

      Haitham, qui travaille dans une pâtisserie, avait apporté un gâteau d’anniversaire à sa belle-sœur, puis est rentré chez lui pour récupérer ses enfants. Heureusement, son autre enfant, Osama, huit ans, qui lundi ne comprenait toujours pas ce qui était arrivé à son frère, est resté à la maison.

      Puis le père endeuillé s’est assis tandis que son frère essuyait ses larmes sur ses joues. Son père âgé était assis en face de lui, silencieux, avec l’air de quelqu’un qui s’est dissocié de la réalité, parce qu’il l’a trouvée trop dure à supporter.

      Il n’avait que des prières, des larmes étouffées et un regard glacé dans la pièce.

      Petit à petit, les gens qui présentaient leurs condoléances ont commencé à affluer. Et peu à peu, la prise de conscience s’est faite : son Mohammed ne fêterait jamais son troisième anniversaire.
      Auteur : Gideon Levy

  • Family Buries Slain Son Israeli Soldiers Killed In April
    Jun 5, 2023 - IMEMC News
    https://imemc.org/article/family-buries-slain-son-israeli-soldiers-killed-in-april

    Late Sunday night, the family of Hatem As’ad Abu Najma, 39, held the funeral ceremony and burial of their slain son, whom a paramilitary Israeli colonizer killed on April 24, 2023, in occupied Jerusalem.

    Media sources said only the immediate family and a few Palestinians were allowed to attend due to Israeli restrictions and preconditions.

    After allowing the release of the slain man’s corpse, dozens of soldiers and police officers surrounded many parts of occupied Jerusalem, especially Bab Al-Asbat Graveyard and all streets leading to it.

    The soldiers and officers kept the entire area closed and isolated to prevent the Palestinians in the area from attending the funeral and lifted the siege after the burial was concluded.

    Every person who attended the funeral was ordered to wear an electronic bracelet to track their movement and ensure they do not leave designated routes and areas.

    Only 25 Palestinians were allowed to attend the funeral; they were barred from carrying flags or posters, were not allowed to march and chant before or after the funeral, and were ordered to disperse immediately afterward.
    The family was also ordered not to receive condolences from anybody in any public area and only to welcome a limited number of mourners in their home.

    It is worth mentioning that the paramilitary colonizer killed Abu Najma on April 24, 2023, after he reportedly injured seven Israelis in what the army called a ramming attack.

    A video from the scene shows the colonizer shooting the Palestinian man through the closed side window of his car while he posed no threat or even attempted to leave it.

    Hatem was a married father of five children from Beit Safafa town, south of occupied Jerusalem.

    https://seenthis.net/messages/1000668
    #répression_funérailles

  • Dijon : des amendes (sur la base de vidéosurveillance) pour des casserolades - Contre Attaque
    https://contre-attaque.net/2023/05/26/dijon-des-amendes-sur-la-base-de-videosurveillance-pour-des-casserol

    À Dijon, plusieurs personnes ont reçu des amendes de 68 euros pour « émission de bruit portant atteinte à la tranquillité du voisinage ou à la santé de l’homme ». En cas de non paiement dans les 45 jours, le montant passe même à 145€ ! Il s’agit de verbalisations suite à une manifestation qui a eu lieu le 7 mai derniers lors d’un anniversaire de la Cité de la Gastronomie, en présence de députés macronistes. Les explosions de grenades de la police, elles, ne semblent pas porter atteinte à la tranquillité…

    Le syndicat Solidaires explique que ces amendes ont été réalisées sur la base d’images de vidéosurveillance, puisque les personnes qui les reçoivent n’ont pas fait l’objet d’interpellation ni de contrôle au moment de la manifestation. D’ailleurs, d’autres participants à différentes casserolades organisées à Dijon commencent à recevoir des amendes.

    Il s’agit d’une atteinte évidente au droit de manifester. Une sorte de racket pour taxer les contestataires, dans un contexte de grande précarité et après un mouvement social qui a déjà coûté de nombreux jours de salaires aux grévistes. Cette mesure d’intimidation est vicieuse : qui peut prendre le risque de perdre des dizaines d’euros à chaque manif un peu bruyante ?

    Cela suppose que des policiers aient reçu la consigner de visionner attentivement les images de vidéosurveillance en quête de frappeurs de casseroles à verbaliser. Et qu’ils disposent déjà d’un fichier de personnes militantes, afin de pouvoir les reconnaître sur les bandes. Une pratique probablement illégale, car une contravention implique un contrôle direct par un agent assermenté, excepté pour les infractions routières.

  • Petit-neveu de Macron « tabassé » ? Analyse d’un déchaînement médiatique et judiciaire - Contre Attaque
    https://contre-attaque.net/2023/05/17/petit-neveu-de-macron-tabasse-analyse-dun-dechainement-mediatique-et

    Les personnes relâchées vont alors expliquer leur version en sortant du commissariat. Des poubelles ont été posées devant l’entrée de la chocolaterie, fermée au moment des faits, à 22h. Aucune dégradation, aucun projectile, comme c’était raconté. « Le neveu de Brigitte Macron a bousculé notre camarade, on est venus pour séparer et, quand on est repartis, une voiture de la BAC est venue ». Un autre homme arrêté confirme cette version : « Jean-Baptiste Trogneux est intervenu, il a plaqué au sol mon collègue. Autant vous dire que mon collègue ne s’est pas laissé faire ». Une personne s’est alors interposée : « un autre collègue est juste intervenu » pour les séparer. Le fait qu’ils aient été relâchés, probablement sur la base de la vidéosurveillance, va dans ce sens plutôt que celle de la version répétée en boucle la veille.

    « On a retenu la personne de la boutique qui voulait frapper un de nos camarades, et c’est lui qui se retrouve en garde à vue pour rien du tout » répètent ces témoins.

    Il s’agit en fait d’une altercation : un commerçant mécontent a bousculé un manifestant, des coups ont été échangés, heureusement sans gravité, avant qu’un autre manifestant ne fasse cesser les tensions. Pas de quoi monopoliser toute l’attention médiatique pendant des jours, ni créer un martyr du macronisme. Des tabassages, des vrais, qui provoquent des blessures graves, il y en a eu des centaines par la police depuis le début du mouvement, sans que les médias n’en parlent.

    • Superbe. Le Canard, Libé ou Mediapart en profitent pour tacler dans les grandes largeurs, ou ils jouent pas le jeu et font les morts ?

    • Alors oui, mais… « un commerçant mécontent », c’est pas si simple non plus :

      Des poubelles ont été posées devant l’entrée de la chocolaterie, fermée au moment des faits, à 22h. Aucune dégradation, aucun projectile, comme c’était raconté.

      Donc certes, il ne s’agit pas d’une bande qui est allée tabasser le neveu de madame Macron. Mais ce n’est pas non plus « un commerçant » au hasard : ce commerce est ciblé justement parce qu’il est le commerce Trogneux. Alors soit on m’explique qu’on a installé des poubelles devant tous les commerces d’Amiens (l’article se garde bien de prétendre une telle chose), soit il va falloir un peu justifier pourquoi tu t’en prends spécifiquement à cette chocolaterie, mais comme chacun le suspecte, c’est uniquement parce qu’elle est de la même famille que Madame. Comme logique de contestation, je trouve ça pas bien glorieux non plus : si tu as une logique d’action confuse et illisible, tu t’étonnes pas trop que la propagande d’en face sur-exploite tes conneries.

    • c’est pas une « logique d’action » à la manière des buzz de Roussel ou d’une intervention XR, c’est une logique de situation. t’es là avec tes potes dans ce que tu peux créer d’espace public (merci d’attendre la fermeture des commerces), un riche qui a tout moyen de déléguer la milice du capital pour ce faire vient t’emmerder, te prendre physiquement à partie, c’est pas sur une casserole que tu tapes.
      un membre de cette bourgeoisie locale dont la fortune commence après l’écrasement de La Commune, liée aux notabilités locales de la droite (De Robien), qui tient la ville ripolinée d’Amiens tout autant que Le Touquet et la compta de la CNAF joue la revanche contre les GJ et tous ceux qui ne sont rien. succès assuré. mille Pravda capitalistes en action. 3 personnes en détention.

      Jean-Baptiste Trogneux est diplômé d’une école d’ingénieur l’Hetec et effectue plusieurs stages d’études en Asie dans l’#industrie_du_luxe

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Jean_Trogneux_(entreprise)

      #bourgeoisie #prison #répression

    • Les autorités annoncent même désormais que des policiers vont passer « chaque heure » sur les plages de fermeture de la chocolaterie. Une protection plus rapide et efficace que pour le maire de Saint-Brévin visé par l’extrême-droite.

    • Le monopole bourgeois de l’indignation face à la violence @colporteur @touti @sombre

      "D’un côté nous avons un notable très entouré, bien défendu et soutenu par l’ensemble de la classe politique et de l’autre un salarié syndicaliste, qui semble terrifié par ce qu’il a vécu, et dont personne ou presque ne parle."

      "Le fait que Ford soit devenu un symbole du capitalisme de compromis en dit très long sur la capacité de la bourgeoisie à faire oublier, en permanence, sa propre violence."

      "Non seulement la bourgeoisie peut, de plus en plus, compter sur des alliés violents, mais elle le fait d’autant plus facilement que c’est aussi elle qui dit ce qui est violent et ce qui ne l’est pas."

