• The pact kills : l’istituzionalizzazione della fine del diritto d’asilo nell’UE

    Un documento dell’Associazione #Open_Your_Borders di Padova sul nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

    Il 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, frutto di un lungo negoziato cominciato nel 2020 tra Parlamento, Consiglio e Commissione.

    Prima di entrare in vigore, dovrà essere votato anche dal Consiglio dell’UE, l’organo in cui risiedono i rappresentanti dei governi dei 27 stati membri, la cui votazione è attesa entro la fine di aprile.

    In sintesi, questo Nuovo Patto prevede una serie di riforme del sistema di gestione dei flussi migratori e della richiesta di protezione internazionale nel territorio dell’Unione Europea e, in particolare, raccoglie al suo interno dieci proposte di legge che vanno brutalmente a rafforzare l’approccio securitario della ormai consolidata “fortezza Europa”, costituita dalle 27 nazioni, sulle 43 + 7 dell’Europa geografica.

    È evidente che i tempi e i contenuti di questa mossa hanno chiare motivazioni elettoralistiche in vista delle elezioni Europee, con il riposizionamento dei vari partiti nazionali in funzione sia della propria affermazione locale che della futura riaggregazione in probabili inedite coalizioni. Infatti “il Patto” è stato approvato trasversalmente con 301 voti favorevoli, 269 contrari e 51 astensioni.

    La coalizione di centrodestra governativa guidata da Giorgia Meloni è risultata non omogenea, con lo spostamento di Fratelli d’Italia (attualmente all’opposizione in Europa) a favore e con la Lega che ha confermato il proprio voto contrario, probabilmente perché considera la linea adottata troppo moderata e poco sovranista.

    Con motivazioni opposte, si sono schierati contrari anche il PD (che è organico dell’attuale maggioranza in UE) e il Movimento 5 stelle.

    Si rincorrono i toni trionfalistici per la “decisione storica” presa, dipinta come “un enorme risultato per l’Europa”, “un solido quadro legislativo su come affrontare la migrazione e l’asilo nell’Unione europea” e per una fantomatica e propagandistica “vittoria italiana” sottolineata da Meloni, nonostante il tanto criticato Regolamento di Dublino (per cui è il paese di primo ingresso l’unico responsabile di esaminare le richieste di protezione internazionale e di gestire e trattenere al suo interno le persone migranti) sia stato di fatto rafforzato.

    Noi, in questa giornata buia per il diritto d’asilo europeo e per la libertà di movimento internazionale, vediamo solo un consolidamento di pratiche di violazione dei diritti umani, che sono già attuate e condivise da parecchio tempo, sia alle frontiere che nei territori degli Stati dell’Unione Europea, in vista di quello che si prospetta come un inasprimento e allargamento del conflitto mediorientale e di una sempre maggiore instabilità di tutta l’area del Sahel (testimoniato da 7 colpi di Stato in pochi anni e dalla guerra solo apparentemente interna in Sudan che continua nell’indifferenza generale) dove si stanno giocando gli interessi egemonici in Africa dei due blocchi politici ed economici contrapposti, con Stati Uniti e Francia su tutti da un lato, e paesi Brics (Russia, Cina, India, ecc.) dall’altro.

    Con l’Unione Europa dal peso politico inconsistente tra le due parti e i suoi Stati membri che si percepiscono (erroneamente) come meta di approdo per tutti i movimenti di fuga delle popolazioni, i confini esterni dell’Unione diventano in primis la rappresentazione materiale da blindare assolutamente a scopo preventivo.

    Di seguito, analizziamo nello specifico le nuove norme per noi più critiche e problematiche.
    1) Procedure accelerate e sommarie per la richiesta di protezione internazionale

    Il Nuovo Patto divide in maniera importante i percorsi di richiesta di protezione internazionale, con l’applicazione di una procedura accelerata e generalizzata basata soprattutto sulla provenienza geografica legata alla classificazione dei cosiddetti “Stati sicuri” e non sulla storia individuale delle persone.

    Il testo prevede che tali procedure accelerate – che dovrebbero durare al massimo 12 settimane – siano svoltedirettamente nelle zone di frontiera, con il trattenimento di migliaia di persone in centri di detenzione posizionati ai confini degli Stati dell’Unione Europea.

    Lo svolgimento dell’esame approssimativo delle richieste sulla base della nazionalità porterà quindi ad un aumento generalizzato delle espulsioni, limitando la possibilità di richiesta di asilo, in violazione del principio internazionale del non respingimento, ma anche, ad esempio, al diritto alle cure mediche e al ricongiungimento familiare.

    Il criterio basato sullo Stato di provenienza è già stato eccezionalmente usato per velocizzare l’ingresso e l’integrazione diffusa delle persone rifugiate ucraine – però limitato a donne, bambin* e anzian*. Tale applicazione, causata dal conflitto Russia-Ucraina, che evidentemente ci tocca da vicino sia per posizione geografica che etnica, ha però contestualmente escluso l’evacuazione di tutti gli altri “non bianchi” presenti in quel territorio per motivi di lavoro, di studio o in transito migratorio. Anche per questo motivo, utilizzare solamente il criterio di provenienza geografica di origine senza considerare le specificità delle persone nelle procedure accelerate è funzionale alla negazione dell’asilo, in quanto arbitraria e strumentale da parte degli Stati.
    2) Un nuovo regolamento di screening (ovvero l’esercizio della bio-politica)

    Le persone richiedenti asilo non possono scegliere se seguire una procedura tradizionale (che richiede molti mesi) o accelerata, ma vengono divisi e indirizzati in base al loro profilo, stilato attraverso un nuovo e uniforme regolamento di screening obbligatorio inserito nell’Eurodac, creando così una enorme banca dati comune: questa “procedura di frontiera” preliminare, da farsi entro 7 giorni dall’arrivo, comprende identificazione, raccolta dei dati biometrici, controlli sanitari e di sicurezza, controllo di eventuali trasferimenti e precedenti, il tutto a partire dai 6 anni di età. Questa procedura sarà adottata principalmente per le persone richiedenti asilo che per qualche motivo vengono considerati un “pericolo” per i paesi dell’Unione, per coloro che provengono dai paesi considerati “sicuri” e per chi proviene da paesi che, anche per altri motivi, hanno un tasso molto basso (sotto il 20 per cento) di domande d’asilo accolte.
    3) Introduzione del concetto di “finzione del non ingresso”

    Il patto introduce il concetto di “finzione giuridica di non ingresso”, secondo il quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri. Questo interessa in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna per gli sbarchi della rotta mediterranea, mentre sono più articolati “i confini” per la rotta balcanica. Durante le 12 settimane di attesa per l’esito della richiesta di asilo, le persone sono considerate legalmente “non presenti nel territorio dell’UE”, nonostante esse fisicamente lo siano (in centri di detenzione ai confini), non avranno un patrocinio legale gratuito per la pratica amministrativa e tempi brevissimi per il ricorso in caso di un primo diniego (e in quel caso rischiano anche di essere espulse durante l’attesa della decisione che li riguarda). In assenza di accordi con i paesi di origine (come nella maggioranza dei casi), le espulsioni avverranno verso i paesi di partenza.

    Tale concetto creadelle pericolose “zone grigie” in cui le persone in movimento, trattenute per la procedura accelerata di frontiera, non potranno muoversi sul territorio né tantomeno accedere a un supporto esterno. Tutto questo in spregio del diritto internazionale e della tutela della persona che, sulla carta, l’UE si propone(va) di difendere.
    4) L’istituzione di un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” e l’esternalizzazione dei confini

    All’interno di una narrazione in cui le persone in movimento sono un onere da cui gli Stati Europei cercano di sottrarsi, viene istituito un meccanismo di “accettazione obbligatoria” di ricollocamento e trasferimento delle persone migranti, ma solo in caso di non precisate impennate di arrivi. Gli Stati potranno però scegliere se “accettare” un certo numero di migranti o, in alternativa all’accoglienza, fornire supporto operativo al paese d’arrivo, inviando del personale o mezzi, oppure pagare una quota di 20mila euro per ogni richiedente che si rifiutano di accogliere, da versare in un fondo comune dell’Unione Europea.

    I soldi versati in questo fondo comune, oltre a poter essere redistribuiti tra i paesi di frontiera (come l’Italia), potranno essere utilizzati per sostenere e finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’UE» ossia paesi, come Libia e Tunisia da cui le persone migranti partono per raggiungere l’Europa.

    Un meccanismo disumanizzante e che trasforma le persone e le garanzie dei diritti umani in merci barattabili con un compenso economico destinabile a rafforzare i confini ancora più esternamente.

    Un ulteriore sviluppo è dato dalla delocalizzazione della zona di frontiera, attraverso la creazione di hotspot al di fuori dei confini nazionali, come nel caso dei futuri centri italiani in Albania.

    L’adozione di questo Nuovo Patto – non ancora definitivo, si ricorda – dimostra come i valori di accoglienza e “integrazione” e il diritto alla libertà di movimento, previsto dall’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, vengano sgretolati di fronte ad una sempre più marcata diffidenza, chiusura e difesa della sovranità nazionale.

    Con la recrudescenza dei nazionalismi negli Stati Europei e la loro incapacità di agire con una lungimiranza alternativa e una visione decolonializzata nello scacchiere geopolitico, la tutela degli individui e della dignità umana viene “semplicemente” sostituita da inquietanti concetti privi di senso legati alla purezza della nazione e dell’etnia e alla difesa, in modalità securitaria e repressiva, della patria e della tradizione, che si traducono in istituzionalizzazione e normalizzazione dell’agire violento ai confini della UE e in una crescente esternalizzazione della frontiera attraverso il respingimento delle persone razzializzate nell’ultimo Paese di partenza, con l’intento dichiarato di voler scoraggiare la mobilità verso l’Europa.

    https://www.meltingpot.org/2024/04/the-pact-kills-listituzionalizzazione-della-fine-del-diritto-dasilo-nell
    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #procédure_accélérée #pays_sûrs #rétention #frontières #rétention_aux_frontières #screening #Eurodac #procédure_de_frontière #biométrie #fiction_juridique #zones_frontalières #solidarité_obligatoire #externalisation #relocalisation

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    ajouté à la métaliste sur #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    ajouté à la métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

  • #02_février_2024 : Droits des personnes exilées aux #frontières_intérieures : le gouvernement sommé de revoir sa copie

    Le #Conseil_d’État vient de rendre sa décision, ce 02 février 2024, sur le régime juridique appliqué aux frontières intérieures depuis 2015 après que la #Cour_de_justice_de_l’Union_européenne (#CJUE) a, dans un arrêt du #21_septembre_2023, interprété le droit de l’Union.

    Conformément aux demandes des associations, le Conseil d’État annule l’article du #Ceseda qui permettait d’opposer des #refus_d’entrée en toutes circonstances et sans aucune distinction dans le cadre du rétablissement des contrôles aux frontières intérieures.

    Surtout, suivant son rapporteur public, le Conseil d’État souligne qu’il appartient au législateur de définir les règles applicables à la situation des personnes que les services de police entendent renvoyer vers un État membre de l’#espace_Schengen avec lequel la France a conclu un #accord_de_réadmission – entre autres, l’#Italie et l’#Espagne.

    Après huit ans de batailles juridiques, le Conseil d’État met enfin un terme aux pratiques illégales des forces de l’ordre, notamment en ce qui concerne l’#enfermement des personnes hors de tout cadre légal et au mépris de leurs droits élémentaires à la frontière franco-italienne. Le Conseil constate que leur sont notamment applicables les dispositions du Ceseda relatives à la retenue et à la rétention qui offrent un cadre et des garanties minimales. Enfin, il rappelle l’obligation de respecter le #droit_d’asile.

    Nos associations se félicitent de cette décision et entendent qu’elle soit immédiatement appliquée par l’administration.

    Elles veilleront à ce que les #droits_fondamentaux des personnes exilées se présentant aux frontières intérieures, notamment aux frontières avec l’Italie et l’Espagne, soient enfin respectés.

    Organisations signataires :
    ADDE
    Alliance DEDF
    Anafé
    Collectif Agir
    Emmaüs Roya
    Gisti
    Groupe accueil et solidarité
    La Cimade
    Ligue des droits de l’Homme
    Roya Citoyenne
    Syndicat des avocats de France
    Syndicat de la magistrature
    Tous migrants
    Welcome Pays d’Aix

    http://www.anafe.org/spip.php?article710
    #France #justice #02.02.2024 #contrôles_frontaliers #contrôles_systématiques_aux_Frontieres #frontière_sud-alpine #Alpes_Maritimes

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    sur la décision de la CJUE du 21 septembre 2023 :
    https://seenthis.net/messages/1026361

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    ajouté à la métaliste autour de la situation des exilés dans les #Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/733721

    • 3) Quels effets de l’arrêt du 2 février Conseil d’État sur la frontière franco-italienne ?

      Le 2 février dernier, le Conseil d’État publiait un arrêt s’opposant aux pratiques de remises de refus d’entrée systématiques aux personnes exilées interpellées à la frontière. Cette décision supprimait l’article du CESEDA (Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile) qui permettait d’opposer des refus d’entrée en toutes circonstances et sans aucune distinction en cas de rétablissement des contrôles aux frontières intérieures (voir le communiqué de presse inter-associatif ici).

      Dans la foulée, nous avons observé un changement de pratiques à la PAF de Montgenèvre : les personnes interpellées sont placées en retenue administrative pour vérification d’identité ou de droit au séjour (maximum 24 heures). Les personnes qui souhaitent demander l’asile en France ressortent libre du poste de police pour aller déposer leur demande sur le territoire. Nous constatons des pratiques très hétérogènes en matière de procédures : les retenues observées vont de quelques minutes à plus de 23h30, et des personnes ont témoigné avoir fait une demande d’asile sans que cela ne soit pris en compte.

      Cette décision met-elle un terme définitif aux refoulements en Italie ? Non. Car toutes les personnes qui ne relèvent pas du droit d’asile sont refoulées à #Oulx sous une procédure de réadmission, certes plus encadrée qu’une simple décision de refus d’entrée, mais qui pose les mêmes problèmes en matière d’accès aux droits. Durant la retenue administrative, les personnes devraient pouvoir bénéficier d’un interprète, d’un avocat, avoir la possibilité de prévenir une personne de leur choix, et enfin, la possibilité de former un recours contre la décision préfectorale de réadmission en Italie. Nos premières observations montrent que ces droits ne sont pas systématiquement effectifs.

      Si les procédures de non-admission ont évolué, rien n’a changé concernant les pratiques de contrôles ciblés et discriminatoire, avec un dispositif important de gendarmes mobiles postés tout autour de la frontière. Par ailleurs, le dispositif de contrôle de la frontière est renforcé depuis début 2024 avec de nouveaux moyens matériels et humains mis à disposition de la PAF sur décision de la Préfecture. Neuf policiers adjoints ont été recrutés et seront affectés dans le département dès avril 2024, et notamment en renfort de la PAF. Un nouveau 4x4 ainsi qu’une seconde motoneige viennent également compléter le dispositif.

      Pour approfondir le sujet, vous pouvez regarder la rediffusion de cette formation/décryptage par l’Anafé (Association nationale d’assistance aux frtontières pour les étrangers) qui revient plus généralement sur les conséquences de l’arrêt de la CJUE (du 21 septembre) et du conseil d’État (du 2 février) sur les frontières intérieures :
      https://www.youtube.com/watch?v=DJevj85dM2Q

      https://tousmigrants.weebly.com/mars--avril.html

    • Quel effet de l’#arrêt du 2 février du Conseil d’Etat sur la frontière franco-italienne ?

      Le 2 février dernier, le Conseil d’État publiait un arrêt s’opposant aux pratiques de remises de refus d’entrée systématiques aux personnes exilées interpellées à la frontière. Cette décision supprimait l’article du CESEDA qui permettait d’opposer des refus d’entrée en toutes circonstances et sans aucune distinction en cas de rétablissement des contrôles aux frontières intérieures (voir le communiqué de presse inter-associatif ici).

      Dans la foulée, nous avons observé un changement de pratiques à la #PAF de #Montgenèvre : les personnes interpellées sont placées en #retenue_administrative pour vérification d’identité ou de droit au séjour (maximum 24 heures). Les personnes qui souhaitent demander l’asile en France ressortent libres du poste de police pour aller déposer leur demande sur le territoire. Nous constatons des pratiques très hétérogènes en matière de procédures : les retenues observées vont de quelques minutes à plus de 23h30, et des personnes ont témoigné avoir fait une demande d’asile sans que cela ne soit pris en compte.

      Mailing-list de Tous Migrants, 18.04.2024

  • Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

    –-

    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • #Etats-Unis : #Harvard, #Yale et #Berkeley décident de se retirer du prestigieux #classement des facultés de droit

    Trois grandes #universités américaines ont annoncé quitter la liste des meilleures facultés de droit, invoquant une méthodologie qui dissuaderait notamment des milliers d’étudiants de postuler à cause des frais de scolarité trop élevés.

    Trop cher et élitiste l’enseignement supérieur aux Etats-Unis ? Deux de ses principaux piliers, les universités de Harvard et Yale, appartenant à l’Ivy League (groupe réunissant les huit établissements privés américains les plus prestigieux), semblent en prendre soudainement conscience. Jeudi, elles ont annoncé leur décision de se retirer du classement annuel des meilleures facultés de droit, publié dans le magazine US News & World Report. Vendredi, c’était au tour de l’université de Berkeley de se joindre à elles. En cause ? Une méthodologie qui ne prend pas en compte le droit d’intérêt général (droit pro bono, emplois dans des organismes à but non lucratif…) et dissuade les étudiants les plus démunis de postuler dans ces cursus aux frais de scolarité élevés. Des effets pervers qui semble leur sauter soudain aux yeux après presque trente ans de présence dans cette liste.

    Le classement est important aux yeux des étudiants mais aussi des employeurs, qui se basent chaque année sur le US News & World Report. Il prend en compte plusieurs paramètres tels que la vie étudiante, la qualité des programmes des établissements, les frais de scolarité, la réputation, les notes des étudiants et des résultats au Law School Admission Test (le concours d’admission à la faculté de droit), les taux de réussite au barreau et d’insertion professionnelle. L’obtention d’un diplôme dans l’une des universités les mieux classées ouvre ainsi les portes à des stages prestigieux et des emplois d’associés très bien rémunérés dans de grands cabinets d’avocats.
    Un classement « profondément défectueux »

    Néanmoins, US News & World Report dissuaderait des milliers d’étudiants qui n’ont pas les moyens de s’inscrire à de grandes universités aux frais de scolarité astronomiques. Heather Gerken, la doyenne de la faculté de droit de Yale, explique dans une déclaration publiée mercredi sur le site de l’université que ce classement serait « profondément défectueux et découragerait les étudiants de la classe ouvrière ». Un avis partagé par son homologue de Berkeley, Erwin Chemerinsky. Le classement inciterait les écoles à accepter les candidatures d’étudiants aux revenus élevés qui n’ont pas besoin d’emprunt bancaire pour financer leur cursus.

    « En raison de l’importance accordée à la sélectivité, et plus particulièrement aux résultats au concours d’admission et à la moyenne générale des étudiants admis, les écoles sont incitées à refuser des étudiants prometteurs qui n’ont peut-être pas les ressources nécessaires pour participer à des cours de préparation aux examens », a déclaré Heather Gerken. Les écoles sont ainsi encouragées à attirer les étudiants les mieux notés avec des bourses au mérite plutôt de cibler des bourses pour ceux qui ont le plus besoin d’une aide financière, comme les étudiants qui sont issus de familles de la classe moyenne ou ouvrière.

    Après cette annonce qui a eu l’effet d’une bombe dans le monde de l’enseignement supérieur, d’autres établissements se demandent maintenant s’il ne serait pas temps de se retirer aussi de ce classement. Le doyen de l’université de Pennsylvanie, également membre de l’Ivy League, a indiqué vouloir « évaluer ce problème et évaluer un processus avant de prendre [une] décision. ».
    50 000 dollars de frais par an

    Ce n’est pas la première fois que le sujet des frais de scolarités est abordé aux Etats-Unis. Le démocrate Bernie Sanders, sénateur du Vermont, plaide depuis dès années pour la gratuité des frais de scolarité en master. Selon US News Data, les frais auraient augmenté de 4 % dans les universités privées, comparé à l’année dernière. En moyenne, les frais de scolarité s’élèveraient à près de 50 000 dollars par an (pareil en euros) pour les étudiants qui fréquentent les plus grandes facultés de droit privé, sans compter toutes les dépenses faites pour les livres et le logement. A Harvard, c’est plus de 70 000 dollars ; 69 000 pour Yale et Berkeley.

    En 2017, Sanders, ainsi que plusieurs de ses collègues, ont présenté au Congrès le plan « College for All », une législation qui rendrait entre autres l’enseignement supérieur gratuit pour des millions de personnes. Malgré le soutien de plusieurs associations, la proposition de loi n’a pas encore abouti. La décision de Harvard, Yale et Berkeley pourrait relancer le débat.

    https://www.liberation.fr/international/amerique/etats-unis-harvard-yale-et-berkeley-decident-de-se-retirer-du-prestigieux
    #ranking #USA #retrait #abandon #université #ESR

    • University of Zurich withdraws from international university ranking

      The University of Zurich is withdrawing from the university ranking published by the #Times_Higher_Education magazine. The ranking creates false incentives, the university announced on Wednesday.

      According to the Swiss university, rankings often focus on measurable output, creating an incentive to increase the number of publications rather than prioritise the quality of content.

      The university added that rankings also suggest that they comprehensively measure the university’s diverse achievements in research and teaching. The University of Zurich will therefore no longer provide data to the ranking.

      In the last ranking for 2024 published in September 2023, the University of Zurich was ranked 80th among the world’s best universities.

      https://www.swissinfo.ch/eng/education/university-of-zurich-quits-international-university-ranking/73693006
      #Suisse #Zurich #université_de_Zurich

    • Why UU is missing in the THE ranking

      You may have heard: Utrecht University has not been included in the Times Higher Education (THE) World University Ranking 2024.
      Too much stress on competition

      UU has chosen not to submit data. A conscious choice:

      – Rankings put too much stress on scoring and competition, while we want to focus on collaboration and open science.
      – In addition, it is almost impossible to capture the quality of an entire university with all the different courses and disciplines in one number.
      – Also, the makers of the rankings use data and methods that are highly questionable, research shows. For example, universities have to spend a lot of time providing the right information.

      What are further reasons for not participating? How are other universities dealing with this? And what is the position of university association UNL? DUB wrote an informative article (Dutch). UNL shared this position earlier as well as an advisory report
      external link
      (pdf, Dutch) to deal responsibly with rankings. In addition, AD wrote the article ’Utrecht University no longer appears in world rankings and this is why’ (Dutch, paywall).
      Sticking together

      It is important that universities - more so than now - join forces when it comes to dealing responsibly with rankings (in line with the aforementioned advice from UNL). We advise students to mainly compare the content and nature of programmes and researchers to look at the nature and quality of research programmes.

      https://www.uu.nl/en/news/why-uu-is-missing-in-the-the-ranking
      #Utrecht

  • #8bitdo’s New Mechanical Keyboard is the Geekiest Yet
    https://www.omgubuntu.co.uk/2024/03/8bitdo-commodore-64-keyboard-is-geektastic

    8BitDo, makers of retro-themed gaming goods, have unveiled their latest nostalgia-indulging mechanical PC keyboard — and fair warning: it’s way nerdier than their NES-inspired one. The new edition is sure to press all the right buttons for geeks of a certain age as it pays visual homage to one of the most iconic home computers of all time. Yes, the indomitable Commodore 64 — a ‘bread-bin’-sized home computer packed into a keyboard. The 8-bit machine launched in 1982 and was the first affordable and accessible computer for the masses. An immediate hit, the Commodore 64 went on to sell an […] You’re reading 8BitDo’s New Mechanical Keyboard is the Geekiest Yet, a blog post from OMG! Ubuntu. Do not reproduce elsewhere without (...)

    #Hardware #News #keyboards #retro_gaming

  • Côte d’Ivoire : plus de 150 000 euros distribués à des migrants rentrés au pays - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55980/cote-divoire--plus-de-150-000-euros-distribues-a-des-migrants-rentres-

    Côte d’Ivoire : plus de 150 000 euros distribués à des migrants rentrés au pays
    Par Marlène Panara Publié le : 22/03/2024
    Quatre-vingt-seize exilés ivoiriens rentrés dans le pays ont reçu un chèque d’environ 1 500 euros chacun, de la part des autorités. Objectif de cette aide ? Faciliter leur réinsertion dans la société, un processus qui s’avère souvent long et difficile.
    Plus de 150 000 euros distribués, environ 98 millions de francs CFA. C’est le montant total de l’enveloppe allouée au gouvernement ivoirien à 96 migrants, dont 28 femmes, de retour dans le pays. Les quelques 1 500 euros reçus par chacun des exilés prennent la forme d’un prêt remboursable sur deux ans, afin « de les accompagner dans leur parcours d’insertion professionnelle », a indiqué le ministre de la Promotion de la Jeunesse, de l’Insertion professionnelle et du Service civique, Mamadou Touré.
    C’est lui qui a remis leur chèque aux exilés bénéficiaires mercredi 20 mars dans le quartier du Plateau à Abidjan, en compagnie de Wautabona Ouattara, ministre délégué chargé de l’Intégration africaine et des Ivoiriens de l’Extérieur. Le partenaire financier du programme Orange Bank était aussi présent.Les secteurs d’activité des migrants de retour sont le commerce (50 projets), les services (19), l’élevage (15), l’artisanat (cinq), la restauration (quatre), le transport (deux) et l’agriculture (un), affirme un communiqué du ministère de la Promotion de la jeunesse. (...)
    Durant la distribution, Mamadou Touré a par ailleurs invité les bénéficiaires à « être des ambassadeurs de la Côte d’Ivoire dans la campagne de sensibilisation contre l’immigration irrégulière » et à faire comprendre aux jeunes qu’il existe des dispositifs d’insertion professionnelle pour eux.En 2023, 150 personnes rentrées en Côte d’ivoire ont bénéficié de ce même programme, d’un montant total cette année-là de 143,8 millions de francs CFA, soit environ 218 000 euros.Parmi les candidats à l’exil qui empruntent chaque année les routes migratoires menant à l’Europe, nombreux sont les citoyens ivoiriens. En 2023, sur les 157 000 migrants débarqués en Italie, 16 000 étaient Ivoiriens. Soit la troisième nationalité représentée, derrière la Guinée et la Tunisie. En octobre 2023, l’agence européenne de surveillance des frontières extérieures Frontex comptabilisait 14 000 Ivoiriens arrivés de manière irrégulière en Europe, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), 12 500.
    Des chiffres que conteste le gouvernement ivoirien. Après la publication de ces données, le ministre ivoirien de l’intérieur Vagondo Diomandé s’était offusqué « d’une situation qui tend à ternir l’image de notre pays » et avait contredit les chiffres donnés par les deux agences. Selon lui, beaucoup de migrants se diraient Ivoiriens mais seraient en réalité originaires d’un autre pays.
    Pour inciter ses ressortissants à rentrer au pays, les autorités ont, il n’empêche, lancé divers programmes d’aide à la réinsertion économique et sociale, en partenariat avec l’OIM. En 2023, plus de 1 700 Ivoiriens - poussés notamment par les attaques anti-Noirs en Tunisie - sont revenus chez eux, un record depuis 2013. Et près de 800 ont demandé l’aide proposée par l’État. Mais beaucoup attendent encore de toucher ces sommes d’argent.
    Pour pallier les carences de l’État, des ONG tentent d’aider les migrants, souvent traumatisés par un passage en Libye ou une traversée périlleuse de la Méditerranée. L’Association pour la réinsertion des migrants de retour en Côte d’Ivoire (Arm-ci), basée à Abidjan, aide par exemple les exilés à « réintégrer le tissu social », avait assuré à InfoMigrants Boniface N’Groma, son fondateur. D’abord en leur permettant de gagner leur indépendance financière, car beaucoup de migrants de retour doivent rembourser des personnes qui leur ont prêté de l’argent pour leur voyage. Puis en leur apportant un soutien psychologique, indispensable à leur réinsertion. « Une fois rentrés, par honte, beaucoup se cachent et ne préviennent pas leurs parents, avait confié Florentine Djiro, présidente du Réseau africain de lutte contre l’immigration clandestine (Realic). Le regard de la famille et de l’entourage sur eux est très dur. Dans certaines zones du pays, ces migrants de retour, on les appelle ‘les maudits’ ».

    #Covid-19#migrant#migration#cotedivoire#retour#rapatriement#OIM#jeunesse#ONG#reinsertion#sante#emploi

  • Appel à mobilisation suite à l’arrestation de membres de la communauté #Emmaus_Roya

    On partage cet appel venant d’#Emmaüs Roya

    Appel à mobilisation pour aujourd’hui 18h devant toutes les préfectures, de la part d’Emmaüs Roya :

    ****

    APPEL A MOBILISATION

    Hier, mercredi 20 mars 2024, un véhicule de #gendarmes_mobiles commence à suivre le véhicule de notre association Emmaüs Roya sur la route nationale entre Breil et Saorge, Alpes Maritimes. La camionnette transportait 3 compagnons Emmaüs, un des salariés (Cédric Herrou), 2 bénévoles et leur chien. L’équipe se rendait sur l’un des terrains agricoles de la communauté pour préparer la saison de maraîchage.

    Les gendarmes ont arrêté le véhicule et procédé à un #contrôle_d’identité. Ce contrôle d’identité semble n’avoir aucun autre fondement juridique que le contrôle au faciès et la volonté d’intimidation : la Préfecture du 06 s’emmêle dans sa communication officielle, clamant tantôt un simple contrôle routier, tantôt la lutte contre l’immigration clandestine.

    D’autres véhicules de gendarmes mobiles rejoignent le contrôle, à la fin il y a 4 véhicules de #gendarmerie pour 6 personnes interpellées. Après plus de 30mn d’immobilisation, les gendarmes reçoivent l’ordre de menotter tout le monde et de les embarquer à la caserne d’Auvarre à Nice.

    Cet épisode a lieu 10 jours après que nous ayons dénoncé des contrôles d’identité opérés illégalement par des Sentinelles. Un référé suspension contre ces pratiques irrégulières allait être déposé hier au Tribunal Administratif.

    Jusqu’à 17h nous ne savions pas quelle procédure était en cours. Nous apprenons enfin que #Cédric_Herrou a été placé en garde à vue pour « aide à la circulation irrégulière d’étrangers en France » d’après la police.

    Nous rappelons que le Conseil Constitutionnel a affirmé le 6 juillet 2018 que la fraternité avait une valeur Constitutionnelle et à ce titre, supprimait le délit d’aide à la circulation.

    Le compagnon français et les 2 bénévoles belges ont été relâché vers 19h.

    A l’heure actuelle 2 compagnons étrangers sont encore en rétenue administrative. Ils ont été emmenés au LRA (local de #rétention_administrative) de l’aéroport de Nice. A 14h20, cela fera 24h qu’ils auront été arrêtés : la Préfecture devra alors décider entre les libérer ou les placer en rétention administrative.

    Si à 14h les compagnons n’ont pas été libérés, nous appelons tous les groupes Emmaüs et autres structures qui voudraient nous soutenir à manifester physiquement leur soutien devant leur Préfecture de département, ce soir jeudi 21 mars à 18h. Camions, banderoles, casseroles, tout est bon pour hausser le ton.

    Ce contrôle aurait pu se passer n’importe où, frontière ou non, situation irrégulière ou non. Tous les jours des compagnons, et non compagnons, des simples gens sont contrôlés et arrêtés, seulement car ils ne possèdent pas les bons papiers. Tous les jours des associations connaissent des #intimidations ou des #pressions. Et plus grave encore. Les Préfectures ont de plus en plus tendance à confondre militance et délinquance.

    Et la situation ne risque pas de s’améliorer. On veut nous écraser, nous faire taire. La défense des sans-voix, des laissés-pour-compte sera toujours notre priorité.

    Toucher un compagnon c’est toucher à tous les compagnons. C’est toucher à tous les précaires, les rebuts de la société, ceux qu’on ne veut surtout pas voir et encore moins entendre.

    Réveillons nous, ne nous laissons pas marcher dessus. 10cm de liberté perdus, des années de lutte pour les retrouver. Comme disait l’abbé Pierre notre devoir est d‘ »empêcher les puissants de dormir« , bien que les puissants deviennent de plus en plus puissants et les sans-voix de plus en plus invisibles.

    Merci de votre soutien, et de faire tourner

    L’équipe d’Emmaüs Roya

    https://voieslibresdrome.wordpress.com/2024/03/21/appel-a-mobilisation-suite-a-larrestation-de-membres-de-

    #frontière_sud-alpine #arrestations #Roya #Vallée_de_la_Roya #Alpes_Maritimes #détention_administrative #rétention #garde_à_vue #sans-papiers #opération_Sentinelles

    via @karine4

    • Cédric Herrou : « Je viens de faire 22 heures de garde à vue parce que je suis un opposant politique »

      Le militant a été placé en garde à vue mercredi 20 mars, et deux compagnons d’Emmaüs-Roya en retenue administrative, après un contrôle routier. Tous trois ont été relâchés jeudi midi. La préfecture des Alpes-Maritimes assume, le ministère de l’intérieur garde le silence.

      IlIl a d’abord signalé un nouveau « petit contrôle au faciès » dans une vidéo postée sur le réseau social X. Cédric Herrou n’imaginait sans doute pas qu’il serait interpellé, en plus des hommes qui l’accompagnaient en voiture pour se rendre sur leur lieu de travail, mercredi 20 mars, en début d’après-midi. Les gendarmes mobiles ont profité d’un contrôle routier pour constater que certains des compagnons, membres de la communauté Emmaüs-Roya, étaient en situation irrégulière.

      Ces derniers, l’un de nationalité gambienne, l’autre mauritanienne, ont été placés en retenue administrative, tandis que l’agriculteur, déjà connu pour son combat pour le principe de fraternité consacré par le Conseil constitutionnel, a été placé en garde à vue, pour « aide à la circulation d’étrangers en France ». « J’ai senti les policiers un peu embêtés, et c’est normal puisque ce n’est plus un délit à partir du moment où il n’y a pas de contrepartie financière », souligne Cédric Herrou. Tous trois ont été relâchés jeudi 21 mars, à midi.

      Au moment de l’interpellation, raconte Cédric Herrou, les gendarmes lui « ont mis les menottes ». « Je leur ai demandé le motif de l’interpellation, et si j’étais placé en garde à vue. Mais on m’a notifié mes droits 3 h 30 après ma privation de liberté. » Le préfet des Alpes-Maritimes a affirmé que Cédric Herrou aurait refusé de présenter les documents du véhicule. « C’est faux, rétorque l’agriculteur. Les gendarmes nous ont suivis, et c’est parce qu’il y avait des Noirs dans la voiture. Je viens de faire 22 heures de garde à vue parce que je suis un opposant politique. Et dans un pays comme la France, cela interroge la notion d’État de droit. »

      À l’été 2023, Mediapart était allé à la rencontre d’Emmaüs-Roya et avait raconté la genèse de ce projet mêlant agriculture et social – une première en France. La communauté permet depuis sa création d’approvisionner toute la vallée de la Roya en produits locaux et bio, et a convaincu, à force de travail acharné et de pédagogie, les plus réfractaires à la présence de personnes étrangères. C’est la première fois que les forces de l’ordre et les autorités s’en prennent ainsi à la communauté Emmaüs.

      Dans la soirée de mercredi, le préfet des Alpes-Maritimes a choisi de communiquer sur X, confirmant l’interpellation de Cédric Herrou par des gendarmes mobiles dans le cadre d’un contrôle routier. « L’infraction routière retenue à son encontre et le refus de fournir les documents afférents à la conduite du véhicule ont entraîné l’immobilisation du véhicule. La présence à bord de passagers en situation irrégulière a conduit au placement en garde à vue de M. Cédric Herrou et au placement en retenue administrative des passagers », a-t-il poursuvi.

      Sollicité à plusieurs reprises, le ministère de l’intérieur a préféré garder le silence.
      « L’épine dans le pied de la préfecture »

      « On a l’impression que c’est lié aux dénonciations qu’on a faites il y a dix jours », explique Marion Gachet, cofondatrice de la communauté, en référence à une vidéo publiée sur les réseaux sociaux montrant des militaires de l’opération Sentinelle effectuer un contrôle d’identité sur l’un des compagnons de la communauté, un contrôle « illégal » (ces derniers ne sont pas habilités à contrôler l’identité des citoyen·nes) et « au faciès » (la personne était noire), comme l’a souligné Cédric Herrou au moment des faits.

      Filmée, la scène a suscité l’indignation et a été reprise dans de nombreux médias. Cédric Herrou avait constaté ces pratiques illégales des mois plus tôt, notamment dans les trains circulant à la frontière franco-italienne ou dans les gares. Il avait déjà publié une vidéo, devenue virale, en novembre 2023 ; et un communiqué interassociatif était venu condamner ce type de pratique.

      « Des policiers m’ont dit que j’étais l’épine dans le pied de la préfecture. Je sais que tout ça fait suite au référé-suspension que j’ai déposé en justice pour mettre fin au contrôles d’identité effectués par les [soldats de] Sentinelle dans la région », confie Cédric Herrou.

      Mercredi 20 mars, les forces de l’ordre suivaient la voiture depuis quelques minutes, rapporte Marion Gachet, « comme [si elles] l’avaient repérée et attendaient de pouvoir intervenir ». « Dans le PV d’interpellation, il est écrit que les gendarmes ont suivi le véhicule de l’association depuis la gare, et l’ont contrôlé parce que l’un des feux arrière était cassé. »

      Par la suite, les motifs du contrôle et de l’interpellation ont évolué : d’abord présentée comme un simple contrôle routier, l’action s’est vite inscrite dans le cadre d’une « mission de lutte contre l’immigration clandestine », comme l’a affirmé le cabinet du préfet lui-même à France 3-Côte d’Azur.

      Deux bénévoles et un membre de la communauté de nationalité française, également présents dans le véhicule, ont d’ailleurs été relâchés en fin de journée, mercredi. Se voulant rassurant, Cédric Herrou affirme ne pas se décourager. « Au contraire, ça me rebooste. Pour les compagnons, c’est plus embêtant. Mais ils vont bien, ils appartiennent à une lutte, on est un peu une famille et ils savent qu’on sera toujours là. »

      Cédric Herrou et Marion Gachet invitent le préfet des Alpes-Maritimes à venir les rencontrer : « On dénonce des irrégularités parce qu’on est pour le respect du droit. Mais on est aussi dans une volonté de discussion et d’apaisement, on n’est pas là pour faire la guerre au préfet et il n’y a aucun intérêt à avoir de telles tensions, ni pour Emmaüs-Roya, ni pour la commune de Breil-sur-Roya, ni pour les autorités. »
      « Préfet bulldozer »

      Jusque-là, poursuit Marion Gachet, les membres de la communauté entretenaient « de très bonnes relations » avec la préfecture des Alpes-Maritimes. Mais, depuis l’arrivée du préfet Hugues Moutouh en septembre 2023, cette bonne entente s’est étiolée, regrette-t-elle. « Là, on a vraiment le sentiment qu’il se venge. » Le préfet est connu pour ses prises de position et de parole prônant la discrimination, comme lorsqu’il a déclaré, alors préfet de l’Hérault, que « les SDF étrangers n’étaient pas les bienvenus ».

      Surnommé « préfet bulldozer », il avait aussi réservé une interpellation surprise à plusieurs sans-papiers venus de Paris, dès la sortie du train, alors qu’ils devaient manifester à l’occasion du sommet France-Afrique organisé à Montpellier en octobre 2021 – manifestation déclarée aux autorités en amont. Plusieurs d’entre eux avaient fait l’objet d’une obligation de quitter le territoire français (OQTF), doublée d’une interdiction de retour sur le territoire français (IRTF).

      Ces dernières années, la militarisation de la frontière lancée par les autorités, avec pour seul objectif de la rendre hermétique – sans toutefois y parvenir –, a contribué à un renforcement des contrôles sans précédent, dans les cols de montagne, sur les routes, dans les gares… Mais ces contrôles mènent surtout à des refoulements en cascade (soit des renvois côté italien), sans empêcher concrètement les personnes exilées d’entrer en France au bout de plusieurs tentatives infructueuses, comme ont pu le documenter les associations présentes dans la région.

      Les associations d’aide aux exilé·es n’ont cessé d’alerter sur les effets de la militarisation de la frontière, qui conduit par ailleurs à l’enfermement de femmes, hommes et enfants dans des lieux sans véritable statut juridique (comme des préfabriqués) et pousse les personnes en migration à prendre toujours plus de risques pour éviter les contrôles. L’histoire de Blessing Matthew, une jeune Nigériane retrouvée morte dans la Durance, après avoir franchi la frontière avec deux camarades et avoir été poursuivie par les gendarmes, en est l’illustration.

      Dans une décision rendue le 2 février 2024, le Conseil d’État a annulé l’article du Ceseda (Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile) « qui permettait d’opposer des refus d’entrée en toutes circonstances et sans aucune distinction dans le cadre du rétablissement des contrôles aux frontières intérieures » et a enjoint à la France de respecter le droit d’asile, comme l’explique l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers, qui a suivi le dossier de près.

      Le 16 mars, l’association Tous migrants organisait une « grande maraude solidaire » pour dénoncer les « politiques d’invisibilisation » du sort réservé aux exilé·es et la « militarisation des frontières françaises dans le contexte de durcissement des politiques migratoires et de la loi Darmanin ».

      https://www.mediapart.fr/journal/france/210324/cedric-herrou-je-viens-de-faire-22-heures-de-garde-vue-parce-que-je-suis-u

  • Suisse. Après le OUI à la 13e rente amplifier la mobilisation sociale et syndicale pour les retraites et l’assurance maladie !

    L’initiative pour une 13e rente AVS a été largement acceptée en votation populaire le 3 mars. Elle garantit une augmentation de toutes les rentes AVS de 8,3% dès 2026. C’est la première fois depuis les années 1970 que les rentes AVS sont augmentées pour toutes et tous [1]. C’est la première fois, depuis que le droit d’initiative existe, qu’une proposition des syndicats pour un renforcement d’une assurance sociale passe la rampe. Le OUI à la 13e rente le 3 mars 2024 constitue donc réellement un succès d’importance.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/03/10/suisse-apres-le-oui-a-la-13e-rente-amplifier-l

    #suisse #retraite

  • The (many) costs of border control

    I have recently finished writing up a four-year study of the UK immigration detainee escorting system. This fully outsourced form of border control has not been the subject of academic inquiry before. While there is a growing body of work on deportation, few people have studied the process and its organisation in person, while sites of short-term detention have similarly been overlooked.

    The escorting contract is run as two separate businesses: ‘in-country’, known (confusingly for those more familiar with the US) as ICE, and Overseas, also referenced as OSE. ICE includes 31 sites of short-term immigration detention, many of which are in ports and airports including four in Northern France around Calais and Dunkirk, and a fleet of secure vans and vehicle bases. Overseas officers enforce removals and deportations. While staff may be cross deployed for ‘operational needs’, and some people do move from one part to another over the course of their careers, ICE and OSE are managed separately and staff in each tend to view themselves as distinct from colleagues working for the other.

    The study took many years to arrange and then was severely disrupted by the COVID-19 pandemic. It was one of the most taxing pieces of research I have ever done, and I am still recovering from it. A book about the project is currently in press and should be out later this year, with Princeton University Press. Here I explore some of the ‘costs’ of this system; in financial terms, in its impact on those employed within it, and on their communities. All these matters occur in the context of the impact of the system of those subject to it, as they are denied entry and forced to leave. As a researcher, I was also adversely affected by studying this system, but I shall leave reflections on that to a different piece.