      "Rappelons-nous toujours que ces gens sont totalement biaisés en matière d’appréciation de la violence, qu’ils appartiennent à un groupe social qui a été le plus violent de tous au cours des siècles, et qu’ils ont un rapport opportuniste à la qualification de la violence : en ce moment, ils ont besoin de criminaliser les manifestants et l’extrême-gauche et d’invisibiliser la violence patronale et d’extrême-droite. En la matière, la réaction de Jean-Luc Mélenchon est assez fine : “ Des commentateurs indifférents aux tentatives de meurtres et agressions racistes contre des insoumis me somment de me prononcer sur l’agression à Amiens contre le chocolatier Trogneux. Je lui exprime ma compassion et je joins ma protestation à la sienne. Je demande à Macron et Madame d’en faire autant pour nos amis agressés ou menacés sans réserver leur sollicitude au seul Zemmour quand il fut molesté ” : bien tenté, mais ça n’arrivera pas."

      Nicolas Framont

      https://seenthis.net/messages/1003495

  • Extrême droite : le Premier ministre Narendra Modi, l’invité d’honneur de Macron pour le 14 Juillet…

    … cette tendance à mettre tout le monde au pas, et surtout les musulmans, dont l’apport à l’histoire de l’Inde est sérieusement récrit ces temps-ci. Ce sont des chapitres entiers que l’on gomme des programmes scolaires. Les empereurs moghols, deux siècles d’histoire du sous-continent ? Connais pas, c’est vieux tout ça. Les musulmans, Modi, ne les gomme pas seulement des manuels. En 2002, il a soufflé sur les braises d’un affrontement communautaire qui a fait près de 2 000 morts, sans compter le viol généralisé des femmes musulmanes. Un pogrom géant dont il ne s’est jamais expliqué. Pas grave, la justice l’a blanchi, dix ans plus tard. Un documentaire de la BBC l’accusant d’être « directement responsable » de l’affaire a été interdit de diffusion.

    Pogrom géant

    Les chrétiens ? Prière de marcher les yeux baissés. Des lois anticonversion, votées dans 11 Etats sur 29, punissent de la prison à vie ceux qui abandonnent l’hindouisme sans l’accord du préfet, qui refuse systématiquement. Apostats, pas chez moi. Même le cinéma est prié de se mettre aux longs-métrages « patriotiques ». Bollywood résiste encore, mais pour combien de temps ?

    On ne va sans doute pas trop parler droits de l’homme en juillet, pas plus que lors de la dernière visite de Modi à Paris, où un Emmanuel #Macron plus onctueux et tactile que jamais avait offert à son hôte une visite guidée du château de Versailles. Modi s’était montré ravi de tant de délicatesse. Il faut dire que l’Elysée avait pudiquement détourné les yeux des liens l’unissant à un sulfureux homme d’affaires du nom de #Gautam_Adani, devenu la première fortune d’Asie en très peu de temps. « Quand l’Etat indien vend ses bijoux de famille, il les vend à un seul homme, l’oligarque en chef du régime, Adani, soutien de Modi depuis toujours. Total, qui a vite compris qu’Adani était incontournable, a pris le risque de créer plusieurs joint-ventures avec lui », assène Jaffrelot. Rahul Gandhi connaissait bien ce dossier, qu’il instruisait avec ardeur, mais, pas de chance, voilà qu’on va lui passer les bracelets.

    (Le Canard enchaîné, 10 mai 2023)

    #Narendra_Modi #Inde #racisme #islamophobie #persécutions #islam #musulmans #nationalisme #extrême_droite

  • Tir de LBD : une femme estimée partiellement responsable de sa blessure par la justice
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/05/03/tir-de-lbd-une-femme-estimee-partiellement-responsable-de-sa-blessure-par-la

    Egarée avec sa fille dans une ville qu’elle ne connaissait pas, pressant le pas à la vue des fumées, Sophie Lacaille s’est retrouvée non loin de la place Pey-Berland, devant l’hôtel de ville, où de nombreux débordements violents ont eu lieu. La quinquagénaire se souvient d’un « bruit de pas très forts sur le bitume », puis d’une « douleur fulgurante à la nuque ». Elle s’est évanouie dans les bras de sa fille. Un pompier volontaire lui a porté secours, avant qu’elle ne soit évacuée vers les urgences.

    […]

    Cette dernière a estimé que la responsabilité de l’Etat était bien engagée. Mais dans son délibéré, rendu le 23 février, le tribunal administratif de Bordeaux pose le principe d’un partage de cette responsabilité. « Elle s’est maintenue à proximité des attroupements alors même qu’elle constatait une montée en puissance de la violence dans la ville et ne pouvait ignorer les graves incidents intervenus au cours des semaines précédentes à l’occasion de manifestations de “gilets jaunes” », justifient les juges. Pour eux, Sophie Lacaille a commis « une imprudence fautive » et « cette faute est de nature à exonérer partiellement l’Etat de sa responsabilité à hauteur de 25 % ».

  • Un responsable des éditions La Fabrique arrêté puis libéré par la police britannique | Mediapart | 18.04.23

    https://www.mediapart.fr/journal/international/180423/un-editeur-francais-arrete-puis-libere-par-la-police-britannique

    Ernest, responsable des droits étrangers aux éditions La Fabrique, se rendait [lundi] à la London Book Fair, la Foire internationale du livre à Londres, qui a lieu du 18 au 20 avril, et où, selon La Fabrique, il avait prévu une trentaine de rendez-vous avec des éditeurs étrangers
    [...]
    « les PAF [polices aux frontières – ndlr] française et britannique l’ont retenu si longtemps à son départ de Paris qu’Ernest a raté son train et a dû prendre le suivant. » [...] arrivée à la gare de St. Pancras, le jeune homme est interpellé par des policiers « sous prétexte de vérifier qu’il n’est pas sur le point de commettre des actes terroristes ou en possession de matériel destiné à une entreprise terroriste », [...] remis en liberté [sans ordinateur ni téléphone, confisqués] au terme de près de vingt-quatre heures de garde à vue.
    [...]
    Après l’annonce de la libération de son client, l’avocate résume les questions qui ont été posées à Ernest : « Soutenez-vous le président Macron ? Avez-vous participé aux récentes manifestations en France ? Quels livres vont être publiés prochainement par La Fabrique ? »

  • Pourquoi la FNSEA et la Confédération paysanne sont en guerre ouverte - Économie - Le Télégramme
    https://www.letelegramme.fr/economie/pourquoi-la-fnsea-et-la-confederation-paysanne-sont-en-guerre-ouverte-1


    Petite délégation de la Confédération paysanne, mardi 11 avril, sur le campus agricole du Morbihan, en marge de la visite du ministre de l’Agriculture Marc Fesneau.
    Le Télégramme/Bruno Salaün

    Rien ne va plus entre la FNSEA et la Confédération paysanne. Le syndicat majoritaire veut faire taire son opposant. Le conflit entre ces deux visions de l’agriculture a franchi un nouveau cap.

    Mardi 11 avril, sur le campus agricole de Pontivy (56). Le ministre de l’Agriculture Marc Fesneau vient écouter les propositions que les agriculteurs et jeunes en formation de Bretagne ont travaillées en vue de la loi d’orientation agricole attendue à l’automne 2023.

    À l’arrivée du cortège officiel, quelques militants de la Confédération paysanne sifflent, à distance, les positions controversées du ministre dans la lutte contre les pesticides. Quelques instants plus tard, dans l’amphithéâtre studieux, le président de la Fédération régionale des exploitants agricoles, Thierry Coué, fait, au micro, référence « aux collègues avec un drapeau jaune (NDLR : celui de la Confédération paysanne) qui hésitent entre l’intérieur et l’extérieur et qui font du dénigrement en interne de la profession ».

    La Confédération paysanne n’a jamais cautionné la violence et ne l’a jamais encouragée

    Cette sortie incongrue intervient une dizaine de jours après que ses pairs de la FDSEA et des Jeunes agriculteurs du Morbihan eurent demandé, par écrit, au préfet du département « que le syndicat Confédération paysanne soit exclu de toutes les instances officielles régionales et nationales et qu’il ne perçoive plus de subventions publiques ». Jugeant de fait la Confédération paysanne impliquée dans les heurts survenus à Sainte-Soline en opposition aux méga bassines. La même revendication essaime dans d’autres départements. Une première par son envergure. Un autre syndicat, la Coordination rurale, réclame également « des sanctions juridiques fermes et massives ».

    « Museler l’expression de toute voix dissonante »
    Dans la foulée, puis le jour de la venue du ministre à Pontivy, la Confédération paysanne dénonce « un abus de position dominante qui vise à intimider et à museler l’expression de toute voix dissonante ». En Bretagne, « la Confédération paysanne n’a jamais cautionné la violence et ne l’a jamais encouragée », ajoute le syndicat réformiste tout en réitérant sa main tendue à la FNSEA et aux JA en faveur « d’un débat serein sur la gestion de l’eau ».

    Plus qu’un point de crispation, la ressource en eau fait partie de ces sujets, avec les pesticides, le respect de la biodiversité, la structure physique et sociale des exploitations, le label haute valeur environnementale ou la gestion de l’influenza aviaire (etc.), qui marquent la frontière entre deux visions de l’agriculture. Et de son rôle dans un monde en transitions.

    Ce monde-là comporte deux autres réalités alors que la population agricole décline : de plus en plus d’élevages et tenues maraîchères sont repris ou créés par les non issus du milieu agricole. Ils arrivent avec un autre regard et des pratiques qui chahutent l’ordre rural établi. Et les difficultés d’accès au foncier corrélées à des cessions de parts sociales qui échappent à la régulation, attisent le feu dans les campagnes.