    The current ten-year contract was awarded to Mitie, Care & Custody, in December 2017 at an estimated cost to the public of £525 million. Previous incumbents included Tascor, (part of the Capita group) and G4S. Like those competitors, Mitie holds many other contracts for a variety of public and private organisations. In their 2023 annual report, ‘Business Services’ (29%, £1172m) and ‘Technical’ Services (29% £1154m) provided the lion’s share of the company’s income, followed by ‘Central Government and Defence’ (20%, £828m). Profits generated by ‘Care & Custody’, which includes those generated by three immigration removal centres (Harmondsworth, Colnbrook and Derwentside) that are run under a different set of legal and financial arrangements, were not listed separately. Instead, they formed part of a general category of ‘Specialist Services’ made up of three other businesses areas: ‘Landscapes’, ‘Waste Management’ and, rather incongruously, ‘Spain’. Together, these four sets of contracts constituted just 10% of the company’s revenue (£411m) that year.

    The precise agreement that the Home Office signed for the services Mitie provides is hidden, like all contracts, under the veil of corporate confidentiality. But some information is available. The escorting contract, for instance, is subject to what is known as a ‘cap and collar’. This financial arrangement, which is designed to reduce exposure to financial risk for both parties, meant that during the pandemic, when the borders closed and the numbers detained in immigration removal centres dropped, that the company did not lose money. Despite detaining or deporting very few people, the collar ensured that staff continued to be paid as normal. Similarly, the cap means that Mitie is restricted in the additional costs they demand from the Home Office. The internal transportation of people under immigration act powers, for example, is paid for by ‘volume’, i.e. by the number of people moved within a daily requirement. Any additional movements that are requested that above that level generates profit for the company, but only within a set parameter.

    The cap and collar does not entirely protect Mitie from losing money. The contract includes a range of ‘service credits’, ie fines, which are applied by the Home office for cancellations, delays, injuries, and, escapes. The Home Office is also subject to small fines if they cancel a request without sufficient time for Mitie to redeploy the staff who had been assigned to the work.

    While a missed collection time (eg a person detained at a police station, who must be taken to an immigration removal centre) may incur Mitie a fine of £100, a delayed deportation would result in a fine ten times that sum, and a death ten times more again. These economic penalties form the basis of regular discussions between Mitie and the Home Office, as each side seeks to evade financial responsibility. They also shape the decisions of administrative staff who distribute detained people and the staff moving them, around the country and across the world. It is better to risk a £100 fine than a £1000 one.

    For staff, border control can also be considered in financial terms. This is not a particularly high paying job, even though salaries increased over the research period: they now hover around £30,000 for those employed to force people out of the country, and somewhat less for those who work in Short-term holding facilities. There is also, as with much UK employment, a north-south divide. A recent job ad for a post at Swinderby Residential Short-Term Holding Facility listed a salary of £26,520.54 for 42 hours a week; for two hours less work per week, a person could go to work in the nearby Vehicle base at Swinderby and earn £25,257.65. Down in Gatwick, the same kind of job in a vehicle base was advertised at £28,564.63. Both sums are well below the mean or median average salary for UK workers, which stand at £33,402 and £33,000 respectively. As a comparison, the salary for starting level prison officers, on band 3, is £32, 851, for fewer weekly hours.

    Under these conditions, it is not surprising to find that staff everywhere complained about their pay. Many struggled to make ends meet. As might be expected, there was a generational divide; unlike their older colleagues who were able to obtain a mortgage on their salary, younger people were often stuck either in the rental market or at home with their parents. Few felt they had many alternatives, not least because many of the sites of short-term holding facilities are in economically depressed areas of the UK, where good jobs are hard to come by. In any case, staff often had limited educational qualifications, with most having left school at 16.

    Border control has other kinds of costs. For those who are detained and deported, as well as their families and friends, these are likely to be highest of all, although they do not directly feature in my study since I did not speak to detained people. I could not see how interviewing people while they were being deported or detained at the border would be ethical. Yet the ethical and moral costs were plain to see. In the staff survey, for example, 12.35% of respondents reported suicidal thoughts in the past week, and 7.4% reported thoughts of self-harm over the same period. Both figures are considerably higher than the estimates for matters in the wider community.

    Finally, and this part is the springboard for my next project, there are clearly costs to the local community. When I first started visiting the short-term holding facility at Manston, near Dover, when the tents had only just gone up and the overcrowding had not yet begun, I was shocked at the size of it. A former RA base, it includes many buildings in various states of disrepair, which could have been redeveloped in any number of ways that did not include depriving people of their liberty. Perhaps it could have included affordable homes for those trapped in the rental market, as well as non-custodial accommodation for new arrivals, new schools, a hospital, perhaps some light industry or tech to employ people nearby. What would it take to work for a vision of the future which, in principle, would have room for us all?

    https://blogs.law.ox.ac.uk/border-criminologies-blog/blog-post/2024/03/many-costs-border-control
    #UK #Angleterre #rétention #détention_administrative #renvois #expulsions #business #ICE #OSE #Overseas #Calais #ports #aéroports #Dunkerque #privatisation #migrations #réfugiés #coûts #Mitie #Tascor #Care_&_Custody #G4S #Harmondsworth #Colnbrook #Derwentside #home_office #Swinderby_Residential_Short-Term_Holding_Facility #Swinderby #Gatwick #travail #salaire #contrôles_frontaliers #frontières #santé_mentale #suicides #Manston

  • Maisons fissurées : réhydrater le sol pour faire face au retrait-gonflement des argiles
    https://theconversation.com/maisons-fissurees-rehydrater-le-sol-pour-faire-face-au-retrait-gonf

    Des fissuromètres posés sur quelques fissures existantes ont permis d’analyser l’apport de la réhumidification du sol dans la stabilisation de leur ouverture pendant la sécheresse. Les résultats observés durant les 4 années de sécheresse intense de 2017 à 2020 sont satisfaisants tant en termes de stabilisation d’ouverture des fissures existantes que d’absence d’apparition de nouvelles fissures sur les façades confortées.

    Cette solution est à la fois écologique, peu coûteuse et durable. À titre indicatif, le procédé expérimental MACH a été mis en place pour un coût total de 15 000 euros HT, soit un coût nettement inférieur à celui d’un confortement en sous-œuvre traditionnel en moyenne supérieur à 100 000 euros HT.


    Procédé MACH (Maison Confortée par Humidification)
    https://www.ifsttar.fr/collections/ActesInteractifs/AII3/pdfs/163686.pdf

    Un dispositif robuste et manuel a été choisi. Le propriétaire de la MACH ouvre la valve d’injection située à la sortie du dispositif de collecte et l’eau pénètre dans le dispositif d’injection. Celui-ci est constitué d’un réseau de points d’injection alimentés par une nourrice. Les points d’injection sont répartis autour du pignon de l’extension (un point tous les 1.5 m). Il s’agit d’un tube PVC (5 cm de diamètre) qui a été foncé dans un trou de tarière descendu à 1 mètre de profondeur (soit 15 cm sous le niveau des fondations).
    Ainsi, lorsque le propriétaire ouvre la valve d’injection, l’eau s’écoule gravitairement dans le sol.

    #RGA #retrait_gonflement_des_argiles

  • Réadmission des migrants venant d’Europe : #Soueisssya, ciblée pour un centre de transit ?

    Mine de rien, les autorités mauritaniennes et européennes seraient avancées dans leur projet de « #partenariat_renforcé » dans la lutte contre l’immigration clandestine entre les deux rives. Malgré la levée du ton de l’Opposition, le projet commun est déjà -si l’on en croit des sources autorisées- bien lancé. Le dernier déplacement conjoint de la présidente de la commission européenne, Urusla Van Der Leyen, et du premier Ministre espagnol, Pedro Sanchez, attesterait de l’importance de la question pour les deux parties.
    Les discussions entre les deux parties, entamées de plus plusieurs mois, auraient même déjà identifiée la zone de Soueissiya, 60 km de notre capitale économique, sur la route de Nouakchott, pour élire le futur centre de rétention des immigrés interceptés en haute mer.
    Pour ce faire, un autre accord de statut pour les forces du Frontex devrait permettre aux gardes-frontières européens de patrouiller, avec les garde-côtes mauritaniens, pour intercepter les candidats à l’immigration clandestine.
    Ces derniers qui voient les filets se resserrer sur eux pourraient donc être interceptés et renvoyés vers ce centre de reflux où ils devraient être recueillis dans l’optique de les faire retourner chez eux. En plus de soutien sonnant et trébuchant, l’UE aurait également accéder à des demandes locales pour la construction de tronçons routiers entre Boulenouar, 98km, et Tmeimichatt, 319 km sur la voie ferrée. Le projet de centre en lui-même sera bien équipé et gardé. Rien n’a été donc jusqu’à présent scellé. La date butoir du 7 mars 2024 où séjournera une Haute délégation de l’UE à Nouakchott permettra d’entrevoir plus de transparence, peut-être, dans ce dossier qui fait couler beaucoup d’encre. Il aidera, en tout cas, à estomper les supputations qui vont bon train sur cette délicate question.
    Si officiellement on évoque l’enveloppe de 210 millions d’euros, d’ici la fin de l’année, l’investissement européen, pour convaincre la partie mauritanienne, est estimé à quelques 522 millions d’euros.
    Néanmoins, les autorités mauritaniennes dénient tout accord avec l’UE permettant de recaser sur leur territoire d’immigrés chassés d’Europe. La perspective de renvoi d’immigrés, en majorité africains, serait pour le moins imprudente au moment où la Mauritanie tient les brides de l’UA.

    https://ladepeche.mr/?p=8575
    #externalisation #migrations #asile #réfugiés #Mauritanie #accord #partenariat #Europe #UE #EU #centre_de_transit #centre_de_rétention #rétention #détention_administrative #Frontex

    • La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano

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      La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano
      Nagi Cheikh Ahmed
      6 Marzo 2024

      La Mauritania è un paese situato nell’angolo nord-occidentale del continente africano e affacciato sull’oceano Atlantico: questa sua posizione è strategica ed estremamente importante per le persone migranti che cercano di raggiungere il continente europeo e l’arcipelago spagnolo delle Canarie. Negli ultimi anni, infatti, il paese ha registrato un significativo aumento del numero di migranti che lo attraversano nel tentativo di raggiungere le isole spagnole e altri paesi dell’Unione Europea. Le stime indicano che questo aumento potrebbe essere il risultato del rafforzamento delle misure contro le migrazioni nei paesi limitrofi che portano a deviare le rotte verso nuovi percorsi, rendendo la Mauritania un luogo di transito sempre più “attraente” per raggiungere l’Europa.

      È in questo contesto che la Spagna e lo Stato africano stanno avanzando nella costruzione di una forte partnership per combattere l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini attraverso una serie di misure e azioni. Questi sforzi includono la cooperazione nello scambio di informazioni di intelligence, la formazione delle forze di sicurezza e della guardia nazionale, nonché il rafforzamento del controllo delle frontiere e un supporto operativo per lo sviluppo di capacità nell’affrontare tale fenomeno. Secondo i dati spagnoli, l’83% dei migranti che attualmente arrivano alle isole Canarie sono transitati dalla Mauritania.
      I migranti come strumento di pressione e ricatto

      Di fronte alle crescenti tensioni attorno le questioni migratorie, i Paesi europei cercano di trovare “soluzioni” che garantiscano una riduzione del flusso di migranti verso i loro confini. È quella che viene definita la politica di esternalizzazione delle frontiere, ossia una politica di “estensione” dei confini per impedire ai migranti di raggiungere o avvicinarsi al loro territorio, attraverso accordi con diversi Paesi africani considerati punti di transito potenziali per i migranti africani. L’accordo contro l’immigrazione tra la Spagna e la Mauritania è un altro esempio evidente di come i Paesi europei sfruttino le necessità finanziarie dei paesi poveri. Questo accordo che si basa su sforzi congiunti per la lotta all’immigrazione, riflette chiaramente la dinamica tra la necessità di sicurezza europea e la necessità finanziaria dei paesi africani, sollevando controversie sul costo umano che viene pagato in questo processo.

      Nella politica internazionale contemporanea, l’immigrazione emerge come una delle questioni più controverse e complesse, specialmente quando viene utilizzata come strumento di pressione nelle negoziazioni politiche ed economiche. La Turchia, con la sua posizione geografica unica tra l’Europa e il Medio Oriente, ha utilizzato abilmente l’immigrazione nelle sue negoziazioni con l’Unione Europea. L’accordo del 2016 è stato un punto di svolta, in cui l’Unione Europea ha accettato di pagare miliardi di euro ad Ankara in cambio del controllo del flusso di rifugiati verso l’Europa. Questo accordo ha dimostrato come i paesi possano sfruttare le crisi migratorie per rafforzare le loro posizioni economiche e politiche.

      Come la Turchia, anche il Marocco ha sfruttato la sua posizione come principale porta d’accesso all’Europa per ottenere concessioni finanziarie e commerciali dalla Spagna e dall’Unione Europea, e persino posizioni politiche nel suo conflitto con il Fronte Polisario. Controllando i flussi migratori, il Marocco ha rafforzato la sua posizione come partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro l’immigrazione irregolare, migliorando così le sue relazioni economiche e politiche con l’Europa.

      Oltre a Turchia e Marocco, il comportamento di Russia e Bielorussia emerge come un esempio evidente di sfruttamento delle questioni migratorie per il ricatto politico contro l’Unione Europea. Questi due paesi hanno facilitato l’accesso dei migranti ai confini orientali europei, creando una crisi migratoria artificiale mirata a esercitare pressione politica ed economica. La Bielorussia, sotto la guida di Alexander Lukashenko, ha utilizzato l’immigrazione come mezzo per rispondere alle sanzioni europee imposte contro di essa. Facilitando il passaggio dei migranti verso Lituania, Lettonia e Polonia, la Bielorussia ha cercato di creare problemi di sicurezza e umanitari all’Unione Europea, costringendola a rinegoziare i termini delle sanzioni e le relazioni diplomatiche.

      Anche la Mauritania vuole partecipare

      Considerati i numerosi accordi bilaterali sottoscritti negli ultimi anni, anche il governo mauritano cerca opportunità per trarre vantaggio da questa situazione ottenendo guadagni politici e finanziari. Pertanto, l’uso dei migranti come strumento di ricatto riflette una strategia che consente alla Mauritania di richiedere più supporto e assistenza dall’Unione Europea in cambio della sua cooperazione nella lotta contro l’immigrazione irregolare e l’arresto del flusso di migranti. La Mauritania, che trova difficoltà nel controllare i suoi vasti confini, potrebbe tollerare l’ingresso dei migranti nel suo territorio, al fine di accumularne un gran numero per dimostrare la sua necessità di fronte all’Europa e quindi ottenere supporto e assistenza finanziaria, ignorando tutti i rischi che tali politiche potrebbero comportare per un paese già fragile con una infrastruttura carente, trascurando i diritti di migliaia di migranti.

      Il governo nega, ma i documenti confermano

      L’accordo stipulato tra la Mauritania e l’Unione Europea per combattere il fenomeno dell’immigrazione irregolare ha sollevato polemiche a livello locale, considerato come un “accordo” tra le due parti per insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari, cosa che le autorità negano. Alcuni media indipendenti hanno riportato l’intenzione dell’Unione Europea di offrire subito 220 milioni di euro di aiuto alla Mauritania: questa proposta è emersa durante un incontro tenutosi giovedì 8 febbraio nella capitale Nouakchott, tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il presidente mauritano Mohamed Ould Ghazouani.

      Il Ministero dell’Interno mauritano ha negato ciò, affermando che la Mauritania “non sarà una patria alternativa per i migranti irregolari“, confermando al contempo di aver avviato negoziazioni preliminari con l’Unione Europea “su una bozza di dichiarazione congiunta relativa all’immigrazione, in linea con la roadmap discussa tra le parti a Bruxelles l’11 dicembre 2023“. Il ministero ha aggiunto in una dichiarazione che “le negoziazioni tra le parti rimarranno aperte, al fine di raggiungere un’intesa comune che serva gli interessi di entrambe le parti in materia di immigrazione legale e lotta contro l’immigrazione irregolare, tenendo conto delle sfide che la Mauritania affronta in questo campo, lontano da ciò che alcuni promuovono riguardo l’ipotesi di insediare i migranti irregolari in Mauritania”.

      Il ministero ha negato con enfasi qualsiasi ipotesi di accordo che punti a rendere la Mauritania un luogo dove insediare, accogliere o ospitare temporaneamente migranti stranieri irregolari, affermando che queste voci sono completamente infondate e che questo argomento non è stato affatto discusso, non è all’ordine del giorno e non è assolutamente contemplato. Il ministero ha dichiarato che gli incontri tra le parti hanno discusso la bozza del documento, allo scopo di “avvicinare i punti di vista riguardo ciò che stabilisce un accordo equilibrato e giusto che garantisca il rispetto della sovranità e degli interessi comuni di entrambe le parti, e sia in linea con le convenzioni e le leggi internazionali in materia di immigrazione“.

      Il ministero ha sottolineato che gli incontri continueranno a esaminare e analizzare i termini del documento, incluso ciò che sarà discusso durante l’incontro previsto tra la Mauritania e l’Unione Europea che si terrà nuovamente a Nouakchott giovedì 7 marzo. Tuttavia, il documento ottenuto dai media, relativo al verbale di discussione tra una delegazione mauritana e l’Unione Europea a Bruxelles il 9 febbraio 2024, mostra nei suoi termini l’accettazione della Mauritania di accogliere i rifugiati e i migranti espulsi dall’Europa, al fine di assisterli nella loro integrazione e “facilitare” la loro vita.

      Il documento non parla chiaramente dell’accoglimento da parte della Mauritania di re-insediare in modo permanente i migranti espulsi dagli Stati dell’Ue sul suo territorio, ma c’è un punto che rivela senza ambiguità la sua disponibilità ad accogliere i migranti espulsi dall’Europa, in assenza totale di qualsiasi meccanismo specifico per il successivo rimpatrio nei loro paesi d’origine.

      Questa estrema ambiguità getta diversi dubbi sulla serietà delle misure adottate, specialmente quando si considerano le enormi difficoltà che anche i paesi europei, con le loro vastissime risorse, incontrano nell’identificare i migranti che spesso sono senza documenti. Sembra che la soluzione europea si limiti a liberarsi del problema, rimpatriando i migranti in Mauritania senza considerare il loro destino successivo, il che significa che alla fine rimarranno in Mauritania a tempo indeterminato.

      Questo approccio ignora deliberatamente le cause profonde dell’immigrazione, come i cambiamenti climatici, i conflitti e le violazioni dei diritti umani, che spingono le persone a rischiare la vita in cerca di una loro sicurezza e di una possibilità di vita dignitosa. Concentrandosi esclusivamente sulla deportazione, l’Unione Europea dimostra una certa indifferenza verso la sofferenza delle persone più vulnerabili, ignorando così gli obblighi internazionali relativi alla protezione dei rifugiati e ai diritti umani, che garantiscono il diritto delle persone a presentare domande di protezione internazionale basate sulle loro storie personali e a dare loro tempo sufficiente per elaborare le richieste di protezione e asilo.

      D’altra parte, la firma di tali accordi con la Mauritania solleva serie domande sulla situazione della sicurezza e dei diritti umani nel paese. La disponibilità ad accettare questi migranti senza misure chiare per proteggerli o rispettare i loro diritti trascura gravemente l’assenza di tutele civili e sociali, a causa del pessimo record della Mauritania in materia di diritti umani.

      «Le relazioni internazionali sul Paese mettono in luce violazioni continue che includono schiavitù, discriminazione, detenzione arbitraria e repressione della libertà di espressione.»

      Ad esempio, lunedì 4 marzo 2024 in Mauritania è iniziato il processo contro due giovani. Una ragazza di 19 anni è stata arrestata lo scorso luglio e la pubblica accusa le ha imputato il “reato di derisione e insulto al Profeta Maometto“, chiedendo la sua incarcerazione. È inoltre accusata di utilizzare i social media per offendere l’Islam, reati per cui il codice penale mauritano prevede la pena di morte. L’altro giovane è un mauritano che aveva abbracciato il cristianesimo da tempo e viveva in Germania, dove aveva chiesto protezione, ma le autorità tedesche non hanno riconosciuto la sua richiesta e lo hanno deportato in Mauritania, dove è stato arrestato immediatamente all’arrivo in aeroporto ed è in carcere da mesi. In questo momento, c’è una grande carenza di informazioni sul loro stato di salute fisico e psicologico. Le autorità stanno facendo pressione per oscurare il processo e non parlare di queste vicende, il tutto si svolge in un’atmosfera cupa. Questi due casi sono anche esemplificativi dei seri dubbi sulla volontà della Mauritania di fornire protezione ai migranti e ai rifugiati rimpatriati.

      Inoltre, l’assenza di legislazione specifica per regolare lo status di rifugiati e migranti in Mauritania complica la possibilità di garantire efficacemente i diritti di queste categorie. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

      Il fatto che l’Europa firmi tali accordi ignorando la realtà in Mauritania costituisce una chiara violazione dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Questo accordo, per gli esperti del diritto, contraddice esplicitamente perfino gli approcci di sicurezza adottati dall’Europa nel settembre 2015, quando la Commissione Europea ha proposto un progetto per creare una lista comune dei “paesi di origine e transito sicuri“, dove i richiedenti asilo che passano attraverso il paese indicato potrebbero essere rimpatriati. Paesi considerati appunto “sicuri” in quanto le procedure relative alle loro richieste di asilo dovrebbero essere in linea con gli standard del diritto internazionale ed europeo sui rifugiati. Tuttavia, l’Unione Europea non ha incluso la Mauritania in questa lista dei paesi sicuri. Quindi, come può l’Europa firmare tali accordi con un paese che non considera sicuro?
      Verso un nuovo orizzonte

      L’incontro congiunto di giovedì 7 marzo nella capitale Nouakchott deve essere considerato come un momento cruciale che richiede una profonda riflessione e una revisione delle basi e dei principi su cui si fondano tali accordi. Entrambe le parti dovrebbero guardare con occhi critici alle esperienze passate, valutando i risultati e gli impatti reali delle politiche adottate sui diritti umani e sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

      C’è un bisogno urgente di adottare un approccio più inclusivo e umano nel trattare le questioni dell’immigrazione, un approccio che vada oltre le misure di sicurezza e restrittive per includere le dimensioni sociali e umane. Questo approccio dovrebbe concentrarsi sul diritto e sulla libertà dell’individuo di muoversi e migrare, piuttosto che limitarsi alla semplice gestione dei flussi migratori o tutt’al più a deviare i tragitti da un paese all’altro.

      È anche essenziale rafforzare i meccanismi di trasparenza e responsabilità nell’attuazione e nel monitoraggio degli accordi. L’Unione Europea e la Mauritania devono garantire che le politiche sull’immigrazione siano conformi agli obblighi internazionali e rispettino i diritti umani e la dignità di tutte le persone. La cooperazione internazionale in materia di immigrazione non dovrebbe portare a minare questi diritti o ignorare le difficili condizioni umane affrontate da migranti e rifugiati.

      È richiesto inoltre che la Mauritania lavori per migliorare il suo approccio sui diritti umani e rafforzare la protezione per migranti e rifugiati sul suo territorio. Ciò dovrebbe includere la riforma delle leggi e delle pratiche che permettono l’arresto arbitrario e la discriminazione, e fornire meccanismi efficaci per il ricorso e la protezione legale degli individui.

      Dall’altro lato, spetta all’Unione Europea non solo fornire supporto finanziario e tecnico, ma anche lavorare con la Mauritania e altri paesi partner per sviluppare politiche sull’immigrazione giuste ed eque, che rispettino i diritti e la dignità umana di tutte le persone, indipendentemente dal loro status migratorio.

      La sfida che l’Unione Europea e la Mauritania devono affrontare non è solo rinnovare questi accordi, ma reinventarli in modo che realizzino sicurezza e stabilità e, allo stesso tempo, rispettino i diritti umani e promuovano lo sviluppo sostenibile e inclusivo.

      Questo incontro congiunto a Nouakchott dovrebbe essere un’opportunità per presentare una nuova visione della cooperazione in materia di immigrazione, una visione basata sulla responsabilità condivisa, solidarietà e rispetto reciproco. Infine, l’obiettivo dovrebbe essere costruire un futuro in cui le persone possano vivere con dignità e sicurezza nei loro paesi, o scegliere di migrare come un diritto e non come una necessità imposta dalla disperazione.

      https://www.meltingpot.org/2024/03/la-mauritania-diventera-un-centro-di-accoglienza-per-i-migranti-espulsi-

    • Migration : petit à petit, l’UE verrouille des accords fragiles avec les pays tiers

      Ce jeudi, la secrétaire d’Etat de Moor, accompagne la commissaire européenne aux Affaires intérieures à Nouakchott pour signer un mémorandum d’accord migratoire avec la Mauritanie. Après la Turquie, la Libye, et la Tunisie récemment, ces accords se multiplient autant que les critiques qui les entourent.

      Ce dimanche, partis de Mauritanie, six migrants voulant rallier l’Europe ont péri dans leur traversée. 65 autres personnes, également à bord de leur pirogue, sont toujours portées disparues. En 2023, plus de 40.000 personnes ont risqué leur vie dans l’Atlantique – près de 1.000 en sont mortes – en voulant rejoindre l’Espagne via les îles Canaries au départ de l’Afrique de l’Ouest. Une hausse sans précédent (+ 160 % par rapport à 2022) que les autorités locales ont du mal à gérer. C’est dans ce contexte que la commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson, le ministre de l’Intérieur espagnol Fernando Grande-Marlaska et notre secrétaire d’Etat à l’Asile et la Migration Nicole de Moor se rendent à Nouakchott ce jeudi afin de signer un mémorandum d’accord avec la Mauritanie.

      Ce protocole d’accord s’inscrit dans la lignée de celui, polémique, conclu en juillet dernier avec la Tunisie. Avec ces « partenariats stratégiques mutuellement bénéficiaires », la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen entend « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des pays partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants embarquent ou prennent la route pour l’UE. L’idée est que les pays de départ ou de transit bloquent l’arrivée de migrants vers les côtes européennes et réadmettent leurs citoyens en séjour illégal dans l’UE en échange d’investissements ou de coups de pouce économiques. Contacté, il est question, pour l’exécutif européen, de passer d’autres « partenariats sur mesure » similaires avec l’Egypte, prochainement. Voire avec le Maroc ? Bref, petit à petit, la Commission complète sa carte du pourtour méditerranéen.

      Stratégie électoraliste

      « Ce type d’accord n’est pas nouveau », avance Eleonora Frasca, chercheuse doctorante sur la coopération entre l’UE et les pays africains en matière d’immigration (UCLouvain). « Il y a notamment celui passé avec la Libye ou encore avec la Turquie. Mais le deal passé avec Ankara, aussi critiqué soit-il, avait le mérite de prévoir des fonds pour l’accueil et l’accompagnement des exilés sur le sol turc. Ce qui a disparu des accords qui ont suivi et qui se concentrent sur les aspects sécuritaires. »

      Certes, la coopération migratoire n’est pas neuve. Ce qui l’est davantage, c’est la stratégie de communication de l’UE autour de ce type de deal, pointe Eleonora Frasca : « On déplace des membres de la Commission pour en faire un événement majeur. » Florian Trauner, doyen de la Brussels School of Governance (VUB) et spécialiste de la politique migratoire de l’UE, y lit une stratégie électoraliste. « Ces accords symbolisent une politique migratoire plus restrictive. En année électorale, les dirigeants européens envoient un signal à la population : “Regardez, on empêche les migrants d’arriver en Europe.” » Pour lui, cela montre aussi que les Etats membres s’accordent plus facilement sur une politique d’externalisation des frontières plutôt que sur une réponse solidaire. « La négociation du nouveau pacte sur la migration et l’asile l’illustre très bien. »

      Ces annonces et ces signatures en grande pompe contrastent avec l’opacité des négociations. « Les pourparlers avec la Tunisie hier, la Mauritanie aujourd’hui et l’Egypte demain en sont les parfaits exemples. Il est très difficile, voire impossible, de suivre les discussions. On assiste à un processus “d’informalisation ou de déformalisation” du droit international auquel l’UE contribue de manière significative, ainsi qu’à la multiplication d’instruments de droit non contraignant », regrette la chercheuse de l’UCLouvain. Pour son collègue de la VUB, ces accords informels sont par définition plus flexibles, moins contraignants juridiquement et politiquement. « Ce qui arrange les deux parties. Ils permettent, pour les pays tiers, de mettre hors du débat public ces arrangements souvent contestés par la population locale. »

      Le « chantage » aux migrants

      Et puis ces accords reposent sur le bon vouloir des régimes en place. En témoignent les soubresauts dans l’application de l’accord tunisien, décrié puis accepté… par le même président qui l’avait signé. « L’exemple récent du Niger est criant », ajoute Eleonora Frasca. « Depuis le coup d’Etat de juillet dernier et l’abrogation d’une loi réprimant le trafic illicite de migrants, l’UE est très préoccupée. »

      Florian Trauner soulève un autre « danger » : le « chantage » aux migrants. « Sachant l’Europe divisée, sensible et fragile quand il s’agit d’immigration, les pays tiers en jouent pour négocier, notamment de l’argent. Ce n’est pas pour rien qu’autant de migrants sont arrivés à Lampedusa depuis la Tunisie cet été… » Et le doyen de la Brussels School of Governance de citer les pressions d’Erdogan en 2020 afin que l’Europe appuie ses initiatives en Syrie ou encore le jeu du Maroc avec l’Espagne sur la question du Sahara occidental. Par ailleurs, pointent nos deux experts, ces accords sont passés avec des pays loin d’être des exemples en termes de respect des droits fondamentaux. L’exemple tunisien est encore une fois parlant : la situation déplorable des migrants en Tunisie ne s’est pas améliorée depuis la signature, dénoncent les ONG.

      Mais ces arrangements sont-ils « efficaces » ? S’il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées grâce aux accords, Florian Trauner les a étudiés sur dix ans, entre 2008 et 2018. « Hormis l’accord passé avec la Turquie qui a montré des résultats dans la prise en charge par Ankara des réfugiés syriens, ces accords ont un bilan modeste. Les pays des Balkans jouent le jeu, mais les pays africains peu ou pas du tout », constate-t-il. « A court terme, ces arrangements peuvent paraître efficaces parce qu’ils font écho à une réduction des entrées irrégulières », explique Eleonora Frasca. « On a dans un premier temps diminué les flux au départ de la Libye, ils se sont alors dirigés vers la Tunisie. Raison pour laquelle on a passé un accord avec Tunis, dont on voit timidement les résultats… Mais les migrations s’adaptent et se réorganisent. Ça ne sert à rien de passer des accords avec tous les pays africains, cela rend juste les routes de plus en plus dangereuses. »

      https://www.lesoir.be/572896/article/2024-03-06/migration-petit-petit-lue-verrouille-des-accords-fragiles-avec-les-pays-tiers

    • La Mauritanie, nouvelle voie d’entrée de migrants vers l’Union européenne... qui réagit

      L’Union européenne a initié jeudi un nouveau partenariat en matière de migration avec la Mauritanie, État d’Afrique du Nord-Ouest par où transitent des migrants vers les îles Canaries (Espagne). La route des îles Canaries, passant par une dangereuse traversée dans l’Atlantique, est davantage fréquentée ces derniers temps. Plus de 12.000 personnes l’ont empruntée sur les deux premiers mois de cette année, soit plus de six fois plus que sur la même période l’an dernier.

      Ce partenariat doit ouvrir la voie à un financement européen afin de soutenir la gestion des migrations - notamment la lutte contre le trafic de migrants -, ainsi que la sécurité et la stabilité, l’aide humanitaire en faveur des réfugiés et le soutien aux communautés d’accueil.

      Une déclaration en ce sens a été signée à Nouakchott par la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson, et le ministre mauritanien de l’Intérieur, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, en présence de son homologue espagnol, Fernando Grande-Marlaska, et de la secrétaire d’État belge à l’Asile et à la Migration, Nicole de Moor, au nom de la présidence belge du Conseil. « Nous avons besoin de partenariats avec ces pays d’Afrique du Nord pour prévenir les départs irréguliers et les pertes de vies humaines. Une gestion efficace des migrations constitue un défi européen nécessitant une réponse collective », a déclaré Mme de Moor.

      Le partenariat vise entre autres à renforcer les capacités des garde-frontières mauritaniens, en accroissant la coopération avec Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, pour ce qui est de la formation et des équipements. La coopération sur les opérations de recherche et de sauvetage sera aussi intensifiée. L’UE veut également appuyer les efforts de la Mauritanie dans ses capacités d’accueil, en particulier des plus vulnérables. Dans le pays résident quelque 150.000 réfugiés du Mali. Des enquêtes conjointes doivent aussi aider à prévenir la migration irrégulière.

      La coopération sera renforcée en matière de retour et de réadmission en ce qui concerne les Mauritaniens en séjour irrégulier dans l’UE, « dans le respect de leurs droits et de leur dignité », assure la Commission dans un communiqué. Comme c’est le cas pour d’autres accords en gestation, ou pour l’accord controversé avec la Tunisie, l’UE vise un partenariat large. Il visera donc aussi la création de perspectives d’emploi (accès à la formation professionnelle et au financement pour les entreprises), mais aussi la promotion de la migration légale (mobilité des étudiants, chercheurs et entrepreneurs). Le mois dernier, la présidente de la Commission Ursula von der Leyen avait annoncé, lors d’un déplacement en Mauritanie, la mobilisation de 210 millions d’euros en faveur de ce pays.

      L’UE cherche encore à nouer un autre partenariat stratégique de ce type avec l’Égypte, qui est non seulement un pays de transit, mais aussi de départ et de destination. « Des Égyptiens quittent leur pays, qui est le cinquième pays d’entrée dans l’UE, tandis que de nombreuses autres personnes fuient vers l’Égypte. Un partenariat solide est plus que nécessaire pour ne pas les laisser seuls dans cette tâche difficile », selon Mme de Moor.

      https://www.rtbf.be/article/la-mauritanie-nouvelle-voie-d-entree-de-migrants-vers-l-union-europeenne-qui-re

  • Le #smartphone, une bouée de sauvetage pour les migrants

    Sur la route migratoire, les smartphones peuvent s’avérer « plus importants que la nourriture ». Pourtant, les migrants se voient régulièrement confisquer leur téléphone par la police ou ne peuvent l’utiliser que de manière restreinte.

    L’histoire remonte à novembre 2021. Dans les colones de The New Arab, un jeune homme originaire d’Afghanistan raconte comment il a atteint le Royaume-Uni après avoir traversé la Manche en bateau pendant 12 heures. « Des femmes et des enfants pleuraient. Mon cœur pleurait », se souvient-il.

    A son arrivée il se voit aussitôt confisquer son téléphone, l’empêchant ainsi de faire savoir à sa famille qu’il est sain et sauf.

    Selon The New Arab, le ministère britannique de l’Intérieur justifiera la saisie par une enquête sur un « groupe criminel impliqué dans la facilitation (de l’immigration irrégulière) ».
    Confiscation des téléphones portables

    Des milliers de personnes ayant atteint le Royaume-Uni par bateau en 2020 ont connu le même sort. Leurs téléphones portables ont été saisis, les privant des coordonnées de leurs proches.

    « Confisquer le téléphone à quelqu’un le prive de ses bouées de sauvetage », estime Naomi Blackwell du Service jésuite des réfugiés, une organisation qui a contribué à introduire un recours juridique contre cette pratique au Royaume-Uni.

    « Les contacts des gens, les photos de leurs proches, les certificats médicaux, les documents (...), tout cela a été perdu. C’était vraiment bouleversant pour les personnes concernées », raconte-t-elle.

    D’autres migrants, ailleurs en Europe, relatent des pratiques similaires. Selon un récent rapport de la plateforme PICUM, une ONG bruxelloise, la confiscation des smartphones par les autorités est relativement fréquente pour les migrants placés en rétention administrative, généralement parce qu’ils sont entrés dans un pays sans visa ou parce qu’ils sont dans l’obligation de quitter un territoire.

    Règlementation sur l’usage des #téléphones_portables en CRA

    Il n’existe pas de réglementation européenne sur l’utilisation des téléphones portables dans les centres de rétention administrative (CRA), et l’étendue des restrictions varie d’un État à l’autre.

    Certaines des pratiques les plus sévères sont observées au Royaume-Uni, où les smartphones personnels sont systématiquement confisqués. Les migrants placés en rétention sont autorisés à utiliser un téléphone sans internet ni appareil photo, pendant que les détenus en prison ont un accès limité aux téléphones fixes.

    La situation est différente en Autriche, en Belgique, en Bulgarie, en France et en Pologne, notent les chercheurs de PICUM. 

    Dans ces pays, les personnes en rétention administrative peuvent conserver et utiliser leur propre téléphone portable, mais uniquement s’il n’est pas équipé d’un appareil photo intégré.

    Cela exclut la plupart des smartphones et équivaut à une interdiction de facto.

    Certains pays limitent la durée pendant laquelle les demandeurs d’asile en rétention peuvent utiliser leur téléphone, comme au Portugal et en Espagne.

    En Belgique, les détenus doivent payer leurs appels de leur poche bien que beaucoup n’ont pas les moyens de le faire.

    « Il arrive que les gens touchent une allocation limitée, comme 5 euros par semaine », explique Silvia Carta, rédactrice en chef du rapport du PICUM. "Mais si vous appelez quelqu’un au Moyen-Orient ou en Afrique, votre crédit sera épuise que bout de seulement quelques minutes."

    Silvia Carta ajoute que les smartphones personnels ne peuvent être remplacés par les téléphones de substitution remis lors de la rétention.

    « Un téléphone portable personnel est un objet important et essentiel qui contient les ’biens virtuels’ d’une personne », dit-elle. « Il crée également un canal de communication qui se met difficilement en place lorsqu’une personne ne peut accéder à un téléphone que deux ou trois fois par semaine pour passer ses appels. »

    Une pratique souvent illégale

    La confiscation des téléphones portables retient aussi de plus en plus l’attention des groupes de défense des droits des réfugiés et des libertés individuelles en Allemagne. Les autorités sont légalement autorisées à saisir et à analyser les données des téléphones appartenant aux demandeurs d’asile qui arrivent sans documents d’identification.

    Même si la justice allemande a tenté de s’interposer, une nouvelle législation permet aux autorités allemandes de réquisitionner les téléphones des migrants et à en extraire les données sans avoir effectué de démarches préalables en vue d’établir leur identité.

    La plupart des données stockées sur les smartphones sont très intimes, rappelle Sarah Lincoln, avocate à la Society for Civil Rights (GFF). « La fouille et l’inspection des téléphones représentent une atteinte particulièrement grave à la vie privée ».

    Dans d’autres situations, comme par exemple lorsqu’un migrant franchit clandestinement une frontière, la police justifie souvent la confiscation des téléphones par la lutte contre les réseaux de passeurs et de trafiquants.

    Sarah Lincoln estime que la saisie du téléphone peut avoir de lourdes conséquences sur la procédure d’asile, car elle prive le demandeur de ses contacts, des applications de traduction, des cartes, des photos de documents importants et d’autres informations et preuves essentielles.

    De plus, la restitution du téléphone n’intervient souvent pas avant un an ou plus, selon Sarah Lincoln. « Il est tout à fait disproportionné de conserver les téléphones aussi longtemps. Le téléphone de la personne est souvent irremplaçable. Et dans la plupart des cas, ils n’ont pas l’argent nécessaire pour en acheter un nouveau », affirme la chercheuse.

    Elle précise que dans de nombreux cas, les saisies des téléphones à la frontière sont illégales.

    Par ailleurs, la justice en Europe se prononce régulièrement en faveur des migrants. Par exemple, un tribunal italien a décidé, dans le cas d’un jeune demandeur d’asile tunisien, que le fait de restreindre son accès à son téléphone portable constituait une limitation du droit à la liberté de communication.

    Il était arrivé à Lampedusa en 2020. Les autorités l’avaient considéré à tort comme étant adulte et saisi son téléphone lors de sa détention. Le jeune homme n’avait pu contacter ni sa famille ni son avocat. Le tribunal a ordonné que son téléphone lui soit rendu.

    L’utilisation de smartphones personnels pour documenter les conditions dans les centres de rétention ainsi que pour dénoncer les mauvais traitement infligés aux migrants a été d’une importance cruciale ces dernières années.

    Ce n’est pas un hasard, selon Silvia Carta, du PICUM : « Si les personnes sont détenues dans des conditions décentes, il ne devrait rien y avoir à cacher. Cependant, l’utilisation de caméras est souvent interdite précisément pour ces raisons, de sorte que les gens ne peuvent pas montrer ce qui ne va pas dans ces centres. »

    Plusieurs ONG, comme Detention Action, au Royaume-Uni, et Stichting LOS, une organisation de protection des migrants aux Pays-Bas, veulent attirer l’attention sur les conditions dans les centres de rétention. Elles ont mis en place des lignes téléphoniques d’urgence afin que les personnes retenues puissent appeler gratuitement à l’extérieur des centres.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/55508/le-smartphone-une-bouee-de-sauvetage-pour-les-migrants

    #smartphones #téléphones #migrations #asile #réfugiés #destruction #confiscation #détention_administrative #rétention

  • Sur les traces des « retournés volontaires » de #Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur

    Le ministère de l’intérieur français finance en Géorgie des projets de #réinsertion économique auprès de familles souvent venues en France pour des #soins médicaux, avant qu’elles se retrouvent en situation irrégulière.

    C’est un bloc d’immeubles parmi les centaines qui composent le paysage de #Roustavi, une ancienne ville industrielle du sud-est de la Géorgie. Dans ce pays du Caucase où vivent 3,7 millions d’habitants, les cités ouvrières ont poussé pendant l’ère soviétique, et Roustavi a pris son essor autour d’un combinat métallurgique alimenté par l’acier azerbaïdjanais. Depuis, l’URSS s’est disloquée et les usines ont fermé. Voilà une dizaine d’années, attirés par un parc immobilier plus abordable que celui de la capitale, Tbilissi, Davit Gamkhuashvili et Nana Chkhitunidze sont devenus propriétaires d’un des appartements de la ville, au septième et dernier étage d’un immeuble que le temps n’a pas flatté. Le parpaing des façades se délabre, des tiges de fer oxydé crèvent le béton des escaliers et l’ascenseur se hisse aux étages dans un drôle de fracas métallique.

    Fin septembre 2023, Davit, 47 ans, et Nana, 46 ans, sont revenus ici après dix mois passés à Béthune, dans le Pas-de-Calais. Ils ont retrouvé leur trois-pièces propret et modeste, où ils cohabitent avec leur fils et leur fille adultes, leur gendre et leur petite-fille. Le couple de Géorgiens avait nourri l’espoir d’obtenir en France les soins que Davit, atteint d’un diabète sévère, ne trouvait pas dans son pays. Migrer, c’était sa seule option après qu’il a été amputé d’un orteil. Il souffrait d’un ulcère au pied et son médecin géorgien « ne proposait rien d’autre que couper et couper encore », se souvient-il.

    (#paywall)

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/01/immigration-sur-les-traces-des-retournes-volontaires-de-georgie_6219437_3224

    #renvois #expulsions #retours_volontaires #déboutés #asile #migrations #réfugiés #France #santé
    via @karine4

    • Pour venir en France et laisser à leurs enfants un peu d’argent, sa femme et lui ont vendu leur voiture et un terrain qu’ils possédaient à la campagne. Dans le Pas-de-Calais, le couple a été hébergé dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (CADA), et Davit a pu se faire soigner. Mais l’isolement social, la barrière de la langue, le sentiment d’être des « mendiants » leur ont donné le « mal du pays ». Déboutés de leur demande d’asile, Davit et Nana se sont retrouvés en situation irrégulière et ont été priés de partir. Las, ils ont renoncé à la France dans la douleur. A Roustavi, Nana replonge avec un soupçon de nostalgie dans le souvenir des amitiés qu’elle a nouées avec des bénévoles du CADA, des plats géorgiens qu’elle leur a fait découvrir, comme le khatchapouri, un pain farci au fromage, de la petite fête qui avait été organisée pour leur départ. « Quand j’aurai l’argent, je reviendrai comme touriste », nous assure-t-elle.