    La question de la représentativité des instances agricoles
    Ces éléments questionnent la représentativité des instances agricoles, mais aussi leur ouverture au reste de la société, déterminante pour lever les incompréhensions réciproques. Ces éléments interrogent tout autant les politiques publiques. L’agriculture n’est pas épargnée par les aspirations et contradictions sociétales concernant les souverainetés alimentaire et énergétique, les tensions qui en découlent dans un contexte d’inflation. Cela aussi pimente les relations entre les deux organisations, tandis que la Coordination rurale considère que « la Confédération paysanne ne représente pas le monde paysan mais travaille à sa destruction ». Une assertion objectivement infondée.

    • Dans le Morbihan, la Confédération paysanne dénonce « un dialogue impossible » avec les autres syndicats - Vannes - Le Télégramme
      https://www.letelegramme.fr/morbihan/vannes/dans-le-morbihan-la-confederation-paysanne-denonce-un-dialogue-impossib


      La Confédération paysanne était présente, jeudi 30 mars à Vannes, à la manifestation qui condamnait, entre autres, les violences des forces de l’ordre à Sainte-Soline.
      Photo d’archives Le Télégramme

      La Confédération paysanne du Morbihan a répondu, mardi 4 avril, à la FDSEA et aux Jeunes agriculteurs qui demandent son exclusion des instances officielles, après la manifestation de Sainte-Soline (Deux-Sèvres) contre les bassines.

      La Confédération paysanne du Morbihan a réagi, mardi 4 avril, dans une lettre envoyée au préfet et aux parlementaires du Morbihan, aux propos tenus par courrier, le 31 mars, par la Fédération départementale des syndicats d’exploitants agricoles (FDSEA) et les Jeunes agriculteurs (JA) du Morbihan. Courrier rendu public sur Twitter par le journaliste indépendant Sylvain Ernault.

      La FDSEA et les JA reprochent à la Confédération paysanne d’avoir co-organisé la manifestation de Sainte-Soline contre la construction d’une mégabassine, samedi 25 mars. « Ils cautionnent des actes violents sans commune mesure avec les enjeux », écrivent les syndicats. Ils demandent que « le syndicat de la Confédération paysanne soit exclu de toutes les instances officielles du département, régionales et nationales et qu’il ne perçoive plus de subventions publiques ».

      Une organisation non-violente
      Dans sa réponse, la Confédération paysanne du Morbihan réaffirme sa position « non-violente ». « Nous organisons et participons à des manifestations pour faire entendre nos inquiétudes et nos revendications ». Elle s’interroge : « Comment peut-on demander l’exclusion de la principale opposition syndicale tout en se revendiquant attaché au dialogue ? ». Dialogue que le syndicat affirme impossible. « La Confédération paysanne a cherché à l’établir à de nombreuses reprises sans que cela ne soit suivi du moindre effet. »

      Contacté, Johann Conan, président des Jeunes agriculteurs du Morbihan, répond : « On va se rencontrer et dialoguer. C’est toujours une histoire de planning qui ne collait jamais ».

  • Chaos du capitalisme : la seule perspective est celle que les travailleurs en lutte ouvriront

    https://lutte-ouvriere.be/chaos-du-capitalisme-la-seule-perspective-est-celle-que-les-travaille
    Dernier éditorial de LO-Belgique

    Après l’effondrement aux USA de la #Silicon_Valley_Bank le 10 mars dernier, la plus grosse faillite bancaire depuis 2008, les banquiers centraux se sont empressés de déclarer que « tout était sous contrôle ». La #banque_centrale (#Fed) a ouvert un nouveau fonds de financement d’urgence et les banques lui ont emprunté au moins 164 milliards de dollars. En Europe, les banquiers centraux ont vite annoncé qu’il n’y avait pas de risque de contagion !

    Quelques jours plus tard, le #Crédit_Suisse, une des trente plus grandes #banques du monde était au bord de la faillite. La banque centrale de Suisse décida elle aussi d’ouvrir les robinets : en quelques heures plus de 50 milliards d’euros ont été mis à disposition du Crédit suisse, puis 200 milliards… avant que ne soit décidé son rachat par UBS, la plus grosse banque du pays. La banque est « sauvée », les milliards des capitalistes sont sauvés, mais pas les 10 000 employés en doublon que les banques ont prévu de licencier…

    Le 24 mars, les actions de la première banque allemande #Deutsche_Bank chutaient, ravivant la menace d’une crise financière internationale. Les dirigeants politiques ont à nouveau répété qu’ils n’avaient aucune inquiétude, pour tenter d’enrayer la panique. En réalité, ils sont bien incapables de faire la moindre prévision. Depuis des années, les krachs financiers, les crises, se succèdent, et l’économie capitaliste s’enfonce toujours plus dans le chaos. À chaque fois, les gouvernements répondent en inondant les capitalistes de liquidités, en faisant tourner la planche à billets, creusant ainsi les déficits publics. Et les capitalistes font payer aux travailleurs le prix de leur fuite en avant !

    Et plutôt deux fois qu’une. D’un côté tout cet argent emprunté gratuitement, les banques et les financiers l’utilisent pour acheter des actions en espérant les revendre plus cher, engendrant ainsi des profits faciles. Avec le déclenchement de la #guerre_en_Ukraine, les spéculateurs ont ainsi parié sur l’augmentation des #prix_du_gaz, achetant et revendant les cargaisons au point de faire exploser les prix de l’énergie puis tous les autres prix… Ils ont ainsi aggravé la pauvreté partout sur la planète, plongeant une large proportion des ménages des classes populaires dans des situations intenables où il faut choisir entre se chauffer et manger à sa faim.

    D’un autre côté, les capitalistes font pression sur leurs États pour faire payer aux travailleurs l’argent dépensé en sauvetage de banque, en subsides aux entreprises ou en armes pour la guerre en Ukraine ! Les gouvernements s’empressent alors d’imposer toutes les mesures nécessaires pour pressurer davantage les travailleurs. Tout y passe : de la crèche communale où une puéricultrice doit faire le travail de trois collègues car « il n’y a pas assez de financement » jusqu’au passage en force par Macron de l’augmentation de l’#âge_de_départ_à_la_retraite de 62 à 64 ans car « les retraites coûtent trop cher dans une population vieillissante ».

    Mais ces mensonges prennent de moins en moins, et la situation s’aggravant de plus en plus pousse inévitablement à des révoltes.

    En France, depuis le 19 janvier, il y a des #manifestations massives presque toutes les semaines, accompagnées de grèves dans quelques secteurs. Si les manifestations ont été aussi massives, c’est que la coupe est pleine. Elle l’est pour les plus âgés, cassés par le travail, et à qui on promet une pension réduite ou pour celles et ceux qui n’auront jamais de pension vu qu’un nombre important de travailleurs en France meurent avant la #retraite ! Elle l’est pour tous les ménages populaires confrontés à l’explosion des prix de l’alimentation et de l’énergie et pour celles et ceux qui voient bien que tout s’aggrave, en particulier la guerre économique qui fait craindre que les guerres actuelles se généralisent en une troisième guerre mondiale. C’est un ras-le-bol général.

    Malgré la #répression_policière, les gardes à vues et les fouilles en sous-vêtement, les mobilisations contre le recul de l’âge de la retraite continuent. Dans cette lutte qui dure depuis deux mois, le camp des travailleurs mesure ce que peut être la force du nombre. Car si certains députés de droite n’ont finalement pas voté la loi et que #Macron a dû faire recours au 49.3 (en se passant du vote des députés) c’est que la pression des grèves leur a fait penser à leur prochaine élection !

    La force du nombre peut peser sur le monde politique, mais c’est seulement si la #grève se généralise et s’étend aux grandes entreprises privées que le rapport de force s’inversera réellement et que la loi pourra être repoussée.

    #réforme_des_retriates #capitalisme #régression_sociale #lutte_de_classe #inflation #pouvoir_d'achat

  • VIDEO. Julien Le Guet, porte-parole des anti-bassines, placé en garde à vue à la gendarmerie de Niort.
    Le Courrier de l’Ouest Julien RENON Publié le 17/03/2023
    https://www.ouest-france.fr/nouvelle-aquitaine/niort-79000/video-julien-le-guet-porte-parole-des-anti-bassines-place-en-garde-a-vu
    https://media.ouest-france.fr/v1/pictures/MjAyMzAzZWE3MTNlMjc3M2QwNmU0YTk5YTIxMDRlZmExMjk3Y2Y?width=1260&he

    C’est sous les cris de « No bassaran ! » ​lancés par une centaine de militants que Julien Le Guet, revêtu d’un bleu de travail, a poussé la grille de la gendarmerie de Niort ce vendredi 17 mars, à 9 heures. Le poing levé vers son bruyant comité de soutien, le porte-parole de « Bassines non merci ! » ​s’est engouffré sous le porche de la caserne pour répondre aux questions des militaires sur sa présence à la manifestation interdite de Sainte-Soline, les 28 et 29 octobre 2022. Sur sa convocation figuraient deux motifs : « Participation à un groupement formé en vue de la préparation de violences contre les personnes ou de destructions ou de dégradations de biens » ​et ​« Dégradation ou détérioration du bien d’autrui commise en réunion ». Après une heure d’audtion, ce dernier a été placé en garde à vue.