      Dans le français rudimentaire qu’elle s’est efforcée d’acquérir, Nana répétait « stop », « fini », « stress » alors que nous la rencontrions, dans les couloirs de l’aéroport de Roissy-Charles-de-Gaulle, le jour de son vol retour vers la Géorgie. Ce matin de septembre 2023, ils étaient une cinquantaine, comme elle, à devoir embarquer pour Tbilissi dans le cadre d’un retour volontaire aidé, un dispositif adressé aux étrangers en situation irrégulière et mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration (#OFII). Il a l’avantage d’être beaucoup moins onéreux que les retours forcés, qui mobilisent des moyens importants, de l’interpellation des personnes à leur expulsion, en passant par leur placement en rétention et la phase éventuelle de contentieux juridique. En 2023, plus de 6 830 personnes ont souscrit à des retours volontaires aidés, toutes nationalités confondues. Avec plus de 1 600 retours aidés, les Géorgiens ont été les premiers bénéficiaires du programme.

      Encourager les départs

      Juste avant d’embarquer, au milieu des touristes et des voyageurs d’affaires du terminal 2 de Roissy, Nana et Davit avaient reçu chacun, des agents de l’OFII, une petite enveloppe contenant 300 euros. Leurs billets d’avion avaient également été pris en charge. Pour encourager les départs, la France propose aussi aux personnes volontaires une aide sociale, le financement d’une formation ou encore une aide à la création d’entreprise, plafonnée à 3 000 euros en Géorgie. Avec 605 aides accordées en 2023, les Géorgiens sont, là aussi, les premiers récipiendaires de ce programme de réinsertion économique.

      Nana Chkhitunidze a obtenu la prise en charge d’une formation en cuisine, qu’elle suit aujourd’hui avec enthousiasme après ses heures de ménage. A son retour à Roustavi, elle a dû retrouver un emploi pour entretenir sa famille. Elle gagne aujourd’hui 600 laris (210 euros) par mois. Pas de quoi payer les consultations chez le diabétologue ni chez le cardiologue que les médecins français ont recommandées à Davit. « Ce n’est pas la priorité, confie ce dernier. Les anciens disaient : “La vie, c’est comme à la guerre.” Je ne me rendais pas compte à quel point c’était vrai. »

      Diminué physiquement, Davit Gamkhuashvili ne peut plus travailler dans le bâtiment. Il est fier de rappeler qu’il a, par le passé, rénové plusieurs églises du pays, dont la grande cathédrale de la Sainte-Trinité, à Tbilissi. Mais, depuis son amputation, ce n’est désormais plus envisageable. Il se pique trois fois par jour à l’insuline et veille à ce que l’ulcère au pied ne reprenne pas. Il lui reste des boîtes d’antalgiques prescrits en France. Ici, ils ne sont pas pris en charge. L’OFII lui a financé vingt séances de kinésithérapie, à hauteur de 2 100 laris.

      Avant d’embarquer pour le vol vers Tbilissi du 20 septembre, Nini Jibladze et Khvtiso Beridze, un autre couple de « retournés » géorgiens, confiaient, eux, combien ils souhaitaient que l’aînée de leurs deux filles, Anastasia, puisse étudier en France. Scolarisée entre 2021 et 2023 dans une école près de Caen, leur enfant de 10 ans a très vite appris à parler le français. Mais, si le départ était un crève-cœur pour leurs parents, Anastasia et sa sœur Nia, 5 ans, se montraient impatientes de retrouver leur grand-mère Irma, après deux années passées loin d’elle.

      Une petite tour Eiffel sur le piano du salon

      Nini et Khvtiso avaient quitté la Géorgie car ils ne faisaient pas confiance aux médecins pour faire opérer leur aînée, atteinte d’une tumeur au niveau du nerf de la main. En Turquie, l’opération leur aurait coûté 15 000 dollars (14 000 euros), une somme dont ils ne disposent pas. En France, Anastasia a été opérée gratuitement. Ses parents se seraient volontiers projetés sur une installation plus durable, mais « pas de papiers, pas d’argent », résume le père de famille. Avec une obligation de quitter le territoire français (OQTF) à la suite du rejet de leur demande d’asile, ils redoutaient de se retrouver à la rue.

      Aujourd’hui revenue dans l’appartement familial, dans la banlieue de Tbilissi, que balaye ce jour-là un vent d’hiver vigoureux, Anastasia se plonge dans des vidéos YouTube en français, pour ne pas perdre la langue. Ses parents ont posé une petite tour Eiffel sur le piano du salon, entre deux coupes de fruits en porcelaine, reçues en cadeau de mariage. Depuis qu’il est rentré au pays, le couple est pris dans un entrelacs de sentiments où l’amertume et l’angoisse le disputent à l’espoir.

      Grâce à l’aide de l’OFII, Nini Jibladze a suivi une formation en manucure, un secteur porteur dans son pays. Elle a même pu s’acheter quelques équipements, comme un sèche-ongles et un stérilisateur, mais, plutôt que de lancer son affaire, elle a dû parer à l’urgence et accepter un poste de commerciale pour une société de vente de chocolats, payé 1 000 laris par mois. Khvtiso Beridze, lui, se plaint de ses douleurs au bras, résultat de deux accidents anciens qui ont abîmé ses nerfs. En France, il a été opéré deux fois, mais il faudrait qu’il subisse une nouvelle intervention. « J’ai peur de me faire opérer ici, reconnaît-il. Et je n’ai pas les moyens de me payer la rééducation à 40 laris la séance. »

      Anastasia, elle, doit continuer d’être suivie, mais trouver un angiologue ou un radiologue pédiatrique pour réaliser une IRM à 700 laris relève de la gageure. En outre, la famille a encore une dette de plus de 6 000 euros à rembourser, contractée pour financer son départ en France, à l’automne 2021. « Ma sœur, qui est propriétaire de l’appartement où l’on vit, a dû prendre un prêt hypothécaire », relate Khvtiso. Fataliste, il lâche : « Tôt ou tard, on devra repartir. »

      Discours politique virulent

      Sa mère, Irma, avec laquelle le couple cohabite, compte les devancer. Elle s’y prépare sans états d’âme. « Dans notre immeuble, toutes les femmes ont migré, assure cette célibataire de 52 ans. Si quelqu’un en #Géorgie se nourrit et s’habille correctement, c’est qu’il a quelqu’un à l’étranger qui lui envoie de l’argent. » Elle-même a déjà travaillé à Samsun, en Turquie, il y a quinze ans. « Je partais trois mois faire la plonge ou le ménage et je revenais, se souvient-elle. Ça valait le coup. A l’époque, on avait 100 dollars avec 120 livres turques. Aujourd’hui, ce n’est plus intéressant, il faut 3 000 livres turques pour 100 dollars. » Si Irma repart, ce sera en Grèce. Elle y a des amies qui promettent de l’aider à trouver un travail d’aide à domicile ou de femme de ménage pour au moins 1 000 euros par mois. « Ça pourra payer les dettes et les études des enfants », calcule la grand-mère.

      Depuis l’effondrement du bloc soviétique, la migration géorgienne vers l’Europe n’a cessé de croître. « C’est un phénomène très commun, qui a connu un pic avec la libéralisation des visas en 2017 », souligne Sanja Celebic Lukovac, cheffe de mission à Tbilissi de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), une agence onusienne. Cette « libéralisation » autorise les Géorgiens à circuler comme touristes dans l’espace Schengen pendant quatre-vingt-dix jours sans visa. « La Grèce accueille probablement la plus importante diaspora, mais de nombreux Géorgiens sont aussi allés en France, en Italie, en Allemagne, en Suisse ou en Espagne, guidés surtout par des opportunités d’emploi », poursuit Sanja Celebic Lukovac.

      D’abord très temporaire et individuelle, la migration est devenue plus durable et familiale. Les besoins médicaux sont, en outre, souvent au cœur du projet de mobilité. En France, en 2023, les Géorgiens ont ainsi représenté 7 % des demandes de titres de séjour pour étranger malade (dont un tiers pour des cancers). Parfois, ces besoins sont dissimulés derrière des demandes d’asile, l’un des rares moyens, si ce n’est le seul, de faire durer un séjour en règle, le temps de l’instruction du dossier.

      En 2022, selon Eurostat, plus de 28 000 Géorgiens ont déposé une demande d’asile en Europe, dont près de 10 000 en France. Cela reste faible, en comparaison avec la population du continent ou avec le volume total des demandes d’asile enregistrées dans l’Union européenne, qui a dépassé 955 000 requêtes la même année. Mais, l’octroi d’une protection internationale aux Géorgiens étant très rare – environ 4 % des demandes d’asile géorgiennes en Europe connaissent une issue positive –, cette migration ne manque pas d’alimenter un discours politique virulent.

      Emmanuel Macron a dénoncé plusieurs fois le « détournement du droit d’asile », des propos qui visent notamment les flux en provenance de Géorgie. Les pouvoirs publics ont tenté de les réduire, au travers de textes de loi ou de mesures réglementaires. Ainsi, la loi « immigration » de 2018 a permis l’expulsion des déboutés de l’asile provenant de pays d’origine « sûrs », nonobstant un éventuel recours.

      Risque d’appauvrissement

      En mai 2019, le ministre de l’intérieur de l’époque, Christophe Castaner, s’était déplacé à Tbilissi pour fustiger l’« anomalie » de la demande d’asile géorgienne et la « dette médicale » générée par ceux « qui viennent se faire soigner en France », alors même que l’état du système de soins en Géorgie « ne justifie pas cette venue ». Fin 2019, la lutte contre le « tourisme médical » avait encore occupé une place importante dans le débat sur l’immigration organisé au Parlement par Edouard Philippe, alors premier ministre. Il avait débouché sur une série de mesures imposant notamment un délai de carence de trois mois pour accéder à la protection maladie pour les demandeurs d’asile et la limitation de la durée de cette protection à six mois pour ceux qui sont déboutés de leur demande.

      « On identifie un ensemble de raisons qui incitent les gens à investir dans la migration, analyse Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM. L’absence ou le manque d’accès aux traitements, le manque de confiance dans les soins et leur coût. » En Géorgie, où l’espérance de vie moyenne n’atteint pas 74 ans et où 15,6 % de la population vit sous le seuil de pauvreté, le système de soins pâtit notamment d’une faible prise en charge du handicap et des médicaments, ce qui expose les ménages à un risque d’appauvrissement.

      Si Zhaneta Gagiladze avait fait opérer sa fille, atteinte d’une forme grave de scoliose, en Géorgie, cela lui aurait coûté 23 000 euros. « Et seulement 40 % de la somme aurait été prise en charge », explique cette femme de 44 ans. En outre, ajoute-t-elle, le chirurgien géorgien lui avait conseillé d’annuler l’intervention, faute d’implants disponibles dans le pays et de garantie de succès. A Lyon, l’adolescente a pu être soignée, tandis que sa mère avait trouvé une chambre dans une colocation avec des Géorgiens, pour 200 euros par mois. Leur séjour n’a pas dépassé huit mois.

      En bénéficiant d’un retour aidé, fin 2019, grâce à l’OFII, Zhaneta Gagiladze a pu relancer son activité de coiffeuse dans un petit garage qu’elle loue à Tbilissi, au pied d’une khrouchtchevka, ces immeubles de trois à cinq étages emblématiques de l’architecture soviétique de l’après-guerre, qui privilégiait la rapidité et le moindre coût. Elle a aussi pu racheter pour 3 000 euros de matériel. Et propose à une clientèle d’habitués une coupe ou une coiffure pour 15 laris.

      Une étude réalisée en 2019 par le cabinet Evalua pour l’OFII, sur un échantillon de près de 400 bénéficiaires d’aide à la création d’entreprise dans quatorze pays, dont la Géorgie mais aussi la Côte d’Ivoire ou le Mali, montrait que, trois ans après avoir quitté la France, 82 % des « retournés » ayant bénéficié de l’aide – qui peut atteindre 6 300 euros dans certains endroits – se trouvaient toujours dans leur pays. En outre, 51 % des projets financés étaient encore actifs.

      Miraculés et déçus

      Zhaneta Gagiladze aime « beaucoup » son métier de coiffeuse. Elle mène sa vie avec énergie et ambition. C’est d’ailleurs pour cela qu’elle veut repartir. Seule et en Israël, cette fois, où elle espère pouvoir gagner 4 000 dollars par mois comme femme de ménage. A deux reprises déjà, en 2023, elle a tenté de s’y rendre. Mais, à chaque fois, elle a été refoulée à l’aéroport de Tel-Aviv. Elle attend désormais d’avoir économisé suffisamment pour pouvoir s’acquitter des 6 000 dollars qui lui garantiront d’entrer sur le territoire, avant d’y demeurer clandestinement.

      Elle a du mal à comprendre qu’Israël ne donne pas de visa malgré ses besoins de main-d’œuvre. « Mon projet est juste d’y travailler deux ans, pour gagner de quoi acheter un appartement ici », dit-elle. Elle rêve aussi « d’aider [sa] fille à accomplir son rêve de retourner étudier en France », un pays qu’elle associe à une vie meilleure. « En France, elle a même été suivie par un psychologue, alors que, depuis notre retour, elle a fait une dépression », confie Zhaneta, qui répète à quel point elle est « reconnaissante » vis-à-vis de la France. A Lyon, elle a croisé des compatriotes miraculés. L’un a pu être guéri d’un cancer en Géorgie. Un autre, atteint d’une cirrhose et à qui l’on ne donnait pas un mois à vivre, a pu bénéficier d’une greffe de foie.

      Mais il y a aussi les déçus. Comme Natela Shamoyan, 58 ans, hébergée par le 115 en banlieue parisienne de 2019 à 2022 avec sa fille lourdement handicapée, pour qu’on lui dise finalement la même chose que dans son pays : il n’y a pas de traitement qui guérisse la maladie de Charcot. Grâce à l’argent de l’OFII, à son retour en Géorgie, elle a relancé dans son garage, et avec son fils de 35 ans, une petite activité de fabrication de tapis de voiture.

      Zurab Dalakishvili, 36 ans, n’a pas non plus trouvé en France le traitement contre l’infertilité qui lui aurait permis de fonder une famille avec sa femme. Après quelques mois passés près de Rennes, sous le coup d’une OQTF, ils ont préféré rentrer au pays. Avec l’aide de l’OFII, Zurab a pu acheter des équipements pour développer son activité de mécanicien automobile, interrompue pendant son séjour en France. Son métier le passionne et l’amène à multiplier les allers-retours en Allemagne pour rapporter des moteurs ou des voitures d’occasion, qu’il retape puis revend. Le secteur de l’occasion est florissant en Géorgie, où 90 % du parc automobile a plus de dix ans.

      Installé dans la région de Gardabani, une zone rurale au sud-est de Tbilissi, Zurab Dalakishvili montre avec fierté le pont élévateur dont il a fait l’acquisition grâce à l’aide de la France. « J’ai aussi pu construire et aménager un hangar plus grand », explique-t-il. Sur le petit terrain qu’il transforme progressivement, où il stocke voitures et matériel, on découvre aussi les fondations inachevées d’une maison. Depuis qu’ils sont rentrés de France, en janvier 2020, Zurab et sa femme suivent un protocole de procréation médicalement assistée qui leur a déjà coûté près de 100 000 laris, et pour lequel ils ont dû repousser la construction de leur maison. En attendant, ils se serrent dans une pièce attenante aux hangars.

      Resserrement des critères

      De son côté, ce ne sont pas les trois vaches laitières qu’il a pu acheter grâce aux 3 000 euros de l’OFII, ni son activité de taxi qui lui rapporte 40 laris par jour qui permettront à Giorgi Maraneli de payer l’opération des ligaments de la cheville dont son fils aurait besoin. Il est, depuis la naissance, atteint de paralysie cérébrale avec quadriplégie spastique. « Je regrette d’être revenu, lâche le père de famille de 36 ans. Je n’avais pas le choix, je ne pouvais pas prendre le risque que nous finissions dans la rue. » Déboutés de leur demande d’asile, Giorgi, sa femme et leurs deux enfants étaient pressés par les gestionnaires du CADA de Bailleul, dans le Nord, de quitter les lieux.

      La maison où ils se sont réinstallés en 2023 se trouve dans un village de deux cents familles près de Gori, la ville natale de Joseph Staline. Dans la principale pièce à vivre, où dorment les parents de Giorgi et l’un de ses frères, un vieux portrait du Petit Père des peuples orne un mur. Comme si le temps était suspendu. A 2 kilomètres à peine d’ici se trouve la frontière avec le territoire occupé d’Ossétie du Sud. La population locale continue de subir les conséquences de la guerre de 2008 avec la Russie. L’eau courante, qui venait d’Ossétie, a été coupée par les occupants russes. Impossible d’irriguer une quelconque culture, la famille doit utiliser un puits pour sa consommation. Le père de Giorgi, Tamaz, s’est même fait voler ses quelques moutons par des militaires russes. « On ne peut pas envoyer les vaches en pâturage vers la frontière, ni couper du bois », regrette Giorgi.

      Pour l’heure, les animaux sont gardés dans l’étable et nourris au foin. C’est l’hiver, les plaines environnantes sont recouvertes d’un épais manteau de neige. Il est tombé une telle quantité de poudreuse la veille que l’électricité est coupée dans la maison, en cette journée de février. Assis devant le poêle à bois, Giorgi a sorti ses médailles militaires, lui qui a été pendant treize ans dans l’armée et a servi en Afghanistan. Sur la toile cirée de la table à manger, il a ouvert le dossier médical de son fils de 5 ans. « Quand on est partis, début 2021, la Géorgie ne proposait aucune forme de prise en charge. Je m’étais renseigné sur Internet, il y avait des groupes sur Facebook qui conseillaient d’aller en France pour les soins », témoigne-t-il. Il a été hébergé un an et demi. Ça lui a fait drôle, confie-t-il, de côtoyer des Afghans dans le CADA, alors qu’il les avait rangés dans la catégorie ennemie pendant ses missions aux côtés de l’OTAN, à Bagram.

      Giorgi Maraneli garde néanmoins un bon souvenir de la France. Son fils avait pu être soulagé et la prise en charge était gratuite et de qualité. Aujourd’hui, il a l’impression d’être revenu à la case départ. Les projets financés dans le cadre des retours aidés ne fournissent souvent que des revenus d’appoint. Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM, a constaté qu’avec le temps les « retournés » d’Europe reçoivent de moins en moins d’aide pour leur réinsertion. « Cela signifie qu’il y a de plus en plus de gens dans le besoin », prévient-elle.

      En France, un arrêté ministériel d’octobre 2023 a resserré les critères d’éligibilité aux retours aidés, prévoyant une dégressivité de l’aide dans le temps à partir de la notification de l’OQTF. Mécaniquement, sur les premières semaines de 2024, les demandes de Géorgiens auprès de l’OFII ont baissé, car ils sont moins nombreux à pouvoir y prétendre. S’il avait obtenu des papiers, Giorgi Maraneli avait un poste de palefrenier qui lui était destiné dans une écurie près de Bailleul. Régulièrement, sur Facebook, il prend des nouvelles des bénévoles qui avaient adouci son quotidien et avec lesquels sa famille s’est liée d’amitié. Eux lui disent que la situation en France ne s’améliore pas, évoquent la loi « immigration » promulguée le 26 janvier. Avec franchise, Giorgi leur écrit qu’il veut revenir.