    #mégabassines #Bassines #no_bassaran #méga-bassines

  • Palestinian Child Dies From Serious Wounds Suffered Two Days Ago
    Jan 28, 2023 – – IMEMC News
    https://imemc.org/article/wounded-palestinian-child-remains-in-critical-condition

    Late Friday night, The Wadi Hilweh Information Center In Silwan (Silwanic), in occupied Jerusalem, confirmed that a Palestinian child, who was shot and seriously injured by Israeli soldiers two days ago, has succumbed to his wounds.

    Silwanic said the child, Wadea’ Aziz Abu Ramouz, 16, succumbed to his wounds on Friday night in the Israeli Shaare Tzedek hospital.

    An Israeli soldier shot the child with a live round in the chest and injured another Palestinian, Mohammad Badran, 17, during protests that occurred after several army jeeps invaded the town.

    The Abu Ramouz family remained barred from visiting him until Firas Al-Jibrini, a lawyer with the Wadi Hilweh Information Center In Silwan – Silwanic, filed an appeal with the Israeli District Court.

    #Palestine_assassinée 32

    • Funeral Of Slain Teen Held Four Months After Soldiers Killed Him
      IMEMC | Jun 1, 2023
      https://imemc.org/article/funeral-of-slain-teen-held-four-months-after-soldiers-killed-him

      Four months after Israeli soldiers killed a Palestinian teen and refused to release his corpse, his family in Jerusalem could finally hold funeral and burial ceremonies under strict conditions.

      The Wadi Hilweh Information Center In Silwan (Silwanic) said the funeral was held after midnight, Wednesday, before the mourners buried Wadea Abu Ramouz, 16, at the local Bab Al-Asbat graveyard in Jerusalem.

      The Abu Ramouz family said Israel imposed severe instructions on the burial and added that dozens of soldiers were deployed in and around the graveyard and where his body was handed to the family.

      Mohammad Mahmoud, the lawyer of Wadi Hilweh Information Center In Silwan, said the army placed many preconditions, including restricting the number of Palestinians participating in the funeral and the burial to thirty at most.

      He added that the soldiers also took all mobile phones and cameras from the Palestinians and forced them to wear electronic bracelets during the funeral and burial, and said that the Israeli police imposed a 10.000 Shekels conditional fine that would be collected if any of the reimposed terms is violated.

      Mahmoud stated that Israel only allowed the release of Abu Ramouz’s corpse after he filed an appeal a month ago.

      Wadea’ succumbed to his wounds on January 27, 2023, two days after the soldiers shot him with a live round in the chest In Silwan town. After shooting the teen, the soldiers shot and injured another Palestinian, Mohammad Badran, 17.

      #répression_funérailles

  • Le nouveau « filon » pour muter des profs gênants sans s’encombrer d’une sanction
    https://www.mediapart.fr/journal/france/210922/le-nouveau-filon-pour-muter-des-profs-genants-sans-s-encombrer-d-une-sanct

    En droit public, une procédure disciplinaire exige un cadre d’examen paritaire, avec des délais de convocation, la réunion d’une commission paritaire académique, réunissant administration et représentants syndicaux. Cette commission instruit un dossier, avec des délais de convocation, la possibilité pour les agent·es accusé·es de se défendre et d’être accompagné·es d’un syndicat ou d’un avocat, commission qui aboutit à un vote, dans lequel l’administration garde une voix prépondérante. « C’est très imparfait, mais on est dans une sorte d’État de droit », argue Jules Siran.

    Depuis la loi de transformation de la fonction publique (votée en 2018, appliquée depuis 2019), qui a réduit comme peau de chagrin le pouvoir et le périmètre de ces commissions paritaires, la mutation dans l’intérêt du service n’est plus soumise à une commission préalable. Le risque est alors grand d’une sorte de « fait du prince ».

    « La procédure de mutation dans l’intérêt du service, c’est un bon filon, un nouveau totem pour l’administration », critique Grégory Thuizat, secrétaire du syndicat SNES-FSU en Seine-saint-Denis. Une véritable « zone grise », qui n’est « malheureusement pas bien contrôlée par le juge », ce qui peut donner l’impression que « le processus est hors de contrôle », ajoute l’avocat Benoît Arvis. « Ce n’est cependant pas totalement en dehors du droit, car souvent précédé d’une enquête interne. Mais ces enquêtes dans l’#Éducation nationale sont une catastrophe, elles sont menées par des membres académiques qui n’ont pas de vraie indépendance, ce n’est pas sérieux. »

    « L’administration marche sur une ligne de crête dans ce genre d’affaires : la mutation dans l’intérêt du service lui permet de se protéger, car les recours portés devant le tribunal sont irrecevables à moins de prouver une discrimination puisqu’il n’y a pas officiellement sanction, confirme Bérenger Jacquinet, l’avocat des six enseignant·es de l’école Pasteur, muté·es contre leur gré. Mais les conditions permettant de qualifier une telle mesure sont quand même assez strictes, on ne peut pas qualifier d’“intérêt du service” tout et n’importe quoi, au bon vouloir du recteur ou de la rectrice. Nous considérons en l’espèce que la mutation est abusive. »

    [...] Toutes ces procédures ont été contestées, d’abord en référé (procédure rapide pouvant suspendre une décision de l’administration, en attendant un jugement sur le fond), le plus souvent perdues, mais également sur le fond du dossier, et sont en attente d’audience et de jugement pour la plupart. « Les rectorats jouent sur le temps long, la disproportion financière et un terrain juridique qui ne nous est pas favorable, fustige Aladin Lévêque, l’un des enseignants visés à Melle. Nous nous battons contre des dossiers complètement à charge, anonymisés, avec des pièces falsifiées, sans aucune vraisemblance. »

    Rassemblé·es dans le collectif « Sois prof et tais-toi », ces enseignant·es sont soutenu·es par une intersyndicale très large qui n’hésite plus à parler de « #répression_syndicale », qui viserait les organisations syndicales les plus contestataires, sans exclusive, allant de Sud Éducation à la CGT, en passant par FO ou le SNES-FSU. Des organisations prônant et pratiquant, pour certaines, une lutte de plus en plus dure ces dernières années dans les établissements, y compris par la grève, arguant du caractère totalement verrouillé du dialogue social ordinaire.

    La conséquence à la fois d’une politique de « concertation » tous azimuts qui masque mal une relation devenue totalement délétère entre un ancien ministre, Jean-Michel Blanquer, et toutes les organisations syndicales, mais également d’une volonté plus profonde de rapprocher la fonction publique du fonctionnement managérial en entreprise.

    « Avec le cas de #Kai_Terada, qui intervient au début de ce nouveau quinquennat, nous sommes à la croisée des chemins, assure Grégory Thuizat. Est-ce que le signal que va envoyer l’institution c’est la rupture ou la continuité du mandat Blanquer ? C’est tout l’enjeu du rassemblement de mercredi. » Même son de cloche chez Aladin Lévêque, depuis les Deux-Sèvres. « Ils ont tout essayé ces dernières années, en passer par la voie pénale à Clermont-Ferrand, la suspension puis la procédure disciplinaire, le blâme sans sanction disciplinaire, et ce nouveau cocktail de l’arbitraire, suspension sans motivation et mutation dans l’intérêt du service. Il n’y a que Pap Ndiaye pour arrêter ça. »

    Jules Siran peine à y croire, son syndicat prépare d’ailleurs une saisine de la Défenseure des droits pour « présomption de discrimination syndicale » vis-à-vis de #Sud_Éducation, notoirement et depuis longtemps dans le viseur. « Au moment de la nomination du nouveau ministre, nous avons noté la volonté d’afficher un symbole progressiste. Pap Ndiaye, c’est quand même un historien qu’on cite dans les bibliographies de nos formations syndicales ! Mais les cas de répression se poursuivent et se ressemblent. »

  • #Assurance-chômage : #guerre_aux_chômeurs, paix au capital

    En résumé :

    L’enjeu est de faire accepter aux travailleurs les offres d’emploi dans les conditions satisfaisantes pour le capital. Autrement dit, c’est une réforme qui vient renforcer la position des employeurs dans un rapport de force qui menace de devenir favorable aux salariés.

    Et l’article complet

    Le gouvernement défend sa réforme accélérée de l’assurance-chômage au nom du #plein-emploi. Mais ce qui se joue ici n’est rien d’autre qu’un renforcement de la #répression des travailleurs pour satisfaire un #système_économique en crise.

    Faire le bonheur des travailleurs, malgré eux : ce pourrait être la doctrine affichée par le ministre du travail #Olivier_Dussopt et la première ministre #Elisabeth_Borne, qui ont décidé en cette rentrée d’accélérer sur leur nouvelle #réforme de l’assurance-chômage. L’ambition affichée de la réforme, c’est de parvenir au « plein-emploi », lequel est considéré, après cinq décennies de #chômage_de_masse, comme une forme de graal permettant de renverser une nouvelle corne d’abondance sur le pays.

    Ce concept est devenu, depuis quelques semaines, le mantra du gouvernement que tous les membres, ainsi même que le président de la République, ne cessent de marteler à chaque prise de parole. Ce plein-emploi serait « à portée de main », répète inlassablement Emmanuel Macron, mais il ne serait possible que si l’on en passe par cette réforme qui réduit singulièrement les #droits des #demandeurs_d’emploi.

    Si l’on devait résumer la vision gouvernementale (et patronale, car les #Rencontres_des entreprises_de_France fin août ont mis en lumière une parfaite identité de vue entre le #Medef et l’exécutif sur le sujet), on pourrait le dire ainsi : le système économique est capable de fournir un #emploi à tous, mais une partie de la #force_de_travail refuse cette opportunité.

    Ce faisant, ces inconscients refusent tous les délices du plein-emploi effectif : une augmentation des revenus, un rapport de force favorable aux salariés et une forme d’accomplissement individuel et social. Aux universités d’été de La France insoumise (LFI) fin août, la ministre déléguée Olivia Grégoire, par ailleurs économiste, a même pu se prévaloir de Marx pour défendre la réforme gouvernementale et assurer le plein-emploi. Il est donc urgent de contraindre ces brebis égarées par le faux bonheur de l’#oisiveté au bonheur qu’ils s’obstinent à refuser. Et pour cela, l’usage du bâton est indispensable.

    Dans cette vision angélique, l’#indemnité_chômage serait si généreuse qu’elle troublerait leur raison et les empêcherait d’accéder à ce bonheur qu’est le plein-emploi. Mais ce n’est là qu’une hypothèse et cette hypothèse même est une contradiction dans les termes. Le récit gouvernemental ne résiste guère à l’analyse. Dans un régime de plein-emploi, le rapport de force s’inverse en faveur des salariés. Si ce dernier était authentiquement atteignable, l’assurance-chômage ne saurait être trop élevée.

    Les salaires augmenteraient, les #conditions_de_travail s’amélioreraient pour rendre son pseudo-avantage compétitif caduc. Cela est d’autant plus vrai que, puisque 60 % des demandeurs d’emploi ne sont pas indemnisés, ces derniers devraient se jeter sur les offres disponibles, faire ainsi monter les salaires et rendre l’indemnisation moins intéressante. Pour peu évidemment que lesdits emplois soient attractifs et adaptés.

    En d’autres termes, si un véritable plein-emploi était à « portée de main », l’indemnisation chômage ne serait pas un problème. L’enjeu de cette nouvelle réforme de l’assurance-chômage n’est donc pas de parvenir au plein-emploi, mais bien plutôt de faire accepter aux demandeurs d’emploi les offres existantes, sans s’interroger sur leur contenu, les #conditions_de_travail et les #rémunérations.

    Les derniers chiffres de la Dares montrent que si les tensions sur le #marché_du_travail sont élevées, elles le sont en grande partie en raison de conditions de travail et de #déficit_de_formation que les entreprises refusent de prendre en charge. Bref, le nœud du problème, comme toujours en régime capitaliste, c’est bien le #coût.

    L’enjeu est de faire accepter aux travailleurs les offres d’emploi dans les conditions satisfaisantes pour le #capital. Autrement dit, c’est une réforme qui vient renforcer la position des employeurs dans un rapport de force qui menace de devenir favorable aux salariés. Loin de favoriser le plein-emploi, il s’agit surtout de contourner les vraies conséquences du plein-emploi pour le capital.

    Des emplois abondants et repoussants

    Le récit gouvernemental et patronal est donc un leurre qui s’appuie sur un plein-emploi fétichisé mais vidé de sa fonction. Il fait miroiter un pouvoir accru des salariés alors qu’il désarme précisément la capacité des salariés de choisir leur emploi. Réduire les droits des chômeurs indemnisés, conditionner d’une manière ou d’une autre l’accès au #RSA, c’est affaiblir la position des salariés face aux employeurs. C’est faire en sorte que, contraints par la nécessité, les demandeurs d’emploi acceptent non pas un travail adapté à leurs envies, à leurs formations et à leurs besoins, mais un emploi répondant à la nécessité de la #production_de_valeur. C’est bien pour cette raison qu’il refuse toute réflexion sur la qualité – au sens large allant du salaire à sa fonction sociale – des emplois proposés.

    Derrière ces réformes proposées avec un discours quasi humanitaire, il y a donc le renforcement de l’emprise la plus classique de la #domination_capitaliste. Le travail abstrait, quantifiable mais désincarné, vecteur de la loi de la valeur dont le capital a impérieusement besoin, impose sa loi au travail concret, fruit d’une activité humaine spécifique.

    Le travailleur doit, sous cette #pression, cesser d’exister en tant qu’individu, il n’est que le rouage de cette production de valeur. Il lui faut alors accepter n’importe quel travail pour pouvoir subsister. Dans ces conditions, tout emploi qui apparaît est bon, et tout ce qui est bon apparaît comme emploi. Le refus de l’emploi devient donc insupportable pour le système économique.

    Les #protections_salariales n’ont jamais fait disparaître totalement cette logique. Mais la situation actuelle des économies occidentales et de l’#économie française en particulier rend le renforcement de ce mode de #domination plus urgent et nécessaire que jamais pour le capital. Les emplois créés ne sont abondants que parce qu’ils sont peu productifs. L’embellie actuelle de l’emploi, alors même que la croissance reste faible, est l’illustration même de ce phénomène.

    Le problème, alors, est que ces emplois ne sont tenables que s’ils sont bon marché ou soumis à des conditions de travail dégradées, précisément parce qu’ils sont peu productifs. Créer de la valeur dans un régime de faible #productivité suppose mécaniquement une plus forte #exploitation du travail. Et c’est en saisissant cette réalité que l’on peut comprendre le paradoxe de l’époque : les emplois peuvent être à la fois abondants et repoussants et le plein-emploi peut avoir une fonction répressive pour le travail.

    Cette fonction se constate à longueur de page et d’émission dans les leçons de morale données aux travailleurs qui seraient trop exigeants ou trop oisifs. La récente polémique sur les #arrêts_maladie jugés trop fréquents des salariés est venue illustrer cette situation. Cette pression augmente avec l’approche du plein-emploi, car plus le travail est censé être abondant, plus il faut accepter ses conditions de travail dégradées, intensifier la production et allonger le temps de travail.

    C’est bien pour cette raison que ce plein-emploi peut être désormais fétichisé par le patronat : parce qu’il ne produit plus les effets négatifs pour le capital. À condition, bien sûr, que l’État assure la soumission du monde du travail par des contre-réformes. La réforme française, comme d’autres, n’est donc pas urgente parce qu’elle permettrait d’apporter le bonheur et l’abondance dans le pays, elle est urgente parce qu’elle est un passage obligé dans le mode de gestion d’un capitalisme de bas régime qui est le nôtre.

    Face à la faiblesse des gains de productivité, la réponse du capital est celle de chercher des assurances, ce que l’économiste anglo-roumaine #Daniela_Gabor appelle le « #de-risking », ou la #réduction_du_risque. Les recherches de cette dernière se sont concentrées sur la finance, mais ce mouvement semble beaucoup plus large. Les réformes du marché du travail et de l’assurance-chômage visent ainsi à maintenir une pression constante sur les travailleurs, quelle que soit la situation de l’emploi. La baisse vertigineuse actuelle des salaires réels dans les pays qui, comme le Royaume-Uni, l’Allemagne ou les États-Unis, sont officiellement en plein-emploi vient confirmer ce mouvement.

    Les déclarations de l’exécutif ne doivent donc pas tromper. La #répression_sociale comprise par ces réformes est la solution de facilité pour le système économique actuel. Tout renversement réel du rapport de force l’amènerait en effet face à des questions qu’il veut à tout prix éviter : que produit-il ? dans quel but ? dans quelles conditions ? Dès lors, le leurre d’un plein-emploi à portée de main et d’un discours moralisateur sur des chômeurs oisifs est la dernière ligne de défense de l’économie. Celle qui permet de renforcer son hégémonie au cœur même de sa crise.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/090922/assurance-chomage-guerre-aux-chomeurs-paix-au-capital
    #chômage #guerre_aux_pauvres #capitalisme #plein_emploi

  • L’Union européenne a discrètement fourni au Maroc de puissants systèmes de piratage des téléphones
    https://disclose.ngo/fr/article/union-europeenne-a-discretement-fourni-au-maroc-de-puissants-systemes-de-p

    Pour renforcer le contrôle des migrants, l’Union européenne a fourni à la police marocaine des logiciels d’extraction de données des téléphones. Faute de contrôle, ces technologies pourraient servir à accentuer la surveillance des journalistes et défenseurs des droits humains au Maroc. Lire l’article

    • Délits d’opinions, harcèlements, intimidations policières. Au Maroc, la répression contre celles et ceux qui contestent le régime s’est durement intensifiée. Abdellatif Hamamouchi, 28 ans, en a fait les frais. Un soir de juillet 2018, le journaliste et militant de l’Association marocaine des droits humains a fait l’objet d’une violente agression. Des hommes qui appartenaient selon lui à la police politique du régime l’ont « battu et jeté par terre » avant de lui prendre son téléphone portable. « Ils n’ont pris que mon téléphone, se souvient-il. Grâce à lui, ils ont pu avoir accès à mes e-mails, ma liste de contacts, mes échanges avec mes sources. » Comme lui, une dizaine de journalistes et militants marocains dont nous avons recueilli le témoignage expliquent s’être vu confisquer leurs téléphones à la suite d’une arrestation arbitraire. Selon eux, cette pratique obéirait à un unique objectif : renforcer le fichage des opposants présumés en collectant un maximum d’informations personnelles. Un contrôle qui, depuis 2019, pourrait être facilité par le soutien technologique et financier de l’Union européenne.