  • Migrations : après la Tunisie, l’Europe cherche un accord avec la Mauritanie
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/02/19/migrations-apres-la-tunisie-l-europe-cherche-un-accord-avec-la-mauritanie_62

    Migrations : après la Tunisie, l’Europe cherche un accord avec la Mauritanie
    Par Philippe Jacqué (Bruxelles, bureau européen)
    Nouakchoot, le 8 février 2024.
    La Commission européenne avance, imperturbable, dans la construction de « partenariats stratégiques mutuellement bénéficiaires » avec les pays africains, incluant un vaste volet de gestion des migrations, sur le modèle de l’accord controversé passé entre l’Union européenne (UE) et la Tunisie à l’été 2023. Après Tunis, où Ursula von der Leyen s’était rendue en juillet en compagnie des premiers ministres italien et néerlandais, la présidente de l’exécutif européen s’est déplacée début février à Nouakchott avec le premier ministre espagnol, Pedro Sanchez.
    Le choix de cette destination n’est pas fortuit. En janvier, les arrivées irrégulières enregistrées par l’agence européenne Frontex ont fortement augmenté aux Canaries, au large des côtes marocaines. Quelque 6 686 entrées irrégulières ont été comptabilisées sur l’archipel espagnol, en hausse de 48 %. Dans le même temps, les arrivées se sont taries en provenance de la voie méditerranéenne centrale, avec 1 511 entrées en janvier, en chute de 71 %.
    Les départs, en hausse côté libyen, ont baissé depuis l’automne en Tunisie, entravés par une surveillance accrue des autorités. Preuve que le préaccord de partenariat global trouvé l’été dernier entre l’Europe et la Tunisie – un temps contesté par Tunis et une partie du Parlement européen – est bel et bien en cours d’application. Quelque 105 millions d’euros étaient prévus pour lutter contre l’immigration irrégulière vers l’Europe. Les services de l’exécutif européen travaillent à un niveau technique avec Tunis sur de multiples projets de coopération sur cette question.
    Depuis, la Commission a multiplié les échanges avec d’autres pays du nord de l’Afrique, et notamment la Mauritanie. Officiellement, il s’agit encore d’un partenariat global qui concerne à la fois le développement économique, avec le soutien à des projets d’énergies renouvelables, la sécurité et bien sûr la question migratoire.
    « Je tiens à souligner votre engagement à secourir les migrants qui prennent la route de l’Atlantique, une des plus dangereuses au monde, a rappelé Ursula von der Leyen le 9 février à Nouakchott. L’Union européenne et la Mauritanie doivent renforcer leur coopération dans ce domaine ainsi que pour la gestion des frontières, les retours et l’assistance aux réfugiés. »
    Pour ce faire, « nous avons discuté d’une déclaration et d’une feuille de route communes, que nous finaliserons au printemps, accompagnées d’une enveloppe financière – plus de 210 millions d’euros d’ici à la fin de l’année – pour la gestion de la migration, pour l’aide humanitaire aux réfugiés, mais aussi pour les investissements dans l’emploi, les compétences et l’entrepreneuriat », a-t-elle ajouté.
    Alors que cette feuille de route est toujours en négociation, son contenu reste flou. Quelque 14 millions d’euros devraient être utilisés pour couvrir les coûts liés à l’arrivée de 150 000 réfugiés maliens. Une autre partie sera consacrée à des accords avec l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) pour faciliter les retours. Enfin, des moyens devraient permettre d’améliorer le contrôle des frontières et des côtes, les douanes mauritaniennes – et leur vingtaine de navires – étant démunies pour couvrir les 750 km de façade maritime.Initialement, la Commission souhaitait déployer des agents de l’agence Frontex en Mauritanie – tout comme au Sénégal, où les négociations sont actuellement suspendues. « Il semble que ce ne soit plus d’actualité, confie une source européenne. Pour l’autoriser, le gouvernement mauritanien a fait monter les enchères en demandant davantage de visas d’entrée en Europe – qui ne relèvent pas de la responsabilité de Bruxelles, mais des Etats membres. Pour l’instant, cela coince. »
    Néanmoins, si Frontex n’est actuellement pas sur place, la Guardia civil espagnole est bien présente dans le pays, Madrid et Nouakchott ayant signé un partenariat opérationnel pour bloquer les flux de pirogues entre le Sénégal ou la Mauritanie et les Canaries.
    Au-delà de la Tunisie, de la Mauritanie ou du Maroc – qui dispose d’une aide budgétaire annuelle conséquente pour bloquer les migrations –, Bruxelles tente de conclure depuis de nombreux mois un autre partenariat avec l’Egypte. Des discussions sont toujours en cours pour un accord incluant là aussi un volet de contrôle migratoire. Le Caire devrait toucher plus de 80 millions d’euros, notamment pour des équipements de contrôle à la frontière libyenne et de nouveaux navires de patrouille. Les discussions n’ont cependant pas encore abouti, le gouvernement du maréchal Abdel Fattah Al-Sissi souhaitant un volet d’aide économique très conséquent qui passerait par un prêt de plusieurs milliards d’euros et qui aujourd’hui n’est pas encore bouclé.
    Lors de la révision budgétaire actée en décembre 2023, les dirigeants de l’UE ont certes décidé une enveloppe pour Kiev de 50 milliards d’euros, mais ils ont également validé une nouvelle enveloppe de 9,6 milliards d’euros pour la gestion externe des migrations. Sur cette somme, 2 milliards seront utilisés pour le voisinage du sud de l’Europe. Des moyens qui devraient venir abonder dans les mois qui viennent de nouvelles actions de contrôle migratoire. « On n’a pas fini de traiter l’Afrique sous le seul prisme migratoire, regrette une source diplomatique à Bruxelles. Et les élections européennes, qui auront lieu du 6 au 9 juin, ne devraient pas modifier cette perception. »

    #Covid-19#migration#migrant#UE#tunisie#espagne#frontex#OIM#egypte#developpement#frontiere#externalisation#maroc#retour#competence#sante#politiquemigratoire

  • Towards reimagined #technical_assistance: thinking beyond the current #policy options
    https://redasadki.me/2024/02/13/towards-reimagined-technical-assistance-thinking-beyond-the-current-policy

    In the article “Towards reimagined technical assistance: the current policy options and opportunities for change”, Alexandra Nastase and her colleagues argues that technical assistance should be framed as a policy option for governments. It outlines different models of technical assistance: Governments may choose from this spectrum of roles for technical advisers in designing assistance programs based on the objectives, limitations, and tradeoffs involved with each approach: “The most common fallacy is to expect every type of technical assistance to lead to capacity development. We do not believe that is the case. Suppose governments choose to use externals to do the work and replace government functions. In that case, it is not realistic to expect that it will build a capability to do (...)

    #Global_health #Leadership #capacity_building #DAC #decolonization #global_health #rethinking_aid

  • Immigration en Europe : la France à la manœuvre pour autoriser la rétention des enfants dès le plus jeune âge
    https://disclose.ngo/fr/article/immigration-en-europe-la-france-a-la-manoeuvre-pour-autoriser-la-retention

    La France a œuvré dans le plus grand secret, pour obtenir l’autorisation d’enfermer des mineurs, sans limite d’âge, dans des centres construits aux frontières de l’Europe. Cette disposition inscrite dans le Pacte sur la migration et l’asile, qui sera voté au printemps par le Parlement européen, pourrait violer la Convention internationale des droits de l’enfant. Lire l’article

  • En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/07/en-italie-le-suicide-d-un-jeune-guineen-jette-une-lumiere-crue-sur-les-centr

    En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    . VINCENZO PINTO / AFP Le suicide d’un détenu a lancé une nouvelle alarme sur la situation problématique des centres de rétention italiens et sur les conditions de vie qui y règnent. Dimanche 4 février, Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, a mis fin à ses jours dans le centre de séjour pour les rapatriements (CPR) de Ponte Galeria, au sud-ouest de Rome. La mort du jeune homme a déclenché des protestations de la part d’autres détenus qui ont mis feu à leurs matelas et se sont confrontés aux forces de l’ordre. Ces dernières ont usé du gaz lacrymogène et ont arrêté quatorze personnes retenues dans le centre, à l’issue d’un épisode qui est loin d’être isolé.
    Quelques jours avant son suicide, M. Sylla avait ainsi été transféré du CPR de Trapani, en Sicile, à la suite, là aussi, d’un mouvement de protestation des migrants détenus. Avant de se pendre, il a écrit sur le mur de sa nouvelle cellule : « Si je meurs, j’aimerais qu’on envoie mon corps en Afrique, ma mère en sera contente. Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. L’Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi, elle ne doit pas pleurer pour moi. Paix à mon âme, que je repose en paix. » Le parquet a ouvert une enquête pour incitation au suicide.
    Grâce à son statut de parlementaire, le député et secrétaire général du parti libéral + Europa, Riccardo Magi, a pu se rendre, dimanche, à l’intérieur du CPR de Ponte Galeria, entre deux vagues d’affrontements avec les forces de l’ordre. « Comme dans tous les CPR que j’ai pu visiter, la situation à l’intérieur est indigne, dit-il au Monde. Les personnes détenues disent ne pas avoir eu de plat chaud depuis des semaines. Il n’y a pas d’eau chaude, pas de literie correcte, un état de saleté généralisé. Les détenus qui ne sont pas révoltés sont comateux à cause des psychotropes qui leur sont administrés pour les rendre inoffensifs. »
    L’usage de médicaments à des fins de contrôle dans les centres de rétention a été établi par une enquête de la revue italienne Altreconomia. En dehors des rares travaux journalistiques de cette nature, qui recueillent des informations filtrant difficilement de l’intérieur, et des témoignages des parlementaires et garants des droits qui peuvent s’y rendre, la réalité de ces sites est largement invisible.
    Les CPR sont au nombre de dix en Italie, gérés par des prestataires privés, répartis sur l’ensemble du territoire, pour une capacité de l’ordre du millier de détenus. Les personnes qui y sont enfermées sont des étrangers en situation irrégulière n’ayant pas fait de demande d’asile ou venant de pays sûrs et faisant l’objet d’une procédure d’expulsion. « Les CPR sont des trous noirs juridiques, où tous les droits à la défense sont entravés, explique Salvatore Fachile, spécialiste en droit de l’asile au cabinet d’avocat Antartide, à Rome. Leurs téléphones étant saisis, les détenus ont des possibilités très limitées de communication avec l’extérieur et de contact avec des avocats pour contester leur détention. »
    Fixée à trente jours, lors de la mise en place des centres de rétention de cette nature, en 1998, la limite de la période de détention a progressivement augmenté pour être portée, en 2023, à dix-huit mois, par le gouvernement dominé par l’extrême droite de la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni. Le nombre de détenus passés par les CPR – moins de 6 400 en 2022 – ne représente qu’une fraction du nombre de personnes arrivées irrégulièrement sur le territoire italien, estimé à près de 158 000, et du nombre d’étrangers en situation irrégulière en Italie, soit plus de 500 000. De plus, les procédures d’expulsion sont complexes, et Rome ne dispose pas toujours d’un accord de réadmission avec les pays d’origine. Ainsi, selon le rapport de 2023 du garant national des droits des personnes détenues ou privées de liberté, au terme de leur détention dans les CPR, environ la moitié des étrangers concernés restent sur le sol italien, retournant le plus souvent à une situation d’illégalité.
    Si l’efficacité des CPR est contestée par l’opposition, le gouvernement de Giorgia Meloni a répété l’objectif d’ériger un de ces centres de rétention dans chacune des vingt régions italiennes. Son ambition va même au-delà du territoire national. En novembre 2023, il a été conclu avec Tirana un accord pour l’installation de deux centres de rétention de droit italien en territoire albanais. Sur ces sites doivent être détenus des hommes – jugés non vulnérables et venant de pays sûrs – secourus hors des eaux européennes par les navires militaires italiens. En cours de ratification, cet accord permettrait la création de centres de rétention extraterritoriaux, plus éloignés encore des regards extérieurs.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#guinee#centredesejourpourrapatriement#retention#sante#santementale#mortalité#psychotrope#suicide#albanie

  • En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/07/en-italie-le-suicide-d-un-jeune-guineen-jette-une-lumiere-crue-sur-les-centr

    En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    . VINCENZO PINTO / AFP Le suicide d’un détenu a lancé une nouvelle alarme sur la situation problématique des centres de rétention italiens et sur les conditions de vie qui y règnent. Dimanche 4 février, Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, a mis fin à ses jours dans le centre de séjour pour les rapatriements (CPR) de Ponte Galeria, au sud-ouest de Rome. La mort du jeune homme a déclenché des protestations de la part d’autres détenus qui ont mis feu à leurs matelas et se sont confrontés aux forces de l’ordre. Ces dernières ont usé du gaz lacrymogène et ont arrêté quatorze personnes retenues dans le centre, à l’issue d’un épisode qui est loin d’être isolé.
    Quelques jours avant son suicide, M. Sylla avait ainsi été transféré du CPR de Trapani, en Sicile, à la suite, là aussi, d’un mouvement de protestation des migrants détenus. Avant de se pendre, il a écrit sur le mur de sa nouvelle cellule : « Si je meurs, j’aimerais qu’on envoie mon corps en Afrique, ma mère en sera contente. Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. L’Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi, elle ne doit pas pleurer pour moi. Paix à mon âme, que je repose en paix. » Le parquet a ouvert une enquête pour incitation au suicide.
    Grâce à son statut de parlementaire, le député et secrétaire général du parti libéral + Europa, Riccardo Magi, a pu se rendre, dimanche, à l’intérieur du CPR de Ponte Galeria, entre deux vagues d’affrontements avec les forces de l’ordre. « Comme dans tous les CPR que j’ai pu visiter, la situation à l’intérieur est indigne, dit-il au Monde. Les personnes détenues disent ne pas avoir eu de plat chaud depuis des semaines. Il n’y a pas d’eau chaude, pas de literie correcte, un état de saleté généralisé. Les détenus qui ne sont pas révoltés sont comateux à cause des psychotropes qui leur sont administrés pour les rendre inoffensifs. »
    L’usage de médicaments à des fins de contrôle dans les centres de rétention a été établi par une enquête de la revue italienne Altreconomia. En dehors des rares travaux journalistiques de cette nature, qui recueillent des informations filtrant difficilement de l’intérieur, et des témoignages des parlementaires et garants des droits qui peuvent s’y rendre, la réalité de ces sites est largement invisible.
    Les CPR sont au nombre de dix en Italie, gérés par des prestataires privés, répartis sur l’ensemble du territoire, pour une capacité de l’ordre du millier de détenus. Les personnes qui y sont enfermées sont des étrangers en situation irrégulière n’ayant pas fait de demande d’asile ou venant de pays sûrs et faisant l’objet d’une procédure d’expulsion. « Les CPR sont des trous noirs juridiques, où tous les droits à la défense sont entravés, explique Salvatore Fachile, spécialiste en droit de l’asile au cabinet d’avocat Antartide, à Rome. Leurs téléphones étant saisis, les détenus ont des possibilités très limitées de communication avec l’extérieur et de contact avec des avocats pour contester leur détention. »
    Fixée à trente jours, lors de la mise en place des centres de rétention de cette nature, en 1998, la limite de la période de détention a progressivement augmenté pour être portée, en 2023, à dix-huit mois, par le gouvernement dominé par l’extrême droite de la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni. Le nombre de détenus passés par les CPR – moins de 6 400 en 2022 – ne représente qu’une fraction du nombre de personnes arrivées irrégulièrement sur le territoire italien, estimé à près de 158 000, et du nombre d’étrangers en situation irrégulière en Italie, soit plus de 500 000. De plus, les procédures d’expulsion sont complexes, et Rome ne dispose pas toujours d’un accord de réadmission avec les pays d’origine. Ainsi, selon le rapport de 2023 du garant national des droits des personnes détenues ou privées de liberté, au terme de leur détention dans les CPR, environ la moitié des étrangers concernés restent sur le sol italien, retournant le plus souvent à une situation d’illégalité.
    Si l’efficacité des CPR est contestée par l’opposition, le gouvernement de Giorgia Meloni a répété l’objectif d’ériger un de ces centres de rétention dans chacune des vingt régions italiennes. Son ambition va même au-delà du territoire national. En novembre 2023, il a été conclu avec Tirana un accord pour l’installation de deux centres de rétention de droit italien en territoire albanais. Sur ces sites doivent être détenus des hommes – jugés non vulnérables et venant de pays sûrs – secourus hors des eaux européennes par les navires militaires italiens. En cours de ratification, cet accord permettrait la création de centres de rétention extraterritoriaux, plus éloignés encore des regards extérieurs.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#guinee#centredesejourpourrapatriement#retention#sante#santementale#mortalité#psychotrope#suicide#albanie

  • En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/07/en-italie-le-suicide-d-un-jeune-guineen-jette-une-lumiere-crue-sur-les-centr

    En Italie, le suicide d’Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, rappelle les conditions alarmantes dans les centres de rétention
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    . VINCENZO PINTO / AFP Le suicide d’un détenu a lancé une nouvelle alarme sur la situation problématique des centres de rétention italiens et sur les conditions de vie qui y règnent. Dimanche 4 février, Ousmane Sylla, 22 ans, migrant guinéen, a mis fin à ses jours dans le centre de séjour pour les rapatriements (CPR) de Ponte Galeria, au sud-ouest de Rome. La mort du jeune homme a déclenché des protestations de la part d’autres détenus qui ont mis feu à leurs matelas et se sont confrontés aux forces de l’ordre. Ces dernières ont usé du gaz lacrymogène et ont arrêté quatorze personnes retenues dans le centre, à l’issue d’un épisode qui est loin d’être isolé.
    Quelques jours avant son suicide, M. Sylla avait ainsi été transféré du CPR de Trapani, en Sicile, à la suite, là aussi, d’un mouvement de protestation des migrants détenus. Avant de se pendre, il a écrit sur le mur de sa nouvelle cellule : « Si je meurs, j’aimerais qu’on envoie mon corps en Afrique, ma mère en sera contente. Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. L’Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi, elle ne doit pas pleurer pour moi. Paix à mon âme, que je repose en paix. » Le parquet a ouvert une enquête pour incitation au suicide.
    Grâce à son statut de parlementaire, le député et secrétaire général du parti libéral + Europa, Riccardo Magi, a pu se rendre, dimanche, à l’intérieur du CPR de Ponte Galeria, entre deux vagues d’affrontements avec les forces de l’ordre. « Comme dans tous les CPR que j’ai pu visiter, la situation à l’intérieur est indigne, dit-il au Monde. Les personnes détenues disent ne pas avoir eu de plat chaud depuis des semaines. Il n’y a pas d’eau chaude, pas de literie correcte, un état de saleté généralisé. Les détenus qui ne sont pas révoltés sont comateux à cause des psychotropes qui leur sont administrés pour les rendre inoffensifs. »
    L’usage de médicaments à des fins de contrôle dans les centres de rétention a été établi par une enquête de la revue italienne Altreconomia. En dehors des rares travaux journalistiques de cette nature, qui recueillent des informations filtrant difficilement de l’intérieur, et des témoignages des parlementaires et garants des droits qui peuvent s’y rendre, la réalité de ces sites est largement invisible.
    Les CPR sont au nombre de dix en Italie, gérés par des prestataires privés, répartis sur l’ensemble du territoire, pour une capacité de l’ordre du millier de détenus. Les personnes qui y sont enfermées sont des étrangers en situation irrégulière n’ayant pas fait de demande d’asile ou venant de pays sûrs et faisant l’objet d’une procédure d’expulsion. « Les CPR sont des trous noirs juridiques, où tous les droits à la défense sont entravés, explique Salvatore Fachile, spécialiste en droit de l’asile au cabinet d’avocat Antartide, à Rome. Leurs téléphones étant saisis, les détenus ont des possibilités très limitées de communication avec l’extérieur et de contact avec des avocats pour contester leur détention. »
    Fixée à trente jours, lors de la mise en place des centres de rétention de cette nature, en 1998, la limite de la période de détention a progressivement augmenté pour être portée, en 2023, à dix-huit mois, par le gouvernement dominé par l’extrême droite de la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni. Le nombre de détenus passés par les CPR – moins de 6 400 en 2022 – ne représente qu’une fraction du nombre de personnes arrivées irrégulièrement sur le territoire italien, estimé à près de 158 000, et du nombre d’étrangers en situation irrégulière en Italie, soit plus de 500 000. De plus, les procédures d’expulsion sont complexes, et Rome ne dispose pas toujours d’un accord de réadmission avec les pays d’origine. Ainsi, selon le rapport de 2023 du garant national des droits des personnes détenues ou privées de liberté, au terme de leur détention dans les CPR, environ la moitié des étrangers concernés restent sur le sol italien, retournant le plus souvent à une situation d’illégalité.
    Si l’efficacité des CPR est contestée par l’opposition, le gouvernement de Giorgia Meloni a répété l’objectif d’ériger un de ces centres de rétention dans chacune des vingt régions italiennes. Son ambition va même au-delà du territoire national. En novembre 2023, il a été conclu avec Tirana un accord pour l’installation de deux centres de rétention de droit italien en territoire albanais. Sur ces sites doivent être détenus des hommes – jugés non vulnérables et venant de pays sûrs – secourus hors des eaux européennes par les navires militaires italiens. En cours de ratification, cet accord permettrait la création de centres de rétention extraterritoriaux, plus éloignés encore des regards extérieurs.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#guinee#centredesejourpourrapatriement#retention#sante#santementale#mortalité#psychotrope#suicide#albanie

  • Jordan Bardella, les dessous d’une « politique TikTok »
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/02/10/jordan-bardella-les-dessous-d-une-politique-tik-tok_6215810_823448.html

    Le président du Rassemblement national cultive sa « marque » à coups de discours flous. Dépassant largement en popularité Marine Le Pen, il commence à s’en émanciper, sous le regard bienveillant de Vincent #Bolloré.
    Par Clément Guillou et Corentin Lesueur

    Difficile de s’imaginer dans une réunion politique. Le tube Bande organisée résonne au Duplex, célèbre boîte de nuit parisienne, pour accompagner l’arrivée de la star du soir, ce samedi 27 janvier, vers 23 heures. Un costume sombre fend une nuée de téléphones tournés vers lui. L’ambiance est festive, rythmée par les textes subversifs des rappeurs marseillais, aux antipodes des valeurs que l’invité principal entend incarner. Des centaines de jeunes endimanchés scandent « Jordan, Jordan ! », rient lorsqu’un amuseur rêve tout haut de « Jordan 2027 » : nous sommes bien au lancement de l’écurie personnelle du président du Rassemblement national (#RN), Les Jeunes avec #Bardella.
    Cela n’est pas qu’une soirée en discothèque. Il faut se figurer la valeur symbolique d’un tel événement dans un mouvement qui entretient le culte du chef et n’a jamais sanctifié qu’un seul nom, celui de Le Pen. Mais Jordan Bardella est porté par un courant puissant : l’opinion. En témoigne son entrée dans le traditionnel baromètre des 50 personnalités préférées des Français, produit par l’IFOP pour Le Journal du dimanche, publié le 2 janvier, où il est le seul homme politique présent. Il s’y classe en 30e position, alors que Marine Le Pen n’y a jamais figuré. Au panthéon du consensus et du conservatisme, dans un palmarès très masculin, se hisse un homme de 28 ans imprégné des idées de la #nouvelle_droite, un courant racialiste de l’#extrême_droite, mais que les Français peinent encore à cerner. Aux yeux d’une majorité d’entre eux, il est encore ce jeune costumé et bien peigné qui s’inscrit dans le sillage de Marine Le Pen (...)
    Un positionnement flou recherché par la tête de liste du RN pour les élections européennes de juin.

    [...]

    Il y a plus concret que les sondages : la justice, avec le procès à venir concernant l’affaire des assistants parlementaires du parti au Parlement européen, où Marine Le Pen risque une peine d’inéligibilité et dans lequel Jordan Bardella n’est pas inquiété, bien que son nom figure au dossier.

    [...]