      Disclose, en partenariat avec l’hebdomadaire allemand Die Spiegel, révèle que l’UE a livré au Royaume du Maroc des puissants systèmes de surveillance numérique. Des logiciels conçus par deux sociétés spécialisées dans le piratage des téléphones et l’aspiration de données, MSAB et Oxygen forensic, avant d’être livrés aux autorités marocaines par Intertech Lebanon, une société franco-libanaise, sous la supervision du Centre international pour le développement des politiques migratoires (ICMPD). Objectif de ce transfert de technologies financé sur le budget du « programme de gestion des frontières pour la région Maghreb » de l’UE : lutter contre l’immigration irrégulière et le trafic d’êtres humains aux portes de l’UE.

      Selon des documents obtenus par Disclose et Die Spiegel auprès des institutions européennes, la société MSAB, d’origine suédoise, a fourni à la police marocaine un logiciel baptisé XRY capable de déverrouiller tous types de smartphones pour en extraire les données d’appels, de contacts, de localisation, mais aussi les messages envoyés et reçus par SMS, WhatsApp et Signal. Quant à Oxygen forensic, domiciliée pour sa part aux Etats-Unis, elle a livré un système d’extraction et d’analyse de données baptisé « Detective » (https://www.oxygen-forensic.com/uploads/doc_guide/Oxygen_Forensic_Detective_Getting_Started.pdf). Sa spécificité ? Contourner les verrouillages d’écran des appareils mobiles afin d’aspirer les informations stockées dans le cloud (Google, Microsoft ou Apple) ou les applications sécurisées de n’importe quel téléphone ou ordinateur. La différence notable avec le logiciel Pegasus, les deux logiciels nécessitent d’accéder physiquement au mobile à hacker, et ne permet pas de surveillance à distance.
      La police marocaine formée au piratage numérique

      A l’achat des logiciels et des ordinateurs qui vont avec, l’Union européenne a également financé des sessions de formations dispensées aux forces de police marocaine par les collaborateurs d’Intertech et les salariés de MSAB et Oxygen Forensic. Mais ce n’est pas tout. Selon des documents internes obtenus par l’ONG Privacy International, l’Europe a aussi envoyé ses propres experts issus du Collège européen de police, le CEPOL, pour une formation de quatre jours à Rabat entre le 10 et le 14 juin 2019. Au programme : sensibilisation à « la collecte d’information à partir d’Internet » ; « renforcement des capacités d’investigation numérique », introduction au « social hacking », une pratique qui consiste à soutirer des informations à quelqu’un via les réseaux sociaux.
      Contrôle inexistant

      Reste à savoir si ces outils de surveillance sont réellement, et exclusivement, utilisés à des fins de lutte contre l’immigration illégale. Or, d’après notre enquête, aucun contrôle n’a jamais été effectué. Que ce soit de la part des fabricants ou des fonctionnaires européens. Dit autrement, le Maroc pourrait décider d’utiliser ses nouvelles acquisitions à des fins de répression interne sans que l’Union européenne n’en sache rien. Un risque d’autant plus sérieux, selon des chercheurs en sécurité numérique joints par Disclose, que les logiciels XRY et Detective ne laissent pas de traces dans les appareils piratés. A la grande différence d’une autre technologie bien connue des services marocains : le logiciel israélien Pegasus, qui permet de pirater un appareil à distance. Le système Pegasus a été massivement employé par le Maroc dans le but d’espionner des journalistes, des militants des droits humains et des responsables politiques étrangers de premier plan, comme l’a révélé le consortium de journalistes Forbidden Stories (https://forbiddenstories.org/fr/case/le-pegasus-project) en 2021. Avec les solutions XRY et Detective, « dès que vous avez un accès physique à un téléphone, vous avez accès à tout », souligne Edin Omanovic, membre de l’ONG Privacy international. Un élément qu’il estime « inquiétant », poursuit-il, « dans un contexte où les autorités ciblent les défenseurs des droits de l’homme et les journalistes ».

      Afin de garantir que le matériel ne sera pas détourné de son objet officiel, la Commission européenne, sollicitée par Disclose, affirme qu’un document d’engagement a été signé par les autorités marocaines – il ne nous a pas été transmis. D’après un porte-parole, ledit document mentionnerait l’usage de ces technologies dans le seul but de lutter « contre le trafic d’êtres humains ». Rien d’autre ? « L’UE fait confiance à Rabat pour respecter son engagement, c’est de sa responsabilité », élude le porte-parole.En réalité, ce transfert de technologies devrait faire l’objet d’une attention particulièrement accrue. Pour cause : les systèmes fournis par l’UE sont classés dans la catégorie des biens à double usage (BDU), c’est-à-dire des biens qui peuvent être utilisés dans un contexte militaire et civil. Ce type d’exportation est même encadré par une position commune de l’UE, datée de 2008. Celle-ci stipule que le transfert des biens à double usage est interdit dès lors qu’il « existe un risque manifeste » que le matériel livré puisse être utilisé à des fins de « répression interne ». Un risque largement établi dans le cas marocain, comme l’a démontré l’affaire Pegasus.

      Contactés, MSAB et Oxygen Forensic ont refusé de nous répondre. Même chose du côté des régulateurs suédois et américains sur les exportations de biens à double usage. Alexandre Taleb, le PDG d’Intertech, la société responsable du déploiement des technologies, a été plus loquace. « Mes clients savent ce qu’ils achètent, je n’ai pas à les juger. Ils ont plus de 400 millions d’habitants qui peuvent s’en charger, déclare-t-il. Si le Maroc a des problèmes démocratiques, c’est une chose, mais nos outils ne sont pas la cause de ces problèmes ». Pour ce marché, Intertech a empoché près de 400 000 euros.

      Au parlement européen, ces exportations sont loin de faire l’unanimité. « Sous prétexte de sécuriser nos frontières, nous ne pouvons pas nous contenter des promesses d’un régime autoritaire, déplore ainsi l’eurodéputée Markéta Gregorová (groupe des Verts). C’est une négligence délibérée et moralement inacceptable de la part de l’Europe ». Une négligence qui passe d’autant plus mal que la société MSAB a été accusée (https://theintercept.com/2021/06/14/myanmar-msab-eu-technology-regulation) d’avoir équipé la police birmane en 2019, à un moment où des exactions contre des civils étaient connues et documentées.

      #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Maroc #UE #EU #surveillance_numérique #complexe_militaro-industriel #surveillance #répression #logiciels #aspiration_des_données #piratage_des_téléphones #MSAB #Oxygen_forensic #Intertech_Lebanon #Centre_international_pour_le_développement_des_politiques_migratoires (#ICMPD) #technologie #transfert_de_technologies #gestion_des_frontières #frontières #contrôles_frontaliers #programme_de_gestion_des_frontières_pour_la_région_Maghreb #XRY #detective #Pegasus #téléphones_portables #smartphone #piratage_numérique #Collège_européen_de_police (#CEPOL) #formation #police #social_hacking #hacking #réseaux_sociaux #biens_à_double_usage (#BDU) #répression_interne #Alexandre_Taleb

  • #Rwanda accused of stalking, harassing and threatening exiles in US

    African state that signed deal with UK to host asylum seekers perpetrates ‘transnational repression’, Freedom House report says

    Rwanda has been accused of being among the worst perpetrators of “transnational repression” in the US, stalking, harassing and threatening exiles there, according to a new report.

    The report by the Freedom House advocacy group in Washington names Rwanda as well as China, Russia, Iran and Egypt as the principal offenders in seeking to extend the reach of their repressive regimes into the US.

    Isabel Linzer, one of the report’s authors, said the findings raise further questions about the UK government’s agreement with Kigali to deport asylum seekers to Rwanda. The first deportation flight is due on 14 June.

    “People often focus on Saudi Arabia, Iran, China, Russia, but Rwanda is one of the most prolific perpetrators of transnational repression in the world,” Linzer said. “And it certainly has not received the same level of scrutiny as some of those other countries.

    “The asylum deal between the UK and Rwanda is quite shocking given how frequently the Rwandan government has gone after Rwandans in the UK and the British government is well aware of that,” she added.

    The Freedom House report, Unsafe in America: Transnational Repression in the United States, notes that attacks on exiles have taken place since the cold war, but adds “operations by foreign intelligence agents have significantly intensified in recent years”.

    “Autocrats cast a long shadow onto America’s soil,” it says. “The governments of Iran, China, Egypt, Russia, Rwanda, Saudi Arabia, and other states are increasingly and more aggressively disregarding US laws to threaten, harass, surveil, stalk, and even plot to physically harm people across the country.”

    One of those targeted was Paul Rusesabagina, the former Kigali hotel manager whose efforts to save people in the 1994 genocide is told the film Hotel Rwanda.

    Rusesabagina, a US permanent resident and prominent dissident, was abducted while travelling in the Middle East in August 2020 and tricked into boarding a private airplane that took him to Rwanda, where he was sentenced to 25 years in prison. Last month the US state department formally declared him to be “wrongfully detained”.

    Rusesabagina’s daughter, Carine, and other Rwandan dissidents have been found to have been the targets of surveillance using Pegasus spyware made by the Israel security firm NSO Group.

    The Rwandan government has denied using the spyware but did not respond to a request to comment on the Freedom House report.

    Rwandan opposition figures in the US speak of constant surveillance, harassment and threats.

    “You come to understand that it is part of your life,” said Theogene Rudasingwa, a former chief of staff to President Paul Kagame who was once Rwanda’s ambassador to the US, and is now a staunch critic of Kagame’s rule. “My wife is constantly in fear. My children are constantly in fear, especially for me. Every time I step out of the house, they are on edge. I have determined that I can’t be paralysed and live in fear 24/7, but the feeling of being a hunted person is around me 24/7,” Rudasingwa told the Guardian.

    Three months ago he said he came out of his local bank to be told by a passerby that they had seen someone go under his car. Rudasingwa called the police who carried out a three-hour search but found nothing, possibly because the intruder had been disturbed.

    Rudasingwa was the target of an assassination plot in Belgium in 2015, which failed when he put off a planned trip there. After the murder of his fellow opposition leader, former Rwandan intelligence chief Patrick Karegeya, in South Africa in 2013 – a killing widely believed to have been ordered in Kigali – the state department advised Rudasingwa to take extra precautions.

    “They told me that they had reached out to Kigali to warn them not to try to do that kind of thing here in the United States,” he told the Guardian.

    In March this year, the FBI launched a website on transnational repression giving advice on how to report incidents, part of a broad campaign by the administration to confront the growing threat.

    “Transnational repression is used not only to harm or threaten individual dissidents, journalists, activists, and diaspora members, but to silence entire communities,” a spokesperson for the National Security Council said.

    “Our intention is to use the full suite of tools and resources at our disposal to protect and build support for individuals and communities who are being targeted, and to hold perpetrators accountable for their actions.”

    However, Claude Gatebuke, another Rwandan activist who has received repeated anonymous threats, said many in the diaspora do not report harassment because of the close diplomatic ties between Washington and Kigali.

    “Part of the reason why people won’t speak up is because they know the government of Rwanda has a very tight relationship with the US government, and sharing information, they think they’re telling on themselves,” Gatebuke told the Freedom House authors.

    Senior members of Congress have also voiced unease at Washington’s embrace of Kagame. After the head of US Africa Command, Gen Stephen Townsend, posted pictures of him posing with the Rwandan president, the top Republican on the Senate foreign relations committee, James Risch, warned that the bilateral relationship “faces serious complications”.

    “Portraying the opposite is counterproductive and undermines [state department] messages on other top diplomatic concerns,” Risch wrote on Twitter.

    “I’m always sensitive to the fact that there is that level of interaction at the intelligence level, at the level of the FBI, of senior officials always going to Kigali like it’s their Mecca,” Rudasingwa said. “How could I possibly say I’m safe, sharing sensitive information with them? So sometimes you just keep it to yourself.

    “Nobody ever calls Kagame out. Nobody seeks accountability from him,” he added. “They give these occasional slaps on the wrist, but then you see the United Kingdom is sending refugees there. So where would you get the guts to call him out when he is doing you a favour?”

    https://www.theguardian.com/world/2022/jun/02/rwanda-exiles-stalking-harassing-threatening-us-freedom-house-report-ed

    #réfugiés_rwandais #répression #répression_internationale #asile #migrations #réfugiés

  • http://www.slate.fr/story/225594/madagascar-france-coloniale-repression-sanglante-memoire-oubli-franco-malgache

    À Madagascar aussi la France coloniale a sévi, mais qui s’en souvient ?
    Slate.fr — 30 mars 2022

    Il y a un mystère lié au récit et à la mémoire des événements de 1947, qui firent pourtant près de 90.000 morts : les premiers à se taire sont les premiers concernés.

    À deux années de distance, Sétif (Algérie) en 1945 et Madagascar en 1947 furent deux des pages les plus sombres de l’histoire coloniale française. Or si tout le monde se souvient du drame algérien, ce qu’il s’est passé sur l’« île Rouge » est plus rarement évoqué. Sétif et Madagascar comportent pourtant bien des points communs.

    Ce furent, à la sortie de la Seconde Guerre mondiale, deux insurrections réprimées de façon sanglante, la première annonçant même la seconde, avec plusieurs dizaines de milliers de morts. Toutes deux ont ouvert une époque nouvelle : celle de la revendication pour l’indépendance nationale ; et conduit une dizaine d’années plus tard à celle-ci, pour les Algériens au terme d’une longue guerre de libération (1954-1962), et sans trop de heurts, en 1960, pour les Malgaches.

    L’échec de l’insurrection

    C’est en pleine nuit, le 29 mars 1947, que des centaines de rebelles attaquent le camp militaire de Moramanga. Puis l’insurrection s’étend, pille et incendie des garnisons militaires, des postes de gendarmerie, des bâtiments administratifs et des dépôts d’armes ainsi que des concessions. Des routes et voies ferrées sont coupées. 35.000 Français vivent alors sur l’île, environ 150 Européens sont tués.

    Les conjurés visaient à rétablir l’indépendance immédiate et intégrale de Madagascar. Mais le mouvement insurrectionnel échoue à s’étendre aux grandes villes. Il est pour l’essentiel contenu à la partie orientale de l’île. Des milliers d’insurgés se cachent dans les forêts encore quelques semaines, jusqu’à épuisement.

    La réaction est terrible. L’armée et la police françaises inaugurent de « nouvelles méthodes » : rebelles jetés vivant d’un avion militaire ou enfermés dans des wagons jusqu’à ce que mort s’ensuive. Le chef de l’état-major français évoquera un bilan de 89.000 victimes, directes ou indirectes, de la répression.
    (...)

    #Madagascar #insurrection #repression_coloniale #memoire #oubli

  • Vigilance & Initiatives Syndicales Antifascistes (VISA)
    https://visa-isa.org/fr/node/146097

    Deux syndicalistes ont été menacés de licenciement dans leur entreprise après avoir enquêté sur des soupçons de #racisme, puis ont été l’objet d’une manifestation violente à leur encontre. Un soutien contre la répression antisyndicale : « leur combat rappelle que la lutte contre le racisme est indissociable de la lutte pour l’égalité ».

    #Répression_antisyndicale contre deux délégués CGT, suite à une réunion mouvementée, la direction de STEF-Vendée lance une procédure de licenciement à l’encontre de ces deux syndicalistes. Depuis des mois, ceux-ci sollicitaient une réaction de l’entreprise : plusieurs salariés ultramarins et issus de l’immigration se plaignaient en effet de comportements racistes dans le cadre de leur travail – « bougnoule », « bamboula », imitation de singe, « retourne manger des bananes », « travail d’arabe », etc.

    Stanislas Lemor (45 ans), PDG du groupe de transport STEF depuis 2019, héritier et fils de son père. Il a débuté sa carrière en 1997 chez Arthur Andersen comme auditeur financier. Avant de passer par la direction financière de Carrefour (2001-2006), dont il avait fini directeur du contrôle de gestion. Il rejoint l’entreprise paternelle en 2006 en tant que directeur financier adjoint. L’aboutissement d’un parcours sans faute dans un groupe qui ne cesse de grandir souligne la page des décideurs du Figaro. En dix ans, de 2009 à 2018, ce champion grossit la fortune personnelle de sa famille de 87 %. Ce qui, en 2021, assure sa présence dans le palmarès des 500 plus grosses fortunes françaises avec 130M€ selon le classement de challenges.fr
    https://www.lefigaro.fr/decideurs/portraits/l-heritier-stanislas-lemor-a-la-barre-du-groupe-de-transport-stef-20190605

    Le mors aux dents , groupe Oi ! des années 80 d’Iparralde
    extrait de la cassette :Mille Raisons de gueuler (1987)
    https://www.youtube.com/watch?v=B3RP72V-_Uw

  • LETTRE D’UN GILET JAUNE EN PRISON (Nantes Révoltée, facebook)

    – « j’ai décidé ne plus être une victime et de me battre. J’en suis fier. Fier d’avoir relevé la tête, fier de ne pas avoir cédé à la peur. » -
    La lettre puissante de Thomas, emprisonné suite à une manifestation de Gilets Jaunes au mois de février. A lire et faire lire.

    « Bonjour,
    Je m’appelle Thomas. Je fais partie de ces nombreux Gilets Jaunes qui dorment en ce moment en prison. Cela fait près de 3 mois que je suis incarcéré à Fleury-Mérogis sous mandat de dépôt criminel.

    Je suis accusé de pas mal de choses après ma participation à l’acte XIII à Paris :
    « dégradation ou détérioration d’un bien appartenant à autrui »
    « dégradation ou détérioration d’un bien appartenant à autrui par un moyen dangereux pour les personnes » (incendie d’une Porsche)
    « dégradation ou détérioration de bien par un moyen dangereux pour les personnes commise en raison de la qualité de la personne dépositaire de l’autorité publique de son propriétaire » (le ministère des armées)
    « dégradation ou détérioration d’un bien destiné à l’utilité ou la décoration publique » (attaque sur une voiture de police et une voiture de l’administration pénitentiaire)
    « violence aggravée par deux circonstances (avec arme et sur dépositaire de l’autorité publique) suivi d’incapacité n’excédant pas 8 jours » (l’arme serait une barrière de chantier, toujours sur la même voiture de police, 2 jours d’ITT pour le traumatisme)
    « violence sur une personne dépositaire de l’autorité publique sans incapacité »
    « participation à un groupement formé en vue de la préparation de violences contre les personnes ou de destruction ou dégradation de biens ».

    J’ai effectivement commis une partie des actes que recouvrent ces formulations un peu ronflantes… Et je les assume. J’ai bien conscience qu’écrire cela risque de me faire rester un peu plus de temps en prison et je comprends très bien tous ceux qui préfèrent ne pas revendiquer leurs actes devant la justice et parient sur une éventuelle clémence.