    Le président du RN ressemble à un produit à la mode. Du premier slogan de sa campagne des européennes, qui ne dit rien sinon une date (« Vivement le 9 juin ! »), le député du Gard Pierre Meurin dit qu’il vise à susciter l’attente d’un événement, « comme la sortie du dernier iPhone ». « Sa personnalité, ce qu’il incarne, fait appel aux mêmes réflexes de consommation. » « Il est devenu une marque, renchérit le sénateur lepéniste Aymeric Durox. Un visage connu dans une époque dépolitisée, une époque du selfie. » En Seine-et-Marne où il est élu, ce dernier dit rencontrer des élus de #droite qui n’attendent plus que la prise du pouvoir du jeune homme pour basculer. Le sénateur se dit que « pour avoir toutes les chances de gagner, il faudrait que Jordan puisse faire le débat d’entre-deux-tours à la place de Marine ».

    https://justpaste.it/fw0sn

    #Hanouna #identitaire

    • « On aurait plus de chances avec Bardella » : les doutes des militants du RN sur Marine Le Pen

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/02/11/on-aurait-plus-de-chances-avec-bardella-les-doutes-des-militants-du-rn-sur-m

      De nombreux membres du parti lepéniste jugent le jeune président du RN mieux placé pour s’imposer lors de la prochaine élection présidentielle, convaincus que Marine Le Pen payera in fine son nom et ses échecs passés.
      Par Clément Guillou et Corentin Lesueur

      En monarchiste convaincue, Geneviève Salvisberg n’a rien contre les dynasties. Mais cette adhérente historique du Rassemblement national (RN), passée par l’Action française dans sa jeunesse, est prête à faire exception avec la famille qui règne depuis un demi-siècle sur son parti. « Marine Le Pen est toujours très appréciée, mais Jordan Bardella est tout simplement extraordinaire, beau gosse et tellement brillant, loue la septuagénaire, suppléante du député de l’Aude Julien Rancoule. Il est assez intelligent pour attendre son tour. Mais pourquoi ne pas le lancer dès 2027 ? »

      Laisser Jordan Bardella représenter l’ex-Front national dès la prochaine #présidentielle à la place de Marine Le Pen ? Beaucoup d’adhérents l’envisagent à trois ans du scrutin roi de la vie politique nationale. Durant le mois de janvier, Le Monde est parti à la rencontre des militants lepénistes lors des cérémonies de vœux de certains députés. A la question d’une éventuelle victoire en 2027, une majorité d’entre eux considérait que le jeune homme offrirait davantage de chances que la triple candidate. Dans un parti aux réflexes légitimistes, et alors que Marine Le Pen a annoncé vouloir représenter le parti dans trois ans, ce fond de l’air bardelliste dans la base militante n’est pas anodin.
      La fille de Jean-Marie Le Pen reste unanimement saluée pour sa résilience et le travail de dédiabolisation du parti. Le « ticket » proposé, avec Jordan Bardella présenté en premier ministre putatif, séduit. Mais les militants n’échappent pas à la dynamique qui, depuis plusieurs mois, porte leur jeune président, bien au-delà des rangs du mouvement d’extrême droite. « Beau », « trop fort à la télé », « il présente et s’exprime bien », « sens de la répartie ».
      Les atouts brandis par les défenseurs de Jordan Bardella se rapportent presque uniquement à ses passages télévisés et à son image « lisse ». Un profil « rassurant » pour rallier à leur cause des électeurs hésitant encore à assumer un vote radical. « Pour les frileux, c’est bien… On sera au pouvoir un jour, mais jamais avec un Le Pen », tranche Gérard Aubenas, électeur lepéniste depuis 1981 et retraité dans la région de Cavaillon (Vaucluse).

      Des punchlines sur les plateaux télé
      Le bardellisme existe jusque dans le bassin minier du Pas-de-Calais, le fief de Marine Le Pen. « Son discours, quand elle était présidente du parti, m’a convaincue. Mais c’est quand Bardella est arrivé que j’ai complètement adhéré », raconte Tatiana Focqueur, 27 ans, qui a troqué sa carte Les Républicains contre celle du RN. « Bardella fait le travail pour enlever cette étiquette de racisme », se réjouit son mari, Sébastien, 47 ans. Qui, lui, se moque bien des étiquettes : il dirige le Black Shadow North, un club de motards associé au Gremium MC, de l’ancien chef du groupe parisien de skinheads #néonazis, Serge Ayoub. Avant de tracter pour le RN, il s’affichait avec cette figure du milieu en 2021, comme l’a documenté le site d’information StreetPress.

      Si certains élus tancent Jordan Bardella pour son absence de ligne idéologique, nombre de militants y voient une force. Une #stratégie, même, pour dissimuler les fondamentaux du RN sous une communication se résumant à quelques #punchlines répétées sur tous les plateaux et relayées sur les réseaux sociaux. « Un homme politique n’a pas à rabâcher ce qu’il pense : on sait très bien ce que défend Jordan puisqu’il représente le parti et son histoire, explique Nathalie, 59 ans, en Seine-et-Marne. Il est jeune, parle bien et dispose d’une bonne gueule : exactement comme Macron en 2017. A l’époque, beaucoup ont voté pour lui sans trop savoir ce qu’il pensait. »

      Se libérer du patronyme Le Pen
      Chez les plus jeunes adhérents frontistes, séduits par ses vidéos sur TikTok ou sa présence sur le plateau de Cyril Hanouna, Jordan Bardella est décrit en figure tutélaire. « Son physique nous influence sans qu’on s’en rende compte, c’est inconscient », avoue Loly Lucas, 19 ans. « J’adhère aux idées de Marine Le Pen mais il y a toujours cette peur vis-à-vis de sa famille, alors que Bardella n’a pas de passé politique », distingue l’étudiante de Montpellier. Alimenté par la malédiction qui collerait à la lignée des Le Pen, l’enthousiasme pour le natif de Drancy (Seine-Saint-Denis) transcende désormais les générations.

      Parmi ceux qui cotisaient déjà sous « Jean-Marie », beaucoup n’y croient plus après trois premiers échecs de sa fille à la présidentielle. « Le nom lui colle toujours à la peau. Macron veut continuer à dire “Front national”, et on comprend pourquoi… », déplore Dominique Caplin, retraité d’un établissement public de gestion de l’eau et néoadhérent gardois. Au-delà du patronyme, d’autres considèrent que Marine Le Pen a péché, lors de ses tentatives infructueuses, dans les domaines qui font justement la réputation de son cadet.
      « On aurait plus de chances avec Bardella. Marine est plus énervée et agressive, elle n’a pas le même sang-froid, tranche Frédéric, un policier de 56 ans. A chaque débat d’entre-deux-tours, elle est mauvaise. » Et, lorsque vient la question de la jeunesse de Jordan Bardella, la réponse est toujours la même : « Et notre nouveau premier ministre, il a quel âge ? »

      Aux vœux de Jordan Bardella, l’ombre de la « #GUD connexion »
      https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/01/15/aux-v-ux-de-jordan-bardella-l-ombre-de-la-gud-connexion_6210954_823448.html

      Le président du Rassemblement national a dû s’expliquer lundi sur le maintien de relations d’affaires avec Frédéric Chatillon, ancien patron du Groupe union défense, une organisation étudiante d’extrême droite connue pour son radicalisme et sa violence.

      https://justpaste.it/cnu61

      Le reportage consacré au jeune président du RN sera bien diffusé, même si le parti a déclaré avoir missionné des huissiers pour empêcher la diffusion d’un extrait relatif au compte Twitter anonyme, raciste et homophobe, qu’aurait utilisé Jordan Bardella.

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/01/18/complement-d-enquete-sur-jordan-bardella-france-televisions-maintient-sa-ver

    • Jordan Bardella tente de séduire la droite pour « élargir » la base électorale du Rassemblement national, Clément Guillou
      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/09/16/jordan-bardella-tente-de-seduire-la-droite-pour-elargir-la-base-electorale-d

      Alors que Marine Le Pen cible en priorité les classes populaires, le président du parti d’extrême droite s’efforce de séduire les classes moyennes supérieures et les retraités. Une répartition des rôles plus assumée entre eux. Publié le 16 septembre 2023.

      « Il a fait une campagne à l’américaine exemplaire. C’est même un modèle qu’on pourra étudier plus tard à Sciences Po. » Ainsi parlait, en 2007, Jean-Marie Le Pen au sujet de Nicolas Sarkozy, après s’être fait siphonner ses électeurs au premier tour de l’élection présidentielle. Sa fille Marine, directrice de campagne, ne partageait pas son enthousiasme vis-à-vis du personnage, qu’elle « trouvait faux », se souvient l’un des acteurs de la présidentielle 2007 au Front national. L’ancien chef de l’Etat, qui, entre deux actualités judiciaires, distribue les bons et mauvais points à l’occasion de la parution du deuxième tome de ses mémoires (Le Temps des combats, Fayard, 592 pages, 28 euros), est aussi de retour dans les discussions au sein du parti à la flamme.
      Cet été, le député Rassemblement national (RN) du Nord Sébastien Chenu s’est rafraîchi la mémoire en revisionnant La Conquête, le film de Xavier Durringer (2011) retraçant, dit-il, « la meilleure campagne de ces quinze dernières années, [qui] n’était pas une union des droites mais une capacité rare à faire sauter les clivages sociologiques ». Dans une vidéo tournée à l’occasion de la rentrée scolaire, Jordan Bardella laisse traîner, en évidence sur son bureau, le dernier opus sarkozyste.
      Le pavé est au même endroit quelques jours plus tard, quand les caméras de France 3 l’interrogent : « J’avais déjà lu Le Temps des tempêtes [L’Observatoire, 2020] », leur signale le président du mouvement d’extrême droite, qui doit lancer sa campagne pour les élections européennes de juin 2024, samedi 16 septembre, lors des universités d’été du RN, à Beaucaire (Gard).

      Le sillon sarkozyste
      Jordan Bardella avait 11 ans durant la campagne victorieuse de Nicolas Sarkozy. De son propre aveu, son intérêt pour la politique n’était pas tel qu’il puisse en garder un souvenir net. « J’ai admiré le personnage, disait-il toutefois au Monde en février. Il avait la capacité de tout changer, réunissait les classes moyennes, l’ouvrier d’Aubervilliers et le cadre sup de Versailles. Je pense que c’est la clé du pouvoir et qu’on est sur ce chemin-là. Parler, au-delà de la France des oubliés, à la France qui se lève tôt » – un label sarkozyste.

      En ce début de campagne des élections européennes, celui qui sera la tête de liste du RN tente d’emprunter le sillon sarkozyste. M. Bardella encourage ses troupes à « recréer l’UMP [Union pour un mouvement populaire, devenue Les Républicains, LR] », rapporte Le Figaro. Le RN n’a pas l’armée de militants, de cadres locaux et politiques chevronnés qu’avait la formation de droite, lors de l’accession de M. Sarkozy au pouvoir. Mais rien ne l’empêche d’en adopter certains accents.
      Auprès d’un parti qui veut désormais renforcer son implantation chez les classes moyennes supérieures et les #retraités, le candidat Sarkozy exerce une forte attraction, bien que son action à l’Elysée demeure largement rejetée. Dans la bouche de quelques-uns des néodéputés de la vague élue en juin 2022, on entend les comparaisons avec le Rassemblement pour la République (RPR) d’antan, tentative d’extraire le RN du champ des extrêmes auquel son programme fondé sur la préférence nationale et le rejet de l’Union européenne le ramène inexorablement. Le député des Bouches-du-Rhône Franck Allisio, ancien de l’UMP, n’a-t-il pas récupéré la marque RPR pour fonder un mouvement local d’« union des droites » ?

      Dans le duo Marine Le Pen-Jordan Bardella, au sein duquel le rapport hiérarchique est de moins en moins affirmé, c’est au cadet de 28 ans que revient l’incarnation de la jambe la plus droitière ; à Marine Le Pen revient celle d’un national-populisme qui s’adresse à une partie des #classes_populaires. Depuis les violences urbaines du mois de juillet, la double finaliste de l’élection présidentielle a acté le principe d’une répartition des rôles encore plus assumée qu’elle ne l’était. Cela vaut pour la différence de stratégie médiatique – à elle la rareté, à lui l’omniprésence – comme politique – à elle la figure protectrice, à lui celle d’autorité. « Elle considère qu’il touche des gens différents et que c’est à exploiter », explique-t-on dans le premier cercle de Marine Le Pen.

      Clins d’œil à l’électorat de gauche
      La cheffe de file de l’extrême droite a laissé Jordan Bardella bénéficier de l’exposition offerte par Emmanuel Macron, qui l’a convié personnellement, par téléphone, aux « rencontres de Saint-Denis » (Seine-Saint-Denis), le 30 août. A l’issue, les proches du chef de l’Etat ont distillé des propos flatteurs à son endroit, louant son attitude générale et sa préparation – qu’importe qu’il ait, dans sa lettre de propositions au locataire de l’Elysée, confondu défiscalisation et exonération de cotisations patronales. Les mots du camp présidentiel visent à piquer la jalousie de Marine Le Pen, qui ne montre pour l’heure aucun signe d’agacement. Elle a même validé la publication d’une tribune de M. Bardella sur la présence française en Afrique, le 31 août, dans Valeurs actuelles ; elle qui considère pourtant l’international comme son domaine réservé.
      Omniprésent en cette rentrée politique, le jeune homme tente de s’ancrer à droite, même s’il conserve sa matrice populiste qu’il reprend dans Le Figaro, en dépeignant M. Macron comme « politiquement de nulle part ». « Mérite », « autorité », « charges », « taxes »… Celui qui incarne la marque identitaire et sécuritaire du RN s’efforce désormais de reprendre les mots traditionnels du parti Les Républicains. Interrogé sur RTL, le 12 septembre, il aborde ainsi la question des salaires : « Il faut permettre un petit coup de pouce salarial, ce que beaucoup de chefs d’entreprise ne peuvent pas faire compte tenu du niveau de charges délirant dans notre pays. » En février, il avait déjà lancé, depuis un château de la Sarthe, une campagne de communication baptisée « Où passe notre argent ? », dépeignant une France « championne d’Europe des impôts et des taxes ».

      Ce discours est compensé par quelques clins d’œil à l’électorat de gauche, comme la taxation des superprofits énergétiques, la baisse de la TVA sur les produits de première nécessité et l’opposition à la réforme des retraites. Mais tout va comme si le parti avait acté que sa marge de progression se situe à la droite de l’échiquier politique, et non plus chez les abstentionnistes ou dans la gauche souverainiste, dite « patriote ».
      « Il faut maintenir et élargir notre nouvelle base sociologique née des législatives. Il n’y a plus, dans notre électorat, cet aspect “déclassés” contre “élites”, souligne Pierre-Romain Thionnet, le bras droit de Jordan Bardella. Il ne faut pas laisser dire qu’on est socialistes. » C’est particulièrement vrai à l’aube d’un scrutin européen, en juin 2024, où l’#abstention_différenciée (l’écart de participation entre différents électorats) devrait jouer contre le RN, les classes populaires s’exprimant traditionnellement peu dans ces élections. « Ceux qui aujourd’hui s’intéressent aux européennes sont très politisés et plutôt à droite ; c’est le lectorat du Figaro. Parler aux classes populaires de cette élection en septembre, c’est parler à des gens qui ont bien d’autres préoccupations », explique Jean-Philippe Tanguy, président délégué du groupe RN à l’Assemblée nationale.

      Apprécié par les électeurs d’Eric Zemmour
      Le RN avait déjà revu à la baisse ses ambitions sociales dans son programme présidentiel de 2022, et envoyé plusieurs signaux favorables aux employeurs au long de la première année de la législature. Une évolution peu visible dans son discours, focalisé sur le pouvoir d’achat et l’immigration, et le magma des débats parlementaires.
      Jordan Bardella se positionne pour être celui qui incarne ce RN plus « droitard », un mot que Marine Le Pen prononce avec un dégoût non dissimulé. Dans les enquêtes d’opinion, il est, bien plus qu’elle, très apprécié par les électeurs de droite et d’Eric Zemmour. « Si Jordan n’était que Marine avec les cheveux courts, cela n’aurait que peu d’intérêt », estime Sébastien Chenu, lui-même issu de l’UMP. « Jordan a son espace et doit aller le prendre. L’intérêt est qu’il puisse continuer à élargir notre base électorale. Il nous faut des profils et des sensibilités différents. C’est un de nos défis », reconnaît-il.
      Sauf que, dans le même temps, le président du RN ouvre aussi les bras à Reconquête !, faisant mine de croire à une union de leurs forces pour le scrutin du 9 juin 2024, malgré les supposées différences de nature entre deux visions économiques et sociétales. Et alors même que Marine Le Pen a toujours refusé de se laisser tenter par l’arlésienne de l’« union des droites ».

      Le risque de ces multiples manœuvres est d’écailler franchement le vernis « ni droite ni gauche » que la dirigeante d’extrême droite, à la suite de son père, a patiemment apposé sur le parti à la flamme. Et de se perdre dans la tactique électorale. Alors que l’option « ni droite ni gauche » fut une clé de l’explosion des scores lepénistes après la scission avec Bruno Mégret, en 1999.

      #stratégie_électorale

  • Senza frontiere: La criminalizzazione dei cosiddetti #scafisti nel 2023

    1. Dati e monitoraggio della cronaca
    Numero di fermi

    Come negli anni precedenti, nel 2023 abbiamo monitorato sistematicamente la cronaca sulle notizie degli arresti dei cosiddetti scafisti. Abbiamo registrato 177 arresti negli ultimi 12 mesi (rispetto ai 171 arresti nel 2021 e ai 261 arresti nel 2022). Una dichiarazione di Piantedosi che sostiene che “550 scafisti” sono stati arrestati nel biennio 2022-23 – visto che nell’aprile il governo ha rivendicato c. 350 fermi per 2022 – ci fa stimare un totale di 200 fermi nel 2023. Dal 2013, quindi, sono state fermate ormai circa 3.200 persone.

    Il numero di arresti nel 2023 non solo è inferiore in termini assoluti rispetto agli anni precedenti, ma mostra una diminuzione ancora più significativa in termini relativi. Nel 2023, circa 157.000 persone sono arrivate in Italia via mare, il che significa che sono state arrestate circa tre persone ogni 2.000 arrivi. Nel 2021 e nel 2022, il tasso di criminalizzazione era due volte questo.

    Esistono diverse ragioni che potrebbero spiegare questa diminuzione. La più significativa sembra essere un cambiamento di politica ad Agrigento e Lampedusa nel non effettuare arresti sistematici dopo gli sbarchi, concentrandosi invece su casi specifici che coinvolgono accuse di morti durante il viaggio, torture e, per la prima volta, pirateria. Ci teniamo ad aggiungere che – appoggiando il lavoro dell’associazione Maldusa – stiamo seguendo casi in cui le persone sono accusate dei suddetti reati, che hanno suscitato in noi importanti dubbi sulla correttezza delle accuse e sulle modalità con cui vengono portati avanti questi procedimenti penali che spesso sembrano vere e proprie sperimentazioni giuridiche. È anche evidente che le autorità ad Agrigento effettuano continuamente arresti di persone, soprattutto cittadini tunisini, che, essendo rientrati in Italia dopo espulsioni precedenti, sono imputati del reato di violazione del divieto di reingresso. Questo dimostra una manipolazione molto evidente del diritto penale come mezzo per sostenere le ingiuste politiche di chiusura e respingimento.

    Luoghi di fermo e il decreto Piantedosi

    In secondo luogo, l’anno scorso è stata attuata una nuova strategia nella guerra italiana contro le navi di soccorso delle ONG, a cui sono stati assegnati porti di sbarco in tutta Italia (il decreto Piantedosi). Un effetto collaterale è che spesso i luoghi che hanno accolto le imbarcazioni non hanno visto tanti sbarchi prima di quest’anno, e sono quindi poco familiari con la criminalizzazione sistematica che si è agita negli ultimi anni. Nei porti settentrionali a volte sono stati disposti gli arresti, che spesso poi non sono stati convalidati dai Giudici locali, che non hanno ritenuto neppure di disporre una misura cautelare dato che le prove contro gli imputati erano troppo deboli. Mentre ad Agrigento e nei porti del Nord possiamo forse notare una certa resistenza alla solita politica degli arresti sistematici dei capitani, lo stesso non si può dire in altre parti d’Italia. Nella Sicilia orientale e in Calabria un alto numero di persone è stato arrestato e incarcerato. Augusta ha registrato 28 arresti, Siracusa 11; Crotone ha visto 24 arresti e Roccella 18. E come si può vedere dalla mappa, questo modello si replica in altri porti delle stesse zone.

    Nazionalità

    Nel 2023, come nel 2021 e nel 2022, le autorità hanno preso di mira in particolare i cittadini egiziani, identificandone almeno 60 come capitani. Ciò è notevolmente diverso da quanto avveniva prima del 2020, quando gli egiziani avevano smesso di essere la principale nazionalità criminalizzata. Questa inversione di tendenza ha visto circa 300 cittadini egiziani arrestati dal 2020, la maggior parte dei quali probabilmente è ancora nelle carceri italiane.

    Un cambiamento significativo delle nazionalità delle persone arrestate registrato nel 2023 è invece l’importante aumento della criminalizzazione delle persone migranti provenienti dai paesi asiatici, che ammontano a circa 40 persone fermate quest’anno.

    Con riferimento alla rotta ionica, che arriva in Calabria – la stessa utilizzata dalla barca che è tragicamente affondata vicino a Cutro – nel 2021 la maggior parte delle persone arrestate come capitani proveniva da Russia e Ucraina. Con l’inizio della guerra, sono arrivate molte meno persone con queste nazionalità, mentre abbiamo assistito ad un allarmante aumento della persecuzione dei cittadini turchi nel 2022. Nell’ultimo anno, invece, abbiamo assistito a pochi arresti di persone provenienti dall’Europa orientale o dalla Turchia, e molti di più di persone provenienti dagli stati dell’Asia centrale.

    Va detto che la diminuzione dei fermi eseguiti dalla Procura di Agrigento dovrebbe essere letta alla luce della massiccia operazione posta in essere dalla polizia tunisina, con la benedizione e il finanziamento dell’Europa, contro i cosiddetti trafficanti a Sfax. I governi si vantano di ben 750 fermi nel paese nordafricano negli ultimi tre mesi, accanto a strategie violente di intercettazione e refoulement, come denunciato sia da Amnesty che dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali. Anche in Egitto, l’inasprimento della legge nazionale contro i ‘trafficanti’ ha portato a diffusi arresti e processi ingiusti. Ad esempio, l’11 giugno 2023, una campagna di arresti ingiustificati per “smuggling” ha portato alla morte, alla città di Marsa Matruh, di un cittadino egiziano per colpi di arma da fuoco inferti dalla polizia, come ha denunciato Refugees Platform in Egypt. A livello dell’UE, si provano invece ad affinare gli strumenti legali, accrescendo le infrastrutture di controllo e criminalizzazione della frontiera e proponendo emendamenti – come quelli presentati in occasione del lancio dell’Alleanza globale contro il traffico di migranti – al cosiddetto Facilitators Package (in italiano “pacchetto facilitatori”).

    È chiaro quindi che, mentre festeggiamo alcune limitate vittorie, non possiamo negare che il “trafficante/scafista” rimane il capro espiatorio per eccellenza in Europa e non solo.
    2. Un anno di casi e udienze

    Attualmente seguiamo la situazione di 107 persone accusate di essere ‘scafisti’, 66 delle quali sono ancora in carcere. Dei detenuti, 32 si trovano in Sicilia e 16 in Calabria; gli altri sono sparsi in tutta Italia. Come ci si aspetterebbe dagli arresti degli ultimi anni, quasi la metà delle persone detenute che seguiamo proviene dall’Africa del Nord (30 su 44), mentre la maggior parte di quelle provenienti dall’Africa occidentale con cui siamo in contatto sono ormai libere (23 su 30). Siamo anche in contatto con 24 persone provenienti da paesi asiatici (tra cui Turchia, Palestina e i paesi ex-sovietici), la maggior parte delle quali è ancora detenuta.
    Cutro

    E’ trascorso poco meno di un anno da quando quasi 100 persone hanno perso la vita nelle acque di Cutro, in Calabria. Il Governo ha reagito non solo con finta commozione e decreti razzisti, ma anche, come quasi sempre accade, con un processo contro i cosiddetti scafisti. Insieme alle realtà calabresi, seguiamo attentamente i processi contro Khalid, Hasab, Sami, Gun e Mohamed, sopravvissuti al naufragio e provenienti dalla Turchia e dal Pakistan: ora si devono difendere contro il Ministero dell’Interno, il Consiglio dei Ministri e la Regione Calabria che si sono costituiti parti civili nel processo penale. Le istituzioni governative, anche se non esiste un fondo per questo, chiedono un risarcimento superiore a un milione di euro per danni al turismo e all’immagine: come se la tragedia del massacro di Cutro fosse questa.
    Processi

    Sono diversi i procedimenti penali che siamo riusciti a seguire da vicino, offrendo il nostro supporto ad avvocatə e persone criminalizzate, e, in alcuni casi, andando personalmente alle udienze.

    - Tra le vittorie ottenute non possiamo non citare la recentissima sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Messina in favore di Ali Fabureh, un giovane ragazzo gambiano che era stato erroneamente condannato dal Tribunale di Messina a 10 anni di carcere senza che – come appurato dalla Corte – avesse mai preso un timone in mano. E sempre a Messina abbiamo registrato un’altra importante vittoria: si è, infatti, concluso con una sentenza di assoluzione anche il procedimento penale iniziato due anni fa contro 4 persone accusate di aver condotto un peschereccio con a bordo centinaia di persone ed essere responsabili della morte di 5 di esse. Tra le persone assolte c’è A., che attualmente è ospitato presso l’associazione Baobab, e con cui continuiamo a rimanere in contatto. Un’altra importante vittoria di quest’anno è stata raggiunta a febbraio a Palermo, quando il Tribunale ha assolto 10 persone accusate di art. 12 TUI, riconoscendo loro lo stato di necessità per le violenze subite in Libia e aprendo la strada, si spera, a un maggior riconoscimento di questa causa di giustificazione. La sentenza è ora definitiva.
    - Purtroppo non tutti i procedimenti seguiti si sono conclusi positivamente, a dimostrazione del fatto che, anche se qualche passo nella direzione giusta è stato fatto, ne restano ancora tanti da compiere. Spesso può succedere che il processo contro due imputati nello stesso procedimento, ha avuto esiti diversi. Questo è stato il caso in un processo nei confronti di due cittadini senegalesi al Tribunale di Agrigento, che ha disposto l’archiviazione per uno di loro, mentre per l’altro il processo continua.
    – Altre volte è stata emessa una sentenza di condanna senza assoluzioni o archiviazioni. Questo è il caso della riprovevole condanna di 7 anni inflitta dal Tribunale di Locri a Ahmid Jawad, magistrato afghano che ancora lotta per dimostrare che era un semplice passeggero dell’imbarcazione che dalla Turchia l’ha condotto in Italia. E’ anche la situazione di Ahmed, che si è visto rigettare l’appello proposto alla Corte di Appello di Palermo avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Agrigento.
    - Inoltre, non possiamo non mostrare indignazione e preoccupazione per i casi, come quello di E. (egiziano) al tribunale di Locri e M. e J. (del Sierra Leone) a Reggio Calabria, con cui siamo in contatto, a cui è stata applicata la nuova fattispecie di reato di cui all’art. 12 bis TUI, introdotta con il decreto Cutro, che prevede pene ancora più elevate. Seguiamo il loro processo da lontano: a gennaio, il tribunale di Locri ha rigettato la richiesta di remissione alla Corte Costituzionale presentata dagli avvocati per contestare l’art 12 bis.

    Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)

    I problemi per le persone accusate di essere ‘scafisti’ non finiscono a fine pena, e anche con riferimento alla detenzione nei CPR abbiamo seguito casi che hanno avuto esiti molto diversi. Siamo felicə che gli ultimi due casi seguiti si siano conclusi in modo positivo. Nel mese di dicembre, infatti, una donna ucraina e un uomo tunisino entrambə codannatə per art. 12 TUI, sono statə scarceratə, rispettivamente dalle carceri di Palermo e di Caltagirone, senza essere deportatə presso i centri di detenzione. Sicuramente nel primo caso ha inciso la nazionalità della persona, mentre nel secondo il sovraccaricamento dei centri.

    Purtroppo non sempre è stato possibile evitare il CPR. Molte persone seguite, nonostante la richiesta asilo presentata tempestivamente, sono state trattenute nei centri di detenzione, chi per pochi giorni, chi per due mesi. Per circostanze che sembrano spesso fortuite, la maggior parte è riuscita ad uscire e, anche se con poche prospettive di regolarizzarsi, possono vivere in “libertà” in Italia.

    Purtroppo, per due persone seguite le cose sono andate diversamente. La macchina burocratica ha mostrato il suo volto più spietato e sono stati rimpatriati prima che avessero la possibilità di ricevere un aiuto più concreto; oggi si trovano in Gambia e Egitto. Nell’ultimo caso, la situazione è ancora più preoccupante perché era stato assolto dal Tribunale di Messina; nonostante ciò, all’uscita dal carcere lo aspettava la deportazione.
    Misure alternative

    Quest’anno è stato particolarmente significativo in termini del superamento del regime ostativo alle misure alterantive alla detenzione posto dall’art. 4 bis o.p., che si applica a chi subisce una condanna per art. 12 TUI. Abbiamo infatti registrato i primi casi in cui le persone incarcerate che seguiamo hanno potuto accedere a misure alternative alla detenzione. Questo è stato il caso di B., che ha ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo l’affidamento in prova ai servizi sociali in provincia di Sciacca. Adesso che ha raggiunto il fine pena si è stabilito lì, in poco più di un mese ha aggiunto i suoi obiettivi personali: ha un lavoro e una rete sociale. E questa è la storia anche di A., e O., che hanno fatto accesso alle misure alternative presso la comunità Palermitana Un Nuovo Giorno. Rimaniamo, invece, in attesa dell’esito della seconda istanza di accesso per M., cugino di B., con cui tentiamo dal 2022, e che speriamo possa presto vedere il cielo oltre le quattro mura.

    Abbiamo anche seguito 6 persone, tra cui i 3 accusati palestinesi che l’estate scorsa sono entrati in sciopero della fame, che sono riusciti ad accedere agli arresti domiciliari, che pur non essendo oggetto dell’art. 4 bis o.p., nel corso degli anni sono comunque rimasti difficili da ottenere. Queste vittorie sono state possibili grazie ai tentativi, a volte ripetuti, dellə loro avvocatə difensorə, e alle offerte di ospitalità di un numero crescente di realtà conosciute.

    È bello vedere che qualcuno riesce a sgusciare attraverso alcune crepe di questo meccanismo. Certamente lavoreremo per continuare ad allargarle, anche se sappiamo che questo strumento può solo alleviare la sofferenza di alcune persone, e certamente non riparare i danni subiti per la loro detenzione.
    3. Rete

    Per noi è fondamentale ribadire che è solo grazie a una rete forte, impegnata, diffusa e informata, che questo lavoro è possibile. Anche quest’anno, possiamo dire di aver avuto il grandissimo piacere di collaborare con realtà diverse, in tanti luoghi, da Torino a Napoli, da Lampedusa a Londra, da Roma a Bruxelles e New York.

    In particolare, segnaliamo la campagna recentemente avviata Free #Pylos 9, promossa della rete Captain Support, per le persone arrestate in seguito al massacro di Pylos in Grecia. Negli ultimi mesi abbiamo inoltre avuto modo di conoscere realtà solidali a Bruxelles, tra cui PICUM, che ha organizzato a fine novembre un incontro di scambio sulle pratiche di criminalizzazione attuate intorno al controllo della migrazione. Qui abbiamo avuto l’opportunità di aprire insieme una conversazione sul lancio della nuova Alleanza Globale Europea contro il Traffico di Migranti, che stava avvenendo proprio in quei giorni.

    A New York a novembre abbiamo partecipato alla conferenza dell’Università di Columbia sulla criminalizzazione della migrazione nel mondo, e abbiamo presentato il nostro lavoro al centro sociale Woodbine, insieme ad altri gruppi locali impegnati nella lotta contro le frontiere.

    Qua in Italia, se da un lato il decreto Piantedosi ha ottusamente costretto le navi ONG a sbarcare in diversi porti d’Italia (come abbiamo scritto nei paragrafi sopra), dall’altro ha contribuito a catalizzare la consapevolezza sugli arresti allo sbarco in diverse città. Grazie al lavoro di alcunə avvocatə e individui solidali a Napoli, e con il supporto della Clinica Legale Roma 3, le persone arrestate agli sbarchi in Campania hanno avuto accesso a un supporto indipendente ed esaustivo.

    L’evento Capitani Coraggiosi, organizzato da Baobab Experience alla Città dell’Altra Economia a Roma, ha visto proiezione del film Io Capitano di Matteo Garrone (ora fra i candidati agli Oscar), e un dibattito col regista e con altre persone impegnate in questa lotta. Qui è stata lanciata la campagna in vista della presentazione della richiesta di revisione del caso di Alaji Diouf, che ha subito una condanna di 7 anni per il reato di favoreggiamento. Adesso, Alaji chiede che sia fatta giustizia sul suo caso, come affermato nel suo intervento dopo la proiezione del film “Io Capitano”, quando ha detto “Tutto quello che succede dopo, da lì parte davvero il film. […] ora che sono libero voglio far conoscere al mondo la verità”.

    ‘Dal mare al carcere’
    un progetto di Arci Porco Rosso e borderline-europe
    4° report trimestrale 2023.

    Leggete il report ‘Dal mare al carcere’ (2021), e i seguenti aggiornamenti trimestrale, al www.dal-mare-al-carcere.info.

    Ringraziamo Iuventa Crew, Sea Watch Legal Aid e Safe Passage Fund che hanno supportato il nostro lavoro nel 2023. Vuoi sostenerlo anche tu? Puoi contribuire alla nostra raccolta fondi.

    https://arciporcorosso.it/senza-frontiere
    #scafista #criminalisation_de_la_migration #migrations #asile #réfugiés #frontières #Méditerranée #mer_Méditerranée #Arci_Porco_Rosso #Italie #chiffres #statistiques #2023 #justice #procès #détention_administrative #rétention #Cutro

    • #Marcha_Fúnebre (Funeral March) - Orquestra Ouro Preto

      l testamento di Ousmane:
      Ousmane ha lasciato sul muro della prigione di Ponte Galeria le seguenti parole e uno schizzo di sé, tracciandoli con un mozzicone di sigaretta:

      Sylla Ousmane à famille Kaza de Sant’Angelo à Cassino
      Si Je meurs J’amerais qu’on renvoie mon corps en Afrique. Ma mère sera (contente). Les militaires italiens ne connaissent rien sauf l’argent. Mon Afrique manque beaucoup et ma mère aussi. Ils ne font que pleurer à cause de moi. Paix à mon âme , que je repose en paix.

      Sylla Ousmane alla famiglia Kaza a Sant’Angelo di Cassino
      Se muoio, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa. Mia mamma sarebbe lieta. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non fanno che piangere per causa mia. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace

      Ousmane Sylla e i Centri di Permanenza per il Rimpatrio

      Ousmane Sylla, nato in Guinea nel 2001, emigrò a seguito del colpo di stato del Settembre 2021 ad opera della giunta militare presieduta da Mamady Doumbouya che depose il presidente in carica Alpha Condé. Ousmane , sbarcato in Italia, fu rinchiuso nel Cpr di Trapani/Milo.

      Il 13 Ottobre 2023 ottenne il decreto di espulsione. In base alle leggi che erano in forza precedentemente sarebbe potuto uscire dal Cpr tre mesi dopo, il 13 Gennaio 2024. Senonché Il decreto Cutro, entrato in vigore a Maggio, ha imposto il prolungamento dei termini di reclusione sino a 18 mesi. A seguito dell’incendio scoppiato nel cpr di Trapani il 22 Gennaio 2024 fu trasferito a Ponte Galeria. In ogni caso il rimpatrio in Guinea sarebbe stato ostacolato anche dall’assenza di accordi bilaterali tra l’Italia e la Guinea.
      Ousmane era affetto da epilessia. In stato di depressione avanzata si è suicidato impiccandosi alla grata del cortile alle 4 di domenica 4 febbraio 2024. Non è morto subito. Uno dei suoi suoi compagni è riuscito a tirarlo giù.Dopo l’intervento della polizia, lo portano in infermeria, il cuore batteva ancora. Il 118 è arrivato alle 5. Quell’ora è stata fatale. L’ infermeria di Ponte Galeria, come quelle degli altri cpr, non dispone di mezzi adeguati. In particolare il centro non è provvisto di apparecchiature per la rianimazione. I medicinali che non mancano sono gli psicofarmaci, sedativi ipnotici e ansiolitici, tra questi le benzodiazepine come rivotril , tavor, minias e valium, gli ansiolitici come il lyrica, antipsicotici come il talofen.

      Nei 9 Cpr presenti in Italia la spesa percentuale per gli psicofarmaci, riferita al totale, varia notevolmente. Si va dal 10% di Caltanissetta al 29% di Milano/Corelli al 43% di Roma/Ponte Galeria (dati 2021). Le modalità di somministrazione dei farmaci e la distribuzione delle competenze tra Asl, Prefetture e enti gestori in pratica presentano zone d’ombra. Un fatto è certo: il controllo della salute non è effettuato direttamente dalle Asl ma da personale assunto dagli Enti gestori del cpr. Peraltro la prescrizione di farmaci secondo i ricettari regionali è esclusa per i “cittadini stranieri irregolari”. I piani terapeutici, se mai ci fossero, rimangono teorie. Nel 2020 il georgiano Vakhtang Enukidze è morto di edema polmonare per una combinazione di farmaci e psicofarmaci. Orgest Turia, albanese, è morto per eccesso di metadone. Nel Dicembre 2023 il quotidiano Repubblica titolava: “Inchiesta sul Cpr di via Corelli a Milano: “Zombie pieni di psicofarmaci e tentativi di suicidio. Così si vive oltre quei muri”.

      Intanto la tensione nei cpr sale. Nonostante i tranquillanti, dopo la morte di Ousmane Sylla a Ponte Galeria è scoppiata una rivolta con lanci di sassi e tentativi di incendio. Due carabinieri e un militare dell’Esercito sono stati feriti e 14 trattenuti sono stati arrestati. La procura di Roma ha aperto un fascicolo d’indagine per istigazione al suicidio.
      I Cpr sono i buchi neri dei diritti. Quella che una volta fu la patria di Beccaria oggi procede senza esitazioni sequestrando i diritti umani nel nome della difesa dei “valori” degli italiani, brava gente.

      https://www.youtube.com/watch?v=713OWv-FpQA&t=63s

      –-> je n’ai pas l’impression que la musique a été écrite POUR Ousmane, mais le lien a été fait par Riccardo Gullotta qui a écrit le texte et l’a publié sur le site antiwarsongs

      #marche_funèbre #chanson #migrations #mourir_en_rétention #rétention #détention_administrative #suicide #migrations #asile #réfugiés #sans-papiers #CPR #Italie

  • Le #Mali, le #Burkina_Faso et le Niger quittent la #Cedeao, la région ébranlée

    Les trois régimes issus de coups d’Etat prennent le risque de compromettre la #libre_circulation des biens et des personnes, et repoussent le retour des civils au pouvoir.

    En décidant de se retirer de la #Communauté_économique_des_Etats_d’Afrique_de_l’Ouest (Cedeao), les régimes militaires du Mali, du Burkina Faso et du Niger issus de coups d’Etat prennent le risque de compromettre la libre circulation et repoussent le retour des civils au pouvoir. La Cedeao, organisation économique régionale de quinze pays, s’est opposée aux coups d’Etat ayant successivement porté au pouvoir les militaires au Mali, au Burkina Faso et au Niger, imposant de lourdes sanctions économiques au Niger et au Mali.

    En août 2023, elle est allée jusqu’à menacer d’intervenir militairement au Niger pour y rétablir l’ordre constitutionnel et libérer le président Mohamed Bazoum renversé. Le dialogue est pratiquement rompu entre l’organisation et les régimes de Bamako, Ouagadougou et Niamey, qui ont créé l’Alliance des Etats du Sahel (AES) et accusent leurs voisins d’agir sous l’influence de « puissances étrangères », en premier lieu la France, ancienne puissance coloniale dans la région.

    Des élections étaient en théorie prévues au Mali et au Burkina Faso en 2024, censées assurer le retour à un gouvernement civil, préalable exigé par la Cedeao pour lever ses sanctions et rétablir ces pays dans ses instances décisionnelles. Mais les partisans des régimes militaires souhaitent allonger la durée des transitions, invoquant la lutte antidjihadiste. Le nouvel homme fort du Niger, le général Abourahamane Tiani, n’a pas encore annoncé de calendrier de transition.

    « Les Etats de l’AES ont anticipé un débat qui devait venir, celui de la fin des transitions. La sortie de la Cedeao semble remettre au second plan cette question », estime Fahiraman Rodrigue Koné, spécialiste du Sahel à l’Institut des études de sécurité (ISS). « Bien installés dans les palais et devant les délices du pouvoir, ils [les dirigeants des pays de l’AES] veulent s’éterniser dans les fauteuils présidentiels », fustige Le Patriote, quotidien du parti au pouvoir en Côte d’Ivoire.

    L’inquiétude des ressortissants des trois pays

    La Cedeao garantit aux citoyens des pays membres de pouvoir voyager sans visa et de s’établir dans les pays membres pour y travailler ou y résider. L’annonce du retrait burkinabé, nigérien et malien, suscite donc l’inquiétude de centaines de milliers de ressortissants de ces pays, particuliers ou commerçants.

    Les trois pays enclavés du Sahel et leurs principaux partenaires économiques côtiers comme le Sénégal et la Côte d’Ivoire sont toutefois membres de l’#Union_économique_et_monétaire_ouest-africaine (#Uemoa, huit pays), qui garantit elle aussi en principe la « liberté de circulation et de résidence » pour les ressortissants ouest-africains, ainsi que le dédouanement de certains produits et l’harmonisation des tarifs et des normes, à l’instar de la Cedeao.

    Les conséquences d’un #retrait pourraient être plus marquées aux frontières du Niger et du Nigeria, pays n’appartenant pas à l’Uemoa. Le géant économique d’Afrique de l’Ouest représente plus de la moitié du PIB de la Cedeao et est le premier partenaire économique du Niger dans la région. Les 1 500 kilomètres de frontière qui séparent les deux Etats sont toutefois mal contrôlés et en proie aux attaques des groupes armés. Une part importante des flux échappent aux contrôles douaniers.

    « Même si c’est par la contrebande, les biens et les personnes vont rentrer au Niger. Vous ne pouvez pas séparer Sokoto [nord du Nigeria] de Konni [Niger], c’est un même peuple », assure ainsi Chaïbou Tchiombiano, secrétaire général du Syndicat des commerçants, importateurs exportateurs et grossistes du Niger.

    « Juridiquement, un retrait sans délai n’est pas possible »

    Les régimes du Mali, du Burkina et du Niger ont annoncé leur retrait « sans délai », mais les textes de la Cedeao prévoient qu’une demande doit être déposée par écrit un an avant. La Cedeao a affirmé dimanche qu’elle n’avait pas encore reçu une telle notification. « Juridiquement, un retrait sans délai n’est pas possible. Ces Etats devront trouver une forme d’entente et des négociations iront dans le sens de trouver les moyens de faire ce retrait de manière progressive », estime Fahiraman Rodrigue Koné.

    Alors que les groupes djihadistes progressent au Sahel et jusqu’aux marges des Etats côtiers, « la région se fragmente, devient objet de concurrence géostratégique plus forte, et cela n’est pas une bonne nouvelle pour la stabilité », avertit le chercheur.

    Les vives critiques formulées par ces régimes et leurs partisans à l’encontre du franc CFA, la monnaie commune des pays membres de l’Uemoa, pourraient également conduire les pays de l’AES à quitter cette organisation, et à renoncer à la libre circulation des biens et des personnes en attendant l’émergence d’une #zone_de_libre-échange continentale africaine, encore à l’état de projet.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/01/29/le-mali-le-burkina-faso-et-le-niger-quittent-la-cedeao-la-region-ebranlee_62
    #fin