    Quand on lit cette longue liste de délits et leurs intitulés, il y a de quoi me prendre pour un fou furieux, n’est-ce pas ? C’est d’ailleurs comme ça que l’on m’a décrit dans les media. Enfin, on m’a plutôt réduit à un mot bien pratique : « casseur ». Simplement. « Pourquoi ce type a cassé ? – Parce que c’est un casseur, c’est évident. » Tout est dit, circulez il n’y a rien à voir et surtout, rien à comprendre. À croire que certains naissent « casseur ». Cela évite d’avoir à se demander pourquoi tel commerce est ciblé plutôt que tel autre, et si par hasard ces actes n’auraient pas un sens, au moins pour ceux qui prennent le risque de les accomplir.

    Il est d’ailleurs assez ironique, que je me retrouve affublé du stigmate de « casseur », notamment parce que la chose que j’apprécie le plus dans la vie, c’est la construction. Menuiserie, charpente, maçonnerie, plomberie, électricité, soudure… Bricoler, réparer tout ce qui traîne, construire une maison de la dalle aux finitions, c’est ça mon truc. Après, c’est vrai, rien de ce que j’ai construit ou réparé ne ressemble à une banque ou à une voiture de police.

    Dans certains médias, on m’a aussi traité de « brute », pourtant je n’ai jamais été quelqu’un de violent. On pourrait même dire que je suis doux. À tel point que cela m’a rendu la vie compliquée pendant l’adolescence. Bien sûr, dans la vie, on passe tous par des situations difficiles et on s’endurcit. Après, je ne cherche pas à dire que je suis un agneau ni une victime.

    On n’est plus innocent quand on a vu la violence « légitime », la violence légale : celle de la police. J’ai vu la haine ou le vide dans leurs yeux et j’ai entendu leurs sommations glaçantes : « dispersez-vous, rentrez chez vous ». J’ai vu les charges, les grenades et les tabassages en règle. J’ai vu les contrôles, les fouilles, les nasses, les arrestations et la prison. J’ai vu les gens tomber, en sang, j’ai vu les mutilés. Comme tous ceux qui manifestaient ce 9 février, j’ai appris qu’une nouvelle fois, un homme venait de se faire arracher la main par une grenade. Et puis je n’ai plus rien vu, à cause des gaz. Tous, nous suffoquions. C’est à ce moment-là que j’ai décidé ne plus être une victime et de me battre. J’en suis fier. Fier d’avoir relevé la tête, fier de ne pas avoir cédé à la peur.

    Bien sûr, comme tous ceux qui sont visés par la répression du mouvement des Gilets Jaunes, j’ai d’abord manifesté pacifiquement et au quotidien, je règle toujours les problèmes par la parole plutôt que par les poings. Mais je suis convaincu que dans certaines situations, le conflit est nécessaire. Car le débat aussi « grand » soit il, peut parfois être truqué ou faussé. Il suffit pour cela que celui qui l’organise pose les questions dans les termes qui l’arrangent. On nous dit d’un côté que les caisses de l’État sont vides mais on renfloue les banques à coups de millions dès qu’elles sont en difficulté, on nous parle de « transition écologique » sans jamais remettre en question le système de production et de consommation à l’origine de tous les dérèglements climatiques¹. Nous sommes des millions à leur hurler que leur système est pourri et ils nous expliquent comment ils prétendent le sauver.

    En fait, tout est question de justesse. Il y a un usage juste de la douceur, un usage juste de la parole et un usage juste de la violence.

    Il nous faut prendre les choses en main et arrêter d’implorer des pouvoirs si déterminés à nous mener dans le mur. Il nous faut un peu de sérieux, un peu d’honneur et reconnaître qu’un certain nombre de systèmes, d’organisations et d’entreprises détruisent nos vies autant que notre environnement et qu’il faudra bien un jour les mettre hors d’état de nuire. Ça implique d’agir, ça implique des gestes, ça implique des choix : manif sauvage ou maintien de l’ordre ?

    À ce propos, j’entends beaucoup de conneries à la télé, mais il y en a une qui me semble particulièrement grossière. Non, aucun manifestant ne cherche à « tuer des flics ». L’enjeu des affrontements de rue c’est de parvenir à faire reculer la police, à la tenir en respect : pour sortir d’une nasse, atteindre un lieu de pouvoir ou simplement reprendre la rue. Depuis le 17 novembre, ceux qui ont menacé de sortir leur armes, ceux qui brutalisent, mutilent et asphyxient des manifestants désarmés et sans défense, ce ne sont pas les soit-disant « casseurs », ce sont les forces de l’ordre. Si les médias en parlent peu, les centaines de milliers de personnes qui sont allées sur les ronds-points et dans les rues le savent. Derrière leur brutalité et leurs menaces, c’est la peur qui se cache. Et quand ce moment arrive, en général, c’est que la révolution n’est pas loin.

    Si je n’ai jamais eu envie de voir mon nom étalé dans la presse, c’est désormais le cas, et comme je m’attends à ce que journalistes et magistrats épluchent et exposent ma vie personnelle, autant prendre moi-même la parole². Voilà donc ma petite histoire. Après une enfance somme toute assez banale dans une petite ville du Poitou, je suis parti dans la « grande ville » d’à côté pour commencer des études, quitter le foyer familial (même si j’aime beaucoup mes parents), commencer la vie active. Pas dans le but de trouver du travail et de prendre des crédits, non, plutôt pour voyager, faire de nouvelles expériences, trouver l’amour, vivre des trucs dingues, l’aventure quoi. Ceux qui ne rêvent pas de cela à 17 ans doivent être sérieusement dérangés.

    Cette possibilité-là, pour moi, c’était la fac mais j’ai vite déchanté face à l’ennui et l’apathie régnants. Puis coup de chance, je suis tombé sur une assemblée générale au début du mouvement des retraites. Il y avait des gens qui voulaient bloquer la fac et qui ont attiré mon attention. J’en ai rencontré quelques-uns qui voulaient occuper un bâtiment et rejoindre les dockers. Le lendemain, je les ai accompagné pour murer le local du Medef et taguer « pouvoir au peuple » sur les parpaings tout frais. Voilà le jour où l’homme que je suis aujourd’hui est né.

    J’ai donc étudié l’Histoire parce qu’on parlait beaucoup de révolution et que je ne voulais pas parler depuis une position d’ignorant. Mais très vite, je décidais de quitter la fac. Le constat était simple, non seulement on en apprenait bien plus dans les bouquins qu’en cours mais en plus de cela je n’avais pas envie de m’élever socialement pour devenir un petit cadre aisé du système que je voulais combattre. Là c’était le vrai début de l’aventure.

    Ensuite, j’ai vécu avec plein de potes en ville ou à la campagne, c’est là que j’ai appris à tout réparer, à tout construire. On essayait de tout faire nous-mêmes plutôt que de bosser pour l’acheter. Un peu une vie de hippie, quoi ! À la différence qu’on savait qu’on n’allait pas changer le monde en s’enterrant dans notre petit cocon auto-suffisant. Alors, j’ai toujours gardé le contact avec l’actualité politique, je suis allé à la rencontre de celles et ceux qui, comme moi dans le passé, vivaient leur premier mouvement.

    Voilà comment j’ai rejoint les Gilets Jaunes depuis maintenant quatre mois. C’est le mouvement le plus beau et le plus fort que j’ai jamais vu. Je m’y suis jeté corps et âme, sans hésitation. L’après-midi de mon arrestation, plusieurs fois des gens sont venus vers moi pour me saluer, me remercier ou me dire de faire attention à moi. Les actes que l’on me reproche, ceux que j’ai commis et les autres, ils sont en réalité collectifs. Et c’est précisément de cela dont le pouvoir à peur et c’est pour cette raison qu’ils nous répriment et nous enferment individuellement en tentant de nous monter les uns contre les autres. Le gentil citoyen contre le méchant « casseur ». Mais de toute évidence, ni la matraque ni la prison ne semblent arrêter ce mouvement. Je suis de tout cœur avec celles et ceux qui

    continuent.
    Depuis les murs de Fleury-Merogis, Thomas, gilet jaune.
    ¹ Cela vaut d’ailleurs pour beaucoup d’écologistes officiels qui souhaitent que ce sale pollueur de pauvre ne puisse plus rouler avec sa camionnette des années 90 qu’il entretient, répare et bricole lui-même. Non, il va devoir s’acheter tous les quatre ans la dernière voiture high-tech basse conso.
    ² D’ailleurs, les journaux parlent de mes antécédents judiciaires pour « dégradation ». Il a fallu que je me creuse la tête pour me souvenir. Il s’agit plus précisément d’un « vol avec dégradation en bande organisée ». C’est-à-dire qu’à force d’enjamber le grillage pour faire de la récup’ de nourriture dans les poubelles d’un Carrefour Market de campagne, il s’était un peu affaissé. C’est pas une blague. C’est juste la magie des qualifications pénales. »

    Le blog du comité de soutien à Thomas  : https://comitedesoutienathomasp.home.blog

    Source : https://pt-br.facebook.com/groups/batiamourtsou/?ref=group_header
    https://www.facebook.com/groups/batiamourtsou/permalink/10159170202106125/?__cft__[0]=AZW21yRQzAwV5dM8QVgTZ_OL3IJQf2eXCWpHaIp4jmQExwX2lHwM3Y-WRqOOy1

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